raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Il cardinal Nina, quand'era Segretario di Stato, fu molto richiesto un giorno da Leone XIII in quale concetto egli avesse Don Bosco. Rispose: - Poichè Vostra Santità me ne richiede, dirò che io lo credo non un semplice uomo, ma un gigante dalle lunghe braccia che è riuscito a stringere a sè l'universo intero[1] -Esatto e ben detto! La storia non penerà a dimostrare che Don Bosco ricevette dal Cielo una missione amplissima di bene non per un Popolo solo, ma per tutto il mondo. A riprova di ciò si addurrà il fatto che, celebrandosene la beatificazione, sembravano per lui crollate le barriere nazionali; poichè ogni popolo si fece a esaltarlo come se si trattasse d'un glorioso figlio della propria stirpe.
E realmente Don Bosco apparve nel seno della Chiesa cattolica quale precursore o antesignano mandato a suscitare in, ogni parte con il suo esempio molteplici attività o novelle o rinnovellate per la dilatazione del regno di Dio e per la conquista delle anime. Due Congregazioni dotate di mirabile elasticità, per cui si adattano a tutti i bisogni moderni sotto tutti i governi e in tutti i climi; parecchie altre Congregazioni propagginate dalle sue; sistemi di propaganda primamente da lui introdotti e da non pochi guardati con diffidenza, ma poi universalmente imitati; forme di religiosa cooperazione ispirate ai vetusti terzi ordini, ma armonizzate con i tempi e preludenti all'odierna Azione cattolica; diffusione dell'idea missionaria, fatta penetrare [8] simpaticamente in tutti gli strati della società; indirizzi pedagogici tutti suoi, che adagio adagio hanno trionfato di metodi educativi antiquati, soppiantandoli; scuole tipografiche per la propaganda popolare della buona stampa; svariate opere di assistenza giovanile o creato di netto o rinnovate secondo le esigenze dell'ora presente; reclutamento di vocazioni ecclesiastiche fra adolescenti già maturi; inusitate pompe sacre di una attrattiva irresistibile sulle masse dei fedeli; inaudita frequenza pubblica ai Sacramenti e pratica delle prime comunioni precoci, l'una cosa e l'altra solennemente sancite quattro lustri dopo la sua morte, dal Papa Pio X e con termini che ricordano espressioni a lui familiari; un apostolato sacerdotale senza vincoli di servitù politiche; uno spirito francamente ortodosso nei principii, ma caritatevolmente conciliante nelle applicazioni: ecco in rapida sintesi un insieme d'iniziative o partite direttamente da Don Bosco o da Don Bosco promosse e divulgate, sicchè dei loro benèfici effetti è ripieno oggi il mondo, mentre cent'anni fa erano o ignorate o dimenticate o giudicate impossibili o ristrette entro angusti confini. Nè tardò a rivelarsi qual tempra di apostolo si venisse in lui apprestando al mondo; poichè si compie quest'anno un secolo, dacchè Don Bosco istituì ira i suoi condiscepoli di ginnasio una società ch'ei nomò dell'allegria, e in cui non finiamo di ammirare, quanto, e dettandone le leggi e mettendola in azione, il giovane sedicenne precorresse fin d'allora i tempi.
Alla storia del nostro Beato questo volume tredicesimo delle sue Memorie biografiche apporta un ben notevole contributo.
Esso comprende due anni della sua vita, il 1877 e il 1878. La mole del libro sorpassa alquanto la giusta. misura; ma sdoppiandolo ne sarebbero risultati due monconi, mentre le cose compiute in quel biennio s'adagiano tanto per benino entro unica cornice e piace assai più a chi legge il poter cogliere a colpo d'occhio nella loro interezza i singoli fatti.
Due avvenimenti stanno al centro di questo periodo, riguardanti uno la Congregazione salesiana e l'altro la Chiesa cattolica [9], vale a dire il Primo Capitolo generale della nostra Società e il Passaggio delle Somme Chiavi dalle mani di Pio IX in quelle di Leone XIII. Il primo avvenimento segnò un passo di somma importanza nel procedere dell'Opera di Don Bosco e le impresse un vigoroso impulso; del secondo la divina Provvidenza dispose che Don Bosco si trovasse a essere, Per dir così, non inerte, nè inutile spettatore. I due massimi avvenimenti furono Per lui preceduti, accompagnati e seguiti da faccende e da travagli che s'incalzarono senza posa, contendendosi le ore delle sue giornate. Il Servo di Dio fece tre viaggi a Roma e tre in Francia; spedì due belle schiere di Salesiani e due di Suore nell'America Meridionale, dove pure provvide a nuove fondazioni; fondò in Italia le case della Spezia, di Lucca, di Este, principiò il collegio di Magliano Sabino, rilevò la Cartiera di Mathi torinese; in Francia aperse l'oratorio di Marsiglia e la colonia agricola della Navarra; trasferì inoltre da Mornese a Nizza Monferrato la Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per le quali allestì Pure altre residenze; Pose la Pietra angolare alla chiesa di San Giovanni Evangelista in Torino; organizzò i Cooperatori o lanciò il Bollettino Salesiano. Queste sono soltanto le imprese Più vistose.
Ma o per esse o con esse un vero mondo d'affari ne occupò incessantemente l'attività, senza che giammai un negozio lo assorbisse a segno da impedirgli di attendere nel contempo a parecchi altri. Chi voglia valutare fino a qual grado arrivasse, diciamo così, l'ubiquità della mente di Don Bosco, non ha che da compilarsi una tavola sincronistica delle cose narrate in queste pagine, riunendo sotto le proprie date tutte le occupazioni, pratiche, iniziative, imprese, a cui il Beato metteva mano: si ammirerà così il prodigio di un uomo che sapeva moltiplicarsi in tante guise non solo senza detrimento dell'intensità richiesta caso per caso, ma anche senza venir meno un istante alla padronanza di sè e alla calma più perfetta; della quale serenità e sicurezza apparirà la virtù sovrumana nei momenti, in cui il suo spirito, preoccupato da cento pensieri, verrà per giunta [10] abbeverato di fiele, Nessuno mai, fosse pure nelle contingenze più critiche, avvicinava Don Bosco senza che sentisse emanare da lui il celestiale profumo d'un uomo pieno di Dio. Nè poteva essere altrimenti; Perchè nella sua indefessa e multiforme attività esteriore lo animava costantemente quell'interno soffio soprannaturale, che è soave effluvio dello spirito del Signore[2].
Quanto alla maniera di condurre innanzi il presente lavoro, dopo i due volumi già pubblicati non occorre spendere molte parole. Gli spontanei incoraggiamenti giunti in buon numero e da venerandi confratelli anziani, testimoni dei tempi. di cui leggevano la storia, e da maestri dei novizi che giorno per giorno maneggiano le memorie del Beato Fondatore, e da studiosi nostri, nei quali ad altri titoli si accoppia la specifica loro competenza, bastano a provare che la via battuta è quella buona, sicchè nulla potrebbe consigliare di scostarsene. E l'andamento è questo: polarizzare in ogni capo verso un concetto centrale notizie d'idee e di fatti che vi abbiano affinità entro limitato spazio di tempo; curare diligentemente l'esattezza storica delle cose narrate, l'ordine e la chiarezza dell'esposizione e la dignità del dettato; raccogliere e incastonare nel racconto, quali preziose reliquie, tutte le parole del Servo di Dio, siano esse state da lui poste in iscritto o proferite a viva voce e a noi per sicuro tramite pervenute. Il parlare e lo scrivere di Don Bosco recano l'impronta del linguaggio dei Santi, che se non è impreziosito da fiori letterari, va però sempre adorno di altre doti assai più preziose e rare, quali sono specialmente la limpida trasparenza delle loro anime nobilissime e quella spirituale soavità che chiamiamo unzione. I lettori salesiani poi vi sentono il palpito del cuore paterno. Sarebbe dunque doppiamente condannevole il defraudarneli.
Certo è che niuna cura sarà mai soverchia per rappresentare al completo la figura di Don Bosco. Nulla egli deve temere dalla storia; anzi quanto più si approfondirà la conoscenza della sua [11] mirabile vita, tanto meglio si verrà comprendendo perchè il regnante Pontefice Pio XI, dell'averne goduto per brevi giorni la familiarità in sugli albori del suo sacerdozio, si sia ripetute volte gloriato in facie Ecelesiae. Dall'alto del suo soglio il Papa abbraccia ora con lo sguardo tutta l'ampiezza della missione esplicata dal Servo di Dio nel mondo, ed è non piccolo vanto l'avere anticipatamente ravvisato sotto la modestia di un esteriore comune e in un fugace contatto l'uomo della Provvidenza Per l'età che è nostra.
Il proposito era che questo volume andasse a prendere posto fra gli omaggi da presentarsi a Don Rinaldi nel suo giubileo sacerdotale, a Lui per volere del quale mi sono sobbarcato a questa fatica, ma l'uomo propone e Dio dispone. Dedicato alla sua cara memoria, muova invece incontro al suo successore e, chiunque egli sia per essere, gli porga il più cordiale e riverente benvenuto nella serie dei successori del Beato Don Bosco.
Domenico Savio aveva detto a Don Bosco nel sogno del dicembre ultimo: “Oh se sapessi quante vicende hai ancora da sostenere! ”. L'anno 1877, di cui ci accingiamo a narrare la storia, fu per il Servo di Dio un succedersi di travagli e di pene, che la strada già per sè abbastanza ardua gli cosparsero di pungenti spine, a cominciar dall'affare dei Concettini, il quale ne determinò l'andata a Roma; ne diremo qui il puro necessario, riserbandoci di dedicarvi un capitolo a parte.
Il Beato partì per Roma la sera del capo d'anno. Lo accompagnavano il segretario Don Gioachino Berto, il sacerdote destinato alla direzione dei Concettini Don Giuseppe Scappini e un tal Fiorenzo Bono, biellese, aspirante coadiutore, che doveva andare ad Albano.
Don Scappini faceva da prefetto nel collegio di Lanzo, quando il Beato scrisse così al suo Direttore:
Il S. Padre mi fa scrivere che io ritorni a Roma nel più breve termine possibile con almeno un Salesiano da lasciarsi colà dopo la mia partenza. Io ho parlato e pregato se doveva pigliare te o D. Scappini; [14] ma al presente la tua lontananza indeterminata disturberebbe e potrebbe compromettere il collegio. Dunque D. Scappini. Avvisalo e fate che esso venga riprodotto in D. Porta[3], e ciò entro quattordici giorni. Al più tardi il 10 prossimo gennaio salperemo in ferrovia alla volta di Roma.
Andando per la strada si aggiusta la somada e il S. Padre ci dirà il da farsi, e coll'aiuto di Dio lo faremo. È sempre l'affare dei Concettini. Basterà che D. Scappini si trovi un giorno prima all'Oratorio.
Fa' il più caro saluto a tutti i Salesiani, a tutti i giovani del Collegio di Lanzo, e di' loro che li amo tanto nel Signore, che prego per loro. Auguro loro buone feste, buon capo d'anno, e giunto a Roma dimanderò una speciale benedizione al Santo Padre per loro; aggiungi che Dio ci propone molto lavoro, molte anime a guadagnare nell'Australia, nelle Indie, nella China, e che perciò ho bisogno che crescano tutti in persona, scienza e virtù e diventino tutti presto grandi, intrepidi missionarii per convertir tutto il mondo.
Dio vi benedica tutti, e credimi in G. C.
Alla partenza di Don Scappini da quel collegio si potè toccar con mano l'effetto del metodo educativo insegnato verbo et opere da Don Bosco. I giovani lacrimavano e avvennero scene commoventi. Eppure Don Scappini era tutt'altro che un superiore di manica larga; anzi, come per indole tendeva a severità, così per ufficio doveva addossarsi le parti odiose: ciò nonostante si potè vedere in quella circostanza quanto gli alunni lo amassero. Un superiore che nell'esigere il dovere temperi il rigore della disciplina con la carità e dolcezza dei modi si fa sempre ben volere dai giovani.
Giunsero a Roma con viaggio felicissimo verso l'una e mezzo pomeridiana del giorno seguente. Il signor Alessandro Sigismondi, secondo il consueto, li condusse in sua casa. Dopo il pranzo Don Bosco, accompagnato dal signor Alessandro, si recò al palazzo Caffarelli da monsignor Fiorani, commendatore di Santo Spirito, mentre il segretario e Don Scappini [15] se n'andavano a prendere stanza presso l'Ospedale. Don Bosco albergò dal signor Alessandro. Don Berto nel suo diario con la filza delle indicazioni e con la povertà estrema di particolari ci lascia almeno l'impressione che il Servo di Dio abbia fatto davvero buon uso del suo tempo durante quel mese di vita romana. Certo si vorrebbe sapere anche un po' di quel che fece e di quel che disse in tante visite a Prelati, in tanti inviti di persone amiche, in tanti incontri con uomini ragguardevoli del clero e del laicato; ma, giacchè più largo pasto non c'è largito, contentiamoci delle briciole.
Dopo la prima visita di convenienza, il Beato conferì più e più volte con monsignor Fiorani, che si faceva regolarmente assistere dal suo uditore. Anzitutto la discussione si aggirò intorno al modo d'incorporare i Concettini ai Salesiani o almeno d'uniformare le costituzioni degli uni con quelle degli altri; quindi Monsignore, fatte porre in iscritto le conclusioni che dovevano servire di base, mandò il foglio a Don Bosco, affinchè, “esaminandole a mente posata”, potesse vedere se rispondessero interamente alle sue viste e, occorrendo vi facesse le sue avvertenze. Da questo s'intravvede come le basi già convenute nel passato novembre non contassero più nulla. Don Bosco gli consegnò le sue osservazioni la domenica 7 gennaio. Il 13 vi fu nuovo congresso, nel quale, come scrive il segretario, “si terminò salvando solo apparentemente i pensieri del Santo Padre”; onde il Beato scrisse a Monsignor Commendatore questa lettera.
Nei giorni passati mi sono messo a studiare gli andamenti dello stato attuale dei Concettini ed ho potuto convincermi che il mio buon volere non può giungere allo scopo che la S. V. si era prefisso, secondo i venerati voleri del S. Padre.
Se giunto a Roma si fosse tostamente data esecuzione al primo progetto, forse avremmo trovati gli animi meglio preparati.
Ora vi è tale disparità e contrarietà di voleri che a me non resta altro a fare che l'umile offerta del servizio puramente religioso, purchè tale esibizione incontri il Sovrano gradimento. [16] Don Scappini dirà di presenza quanto sarà del caso.
Debbo recarmi ad Albano e ad Ariccia per due giorni e sarò di ritorno il prossimo giovedì.
Sempre contento di poterla in qualche cosa servire ecc.
Pio IX, che aveva saputo da Don Bosco stesso l'andamento delle trattative, in un'udienza a monsignor Fiorani volle vedere questa lettera. Il Prelato gliela presentò. Egli la prese e la lesse tutta ed esclamò: - Povero Don Bosco! È molto che voglia prendere la direzione spirituale dei Concettini. Egli fa tutto quello che può; ma ditegli che gli voglio fare un bel regalo. - Cosi parlando, il Papa mirava a far intendere come Don Bosco non ambisse il governo dei Concettini, ma vi si sobbarcasse unicamente perchè obbligato.
Dopo un altro abboccamento, convocati i Concettini alla presenza di monsignor Fiorani e del maestro di casa o sindaco, com'essi lo chiamavano, Don Bosco espose le disposizioni del Santo Padre, quali erano a lui comunicate da Monsignore, che cioè Monsignore stesso avrebbe la parte materiale e Don Bosco la spirituale. È però singolare il fatto che la sera medesima il Papa, mandato a chiamare monsignor Fiorani e consegnandogli per Don Bosco il promesso regalo, una somma di lire ventimila, gli raccomandasse di procurare che Don Bosco nella direzione dei Concettini avesse tutto, lo spirituale e il temporale. Al che Monsignore: - Si farà in modo che si vada sempre d'accordo da ambe le parti. - E il Papa: - Dite a Don Bosco che questo regalo non ha da far niente coi Concettini e che spero di fare assai più per questa sua Congregazione. - Il Beato poteva dunque della graziosa somma disporre a suo piacimento. Onde scrisse a Don Rua in un biglietto senza firma e senza data: “Riceverai un vaglia bancario di franchi ventimila, diretto a Rossi Giuseppe; procura di spenderlo presto, ma la porzione notabile si dia al medesimo [17] Rossi, se ne ha bisogno. Della provenienza non occorre tenerne memoria”. Rossi era il provvisioniere dell'Oratorio. La raccomandazione di spendere presto e il dubbio se Rossi ne avesse bisogno, erano piacevolezze di Don Bosco. Sapeva egli troppo bene quanti fossero i debiti della casa!
Monsignor Fiorani aveva avvertito per iscritto Don Bosco della necessità di fare una visita al deputato laico di Santo Spirito, soggiungendo: “Se prima potesse passare da me, Le dovrò suggerire qualche cosa”[4]. Risulta che Don Bosco visitò subito il deputato e che fu cortesemente ricevuto, ma non appare che passasse prima a ricevere i suggerimenti. Venti giorni dopo tornò dal medesimo signore, che di nuovo gli si mostrò oltremodo gentile e si offerse di condurlo dal suo successore nella deputazione dell'Ospedale. Il novello deputato era il principe Don Paolo Borghese, che, appena scorto il Servo di Dio, gli disse: - Don Bosco mi conosce fin da ragazzo; io gli ho servita la messa. - Fece poi ritorno dal Principe con Don Scappini, prima di procedere alla elezione del Capitolo dei Concettini; aspettò il Principe dalle 11 alle 12, ma il Principe non venne. Recatosi allora da monsignor Fiorani, si procedette alla formazione del Capitolo con le nomine del superiore generale, dell'economo, del soprintendente alle corsie e dell'incaricato dei novizi.
Ed ora passiamo a dire delle udienze papali. Don Bosco, aspettato inutilmente per tutta una settimana che gli venisse invito a recarsi in Vaticano, vi andò senz'altro la mattina del 9. Monsignor Macchi, Maestro di camera, appena lo vide nell'anticamera del Papa, gli disse che egli non aveva udienza. Eppure, rispose Don Bosco, ho bisogno di parlare col Santo Padre. Gli altri vengono per i loro affari e io vengo per gli affari del Santo Padre. - Difatti, introdotto che fu, il Papa gli disse: - Ma perchè, Don Bosco, aspettar tanto a venirmi a parlare? [18]
- Perchè ci vuole tanta pena a giungere fino alla vostra presenza!
Allora il Papa volse lo sguardo sul Maestro di camera, quasi volesse domandargliene il perchè. Don Bosco prontamente ripigliò: - Santo Padre, ogni indugio è fatale per il nostro progetto.
- Basta così! - fece il Papa, e lo trattenne ivi da solo a solo.
Don Bosco ebbe una seconda udienza privata alle cinque e mezzo pomeridiane dell'11, durata circa mezz'ora. Di lì a dieci giorni, sull'imbrunire, terza udienza privata, e questa volta in circostanze molto singolari. Il Beato aspettava da circa quindici minuti, quando il Papa, licenziati i Cardinali che si trovavano presso di lui e messosi a letto per una forte costipazione, mandò segretamente a chiamare il Servo di Dio, che ricevette così coricato dicendogli: - Don Bosco mi prende in letto prima del tempo. - Si parlò subito dei Concettini. Fra le altre cose il Beato disse al Papa, che egli ne assumeva soltanto la direzione spirituale.
- No, prendete tutto, rispose il Santo Padre.
- Ma sono già inteso così con Monsignor Fiorani.
- Ma no, replicò Pio IX; mons. Fiorani non è il Papa.
Il Servo di Dio, uscito di la, parve trasecolato, come ben di rado si mostrava dinanzi a qualsiasi accidente. Concentrato e silenzioso scendeva pian piano le scale; il segretario che gli era al fianco, non ardiva aprir bocca. Andarono a sedersi nell'anticamera del cardinal Simeoni, nuovo Segretario di Stato dopo la morte dell'Eminentissimo Antonelli. Là il buon Padre, guardando fisso il suo compagno e vibrante di commozione, gli disse: - Il Santo Padre è a letto, e il suo letto è così basso e povero, come quello dei nostri giovani. Non ha in terra nessuno strato, ove posare i piedi scalzandosi dal pavimento è tutto a mattoni, ma così logori e scalcinati, che bisogna star bene in guardia per non inciampare. Difatti, mentre io mi avvicinava, il Santo Padre, sapendomi [19] corto di vista, mi disse: Venite adagio; passate qua, che lì c'è un intoppo. - Di questa singolare udienza Don Bosco scrisse in termini anche singolari a Don Rua il giorno dopo, 22 gennaio: “Nota bene: il Santo Padre era a letto, perchè indisposto, ricusando a tutti l'udienza. Il solo capo dei monelli fu ammesso, e gli feci compagnia quasi tre quarti d'ora”.
Nella prima udienza il Papa era venuto fuori con una facezia, che ci apre la via a mettere in chiaro l'atteggiamento di Don Bosco intorno a una salebrosa quaestio. Spesso l'acume della mente suggeriva a Pio IX certe arguzie, condite di gustosa ironia e contenenti salutari ammonizioni. Disse dunque a Don Bosco:
- Sapete già che abbiamo undici comandamenti? - Don Bosco fece un atto di sorpresa e il Papa continuò:
- Chi dice essere le opere di Rosmini proibite, pecca gravemente. Però questo comandamento fu fatto a mia insaputa. Che ne dite voi?
- Io, rispose Don Bosco, credo che almeno non obbligherà, finchè Vostra Santità non l'abbia approvato!
- Eppure, continuò il Papa, l'han fatto senza di me a Torino.
Con questa uscita il Papa volle alludere a un monito inserito nel Calendario diocesano di Torino. La Sacra Congregazione dell'Indice, il 20 giugno del 1876, con lettera indirizzata all'Arcivescovo di Milano, dov'erasi riaccesa la controversia pro e contro il filosofo di Rovereto, aveva rinnovato il precetto “di conservare il più rigoroso silenzio in proposito della questione sulle opere dello scrittore Antonio Rosmini, non essendo lecito infliggere censura in materia religiosa e avente relazione alla fede e alla sana morale sulle opere di Rosmini e sulla di lui persona, rimanendo solo libero di puramente discutere nelle scuole e in libri e fra i dovuti limiti le opinioni filosofiche e relativamente al modo di spiegare talune verità pur anco teologiche”. Così testualmente il mentovato rescritto. Appellandosi a questa disposizione, il calendario [20] suddetto commentava: “Perciò peccano gravemente contro l'ordinanza pontificia, promulgata dalla Sacra Congregazione dell'Indice, coloro che dicono pericolose le opere di Antonio Rosmini, a cui si riferisce il Dimittantur pronunziato da Pio IX il 3 luglio 1854”. A rincalzo della quale asserzione vi si allegava l'autorità di monsignor Ferrè, Vescovo di Casale, che in una lettera del 26 aprile 1876 ad Praepositum N. N. aveva scritto: “sono ormai più di vent'anni dacchè faccio insegnare le teorie rosminiane nelle scuole del Seminario, e ne ho veduti i più felici risultati sia dal lato della scienza come da quello della pietà”.
Noi qui ci muoviamo una prima domanda: come realmente la pensava Don Bosco intorno alle teorie del grande Roveretano? Don Bosco, a cui nulla sfuggiva di quanto potesse interessare la Chiesa, guardò sempre la grossa questione più dal lato pratico che non dal lato speculativo. Vi è tutta una collana di aneddoti fra lui e il Vescovo di Casale, che ce ne rivelano benissimo l'intimo sentimento. Questo Prelato, veramente dotto e pio, professava una specie di culto per il Rosmini e per la sua filosofia, non sembri irriverenza il dire che n'era infatuato. Don Bosco, che venerava nel Rosmini la santità del sacerdote, non condivideva neppure in minima parte questo entusiasmo per il suo sistema filosofico. Il Vescovo, che voleva un gran bene a Don Bosco, ebbe un bel tentare più volte di entrare in discussione con lui per tirarlo dalla sua o almeno per cavargli di bocca qualche giudizio favorevole alla scuola del suo cuore; Don Bosco, per iscansare il pericolo di doverlo contraddire, gli sguisciava sempre di mano, mutando destramente discorso. Una volta sola, messo con le spalle al muro, si liberò dall'assalto con queste parole: - Veda, Monsignore, io non sono filosofo nè sono perciò in grado di sostenere con lei una disputa di questo genere; ma quello che so di certo si è che il voler dimostrare, come pretendono i Rosminiani, l'esistenza di Dio a priori è impossibile; quindi l'idea innata dell'ente cade da sè. - D'ordinario invece [21] se la svignava, ricorrendo a qualche espediente. Così per esempio, una volta, mentre Monsignore lo tempestava con le sue ragioni filosofiche contro coloro che affermavano il Rosmini non essere seguace di san Tommaso, Don Bosco visto entrare nella camera Don Francesia, gli disse sorridendo: - Bravo, sei arrivato a tempo; senti un po' quello che mi dice Monsignor Ferrè. Io non ne capisco niente; sono cose che mi fanno dormire Tu forse ne capirai qualche cosa. Un'altra volta il Vescovo l'aveva invitato a pranzo nel suo palazzo di Casale. Sedevano a mensa anche tutti i canonici e Don Bonetti e Don Bertello. Si furono appena assisi, che tosto vennero fuori gli elogi delle dottrine rosminiane. Don Bosco taceva; i canonici approvavano; qualcuno stuzzicò Don Bertello, che osservava prudente silenzio Don Bertello era studioso di cose filosofiche e insegnava filosofia. Monsignore stesso si rivolse a lui, che senz'ambagi, com'era nel suo carattere, si dichiarò antirosminiano. La disputa si accese vivissima; il buon Vescovo, impegnatissimo nella lotta, più non mangiava. Per troncare la questione, fu pregato Don Bosco di dire il suo parere. - Sì, sì, parli Don Bosco, - insistette anche il Vescovo. Don Bosco ruppe il silenzio e disse: - Veda, Monsignore, io non entro nelle ragioni intrinseche nè di una parte nè dell'altra. Se mi permette, farò una sola osservazione. Un Vescovo sarebbe contento se sapesse che i chierici del suo Seminario tengono un'opinione contraria alla sua? Ora io considero tutto il clero del mondo come un vasto Seminario rispetto al Papa. E il Papa potrà essere contento che questo suo clero o una certa parte di esso tenga principii che egli non accetta e che questi principii vada propugnando? Del resto noto ancora come al Papa, anche quale dottore privato, si debba avere molta deferenza e che sia conveniente conformarsi al suo modo di pensare. Così i buoni figliuoli usano diportarsi verso il loro padre. - Gli astanti ammirarono, il Vescovo non aggiunse parola, e la polemica morì. Alla sera il Rettore del Seminario lo felicitò per quella risposta, che [22] egli medesimo aveva avuto tante volte intenzione di dargli, ma senza mai sentirsene il coraggio. Torna però a grande onore di Monsignor Ferrè, che tale divergenza d'opinioni non abbia mai diminuito in lui di un'oncia l'affetto e la stima verso Don Bosco, nè il desiderio e la premura dì fargli in qualsiasi circostanza cosa grata.
Se Don Bosco parlò qualche rara volta di Rosminianismo, lo fece unicamente in vista dei tristi effetti prodotti tra gli ecclesiastici da quell'accanirsi di polemiche astiose, nè mai disse verbo che sonasse disistima verso la persona del Rosmini. E quello che egli stimava nell'abate Rosmini, non era il suo sistema filosofico, a giudicare del quale egli si dichiarava incompetente, ma la santità dell'uomo e del sacerdote. In qual alto concetto egli l'avesse, lo dichiarò con queste parole: “L'abate Rosmini si fece conoscere per dotto filosofo nello scrivere le sue opere, ma si mostrò filosofo profondamente cattolico nella sottomissione al giudizio dell'Autorità religiosa. Mostrò di essere coerente a se stesso, e che il rispetto professato alla Cattedra di Pietro sono fatti e non, parole[5]. Il Rosmini alla profondità della scienza accoppiava la fermezza e l'umiltà del buon cattolico[6]. Non ricordo di aver visto un prete dire la. Messa con tanta divozione e pietà come il Rosmini. Si vedeva che aveva una fede vivissima, da cui proveniva la sua carità, la sua dolcezza, la sua modestia e gravità esteriore[7] [23]
Una seconda domanda non ci faremo noi, ma riferiremo fatta da altri a Don Bosco in persona. - Perchè, gli chiese un giorno con tutta confidenza il segretario, perchè Don Bosco si adoperò presso Pio IX per far nominare il canonico Gastaldi prime Vescovo di Saluzzo e poi Arcivescovo di Torino, pur sapendolo seguace della scuola rosminiana e uscito inoltre dalla Congregazione dei Rosminiani? - Don Bosco, secondochè lasciò scritto il segretario, avrebbe risposto così: - Vedi, il canonico Gastaldi mi aveva più volte assicurato d'aver abbandonato l'Istituto della Carità, perchè certi suoi membri non professavano abbastanza sommissione e attaccamento al Papa e mi assicurava pure d'aver rinunziato a certe sue idee liberali, professate e difese prima di farsi rosminiano. Oltre a questo io aveva tutte le ragioni di credere che egli ci sarebbe stato sempre largo del suo favore. Che vuoi? Appena divenne Arcivescovo di Torino, cambiò registro. Si fece difensore del Rosmimianismo, sostenendone in privato e in pubblico i fautori e avversando noi, perchè Don Bosco non lo volle secondare in questo suo modo di vedere. E Don Bosco, alieno dal battagliare, soffrì tutto piuttostochè romperla con lui, tenendosi sempre passivo. - La stessa domanda, del resto, gli fu fatta più e più volte. Nel 1878, invitato a pranzo dai Benedettini di San Paolo per la festa del loro Patriarca, nella sala del caffè, ascoltò in silenzio le cose che vi si presero a dire dell'Arcivescovo di Torino, finchè, interrogato a bruciapelo dal cardinal Bartolini se non fosse stato lui a proporlo per quella sede, rispose: - Sì, Eminenza. E ora purtroppo ne fo la penitenza.
Nei primi giorni della sua dimora in Roma Don Bosco fece visita al Ministro della Pubblica Istruzione. Un motivo importante ve lo condusse. Negli anni antecedenti s'indicevano esami straordinari per coloro che, non avendo conseguito laurea, volessero ottenere l'abilitazione all'Insegnamento nel ginnasio inferiore e superiore; ma questa agevolezza non era veduta di buon occhio dai professori ordinari [24] che avevano dovuto frequentare l'Università, nè da altri, cui non garbava che della concessione profittassero in massima parte insegnanti di scuole private, cioè cattoliche, sicchè prevaleva la tendenza ad abolirla per sempre. Don Bosco a più riprese aveva fatto in modo che da diverse parti d'Italia persone private, istitutori e direttori di collegi e specialmente suoi chierici, i quali però non dichiaravano questa loro qualità, inviassero al Ministero centinaia di suppliche, invocanti il benefizio di tali prove. Naturalmente ognuno chiedeva per conto proprio, adducendo chi una ragione chi un'altra. Già due volte il Beato aveva potuto raggiungere l'intento; poichè come appariva dalle relazioni ufficiali, il Ministero, vedendo che tanti imploravano il medesimo favore, aveva giudicato opportuno soddisfare ai bisogni di tanti luoghi e di tante persone. Ora il Servo di Dio si era proposto di ottenere per la stessa via una nuova informata di professori. L'onorevole Coppino gli usò ogni gentilezza. Don Bosco gli espose come la mancanza di mezzi mettesse molti giovani d'ingegno nell'impossibilità di laurearsi frequentando i corsi universitari, e come non solo i ginnasi privati, ma anche i governativi difettassero di professori atti a sostenere degnamente e legalmente il nobile còmpito d'istruire la gioventù nelle scuole secondarie. Il Coppino lodò altamente le idee di Don Bosco e pregò di metterle in carta, stendendo una domanda nelle debite forme. Don Bosco non se lo fece dire due volte; infatti gl'indirizzò subito questa supplica, datandola però da Torino.
La grande sollecitudine con cui la E. V. promuove e sostiene gli, Istituti che hanno per fine l'educazione e l'istruzione della gioventù, mi dà animo a supplicarla per un segnalatissimo favore appoggiato unicamente alla nota di Lei clemenza ed autorità. Questo favore riguarda l'Istituto detto Oratorio di S. Francesco di Sales. Coi soli mezzi della Provvidenza quotidiana si poterono aprire in Piemonte, nella Liguria e nella stessa Provincia Romana, parecchie case tutte collo scopo di porgere educazione ed istruzione alla classe povera o meno agiata della Civile Società. Questa caritatevole istituzione fu [25] sempre benevisa presso l'autorità scolastica, che ci ha sempre usato molta benevolenza, tenendo in considerazione le nostre premure per uniformarci alle pubbliche leggi, sia nei programmi d'insegnamento, sia nelle patenti degli insegnanti. Ma ora ci troviamo in grave penuria di maestri provvisti di titoli legali, specialmente da che non ebbero più luogo gli esami straordinarii pei corsi secondarii. Egli è per questo motivo che ricorro alla E. V. supplicandola a voler concedere una sessione particolare di tali esami di Ginnasio Superiore ed Inferiore nella R. Università dì Torino, come fu già accordato agli istituti insegnanti della Provincia Romana con circolare 10 Agosto 1874 - 7 Gennaio 1875 - e 7 Agosto 1875.
Coloro che dopo fatti esperimenti sembrano idonei per tale esame, stanno descritti nel foglio a parte e sono in numero di 30.
Con questa concessione la E. V. porgerebbe un mezzo di coltivare la scienza letteraria agli esaminandi, che come pubblici insegnanti potranno procacciarsi onesto sostentamento colle loro fatiche, mentre farebbe pure un grande benefizio a questa nostra istituzione, che potrebbe anche somministrare alcuni maestri pei piccoli Seminari delle Provincie Romane che ne fanno calde richieste.
Di questo favore e di altri benefizi già concessi in passato, Le professiamo sentita riconoscenza e pregando Dio di colmarla di sue benedizione conservarla a lunghi anni di vita felice, ho l'alto onore di potermi professare
Lo scritto fu accolto favorevolmente; le promesse furono amplissime; il Beato restò convinto d'aver colto nel segno. Ma quale non fu la sua delusione, allorchè, pubblicatosi in data 10 maggio il decreto, vide imposte condizioni tali, che di trenta suoi candidati ben pochi erano in condizione di usufruire della concessione! Si richiedeva infatti l'età di trent'anni e sei anni d'insegnamento, ovvero venticinque anni d'età e qualche patente elementare o tecnica. Una nota ministeriale poi del 31 luglio imponeva alle autorità scolastiche, cui spettava, la rigorosa osservanza delle anzidette disposizioni. Nonostante le apparenze, il ministro Coppino avversò sempre Don Bosco e l'Oratorio.
La mattina del 16 gennaio il Beato Padre fece una gita [26] ad Albano, dove i suoi figli lo attendevano a braccia aperte. Albergò nel convento dei Carmelitani, residenza dei Confratelli di Albano, ai quali si unirono in quei giorni gli altri della vicina Ariccia. Secondo il suo costume, rese il domani personalmente omaggio alle autorità ecclesiastiche e civili, cioè al Vicario Generale di Albano, all'Arciprete e al sindaco di Ariccia. Trascorse la sera insieme con i suoi, rallegrandoli, dice Don Francesco Varvello che era presente, con i più ameni conversari del mondo, quasi avesse dimenticati per via tutti i fastidi. Al terzo giorno fece con l'intera comunità l'esercizio della buona morte; indi, ossequiato il sindaco di Albano e visitato un locale che s'intendeva destinare per lui a collegio, si rimise in viaggio verso la città eterna.
Qui continuò le sue visite ai membri delle Sacre Congregazioni. Alla Congregazione dei Vescovi e Regolari presentò per la prima volta la relazione triennale sullo stato della Pia Società, a tenore della Costituzione apostolica Romani Pontifices. Professi perpetui 163 e triennali 78; ascritti 120 e aspiranti 79; sacerdoti 89. Il Capitolo Superiore era così composto:
Direttore spirituale: Sac. Cagliero Giovanni.
Economo: Sac. Ghivarello Carlo.
Consigliere scolastico: Sac. Durando Celestino.
Consigliere: Sac. Sala Antonio.
Al posto dell'assente Don Cagliero come direttore spirituale o catechista generale il Beato aveva deciso di chiamare Don Bonetti; ma non potè ancora rimuoverlo dalla direzione del collegio di Borgo S. Martino. Don Ghivarello, già Consigliere, sottentrava come Economo generale a Don Bodratto, partito per l'America; Don Durando, già semplice Consigliere, assumeva la direzione generale delle scuole salesiane, aggiungendo [27] al suo titolo il qualificativo di “scolastico”; entrava a far parte del Capitolo Superiore come Consigliere Don Sala in sostituzione di Don Lazzero, fatto vice - direttore dell'Oratorio. Don Barberis, Maestro dei novizi, figura soltanto come Consigliere nel Capitolo particolare dell'Oratorio. Delle case si dirà altrove.
Dall'Oratorio giunsero a Don Bosco indirizzi sottoscritti dai novizi e dagli artigiani e contenenti espressioni di fervido omaggio al Vicario di Gesù Cristo. Il Papa si compiacque di udirne la lettura. Gli pervennero pure le note dei giovani d'ogni classe, che avevano ottenuto dieci punti in condotta alla fine del primo trimestre.
Verso gli ultimi di gennaio arrivò a Roma l'Arcivescovo di Torino col Rettore del Seminario. Furono ospiti dei Rosminiani. Dobbiamo parlarne qui a motivo dei commenti, a cui questo viaggio diede la stura sui giornali; dicendosi ciò che si sapeva e ciò che non si sapeva, ma che s'immaginava, e coinvolgendosi nelle chiacchiere anche la persona di Don Bosco[8]. Sopra un punto erano tutti d'accordo, cioè nell'asserire che monsignor Gastaldi fosse andato a Roma per rassegnare nelle mani del Papa le sue dimissioni da Arcivescovo di Torino. Si accordavano pure nell'addurre le ragioni dì quel passo, le quali, più o meno diluite, sarebbero in sostanza state due, l'essere cioè Monsignore in urto col Vaticano a causa delle ammonizioni da lui rivolte al clero circa il non biasimare la vita o la dottrina dell'abate Rosmini, e l'essere in urto con Don Bosco, il quale impunemente sconturbava l'amministrazione dell'Archidiocesi. Il solito Fischietto uscì con una caricatura, nella quale Don Bosco in costume di gladiatore aveva colpito con un pugno e fatto stramazzare ai suoi piedi l'Arcivescovo. Di tutte queste chiacchiere giornalistiche l'avvocato Menghini, che difendeva allora monsignor Gastaldi in una causa spinosa di [28] diritto canonico, scriveva così dopo la partenza di Don Bosco da Roma: “Quanto dicono i fogli sopra la rinuncia dell'Arcivescovo non ha fondamento alcuno. Io suppongo che qualche foglio della mia difesa sia pervenuto a qualche giornalista, il quale ne ha profittato per guadagnare qualche soldo. Alludo alla pagina 37 dove si legge: Quindi già due volte ho presentato al S. Padre il mio vivo desiderio di ritirarmi da questo posto, ove ho le mani legate non solo dal potere civile, ma anche dall'Autorità Ecclesiastica. Del resto sono persuaso che l'Arcivescovo non rinuncierà giammai spontaneamente”[9].
Nell'Oratorio allora non si leggevano giornali, se non da pochissimi superiori e lontano dagli sguardi altrui; tuttavia qualche eco di quel cancan vi si fece udire, tanto più che per difesa religiosa o per rappresaglia di partito anche fogli cattolici o moderati avevano scritto in lode del Servo di Dio. Perciò un giorno taluno in conversazione gli chiese che ne dicesse loro qualche cosa; ma egli mutò discorso. Un altro giorno lo interrogarono in altra maniera. Parecchi sacerdoti e chierici intorno a lui si misero a discorrere della fama mondiale che giornali d'ogni colore creavano al suo nome e gli domandarono scherzevolmente se egli non se ne insuperbisse. - Insuperbirmi?! rispose Don Bosco. Eh, temo che il Signore mi abbia a castigare bene per altre cose, ma per questa no. Vedo essere tanto poco quello che metto io nelle nostre imprese! Se non fosse il Signore a volerle e a disporne i mezzi, noi andremmo subito a rotoli. È tanto piccola, specialmente ora, la mia parte, che mi meraviglio forte come mai il carro della Congregazione e tante altre cose cominciate possano andare avanti.
Conformemente alla nostra abitudine, prima di seguire il Beato nel suo viaggio di ritorno, offriremo qui ai lettori per ordine cronologico e con qualche nota proemiale un gruppetto [29] di lettere, che il Beato scrisse da Roma in quel gennaio. Non sono tutte al certo; ma sono quante abbiamo potuto raccapezzare.
Il Beato Don Bosco, tutte le volte che si assentava per un tempo notevole dall'Oratorio, escogitava sempre nuovi mezzi per farsi vivo ai suoi giovani e animarli al bene. Quest'anno, inviando all'Oratorio o ai collegi la benedizione del Papa, scrisse che il Santo Padre domandava una comunione da tutti gli alunni; egli poi ne chiedeva un'altra per sè, affinchè le cose sue procedessero in Roma secondo i suoi desideri. Il Vicariato Apostolico nel Malabar, di cui qui si parla, rimase un pio desiderio del cardinal Franchi; la morte di Pio IX e i cambiamenti sopravvenuti fecero sì che più non si pensasse a questo disegno.
Ti mando una letterina per il ch. Zemo e Laureri. Credo a quanto asseriscono nella speranza dei frutti che promettono.
Di' a Vincenzo[10] che saluti tanto sua madre, che il S. Padre le manda una speciale Benedizione.
Altra speciale benedizione manda ai nostri cari giovani, nominatamente a quelli che sono ascritti al piccolo Clero, alla Compagnia di S. Luigi, e del SS. Sacramento.
Augura a tutti Sanità, Santità, Sapienza e volontà eroica di andare nelle indie, dove abbiamo accettato un Vicariato Apostolico di circa tre milioni di anime.
Mi raccomando a tutti che facciano una Santa Comunione per me, che ho molti spinosi affari a trattare, io farò una particolare preghiera per loro sulla tomba di S. Pietro.
Il Sig. Alessandro e Sig. Matilde salutano.
Questo signore si ritiene che fosse un agente segreto del Governo e fors'anche un massone convertito. Egli veniva sovente a visitare Don Bosco, dimostrandogli venerazione e confidenza. Il Servo di Dio lo trattava con molta bontà, per indurlo, secondo il suo solito, a prendersi pensiero anche dell'anima. Le ripetute notizie sulle condizioni religiose di Rio de Janeiro, scrittegli dai Missionari, stimolavano sempre più la carità del Beato a fare qualche cosa per il Brasile, dove regnava l'imperatore Don Pedro II, privato del trono dalla rivoluzione del 15 novembre 1889 e morto in esilio due dopo.
Comincio per ringraziar la S. V. Car.ma della buona memoria che conserva per me e per tutto il piccolo mondo di Valdocco.
Assai spesso parliamo di Lei e speriamo che non sarà lontana una sua visita.
Godo assai che Ella possa avere relazioni famigliari con D. Pedro e sua moglie Imperatrice del Brasile. Se ne avrà la comodità suggerisca loro una delle nostre case in quel vasto impero. Credo che molti poveri fanciulli diverrebbero buoni cittadini e che diversamente finiscono colla prigione. Ogni cosa però alla sua prudenza.
Il sito che accomoderebbe il Sig. Piano non è più vendibile. Colà si fa una chiesa e gli scavi ne sono già cominciati.
Dio la conservi e le conceda vita felice e mi creda sempre suo
Nella festa dell'Epifania vi fu all'Oratorio la prima rappresentazione teatrale; in seguito le recite sarebbero continuate tutte le domeniche. Da alcuni anni però il Beato non era guari contento delle rappresentazioni drammatiche sia per le cose rappresentate che per il modo di rappresentarle. [31] Quelle commedie grandiose, quei vestiari di gran costo, la mancanza di un diretto scopo morale, lo spostamento dell'orario, la cena degli attori dopo il teatro, il non esserci un capo abbastanza risoluto e vigilante avevano dato luogo a inconvenienti. Già nel '76 Don Bosco aveva un giorno chiamati a sè i coadiutori Dogliani, maestro di musica, e Barale, capo della libreria, giovani entrambi sui ventott'anni, buoni e capaci e, facendosi da essi accompagnare per Torino, così aveva espresso loro il suo pensiero: - Il teatro adesso non ha più lo spirito che io desidero che abbia; perciò ho creduto bene di darne a voi due la direzione. Io desidero che si recitino cose semplici e morali; ma più di tutto che io sappia prima quello che si reciterà. - I due coadiutori fecero del loro meglio per assecondare i voleri di Don Bosco; ma duravano fatica a reagire contro la corrente invalsa dall'uso. Don Bosco sospese perfino un dramma intitolato I Poveri di Parigi, sebbene se ne fossero già distribuite le parti. Qui egli insiste perchè si ritorni all'antico.
Osserva un po' quel benedetto teatrino. Parla con D. Lazzero e fate in modo che siano sbandite le cose tragiche, duelli, le parole sacre. Forse Barale è quello che vi potrà aiutare ed è d'accordo con Dogliani. Il mio libretto della Ferrovia si può rimettere a S. Pierdarena, dove lo prenderò andando a Torino. Se le Suore gradiscono il teatrino, vadano.
Per Sozzi fate in Domino. Questa sera vado di nuovo all'udienza del S. Padre.
Valete e gaudete omnes in Domino.
La lettera è senza data; ma fu scritta dopo la prima udienza privata. Il cenno sull'oratorio di Chieri merita un chiarimento fin d'ora, giacchè non poco se n'avrà a dire in [32] seguito. I primi che pensarono a Don Bosco per l'istituzione di un oratorio festivo in quella città furono i Confratelli Apostolici, come si denominò un'associazione di preti secolari e regolari, che mettevano in comune i loro sforzi per giovare alle anime. In una seduta del 18 agosto 1875 risulta dai verbali che fra parecchie deliberazioni veniva per terza la seguente: “si propone di procurare lo stabilimento di un oratorio festivo per li fanciulli per mezzo e coll'aiuto del M. Rev. D. Bosco Giovanni, il quale perciò sarà pregato dal Molto Rev.do Can. Calosso e Can. Menzio”. Nell'attesa che Don Bosco potesse inviare i Salesiani, il sacerdote Don Sona, coadiuvato dal gesuita padre Luigi Testa, aperse una specie di oratorio nel '76 a S. Bernardino e nel '77 a S. Michele. Intanto si preparava il terreno per affrettare la venuta dei figli di Don Bosco. A tale oggetto dovevano naturalmente essere corse trattative presso la Curia di Torino; donde l'occasione allegata per la “lunga lettera”, a cui qui Don Bosco accenna.
Anche la benedizione speciale per Don Vespignani infermo richiede un po' di commento. Sacerdote novello, egli entrò nell'Oratorio il 6 novembre del '76; nel Natale successivo Don Bosco lo ammise già alla professione perpetua. In famiglia dal 10 agosto a settembre aveva avuto sputi sanguigni; nell'Oratorio dopo l'Epifania del '77 gli tornò la tosse con deperimento di forze e con dolori al petto e alle spalle. Mandato alla casa di Alassio, perchè il clima più mite giovasse a rinfrancarlo, peggiorò, rinnovandoglisi l'emottisi, che l'obbligò a tenere il letto. Poichè l'aria marina, a detta del medico, gli era nociva, ripartì per Torino. Giunto a Bra, fu assalito da violenti sbocchi di sangue, che lo ridussero a mal partito. Gli attacchi si ripeterono a più riprese fin dopo la Purificazione, quando il Servo di Dio, tornato da Roma, lo andò a trovare.
- Come va? gli chiese. Si sente meglio?
- Eh! rispose. Avevo chiesto di andare in America; ma [33] sono già bell'e andato e ritornato. Oramai mi preparo per il viaggio dell'eternità.
Ciò detto, lo benedisse. Da quel giorno Don Vespignani prese a migliorare, tanto che guarì, andò quell'anno stesso nell'America, vi lavorò indefessamente fino al 1922 e, mentre scriviamo, è a Torino Consigliere professionale nel Capitolo Superiore.
1) Fa' sapere al Sig. A. Crida che la parte fu fatta, che preghi ed io pregherò, e speriamo.
2) Si faccia pure il trattenimento pel giovedì grasso[11] ma cose brevi, che facciano ridere e che non siano protratte oltre le cinque.
3) In quanto alla damig. Pozzi è bene di aspettare il testamento. Se ha fatto qualche cosa per noi si compia pure un servizio religioso.
4) Il nostro Arciv. scrisse una lunga lettera, in cui dà notizie di sua sanità, mostrò gradimento dell'Oratorio di Chieri, etc., etc.
5) Pel prossimo esame dì ginnasio Coppino promise molte facilitazioni
6) Di' a D. Vespignani che ho dimandato una benedizione speciale per lui al S. Padre. Altra per tutti gli ammalati, nominatamente D. Guidazio e Toselli.
7) Comunicherai la stessa benedizione alla nonna Teresa, Damig. Cinzano, Mad. Massarola, Damig. Mandillo, etc.
Il giovedì 18 gennaio, facendosi l'esercizio della buona morte, vi fu la comunione per Don Bosco; la domenica seguente si fece la comunione per il Papa o “Le comunioni, nota la cronaca per entrambe le circostanze, si fecero con entusiasmo e furon numerosissime”.
Dà queste lettere e se puoi leggile e consegnale in persona, specialmente quella al Sig. Faia. [34]
Il S. Padre fece splendida accoglienza: manda la sua benedizione a tutti i salesiani, novizi, aspiranti e allievi. Essendo alquanto incommodato dalla tosse si raccomanda expressis verbis alle preghiere di tutti specialmente per una S. Comunione, cui egli annette indulgenza plenaria.
Altro giorno i particolari. Dio ci benedica tutti ed abbimi nel Signore
Senza data. Fu scritta nella settimana che precedette l'andata del Servo di Dio ad Albano; dunque prima della domenica 14, essendosi recato colà il martedì 16.
1) Ti mando alcune lettere per norma tua e di Lazzero.
2) Va' in mia camera e troverai sul secondo ripostiglio della scanzia del mio tavolino il Cattolico provveduto[12] (quello delle Lett. Catt.) interfogliato e in più cose corretto per la ristampa; ivi pure, ci deve essere un quaderno di fogli da lettera, in cui si parla dell'esistenza di Dio, etc.: procura di mandarmelo. Idem se ci sono stampe o se si stampa qualche cosa nella Unità Cattolica che ci riguardi[13].
3) Ho fatto prima di partire[14] una dimanda al Ministro della Guerra e dell'Interno per ottenere qualche cosa per l'Oratorio. Se ricevi qualche risposta mandamela subito per norma.
4) D. Berto avrà scritto della buona accoglienza che il Min. Coppino fece alle nostre dimande.
5) Dirai a D. Guidazio che non minchioni[15] e che si curi molto la sua sanità col riposo affinchè possa lavorar molto.
6) D. Scappini e D. Berto dormono e mangiano in S. Spirito; io sono col Sig. Sigismondi e lavoro per sistemare la difficile posizione dei Concettini coi Salesiani.,
7) Nella Prossima settimana, a Dio piacendo, fo una gita ad Albano. Nel fare poi ritorno a Torino passerò a Magliano, e a Firenze. [35]
8) Dirai ai nostri confratelli e a tutti gli amati nostri giovani che ho tra mano molti ed importanti affari; perciò gran bisogno delle loro preghiere. Pregali che facciano una Comunione secondo la mia intenzione, ed io farò anche per loro una preghiera speciale alla tomba di S. Pietro.
9) Dammi notizie della sanità dell'Arciv. e del nostro caro Toselli.
10) Dirai pure a Giulio[16] che scopi bene la scala nostra e che raccolga i pezzi di carta sparsi qua e là.
11) Fa' pure un saluto alla buona nonna Teresa e a tutte le nostre sorelle in G. C.
Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.
Nei manoscritti con questa lettera va unito un biglietto non datato, che ripete cose già dette qui sotto, impreziosito però dal seguente poscritto: “Vengo in questo momento dal S. Padre, che di tutto buon cuore manda l'apostolica sua benedizione a tutti i Salesiani d'America, aggiungendo: Raccomandate da parte mia che veglino vigilantemente sulla osservanza delle' Regole vostre, speciatim vero sulla moralità, che in quei luoghi va esposta a continui pericoli”.
A quest'ora avrai già ricevuto i nostri cari confratelli, che spero abbiano fatto buon viaggio, sebbene non abbia ancora ricevuto notizie positive a questo riguardo. Questa volta lascio tutte le altre cose. Ti scrivo di affari tutti particolari.
Due sono le proposte che ci si fanno dal s. Padre e che io ho accettate. Ora vediamo quanto si possa fare.
Un Vicariato Apostolico nella Patagonia, e a Carmen, o a S. Crux, o a Puntarenas, o meglio ancora un solo Vicariato che si estenda a tutti tre. Si potrebbe cominciare con una casa di educazione e Seminario a Carmen, che dicesi anche Patagone e Concezione; e mentre si consolida questa casa pensare agli altri due siti. Ma i mezzi?
La Propaganda verrà in aiuto; la Propagazione della fede idem: Santo Padre più ancora; poi ci penseremo e faremo anche noi. [36] E il personale? Deve essere tutta farina del nostro sacco, e fra gli altri mi passa pel capo d'invitare Mons. Ceccarelli a porsi alla testa di questa impresa, e tu puoi parlarne direttamente con lui. È vero che egli dovrebbe essere consacrato Vescovo, ma potrebbe tenere il titolo parrocchiale mettere uno o più Salesiani a farne le veci in S. Nicolas. Ma e di D. Cagliero quid? Andremo ad assumere il Vicariato Apostolico di Mengador[17] nelle Indie, che ha circa tre milioni di anime. Così mi dice il Card. Franchi, Don Cagliero Vicario Apostolico, Don Bologna suo Vic. Gen., etc., etc.
Tra gli individui che ci sono e quelli che si stanno preparando il personale ci sarà. Con facilità si possono preparare sei Salesiani per la Patagonia, dieci Sacerdoti con dieci Catechisti per le Indie. Il resto lo farà Iddio.
Come vedi, io fo l'orditura, adesso tu pensaci, parla con M. Ceccarelli ed anche con altri, e poi fammi sapere se vi sentite di tesserne quindi la tela.
Il Santo Padre poi manda una speciale benedizione a tutti i Salesiani che sono in America, a tutti gli aspiranti o che vogliono aspirare, ma in modo speciale al Sig. D. Benitez, cui prego da Dio lunghi anni di sanità e dì vita felice.
Non ho ancora potuto conchiudere il prezzo del sito latistante alla Chiesa della Misericordia[18]; spero che ciò sarà pel principio di Febbraio, quando di nuovo ti scriverò: il console sembra assai ben disposto, ma è genovese ed assai lungo negli affari.
Farai noto a tutti i Salesiani che, la Congregazione in Europa acquista nome, si accresce di numero, di dimande per case, e credo poter anche dire, di fervore individuale. Vedrai tutto dal Catalogo che riceverai con altro corriere. E nell'America come vanno?
Per tua norma ho sempre scritto per ogni 10 e 15 di ciascun mese; ma pare che molte lettere siansi smarrite.
Scrivo anche una lettera a Monsig. Arcivescovo, notificandogli il desiderio del S. Padre che si faccia una prova nella Patagonia, e sulla utilità di una sua lettera al Presidente della Propagazione della fede in Lione.
Deus nos benedicat et in sua pace custodiat et ad vitam perducat aeternam.
P. S. Se non hai ancor veduto Mons. Roncetti, sarà tra voi quanto prima. È incaricato di trattare gli affari della Chiesa nel Brasile. Passerà a Buenos Aires per vedere la posizione dei Salesiani: tratterà [37] anche coll'Arcivescovo sulla possibilità di avanzarsi nei Pampas e nei Patagoni. Egli è a noi benevolo; ed io ho messo il granello sulla bilancia, per cui fu scelto per questa missione. Al suo ritorno sarà fatto Cardinale, cosa che egli ignora, e che vedendolo tu puoi accennargli[19]. È bene che l'Arcivescovo sia di ogni cosa informato. Ancora attendo le notizie positive da Montevideo, per comunicarvi il tutto della benedizione del S. Padre.
Perchè lo chiami “Romualdo”, non possiamo indovinarlo; probabilmente è una delle abituali piacevolezze dì Don Bosco, riferentesi o a qualche frase della lettera qui accennata o a qualche circostanza personale. È questi il Buzzetti, della cui affezione per Don Bosco due belle pagine ha scritte Don Lemoyne nel quinto volume delle Memorie biografiche (pag. 524 - 5).
La tua lettera mi ha fatto piacere, e siccome in essa niente era segreto, l'ho fatta a leggere a diversi prelati che ne furono soddisfattissimi.
Continua, coraggio, Dio è con te. Fa' un saluto a tutta la tua scolaresca musicale e di' loro che desidero di udire una bella suonatina al mio ritorno e loro regalerò un bicchiere di quel là.
Dio ti benedica, mio caro Buzzetti, fa', o meglio, fate una S. Comunione per me. Nella prossima settimana a Dio piacendo, ci rivedremo.
9. A Monsignor Giuseppe Gastaldi.
Risponde alla lettera, in cui l'Arcivescovo gli parlava dell'oratorio di Chieri. In data 7 gennaio l'avvocato Menghini, [38] riferendo al suo illustre cliente intorno a una propria memoria defensionale sopra una causa che Sua Eccellenza aveva pendente dinanzi alla Sacra Congregazione del Concilio, si era espresso in questi termini: “Mi sembra pel momento e per politica mostrare qualche deferenza in verso D. Bosco, il quale è onnipotente col Card. Berardi, uno dei Giudici della S. Congregazione del Concilio. Perciò a far recapitare l’acclusa letterina a D. Bosco per sommo favore”[20]. Nella lettera a Monsignore manca la data; ma il cardinale di Canossa assicurò che l’incontro, qui mentovato, avvenne ai 14 di gennaio.
Colla massima consolazione ho ricevuto la venerata lettera di V. E. R.ma e mi tornò tanto più consolante in quanto che mi dà notizia della desiderata ed implorata da Dio sanità della E. V.
Appena avrò l’udienza del Card. Berardi non mancherò di fare gli atti di ossequio da parte di V. E. e non dubito che siano per essergli graditi. È però incomodato. In quanto a Chieri farò quello che posso per attivare un Oratorio per le ragazze ed un altro pei fanciulli; e mi è di massimo incoraggiamento l’approvazione e l’appoggio dell’autorità ecclesiastica.
Mentre scrivo giunge Mons. Canossa Vescovo di Verona e che per prima cosa mi domandò notizie della sanità di V. E. e fu meco contento di poterle dare assai soddisfacenti. Mi diè carico di fare i suoi omaggi.
Egli è a Roma e vorrebbe esimersi dall’Arcivescovado di Bologna a cui lo elesse il S. Padre facendolo Cardinale. Sarà però assai difficile che il S. P. modifichi tale sua decisione[21].
Prego Dio che la conservi in perfetta sanità, mentre ho l’alto onore di professarmi colla massima venerazione.
Le lettere che Don Bosco scriveva all'Oratorio, si leggevano quasi tutte in pubblico la sera dopo le orazioni. Il Beato Soleva salutare per nome allievi e Confratelli. Don Bologna, prefetto degli esterni, non essendosi mai inteso nominare, ne restò scontento. Don Bosco, saputolo, gli mandò questa lepida poesiola, nella quale fa particolare allusione allo studio di parecchie lingue intrapreso dall'operoso Salesiano, che desiderava partire per le Missioni; onde nella lettera a Don Cagliero il Beato glielo designava vicario generale nelle Indie.
Perchè ancora non ti ho scritto,
Manda un foglio[22], e la risposta
Ognun prega e il braccio tende:
Privazioni, affanni e stento!...
Dopo la morte di Don Chiala fu incaricato Don Barberis di preparare per la stampa le lettere dei Confratelli d'America.
Ti mando la lettera dei Missionarii. Osserva se non convenga togliere parecchie citazioni, nomi Inglesi, Irlandesi ecc.
Agli ascritti pel loro indirizzo[23] scriverò. Il Papa tiene il letto da due giorni: oggi è meglio. Mi ha ricevuto da coricato, e mi trattenni quasi un'ora a fargli compagnia. Di' agli ascritti che ho preparato per loro serie imprese; e che le potranno tutte compiere utilmente e mediante sanità, santità, sapienza.
Saluta Peretto[24] da parte mia e digli che tengo conto di sua lettera.
Mandami citissime il decreto dell'Opera di Maria Ausiliatrice.
Dio ci benedica; pregate molto, ed abbimi in G. C.
Era catechista degli artigiani. Addì 22 gennaio il Beato aveva scritto a Don Rua nella lettera, di cui abbiamo già riportato sopra due periodi: “Va' a dire agli artigiani, miei rari amici, che ho letto al S. Padre la lettera che D. Branda mi scrisse di loro, e che ne fu assai contento. Disse ripetutamente: - Dio benedica quei miei cari giovani; essi mi consolano assai; pregherò per loro, continuino ad esser buoni; preghino per me, che mi vo avvicinando al tramonto -”.
Le notizie che tu mi hai dato mi portarono grande consolazione. Il Santo Padre ascoltò la lettura di tutta la lettera, si mostrò contento e manda a tutti gli artigiani una speciale benedizione. Dirai ad [41] Arietti che è ancora tempo anche per lui; la misericordia di Dio è grande, ma che non differisca. Spero che mi consolerà con un buon S. Francesco.
Intanto dirai a tutti che io non li dimentico mai nella S. Messa, li ringrazio delle preghiere fatte per me che furono già in parte esaudite; continuino e saranno essi pur contenti anche temporalmente.
Salutali tutti da parte mia e credimi sempre in G. C.
Era il 29 gennaio, quando il Beato Don Bosco, celebrata la Messa in onore di san Francesco di Sales nella cappella domestica del signor Alessandro e preso commiato dai generosi suoi ospiti, lasciò Roma e si mise in viaggio alla volta di Magliano. Quivi lo attendeva alla stazione di Borghetto il Vescovo ausiliare del cardinal Bilio. Fatto breve cammino ecco arrivare i chierici del Seminario, poi i giovani convittori e gli alunni esterni coi loro maestri, e tutti baciarono la mano a Don Bosco. Il Servo di Dio, salutatili paternamente, montò nella carrozza del Vescovo, col quale proseguì fino alla città. Tosto si presentò all'episcopio il sindaco, accompagnato da una rappresentanza del Municipio per dargli il ben venuto. La mattina del 30, restituita la visita al sindaco, che era un signor Orsoli, veramente un poco, orso con i preti, ma conquiso dalle parole e dalle maniere di Don Bosco, assistette a una festicciuola fattagli dai seminaristi con la lettura di alcune poesie. Presa quindi la parola, il Beato diede loro, in terra classica, un classico ricordo, quello lasciato da Agesilao nell'occasione che visitò una scuola: non operare mai cose, delle quali in avvenire possiamo pentirci, operare sempre cose che ci possano in avvenire tornare di utilità. Nel terzo giorno chierici e giovani fecero l'esercizio della buona morte. Alla sera il sottotenente Graziano, di cui già si disse[25], venne da Viterbo, dove si trovava di guarnigione, e diresse una piccola accademia, nella quale fece cantare l'Orfanello e lo Spazzacamino [42] al suono della chitarra. Finalmente il 1° febbraio, detto addio ai confratelli e amici di Magliano partì per Firenze. Colà si fermò fino alla sera del 3 in casa della pia e caritatevole marchesa Uguccioni, ancora tutta costernata per la recente perdita del suo consorte. La mattina del 4 era a Torino, ricevuto al solito con il massimo tripudio nell'Oratorio.
