SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES ANNO 1879

 

{ [1]} { [2]}

 

CONFRATELLI CHIAMATI DA DIO ALLA VITA ETERNA NELL’ANNO 1878

 

 

[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]

 

 

 

 

INDEX

Il chierico Carlo Becchio. 2

Il chierico Omodei Stefano. 3

Il coadiutore Carlo Barberis. 8

Il sac. Giovanni Battista Ronchail. 9

Il chierico Peloso Cesare. 13

Il chierico Salvo Paolo. 17

 


            Ricordiamoci continuamente, carissimi Confratelli, di pregare per l’anima dei defunti della nostra Congregazione e specialmente per quelli chiamati dal Signore alla vita eterna in questo scorso 1878, che sono il chierico Becchio Carlo; il chierico Omodei Stefano; il chierico Arata Gio. Battista: il coadiutore missionario Barberis Giovanni; il sac. Ronchail Giovanni Battista; il chierico Peloso Cesare; il chierico Salvo Paolo e finalmente il non mai abbastanza compianto sacerdote Gamarra Luigi. Cerchiamo in ogni modo di suffragarli sia perchè quelli che ci furono uniti con vincoli di amore su questa terra non abbiano adesso a soffrire tanti spasimi nel purgatorio, se vi si trovano, sia perchè liberati quanto prima da quel carcere tenebroso, possano più potentemente intercedere per noi presso Dio, sia ancora per accorciare {35 [3]} in questo modo il medesimo nostro purgatorio, essendo tenuta come cosa certa, che quanto noi faremo per altri, il Signore disporrà che venga da altri fatto per noi. Di questi nostri Confratelli qui se ne dà un piccolo cenno biografico e per conservare memoria di coloro, che a noi uniti col vincolo dei santi voti ci precedettero alla vita eterna, ed affinchè le loro virtù servano a noi di potente stimolo al bene. Animiamoci colla considerazione del celebre detto di s. Agostino: Si ille, cur non ego? Se essi i quali non solo erano carne ed ossa come noi; ma che professavano la stessa regola, avevano i medesimi superiori, abitavano le stesse case che noi, seppero praticare tante virtù e farsi cumuli di meriti pel paradiso, perche noi sul loro esempio non potremo fare ugualmente? Le biografie del chierico Arata e del sacerdote Gamarra, i quali praticarono le virtù in grado eroico, saranno un po' più diffuse, e per non accrescere troppo la mole di questo catalogo si stamperanno separatamente.

 

 

Il chierico Carlo Becchio.

 

            Il chierico Carlo Becchio sempre si segnalò per pietà, ubbidienza ed esatto adempimento di tutti i suoi doveri e si può dire essere stato tra noi un vero esemplare. Nacque egli in Murialdo di Mondovì il 19 Settembre 1844. Figlio unico di Nicolò e di Paola Conzeno formava il solo oggetto delle loro cure e sollecitudini. Nascosta e tranquilla passò la sua infanzia sotto la perfetta obbedienza ai suoi genitori, applicato agli esercizi della pietà e dei servizi casalinghi. Fuggì sempre i tristi compagni ed avendo {36 [4]} da natura sortito un’indole tranquilla, un cuore ben fatto, nutrì fin da' suoi più teneri anni grande desiderio di consacrarsi a Dio, e di poterlo un giorno servire nello stato sacerdotale. Ma siccome per circostanze particolari da giovane non potè applicarsi agli studi, in mezzo ai lavori rurali tra cui passò la sua giovinezza, conservò mai sempre la brama ardentissima di intraprenderli più tardi collo scopo di riuscire una volta nel suo intento. Quel giorno si fece aspettare assai; e quando finalmente potè ottenere da suoi genitori il consenso d’abbracciare l’ecclesiastica carriera, si trovò in faccia a nuove e forse più grandi difficoltà. Egli aveva 23 anni, l’ingegno scarso, la memoria irrugginita, e non poteva abbandonare i lavori campestri. Chi pub ridire di quanta costanza sia necessario esser fornito in simili condizioni per mettersi ad imparare i primi rudimenti della grammatica italiana e latina? Egli non si perdette d’animo. Fece capo al parroco, il quale caritatevolmente si prestò per opera tanto buona; gli diede per varii anni lezioni di lingua e di letteratura ed in fine perchè meglio venisse coltivata la religiosa vocazione, e con maggior comodità potesse attendere agli studii, pensò di collocarlo in uno dei collegi aperti dal sac. Bosco.

            Accettato pertanto il nostro Becchio vi si recò nel CollegioConvitto di Alassio il 24 Novembre 1871, e non tardo molto a risplendere in grado eminente fra i compagni per le sue virtù particolari; quindi è che quantunque si trovasse con giovani a lui molto inferiori d’età, non fu mai che alcuno lo disprezzasse, o mostrasse di averlo in poca stima; imperocchè e colle sue belle maniere e colla sua pazienza e carità ben presto si era guadagnata la stima e l’affetto non {37 [5]} solo de' superiori, ma eziandio dei condiscepoli. Sebbene acanto d’ingegno e di memoria, collo stadio indefesso e con una volontà ferrea, riuscì a compiere se non con lode almeno con sufficiente profitto gli studi ginnasiali. Ma più che lo studio forse gli dovette servire di profitto e di aiuto a superare gli ostacoli che incontrava, la pietà, la quale, se al dir di s. Paolo, è utile ad ogni cosa, lo è certamente in modo particolare per l’avanzamento nello studio.

            Ond’è che alla continua applicazione accoppiava la più tenera pietà, e la osservanza esatta delle pratiche religiose. Ed era bello il vedere la divozione con cui assisteva in Chiesa alle sacre funzioni, ed agli altri esercizi di pietà, e quanto a tutti era di buon esempio e di caldo eccitamento ad imitarlo.

            La frequente Comunione, le lunghe e divote visite a Gesù in Sacramento, l’esercizio continuo di tutte le pratiche di religione, mantenevano in lui accese le due fiamme dell’amor di Dio e del prossimo. Dal che ne avveniva, che, mentre in Chiesa pareva un angelo e tutto assorto in Dio, fuori lo si vedeva ilare, affabile, e caritatevole con tutti, e non solo non mai recava agli altri disgusto alcuno, ma prestava con bontà tutti quei servigi che poteva; ed ovunque accorgevasi di poter far del bene, tosto vi accorreva; nè ricusava di prestarsi alla cura degli infermi che visitava e consolava colla più affettuosa carità. Per questa guisa cresceva questo bel fiore, che in breve doveva colle sue virtù mandare soave fragranza da attirare sopra di sè gli occhi del Signore, rendersi degno di ossero trapiantato nel giardino mistico della Congregazione Salesiana nella quale, accettato definitivamente potè emettere i voti perpetui in data 27 Settembre 1876. {38 [6]}

            Entrato in Congregazione venne all’Oratorio di Torino a fare i suoi studi di filosofia e di teologia. Persuaso che il prete deve essere versato in queste scienze, fece sforzi eroici per poter tenere piede a suoi compagni ben più di lui avanzati di studii e d’ingegno; ma se non li raggiunse in cose scolastiche pare non esagerato il dire, che tutti li superasse in virtù ed in pietà. Se il Signore non lo avesse giudicato maturo pel cielo già’prima che fosse assunto al sacerdozio, lo avrebbe, non ne dubitiamo, fatto una copia del Curato d’Ars, perchè il desiderio di far del bene e lo slancio nella pietà non potè trovare confronto se non nella rassegnazione con cui soffrì la lunga umiliazione di essere sempre tra i più deboli nella classe, e nella pazienza con cui sopportò la penosa malattia che lo condusse alla tomba.

            Persuaso d’essere sol buono a guastare l’opera altrui, se ne stava continuamente attorno a' suoi libri e solo quando era direttamente invitato proferiva graziosamente alcune sobrie parole per tosto ritirarsi quando la convenienza glielo permetteva. Molto tempo passava da solo in chiesa ad infervorarsi sempre più nell’amore del Signore; poche erano lo ricreazioni che in parte non passasse in compagnia di Gesù Sacramentato. Nel resto del tèmpo di ricreazione stava ritirato o attorno a qualche suo lavoriuccio, come aggiustarsi libri e simili.

            Assalito da forte e violenta tosse in principio del 1877, continuò varii mesi con questo malore. Ebbe ogni cura nell’Oratorio; poi per seguire i consigli del medico, provò l’aria nativa, la quale nonchè rinsanirlo, poco per volta lo prostrò di forze, e lo costrinse al letto. Spirò l’anima sua beata al 31 Dicembre 1877, ventesimo ottavo di sua età, dopo avere {39 [7]} più volte nella malattia ricevuta la santa Comunione ed ogni altro conforto che dà la nostra Santa Religione in quelle luttuose circostanze.

            Questi pochi cenni sul nostro confratello devono insegnarci che la vita santa è dappiù della vita dotta, e che colui il quale non potrà far molto del bene colla sua scienza deve procurare di crescere ogni giorno in virtù, ed allora la predica del buon esempio in lui varrà più che ogni altra predica dettata dall’eloquenza umana. Fortunata la Congregazione quando avrà tutti i suoi membri che predichino più col buon esempio che colle parole; quando tutti i suoi membri saranno umili e desiderosi solo della gloria di Dio e della salute dell’anime.

 

 

Il chierico Omodei Stefano.

 

            Il compianto Omodei Stefano, era figlio di onesti ma poveri contadini di Tirano, grosso borgo in quel di Sondrio. Al tempo dèlia sua nascita, v’era tra le famiglie bisognose del luogo il costume di portarsi in Brescia a passar l’inverno, procacciandosi colà il vitto col lavoro, ed in difetto coli' elemosina.

            Volgeva l’anno 1859 quando i genitori dello Stefano, sul principiar del verno, lasciavano la lor patria per incamminarsi verso Brescia. In questa città appunto nacque il loro terzogenito che venne battezzato nella Parrocchia di Sant’Alessandro, e gli fu imposto il nome di Stefano. Passati i mesi della fredda stagione, i genitori col tenero bambino lasciarono quella città e ritornarono al patrio tetto, da cui il nostro Stefano più non s’allontanò se non per venire in Torino a terminare i suoi studi. {40 [8]} Aveva solo tre anni quando la sventura colpiva quella casa: moriva il padre, l’unico che colla,sua assidua fatica provvedesse il pane alla povera famiglia. Il dolore della madre non era mitigato che dal vedersi crescere bene e con sentimenti pii e religiosi i figli. A quell’età il tenero Stefano sapeva già recitare da solo le orazioni del mattino e della sera, imparate dalla recita quotidiana, che la madre faceva fare in comune.

            Aveva uno zio Francescano, il quale essendo una volta venuto a visitare la famiglia, e visto il vivace nipotino, carezzandolo l’interrogava se bramasse andar seco. Le parole dello zio furono scolpite nella mente e nel cuore del fanciullo e molto spesso le ripeteva alla madre, dicendo: “Io voglio andare collo zio a farmi religioso.”

            Giunto all’età convenevole per frequentar le scuole; cominciò la sua carriera di studii con impegno superiore a quanto possa aspettarsi in quell’età; passava ogni anno la sua classe, ed era sempre uno dei più distinti della scuola. Collo studio andava anche crescendo la sua pietà e n’era buona prova quella di vederlo spesso occupato in ornare altarini, nel comperarsi immagini e libri divoti, e leggendo far mostra di predicare o dir messa. Appena l’altezza della persona e le forze fisiche gli permisero di trasportare il messale, cominciò subito a servire là santa messa. Nello studio poi era così assiduo che all’età di 11 anni aveva già ultimate le quattro scuole Elementari. Era suo vivo desiderio di intraprendere il corso degli gtudii classici, ma la madre, che si sentiva incapace di sostenere le spese a cui andava incontro, lo consigliò per allora, a voler ripetere la quarta Elementare, persuadendolo, che la verde età {41 [9]} e la debole complessione in cui si ritrovava, erano nuotivi abbastanza importanti a non lasciarlo proseguire così in fretta. Lusingavasi con questo la genitrice di poterlo a poco a poco distogliere dal suo progetto, ma inutili ritornarono tutte le parole e gli sforzi, poichè il figliuolo sempre, più si confermava nelle sue idee, tenendo ognor più fisso nel suo cuore il desiderio di farsi prete.

            Ripetè adunque la quarta elementare, e poi vedendo che a necessità non si può contraddire, si determinò ad intraprendere i lavori campestri  nei quali consumò due anni; ma non che venir meno, sempre più viva si faceva sentire in lui l’eloquente voce della divina chiamata, ed egli, risoluto di volerla assecondare, pregava il Signore che gliene desse mezzo. Conoscendo che la perseveranza nella preghiera e la buona condotta erano quelle, che uniche potevano aprirgli il varco per la sua mèta, frequentava i Santi Sacramenti della Confessione e della Comunione; e la madre dal canto suo è ben lieta di asserire, che l’amore e l’obbedienza del suo figlio verso di lei fu sempre singolare. Vedendo poi che vano tornava ogni suo sforzo per riuscire nell’intento, pensò di rivolgersi al sig. Parroco, pregandolo a voler convincere sua madre ed il fratello, affinchè acconsentissero una volta alle proprie brame. L’ottimo pastore contento di poter prestare l’opera sua in una cosa così santa, vi cooperò subito efficacemente. Alle parole aggiunse profferte, ed ecco che lo Stefano fa in grado di continuare le sue scuole. Fatto consapevole di tale deliberazione, il cuore del giovane fu inondato di gioia; il primo passo era fatto; non mancava che sapersi mostrare giudizioso e costante nelle sue deliberazioni. Era in Tirano un collegio {42 [10]} pareggiato dove gli studii classici fiorivano da lunga data. Al riaprirsi delle scuole dell’anno 1873, Stefano ebbe la consolazione di essere inscritto fra gli alunni della prima Ginnasiale. La premura sua per riuscir bene era ammirabile. Basta dire, che non solo fu sempre con lode promosso  alla scuola superiore attirandosi la benevolenza e la stima dei suoi rispettabili professori, ma terminata la la classe Ginnasiale, non mai stanco del faticare, si diede assiduamente allo studio anche nel tempo delle vacanze. Pregò un chierico del paese, che gli prestasse mano nell’istruirsi delle materie spettanti alla terza classe, e tanto fece, che al cominciarsi delle scuole potè sostenere altri esami di promozione, e venne ascritto alla quarta ginnasiale che frequentò con pari  applicazione e con esito felice. Aveva una stima grande ed un rispetto profondo per i suoi professori e superiori, li amava di tutto cuore, ed era sua premura di non recar loro il minimo dispiacere. I ragionamenti suoi versavano tutti sul come e quando avrebbe potuto sbrigarsi da ogni interesse materiale, e consecrarsi tutto a Dio nello stato ecclesiastico. Chi lo conobbe assai da vicino e lo frequentò per più anni; asserisce di non aver mai udita  alcuna parola meno cauta uscirgli dal labbro. I suoi compagni poi, con cui soleva trattare, erano generalmente quelli della sua scuola, i quali con lui dividevano le idee religiose e morali; cogli altri non si frammischiava, nè acconsentiva ai loro inviti. Questi per invidia lo scherzavano chiamandolo ipocrita e beniamin di preti: ma egli non cessava dall’esser loro di rimprovero colla perseveranza nel bene, e molto spesso sapeva attirarsi la loro ammirazione con edificanti risposte. I suoi pensieri erano costantemente {43 [11} rivolti a cercarsi una via, che lo conducesse al termine di sua carriera. Ora si rivolgeva a questo, ed ora supplicava quello, perchè lo volessero aiutare a proseguire la sua santa vocazione. Ad un suo amico intrinseco accennava spesso le persone, dalle quali sperava soccorso, ma ultimava sempre la frase con un sospiro, che non poteva a meno che di commovere chi l’udiva: chi sa di quale mezzo si servirà la divina Provvidenza perchè io giunga alla sospirata mêta!? Ci arriverò io? E poi soggiungeva: non vedi tu le molteplici spese, che tutto giorno van facendo, e in particolare e in società gli uomini in festini, in teatri, in lauti banchetti, in lusso e in molte altre cose al solo fine di divertirsi cogli amici? ebbene, non sarebbe forse buona cosa, che un poco di cotesto danaro speso superfluamente, fosse impiegato anche pel vantaggio della vita futura o per secondare la vocazione dei poveri giovani? E con ciò il poveretto arrestava il suo dire, lasciando travedere dal volto dimesso e malinconico una passione che gli feriva il cuore; come sarebbe d’un povero viandante, che facendo lunga pezza di strada nelle giornate estive, stanco del lungo cammino ed arso dalla sete, non trova fonte o ruscello ove possa dissetare le secche sue labbra, e intanto vede da lungi e fuori della sua strada, in luogo chiuso, limpidi ruscelli e fresche fontane, che copiosi di azzurre acque, scorrono placidamente pel loro declivio. E stando così sopra di sè alcuni momenti, si pacificava confidando nella Provvidenza di Dio, che fin allora lo aveva protetto. Ma è disposizione della divina Provvidenza che la virtù deve passare per vie aspre e difficili, ed ecco che una nuova difficoltà veniva per mettere altro inciampo {44 [12]} al proseguimento degli studii così bene incominciati e con tanto profitto proseguiti. L’anno, in cui Omodei fece la quarta, fu l’ultimo in cui sussistette il Ginnasio di Tirano, essendo dipoi stato sospeso dal Comune. Egli non si perdette d’animo, ma fermo nel suo proposito, e sperando che la divina Provvidenza lo avrebbe aiutato in qualche modo, si applicò allo studio anche in queste vacanze presso il rispettabilissimo professore, da lui tanto amato, Antonio Pievani, ed intanto con straordinaria sollecitudine cercava un luogo, dove, malgrado le strette condizioni pecuniarie della famiglia potesse continuare gli studii. Finalmente gli venne indicato l’Oratorio di S. Francesco di Sales. Come udì che quivi avrebbe potuto terminare gli studii e nello stesso tempo seguire poi comodamente la sua vocazione, lontano da ogni pericolo di compagni cattivi e dalle insidie che ordinariamente si tendono alla studiosa gioventù, subito s’adoperò a tutt’uomo onde potervi essere accolto. Impegnò di nuovo il molto rev. Parroco, affinchè facesse domanda d’accettazione alla direzione di questo istituto; e non è a dire se balzasse di gioia, allorchè seppe d’essere stato accettato. Senza indugio preparò l’occorrente, ed il giorno 28 Ottobre 1876, dopo aver esortati i suoi conoscenti a pregar molto per lui, partiva ansioso di giungere al più presto che gli fosse stato possibile in quella che egli fu poi solito chiamare arca della sua salute. Quantunque fosse suo vivo desiderio di prender commiato da casa, tuttavia il suo cuore ben fatto non potè a meno negli ultimi momenti che gonfiargli e versare in seno alla madre un abbondante pioggia di lagrime. Era la prima volta che si allontanava dalla famiglia! {45 [13]} I primi giorni che passò all’Oratorio furono per lui una continua maraviglia: osservava tutto attentissimamente; si trovava in un piccolo mondo dove tutto selle sue singole particolarità gli piaceva: sebbene non potesse capire il come potessero le cose procedere con tanto ordine in moltiplichi così grande di giovani e di occupazioni. La novità lo tenne sospeso per un po' di tempo; ma passata la prima impressione, cominciò a pensare alla distanza che lo divideva dalle balze patrie, a cui fu sempre attaccatissimo, e dalla mamma, e finì per riempirsi di melanconia. Questa fu cosa di pochi momenti, che avendo dovuto subito mettersi in comunicazione coi superiori e per mezzo di questi con vari compagni, venne a conoscere ben presto esser questo il luogo appositamente preparatogli dalla divina Provvidenza. Cercò immediatamente la compagnia de' migliori; cominciò a frequentare la chiesa e le pratiche di pietà. Uno de' suoi primi pensieri fu di cercarsi un confessore fissò, e come seppe che D. Bosco stesso si prestava quotidianamente per questo santo uffizio, subito lo prese per direttore della sua coscienza, e più non lo lasciò fin che il Signore gli concedette vita. Tutto cominciò a sorridergli e comparirgli color di rosa. Una lettera scritta in questo frattempo alla sorella fa conoscere il suo animo.

            “La salute mi è assai prospera, diceva; i primi giorni fui preso da malinconia e da continua maraviglia. Credimi che persino di notte sognava di essere tra voi. Ma già è tutto passato e mi accorgo che è cosa naturale per chi per la prima volta, lasciati la casa ed i parenti, va ad abitare in luogo affatto sconosciuto. I superiori sono molto amorevoli, il vitto è buono; mi vanno anche bene le cose di scuola, {46 [14]} ma in questo si va rigorosissimi, specialmente per la condotta. Un luogo atto a perfezionarsi come qua entro non l’ho mai visto. Quivi vi è di tutto; 300 artigiani, attendono al sarto, al calzolaio, al falegname, al fabbroferraio, a stampar libri, legarli, fondere i caratteri, ecc., ecc. Quelli che studiano sono più di 500! I superiori poi, oh come sono buoni! D. Bosco, se lo vedessi, è proprio il padre di tutti. Gli altri preti e chierici sono molti; ma ti assicuro che han tutti da fare fin sopra gli occhi; immaginati, in tanta multiplicità di assistenze, di scuole e di lavori!”

            Sempre più invogliato dello stato ecclesiastico, ne fece tosto domanda ai superiori, i quali, informati già della condotta tenuta in patria ed anche dalle prove che diede qui nel primo mese di sua permanenza, non avevano speciali difficoltà a consentirglielo.

            Un giorno il superiore l’ebbe a se e gli domandò: vuoi tu farti Salesiano? Egli che fin da fanciullo aveva avuto in mente non solo d’essere chierico, ma religioso: non cerco altro, rispose schiettamente, era da molto tempo che aveva questo in mente, e non sapeva come avrei potuto eseguire questo mio fermissimo desiderio. Se mi accettano, io son qui per questo, e non intralascierò cosa per contentare i miei superiori, sicuro che con ciò contenterò il Signore.

            In vista di così buone disposizioni si credette bene di contentarlo, ed egli dalla parte sua si mise con un impegno sempre più grande nel bene e può dirsi che in poco fece nella virtù passi da gigante. Le sue comunioni erano quasi quotidiane; grande l’impegno per far bene la meditazione, onde poco per volta {47 [15]} correggersi de' suoi difetti, gioviale coi compagni; frequente nel visitare in chiesa Gesù Sacramentato, e specialmente si distinse sempre pel suo buon cuore.

            Non contento di godere da solo la felicità della Religione, suo impegno fu nel chiamare altri a parteciparne. Aveva in Tirano due amici veramente buoni. Li invitò più volte a rompere i legami che li tenevano uniti al mondo ed a venire nell’ Oratorio per consecrarsi intieramente al Signore nella vita religiosa; ed uno venne infatti, sebbene l’altro per varie circostanze, non abbia potuto seguire questo suo desiderio. Ecco come per animarlo sempre più gli scriveva l’Omodei: “Ti avrei creduto più coraggioso! Così ti rimarrai sempre a cielo scoperto in mezzo alle sozzure, alle immondezze, alle turpitudini dell’infame ed abbominando mondaccio. Maria SS. Ausiliatrice ti aveva chiamato sotto il suo celeste manto; alla tua nave aveva messo l’àncora della salute; la tua navicella, ripeto, sarebbe stata da Lei guidata e condotta al porto. Ella ti porgeva la mano, già salivi al sicuro, ed oh! disgrazia deplorabile, ecco in un attimo tutto perduto, tutto infranto, tutto si riduce al nulla! Oh quanto io ti compiango! Qui avresti avuto per madre specialissima la gran Regina degli angeli, la Madre di Dio; per speciale patrono il sublime S. Francesco di Sales, così dolce nelle sue virtù.... Sì, ecco la mia fortuna, la mia felicità, quelle de' miei compagni e superiori. Ma tu hai impedimenti, e pazienza; forse sarà meglio per te. Io poi son troppo convinto del miracolo (tra gli innumerevoli che tutti raccontano) che Maria Ausiliatrice ha fatto di me, e finche vivo, le sarò riconoscentissimo.”

            Cercava poi di tenere continuamente unito il suo {48 [16]} cuore col Signore per mezzo di giaculatorie: per ricordarsene sempre più, se ne scriveva in tutti i luoghi r non aveva o libro o quaderno dove non ne avesse scritte varie sul frontespizio, e come se ciò non bastasse, persino sul banco da scuola aveva scritto: € La morte; ma non peccati. » Teneva sempre immagini sacre ne' suoi libri, affinchè queste gli ricordassero continuamente il Signore e le virtù dei santi e mettendosi a studiare ordinariamente ne teneva una avanti gli occhi.