Due giorni dopo il suo arrivo all'Oratorio, il Servo di Dio tornò a Roma in sogno. Fu un sogno profetico, che egli narrò privatamente ai direttori convenuti per le annuali conferenze; ne porremo qui il racconto, quale lo scrissero subito Don Barberis e Don Lemoyne. È necessario premettere che l'Eminentissimo. Monaco La Valletta, Vicario di Sua Santità dopo la morte del cardinal Patrizi, aveva pregato Don Bosco dì mandare alcuni Salesiani a dirigere l'Ospedale della Consolazione, che sorge a brevissima distanza dal Foro Romano. Mancava il personale; tuttavia Don Bosco, essendo la prima volta che il nuovo Cardinal Vicario chiedeva qualche cosa alla Congregazione, bramava ardentemente di appagarne il desiderio. La notte sul 7 di febbraio, andato a dormire con questo pensiero, sognò di ritrovarsi a Roma.
Mi parve di trovarmi di nuovo a Roma; mi recai subito al Vaticano senza neppur pensare al pranzo nè a chiedere l'udienza nè ad altro. Mentre mi trovavo in una sala, arriva Pio, IX ed all'amichevole si siede in un gran seggiolone o canapè a me vicino. Io, tutto meravigliato, cerco d'alzarmi in piedi e fargli i debiti ossequi; ma esso nol permise, anzi con premura mi fece forza che stessi lì seduto accanto a lui, e si incominciò a un dipresso questo dialogo.
S. Padre. Non è da molto tempo che ci siamo veduti.
D. Bosco. Veramente son pochi giorni.
S. Padre. D'ora in avanti ci vedremo con più frequenza, perchè vi sono molte cose a trattare. E intanto ditemi: che, cosa avete già fatto dopo la vostra partenza da Roma?
D. Bosco. Ci fu tempo a poco; si sono assettate varie cose interrotte per la mia assenza e poi si pensò a quello che si sarebbe potuto fare per i Concettini. Ma ecco che mi arriva domanda del Card. Vicario, perchè prendiamo la direzione dell'Ospedale della Consolazione. È la prima domanda che ci fa il detto Cardinale e vorremmo accondiscendere; [43] ma nello stesso tempo siamo imbrogliati per mancanza di personale.
S. Padre. Quanti preti avete già mandati ai Concettini? - Ed intanto mi fece passeggiare con lui tenendomi sempre per mano.
D. Bosco. Noi ne abbiamo mandato un solo e studiavamo appunto di mandarne alcuni altri, ma siamo impacciati perchè non ne troviamo.
S. Padre. Prima di pensare ad altro procurate di provvedere a Santo Spirito. - Poco dopo il Santo Padre ritto sulla persona colla faccia alta e quasi raggiante di luce, mi stava guardando.
D. Bosco. Oh santo Padre, se potessero mai i nostri giovani vedere la vostra faccia! Io credo che resterebbero fuori di sè per la consolazione. Essi vi vogliono tanto bene!
S. Padre. Questo non è impossibile... Chi sa che non possano ancora vedere compiuto questo loro desiderio?
Ma intanto quasi gli venisse male, appoggiandosi qua e là, va come per sedersi sopra di un canapè e seduto che fu vi si prostese sopra, distendendovi tutta la persona. Io credeva che fosse stanco e che volesse adagiarsi per riposare un poco e perciò cercai di mettergli un capezzale un po' elevato sotto il capo per sostenerlo; ma esso non volle e distese anche le gambe, mi disse: - Ci vuole un lenzuolo bianco da coprirmi da capo a piedi.
Io stava tutto attonito e stupefatto a rimirarlo: non sapevo che cosa dovessi dire, nè che cosa dovessi io fare. Non intendeva nulla di ciò che accadeva.
In quel mentre il S. Padre si alza e dice: - Andiamo.
Arrivati in una sala ove erano molte persone di dignità ecclesiastica il Santo Padre, senza che gli altri vi badassero, s'incammina verso un uscio chiuso. Io prestamente apro l'uscio, acciocchè Pio IX che era già vicino potesse passare. Vedendo ciò uno dei prelati si mise a crollare il capo ed a borbottare: - Questa non è cosa che spetti a Don Bosco; vi sono persone apposite a fare questo ufficio.
Mi scusai alla meglio, facendo osservare che io non mi arrogava alcun diritto, ma che apersi la porta non essendovi alcun altro che il facesse e ciò perchè il Papa non s'incomodasse e non vi inciampasse. Il Santo Padre avendo udito, si volse indietro sorridendo e disse: - Lasciate che faccia; sono io che lo voglio. - Ed il Papa, passata questa porta, non apparve più.
Io dunque mi trovava lì tutto solo e non sapeva più dove fossi. Voltandomi qua e là per orizzontarmi vidi che da una parte vi era Buzzetti. La sua vista mi fece molto piacere. Io voleva dirgli qualche cosa, quando egli avvicinatosi a me: - Veda, mi dice, che ha le scarpe guaste e malandate.
D. Bosco. - Lo so. Che vuoi? Ne hanno già fatto dei giri queste scarpe; sono ancora quelle che avevo quando andai a Lanzo; vennero [44] a Roma già due volte: sono già state in Francia ed ora sono già di nuovo qui. Certo che debbono essere logore.
Buzzetti. Ma adesso non possono assolutamente più portarsi; non vede che i talloni sono già tutti rotti ed ha i piedi per terra?
D. Bosco. Questo va tutto bene: ma adesso dimmi; sai tu dove siamo? Sai che cosa facciamo qui? Sai il perchè sono qui?
D. Bosco. Dimmi adunque: sogno io, oppure quello che vedo è una realtà? Dimmi presto qualche cosa.
Buzzetti. Stia tranquillo che non sogna; è tutto vero quello che vede. Qui siamo a Roma nel Vaticano. Il Papa è morto. E tanto è vero questo, che ella volendo uscir di qui avrà delle difficoltà e non troverà la scala.
Allora io mi affaccio alle porte, alle finestre e trovo case infrante e diroccate da ogni parte e le scale rotte; e frantumi in ogni luogo.
D. Bosco. Ora qui mi avvedo proprio che sogno: poco fa io sono stato in Vaticano e col Papa, ma non vi era niente di tutto questo.
Buzzetti. Queste macerie furono prodotte da uno scrollo improvviso che avverrà dopo la morte del Papa, poichè tutta la Chiesa alla di lui morte sarà scossa terribilmente.
Io non sapevo nè che dirmi nè che farmi. Volevo ad ogni costo discendere dal luogo ove mi trovava; faccio la prova, ma temeva di rovinare in qualche abisso.
Tuttavia io tentava discendere, ma molti tenevanmi chi per le braccia, chi per la veste ed uno mi teneva forte pei capelli e non mi lasciava andare a nessun costo. Io mi son messo a gridare: - Ahi! mi fai male! - E tanto fa il dolore che soffersi, che mi svegliai trovandomi nel letto in camera.
Il Servo di Dio, se non credette di tenere per sè questo sogno singolare, proibì nondimeno ai Direttori di parlarne con chicchessia, esprimendo anzi il parere che per allora non fosse da farne verun caso. Ma ben si vide di lì a un anno preciso, che non trattavasi punto di sogno comune; infatti proprio sul principiare della notte dal 6 al 7 febbraio il grande Pontefice Pio IX, dopo una rapida malattia, rese la sua bell'anima al Signore.
Dopo la prima fase, ricca di belle promesse[26], le cose dei Concettini si vennero imbrogliando sempre più. Vi fu chi considerò come un grave smacco inferto al clero romano il ricorrere all'opera di un prete forestiero per la direzione e l'ordinamento di un Istituto nella città di Roma, quasi che non ci fossero in Roma sacerdoti nè Ordini religiosi buoni a tanto. Simili doglianze vennero portate anche dinanzi al Papa e a più riprese e in forme quasi ufficiali.
Alle opposizioni esterne si aggiunsero difficoltà e resistenze interne. La gestione dell'Istituto andava così male, che le autorità civili volevano togliere ai Concettini l'Ospedale di Santo Spirito. Lo stesso principe Borghese, deputato laico, ebbe a dire: - Mi contano che Don Bosco fa miracoli; io non ci credo: ma, se aggiusta l'affare dei Concettini, sarà quello il più grosso dei miracoli. - Vi regnava infatti il massimo disordine. Alcuni Fratelli non erano stati mai neppure ammessi alla Comunione; molti da anni non frequentavano più i Sacramenti; ogni idea di vita religiosa, nonostante l'abito che indossavano, a poco a poco si andava perdendo. Inoltre sul conto di Don Bosco tante male voci si erano sparse, che quasi tutti avevano di lui una grande paura. [46]
Durante il mese di gennaio egli li visitò più volte, disse da loro la Messa, vi stette a pranzo, sicchè vide, udì, parlò e con la grazia del Signore sembrava che tutto fosse in via di accomodamento. La maggior parte chiesero subito di confessarsi e presero a frequentare i Sacramenti. Molto per altro rimaneva a fare; bisognava dar tempo al tempo, procedendo con lentezza e cautela. A ogni modo il Santo Padre, conosciuti i primi risultati, ne restò così soddisfatto e contento, che quasi non capiva in sè dalla gioia.
Ma l'idea dello smacco montava ancor sempre la testa a certuni. Una deputazione si presentò al Papa, introdotta da un alto Prelato, per suggerirgli che affidasse quella direzione ai Gesuiti. Il Santo Padre, benchè disgustatissimo, fece osservare con bontà che, se quel mattino egli avesse mandati i Gesuiti a Santo Spirito, un tumulto di gentaglia avrebbe prima di sera messo sossopra l'Ospedale, chiedendo freneticamente la cacciata dei Padri, e si degnò pure di aggiungere che, avendo già i Salesiani dato buona prova, non si vedeva alcuna necessità di chiamarvi altri. Andate, disse poi al Prelato, dite voi stesso a Don Bosco, che io sono contento di lui; ditegli che tenga quella direzione e che faccia venire presto i suoi figli. Voglio anzi che ogni Salesiano riceva il suo regolare stipendio dall'amministrazione dell'Istituto e sia provvisto di tutto l'occorrente. - A persona di fiducia il Santo Padre aveva anche detto: - Cercano ogni mezzo per farmi fare cattiva figura! Povero Don Bosco! Egli è generoso e fa tutto quello che può.
Nè il Papa si fermò lì. Per impedire che pettegolezzi, ingerenze o disturbi di qualsiasi genere intralciassero l'opera del Beato, stabilì che il Direttore salesiano dei Concettini dipendesse direttamente dal Papa e una volta al mese venisse a regolare udienza. Di questa disposizione Don Bosco andava lietissimo anche per il vantaggio che ne poteva derivare alla Congregazione nella trattazione de' suoi affari.
In tutto questo negozio il deus ex machina era monsignor [47] Fiorani, il commendatore di Santo Spirito. Ora egli, qualunque ne fosse il motivo, manifestava ogni di più certe sue vedute personali che mal si conciliavano con le intenzioni manifestate dal Papa. Il punto capitale per lui stava qui, che ci avessero a essere due dirigenti col titolo di Visitatori Apostolici, uno nella persona di Don Bosco per le cose spirituali e l'altro in quella di Monsignore per le temporali. Ma una famiglia così bicipite come avrebbe potuto vivere? Don Bosco era persuaso che per tal modo, quanto alla riforma dell'Istituto, si sarebbe fatto un buco nell'acqua. Voleva parlarne seriamente col Papa; ma non gli fu più possibile avere udienza, sicchè dovette rassegnarsi a ultimare la trattative per mezzo dello stesso monsignor Fiorani. Allo stringere dei conti questi gli significò essere volontà del Papa che si addivenisse all'anzidetta divisione dei poteri. Ciò udito, Don Bosco si tacque e accettò l'esperimento.
Esperimento diciamo, perchè egli considerò sempre come transitorio tale stato di cose, ritenendolo per lo meno inefficace allo scopo inteso dal Papa. Lo disse anche a Don Barberis, che ne raccolse le parole nella sua cronaca sotto il 1° maggio: - Quando a Roma mi si parlò la prima volta dei Concettini, io dissi subito essere necessario che, per riuscire nell'intento, i Concettini fossero rifusi nei Salesiani, ritenendo essi soli il loro scopo di Ospedalieri. Approvando il Papa questo pensiero, io scrissi un progetto che incontrò il suo gradimento. Sorsero in seguito vari intrighi, vari imbrogli, e si dovettero moderare le cose; ma tali modificazioni furono stese solo per un momentaneo accomodamento: dura tuttavia il mio primo disegno approvato dal Papa.
L'esperimento pertanto fu concretato, in un decreto, che a nome del Santo Padre la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò il 6 febbraio 1877. Quel decreto conteneva sette articoli: 1° Don Bosco Visitatore Apostolico a vita, nelle sole cose spirituali; i suoi successori non più a vita, ma ad nutum della Santa Sede. 2° Monsignor Fiorani Visitatore [48] Apostolico nelle cose temporali, e così i suoi successori pro tempore. 3° Sospesa la giurisdizione del Superiore Generale dei Concettini. 4° I due Visitatori autorizzati a subdelegare in loro vece rispettivamente un Salesiano e un Ecclesiastico del clero secolare o regolare. 5° Il Visitatore in spiritualibus tenuto a destinare un Salesiano alla direzione spirituale dei professi e un altro Salesiano a quella dei novizi, secondo le Costituzioni dei Concettini che dovevano restare immutate. 6° Autorizzato il Visitatore in temporalibus, d'intelligenza col Visitatore in spiritualibus, a fare le ammissioni dei postulanti all'abito e dei novizi alla professione, come pure al licenziamento dei novizi giudicati non atti all'Istituto; autorizzato inoltre a provvedere, sempre d'accordo col suo collega, all'assegnazione e rinnovazione degli Uffizi. 7° Relazione triennale alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari da parte di entrambi i Visitatori[27].
La condizione creatasi con questo decreto venne così descritta dal Beato nel surriferito colloquio: - Per ora è deciso che Don Bosco comandi in tutto ciò che riguarda il bene delle anime e il progresso della Congregazione. Monsignor Fiorani ne sarebbe il capo materiale. Avrebbero anche il sindaco, come lo chiamano, o provveditore generale, che si arricchisce alle loro spalle, facendo lui tutte le spese in grande e rivendendo le cose al minuto. Avrebbero ancora un direttore generale scelto fra loro medesimi. Con tanti Superiori credo che non sappiano neppur essi a chi obbedire, e con questo regime non vedo come possa prosperare quella Congregazione. Ora si tratta di ridurre un poco per volta i Concettini ad essere veri Salesiani, osservando le nostre Regole e, quanto al modo di eseguirle, servendosi delle loro come di manuale pratico. Essi però, sobillati da alcuni Cappuccini e dai sindaci che vivono a loro spese, commossi da mille voci che corrono, vorrebbero conservare la loro autonomia. Anche [49] Monsignor Fiorani, il quale aveva scritto e riscritto come con poche parole si sarebbe aggiustato l'affare, vista la mia risolutezza, mandava le cose in lungo. Ma non si sarebbe ancora concluso nulla e chi sa per quanto tempo sarebbero durate le trattative, se io non andava a dire che avevo assoluto bisogno di partirmene e che me ne sarei partito, fossero o no aggiustate le cose. Finora non c'è altro di nuovo; ma noi dobbiamo tendere alla meta, raccomandando generalmente l'obbedienza ai Superiori, senza specificare nessuno.
Un saggio degli umori che serpeggiavano nell'Istituto si ebbe a Torino sul principio dell'estate. Un tal Fratello Pietro Concettino arrecava gravi disturbi alla comunità con la sua pessima condotta. Don Bosco, com'era di sua competenza, se lo fece mandare a Torino per ammonirlo. Venne il Fratello senza conoscere bene il motivo della chiamata. Arrivato a Torino e saputo di che si trattava, montò su tutte le furie e ripartì immediatamente per Roma.
Ritorniamo ora alcuni mesi indietro. In febbraio fu sollevata intorno al fondatore dei Concettini una polemichetta, che attizzava nei Fratelli il fuoco della discordia fra chi era pro e chi era contro la nuova direzione sottentrata a quella dei Cappuccini. Vi diede occasione una corrispondenza particolare da Roma a L'Unità Cattolica, nel cui numero del 28 gennaio sotto il titolo “Don Bosco e i Concettini” si leggeva: “Da qualche settimana tra noi si parla molto di Don Bosco e dei Concettini, ed io credo opportuno di esporvene il tema e rettificare notizie che possono diffondersi inesatte e forse dannose. Diconsi Concettini i Fratelli ospedalieri di Maria Immacolata, che hanno per iscopo l'assistenza agli ammalati, prestando loro i più abietti servigi. Essi furono fondati da un certo Pezzini Cipriano da Cremona nel 1854 in onore dell'Immacolata Concezione, e fin dal loro principio assistiti, coltivati e consolidati dal Padre Cappuccino Giovanni Battista Taggiasco da Genova. La loro casa madre è sempre stata l'ospedale di Santo Spirito in Roma, e siccome tra essi [50] non vi son sacerdoti, anzi sono esclusi gli studi classici e letterari, così la direzione spirituale ne fu per regola affidata ai reverendissimi Padri Cappuccini. Ma, a cagione dei tempi che corrono, e per le incessanti domande che si facevano in vari ospedali per avere dei Concettini, non si era potuto stabilire un vero noviziato, e quindi nemmeno una regolare osservanza delle loro Costituzioni. In questo momento lo stato degli Ordini religiosi non permettendo più ai Cappuccini di prestare la necessaria assistenza, l'Istituto dei Concettini si andava sfasciando. Il Santo Padre, che sempre guardò con occhio benevolo questo Istituto pel gran bene che può fare specialmente quando gli ammalati sono in pericolo di vita, volle egli stesso farsi loro protettore. Fatto pertanto chiamare Don Bosco, gli espose il suo desiderio intorno alla organizzazione di questi figli di Maria Immacolata, accennando pure come esso, il Santo Padre, aveva già fatto appositamente fabbricare una casa in piazza Mastai da destinarsi pel noviziato dei Concettini. Don Bosco accettò di buon grado la proposta di Sua Santità, col nome di Visitatore Apostolico ad vitam, con pieni poteri, e per mezzo di alcuni sacerdoti salesiani si darà cura di stabilire il voluto noviziato e la vita comune, la cui mercè il novello Istituto potrà conseguire il non mai abbastanza lodato scopo, che è di sollevare moralmente e corporalmente la sofferente umanità, massime negli estremi della vita”.
Un Padre Valentino da S. Remo, Cappuccino, già direttore dei Concettini, letto quest'articolo, ne fu indignato, giudicandolo “in tutto e per tutto falso, tranne dove dice delle premure del S. Padre a pro dell'Istituto”; inviò quindi subito da Anagni al Direttore del giornale torinese una vibrata protesta, accompagnandola con una rettifica scritta “di proprio pugno, diceva, dal P. Giovanni Battista Taggiasco” suo confratello residente in Roma alle Sette Sale e presentato quale “vero e reale fondatore dei Concettini”. S'intendeva così di rispondere “al menzognero articolo” e “Risarcire [51] l'offuscato onore dell'Ordine Cappuccino e mettere in chiara luce un fatto noto” a quanti in Roma avevano “Relazione con l'Archiospedale di Santo Spirito”. Ma L'Unità Cattolica, in ossequio a Don Bosco, che aveva compilato la precedente corrispondenza sopra dati raccolti fra gli stessi Concettini più anziani[28], rifiutò di stampare lo scritto del Padre Valentino, il quale allora lo pubblicò in un periodico francescano[29]. Secondo la sua versione, i Concettini sarebbero stati fondati nel 1857 dal detto padre Taggiasco, coadiuvato da altri suoi Confratelli, per sostituire, nell'assistenza degl'infermi, ai secolari infermieri religiosi. A conferma della propria tesi recava una dichiarazione analoga del Concettino Fratello Crispino da Roma, la cui testimonianza però è dichiarata grandemente sospetta dal segretario di Don Bosco, per motivi che qui non vale la pena di riferire.
Se non che nei nostri archivi esiste anche un'altra dichiarazione autografa del primo annalista dei Concettini, il quale, vestito l'abito nel '58, cominciò a scrivere gli annali dell'Istituto nel '60. Orbene, in data 23 novembre 1876, questi dichiarava e affermava “per la pura verità, pronto a confermarlo anche con giuramento”, che egli aveva raccontato la storia delle origini “sotto l'ispirazione ed influenza” dei Padri Cappuccini, che erano allora direttori dei Fratelli ospedalieri, ignaro dei primi antecedenti corsi fra il P. Giambattista ed il giovane Pezzini Cipriano da Cremona, che aveva poi riconosciuto esserne stato il solo primo e vero autore. Dopo di che prosegue: “Laonde, come confermo tutto ciò che è posteriore al mio ingresso nell'Istituto, così dichiaro inverosimile o almeno di dubbia fede tutto che concerne l'antecedente”. Don Bosco dunque era bene informato.
Questa controversia non ebbe strascichi, fors'anche perché [52] Don Bosco, fedele al suo metodo di lasciar cantare le passere, non interloquì nè per sè nè per mezzo d'altri.
Al principiare di marzo monsignor Fiorani, valendosi della facoltà conferitagli dal decreto 6 febbraio di assegnare gli uffici al personale, non senz'aver prima interpellato il Servo di Dio, chiamò il Fratello Luigi Maria Monti milanese ad assumere la carica di Superiore dell'Istituto. Era questi un Concettino di buono spirito e membro della religiosa famiglia fino dagl'inizi. Suo primo atto fu di rendere omaggio a Don Bosco, professandoglisi riconoscente “per il tanto bene che prestava all'Istituto e quindi a loro poveri fratelli Concettini”. Appresso effondeva l'animo suo in questi affettuosi sentimenti: “Noi certamente non abbiamo lingua abbastanza per ringraziare la Paternità Vostra Rev.ma dell'opera che presta, onde migliorare la nostra condizione; e noi non abbiamo da poterla compensare: avrà però l'eterna retribuzione da Dio e dall'Immacolata nostra Madre. Finora non ho avuto il bene di poterla conoscere, ma ravviso il Padre dalle opere del Figlio”[30]. E voleva dire del direttore Don Scappini.
I due primi mesi furono per il novello Superiore pieni di tribolazioni. I disordini ormai erano tali, da non potersi più tenere nascosti agli occhi del pubblico, che ne pigliava scandalo. Gli bisognò licenziare dall'Istituto otto Fratelli e una ventina d'inservienti. Estirpata la zizzania maggiore, si principiò a godere un po' di pace. Torna a sua lode il fatto che in ogni provvedimento di tal genere egli non moveva una paglia senza consigliarsi col Direttore spirituale Don Scappini. Ma spiacenti intoppi attraversavano la via a impedire il risorgere e il rifiorire dell'Istituto. Alcuni Fratelli, brigando con influenti personalità esterne, creavano sotto l'aspetto di zelo continui imbarazzi; monsignor Fiorani si lasciava menare per il naso da un suo servo, a cui prestava troppa fede, e da qualche altro, che pur avendo buona intenzione, [53] ma non avendo buon discernimento finiva con mostrargli lucciole per lanterne, procurando forti dispiaceri al povero Don Scappini; questi poi, benchè tribolato la parte sua, doveva far animo al Fratel Monti, che, non meno tribolato di lui, in lui unicamente trovava sostegno.
“Devo gratitudine, ripeteva egli a Don Bosco[31], alla Paternità Vostra del bene che da Lei ricevo, e ricevono i miei Confratelli nella persona di Don Giuseppe, nostro ottimo Direttore e vera copia del Padre”.
Non vogliamo che cada nell'oblio una frase del Beato, la quale non è qui fuor di proposito ricordare, sebbene proferita in altra occasione. La disse egli al coadiutore Barale, di cui allora il buon Padre apprezzava l'opera fedele. Quegli un giorno chiese a Don Bosco se, di fronte alle gravi difficoltà presenti e alle minacciose incognite future, non pensasse di sbarazzarsi della cartiera acquistata a Mathi; ma il Servo di Dio gli chiuse la bocca, rispondendogli risoluto: - Don Bosco, quando ha messo mano a un'impresa, non è uomo da arrestarsi a mezza via. L'affare dei Concettini non ne è una prova? Erasi obbligato al famoso esperimento, a malincuore, se si vuole, perchè lo giudicava espediente di nessuna efficacia: ma vi si era obbligato, e impegnatosi a quel modo, spiegava in quel senso lealmente la sua azione, senza indietreggiare nè rallentarsi per contrarietà derivanti dal mal adottato sistema e in pari tempo senza perdere di mira la forma di soluzione che egli stimava la più acconcia a raggiungere l'intento e la più conforme al desiderio del Papa. Eccolo quindi una terza volta, nel giro di men che otto mesi, affaticarsi, stillarsi il cervello e, diciamolo pure, dolorare a Roma per fare seriamente quel bene che Pio IX voleva. Ma anche in questo agì con somma prudenza.
Si preparavano a Roma per i primi di giugno grandi festeggiamenti in onore di Pio IX, che celebrava il suo giubileo [54] episcopale. Don Bosco volle che la Congregazione vi fosse rappresentata. Stabilì pertanto di mandare con questa missione nella città eterna Don Lazzero e Don Barberis; ma, senza lasciar trapelare che vi avrebbero preceduto lui stesso, volle che facessero un viaggio e due servizi. Per motivi di economia cominciò a pregare monsignor Fiorani che ai suoi due inviati desse alloggio nella casa dei Concettini; ma più che a risparmiare sulle spese, egli mirava a ottenere che essi avessero ogni libertà di parlare con Don Scappini e di conoscere direttamente come andassero ivi le cose. Poi venne il meglio. Detto a Monsignore che i suoi due rappresentanti erano il Direttore della casa madre e il Direttore del noviziato salesiano, gli proponeva di metterli in relazione con quei religiosi e di servirsi liberamente dell'opera loro, se mai credesse di valersene in qualche cosa; anzi, caso mai i Concettini non avessero ancora fatto gli esercizi spirituali, non avrebbero potuto i suoi due preti predicarli? Monsignore ne conferì con Don Scappini, e quest'ultima proposta fu trovata ottima. Don Scappini, che fece la risposta al Beato, lo assicurò per parte sua che non ci poteva essere scelta migliore e che i due vi erano ansiosamente aspettati. Partirono il 28 maggio da Torino. Terminate le feste giubilari, fecero la loro predicazione. “Gli esercizi, scrisse uno dei predicatori[32], andarono bene oltre ogni nostra e anche loro aspettazione. Oggi, come ultimo giorno e giorno di chiusa, abbiamo pranzato tutti insieme a Santo Spirito; fu proprio una festa di famiglia. I Concettini ci vogliono proprio molto bene, farebbero per noi qualunque sacrifizio; ma guai se si toccasse la loro autonomia! Quindi le cose loro rispetto a noi staranno ancora per l'avvenire in statu quo”.
Quando questa lettera partiva da Roma, a Roma da nove giorni si trovava Don Bosco. Vi aveva accompagnato l'Arcivescovo di Buenos Aires, venuto in Europa a capo del pellegrinaggio [55] argentino; ma giunto che fu, il Beato parve non essere là se non per i Concettini. Fra l'altro stese un lungo memoriale per il Santo Padre, a cui volle render conto degli inconvenienti causati dall'assetto che erasi preferito dare all'Istituto, insistendo sulla necessità di tornare al primo proposito. Fece leggere lo scritto a Don Scappini e agli altri due, e con loro lungamente lo discusse, toccando e ritoccando, fin chè gli sembrò che andasse. Il Papa era molto occupato nelle cose del giubileo; numerosi Vescovi attendevano l'udienza. Tuttavia Don Bosco seppe che di lui si lagnava, perchè non venisse a parlargli dei Concettini; “ma come avvicinarlo?”, chiedeva a se stesso, scrivendo a Don Rua[33]. Il 10 giugno prese parte a un'udienza pubblica; quando il Papa nel suo giro fu da lui, Don Bosco gli domandò qualche minuto per parlargli privatamente. - Troppo volentieri vi ascolterò, rispose Pio IX; abbiate solo pazienza che sia passata la furia dei pellegrini, affinchè si possa trovare un istante di tempo. - Dell'udienza privata il Servo di Dio fece domanda anche per iscritto; ma indarno aspettò risposta. Visto così, non potendo prolungare di troppo la sua dimora a Roma, nè riuscendogli di umiliare personalmente al Papa la sua relazione, la consegnò al Cardinal Vicario, affinchè nel tempo e nel modo più opportuno gliela rimettesse, e senza più aspettare se ne tornò a casa.
Due erano le parti più importanti di questa relazione: una, l'enumerazione dei mali esistenti nell'Istituto dei Concettini, e l'altra, la proposta dei provvedimenti atti a eliminarli per l'avvenire. Cinque cose specialmente vi lamentava Don Bosco: 1° La mancanza di un regolare noviziato. 2° La persuasione che era nei Fratelli di sapersi governare da sè, mentre non possedevano nè istruzione nè pratica per tutto ciò che è governo di una società religiosa. 3° La moltitudine dei Superiori, che, comandando ognuno per conto suo [56] senza intendersi fra loro, s'intralciavano a vicenda. 4° L'assenza di voti e l'impreparazione generale a emetterli; onde risse e minacce reciproche, insubordinazioni contro i Superiori, diserzioni dall'Istituto. 5° Nel caso di un'eventuale professione religiosa, incertezza circa il Superiore a cui fare i voti e circa le Regole su cui farli. Cinque erano pure i provvedimenti principali, a cui urgeva metter mano, se si voleva fare opera duratura: 1° Attivare un noviziato, ma lontano all'Ospedale di Santo Spirito. 2° Fare la professione religiosa sulle Costituzioni salesiane. 3° Non accettare ospedali, dove i Fratelli avessero comunanza di lavoro con persone dell'altro sesso, a meno che fossero totalmente e rigorosamente separate le abitazioni. 4° Evitare la necessità di dover assumere infermieri secolari. 5° Assoluta unità di comando. Il Beato terminava il suo esposto offrendo al Santo Padre i più umili e volonterosi servigi da parte dei Salesiani in tutte le cose, nelle quali allora e da poi piacesse alla Santità Sua di adoprarli[34].
Il Santo Padre misurò tutta la gravità e la portata del documento. Volendo pertanto che i Concettini raggiungessero lo scopo della loro istituzione, nè potendo prendere direttamente in esame l'affare, deputò a tal uopo il cardinal Randi, e ne rese edotto Don Bosco il 20 giugno per il tramite del cardinal Simeoni, Segretario di Stato[35]. Il cardinal Randi, presa visione del memoriale di Don Bosco, fissò la propria attenzione massimamente, su quei punti, donde appariva come Don Bosco per difetto d'indipendenza si sentisse a disagio nell'esecuzione del suo mandato. Letto il decreto 6 febbraio, dovette riconoscere che veramente esso non era abbastanza chiaro nel determinare le attribuzioni del Visitatore Spirituale e dava luogo nella pratica a difficoltà da prima non prevedute; quindi ritenne opportuno che dichiarazioni più esplicite togliessero di mezzo ogni dubbio e chiudessero [57] la porta a eventuali conflitti. Interrogò pure l'altro Visitatore per la economia, dal quale ricevette schiarimenti in proposito, non che l'assicurazione, che egli non aveva mai personalmente posto, nè intendeva di affacciare per l'avvenire alcuna difficoltà all'esercizio della Visita Spirituale. Ciò fatto, il Cardinale si rivolse a Don Bosco, pregandolo di manifestargli il suo “pregevole sentimento” a questo riguardo e insieme d'indicargli quelle ulteriori osservazioni ch'ei credesse di addurre.
Tutta la lettera non poteva essere scritta in termini più onorevoli per Don Bosco. Il Beato però non potè rispondere con la sollecitudine desiderata, perchè in quei giorni accompagnava l'Arcivescovo di Buenos Aires nella Liguria e per la Francia; onde una replica di Sua Eminenza, che, vedendo quanto premesse al Santo Padre la pronta sistemazione dell'affare, stimolava Don Bosco a far note premurosamente le sue definitive osservazioni. Oltre a questo il direttore Don Scappini, essendosi buscate le febbri, caso non infrequente ai forestieri che capitavano a Roma prima che le acque del Tevere fossero arginate, erasi restituito da alcune settimane alle arie del nativo Piemonte; perciò il Cardinale pregava pure Don Bosco d'inviare presto colui che destinava a sostituirlo[36]. Il Servo di Dio, subito che gli fu possibile, si affrettò a rispondergli, ribadendo il concetto che ne aveva informato il disegno fino dall'apertura delle trattative e a cui non trovava alcuna ragione di rinunziare.
Nella persuasione che la E. V. si degni dare benevolo compatimento al mio ritardo, mi fo dovere di riscontrare alle sue venerate lettere che si riferiscono ai fratelli Ospedalieri dell'Immacolata, comunemente Concettini. A vie meglio esprimere il mio concetto, credo bene richiamare le cose al suo principio.
Nel novembre dell'anno scorso 1876, il S. Padre si degnava di farmi chiamare dall'Em. Bilio. Recatomi a Roma, S. S. mi parlò [58] della sistemazione che desiderava dare ai Concettini. Di tutto buon grado accettai la proposta, ma affinchè la sua volontà fosse fedelmente eseguita, lo supplicai volermela dare scritta, e ciò fu fatto per mezzo del Rescritto del 15 Novembre dello stesso anno. Messomi a fare gli studi opportuni ed in conformità del mentovato Rescritto dopo un mese e mezzo poteva umiliare a S. S. le basi sopra cui sembravami potersi fondare la progettata sistemazione. Ogni cosa piacque a S. S. e S. E. Mons. Fiorani mi notificava che tutto andava bene, nè altro occorreva che un breve colloquio per mettermi definitivamente all'opera, e che venendo a Roma conducessi meco almeno un Sacerdote il quale tosto si assumesse la direzione dei Concettini. Ma invece mi incominciò allora a parlare di modificazioni e lasciare press'a poco le cose come prima si trovavano. Allora volli parlare al S. Padre che verbalmente confermò quanto si conteneva nel mentovato Rescritto. Dopo non potei più aver l'onore di ossequiare S. S. e dovetti sempre esporre le cose per mezzo di Mons. Fiorani, il quale continuò nel pensiero che fosse cosa migliore il deputare lo scrivente Visitatore Apostolico nello spirituale, ed il prelodato Monsignore nelle cose temporali. A me sembrava difficile che i due capi di una medesima famiglia potessero formare un comando uniforme che tornasse a tutti di gradimento. Ma avendomi detto che tale era la volontà del S. Padre, io mi tacqui, ed accettai la prova, in cui però fin da principio ravvisava molte difficoltà, siccome ho avuto l'onore di esporre nel promemoria umiliato a S. S. che suppongo sia pervenuto nelle mani di V. E. Rev.ma. La prego di notare che ho redatto quel promemoria non per fare un sottomano, ma unicamente perchè non potei parlare verbalmente al Santo Padre.
Ora considerato lo stato dei Concettini, come Visitatore Apostolico, non saprei proporre se non quello che ho accennato nel promemoria mentovato. Se pertanto si vuole un provvedimento sicuro, stabile, definitivo, secondo me, è quello stabilito fin da principio dall'illuminata sapienza del S. Padre. Se poi si vuole tentare un altro provvedimento, sarebbe di affidare l'antica direzione dei Concettini a S. E. il Comm di S. Spirito, mentre i Salesiani, come Cappellani, si presterebbero unicamente alla parte spirituale di Catechismo, predicazione, ascoltare le confessioni e celebrare la Santa Messa a favore dell'Istituto. Ma in questo caso i Salesiani non hanno alcuna responsabilità nè materiale nè morale: vivrebbero separati dai Concettini e si recherebbero soltanto presso di loro per ciò che concerne ai doveri spirituali dei medesimi. Quest'ultimo pensiero incontrerebbe qualche facilità nella sua attuazione, perchè i Salesiani dovendo aprire un piccolo ospizio per coloro che sono di passaggio, o che per affari devono dimorare in Roma, possono anche qui alloggiare i preti destinati pei Concettini.
Esposto con tutta sincerità il mio modo di vedere, attendo ora la [59] carità de' suoi riflessi. Qualora però il S. Padre desiderasse altrimenti, io non farei la minima osservazione, e tutti i Salesiani si terranno unanimi ai venerati voleri del nostro benefattore Pio IX.
Ho potuto parlare con D. Scappini, il quale per le febbri avute, stette male alquanti giorni. Ora sembra un po' migliorato, e fra pochi giorni, se vedo che non possa andare Egli stesso, provvederò almeno un altro prete pel servizio religioso dei Concettini.
Non certo il Santo Padre si poteva opporre a una revisione del decreto 6 febbraio nel senso proposto da Don Bosco, in quanto che per tal modo si venivano ad attuare meglio le reali intenzioni pontificie. Ecco perchè il cardinal Randi pregò il Beato di condursi nuovamente a Roma o di munire delle istruzioni e facoltà necessarie il Salesiano, che avrebbe ripreso la direzione dei Concettini. La presenza del qual Salesiano in Roma si faceva urgentissima, sia perchè senza di lui le pratiche religiose dell'Istituto rimanevano trascurate, sia perchè bisognava con opportune istruzioni preparare per la festa dell'Immacolata alla prima emissione dei voti i soggetti riconosciuti degni[37]. La pronta e limpida risposta del Beato ne fissava in modo inequivocabile e definitivo il pensiero.
Come la S, V. Rev.ma si compiace di scrivere, sarebbe necessario che certi affari fossero trattati di presenza. Ed io appunto nella mia lettera non mi sono abbastanza bene espresso. Io voleva semplicemente dire che, se si vuole un provvedimento stabile, bisogna che i Concettini siano aggregati ad un Istituto dalla Santa Sede riconosciuto ed approvato. Dei Concettini si conservi l'abito, il nome, lo scopo e tutte quelle Regole che sono necessarie a sostenere il loro fine. Questo fu sempre il mio modo di vedere per assicurare un'esistenza sicura che non devii dalla osservanza delle proprie Costituzioni. Questo mi pare sia il senso del Rescritto del 17 Novembre 1876.
Nel caso poi, come nota V. E., si voglia tener ferma la regolare e [61] che la riforma dei Concettini sarebbe stata affidata temporaneamente a ecclesiastici di Roma sotto la dipendenza del Cardinale Vicario. Il cardinal Randi biasimò l'affrettata partecipazione, fatta a Don Bosco in forma tanto sconveniente e prima che le cose fossero solidamente risolute[38]; ma non si tornò più indietro, e Don Bosco per tutto lo zelo da lui posto nell'affare dei Concettini si ebbe questo così poco invidiabile benservito. La causa di tutto ciò si comprenderà meglio, quando si conosceranno a fondo le mene de' suoi avversari. Per il momento il miglior epilogo sia questa lettera del nostro Beato al cardinal Luigi Bilio: a colui che sull'affare aveva detto a Don Bosco la prima parola, Don Bosco indirizzava la parola che fu l'ultima.
La Em. Vos. Rev.ma. che fin da principio ebbe gran parte nella ingerenza da me avuta pella direzione dei Confratelli Ospitalieri, detti Concettini, è certamente in grado di poter conoscere ed apprezzare lo stato delle cose che qui brevemente accenno.
La bontà del Santo Padre per mezzo di Vos. Em. Rev.ma degnavasi chiamarmi a sè colle più affettuose espressioni. Io desidero, egli mi disse, che voi prendiate cura dei Concettini, che hanno una missione sublime e possono giovare assai gli ammalati a fare una buona morte. Ma voi non dovete o riformare o correggere, ma creare o meglio immedesimare le Costituzioni dei Concettini con quelle dei Salesiani. Sebbene conoscessi l'importanza e la delicatezza dell'incarico, tuttavia mi sono stimato altamente onorato di poter adoprarmi secondo i venerati voleri del Santo Padre e chiesi a S. S. che solamente si degnasse di darmi per iscritto il suo pensiero per meditarlo e meglio eseguirlo. Veda il rescritto 17 novembre 1876 al numero notato col n. I°.
Facendo base su tale rescritto mi accinsi all'opera e nello spazio di un mese mandai l'idea generale che consisteva nel conservare nomi, abito, scopo delli Concettini, con tutte quelle regole che non fossero in contraddizione con quelle dei Salesiani. Tutto piacque al S. Padre e Mons. Fiorani mi scrisse che tutto andava bene, nè più altro occorrervi che un brevissimo colloquio, e che conducessi pure meco un sacerdote. Ma giunto a Roma incominciarono le difficoltà. La volontà del S. Padre mi sembrò sempre la stessa, ma Mons. Fiorani [62] diceva non esser conveniente fare le radicali mutazioni e che era solamente possibile una riforma morale: specialmente dacchè S. S. aveva largito ai Concettini l'ingente somma di L. 200.000: quindi a D. Bosco doversi la qualità di Visitatore Apostolico rappresentato nel Sac. Scappini. Non poteva darmi ragione di ciò: parlai col S. Padre che mi ripetè le parole prima dette e scritte. Ma Monsignore ripetè doversi modificare il Rescritto di Sua Santità. Ammisi quel cambiamento, perchè mi fu affermato esser tale il volere Sovrano, e D. Scappini divenne così direttore in spiritualibus, riservata ogni autorità a Mons. Fiorani nel temporale e ancora nel personale.
Continuando lo studio delle regole Concettine applicate alla pratica, vidi non potersi continuare quello stato di cose e quando venni a Roma pel Giubileo del S. Padre ho fatto ogni sforzo per avere anche un solo momento di udienza da Sua Santità. Ho fatto la dimanda per iscritto: il S. Padre in udienza pubblica palesò il desiderio di udirmi, ma non mi fu possibile per la moltitudine dei forestieri che desideravano di poter almeno vedere il S. Padre. In quella strettezza di tempo e di affari l'Em.mo Card. Vicario avendomi chiesto minute notizie sui Concettini ho pensato di affidare a lui il Promemoria ivi unito, con preghiera di farlo tenere a mani del S. Padre, come credo sia stato eseguito. N. 2°. Alcune cose d'urgenza mi chiamarono in fretta a Torino. Un mese dopo D. Scappini cadde in una prostrazione di forze per cui dovette rimpatriare e porsi a letto. Ma prima di partire provvide al servizio religioso dei Concettini con un prete che doveva farne le veci sino al di lui ritorno.
Intanto mi fu scritta la prima lettera del Card. Randi che mi chiedeva schiarimenti ed osservazioni. N° 3. Se mai avesse tempo, qui vedrebbe la lettera di quell'Em.mo Porporato e la mia risposta. La conclusione era che come semplici cappellani noi avremmo prestato servizio, ma se il S. Padre desiderava altrimenti saremmo andati a suo beneplacito. Intanto D. Scappini riavutosi dalle ostinate febbri trovandosi in grado di partire per Roma, già aveva avvisato il superiore dei Concettini, quando ricevetti una lettera dal F. Luigi in cui a nome di Mons. Fiorani scrive che D. Scappini sospenda la sua venuta a Roma, perchè forse dovrebbe tosto ritornare, senza dame ragione. Questa lettera è nelle mani del Card. Randi. Rimasi maravigliato; supplicai Sua Ecc. a sapermi dire qualcosa e dopo alquanti giorni mi diede la risposta colla lettera 1° Ottobre 1877, in cui mi accenna la pontificia disposizione e disapprova il modo con cui fu licenziato D. Scappini. Allora dovetti sospendere ogni sollecitudine pei Concettini. Attendo ora nuove deliberazioni, e intanto occupo altrimenti le persone a tale uopo stabilite. Ma in ogni mio scritto mi sono sempre raccomandato di notare al S. Padre, che ogni sua intenzione, ogni suo desiderio, era pei Salesiani un comando che con gioia avremmo sempre e prontamente eseguito. [63] Alcune confidenziali sono scritte all'Em.mo Card. Randi. Fra breve tempo spero di fare una gita a Roma e dire all'Em. Vos. quello che non conviene affidare alla carta. Sono pieno di gratitudine per la bontà che ci usa, ed invocando umilmente la santa sua benedizione, ho l'alto onore di potermi professare della
Eminenza Vostra Reverendissima
Per conoscere interamente la storia di quell'affare, bisognerebbe sapere anche quali fossero le particolarità che la prudenza non permetteva di “affidare alla carta”; tuttavia ogni lettore accorto si sarà avveduto che ci dovettero essere dei retroscena punto onesti, che Don Bosco n'ebbe per lo meno sentore e che ciò nonostante egli procedette fino all'ultimo con la massima rettitudine, carità e disinteresse.
Dopo la morte di Pio IX la Santa Sede non abbandonò a se stesso l'Istituto; ma con l'accordargli di avere fra i suoi membri un limitato numero di sacerdoti per la direzione spirituale dei Confratelli e con altre salutari riforme provvide al suo rifiorire, sicchè oggi esso onora grandemente la Chiesa, mentre si va pure acquistando insigni benemerenze di fronte alla civile società.
La solennità di san Francesco di Sales nell'Oratorio era stata rimandata alla domenica 4 febbraio per dar tempo a Don Bosco di trovarvisi presente. Egli giunse infatti proprio quella mattina verso le otto e mezzo, accolto al suono della banda, fra lo scrosciare degli applausi, le grida di evviva e le più entusiastiche manifestazioni di gioia. In mezzo alla folla dei giovani che gli facevano festa intorno, si sforzavano di aprirsi un varco per arrivare fino a lui i Direttori delle case, convenuti alle solite conferenze di san Francesco. Il buon Padre non si sentiva mai più felice di quando si vedeva così circondato dalla variopinta moltitudine de' suoi figli dell'Oratorio, gareggianti nell'attestargli la loro affettuosa riconoscenza. Quella sera nel teatrino vi fu un cordialissimo trattenimento in suo onore. Rappresentanti di ogni categoria gli lessero componimenti, nei quali sotto forme svariate esprimevano la comune letizia per il ritorno del caro Padre; quindi gli attori recitarono un dramma intitolato La vocazione di san Luigi, che piacque assai anche per la buona esecuzione.
La sera del 5 s'inaugurarono le conferenze. La prima fu presieduta da Don Rua. Vi si trattò anzitutto di personale, di amministrazione economica e di nuove fondazioni, tutte cose, sulle quali qui non mette conto di soffermarci; faremo invece qualche rilievo sopra tre argomenti, che presentano lati d'interesse generale o storico per la Congregazione. [65] Il dilatarsi dell'opera Salesiana e il moltiplicarsi degli affari rendevano sempre più difficile a Don Bosco quella cura individuale, che con tanta efficacia egli si prendeva dei Soci, si temette quindi che dovesse venir meno lo spirito di pietà, massime nei nuovi chierici. È un fatto innegabile che sotto l'influsso di Don Bosco si formavano di anno in anno certi tipi di chierici, dei quali si sarebbe voluto perpetuare la generazione: riflessivi, studiosi, ferventi nelle pratiche divote e insieme pronti a fare di tutto, sol che sapessero una cosa conforme al desiderio dei Superiori, conducevano una vita che era un misto di raccoglimento e di attività, e che noi oggi potremmo definire come un riflesso della spiritualità stessa di Don Bosco. A siffatti modelli, che emergevano fra i compagni, guardavano con rispettosa e deferente ammirazione gli altri, che non si levavano al disopra dell'ordinaria regolarità, sentendosi sospinti dai loro esempi verso il bene. Anima di questa formazione e di questa vita era ciò che solevasi chiamare spirito di pietà, vale a dire gran frequenza dei Sacramenti, amore della preghiera, zelo per il culto divino, gusto della parola di Dio e delle buone letture. I Capitolari dunque e i Direttori si preoccuparono della necessità di alimentare tale spirito nelle diverse comunità e specialmente nel cuore dei giovani Soci, vigilando per iscoprire in tempo e sbandire con prontezza le cause che sopravvenissero a intiepidirlo.
Un secondo argomento concerneva i Figli di Maria. Noi di quest'opera non abbiamo più fatto parola nel volume dodicesimo, perchè nel volume precedente ci eravamo spinti oltre l'anno 1875, dicendo anche ciò che si riferiva all'anno successivo; dopo quello che là è narrato, la provvida istituzione, accentrata nell'ospizio di Sampierdarena, si appressava al periodo del suo pieno rigoglio. Di mano in mano che se ne diffondeva la notizia, le domande piovevano da ogni parte, anche dopo che l'anno Scolastico era già abbastanza inoltrato. Il Direttore Don Albera, per non imbarazzare le [66] scuole, avrebbe voluto che dopo le prime settimane le accettazioni si sospendessero fino al termine dell'anno; ma, compreso dell'importanza che Don Bosco annetteva ai progressi dell'opera, desiderava non far cosa contraria alle sue intenzioni. E le intenzioni di Don Bosco erano su questo punto ben diverse: egli intendeva che si accettassero quanti chiedevano e possedevano i requisiti necessari, senza badare al tempo del loro ingresso: troppo grandi egli diceva essere i risultati che si aspettava dall'opera, perchè potesse permettere pericolosi indugi alle accettazioni. Ciò saputo, l'adunanza decise per i ritardatari l'aggiunta di un articolo nel programma, dove fosse detto che questi tali entrassero nella casa disposti a occuparsi in lavori manuali, finchè, mediante un po' di scuola preparatoria, un certo numero di allievi fosse in grado di costituire una nuova classe, a cui allora si sarebbe dato un regolare insegnante.
Don Rua infine comunicò ai presenti un desiderio di Don Bosco, che doveva essere per tutti loro un comando. Il Servo di Dio, desiderava che in tutti i collegi ogni anno al ricominciate delle scuole si facesse un triduo di predicazione per disporre i giovani a principiar bene; poichè si porgerebbe così ad essi il modo di riordinare le idee, talora sconvolte dalle vacanze, e di provvedere con calma ai bisogni delle loro anime. Così fu deciso e così s'è continuato a praticare dal 1877 a oggi con inestimabile vantaggio della disciplina, della moralità e degli studi.
Alla seduta della mattina appresso intervenne il Beato. Approvate le deliberazioni della sera innanzi, egli riferì intorno agli ultimi sviluppi della Congregazione ed esaminò una serie di proposte e disegni, esponendo i criteri, che dovevano servire di norma per giudicare in tutto secondo il suo spirito. Nell'intimità di quella riunione potè come in famiglia discorrere liberamente dell'affare dei Concettini, prospettando le reali condizioni dell'Istituto ed esponendo l'andamento delle trattative fino alla sua partenza da Roma. [67] Don Bosco era stato sempre contrario ad accettare edifizi monastici da cambiar in collegi, troppo dispiacendogli di dar occasione a dire che religiosi scacciavano altri religiosi; che se qualche rara volta erasi trattato di redimere conventi dalle mani dei secolari, aveva sempre voluto che il possessore stesso del locale se la intendesse con Roma e si munisse delle debite licenze. Allora invece pronunciò queste precise parole:
- Ora a Roma il Papa stesso non solo mi diede licenza, ma mi raccomandò di comperare edifizi già appartenenti ai frati per farne case nostre, e ciò per restituire alla Chiesa quello che le fu tolto, per conservare queste case, già destinate alla gloria di Dio, nello scopo primiero e per non lasciarle cadere in mani profane. Da qui innanzi, se le nostre convenienze lo permettono, sappiamo che a Roma non incontreremo difficoltà. -
Da Albano e da Magliano gli si facevano vive istanze per l'apertura di un collegio - convitto in entrambi i luoghi. Il cardinal Berardi gli rinnovava per la terza volta l'offerta del collegio di Ceccano, che gli Scolopi volevano lasciare, perchè ridotto a men di dieci convittori. Gli si proponeva pure di accettare il collegio di Ascona. Fatte queste comunicazioni, disse: - Non par vero! Andiamo in luoghi, dove vi sono imbrogli sopra imbrogli; eppure non abbiamo ancora dovuto dare un passo indietro. Noi procediamo, e ogni impresa ci riesce più prosperamente che non sperassimo, mentre vediamo di continuo altri obbligati a ritirarsi dai luoghi, che già occupavano. È proprio il Signore che ci fa andare avanti così a gonfie vele. Se non vedessimo in tutto e da per tutto la mano di Dio, meriteremmo di esser detti ciechi.
Poi venne sul tappeto una grossa questione. Spirava per il collegio di Valsalice il quinquennio della locazione; durante quei cinque anni si era sperato sempre un aumento di convittori, mentre il loro numero restava costantemente inferiore all'aspettazione. Si doveva continuare a tenerlo o bisognava dare la diffida ai Fratelli delle Scuole Cristiane, ai [68] quali si pagava il fitto? Quid agendum? chiese Don Bosco ai suoi collaboratori; indi proseguì: - Io avrei desiderato tanto che questo collegio continuasse e prosperasse, per coltivarvi vocazioni allo stato ecclesiastico e vedere se anche da quella classe di persone si potessero avere giovanetti da consacrare al Signore. Qualche buon frutto maturò, ma non ci accorgiamo che il Signore ci benedica in questa casa come ci benedice nelle altre. Quando si trattò di prenderne la direzione, tutti eravamo contrari; ad accettarla nessun altro motivo c'indusse fuorchè l'obbedienza all'Arcivescovo. Quanto alla nostra Congregazione, pare che finora san Francesco d'Assisi ci abbia anch'esso dato un valido aiuto. Sapete la storiella che si racconta. I demoni facevano fuoco e fiamme contro il novello suo Istituto e si adunarono a complottare. Parecchi mezzi venivano proposti per distruggere quei frati mendicanti. Ed ecco saltar su un demonietto più astuto dei compagni e affermare che il mezzo più efficace per far decadere dal fervore un Ordine religioso era l'introdurvi nobili o ricchi. Per trattare con carità questi signori, si usano loro riguardi, si fanno particolarità, si permettono eccezioni alla regola, e poi queste si generalizzano e l'Ordine diviene rilassato. Il diabolico consesso applaudì e approvò a pieni voti la proposta. Io dico adunque che finora san Francesco ci protesse. Vi furono bensì alcuni nobili che fecero tra noi la prova o che domandarono di farla, ma fino a oggi nessuno ha preso la decisione di fermarsi con noi; e di tutto ringraziamo sempre il Signore, Per altro intorno all'esistenza del collegio di Valsalice Don Bosco non credette ancora opportuno che si dicesse l'ultima parola; solo raccomandò di pensarci e di pregare.
Il Beato non fece questa raccomandazione solo pro forma; infatti dieci giorni dopo volle che le sorti del collegio di Valsalice fossero riprese in esame dal Capitolo Superiore, presente il direttore Don Dalmazzo. A settembre scadeva l'affitto. Circa la convenienza o meno di ritirarsi, i pareri erano divisi. Chi stava per il no, aveva buone ragioni da accampare: [69] essersi accettato quel collegio per obbedire all'Arcivescovo, e tal motivo sussistere tuttora; doversi considerare un bene grande il poter coltivare le vocazioni fra i signori; il ritirarsi tornare a disdoro dei Salesiani. Ma i fautori dell'abbandono opponevano mal rispondere la natura di quel collegio allo scopo della Congregazione; scarseggiarvi gli alunni; ottenervisi quasi un bel nulla in fatto di vocazioni; ogni anno verificarsi nel bilancio un deficit di seimila lire a carico dell'Oratorio: toccar dunque ai poveri provvedere ai ricchi? Ponderato maturamente il pro e il contro, prevalse il voto favorevole alla continuazione; solo si adottarono alcune misure economiche da introdursi nell'amministrazione per ovviare al disavanzo. Non piacque però l'idea di un semiconvitto sull'esempio di altri Istituti, che con l'omnibus mandavano a prendere e a riportare i giovani alle loro case, perchè se ne temettero le conseguenze.
Torniamo alla conferenza mattutina del 6 febbraio. Prima di chiuderla Don Bosco espresse due volte e con calore un desiderio da lui già manifestato negli anni precedenti, che cioè ciascun Direttore compilasse la monografia del proprio collegio, dedicando a questo lavoro tutte le cure possibili. Infine la chiusa fu fatta da lui con queste parole: - Il Santo Padre mi disse che se vogliamo far sempre fiorire le nostre istituzioni, badiamo d'introdurre fra noi e di propagare fra i nostri giovani queste tre cose:
Ciascuno adunque si faccia uno studio speciale per promuovere queste tre cose fra i Soci e fra i giovani. Se ne parli nelle prediche, nelle conferenze e nei discorsi privati. Io desidero che in qualcuna delle conferenze da tenersi in questi giorni si cerchino i modi pratici, con cui secondare il consiglio del Papa. - [70] Nel pomeriggio tutti i professi, ascritti e aspiranti dell'Oratorio furono convocati nella chiesa di S. Francesco per la conferenza generale. L'uditorio si componeva di dugentundici persone. Il rendiconto particolareggiato delle singole case, anzichè dai rispettivi Direttori, com'erasi praticato per l'addietro, venne fatto in parte da Don Rua sulle informazioni fornitegli dai Direttori e in parte da Don Bosco. Il Beato aperse la seduta dicendo così: - La conferenza di quest'oggi è un po' irregolare, diversa cioè da tutte le altre conferenze che si fan nel corso dell'anno. È la medesima conferenza di san Francesco di Sales che si teneva negli anni scorsi, ma ancora modificata alquanto, per la moltiplicità delle materie da esporsi. Il parlare particolarmente di tutte sarebbe cosa troppo lunga. Don Rua dia un cenno sintetico dei collegi del Piemonte, della Liguria e della Francia, parli insomma dell'Europa. Quanto all'America dirò io qualche cosa, come pure delle case del Lazio, essendo io andato a visitarle. Quindi per soddisfare al desiderio di voi tutti, e a conservazione dello spirito che deve dominare in tutte le case, vi farò vedere come il Signore ci aiuta e ci difende. Egli certamente guiderà questa conferenza per il bene della Congregazione, a generale incoraggiamento e per la salute delle anime.
Sebbene siamo soliti di riferire testualmente nel corso della narrazione soltanto le parlate di Don Bosco, pure ci sembra cosa utile far luogo qui, in via eccezionale, alla relazione di Don Rua, arrivata per buona sorte fino a noi quale la raccolse chi la udì; essa è condotta con l'accuratezza che il primo successore del Beato metteva in tutte le cose sue, e poi dovette essere preparata sotto la diretta ispirazione del Servo di Dio. Don Rua adunque parlò così:
Nel darvi questo cenno procederò con ordine cronologico, cioè partendo dalle case che furono stabilite per le prime. Dirò quello che ho potuto sapere dai vari Direttori, e quello che io stesso già conosceva.
Incominciando da quel collegio che fu il primo, cioè da quello [71] di Borgo S. Martino, dirò che le cose in generale vanno molto bene, sia per i giovani, sia per i Salesiani. Prima si temeva che il numero dei giovani avesse a diminuire a cagione delle risaie che erano a poca distanza dal collegio; ma ne seguì un effetto tutto contrario; il numero crebbe, ed ora ve ne sono circa 200, contando solo gli allievi, senza il personale. È vero che si deve usare qualche piccolo riguardo per evitare il pericolo delle febbri, ma ringraziando il Signore nessuno ebbe ancora questo male; anzi godo nel dirvi che essendo io andato a visitare quel collegio, trovai che non vi era nessuno nell'infermeria, e il Direttore mi assicurò che da un mese nessun giovane era caduto infermo. Riguardo al materiale, va bene: non hanno ricchezze, ma vanno avanti con economie, ed a questo contribuirono le monache che quest'anno vi furono stabilite per aver cura della biancheria e della cucina. Non si tralascia certamente di fare le spese necessarie, ed hanno tutti quanto conviene pel vitto e pel vestito. In quanto al morale, non si debbono ripetere quelle parole del Profeta: Multiplicasti gentem et non multiplicasti laetitiam, perchè, crescendo i giovani, crebbe anche la pietà. Sono in fiore le compagnie del Santissimo Sacramento, dell'Immacolata Concezione, del Piccolo Clero e di san Luigi. Dai sacerdoti e dai chierici si ottennero buoni risultati. In quest'anno agli esami finali molti giovani indossarono la veste chiericale: parte di essi andarono in Seminario, ma il maggior numero si fermò con noi e vennero qui nell'Oratorio. In quest'anno quei nostri Confratelli riapersero l'oratorio festivo per coltivare i giovani esterni. Parte frequentano la chiesuola del collegio, parte la parrocchia ed hanno le loro divozioni, messe, catechismi, prediche, benedizioni, istruzioni religiose ed oneste ricreazioni. Quello che i nostri chierici fanno per i ragazzi, lo fanno pure le suore per le ragazze.
Da Borgo San Martino passiamo al collegio secondogenito che è Lanzo. Qui pure vi fu un notevole incremento di giovani. Nonostante l'ampiezza della fabbrica, quest'anno fu quasi ripieno. Quanto è ammirabile la Provvidenza Divina! Fece crescere quel collegio meravigliosamente anche pel morale degli allievi. A Lanzo vi era posto per maggior numero di allievi. L'anno scorso si compì la ferrovia in agosto; vennero all'inaugurazione i ministri, i deputati ed i senatori; il Comune di Lanzo, non avendo luogo adattato, pregò il Direttore di quel collegio, che è comunale, acciocchè ottenesse dal nostro Superiore licenza graziosa di mettere i portici ed i giardini a disposizione degli ospiti, che rappresentavano il Re. I Ministri vennero, ebbero dal collegio festiva accoglienza, visitarono il collegio e vi stettero per un'ora e mezza. Per questo fatto si era levato un grande rumore, si temeva che ne venisse del danno, causa i giudizi di chi non esamina le cose dal loro vero lato; ma invece ne provenne un gran vantaggio. Sapendosi che era stato visitato dai Ministri, salì in fama, si credette da tutti un collegio d'importanza e crebbe quindi il numero [72] dei giovani. Non parlerò della sanità di quei giovani, perchè Lanzo è il luogo della sanità per eccellenza, e l'unico fastidio dei giovani si è quello di saziar l'appetito, quantunque sia loro somministrato abbondantemente il cibo. La pietà, la condotta, gli studi procedono regolarmente. Si sente però la mancanza di alcuni preti che si dovettero trasportare in altri collegi. Don Scappini dovette andare a Roma. Costoro lasciarono un vuoto che dovrà essere riempito da altri, oppure compensato dalle maggiori fatiche di quelli che vi si trovano. Speriamo che coll'aiuto dei nuovi chierici i Superiori non lasceran nulla a desiderare pel buon andamento di questo collegio. Vi si introdussero anche le monache per reppezzare la lingeria.
Venendo ora a Varazze, dalle relazioni di quel Direttore ho saputo che le cose vanno molto bene per lo studio e per la moralità. Quindi abbiamo da rallegrarci. Il collegio è pieno e non si può ingrandire, sia perchè è proprietà del Municipio, sia perchè il terreno attorno non permette ingrandimenti. Anzi i nostri chierici vanno in città a fare scuola agli esterni, i quali, essendo cresciuti di numero, costrinsero il Municipio a prendere in affitto nuovi locali. La buona condotta dei giovani si deve attribuire allo zelo dei Confratelli.
Da Varazze veniamo ad Alassio. La nuova fabbrica, incominciata tre anni or sono, fu terminata nell'anno 1876. È un palazzo che forma la meraviglia di Alassio. I viaggiatori dai treni della ferrovia ammirano quell'alto e bel edifizio e i cittadini si gloriano e si stimano fortunati di possedere fra di loro un collegio di Don Bosco. Questo palazzo che l'anno scorso era disabitato, venne ora occupato e il numero dei giovani crebbe a 200, quantunque i Superiori siano stati molto ritrosi nelle accettazioni. A da consolarci, perchè la moralità va meglio. Non già che negli anni scorsi non si osservasse questo importantissimo punto, ma va meglio forse per maggior comodità dei locali: si poterono fare le divisioni convenienti e specialmente separare il liceo dal restante del collegio. Ne vantaggiarono subito le pratiche religiose. I liceisti che nei tempi passati lasciavano molto a desiderare, quest'anno sono il modello di tutti gli altri. Da quelle parti i Salesiani sono in grande stima e numerose le domande delle varie popolazioni della Liguria, perchè Don Bosco stabilisca fra di loro un collegio. E non sono domande di semplici privati, di una o due persone, ma sono domande di municipii intieri, col sindaco alla testa e molti altri dei principali del paese. Giunsero sottoscrizioni colle firme di tutti i consiglieri da Novi Ligure, da Montaldo Ligure, da Nizza, ecc., ecc. e ciò dimostra un gran desiderio e di porgere aiuto alle nostre opere e di servirsi di noi pel loro bene particolare. Ci amano e ne hanno ragione, perchè i nostri sacerdoti si prestano a celebrare, a predicare, a confessare nei paesi circonvicini e non è a dire quanto quei parroci siano loro riconoscenti. Tante volte io vado là e domando: - Il tale dov'è? - È fuori di casa, mi si risponde, predica [73] nel tal paese! - E il tale altro? - A andato a confessare nella cappella su quella collina. - Talvolta erano quattro o cinque fuori di casa. E così va bene, quando ciò non disturba il buon andamento del collegio. Ad Alassio si stabilirono pure le monache per la biancheria e la cucina e per catechizzare le ragazze. Si deve notare che in collegio nessuno più si lamenta pel vitto, il che, come sembra, non è poco; infatti in quasi tutti gli altri collegi ciò è motivo di qualche mormorazione, e perfino alle mense dei Re vi è qualcuno che si lamenta.
Non molto distante da Alassio vi è Sampierdarena. Io devo parlare con un poco d'invidia di questo ospizio, perchè minaccia di soppraffar l'Oratorio. Cinque anni fa era una casupola a Marassi, dove in poche camerette si doveva fare scuole, camerate, cucina e studio. Qui l'opera non poteva ingrandirsi. Si trattò di trasportarla a Sampierdarena, città famosa per l'irreligione e per la framassoneria. Era impresa arrischiata. Ma la Divina Provvidenza ciò voleva e il nostro Superiore non badò alle difficoltà. Si comprò una casa e da Marassi ove si stava in affitto, fu trasportato qui il personale. Ma i nostri vi stavano allo stretto, vi erano molte domande di allievi, gli esterni accorrevano numerosissimi. Vi era bisogno di una fabbrica corrispondente alla necessità Don Bosco andò a farvi una visita e sorse come per incanto una bella e grande fabbrica, così per gli interni come per gli esterni, e due anni fa venne condotta a termine. In breve tempo crebbero i giovani ed ora sono da 260 a 300: quasi quasi raggiungono il numero dì quelli dell'Oratorio. Questo incremento è anche da attribuirsi all'Opera di Maria Ausiliatrice. I giovani, fra cui molti già d'età, che studiano il latino sono circa 80, per fornire alla Chiesa ed alla Congregazione buoni ministri del Signore. Vi sono molte domande d'ammissione per essere ascritti o per essere aspiranti. Quest'anno l'ospizio diede qualche chierico: alcuni andarono nel seminario della diocesi e alcuni sono qui tra di noi. Si incominciò pure quest'anno l'oratorio festivo per i giovani esterni. Il cortile è abbastanza spazioso; si mutò un corridoio in cappella per fare il catechismo Per la benedizione si conducono i giovani nella chiesa pubblica. Inoltre si procura loro la comodità di accostarsi ai Sacramenti. È anche da notarsi che quest'anno vi si stabilì una tipografia, la seconda della Congregazione, da cui già uscirono parecchi buoni libri, e speriamo che gioverà molto per la diffusione di questi da quelle parti e farà molto bene alla popolazione.
Dirò anche due parole su Valsalice. In quest'anno 1876 - 77 Valsalice ebbe un po' d'aumento, ma va crescendo lentamente, come dobbiamo aspettarci per la classe degli allievi che contiene. Riguardo allo studio ed alla moralità abbiamo anche qui motivi per rallegrarci. Alcuni di quei giovani indossarono l'abito ecclesiastico ed ora si trovano in seminario. Riguardo agli studi è cosa notabile la riuscita [74] dell'esame di licenza liceale in sul finire dell'anno. A Torino si procede con molto rigore in questo esame e i tre allievi di Valsalice che si presentarono a subirlo, non solo furono promossi, ma anzi tutti e tre ebbero il primo premio, mentre in generale pochissimi sono quelli non costretti a subire una seconda prova.
Ora passiamo dall'Italia in Francia, ove a Nizza abbiamo un collegio. Voi sapete che dopo la prima partenza di Missionari Don Bosco andò da quelle parti. Già da qualche anno si trattava di stabilirvi un collegio. Si prese in affitto una casupola, vi si mandò un prete Direttore, un chierico per fare scuola, un secolare per la cucina. Si cominciò coll'oratorio festivo, si aprì un ospizio per i giovani poveri e quando ne furono raccolti quattordici, non se ne poterono accettare più altri, per la ristrettezza dei locali. Così si andò avanti fino all'agosto o settembre del 1875, quando col concorso di un gran numero di benefattori, si potè avere una casa vicino alla piazza d'armi con molte sale, due giardini e cortili. Il busillis stava qui, che quella casa costava circa 100.000 lire. Come fare a comprarla, mentre siamo sempre sprovvisti di danari? mentre noi andiamo sempre avanti coi debiti, a vapore, puff, puff? Il Superiore non si lasciò spaventare da questo ostacolo che pareva insuperabile, ma confidò nella Provvidenza, la quale venne in suo soccorso e la casa fu comperata. Ora va prosperando e i giovani sono già cinquanta. Quaranta dati alle arti e dieci allo studio. Anche di là uscì qualche contingente per la Congregazione e due studenti fecero domanda per essere accettati come aspiranti. Sono i primi Francesi! Speriamo che il Signore benedirà i nostri sforzi e potremo fare dei gran bene. L'ospizio si chiama il Patronato di S. Pietro. Potrei contarvi vari episodi, ma per brevità li tralascio non avendo ora il tempo. Vi sono scuole per gli esterni e diurne e serali e due oratori. Ciò è una fortuna per quella città, rifugio degli spiantati che là vanno per cercare lavoro e guadagnar danari, gente che ha poca cura dell'anima propria e di quella dei propri figliuoli, che non va alla chiesa e non si prende nessuna premura di mandare i giovanetti alla scuola e alle istruzioni parrocchiali. Quindi motti sono i discoli, ed è un gran vantaggio che costoro, i quali riceverebbero o nessuna o una cattiva educazione, siano istruiti cristianamente e indirizzati ai Sacramenti; grande vantaggio non solo per essi, ma anche per la città. I giornali francesi lodano questo collegio, fanno conoscere il benefizio recato dai Salesiani a Nizza e invitano tutte le città di Francia a procurarsi una casa di Salesiani. La settimana scorsa due di questi giornali, levando a cielo i Salesiani, sparsero un così grande entusiasmo per noi, che Marsiglia, Lione, Bordeaux ed altre città si fanno uno studio per avere una casa di Salesiani. Alcuni giorni fa una buona persona scrisse al Direttore una lettera, offrendoci gratuitamente una casa con vasti locali, camere, cortile e giardino alla sola condizione di aprirvi un collegio. [75] L'anno scorso il nostro Superiore Don Bosco, ritornando dalla Francia, passò in Bordighera a Vallecrosia, dove hanno posto piede i protestanti e fanno tanto danno alle anime. Quivi essi hanno chiese, collegi, scuole. Addolorato e impensierito il Vescovo di Ventimiglia non sapeva come porre argine a quell'empietà. Non vi erano più scuole cattoliche. Eravi la parrocchia, ma più nessuno vi andava. Perciò pregava Don Bosco acciocchè volesse in qualche modo porre rimedio a tanti mali. E Don Bosco si arrese ed accettò di mettere colà una casa. Si affittarono alcune camerette, povere, basse, che dovevano servire di alloggio ai Salesiani e di scuola per i ragazzi e per le ragazze: s'improvvisò una Chiesa, ripulendo alla bella meglio due specie di rimesse con volta molto bassa. Se dovesse entrarvi il Vescovo, il quale è di statura ordinaria, non si potrebbe mettere la mitra in capo. Per mettersela bisognerebbe che fosse dell'altezza di alcuni di quelli che sono qui. (Don Paglia, Don Paglia! si udì mormorare nella chiesa). Questa ci richiama alla memoria la nostra chiesa antica che occupava il luogo del nostro refettorio e la cui volta o soffitto era bassissimo. Non vi era luogo per le scuole: e se ne fa una in sagrestia e un'altra in chiesa, separandola con una tenda dal presbiterio . Qui lungo il giorno si fa scuola ai fanciulli e alla sera agli uomini coi baffi. Invitati ai Sacramenti, essi corrispondono. I giovani ci vanno volentieri, hanno comodità dì confessarsi e se ne promuovono molti alla santa Comunione. Quest'anno furono promossi quaranta. Le suore di Maria Ausiliatrice producono anche buoni frutti fra le ragazze. E con quali mezzi si mantengono? Sovente mancava vino o pietanza e si disponevano a mangiare un po' di minestra, talora non ben condita. Alcune volte di questa sola dovevano contentarsi. Talora si sente picchiare alla porta. Chi è? Entra una buona persona che porta un barilotto di vino, dicendo che lo dona di tutto cuore. Di 1ì a poco ecco un altro che porta un po' di frutta. Si va avanti in questo modo per mezzo della Provvidenza e noi dobbiamo ringraziarne il Signore. Tutta la popolazione è molto riconoscente e vuole un gran bene ai Salesiani, manda volentieri i suoi ragazzi alle nostre scuole, e quando venne a mancare il parroco, tutti correvano all'unica messa nella nostra povera chiesuola, stando pigiati l'uno sovra l'altro fuori della porta. Ho detto l'unica messa, ma alcuna volta erano due, essendo la seconda celebrata da un prete che in vista della necessità era mandato da Alassio. Ora le cose sembrano bene avviate. Tanto i ragazzi come le ragazze non vanno più alle scuole dei protestanti e non ne vogliono più sapere, eccetto alcuni interni che stanno nel loro collegio e venuti da altri paesi. Ciò forma la grande nostra consolazione e quella del Vescovo, che è tanto contento e soddisfatto di possedere i Salesiani. Ed i protestanti non possono più avere alcuno o ben pochi alle loro scuole, benchè forniscano ai giovani carta, penne, libri e tutto ciò che loro fa di bisogno. [76] A Trinità si è mandato in quest'anno 1876 un prete come Direttore con due chierici per fare scuola ed un secolare. Tengono oratorio festivo pei ragazzi e scuola diurna e serale. Molti di quelli che andavano alle scuole del paese, vollero essere ascritti alle scuole dell'oratorio; quindi si dovettero fare le classi superiori elementari. Di giorno si fanno le scuole per i più piccoli e alla sera e sul principiar della notte vi sono le scuole per gli adulti. Invitati ad accostarsi ai Sacramenti, corrisposero, e sono l'edificazione del paese. Gli alunni sono tutti esterni, l'Oratorio è fiorente, le scuole vanno bene. Avrei ancora da parlarvi degli altri collegi dell'Italia centrale, ma ce ne parlerà il nostro buon Superiore.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese. Quella casa prende uno sviluppo meraviglioso. Due o tre anni fa le Figlie erano solamente trenta fra professe, novizie, postulanti, ed ora sono da 160 a 180. Allora avevano la sola casa di Mornese e in quest'anno sono in sette od otto luoghi: a Torino, a Lu, a Biella, a Lanzo, a Borgo S. Martino, a Sestri Levante, ad Alassio, a Bordighera, ecc. E questo istituto potè superare molte difficoltà che presentavano nei collegi la lingeria e la cucina, mentre le suore fanno dovunque un gran bene fra le ragazze. A Mornese le raccolgono, le istruiscono coi catechismi. L'Educatorio delle alunne interne è abbastanza fiorente, non ostante l'incomodità della via e la distanza dalla stazione ferroviaria. Sono anche nelle mani dei Salesiani le scuole del paese. Quest'anno per questa parte si ebbe qualche contraddizione: qualcuno cercava di osteggiare il maestro salesiano; ma tutta la popolazione si levò in nostra difesa e il parroco dovette far desistere l'oppositore dalle sue pretese e mandare un indirizzo a Don Bosco, pregandolo di mantenere nelle scuole comunali il maestro e le suore. Don Bosco aderì al loro desiderio. Avrei ancora molte cose da dirvi sulla virtù delle suore, sulle penitenze che fanno, ma non occorre: ci fanno ricordare gli antichi monaci della Tebaide e di altri deserti.
Ora passiamo a noi. Ci rimane a parlar di Torino, della nostra Casa Madre. L'Oratorio va progredendo di bene in meglio. Non voglio dir ciò a nostra lode e ne siano resi a Dio i dovuti ringraziamenti. Quest'anno fra gli studenti furono coltivate molto le compagnie di San Luigi, del Santissimo Sacramento, dell'Immacolata Concezione. È anche da dire il modo con cui si celebrano le sacre funzioni. Il piccolo clero fu numeroso e compieva con decoro le sacre cerimonie. E ciò fu un gran bene. Molti forestieri venivano apposta nella nostra chiesa per vedere quei chierichetti e restavano edificati dal loro contegno; per i giovani servì di grande eccitamento allo stato ecclesiastico.
Molto abbondante fu quest'anno il numero di coloro che indossarono l'abito ecclesiastico, quantunque la scuola di quinta ginnasiale non fosse tanto numerosa: ma si manifestarono tante vocazioni, che [77] si scelsero i giovani anche dalle altre scuole e specialmente dall'Opera di Maria Ausiliatrice. Furono circa ottanta.
Gli artigiani quest'anno fecero due gravi perdite: Don Chiala loro Direttore e il principale degli assistenti, il chierico Piacentino. Essi cessarono di vivere, ma non cessò il frutto delle loro opere. Gli artigiani continuano nel fervore che loro inspirarono quei Superiori e speriamo che coi nuovi catechisti e nuovi assistenti procederanno di bene in meglio. Fra essi sono fiorenti le Compagnie dell'Immacolata, di San Giuseppe, oltre le altre conferenze particolari che si fanno tra gli aspiranti.
Gli ascritti della casa crescono di numero e in quest'anno procedono in ogni cosa con maggior regolarità. Erano già prima separati dagli altri di dormitorio, di studio e di cortile, ora lo sono anche di refettorio. Sono in numero di 140, senza contare i due di Nizza e alcuni che andarono in America. Don Barberis, loro maestro, mi ha detto che frequentano i Sacramenti e che è molto soddisfatto di loro, quantunque si possa desiderare di più.
L'Oratorio per gli esterni è molto frequentato, disciplinato e numeroso. Le nostre suore di Maria Ausiliatrice aprirono anche un Oratorio per le ragazze e tante sono quelle che v'intervengono, da non esservi posto sufficiente nella Cappella: si dovrà allungare. Prima che venissero le suore, si vedevano continuamente in questi prati moltissime fanciulle; ed ora non se ne vede più alcuna. I ragazzi vanno da una parte ed esse dall'altra.
La nostra Congregazione adunque progredisce maravigliosamente di giorno in giorno, in modo che ci fa toccar con mano, essere dessa protetta da Dio. Nelle persecuzioni e tribolazioni prende sempre un maggior sviluppo. Crebbe il numero dei Soci, sia professi perpetui che triennali, e specialmente ascritti. Vi è maggior regolarità sia spirituale come temporale. Il numero dei giovani che escono dalla Congregazione è assai inferiore agli altri anni; ciò riguardo agli ascritti e professi triennali, che dei professi perpetui, ringraziando il Signore, non è ancora uscito alcuno da che questa venne fondata e speriamo che non ve ne saranno mai e poi mai.
Concludendo vi dirò: ringraziamo Iddio e facciamo quanto possiamo per corrispondere col fervore, colla nostra condotta, coll'esatto adempimento delle regole, alla particolare protezione di Maria SS. Ausiliatrice verso di noi. Si può dire che il Signore porta sulle sue braccia la Congregazione, dandole tutti gli aiuti che le abbisognano per farla prosperare.
Appena Don Rua ebbe posto termine al suo dire, sorse a parlare Don Bosco, che ripigliò a questo modo.
Io vi tratterrò più poco, perchè non voglio prolungar di troppo questa conferenza. Sarebbe ancora da parlarsi dell'oratorio di San [78] Luigi e di San Giuseppe e degli istituti del Refugio e di San Pietro, dove si va a prestar servigio. Ma passiamo di volo in America. Di quelle case si parlò già altre volte e siccome le lettere dei Missionari si stampano, così sarebbe inutile parlarne. Le ultime notizie sono: si stabilì un collegio a Montevideo, dove non vi sono nè seminari, nè chierici, nè collegi cattolici. È, un vero caos, tanto la repubblica come la capitale. Chi volesse dare un'educazione cristiana a suo figlio, doveva inviarlo qui a Valsalice e in altri collegi d'Europa. Don Lasagna è Direttore di questo collegio, che fu chiamato collegio Pio, il primo in America consecrato alla gloria di Pio IX. Si prese anche a funzionare una chiesa annessa al collegio per uso degli alunni, e dei forestieri di quelle ville attigue, perchè il collegio si trova alquanto fuori di città. Alla domenica specialmente vi è grande affluenza. Ne speriamo molto bene! Si cominciarono le scuole anche a beneficio dei poveri come esterni; e pei convittori. Erano dieci i Salesiani, ma non bastando, se ne dovettero mandare altri da San Nicolás e da Buenos Aires per aiutarli. Di mano in mano che avremo notizie ve le comunicheremo.
Da Montevideo con quindici ore di vapore pel gran fiume della Plata si va a Buenos Aires, capitale della Repubblica Argentina. Là si incominciò ad amministrare la chiesa della Misericordia e si fa una vera missione, funzionando, facendo catechismi, prediche, ecc. per i fanciulli e per gli adulti, e tutti gli altri esercizi di pietà. Nacque anche necessità di aprire un ospizio per i poveri ragazzi e si aprirono due oratorii festivi.
A S. Nicolas il collegio che si è aperto, prese già un grande sviluppo e in soli sette od otto mesi contava 140 allievi. Inoltre si funziona una chiesa pubblica, ove avvi comodità di assistere alle sacre funzioni e di accostarsi al Santi Sacramenti. I nostri preti mentre prestano servizio alla loro chiesa ed al collegio, aiutano in parrocchia e altrove per le predicazioni, le confessioni e colla celebrazione della santa Messa.
A Buenos Aires si dovrà Prendere la direzione di una parrocchia in un sito chiamato la Bocca del diavolo, così detto perchè là arrivano tutte le cose di malo augurio e vi è il centro della framassoneria. Vi saranno però difficoltà per chi vi si dovrà stabilire.
Si tratta ora d'iniziare una missione nella Patagonia, dove, come vi è noto, vi sono i selvaggi. Alcuni di questi furono già accolti in collegio. Anzi Don Cagliero, quando ritornerà, ci condurrà qui qualche Patagone e se ne vedrà la fisonomia, il colore, l'indole. Si dovrà anche prendere un Vicariato Apostolico. I Patagoni non distano molto da Concezione e dicono che sono feroci e che si prendono molto divertimento nel mangiare i cristiani. Chi saranno quei coraggiosi che vorranno esporsi a tali pericoli? ad essere pasto a quei selvaggi? Si vedrà. Già molti domandano di essere i primi ad arrischiarsi in quei [79] luoghi per portare la santa religione a quei popoli. Io lodo molto la loro buona volontà e il loro coraggio: tuttavia è mio desiderio, anzi è mio dovere di procedere con cautela per non sacrificare la vita di alcuno. Io sono quasi certo che nessuno dei nostri perirà. Se poi malgrado la pazienza e la prudenza qualcuno restasse martire, bisognerà adattarci alla volontà del Signore e ringraziarlo. Chi fra noi sfuggirebbe la fortuna d'essere martire? Spero però che Iddio ci proteggerà e che si potrà fare qualche cosa di bene anche là nella Patagonia, senza pagar tributo ai selvaggi coll'essere assassinati e mangiati.
Debbo ancora dirvi che da tutte parti del nuovo mondo abbiamo gran quantità di domande, perchè stabiliamo altre case. A Santiago, capitale del Chili, ci offrono l'amministrazione di un ospizio. Vi è pure domanda di prendere la direzione di un seminario a Concezione, ultima città verso la Patagonia. Il Municipio appoggia la domanda, pronto a soccorrerci. Nel Paraguay, nel Brasile ed altrove ci aspettano, perchè andiamo a stabilire collegi, seminari, ospizi. Le cose in America sono ad un punto da non poter desiderare nulla di più. Noi però dobbiamo aspettare di avere maggiori mezzi e maggiori forze. Don Ceccarelli scrisse una lettera nella quale diceva: la Congregazione Salesiana essere veramente benedetta dal Signore, perchè in soli quattro mesi ha fatto in America quello che le altre Congregazioni hanno fatto in quattro secoli. È un'espressione che io non voleva manifestarvi, ma io ve la dico perchè può essere un eccitamento a far progredire con maggior coraggio l'opera incominciata. Facciamoci animo, che Dio benedice i nostri sforzi, ma vuole corrispondenza, come dice S. Paolo.
Ed ora veniamo in Italia. Di questi giorni fui a Roma. Mi dicevano che in quei luoghi la gioventù è diversa dalla nostra, che non è possibile avvicinarsi ai fanciulli, che non si sarebbe potuto stabilire gli oratorii o almeno non certamente simili a quello di Torino. Sarà un miracolo, ma ad Ariccia si aprirono le scuole elementari, che prima erano in mano dei protestanti, per desiderio e istanze delle autorità dei luogo e del Santo Padre. Le nostre scuole diurne, divennero frequentatissime: i protestanti si misero disperatamente a fare scuola privata, e per avere discepoli davano gratuitamente ai giovani ogni casa: carta, penne, libri, quaderni. Contuttociò alle loro scuole avevano pochi o nessuno. Quando io arrivai là, anche quei pochi abbandonarono i maestri dell'errore con mia grande consolazione, e li lasciarono intieramente. Se si continua così, i protestanti faranno bancarotta in poco tempo. E non solo sono frequentate le scuole diurne, ma ben anche le serali per gli adulti, e apriremo anche l'oratorio festivo, ed i protestanti facciano pure ciò che vogliono.
Ad Albano abbiamo anche da far scuola pel ginnasio municipale o piccolo seminario, e tutti sono così affezionati ai Salesiani e di essi così soddisfatti, che non si può desiderare di più. Quei chierici al mio [80] arrivo, per prima cosa, mi domandarono tutti in corpo di confessarsi, e andato in casa, trovo una deputazione di studenti esterni per ottenere di confessarsi tutti da me. Ed io confessai dal mattino prestissimo fino alle 12 e sempre in modo soddisfacente, senza che io avessi nulla da aggiungere, come faccio qui. Alcuni erano venuti per confessarsi fino dalle 6 del mattino e venne il loro turno alle 12, aspettando con una pazienza ammirabile. Era impossibile il fare di più. E qui, oltre questo ginnasio pubblico, il Municipio fa istanze, acciocchè vi sia anche un convitto per gli esterni e per convittori e abbiamo visitato un locale che sarà preparato per questo fine. Il Cardinale Di Pietro, Vescovo di Albano, offre il suo Seminario ai Salesiani, facendo vedere che vi sarebbe messe copiosa. Sa che da noi non si vogliono danari, ma fatiche.
A due ore di vapore da Roma verso la Toscana dalla parte opposta di Albano ed Ariccia, si trova la città di Magliano, luogo decantato per immoralità da non potersi dire di più. Anche là io vidi giovani docili e rispettosi ed affinchè non fuggissi da loro senza confessarli, pregarono il Direttore che non mi lasciasse andar via, ed il Vescovo, quando io era per partire, venne ad invitarmi perchè confessassi gli esterni e gli interni. Ed io dovetti ritornar là e contentarli tutti. Questa fu la causa che ritardò il mio arrivo di qualche giorno. Quei chierici chiedono tutti in corpo di farsi Salesiani. Il Rettore del Seminario mi porse tre domande per sè, per il direttore spirituale e per l'economo, desiderosi di farsi Salesiani e furono ricevuti come ascritti[39]. Ma noi vogliamo andare adagio, con cautela e prudenza, per non danneggiare la diocesi e per non far gridare la gente. Quando si manifesteranno più chiare le vocazioni, vedrassi se si dovranno accettare. Nei paesi vicini a Roma vi è anche grande entusiasmo per i Salesiani, imperciocchè tutti domandano i nostri collegi. Se non ci mancasse personale e accettassi tutte le proposte, prima dei Santi avrei più di venti nuovi collegi.
Tuttavia si accettò la cura dei Concettini, ordine fondato da Pio IX venti anni fa e che più non potrebbe sussistere a lungo senza essere da altri aiutato. Così volle il S. Padre e noi abbiamo fatto questo sacrifizio. Le cose sono già bene avviate: tutto è aggiustato: il Direttore è a posto: il Papa stesso ci offre ventimila lire.
L'anno scorso, se vi ricordate, Don Bosco disse che passato l'anno, sarebbe avvenuto qualche cosa di straordinario. Si sarebbero gettati i primi germi di qualche opera che avrebbe prodotto gran bene. Ciò dissi nella conferenza generale. Qualcuno mi chiedeva spiegazioni. Diciamo su questo alcune parole. Ecco. Sono due cose. Una è l'impianto [81] a Roma di alcune nostre case. Dapprima si presentavano grandi difficoltà. Il Signore dispose gli avvenimenti in modo straordinario e tolti gli ostacoli, si farà del bene. Pio IX volle che si prendessero le scuole di Ariccia, di Albano e di Magliano. E con quali nostre spese? Con niente! Tutto ci fu provveduto e vitto ed alloggio, il solo corredo personale fu a nostro carico. Siamo andati senza un soldo e le spese furono fatte dal Santo Padre e dal Municipio. Già Don Scappini è andato a prendere la direzione dei Concettini, ed altri Salesiani saranno mandati in suo aiuto. Oggi stesso abbiamo un'altra domanda da Roma per aprire altra casa e si può dire che la Congregazione è stabilita regolarmente in Roma.
Il Santo Padre concesse che uno dei nostri sacerdoti che sarà stabilito in Roma, possa una volta al mese aver diretta udienza da lui, favore finora non concesso ad alcun altro.
Sono anche iniziate le pratiche per l'India e per l'Australia; io debbo preparare il personale, ma c'è ancor tempo.
La seconda di quelle opere che doveva mettere un seme, è l'Opera dei Cooperatori Salesiani. Essa è appena incominciata e già molti vi sono ascritti. Lo scopo è un vicendevole aiuto spirituale e morale non solo, ma anche materiale. Se ne vedrà il grande sviluppo. Non andrà molto che si vedranno popolazioni e città intiere unite nel Signore in vincolo spirituale colla Congregazione Salesiana. Riguardo al materiale si sono disposte e si manterranno le cose in modo che non si dovrà dipendere da alcuna autorità, eccetto da quella spirituale del Sommo Pontefice. Non in modo però che si venga ad urtare coi Vescovi o colle autorità secolari. Il Sindaco di Magliano, cavaliere ricchissimo, il più ricco di quei paesi, liberale aperto, volle anch'egli farsi cooperatore salesiano, dicendo che questa è un'opera divina. Ciò che fece il Sindaco, vollero anche fare molti altri; ma bisogna procedere con molta prudenza e a rilento nel ricevere quelli che desiderano il diploma.
Si è stabilito, a questo proposito, di stampare un Bollettino che sarà come il giornale della Congregazione, perchè sono molte le cose che si dovranno comunicare ai detti Cooperatori. Sarà un Bollettino periodico, come un legame fra i Cooperatori e Confratelli salesiani. Io spero che se corrispondiamo al volere di Dio, non passeranno molti anni che le città e le popolazioni intiere non si distingueranno dai Salesiani che per le abitazioni. Se ora sono cento Cooperatori, il loro numero ascenderà a migliaia e a migliaia, e se ora siamo mille, allora saremo milioni, procurando di accettare ed iscrivere quelli che sono più adattati. Spero che questo sarà il volere del Signore.
Cerchiamo di far conoscere quest'Opera: essa è voluta da Dio. Dell'Opera di Maria Ausiliatrice già si parlò. Vorrei che queste cose, che si sono dette, fossero ascoltate da tutti gli altri Confratelli ed anche dai giovani nostri. Ma non essendo essi tutti presenti, mi raccomando [82] ai Direttori perchè espongano loro quanto io ho detto, in qualche conferenza o in altro modo, in breve oppure più in lungo, riguardo alla Congregazione, alle nostre cose, alle Missioni e ai Cooperatori salesiani. Si dica che noi Salesiani siamo uomini miserabili, ma che siamo istrumenti nelle mani di Dio, che le cose da noi dirette sono favorite dal Signore. Queste cose se non le vedessimo, ci parrebbero favole, e sono fatti. Gli uomini non possono far tanto: Iddio ne è il facitore. Si serve di noi per eseguire i suoi santi voleri, per compiere i suoi disegni. E ci benedirà.
Ed ora che cosa adunque dobbiamo noi fare? Una cosa sola!
Il Santo Pontefice quando mi ricevette nella sua camera stando in letto, poichè era ammalato, mi espresse vari sentimenti, fra i quali mi disse le seguenti cose: - Andate; scrivete ai vostri figli, e cominciate a dire ora e ripetete sempre, che non avvi dubbio la mano di Dio essere quella che guida la vostra Congregazione. Pesa però su di voi una grande responsabilità, e voi dovete corrispondere a tanta grazia. Ma io vi dico a nome di Dio, che se voi corrisponderete al divino aiuto col vostro buon esempio, se voi promuoverete lo spirito di Pietà, se voi promuoverete lo spirito di moralità e specialmente quello di castità, se questo spirito rimarrà in voi, avrete coadiutori, cooperatori, ministri zelanti, vedrete centuplicarsi le vocazioni religiose, sia per voi, per la vostra Congregazione, come per gli altri Ordini religiosi ed anche per le diocesi, che non mancheranno di buoni ministri, i quali faranno molto del bene. Io credo di svelarvi un mistero! Io sono certo che questa Congregazione sia stata suscitata in questi tempi dalla Divina Provvidenza, per mostrare la potenza di Dio: sono certo che Dio ha voluto tenere nascosto fino al presente un importante segreto, sconosciuto a tanti secoli ed a tante altre Congregazioni passate. La vostra Congregazione è la prima nella Chiesa, di genere nuovo, fatta sorgere in questi tempi in maniera che possa essere Ordine religioso e secolare, che abbia voto di povertà ed insieme possedere, che partecipi del mondo e del chiostro, i cui membri siano religiosi e secolari, claustrali e liberi cittadini. Il Signore ciò manifestò ai giorni nostri e questo io voglio svelarvi. La Congregazione fu istituita affinchè nel mondo, che, secondo l'espressione del S. Vangelo, in maligno positus est, si desse gloria a Dio. Fu istituita perchè si vegga e vi sia il modo di dare a Dio quello che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare, secondo quello che disse Gesù Cristo a' suoi tempi: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. E vi predico, e voi scrivetelo ai vostri figliuoli, che la Congregazione fiorirà, si dilaterà miracolosamente, durerà nei secoli venturi e troverà sempre dei coadiutori e dei cooperatori, infino a tanto che cercherà di promuovere lo spirito di pietà e di religione, ma specialmente di moralità e di castità. Io avrei, continuava il S. Padre, ancora altre cose a dirvi, ma mi trovo stanco. Raccontatemi voi qualche storiella.
Quindi passammo a parlare di altre cose. [83] Ora mi raccomando a qualcheduno di voi che abbia buona memoria, perchè raccolga in iscritto quello che ora ho detto: io questo scritto lo rivedrò volentieri, vi aggiungerò ancora qualche piccola cosa, e questo si terrà come un memoriale di gran conto per la Congregazione.
Ma non si dimentichi mai di custodire gelosamente la moralità. La gloria della nostra, Congregazione consiste nella moralità. Sarebbe una sventura, si offuscherebbe questa gloria, qualora i Salesiani degenerassero. Il Signore disperderebbe, dissiperebbe la Congregazione, se noi venissimo meno nella castità. È questa un balsamo da spargersi fra tutti i popoli, da promuoversi in tutti gli individui, essa è il centro d'ogni virtù.
Ora non mi resta che da rallegrarmi nel Signore, perchè con tante spese siamo quasi senza debiti, e pel momento non abbiamo alcuna spesa che sia di premura. A cosa che ci deve cagionare una grande e riconoscente consolazione. Debbo rallegrarmi con voi che lavorate e che avete lavorato, e che manterrete ferma la volontà di continuar nel lavoro. Debbo ringraziare Maria Santissima che sempre ci ha assistiti. Io come Superiore della Congregazione ringrazio i Direttori delle fatiche personali e morali. Dico ad essi: portate in ciascuna casa queste mie parole di riconoscenza, i miei ringraziamenti; e dite a tutti che io sono soddisfatto di loro, che il loro padre non è indifferente per quello che essi hanno operato e sofferto: dite loro che esso si raccomanda nello stesso tempo, affinchè tutti vogliano prestare l'obolo del sacrifizio delle loro forze, che li prega ad unirci tutti insieme per il guadagno delle anime nostre ed altrui; ad aumentare nel cuore la pietà e la virtù, per accrescere il numero dei Salesiani e il numero di coloro che poi ritroveremo nel regno della gloria.
La conferenza generale non segnò la fine delle conferenze particolari, come accadeva negli anni antecedenti; ma queste proseguirono e furono ancora in numero di quattro.
Nel giorno 7 la prima conferenza venne presieduta da Don Rua. Oggetto precipuo era stabilire il tempo e i predicatori degli esercizi spirituali per i giovani nei diversi collegi, tanta importanza vi si attribuiva per il buon andamento generale. Il presidente poi passò in rassegna molte norme di prudenza, per far sì che quegli esercizi sortissero gli effetti desiderati. La seconda conferenza dello stesso giorno si tenne dinanzi al Beato, il quale esaminata la proposta di mandare i Salesiani a dirigere spiritualmente l'ospedale della Consolazione [84], raccontò il sogno sulla morte di Pio IX, da noi riferito nel primo capo di questo volume.
Nel giorno 8 Don Bosco fece solo una comparsa al termine della conferenza serale. La massima parte del tempo andò mattino e sera nella lettura e discussione del regolamento per i collegi, che si doveva fra breve dare alle stampe. Sul testo già presentato nelle conferenze del ’76 e rielaborato dopo le osservazioni di allora, si fecero nuove modificazioni e aggiunte. Una cura speciale si credette doversi porre nel formulare le prescrizioni in modo, che non apparisse coartata la libertà e menomata l'autorità del Direttore. Non già che il potere del Direttore avesse a essere senza limiti, ma, poichè quel regolamento sarebbe corso anche per le mani dei giovani, dei chierici e dei superiori subalterni, si volle che il Direttore potesse in ogni caso aver salvo il proprio prestigio di fronte ai sudditi. L'assemblea ritenne che e dalle Regole della Congregazione e dalle note dichiarative comunicate segretamente i Direttori avrebbero conosciuto a sufficienza i giusti limiti della loro autorità. E uno di questi limiti i Capitolari raccomandarono che fosse nel rispettare le disposizioni del Capitolo Superiore circa gli uffizi assegnati al personale; soltanto in caso di assoluta necessità si cambiassero le occupazioni, ma se ne desse subito avviso al Consigliere Scolastico della Congregazione. L'ultimo scorcio dell'ultima conferenza, per ottemperare al desiderio espresso da Don Bosco nella conferenza mattutina del 6, fu occupato nello studio dei mezzi, con cui tener alto ognora lo spirito di moralità nelle case salesiane tanto fra i convittori che fra i soci; al qual proposito i convenuti si accordarono sulla convenienza di essere tutti solidali intorno a otto punti:
1° Trattare i giovani con bontà per averne la confidenza.
2° Fare sacrifizi, ove occorra, per assistere e vigilare.
3° Tener nota dei posti, che ciaschedun allievo occupa in dormitorio, in scuola, in refettorio, in istudio.
4° Di notte fare un'ispezione in dormitorio. [85]
5° Stabilire che al passeggio i giovani vadano a tre a tre; che non facciano fermate, che non si dia a nessuno licenza di allontanarsi dalle file.
6° Raccomandare ai giovani che a titolo di civiltà tengano le mani sul banco nella scuola e nello studio.
7° Cercar di animare molto la ricreazione con quei giuochi, che ai giovani tornano più graditi.
8° Non prolungare troppo il tempo dello studio per i piccoli o per coloro che sono poco occupati.
Si stava per chiudere la discussione e l'adunanza, quando entrò Don Bosco, il quale, udito di che si trattava, volle dire la sua parola sull'argomento della moralità: una parola molto pratica, secondo il solito. Agli otto punti fissati ne aggiunse un nono: grande temperanza nel mangiar carne e nel bere vino. All'eccesso nell'uso della carne e del vino egli attribuì l'immoralità, che domina in qualche paese. Chi mangia di magro, essere di gran lunga più libero da certi fastidi spirituali; giovar pure a siffatta libertà l'astenersi da cibi di difficile digestione e dalle carni salate, perchè eccitanti; la Chiesa, quando raccomanda la penitenza, vietare per prima cosa le carni. - Badate, continuò egli, che finora quello che tenne su le nostre case, è stata la persuasione che tutti hanno della nostra sicura moralità, superiore ad ogni accusa. Questo sarà vero sempre? La fama dice il vero? Attenti! Finora è stato Dio colui che ci ha difesi. Le cause dei pericoli altre sono interne, altre esterne. La frequente confessione e comunione, la regolare vigilanza di chi deve assistere saranno grandi mezzi preventivi. Possono succedere disordini, ma sempre riparabili. L'assistenza sia solidale; nessuno se ne creda dispensato, quando si tratta d'impedire l'offesa di Dio. E poi mezzi per non cadere siano la fuga dell'ozio ed evitare le amicizie particolari. Sia pure uno superiore, sia pure attempato, non importa: non c'è età nè santità passata che valga contro le insidie di questo nemico. Anzi, quanto più l'età è avanzata, tanto più è raffinata la malizia. Anche quel posto [86] che si occupa vicino a quel tale può essere pericoloso. Si comincia con regalucci, croci, immagini; poi vengono i buoni consigli, e poi... e poi avanti! Non si conducano mai i giovani in camera. I giovani osservano molto: certuni sono guasti, hanno letto libri cattivi, nulla sfugge loro di quello che fanno i Superiori, e, guai se uno viene incolpato! Insomma, aut nullum aut omnes pariter dilige. Il lavoro è anch'esso una gran salvaguardia. Qualcheduno mi disse: Ma non faccia lavorar tanto i suoi preti! Eh! il prete o muore per il lavoro o muore per il vizio. - Terminò con la raccomandazione a lui familiare di curar molto le vocazioni, suggerendo tre mezzi: parlare spesso di vocazione, discorrere molto delle missioni, far leggere le lettere dei missionari.
Qui propriamente il capo dovrebbe finire, ma vi sono ancora cose da aggiungere. Dopo l'assenza di un mese e più dall'Oratorio, Don Bosco sentiva il bisogno di rivolgere una parola speciale sia ai giovani che agli ascritti. Assorbito dalle conferenze e dai colloqui coi Direttori, non che dal disbrigo di affari urgenti e di molta corrispondenza arretrata, non aveva ancor potuto trovare il tempo nè per l'una nè per l'altra cosa. Ci sembra che le due parlate fatte separatamente agli alunni e ai novizi stiano bene qui a completare tutto un cielo d'indirizzi riguardanti la Congregazione e la casa madre nel punto dell'anno scolastico da Don Bosco prescelto per una generale intesa sul modo d'imprimere all'andamento delle case un ritmo risoluto e costante, che durasse fino settembre.
Dai ragazzi studenti e artigiani riuniti per le orazioni andò la sera dell'11 febbraio. Convien sapere che il giorno avanti il Signore aveva chiamato a sè dall'Oratorio il primo dei “sei più due” prenunciati da Domenico Savio. Sì chiamava Stefano Mazzoglio; era nativo di Lu e scolaro della quarta ginnasiale. È dato come giovane pio, studioso ed esemplare, dal suo ingresso nell'Oratorio fino alla morte. Parlò dunque così. [87] Finalmente ci troviamo tutti qui insieme riuniti. Io era già ansioso di vedervi e di parlarvi ed anche voi lo eravate di parlare con me. Ed ecco che ora sono venuto a dirvi due parole, solamente per poter vedere tutti voi; e voi potete tutti vedere me, benchè i lumi siano un po' piccoli! È già molto tempo, che non ci siamo parlati e molte cose avvennero in questo frattempo. Alcuni di voi non mi conoscevano. Vi sono dei nuovi che dicono: - Non abbiamo ancora potuto vedere D. Bosco! - E adesso che mi vedete siete contenti?
Sono andato a Roma, e in questo frattempo che sono mancato da voi, ho trattato di molte cose importanti, e sempre in favore dell'Oratorio. Si vede che avete pregato molto pel vostro padre, che siete molto buoni! Infatti, diciamolo qui fra di noi che nessuno ci senta, tutte le cose delle quali ho trattato, hanno avuto buon esito. Da Roma sono andato ad Ariccia, dove abbiamo una casa, e quivi si sono fatti buoni affari. Da Ariccia sono andato ad Albano, ove si è aperta un'altra casa, e là si è aggiustato ogni negozio. Poi sono andato a Magliano, dove si è stabilita una terza casa, e quivi si ordinarono vari disegni per un prospero avvenire. Sono poi tornato a Roma, ove si è accettata e aperta una quarta casa, e l'affare dei Concettini è conchiuso, le proposte furono accettate...
Il Sommo Pontefice è tutto per noi, ci ha dato delle speciali benedizioni e ci ha fatto un bel regalo, senza contare altri doni che ancora ci prepara.
Ora passando ad altro, dirò, come abbiamo perduto un nostro fratello, Mazzoglio: ieri alle quattro del mattino esalava l'ultimo respiro, e stamattina gli abbiamo data sepoltura. Era un buon giovane, e sarà stato preparato. Anche i suoi compagni dicono che la domenica prima abbia fatto la santa Comunione; si coricò al lunedì sera su quel letto dal quale non doveva più uscire. Essendosi la malattia fatta repentinamente gravissima, si corse subito a chiamare in tutta fretta Don Cappelletti, che venne all'istante. Ma il giovane non era più in istato di confessarsi, e poco dopo spirò.
Ditemi un po' giovani miei: se Mazzoglio avesse aspettato a fare la sua confessione generale a Pasqua per esempio, quale sarebbe la sua sorte? certo che ne avremmo molto da dubitare. Buon per lui che si teneva preparato, come tutti speriamo. Questo fatto deve servire di ammaestramento, perchè quando meno ce lo aspettiamo, la morte può esserci addosso. Se arrivasse a noi il medesimo caso ci troveremmo preparati? Alcuno di voi va susurrando: - Potrebbe darsi che presto muoia un altro di noi: vi è quasi il proverbio che i nostri giovani muoiano due a due: se uno non ha fatto la quaresima, un altro non farà la Pasqua. - Io dirò: sia pure questa una vana diceria, sia quel che si vuole, ma noi teniamoci tutti ben preparati. Non aspettiamo a fare la confessione generale e ad aggiustare le cose dell'anima nostra in fin di vita; perchè saremo colti all'improvviso, [88] e andrà male per noi. Confessiamoci bene per tempo, e la morte venga a me, venga a voi, saremo tutti preparati. La morte per uno che abbia la coscienza tranquilla è un conforto, un'allegrezza, un passaggio che lo conduce alla perfetta felicità. Al contrario per uno che abbia il peccato sull'anima, è il maggior spauracchio di terrore che ci possa essere, è un tormento, è una disperazione.
Fra tanti uomini che vissero dal principio del mondo fino adesso non uno ha sfuggito la morte. Ma benchè non siavi cosa più certa della morte, tuttavia non vi è cosa più incerta dell'ora, del luogo, del modo della morte. Altri muoiono nella fanciullezza, altri in età più adulta, altri poi in vecchiaia. Chi sa quando noi moriremo? chi sa dove poi moriremo? Se nell'oratorio, o andando a passeggio, o nel letto per malattia, o soffocati improvvisamente dal sangue? Noi non lo sappiamo. Con questa certezza e queste incertezze, dobbiamo stare all'erta! E comincerò io a tenermi preparato, e voi pure dovete farlo. Il proverbio dice: Chi ha tempo non aspetti tempo. Il Signore ci ripete, che la morte viene come un ladro, quando uno meno se lo aspetta. Pregate il Signore per me affinchè possa tenermi sempre preparato, che la morte non mi colga all'improvviso. Io pure raccomanderò voi al Signore nella S. Messa e pregherò affinchè nessuno dei miei giovani muoia impreparato.
Posdomani, secondo il solito degli altri anni, vi sarà l'esercizio della buona morte, e poi il Priore di S. Luigi distribuirà a ciascheduno una bella fetta di salame per rinvigorire le forze. Si cominci da domani sera la preparazione a far bene questo esercizio. Chi ha bisogno di confessarsi, cominci subito domani mattina. Adesso in carnevale questa sarà la vera allegria; cioè aver la coscienza pulita; essere tranquilli negli affari dell'anima nostra, affinchè venendo il Signore a prenderci con lui, ci trovi tutti ben preparati.
Gli ascritti udirono la parola di Don Bosco, dove meno se lo sarebbero aspettato. La domenica 18 febbraio egli andò per la prima volta a pranzare con loro nel refettorio inaugurato da due mesi. Gli lessero alcune poesie; poi la banda sonò sotto i portici al levar delle mense.
“Caro Don Bosco! esclama Don Barberis nella sua cronaca. Gli compariva proprio il contento sul volto”. I chierici erano sessantacinque. La vista di sì bella schiera, il pensiero di tante belle speranze gli fecero ripetere più volte: - Sono contento! Sono proprio contento! Bisogna che io venga qui ancora altre volte. Qui manderò di quando in quando a pranzare preti forestieri. - Finito il pranzo, così prese a dire: [89] Voi mi avete letto qualche composizione, mi avete parlato in poesia, ed ora io voglio dirvi qualche cosa in prosa, acciocchè anche quelli che non sono poeti possano intendermi, ed aver la parte loro. Sono venuto qui non per altro motivo se non per vedere questo nuovo refettorio e vedervi tutti schierati in questo luogo per fate la parte vostra.
Ho da congratularmi con voi che fate tutti bene la parte vostra; intendo in refettorio. Però non voglio dirvi che non facciate bene la vostra parte altrove: io sono contento in tutto e per tutto degli ascritti, quantunque alcuni pochi non abbiano i dieci decimi di condotta. Tuttavia sono ancora abbastanza buoni i nove decimi.
Dovrei raccomandarvi in primo luogo che ciascuno abbia cura della sua sanità. Ho sentito che molti di voi hanno voglia di digiunare, massimamente ora in tempo di quaresima, ovvero non vogliono fare tutta la ricreazione o per studiare essendo vicini gli esami[40], o per far penitenza, o per altro fine. Perciò affinchè alcuno non mi domandi una licenza che difficilmente soglio concedere, io vi dico che per quanto si può la penitenza consista nell'osservare l'orario. E ciò che voleva inculcarvi: osservate bene l'orario, e specialmente in questo tempo di quaresima. Invece di fare opere di penitenza fate quelle dell'obbedienza. Siate puntuali al mattino nell'alzarvi, alla sera nell'andare a letto, nell'andare a scuola e in chiesa e nell'eseguire ogni altro vostro dovere. Si faccia fare quaresima alla lingua, col non permettere nessun genere di discorsi inopportuni. Alcuni i quali fecero un carnevale prolungato finora, cioè che non meritarono i dieci decimi di condotta, facciano ora quaresima col guadagnarsi un voto assolutamente soddisfacente.
Facendo altrimenti cadreste in un disordine. Io ho bisogno che voi cresciate e diveniate giovani robusti e che vi usiate i riguardi necessari per conservarvi in sanità, e per poter più tardi lavorare molto. Per questo motivo io sono contento d'aver veduto che siete valenti nello sbarazzare la tavola, e che non fate smorfie quando vi mettono davanti le pietanze. Io poi verrò ancora qualche altra volta a pranzare con voi, perchè vedo che mi trattate bene. Ed io pure faccio la mia parte.
I Gesuiti prima di accettare alcuno nella loro Compagnia, la prima prova alla quale lo sottopongono è quella d'invitarlo e condurlo a pranzo. Se vedono che mangia di ogni cosa, senza distinzione, se sbarazza presto i piatti e con buona voglia, costui ha già molti punti di probabilità di essere accettato. Essi dicono: Costui ha sanità, robustezza, e potrà lavorare. Se invece uno rifiuta la pietanza, o mangia solo metà della sua porzione, o fa smorfie, o si lamenta del cibo, è [90] ben difficile che lo accettino, perchè vogliono solamente individui che possano essere di utilità e non di peso alla Congregazione. Se un maestro di novizi avesse veduto voi stamane, credo che vi avrebbe dato i pieni voti. Ciò indica sanità.
Così io ho bisogno che voi stiate sani e cresciate, perchè possiate succedere a quelli che mandiamo nelle altre case e perchè mi aiutiate nei lavori che vanno moltiplicandosi. E sono contento di vedervi in così gran numero, perchè da tutte parti ci invitano, da tutte parti cresce la messe. Anche di questi giorni mi vennero fatte nuove proposte di mettere su case, e proposte molto grandi, dalla Francia, dall'Inghilterra, da Vienna in Austria. Si vedrà, ma bisogna che voi facciate presto a crescere.
Dappertutto hanno di noi un grande concetto, e ci credono tutti santi e che facciate miracoli. Io vi credo tutti buoni, e qui a tavola ben anco capaci di far miracoli; ma del resto, senza farvi torto, credo che non siate ancora a quel punto: tuttavia bisogna che pensiamo a sostenerci ed a mantenerla questa fama.
Dappertutto vi è un grande entusiasmo per i Salesiani. Guardate! Dovunque va qualcuno di noi, tutti stanno attenti, per vedere il modello che Don Bosco invia. In tutti i posti dove sono andato, ad Albano, a Magliano, ed in altri siti, ardevano tutti pel desiderio di vedere un Salesiano, e giunto questo fra di loro, dicevano subito: A un santo! Perfin coloro che furono mandati via dall'Oratorio per cattiva condotta, per cose gravi, presentatisi in qualche paese, e saputosi dalla gente donde venivano, fossero anche questi espulsi gente di poco ingegno, ottenevano subito impieghi, assistenze nei collegi, cattedre nelle scuole, e la piena fiducia di tutti. Basta che dicano: - Vengo dall'Oratorio - e non si domanda più loro l'attestato di buona condotta. Trovino pure ogni prosperità questi tali, e facciano meglio di quello che han fatto per lo passato; ma io vi ho detto questo solamente per farvi vedere la grande stima in cui siamo tenuti. Ma ditemi: se noi mancassimo a questa grande riputazione in cui la gente ci tiene? Dunque bisogna che ci adoperiamo a tutto potere per non mancare alla generale aspettazione e di fare tutto il nostro dovere, sia di studio, sia di pietà, sia di condotta inappuntabile. Il Signore penserà al resto.
Don Cagliero dall'America ci scrive, che i Missionari dell'ultima spedizione sono arrivati là felicemente, e che tutti hanno già le loro occupazioni. Raccomanda a coloro che partiranno di fare onore al nome di Salesiano. In America, basta che non si degeneri dalla fama che ci precorse, e le cose andranno avanti bene e da sè. Procuriamo adunque di essere quali ci stimano, poichè noi non siamo poi tutti santi!
Riguardo agli esami io vi dirò, che vedremo se avete studiato. Ma non tutti quelli che hanno studiato molto possono avere i voti migliori, perchè può esservi difetto di capacità o di studi precedenti; ma quando [91] uno abbia tenuto buona condotta morale da meritarsi i dieci decimi, coll'aiuto del Signore e con quello che si potè studiare, si riuscirà certamente nella prova con voti sufficienti. Del resto io spero che gli esami andranno bene.
Ora per dirvi qualche cosa d'altro, io vi raccomando che procuriate di fuggire e d'impedire le mormorazioni: cioè che vi dimostriate sempre contenti delle cose come sono disposte. Questo giova grandemente all'allegria, perchè se qualcheduno ha ragioni di malcontento e non le comunica ad altri, sta esso tranquillo, il malumore si dissipa da per sè, e non vi è nulla di male: se invece lo manifesta, gli altri vi prendono parte, e le cose a cui prima non badavano, diventano dispiacenti. Non parlo dei cattivi discorsi, dei quali dice S. Paolo: Nec nominentur in vobis. Di questo io non debbo neppure sospettare, e quindi tra di noi non si deve parlare di questo argomento. Accenno a quelle parole di biasimo colle quali si giudicano le disposizioni e i comandi dei superiori o le cose elle si fanno nella casa. Mi scriveva un Salesiano solamente ieri: - Mi basta che una cosa sia disposta dai Superiori, che subito mi piace e non vado a cercarne il perchè. - Io vorrei che proprio tutti poteste dire così.
La mormorazione porta il rispetto umano. Molte volte fra i compagni si farebbe qualche buona azione, ma subito si pensa che cosa ne diranno gli altri e che non la interpretino bene; e per timore di quella parola, di quell'atto di disapprovazione quella cosa buona non si fa più. Ecco un male grandissimo prodotto dalla mormorazione.
E pur troppo di tali parole se ne dicono. Questa è una mancanza che porta molto danno alle Congregazioni religiose, come appunto mi scriveva una persona in questi giorni. Perchè tanti ragionamenti, quando si tratta di obbedire? Il Superiore ha dato un ordine? Ebbene, si eseguisca. Ma perchè l'ha dato? Perchè, perchè ...? E perchè andate a cercare il perchè? Facciamo noi il nostro dovere, il Superiore farà il suo. Quando uno si mette a parlare male di un Superiore, di un assistente, a censurare qualche cosa che egli ha fatto, a dire che poteva farla in questo o quell'altro modo, vi è sempre un altro e poi un altro che si aggiunge al primo, e fanno coro, e dicono spropositi ancora più grossi, massimamente se vi è qualcuno che abbia un po' di eloquenza oratoria. In questo caso si spande il malcontento anche negli altri, e tutta la casa procede male. Guardate adunque di fare quanto potete per impedire che si parli male dei Superiori, e voi stessi procurate di eliminare ogni critica dai vostri discorsi, perchè fanno del grati danno. Che se poi in queste ciarle entrasse l'offesa di Dio, allora si dovrebbe alzar la voce contro il nemico delle anime, gridare al lupo perchè non faccia strage, e adoperare tutti i mezzi per ridurlo al silenzio. Allora sì che è lecito mormorare, cioè accennare ai difetti altrui. Quando potete impedire, parlando, l'offesa di Dio, fatelo, fatelo, e ne avrete merito. [92] Ora più non mi resta che farvi coraggio a proseguire con animo virile nell'impresa incominciata, perchè Iddio benedirà i nostri sforzi. Dunque coraggio nel conservarvi in buona sanità, coraggio nel proseguire gli studi, coraggio nell'impedire che si dica male dei Superiori, e allora non ci mancherà più niente: potremo sfidare tutti i diavoli e i loro fautori che volessero farei del male, e non avremo più nessuna paura di loro, e faremo con sicurezza del bene a noi ed agli altri.
Se si pensa che con tanti ascritti vi erano nell'Oratorio anche molti chierici professi, non ci reca meraviglia il sapere come taluno manifestasse qualche preoccupazione per un numero sì grande di vesti nere nel medesimo luogo. I visitatori non ne avrebbero ricavata poco favorevole impressione? e i maligni non ne avrebbero pigliato pretesto a critiche velenose? Appunto per non dare troppo nell'occhio a diverse qualità di persone, le vestizioni chiericali si facevano nell'Oratorio alla spicciolata e senz'apparato. La necessità insomma di una casa a sè per gli ascritti si faceva ogni anno più sentire. - Sarebbe necessario, disse a questo proposito Don Bosco, che io mi potessi sempre trovare in mezzo agli ascritti, per formarne lo spirito, per conferire molto di frequente col loro maestro; ma pure... pure... qui a Torino sono veramente troppi! - Di fronte a una necessità Don Bosco non si contentava di rilevarla e di parlarne accademicamente; il suo pensiero correva subito alla ricerca dei mezzi per ovviarvi: Così avvenne che per l'anno scolastico 1879 - 80 la casa degli ascritti era bell'e trovata e ampia e decorosa nel vicino borgo di S. Benigno Canavese.
Dalle parlate precedenti e da altre fonti noi sappiamo che il Servo di Dio in pubblico e in privato, fra molti e da solo a solo, in casa e fuori discorreva volentieri dei progressi che la sua Congregazione veniva facendo e dei destini che le erano riservati nel futuro. In tutto questo egli aveva per iscopo di animare i suoi figli a grandi imprese, infondendo in loro l'intimo convincimento che i Salesiani erano chiamati a grandi cose e che ognuno di essi doveva rendersi atto a fare generosamente la parte sua.
Quel grande amico del Beato Don Bosco, che fu Don Giacomelli, quando vide l'estendersi della Congregazione Salesiana, gli aveva chiesto se egli sarebbe andato anche in Francia, e n'aveva avuta una risposta esitante. I Francesi fanno da sè - aveva detto Don Bosco. Al medesimo Don Giacomelli il Beato ripetè più volte una sentenza, che sembra spiegare le parole precedenti. - Le cose fanno gli uomini, non gli uomini le cose - soleva dirgli. Don Bosco dunque andava là dove il dito di Dio gli indicava e dove la mano di Dio lo guidava. Occasioni provvidenziali e lumi interiori gli segnavano il cammino, che la divina grazia l'aiutava poi a percorrere. Così fu per le Missioni, per l'Opera dei Figli di Maria, per i Cooperatori, e così fu anche per la Francia; il poco che si è già visto per la fondazione di Nizza, apparirà molto più distintamente nel seguito di queste Memorie rispetto ad altre fondazioni sul suolo francese.
L'inaugurazione del Patronato di S. Pietro a Nizza nella sua nuova sede e il bisogno di trattare sul posto, per una casa a Marsiglia furono i motivi principali che lo determinarono a recarsi in Francia verso la fine di febbraio del 1877. Diciamo principali, perchè nel suo itinerario troviamo espressa l'intenzione di andare anche a Tolosa, a Bordeaux e in altre città; certo è pure che ai 19 di febbraio egli parlò di ventiquattro [94] domande provenienti da diverse parti della Francia; ma non abbiamo documenti se non per una corsa a Cannes.
Questo viaggio gl'impediva di trovarsi nell'Oratorio per un'occasione importante e delicata. In quei giorni il Prefetto di Torino e il regio Provveditore agli studi visitavano insieme tutti gl'Istituti della città, e quindi sarebbero venuti anche all'Oratorio. Non c'era chi meglio di Don Bosco sapesse trarsi d'impiccio in simili circostanze; onde prima di assentarsi impartì ai Superiori istruzioni molto precise. - Io, disse loro, e la cronaca ne registra le parole[41], li ho già invitati a venire all'Oratorio; mi fu risposto che prima visitavano gl'Istituti governativi e che fra gl'Istituti privati il nostro avrebbe forse avuto la precedenza. Si facciano loro le migliori accoglienze possibili. Si ricevano alla porta con la musica strumentale e si conducano in luogo adatto, ove si canti, si legga, si declami qualche cosa di bello. Si metta bene in rilievo che il numero degli artigiani supera quello degli studenti. Prima si conducano a vedere la panatteria, i refettori, la cucina e poi tutti i laboratori e in ultimo i migliori dormitori. In tipografia si procuri che tutte le macchine siano in moto. Lo studio senza i giovani non si presenta bene; ma se vi sono i giovani, temo che compaiano troppi. Chi li accompagnerà, faccia risaltare essere questa una casa di beneficenza e che qui mancherebbe questo, e che là ci vorrebbe quell'altro, ma che costerebbero assai, e noi siamo poveri. Infine, quando partiranno, vi sia la musica per salutarli e si offra loro una copia della Storia d'Italia, come saggio di tipografia e di legatoria e come segno d'affetto. - Don Bosco poteva star certo che le sue raccomandazioni non sarebbero state parole al vento; vi era Don Rua, per cui sillaba di Don Bosco non cadeva invano.
Partì il 21 febbraio. La prima parte del suo itinerario portava brevi tappe a Sampierdarena, Varazze, Vallecrosia [95] e Ventimiglia. Sembra che il 22 sia stato a Vallecrosia[42]. Dopo ne perdiamo le tracce fino al 28, quando da Nizza proseguì per Marsiglia[43] in compagnia di quel direttore Don Ronchail. Trarremo l'ordito al nostro racconto da documenti dei nostri archivi e da altri conservati negli archivi della parrocchia di S. Giuseppe in quella città, scarsi tutti però circa questa prima fase delle trattative per la fondazione salesiana nella capitale della Provenza[44].
L'avvocato Ernesto Michel[45] fu il primo che fece conoscere Don Bosco a Marsiglia con una conferenza da lui tenuta nel 1876 sulle opere del Beato[46] a vantaggio della gioventù povera e abbandonata. Uno de' suoi uditori, l'abate Clemente Guiol, parroco di S. Giuseppe, che l'aveva ascoltato con il massimo interesse, si sentì mosso a mettersi in relazione col Servo di Dio per chiamarlo in aiuto a pro di tanti giovani italiani, che popolavano le strade di Marsiglia e vivevano nel più completo abbandono per quel che riguardava l'educazione cristiana. Non conoscendo personalmente l'avvocato, ricorse a un intermediario. Aveva egli un intimo amico nella persona del canonico Timon - David, Fondatore e Superiore di un'Opera giovanile denominata Oeuvre de la Jeunesse ouvrière du Sacré Cœur e confidente del pio e caritatevole [96] signor Michel. I due sacerdoti s'intesero all'istante. Il canonico, per desiderio dell'abate Guiol, scrisse il 21 maggio all'avvocato, pregandolo di raccomandare a Don Bosco la gioventù di Marsiglia. L'avvocato, avendo motivo di credere che Don Bosco sarebbe venuto presto a Nizza, si riservava di trattarne a viva voce con lui; Don Bosco invero nel mese di giugno visitava le case della Liguria e tutto faceva credere che passasse anche la frontiera: ma quel viaggio gli fu impossibile. Don Ronchail, avvisatone, si affrettò a raggiungerlo, portando seco la lettera del canonico marsigliese e riportando poi all'avvocato nizzardo la seguente risposta di Don Bosco per il canonico sullodato.