            L’uomo anche di buona volontà è fragile e debole, nasce inclinato al male; ed il nostro Stefano specialmente cadeva sovente in piccole brighe coi compagni. Se ne accorgeva di questo suo difetto, e tutti i giorni prometteva di emendarsi, e veramente faceva sforzi assai grandi; ma lunga e dura cosa è vincere la natura. Egli non si perdette d’animo; fece molti proponimenti; appena sì accorgeva di avere in qualche modo offeso un compagno, andava con tutta semplicità a chiamargliene perdono; quando s’accorgeva d’aver perduto un po' di tempo di studio, andava poi in chiesa alla prima ricreazione a chiamarne perdono al Signore. Si proponeva anche delle penitenze, specialmente mortificazioni a tavola per ogni mancamento in cui si accorgesse esser caduto; e con questo andava migliorandosi. Una virtù faceva ai superiori passar inosservati questi difetti ed era l’amore con cui ricevette sempre ogni correzione. Si era fisso di ringraziarne sempre chi l’avvisasse ed anche di pregare per lui, onde più volte pregò’il suo maestro a volerlo ammonire anche acerbamente ogni qualvolta l’avesse preso in fallo.

            In vista di queste buone disposizioni, a termine dell’anno di noviziato fu ammesso ai voti. Sarebbe {49 [17]} stato suo ardentissimo desiderio emetterli perpetui, ne fece formale domanda, e sebbene nessuno de' superiori avesse speciali difficoltà, e tutti fossero proclivi a concederglieli in vista delle sue virtù, tuttavia il non aver paranco vinto intieramente la sua leggerezza e l’età sua ancor giovanile, consigliarono a concedergli solo i voti triennali. Egli accolse con grande giubilo dell’anima sua la notizia, poichè, diceva, io non cerco altro che di consacrarmi al Signore; e il Signore accetta per certo quello che i superiori stabiliscono; sebbene poi colla bocca io dica che fo voto per tre anni, tuttavia col cuore intendo assolutamente di legarmi a Dio per tutta la vita. Così fece, ed il 26 di Settembre dell’anno 1877 fu contato da lui tra i giorni più belli di sua vita.

            Giudizii imperscrutabili della divina Provvidenza! Chi avrebbe mai detto che, forte e robusto qual era, non avrebbe neppure terminato, non che il triennio, ma neppure tre mesi della sua professione? Nel mese di Gennaio fu soprapreso da una fortissima febbre tifoidea in seguito ad una trascurata costipazione, e la violenza del male fu in breve così grande che in pochi giorni lo portava alla. tomba. La pazienza e la rassegnazione alla volontà di Dio nei grandi patimenti che precedettero il suo fine, fu esemplare. Ricevette con molta divozione i SS. Sacramenti ed andava di tratto in tratto ripetendo le giaculatorie •che gli si venivano suggerendo, e baciando divotissimamente il Crocifisso. Chiamò esso stesso i Sacramenti con premura, sebbene non comparisse.ancora alcun segno di morte prossima; ed ebbe la consolazione di poterli ricevere in piena cognizione. Qui tuttavia non posso tralasciare di dire a comune nostro ammaestramento, che non si tema mai di ricevere {50 [18]} troppo presto i Sacramenti, perchè troppo ingannano le malattie. Migliaia avevano intenzione di riceverli, e per temporeggiare non furono più in tempo. Il nostro Stefano potè riceverli perchè non aspettò, che i sintomi fossero gravi; se aspettava non li avrebbe più potuti ricevere; poichè appena la malattia fu dichiarata pericolosa egli, sebbene conservasse tuttavia la cognizione, non potè più articolar parola. Oh! quanta pena faceva a coloro che l’assistevano in quei momenti, il vedere che sforzavasi di dir qualche cosa ad alcuno, e non poteva più farsi capire! Ripigliava come a dir la parola; ma non fu possibile intendere neppure a discrezione quale fosse l’ultima sua volontà! Che ne sarebbe stato di lui, se avesse aspettato in quegli estremi a trattare di cose di importanza!? Il giorno 23 Gennaio 1878 egli abbandonava questa terra d’esiglio per recarsi alla patria beata.

Impariamo, fratelli, a tenerci sempre preparati alla morte, ed accumulare tutto giorno tesori per il cielo, poichè la morte non guarda nè a gioventù, nè a speranze concepite, nè a progetti da ultimare, neppure a robustezza di temperamento, ma viene come ladro, tamquam fur, nei momento in cui meno ce lo aspetteremo. Allora fortunato chi frequentò molto i Sacramenti, e chi fu teneramente divoto di Maria SS., poichè esso aiutato dalla grazia di Dio e dalla possente protezione della Vergine Ausiliatrice, non correrà pericolo di essere vinto dal nemico infernale, che specialmente in quel punto sta tamquam Leo rugiens querens quem devoret; ma dato l’ultimo respiro sarà dalla Beata Vergine medesima portato di tratto nel bel soggiorno a lui preparato in Paradiso {51 [19]}

 

 

Il coadiutore Carlo Barberis.

 

            Tra i confratelli che il Signore ne' suoi imperscrutabili disegni volle chiamare a se nel corso di questo passato anno fuwi anche il coadiutore Barberis Carlo mandato due anni fa co' Missionari nell’America Meridionale.

            Nacque egli in Ciriè, industriosa città del Piemonte distante otto miglia al nord di Torino. I suoi genitori di professione contadini, ma piuttosto agiati, si specchiavano in questo loro figliuolo, il quale cresceva ogni dì nella pietà e nel santo timor di Dio. D’indole dolce e mansueta non montava mai in collera; nen parlava se non per bisogno, e si manteneva in pace con tutti.

            Arrivato all’età convenevole, aiutava i genitori in casa ed alla campagna. Si conservò costantemente buono, ed anche nell’età dai 16 ai 20 anni, che è tanto pericolosa per la gioventù, si mostrò costantemente soggetto a' suoi genitori. Fuggiva i tumulti, amava stare in casa e non prendeva parte alle compagnie de' ’suoi coetanei. Quando dovette andar ad ostrarre il numero, promise al Signore, che se gli toccava numero tale che non dovesse andare sotto le armi, seguirebbe quell’impulso verso cui fin da giovane inclinava; si sarebbe cioè ritirato dal mondo, ed entrato in qualche Congregazione religiosa. Il Signore lo favorì, ed egli fu pronto ad eseguir la data promessa. Subito venne a Torino, e chiamò d’essere Ascritto tra i Salesiani, dei quali molto aveva già udito parlare. Accettato nel 1875, fu occupato in casa per due anni un po' come ortolano e aiutante di cucina, un po' come panattiere. Entrato che fu {52 [20]} nell’Oratorio, egli non pensò più a casa, sebbene assai agiatamente colà avesse passati i suoi giorni: e quando seppe che nella seconda spedizione di Missionari che stava preparandosi, s’abbisognava anche di coadiutori, egli fu il primo che domandò d’esservi mandato. Quando seppe che la sua domanda era stata esaudita fu al colmo della gioia. Avrebbe desiderato prima di partire emettere i voti perpetui; ma per ragioni speciali si credette bene di lasciargli fare solo i triennali, ai quali si attenne volentieri pensando che passati i tre anni avrebbe poi potuto con tutta facilità fare i perpetui. Quando trattossi di partire si dimostrò come uno dei più coraggiosi e disinteressati; fu breve per lui lo svincolarsi dai genitori, e dai fratelli, ed eccolo in mare a tenere allegra compagnia agli altri.

            Arrivato in America, da prima aiutò nella casa di Montevideo, la quale aprendosi solo allora, richiedeva grande lavoro e buona volontà, ed in seguito fu mandato a S. Nicolas de los Arroyos. Dappertutto si dimostrò giovane di molta pietà e mansuetudine. La recita delle orazioni, l’assistenza della S. Messa, il Rosario della Beata Vergine, ed altre divote preghiere erano per lui cose quotidiane, e di molto gusto. Non rare volte anche dopo il pranzo lo si vedeva in chiesa prostrato avanti a Gesù Sacramentato dove si tratteneva per tempo considerevole.

            Ma dopo qualche mese dacchè si trovava in S. Nicolas fu sorpreso da improvviso malore, che in breve lo portò all’eternità a ricevere (come giova sperare) il premio, che il suo distacco dalle cose della terra gli aveva meritato. - Ecco come il direttore di quel collegio racconta la sua dolorosa malattia e santa morte: {53 [21]}

 

S. Nicolas de los Arroyos, Marzo 1878.

 

                        REVERENDISSIMO D. BOSCO,

            Siamo nel tempo in cui maggiori sono i bisogni. e più copiosa ci occorre l’opera dei confratelli per aiutarci a far del bene, ed io devo darle la dolorosa notizia, che nuovamente si è diradata di uno la fila dei nostri Missionarii. Ma sia fatta la volontà di Dio, e benedetto sia il Santo suo Nome; egli conosce i nostri bisogni, e non mancherà di venirci altramente in aiuto.

            Il giorno 26 di Febbraio dopo una malattia di 20 giorni sopportata con molta pazienza e rassegnazione, munito di tutti i conforti di nostra Santa Religione, moriva in questo collegio il nostro coadiutore Carlo Barberis di Ciriè nella fresca età di soli ventitre anni. Fu egli assalito da un malore accompagnato da febbre violenta che lo tormentò per molti giorni. I rimedii, e le più sollecito cure non avendo potuto vincere il malo, il caro confratello si ridusse ben presto agli estremi. Debbo dire che il coraggio, la pazienza che usò da sano in molte circostanze, li conservò in mezzo ai più acerbi dolori da malato, non gli uscì mai di bocca il minimo lamento; la sua pietà fu eguale alla sua pazienza. Ricevette i Santi Sacramenti con gioia indicibile, e nei due ultimi giorni ripeteva sempre: “Gesù e Maria, aiutatemi, Gesù eMaria, assistetemi nell’ultima agonia.” Duo di noi, un sacerdote, ed un altro coadiutore lo assistevamo senza interruzione, rilevandoci ogni sei ore.

            In quel giorno allo ore cinque del mattino mi fa chiamare perchè gli recitassi le ultime preghiere. Io era andato a letto, avendolo assistito fino ad un’ora {54 [22]} dopo mezzanotte. Alzatomi giunsi in tempo di dargli ancora una volta l’assoluzione, e leggergli il Proficiseere, e l’anima sua lasciava per sempre questa terra d’esiglio per volarsene al cielo. Sì! Iddio benedetto gli dia il premio meritatosi per aver coraggiosamente lasciato patria, parenti, ed amici; pei patimenti sofferti; pel lungo è periglioso viaggio, e per le fatiche sostenute, quale compagno di missione in questi lontani paesi.

            Giacche il Signore ci ha rapito questo pio confratello, si degni nella sua bontà di mandarcene altri, e ci conceda sanità e grazia, onde possiamo far ogni dì più fiorire il campo Evangelico che ci ha affidato.

Suo aff.mo Sac. GIUSEPPE FAGÑANO.

 

            Il disinteresse con cui il nostro Barberis lasciò comodità, casa e patria, serva a noi d’esempio per consacrarci più strettamente a Dio. Ricordiamoci di quelle parole del divin Salvatore, il quale ci dice, che chi non ha animo di abbandonare tutto quello che possiede non può esser suo discepolo: Si quis non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus, e di quelle altre con cui ci ammonisce, che dopo aver noi abbandonato tutto, non siamo così stolti da riguardare indietro ed aspirare alle cose già lasciate, poichè: Nemo mitlens manum ad aratrum et respiciens retro aptus est regno Dei. Perseveriamo invece fino al fine della vita nella nostra Santa Vocazione, ed allora avremo il premio eterno in cielo. {55 [23]}

 

 

Il sac. Giovanni Battista Ronchail.