Il Sig. Avv. E. Michel di Nizza, mio buon amico, ebbe più volte ad accennare ad un notabile numero di giovanetti italiani che o colla propria famiglia oppure in cerca di lavoro si recano a Marsiglia. Essi pochissimo istruiti nella scienza scolastica e religiosa, ignari affatto della lingua francese, restano esposti a gravi pericoli morali. Ciò dicendo manifestava che qualcuno delle nostre case avrebbe forse potuto farvi del bene. Ecco la ragione principale della sua proposta. In quanto a Lei poi, Sig. Abate, io dirò con tutto buon cuore, che se io posso in qualche modo giovare, o meglio mettere un granellino sulla bilancia di tante opere di carità che esistono in Marsiglia, io lo farò volentieri, purché:
1° Io abbia il previo gradimento dell'Arcivescovo[47], da cui intendo sempre avere dipendenza non solo nelle cose di religione, ma in qualunque cosa a Lui piacesse di semplicemente consigliare.
2° Che la S. V. giudichi tale cosa conveniente e che l'Opera della gioventù operaia mi dia il suo appoggio morale.
3° Le case vivono di provvidenza e poco ci basta, nè mai si cercano annualità pecuniarie. A me basta poter avere un sito dove poter radunare i più poveri nei giorni festivi, e dare ricovero a quelli che fossero in totale abbandono. Si è osservato che qualunque opera pia già esistente non viene mai ad urtare con quello che fanno i Salesiani.
Ciò premesso, io prego la bontà sua a voler parlar da parte mia a S. E. l'Arcivescovo di Marsiglia e di averne in massima il suo parere, e se poi Ella ha qualche cosa a suggerirmi a questo scopo, mi farà un gran favore di comunicarmelo. [97]
Nel corso del prossimo autunno andando nella casa di Nizza mi sarà facile fare una gita a Marsiglia e di presenza si potranno dare più positive spiegazioni.
Se mai V. S. od altri venissero in questi nostri paesi, offro loro di buon grado questa casa per qualunque servizio loro tornasse opportuno.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e si degni di pregar per me che le sono nel Signore
L'avvocato Michel trasmise immediatamente al canonico Timon - David lo scritto del Beato, unendovi una sua traduzione in francese[48]. L'altro nel comunicarla all'abate Guiol usava queste edificanti espressioni: “Faccio ardenti voti per il buon esito delle trattative con Don Bosco; quand'anche dovessimo soffrirne noi, dummodo Christus annuntietur, in hoc gaudeo”. Quel “noi” si riferisce a lui stesso e ai suoi religiosi. Esisteva a Marsiglia un'Œuvre de la Providence ovvero des enfants de l'Étoile, tenuta dai Fratelli delle Scuole Cristiane, ai quali si trattava allora di far sottentrare i Fratelli del Sacro Cuore del Puy, fondati dal canonico Timon - David. Questi dunque era pronto a cedere il posto ai Salesiani, se Don Bosco accettasse.
Nemmeno nell'autunno del '76 il Beato Don Bosco potè andare in Francia; vi andò solo nel febbraio del '77, come dicevamo, spingendosi fino a Marsiglia. Qui egli aveva bisogno di possedere almeno un pied - à - terre per i suoi Missionari, che vi sarebbero passati per imbarcarsi: tanto più volentieri avrebbe accettato un'opera di beneficenza a pro della gioventù povera. Se non che in una città dove già tante famiglie religiose attendevano ai bisogni spirituali e materiali della popolazione, il Vescovo Monsignor Place non vedeva di buon occhio la venuta di una Congregazione nuova[49]. Ma il [98] Servo di Dio, quando ebbe agio di parlargli, non durò fatica a guadagnarsi la benevolenza e il favore del degno Prelato; infatti, udita l'umile richiesta di Don Bosco, gli rispose che un semplice pied - à - terre, era troppo poco, ma che ci voleva a Marsiglia una casa, la quale fosse per la Francia quel che la casa di Torino era per l'Italia. Fece ancora di più: gl'indicò l'abate Guiol come il sacerdote suo diocesano più capace di aiutarlo nell'impresa, non solo per la sua virtù e per l'ascendente grande che aveva sui fedeli, ma anche per il posto da lui occupato, essendo a capo della parrocchia più ricca di Marsiglia. Nè pago di questa designazione orale, gli diede pure un suo biglietto di presentazione per il curato. In tutto questo parve tanto più mirabile l'intervento della Provvidenza, perché era cosa notoria come per questioni d'ordine amministrativo fossero piuttosto tesi i rapporti fra il parroco di San Giuseppe e il suo Vescovo. Noi non possiamo dunque non tener conto anche di tale circostanza nel valutare un certo motto del Beato. Si racconta che un giorno, discorrendosi alla sua presenza del primo miracolo da lui operato a Marsiglia, il quale sembrava risalire al gennaio del 1879, egli, per rendere omaggio al curato di S. Giuseppe, rettificasse dicendo: - No, il primo miracolo di Don Bosco a Marsiglia fu che monsignor Place gli designasse l'abate Guiol ad aiutarlo nell'opera sua.
Recatosi Don Bosco dall'abate, ci volle l'assistenza dell'interprete, perché l'uno stentava fortemente a esprimersi in un francese che fosse intelligibile quanto lo richiedeva l'importanza delle cose da trattare, e l'altro non capiva un briciolo d'italiano; ma questo non impedì che le due anime si comprendessero a pieno. Che cosa precisamente siasi fra loro concertato in quei giorni, non ci è dato saperlo; senza dubbio però le relazioni strette da Don Bosco a Marsiglia durante quella sua prima dimora e le conversazioni preliminari con l'abate Guiol segnarono in modo definitivo il punto di partenza per l'opera sorta l'anno dopo in quella città. [99] Dopoché il Beato Don Bosco lasciò Marsiglia, corsero fra il curato e il canonico scambi di idee che portarono alla proposta formale di affidare ai Salesiani l'opera dell'Étoile; infatti nella prima metà di maggio il Servo di Dio ricevette lettere in tal senso. Egli aveva visitato l'opera anzidetta, ma dovette osservare che essa non rispondeva agl'intendimenti suoi; giacchè vi si ricevevano ragazzi di sette anni per tener veli fino ai quattordici, mentr'egli nelle sue case di arti e mestieri li accettava sui dodici e non li rimandava finchè non avessero compito il corso professionale. Dovette anche vedere che egli non vi avrebbe avuto mano libera, dipendendo l'ente da un consiglio di amministrazione estraneo. L'11 maggio poi, riferendone al Capitolo Superiore, si espresse in questi termini: - Quando fui a Marsiglia, visitai un orfanotrofio. Il locale era magnifico, i mezzi di sussistenza abbondanti. I giovani in casa erano poco custoditi, non hanno laboratori interni, e andavano a lavorare in città. Chi entra buono in quell'orfanatrofio, in poco tempo si guasta. Quel direttore, che mi sembra di buone intenzioni, mi domandava consiglio, ed io gli risposi essere assolutamente necessario avere per prima cosa laboratori interni; e gli parlai del come vanno qui le cose nel nostro Oratorio. Ieri ricevetti una lettera, in cui questo direttore si dice disposto e desidera che Don Bosco con i suoi prenda la direzione di questa casa, che appartiene ai Fratelli del Sacro Cuore[50]. - La risposta fu che per mancanza di personale non si poteva accettare. [100]
A Marsiglia Don Bosco albergò allora presso i Fratelli delle Scuole Cristiane. Stare in mezzo a tanti giovani e non curarsi di loro era mai possibile a Don Bosco? Un giorno, attraversando il cortile, ne incontrò uno, al quale fe' cenno di accostarsi e gli disse qualche paroletta, come soleva fare con i ragazzi. Che cosa gli dicesse, non lo sappiamo; il giovane però ne rimase talmente colpito, che, ritornato fra i compagni, disse loro: - Ho veduto un santo! - Fu una scintilla elettrica: in breve tutti volevano vederlo e parlargli. Pur esprimendosi come poteva in quel suo francese più ingegnoso che corretto, se ne guadagnò a poco a poco i cuori, sicché si accese una gara per confessarsi da lui. Una camerata ebbe licenza di farlo. Confessatisi alcuni, ecco spargersi la voce che egli manifestasse anche i peccati che si volessero tenere occulti. Questa notizia mise sottosopra il collegio. Si chiedeva da ogni parte di fare la confessione generale. I Superiori, impensieriti, non credettero di permettere che altre camerate si andassero a confessare; sebbene con vivo rincrescimento, Don Bosco per evitare dispiaceri lasciò che facessero.
In un collegio cattolico poteva Don Bosco non parlare di vocazione? Quei Superiori lo assicuravano che era impossibile fra i loro allievi trovare chi aspirasse allo stato ecclesiastico. - Nessuno si vuole far prete! - gli ripetevano in [101] tutta buona fede. Ma bastò il piccolo saggio di bontà e di santità dato dal Servo di Dio, perché si svegliasse in molti di quei convittori il desiderio di essere sacerdoti e Salesiani. Fatto è che parecchi volevano seguirlo a Torino, e che, qui giunto, egli trovò un pacco di lettere, in cui tanti gli ridicevano la loro brama di venire a Torino e farsi Salesiani, pronti a qualunque sacrifizio, pur di essere da lui accettati. Alcuni perfino, appartenendo a famiglie ricche, si protestavano disposti a pagare qualunque somma, e vi era perfino chi con candida ingenuità prometteva di dare quanto possedeva, allorché fosse padrone di disporne. Uno arrivò a fuggire dal collegio e, venuto all'Oratorio, non volle più saperne di rimpatriare.
Non omise neppure di osservare il metodo ivi usato per il governo degli alunni. I superiori gli chiedevano com'egli facesse ad attirarsi così subito, dovunque andasse, la benevolenza e la simpatia dei giovani e perché ad un suo sguardo non potessero resistere, ma restassero tosto avvinti quasi da forza misteriosa. Egli spiegava loro un po' del sistema preventivo e dell'amorevolezza, con cui si guidavano e si correggevano i fanciulli nei collegi salesiani; mostrava anche quali effetti derivassero dal sistema opposto, secondo il quale i Superiori stavano sempre lontani dai giovani, facendosi vedere abitualmente seri, e financo burberi per sostenere la propria autorità[51]. Egli in quel tempo non aveva ancora scritte le auree pagine sul sistema preventivo; ma o doveva già ruminarne il contenuto o le osservazioni ivi fatte gli suggerirono l'idea di scriverle, come di qui a poco vedremo.
Anche fuori si diffuse la notizia della sua presenza in Marsiglia. I convittori dei Fratelli, con la loquacità dei collegiali quando parlano coi parenti, contribuirono certo a divulgarla, se pure non furono essi i principali divulgatori. Così avvenne che un armatore del porto, uomo ricco e religioso, corse dal parroco della cattedrale provvisoria e gli disse: - Abbiamo un santo a Marsiglia e non lo conosciamo! [102]
- Andati insieme a trovarlo, ne furono conquisi e tanto il signor Bergasse che monsignor Payan gli divennero amici e benefattori; il nome soprattutto del primo suona ancora benedetto dai Salesiani dell'Oratorio di S. Leone. I giornali alla loro volta non tacquero; onde cominciò il viavai dei visitatori.
Egli però non diede udienza a tutti coloro che la domandavano, perchè uno sbocco di sangue lo costrinse a concedersi un po' di riposo, andando a letto presto e levandosi tardi. Per questo forse depose il pensiero di recarsi in altre città. Delle tante proposte fattegli per l'apertura di case, nove gli erano venute dalla sola Marsiglia; ma, impedito così dalla salute di occuparsene direttamente, pregò il Vescovo di vedere e scegliere. Monsignore annuì ben volentieri, promettendo intanto di appianare le eventuali difficoltà e di portare poi in persona a Torino i risultati delle sue pratiche, poiché aveva un gran desiderio di visitare l'Oratorio. I venti e gli improvvisi sbalzi di temperatura apportavano sempre al Beato qualche incomodo di salute nei suoi viaggi per la riviera.
Don Bosco stette a Marsiglia circa una settimana. Lo argomentiamo da una lettera a Don Rua, senza data di luogo e di tempo, ma scritta certamente allora di là, secondoché si deduce dal contesto[52]. Scrivendo a Don Rua, more solito, fra comunicazioni, istruzioni, licenze, incarichi, gli mette dinanzi in ordine di elenco, ben dodici cose o gruppi di cose disparatissime, tre delle quali si riferiscono al suo soggiorno marsigliese. Uno dei numeri è interessante per quel che vi si dice del Vescovo: “Il Vescovo di Marsiglia, che fu assente, giunse ieri, ed oggi andrò con D. Ronchail a pranzo a casa sua. Si manifesta assai favorevole alle cose nostre. Vado [103] scoprendo terreno e darò la zappata dove il terreno sarà più conveniente”. Un altro numero riguarda il collegio che lo ospita:
“Ieri vi fu trattenimento per la distribuzione delle menzioni onorevoli[53] agli allievi di questo collegio di seicento convittori. Pare che possa servire di norma anche per noi. Declamazione di cose diverse, canto, suono, qualche concerto; contentarono l'immenso uditorio che trovavasi presente in un vastissimo salone sotto alla chiesa”. Un terzo numero accenna a una gita in luogo che allora era rifugio a inalati di petto: “Dimani mattina partiremo per Cannes, dove mi fermerò sei ore per visitare qualche ammalato e trattar per una memoria da darsi al Governo mercè l'appoggio di un amico di Mac – Mahon”. Il maresciallo Maurizio Mac - Mahon fu presidente della repubblica francese dal 1873 al 1879. Scopo di questa “memoria” dovette essere di ottenere dal Governo francese l'autorizzazione per l'apertura di una scuola libera secondaria accanto a quella professionale[54]. Poi continua: “Sulla sera, a Dio piacendo, sarò a Nizza”. [104]
Benchè assediato dagli affari, non dimentica i suoi figli lontani. Non dimentica gl'infermi: “Fà coraggio e saluta da parte mia D. Vespignani, D. Tonelli, e Giovanetti, e assicurali che io li raccomando in modo espresso nella santa Messa ed essi preghino anche per me”. Il povero chierico Giovanetti morì il 6 marzo, primo dei due indicati a parte da Domenico Savio. Non dimentica i giovani dell'Oratorio:
“Dirai ai nostri giovani che mi sembra un mezzo secolo, da che non li ho più veduti. Desidero tanto di far loro una visita per dir loro tante cose, ed anche per avvisarli che preghino per un compagno che non vuole più fare con loro la festa di Pasqua”. Questo compagno fu il giovane Giovanni Briatore, da Deversi di Garessio nel circondario di Mondovì, alunno della prima ginnasiale, morto il 28 marzo, secondo dei sei accennati nel sogno. La Pasqua del 1877 cadde nel 1° di aprile. Ricorda pure le Figlie di Maria Ausiliatrice: “Quando occorre inviare suore in qualche nuova casa, non si devono tutte prendere nella casa madre: ma come facciamo pei Salesiani a Torino, cercarne qualcuna nelle case già aperte, ma che sia capace, e poi facendo supplire questa da qualcheduna nuova, inviare quella alla direzione della nuova casa. Di questo ne parleremo giunto a Torino”. Vi rammenta perfino che ad Albano un chierico ha bisogno di un pianoforte: “Ho scritto al principe Chigi per un piano a Trione e spero che sarà favorito”.
In una seconda fase delle pratiche marsigliesi vedremo che l'abate Guiol non tenne le mani in mano. Indizio della serietà de' suoi propositi era anche l'impazienza di vedere da presso e in azione l'opera di Don Bosco. Il 1° maggio gli manifestò l'irresistibile idea di fare un viaggio a Torino e di fermarsi alcuni giorni nell'Oratorio. A giro di posta Don Bosco gli rispose per mano di Don Rua che venisse, venisse presto.
Con molto piacere il nostro caro D. Bosco ha ricevuto la riverita sua del 1° del corrente. Impedito dalle tante sue occupazioni, dà a me il piacevole ed ambito incarico di riscontrarla. M lascia pertanto [105] a dirle che venga pure a farei visita per fermarsi qualche tempo con noi, che l'attendiamo ansiosamente e ci riputiamo fortunati di poterle dare ospitalità. Passi anche al Patronato di S. Pietro in Nizza (Piazza d'Armi 1), e a S. Pier d'Arena nell'ospizio dì S. Vincenzo de' Paoli presenti questa mia e sarà pur colà il benvenuto. Fin d'ora Le auguriamo buon viaggio e preghiamo di cuore il Signore a volerla assistere e condurla qua felicemente.
Gradisca i cordiali ossequi del prelodato Sig. D. Bosco con quelli dello scrivente che gode professarsi con distinta stima
Rapida fu la visita. S'avvicinava la Pentecoste, che non gli permise di restare almeno fino alla festa di Maria Ausiliatrice. Ritornato alle sue cure parrocchiali, scrisse a Don Bosco una lettera di ringraziamento per tutte le cortesie usategli; ma Don Bosco tardò alquanto a rispondergli, perché occupatissimo, dovendo, oltre tutto il resto, far onore all'Arcivescovo di Buenos Aires, che accompagnò anche a Roma. E da Roma gli rispose il 13 giugno.
Sono in Roma per alcuni giorni e di qui rispondo alla graziosa lettera che si compiacque di scrivermi negli ultimi giorni di maggio passato.
Anzichè ringraziare, la S. V deve darmi compatimento per la mancanza di riguardi che forse non le furono usati in quel brevissimo tempo che Ella favorì dimorare con noi. Appena vide i preparativi; ma la festa non la vide. Oh quanto sarei stato contento che Ella pure si fosse trovata con noi in quella giornata!
Ho scritto al console italiano comm. Strambio[55], che spero avremo favorevole nel nostro progetto, che è tutto umanitario e religioso.
Il S. Padre parlò del nostro progetto e lo incoraggisce di tutto cuore e benedice tutti quelli che lo promuovono. Domandò notizie del Vescovo di Marsiglia, cui professa molta stima. In Marsiglia, egli disse, avvi campo assai vasto per molti forestieri, cui difficilmente si [106] riesce a far apprendere la via che conduce al cielo. - È necessario molto lavoro, molta pazienza; ma Dio non mancherà di aiutarci in questa impresa.
L'Arcivescovo di Buenos Aires coi pellegrini Argentini giunsero alquanto in ritardo. A Genova presero ospitalità nella nostra casa di S. Pierdarena. Di qui li accompagnai a Roma e nel loro ritorno passeranno per Torino.
In Roma folla immensa, il S. Padre in ottima salute, l'esposizione è uno spettacolo senza esempio.
Avendone occasione faccia da parte mia umili ossequi a Mons. Place suo Vescovo e gli partecipi una speciale benedizione che il S. Padre gli invia.
Caro Sig. Curato, Dio la benedica, preghi per me e per le nostre cose e mi creda sempre nel Signore
Si vede da questa lettera che nella moltiplicità degli affari l'opera di Marsiglia teneva ognora per lui un posto assai distinto! Ogni affare che Don Bosco intraprendeva sembrava sempre che stesse in cima a' suoi pensieri.
A Nizza un comitato di ragguardevoli cittadini preparava degnamente la festa dell'inaugurazione. Lo componevano il conte De Béthune, il conte Michaud de Beauretour, il conte De la Ferté - Meun, l'avvocato Ernesto Michel, il barone Héraud, i signori Carlo Gignaux e Augusto Faraut, che molto avevano già fatto per promuovere quell'opera di beneficenza. L'antica villa Gautier, acquistata e racconciata coi denari della carità, offriva ormai comodo spazio ad aumentare grandemente il numero dei ragazzi interni, bisognosi di pane, d'istruzione professionale e di cristiana educazione. Quei signori redassero una circolare, con la quale invitavano per il 12 marzo alla cerimonia inaugurale il fior fiore della cittadinanza. Bisognava dare pubblica assicurazione che i comuni voti si traducevano seriamente in realtà. Intanto proprio sul mattino di quel giorno accadde un episodio, che potremmo quasi dire simbolico. Si presentò al Patronage St - Pierre un [107] giovanetto, che chiedeva soccorso e ricovero. - Chi sei? gli fu domandato.,
- Sono un povero ragazzo Orfano.
- No, è morto prima che io potessi conoscerlo.
- Mia madre è nella miseria. Non potendomi dar pane, mi manda a cercar da vivere.
- Me lo guadagno sonando il Violino.
- Nelle osterie e nei caffè. Ma, se potrò imparare bene la musica, spero di andare più tardi a sonare nei teatri, e così guadagnarmi denari.
- Sei già stato ammesso alla santa Comunione?
Datogli quindi un breve esame sulla sua istruzione religiosa, si conobbe che ignorava le parti più elementari del catechismo e che per giunta versava in gravissimo pericolo di andar a finire molto male. Fu senz'altro accettato.
Dopo il mezzogiorno la cappella interna e le camere attigue si gremivano di gente. Nel cortile per i viali alberati che lo dividevano e lo fiancheggiavano, era uno sventolio di bandierine a vari colori. Alla festa eransi invitate anche le autorità civili, che intervennero con piacere e con segni di cordiale approvazione. Il sindaco della città cavalier Raynaud, trattenuto da cause impreviste, vi si fece rappresentare dal Cavalier Toselli assessore. Monsignor Pietro Sola col clero della cappella Vescovile alle due e mezzo diede principio alla funzione religiosa; i canti furono eseguiti maestrevolmente dagli allievi dell'ospizio. Finiti i vespri, Don Bosco prese la parola. [108] Fece prima la storia del Patronato, la quale in gran parte noi già conosciamo. Osservò che metà della somma che egli si era obbligato a pagare per l'acquisto di quella casa, era stata versata mediante l'offerta del Santo Padre e di altre caritatevoli persone; manifestava intanto la speranza certa che l'altra metà di franchi cinquantamila si sarebbe un po' alla volta pagata. Descrisse lo scopo dell'Istituto e quello che vi si faceva per la gioventù; rappresentò al vivo lo stato miserando di tanti poveri giovanetti: doversi quindi raccogliere tali infelici, istruirli nella religione, collocare gli esterni a lavorare presso onesti padroni, occupare gl'interni nei laboratori della casa, facendo loro apprendere un mestiere con cui potessero a suo tempo guadagnarsi il pane della vita. Ciò detto, prosegui:
Voi mi domanderete: I giovani di questa fatta sono molti? Gli esterni sono in numero assai notabile, ma gli interni per ora sono solamente sessantacinque: sono però oltre a duecento quelli che domandano con urgenza di essere ricevuti, e ciò avrà luogo di mano in mano che avremo locale preparato, si andrà ordinando la disciplina e la Divina Provvidenza ci manderà mezzi per mantenerli.
A questo punto della nostra esposizione voi mi farete un'altra ragionevole domanda. La strettezza del luogo, la moltitudine di richieste d'accettazioni, le riparazioni, le ampliazioni di locali, anzi di questa chiesa stessa, dove siamo, reclamano un edifizio più vasto, più alto, che possa meglio servire alla celebrazione della messa, per ascoltare le confessioni, per fare il catechismo ai piccoli, per la predicazione agli adulti e a coloro stessi che abitano qui vicino. Queste cose sono indispensabili, affinchè questo Istituto possa conseguire il suo fine, che è il bene dell'umanità e la salvezza delle anime. Ora come provvedere a tanti bisogni che occorrono? come trovare il danaro indispensabile per dar pane agli interni, vestirli, provvederli di maestri, assistenti, capi d'arte? Come continuare i lavori intrapresi e quelli che dovrebbersi incominciare?
A tutto vero, anzi io ungo ancora, che per sostenere le opere già incominciate si dovettero contrarre parecchi debiti, e questa medesima casa è soltanto pagata per metà; cioè vi sono oltre a cinquantamila franchi da pagare. Malgrado tutto questo non dobbiamo sgomentarci. Quella Provvidenza Divina che qual madre pietosa veglia su tutte le cose, che provvede agli uccelli dell'aria, ai pesci del mare, agli animali della terra, ai gigli del campo, non provvederà a noi che [109] davanti al Creatore siamo di gran lunga più preziosi di quelli esseri materiali? Di più: quel Dio che in voi, nei benèfici vostri cuori ha ispirato il generoso pensiero di promuovere, di fondare, di sostenere finora quest'opera, non continuerà ad infondere grazia e coraggio e somministrarvi i mezzi per continuarla? Più ancora: quel Dio, che con niente fece sì che si fondassero Istituti, in cui sono raccolti oltre a quattordici mila fanciulli senza che per loro vi sia nemmeno un soldo preventivo, quel Dio vorrà forse lasciarci ora mancare il suo aiuto in queste opere che tutte tendono a sollevare la classe più abbandonata e più bisognosa della civile società, a sollevare le anime più pericolanti, quelle anime per cui fu creato il cielo e la terra e tutte le cose che nel cielo e sulla terra si contengono: quelle anime per cui l'adorabile nostro Salvatore ha donato fin l'ultima goccia del suo sangue?
No! Adunque niun dubbio, niun timore che possa mancarci l'aiuto del Cielo. Non facciamo questo torto alla Divina Bontà, non facciamo questo torto alla vostra religione ed alla vostra grande e tante volte esperimentata generosità. Io son certo che quella carità che vi mosse a fare tanti sacrifizi in passato, non permetterà giammai che rimanga imperfetta un'opera così felicemente incominciata.
Questa speranza, oltre alla bontà dei vostri cuori, ha pure un altro saldo fondamento che si appoggia nella grande mercede che voi tutti cercate e che Dio assicura alle opere di carità!
Dio è infinitamente ricco e di generosità infinita. Come ricco, può darci largo guiderdone per ogni cosa fatta per amor suo; come padre di generosità infinita, paga con buona ed abbondante misura ogni più piccola cosa che noi facciamo per suo amore. Voi, dice il Vangelo, non darete un bicchiere d'acqua fresca in mio nome ad uno dei miei minimi, ossia ad un bisognoso, senza che abbia la sua mercede.
L'elemosina, ci dice Dio nel libro di Tobia, libera dalla morte, purga l'anima dai peccati, fa trovare misericordia nel cospetto di Dio, e ci conduce alla vita eterna. Eleemosina est, quae a morte liberat, purgat peccata, facit invenire misericordiam et vitam aeternam.
Fra le grandi ricompense avvi pure questa, che il Divin Salvatore reputa fatta a se stesso ogni carità fatta agli infelici. Se noi vedessimo il Divin Salvatore camminare mendico per le nostre piazze, bussare alla porta delle nostre case, vi sarebbe un cristiano che non gli offrisse generosamente fino l'ultimo soldo della sua borsa? Pure nella persona dei poveri, dei più abbandonati è rappresentato il Salvatore. Tutto quello, Egli dice, che farete ai più abbietti, lo fate a me stesso. Dunque non sono più poveri fanciulli che dimandano la carità, ma è Gesù nella persona de' suoi poverelli.
Che diremo poi della mercede eccezionale che Dio tiene riservata nel più importante e difficile momento, in cui sarà decisa la nostra sorte con una vita o sempre beata o sempre infelice? Quando noi, o Signori, ci presenteremo al tribunale del Giudice Supremo per dare [110] conto delle azioni della vita, la prima cosa che amorevolmente ci ricorderà non sono le case fabbricate, i risparmi fatti, la gloria acquistata o le ricchezze procacciate: di ciò non farà parola, ma unicamente dirà: Venite, o benedetti del Padre mio celeste, venite al possesso del regno che vi sta preparato. Io aveva fame, e voi nella persona dei poveri mi avete dato pane; aveva sete, e voi mi deste da bere; io era nudo, e voi mi avete vestito; era in mezzo di una strada, e voi mi avete dato ricovero. (MATTH., 25, 54 - 56).
Queste e più altre parole dirà il Divin Giudice, siccome stanno registrate nel Vangelo: dopo di che darà loro la benedizione e li condurrà al possesso della vita eterna.
Ma Dio, padre di bontà, conoscendo che il nostro spirito è pronto e la carne assai inferma, vuole che la nostra carità abbia il centuplo anche nella vita presente. In quanti modi, o Signori, su questa terra Dio ci dà il centuplo delle opere buone! Centuplo sono le speciali grazie di ben vivere e di ben morire; sono la fertilità delle campagne, la pace e concordia delle famiglie, il buon esito degli affari temporali, la sanità dei parenti e degli amici, la conservazione e la buona educazione della figliuolanza. Ricompensa della carità cristiana è il piacere che ognuno prova in cuor suo nel fare un'opera buona. Non è grande consolazione, quando si rifletta che con una piccola elemosina si contribuisce a togliere esseri dannosi alla civile società per farli divenire uomini vantaggiosi a se stessi, al loro simile, alla religione? Esseri che sono in procinto di diventare il flagello delle autorità, gli infrantori delle pubbliche leggi e di andar a consumare i sudori altrui nelle prigioni, e invece metterli in grado di onorare la umanità, di lavorare e col lavoro guadagnarsi onesto sostentamento, e ciò con decoro dei paesi in cui abitano, con onore delle famiglie a cui appartengono?
Oltre a tutte queste ricompense che Dio concede nella vita presente e nella futura, avvene ancor una che debbono i beneficati porgere ai loro benefattori. Sì, o Signori, noi non vogliamo defraudarvi di quella mercede che è tutta in nostro potere. Ascoltate.
Tutti i preti e i chierici, tutti i giovani raccolti ed educati nelle case della Congregazione Salesiana e più specialmente quelli del Patronato di S. Pietro, innalzeranno al cielo mattino e sera particolari preghiere pei loro benefattori. Mattino e sera i vostri beneficati con apposite preghiere invocheranno le divine benedizioni sopra di voi, sopra le vostre famiglie, sopra i vostri parenti, sopra i vostri amici. Supplicheranno Dio che conservi la pace e la concordia nelle vostre famiglie, vi conceda sanità stabile e vita felice, da voi tenga lontano le disgrazie tanto nelle cose spirituali, quanto nelle cose temporali e a tutto ciò aggiunga la perseveranza nel bene, e, al più tardi che a Dio piacerà, i vostri giorni siano coronati da una santa morte. Se poi nel corso della vita mortale, o Signori, avremo la buona ventura d'incontrarvi per le vie della città od in qualsiasi altro luogo, oh sì, [111] allora ricorderemo con gioia i benefizi ricevuti e rispettosi ci scopriremo il capo in segno d'incancellabile gratitudine sulla terra, mentre Iddio pietoso vi terrà assicurata la mercede dei giusti in cielo. Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis.
Come Don Bosco ebbe terminato di parlare, alcuni degli uditori spontaneamente s'intesero fra loro per fare una questua, che fu copiosa oltre l'aspettazione. La ristrettezza del luogo aveva permesso di entrare quasi unicamente ai soliti benefattori, sicché non si era stimato opportuno raccomandare l'elemosina. Tuttavia vennero raccolti mille e cinquecento franchi.
Monsignor Vescovo impartì in forma solenne la benedizione col Santissimo Sacramento; dopo di che tutti gl'invitati andarono nel cortile, dove alcuni giovanetti recitarono un dialogo composto in onore di monsignor Sola, i musici eseguirono alcuni pezzi e fu cantato un inno di occasione; quindi gli astanti passarono a visitare sale, scuole e laboratori. In una sala stavano esposti su tavole oggetti per una piccola lotteria a vantaggio dei giovanetti del Patronato. Essendo corsa la voce che il frutto della lotteria doveva servire a comprar pane per i ricoverati, i biglietti andarono a ruba.
Don Bosco nella sua conferenza aveva parlato del giovanetto violinista, ricevuto al mattino; allora tutti i convenuti furono desiderosi di vederlo. Quando pertanto si raccolsero nel giardino, ecco apparire il giovanetto col suo strumento e in mezzo a quei signori dar saggio della propria abilità. Uno degli spettatori, meravigliato della sua disinvoltura e commosso alla vista degli abiti meschini che lo coprivano, spiccò un mandato perché egli venisse immediatamente fornito di vestiario dalla Conferenza femminile che si adunava presso la chiesa della Madonna di Nizza. La dimane il povero giovanetto, presentatosi col suo violino per ricevere il vestito, rallegrò con qualche sonatina le caritatevoli signore colà intente a lavorare per i poveri. Stette nell'ospizio più d'un anno, applicandosi con buona volontà allo studio e alle pratiche religiose. [112] Il giorno seguente si presentò al Beato un altro giovane sedicenne, che non si era mai nè confessato nè comunicato; orfano egli pure e per giunta forestiero, sprovvisto d'ogni cosa e già inoltrato purtroppo nella via del male. Non occorse altro perchè lo accogliesse tostamente nell'ospizio.
Ben singolare fu anche il caso del giorno 14. Certi parenti, indotti dalla miseria, avevano forzato un loro figliuolo a entrare in un ospizio dì protestanti. Il ragazzo, inorridito delle cose che udiva là dentro sul conto dei cattolici, riuscì a fuggire; ma, ricercato e preso, vi fu ricondotto di viva forza. Poté fuggire una seconda volta, e proprio allora ebbe la buona ventura d'imbattersi nel direttore del Patronato, che, al sentire quella brutta storia, gli aperse le porte della sua casa.
Il discorso di Don Bosco parve così notevole, che fece nascere l'idea di pubblicarlo, affinchè in Francia si conoscesse meglio l'opera del Patronato. Il pensiero non gli dispiacque; anzi, come suole accadere, riflettendovi sopra, allargò il disegno. Infatti durante il viaggio di ritorno compilò un bel opuscoletto, che fece stampare nella tipografia dell'Oratorio col titolo: Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza Mare. Descritta ivi brevemente la festa, pose il discorso alquanto rimaneggiato nella forma, e gli mandò appresso una novità che era una splendida primizia: una serie di articoli, sul sistema preventivo, che con qualche variante ricomparvero di lì a poco in capo al Regolamento delle case[56]. Più tardi, parlando di tutto questo lavoretto, disse che gli era costato vari giorni di fatica e che l'aveva fatto e rifatto tre volte. “Andava quasi lamentandomi meco stesso, aggiunse, di non trovare di mio gusto questi miei scritti. Una volta gettava giù le intere facciate, e non vi ritornava più sopra; ora invece scrivo, correggo, riscrivo, ricopio, rifò la quarta e la quinta volta, e ancor non mi piace il mio lavoro”. Egli [113] riteneva per altro che l'opuscolo fosse atto a fare gran bene in Francia[57].
In Francia e in ogni parte, allora e in ogni tempo l'umile opuscolo doveva far del bene per quell'appendice messa là quasi come semplice riempitivo, quasi come se l'autore medesimo non ne misurasse tutta la portata. La pedagogia contemporanea teorizzava molto, ma operava ben poco; la sua scarsa fecondità derivava dal fatto che traeva i suoi elementi dai puri dettami della filosofia naturale: quindi principii razionalistici e spirito positivistico ne informavano e infirmavano l'indirizzo. Don Bosco senz'alcun sussiego dottrinale, senza la menoma pretesa di aver scoperto il segreto dell'arte educativa, ispirandosi al Vangelo e agl'insegnamenti della Chiesa, seppe armoniosamente congiungere con le norme della filosofia naturale i mezzi soprannaturali della Grazia e dar vita così a un metodo che nel campo della pedagogia ha prodotto e produce ubertosissimi frutti. Quello che aveva attuato per tanti anni, condensò nelle poche paginette del suo scritterello. Si ponga mente anche solo a un punto: alla gran questione dell'autorità e dei premi e castighi. Un corifeo della tendenza naturalistica d'allora, il celebre Raffaello Lambruschini, v'impiegò attorno almeno due terzi del suo libro Dell'educazione, dicendo tante belle cose, mischiate purtroppo a errori teorici; ma per il difetto lamentato poc'anzi è rimasto le mille miglia lontano dall'efficacia raggiunta da Don Bosco che col procedere per via di ragione e di Fede ha in poche battute maestre risolto praticamente e pienamente l'arduo problema.
Meritato e degno riconoscimento del valore pedagogico che impreziosisce questo “Metodo preventivo” si è l'averlo il Ministero italiano della pubblica educazione assegnato allo studio delle scuole magistrali; al qual proposito l'ex - ministro Fedele, senatore del regno e professore di storia [114] nell'Università di Roma, pronunziò in una solenne occasione queste parole: “Senza il soprannaturale l'opera di Don Bosco non si spiega. E quest'opera è il fiorire esterno delle sue virtù interne. Egli fu contro il materialismo corrompitore della gioventù e fermò a tempo il popolo italiano sulla china della via funesta. Quando io proposi lo studio della dottrina pedagogica di Don Bosco, qualche filosofo idealista sorrise. Oggi il tempo mi ha dato ragione”[58].
È qui il luogo di riferire sul sistema educativo di Don Bosco una testimonianza più antica, resa di pubblica ragione nel 1878. Il perugino conte Carlo Conestabile della Staffa diede quell'anno alle stampe un suo opuscolo[59], nel quale narra com'egli vide attuato dal Servo di Dio il suo metodo pedagogico prima ancora che dal medesimo si pensasse a formularlo per iscritto. Un giorno il Conte, andato a visitare Don Bosco, lo trovò allo scrittoio che percorreva una noterella recante alcuni nomi. - Ecco qui, disse egli, alcuni de' miei bricconcelli, la cui condotta lascia a desiderare. - Venne spontaneo al visitatore di domandargli quale punizione riserbasse loro. - Nessuna punizione, rispose; ma ecco quello che farò. Costui, per esempio (e gl'indicò uno dei nomi) è il più bricconcello di tutti, sebbene sia di buon cuore. Lo incontrerò durante la ricreazione e gli chiederò notizie della sua salute; egli risponderà senza dubbio che sta bene. “Ma sei proprio contento?”, gli dirò allora. Egli resterà prima sorpreso; poi abbasserà gli occhi, arrossendo. Io insisterò affettuosamente: “Eh, tu hai qualche cosa che non va bene; se il corpo gode buona salute, l'anima forse non è contenta!...
È già da molto che non ti confessi?”. Di lì a pochi minuti questo giovane sarà al tribunale di penitenza, e sono quasi certo che non avrò mai più a dolermi di lui. - Il Conte ascoltava [115] in silenzio, incantato dalla dolcezza di quel suo parlare, e qui commenta: “Avevo scoperto il segreto delle grandi opere che quest'umile prete ha saputo condurre a compimento. Spessissime volte dappoi, allorchè alla vista dei mali onde questa nostra età è travagliata, sentiva un'amara tristezza impadronirsi dell'animo mio, quella voce sacerdotale mi è tornata nella memoria, e mi ha reso fiducioso nell'avvenire d'una società a cui Iddio manda tali riformatori”.
Dalla cronaca delle Figlie di Maria Ausiliatrice apprendiamo che, tornando dalla Francia, si fermò a Vallecrosia e visitò pure tutta la casa delle Suore, dal dormitorio alla cucina e alla dispensa. Ne lodò l'economia e lo Spirito di povertà; ma volle che si avessero cura né abusassero delle proprie forze per non rovinarsi la salute. La gente del vicinato le regalava spesso di cose in natura; così allora qualcuno aveva portato loro in dono un cavolo cappuccio di enorme grossezza e bianchissimo, e tanto bello che sembrava un fiore smisurato. Lo mostrarono al Servo di Dio, che, guardandolo un po' e pensato un istante, disse sorridendo alla direttrice:
- Prendete questo mio biglietto di visita e con esso mandate questo bel cavolo a Torino, alla contessa Corsi. Così vedrà che Don Bosco la ricorda.
La direttrice obbedì. Don Bosco era allora in trattative per la compera di una casa a Nizza Monferrato, dove trasferire le Suore da Mornese, e la contessa se ne interessava e prestava aiuto.
Alcune lettere, scritte nel ritorno o subito dopo, completeranno la nostra narrazione del viaggio. Il 17 marzo troviamo Don Bosco ad Alassio; ce lo dice una lettera indirizzata di là al sacerdote casalese Don Domenico Ossella, a cui si deve in massima parte la fondazione dell'Educatorio diretto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice a Casal Monferrato. [116]
Ho letto attentamente la tua, che dimostra il tuo desiderio di provvedere alle anime che versano nello estremo della vita. Ottimo pensiero; ma il mezzo che vorresti usare è assai difficile e spinoso per te e per qualunque altro prete. Le ragioni te le dirò poi di presenza quando, dopo Pasqua, farò, a Dio piacendo, una gita a Borgo S. Martino.
Io ti consiglierei piuttosto ad altra opera più facile per te e di sicura riuscita: promuovere vocazioni allo stato Ecclesiastico. Come fare? dirai tu. Adoperarti per inviare fanciulli buoni dove possono essere coltivati nello studio e nella pietà e quindi nella vocazione Ecclesiastica. Trovando giovani adulti di buona condotta, animarli a studiare, e se occorre fare loro scuola oppure avviarli dove possono essere istruiti ad hoc.
Altre cose ti dirò di presenza. Intanto prega per me. Dio ti benedica e credimi in J. C.
Da Alassio fu condotto a Noli per visitare una bella casa, in cui si sarebbe voluto che aprisse scuole e convitto. L'edifizio apparteneva al padre del defunto chierico salesiano Antonio Vallega[60]. Egli accettò, ma a tre condizioni: 1° Che fossero affidate ai Salesiani le scuole comunali; 2° che si assegnasse ai maestri lo stipendio complessivo di lire tremilacinquecento; 3° che non vi si dovessero fare spese. Ma il signor Vallega nella prima metà di aprile venne a Torino, latore di altre proposte così diverse e onerose, che la pratica rimase arenata.
La cronaca poc'anzi citata serba anche il ricordo di una visita fatta allora da Don Bosco alle Suore di Alassio. Interrogatele se avessero molto lavoro e udito che sì: - Ebbene, guardate, disse, quando io vado nelle case e sento che c'è molto da lavorare, vivo tranquillo. Dove c'è lavoro, non c'è il demonio. - Ne andò a vedere tre che erano ammalate. Dopo voltosi alle altre che tutte ve l'avevano accompagnato, [117] domandò: - Di quale virtù volete che vi parli? - Esse che avevano sempre tanto da fare e non sapevano come praticare quella regola che diceva di “stare continuamente alla presenza di Dio”, unanimi risposero: - Ci parli dello stare sempre alla presenza di Dio. - Ed egli: - Sarebbe veramente bello che le Figlie di Maria Ausiliatrice stessero perpetuamente alla presenza di Dio!... Ma possiamo fare così: rinnovare l'intenzione di far tutto alla maggior gloria di Dio ogni volta che si cambia occupazione. - Sopra il quale argomento ragionò un poco e infine conchiuse: - Come vedete, non è poi tanto difficile farsi l'abito della continua unione con Dio.
Il 23 lo ritroviamo a Sampierdarena. Sul partire, crediamo, da Alassio scrisse a Don Ronchail.
Sono sulle mosse per Sampierdarena. I tre quaderni li ho lasciati tutti al Can. Mons. Viale che ne porterà uno al P. Tedeschi, due li spaccierà in Monaco. Ma questi due sono a conto del Can.co Mons. Viale, Vic. Gen di Monaco.
Ora tu mandane uno o due alla signora Marchesa Aurelia Spinola con una tua lettera, secondo il solito. Ma, per tua norma, di' così che quanto si riceverà sarà per la casa dei Torrione e che può rimettere a D. Cibrario quanto non potesse spacciare. Siamo così anche intesi con D. Cibrario. Questa signora è molto propensa per la nostra famiglia del Torrione. La prelodata signora abita in Porto Maurizio.
Veniamo a noi. Il mio exposé è terminato; lo do a copiare e prima di partire da Sampierdarena te lo manderò.
Mentre preparo un prete per mandarti, tu comincia ad osservare:
1° Quando si canta qualche ufficiatura in chiesa procura che i preti, chierici, o coadiutori disponibili siano divisi in due parti nei due lati della chiesa e facciano coro alternativamente in modo che tu non abbi ad occuparti di questa parte di funzione.
2° Metti alla prova l'aspirante Africano e l'ex - concierge del Seminario ed osserva come possono prestare assistenza in ricreazione, nello studio e negli altri siti.
3° Cerca se trovi qualche aiuto per la predicazione. D. Martini, il T. Giovan, il T. Farank, gli Oblati si offerirono tutti di lavorare pro viribus in tuo aiuto. Uno di essi non si prenderebbe un corso di [118] istruzioni (venti minuti, non di più) pei nostri giovani e così ogni festa avere già qualche sollievo? Credo tale cosa ti possa giovare assai.
4° Pei catechismi in classe credo ti possano giovare alcuni buoni Signori secolari, tra cui anche il sig. Audoli.
5° Poi fa' in modo che o D. Guelfi od un altro prenda cura diretta della sacrestia in modo che tu non abbia a pensare per la proprietà, ordine, soppressatura, bucato, collocamento delle cose, paramentali, altare, ecc.
Insomma da ciò tu potrai scorgere che l'essenza di Direttore consiste nel ripartire le cose a farsi e poi insistere che si facciano.
Dammi poi notizie del T. Giovan. Mi rincresce non averlo più veduto o meglio che non siasi più lasciato vedere, giacché aveva più cose da parlargli. Credo che non siasi adombrato di qualche cosa. Digli così che nel partire con rincrescimento ho detto: Ainsi soit - il.
Nel mandarti l'exposé unirò anche altre cose di cui fummo intesi.
Saluta nominatim quelli della nostra famiglia e tutti i nostri benefattori di mano in mano che ne avrai l'occasione. Dammi poi delle notizie della. Contessa Celebrini e del Sig. Marchese Spagnuolo e di sua figlia adottiva.
Di' a tutti che io prego e fo pregare per loro a Torino all'altare di Maria Ausiliatrice.
Prega per me che ti sarò sempre in G. C.
P. S. Dà un pizzicone a D. Perrot e digli che stia allegro.
“Quaderni” egli chiama quelli che oggi con voce tedesca si sogliono dire “blocchi” o “blocchetti”, specie di taccuini formati di fogli staccabili, con relativa matrice. Erano biglietti per la lotteria di Nizza. La qualifica di “Vicario Generale di Monaco”, data da Don Bosco al canonico Viale[61], richiede una spiegazione, tanto più che ci si porge così il destro di ricordare un tratto ignorato del Servo di Dio.
Il principato di Monaco dipendeva allora ecclesiasticamente dal Vescovo di Ventimiglia. Nel 1876 Pio IX per fare cosa grata al principe Carlo III staccò il suo Staterello dalla giurisdizione di quel Vescovo, erigendovi l'abbazia Nullius dei santi Nicola e Benedetto. Ma il principe ne desiderava [119] l'erezione in diocesi e proponeva a vescovo il suo cappellano Theuret. Il Papa non gradì il personaggio presentatogli, ma si limitò a disporre per mezzo della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari che monsignor Lorenzo Biale, vescovo di Ventimiglia, amministrasse l'abbazia, con facoltà di nominarvi un vicario generale, che fu appunto il canonico ventimigliese Carlo Emilio Viale. Quel provvedimento però era transitorio; infatti nell'anno medesimo il vescovo Biale chiese a Don Bosco che gli indicasse un sacerdote meritevole di occupare quella nuova sede. Il Servo di Dio gli fece il nome del teologo Sora, già parroco alla Crocetta in Torino, e poi canonico penitenziere a Tortona. Se non che il principe voleva un Vescovo che sapesse vivere a corte da gentiluomo e fosse dotato di bella presenza. Ecco perchè il canonico Sora venne scartato da Carlo III: egli non era nè aulico nè bello. Così monsignor Biale spiegò la cosa a Don Cerruti, Direttore di Alassio. Leone XIII finirà la questione nel 1878, nominando monsignor Theuret amministratore apostolico, che nello stesso anno preconizzerà Vescovo titolare di Ermopoli e costituirà nel 1887 Vescovo di Monaco.
Torniamo alla lunga lettera indirizzata a Don Ronchail. L'exposé è la relazione sulla festa di Nizza con gli annessi e connessi che sappiamo. L'“aspirante Africano” era uno dei giovani algerini, inviati dall'allora monsignor Lavigerie all'Oratorio e poi da Don Bosco mandati a Nizza[62].
Vi sarebbe anche una lettera del 24 marzo a Don Rua da Sampierdarena; ma basti riferire alcuni de' suoi dodici punti: Il primo riguarda la salute del Vescovo di Alba: “Dolorosa la notizia di Monsignor Galletti. Fate preghiere particolari; io scriverò di qui: preghiamo e speriamo nella bontà del Signore”. Il terzo tratta di cosa concernente la chiesa di San Secondo; se ne dovrà parlare per disteso a suo tempo. Il settimo esprime il suo disappunto circa i lavori in corso all'Oratorio [120] per portate dinanzi alla sua stanza l'ambulacro che vediamo oggi[63]. Quei lavori erano stati cominciati quasi di sorpresa, durante una sua assenza, per procurare a lui un alloggio meno disagiato. Scrive: “Dirai a D. Ghivarello che io non voglio altro che la casa terminata, e che giunto a Torino io voglio che siano assolutamente allontanati i rumori dei muratori. Che ragazzi! Mi promisero tutto finito in pochi giorni, con pochissima spesa, e poi, etc.”. Non manca un pensiero agl'infermi: “Saluta i nostri cari confratelli D. Vespignani e D. Tonelli e di' loro che sono assai contento che stiano meglio e prego Dio che ad ambedue conceda la robustezza di Sansone, atteso il gran bisogno che avvi di lavorare”. Di particolare importanza è il punto quinto: “Per fare le cose con garbo farò e manderò di qui all'Arcivescovo un indirizzo”. Il Capitolo della Cattedrale e il Clero urbano, per una tacita protesta contro le improntitudini giornalistiche, di cui abbiamo parlato sopra, fece pubbliche dimostrazioni di ossequio a monsignor Gastaldi, quando ritornò da Roma. Don Bosco, informatone da Don Rua, volle essere solidale con gli altri, unendo anche la sua voce di plauso; ecco la ragione dell' “indirizzo”, che egli mandò poi non da Sampierdarena, ma da Torino, ed era del tenore seguente.
Giunto testè[64] dalla visita fatta alle case della Liguria apprendo con gran piacere che il Clero Torinese ha esternato alla E. V. sentimenti di ossequio pel fausto suo ritorno da Roma. Di tutto buon grado a nome mio e di tutti i membri della nostra umile Congregazione mi associo ai sentimenti di stima e di venerazione che altri abbia manifestato in quest'occasione. Noi abbiamo pregato quando la E. V. cadde inferma alcuni mesi addietro, ora raddoppiamo le deboli nostre preghiere che si faranno in tutte le nostre case; supplicando [121] la bontà del Signore perchè si degni di conservarla in buona sanità e così possa continuare le sue fatiche pel bene della Chiesa e della nostra Congregazione che rispettosamente Le raccomando.
Voglia gradire questi cordiali pensieri sia per confutate le chiacchiere di alcuni giornali, che supposero cose prive di ogni fondamento, e per assicurarla che in tutto quello che potranno servirla i Salesiani saranno sempre quale a nome dì tutti ho l'alto onore di professarmi
Un biglietto di Monsignore “ringraziava vivamente il rev. D. Bosco della sua lettera delli 28 corrente marzo”. Non molto dopo il Beato si meritò i ringraziamenti dell'Arcivescovo per cosa assai più rilevante che non fosse un semplice atto di convenienza. A Bertulla, piccola frazione alle porte di Torino, i popolani erano in fermento contro il parroco della Badia, chiesa matrice. Questi, vacando la rettoria di Bertulla, accampava sulla chiesa rettorale certi diritti, che quella gente non voleva riconoscere; così avrebbe voluto che si andasse alla Badia per battesimi, per matrimoni, per la Messa. Monsignor Gastaldi prese a sostenere il parroco; onde la popolazione irritata trattava di chiamare un pastore valdese per farsi protestante. Don Bosco, saputo questo, s'informò della questione e badando più al bene delle anime che ai dissensi dell'Arcivescovo, si presentò a lui e gli mostrò come in forza dì antichi diritti la ragione stesse dalla parte dei Bertullesi. Monsignor Gastaldi convinto abbandonò la causa del parroco, rimettendo le cose come dovevano essere. Il popolo contento depose l'idea dì abbandonare la Chiesa cattolica e ricevette il nuovo rettore con grandi feste. Ancora nel 1902, quando il rettore di Bertulla narrava il fatto a Don Francesia, quella buona gente diceva: - Se noi siamo ancora cattolici, lo dobbiamo a Don Bosco.
Il 28 Don Bosco, trovata fra la corrispondenza una domanda dì ammissione alla Congregazione, rispose con tutta sollecitudine: [122]
Giungo in questo momento a casa dopo un lungo giro a visitare le case di riviera. Risponderò tosto alla cara sua lettera. Non posso desiderare offerta più preziosa di quella di venire a rinforzare le file Salesiane cui oggi più che mai si presenta copiosa la messe. Venga pure Lei col Sacerdote suo amico. Ci parleremo con parole ed affetto paterno, e credo che andremo intesi in ogni cosa. In questi giorni o meglio in questa settimana non m'allontano da casa. A rivederci. Dio ci benedica tutti e preghi per questo poveretto che le è di cuore in G. C.
Da Torino il Beato scrisse nuovamente a Don Ronchail una lettera in cui le persone e le cose di Nizza tornano a sfilarci dinanzi circonfuse da quell'aura di carità operativa che il Servo di Dio metteva in tutti i suoi rapporti domestici e sociali.
1° Ti mando l'Exposé de quo. Sono stato occupatissimo, ritardai il mio ritorno a Torino; fui alquanto incomodato: ecco la ragione per cui non sono stato diligente. Adesso cerca o meglio prega l'avv. Michel ed il B. Héraud che ne procurino la traduzione con tutte le note necessarie.
Per la stampa si dica se dobbiamo stamparlo qui o a Nizza. Non occorre che sia rinviato il quaderno, giacché ne abbiamo copia.
2° Dolorosissima la morte inaspettata del benemerito Sig. Avv. Ferrant, Si aggiunga quanto sarà del caso nella nota dell'esposizione[65]; preghiamo che Dio susciti altri campioni ad emulare la stessa gloria.
3° Avendone occasione fa' i miei ossequi alla Contessa Celebrini, e dam. Dolores, assicurandole che il 23 di questo aprile cominciamo il mese di Maria e che ho disposto che si facciano mattina e sera speciali preci per loro.
4° Riceverai la lettera per la C.ss del Michel che saluterai da parte mia.
5° L'Ab. Isnard prevenga D. Lanza che faccia comprovare la sua buona condotta ed io scriverò al Vescovo. [123]
6° Pel circolo degli operai e per quelli che lo promuovono tu puoi sempre dire che noi lasciamo a parte ogni idea di partito tenendoci fermi a quanto disse G. C.: Date quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei Deo. Ma che niuno ha niente a temere da noi nè in parole, nè in fatti.
7° È già il terzo prete che si stava preparando alla partenza per Nizza e l'un dopo l'altro vennero ammalati. Tuttavia in qualche modo si provvederà e presto.
8° Dammi notizie della Lotteria e se hai ancora molti biglietti mandamene un certo numero e mi adoprerò affinché si cangi, se non in marenghini, almeno in carta moneta.
9° Attendo qualche bella e lunga lettera dal Sig. Audoli, cui raccomanderai allegria, pazienza e venuta per la festa di Maria A.
10° Se ne hai, dammi notizie del T. Giovan e del Direttore dei Fratelli.
11° Hai potuto parlare con D. Tiban pel terreno della Chiesa?
12° In settimana, credo, avrete un Capo legatore che comincierà a fare qualche cosa.
Saluta caramente nel Signore i preti, i chierici, e tutti i nostri giovani. Dio li benedica tutti e tu prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Nel numero sei si allude a un circolo cattolico di operai fondato da persone caritatevoli in Nizza per impulso d'un bravo ufficiale di marina. Don Bosco aveva da poco tempo comperato la villa Gautier, quando venne a sapere che il comitato del circolo andava in cerca di un locale per quella opera. - Se non trovate di meglio, disse, allora Don Bosco a quei signori, venite a vedere la mia casa e cercate ivi il posto che più vi conviene per dar principio alla vostra impresa. Trovarono che un ambiente accanto all'argine del fiume e il giardinetto attiguo per il momento potevano andare, e lo pregarono che fissasse la pigione. - Non si tratta di appigionare, rispose il Beato; fate del bene e a me basta, non occorre altro. - Così il 19 marzo, festa di San Giuseppe, monsignor Sola inaugurò nel locale imprestato da Don Bosco il circolo cattolico operaio con la celebrazione della messa e con un pranzo ai primi soci. Era naturale però che le due opere [124] differenti non potessero svilupparsi insieme; onde sei mesi dopo, il comitato del circolo ne trasportò la sede alla villa Pauliani. Le persone che ebbero parte nella faccenda, gli professarono sempre molta gratitudine per la generosità con cui ne aveva favorito gl'inizi dell'opera.
Quando ritornò all'Oratorio, aveva la voce un po' affiochita e stentava alquanto a tenere la conversazione, effetto dei disturbi bronchiali patiti. A tutta la comunità poté rivolgere la parola solamente la sera del 10 aprile dopo le orazioni.
È da molto tempo che non ci siam più veduti: ma, come dice il proverbio, là è il cuore dove è il suo tesoro; così mentre io era a Nizza e a Marsiglia pensava sempre ai miei cari giovani dell'Oratorio. E’ vero che anche là vi sono molti dei nostri giovani, ma nell'intrattenermi con loro andava illudendomi. Io, guardando uno di quelli, mi sognava che fosse il tale che si trova qui nell'Oratorio; osservando il tale altro, mi sembrava che fosse quello che avea lasciato qui: ma poi, parlando loro, rispondevano tutti in francese oui, oui, oui, ed allora io mi accorgeva che non era all'Oratorio.
Quanto alla stima che colà tutti hanno di voi, non si può dire di più. Se uno dei nostri artigiani, fosse anche principiante nel mestiere, andasse là, gli offrirebbero un generoso stipendio. E tanto è grande questa stima, che qualcheduno mi propose di mandargli a Nizza alcuni studenti dell'Oratorio, proferendosi di pagare ogni spesa di viaggio, disposto a far loro percorrere gratuitamente la carriera degli studi, solo perché andassero, come essi dicono, a santificare quei luoghi, rendendo santi anche quelli del Patronato di Nizza e di altre città. Essi credono che siate tanti S. Luigi; ma se venissero qui eh! che la vostra santità potrebbe andarsene in fumo! E mi chiedevano: - Sono poi tutti simili a S. Luigi? - Ed io rispondeva: - Certamente che ve ne sono degli uni e degli altri, ma proprio dei cattivi non ve ne sono. - Essi instavano sulla loro domanda, ma io che avevo paura, che voi me ne faceste poi qualcuna, ho salvato la capra e i cavoli. Dissi loro che amo tanto di tenervi tutti uniti insieme, affinchè gli uni servano di edificazione agli altri; che io ed i giovani dell'Oratorio ci volevamo tanto bene, e che non ci potevamo distaccare gli uni dagli altri, se non costretti da qualche necessità, o finiti gli studi di quinta ginnasiale: e che anche allora ciò non potevamo fare se non con grandissima pena. E così essi rimasero nella loro santa opinione e ammirarono l'affezione reciproca di Don Bosco e dei suoi giovani.
Ora passando dalla facezia a qualche cosa di più sodo, vi dirò che là a Nizza vi è un entusiasmo grande per la nostra Congregazione e [125] nella sola Marsiglia ci offrono nove case; trenta in tutta la Francia; senza contare le molte e molte altre che ci offrono in gran numero di città nella varie parti del mondo. Vogliono case come quella dell'Oratorio: si credono che basti per i giovani il venire nelle nostre case per diventar subito tanti S. Luigi. Per ora ci è impossibile attendere a tutto questo, ma coll'aiuto del Signore qualche cosa faremo.
Io pertanto a fine di provvedere a tanta urgenza di dimande, avrei bisogno che tutti voi altri quanti siete qui, foste altrettanti preti, e preti Salesiani, e che sapeste tutti il francese come tanti Biellesi[66], e poi mandarvi là ad impiantar delle case. Ma questo tutto in una volta non si può fare, e col divino aiuto speriamo nell'avvenire. Voi da parte vostra fate anche quello che potete per diventare col tempo tanti buoni preti che si possano mandare in un posto od in un altro a pascolare le anime, dico dei nostri giovani, che la Provvidenza ci affiderà.
O almeno, se non tutti vi farete preti Salesiani, che tutti vi facciate preti, per diventar poi santi parroci, perchè così potrete preparare, scegliere, educare dei buoni giovani, da mandarsi nei nostri collegi, e che formati da voi possano poi lavorare alla salute delle anime.
A questo proposito vi dirò come nella settimana prossima, ci saranno gli esercizi spirituali e se ne farà l'apertura domenica a sera. Quindi in questi giorni che li precedono preparatevi tutti: pensate a quello che allora dovrete stabilire, pel vostro bene spirituale ed eterno. Ciascuno potrà pensare seriamente allo stato da scegliere. Alcuni avranno lasciato passare la festa d'Ognissanti, quella dell'Immacolata, quella di Natale, la quaresima, la Pasqua, e non hanno aggiustata qualche cosa della loro coscienza. Ora avranno occasione di aggiustar tutto. Ciascuno pensi seriamente a sè, faccia il suo esame e dica: Sono del tutto tranquillo nella mia coscienza? . Se può rispondere che sarebbe tranquillo trovandosi in punto di morte, nello stato nel quale ora si trova, vada avanti con coraggio. Ma se alcuno riflettendo dicesse: - Io ho questa cosa nel mio cuore, che in fin di vita m'inquieterebbe! - ahi, meglio è che tu l'aggiusti adesso per essere poi tranquillo allora!
Io poi desidero parlarvi in particolare a tutti, tanto prima come durante e dopo gli esercizi e quello che potrò fare in vostro vantaggio, lo farò.
Io mi trattengo volentieri con voi, e voi anche con me, io vi parlo volentieri, specialmente di ciò che riguarda la salute dell'anima. Procuriamo di tenerci tutti così uniti nel Signore. Egli ci aiuterà, e facendo anche noi la parte nostra potranno essere soddisfatti i nostri desideri [126] Spero che tutti faremo bene i santi esercizi, e le grazie del Signore pioveranno copiose sopra di noi, e noi tutti andremo avanti nella via della santità. Buona notte.
Tre giorni dopo questa parlata il Servo di Dio scrisse ancora a Don Ronchail una letterina, in cui parlava di giovani raccomandati all'avvocato Michel e da accogliere nell'ospizio di Nizza. Essi erano cinque ragazzi di Damasco, che si chiamavano Kabil, Nais, Loftì, Homsi, Naggiar e Klat, e vi furono accettati.
I giovinetti di cui è scritto all'Avv. Michel credo bene siano accolti in Nizza. Procura che se ne dia pubblicità a suo tempo, e il Sig. Avvocato faccia una bella corrispondenza per L'Unità Cattolica e credo tale cosa ci sarà di vantaggio.
Avrai quanto prima, il prete e l'assistente.
Porta questa immagine alla Marchesa Celebrini e dille che in maggio e giugno credo poter essere in Torino.
Dio vi benedica tutti e credimi sempre in G. C.
Non mancò a più riprese chi fece carico a Don Bosco, perchè ricorresse alla pubblicità o per mezzo dei giornali o con opuscoli di occasione. Noi vorremmo dire piuttosto che spiccò anche in questo la sua virtù. Infatti il Beato non ignorava gli umori di certuni e le critiche di certi altri, nè poteva sfuggirgli come per tal modo egli scapitasse nella stima di qualche personaggio altolocato; talora la disapprovazione gli veniva espressa in faccia. Del suo operare egli dava la ragione così: - Siamo in tempi, in cui bisogna operare. Il mondo è divenuto materiale, perciò bisogna lavorare e far conoscere il bene che si fa. Se uno fa anche miracoli pregando giorno e notte e stando nella sua cella, il mondo non ci bada e non ci crede più. Il mondo ha bisogno di vedere e toccare. Parlando poi della convenienza dì dare alle opere buone la massima pubblicità, diceva:. - Questo è l'unico mezzo per [127] farle conoscere e sostenerle. Il mondo attuale vuole vedere le opere, vuole vedere il clero lavorare a istruire e a educare la gioventù povera e abbandonata, con opere caritatevoli, con ospizi, scuole, arti, mestieri... E questo è l'unico mezzo per salvare, la povera gioventù istruendola nella religione e quindi di cristianizzare la società[67].