 

            Nacque Giovanni Battista Ronchail il dì 23 Aprile 1853 da Gio. Battista e da Catterina Ronchail, in Laux, frazione della Parrocchia di Usseaux, presso Fenestrelle, nella valle di Pragelato, che serve di passaggio da Pinerolo per andare al Monginevra, e di là a Brianzone. Egli era il primogenito dei cinque fratelli di cui si componeva la famiglia, e pare veramente che fosse un dono speciale, che Iddio avesse fatto ai suoi genitori, perchè fu sempre la loro consolazione in ogni tempo e la guida dei suoi fratelli nella via del bene. Fin dai suoi più teneri anni dimostrò di essere dotato di un carattere dolce e conciliante, in modo da attirarsi l’affezione de' suoi compagni e l’ammirazione delle persone adulte. Non si vide mai prendere parte a quei divertimenti clamorosi a cui si abbandona ordinariamente la gioventù; si divertiva con moderazione, ma sempre dopo aver adempiuto il suo dovere e chiestone il permesso ai genitori.

            Giunto che fu all’età di circa dieci anni, vistolo dotato di un discreto ingegno e con buona volontà di studiare, i suoi genitori credettero bene di fargli frequentare le scuole comunali della città di Fenestrelle distante da Laux circa quattro chilometri. Fino allora aveva frequentato le scuole del paese, che si fanno per lo spazio di cinque o sei mesi nell’inverno, in cui s’insegna a leggere e scrivere, i primi principii della grammatica e l’aritmetica. Fu ammesso alla 3a elementare, e quanto amore ponesse allo studio il dimostreranno i sette anni in cui compì le scuole elementari ed il ginnasio. {56 [24]} Fu ammirabile la costanza del giovane Ronchail, che per lo spazio di sette anni, in compagnia di soli pochi condiscepoli, nei sei mesi della stagione invernale era obbligato quasi ogni mattina aprirsi la strada in mezzo alla neve, che cade in quei paesi in abbondanza e bene spesso è alta più d’un metro. Se quella strada che doveva percorrere per andare a scuola si faceva l’estate in ¾ d’ora, nell’inverno non si faceva in men di un’ora, e spesse volte quando il vento infuriava si doveva impiegare un’ora e mezzo e anche due ore.

            In tale stagione ne' giorni nebbiosi partiva di casa mentre ancora regnavan le tenebre, coraggioso sfidava la neve ed il vento, sovente giungeva alla scuola tutto inzuppato di sudore e di acqua, e senza aver mezzo di cambiarsi i panni si metteva al posto ed attendeva al lavoro. I superiori del collegio, che avevano compassione di quei poveri giovani, ordinariamente lasciavano alla loro disposizione una scuola in cui potessero ritirarsi al mezzogiorno per asciugarsi i panni e mangiare un tozzo di pane,, che portavansi da casa pel loro pranzo. Alle 4 ½, terminata la scuola, faceva ritorno a casa, e la strada allora era più difficile ancora perchè montuosa; bene spesso accadeva di vedere quei giovani scolari sdrucciolare sulla neve e rotolare giù dalle colline ed essere obbligati di rifare parecchie volte la salita. Una vita così penosa ha fatto perdere il coraggio ad altri; ma il giovane Ronchail sempre sorridendo anche nelle giornate più critiche perseverò sino al termine delle scuole ginnasiali.

            Era l’anno 1870 quando terminando di frequentare il Ginnasio di Fenestrelle si trattava di scegliere una carriera. Spesse volte si intratteneva allora col {57 [25]} Rettor della Cappellania per conoscere qual fosse la sua vocazione. Propendeva per lo stato Ecclesiastico, ma noni poteva risolversi per circostanze di famiglia e specialmente pel timore di dover poi essere soggetto al servizio militare e così interrompere la sua carriera, come era accaduto ad un chierico della località. Pertanto era già stabilito che dovesse andare in un negozio a Lione, quando scoppiata la guerra Franco-Prussiana si seppe che la Francia aveva là peggio e che altri del paese dovevano rimpatriare. Dovette rinunziare alla partenza. In quel frattempo giunse un suo parente, che da qualche anno faceva parte della Congregazione Salesiana e siccome era un suo antico compagno di viaggio nel tempo che frequentava le scuole di Fenestrelle, gli faceva spesso delle visite, ed insieme con lui e qualche altro compagno di scuola si recava a visitare il Rettore D. Garcin, che per la bontà.con cui li trattava si poteva chiamare loro padre.

            Si sciolsero allora tutte le difficoltà che parevano impedirgli di seguire la sua vocazione. Il suo cugino ne parlò a D. Bosco presentandogli nello stesso tempo la domanda del R. D. Garcin, ed il giovane Ronchail fu oltremodo contento quando verso la metà di settembre ricevette la notizia, che era stato definitivamente accettato. Si preparò per la partenza e quantunque gli fosse doloroso l’abbandonare i suoi parenti ed amici ed andare in paese lontano, si consolava pensando, che avrebbe trovato dei buoni superiori e che nei momenti più critici avrebbe avuto un confidente nel suo cugino. Quest’ultima speranza svanì quando giunse a Torino il giorno 1° ottobre, perchè suo cugino era partito il mattino stesso, destinato air insegnamento in un altro collegio della Congregazione. {58 [26]} Questo caso inaspettato lo turbò alquanto; ma ne fece un sacrifizio al Signore. Si applico allora allo stadio della filosofia. Sebbene virtuoso, di tanto in tanto o fosse timore di non essere degno di abbracciare la carriera ecclesiastica, oppure che il Signore volesse provarlo maggiormente, ebbe a sostenere varie lotte ancora prima di prendere l’abito chericale; ma in queste incertezze ricorreva sempre ai piedi dell’altare, faceva visite a Gesù Sacramentato ed a Maria SS., affine di ottenere i lumi necessarii. Sul principio di maggio 1871 i suoi superiori stabilirono di ammetterlo alla vestizione ed egli si trovò al colmo della gioia. Otto giorni dopo aver preso l’abito fu destinato per andar a surrogare in Alassio un maestro delle scuole elementari che erasi ammalato.

            Il collegio di Alassio acquistò allora un vero tesoro ed ebbe la fortuna di possederlo per più di 6 anni. Le virtù di cui era adorno il suo cuore brillarono in un modo particolare e se ne conserverà a lungo la memoria. L’ubbidienza, l’umiltà e la carità erano gemme che risplendevano in lui. Sempre pronto al primo cenno che gli facevano i superiori, non badava a fatica e con tanto impegno si applicava al bene de' suoi allievi, che parecchie volte sul fine dell’anno scolastico per la stanchezza cadeva infermo. Tutti conoscevano il suo buon cuore, la sua abnegazione e lo zelo che lo animava, e non si poteva fare a meno che di farne gli elogi; ma egli cercava di evitare le lodi e tutto ciò che avrebbe potuto ridondare a suo onore. Sempre assiduo al suo dovere era poi un modello per l’assistenza nella ricreazione: il suo occhio vigile si portava dappertutto, ed il suo impegno e' ra di poter passare qualche ora coi giovani {59 [27]} pia discoli, e schermando, giuocando dar loro dei buoni consigli, e all’occasione di solennità, invitarli a compiere i loro religiosi doveri.

            Questo suo zelo s’accrebbe ancora di più quando ebbe la fortuna di entrare nel sacerdozio. Ricevette le sacre Ordinazioni ai 3 di settembre del 1876 da Monsignor Ferrò vescovo di Casale. Aveva così alta idea del sacerdozio, che tremante era innalzato a sì grande dignità. Tutta la vita può dirsi che era stata una preparazione a quel passo; ma i mesi che immediatamente lo procedettero furono, direi, un continuo atto di preparazione. Frutto di sì lunga e buona preparazione, furono le abbondanti grazie che nell’ordinazione stessa ricevette, poichè da quel momento la sua pietà, il suo zelo per la salvezza delle anime acquistò dello straordinario. Un mese dopo fu stabilito catechista del collegio di Alassio. Quantunque fosse debole di salute adempì però sempre scrupolosamente le sue incombenze, ed era suo impegno di mantenere la disciplina nei giovani, e di aumentare la loro divozione e rispetto in chiesa. Coltivò con una cura speciale la Compagnia di S. Luigi e del Santissimo Sacramento, piccolo clero, promovendo lo studio del Catechismo e tutte le altre cose che da lui dipendevano. Amava teneramente i giovani e ne era da loro ricambiato.

            Il sentir bassamente di sè, il non mostrar pretensioni, il prestarsi a' più umili e più faticosi servigi, con quella ilarità e prontezza che altri mostrerebbe nelle cose più onorifiche e più geniali, il rimettersi in tutto al parere e alla volontà de' superiori ben mostravano quanto fosse in lui lo spirito di umiltà e di ubbidienza. A vedere come di buon animo si accinse a compiere tutte le parti di catechista, si sarebbe {60 [28]} detto, che i superiori ne avessero indovinalo i desiderii; e non pertanto a chi godeva della sua famigliare ed amorevole conversazione significò più volte che gli pareva d’essere entrato in un campo non suo e che dovea lottar di continuo con se stesso, tanto quelle incombenze gli riuscivano difficili. La brama di affaticarsi e spendere le sue forze alla maggior gloria di Dio, rendendolo quasi maggior di se stesso, faceva sì, ch’ei seguisse non solamente i cenni, ma perfino i desiderii dei superiori, mettendosi con coraggio alle più ardue e faticose imprese. A chi discorreva con lui delle sue occupazioni, che erano molte e gravi, diceva con aria di sentita convinzione: che importa se abbiamo a consumarci fra i disagi e le fatiche? Non son più che quattro giorni di vita.

            Agli esercizii spirituali del 1877 fu destinato come Prefetto del Patronato di S. Pietro in Nizza; epperciò ai 25 di ottobre dovette abbandonare per sempre il collegio di Alassio ed i cari suoi superiori, Confratelli ed allievi; ma portò con sè l’affetto verso di loro; ed il collegio perdendo la sua persona, non ne perdette la cara memoria. In questa nuova Casa non fece che crescere nella virtù e nell’esattezza per l’adempimento de' suoi doveri. In pochi mesi che vi stette si attirò l’affezione dei confratelli e degli allievi e l’ammirazione di tutti quelli che lo conoscevano. Sempre assiduo al lavoro ne fu la vittima, e allorchè i superiori della Congregazione lo scelsero per Direttore di una nuova casa che si doveva aprire vicino a Tolone alla Navarre, Iddio lo chiamava a ricevere la ricompensa delle sue fatiche.

            Era il 31 marzo, D. Bosco era giunto da Roma dove aveva soggiornato vari mesi. Era venuto direttamente a Nizza per andar poi ad installare il caro Don {61 [29]} Ronchail Giovanni Battista nella nuova carica. Egli che non sapeva. ancora nulla si adoperò in quel giorno perchè si potesse festeggiare il più solennemente possibile l’arrivo di D. Bosco, e quantunque avesse dovuto predicare due volte in quello stesso dì, perchè il Direttore era ammalato, volle ancora adoperarsi la sera per improvvisare un piccolo teatrino ed accrèscere così la solennità.

            Era l’ultimo sforzo che faceva. L’indomani primo aprile sentendosi stanco volle riposarsi in letto. Al martedì D. Bosco partiva per Fréjus dove si doveva stipulare il contratto della nuova casa; egli fece dire che era ancora un poco stanco, ma che alle 10 si sarebbe alzato. D. Bosco partì tranquillo; ma la Provvidenza fece sì che le persone che dovevano riunirsi a Fréjus non fossero state avvertite a tempo, e si rimandò l’affare al venerdì, e D. Bosco continuò il viaggio sino a Marsiglia. Nella sera di quello stesso giorno 2 aprile la malattia si aggravò, e si dovette ricorrere al medico. Le cure furono inutili. D. Bosco avvertito della gravita del male  fece ritorno a Nizza, per assistere il caro suo figlio e confortarlo colle paterne sue parole. Il giorno 7, Domenica di Passione, sembrava che la crisi fosse passata e che non ci fosse più pericolo; già aveva preso qualche po' di cibo; ma il giorno dopo un’eruzione di milliare fece perdere ogni speranza di salvarlo. Conobbe anch’egli allora la gravità della malattia, disse egli stesso che non v’era più rimedio, e l’unica cosa che gli rincresceva si era di non poter più dare qualche aiuto ai suoi fratelli che tanto grandemente lo amavano; però era interamente rassegnato alla volontà del Signore. Il giorno 9 domandò di confessarsi e di ricevere il SS. Viatico e con qual divozione {62 [30]} l’abbia ricevuto se lo può immaginare chiunque sappia in qual modo fin da giovane ricevesse la santa Comunione e poi con quanta divozione fosse solito celebrare la santa Messa e visitare lungo il giorno Gesù Sacramentato, sì che ne furono altamente edificati quelli che vi assistettero. Era contento in mezzo ai suoi dolori, specialmente perchè, diceva egli, aveva la sorte di morire assistito da D. Bosco. Oh! quante volte ripetè in quei giorni: che bontà ebbe mai per me il Signore ritirandomi dal mondo, dove mi sarei trovato in tanti pericoli, e chiamandomi allo stato religioso in cui ho potuto servirlo. E qui non possiamo a meno che di riferire la relazione che ci fecero quei confratelli che l’assistettero nella sua malattia.

            Uno di questi non osando suggerirgli giaculatorie o pensieri di rassegnazione gli chiese se volesse avere il crocifisso davanti: alla quale domanda egli rispose con replicati sì, che facevano conoscere l’ardente desiderio di averlo sott’occhio. Glie lo mise e si vide ben sovente cogli occhi fissi sopra del caro oggetto e si vedevano pure le sue labbra muoversi; si può ben immaginare quali parole pronunciasse.

            Una volta si sentì, lo sguardo fisso sul crocifisso, pronunciare queste parole: “Io ho sofferto e soffro molto, ma voi, o mio Gesù avete sofferto milioni di volte più di me.”

            Un’altra volta, avendo sentito che un confratello era indisposto, disse: “Si abbia cura della salute, è già una disgrazia che ci sia io ammalato, poi correggendosi subito: no, non è una disgrazia, è una grazia invece che mi fa il Signore nel visitarmi.” Una sera D. Bosco gli disse nel licenziarsi da lui che offrisse tutti i suoi patimenti alla maggior gloria {63 [31]} di Dio e con rassegnazione; e l’indomani mattina avendogli chiesto come avesse passato la notte, rispose: ho fatto quello che Ella mi ha detto. Trovandosi un giorno sola, con un suo confratello ad assisterlo gli prese la mano, gliela strinse dicendogli che pregasse s. Giuseppe per lui. L’ho fatto, gli rispose allora il suo compagno, e lo faccio tutti i giorni, e non solo io, ma tutti Superiori ed allievi; ed ogni sera si da la Benedizione per lei: per me! soggiunse egli interrompendolo, per me! Oh! come siete buoni; che il Signore vi benedica.

            Ai più piccoli servizi che gli si prestavano, rispondeva con un grazie, che esprimeva la sua riconoscenza. Una sera avendo visto che quello che l’assisteva aveva detto le orazioni gli domandò: hai pregato anche per me? Certo che ho pregato, e di cuore. Ebbene, soggiunse, reciterò anch’io due Ave Maria per te, e quantunque di tanto in tanto gli mancasse il respiro, le volle finire.

            Non si può passare sotto silenzio la pronta ubbidienza a prendere qualsivoglia medicina che gli veniva ordinata, e per meglio uniformarsi alle prescrizioni del medico comandò perfino che gli si legassero i piedi, perchè potesse tenerli uniti e al caldo come aveva prescritto il medico. Tutti quelli che ebbero la fortuna di assisterlo ne furono veramente edificati.

            Finalmentenel mattino dell’11 aprile, mentre i giovani radunati nella cappella per i consueti esercizi di pietà innalzavano a Dio preghiere, perchè il Signore accordasse quanto era meglio pel caro infermo, quella bell’anima volò al cielo a cogliere il premio delle grandi sue virtù, come si spera.

            La sua arrendevolezza ad ogni conno dei superiori, {64 [32]} la sua schietta cordialità coi compagni, il suo zelo pel profitto morale e scientifico degli allievi siano impressi nella memoria dei suoi confratelli, affinchè dopo averne pianta la perdita seguano le sue pedate.

 

 

Il chierico Peloso Cesare.

 

            Il bisogno di case d’educazione, dove la religione sia in fiore e la moralità al tutto sicura, è così grande, che dove qualcuna ve n’abbia, subito si attira la confidenza di tutti e numerosi vi accorrono i giovani da ogni parte. Il vantaggio che per la virtù e per la gloria di Dio da essi si trae è incalcolabile. Oh lo dicano i genitori che si vedono i figli da insolenti, neghittosi e viziosi che erano, divenire obbedienti, laboriosi e costumati tanto, da non riconoscerli più per quei di prima! Il bene di questi collegi l’hanno ad attestare in modo eloquentissimo i pochi cenni biografici, che siamo per istendere del nostro confratello Cesare Peloso, nello scorso anno chiamato da Dio all’Eternità.

            Egli era nato l’undici Agosto 1860 da agiati genitori in Chiavari, nobile città della Riviera Ligure Orientale. Frequentò in patria le scuole elementari e le ginnasiali inferiori. I buoni padri Scolopii, che con tanta lode dirigono il collegio di quella città adoperarono ogni modo, per instillare nel giovane Cesare i più vivi sentimenti di pietà e di moralità nello stesso tempo, che lo istruivano nelle lettere e nelle scienze proprie dell’età sua; ma vuoi per l’indole troppo viva ed indocile, vuoi per le divagazioni continue della città e della famiglia, vuoi per i pericoli, {65 [33]} che dovunque si incontrano nei cattivi compagni, il giovane non corrispondeva guari alle cure, che i suoi educatori avevano per lui. La sua condotta col crescere degli anni, andò dissipandosi talmente, da servir anche d’inciampo a' suoi condiscepoli i quali dalla sua compagnia, piuttosto che incitamento al bene, ne traevano pericolo di rovina spirituale.

            Il padre, il quale si accorse, che se il giovane non veniva ritirato in qualche pio istituto, lontano da ogni dissipazione correva pericolo di rovinarsi affatto, risolse di mandarlo nel collegio di Lanzo, che già per fama conosceva, affinchè ultimasse i suoi studii ginnasiali. Era l’anno 1873; Cesare ne contava 13 dell’età sua, quando l’8 Novembre muoveva da casa per recarsi in collegio. Grande fu il suo dolore nel separarsi per la prima volta dalla famiglia, ma non minore fu il dolore de' suoi nel vederlo partire, e tutti ne piangevano inconsolabilmente; segno che egli amava teneramente i suoi, e che a vicenda era riamato; poichè in mezzo alla sua dissipazione pur conservava sempre il dovuto amor figliale.

            In collegio, dopo i primi giorni di nostalgia e d’osservazione cominciò subito ad attendere ai suoi doveri. Quivi le cose sono ordinate in modo, che dandosi sufficiente sfogo ai giovani nella ricreazione, quasi senza accorgersi, essi stessi sono poi attirati a compiere bene i proprii doveri scolastici. Esso non ebbe che a camminare colla corrente e le cose riuscivano bene. Aveva i tredici anni e mezzo e non aveva ancora fatto la sua prima Comunione. Primo impegno dei superiori fu di ben prepararlo a questo grande atto. Egli si mostrò grato, e corrispose alle cure che gli si prodigarono. Questo atto ben compioto {66 [34]} fu per lui un principio di vita intimamente cristiana. Il giorno dell’Immacolata Concezione scelto a tal funzione fu il più bel giorno di sua vita.

            L’ingegno suo perspicace fece sì, che sempre primeggiasse nelle scuole, e nel corso della quinta ginnasiale cominciò specialmente a distinguersi nel comporre bellissime poesie, che ancor adesso rileggendole fan maravigliare, non parendo vero che tanti maschi pensieri potessero albergare in sì giovane mente, essendo appena in sui quindici o sedici anni. Poco per volta attese anche a riformare la sua indole. Cominciò ad amare le pratiche di pietà e specialmente a frequentare i Sacramenti. Vinse il difetto d’incollerirsi ad ogni sebben piccola occasione. Moderò anche la gran voglia che aveva di leggere libri comechessia; e si ridusse ad avere il dovere come prima ed unica guida. Questa fu l’opera di circa due anni, nel corso dei quali la lotta era visibile; e non è a dire che non mai l’indole od il demonio su lui non la vincesse; ma la grazia del Signore continuava potentemente a lavorare nel suo cuore. Una cosa specialmente. lo aiutò a mettersi sulla buona via, e si fu la confidenza illimitata, che subito pose nel suo Direttore. A lui apriva intieramente i segreti dell’anima sua; a lui chiamava consiglio ogni qualvolta ne abbisognasse; a lui si rimetteva ne' suoi affari e temporali e spirituali.

            Intanto il buon Dio lo aspettava per un ultimo passo per lui al tutto decisivo. Questo doveva avvenire negli Esercizi Spirituali, che in collegio si diedero circa al Maggio del 1875. Questa muta di esercizi fu per lui come un colpo straordinario di grazia, che non sa apprezzare colui che non conosce qual forza sia necessaria per cambiare intieramente un {67 [35]} individuo, riformare un cuore, che dai pensieri vani e terreni passa al tatto a deliberazioni eroiche e straordinarie. In questi esercizi fece la sua confessione generale di tutta la vita, e con grandi proponimenti pose fondamento d’una vita veramente cristiana ed esemplare. Nè il suo fu fervore momentaneo, e ne diede prova quando venne in Torino per presentarsi all’esame di licenza ginnasiale in un pubblico ginnasio. Il dover uscire ogni giorno mattino e sera per tali esami, il trovarsi fuori dell’orario comune suole per molti essere occasione di rilassatezza e dissipazione. Malgrado tutto ciò Peloso non lasciò un giorno di fare le sue consuete pratiche di pietà e quasi tutti i giorni lo si vedeva accostarsi alla mensa Eucaristica, con grande soddisfazione sua e buon esempio dei compagni. Anche lungo il giorno ritornato da qualche esame passava in chiesa a far visita a Gesù Sacramentato.

            Molte altre notizie non abbiamo del tempo che passò in collegio a Lanzo, ne conosciamo i particolari della lotta, che dovette succedere in lui nella sua trasformazione; ma un fatto ci dice tutto molto eloquentemente. Il fatto si è questo: da quel tempo conobbe la nequizia del mondo, come sia difficile in quello vivere una vita cristiana, e porre in sicuro la salute dell’anima. Che adunque? Il mondo non sarà più per me, disse; già troppo m’ha ingannato. Io vestirò l’abito chiericale, mi farò soldato di Cristo; non basta, sarei ancor troppo esposto; starò ritirato in una Congregazione. E quale? Non sono i Salesiani che tanto s’affaticarono e si affaticano per me? Non è per mezzo loro, che la grazia del Signore si fece strada nel mio cuore? Non è verso di loro che il Signore inclina la mia volontà? Se i superiori mi {68 [36]} accettano, io mi farò Salesiano. Perchè la cosa non fosse precipitata fece passare a rassegna e ponderò tutti gli ostacoli, che gli converrebbe sormontare e le mille difficoltà, che gli si sarebbero affacciate. Le difficoltà, che montano? La tempra del Peloso non era tale da farlo indietreggiare alla vista delle difficoltà. La decisione era presa, di correre dritto alla mèta prefissagli dal Signore a fronte di qualunque ostacolo. Alla prima occasione che gli si presentò conferi privatamente ed a lungo con D. Bosco, che aveva imparato a conoscere e venerare profondamente e ad amare qual altro padre, e con questo, quasi direi, suggellò la presa risoluzione.

            Gli ostacoli previsti non gli mancarono, e furono più grandi di quello non s’aspettasse. Il padre da prima troppo forte meravigliato della presa risoluzione del figlio, non sapeva persuadersi come uno, che da giovinetto dovette mettere in collegio come per castigo, ora si fosse ridotto a non volerne più venir via, ed anzi voler vestire le divise chiericali e consacrarsi a Dio nello stato religioso, per poi esso stesso farsi educatore di giovinetti dissipati e cattivelli. E però proibivagli risolutamente di pensare ulteriormente a ciò; ma continuasse alacremente i suoi studii e pensasse a rendersi uomo onorato ed utile alla famiglia; ne voleva udire altra replica. La madre che con lagrime l’aveva visto uscir di casa, non attendeva che il momento in cui l’avrebbe riavuto presso di se, ed il solo pensiero di vederselo per sempre staccato dai fianchi la contristava. Tutti i mezzi furono tentati per distoglierlo dal suo divisamento. Chiamatolo poi a casa nelle vacanze che seguirono l’esame di licenza ginnasiale, cercarono ogni mezzo per distorgliernelo. Lo conducevano a {69 [37]} trovare amici e parenti già prevenuti in proposito, e fatto cadere il discorso su questo, ognuno cercava di distornarlo dalla sua risoluzione. Non bastando questo, prevennero anche qualche ecclesiastico, che, col pretesto di provarne la vocazione, al tutto ed assolutamente ne lo distogliesse. Non ci fu verso; la vocazione veniva da Dio, e Dio dà grazia e l’orza di poterla conservare contro qualunque pericolo, quando si procede con retta coscienza e si prendono i mezzi necessarii per custodirla.