Appartiene al tempo di questo viaggio in Francia un fatto straordinario di penetrazione del pensiero. Fu raccontato pubblicamente a Nizza nel 1908, festeggiandosi ivi il decreto della Venerabilità di Don Bosco[68]. L'aveva narrato a Don Albera in presenza di molte persone colei stessa, alla quale il caso era occorso. La signora Beaulieu, che aveva conosciuto il santo curato d'Ars, si credeva di essersi fatta alla vista di lui un'idea esatta di quello che fosse un santo. Giunto Don Bosco a Nizza, la signora, avendo inteso dire che era arrivato un santo, il cui nome essa conosceva per fama, desiderò farne la conoscenza personale. Saputo questo desiderio, una sua amica la condusse in una casa di conoscenti durante l'ora del pranzo. Don Bosco sedeva in capo alla tavola e la signora si accomodò in fondo con l'amica. Il Servo di Dio sempre sereno teneva in quel momento alzato il bicchiere e brindava all'anfitrione. La nuova venuta rimase quasi scandalizzata. - E questo è un santo? - pensò fra sè e sè, delusa nella sua aspettazione. Levate le mense, ella si presentò a Don Bosco, profondendosi in complimenti; ma Don Bosco sorridendo le disse: - Sia che mangiate sia che beviate, ogni cosa fate nel nome del Signore. - La buona donna capì, nè altro ci volle perchè si ricredesse. Si fece tosto cooperatrice salesiana e tale era da tre anni, quando narrò a Don Albera la cosa, già da lei ripetuta a molti altri.
QUANTO più il vivere mortale di Pio IX si appressava al termine, tanto più cresceva verso la sua augusta persona l'amore dei fedeli. Se n'ebbero prove solenni nel 1877 per il suo giubileo episcopale: si può dire che tutto il mondo cattolico per mezzo di rappresentanti pellegrinò in quell'anno al Vaticano, sfidando le ire dei settari cosmopoliti e dei politici. Specialmente nel mese di giugno vere legioni di credenti andarono a prostrarsi ai piedi del venerando Vegliardo. I doni inviati al Papa da ogni angolo della terra formarono una grandiosa esposizione, il cui valore fu f atto ascendere a dieci milioni; l'obolo di San Pietro raccolto per la circostanza toccò i sedici milioni e mezzo. Fino allora nessun Papa aveva mai avuto tante dimostrazioni d'affetto.
Questo plebiscito mondiale di devozione al Vicario di Gesù Cristo colmava di esultanza il cuore di Don Bosco, così pieno di venerazione per il Sommo Pontefice e così vibrante di riconoscenza verso la persona di Pio IX. Stabilì pertanto d'inviare a Roma, rappresentanti della Congregazione e latori di un Album, il Direttore dell'Oratorio e il Maestro dei novizi. - Che ne dici tu, chiese egli bonariamente un giorno a Don Rua in presenza di parecchi altri sacerdoti e accennando [129] con la mano a Don Lazzero e a Don Barberis, se mandassi questi due ratatùi?[69]. - Don Rua assentì e gli astanti applaudirono.
Si mise subito mano alla preparazione dell'Album, che riuscì cosa fatta per benino. Chiuso in elegante legatura, recava sul frontispizio questa iscrizione a placca d'oro:
DEI SALESIANI E DEI LORO ALLIEVI
DEL SUO PONTIFICATO L'ANNO XXXII
Internamente, su bei fogli protocolli di carta spessa, compariva in primo luogo una statistica sommaria della Congregazione Salesiana; poi sfilavano le varie case. Anzitutto la casa madre con questa intestazione: “La casa madre è in Torino sotto il nome di Oratorio di S. Francesco di Sales, dove abitano i Salesiani come segue”. E seguiva il quadro del Capitolo Superiore e l'elenco dei Soci residenti nell'oratorio. Tutta la parte grafica era lavoro dì mano esperta. La singolarità del contenuto stava in questo, che di ogni casa erano distinte tutte le sezioni o ramificazioni, che si potevano considerare separatamente, col nome dei Soci addetti a ciascuna e col numero dei giovani o delle persone o dei fedeli, di cui quelli si occupavano.
- Questa cosa, disse Don Bosco, l'ho imparata a Roma nelle sacre Congregazioni; poichè, nel parlare di Torino, accennando io a novizi, artigiani, studenti, [130] oratorio festivo e poi facendone relazione come di una casa sola, mi si disse che era meglio presentare tutte le parti distintamente. - Così la ripartizione dell'Oratorio era fatta in questo modo
1° Casa di studenti. Capitolo e numero degli alunni.
2° Casa di artigiani. Come sopra.
3° Noviziato. Personale e numero dei novizi.
4° Casa di studenti adulti, ecc.
5° Chiesa di Maria Ausiliatrice.
6° Oratorio festivo di S. Francesco di Sales e scuole annesse.
7° Oratorio festivo di S. Luigi e scuole annesse.
8° Oratorio festivo di S. Giuseppe.
9° Laboratorio di S. Giuseppe, dove radunasi un centinaio di ragazze per imparare un mestiere, assistite dalle Suore di S. Giuseppe. Cappellano, Sac. Sala Antonio.
10° Istituto di S. Pietro, ove sono ricoverate circa cento giovani uscite dalle carceri. Cappellano, Sac. Teol. Bertello Giuseppe.
11° Istituto del Buon Pastore, ove sono raccolte circa 500 giovanette di condizioni diverse. Cappellano Sac. Bologna Giuseppe.
12° Istituto di S. Carlo e scuole annesse per le ragazze. Direttore spirituale, Sac. Paglia Francesco. Cappellano Sac. Cipriano Carlo.
13° Oratorio festivo in Chieri per ragazze assistite da alcune Cooperatrici Salesiane. Direttore Sac. Rua Michele.
Dopo Valsalice e Lanzo, si procedeva per diocesi, sempre tenendo lo stesso metodo. In fine, dopo le “Case d'America” compariva l’ “Istituto di Maria Ausiliatrice” con questa dicitura: “Come appendice della Congregazione Salesiana è l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che da quella è dipendente. Il loro scopo è di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fanno pei ragazzi. La casa madre è a Mornese, diocesi di Acqui. Il Capitolo Superiore è composto come [131] segue... ”. Dopo Mornese, si faceva l'elenco delle case: Borgo S. Martino, Lu, Alassio, Torino, Bordighera, Biella, Lanzo, secondo l'ordine cronologico della fondazione. Per ogni casa, nome della direttrice, numero delle suore, rami d'attività, qualità e quantità delle ragazze. Per esempio, della casa di S. Angela Merici in Torino: “Direttrice, Suor Elisa Roncallo con 20 suore. Alcune fanno scuola alle povere ragazze; altre sono occupate nella lingeria dei poveri giovani dell'Oratorio; alcune sono applicate allo studio per abilitarsi all'esame di maestre. Hanno l'Oratorio festivo, le ragazze che intervengono, sono in gran numero”. Notevole la rubrica per la casa di Bordighera: “Direttrice, Suor Pestarino Rosalia con tre altre suore. Tengono congregazione festiva; lungo la settimana fanno scuola alle più pericolanti tre volte al giorno. È da notarsi che questa casa trovasi circondata da protestanti; le suore oltre alla scuola regolare fanno ripetizioni a non poche fanciulle adulte per allontanarle dal pericolo di cadere nelle mani di maestre eterodosse”.
Lo stato della Congregazione in America fu compilato da Don Cagliero, al quale Don Bosco ne aveva fatto tempestivamente richiesta, scrivendogli: “se puoi mandare lo stato della nostra Congregazione nell'America del Sud, io lo farò portare al S. Padre pel suo Giubileo Episcopale, per cui tutta Europa ed anche l'America sono in movimento”[70]. Don Cagliero vi unì la minuta di un indirizzo speciale al Papa in nome di quei Soci.
Don Bosco riteneva che un Album compilato in tal maniera non sarebbe andato perduto nè gettato là in un canto, ma sarebbesi conservato e consultato quale documento per conoscere lo stato della Congregazione nel 1877. I due inviati che lo dovevano portare a Roma partirono da Torino il 28 maggio.
I ricevimenti dei pellegrinaggi erano cominciati in Vaticano [132] il 30 aprile. Due furono i festeggiamenti religiosi Urbis et Orbis: uno ai 21 di maggio nella basilica di S. Pietro per la data cinquantenaria della nomina di monsignor Mastai ad Arcivescovo di Spoleto, e l'altro ai 3 di giugno a S. Pietro in Vincoli, dove cinquant'anni prima egli aveva ricevuto la consacrazione episcopale. Per entrambe le ricorrenze i giovani interni dell'Oratorio fecero comunioni generali e assistettero a solenni funzioni. Nel 21 maggio i ragazzi dell'Oratorio festivo misero insieme la somma di lire 70, 35 per l'obolo di S. Pietro[71]. Nella chiesa di Maria Ausiliatrice i fedeli furono invitati per il giorno susseguente alla festa titolare con questo avviso: “Preghiamo pel Sommo Pontefice Pio IX. Il 25 del corrente maggio nella chiesa di Maria Ausiliatrice alle ore 7 sarà celebrata una Messa con preghiere e comunioni. La S. V. è pregata ad intervenire con altre pie persone e di offrire ogni cosa per ottenere da Dio sanità stabile al Santo Padre”. La prudenza consigliò questa forma d'invito personale con l'indicazione anche dello scopo che si aveva con tale cerimonia, perchè purtroppo anche a Torino i settari disturbavano clamorosamente le pubbliche manifestazioni in onore di Pio IX.
Alla festa romana del 21 maggio parteciparono anche numerosi pellegrini francesi, trecento dei quali alla vigilia della solennità di Maria Ausiliatrice, essendo di ritorno, visitarono l'Oratorio. Vi entrarono verso le otto e mezzo pomeridiane, ricevuti al suono della banda e al canto dell'inno A Roma, fedeli, composto in occasione del Concilio Vaticano e musicato da Don Cagliero. Lo cantarono in coro poderoso tutti gli alunni, accompagnati dalla banda. Il Beato Don Bosco rivolse ai pellegrini alcune parole di saluto in francese. Quelle parole, precedentemente stampate in bei caratteri e su bella carta, furono distribuite loro per ricordo della gradita visita[72]. Parlarono anch'essi; eloquente fu sopra tutti l'abate [133] Piccard, direttore del pellegrinaggio. Dopo nei locali stessi dell'Oratorio e per cura della Gioventù Cattolica venne servito ai pellegrini un rinfresco; quindi si avviarono alla stazione per la partenza. Ai giovani era stato insegnato il grido Vive les pèlerins français, acclamazione che risonò più e più volte con effetto molto simpatico.
L'ultimo giorno di maggio un telegramma da Gibilterra annunziava a Don Bosco che l'Arcivescovo di Buenos Aires sarebbe sbarcato a Genova il 1° giugno[73]. Monsignor Leone Federico Aneyros veniva a capo della delegazione argentina per umiliare al Santo Padre gli omaggi dei cattolici di quella fiorente repubblica. Il Beato, che già sapeva del suo viaggio, si era dato premura di procurargli a Roma un alloggio conveniente; ora poi la notizia del suo prossimo arrivo lo rallegrò moltissimo. Ne parlava con tutti e con espressioni di vivo contento. Il 1° giugno partì alla volta di Sampierdarena. Ignoriamo i particolari dello sbarco; due cose sole ci son note: che Sua Eccellenza fu ospite dell'Arcivescovo di Genova e che vide Don Bosco la mattina del 3[74]. L’incontro avvenne nella chiesa pubblica di S. Gaetano. L'arcivescovo era giunto, mentre Don Bosco terminava di celebrare. Il direttore Don Albera si moveva per andarlo ad avvisare in sacrestia, ma monsignor Aneyros lo fermò, dicendogli: - Non si disturbi un santo, mentre sta con Dio dopo la santa Messa. - Così aspettò che egli dalla sacrestia passasse in chiesa. Allora che scena commovente! La stima che l'insigne Prelato nutriva per il Servo di Dio e la riconoscenza del Servo di Dio per lui si espressero in un cordialissimo abbraccio; poi si guardarono muti e lagrimosi alcuni istanti, e si gettarono quindi nuovamente uno nelle braccia dell'altro. I testimoni del fatto dissero e ridissero in seguito che Don Bosco non era apparso mai così espansivo, solito com'era a dominare continuamente se stesso. [134] Quasi sulle mosse per partire, il Beato ebbe un pensiero per il conte Cays, entrato da pochi giorni nell'Oratorio per darvi principio al suo noviziato.
Devo partire oggi alle 12 ½ pomeridiane per Roma. Rossi le darà notizie dei pellegrini Argentini. È un vero spettacolo. M raccomando che parli con Barale per ciò che è da fare per le Letture Cattoliche. Credo bene che si faccia prendere la misura della sua talare, e così al mio arrivo possiamo fare una funzione con cui Ella diventi totalmente eredità del Signore.
Al caro avv. Fortis[75] dica che stia fortis in bello e che ai grandi sacrifizi è riservato un gran premio.
Dio ci benedica tutti e preghi per me che le sono in G. C.
Il Beato partì per Roma poco dopo il mezzogiorno. Monsignor Aneyros, a quanto sembra, non andò con lui, ma si accompagnò più tardi con l'Arcivescovo Magnasco; sembra invece che con Don Bosco partissero gli Argentini alloggiati nell'ospizio di Sampierdarena, fra i quali monsignor Ceccarelli[76].
Don Bosco aveva molte cose da trattare a Roma: la più grossa di tutte era quella dei Concettini. Prese stanza al solito in casa del signor Sigismondi. Faceva un caldo da soffocare, e la sua cameretta, situata proprio sotto le tegole, era un forno; il che lo costringeva a tenere uscio e finestra aperti. Sudato com'era (portava anche la veste d'inverno), quelle correnti d'aria potevano essergli micidiali: gli causarono solo febbre con eruzione miliarica. “Queste cose non sono mai quelle che abbattono Don Bosco”, scrisse Don Barberis, testimonio oculare[77]. Infatti egli continuava i suoi lavori, [135] come se nulla fosse. Utili informazioni possiamo attingere dalla sua corrispondenza con Don Rua. Ecco una prima lettera:
1) Compi pure la pratica pel cherico Ricci, ma partito che sia danne tosto cenno al suo Vescovo.
2) In quanto a Bodratto preghiamo; parlagli, salutalo da parte mia, digli che mi scriva una lunga lettera, e intanto se continua provvederemo. Se però vi è qualche pericolo per lui o per altri facciamo al più presto quanto è da farsi[78].
3) Roma è capitale del mondo in senso letterale. Pio IX è la 1a meraviglia di questo secolo, l'esposizione pel suo giubileo è la 2a; ma l'una e l'altra senza esempio nella storia del passato e credo anche in quella dell'avvenire.
4) Era lì per iscrivere al Sig. Conte Cays ed al Sig. Avv. Fortis perchè venissero a fare una volata anche solo per vedere un momento lo spettacolo della pubblica esposiz.; ma attesa la folla immensa ed anche l'indiscrezione di alcuni, dimani si sospenderà, e vedrò se si riaprirà.
5) Finora non si potè ancora avere udienza dal S. Padre, nè pubblica nè privata. Spero l'avremo nei primi giorni della p. settimana. Il S. Padre si lagnò più volte che D. Bosco noti gli va a parlare dei Concettini, ma come avvicinarlo?
6) Mons. Ceccarelli è una copia di D. Cagliero, verrà col suo Arcivescovo (copia di Mons. Galletti) a passare qualche giorno cm noi a Torino. Ciò che raccontano dei Salesiani è di gran lunga superiore a quanto ci fu scritto nelle loro lettere.
7) La parrocchia detta la Bocca, che è ancora parrocchia Urbicaria è definitivamente data ai Salesiani. È la prima parrocchia della Repubblica Argen. affidata a Cong. ecclesiastiche, ed è una delle più difficili, ma delle più importanti della città. L'arcivescovo la sera precedente la partenza volle firmare il Decreto e racconta ciò con grande compiacenza.
8) D. Lazzero e D. Barberis fanno e fanno fare gli esercizi Sp. ai Concettini. Vedremo.
9) Dopo l'udienza conto di partire per Sampierdarena, dove giungerò mezzo cotto per andarmi a far cuocere tutto a Torino, se ciò non succede prima che io parta da Roma.
10) Fa' un cordialissimo saluto ai nostri cari giovani, chierici, preti, studenti e artigiani e di' loro che mi raccomando di tutto cuore [136] di fare una santa comunione secondo la mia intenzione. Al mio ritorno ne dirò il motivo.
11) Saluta D. Vespignani da parte mia e digli che andando dal S. Padre spero di chiedergli una speciale benedizione per lui
Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.
PS. - Dirai a D. Berto che finora non ho ricevuto niente di quanto gli aveva richiesto. Forse non gli sarà pervenuta una mia lettera.
Ritieni che in questo anno sarà il Sig. Casalegno Gius. padre di Casalegno priore della festa di S. Luigi.
Le altre volte che era andato a Roma, il Beato aveva sempre avuto libero accesso al Papa; allora Pio IX e per l'età e per le indisposizioni non dava udienze private neppure ai Vescovi, accorsi numerosi per il giubileo, ma li faceva venire a sè per gruppi di nazioni. Per Don Bosco a contendergli il passo c'erano anche le altre cause accennate nella storia dei Concettini. Don Barberis nella sua cronaca scrive senz'ombra di dubbio che egli ebbe udienza privata “circa due giorni prima di partire” da Roma; Don Bosco al contrario nella lettera del 29 novembre al cardinal Bilio, riassumendo la storia dell'affare dei Concettini, dirà a questo proposito: “Quando venni a Roma pel Giubileo del Santo Padre, ho fatto ogni sforzo per avere anche un solo momento di udienza da Stia Santità. Ho fatto la dimanda per iscritto: il Santo Padre in udienza pubblica palesò il desiderio di udirmi; ma non mi fu possibile”. Nella lettera del 13 giugno all'abate Guiol il Servo di Dio dice bensì che il Santo Padre ha parlato dell'opera di Marsiglia e lodato quel Vescovo, cose che farebbero supporre un colloquio privato; ma questo potè essere stato detto o nell'udienza pubblica, avendo forse allora Don Bosco chiesto una benedizione speciale per la buona riuscita di quella nuova impresa o in udienza privata all'Arcivescovo di Buenos Aires, per mezzo del quale Don Bosco avesse domandato quella benedizione. Il certo si è in ogni modo che egli nel [137] non breve tratto della lettera, nel quale riferisce i sentimenti del Papa, non ha neppur una parola da cui si possa arguire che il Papa abbia così parlato a lui personalmente; ond'è che nella mentovata pubblica udienza il Servo di Dio vide per l'ultima volta Pio IX vivo.
Tale udienza fu accordata il 10 giugno ai giornalisti cattolici e ai loro rappresentanti. Don Bosco vi partecipò come editore delle Letture Cattoliche. L'amabilità del Pontefice verso di lui non poteva essere maggiore. Passandogli davanti, si fermò, lo ascoltò ed ebbe la bontà di ricordare una sua supplica, di cui aveva avuto notizia dal Cardinal Oreglia[79]. - E avete anche bisogno, gli disse, di arredi sacri per la vostre chiese e per le missioni, non è vero?
- Santità, rispose Don Bosco, ne abbisognerei veramente, perchè molte delle nostre chiese sono affatto sprovviste.
- Bene; intendetevela qui col Cardinal Oreglia. Io incarico lui, che vi faccia somministrare l'occorrente, scelto fra gli oggetti dell'esposizione.
Don Bosco s'intese col Cardinale, a cui presentò la lista di quanto gli bisognava per le singole sue chiese, cappelle, oratori, altari. La compilazione gli rubò molto tempo.
Per due altre cose. Don Bosco si adoperava in Roma: per avere quivi un'abitazione propria e per poter aprire un ospizio a pro dei giovanetti. Presso il signor Sigismondi egli si trovava sempre un po' impacciato, non essendovi per lui se non una camera e un letto, mentre gli bisognava un segretario che gli stesse vicino e lo provvedesse dell'occorrente e anche di pennini, carta, buste, inchiostro e simili. Ed in questo fu ben fortunato. Le nobili Oblate di Tor de' Specchi avevano [138] con l'Oratorio da lungo tempo una specie di debito, che desideravano saldare, ammobigliando cinque camere di loro proprietà, situate in una casa di fronte alla loro, e mettendole a disposizione dei Salesiani, ogni qualvolta alcuno di essi andasse a Roma. Don Bosco, visitate quelle camere, accettò molto volentieri il partito, anche per isventare una strana voce già corsa, che la casa dei Concettini fosse per divenire la locanda dei Salesiani di passaggio per Roma.
Affare più serio fu la ricerca di un luogo, dove aprire un ospizio. Visitate parecchie case, entrò in trattative per l'acquisto di una che sorgeva nei quartieri di Roma nuova. Fattane parola col Cardinale Segretario di Stato, ne ebbe non solo incoraggiamento, ma anche promessa quasi formale che il Santo Padre l'avrebbe soccorso pecuniariamente con molta larghezza. Poco dopo il Cardinal Vicario gli significò il bisogno che vi era di una chiesa nella parte nuova di Roma, non trovandosi in quel quartiere già così abitato neppure una cappella cattolica, mentre vi avevano eretto nel bel mezzo un tempio i protestanti; egli quindi pregava Don Bosco di costrurre colà una chiesa. Da ormai tre anni il suo predecessore aveva affidato ad altri l'incarico di fare gli studi relativi, ma non se n'era trovata l'area e tanto meno i mezzi. Don Bosco, udito questo, non frappone indugi: esce dal Cardinale, va subito dal conte Berardi e gli domanda se ha tuttora in vendita un certo terreno, di cui si era altre volte discorso. Ne riceve risposta affermativa; ma in quell'affare è interessata una terza persona. Don Bosco si porta issofatto da questa persona, si accorda con essa per la cessione dell'area e chiede che se ne fissi il prezzo in base al reddito. I proprietari cedono e si conclude per la somma di dugentomila lire. Così le trattative furono cominciate, condotte e finite in un giorno solo. Restavano le formalità legali, che richiedono sempre un po' di tempo; ma egli dovette lasciare Roma e là ricominciarono le lungaggini, sicchè le fila di nuovo s'imbrogliarono e non se ne fece nulla. [139] Ora è bello vedere come in tanto affaccendarsi il Servo di Dio scrivesse a Don Rua.
1) La pratica pel Seminario di Magliano è terminata nel senso da noi inteso. Sarà questo il primo esempio di Seminario amministrato in questo modo. Ti manderò copia del capitolato, appena Don Berto l'avrà ridotta in bella copia.
2) Se le ciliegie non sono molto care, credo convengano per far del vino. Si osservi che più sono mature, più sono opportune per farne. Affinchè si depurino ci vuole notabile quantità di acqua.
3) Di' a D. Berto che ho ricevuto le carte e le lettere inviate e che va tutto bene; la Sig. Matilde dimanda spesso di lui e gli ritorna i saluti.
4) Coltiva la pratica di D. Dàllera; io spero anche di prepararne qualcuno.
5) Va bene il contratto della palazzina di Cambiano. Se non sai dove mettere il danaro che [ricaverai dalla vendita] Rossi e D. Albera ti aiuteranno a recapitarlo.
6) Sarebbe cosa stupenda se al passare gli Argentini a Torino si potesse dare il dramma sulla Patagonia.
7) La stampa degli schemi pel capitolo va avanti?
8) Dirai a D. Ortelli che mi fa molto piacere se si ferma tra noi sino al mio ritorno.
9) Mons. Lacerda Vescovo di Rio Janeyro è qui in Roma; gli ho parlato, vuole venire a Torino e non partirà più dall'Oratorio, se non quando avrà con sè almeno cinque salesiani, di cui ha preparato i passaggi. Vedrai che cara persona.
10) È stabilito che D. Cagliero va a fare una perlustrazione agli ultimi confini della Patagonia a Sancta Crux. Quindi resta di alcuni mesi differito il suo ritorno in Europa.
11) Oggi è il Card. Arcivescovo di Malines, che a nome del Santo Padre chiede che si vada ad aprire una casa nostra in sua diocesi. Idem il Card. Simeoni per Palestrina; idem pel Canadá etc. Dunque di' ai novizi che mi raccomando per carità che facciano presto; perchè ogni giorno si moltiplicano i bisogni. Non so come ce la caveremo.
Fa' coraggio e saluta D. Vespignani. Dì al Conte Cays e all'Avv. Fortis che la messe è molta e senza limiti; perciò, etc. D. Cappelletti co' suoi si prepari alla partenza. Saluta Cottini, Pellazza, Barale.
Dio ci benedica tutti e a tutti fa' un saluto in G. C. Amen.
(Finora niuna udienza). [140] Nè diverso è il tenore e il tono di quest'altra lettera indirizzata al direttore del collegio di Varazze il giorno dopo la precedente.
Se la tua lettera fosse stata ostensiva, l'avrei mandata allo stesso arciprete di Noli. Ciò non convenendo, credo meglio che tu scrivagli direttamente e dirgli le voci che corrono, il pensiero contrario del Vescovo, ecc. In questo modo noi possiamo stare al nostro posto.
Ma finito il quinquennio di Varazze dove andremo?
Se hai qualche cosa da mandare pel S. Padre, spediscilo subito a gran velocità a Tor de' Specchi.
L'Arcivescovo di Buenos Aires, Mons. Ceccarelli, il Vescovo Lacerda di Rio Janeiro verranno a Torino e si fermeranno alcuni giorni con noi. Forse passeranno, o meglio passeremo a farti visita. In ogni modo ne sarai avvisato ed invitato a venirci a raccontare la storia di Pipetta a Torino in quella occasione.
Non posso ancor fissare la mia partenza, perchè non fu ancora possibile di avere udienza particolare dal S. Padre.
Saluta Mancini Alessandro, Talice, Cinzano e D. Turchi, il mio antico ortopedista. Dio vi benedica tutti; credimi in G. C.
P. S. Di' ai tuoi di 3ª e 4ª Ginnasiale che siamo chiesti da tutte le parti e che mi raccomando loro affinchè mi preparino dei fervorosi Salesiani.
In queste lettere si contengono alcune cose, di cui si avrà più innanzi la spiegazione, e alcune altre, la cui spiegazione o non è necessaria o non è possibile. Le pubblichiamo per intero, perchè ci paiono preziosi documenti, utili a chi vorrà col tempo studiare la psicologia di Don Bosco. Ed eccone una terza a Don Rua, scritta quattro giorni dopo la seconda.
1) Di' a D. Berto che mi mandi una veste da estate, altrimenti resto cotto in Roma. Per la ferrovia a grande velocità credo non costerà quanto comprarla nuova.
2) Se niente osta da parte della moralità, Peret Cherico si faccia fare la tonsura. [141]
3) Ti mando qui milante cose, tra cui la lettera da inserirsi nel Bollettino Salesiano che devesi sollecitare quoad fieri potest, affinchè possa uscire pel prossimo mese. Mi si manderanno le stampe. Se l'Opera di M. A. è stampata me se ne mandino alcuni esemplari, ma si procuri il visto dell'autorità ecclesiastica di Genova.
4) Non ancora avuto udienza particolare, e il S. Padre non vuole ancora che parta. Spero quanto prima, di poi volerò ad lares.
5) Moltissime cose si presentano da cominciare a fare: ma mi mancano tutti i segretari. Ciò mi fa sospirar D. Berto.
6) Ho poi costì affari che ti communicherò tosto se riescono; ma che hanno bisogno di molte preghiere.
7) Di' al Sig. C.te Cays che il corso di teologia è di sette anni e forse, quanto è necessario, egli lo farà in sette mesi. Al mio arrivo dirò il seguito segreto.
Saluta nominatamente chi di ragione.
Finalmente tornò a scrivergli una quarta ed ultima volta prima di lasciar Roma. Il conte Cays, ripetutamente menzionato, e l'avvocato Fortis erano entrati all'Oratorio per farsi Salesiani.
È deciso che l'Arcivescovo di B. A. passerà a Torino co' suoi pellegrini. In tutti saranno da 6 ad otto. Mons. Ceccarelli ci precederà; io li accompagnerò per via, e scriverò un dispaccio il [giorno] precedente l'arrivo.
1) Quest'anno faremo S. Gio. e S. Federico insieme, e probabilmente sarà pel giorno di S. Pietro. Dunque chi legge qualche composizione abbia di mira Pietro Ceccarelli, Leone Aneyros, che è la vigilia; San Gio. lo invocherà Gastini colla sua parrucca bianca.
2) Si fermerà otto giorni e in tale tempo visiterà Torino, Valsalice, Lanzo dove è bene che preparino qualche cosa in latino, in Italiano, in Francese ed anche in Ispagnuolo.
3) Mons. Ceccarelli predicherà al giorno di S. Pietro e parlerà nella chiesa di M. A.; procureremo che qualche giornale ne parli. Mons. Aneyros pontificherà o assisterà solennemente.
4) La domenica dopo, primo luglio faremo la festa di S. Luigi e probabilmente pontificherà l'Arcivescovo di Rio Janeiro. Avvisa il Sig. Casalegno in questo senso.
5) Passa un momento dall'Arcivescovo nostro, e digli che essi stessi passeranno ad ossequiarlo, e che lo preghiamo a voler dare la facoltà di celebrare ai preti che li accompagnano ed ai Vescovi di [142] fare funzioni se il tempo e la sanità loro il comporta. Ti farò poi Sapere dove potrai farmi la risposta.
6) In quanto al vitto sono tutti di facile contentatura, purchè sia roba buona; cioè non danno soggezione di sorta. Sarà probabile che si faccia una gita a Superga, ma di questo preverremo l'abate Stellardi.
8) Oggi udienza pubblica pei Salesiani. Vedrò se sarà possibile un momento di udienza privata.
9) Sta bene, fatti buono, saluta cordialissimamente tutti i nostri cari Salesiani, aspiranti, o che possono essere aspiranti in avvenire. Di' a tutti che desidero che facciamo una grande allegria nel Signore ed anche in cucina.
P. S. Per tua norma non parlare di miserie in presenza del Conte Cays e dell'Avv. Fortis. Questo sarebbe un chiedere loro sussidio, quod non expedit.
Nell'Oratorio si facevano grandi preparativi per la venuta dell'Arcivescovo di Buenos Aires. Don Rua, secondo le istruzioni inviategli dal Beato nella sua lettera del 20 giugno, pregò monsignor Gastaldi che volesse concedere a quel Prelato e al suo clero la facoltà di celebrare nell'Archidiocesi e il permesso di fare un pontificale nel giorno dei Santi Pietro e Paolo. Monsignore diede ampie licenze e già tutto era pronto e i giornali ne avevano pubblicato l'avviso, quando il 24 un comunicato della Curia avvertiva a nome di Sua Eccellenza che, essendovi nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo assistenza pontificale e omelia in duomo, non era conveniente che, mentre l'Arcivescovo pontificava e predicava nella sua Cattedrale, un altro Vescovo pontificasse o predicasse in altre chiese; essere quindi intenzione dell'Ordinario di revocare in questo la facoltà accordata per dimenticanza; il medesimo concedere soltanto per quella festa la benedizione col Santissimo Sacramento, purchè non venisse impartita prima delle sei pomeridiane; permettere inoltre per la prima domenica di luglio i pontificali nella chiesa di Maria Ausiliatrice, a [143] patto che vi si osservasse il cerimoniale dei Vescovi là dove si prescrive che un Vescovo, pontificando fuori della sua diocesi, non abbia due diaconi e due suddiaconi, ma un diacono e un suddiacono solo.
In quel giorno 24 si sarebbe dovuto festeggiare l'onomastico di Don Bosco; ma Don Bosco era tuttora in viaggio con l'arcivescovo Aneyros, Monsignor Ceccarelli e cinque preti argentini. Partiti il 22 da Roma per Ancona, dove furono splendidamente trattati dal cardinale Antonucci, il 23 andarono a Loreto, ritornandone lo stesso giorno. Da Ancona il Beato scrisse a Don Rua.
Sono qui ad Ancona col Cardinale Antonucci e faremo S. Giovanni sulle sponde dell'Adriatico, dirimpetto a Lissa.
Dimani a Dio piacendo partiremo per Milano dove ci fermeremo martedì, mercoledì fino alle 4 pomeridiane, quando faremo vela a Torino. Giungeremo circa alle otto. Per tua norma gli Argentini amano molto la carne e sono molto delicati di cucina, ma per la loro pietà si mostrano sempre contenti. Per quanto è possibile, scegliete camere con comodità e nettezza di cessi.
Pel resto tu farai, noi faremo, [eglino] faranno. Dio ci benedica tutti. Dirai ai nostri cari giovani che vado ora a celebrare la S. Messa e che pregherò molto per loro; e per questo lato essi non ci perderanno; neppure voglio che abbiano danno per ciò che riguarda la cucina, perciocchè quod differtur non aufertur, e li renderò indenni. Ma Mons. Aneyros vorrebbe condurre con sè un mezzo esercito di Missionari per dare l'assalto ai Pampas ed ai Patagoni. Pregate pel vostro in G. C.
Il 24 cadeva in domenica. Don Bosco andò a celebrare verso le dieci nella chiesa del Gesù, ufficiata dai Missionari del Preziosissimo Sangue. Gli servì la messa un giovanetto, che per tutta la vita non dimenticò più quell'incontro. Vide egli entrare in sacrestia un “pretarello” basso, modesto nel viso e nell'atteggiamento, affatto sconosciuto. Però “in quel viso bruno” scorse un non so che di bontà attraente, che [144] destò subito in lui un misto di curiosità e riverenza. Nel celebrare poi notò che aveva qualche cosa di speciale, d'invitante al raccoglimento e al fervore. Terminata la messa, dopo il ringraziamento, il prete gli pose la mano sul capo, gli regalò dieci centesimi, volle sapere chi fosse e che cosa facesse e gli disse alcune buone parole. A quarantott'anni di distanza quel giovane, che si chiamava Eugenio Marconi ed era alunno dell'Istituto Buon Pastore, doveva poi scrivere:
“Oh la dolcezza di quella voce! l'affabilità, l'affetto racchiusi in quelle parole! lo rimasi confuso e commosso”.
Ritornato dunque all'Istituto, vide fra i superiori e i compagni un movimento insolito. Gli dissero che c'era Don Bosco in Ancona e che nel pomeriggio sarebbe venuto a visitare l'Istituto e che bisognava prepararsi a riceverlo degnamente. E verso le tre, mentre tutti stavano schierati nella sala maggiore, ecco entrare proprio il “pretarello” del mattino, in compagnia del direttore monsignor Birarelli. Egli dunque aveva servito la messa a Don Bosco! Il Beato, passando in rivista gli alunni, si fermava a interrogare, diceva qualche parolina e regalava a tutti un libretto delle Massime Eterne. Ma quando giunse al Marconi, fece un passo indietro, fissandolo negli occhi come per raffigurarlo meglio, e: - Oh, noi ci conosciamo! gli disse. Bravo! Bravo! - Quindi, rivoltosi al Direttore, continuò: - Monsignore, le raccomando questo ragazzo; egli col tempo le potrà essere di aiuto. Saputo che il ragazzo era nipote del Direttore, soggiunse: - Tanto meglio! Il suo Istituto comincia ora a vivere e a entrar in un mare pieno di tempeste e di pericoli. I giovani nocchieri possono essere più utili dei vecchi, purchè siano volonterosi ed esperti. - Il giovane crebbe, si fece prete, fu proprio per l'Istituto il buon nocchiero vaticinato da Don Bosco, sempre a fianco di vari direttori, lottando virilmente contro gravi procelle finchè condusse sana e salva la nave in porto[80]. [145]
Data una capatina a Milano dove albergarono presso il grande amico avvocato Comaschi, i nostri viaggiatori fecero il loro ingresso nell'Oratorio la sera del 26 giugno. Un ingresso trionfale! Tutti i giovani stavano schierati in due grandi file dalla porteria ai portici, per far ala al passaggio. Dall'entrata fino alle camere degli ospiti sventolavano bandiere argentine dai colori bianco e azzurro, alternate con le pontificie e le italiane. Imbandierate erano pure le ringhiere dei ballatoi. Svariati addobbi ornavano i muri dell'edifizio, e nel punto che segnava la divisione del cortile degli studenti da quello degli artigiani innalzavasi un arco trionfale disegnato con gusto e tutto a festoni e lampioncini variopinti. I musici coi loro strumenti attendevano immobili dinanzi al portone. Ad uno squillo vibrato e forte si produsse un silenzio universale, ed ecco apparire sulla soglia la figura imponente dell'Arcivescovo con il Beato Don Bosco alla destra e il suo Vicario Generale a sinistra; dietro venivano i suoi preti. Tosto la banda intonò l'inno argentino e gli evviva di mille voci riempirono l'aria di allegrezza. Quando il corteo si mosse, i giovani piegarono il ginocchio, aspettando la benedizione e segnandosi. Gli ospiti, passando per mezzo a quella turba giovanile tripudiante, salirono al primo piano e dopo alcuni minuti il gruppo dei personaggi si affacciò al ballatoio. Allora fu un delirio di grida e di applausi, finchè un cenno di Don Bosco ricondusse il silenzio, nel quale risonarono queste sue parole: - Ecco l'Arcivescovo di Buenos Aires! - Ma le proferì con voce sì soave e commossa e le accompagnò con gesto così espressivo, che tutti le intesero come se egli avesse detto: - Ecco il nostro padre, il nostro benefattore, il nostro amico, che tanto abbiamo desiderato di vedere! - Questa presentazione intenerì talmente il Prelato, che si volse ad abbracciare Don Bosco, e ponendogli le mani ora sulle spalle ora sul capo, pronunziò alcune frasi che il rinnovarsi dei clamori non permise di udire. La serata si chiuse fra canti e suoni d'allegria in una fantastica illuminazione alla veneziana. [146] Del pranzo datosi la dimane vi è memoria per un episodio che rallegrò e insieme edificò i commensali. Al momento dei brindisi entrò nella sala l'ex - allievo Gastini, famoso per le sue originali trovate. Vestiva da menestrello. Salutati quei signori, declamò e cantò versi suoi in onore di monsignor Aneyros e di Don Bosco, ma con tanta grazia e piacevolezza, che uno dei sacerdoti argentini, il canonico Garcia Zùñiga, uomo faceto, chiamò a sè il poeta e gli regalò una lira sterlina. Gastini, detto grazie e baciata la mano al donatore, corse difilato verso Don Bosco e con garbo quasi cavalleresco gli mise in mano la moneta, come se quella fosse destinata a lui.. Il canonico, a un atto così gentile e spontaneo, richiamò il menestrello e gli disse: - Se avessi voluto farne un regalo a Don Bosco, gliel'avrei data io stesso. Ma io te l'ho data per te. Ora prendi quest'altra, e tientela. - Gastini spiccò un salto e porse anche questa a Don Bosco. Udendo però il canonico che fra le risa dei presenti gli gridava dietro: - È tua! - cambiò tono e disse con serietà: - Noi siamo tutti di Don Bosco. Qui non c'è niente di nostro, ma tutto è suo. Bravo! esclamarono i convitati. - Ma io non te ne darò una terza - fece scherzevolmente il canonico, vedendo di non poter ottenere che se ne prendesse almeno una per sè[81].
La manifestazione più solenne fu quella che potremmo chiamare dei tre onomastici. La festa per l'onomastico di Don Bosco era stata trasportata al giorno di San Pietro. Secondo l'usanza, la festa cominciava alla vigilia sul far della sera con lettura di componimenti e con musiche e canti, nè si volle venir meno alla tradizione neppure in tali circostanze. Ora in quel giorno 28 ricorreva la festa di san Leone onomastico e compleanno dell'Arcivescovo Aneyros; era poi anche la vigilia di San Pietro, onomastico di monsignor Ceccarelli. Non poteva darsi combinazione più felice.
Il cortile non si riconosceva più: ingegnosi confratelli, [147] coadiuvati da giovani più grandi, l'avevano trasformato in ampio teatro all'aperto. Al disopra di un podio, eretto con tavole e coperto di tappeti, si stendeva un gran baldacchino, che ombreggiava tre seggioloni dorati: il più sontuoso nel centro era per monsignor Arcivescovo, e i due laterali per Don Bosco e per monsignor Ceccarelli: tutto all'intorno trionfava una pittoresca varietà di bandierine, drappelloni, fiori, lampioncini. Dinanzi a quel trono, per il cortile, fanali a gaz, disposti in largo cerchio con vetri variopinti, diffondevano sul far della notte una luce viva e tranquilla. Nei vani delle finestre s'intelaiavano carte trasparenti a due colori, sulle quali le fiammelle collocate dietro facevano risaltare emblemi e iscrizioni, inneggianti a Don Bosco e agli ospiti. Ma attraeva gli occhi del pubblico, là raccolto per il trattenimento serale, una grandiosa stella a trasparenza, che brillava sull'alto del trono. Aveva questa, due metri di diametro e venti raggi, ognuno dei quali portava in lungo il nome di una casa Salesiana e in punta l'anno della fondazione. Nel bel mezzo vi spiccava il nome di Don Bosco, cerchiato da una fascia recante nello sfondo le sigle O. S. F. S dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Illuminata a tergo da molti lumi, questa stella produceva un effetto magico. Il pubblico occupava lo spazio libero del cortile. Lo componevano Cooperatori e amici in gran numero e circa un migliaio di giovani fra interni ed esterni. Ai lati ergevansi i palchi per la musica strumentale degli artigiani e per la vocale degli studenti.
Verso le nove i festeggiati salivano i gradini del podio; ma quando furono sopra e Don Bosco fe' cenno a Monsignor Aneyros di prender posto nel seggio di mezzo più elevato, sorse fra loro una gara, volendo l'uno cedere all'altro quell'onore. La gentile contesa, guardata prima in silenzio dagli spettatori, suscitò, ben tosto un fragore di applausi in ogni parte della platea. Vinse però l'umiltà di entrambi, suggerendo un ottimo ripiego: lasciarono vuoto quel seggio, invitando [148] tutti i presenti a figurarsi di vedere là assiso il Santo Padre Pio IX nel giorno, in cui la Chiesa festeggiava il Principe degli Apostoli.
Due inni furono eseguiti coi debiti intervalli, uno dagli artigiani, musicato dal fantasioso De Vecchi, e l'altro dagli studenti, musicato da Dogliani, ambidue su parole di Don Lemoyne. Molti vi lessero componimenti in italiano, francese, spagnuolo, inglese, polacco, latino, greco, piemontese, tanto di verso che di prosa. L'immancabile Gastini, il brillante dell'Oratorio, sostenne parti allegre fra l'ilarità generale. Vi si fece naturalmente un gran dire di Missioni, di Pampas, di Patagonia. I nomi di Don Bosco, di monsignor Aneyros e di monsignor Ceccarelli risonarono in tutte le lingue e su tutti i toni. Quando le declamazioni finirono e tacquero i canti, Don Bosco, domandata licenza all'Arcivescovo, pose termine al trattenimento con queste parole.
L'ora si fa già tarda, e non si può più continuare, ma Mons. Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires, e gli altri benevoli signori che io ringrazio di tutto cuore per aver voluto onorarci, avranno ancora la compiacenza di assistere alle letture che si continueranno domani a sera. Ringrazio tuttavia di buon cuore quelli che composero musica, poesie, prose, o che in qualunque modo esternarono ed esterneranno i loro affetti in questa occasione. Io pensava già di farla franca, e che avvenisse secondo quel proverbio: passata la festa, gabbato il santo, e che alcuno non pensasse più a San Giovanni; ma vedo che anzi vi siete messi con maggior impegno e se non avete fatta festa allora, volete farla almeno adesso.
Vi assicuro che queste cose mi fanno molto piacere. Ringrazio anche tutti quelli che ebbero la compiacenza di passare con noi questa bella serata, e tutti quelli che offersero doni e scrissero lettere da lontano.
So anche che voi avete pregato molto per me durante la mia assenza, e le vostre preghiere non sono state senza effetto. Ma ora non si può ancora sapere quale frutto abbiano fatto, perchè l'affare per cui mi raccomandava alle vostre preghiere non è ancora sciolto. Vi ringrazio molto di ciò che avete fatto, e vi prego a continuare.
Anche Mons. Aneyros vi domanderebbe un piacere, e sarebbe che tutti quelli che faranno la comunione domani mattina, la facciano secondo la sua intenzione.
Lungo il giorno di domani ci sarà molta allegria. Alle dieci antimeridiane [149] vi sarà messa in musica, alla sera vespro pure in musica, e Mons. Ceccarelli vi farà un caro sermoncino.
Anche in cucina vi assicuro che vi sarà la vostra parte. Bàstivi dire che abbiamo forse il miglior cuciniere di Torino; e il vedere poi quelle belle bottiglie uscire dalla cantina farà certamente aguzzare l'appetito. Si farà in modo che alla sera i musici invece di cantar festina dovranno cantare festona...
La Messa del 29 per la comunità fu celebrata da monsignor Aneyros. Venuto il momento della comunione, egli si accinse a distribuire le sacre specie; ma, giunto a metà, non potè più reggere alla fatica e pregò che altri lo surrogasse. Alle dieci monsignor Ceccarelli cantò la Messa solenne e nel pomeriggio fece dopo i vespri la predica, spiegando mirabili doti oratorie. All'Arcivescovo di Buenos Aires non fu possibile nemmeno dare la benedizione, perchè non erano ancora le sei. Verso le sei e mezzo si rinnovò o meglio si riprese l'accademia della vigilia in onore di Don Bosco. Vi assistette maggior numero di forestieri; anche i collegi vi erano rappresentati o dai direttori o da altri. Finite le letture e le declamazioni, finiti i suoni e i canti, Don Bosco, alzatosi in piedi e accolto da fragorosi applausi, disse fra il più religioso silenzio dell'imponente uditorio:
Questo giorno è uno dei più belli di mia vita. Sarà una memorabile data nelle memorie dell'Oratorio. Al vedermi intorno tanti giovanetti, e tutti con gioia esternarmi, il loro amore, la loro riconoscenza, mi si commuove veramente il cuore. Quanto è mai bello l'amore congiunto alla carità! E perchè si provvedono i mezzi per adunare e tirar su tanti giovani pel paradiso? E perchè molte e molte pie persone, sacrificando parte delle loro sostanze, le impiegano santamente nel soccorrere questi giovanetti? E perchè molte e molte persone, abbandonando il secolo, si uniscono a Dio coi legami di virtù e di amore fraterno e impiegano tutta la loro vita a far crescere pel cielo queste tenere pianticelle? Per la carità! Sì, sono i vincoli di questa virtù, che ci tengono ovunque stretti nel Signore, sicchè amorevolmente ci soccorriamo gli uni gli altri. È la carità che muove altre distinte persone di regioni lontanissime a venire in questo Oratorio e ad adattarsi alla povertà di questo luogo per soddisfare al santo zelo che hanno di portare la luce del vangelo in altre regioni incolte, e ad accrescere così di nuovi figli la famiglia del comun Padre dei [150] fedeli. È la carità che indusse molti prodi soldati di Cristo ad abbandonare patria, parenti ed ogni altra cosa per andare in regioni remotissime, affrontando disagi e stenti per portare la buona novella ai loro fratelli.
Ed è la carità che ci riunisce stassera qui tutti in questo luogo. Io lo dico proprio di tutto cuore: avrei voluto avere palazzi tutti tempestati di diamanti, con pavimenti tutti sparsi di rose e di gigli per ricevere degnamente l'Arcivescovo di Buenos Aires, Mons. Ceccarelli e gli altri del suo seguito. Ma noi siamo poveri Salesiani che viviamo dei soccorsi di pie persone e non possiamo far loro l'accoglienza che avremmo desiderata. Ed essi spinti dalla carità non hanno sdegnato di sopportare gl'incomodi dell'Oratorio per avere mezzi di fare nuove opere di carità. Siano dunque grazie a loro delle privazioni sofferte nell'adattarsi alla povertà di questa casa e del grande onore e piacere che ci hanno fatto. Noi ne conserveremo un'imperitura memoria.
Voi ritornate ai vostri paesi, al campo della vostra messe, ma dite ai vostri compagni e a Don Benitez che la nostra riconoscenza per i benefizi ricevuti da voi e da essi non si estinguerà giammai. State certi che noi, benchè divisi da tanto spazio di mare, vi avremo sempre presenti alla nostra mente, al nostro cuore, nelle nostre preghiere. State certi che nei Salesiani avrete sempre un fedele aiuto e un gran numero di fratelli che vi amano con tutto l'affetto del cuore e che cercano d'aiutarvi nell'opera vostra.
Troviamo scritto e sentiamo dalla bocca di testimoni oculari che il Beato verso la fine del suo discorso aveva preso un tono di voce sì affascinante, quale non erasi udito mai sulle sue labbra. Dopo di lui parlò l'Arcivescovo. La dignità del porgere e l'affetto che visibilmente lo animava rapirono quanti lo ascoltavano, sebbene egli usasse la lingua spagnuola. Nel Parlamento della sua patria erasi come deputato acquistata gran fama di oratore estemporaneo. Terminato che ebbe, Don Bosco gli baciò l'anello e Monsignore baciò a lui la mano; ma poi si diedero un affettuoso abbraccio in mezzo a uno scrosciare di applausi. Quindi il Beato pregò monsignor Ceccarelli di ripetere la parlata in italiano; il che quegli fece con gran maestria[82]. [151]
La Provvidenza serbò in ultimo una bella sorpresa. Assisteva al trattenimento una giovinetta di nome Giuseppina Longhi, che fino a un mese prima paralitica e muta, ave va prodigiosamente ricuperato il moto e la favella, dicendo con Don Bosco un'Ave a Maria Ausiliatrice. Essa era là in compagnia dei genitori, venuti a testimoniare per iscritto la verità del fatto. Consigliati da Don Rua, questi montarono su per i gradini del trono, conducendo la figlia a baciar la mano all'Arcivescovo e a Don Bosco. Allora il Prelato volle udire da lei il racconto del prodigio, facendogli da interprete Monsignor Ceccarelli. La bimba dodicenne con scilinguagnolo scioltissimo raccontò vivacemente la cosa com'era avvenuta; quindi l'Arcivescovo la benedisse e le donò una medaglia. Pochi istanti dopo, mentre il padre e la madre apponevano la firma alla - relazione stesa dal conte Cays, Don Bosco disse alla piccina di firmare anch'essa. Il padre la scusò, dicendo che la poverina non sapeva scrivere. - Oh! esclamò Don Bosco. Una ragazzina così non è andata a scuola e non ha imparato nemmeno a fare il suo nome? - Veramente prima della paralisi la Longhi sapeva scrivere; ma dopo non potè più. Inteso questo, il Beato tagliò corto dicendo: - Se sapeva prima, sa anche adesso; la Madonna non fa le cose solo per metà. - In così dire le pose nella mano la penna, con cui la fanciulla speditamente firmò.
È indescrivibile l'entusiasmo dei giovani in quei giorni. I modi veramente belli e dignitosi dell'Arcivescovo americano li avevano conquisi; ogni volta che egli attraversava il cortile o si affacciava dall'alto, forti battimani si levavano da ogni angolo. Ma uno spiacevole incidente sopraggiunse a fargli abbreviare la sua permanenza nell'Oratorio. Recatosi il 27 nell'Arcivescovado per far visita a monsignor Gastaldi, non ve l'aveva trovato. Ritornato la mattina dopo, sentì che Monsignore non era in casa, ma nella villeggiatura arcivescovile di Pianezza, donde, informato già della visita, gli mandava a dire che non s'incomodasse più oltre, perchè egli [152] il 29 sarebbe venuto a Torino solamente per il pontificale e poi avrebbe fatto ritorno la sera stessa alla villa. Più tardi per altro mandò il segretario a invitare il solo Arcivescovo a pranzo, non sappiamo bene per qual giorno. Il segretario, entrato nell'Oratorio, avvicinò il primo giovane, in cui s’imbattè, gli diede l'incarico di portare l'ambasciata a Don Bosco e se n'andò. Il giovane rimase come trasognato; pure salì da Don Bosco e tutto peritoso stava per metter piede nella sua anticamera, quando, visti là dentro molti signori, si arrestò sulla soglia. Il barone Bianco di Barbanía, accortosi dell'imbarazzo, lo interrogò e conosciuto il singolare messaggio, s'incaricò egli stesso di riferire la cosa. Monsignor Aneyros ne fu talmente disgustato che non solo respinse l'invito, ma decise di andarsene al più presto possibile da Torino; si scusò tuttavia presso l'Arcivescovo, adducendo per motivo la prossima partenza. Infatti il giorno 30 di buon mattino partì col suo seguito alla volta di Sampierdarena. Là nell'ospizio fu accolto a festa. Passò quindi a Varazze e a Savona da quel Vescovo, e poi andò ad aspettare Don Bosco nel collegio di Alassio. Quando vi era ancora speranza di smuoverlo dal suo proposito di anticipare la partenza, Don Bosco aveva scritto a Don Cagliero una lunga lettera, a cui non potremmo trovare luogo più opportuno di questo, come i lettori vedranno.
Avrei bisogno di scriverti un volume. Ti darò un cenno delle cose. Accolsi Mons. Aneyros a Sampierdarena coi pellegrini Argentini e li accompagnai a Roma. Io alloggiai al solito presso al Sig. Sigismondi, Mons. al Collegio Americano Latino in S. Andrea al Quirinale. Potè vedere il S. Padre in capo dei pellegrini; ebbe pure un'udienza privata e ne fu molto soddisfatto. Mons. Ceccarelli vestito da Cameriere segreto brillava con ed anche senza Mons. suo Vescovo.
Pel caldo eccessivo di Roma, partirono il 22 per Ancona ed il Cardinale Antonucci ci accolse splendidamente, e ci alloggiò lautamente tre giorni. Il 23 andammo a Loreto, dove fummo tutti contentissimi. Il 24, il mio S. Giovanni fu festeggiato con un gran pranzo Cardinalizio con tutti i pellegrini e molti altri. Brindisi, segni di affetto, bottiglie di ogni genere pompeggiavano. [153] Il 25 da Ancona andammo direttamente a Milano, ed albergammo presso al Cav. Comaschi. Il 26 a Torino.
Qui tutto entusiasmo, tutta festa. Mons. fu soddisfattissimo fino all'entusiasmo; ma alle rose van sempre annesse le spine. Il nostro Arcivescovo Gastaldi, dietro una richiesta concedette ampia facoltà di predicare, pontificare, ma la rivocò pel giorno di venerdì. Mons. andò per fargli visita e l'altro era andato a Pianezza, donde mandò dire che non occorreva rinnovare l'andata, perchè egli veniva il 29 per pontificare, ma che tosto sarebbe ritornato a Pianezza. Accorgendosi poi della sgarbatezza mandò ad invitare il solo Arcivescovo a pranzo, cui egli ricusò adducendo voler partire. Ora io con Ceccarelli insistiamo che vengano tutti a Lanzo, poi a B. S.. Martino, indi in Riviera per alcuni bagni, di cui abbisogna il Sig. Vicario[83].
Mille episodi ameni sono avvenuti: spero di scriverli altro momento. È assai contento di noi, delle cose nostre, e parla con trasporto dei Salesiani di America. La sua partenza è fissata pel 14 prossimo Luglio.
A noi. Ti ho scritto dicendoti di andare a S. Cruz. È questo un solo mio pensiero, ma se pensatis pensandis ti pare meglio differire questa gita, fiat sicut melius in Domino placuerit.
Il personale c'è; siccome l'anno scolastico volge al fine, così se niente osta, si differisce secondo il solito al 14 di novembre prossimo. Se occorre, anticiperemo la partenza, e pei passaggi in qualche modo ci aggiusteremo.
Leggi la lettera al March. Spinola, poi mettila in una busta e la porterai.
Intanto per questo autunno avremo sulle spalle un collegio in Sicilia, un Orfanatrofio a Trento, un Collegio Cantonale nella Svizzera, il Seminario di Magliano Sabino, dove avremo l'amministrazione della parte materiale, la direzione degli studi elementari, ginnasiali, filosofici, teologici. Una casa a Marsiglia etc. Dove prenderemo il personale? Prepareremo la risposta.
Ciò che scrivo a te, scrivo a D. Bodratto ed agli altri. Per la partenza di Mons. prepareremo lettere e commissioni. Nella prossima settimana passerà qui Mons. Lacerda di Rio Janeiro, che non partirà senza avere con sè non meno di cinque Salesiani.
Dio ci benedica tutti, e a tutti fa' auguri e saluti: pregate per me, ed abbiatemi sempre nel Signore
Don Bosco avrebbe voluto trattenere ancora monsignor Aneyros almeno un paio di giorni, perchè il 1° luglio nell'Oratorio si doveva celebrare la festa di san Luigi e negl'inviti già stampati si diceva che l'Arcivescovo di Buenos Aires avrebbe pontificato solennemente nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Meno male che si trovò casualmente a Torino e ospite dell'Oratorio monsignor Formica, vescovo di Cuneo, il quale accettò volentieri di cantare la messa e i vespri, di fare la processione e di dare la benedizione.
Il programma dei festeggiamenti si doveva chiudere il 3 luglio con la rappresentazione di un dramma, intitolato Una speranza ossia Il passato e l'avvenire della Patagonia, lavoro di Don Lemoyne. Don Bosco non solamente ne aveva ispirato all'autore l'idea, ma lo assistette anche nel corso della composizione. Infatti nel suo viaggio in Francia portava seco il manoscritto della prima stesura, che lesse piangendo; poi da Nizza il 28 febbraio scrisse a Don Lemoyne che egli riteneva quel componimento drammatico come il suo capolavoro; ma insieme gli raccomandava di studiarci su ancora un poco e di fare tre cose: 1° rendere più facile l'azione e l'allestimento scenico; 2° collegare più strettamente le parti rialzando nel terzo e nel quarto atto l'azione stessa, che gli sembrava languirvi; 3° unire insieme l'atto quarto e il quinto per non indebolire la finale. Prometteva che avrebbe poi riletto e conchiudeva dicendogli: “È una cosa nuova che piacerà assai”. Piacque infatti moltissimo. Il palcoscenico fu costruito molto, vasto e coperto da un ampio velario nel cortile degli artigiani. Oltre ai giovani v'intervennero più di millecinquecento forestieri. Ma lo spettatore più desiderato mancava; ve lo rappresentò Monsignor Ceccarelli, rimasto in Italia fino alla partenza dei Missionari della terza spedizione, che Don Bosco stava preparando. Se la novità del tema e la varietà dell'intreccio riscossero gli applausi talora entusiastici del pubblico, il dramma in se stesso produsse buoni effetti spirituali, sia svegliando nei cuori calde e benefiche [155] simpatie per le Missioni, sia ingenerando o sviluppando nei giovani e nei chierici le vocazioni missionarie. Quelle scene furono oggetto di molte conversazioni in casa e fuori.
Il 4 luglio Don Bosco partì dall'Oratorio con monsignor Ceccarelli per visitare il collegio di Borgo S. Martino e poi raggiungere ad Alassio monsignor Aneyros e i suoi. Lasciò Borgo la mattina del 6, scrivendo a Don Rua: “Qui pare ci sia per quest'anno buona raccolta di Salesiani da depurarsi agli esercizi di Lanzo”. Il giorno stesso da Sampierdarena inviò al suo segretario una mezza serqua d'incarichi, riferentisi quasi tutti alle circostanze del momento.
Affido a te una serie di commissioni, calcolando sulla sveltezza di tue gambe.
1° Una cassetta o due di bottiglie per l'Arcivescovo di Buenos Aires; Bordeaux, Malaga, Barbera, Grignolino, Nebbiolo, Moscato di Strevi; in tutto da 15 a 20 bottiglie: per nobilitare la nascita del vino si può dare un'esistenza alquanto antica, mercè una terra... Questa cassetta si prepari, e a mio cenno sarà inviata a Genova.
2° Appena sia stampato il fascicolo dell'opera di Maria A. me ne siano tosto inviate alcune copie.
3° Osserva se le dispense ottenute in favore dei nostri chierici Argentini siano state spedite a destinazione.
4° Aiuta D. Rua a fare una cerna di tutti quelli che cogente necetate possono presentarsi per le ordinazioni nella prossima infornata, che spero faremo nel prossimo settembre nella diocesi di Casale.
5° La coperta che le Suore di M. A. regalarono a D. Bosco[84], si metta in un pacco coi libri relativi, e cogli scritti e stampati, che o per essere scritti in lingue diverse, o perchè si riferiscono agli Argentini, ecc. [si possono offrir all'Arcivescovo] e siano indirizzate al console generale della Repubblica Argentina in Genova, per rimettere a S. E. Rev.ma l'Arcivescovo di Buenos Aires. Si faccia lo stesso indirizzo alla cassetta di bottiglie.
6° Senza premura poi si facciano legare tutti i volumetti della Biblioteca Italiana, Lett. Catt. e copia di tutte le mie operette e a suo tempo si manderanno al medesimo Arcivescovo per mezzo del Consolato.
7° Appena ci saranno copie dell'opera di Maria A. mandamene tosto a Nizza Marittima; ma non dimenticare di inviarne alcune copie [156] a Mons. Ceccarelli, con una dodicina di copie del Capitolo Generale[85] per Montevideo. Buenos Aires, San Nicolas.
8° Infiamma di S. Amor di Dio tutti i Salesiani presenti, aspiranti, e prega pel tuo in G. C.
Verso le otto pomeridiane arrivò ad Alassio. L'Arcivescovo gli andò incontro alla stazione, lo abbracciò al cospetto del popolo e gli diede il braccio fino a casa. Quella sera i Superiori e gli alunni del collegio per festeggiare l'arrivo di monsignor Aneyros e degli Argentini tennero un'accademia letteraria e musicale, in cui l'esimio Prelato volle alla fine pronunziare un breve e fervido discorso. Anche là monsignor Ceccarelli ridisse in italiano le parole dette dall'Arcivescovo in spagnuolo[86]. Don Bosco si sentiva così sfinito di forze, che dopo cena si era ritirato nella sua stanza a prendere un po' di riposo.