            Gli ostacoli sebbene grandi furono superati. I mezzi furono la costanza nella preghiera e la ritiratezza. A questi sforzi tennero dietro grazie segnalate, mediante le quali potè con grande trasporto correre per le vie del Signore. Nel mese di settembre 1875 fu accettato come chierico ascritto nell’Oratorio di San Francesco di Sales. La sua consolazione allora fu estrema, e coll’abito ecclesiastico aumentò il fervore e la volontà di farsi santo.

            Andava ripetendo, ed anche lo scrisse al suo Direttore sul finir dell’anno, che riandando tra se stesso le vicende, che succederongli nell’anno 1875 non vedeva, che benefizii e grazie segnalate, innumerabili fattegli da Gesù e da Maria; grazie di cui egli stesso si mostrava maravigliato, e che, diceva, richiedono una cooperazione ben più grande da parte mia; cooperazione che sono al tutto decisissimo di prestare, perchè ad ogni costo voglio farmi santo.

            “Col cominciare di quest’anno, scriveva altra volta al suo Direttore, voglio eziandio cominciare a condur vita un poco meno indegna di quella, che fino ad ora menai, e stabilii il mio punto di partenza, per avanzare poi di grado in grado nell’amore di Gesù e della cara mia madre Maria, verso i quali {70 [38]} pur troppo è vero che il mio cuore è freddissimo. Per mia buona ventura l’anno 1876 cominciò in sabbato, giorno dedicato a Maria, e quasi nello stesso giorno finisce; godo pertanto di questo, imperocchè potrò, secondo a me sembra, passar l’annata felice sotto la protezione di questa buona madre, e continuarla sino al fine nel suo santo amore. Io caldamente alle sue preghiere mi raccomando, imperocchè so certo essere esse molto accette alla Gran Madre di Dio. Da parte mia farò il possibile per pregarla bene anche per lei, acciò le dia forza e le inspiri tutto quello che sarà necessario onde condurci per la via del Paradiso. Interamente dunque a lei mi commetto, spero che mi intercederà la grazia della santa perseveranza, e in tale speranza contento mi dico tutto suo... ecc.”

            Accettato in Congregazione prima sua cura fu di leggere e conoscere bene le regole della medesima, ed a studiarsi a tutt’uomo di metterle in pratica. Anche qui seguitò la bella consuetudine di voler aprire tutto il suo cuore ai superiori per essere ben conosciuto e ben diretto. Specialmente continuò e crebbe d’assai l’amore e la figliale fiducia, che aveva già messa nel Superiore della Congregazione, il quale dalla parte sua, dal momento che lo conobbe, ravvisò in lui un giovane di speranze e sempre gli fece da padre tenero ed amoroso. Egli poi conservava gelosamente ogni parola di sì buon padre, se ne scriveva i ricordi ed i consigli, e con lieta sollecitudine si fece un quaderno apposito per scrivervi le conferenze, che qnalche volta il Superiore stesso fece agli Ascritti ed agli altri Confratelli. Con queste cure in breve il suo fervore si fece straordinario. Si pose a frequentare tutti i giorni la santa Comunione, pose {71 [39]} una fiducia al tutto illimitata in Maria SS., cui era solito chiamare sua buona mamma, pregava fervorosamente, andava con molta frequenza a far visita a Gesù Sacramentato in tempo della ricreazione; sarebbe stato tutto il giorno in chiesa se l’obbedienza o qualche suo dovere non ne lo avessero allontanato. Cominciò anche a fare alcune penitenze volontarie, e poi crebbe in quelle in modo, che i superiori ebbero bisogno di raffrenarlo. I1 male d’artritide, che fin da fanciullo lo travagliava non poco, si fece coll’approssimarsi dell’inverno più violento. Egli non se ne lamentava, ma godeva di poter soffrire qualche cosa pel suo Signore. Aggiunse a questo varii digiuni. Fu osservato che qualche volta non compariva in refettorio. Da principio non sene fece caso; si credeva avesse qualche indisposizione; e andasse a prender la refezione nell’infermeria. Ma un giorno se ne avvide il suo direttore e dopo pranzo cercatolo ed avutolo a sè, gli domandò se stesse male in sanità. Anzi sto assai bene, rispose allegramente. Ma non t’ho visto in refettorio? - Oh è niente;

            - Sei andato a mangiare altrove? - No signore.

            - Dove sei stato? - Sono stato un poco in chiesa.

            - Dunque hai ancora da pranzare? - Non abbisogno di nulla. - Non ti capisco: mi dici che non sei ammalato, che stai bene e poi... Restò un po' confuso, ma poi soggiunse, che non era andato a tavola per attendere ad una promessa fatta di digiunare in quel giorno. Credeva il superiore, che quella fosse una cosa isolata, e non volle per allora andar più oltre, ma come lo vide mancare un’altra volta, e ripensò, che già prima varie volte l’aveva fatto, venne in sospetto di quello che era. Allora gli fece osservare come al Signore piace più l’obbedienza che {72 [40]} il sacrifizio, e che quelle cose non dorerà farle senza espressa licenza del superiore, e nel modo che da quello sarebbe disposto. Ascoltò silenziosamente l’ammonizione, e dopo alcuni giorni con grande titubanza e timidezza presentava al superiore un foglio, affinchè quegli approvasse quanto vi era scritto. Dispose il Signore, che questo foglio si conservasse e noi lo riproduciamo qui senza cambiar sillaba:

            Digiuni e pratiche di pietà. - In nome di Gesù - Maria - Giuseppe - San Luigi - A. C. - io prometto di fare ogni cosa da me qui sottoscritta in suffragio delle anime purganti, per la salvezza dell’anima mia, per la felicita della missione, e perchè prosperi la S. Congregazione di D. Bosco. - Digiunerò - 1° al Martedì, totalmente senza pranzo; 2° al Venerdì, totalmente senza colazione, senza pranzo, senza cena, per soffrire ancor io qualche poco almeno, avendo patitotanto G. C. in sulla croce; 3° al Sabato, totalmente senza cena e al mattino il puro caffè in onore di M. SS. Questi due digiuni li alternerò, cioè farò un Venerdì quello che facevo al Sabato, ed al Sabato quel che facevo al Venerdì a maggior gloria di M. SS.

            Mie pratiche di pietà. - Saranno oltre alle già solite, alla mattina una delle sette meditazioni che sono nel Giovane Provveduto, ed al Venerdì e Sabato una messa di più, la quale sentirò o servirò a maggior gloria di Dio e di Maria onde impetrare le suddette grazie. Dopo il pranzo andrò a dire la seconda parte dell’intera rosario; dopo scuola visita al SS. Sacramento eccetto al Martedì che dirò le Sette Allegrezze di Maria Vergine. - Venerdì - Corona al Sacro Cuore di Gesù - Sabato - I sette dolori di Maria Vergine. Dopo cena andrò a dire la terza parte del {73 [41]} Rosario. Eseguirò quindi tutte le regole della casa a puntino. Sperando nell’aiuto di Dio e di Maria SS., prometto e spero di far tutto questo.

P.

 

            L’obbedienza moderò quanto era necessario questi suoi slanci di fervore, ed egli continuava il suo anno di prova con vera edificazione de' suoi confratelli. Ma una dolorosa congiuntura venne a conturbare questa cara quiete e mettere a sussulto l’animo suo. Il padre gravemente ammalato lo chiama a' suoi fianchi: la famiglia desolata non può farne a meno, ed egli con l’ambascia nel cuore parte da Torino e vola in mezzo ai suoi. Due speranze nutriva nell’animo suo: migliorerà il padre ed io non dovrò prolungar molto la mia assenza dall’Oratorio; un vero bene potrò fare all’anima dell’ammalato e della famiglia. Oh come delusa fu la sua prima speranza! Invece di veder migliorare il genitore, in pochi giorni se lo vide morire tra le braccia, confortato però da tutti i Sacramenti di nostra Santa Religione. Ma se delusa fu la prima speranza coronata con grande successo fu la seconda; egli fu come un angelo consolatore in famiglia, e l’angelo del buon esempio.

            Dopo la morte del padre, e per consolare l’afflitta genitrice, e per aiutare a sistemar gli affari di famiglia dovette prolungare assai la sua assenza dall’amato Oratorio. Ma se col corpo era fra' parenti, col cuore era tutto tra i suoi confratelli. Ecco come si esprime in lettera dei 27 Gennaio: “Con mio sommo dispiacere non posso trovarmi costì per la festa di San Francesco, di Sales: pazienza; sia fatta la volontà di Dio. È necessario ch’io mi fermi in famiglia per aiutarla in sì crude peripezie. Come desidero ritornare sotto il manto di Maria Ausiliatrice {74 [42]} Caldamente mi raccomando alle preghiere di tutti, onde il Signore mi tenga la sua santa mano in capo e possa tornar presto a Torino.” - E in data del 2 Febbraio: “Dopo molte e reiterate istanze da me fatte, sia alla madre, sia al tutore, pel mio ritorno fra le patrie mura, finalmente ottenni il consenso di partire; e io spero di tangere limina dell’Oratorio sabato a sera, od al più tardi lunedì. Non dico già quello della settimana veniente, tutt’altro! questo! questo più prossimo! Desidero ardentemente essere in Torino. Il motivo si è, che in quella chiesa di Maria Ausiliatrice, fra quelle auguste mura, fra quei cari compagni ed amati superiori, regna una pace, una contentezza, un brio, un’allegria di tale una purezza, che i principi nonchè i re invidiano. Queste parole, ne punto nè poco valgono ad esprimere la piena degli affetti, che questo povero cuore nutre per sì cara abitazione. A momenti andrò ad accostarmi al Sacramento della Penitenza e farò una confessione generale di queste vacanze. Venerdì o sabato mattina forse farò la mia S. Comunione alla Madonna dell’Orto, e domenica... Ah sì che lo spero, lo desidero! la farò nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.”

            Ed in realtà alla Domenica poteva fare la desiderata Comunione nella chiesa di Maria Ausiliatrice e continuare la cominciata prova nell’Oratorio Salesiano. Lungo l’anno più volte venne tormentato dalla sua artritide e da malori contratti già da giovinetto; ma sempre li sopportò con molta rassegnazione; nè era sminuito in lui il desiderio di patire per amor del Signore. In mezzo a molte pene dimostrava un coraggio da leone. Delle medicine, se amare ne prendeva un poco di più di quanto gli veniva {75 [43]} prescritto, le teneva un poco in bocca per sentirne meglio il gusto. Un giorno che lo tormentava il suo mal di gamba, domandato se non se ne doleva rispose: “Come dolersi di ciò che si desidera e si cerca!”

            Terminato l’anno scolastico e venuta l’epoca degli spirituali esercizi di Lanzo fu ammesso ai voti triennali, essendo il settembre del 1876. Desiderava bensì di farli subito perpetui, ma i superiori in vista della sua malferma sanità non lo giudicarono opportuno. Egli si accontentò subito tenendosi ugualmente legato al Signore per tutta la vita colla sua volontà. Ma gì’incomodi che lungo l’anno di prova gli avevano già varie volte dato qualche molestia, nel 1877 lo assalsero assai più terribilmente. Si cercò ma inutilmente ogni cosa, che potesse giovargli. Si mandò per varii mesi a provare se l’aria di Lanzo potesse migliorarlo, ma peggiorando tuttavia, si provò l’aria mite e salubre di collina nel collegio Valsalice, ma anche qui ogni cura fu inutile. Aggravandosi sempre più il male fu consigliato da' medici di attenersi all’aria nativa, l’unica che ancora potesse dargli qualche speranza. Si recò in patria, ma anche quest’ultimo mezzo non ebbe successo migliore. Egli avrebbe desiderato almeno di morir nell’Oratorio, come si espresse più volte per lettera “Se ho da morire muoia almeno in mezzo ai miei fratelli.” Questa consolazione gli fu dal Signore negata.