Il Beato sembrava ancora indeciso se dovesse o no accompagnare monsignor Aneyros a Nizza e a Marsiglia, dal cui porto questi sarebbe salpato per l'America; tuttavia in fondo in fondo gli rincresceva accomiatarsi da lui e lasciarlo solo prima dell'imbarco[87]. Non gli si spiccò dunque dal fianco, finchè Monsignore e i suoi sacerdoti non s'imbarcarono il giorno 17 sul Poitou: là sulla nave gli diede l'estremo saluto. Erano pieni di allegria quegli Americani: il pensiero della patria li faceva esultare e calcolavano il numero dei giorni che ci volevano ancora per rivederla. Il Servo di Dio ascoltava e taceva; alla fine sorridendo disse loro che i calcoli fatti non tornavano. Poi con la sua calma abituale li esortò a non aver tanta fretta, ma piuttosto ad armarsi di santa pazienza: a Buenos Aires sarebbero giunti tutti sani e salvi, ma il giorno [157] tale... E precisò la data, che faceva dodici giorni in più del tempo normalmente impiegato dai piroscafi nella traversata da Marsiglia alla capitale dell'Argentina. - Questo è impossibile! esclamarono essi a una voce con un senso di terrore. Il nostro viaggio non può durare tanto! - Eppure Don Bosco aveva detto il vero. Il loro bastimento lottò con la tempesta fino al Capo Verde, sicchè per le avarie sofferte dovette andar a gettare le ancore presso l'isola S. Vincenzo e là aspettare il passaggio di qualche nave, su cui trasbordare passeggieri e merci e così farli proseguire[88]. Quando approdarono a Buenos Aires, era il venerdì dopo l'ottava dell'Assunzione, 24 agosto, il giorno predetto da Don Bosco. Monsignor Aneyros scrisse al Servo di Dio il 4 settembre: “Non ho avuto un sol momento e desidererei averne moltissimi per scrivere lungamente alla S. V. Reverenda... I giorni passati costì sono indimenticabili. Li ho consegnati qui alla pubblica luce, e mi obbligano ad una gratitudine profonda verso V. S. R., i suoi cari Salesiani ed amati alunni”[89]. Anche il Segretario monsignor Espinosa, futuro Arcivescovo, espresse a Don Bosco la piena del suo affetto[90].
A Marsiglia Don Bosco stette malissimo di salute. L'abate Guiol gli apprestava le cure più assidue; ma egli aveva gran premura di far ritorno in Italia. Di là aveva scritto a Don Rua: “sono stanco a non plus ultra. Io mi arresto a Marsiglia e gli altri vanno tutti a Lourdes; io li assisterò domenica all'imbarco, di poi me ne vado tosto a Torino, dove spero le zanzare mi lasceranno in pace”. Prevedeva però che non ve l'avrebbero lasciato in pace i creditori; infatti proseguiva: [158] “Bisogna proprio adoperarci per aver danaro. Da ogni parte ne domandano, e non trovo chi ne possa dare”. Sei numeri della lettera toccano di combinazioni finanziarie per avere qualche somma, e un numero suggerisce il modo di tacitare un creditore.
Da Marsiglia a Torino la dissenteria che lo travagliava lo costrinse a ben diciotto fermate. Giunto a Sampierdarena il 22 luglio, pur non potendo scrivere per l'estrema debolezza, non volle differire più oltre a ringraziare il caritatevole suo infermiere di Marsiglia; dettò quindi a Don Albera una lettera in cui diceva: “sono giunto a Sampierdarena alquanto meglio in sanità. Le rinnovo di tutto cuore vivi ringraziamenti per la grande cortesia che mi volle prodigare e pregandola di voler ossequiare Monsignor Vescovo da parte mia, avutane occasione, mi raccomando alla carità delle sue preghiere”. Ma prima di fermarsi a Sampierdarena, era passato per Alassio e Varazze, come appare da questa lettera:
Sono ad Alassio un po' rotto. Dimani spero andare a Varazze col celebre D. Francesia. Scriverò pel Sig. Ceriana. Probabilmente la mattina del 25 farò vela per Torino. Ti scriverò ancora. Ho scritto negativamente per Magliano, affermativamente per la Spezia. Quello che puoi mandarmi, indirizzalo a S. Pierdarena fino a tutto il 24.
Di' a D. Berto che mi scriva se la mia uva comincia a saracinare[91] e l'affido alle sue cure.
Dio ci benedica, un cordialissimo saluto a tutti, e prega i nostri cari giovani che facciano una comunione per la mia sanità e mi faranno un gran piacere. Io pregherò per loro
PS. - Mons. Alimonda è Vescovo di Albenga. Ottima scelta per noi.
Ad Alassio Don Bosco ebbe uno di quegli incontri, in cui spiccava la sua prudenza. Nel liceo di Genova il professore di filosofia sacerdote Sciorati e altri suoi colleghi avevano [159] una pessima idea del collegio di Alassio; quindi i giovani che ivi si presentavano per gli esami di licenza erano trattati con estrema severità e quasi con acrimonia. Il direttore Don Cerruti, andato a Genova per dissipare le prevenzioni, invitò lo Sciorati ad Alassio per esaminarvi i liceisti. Quegli acconsentì. Era prete liberale, di condotta poco edificante. Andò, ma vestito da secolare. Ivi giunto e saputo che era arrivato pure Don Bosco, rimase alquanto sconcertato e sentì il bisogno di spiegarsi con Don Cerruti. - Capisce bene!... Son venuto in borghese... la maggior comodità in viaggio... non essere esposto a possibili insulti... - In così dire arrivò alla presenza di Don Bosco. Il Beato che tante volte aveva fatto osservazioni a qualunque prete non portasse l'abito ecclesiastico, allora non disse nulla, fu con lui gentilissimo e gli diede ogni segno di stima e di rispetto, sicchè lo Sciorati ne fu scosso ed entusiasmato, nè dimenticò mai più quel primo abboccamento. L'anno appresso e altre volte ancora vi tornò come amico, ma sempre in veste talare. Don Cerruti notò che appariva ogni volta migliore e che celebrava regolarmente e con divozione la santa messa. Chiuse i suoi giorni in modo veramente sacerdotale. Mentre un avviso l'avrebbe irritato o avvilito, il fare prudente di Don Bosco operò in lui una salutare mutazione.
Nell'Oratorio il Beato non reggeva quasi più a confessare i giovani; stentava perfino ad alzar la mano per assolvere. La stanchezza fisica però non gl'impediva di dare udienze per buona parte della mattina, nè di sedere lunghe ore allo scrittoio nel pomeriggio e tanto meno di lavorare con la mente. Proprio allora studiava il modo di dar vita a una pubblicazione periodica, ideata già da tempo: al Bollettino Salesiano.
LE tre comunità salesiane regolarmente costituite nelle repubbliche argentina e uruguaiana formavano l' “Ispettoria Americana”, governata da Don Cagliero, che risiedeva a Buenos Aires e rappresentava degnamente Don Bosco in quelle remote contrade. Il Beato Padre soleva scrivergli con molta frequenza, rare volte lasciava partire il postale del 1° e del 14 d'ogni mese senza qualche suo scritto. Gli comunicava notizie, lo metteva al corrente degli affari, gl'impartiva istruzioni, gli domandava informazioni e pareri, lo considerava insomma come suo uomo di fiducia in tutto il senso della parola. Così il 13 febbraio, reduce da Roma, si affrettò a fargli conoscere i sentimenti e i disegni del Papa Pio IX nei riguardi dei Salesiani.
Ricevo in questo momento (12 Febbraio), la cambiale[92] di D. Fagnano in data 13 Dicembre 1876. Due mesi di via è un po' troppo: ciò serva di motivo di sollecitare questi banchieri in altri casi. Però non la rifiutiamo, nè ci offendiamo, fosse anche due volte maggiore.
A questo proposito ricevo lettera da D. Lasagna che la Chiesa loro è provveduta dalla carità dei benestanti fedeli, perciò bada che le molte cose portate ad hoc non vadano a male. Tu saprai come si [161] debba fare in simili casi. Affidare lo spaccio ad un coadiutore o ad altra persona confidente, senza che i Salesiani abbiano niente a comparire.
Il Santo Padre è entusiasmato della nostra Congregazione. Oltre la casa in Roma, dei Concettini, vuole che ne accetti un'altra, l'Ospedale della Consolazione, e per incoraggiarci fecemi un regalo di ventimila franchi. Molte proposte da altre parti. Le nostre suore hanno aperto un Oratorio femminile a Chieri.
Il Comm. Gazzolo dopo una settimana di calcoli e di chiacchiere ridusse la sua dimanda a fr. 60 mila per i suoi settecento metri di terreno latistante alla Chiesa della Misericordia[93]. È inteso che si limita a questo prezzo per farei un benefizio. Darebbe anche insieme altra sua proprietà, che è a S. Nicolas, del valore di fr. 3000. Quando gli notai la cifra tua di fr. 18 mila, restò maravigliato dicendo: - Questa è appena la cifra che pagai io stesso quando l'ho comperato. Come vedi, lo pagò 19, e per farci un benefizio lo dà ora a 60 mila. Ah Rôgna! Rôgna![94].
Parla col Sig. Dott. Carranza e pensate al da farsi.
In altra tua dimmi se convenga fare presto una novella spedizione, e, non urgendo, se non sia meglio attendere qualche poco. In questo caso potremmo accomodare più facilmente le cose di Roma.
Procura di sistemare le cose tue, e quando tu potrai dire che gli affari cammineranno con sicurezza, mi notificherai il tuo ritorno, che, si fieri potest, non dovrebbe essere oltre il p. agosto.
Sarà bene che prevenga Mons. Arcivescovo Aneyros che il S. Padre desidera di fare qualche cosa per la Patagonia, e il Card. Pref di Propaganda Fide gli scriverà forse per questo medesimo corriere, sulla convenienza di stabilire a Carmen una Prefettura Apostolica. Stabilita una casa, dice il S. Padre, riesce alquanto più facile tirare i raggi e dilatare la circonferenza. Il S. Padre è specialmente mosso a ciò dalle notizie dolorose che riceve dai paesi confinanti coi selvaggi, come la Repubblica Argentina, il Chilì, ecc., che sono intenti a combattere e distruggere i selvaggi, non a convertirli. Se dal Brasile o dal Paraguay ti fanno formale dimanda di Missionari, tu puoi accettare con queste due condizioni: 1° Aiuto per le molte spese che abbiamo già incontrate, e che tuttodì dobbiamo sostenere; 2° Per l'anno 1878.
Il Santo Padre propone un Vicariato Apostolico nelle Indie, ed un altro nell'Australia. Per ora ho accettato una spedizione nel Ceylan pel 1878. In questo momento sono disturbato, e non posso terminare questa lettera, nè scrivere a D. Fagnano come vorrei, nemmeno a [162] D. Lasagna o D. Bodrato. Sarà per altra volta; fanne le mie veci: partecipa il partecipando. Dio ci benedica. Saluta S. E. Monsignore e gli altri nostri amici e benefattori. Amen.
PS. - Sarà bene che mi mandi il nome dei Cooperatori.
Quest'altra lettera è della metà di maggio. Stava sempre fisso nella mente del Beato il pensiero che si dovesse penetrare fra i selvaggi della Patagonia; una circostanza sembrava allora favorevole allo scopo. Il Governo Argentino, avanzando le sue frontiere verso le Cordigliere, aveva condotto una linea di fortini, lungo la quale stavano scaglionati cinquemila uomini, per tenere in rispetto gl'indigeni. Quei posti militari, distanti l'uno dall'altro venti chilometri, sono divenuti col volgere del tempo tanti centri, intorno ai quali sono andate a stabilirsi famiglie di coloni, formando così villaggi e città; ma allora sorgevano isolati lungi da ogni consorzio civile. Onde il Governo stesso fin da principio nella località detta Carhuè si accinse a creare un borgo, che chiamò Alsina dal nome del ministro della guerra, autore dell'avanzata, e domandava un parroco, un maestro e due secolari capaci d'insegnare a fare le cose più necessarie. Sembrava pertanto ai Salesiani non esservi luogo più adatto per avvicinarsi agli Indi e fare qualche cosa a loro vantaggio[95]. A questo disegno allude il Beato nel primo periodo della lettera.
Ciò che scrivi sulla Patagonia va d'accordo co' miei desideri: avvicinarsi poco alla volta, avvicinarsi mercè l'apertura di case nelle città è paesi più vicini ai selvaggi. Il resto lo farà il Signore.
Rabagliati avrà la dispensa di età, ma non potrà goderla sino al 10 Giugno: perciò prenda tutte le altre ordinazioni, e si prepari pel Sacerdozio nella prima domenica di Luglio.
Lo so che si parlò troppo di noi: ma che farci? Ho sempre tolte le [163] cose che sembravano ridondare in nostra lode, e modificai quelle che si riferivano ad altri. Se però tu puoi mandarmi una relazione dei Missionari dell'America del Sud, fa di spedirmela, ed io aggiusterò tutto.
Ho veduto l'avv. Ferrero, che si fermò un giorno con noi, e ci consegnò molte lettere, però assai in ritardo.
Riceverai le dimissorie, che occorrendo puoi rilasciare tu, o D. Bodrato.
Ho iniziato la pratica pei passaggi sui battelli Francesi. Il Presidente della Società dei Trasporti Marittimi, Sig. Bergasse di Marsiglia, ci promette notabili riduzioni; il governo di Parigi forse ci concederà alcuni posti totalmente gratuiti. Compiuta la pratica te ne darò tosto cenno.
In vista delle case che si vanno moltiplicando, e quindi assottigliando il personale, si sospende al tuo ritorno il progetto del Ceilan, Mangalor, Australia, ecc. Ma non perdo di vista una decina di buone lane da mandare a Dolores, se tu mi dici essere cosa necessaria.
Saluta tutti in N. S. G. C. In altra mia ti accennerò alcuni punti che al tuo ritorno dovrai toccare.
Dio vi benedica tutti: credetemi in G. C.
La più recente delle tre comunità, quella del collegio Pio di Villa Colón a Montevideo, si componeva di tre sacerdoti, due chierici e quattro coadiutori. Il direttore Don Lasagna ebbe cura di mantenersi in stretta relazione col suo collega di S. Nicolás, che dirigeva un collegio della medesima specie; poichè entrambi gl'istituti avevano un elemento omogeneo, formato da figli di agiati estancieros, che aspiravano a professioni e carriere liberali. Si aiutavano dunque a vicenda, conferendo spesso insieme e accordandosi nella scelta dei testi, come anche nell'uso dei mezzi proprii delle case salesiane. Il Direttore però del Collegio Pio si trovò di fronte a una difficoltà, che l'altro non aveva. Essendo il collegio di S. Nicolás in campagna, i convittori venivano raramente visitati e riusciva abbastanza facile tenerli dentro durante il corso dell'anno scolastico; invece quelli di Villa Colón, a sì breve distanza dalla capitale, ricevevano frequenti visite dai genitori, che avrebbero voluto avere i figli a casa più volte [164] al mese ed anche tutte le domeniche. L'inconveniente era grave; ma Don Lasagna se ne liberò con un mezzo molto semplice.
Fra le compagnie ideate da Don Bosco per avviare al bene i giovani, primeggia quella del Santissimo Sacramento; di essa appunto seppe Don Lasagna valersi. Istituitala fra i più grandicelli, che sogliono dare il tono alla vita del collegio, ne dispose i soci alla frequenza dei sacramenti, li affezionò alla casa e si servì di loro stessi per distogliere i parenti da quelle dannose esigenze. Egli ottenne così ancor più di quanto desiderava; poichè quel vedere i proprii figli fare a meno e volentieri delle libere uscite, colmò di ammirazione i padri e le madri che, discorrendo del collegio, ne levavano a cielo gli ordinamenti.
Nè il bravo Direttore si fermò lì; ma prese anche a stimolare i soci della compagnia, perchè lo aiutassero a compiere opere di carità spirituale, come in quella di catechizzare i ragazzi del vicinato; nella qual cosa fu assecondato mirabilmente. Infatti i suoi giovani catechisti, sia quando andavano alle vacanze sia dopochè lasciavano il collegio, mettevano su nelle loro case veri oratori festivi, dandosi ogni domenica con gran fervore all'insegnamento della dottrina cristiana. Sì bella iniziativa giovanile attirò le simpatie di tante nobili e ricche famiglie, che favorivano l'impresa con doni e premi ai fanciulli; anzi trovò pure imitatrici nelle sorelle dei convittori, le quali a lor volta prendevano a fare il medesimo con le fanciulle. Tali oratori domestici diedero poi origine a regolari oratori festivi presso le parrocchie della città, dove gli ex - allievi continuavano a esercitate il loro zelo sempre sotto l'ispirazione e secondo le direttive di Don Lasagna. Questi per tal modo potè formare un'organizzazione degli oratori festivi presieduta dell'ex - alunno dottor Lenguas e tenuta salda mediante un piccolo regolamento intitolato “Oratorios festivos de Montevideo regenteados por Exalumnos del Colegio Pio”. [165] Di un socio della compagnia, alunno di ginnasio, esiste nei nostri archivi una lettera a Don Bosco, la quale è un buon documento dello spirito che fino dai primordi regnò in quel collegio. Il giovane, avvezzo a tutti i comodi della vita domestica, perchè figlio di genitori milionari, si adattò talmente alla modesta vita collegiale da trovarvisi come nel proprio elemento e da benedire Iddio che lo avesse condotto fra quelle mura[96]. Anzi, finito il ginnasio, non volle più staccarsi dai suoi educatori, ma passò al noviziato Salesiano di recente aperto e divenne un ottimo figlio di Don Bosco. Parliamo di Don Mario Migone, sacerdote sempre affezionatissimo alla Congregazione e pieno di zelo per il bene delle anime.
Il collegio Pio, quantunque ampio, non potè nel primo anno capire tanti allievi quanti facevano domanda di entrarvi; perciò il Direttore pose subito mano a fabbricare. Ma vi si sperimentò anche subito all'aprirsi delle scuole (laggiù l'anno scolastico incomincia a marzo ), che il lavoro era molto e i lavoratori pochi. Per altro gli amici se ne preoccupavano più che non i Salesiani. Queglino infatti, non sapendo ancora quanta fosse l'attività dei figli di Don Bosco, non volevano credere che si potesse così tirare innanzi e temevano sia per la salute dei confratelli, sia per il buon nome dell'Istituto tanto bene avviato; onde brigavano presso Don Cagliero, perchè mandasse opportuni rinforzi[97]. Questi vennero, ma l'anno appresso; intanto però i trepidi amici ebbero un saggio dell'operosità instancabile dal Beato Don Bosco trasfusa ne' suoi figli.
La comunità di S. Nicolás con i suoi quattro sacerdoti, tre chierici e sei coadiutori, oltre al convitto, aveva le scuole comunali, l'oratorio festivo e la cappellania dell'ospedale. L'edifizio, terminato che fu, campeggiava imponente sull'alto con i suoi portici e cortili fra larga cornice di svelti pini, aperto sopra un bellissimo giardino e ricco di un orto molto ben [166] coltivato. Coloro che navigavano a ritroso della corrente del Paranà lo miravano da lungi biancheggiare fra il nero delle piante, ricevendone un'impressione di serenità e pace.
Ma i lavori di costruzione si erano lasciato dietro lo strascico dei soliti guai: bâtir c'est pâtir. “Le nostre cose vanno discretamente bene, scriveva il Direttore; solo, mi trovo in mezzo a tanti debiti, che non so quasi dove rivolgermi. Benitez fa quanto può, e il Signore gli dà sanità: aiuterà a pagarli”[98].
Il signor Benitez era sempre il buon amico dei Salesiani, sempre pieno di venerazione affettuosa per Don Bosco, dei cui lieti successi gioiva come di cose sue. Quando seppe che si stava per aprire il collegio a Villa Colón, il venerando ottuagenario se ne rallegrò con lui, scrivendogli una lettera nel latino dei suoi anni giovanili, rallegrandosi insieme dei progressi che vedeva farsi sotto i suoi occhi dal collegio della sua patria. Per mano poi di Monsignor Ceccarelli inviò al Beato una seconda lettera in lingua spagnuola, lettera scritta col cuore alla mano e in cui non sapremmo che cosa maggiormente ammirare, se l'affetto filiale per Don Bosco e la fraterna cordialità verso i Salesiani ovvero l'umiltà buona e commovente del Cooperatore che dice: “A ben poco serve questo cooperatore, nonostante tutte le sue insegne cavalleresche e il benevolo atto del Papa” e si augura che si presentino in avvenire occasioni, nelle quali egli possa essere più utile che in passato. Don Bosco soltanto il 14 maggio potè rispondere alla lettera latina e lo fece egli pure nella lingua del Lazio, e mentre con viva gratitudine ne rammentava i benefizi, gli esponeva con la massima confidenza le gravi strettezze in cui dibattevasi Don Bodratto a Buenos Aires, raccomandandolo alla sua carità[99]; della quale raccomandazione il Servo di Dio rese avvertito lo stesso Don Bodratto, per sua norma e incoraggiamento. [167]
È bene che ti prevenga di una lettera scritta al Sig. Benitez. In essa raccomando la tua posizione, e mentre lo ringrazio di quanto ha fatto e fa per noi, lo prego di portare il suo occhio caritatevole sopra i preti della Chiesa della Misericordia che vivono unicamente delle oblazioni dei fedeli. Ciò solo per tua norma in caso fosti richiesto su questo argomento.
Tu mi dici che avete tanto da fare; lo so; vorrei potervi venire in aiuto. Forse potrà consolarti il sapere che noi qui siamo così oppressi dalle occupazioni da non saper più dove incominciare e dove finire. Sono più mesi da che mi metto al tavolino alle 2 pomeridiane e mi levo alle otto e mezza per andare a cena. Tuttavia ricordati che la sanità è indispensabile, e perciò fate quello che potete. Avrete aiuto e cogli operai che manderemo di qui e con quelli che farete di costà.
Dirai poi a tutti i nostri cari figli Daniele, Rabagliati e ad altri, segnatamente al mio caro D. Baccino che vi raccomando tutti al Signore nella S. Messa ogni mattino.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi e credimi, o meglio credetemi in G. C.
N. B. Fu comperata una casa a Nizza Monferrato dove sarà trasferita la casa di Mornese con grande vantaggio, spero.
È bello vedere come l'affezionato Cooperatore seguisse passo passo i Salesiani nelle loro intraprese. Così qui con intimo compiacimento si fa a riferire d'una prossima missione di Don Cagliero in una colonia italiana di Entre - Ríos, ma a S. Nicolás egli non aveva ancora ricevuto la notizia che era già cosa fatta. Don Cagliero col chierico Rabagliati aveva visitato in quella regione la numerosa colonia italiana di Villa Libertad, a circa trecento miglia da Buenos Aires. Dal 12 al 26 aprile furono quattordici giorni di fatiche incessanti, rese più ardue da dieci giorni di pioggia[100]. Fu per lui notevole il fatto che venne a trovarlo uno di quei cacichi, a cui [168] il Governo aveva dato il titolo di colonnelli, e venne per raccomandargli quattro battesimi. Gli restituì la visita, impiegando mezza giornata di cammino a cavallo; disagio a cui si sottopose di buon grado anche per moltiplicare i contatti con gli Indi. I frutti raccolti, troppo inferiori al bisogno, lo fecero esclamare: “Oh ci vogliono missionari, missionari, missionari! Altrimenti le anime si perdono come gli animali del campo”.
La comunità di Buenos Aires aveva da lavorare non meno delle altre due. La scuola di arti e mestieri, aperta nel mese di aprile, come già si disse, fu inaugurata solennemente alla fine di settembre. Questa casa distava circa due chilometri dalla chiesa Mater Misericordiae. Essendo provvisoria, non ebbe nome definitivo, sebbene per la cooperazione prestata dai soci delle conferenze di S. Vincenzo si chiamasse comunemente ospizio di S. Vincenzo de' Paoli. Appunto per edificarne una regolare e in luogo più comodo, ove i Salesiani potessero state uniti, si faceva di tutto per acquistare dal signor Gazzolo il terreno necessario a fianco della chiesa, secondochè abbiamo detto altrove, e come leggiamo insistentemente ripetuto nelle lettere del Servo di Dio a Don Cagliero. Sul principio poi dello stesso mese di settembre l'Arcivescovo aveva canonicamente affidato alla Congregazione Salesiana nella persona di Don Bodratto la parrocchia della Boca del Riachuelo[101]: nuovo campo di lavoro che avrebbe richiesto fresche energie di strenui operai evangelici.
Invece il manipolo già tanto sottile degli operai là presenti fu assottigliato ancor più dalla molte: il 13 giugno la comunità di Buenos Aires perdette repentinamente uno de' suoi membri più attivi, Don Giovanni Battista Baccino, partito per l'Argentina con la prima spedizione. Sotto umili apparenze egli nascondeva un gran cuore di apostolo. Fare catechismi diurni e scuola serale ai giovanetti, confessare più ore della [169] giornata, predicare in italiano o in spagnolo, assistere gl'infermi, costituivano tale un cumulo quotidiano di fatiche da spossare più uomini, non che uno solo; eppure egli non si stancava mai, dolendosi unicamente di non poter sempre bastare a tutto. Invocava rinforzi da Torino. I rinforzi giunsero con la seconda spedizione; ma in luogo di sollievo gli apportarono accrescimento di lavoro, perchè diedero occasione a più larghi sviluppi dell'opera Salesiana in Buenos Aires. Onde poco dopo l'arrivo dei nuovi confratelli scriveva a Torino: “Il Signore benedice visibilmente le nostre fatiche. Prima aveva molto lavoro, ma ora ne ho moltissimo, giacchè, mentre, essendo tre, ne avevamo per sei, ora che siamo quattro ne abbiamo per dieci”.
Specialmente nelle sue lettere a Don Bosco i sentimenti di zelo che lo infiammavano nell'esercizio dei ministeri sacri, gli traboccavano dal cuore. “Io qui, gli diceva il 19 marzo 1876, mi trovo circondato da una infinità di giovani, molti passano già i vent'anni e debbo pensare a prepararli a ricevere la santa Cresima e fare la prima Comunione. Costoro sono in gran parte Italiani. I loro genitori vengono dal campo lontano fin dieci e più leghe per udire a predicare, confessarsi, comunicarsi, ascoltare una messa, e intanto lasciano i giovani perchè vengano da noi a farsi istruire. Pensi, caro Padre: in otto giorni, e poco più, devo prepararli alla confessione, ammetterli alla santa Comunione e tutto! Devo io aver coraggio a risparmiare me stesso?... Vi sono anche delle vocazioni allo stato ecclesiastico, se fossero coltivate; già varii ci fecero dimanda di entrare come coadiutori nella Congregazione”. E il 3 aprile: “Con quanto piacere ho letto il biglietto che si degnò mandarmi! Ella mi dice di avere gran cura della mia sanità. Grazie a Dio dalla mia partenza di costì ho goduto sanità perfettissima... Ma se presto non ci manda aiuto, qui dovremo sicuramente soccombere... Favorisca di mandarci anche dei libri. Se vedesse quanto frutto fanno il Giovane Provveduto e la Vita di Savio Domenico!... Non mi domandi [170] notizie di Buenos Aires, perchè non so come sia fatta. Sono divenuto un romito perfetto; non esco mai di casa, se non in gran fretta per visitare gl'infermi”. A Don Barberis scriveva il 18 maggio: “Devo sforzarmi per trovare un momento per mangiare. Il tempo non so come lo passi; solo so che mi alzo di buon mattino e alla sera vado a dormite molto tardi; vari giorni non trovo proprio un istante per riflettere se sono prima o dopo pranzo, se di mattina o di sera. Pure ho una sanità di ferro”. Citiamo ancora qualche periodo di una sua lettera del 20 aprile '77, che fu l'ultima a Don Bosco: “si può dire che tutti gli Italiani anche della campagna e distanti fino le cinquanta e cento leghe si versano qui come i fiumi si versano nel mare. Dio ci dà grandi consolazioni... Quando siamo giunti, l'abbiamo detto loro ch'eravamo venuti per lavorare e far loro del bene; ci han compreso, e del lavoro ce ne danno. Deo gratias...! Io sono molto contento di essere venuto in America, vivo tranquillo, lavoro facendo ciò che posso, ma sono ignorante: qui ci vorrebbero uomini più esperti di me. Una sola cosa mi resta a desiderare su questa terra, ed è che vorrei ancora una volta vedere il mio amato padre Don Bosco. Potrò sperarlo in questo mondo? Almeno preghi che, riunitici dopo morte, possa poi stare vicino a Lei per tutta l'eternità”.
Le testimonianze altrui confermano pienamente le cose che con filiale abbandono egli confidava al padre dell'anima sua. Una testimonianza è del signor Gazzolo che vide sul posto e quindi descrisse ai Superiori di Torino, in che modo il zelante sacerdote aveva passato la seconda domenica di febbraio del '77, il qual mese laggiù è nella stagione più calda dell'anno ed ha le giornate più lunghe[102]. Un'ora prima che levi il sole, Don Baccino scende in confessionale. Italiani e Argentini accorrono in folla a confessarsi da lui, nè egli si muove se non per recarsi a celebrare; poi dopo la messa, [171] trovando ancora il suo confessionale assiepato, vi si rinchiude di nuovo e vi rimane finchè non si presenta più nessuno, cioè fin verso il tocco. I Salesiani non avevano allora cucina in casa; perciò si facevano portare il pranzo dalla locanda. Andato a rifocillarsi, Don Baccino gusta un po' di cibo, ed ecco annunziarglisi che una famiglia arrivata poc'anzi da lontano per far le sue divozioni, chiede di confessarsi e ricevere la comunione. Udito che quei poveretti han fatto sei ore di viaggio a cavallo e quattro in ferrovia e che debbono affrettarsi a tornare, lascia là il pranzo e va da loro. Dopo finisce appena di trangugiare il cibo freddo, che bisogna cantare i vespri e fare la predica. Parla per circa un'ora a un uditorio assai numeroso e dà la benedizione; quindi una processione di gente gli sfila dinanzi, e chi vuol essere benedetto, chi lo richiede di benedire un matrimonio o di amministrare un battesimo, chi lo prega di un consiglio. Intanto vengono a dirgli che due infermi gravi lo aspettano: egli corre dall'uno e vola dall'altro. Alle dieci di notte finalmente può prendere un po' di cena e andare a riposo. Ma la predica della sera ha fatto frutto: alle quattro del mattino i penitenti si stipano già al suo confessionale. Diceva il relatore che quella era su per giù la sua vita tutte le domeniche e quasi anche tutti i giorni feriali. Specialmente se si trattava di malati, il più chiamato era sempre Don Baccino. Bisognava poi vedere quando usciva dalla camera degl'infermi! Torme di ragazzi lo aspettavano nei cortili e per le strade, ed egli a interrogarli, a catechizzarli, a benedirli, invitandoli all'oratorio. - Che buoni preti! esclamavano tanti. Dio ce li conservi! - Don Giuseppe Vespignani, succedutogli alcuni mesi dopo la sua morte, rimase intenerito alla vista dell'affetto che la gioventù serbava per Don Baccino.
Le Autorità ecclesiastiche scrivevano di lui a Don Bosco, magnificandone lo zelo; ma chi meglio di tutti poteva giudicare dell'opera sua era il suo superiore Don Cagliero. Ecco alcune espressioni spigolate nella sua corrispondenza con Don Bosco: “Fa magnificamente bene... M'accudisce quella chiesa [172] molto bene... La fa in tutto e per tutto da pastor bonus verso gli Italiani di Buenos Aires... D. Baccino nelle prediche piace moltissimo per la sua semplicità, quantunque non manchi alle volte di tuonare molto forte... Don Baccino non dice mai basta... Ho trovato Baccino in buona salute (19 agosto 1876), ma molto stanco... Non si capisce come possa fare tanto... Don Baccino lavora per quattro e riesce bene in tutto”.
E donde era venuto a Don Bosco un servitore così buono e fedele del padrone celeste? Sui ventitrè anni d'età una vaga aspirazione di vita più perfetta gli agitava il cuore. Sentì dire allora che nell'Oratorio di Don Bosco a Torino si accettavano giovani già grandi, i quali desiderassero di studiare per farsi preti. Una voce interna gli diceva che quello era luogo per lui. Temette che la povertà gliene chiudesse la porta; ma non fu così. Lasciò dunque i lavori campestri, diede l'addio alla nativa Giusvalla e fece il suo ingresso nell'Oratorio. Di fronte alle prime difficoltà un altro timore lo assalse: di non poterla durare agli studi, ripresi dopo tanti anni d'interruzione Ma la costanza lo sorresse a tal segno in quell'ambiente, dove Don Bosco allenava al bene, che in due anni imparò quanto bastava di latino per essere chierico e studente di filosofia. Durante i primi tre anni di teologia insegnò a Lanzo nelle classi elementari superiori: chiarezza d'idee e facile comunicativa ne rendevano efficace l'insegnamento. Quando morì, molti erano i chierici che benedivano la sua memoria, perchè da lui incamminati a Lanzo per la via del santuario. Vicino agli ordini sacri, fu mandato a Varazze, dove più agevolmente potesse ottenere di riceverli. I primi discorsi dell'America lo entusiasmarono, sicchè si mostrò uno dei più caldi a chiedere di andarvi. Il Beato Don Bosco che ne conosceva la tempra, lo esaudì nell'anno stesso della sua ordinazione sacerdotale, annoverandolo fra i dieci della prima spedizione. Chi nella fotografia del gruppo lo rimira là in piedi fra Don Bosco e il signor Gazzolo, gli scorge [173] in volto un'espressione di energia e di bontà, che dell'umile figlio dei campi farà un ministro degnissimo del Vangelo.
Ma il suo ministero purtroppo fu di breve durata, sebbene imperituro sia rimasto il ricordo e l'esempio delle sue sacerdotali virtù. La domenica 10 giugno del '77 diresse ancora la grandiosa processione del Corpus Domini, che lo stancò enormemente. Sul mezzodì del 13, rientrato dalla visita a un infermo sentì imperioso il bisogno di adagiare le membra e riposare. Dormiva in una modestissima cella, povera anche d'aria e di luce, sotto il campanile della chiesa. Là lo assalse una colica sì violenta, che le cure dell'arte valsero solo a procurargli tanto di calma che bastasse per ricevere gli ultimi conforti della religione, e poi quasi subito spirò. Don Cagliero nel comunicare a Don Bosco la luttuosa notizia si lasciò cadere dalla penna una proposizione che è il miglior epitafio del defunto: “Egli era di grand'animo, ma umile, doti, che lo fecero amare da tutta Buenos Aires”.
Scomparso il grande lavoratore, anche il grande animatore stava in procinto di partirsi dai fratelli per far ritorno al Padre. Il 31 marzo Don Bosco gli aveva scritto: “sarà possibile che tu possa intervenire al Capitolo Generale che dovrà cominciare al principio di settembre prossimo? Si dovranno trattare e risolvere cose assai importanti; perciò vedi, osserva, e dimmi si fieri potest”. In men di due anni è incredibile quanta fiducia e benevolenza Don Cagliero avesse saputo cattivarsi da parte dei confratelli e da ogni ceto di persone. Allorchè Don Bosco, scrivendo laggiù, aveva fatto mezza parola di quel richiamo, il caro Don Baccino gli aveva risposto: “Ci chiama figli e ci tratta tanto rigorosamente? Se già fossimo adulti, pazienza! ma siamo bimbi. Il Signore i suoi bimbi li pasce con latte e confetti; le prove le riserba ai vecchi, perchè si guadagnino meriti. Non sa che noi siamo bimbi, ed io il primo? Se ci toglie il capo, ah, che faremo? Verumtamen, non mea voluntas, sed tua fiat”. In molte lettere poi, che conserviamo, si vede l'afflizione generale degli amici [174] e conoscenti, quando sonò l'ora dei distacco, ma il sentimento di tutti balza fuori da queste scultorie parole di monsignor Vera: “ [Don Cagliero] ha sabido conquistar las voluntades de los Americanos”[103]. Non c'è chi, scrivendo, non faccia caldi voti per il sicuro e pronto suo ritorno[104].
Il suo arrivo all'Oratorio fu preceduto dalla visita di monsignor Pietro Lacerda, il Vescovo zelantissimo di Rio de Janeiro, del quale abbiamo già due volte fatto parola nel volume precedente[105]. “Non saprebbe dirsi, scrive Don Albera[106], se vi sia stato altro prelato che più intimamente abbia conosciuto Don Bosco, più l'abbia stimato e più teneramente a lui si sia affezionato”. Don Barberis andò a riceverlo alla ferrovia e a dargli il benvenuto in nome di Don Bosco. La banda musicale lo salutò al suo entrare nell'Oratorio, dove lo aspettava il Beato. Tre fatti restarono memorabili dopo la sua partenza. Il primo fu quella consultazione di parecchi giovani, della quale si è detto nel luogo testè citato. Fece impressione anche una poesia di Don Lemoyne in suo onore. Monsignore voleva a ogni costo avere nella sua diocesi i figli di Don Bosco. Il poeta dunque, pensando ai nomi portati dal Vescovo e da Don Bosco, svolse intorno alla pesca miracolosa del Vangelo il concetto che come Pietro dalla sua barca, non potendo sostenere il peso delle reti strapiene di pesci, chiamò dalla barca di Giovanni pescatori che gli venissero in aiuto per mettere in salvo la strabocchevole pescagione, così monsignor Pietro Lacerda, per assicurare vie meglio il tanto bene da lui operato nel suo ministero episcopale invocava le braccia dei figli di Don Giovanni Bosco, che unissero ai suoi gli sforzi loro nella divina pesca delle anime giovanili. Tutto concorreva ad alimentare in lui la dolce speranza di avere quanto prima nella capitale del Brasile o [175] nelle adiacenze un istituto Salesiano per la povera gioventù; speranza che, sebben tardi, egli ebbe la consolazione di veder avverata finalmente nel 1882 per mezzo di Don Lasagna.
Il terzo fatto è di altra natura: fu un richiamo toccato a Don Rua da parte della Curia arcivescovile di Torino, subitochè il Vescovo se n'era partito. Erasi creduto fermamente nell'Oratorio che monsignor Gastaldi, richiestone a viva voce, avesse accordato a monsignor Lacerda ampia facoltà di pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice; tanto più che si era anzi mostrato tanto cortese da invitarlo all'Eremo[107] nella villeggiatura del seminario, dove i chierici l'avevano festeggiato con un'accademia. Ma subito dopo la sua partenza Don Rua si vide recapitare una lettera, in cui per ordine di Monsignor Arcivescovo gli si esponevano “gravi lagnanze” perchè si fosse “indotto Monsignor Lacerda a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice con assicurarlo che si aveva il permesso dello stesso Arcivescovo; mentre questi aveva sì consentito che e quel Vescovo e l'Arcivescovo di Buenos Aires, i quali erangli stati annunziati come venienti a Torino per passare alcuni giorni sul finire di giugno o il principiare di luglio, pontificassero per la festa di san Luigi: ma non aveva data altra licenza”. Monsignore perciò raccomandava “su un punto sì grave e sì delicato la massima esattezza e la piena consonanza con la realtà della cosa”.
Monsignor Lacerda portò chiusa in cuore una predizione di Don Bosco. Molte tribolazioni aveva già dovuto sopportare nell'esercizio del suo episcopale ministero; sapeva che altre glie n'erano riserbate in appresso; al Beato aveva confidate tutte le sue pene. Il Servo di Dio lo assicurò che da vivo egli non avrebbe avuto gloria in questo mondo, sibbene quando fosse morto. E così fu. Ai suoi funerali splendidissimi presero parte [175] nelle adiacenze un istituto Salesiano per la povera gioventù; speranza che, sebben tardi, egli ebbe la consolazione di veder avverata finalmente nel 1882 per mezzo di Don Lasagna.
Il terzo fatto è di altra natura: fu un richiamo toccato a Don Rua da parte della Curia arcivescovile di Torino, subitochè il Vescovo se n'era partito. Erasi creduto fermamente nell'Oratorio che monsignor Gastaldi, richiestone a viva voce, avesse accordato a monsignor Lacerda ampia facoltà di pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice; tanto più che si era anzi mostrato tanto cortese da invitarlo all'Eremo[108] nella villeggiatura del seminario, dove i chierici l'avevano festeggiato con un'accademia. Ma subito dopo la sua partenza Don Rua si vide recapitare una lettera, in cui per ordine di Monsignor Arcivescovo gli si esponevano “gravi lagnanze” perchè si fosse “indotto Monsignor Lacerda a pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice con assicurarlo che si aveva il permesso dello stesso Arcivescovo; mentre questi aveva sì consentito che e quel Vescovo e l'Arcivescovo di Buenos Aires, i quali erangli stati annunziati come venienti a Torino per passare alcuni giorni sul finire di giugno o il principiare di luglio, pontificassero per la festa di san Luigi: ma non aveva data altra licenza”. Monsignore perciò raccomandava “su un punto sì grave e sì delicato la massima esattezza e la piena consonanza con la realtà della cosa”.
Monsignor Lacerda portò chiusa in cuore una predizione di Don Bosco. Molte tribolazioni aveva già dovuto sopportare nell'esercizio del suo episcopale ministero; sapeva che altre glie n'erano riserbate in appresso; al Beato aveva confidate tutte le sue pene. Il Servo di Dio lo assicurò che da vivo egli non avrebbe avuto gloria in questo mondo, sibbene quando fosse morto. E così fu. Ai suoi funerali splendidissimi presero parte [176] tutti i poteri dello Stato, il Presidente della Repubblica vi si fece rappresentare, a migliaia e migliaia se ne diffusero i ritratti, tutti i giornali d'ogni colore ne tesserono gli elogi. Mons. Silva, vescovo di Goas, venuto all'Oratorio nel marzo del 1891, attestò il vaticinio, riferitogli dal defunto prelato, e il postumo trionfo, a cui pochi mesi innanzi aveva assistito. In principio di settembre Don Cagliero era a fianco di Don Bosco. Festeggiatissimo nell'Oratorio e fuori, rallegrò molto il buon Padre con la relazione delle grandi cose che i suoi figli facevano in America e delle maggiori che gli amici di là se ne aspettavano. Mosso da queste notizie, egli scrisse una serie di lettere, le quali ne lumeggiano assai bene l'azione missionaria o per dir meglio, l'industriosa attività apostolica. Le prime sei furono spedite nell'America, due con il secondo postale di settembre e quattro con il primo postale di ottobre.
1. Alla signora Elena Jackson.
Questa insigne benefattrice era sorella del signor Giovanni Jackson, da cui si denomina tuttora la colonia agricola salesiana di Mango nell'Uruguay. La famiglia Jackson, una delle più influenti e ricche di Montevideo, favorì sempre generosamente i Salesiani. La signora Elena contribuì anche alle spese per allestire l'edizione spagnuola del Giovane Provveduto e di altre opere del Beato; a lei in particolare si deve la casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che fu aperta nelle vicinanze del collegio Pio.
La Divina Provvidenza che ha tra le mani il cuore de' suoi servi suole muoverlo a suo tempo a compiere le cose che sono secondo i suoi adorabili voleri senza riguardare al merito verso cui si dà tanto beneficio. È questo il caso nostro. I miei figli Salesiani colle sole mani in mano, unicamente fiduciosi nella bontà del Signore, intrapresero il viaggio dell'America del Sud per cooperare a salvare qualche anima [177] al cielo. La S. V. fu l'anima eletta a cominciare e sostenere l'opera del Signore di Villa Colón.
Il Dott. D. Cagliero ed il Dott. Lasagna mi aveva più volte scritto della sua religione, della sua affezione al Papa e della grande carità usata al Collegio Pio. L'aiuto prestato ad iniziare questo collegio; la carità continua che ci usa a sostenere la traduzione del Giovane Provveduto che già si sta stampando; la traduzione della Chiave del Paradiso; la casa delle Suore di Maria Aus. sono opere che renderanno sempre caro e venerato il nome di Lei, e per cui si faranno ogni giorno speciali preghiere finchè durerà la Salesiana Congregazione. Ella pertanto fu scritta sul catalogo delle insigni nostre benefattrici ed ogni mattino in tutte le case della nostra Congregazione (vi sono oltre a 15 mila allievi ) vi saranno speciali preghiere, affinchè Dio pietoso colmi di grazie il suo fratello D. Giovanni, conceda la grazia che si desidera per la tributata somma carità. Per tratto poi di bontà ora si occupa a tradurre alcune mie composizioni, ed io non voglio che lavori gratuitamente. Le anime che questi libri guadagneranno al Signore serviranno ad accrescere il corredo delle opere buone e la corona di gloria che gli angioli già le tengono preparata in cielo.
L'opera poi che le procurerà gran merito davanti a Dio e in faccia agli uomini è quella delle suore di Maria A. Don Cagliero ha fatta la scelta, e le sei designate studiano alacremente lo Spagnuolo e si preparano alla partenza nel prossimo novembre.
Ma tutte le suore dei novello istituto fin d'ora pregano per Lei che ne fa la prima fondazione nell'America del Sud. Forse Ella non comprenderà abbastanza il pregio dell'opera che fa. Fondare un istituto educativo in un paese vuol dire fare un segnalato benefizio a tutte le classi dei cittadini che vivono adesso e a tutti quelli che vivranno dopo di noi.
La spedizione per l'America del Sud è di 40 tra suore e Salesiani: circa 20 sono per la prossima spedizione e saranno accompagnati da Mons. Ceccarelli: gli altri partiranno poco appresso con D. Cagliero, se qualche fatto imprevisto non farà cangiare divisamento. Spero poterle scrivere altre cose entro breve tempo. Io la ricorderò ogni giorno nella Santa Messa, ed Ella preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.
È già noto segretario di monsignor Vera e factotum nella fondazione del collegio di Villa Colón. Con vera effusione di [178] cuore il Beato risponde qui specialmente a una lettera del 6 agosto, nella quale Don Yeregui magnificava l'opera dei Salesiani del collegio Pio e lamentava forte la partenza di Don Cagliero. “El Dr. Cagliero, diceva egli, se ha conquistado las simpatías de todos, grandes y pequeños; y V. R. sabe muy bien que esa conquista de las simpatías generales vale mucho por la realisación de las obras buenas”. Quindi, interpretando il sentimento di molti, esprimeva il desiderio che Don Bosco lo rimandasse presto e ben accompagnato.
Da molte lettere ricevute da Montevideo e da Villa Colón era già stato informato della grande carità che Ella ha fatto e fa ai suoi cittadini e ad altri. Ma le cose raccontate da D. Cagliero superano di gran lunga quanto aveva la fama portato di Lei. Dio sia benedetto, Dio la rimeriti largamente, rimeriti Lei e i suoi fratelli e sorelle che tanto fecero per Villa Colón, pel Collegio Pio. Desidero di darle un piccolo segno della gratitudine grande che nutro per Lei, e ciò spero di fare nella prossima spedizione del vicino mese di novembre.
Questa spedizione provvederà a sufficienza il personale di Villa Colón, che è molto scarso in proporzione del gran lavoro che in ogni momento va ingrossando.
Sia adunque benedetto il nome di Gesù e di Maria che le inspirarono di venirci così efficacemente in aiuto colle lettere scritte, colle offerte fatte, colle raccomandazioni prodigate.
Se le è possibile si compiaccia di farmi una commissione presso a Monsignor Vescovo dicendogli che pel prossimo corriere spero di adempiere una parte dei molti e gravi doveri che ho verso la venerata sua persona. D. Cagliero ritornerà in Montevideo e nella Repubblica Argentina; ma prima dovrà forse recarsi ad aprire una casa a S. Domingo, dove il Vescovo manca affatto di Seminarii, di preti e di chierici.
Dio la benedica, caro D. Raffaele; prego Dio che ci conservi lunghi anni un tanto benefattore e conceda copiosi favori a Lei, ai suoi fratelli e sorelle, e raccomandandomi umilmente alla carità delle sante loro preghiere ho la consolazione di potermi sottoscrivere
Il Servo di Dio risponde a una lettera recatagli da Don Cagliero. Il Vicario Apostolico di Montevideo gli rinnovava i suoi ringraziamenti per il regalo, che egli, donando i suoi figli, aveva fatto a tutti gli Uraguaiani, “a todos los que pertenecemos a esta República del Uruguay”; ma in pari tempo faceva voti che l'assenza di Don Cagliero fosse solo temporanea e di breve durata.
Più volte il Dottor Lasagna e gli altri miei Religiosi mi scrissero intorno alla sollecitudine che V. E. praticò sia per iniziare, sia per sostenere la casa di Villa Colón; ma ora che D. Cagliero mi espose di presenza lo stato delle cose, conosco che dopo Dio è dovuto alla efficace sua protezione l'impianto di tale istituto.
Io pertanto le professo la più sentita gratitudine e tutti pregheremo la Divina Bontà che ci voglia conservare lunghi anni la E. V. nostro insigne benefattore.
D. Cagliero non può subito tornare nella partenza del 14 pross. novembre; e perciò ogni autorità di esso resta conferita al Sac. Bodratto, parroco alla Bocca in Buenos Aires: ma siccome intendo che tutti i Salesiani sieno suoi figli, così qualunque autorità mia sopra di loro la conferisco a V. E. tanto nello spirituale quanto nel temporale, pel tempo che dimorano nella Repubblica dell'Uruguay.
In novembre partiranno sei suore, otto Salesiani per Montevideo: gli altri andranno a Buenos Aires e a S. Nicolás.
Ella poi mi farà una grande carità se me ne darà avviso, ogni volta che scorgesse qualche disordine tra i miei Salesiani: e farò tosto ogni mio possibile per porvi rimedio. Ci troviamo in principio bisognosi di tutto: Ella ci aiuti colla sua protezione, e noi saremo tante braccia: nelle sue mani, che lavoreremo con tutto lo zelo possibile, per coadiuvare la E. V. e con Lei promuovere la maggior gloria di Dio. Mi raccomando umilmente alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'alto onore di potermi professare
4. Al Dottor Edoardo Carranza.
Anche il dottor Carranza, presidente generale delle Conferenze Vincenzine a Buenos Aires, aveva scritto al Beato per mezzo di Don Cagliero. La sua lettera comincia così: “Dios ha favorecido nuestro pueblo, enviando a èl, a los Padres de la Congregación de San Francisco de Sales”. Poi vengono gli elogi di Don Cagliero, del quale tutti avevano in gran pregio “l'esperienza e la riconosciuta capacità”; non potersi quindi dubitare che Don Bosco non voglia rimandarlo a compier l'opera così felicemente iniziata.
Fra i mezzi che Dio in questi tempi suscitò pel bene della Chiesa e della civile Società, devesi a buon diritto annoverare la pia Società del cui Superiore Consiglio Ella è degnissimo Presidente. Non parlo del gran bene che questa meravigliosa istituzione va ogni dì operando con insigni opere di carità in Buenos Aires ed altrove: mi limito solamente ad accennare quello che fecero pei Salesiani. Questi Religiosi giunsero in questa città privi di tutto, ricchi soltanto di buon volere. Ma fortunatamente trovarono costì la Società di S. Vincenzo costituita, trovarono dei zelanti confratelli, trovarono il dott. Carranza. Essi adunque porsero mano ai pellegrini Salesiani, loro offersero protezione, direzione, consiglio, per loro cura i poveri religiosi vennero ricevuti con grande benevolenza, installati nella Chiesa della Misericordia, nella Chiesa della Bocca, alla direzione dell'ospizio dei poveri giovanetti.
Queste, Sig. Dott., sono tutte opere dei confratelli di S. Vincenzo. Ora le cose sono incominciate: ci vorranno non piccoli sacrifizi, affinchè abbiano lo sviluppo e possano dare quei frutti che a ragione tutti si aspettano. Niente risparmieremo. Qui in Italia preparerò operai evangelici, preparerò capi d'arte idonei, e li invierò tra voi. E voi continuerete loro la stessa protezione, la stessa benevolenza che già avete usato a quelli che li hanno preceduti.
Ma se me lo permette, Sig. Dottore, io raccomando l'ospizio dei poveri fanciulli, per arti e mestieri. L'esperienza ci fa persuasi che questo è l'unico mezzo per sostenere la civile società: aver cura dei poveri fanciulli. Raccogliendo ragazzi abbandonati si diminuisce il vagabondaggio, diminuiscono i tiraborse, si tien più sicuro il denaro [181] nella saccoccia, si riposa più quieto in casa, e coloro che forse andrebbero a popolare le prigioni, e che sarebbero per sempre il flagello della civile società, diventano buoni cristiani, onesti cittadini, gloria dei paesi ove dimorano, decoro della famiglia cui appartengono, guadagnandosi col sudore e col lavoro onestamente il pane della vita.
Ella, Sig. Dottore, raccomandi ai suoi confratelli l'opera dei poveri fanciulli, come quella che sarà di gran merito in faccia a Dio ed in faccia agli uomini.
Mi compatisca, Sig. Dottore, se io parlo con troppa confidenza. Le belle cose che il vostro Arcivescovo raccontò dello zelo e dell'abnegazione dei confratelli di S. Vincenzo, me ne danno l'ardire. Questo venerando prelato coi pellegrini Argentini si degnò di venire ad abitare nell'umile nostra casa di Torino: tutti ci edificò colla sua pietà e scienza. Si dimostrò contento di quel poco che sapemmo fare per attestare il nostro ossequio e la nostra gratitudine ad un insigne benefattore. Egli parlò molto di Lei, sig. Dottore, e della Società di S. Vincenzo, e ripetè più volte che questa era l'opera del Signore, da cui ne sarebbe derivato gran bene alla Chiesa ed allo Stato. Abbiamo anche avuto il piacere di essere visitati dal Confratello Dott. Martel; ma egli si fermò poco, sicchè ci mancò tempo di manifestargli i nostri sentimenti di stima e di affezione quali si meritava e quali noi desideravamo di esternare.
La ringrazio della bella lettera che si degnò di scrivermi e che ricevetti per mano di D. Cagliero. Esso si fermerà in Italia per sistemare alcune missioni a S. Domingo e nelle Indie, di poi ritornerà ai suoi cari amici di Buenos Aires, come caldamente egli desidera. A supplirlo alla Chiesa degli Italiani ci andrà D. Costamagna, buon musico e valente predicatore, con D. Milanesio, che si occupa di proposito dei fanciulli pericolanti. Altri preti con due catechisti saranno inviati alla Bocca in aiuto di D. Bodratto. La partenza loro è fissata pel 14 del p. Novembre.
Ora voglia gradire i miei umili, ma vivi ringraziamenti: abbia la bontà di estenderli a tutti i suoi confratelli: abbiano tutti vita felice, i posteri possano vedere il frutto della loro carità, mentre Dio a tutti terrà preparato il ben meritato guiderdone in cielo.
M raccomando infine alla carità delle sante loro preghiere, e mi professo colla massima gratitudine
P. S. Il Conte Cays fondatore delle nostre conferenze, presidente del Consiglio superiore di Torino, si fece Salesiano, vestì da prete, e a Dio piacendo, fra pochi mesi sarà sacerdote. [182]
Scioltasi, come abbiamo narrato nel volume precedente, la Società proprietaria di Villa Colón, rimasero al principale socio Enrico Fynn la chiesa di santa Rosa e i locali destinati a collegio. Il munifico signore, messosi d'accordo con il Vicario Apostolico, cedette quegli stabili a Don Bosco; sicchè a buon diritto il Beato poteva attribuire a lui il merito precipuo di quella fondazione salesiana.
Benemerito Sig. D. Enrique Fynn,
È ben giusto che qui dall'Europa un suo beneficato levi le mani al cielo invocando le divine benedizioni sopra di lei, nostro insigne benefattore. Leggiamo con ammirazione le donazioni fatte da S. Clemente, da S. Pudente, da S. Prassede e di molti altri per sostenere i bisogni della Chiesa o per fondare istituti a favore della Religione e della società. Ora io godo immensamente in vedere tali fatti rinnovati nel Collegio Pio dalla carità di V. S. Io nutro viva fiducia che questo atto generoso contribuirà a formare giovanetti nella fede e nella moralità, giovanetti che spargendosi nella civile società saranno ad altri e poi ad altri modelli di civiltà e di pietà. Ella poi ne goda in cuor suo, chè tale opera sta già scritta nel libro della vita in cielo, mentre i Salesiani sono gloriosi di scrivere il suo venerato nome nella storia della loro Congregazione; e finchè questa sussisterà, si faranno speciali preghiere per Lei e pel caro suo figliuoletto, e verrà il tempo in cui Ella sarà già nel riposo con Dio in cielo, ma i Salesiani continueranno tuttora la quotidiana loro prece della riconoscenza. La prego di estendere questi miei sentimenti di gratitudine al Sig. Lezica, e al Signor Lanus[109], suoi compagni nel bene operare a favore della nostra nascente istituzione.
D. Cagliero prima di ritornare in Montevideo, dovrà andare ad aprire altra Missione, ma nel prossimo novembre partiranno otto Salesiani e sei suore alla volta di Montevideo per completare il personale del Collegio Pio.
Le noto qui con piacere che alcuni mesi sono, essendomi recato a Roma per pregare il S. Padre a voler gradire che il Collegio di Villa Colón portasse il suo nome, lo gradì assai, e ne benedisse il pensiero. Ma siccome S. S. conosceva la magnificenza di quella località, mi chiese [183] come l'avessi potuto acquistare. Quando poi seppe che era dono di V. S. dimandò varie particolarità della sua famiglia e poi m'incaricò di comunicarle questa sua particolare benedizione: - Dio benedica quei generosi oblatori, dia loro il centuplo nella vita presente e la vera mercede nella futura. Faccia poi che la carità del genitore passi nel suo figliuoletto Enrique, e così diventi ricco della vera ricchezza del santo timor di Dio.
Il medesimo D. Cagliero mi disse che lei si compiacque di mettere lo stesso suo figlio in collegio e che continua a beneficare l'opera che ha incominciata. Io nutro viva fiducia che, in ricompensa di tanta carità, Dio concederà a questo suo figliuolo che cresca nella sanità e nella virtù, e le faccia un giorno gloriosa compagnia nel regno dei Beati.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi: e si degni anche di pregare per me che sono sempre colla massima venerazione
6. Al Priore, al Consiglio e ai fratelli
della Confraternita di Nostra Signora della Misericordia.
Una lettera del 12 agosto, sottoscritta dal priore della Confraternita di Mater Misericordiae signor Romolo Finocchio e dai membri del Consiglio, diceva a Don Bosco il dispiacere universale per l'improvvisa partenza di Don Cagliero. “La sua partenza, si legge ivi, ci ha lasciati molto afflitti, e non solo questa Confraternita, ma ancora i figli del paese, che lo avevano sentito predicare nella loro lingua dopo un mese appena dal suo arrivo. Era infaticabile nel suo ministero ed eseguiva il suo programma annunziato dal pergamo, quando disse di essere venuto per fare del bene. Non infruttuose furono le sue fatiche, perchè giammai la chiesa italiana in questa città era stata si frequentata dai fedeli, come dal tempo che ne prese lui la direzione, aiutato dagli altri suoi compagni, che come figli di ubbidienza tutti adempivano il loro dovere. Pertanto, noi La ringraziamo infinitamente di averci fatto conoscere il R.do P. Cagliero, la cui permanenza [184] qui sarebbe stata per questa chiesa di gran profitto spirituale e temporale. Il nostro desiderio sarebbe che ritornasse presto fra noi a continuare il progresso già cominciato. Noi gliene saremmo molto grati. Dipende da Lei il volere o no; quindi La preghiamo di far sì che non siano deluse le nostre speranze. Qui potrà fare gran bene, perchè già conosce ed è conosciuto, e lo stimano ed amano molto, e dopo la sua partenza si nota nei Confratelli una certa tristezza e disanimazione, come se fosse loro successo un grande infortunio; e non può essere a meno, perchè poco tempo fa la morte rapì loro per sempre il R.do P. Baccino da tutti compianto, ed ora si vedono privi del R.do Padre Cagliero, che tanto amano. Sì, ne hanno purtroppo ragione, e se Lei fosse testimone oculare, non si farebbe certo pregare di ritornarlo a noi”.
La grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con noi. Amen.
La vostra lettera, amati confratelli e figli carissimi, mi portò la più grande consolazione.
Voi fate vedere che avete un buon cuore, e che quanto i Salesiani mi scrissero, ed ora D. Cagliero mi racconta di voi, è assai poco in confronto della realtà. L'accoglienza fatta a D. Cagliero ed a' suoi compagni, è un fatto che resterà incancellabile nei nostri cuori, e farà parte della storia della Congregazione Salesiana. Sì, o miei cari Confratelli, la storia ricorderà a quelli che verranno dopo di noi che sul finire dell'anno 1875 un'umile schiera di Missionari colle sole mani in mano, unicamente mossi dal desiderio di fare del bene al loro simile, lasciarono l'Europa, e si recarono nella Repubblica Argentina. Colà incontrarono degli amici, dei cristiani generosi, i Confratelli della Misericordia. Costoro li accolsero con bontà esemplare, loro offersero alloggio, chiesa e pane, offrirono comodità di celebrare il sacro loro ministero, e così di essere conosciuti, aprite altre e poi altre case a favore della classe più bisognosa della civile società, di pericolanti giovanetti, che se non sono aiutati diventano il flagello della società, e per lo più vanno a popolare le prigioni
Questo bene, questa gloria, è dovuta a voi, generosi Confratelli. Siatene santamente gloriosi in faccia a Dio e in faccia agli uomini. Presentemente D. Cagliero non può ritornare tra voi, siccome di tutto cuore desidera. Esso è uomo provvidenziale, e dovrà andare ad iniziare una missione nell'isola di Ceilan e poi un'altra a S. Domingo. Di poi a Dio piacendo volerà tra voi che siete i suoi primi amici d'America.
Intanto il 14 dei prossimo novembre partirà un'altra schiera di 24 [185] Salesiani che andranno a rinforzare coloro che già lavorano nelle case e nei collegi già aperti ed anche a rimpiazzare l'anima cara di D. Baccino, da Dio chiamato a godere il premio delle sue fatiche. A fare le veci di D. Cagliero avrete zelanti operai, e fra gli altri avrete D. Giacomo Costamagna, assai conosciuto per la sua perizia nella musica, nel canto, nel suono, e specialmente nel predicare. Avvi eziandio Don Milanesio che tra noi fa gran bene alla povera gioventù cogli Oratorii festivi.
Essi andranno, e andranno per lavorare a maggior gloria di Dio, e salvare anime fino all'ultimo respiro della loro vita. Ma voi, o cari Confratelli, continuate ad usare ai medesimi carità e benevolenza. Compatite i loro difetti, date loro buoni consigli, e quell'aiuto e quel pane che loro porgete, immaginate di darlo all'umile scrivente che voi chiamate padre, mentre vi sottoscrivete col dolce nome di figli.
Le parole di affetto, di stima, di gratitudine e di ringraziamento dette a voi, desidero che siano comunicate anche ai vostri compagni, e a tutti quelli che in qualunque maniera fanno del bene ai Salesiani.
Coraggio adunque, o figli amatissimi, continuate ad amare la religione nei suoi ministri, continuate a praticare questa nostra santa Cattolica religione, che possa renderci felici su questa terra, sola che valga a renderci eternamente beati in cielo.
Se volete farmi cosa veramente grata, scrivetemi ancora altre lettere, e pregate anche per me che con vera stima e profonda gratitudine vi sono sempre nel Signore
7. Al Presidente della Propagazione della Fede.
Con la medesima data delle quattro ultime lettere il Servo di Dio si rivolse una seconda volta alla Presidenza generale della Propagazione della Fede per ottenere qualche sussidio a favore delle sue Missioni.
Il desiderio grande che ho di promuovere le missioni dell'America dei Sud, è quello che mi muove a rinnovare l'umile preghiera alla pia opera della Propagazione della fede, di cui la S. V. Ill.ma è degnissimo presidente. Nello spazio di due anni, si aprirono cinque Chiese al divin culto, un collegio a poca distanza dalla capitale dell'Uruguay, altro a S. Nicolás de los Arroyos, ed un ospizio pei fanciulli più poveri a Buenos Aires.
Le Chiese sono frequentate, i collegi sono letteralmente pieni di [186] allievi. La moralità è coltivata, e già si manifestarono parecchie vocazioni. A tal fine si è fondato un noviziato, o meglio un seminario, appositamente per fare gli studi di filosofia e teologia, e di lingue, e così prepararci per andare fra i selvaggi. Senza contare gli indigeni[110], vi sono già 34 Missionarii a poca distanza dai Pampas e dai Patagoni. Anzi nelle missioni date a Villa Libertad, ed in altri paesi limitrofi ai selvaggi, si ottenne molto. Ora si tratterebbe di aprire una missione presso al Rio Santa Cruz, che è al grado 50° di latitudine Sud, dove sonvi parecchie tribù di Patagoni, ed un'altra a Carhuè, frontiera di Buenos Aires, dove sonvi altre tribù di Indi Pampas. A tale uopo sono indispensabili non meno di 40 Missionarii che già io tengo preparati. Ma per sostenere le missioni iniziate ed aprire le case indispensabili per avanzarci con minor pericolo fra i selvaggi, ci vogliono mezzi, che una povera Congregazione principiante qual è la nostra, non può sostenere.
Perciò d'accordo coll'Arcivescovo di Buenos Aires ricorro nuovamente alla S. V. Ill.ma affinchè prenda queste missioni sotto alla benevola ed efficace sua protezione e mi venga in aiuto, almeno pel corredo e viaggio dei novelli missionari, di cui 24 dovrebbero partire al 14 del prossimo novembre, e gli altri poco dopo.
Molti mi decantano la grande carità di V. S. ed io mi raccomando quanto so e posso, perchè si degni di superare le difficoltà che si possono incontrare, e così venirmi in aiuto.
Dal canto mio l'assicuro che, come ho sempre fatto in passato, non mancherò colla parola e colla stampa, di promuovere l'opera meravigliosa cui Ella così degnamente presiede.
Colla massima venerazione, ho l'alto onore di potermi professare
P. S. Il Sig. Canonico Ortalda, Direttore della Propagazione della Fede in questa nostra città, sarebbe pronto a darmi quel sussidio che la S. V. giudicasse di concedermi.
Con questa lettera personale il Beato mandò di conserva una relazione schematica, da presentarsi al Consiglio. La risposta venne con la massima sollecitudine e in forma assai cortese, ma negativa e per la solita ragione: non risultava che la Missione fosse stata canonicamente costituita dalla Santa Sede[111].
LA prima volta che il Beato Don Bosco portò la sua attenzione sopra i locali, in cui doveva più tardi trapiantare la Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice, non fu per mettervi suore. Prima di dire come la cosa andò, ci vuole un po' di storia.
Dove comincia l'agro nizzese, poco lungi dall'abitato, sorgevano una chiesa e un convento, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Quella, più antica e dedicata alla Madonna delle Grazie, divenne un santuario assai venerato; di questo si sa soltanto che da prima lo abitarono i Minori Osservanti e poi i Minori Riformati, come si denominavano precedentemente alle modificazioni introdotte da Leone XIII, le famiglie dell'Ordine francescano, e che nel 1817 dopo le soppressioni francesi fu dato ai Minori Cappuccini. Questi buoni Padri vi dimorarono tranquilli e benedetti dalle popolazioni dei dintorni fino al 1855, quando la legge piemontese del 29 maggio, sopprimendo gli Ordini religiosi, li strappò al chiostro e mise convento e chiesa nelle mani del demanio. Sgombrato l'edifizio e chiuso il santuario, il Municipio di Nizza ne fece acquisto per la somma di lire 24 mila, cifra non rilevante rispetto al valore degli stabili; ma furon denari buttati, perchè non se ne ricavavano gli sperati frutti. Si tirò [188] avanti così fino al 1869, allorchè il Municipio deliberò di disfarsene. Trattò pertanto con una società di professori, perchè venissero ad aprire ivi un collegio convitto privato con l'obbligo dell'insegnamento ginnasiale. Le pratiche sembravano ormai ultimate; ma la tardanza dell'autorità superiore amministrativa a dare l'approvazione legale non permise che si attuasse in tempo utile il disegno e tutto andò a monte.
Allora fu che il sindaco signor Filippo Fabiani ai 3 di marzo del 1870, imbattutosi in Don Bosco sopra non sappiamo quale treno, tenne con lui discorso dell'affare, nella speranza che egli acquistasse quelle fabbriche e vi aprisse un suo istituto. Forse Don Bosco gli diede buone parole, perchè il sindaco ai 29 di aprile, riferendosi alla conversazione avuta in ferrovia, tornò alla carica per lettera. “Riconoscendo, scriveva egli, quanta potenza sia in Lei, Rev.mo Signore, e non ammettendo dubbio sulla urgente necessità di provvedere questa povera e dimenticata città di un insegnamento utile qual è quello ginnasiale, mercè cui apresi pure la via al sacerdozio, i cui militi vanno ogni di più dileguandosi, oso implorare dalla S. V. Rev.ma di voler occuparsi con qualche sollecitudine della cosa e fra il più breve termine possibile riferirmi sulle più o meno possibilità dell'impianto di cui sopra”. Il comune però, a detta del suo rappresentante, non era in grado di “esporre denaro” per l'adattamento del locale; tuttavia l'avrebbe ceduto a modico prezzo, purchè Don Bosco si obbligasse a impiantare il collegio convitto privato con l'insegnamento ginnasiale. Noi ignoriamo il tenore della risposta; ma possiamo asserire con certezza che il Servo di Dio non si trovava allora in condizione di assumersi un obbligo tale entro brevi termini di tempo. Basti riflettere che nel 1870 fra preti, chierici e coadiutori egli aveva appena ventisette professi perpetui e trentatrè professi triennali, ripartiti fra l'Oratorio di Torino e le due case di Mirabello e di Cherasco; e che doveva aprire per ottobre il grande collegio di Alassio. [189] A ogni modo è lecito pensare che non indarno la sua attenzione sia stata richiamata su quei profanati edifici sacri.
Ma la profanazione fu subito dopo spinta ben più oltre di quello che alcuno si sarebbe potuto immaginare. Il Consiglio comunale in un primo tempo non trovò miglior via di uscita che cedere tutto alla Congregazione di Carità in estinzione di un debito che aveva verso di questa, ma con la condizione che s'impiantasse un ospedale, o là entro o altrove, nel termine di due anni. Se non che, mentre la Congregazione di carità aderiva alla proposta, ecco sopraggiungere un'offerta maggiore da parte di una Società Enologica che aveva sede in Savigliano. Le si diede la preferenza, e le metamorfosi cominciarono ben tosto. La Società saviglianese ridusse la chiesa in una vasta cantina, la quale trasformazione di un luogo, sacro da secoli al culto divino e alla preghiera, seppe amara alla cittadinanza; ma più la offese il modo. Poichè botti enormi presero il posto degli altari in ogni cappella e per colmo di empietà vennero battezzate coi nomi dei gradi gerarchici in uso presso le comunità monastiche. A tanto potè giungere il cinismo di un frate apostata e de' suoi degni compagni, soci dell'Enologica. Ma se con sì sacrileghe violazioni essi credettero di veder prosperare i loro affari, fecero molto male i conti, tanto male che dopo men di un lustro dovettero vendere, vino, bottame e masserizie enologiche e sul finire del '76 posero in vendita anche il fabbricato e i suoi accessori, come le vigne piantate all'ingiro.
La gran maggioranza dei Nizzesi, che avevano imparato dalla pietà dei loro padri a fare piamente la strada del santuario mariano, stavano con ansietà aspettando come le cose sarebbero andate a finire. Nessuno si presentava. Dato lo spirito del tempo, era follia sperare che quei vetusti edifizi fossero ridonati al loro scopo primitivo; tuttavia si desiderava generalmente dì vederli almeno destinati a qualche opera di pubblica utilità o di beneficenza. Ed ecco un bel giorno di primavera del '77 giungere da Torino affatto inatteso il Beato [190] Don Bosco per visitare quelle vecchie mura. I conti Balbo che avevano cascine e villeggiatura nel territorio di Nizza ed alcune famiglie di maggiorenti nizzesi tanto avevano fatto da indurlo a fare tale visita per trovar il modo di rimediare all'enorme profanazione. Il Beato, che cercava appunto un novello asilo per le suore di Mornese, non aveva aspettato allora a rivolgere il memore pensiero alla storica derelitta dimora dei padri Cappuccini. Trovò dunque che la solidità della costruzione, l'unica cosa rimasta sana, non lasciava nulla a desiderare e che sebbene a costo di molti lavori e spese il convento poteva certamente essere ridotto a istituto di educazione. L'amenità poi del sito, la salubrità dell'aria, la vicinanza della città, l'agevolezza delle comunicazioni coi paesi limitrofi e coi centri lontani, tutto rispondeva egregiamente ai bisogni di una comunità così numerosa e varia. Ma affacciatosi all'entrata della chiesa: - Misericordia! - esclamò inorridito e dando un passo indietro. Aveva dinanzi agli occhi nulla più che una squallida spelonca. Distrutti gli altari, rotto e frantumato il pavimento, le pareti annerite dal fumo, le volte chiazzate di muffa per le umide esalazioni: l'abbominazione della desolazione era proprio entrata nel luogo santo. Una cosa sola anche là durava in essere: la saldezza delle opere di muratura. Bisognava, sì, bisognava senza indugio restituire al culto quella casa di Dio; bisognava ritornare quel cenobio ad asilo di pietà. Per Don Bosco risolvere e fare erano tutt'uno. D'allora in poi non ebbe altro più in vista che di accelerare il compimento dell'impresa.
Le due cose più importanti erano anzitutto stipulare il contratto con la Società Enologica e ottenere l'autorizzazione da Roma; la prima urgente, la seconda di prammatica. Il contratto di vendita e compra fu sottoscritto il 30 aprile al prezzo di lire trentamila[112]; ad altre formalità secondarie si provvide nei giorni immediatamente successivi; onde il [191] Beato potè scrivere il 5 maggio alla signora Francesca Pastore di Valenza, Cooperatrice Salesiana: “Questa compra... fu definitivamente conchiusa ieri”. Della cosa in se stessa il Servo di Dio vi si mostrava lietissimo; infatti, nei periodi che precedono le parole citate, dopo aver detto della pratica per l'accettazione di un ragazzo nell'Oratorio, proseguiva: “Assai più importante è quello che le ho da partecipare. Ella sa che la Casa di Mornese, conveniente per diversi motivi, è veramente incomoda e dispendiosa per arrivarvi. Ora eccone comprata una in Nizza Monferrato, dove Ella potrà recarsi a suo piacimento e assai comodamente. L'antico convento e chiesa della Madonna erano ridotti in un orrido magazzeno da vino; e dove si cantavano le lodi a Maria, ora si offrivano libazioni a Bacco, risuonando bestemmie etc. Dopo lunghe e difficili pratiche, ora è comperata”. Per l'atto notarile Don Bosco non ebbe fretta; non voleva lasciarsi mettere dai creditori il coltello alla gola, sebbene fosse sua intenzione di non ritardare troppo il pagamento. Ne scrisse così il 2 maggio alla contessa Corsi: “Il contratto pel Convento della Madonna è conchiuso. Dopo molte chiacchiere si definì a fr. 30 mila che assicuravano si erano offerti da altri. Mi sono preso tre mesi di tempo per fare l'atto notarile, ed in questo tempo bisogna che pensiamo a mettere insieme danaro. Se è possibile, è meglio pagarlo subito. Ella faccia solo quello che può; ne parli con chi crede opportuno. È una gloria per Nizza e per la Religione, che una chiesa fatta magazzeno da vino sia ritornata al culto. Spero di rivederla e ci parleremo più positivamente”.
Del come agisse “positivamente” in affari di tal natura, ce ne offrono un saggio tre lettere, da lui indirizzate al canonico Edoardo Martini di Alassio. Andato giovane prete in America, aveva questi esercitato per quindici anni il ministero parrocchiale ad Azul non lungi da Buenos Aires. Ritornato in patria, siccome disponeva di una discreta fortuna, potè procacciarsi quegli agi che si sogliono desiderare per [192] andar incontro serenamente alla vecchiaia. Nel suo primo abboccamento con lui Don Bosco gli chiese che cosa facesse. - Riposo - fu la sua risposta. - Come? ripigliò il Beato. I preti riposano in cielo. Parole così semplici gli penetrarono l'anima; d'allora in poi prese ad amare il Servo di Dio, che a sua volta si studiava di disporlo a chiudere santamente i suoi giorni. La libertà con cui qui Don Bosco gli scrive perchè lo aiuti nell'acquisto della casa di Nizza, dimostra che il Canonico senz'aspettare l'ultima ora pensò per tempo a farsi del bene.
La “casa di campagna”, della quale Don Bosco gli fa menzione nella prima lettera, è la villetta che passò poi in proprietà del collegio di Alassio e da cui volò al cielo il principe Czartorski. Quale fosse il “carnevale veramente cristiano” fatto ivi insieme, non si sa con certezza; potè essere quello del '76, che cadde ai 29 di febbraio, quando il Beato, di ritorno da Nizza Marittima, visitò alcune case della Liguria. Dell'affare di Nizza Don Bosco trattò con lui per mezzo di Don Cerruti. Dalla seconda lettera apprendiamo che della famosa Società Enologica facevano parte anche protestanti; con l'aggiunta “e peggio” allude certamente al misero frate sfratato.
Il carrozzino è fatto; ora bisogna studiare il modo per farvi le ruote. La casa per le nostre suore posta nell'amena città di Nizza Monf. in eccellente posizione è comperata a f. 30 mila. Abbiamo tre mesi di tempo a fare scritto notarile, se non possiamo farlo prima.
Ora a lei compiere la grande impresa. È un bel convento con una chiesa che costò non meno di 150 mila f. ridotta ad un orrido magazzeno da vino, ma che Ella può ritornare al Divin culto con trionfo di nostra Santa Religione.
Ella adunque abbia la bontà di dirmi se la sua volontà e la sua posizione finanziaria è tuttora nello stato in cui era quando ho avuto il piacere di fare un carnevale veramente cristiano nella sua casa di campagna e ciò per mia norma.
Dio la benedica e preghi per me che le sarà sempre in Gesù Cristo
Il Sig. D. Cerutti mi comunicò la sua intenzione ed io apprezzo assai le sue osservazioni, che cioè sarebbe in detrimento del Capitale il realizzare in questo momento i titoli di valore. Per questo io mi assumerei di fare in modo che V. S. avesse minor danno possibile. Ho dato ad un cambista la cifra delle due rendite senza nominare persona e mi diede il bollettino che le unisco. Io pertanto le passerei una obbligazione con quelle garanzie che Ella desiderasse e sarebbe di mille franchi annui.
Può darsi che una banca di commercio per diminuirmi la perdita accetti questi titoli e mi dia la somma occorrente e se verrà il momento che vi siano aumenti li lasci a nostro benefizio.
Riguardo ai proprietarii dello stabile di Nizza non si può sperare alcun vantaggio, essendo alcuni protestanti ed altri peggio; sicchè bisogna proprio che procuriamo di fare da noi, ed Ella avrà la consolazione di aver contribuito a porre termine ad una profanazione, ritornando una chiesa al Divin Culto ed impiantando un Istituto con educandato dove saranno sempre invocate le benedizioni del Signore sopra di Lei.
Non dimentichi la seconda parte della mia lettera antecedente.
Per ogni convenzione o scritto D. Cerutti ha la mia procura generale.
Che Dio la benedica; preghi anche per me, che in tutto quello che potrò le sarò sempre in G. C.
P. S. Al 15 del corrente mese comincia la novena di Maria A. Ella non verrà a passare con noi qualche giorno o almeno la festa che è al 24?
Le nostre lettere si incrocicchiarono ed io accetto quello che Ella propone; solamente noto riguardo alla nota cambiale, che finora sta nelle promesse e nella buona speranza; ed io mi obbligo di corrisponderne il frutto relativo di mano in mano verrà ad effettuarsi qualche parte di pagamento.
Del resto se c'è qualche difficoltà a questo riguardo, D. Cerruti ha tutti i poteri per appianarla.
Facciamo dunque così: Ella venga a fare con noi la festa di Maria Ausiliatrice e al suono dei musicali istrumenti realizzeremo la compra del novello edifizio e questo ricorderà la solennità della S. Vergine A. C. del 1877.
Mi raccomando tanto tanto alla carità delle sue preghiere e nel piacere di presto rivederla ho l'onore di professarmi in G. C.
Il Canonico rimise a Don Cerruti lire 25 mila in cartelle del Prestito di Genova, e Don Cerruti si affrettò a portarle a Don Bosco. A questo atto di generosità s'indusse, quando seppe che anche le Figlie di Maria Ausiliatrice prestavano l'opera loro nelle Missioni d'America. Venuto poi a morte nel 1884 e desiderando che i suoi beni tornassero a vantaggio di una Congregazione che avesse Missionari là dov'egli si era onestamente formata una buona condizione finanziaria, costituì Don Bosco suo erede universale.
In pari tempo correvano presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari le pratiche consuete per avere le debite facoltà. Don Bosco umiliò al Santo Padre una supplica, con un succinto ragguaglio delle vicissitudini subite, dal convento dei Cappuccini. Il 14 settembre la Sacra Congregazione, su relazione favorevole dell'Ordinario diocesano e dopo favorevole voto della Procura Generale dei Cappuccini, emise un Rescritto con cui dava incarico a Monsignor Vescovo di accordare a Don Bosco la chiesta facoltà, previa dichiarazione scritta del medesimo, che in un eventuale ritorno degli antichi possessori egli avrebbe restituito all'Ordine dei Cappuccini il convento e la chiesa, a condizione naturalmente che fosse indennizzato delle spese sostenute, dichiarazione che doveva conservarsi negli archivi della Curia vescovile di Acqui. Al che Don Bosco ottemperò, come di dovere.
Anche in questo il Beato diè prova di estrema delicatezza. Sebbene avesse parecchie ragioni per ritenere che la formalità dell'approvazione di Roma non gli poteva mancare, non badò a sollecitazioni d'interressati, ma ci tenne a dichiarare che l'atto notarile non si sarebbe fatto prima di avere in mano il Rescritto della Sacra Congregazione. In questo senso egli rispose alla signora Lansetti, che trattava con lui a nome del suo compagno signor Stefano Lansetti, principale azionista e rappresentante della Società enologica. [195]
La Signoria V. ha ragione di insistere per divenire alla sistemazione del Contratto sulla casa di Nizza Monf. ed io non so che rispondere. Attendo giorno per giorno la facoltà che mi è indispensabile. Fu già chiesto il parere al Vescovo di Acqui, che tosto lo mandò favorevole. Oggi stesso rinnovo lettera alla Congr. dei Vescovi e Regolari, e se mai Ella avesse colà qualcuno da pregare perchè vada a sollecitare, mi farebbe piacere. Ad ogni modo, passato questo mese, faremo in modo di parlarci e stabiliremo quanto possa farsi per salvare i danni e la coscienza.
Mi voglia credere con perfetta stima
V'ha di più. Don Bosco sapeva con tutta certezza che il Rescritto era pronto a Roma e che il ritardo a spedirlo proveniva da circostanze estranee alla cosa; tuttavia fece intendere all'altra parte che egli non si sarebbe mosso prima di riceverlo. Replicò infatti alle insistenze della medesima signora:
La sua lettera mi ricorda il dovere che dovrei compiere per l'acquisto del locale della Madonna di Nizza Monferrato. Non avvi altra difficoltà se non la facoltà di poter fare l'atto notarile. Ho scritto a Roma alla Congregazione dei Vescovi e Regolari; mi risposero più volte [che] riceverei quanto prima il Rescritto richiesto, e intanto si ritarda. Ho di nuovo fatto istanza. Facciamo adunque come si può. La Società vinicola raccolga le uve e gli altri frutti dell'annata. Appena avrò ricevuto il necessario Rescritto, lo renderò tosto manifesto, e allora ci intenderemo su tutto. È mia intenzione che la detta Società non abbia alcun danno, come so pure che V. S. e suoi soci non vogliono alcun mio danno.
Se mai Ella ha qualche osservazione a fare, favorisca di accennarla, che io la riceverò di buon grado e spero andremo d'accordo in tutto.
La prego di volermi credere con perfetta stima ed ossequio
Lanzo, Collegio, 8 sett. 1877.
Finalmente il sospirato documento venne[113]. Di tutto diede notizia alla contessa Corsi in una lettera, con la quale mandava un Salesiano bisognoso di sollievo, al posto di un altro che per lo stesso motivo aveva già presso di lei trascorso qualche tempo.
Le mando D. Bussi Prefetto di S. Pierdarena per supplire a Don Bertello, che deve venire a farsi buono qui a Lanzo. Questo D. Bussi è stanco dal lavorare ed ha bisogno di qualche giorno di sollievo e perciò lo raccomando alla sua materna benevolenza ed alla cortesia eccezionale del Conte Cesare, perchè con bontà supplisca alla timidità dell'altro con fargli fare qualche passeggiatina e con qualcheduna delle sue amene storielle.
Colla posta di oggi ho ricevuto il permesso di acquisto della Chiesa e Convento dei Cappuccini. Per condizione speciale metto questa, che se i Cappuccini potessero ritornare, io la cedo loro di buon grado.
Ora dobbiamo trovare i quattrini. Mi dica a chi potrei scrivere; intanto ecciti la pietà del Clero e dei fedeli Nizzesi. È gloria loro che sia ritornato al culto un edifizio orrendamente profanato. D. Bisio sospenda le altre cose e per un poco si occupi di questo affare cercando quattrini. Io ho già settemila franchi; ce ne vogliono trenta, e gli altri ventitrè mila in qualche modo bisogna trovarli; altrimenti facciamo un brutto fiasco.
La Contessa Nonna bisogna che faccia anch'essa qualche sacrificio in onore della Madonna.
D. Francesia, D. Rua e circa duecento dei suoi figli la ossequiano, le assicurano preghiere e tutti si raccomandano alle sue.
Dio la benedica e conservi Lei, tutta la sua famiglia in sanità e grazia sua e mi creda sempre quale con gratitudine mi professo di V. S. amatissima
P. S. Il Conte Cays è vestito da chierico da otto giorni. Si mostra un Serafino di amor di Dio. Se Dio ce lo conserva, sarà un buon Salesiano. Dice che non fu mai così bene in sanità e contentezza come da che venne a fare vita francescana.
L'atto fu poi rogato il 12 ottobre 1877 a Savigliano nello studio del notaio Saverio Negro. Don Bosco vi era legalmente [197] rappresentato da Don Rua. Lire quindici mila vennero sborsate ivi stesso; per le restanti quindici mila Don Bosco si obbligò a pagarle entro tutto il mese di aprile del 1879, corrispondendo intanto l'annuo interesse del sei per cento.
Il contratto mise Don Bosco in possesso di poco più che delle nude muraglie, quasi come di fabbriche consegnate al committente appena i fabbricatori abbiano raggiunto i comignoli, mentre alla mano dei muratori si deve ancora associare quella di fabbri, falegnami e simili artieri per renderle abitabili. Sborsato il prezzo di acquisto, quante spese sarebbero restate a fare, perchè e la chiesa ridiventasse non indegna casa di Dio e la monacale dimora si cambiasse in educandato femminile e in noviziato di suore! Perciò, quando la buona stagione permetteva di riprendere con alacrità i lavori già avviati, il Servo di Dio invocò soccorsi da ogni parte, diramando largamente questa circolare.
Nelle vicinanze di questa città di Nizza Monferrato esiste da parecchi secoli un convento con una Chiesa attigua sotto al titolo di Santuario della Madonna delle Grazie. Tutti i Nicesi ricordano ancora il tempo che quel luogo benedetto era albergo di Santi Monaci, i quali coll'austerità della vita e col fervore dell'assidua preghiera imploravano le Benedizioni del Cielo sopra, il popolo cristiano. La Chiesa aperta al culto pubblico, e regolarmente ufficiata dai Monaci del Convento, era un pacifico rifugio della pietà, dove molti andavano a consolarsi dei travagli della vita, e non pochi vi ritrovavano lo smarrito cammino della salute. Ma dispersi i Monaci a motivo dei politici avvenimenti, la Chiesa e il Convento furono venduti e convertiti in usi profani, in magazzeno da vino.
La profanazione di quel luogo Santo cagionò amaro rincrescimento nel cuore dei Fedeli che tutti dimandavano un riparo alla pietà e molti divoti Nicesi lo sollecitavano coi voti e colle preghiere. Fu allora che incoraggiato da pii e ragguardevoli Ecclesiastici e secolari mi accinsi all'impresa, e d'accordo col Vescovo della Diocesi e coi Religiosi e previa licenza della S. Sede acquistai il Convento e la Chiesa, ed ora si stanno facendo i restauri perchè siano quanto prima ritornati al Culto Divino. La Chiesa sarà provveduta di sacerdoti in guisa che i fedeli potranno comodamente farvi le loro divozioni ed il Convento [198] si cambierà in una casa di educazione, la quale mentre sarà di ornamento alla città dì Nizza, porgerà ai genitori un mezzo facile di allevare la figliolanza nella scienza e nella pietà. Ma a compiere tale impresa sono necessarie grandi spese, perciocchè il fondo costò 32 mila franchi, e la metà soltanto è pagata. Per dare poi la esecuzione ai ristauri, provvedere il suppellettile, mancano assolutamente i mezzi indispensabili. Ognuno sa che il povero scrivente non vi si accinse all'opera se non confidando nella Provvidenza del Signore e nella pietà di quelli ai quali stanno a cuore le opere utili alla Religione ed alla Civile Società.
Oltre al danaro si accettano offerte in materiali per costruzione, mobili, lingeria, legna d'opera e da ardere, ed ogni altra cosa che possa conferire al fine sopradetto. Mentre si è grati alle cospicue offerte, si riceveranno eziandio con riconoscenza le piccole, perchè il Signore terrà conto non meno dell'obolo della vedova che delle larghe elemosine del ricco.
Per ricevere queste offerte, a Nizza si nominò una commissione nelle caritatevoli persone del Sig. D. Bisio Vicario di S. Giovanni, del Geometra Sig. Terzani Luigi e del Sig. Berta.
A Torino presso il sottoscritto.
Nei paesi della Diocesi d'Acqui l'Opera è umilmente raccomandata allo zelo ed alla carità dei R.di Sig. Parroci, pregandoli a voler promuovere e ricevere qualunque oblazione e di farla pervenire allo scrivente oppure al prelodato D. Bisio con quel mezzo che giudicheranno più opportuno.
Sono però lieto di poter assicurare a tutti i benemeriti oblatori l'Apostolica Benedizione del novello Regnante Pontefice Leone XIII, il quale in data di 23 Febbraio passato degnavasi di tutto buon grado di compartirla.
Dal canto mio oltre la sincera ed inalterabile gratitudine assicuro loro la cordiale offerta delle preghiere, delle Messe, di tutte le opere di religione, che ogni giorno si faranno nella Chiesa e nel Convento sopra indicati, e così impetrare copiose benedizioni del Cielo sopra questi benefattori.
Con animo altamente riconoscente ho l'onore di potermi professare di V. S.
Sebbene i lavori procedessero con sollecitudine e costanza, tuttavia l'adattare un simile edifizio alle esigenze nuove era cosa che richiedeva non solamente spesa, ma anche tempo. Infatti agosto volgeva al termine e ancora si lavorava. Questa [199] lettera al conte Cesare Balbo mirava a calmare le sante impazienze della contessa Corsi, sua suocera.
Se V. S. Car.ma fosse valente in viaggiare quanto la sua lettera, farebbe con facilità il giro del mondo. Essa venne a Torino, di poi venne a Mornese quando io ero già partito, perciò dovette tostamente mettersi in viaggio per Torino. Finalmente giunse sul mio tavolino tutta imbrattata di timbri e di indirizzi. Rispondo: Con piacere parlerò al giovane Simma e se è possibile venga domenica dalle 3 alle 8 di sera.
Nella p. settimana dovrò forse allontanarmi qualche giorno, ma sul finire della medesima ci sarò nuovamente.
Non possiamo ancora fissare il giorno dell'apertura della Casa di Nizza, poichè i lavori di abitazione per le monache e pel Cappellano o meglio pel Direttore, sono tuttora in corso. È però già fatto il programma per l'educandato e l'avrò presto[114]. Appena poi siasi potuto fissare il giorno, Ella sarà il primo ad esserne informato. Io spero di farle una visita al casino; ma il tempo imbroglia tutti i galantuomini, si immagini se non imbroglia il povero capo dei monelli.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con Lei, colla buona Mamma colla Contessa Maria, con tutta la sua famiglia. Dio li benedica tutti ed ella preghi per me che le sarò sempre in G. C.
P. S. Le raccomando D. Bertello Perchè messo fuori di gabbia temo ne faccia qualcheduna[115]. Lo tenga d'occhio e favorisca di salutarlo da parte mia.
Se Don Bosco si adoperava così con ogni mezzo per allestire in fretta la nuova sede alla Casa Madre delle Suore, bisognava dire che da Mornese urgesse proprio trasmigrare. E urgeva realmente. Nelle conferenze di san Francesco se n'era trattato una prima volta per rilevare la difficoltà delle comunicazioni, essendo il paese troppo distante dalla ferrovia e privo del servizio di omnibus per il trasporto dei forestieri. Nella stagione invernale poi, quando le strade si rendevano [200] impraticabili, si doveva troppo spesso fare di necessità virtù, sottostando a privazioni e sacrifizi non lievi. Il parroco di Rosignano aveva bensì invitato Don Bosco a trasportare colà le tende; ma anche quel sito era fuor di mano e poi per il riattamento dell'edifizio offerto ci volevano spese soverchie. Nelle stesse conferenze se ne riparlò da capo, quando il Beato annunziò che la contessa Corsi faceva dei passi per comprare una casa a Nizza da far servire al desiderato scopo: si espresse a quel modo perchè non credeva ancora opportuno rendere di pubblica ragione quanto egli a mezzo della Contessa aveva già fatto per l'acquisto che sappiamo. In seguito Don Bosco proseguì di nuovo in silenzio l'opera sua.
Agli anzidetti motivi del trasferimento altri due erano da aggiungere. In Mornese le Suore non godevano buona salute; forse v'influiva anche l'aria troppo fine per chi non poteva avere una nutrizione abbondante e doveva lavorare molto. Inoltre allo sviluppo preso dal convitto e al crescente numero delle postulanti quella casa riusciva angusta e disagiata. Che poi ai Mornesini fosse per rincrescere soverchiamente la partenza delle Suore, non parrebbe potersi affermare; infatti le vecchie ire contro Don Bosco, perchè avesse aperto in mezzo a loro un collegio femminile e non maschile, erano sopite più che estinte, sicchè ogni tanto bruscamente divampavano, come appunto nel carnevale del '77, quando per tutta una notte sotto le finestre della casa si udirono risonare le più plateali villanie contro le povere inquiline.
Per un anno intero a Mornese nulla trapelò dei disegni di Don Bosco nè dentro nè fuori dell'istituto. Solo ai primi di febbraio del '78 il Beato volle che madre Mazzarello con qualche suora si recasse a Nizza per vedere il nuovo soggiorno e dare i suggerimenti opportuni; dispose insieme che si trovassero allora sul posto anche l'economo generale Don Sala e Don Bonetti. La Madre si tolse a compagna suor Enrichetta Sorbone, assistente delle educande, quasi fosse già presaga della parte di prim'ordine che la giovane Figlia di Maria [201] Ausiliatrice era dalla Provvidenza destinata a sostenere nella nuova casa, generalizia; poichè, designata da Don Bosco a Vicaria della Congregazione, vi eserciterà ininterrottamente per ben mezzo secolo quell'ufficio, finchè testimone vivente della tradizione, seguirà il Capitolo Superiore nel suo trasferimento da Nizza a Valdocco. La vocazione di questa madre Enrichetta è un non trascurabile episodio nella storia del nostro Beato. Perduta la madre in giovane età, faceva essa da madre alle sorelle e ai fratelli, tutti minori di lei, quando un giorno di maggio del 1873 capitò in paese quell'ideale di portinaio Salesiano che fu il suo conterraneo Marcello Rossi. Questi prese a raccontarle mirabilia di Don Bosco e della sua santità, ascoltato con crescente ammirazione della pia zitella, la quale, invidiando la sorte del narratore, pensava fra sè e sè: - Che bella cosa dev'essere vedere un santo! - Finalmente il Rossi le disse: - Don Bosco sarà fra breve a Borgo S. Martino; vieni là, e te lo farò vedere. - Tale proposta aguzzò in lei la voglia di vedere con i propri occhi che cosa fosse un santo.
Strappatane dunque al padre la licenza e unitasi a due sorelle del coadiutore, si mise in via. Assorta nel pensiero che andava a vedere un santo, percorse di buona lena a piedi le quattro ore di strada che c'erano da Rosignano a Borgo. Giunte verso le sette alla mèta, le buone figliuole si diressero alla chiesa parrocchiale, dove fecero la santa comunione; poi avviatesi al collegio, incontrarono il Rossi, che ve le introdusse. Stettero là ad aspettare con certe donnette che rammendavano biancheria, finchè le note della banda e gli evviva del popolo non annunziarono l'approssimarsi di Don Bosco. Allora le tre giovani furono condotte in un corridoio, per cui Don Bosco doveva passare e donde videro l'irrompere della folla plaudente e quasi delirante nel cortile. Dopo lungo attendere, eccolo varcare la soglia e avanzarsi a lenti passi, seguito da uno stuolo di amici e di figli. Enrichetta lo squadrava da capo a piedi: si era creduta di dover vedere chi sa che, mentre invece s'accorgeva di avere davanti un prete [202] come tanti altri. L'incanto stava per isvanire, allorchè il Servo di Dio, data loro la mano a baciare, si ferma, guarda un momento Enrichetta e, puntando l'indice verso di lei, dice: - Voi, andate a Mornese.
- È un bel paese, vedrete... Ora andiamo a pranzo e poi ci riparleremo.
La giovane rimase là ad almanaccare. Dopo pranzo Don Bosco la fece chiamare e appena la vide comparire: - Oh brava! le disse. Come vi chiamate?
- Enrichetta Sorbone, da Rosignano Monferrato.
- Eh sì! Mia madre desiderava farmi maestra; ma essa è morta e io debbo pensare alle mie sorelline.
- Non avete mai pensato a farvi suora?
- Mah! Mia madre sarebbe stata molto contenta che le sue figlie si consacrassero al Signore.
- Ma il mio Prevosto mi ha detto che se starò buona e custodirò bene le mie sorelle, egli penserà poi per me. Non vorrei adesso fare due parti.
- State tranquilla; col Prevosto m'intenderò io.
- Ma e le mie sorelle? e mio padre?...
- Oh! la divina Provvidenza penserà anche a loro. Vedete: a Mornese abbiamo l'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Là potrete studiare.
- Chi sono le Figlie di Maria Ausiliatrice? Sono suore?
- Ma a me piacciono le suore che sono vestite come [203] quelle che si vedono nelle immagini. - Così diceva, perchè, sapendo esservi suore presso il collegio di Borgo, aveva creduto suore quelle tali donnette che rammendavano la biancheria. - Sì, sì, l'assicurò Don Bosco. Le suore di Mornese sono appunto vestite come dite voi, vedrete. E là studierete e passerete con le suore e farete tanto bene. Altro ancora le aggiunse, che ella non poteva sul momento capire, ma che più tardi vide avverate; poi, trattosi di tasca un foglietto di carta azzurrognola e scrittovi qualche cosa, glielo consegnò dicendo: - Ecco: per adesso ritornate a Rosignano e portate questo al vostro Prevosto; ma andate presto a Mornese. Prima però di entrare in quella santa casa, lasciate la vostra volontà fuori della porta. - La giovane, riposto il biglietto, si mosse per uscire. Andava via adagio e soprapensiero. Dalla porta si rivolse a salutare Don Bosco, che, guardandola con occhio paterno, le disse in tono vibrato: - Lasciamolo questo mondo traditore! Queste ultime parole, proferite in tal modo, la impressionarono grandemente. Sembrava che Don Bosco vedesse vicino a lei una belva pronta a sbranarla. Brutta cosa dev'essere il mondo! - ruminava fra sè la giovane durante il ritorno alla casa paterna.
Non fu lieve impresa convincere il Prevosto e persuadere il padre; ma la lotta fu abbastanza breve, poichè già il 6 giugno, primo venerdì del mese, Enrichetta Sorbone fece il suo ingresso a Mornese. Studiò, come le aveva detto Don Bosco, passò con le suore, diede l'esame da maestra, divenne Vicaria generale. Festeggiandosi poc'anzi l'anno cinquantesimo della sua carica, madre Enrichetta ci narrava la sua storia con tanti altri particolari da noi tralasciati; questo solo non tralasceremo, che, avendone suo padre con indicibile sacrifizio, ma cristianamente secondato la vocazione, Dio lo premiò col provvedere a lui e alla numerosa figliuolanza in modo e misura assai superiore a quanto si sarebbe potuto mai da alcuno attendere, se la primogenita fosse rimasta in famiglia.
Dove si scorge come il Signore ispirasse il suo Servo e insieme [204] benedicesse chi cooperava con lui nell'attuazione de' suoi santi disegni.
La Madre Generale non la sola casa da aprire, ma anche tutte le case aperte doveva visitare. Essa veramente si credeva di poterne fare a meno, massime per quelle che avevan nel Direttore salesiano la loro guida; ma Don Bosco non era del medesimo avviso. Egli le fece conoscere esser meglio che andasse e si fermasse alcuni giorni anche in quelle case. L'esperienza doverla col tempo far persuasa che vanno bene le case di un Istituto, quando il Superiore ha spesso la valigia in mano, come un commesso viaggiatore. Essere lei la Madre Superiora e convenire che vedesse con i propri occhi in qual maniera le sue figlie fossero trattate; se abbisognassero di qualche cosa; se vivessero contente; se lavorassero come voleva il Signore, senza perder tempo, ma anche senza trascurare le pratiche di pietà e la propria sanità; se dappertutto l'orario del luogo si accordasse, quant'era possibile, con il loro; e tante altre cose. Anche i Direttori, se avessero qualche difficoltà da appianare, qualche buon consiglio da suggerire, qualche desiderio da esprimere, avrebbero avuto più comodità di farlo. L'intesa portar sempre buoni risultati per l'anima e per il corpo. Dunque andasse a fare il suo giro, portasse i saluti di Don Bosco e, dicesse a tutte le Figlie che egli le benediceva di gran cuore: Madre Mazzarello si attenne scrupolosamente a queste istruzioni. Quando poi nell'estate fu a Torino per la seconda muta di esercizi spirituali, riferì oralmente al Beato Padre quanto di più notevole aveva potuto rilevare nelle visite fatte.
Questa fedele docilità e profonda venerazione verso il Padre Fondatore spicca sotto mille forme in tutte le sue manifestazioni di qualche importanza. Persone anche autorevoli dicevano che l'abito delle Figlie di Maria Ausiliatrice sembrava da lutto e che ci voleva un po' di bianco in tanto nero. A Mornese ci si studiò, si raffazzonò anche un modello; ma prima di tutto la Madre volle sentire che cosa ne pensasse [205] Don Bosco. Quindi per suo ordine Suor Caterina Daghero, rassegnatasi a far da manichino, si presentò nella nuova foggia al Beato, che a tale novità sorrise, guardò un tantino e poi, rimasto un momento in silenzio: Eh là! disse... Non va mica male...! Potete provare. Tanto siete voi altre che dovete portarlo. Provate. - Fu un gran giorno per Mornese quello in cui si parlò di mandare le Figlie di Maria Ausiliatrice oltre le frontiere e oltre l’Oceano, in Francia e in America. Tuttavia la prudenza sembrava consigliare che si soprassedesse, perchè le buone Suore difettavano ancora tanto di sapere e di esperienza. Ma la Madre disse: - Se Don Bosco parla così, è la Madonna che ha parlato a lui; e la Madonna sa di che Figlie dispone per le opere del suo divin Figliuolo. A Torino alcune Suore che erano state a Cuneo per darvi gli esami da maestre, non finivano di lodarsi delle gentilezze usate loro dalle Domenicane, presso le quali avevano preso dimora. La Madre, dopo aver detto: - Impariamo anche noi a trattare sempre così, - soggiunse: - Non dimentichiamo però mai che se ci trattano tanto bene, si è perchè siamo Suore e Figlie di Don Bosco. - Nel rendere conto a Don Bosco della casa di Biella, gli manifestò un suo dubbio, che non ci si potesse continuare, perchè le Suore non vi stavano guari volentieri. Si udì rispondere: - Nelle case dì Don Bosco nessuno sta per forza. Se le Suore di là non ci vogliono stare, si cambino; ma la casa non si chiude. - La Madre non fiatò più. Nel '78, visitando la casa di Alassio, trovò che l'orario era troppo pesante, perchè le Suore dovevano alzarsi più presto e andare tardi a riposo. La Madre con umiltà e rispetto osservò a chi di ragione: - Don Bosco sa di quest'orario? Se Don Bosco lo sa, bene; se no, procuri di modificarlo.
Tanta riverenza per Don Bosco faceva sì che ella ne riguardasse con grande bontà i figli. Quando vide nel poc'anzi nato Bollettino Salesiano[116] pubblicati i programmi dei due [206] nuovi educandati femminili di Nizza Monferrato e di Chieri, esclamò: Ecco, Don Bosco e i Salesiani ci ritengono proprio della famiglia. Tutte le nostre cose non hanno vita e fortuna, se non per Don Bosco e per i suoi figli. Guai, guai a noi se la superbia arriva a metterci in testa che possiamo qualche cosa senza di loro! Diventeremmo tralcio distaccato dalla vite, e nient'altro. - Ripetè il medesimo pensiero a suor Elisa Roncallo, che gongolava di gioia, narrandole tante belle cose del suo oratorio festivo di Valdocco. - Sì, sì, le disse; è consolante tutto questo, consolantissimo. Ma ricordiamolo bene: dopo Dio, tutto noi dobbiamo a Don Bosco e ai Figli così bravi e così santi, che Don Bosco ci dà per nostra guida e sostegno. Ah, per carità! non dimentichiamoci mai dì ringraziare la Madonna che, non contenta di farei sue Figlie, ci ha pure affidate a un santo, com'è Don Bosco. - Un giorno la Direttrice di Torino le riferì un suo dialogo con Don Rua, che dirigeva quella comunità. - Signor Direttore, gli aveva ella domandato, possiamo continuare a prendere frutta anche a colazione? Ce ne regalano tanta, che ne abbiamo in abbondanza.
- Com'è detto nella Regola? - chiese Don Rua.
- Che si può prendere caffè e latte o frutta.
- Meglio che vada a male la frutta e non l'osservanza della Regola. E poi, con la frutta che avanza non si può soccorrere qualche miseria e far star buona qualche ragazza?
Ciò udito, la Madre conchiuse: - Vedete i santi? Guai a voi di Torino, se non sapete approfittarne anche per noi, che non abbiamo la vostra fortuna di vivere a Valdocco!
I sentimenti della Madre in tante guise fatti palesi, ne ispiravano pure le Figlie, al cui devoto affetto verso Don Bosco dobbiamo la cura gelosa in serbar memoria di parole dette da lui nelle sue rare e rapide visite. Una di tali visite egli fece alle Suore di Valdocco dopo il suo ritorno da Roma e dalla Francia nel '78. Egli non era mai stato fuori di casa per sì [207] lungo tempo; anch'esse dimostravano la loro allegrezza, come meglio potevano. Nella speranza di presto vederlo, ornarono a festa il loro umile parlatorio; ma il Beato, saputo questo, mandò a dire: - Oh, no, no! Io non vengo dove ci sono tende, tendine e sofà! - Allora le Suore rimisero le cose nello stato di prima, quando poi il buon Padre andò, senza mostrar di ricordare questa particolarità, domandò subito se avessero molte ragazze. Alla risposta affermativa soggiunse: - Che bella cosa! Noi siamo proprio per questa grande opera. Ma, attente! Per fare del bene alle ragazze, bisogna essere sempre allegre; bisogna amarle e stimarle tutte, anche se l'una o l'altra non lo merita. E continuano a venire anche tutti i giorni, dopo il pranzo e alla sera, quando escono dalla fabbrica? - Udito che sì, osservava che erano tanti peccati di meno, tanta malizia non imparata per le strade, tanti buoni pensieri seminati per la notte e per il giorno seguente, non solo tra le ragazze stesse, ma anche tra quei della famiglia, perchè d'ordinario le ragazze godono a raccontare in casa tutte le loro novità. Gli chiesero come si facesse a far conoscere e a far amare Maria Ausiliatrice. E il Servo di Dio: - Parlando opportunamente di lei con la gioventù che la Provvidenza ci affida e con le persone esterne che ci avvicinano; scrivendo qualche parola su di lei in ogni nostra lettera ai parenti e ai conoscenti; rivolgendo a lei chi ha bisogno di grazie speciali e raccontando i favori ottenuti per suo mezzo; distribuendo medaglie e immagini che portino la sua effigie; recitando e e facendo recitare spesso la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis; cantando di preferenza le sue lodi nelle ricreazioni e in chiesa, soprattutto nel suo mese; consigliando di dare il nome “Ausilia”, “Ausiliatrice” alle bambine da battezzare; celebrando con la maggior solennità possibile la sua festa non solo in chiesa, ma anche con accademia e processione regalando quadri di Maria Ausiliatrice per le famiglie, per le parrocchie; dando il suo titolo alle nuove fondazioni... [208] Le Suore che lavoravano a Valdocco avevano ricevuto da Maria Ausiliatrice per mezzo di Don Bosco una segnalata grazia nella novena dell'Immacolata, rimanendone infervorate nella pietà verso la loro Madre celeste e ricolme di venerazione verso il Padre delle anime loro. La novizia Giuseppina Quarello, anzichè a Mornese, stava a Valdocco per aiutare suor Caterina Daghero a condurre innanzi la sua scuola. Recatasi a Mornese per passarvi alcuni giorni, ammalò così gravemente, che il dottor Albertotti la diede per ispedita. La buona novizia si apparecchiava rassegnata alla morte; ma però supplicava che la portassero da Don Bosco per averne la benedizione e assicurarsi meglio una santa fine. Non senza gravi difficoltà venne soddisfatta. Giunta come potè nell'anticamera di Don Bosco, non fece in tempo ad aprir bocca per esprimergli il suo desiderio, che il Servo di Dio prontamente le disse: - Volete andare in paradiso? Spero di andarvi anch'io, se la misericordia del Signore mi vorrà. Ma voi avete ancora da lavorare molto. - Nel pronunziare assai lentamente queste ultime parole, alzò la mano e benedisse l’inferma. - Questa volta si sbaglia! pensava fra sè la poveretta, ritenendo che egli così parlasse per non essere bene informato delle sue condizioni. Ma essa piuttosto si sbagliava, poichè cominciò subito a sentirsi meglio e nella novena medesima riprese tranquillamente la sua scuola.
Vi è il ricordo anche di una visita fatta da Don Bosco alle Suore di Lanzo nel medesimo anno 1878. Passò da un luogo all'altro della casa, dicendo a ciascuna che vi incontrava una buona parola. Alla refettoriera: - Brava! Ma ricordatevi che dovete essere il buon esempio di tutte le sorelle che vi circondano. - Alle cuciniere: - Marta e Maria! Siete Marte, ma dovete essere anche Marie. E le pietanze che preparate, sapete farle pietanze di paradiso? Ci vuol poco, sapete? Basta santificarle con la retta intenzione, con atti di unione al Signore e alla Madonna, e con farle meglio che potete. - Alla Direttrice che provava soggezione dinanzi ai secolari, quando in [209] certe occasioni, specialmente di feste, entravano anche in cucina o nel laboratorio o nella guardaroba dei ragazzi, fece intendere che non v'era nulla da temere e che anzi essa vi aveva buone occasioni di trarli al bene, non foss'altro con la predica del buon esempio.
Di due altre visite abbiamo detto in un capo precedente[117]. Ben si apponeva Madre Mazzarello, quando, udendo dalle sue Figlie i particolari di simili incontri, ne cavava questa conclusione: - Il nostro buon Padre dove passa e dove sta, fa sempre del bene.
Che se tanta importanza si dava dalle Figlie di Maria Ausiliatrice alle parole di Don Bosco dette occasionalmente e come di volo, è facile immaginare quale conto facessero dei discorsetti che talora teneva alle esercitande. Ciò avvenne due volte nel '78. La prima fu in agosto per gli esercizi di Mornese. Le grandi novità dei prossimi traslochi forse gli consigliarono tale andata, di cui diede avviso al direttore Don Lemoyne in termini assai significativi. Don Lemoyne era succeduto in quell'ufficio a Don Costamagna, partito per l'America.
Desidero proprio di venire a farti una visita. A Dio piacendo sarò a Mornese pel giorno 16 e mi fermerò 8 giorni. Sicchè avremo tempo a chiacchierare a piacimento, numerare tutti i quattrini che tu, le monache ed altri potranno mettere all'ordine del giorno.
Tanti e cordiali saluti a D. Campi, Musso e a tutti i nostri parenti spirituali.
Gratia D. N. J. Ch. sit semper nobiscum. Amen.
Alla chiusa dunque degli esercizi il Beato, ricevuta la professione di parecchie Suore, fece il sermoncino dei “Ricordi”, esaltando la virtù dell'obbedienza. È rimasto scolpito [210] un paragone. - Se, disse, togliete al sacco le sue cuciture, il sacco lascia sfuggire ogni cosa; così la religiosa, se non ha la cucitura dell'obbedienza, non può conservare nessuna virtù e cessa di essere religiosa. - Uscito di chiesa e fattasegli umilmente innanzi la Madre, le disse: - Mi piacerebbe che sotto questo porticato ci fossero due cartelli con le scritte: LA MORTIFICAZIONE È L'ABBICCÌ DELLA PERFEZIONE e OGNI MINUTO DI TEMPO VALE UN TESORO. Don Bosco non era ancora partito che già i due cartelli stavano appesi nel luogo indicato.
Brevi parole di “Ricordo” rivolse alle Suore anche nella muta d'esercizi fatta a Torino. Vi ribadì l'argomento dell'obbedienza religiosa, ricorrendo al paragone del fazzoletto Come esso si lascia usare quando si vuole e per quel che si vuole, lasciandosi anche lavare, stirare, stropicciare, senza dir nulla, così dobbiamo essere noi per la virtù dell'obbedienza religiosa. Vogliamo essere sempre allegri? Siamo obbedienti. Vogliamo essere certi della perseveranza nella vocazione? Siamo sempre obbedienti. Vogliamo andare molto in alto nella santità e nel paradiso? Siamo fedeli a obbedire anche nelle piccole cose.
Quell'anno nella festa dell'Immacolata Don Bosco fece alle Suore un bel regalo: distribuì loro stampata la santa Regola, conforme al testo approvato due anni avanti per opera sua dall'Ordinario della diocesi acquense. Prima dei due cartelli menzionati poc'anzi uno già vi pendeva sotto il porticato e per le scale, con la sentenza dettata da' Don Costamagna: “Ogni religiosa dev'essere una copia della santa Regola”. L'avere allora anche in mano il libro della Regola, doveva esser loro di grande aiuto a ottenere quell'effetto. In capo al libretto si leggevano alcune paterne ammonizioni, che piacerà ai nostri lettori vedere qui riprodotte.
Alle Figlie di Maria SS. Ausiliatrice.
Mercè la bontà del nostro Padre Celeste l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, al quale fortunatamente appartenete, prese da qualche tempo un grande sviluppo. Nello spazio di pochi anni noi [211] abbiamo potuto inaugurare un buon numero di case in Piemonte, in Liguria, in Francia; anzi nelle più lontane regioni d'America.
Finchè l'Istituto era concentrato nella Casa Madre di Mornese, alcune copie delle Regole manoscritte potevano bastare a che ogni Suora ne potesse venire in cognizione; ma ora che per la Divina Provvidenza si sono moltiplicate le Case e le Suore ivi ripartite, esse non sono più sufficienti.
Per la qual cosa io ho giudicato della maggior gloria di Dio, e di vantaggio all'anima vostra, il farle stampare; ed ora ve le presento. Esse hanno già avuta l'approvazione di più Vescovi, i quali le trovarono pienamente adattate a santificare una Figlia, che aspiri ad essere tutta dì Gesù, e che voglia nel tempo stesso impiegare la propria vita a servizio del suo prossimo, specialmente alla educazione delle povere fanciulle. Anzi di più: lo stesso Istituto fu con Decreto speciale collaudato ed approvato dal R.mo Vescovo d'Acqui, nella cui Diocesi nacque nel 1872 e prospera tuttora.
Abbiate dunque care le regole che lo governano, leggetele, meditatele; ma soprattutto non dimenticate mai che a nulla varrebbe il saperle ben anche a memoria, se poi non le metteste in pratica. Perciò ognuna si dia la più viva sollecitudine di osservarle puntualmente; a questo miri la vigilanza e lo zelo della Superiora; a questo la diligenza e l'impegno delle suddite. Così facendo voi troverete nella Vostra Congregazione la pace del cuore, camminerete per la via del cielo e vi farete sante.
Intanto io colgo volentieri questa propizia occasione per raccomandarvi che nelle vostre preghiere abbiate ognora presente l'anima del Molto Reverendo Don Domenico Pestarino, primo Direttore delle Suore di Maria Ausiliatrice, del quale il Signore si servì per gettare le fondamenta di questo Istituto. Egli per la sua carità e zelo si merita davvero la nostra più viva gratitudine.
Pregate anche le une per le altre, affinchè il Signore vi faccia costanti e fedeli nelle vostra vocazione, e vi renda degne di operare del gran bene alla sua maggior gloria. Pregate in modo speciale per le Consorelle che già si portarono, e per quelle che ancor si porteranno nelle più lontane parti della terra per diffondervi il Nome di Gesù Cristo, e farlo conoscere ed amare. Pregate soprattutto per la Chiesa Cattolica, pel suo Capo visibile, pei Vescovi e Pastori locali; pregate altresì per la Società Salesiana, alla quale siete aggregate; e non vogliate dimenticare me, che vi desidero ogni felicità.
La Vergine Ausiliatrice ci protegga e ci difenda in vita e in morte; e colla sua potente intercessione ci ottenga dal sud divin Figliuolo la bella grazia di trovarci un giorno tutti insieme raccolti sotto il suo manto nella eterna Beatitudine.
Torino, Festa dell'Immacolata Concezione, 1878.
Queste Regole, distribuite sotto sedici Titoli, si direbbero nelle loro parti essenziali ricalcate sulle Regole dei Salesiani, del cui Rettor Maggiore l'Istituto era sotto l'immediata dipendenza. Per comprenderne lo spirito ne coglieremo e porremo sotto gli occhi dei lettori alcuni punti più caratteristici che non hanno propriamente riscontro nelle Costituzioni Salesiane.
Parecchie virtù principali sono proposte nel titolo nono allo studio delle novizie e alla pratica delle professe: “1. Carità paziente e zelante non solo coll'infanzia, ma anche colle giovani zitelle. - 2. Semplicità e modestia; spirito di mortificazione interna ed esterna; rigorosa osservanza di povertà, - 3. Obbedienza di volontà e di giudizio, ed accettare volentieri e senza osservazione gli avvisi e correzioni, e quegli uffizi che vengono affidati. - 4. Spirito d'orazione, col quale le Suore attendano di buon grado alle opere di pietà, si tengano alla presenza di Dio, ed abbandonate alla sua dolce Provvidenza”.
Riguardo ai Sacramenti è notevole questa regola 2ª del Titolo undecimo: “Al tribunale di penitenza si accosteranno regolarmente ogni otto giorni. Nell'accusa dei loro falli si studino di omettere le circostanze inutili; siano brevi e dicano con semplicità ed umiltà le loro colpe in egual modo, che se le accusassero a Gesù Cristo. Verso il loro Confessore abbiano grande rispetto e confidenza, quale si conviene a chi è destinato da Dio ad essere Padre, Maestro e Guida delle anime loro, ma non parlino mai tra esse di cose di Confessione, e tanto meno del Confessore”.
Nell'esordio al Titolo undicesimo sul voto di castità si leggono queste belle parole: “La virtù della Castità deve essere collocata in grado eminente dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Primieramente perchè l'impiego, che esse hanno di istruire ed istradare i prossimi nella via della salute, è somigliante a quello degli Angeli santi; perciò è necessario che esse ancora vivano col cuor puro, ed in uno stato angelico, giacchè le Vergini sono chiamate Angeli della terra; in secondo luogo [213] perchè la loro vocazione per essere ben eseguita richiede un totale distacco interno ed esterno da tutto ciò che non è Dio”.
L'ultimo Titolo contiene trenta regole generali, alcune delle quali danno come i lineamenti distintivi delle Figlie di Maria Ausiliatrice. “9. Ognuna deve riconoscersi per la minima di tutte, perciò nessuna mancherà agli atti umili, nè si ricuserà dall'esercitare gli uffici più abbietti della Casa, nei quali la Superiora la eserciterà a norma delle sue forze, e secondo che prudentemente giudicherà bene nel Signore. - 10. Le Figlie di Maria Ausiliatrice saranno sempre allegre colle sorelle, rideranno, scherzeranno, ecc., sempre però come pare debbano fare gli Angeli fra loro; ma alla presenza di persone di altro sesso conserveranno ognora un contegno grave e dignitoso. Andando per le vie cammineranno colla massima compostezza e modestia, non fissando mai nè le persone, nè le cose che incontrano, dando tuttavia il saluto coll'inchino del capo a chi le saluta, e alle persone ecclesiastiche se loro passano vicine. - 11. Nella Casa e fuori adopreranno sempre un parlare umile, non sostenendo mai il proprio sentimento, evitando soprattutto ogni parola aspra, pungente, di rimprovero, di vanità relativamente a se stesse, od a riguardo di quel bene che il Signore si degnasse cavare dalle opere loro, facendo tutte le loro azioni private e comuni pel solo gusto di Dio. Non parleranno mai di nascita, di età o di ricchezze, se nel mondo ne avessero avute. Non alzeranno mai la voce parlando con chicchessia, quand'anche fosse tempo di ricreazione. Quando saranno alla presenza di persone di sesso diverso, terranno un parlare serio e grave, perchè se sono di condizione superiore alla loro, per esempio ecclesiastici, così vuole il rispetto dovuto al loro stato; se sono laici, così richiede il decoro, e il buon esempio. - 12. Tutto il loro impegno sarà dimostrato nel tratto e nel contegno degli sguardi e di tutta la persona, quali debbono essere, cioè imitatrici di Gesù Cristo Crocifisso, e serve dei poveri. In chiesa staranno [214] colla massima compostezza, ritte sulla persona, e genufletteranno fino a terra passando avanti l'altare, ove si conserva il Santissimo Sacramento. - 21. Ciascuna avrà cura della propria sanità, perciò quando una Suora non si sentirà bene in salute, senza nascondere od esagerare il male, ne avviserà la Superiora, affinchè possa provvedere al bisogno. Nel tempo della malattia ubbidirà all'infermiera ed al medico - chirurgo, affinchè la governino nel corpo, come meglio crederanno innanzi a Dio. Procurerà pure di mostrare pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, sopportando le privazioni inseparabili dalla povertà, e conservando sempre una imperturbabile tranquillità di spirito in mano di quel Signore, che è Padre amoroso, sì nel conservar la salute, sì nell'affliggerci con malattie e dolori. Per avvalorarle viemaggiormente nello spirito, alle inferme obbligate al letto si darà la santa Comunione almeno una volta per settimana, ove il genere di malattia ed il luogo lo permetta. - 22. Le Suore procureranno di tenersi sempre strettamente unite col dolce vincolo della Carità, giacchè sarebbe a deplorarsi, se quelle che presero per iscopo l'imitazione di Gesù Cristo, trascurassero l'osservanza di quel comandamento, che fu tanto raccomandato da Lui, sino al punto di chiamarlo il suo precetto. Adunque oltre lo scambievole compatimento ed imparziale dilezione, resta pure prescritto, che se mai accadesse ad alcuna di mancare alla Carità verso qualche sorella, debba chiederle scusa al primo momento, che con calma di spirito avrà conosciuta la sua mancanza, o almeno prima di andare a dormire. - 23. Per maggior perfezione della Carità ognuna preferirà con piacere le comodità delle sorelle alle proprie, ed in ogni occasione tutte si aiuteranno e solleveranno con dimostrazioni di benevolenza e di santa amicizia, nè si lascieranno mai vincere da alcun sentimento di gelosia le une contro le altre. - 24. Desiderino e procurino efficacemente di fare al prossimo tutto quel bene che lor sia possibile, intendendo sempre di aiutare e servire nostro Signor Gesù Cristo nella persona de' suoi [215] poveri, specialmente coll'assistere, servire, consolare le consorelle malate ed afflitte, e col promuovere il bene spirituale delle fanciulle dei paesi in cui hanno dimora... 27. Pongano tutte la massima premura per gli esercizi di pietà, dalla cui osservanza deriva quell'interno fervore, che ci muove dolcemente ad uniformarci in tutto a Gesù Cristo nostro divino Esemplare, e Sposo delle anime fedeli”.
Il nome di Mornese resterà memorabile negli annali della Congregazione, perchè da Mornese uscirono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice che varcarono le frontiere e tragittarono l'Oceano, segnando alle loro consorelle il cammino della Francia e dell'America meridionale. Nizza Marittima le ebbe nel settembre del '77 e Saint - Cyr in Provenza nell'ottobre del '78. Per l'America il Beato scrisse alla Madre Generale che quelle desiderose di consacrarsi alle Missioni straniere per cooperare coi Salesiani e come i Salesiani alla salvezza delle anime e particolarmente delle fanciulle, ne facessero domanda per iscritto: poi si sarebbe scelto. Molte domandarono; le prescelte furono sei[118], che, inviate a Roma con i Salesiani della terza spedizione per ricevere la benedizione del Papa, con loro s'imbarcarono e andarono ad aprire la casa di Villa Colón. Un secondo drappello di dieci salpò da Genova il 30 dicembre del '78, avendo a capo Suor Maddalena Martini, che per la prima portò il titolo d'Ispettrice. Due di queste ultime si fermarono a Villa Colón; le altre proseguirono per Buenos Aires e si stabilirono in Almagro.
Prima che si trasportassero i penati da Mornese a Nizza, ne uscirono pure nel settembre del ‘78 le Suore destinate ad aprire la casa di Chieri. In questa città i coniugi Bertinetti, privi d'eredi necessari, avevano lasciato per testamento a Don Bosco la propria casa, affinchè egli se ne servisse a fare [216] del bene. Oltrechè grande l'edifizio era storico; poichè in antico faceva una cosa sola col palazzo dei Tana, dai quali venne la madre di san Luigi Gonzaga. Don Bosco vi era stato più volte da giovane e vi aveva dato l'esame di vestizione chiericale. Colà il Servo di Dio mandò le Figlie di Maria Ausiliatrice ad aprite un oratorio festivo per le fanciulle della città, avverandosi così una predizione del Beato Cottolengo, che quella casa sarebbe diventata un giorno abitazione di Suore.
Finalmente cominciò l'esodo da Mornese, non in massa ma alla spicciolata. Le prime, cinque sole, s'insediarono a Nizza il 16 settembre 1878, accolte festosamente dal clero locale e dalle famiglie benefattrici di Don Bosco; ivi mentre attendevano a preparare la dimora alle consorelle, s'ingegnavano d'attirare fanciulle a un po' d'oratorio festivo. La chiesa, appena ripulita venne ribenedetta il 27 ottobre; la cerimonia per altro si svolse senz'apparato per motivi accennati da Don Bosco in una sua lettera alla contessa Maria Balbo, figlia della contessa Corsi.