            Già si trovava vicino alla sua ultima ora, ed egli ancora non se lo immaginava, poichè il male non costringendolo a letto, gli pareva di essere ancora in forze. In breve però trovossi al punto di non potersi più levare; ed allora si accorse, che poco tempo gli restava per pensare alle cose sue. {76 [44]} Guardò la morte in faccia senza spaventarsi. Ebbe a sè il confessore, e volle per l’ultima volta bene assestare le cose sue con Dio; pensava continuamente all’Oratorio, ai suoi confratelli, al caro padre dell’anima sua, ed al tanto bene che faceva. Nè in questi ultimi tempi diminuì in lui quella gratitudine che nel corso della sua vita fu sempre un suo distintivo; e ripensando ai gravi bisogni in cui si trovava continuamente l’Oratorio, per le tante spese che arreca il mantenimento di un si gran numero di giovani, e l’erezione di tante case di beneficenza, volle per disposizione testamentaria metterlo a parte de' suoi beni. Pregava poi il Signore, che essendo giunta l’ultima sua ora si degnasse di trapiantarlo nel giardino del Paradiso vicino ai confratelli Salesiani, che prima di lui lasciarono questo esilio, poichè, diceva, sebbene indegnissimamente, ancor io sono Salesiano.

            Saputosi a Torino la gravezza del suo male, e come i medici non dessero più speranza di guarigione, si pensò di fargli una grata sorpresa; ed ecco, che un bel dì l’antico suo Direttore, a cui egli conservava grande amore, fu accanto al suo letto a portargli la benedizione di Maria Ausiliatrice ed i saluti e le assicurazioni delle preghiere di Don Bosco e dei confratelli.

            Oh! come fu contento di questa visita! come ne esultò il suo cuore! Con le preghiere di tanto padre e quelle dei confratelli, esclamò, potrò star sicuro della benedizione del Signore. Non avendo ancora ricevuto il viatico, volle riceverlo da quelle mani, che già tante volte l’avevano comunicato quando era in sanità. Nel resto della malattia sopportò i suoi grandi dolori con cristiana rassegnazione, ripeteva {77 [45]} frequentemente giaculatorie, tra cui gli era tanto famigliare quella “Gesù mio, misericordia” e quest’altra “Maria Auxilium Christianorum, ora prò me.” Pieno di fiducia nel patrocinio di Maria Ausiliatrice, di cui fu tenerissimo amante in vita spirava nel bacio del Signore il 6 luglio 1878 in età di 18 anni non per anco compiuti.

            La sua vita, amati confratelli, ci sia sprone ad opere buone, per riparare i trascorsi della gioventù od impariamo ad essere molto divoti di Maria in vita,se vogliamo averla a consolarci nelle ore della nostra agonia. Amen.

 

 

Il chierico Salvo Paolo.

 

            Per arrivare al regno dei cieli ci vogliono sforzi e solo chi sa fare violenza a se stesso toccherà la mèta desiata. Questa verità così apertamente predicataci dal Divin Salvatore, tutti i giorni trova conferma negli uomini, i quali ognor più si accorgono quanto la virtù deva passare per vie ardue. In questa difficoltà una cosa grandemente ci consola ed è il sapere, che Iddio non permette mai, che noi siamo tentati superiormente alle nostre forze, che anzi se noi ci mostriamo costanti nella preghiera e nel resistere la tentazione si converte in nostro guadagno. La vita del nostro buon ch. Salvo Paolo ci conferma una volta più in questa grande verità. La sua vita fu assai tribolata, la sua virtù dovette passare per molti cimenti; ma l’aiuto della grazia di Dio trionfò così vittoriosamente in lui, che noi possiamo ora averlo a modello di vita esemplare.

            Nacque egli in Garessio il 29 novembre 1859 da {78 [46]} Antonio e Catterina Balbo. Il padre negoziante, sebben di mediocre fortuna era assai conosciuto in quei dintorni sì per l’abilità ed attività sua, come per la rettitudine e giustizia con cui si regolava nei suoi affari. Paolo fin dai primi anni ebbe a provare la tribolazione, che fu poi sempre un distintivo della sua vita. Di soli otto giorni fu preso dal vaiuolo, che il ridusse in un intiera piaga, nel quale stato rimase più giorni quasi come morto, e già disperavasi di poterlo allevare, e passata questa prima bufera si vide essergli rimasto offeso l’occhio sinistro e coperto di una pellicola, che gli oscurava la pupilla e che gli fu motivo di tribolazione per molto tempo.

            Fin dai più teneri anni si mostrò assai propenso por le cose riguardanti la Religione. Appena seppe proferire parola, già voleva imitare le cerimonie ed i canti di chiesa. Col crescere degli anni, sempre cresceva in lui questa tendenza, e non solo mostrava amore alla religione negli atti esteriori del culto, ma corrispondeva colla vita pura e ben costumata.

            Ammesso alle scuole elementari, si distinse sempre per studi, ma molto più per buona condotta. Negli intervalli tra una lezione e l’altra, egli o con pochi e buoni compagni, o solo passava il tempo in casa adornando altarini e imitando funzioni sacre e dividendo cosi il tempo tra la scuola, la chiesa e la casa.

            All’età di nove anni essendo rimasto orfano di padre, cercava di migliorare la sua condotta per rendere meno amara alla madre la sua vedovanza. La pia donna dal canto suo nulla lasciava d’intentato perchè il Paolo crescesse buono e religioso, e quando il fanciullo manifestò la volontà di dedicarsi allo stato ecclesiastico, essa non solo non mise ostacolo {79 [47]} di sorta; ma tenendosi per fortunata che il Signore si degnasse di scegliere uno de' suoi figliuoli a suo ministro ne lo ringraziò, e volle, da madre cattolica chiederne la benedizione, e quasi direi far confermare la cosa dal Sommo Pontefice, dal gran Pio IX di felice memoria. A questo fine, sebbene non molto agiata di mezzi pecuniari, spedì al Santo Padre una tenue offerta col ritratto del figlio chiamandone l’apostolica benedizione. Ben a ragione tutti i congiunti speravano che la benedizione del rappresentante di Dio su questa terra, e padre universale dei fedeli sarebbe stata ratificata da quel Dio di cui teneva le veci, Pio IX gradì l’offerta, benedisse il raccomandato, il quale confortato da questa speciale benedizione indossò l’abito chericale, e cominciò i suoi studi di latino.

            Ma qui lasciamo che parli il suo fratello maggiore, il quale richiesto di alcune notizie, così esprimevasi nella sua lettera: “Finite le scuole elementari, periodo di tempo che sempre passò immune dal contatto di cattivi compagni, e dalla corruzione loro, fu ammesso alle Scuole Apostoliche del Santuario di Mondovì. Da principio quivi le cose gli andavano assai bene; ma come dai vispi compagni fu conosciuta la semplicità e dolcezza del suo carattere, cominciarono nel loro brio a burlarlo. Ne davano occasione alcuni suoi difetti naturali, ed anche il suo grande attaccamento al dovere ed alla pietà. Siccome egli nulla diceva in sua difesa, i motteggi, non che cessare, crescevano ogni dì più. Egli allora non guari pratico del mondo, non avendo ancor bastante forza a soffrire quelle ingiurie, e d’altronde non volendo denunziare i motteggiatori, si risolse di licenziarsi dall’Istituto con grande sorpresa e maraviglia de' suoi superiori, che pur l’amavano. {80 [48]} “Si deliberò in seguito di metterlo nel piccolo seminario di Mondovì; ma poco tempo dopo si vide di nuovo bersaglio dei compagni, ed eccolo in nuove angustie e contraddizioni, che la sua fervida fantasia ingrandiva notabilmente, finche dal morale risentendosene anche il fisico, si ammalò e dovette far ritorno a casa.

            “In patria e nella quiete si ristabilì ben presto in salute; ma una grande malinconia si impossessò del suo cuore. Voleva assolutamente seguire la sua vocazione allo stato ecclesiastico; ma temeva non poterla conseguire. Vedeva sempre più oscura la via per cui sarebbe uscito da quelle tribolazioni. Dio solo sa quanto patisse nell’interno per questa ansietà. Finalmente, quando a Dio piacque dargli un po' di tregua nelle sofferenze, potè entrare nell’0ratorio Salesiano, ove regnandovi la vera fratellanza evangelica potè trovarsi in una via in cui poter giungere alla tanto desiata mèta. Ma cessate le morali, ecco di nuovo le fisiche prove.

            “Consigliato a farsi estrarre la pellicola sull’occhio difettoso, egli si sottomise per ben due volte alla dolorosa operazione, che non riuscì molto soddisfacente, ma gli fu causa di molti ed acerbissimi patimenti, che soffrì con cristiana rassegnazione. Quest’operazione gli fece ritardare gli studii mettendolo in dolorosa aspettazione di poter continuare. Ritornò a Torino verso l’autunno del 1875 ed allora procurò di acquistare il tempo perduto.”

            Qui nell’Oratorio la sua.condotta non solo si puo affermare sia sempre stata buona, ma fu ottima, ed i suoi maestri e direttori dicono unanimi, che era un vero buon esempio da proporre agli altri compagni. {81 [49]} Nelle ricreazioni egli non giuocava molto, nè gli piacevano i troppi clamori o le facezie fatte con iscapito della carità fraterna. Alla regola era puntuale, ed appena la voce del campanello lo chiamava a qualche dovere, non temporeggiava neppure un istante. Nelle ore di studio era applicato: si faceva scrupolo di perdere un ritaglio di tempo; non prese mai voto che fosse inferiore all’optime. Anche in ricreazione per la maggior parte del tempo discorreva di cose scolastiche; fuggiva ogni compagno dissipato; la sua conversazione era bensì lieta, ma assennata.

            Amava molto essere in compagnia di qualcuno dei superiori, ed in ricreazione quando poteva passeggiare col suo assistente, col maestro o con qualche chierico lo faceva sempre. Era solito dire, che in questo non vi è mai niente da perdere, ma sempre molto da guadagnare sia in allegria, come in scienza ed in virtù. Parlandosi di cose di chiesa egli era nel suo centro; e se in altre cose era piuttosto silenzioso, in queste parlava volentieri. Appena conobbe che cosa fosse la compagnia del SS. Sacramento e del piccolo clero, subito vi si fece inscrivere efu uno dei membri più costanti e più esatti nell’osservarne le regole.

            Cominciò a frequentare la Confessione e Comunione settimanalmente, poi chiamò di andare con maggior frequenza e nelle novene, che si fanno in onore dei principali misteri di nostra Santa Religione, della SS. Vergine e dei Santi, andava alla Comunione anche tutti i giorni. Non passava poi ricreazione in cui non facesse una visita al SS. Sacramento. Tanti sforzi per progredire nella virtù gli meritarono speciali grazie da Dio: ma una egli metteva assolutamente superiore a tutte le altre, ed era quella di averlo illuminato {82 [50]} chiaramente riguardo alla sua vocazione e di avergli aperte le porte della Congregazione Salesiana, nella quale entrò come ascritto nell’ottobre del 1876. Si, questa grazia la poneva come la principale; come radice e fonte di tante altre; e suo sforzo fino all’ultimo della vita fu sempre nel corrispondere alla volontà del Signore.

            Vestito l’abito chiericale ai 18 di novembre, il progresso suo nella virtù andò aumentando, si può dire, visibilmente. Fu tutto nel cercar modo d’onorare quell’abito, e con quello dare buon esempio agli altri. Voleva che nemmeno il più piccolo neo, come esso diceva, venisse a macchiarlo. Conobbe ben presto, che colla meditazione si aveva il più gran mezzo per vincersi dai difetti inveterati; subito vi si applicò col maggior impegno che per lui fosse possibile. Lungo il giorno cercava ad ogni istante di star fisso nel pensiero meditato al mattino, tanto che i superiori, affinchè non venisse a soffrirne, dovettero comandargli di prendersi alcuni minuti di sollievo in mezzo alla meditazione, e che lungo il giorno non persistesse fisso nel pensiero meditato se non per alcuni momenti, dicendo qualche giaculatoria o facendo qualche affettuoso slancio verso il Signore.

            Come grandemente umile, era persuaso d’essere pieno di difetti e solamente buono a guastare le cose. Si propose a questo fine di aprirsi sempre ai suoi superiori e nulla fare e dire senza loro consiglio. Quando poi si credeva aver mancato in qualche cosa, tosto andava a rendersene in colpa. Anzi pregò assai volte il superiore a non volerlo risparmiare; lo sgridasse in privato ed in pubblico, come credeva meglio, ma non gli lasciasse quei difetti; lo volesse anche correggere severamente e castigare; {83 [51]} poichè, diceva, se mi correggono tanto delicatamente, io fo poco progresso, e ricado troppo, facilmente.

            Questi sforzi gli fruttavano rapidi progressi nella virtù; ma non quali per avventura egli li avrebbe voluti, e desideroso del meglio cadde negli scrupoli. Suole il Signore provare con tale tribolazione chi comincia a vivere una vita del tutto regolata e perfetta, a fine di purgare l'anima e rimuoverla da qualsivoglia apparenza di peccato. Tali effetti appunto recarono gli scrupoli al nostro Paolo, che andò ognora più perfezionandosi con liberarsi anche da' leggeri difetti. Il Signore, che permette il male per ricavarne il bene, volle, come dicemmo, farlo passare pel crogiuolo delle tribolazioni; e cominciarono violenti aridità di spirito e tentazioni contro la fede a molestarlo giorno e notte. Egli non ancora addestrato a queste battaglie, sentendosi così tentato, voleva persistere di più a pensare sulla cosa, che il demonio gli presentava come dubbia cercando di persuadersi del mistero su cui era tentato. Di qui ne avveniva che la tentazione si faceva sempre più gagliarda. Più volte andava in chiesa a pregare il Signore, perchè lo liberasse dalla tentazione, poi usciva tutto corrucciato perchè la tentazione non lasciavalo pregare, poi entrava di nuovo in chiesa a gemere, e spesso anche a piangere non che ad impazientarsi un tantino avanti a Gesù Sacramentato; e poi si pentiva d'essersi impazientato, ed impazientavaai di nuovo per non essersi subito rassegnato alla volontà di Dio, che quelle tentazioni permetteva; e così passava giorni assai agitati.

            È proprio della virtù fittizia soccombere nelle tribolazioni; ma la virtù vera riceve invece dalla tentazione provento. E questo abbiam noi veduto {84 [52]} nel compianto nostro confratello il quale ammaestrato, che le tentazioni contro la fede vanno combattute, quasi come si combattono i pensieri impuri, cioè col fuggire il combattimento, e star rassegnato e quieto nel Sacro Cuore di Gesù pensando, che è da quel Sacro Cuore che scaturiscono le verità eterne e nulla più, poco per volta fu rasserenato su questo punto.

            Ma alle tentazioni contro la fede, spesse volte è compagno lo spavento di dover andare eternamente perduto. Anche questo pensiero per molto tempo tormentò il nostro Paolo, ed in chiesa e fuori di chiesa, o di giorno e di notte andava pensando: chi sa se io ancora potrò salvarmi? La sua più grande consolazione era nel trovarsi presso al caro padre dell'anima sua D. Bosco, che avvicinava ogni volta che gli era possibile, ed il caro padre conoscendo la sua ambascia interiore, lo sceglieva tra la turba dei giovani che l'attorniava, guardavalo con occhio benigno, mettevagli le mani sul capo, e sorridendo servivasi dell’analogia del suo cognome Salvo con lo stato di salvazione dicendogli: “Oh eccolo qui quegli che è sempre Salvo; esso anche facendo dei peccati, alla barba dei demonii è sempre salvo. Ricordati adunque che tu sei salvo; sei salvo a qualunque costo, e sarai salvo per tutta l'eternità.” Gli altri giovani udivano questo, scherzo, e sorridevano, senza capire la vera significazione; ma egli si sentiva tutto rallegrato; e per un poco dimenticava i suoi timori. Ed in questo modo il padre consolava il tenero figlio, che assai amava e da cui teneramente veniva riamato. Tra le virtù ve n'è una, che deve ornare specialmente il cuore della gioventù, ed è quella della Castità. Egli prediligeva questa virtù in modo speciale, {85 [53]} e credo si possa dire, che la sua vita da questa parte passò assolutamente immacolata. Fin da fanciullo la custodì gelosamente; ma fattosi più grandicello e specialmente quando fu chierico, conosciutone il pregio, non lasciò mezzo intentato per conservarla, e non lasciava passar’giorno senza chiedere questa grazia a Dio. Era sempre modesto negli sguardi; altro san Luigi si sarebbe fatto scrupolo di fissare in faccia persona d'altro sesso. Fuggiva a tutto potere l'ozio, radice di tanti peccati. Nel cibo era molto parco e temperante, e specialmente dopo essere stato ammaestrato, che questa mortificazione della gola era uno dei principali mezzi, per conservare detta virtù. Non è dunque da stupire, se lo vediamo premiato dal Signore con un’assoluta vittoria sopra di se, tanto da potere, ingenuamente al suo solito, esprimersi in una lettera che scrisse al suo superiore, per dargli conto dell'animo suo nel modo seguente: “Vado ogni giorno, se non sono indisposto, alla Sacra Mensa; ma soffro terribili tentazioni contro la fede; tuttavia dopo il suo consiglio non lasciai più mai d’accostarmivi per paura della tentazione; credo che questo mi fa del bene. In me poi provo una grande consolazione, che queste tentazioni non lasciano tempo al demonio di tentarmi contro la purità, e son più contento d'esser tentato contro la fede che contro la purità. Sì, io dissi e dico sempre à Gesù quando è nel mio cuore, che mi faccia morire mille volte prima che commettere alcun peccato anche veniale contro la bella virtù.”

            Ardeva anche di desiderio di partire per le missioni a predicare il vangelo ai poveri popoli che tanto ne abbisognano. Ne parlava molto coi compagni, e più volte anche coi superiori, facendo la domanda di {86 [54]} esservi mandato; e poi non vedendosi nel numero dei scelti, abbassava il cape, dicendo: sia fatta la volontà del Signore. Altre volte dolcemente si lagnava, ed in una lettera scritta al suo direttore, maestro, diceva: “Sì sè io avessi almeno una mediocre capacità sarei sicuramente fra il numero di quegli eletti missionarii, che fra breve partiranno; sarei andato anch’io a guadagnarmi la palma del'martirio per la conversione dei Patagoni. Oh America! oh Patagonia! qual felicità non sarebbe la mia se vi potessi far mia patria. Ma Iddio non vuole, per la mia superbia, concedermi i mezzi, le doti che si richiedono a tant'impresa.” Questo pensiero lo tenne occupato molto tempo e se il Signore gli avesse conceduto sanità, certo che l’avremmo veduto, novello campione misurare le sue forze in mezzo ai selvaggi ed infedeli; ma il Signore diversamente disponeva di lui.

            Le infermità sofferte nella sua infanzia e io sviluppo del suo fisico troppo precoce resero la sua sanità assai cagionevole, e con rincrescimento di chiunque lo conosceva, col crescer dell'età si vedeva deteriorare nella salute. Noi meglio diciamo, che era volontà del Signore di prenderselo con sè essendo ornai maturo pel paradiso. Sebbene malaticcio, con grandi sforzi cercava di adempire esattamente tutti i suoi doveri; voleva intervenire a tutte le scuole ed a tutte le pratiche di pietà. Questo farsi coraggio, la maggior parte delle volte approda a bene; ma quando il male supera le forze fisiche conviene arrendersi e darsi assolutamente per ammalato. Siccome il medico assicurava, che l'aria nativa per la sua malattia era la miglior medicina che gli si potesse apprestare, e senza di questa temeva, che le altre non valessero, {87 [55]} si credette bene di consigliarglielo. Con vero dispiacere si allontanava dall’Oratorio; ma aveva ferma speranza di potervi presto far ritorno. Gia varie altre volte per cagione della malferma sua salute aveva dovuto allontanarsi dal collegio ma sempre fu per breve tempo, ed anche questa volta sperava di potersi presto ristabilire e così far ritornò all’amato suo nido; ma poveretto! chi gli avrebbe detto che l'Oratorio, il tant'amato Oratorio, non l'avrebbe più visto fuorchè dal paradiso?!

            Sebbene infermo e lontano da noi, mai non vollo smettere alcuna delle regole della Congregazione, e delle pratiche di pietà che faceva a Torino, od i suoi parenti ci notificarono, che vi si mostrava tanto attaccato, che solo per obbedienza ne modificò alcune. Egli stesso ci scriveva: “Disponga Iddio come vuole. Sebbene sia a casa, voglio fare il possibile per essere tuttavia buon ascritto Salesiano. Vada mille volto la vita, ma non l’anima.” Nella casa nativa, sebbene attorniato da amorevole genitrice e da cari fratelli, che nulla gli lasciavano mancare di quanto giovare gli potesse, tuttavia lontano dal luogo, che fu testimonio delle sue principali gioie, e specialmente separato dagli amatissimi superiori, tuttodì ripiangeva l'Oratorio. Ecco un brano di lettera del 2 agosto 1877: “Non è ancora un mese che sono a casa e mi pare un anno. L'Oratorio, Lei, D. Bosco, tutti i superiori ed i confratelli mi stanno fissi in mente ed incancellabili. Mentre io cominciava sotto la sua scorta, coll'esempio de' miei compagni ad amar la virtù, ecco che son costretto a lasciare direttore e condiscepoli, abbandonare il caro Oratorio, l'arca di salute! e per acquistare la salute del corpo mettere in mar tempestoso quella dell'anima!” {88 [56]} La sua salute faceva lenti progressi ad intervalli alternati da peggioramenti. Avendo i medici detto, che forse l’aria di mare gli avrebbe fatto bene, ed essendo questo venato a nostra cognizione, subito si pensò di additargli come opportunissimo il collegio di Varazze, in bellissima posizione non molto discosto da Savona. Vi si reco il Paolo, e quivi fu trattato con ogni possibile attenzione; tutto si tentò per migliorarne la salute; ma ben presto si scorse, non che giovargli, quell'aria precipitare la sua malattia, ed il dottore di Varazze gli fe' premura che tornasse all'aria nativa, dove solo era da sperar qualche miglioramento. Ascoltò il consiglio; ma lo strapazzo dei viaggi gli fu causa di peggioramento: il sangue versato da vasi interni disorganizzati gli eruttò più volte dal naso e dalla bocca, e questo lo ridusse ad una grande prostrazione di forze, per cui dovette finalmente tenere il letto di continuo. Sempre si mostrò rassegnato ai voleri di Dio, e sempre parlava delle cose riguardanti a Dio, all'Oratorio ed a' suoi cari confratelli, e sempre sperava poterli rivedere. Ma il Signore disponeva altrimenti, e già forse pago del suo operato gli preparava la corona., Una cosa più che tutte le altre gli valse nei grandi patimenti di quest’ultima malattia, ed è il grande amore, che in tutti i tempi nutrì inverso Maria Santissima. Sì, l'amore a Maria SS. aiuto dei Cristiani fu la sua più grande divozione dal momento in cui entrò nell'Oratorio fino all'ultimo respiro. Nelle sue tentazioni, nei dubbi, nelle perplessità, la giaculatoria più favorita era: Maria Auxilium Christianorum, ora prò nobis. Il conforto che l'invocazione del patrocinio di Maria gli recava in vita, parve in quest’ultima malattia centuplicato. Era come l’unico {89 [57]} conforto, il sollievo più grande, la gioia del suo cuore l'invocar Maria. Il suo nome gli era propriamente, come dice s. Bernardo, dolce alle labbra qual miele.

            Da un mese e mezzo era in letto, quando venne l’ultima sua ora. Egli era preparato: aveva ricevuto giorni prima quel Dio, che era secondo lui, il suo bene, il suo tutto e il centro de' suoi pensieri. Era la vigilia di N. S. del Carmelo, e nelle braccia di sua madre, che lo confortava a confidare in Dio spirava, o meglio si addormentava nel bacio del Signore.

            La vita di questo nostro confratello deve principalmente insegnarci a star fermi nel servizio del Signore malgrado qualunque tribolazione, qualunque tentazione, ed a confidare molto nel patrocinio di Maria SS., che in ogni tribolazione della vita, ma specialmente in punto di morte ha da mostrarsi con noi, siccome ci assicura la Chiesa, potens auxilium in tempore opportuno. {90 [58]}

 

Torino 1879. - Tipografia Salesiana. {91 [59]} {92 [60]}

 




Copyright © 2009 Salesiani Don Bosco - INE