Malgrado tanti progetti non ho ancora potuto fare un'ora di vacanza in tutto quest'anno e nemmeno sono sicuro di poter almeno Domenica recarmi a Nizza per la festa di apertura della Chiesa Madonna delle Grazie.
Fra un po' di pigrizia che lega stabilmente in casa e tra venti Case che abbiamo aperte entro breve spazio di tempo, aggiungendo la imminente spedizione di Missionarii in America, tutto insieme fa che non so più dove cominciare e dove finì . Malgrado tutto questo non ho mai mancato di pregare per Lei, pei suoi figli e nipotini, specialmente al mattino nella Santa Messa, e non mancherò di continuare affinchè Dio li conservi tutti in buona sanità, vita felice ed in grazia Sua.
Domenica o in persona o per mezzo di D. Cagliero, D. Lazzero e di altri saprà perchè non osiamo fare molto spatuzzo[119] nella festa di Domenica. Le principali ragioni sono la mancanza di locale per ricevere [217] una persona che visiti la Chiesa o che faccia funzioni. E poi siamo così squattrinati che non osiamo lanciarci in altre spese. So che la Buona Mamma ci aiutò è ci aiuterà. Ma noi suoi affezionati figli dobbiamo calcolare sulla sua bontà e non abusarne.
Mi fu detto che il Sig. Conte costituì un Comitato per promuovere una questua in sollievo delle nostre spese. Questo è da vero Cooperatore Salesiano. Io però non voglio che lavori per niente. Voglio pregare, far pregare Iddio, che è ricco assai, affinchè gli dia il centuplo di ogni cosa. Centuplichi sanità sopra la sua famiglia, sopra i suoi interessi, sopra le sue campagne, ne faccia un vero galantuomo ed un gran santo. La Madonna farà poi a suo tempo la parte sua.
La prego di dire alla Contessa Nonna che io desidererei il suo altare fosse il Maggiore, perchè in esso conservasi il SS.mo, e perciò avrà parte a tutte le Messe e a tutte le Comunioni che colà si faranno. D. Cagliero parlerà in questo senso.
Che Dio la benedica, mia cara e buona Mamma, la conservi, le dia buona dimora, felice ritorno al figlio suo cattivo, ma che tanto l'ama in G. C.
Mi raccomando alle preghiere di tutti e mi creda in ogni cosa
Quattro giorni dopo la benedizione vi arrivò una nidiata di educande mornesine, quelle che pagavano pensione o che dovevano ricevere un'istruzione regolare; a Mornese rimasero le altre, chiamate ivi le figliette di casa. Suore e postulanti si succedettero poi a piccoli gruppi, finchè, rimaste a Mornese alcune poche, Don Bosco ordinò alla Madre Generale di partire anch'essa e di stabilire a Nizza la Casa Madre. Le Suore di Maria Ausiliatrice, disse Don Cerutti in un suo discorso, entrando nella casa di Nizza rinnovellavano di novella fronda una gloriosa secolare istituzione, ripristinavano su più vasta scala ed in una modernità di forma consentanea ai tempi le tradizioni momentaneamente interrotte di uno splendido passato[120].
Continueremo a chiamarlo così, come lo chiamarono i suoi contemporanei, compreso Don Bosco, e come lo chiamano tuttora gli anziani. Nel mondo tutto giovanile e tanto democratico dell'Oratorio il vecchio gentiluomo, che con cristiana semplicità si adattava interamente alla vita della casa, appariva quasi esaltazione visibile di Don Bosco e dell'opera sua.
Carlo Alberto Cays, conte di Giletta e di Casellette, discendeva da una famiglia di antichissima nobiltà nizzarda. Compiuti i primi studi nel collegio del Carmine a Torino sotto la direzione dei Gesuiti, conseguì la laurea in giurisprudenza. Nel 1837 si sposò; ma otto anni dopo rimase vedovo con un figlio. Allora si fece padre dei poveri. Con particolar amore occupavasi della gioventù abbandonata, insegnando la dottrina cristiana negli oratori di san Francesco di Sales, di san Luigi Gonzaga e dell'Angelo Custode; poichè fu uno dei tanti nobili torinesi, che, guadagnati dal nostro Beato, cooperarono con lui e sotto i suoi ordini nel beneficare moralmente e materialmente i figli del popolo. Come i suoi maggiori, godette la benevolenza del Re e della reale famiglia, che durante il colera del '54 abitarono per tre mesi nel suo castello di Casellette, situato in luogo saluberrimo ai piedi delle Alpi. Fu pure deputato al Parlamento subalpino durante la sesta [219] legislatura dal '57 al '60, e la sua voce risonò eloquente nell'aula parlamentare a difesa dei sani princìpi e a rivendicazione dei diritti della Chiesa. Quando però vide che la politica prendeva una piega troppo contraria ai suoi sentimenti cattolici, si ritirò a vita privata, dedicandosi unicamente alle opere di carità e di religione. Visitare infermi nelle case e negli ospedali, soccorrere derelitti, catechizzare fanciulli, fondare e presiedere Conferenze di san Vincenzo in città e fuori, promuovere la buona stampa, essere sempre fra i primi dove ci fosse un bene da fare o un male da impedire, ecco la vita del conte Cays finchè restò in seno alla propria famiglia. Tutto questo non valse a risparmiargli le carezze della polizia; come Don Bosco e altri insigni personaggi subì nel '62 una esosa perquisizione, la quale servì solo a mettere in luce come il sant'uomo non fosse mai uscito per nulla dal campo della carità cristiana. Sentì per altro il dovere di difendere l'onore del casato; onde stese del fatto una memoria, dalla quale appare quanta fosse la nobiltà e franchezza del suo carattere[121].
Un antico desiderio di appartarsi dal mondo e abbracciare lo stato religioso gli si fece vivo più che mai nel cuore verso il 1877. Noi crediamo che in un biglietto del 4 aprile di quell'anno Don Bosco intenda parlare di lui stesso con quelle parole: “Pel noto individuo ho pregato assai, ma quello che mi frulla sempre pel capo si è che farebbe assai bene nello stato ecclesiastico. Ella che lo conosce meglio di me, che ne dice? ”. Le sue vaghe aspirazioni finalmente si fissarono sulla Congregazione Salesiana; del che si aperse nel seguente maggio con Don Bosco, in cui aveva avuto sempre una confidenza illimitata. Il dialogo avvenuto fra lui e il Servo di Dio e pubblicato nella sua necrologia[122] si deve considerare sostanzialmente [220] autentico, perchè senza dubbio comunicato e riveduto da Don Bosco, che non trasmetteva ai Confratelli gli annui ricordi biografici dei defunti senza prima leggerli e farvi sopra le sue osservazioni.
Don Bosco dunque, ascoltatolo, gli disse: - Va tutto bene, signor Conte; ma Ella ha pensato che cosa voglia dire farsi religioso? Ha pensato che questo porta seco l'abbandonare ricchezze, onori, piaceri e ogni cosa del mondo?
- È da molto tempo che vi penso, rispose il Conte, e so tutto quello che importa questo passo; ma so anche per propria esperienza che le ricchezze, gli onori, i piaceri di questa terra non contentano il mio cuore e che a nulla mi serviranno in punto di morte.
- Ma la Signoria Vostra è assuefatta ad avere in casa sua molte comodità della vita; invece in un Istituto religioso, quantunque non si lasci mancare il necessario, pure le dico schietto che le mancheranno tantissime di quelle cose, di cui oggi abbonda per vitto, vestito, letto e via discorrendo.
- Lo so; ma so pure che molti vissero e vivono senza tanti agi e delicatezze e spero che con l'aiuto di Dio potrò farne a meno anch'io.
- Ma in casa sua Lei comanda ora da padrone; invece in una comunità religiosa le toccherà di obbedire da umile servo. Vi ha badato bene?
- Sì, vi ho badato, e mi sono convinto che in punto di morte mi consolerà più l'aver obbedito che l'aver comandato.
- Mi perdoni, signor Conte, se le aggiungo un'osservazione. Lei ha già un'età un po' avanzata, e non saprei se questa le permetterebbe di osservare le regole dell'Istituto.
- È vero, rispose il Conte dopo un istante di riflessione e con accento commosso; non sono più giovane, e mi cagiona grande rammarico il dover dare a Dio gli ultimi avanzi della mia vita. Tuttavia mi conforta il pensiero che non sono ancora vecchio decrepito e con tutti i miei sessantaquattro anni godo ottima salute, sicchè ho buona speranza dì potermi [221] adattare alla vita comune. Almeno non mi pare imprudenza tentare la prova.
Don Bosco, vedendolo così risoluto e conoscendone la gran virtù, avrebbe potuto senz'altro confermarlo nel santo proposito e dargli promessa di accettarlo tra i suoi; ma non volle avere neppure l'aria di precipitare le cose; perciò, standosi per cominciare la novena di Maria Ausiliatrice, gli suggerì di farla, per aver lume dal cielo, passando anche qualche giorno nel ritiro e nella preghiera.
Don Bosco non escludeva per principio dalla sua Congregazione gli uomini fatti nè i nobili; ma in quei primordi gli premeva sommamente l'omogeneità degl'individui che la componevano; non guardava però senza preoccupazioni alla eventualità che col tempo cominciassero a entrare adulti e aristocratici. Abbiamo su quest'argomento una preziosa conversazione del Servo di. Dio con Don Barberis che ce l'ha tramandata nella sua cronaca sotto il 17 maggio 1876. Tutte le altre Congregazioni, disse Don Bosco, nel loro cominciare ebbero aiuti di persone dotte e intelligenti, che, facendone parte, aiutavano il fondatore o piuttosto si associavano a lui. Fra noi, no: sono tutti allievi di Don Bosco. Questo mi costò un lavoro faticosissimo e continuo di circa trent'anni, con il vantaggio però, che, essendo stati tutti educati da Don Bosco, ne hanno i medesimi metodi e sistemi. Coloro che entravano nelle altre Congregazioni ad aiutare i fondatori, mentre cooperavano, essendo già essi formati a loro modo e non potendosi gli uomini spogliare in tutto del vecchio Adamo quando sono a una certa età, creavano una certa eterogeneità di elementi, che finiva con essere esiziale all'Ordine. Fra noi non è ancora entrato uno di famiglia nobile o molto ricco o di grande scienza; tutto quello che si fece e s'imparò, s'imparò e si fece qui. Non capirà l'importanza di questo punto chi non abbia meditato che cosa siano le Congregazioni o gli Ordini religiosi; ma chi riflette bene sulle cause d'ingrandimento e di decadenza dei vari Ordini e sull’origine [222] di varie scissioni, a cui tanti Ordini andarono soggetti, troverà che questo avveniva per mancanza d'omogeneità fin dal principio della fondazione dell'Ordine.
Per il conte Cays nel momento decisivo un fatto straordinario sembrò predisposto dalla Provvidenza a significargli il volere divino. Era finito il ritiro, finiva la novena: nella vigilia di Maria Ausiliatrice il Conte doveva esporre a Don Bosco lo stato dell'animo suo. Qualche dubbio gli permaneva. Quella mattina l'anticamera del Beato era piena di gente. Anche il conte Cays vi attendeva da un pezzo il suo turno, quando entrò una signora di Torino, parte strascinando e parte portando una sua figlia di undici anni, Giuseppina Longhi. Costei, per effetto di uno spavento prodottole da minacce, era stata assalita da convulsioni, perdendo la parola nè potendo più servirsi della mano destra, perchè colpita da paralisi. I suoi genitori dopo consultati parecchi medici che le prescrissero cure e medicine, dopo fatte anche preghiere e promesse, non vedevano alcun principio di miglioramento. Da un mese la fanciulla non proferiva più parola; si manifestava anzi in lei una perturbazione delle facoltà mentali. Allora la madre, avendo sentito dire che grandi meraviglie si operavano da Maria Ausiliatrice per mano di Don Bosco, portò là l'inferma per averne la benedizione. Trascorsa circa un'ora, si vide la povera donna rasciugar i sudori dal volto della figlia e poi prenderla per un braccio e disporsi a condurla via. Ma il segretario Don Berto le chiese, perchè se ne volesse già andare; al che rispose che si faceva tardi e sembrava che la figlia soffrisse ad aspettare più lungo tempo, troppi essendo quelli a cui toccava l'udienza prima che a lei. Allora gli astanti si alzarono per osservare la sofferente e unanimi si offersero di cederle il passo, non senza assicurarsi bene che si trattasse proprio di cosa seria. Nessun dubbio era possibile sul misero stato dell'infelice. Il più risoluto a ottenerle da tutti la precedenza fu il conte Cays. Accompagnandola con l'occhio nell'entrare, egli disse allora fra sè: - Se questa fanciulla uscirà [223] guarita, io riterrò questo fatto come una prova che la Madonna mi vuole Salesiano e bandirò da me ogni dubbio e timore.
Mentr'egli ruminava nella mente tale idea, che avveniva nella stanza attigua? La madre, adagiata sul sofà la figliuola, ne raccontò a Don Bosco la dolorosa storia, conchiudendo con dire che sperava ormai soltanto nella misericordia di Dio e nell'intercessione di Maria Santissima; volesse dunque darle la sua benedizione. Il Servo di Dio, esortatala ad avere fiducia nella Madonna e fatta inginocchiare la madre, benedisse la piccola malata. Quindi invitò la fanciulla a fare il segno della croce, ed essa si accinse a obbedire, ma con la mano sinistra.
- Non con la sinistra, ma con la destra, disse Don Bosco.
- Lasci, lasci che provi. Su, con la destra. - E lo fece speditamente
- Brava, disse Don Bosco, l'hai fatto bene; ma non hai dette le parole. - Su, rifallo e dì con me: - Nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.
La fanciulla, muta da un mese, sciolse la lingua, pregò e dopo, fuori di sè, si mise a gridare: - O mamma, la Madonna mi ha guarita. - La madre levò un grido e proruppe in pianto.
Rimaneva a provare se potesse stare in piedi e camminare senza sostegno; ebbene, andò su e giù per la camera con passo libero e franco. Allora la fortunata, non potendo più contenere la gioia apre la porta, si presenta agli astanti e con disinvoltura superiore all'età narra l'accaduto. Qual commozione in tutti! Madre e figlia scesero tosto nella chiesa a ringraziare Maria Ausiliatrice.
A tal vista il conte Cays non ebbe più bisogno d'altro. Entrato nella camera di Don Bosco, e dettogli della condizione posta e avverata, soggiunse: - Se Don Bosco mi accetta, io sono Salesiano.
- Venga pure fra noi, rispose Don Bosco, sarà accettato.
- Verrei fin da domani, festa di Maria Ausiliatrice e quarantesimo anniversario del mio matrimonio, ma siccome mi resta qualche affare da mettere in ordine, verrò, se nulla osta, il giorno 26.
- Va benissimo. Il 26 è festa di san Filippo Neri. Questo Santo, così divoto della Madonna, io spero che le otterrà la perseveranza.
Come disse, così fece. A onor del vero non dobbiamo nascondere che nelle prime ventiquattro ore e specialmente nella notte sostenne una lotta formidabile. Il mutamento di vita gli si affacciava così arduo, che temette di non poterla durare a lungo. Non sarebbe dunque stato meglio ritirarsi onoratamente in principio, per non essere costretto a farlo più tardi con ammirazione del pubblico e dopo aver cagionato disturbi all'Istituto? Buon per lui che non aveva segreti con Don Bosco. Gli si presentò nel secondo giorno e gli aperse l'animo. Il Servo di Dio, accortosi della tentazione, quanto più erasi mostrato prima restio a incoraggiarlo perchè entrasse, tanto più lo animò dopo la decisione presa. Alle osservazioni di Don Bosco sulle difficoltà dei principii e sui segni della sua vocazione: - Ha ragione, rispose il Conte rasserenato. Io non faceva queste riflessioni Mi sono lasciato turbare senza motivo. - Facciamo dunque così, conchiuse Don Bosco: Lei non badi tanto alle difficoltà quanto agli aiuti di Dio, che non Le mancheranno. Provi almeno qualche settimana. Intanto preghiamo tutt'e due. Se il Signore non vuole che Lei prosegua in questo stato, io spero che lo farà in qualche modo conoscere.
Cacciato lo scoraggiamento, gli venne un dubbio: chi sa, se quella guarigione avesse continuato? chi sa se non fosse cosa momentanea? Orbene, una mattina, passando per la sacrestia nel recarsi in chiesa, vide la giovanetta che con i genitori veniva a portare un'offerta, camminava, aveva un bel colore, stava insomma benissimo. Tale incontro fu provvidenziale. Da quel giorno la sua risoluzione non patì più scosse nè tentennamenti. [225] L'ingenita nobiltà dei sentimenti, la coerente fermezza di un carattere forte e provato, la fede illuminata e tanti anni virilmente vissuta fecero del conte Cays un Salesiano dì tempra adamantina. Ruppe tosto l'antica abitudine di riposare sino ad ora comoda, uniformandosi all'orario comune. Aveva per cella una umile soffitta lassù fra il secondo piano e lo spiovente del tetto, con l'abbaino per finestra: una di quelle soffitte che sono a Torino gli stambugi della povera gente e che oggi nell'Oratorio sono le abitazioni dei famigli. Durante l'inverno vi mancava qualsiasi mezzo di riscaldamento, onde il Conte per ripararsi dal freddo avvolgeva la persona in un copertone militare di lana verde tolto dal letto. Sedeva poi alla mensa comune, dimentico delle passate larghezze domestiche e pago del povero vitto, così poveramente apprestato. Talora non isfuggiva ai Superiori lo sforzo che doveva fare per mandar giù certa roba e gli facevano presentare qualche cosa di speciale; ma egli non voleva eccezioni. Non basta: poichè gli ascritti avevano il refettorio a parte, dopo alcuni giorni abbandonò la compagnia di Don Bosco a lui carissima per unirsi con quelli fino al termine richiesto. I suoi conoscenti, non ignorando quali riguardi gli abbisognassero per la sua malferma salute, non sapevano comprendere come mai potesse resistere, il barone Carlo Bianco di Barbanía andava dicendo che quello per lui era un miracolo. Tutta la sua vita, come scrive Don Vespignani[123], era studiare, pregare e intrattenersi amabilmente coi confratelli senza mai ricordare nè il suo casato nè le cose del mondo.
Per le mani di Don Bosco nel collegio di Lanzo vestì l'abito da chierico il 18 settembre 1877; ma aveva già intrapreso da tre mesi e più lo studio della teologia[124]. Per incarico di Don Rua gl'impartiva quell'insegnamento Don Vespignani, che, [226] entrato da poco in Congregazione, possedeva una bella cultura ecclesiastica. Di scienza religiosa il Conte era ben agguerrito, essendosi dedicato lungamente all'apologetica anche per tenere con onore il posto di deputato cattolico nel Parlamento subalpino, pervaso da spirito ostile alla Chiesa. Scriveva correntemente in prosa latina; anzi quell'anno, offrendo a Don Bosco nel suo onomastico un prezioso Crocifisso appartenuto già al beato Cafasso, aveva accompagnato il dono con un epigramma in distici latini da lui composti. S'applicò poi con tanto ardore allo studio della teologia, che recitava bravamente la sua lezione in latino. La sua minuziosità nel chiedere spiegazioni metteva a continua prova la sagacia del maestro, il quale si avvedeva quanto egli fosse addentro nella conoscenza della Sacra Scrittura. Nessuno quindi si stupì che Don Rua, esaminatolo ben bene, lo presentasse a Don Bosco per le sacre ordinazioni poco dopo la sua professione perpetua e prima ancora che finisse l'anno 1877.
Il Beato aveva stabilito di ammetterlo ai voti nella festa dell'Immacolata, riducendogli ai minimi termini il tempo del noviziato e così presentarlo per la tonsura e i quattro minori nell'ordinazione di Natale. Per il regime interno della Congregazione Pio IX, che conosceva la grande prudenza di Don Bosco, gli aveva accordate facoltà molto ampie, delle quali egli si serviva senza mai parlarne pubblicamente e senza mai neppure farvi appello nelle controversie che talora insorgevano; i Superiori però ne erano a conoscenza. Naturalmente dopo la morte di Pio IX tali facoltà dovevano cessare.
Don Rua fece la domanda degli ordini sacri per il Conte e per due altri chierici quaranta giorni avanti, come l'Arcivescovo esigeva dall'Oratorio. Il prefetto generale dunque ai 14 di novembre pregò per lettera monsignor Gastaldi, che si degnasse ordinare i suddetti nel sabato delle tempora natalizie 22 dicembre, informandolo che il Conte avrebbe professato l'8 di tal mese. Sua Eccellenza rispose non a Don Rua, [227] ma al Conte così[125]: “Io l'ammetterò in tal giorno alla tonsura ed ai minori, a patto Che Ella si costituisca in questa Curia arcivescovile il patrimonio ecclesiastico: imperocchè io non posso considerare per validi i voti suddetti che si facessero prima del tempo prescritto dalle Regole Salesiane, eccetto che V. S. ne abbia la facoltà con rescritto pontificio, od almeno con lettera della santa Congregazione dei Vescovi e Regolari, che mi sia comunicata, acciò io la esamini. Conoscendo V. S. dal 1829 e sapendo perciò, che Ella è in tutta regola, non esigo che essa richiegga da me i testimoniali prescritti dal decreto pontificio 25 gennaio 1848; e li considero come chiesti e ottenuti. Ma per la sacra ordinazione non posso in coscienza regolarmi diversamente da quanto ho espresso più sopra”. Appianata questa difficoltà nel modo voluto, l'ordinario il 23 novembre notificò che l'avrebbe ammesso con gli altri due chierici Salesiani; ma il 24 riscrisse, dicendo che non avrebbe ammessi questi ultimi. Ciò non ostante essi il 6 dicembre si presentarono entrambi in Curia, pregando che venisse loro significato, se potevano presentarsi all'esame. Monsignore, il quale credeva allora che Don Bosco fosse stato l'ispiratore di una lettera anonima di cui diremo più oltre, fece risponder loro negativamente. Il giorno stesso si presentò pure il Conte, a cui fu risposto che egli era ammesso e gli altri due no. Mortificato e meravigliato il Conte dichiarò ripetutamente di essere Salesiano al pari di quei due e di voler essere tale fino alla morte; non pago poi di queste dichiarazioni orali s'intese con Don Bosco e scrisse la seguente lettera.
Fra tre Salesiani che abbiamo umiliato all'Ecc. V. Reverendissima il nostro ricorso per essere ammessi alle sacre ordinazioni, io per gli ordini minori e gli altri due pel suddiaconato, io solo ho avuta la sorte di esserne favorito.
Devo renderne all'Ecc. V. i miei più vivi ringraziamenti; però sento di avere a compiere ad un altro dovere, che se mi riesce penoso, [228] non devo però tralasciare. Io certamente non devo investigare le ragioni che possono aver determinata la E. V. R.ma a questa diversità di trattamento; però non ho potuto far a meno di riflettere alla differenza più spiccata che passa tra me e gli altri due postulanti; che cioè questi già sono ascritti definitivamente alla Cong. Salesiana, e come tali hanno fatta la loro dimanda, mentre io non lo era ancora. Quando ciò fosse, io mi tengo obbligato in coscienza a far conoscere all'Ecc. V. R. che domani, giorno dell'Immacolata Concezione, avrò la fortuna di emettere i voti di Salesiano; quindi al momento della ordinazione sarò ancor io Salesiano di cuore, e di fatto. Posto così in identica condizione con gli altri due, posso ancor io solo presentarmi alle ordinazioni, a fronte delle ragioni che possono aver persuasa la Ecc. V. a non ammettere i Salesiani alle ordinazioni in questa circostanza?
Sarebbe mio immenso desiderio di non ritardare la conclusione di uno dei più cari miei voti, ma non posso dimenticare che tale mio voto non andò mai disgiunto da quello di far parte della Salesiana Congregazione a cui mi sono consecrato.
Se questo mio atto solenne potesse dare ombra a credere che tale non sia sempre la mia intima persuasione, devo piuttosto, mio malgrado, privarmi dell'onore di presentarmi alle prossime ordinazioni, rimettendo al Signore ed a Maria SS.ma Ausiliatrice il compimento di tale mio desiderio.
Membro di questa Santa Congregazione, non posso separarmi dalla sorte de' miei confratelli, e se questo passo mi è sommamente doloroso, devo però preferirlo a quello che mi potesse dimostrare ingrato a questa buona madre ed occasione di sfregio a' miei confratelli.
Confido che la Ecc. V. non sarà per trovare sconveniente questo mio scritto che è dettato dal desiderio di aprirle sinceramente tutto il mio cuore come a mio Superiore Ecclesiastico, a cui ho sempre avuto ed avrò sempre il più sincero affettuoso rispetto e venerazione profonda.
Mentre baciandole riverentemente l'anello mi pregio di sottoscrivermi,
In Torino si faceva già un gran parlare di questo incidente; la risposta poi del Conte, così ponderata in sè, era pur degna di considerazione per la qualità dello scrivente. Onde l'Arcivescovo, per tema che la sua decisione desse motivo a dicerie di parzialità, fece scrivere immediatamente che i candidati [229] erano ammessi tutt'e tre all'esame. Favorevole essendone stato l'esito, ricevettero gli ordini dalle mani di monsignor Gastaldi.
Nel giorno dell'Immacolata tutti i professi e gli ascritti dell'Oratorio con gli aspiranti studenti e artigiani avevano assistito verso le sei di sera nella chiesa di S. Francesco alla professione del Conte Cays, preceduta da quella triennale dei tre chierici Galavotti, Bielli e Calligaris e del coadiutore Lisa. Nel '52 il Conte aveva aiutato Don Bosco nella costruzione di quella chiesa ed era stato priore della festa di san Luigi; di qui il buon Padre tolse occasione a mostrare le mirabili vie della Provvidenza. Parlò dunque così.
In questo giorno dedicato a Maria Santissima Immacolata, io godo una grande consolazione nel trovarmi con tutti i miei figli Salesiani, professi, ascritti ed aspiranti, e di poter ad essi tutti radunati insieme indirizzare la mia parola. Godo che fra le altre cose fatte in suo onore, vi siano state or ora parecchie professioni religiose, che sono le offerte più grate che si possano fare a Dio ed alla sua Santissima Madre. Rese maggiormente solenne questa festa il rinunziare che alcuni fecero alla propria volontà ed ai propri comodi per far piacere a Maria, dedicandosi al servizio del suo Divin Figlio Gesù. In quanto a me, non posso fare a meno, umanamente parlando, che rallegrarmi anche molto con coloro che hanno emesso i voti.
Ma fra questi per uno specialmente io sono commosso: il Conte Cays. Egli si tratteneva già qui con noi quando si fabbricava questa chiesa, veniva come ausiliario di quest'opera, per prendere parte ai lavori ed aiutarci nei nostri bisogni; egli accettava allora di essere priore nelle nostre feste. Chi allora avesse detto: Verrà un tempo che il Conte Cays in questa medesima chiesa farà i voti di povertà, castità, obbedienza, che egli lascerà tutte le comodità che possiede e tutte le soddisfazioni che può sperare nel mondo, per abbracciare una vita austera e mortificata, si farà Salesiano, lo si sarebbe creduto pazzo. Certamente nè io nè lui lo avremmo immaginato. Eppure quello che nessuno avrebbe potuto immaginare, lo operò la Divina Provvidenza. Egli in questa stessa chiesa che ci aiutò a edificare, dove si è consacrato al Signore coi voti, non certamente per goder in avvenire maggiori soddisfazioni, sarà guida al cielo di molti giovanetti. La divina Provvidenza ha disposto questo fatto per vie mirabili, ed io volentieri l'ho accettato. Oh! bisogna pur dirlo che le vie del Signore sono segrete, e quando giunge il tempo prestabilito egli manifesta la sua volontà. Fortunati coloro che da Dio vengono scelti, [230] siano giovani, siano vecchi, siano ricchi o poveri, a compire la sua adorabile volontà a sua maggior gloria e a loro vantaggio spirituale. Fortunati quelli che, venendo a conoscere questa volontà, subito l'accettano e si accingono all'opera. Saranno salvi in eterno.
Esposta questa idea, bisogna che passi ad esprimere un altro pensiero, a dire una parola generale a tutti i Salesiani, ai miei figli qui raccolti. È la prima volta nell'anno scolastico che io vi posso parlare a tutti insieme, e forse in quest'anno non potrò più avere altra occasione per radunarvi. È una parola che mi venne in mente, mentre si faceva la professione religiosa; ed è questa. Il Catechismo dice: ““Io sono stato creato per conoscere, amare, servire il Signore in questa vita, per andarlo a godere per sempre nella celeste patria”. Quanti sublimi pensieri si raccolgono in questa parola! Vi è materia da meditare pei dotti e per gl'ignoranti, pei ricchi e pei poveri, pei fortunati e per gl'infelici, per tutti coloro insomma che si trovano su questa terra. Tutti siamo chiamati a conoscere, ad amare e servire Iddio. Ma molti sono gl'impedimenti che non ci permettono di amare e servire Iddio come si conviene: le ricchezze, le passioni, il demonio; dimodochè ben pochi sono nel mondo quelli che proprio vivono cristianamente e santamente. Eppure Iddio manifesta la sua santa volontà che ci vuole tutti santi: haec est voluntas Dei sanctificatio vestra. Eppure egli ci dà tutti i mezzi per salvarci, e poi ci dice: Ora pensateci voi a servirvi di questi mezzi.
E quale sarà il mezzo principale, più efficace per diminuire questi impedimenti, e così invece di dover combattere come cento, vi sia più solo da combattere come novanta, come sessanta, come dieci? Sì che vi è il mezzo: fare quello che ci suggerisce Gesù Cristo. Va', abbandona quello che possiedi, e seguimi. Entrare in Religione. Ciò abbatte d'un colpo solo i tre nostri nemici, coi voti di povertà, castità ed obbedienza.
Infatti quanta differenza esiste, tra la pace e la tranquillità di coloro che si consacrano a Dio in religione e quelli che vivono nel inondo! Due pensieri si contendono la prevalenza nella loro mente, due affetti cercano di disputarsi il possesso del loro cuore. Essi credono di potersi salvare godendo delle misere cose di questa terra, mentre è certo che non si può servire a due padroni, nè stare vicini a tutti e due. Amando l'uno bisogna necessariamente odiare l'altro, servendo uno non si può far a meno che disprezzare l'altro. Il demonio ci invita con tutti gli allettamenti immaginabili. Fruamur bonis, coronemus nos rosis, antequam marcescant: ma Gesù Cristo comanda: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, ex tota mente tua, ex tota anima tua, ex totis viribus tuis: tutti intieri come siamo e quanto siamo ed abbiamo ci vuole per sè. Ma nessuno può insieme servire a Dio e godere i piaceri della terra, cioè servire il demonio. Quanto grande è l'attaccamento che l'uomo porta alle ricchezze! [231] Eppure sta scritto: Non potestis Deo servire et mammonae. Coloro che sono nel mondo si trovano fra queste due potenze. Da una parte Dio cui dobbiamo servire; dall'altra la vanità, la concupiscenza, verso le quali ci fa pendere la corrotta natura, mentre dobbiamo assolutamente respingerle, pena un eterno danno. Cedere al mondo e al demonio? Ed ecco strazi di coscienza, rimorsi, e quindi perduta la pace. Resistere? Certo! e combattere infaticabilmente! Da ciò le grandi battaglie che si debbono sopportare nel corso della vita da tutte parti per le passioni ardenti, per gli assalti della vanagloria, della superbia, della gelosia, per gli allettamenti della gola, per il fascino delle ricchezze, che sono spine, disse il Divin Maestro; per acquistarle, per conservarle, per possederle, continue distrazioni, preoccupazioni; affezioni anche troppo spinte, anche a danno dell'anima, e dimenticando Iddio, o non dando al Signore il posto che gli è dovuto nel nostro cuore, per i parenti e per gli amici. E tutti questi combattimenti di giorno e di notte, quando siamo desti e quando andiamo al riposo. Ora in mezzo a queste lotte continue ed acerbe che il demonio muove contro i cristiani, ecco il mezzo che il Signore ci offre per difenderci da tutte le insidie e i tormenti, ed uscirne illesi: accrescere a noi le forze e toglierle al nemico. Se tu vuoi combattere meno, dice Gesù, va', rinunzia alle tue agiatezze, vendi ciò che hai, vieni e seguimi e avrai una mercede centupla nella presente vita, e la vita eterna nel futuro. Così disse ad un giovanetto ebreo che gli aveva domandato in qual modo avrebbe potuto giungere alla perfezione: Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes et da pauperibus et veni, sequere me. Allontanarsi da tutto ciò che è causa di combattimento, troncare ogni relazione coi nostri nemici, metterci ai fianchi del Divin Salvatore, entrare insomma in religione, ecco il mezzo per aver la pace e la sicurezza. Disse Gesù Cristo anche agli apostoli: Se volete cessare di essere pescatori di pesci, e diventar pescatori d'uomini, abbandonate tutto ciò che possedete, e venite con me. Avevano ben poco quei pescatori; eppur Gesù volle che lasciassero anche questo poco. Chi vuol essere veramente mio, disprezzi le cose di questa terra! Ecco la massima che ci lascia il Divin Salvatore, perchè possiamo avere la sicurezza di salvarci.
Ma uno non si può salvare vivendo anche nel mondo? Sì, ma vi debbo anche soggiungere che vi sono molte difficoltà da superarsi, le quali vengono distrutte, se uno lascia il inondo e si consacra tutto a Dio.
Taluno va dicendo: Ma anche nel secolo non vi sono dei santi, degli uomini profondamente cristiani, i quali osservano esattamente la legge di Dio, come quelli che vivono in religione? Ve ne sono, ed è vero, nel mondo molti buoni cristiani, ma vi sono anche molti pericoli, e quante difficoltà si debbono superare per fare un po' di bene! Quando volessero fare qualche atto di pietà, ne sono pressochè [232] sempre impediti; per contrario nella Congregazione, essendo questi atti prescritti per regola, ed essendo stabilito il tempo per praticarli, resta facilissimo dare il pascolo spirituale all'anima. Quanti sono, per esempio, i cristiani nel mondo che fanno la meditazione? Pochissimi. Quali fra i cristiani la possono fare più bene? Qui fra di noi per fortuna vi ha la santa usanza di fare la meditazione tutti i giorni. Se la vogliamo far tutti insieme, non abbiamo da far altro che alzarci presto al mattino. Ci leviamo alle cinque, e andiamo in chiesa senza che alcuno ci disturbi. Nel mondo invece farla molti insieme non si può. Da soli lungo la giornata non si sa qual momento prendere, perchè le faccende di casa incalzano da tutte parti. Ora hanno una visita, ora devono restituirla; oggi saranno invitati ad un pranzo, domani ne dovranno imbandire uno agli amici in casa propria, Sono convenienze sociali imposte dall'uso e guai a chi non le osserva! Si ha da tener cura della famiglia, bisogna pensare a far ristorare la propria abitazione, si deve pagare il fitto a tempo debito e andare a riscuotere le rendite, si ha il negozio, la bottega da accudire.
Non parliamo del levarsi di buon'ora, perchè nel secolo, a dirla com'è, si alzano molto tardi. Alcuni aspettano a lasciare il letto alle sette, alle otto e persino alle dieci. Non è guari che mi sono recato a far visita ad un'onesta persona e mi fu risposto che non poteva parlarle, perchè si trovava ancora in letto. Erano le dieci passate. - E come? Non è ancora alzato? È andato dunque a dormire ben tardi? - io dissi. Mi fu risposto - Veda: fa pranzo alle quattro, poi tiene un po' di conversazione, va al teatro, qualche volta anche al ballo, e non viene a coricarsi prima di mezzanotte; perciò ha bisogno di riposarsi fino ad ora tarda.
Io pensai allora: Se conducessimo anche noi questa vita, che cosa ne sarebbe della meditazione? Eh!! di meditazione non se ne parlerebbe più. E se andiamo ad esaminare come si occupa la loro giornata, troveremo che per fare il bene i mondani incontrano ogni giorno difficoltà maggiori. Talora hanno anche intenzione di ascoltare la messa, di fare una visita in chiesa, ma non hanno mai il tempo e la comodità. Così accade di ogni altra cosa che riguardi la divozione. Insomma il mondo non è un sito per le pratiche di pietà, anzi dirò che è un luogo ov'è difficilissima l'osservanza della legge del Signore, ov'è quasi impossibile mettere in pratica i consigli evangelici. È un gran che se uno si tiene in grazia di Dio e non cade nei lacci tesi dal demonio e dalla carne.
Un buon cristiano adunque che brama restar illeso da questi pericoli, una sol cosa deve fare: fuggirli, ritirarsi in religione, ove sarà come in una fortezza, alla quale i suoi nemici non si potranno avvicinare. Ma Iddio questa singolare grazia della vocazione religiosa non la fa a tutti, e fortunati quelli che sono da lui prescelti! Noi tutti lo fummo, poichè l'averci Iddio qui radunati, è un segno manifesto essere suo [233] volere che qui noi lo serviamo. Ed io vi dico, che perseverando nella religione, nell'osservanza delle regole, tolte le armi di mano ai nemici dell'anima vostra, percorrerete sicuri la via del cielo, avrete il centuplo su questa terra, secondo la promessa del Salvatore, e la vita eterna dopo morte.
Oh se coloro che sono nel mondo potessero conoscere la pace e la felicità che si gode in religione, tutti indistintamente abbandonerebbero i loro passatempi, le loro delizie, le loro ricchezze per dare la scalata ai chiostri e alle Congregazioni religiose, per trovare quella contentezza che indarno vanno cercando altrove. E noi che l'abbiamo conosciuta e che ci siamo raccolti in questo luogo, sappiamo approfittare di tanta ventura. Ecco la grande grazia che Dio ci fa col chiamarci in Religione. Un gran tesoro è nelle nostre mani. Questo vi dico, acciocchè non regni illusione in alcuno. Tutti voi foste chiamati da Dio. Bisogna dunque che corrispondiate alla grazia, e poi state certi, ed io ve l'assicuro, proverete la dolcezza di chi vive in Religione.
Ora qualcheduno dirà: D. Bosco potrà assicurarci proprio che tutti noi siamo chiamati a questo stato? Non voglio andare a fondo per conoscere particolarmente i segni della divina chiamata; ma io credo di potervi rispondere di sì, perchè lo stesso esserci radunati tutti insieme è segno della divina volontà. Ve lo ripeto: osservate le regole, e state sicuri
Però anche voi che siete in Congregazione, non pensate già a fare cuccagna e di potervi salvare stando attaccati almeno col cuore alle miserie di questa terra. Certamente chi anche fra voi volesse servire a due padroni, non dovrebbe stare in Religione per trovarvi pace. Stolto chi facesse i voti pensando che qui non vi sia altro che godimenti! Stolto chi fosse nel numero di quelli di cui dice S. Bernardo: Pauperes esse volunt, eo tamen pacto, ut nihil eis desit! Si disinganni costui, la sbaglierebbe a partito. Nella religione non vi sono tutte rose, anzi è l'opposto; vi sono le spine. Ma vorremo noi coronarci di rose, mentre Gesù è coronato di spine? Talora l'umiltà, l'obbedienza, la mortificazione e il lavoro hanno le loro spine. E chi non sa che stretta è la via del cielo?
Ma io vorrei dire anche a qualcheduno: Non t'ingannare, mettendo nel cuore che la vita religiosa sia una vita tutta di sacrifizi. Prima le spine e poi le rose. È vero che la vita religiosa domanda lavoro continuo, spirito di sacrifizio, umile abnegazione di se stesso; ma queste stesse prove sono fonti di grazie maggiori, e di consolazioni grandissime, pensando che serviamo un padrone così giusto e così buono. È vero che la nostra mercede è in cielo, dice San Paolo; ma anche qui sulla terra in molti modi si ha il centuplo di ciò che uno sacrifica al Signore. Tutto si deve offrire a lui, ogni nostra fatica deve essere a sua gloria, ed anche per lui la mercede della nostra fatica; ma, [234] quando siamo stanchi, il Signore addolcisce il nostro riposo, ed altri compagni ci sollevano: quando il nemico ci tenta, noi lo conosciamo alle sue lusinghe ed abbiamo potenti armi da difenderci, che il Signore stesso ci va porgendo. E sovrattutto il centuplo, che Gesù Cristo promise ai religiosi in questa vita, si deve ripetere dalla pace dalla fiducia, dalle consolazioni che proveremo in punto di morte. Fidelis Deus! Ma ciò che vale più di tutto è la promessa della vita eterna.
E noi tutti, o Salesiani, ci arriveremo, conservando il tesoro della nostra vocazione, osservando le nostre regole e mantenendoci sempre sotto la protezione dì Maria Santissima, che tanto vuole favorirci.
L'anticipata professione del Conte Cays diede origine l'anno seguente a una vertenza incresciosa, che basterà esporre qui per sommi capi. L'Arcivescovo, invece di sentire Don Bosco, come sarebbe stato naturale, denunziò a Roma il fatto della sua ammissione ai voti perpetui prima che egli avesse finito l'anno di noviziato. Da Roma il nuovo prefetto della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, Cardinal Ferrieri, richiese spiegazioni della cosa a Don Bosco. Il Servo di Dio rispose allegando le ragioni canoniche, le quali gli sembravano giustificare a pieno il suo operato e appoggiandole all'autorità di un noto e molto stimato maestro in diritto ecclesiastico:
Interrogato se io in qualità di Superiore Generale della Congregazione Salesiana abbia realmente accordato dispensa al Conte Cays di Giletta dal compiere un intero anno di Noviziato, incorporandolo prima del suo termine alla sopraddetta Congregazione per mezzo dei voti semplici, e per quale motivo io avrei ciò fatto; rispondo candidamente al primo quesito affermativamente: quanto al secondo confesso pure con tutta umiltà che io credetti in buona coscienza di poter ciò fare tanto rispetto alla validità, quanto rispetto alla liceità dell'atto.
Per la validità mi sembrarono militare sufficientemente le ragioni seguenti. Per una parte non è emanata, che io mi sappia, una dichiarazione autorevole, se la legge del Tridentino (Sess. 25, Cap. 15), secondo cui si prescrive sotto pena di nullità doversi premettere un anno intero di Noviziato alla incorporazione negli istituti religiosi, riguardi solo la professione solenne, oppure si estenda anche alla incorporazione che si fa coi voti semplici. Per altra parte gli autori che ne hanno [235] scritto, non sono in ciò d'accordo. Il Bouix, accreditato canonista contemporaneo, nel suo trattato De jure regularium (parte IV, Cap. V, N. II) si pronunzia apertamente per la validità dell'incorporazione fatta prima di compiere l'anno intero del noviziato.
Volendo tuttavia camminare con sicurezza in tale materia, ho fatto richiesta ad un Eminentissimo Porporato del suo parere, il quale, dopo interrogato il S. Padre, mi rispose che noti v'era ragione di dubitarne e quindi poteva tranquillamente seguire l'approvato autore (Bouix) che accennava.
Del resto sarà almeno permesso il dubitarne. In questo caso trattandosi di legge rigorosa potremo nel dubbio, stando ai principii generali, interpretare la legge nel senso più stretto e rigoroso, ed ammettere senza tema di errare, che sia valida l'incorporazione del Novizio prima ancora ch'egli abbia compito interamente il Noviziato.
Partendo da un altro principio si può similmente osservare, che la legge citata del Tridentino parla della necessità dell'anno intero per la validità della professione. La legge essendo rigorosa, come abbiamo detto, vuole essere interpretata nella stretta significazione dei termini, secondo cui la parola professione significa solennità di voti religiosi. Dunque di questi soli si potrà interpretare a buon diritto la legge del Tridentino.
A conferma di tutto ciò si noti, che dove, secondo la recente disciplina, si parla dei voti semplici da premettersi ai voti solenni, si stabilisce bensì che sia nulla la professione solenne se non precedano i voti semplici, non s'accenna però mai che siano parimenti nulli i voti semplici, dove non vengano preceduti da un anno intero di Noviziato. Segno evidente che la S. Sede non ha credute necessarie le medesime condizioni per gli uni e per gli altri.
E meritamente, giacchè i voti solenni sono assolutamente indispensabili, e difficilmente vi si può arrecare rimedio, quando siano emessi incautamente e senza avere almeno compite le prove; dove ciò non accade pei voti semplici. Onde si fa manifesto che le leggi stabilite pei voti solenni non si possono per sola analogia e senza parità, di causa estendere ai voti semplici.
Finalmente nemmeno per parte delle costituzioni Salesiane potrebbe affermarsi che sia invalida una tale dispensa dall'anno intero del Noviziato, perchè in nessun luogo di esso viene stabilito che tale dispensa non si possa accordare dal Superiore Generale.
Provata così la validità della dispensa rimane a stabilire nel nostro caso la liceità.
Senza dubbio una tale dispensa sarebbe illecita, come contraria agli interessi della religione e del Novizio, se non vi fossero gravi ragioni per fare una eccezione, come dice il Bouix nel luogo citato.
Ma nel nostro fatto si tratta di un caso straordinario: si tratta cioè di una persona molto distinta per pietà, per talenti, per dottrina, [236] per vita lunga ed operosa in servizio di Dio: di un dotto laureato in utroque jure, istruito nella Sacra Teologia Dommatica e Morale, eletto membro del Parlamento Sardo, in cui fece belle prove di scienza e di coraggio cristiano in compagnia dell'amico Conte Solaro della Margherita, di un intelligente Direttore della Società di S. Vincenzo de' Paoli, chiaro per nobiltà e per censo patrimoniale, provveduto di titolo per sacri ordini, che prima ancora di principiare il Noviziato passò varii mesi in prova della vita religiosa che meditava di abbracciare nella casa madre dei Salesiani, rinunciando ai comodi della vita, nella grave età di oltre a sessantacinque anni. Onde non rimaneva luogo a dubitare nè delle ottime qualità del Novizio, nè della maturità della deliberazione, nè della fermezza nel santo proposito, nè del bene che avrebbe potuto fare in servizio della Religione e della Chiesa; anzi era scopo della dispensa il rimeritare per una parte un uomo, che aveva dato un esempio così singolare di virtù e di sante intenzioni, e di metterlo in grado di giovare il più che si potesse prontamente a quei tanti bisogni, cui la nascente Congregazione è chiamata per divina bontà a provvedere.
In prova di tutto ciò valga l'autorità stessa dell'Arcivescovo di Torino Mons. Gastaldi, che con lettera indirizzata al Novizio credette potergli dare un segno di stima col dispensarlo, tutto da sè, dalle testimoniali richieste per ammettere lecitamente il novizio alla tonsura ed agli ordini minori.
Con tutta la fiducia di essermi giustificato immune da errore e da colpa, mi dichiaro come è mio dovere, sempre pronto alla osservanza delle leggi ecclesiastiche ed a quelle norme, cui la Sacra Congregazione piacesse prescrivermi per mia condotta e per il buon governo della Congregazione Salesiana.
Queste considerazioni non incontrarono favorevole accoglienza; infatti il Cardinale gli rispose che bisognava stare a quanto prescrivevano le Costituzioni salesiane in materia di voti[126]. La lettera di Sua Eminenza fu trasmessa d'ufficio a Don Bosco il 7 luglio dall'avvocato Don Costantino Leonori, che da qualche tempo lo assisteva presso le Congregazioni Romane[127]. [237] Ma Don Bosco non aveva detto tutto nella lettera surriferita. Allorchè nel novembre del 1877 vennero mosse a Torino le prime obiezioni sulla validità dell'imminente professione religiosa del Conte, egli si era consultato con un Cardinale di Curia, che probabilmente, per non dire certamente, fu il Cardinale Berardi, suo consigliere intimo negli affari più delicati, e l'aveva inoltre pregato di far parola dell'incidente col Papa. Il Santo Padre non trovò nulla a ridire intorno a quello che Don Bosco aveva giudicato bene di fare. Altro non si poteva attendere dal Santo Padre; più d'una volta noi abbiamo avuto occasione di ricordare come per il governo interno della Società Pio IX l'avesse munito oralmente di facoltà amplissime, tanto Egli si fidava della sua prudenza. E prudentemente Don Bosco profittava della sovrana liberalità e ancor più prudentemente ne parlava. Insistette dunque nel chiedere una sanatoria senza che occorressero speciali formalità, lumeggiando meglio e con tutta umiltà le ragioni del suo procedere. Riscrisse pertanto così:
Il giorno 8 del corrente mese riceveva la veneratissima lettera con cui la E. V. mi invitava a chiedere una sanatoria pel Conte Cays, che sarebbe stato ammesso alla professione religiosa prima che fosse terminato l'anno di Noviziato o, come dicono le nostre Costituzioni, prima che finisse il tempo della seconda prova.
Senza fare la minima osservazione, chiedo soltanto in via di grazia per ossequio alla S. Sede e per decoro della Congregazione cui sono stato preposto, che io richiami alcune ragioni su cui mi sono fondato nel concedere questa dispensa, siccome fu più diffusamente esposto nella mia lettera antecedente.
1° Accreditati canonisti, come il Bouix, il Ferraris, asseriscono che il decreto tridentino sull'anno intero di noviziato stringe solamente gli ordini religiosi di voti solenni, che professano obbedienza, [238] castità e povertà in senso assoluto, ma che le Congregazioni ecclesiastiche di voti semplici non sarebbero in quello comprese e che perciò i superiori di queste per gravi motivi possono dispensare da qualche frazione di quel tempo di prova.
2° Volendomi tuttavia assicurare del mio procedere ho pregato un benemerito Porporato a volerne fare parola col S. Padre.
La risposta fu che, appoggiato all'autorità di quegli scrittori e sopra l'autorevole dichiarazione di S. S., io poteva con tutta tranquillità accordare quella dispensa.
Non ho dimandato alcun Rescritto, trattandosi di un caso particolare relativo a cose interne dell'Istituto.
Esposte queste ragioni del mio operato, io mi prostro umilmente ai piedi della E. V. implorando venia dell'errore involontariamente commesso e chiedo la necessaria sanatoria.
Noto solamente che il tempo prescritto per il Noviziato del Conte Cays essendo già da più mesi trascorso, io farò al medesimo ripetere la formola della professione religiosa, e compierò tutte le altre cose che la E. V. giudicasse di comandare.
Ho l'alto onore di potermi professare della E. V. Rev.ma
Indubbiamente Don Bosco avrebbe fatto meglio a premunirsi di un Rescritto pontificio da potersi produrre in ogni evenienza; ma egli non sentì la necessità di chiederlo, sia perchè il Conte, costituitosi il patrimonio presso la Curia torinese, riceveva ormai regolarmente gli ordini sacri, sia perchè egli era lungi le mille miglia dal presagire che il caso sarebbe stato deferito al tribunale di Roma. Per questo motivo si trovò allora sguernito del suo più valido mezzo di difesa, quando Pio IX era morto.
Il Prefetto della Sacra Congregazione ai 29 di luglio replicò che si domandasse semplicemente la sanatoria sul noviziato e la professione del Conte e che questi dichiarasse per iscritto essere sua volontà di ottenerla.
Parlare subito della faccenda al Conte sarebbe stato un gettargli all'improvviso lo sgomento nell'animo e lasciargli credere che dai Superiori si agisse con la testa nel sacco e con ignoranza delle leggi ecclesiastiche; le quali cose gli [239] avrebbero tolta la serenità necessaria per prepararsi all'ordinazione sacerdotale avvicinantesi a grandi passi. Poichè conviene sapere che uno dei motivi di accelerargli i voti era stata la necessità di liberarlo dalle angustie di un'agitazione interna, la quale difatti cessò. Don Bosco stimò quindi opportuno temporeggiare e aspettare il momento propizio, tanto più che il Cardinale non fissava alcun termine all'esecuzione. Intervenne poi il periodo estivo, nel qual tempo si rallentavano i lavori delle Congregazioni romane; sicchè il Conte ebbe agio di celebrare tranquillamente la sua prima messa ed anche di fare con Don Rua un viaggio a Parigi per trattarvi importanti interessi della Congregazione, come narreremo più innanzi. Al suo ritorno egli era ormai in uno stato d'animo che gli permetteva di ricevere l'inattesa comunicazione senza pericolo di contraccolpi. Difatti, udito quello che si voleva da lui e compresa bene la natura e la portata della cosa, in data 4 dicembre scrisse al Santo Padre la sua supplica nella forma seguente “Carlo Cays sacerdote Salesiano in Torino ossequiosamente espone alla Santità Vostra essergli stato detto che la sua professione religiosa sia irregolare perchè non conforme a ciò che prescrivono le Costituzioni della detta Congregazione Salesiana; pertanto implora umilmente benigna sanatoria, dichiarando essere sua assoluta intenzione di continuare nella Congregazione Salesiana, pronto a rinnovare la sua religiosa professione con voti perpetui...”. Il 12 dicembre l'avvocato Leonori spedì il Rescritto[128], nel quale s'ingiungeva al Conte di passare un mese intero nella casa di Noviziato sotto la direzione del maestro dei novizi e poi di ripetere la professione perpetua a norma delle Costituzioni. Con tutta semplicità il buon religioso rientrò per la mensa nel refettorio dei [240] Novizi, unendosi anche a loro per tutto un mese negli esercizi propri del Noviziato, e infine rinnovò privatamente nelle mani di Don Bosco la sua professione perpetua. Così la questione fu finita nè mai più se ne parlò.
Tutto questo, come dicevamo sopra, non impedì al Conte Cays di ricevere tutti gli ordini sacri col titolo del patrimonio. Ebbe il suddiaconato da monsignor Salvai, Vescovo di Alessandria, il 15 aprile 1878; il diaconato dall'Arcivescovo il 15 giugno e il presbiterato dal medesimo il 20 settembre. Sua Eccellenza volle conferirgli l'ultima ordinazione nella chiesa cattedrale, alla presenza di molti nobili signori e signore, parenti, conoscenti e amici dell'ordinando e in mezzo a gran concorso di popolo. Il sacerdote novello avrebbe potuto celebrare solennemente in Torino la sua prima messa; ma la sua pietà ne sarebbe stata troppo distratta. Perciò, rinunziando a ogni festa, si allontanò dalla città e recatosi col figlio a Sampierdarena, cantò ivi la messa nella chiesa dell'ospizio di San Vincenzo. Tutto infervorato, commise una distrazione di quelle che si ricordano per un pezzo. Giunto alla benedizione finale, invece di proferirne la formula a bassa voce, la intonò a note spiegate, more Episcoporum.
Il Beato Don Bosco, che si trovava a Sampierdarena per dirigere gli esercizi spirituali, assistette all'altare il neolevita, e mentr'egli faceva il ringraziamento, scrisse all'avvocato Fortis torinese, desideroso allora di seguir l'esempio del Conte facendosi salesiano. Il Servo di Dio lo conosceva da giovane, perchè molto amico di suo padre. Lo chiama professore, perchè Don Bosco l'aveva incaricato di dare lezioni di Filosofia ai chierici dell'Oratorio.
Il conte Cays termina in questo momento la sua prima Messa, e mentre egli fa il ringraziamento scrivo due linee.
Mercoledì cominciano gli esercizi a Lanzo e ti attendo sotto pena di andarti a prendere.
Doppio guadagno se teco verrà eziandio il nostro caro Riccardo[129] [241], che desidera di diventar buono, ma vuole fare miracoli, come io desidero.
Spero che Papà sarà bene in salute; non oso invitarlo, ma se mai venisse anch'esso a Lanzo, faremmo una gran festa e gli userei tutti i riguardi possibili. Io prego per lui tutti i giorni e prego Dio che gli conceda lunghi anni di vita felice.
Dio ci benedica tutti; umili ossequii a Mamma, a Riccardo, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.
Sac. Gio. BOSCO[130].
Dopochè fu sacerdote, Don Carlo domandò ogni giorno alla Madonna tre grazie, per il termine della sua vita: di morire presso Don Bosco e da lui assistito; di poter benedire quei della sua famiglia, perchè conservassero la fede dei loro padri; di non soffrire molto nel morire, perchè diceva di avere poca pazienza.
Pio, umile, obbediente, mortificato, caritatevolissimo, edificò per soli cinque anni i suoi Confratelli; poichè il Signore lo chiamava a sè il 4 ottobre 1882. Morì nell'Oratorio, assistito da Don Rua, al quale Don Bosco lo affidò negli ultimi due giorni, essendo egli aspettato a San Benigno per [242] la chiusura degli esercizi spirituali. Il virtuoso Conte fece generosamente a Dio il sacrificio causatogli da quell'assenza; ma anche nell'assistere i moribondi quel figlio di predilezione rappresentava degnamente il Padre; infatti era opinione generale in casa che Don Rua avesse dal Cielo doni speciali per così delicato ministero.
Fino all'estremo istante gli atti e le parole del morente furono un sublime esercizio delle virtù teologali e una testimonianza continua del suo sincero amore alla vita religiosa. Nei frequenti colloqui con Don Rua si doleva talvolta di non aver sempre durante gli ultimi mesi osservate tutte le regole, come quella del levarsi al mattino con la comunità. Ringraziava il Signore che, compatendo alla sua fragilità, gli risparmiasse gravi sofferenze fisiche. L'ultima sera benedisse con effusione di cuore il figlio e la nuora, spirò nelle prime ore del giorno consecrato al centenario di S. Francesco d'Assisi, com'egli aveva predetto. Al vedere quanto dolce fosse stato il suo morire, Don Rua, parlandone in pubblico, rammentò la santa massima che il piacere di morire senza pena vale ben la pena di vivere senza piacere.
AL compiersi del terz'anno dall'approvazione definitiva delle Regole correva l'obbligo di tenere il primo Capitolo Generale; poichè fino al 1904 la convocazione ordinaria dei Capitoli Generali era prescritta di tre in tre anni. Don Bosco vi pensava da tempo; ma ne parlò la prima volta il 21 aprile 1877. - Siccome è il primo, disse allora a parecchi Superiori, intendo che si celebri molto solennemente, dovendosene mandare gli atti a Roma. Ciò farà prendere un nuovo aspetto alla Congregazione... Sarà un gran passo! È bello vedere come d'anno in anno si faccia sempre un passo rilevante. - Egli lavorava allora a preparare uno schema completo delle cose che riteneva opportuno proporre all'esame e alle deliberazioni dell'assemblea. - Desidero, soggiunse, che questo Capitolo faccia epoca nella Congregazione; cosi, morendo io, si vedranno le cose già tutte aggiustate e composte. - Qui il cronista osserva: “È mirabile come Don Bosco sembri lasciar passare mille cosette come inosservate: non ne parla, ma bada a tutto, vi medita sopra e, venuto il momento d'importanza, ha tutto preparato”.
Suo pensiero dominante era in quel tempo di consolidare bene la Congregazione, sicchè non vi restassero imbrogli per chi sarebbe venuto dopo di lui; questo Capitolo poi gli sembrava l'ultimo grande fatto, al quale egli avrebbe posto mano [244] prima di morire: onde, messi un po' da banda gli affari non appartenenti alla Congregazione, vi attese con ogni ardore. - Ora si tratta, disse pure, di ridurre tutto a vita regolare... Finora si disse: Le cose vanno bene. Ma, oh quanto siamo ancora lontani dalla vera regolarità! È presto detto: Vita comune! Molto ancora ci manca ad attuarla. Le nostre Regole sono brevi; ma in molti punti una sola parola richiederebbe più capitoli di spiegazione sul modo pratico di eseguirla. Se, quando facevo le Regole, avessi avuta l'esperienza che ho al presente, le avrei fatte ancora molto più brevi, da ridurle forse a una quinta parte; perchè a Roma per le approvazioni non si finisce mai di stare sopra ogni parola che vi è scritta, e al resto non si bada tanto. Alle Congregazioni romane si presenta l'ordinamento organico; di quello che riguarda la pratica, si lascia a noi il pensiero. Ora della pratica specialmente si ha da trattare in questo Capitolo Generale. Adesso tante prescrizioni non si praticano ancora; anzi non si conosce neppure che siano contenute nelle Regole. Perciò queste saranno spiegate con precisione e s'indicherà il modo dì osservarle.
Terminato che ebbe lo schema delle proposte, ne fece stampare un discreto numero di copie, che nel mese di luglio spedì ai Direttori, perchè le distribuissero ai confratelli; egli invitava tutti a studiare le questioni ivi paragrafate e a formulare ognuno le proprie osservazioni, che si sarebbero poi raccolte e ordinate per materie, a fine di rimetterle durante il Capitolo alle commissioni che verrebbero incaricate di discutere i diversi temi. Al suo schema Don Bosco premise queste avvertenze.
Le nostre Costituzioni al capo sesto articolo 3° stabiliscono che ogni tre anni si debba tener un capitolo generale, cui è attribuita la facoltà di trattare e proporre tutte le cose che possono tornare a vantaggio dei Soci in particolare o della Congregazione in generale. Essendo appunto già trascorsi tre anni dalla definitiva nostra approvazione, è dovere che questo capitolo sia intimato e celebrato. Ci dovranno prendere parte i Direttori ed i Prefetti di tutte le nostre case, purchè la distanza o qualche altra ragione non renda a taluno [245] impossibile la venuta. Siccome poi questo è il primo capitolo generale della nostra Congregazione, interessa certamente tutti i soci di adoprarsi, affinchè si ottengano tutti i vantaggi che possano contribuire al bene comune. Questo capitolo sarà convocato in Lanzo, o prima o dopo gli esercizi spirituali. Sarà esso come il regolamento pratico delle nostre Costituzioni; perciò i Direttori, gli Economi o Prefetti coi capitoli della rispettiva casa devono avere preventiva cognizione delle cose da trattarsi a fine di preparare quelle aggiunte e quei riflessi che fossero reputati opportuni. Ogni Direttore pertanto comunicherà questi schemi ai singoli membri del capitolo della sua casa, raccomanderà e darà comodità a ciascuno di studiare la materia proposta.
I prefetti furono invitati come semplici consultori ed anche per dare al Capitolo la massima solennità possibile; ma all'atto pratico si vide, che, data l'assenza dei Direttori, i prefetti non si potevano allontanare dalle case e perciò Don Bosco stabilì che sopra certe questioni di loro competenza sarebbero stati uditi in altra sede, quando intervenissero agli esercizi spirituali. Dei componenti il Capitolo Generale si dirà più innanzi.
Allo schema faceva seguito un regolamento del Capitolo Generale, che, approvato con pochissime modificazioni, servì di norma per i Capitoli successivi. Lo schema ha per noi grande importanza, perchè compilato da Don Bosco stesso in più giorni di studio; per questo motivo è bene spiluccarne quei punti che giovano a farei comprendere la mente del Fondatore intorno ai precipui problemi della vita religiosa; tanto più che non è facile oggi trovarne esemplari. Dei 21 paragrafi che lo compongono, daremo i titoli e le parti più significative.
1° Vita comune. Propone vari quesiti, movendo da questo principio fondamentale: “La vita comune è il legame che sostiene le Istituzioni religiose, le conserva nel fervore e nell'osservanza delle loro Regole. Senza vita comune tutto va soqquadro”.
2° Sanità e riguardi. Anche qui piglia le mosse da idee norme generali, che sole ora a noi interessa di conoscere. “Dobbiamo avere grande cura della sanità nostra e di quella [246] dei nostri confratelli. La sanità è un dono assai prezioso del Signore, con cui possiamo fare molto bene a noi e agli altri. Ma si badi che questa sanità si trovi in buono stato all'epoca dell'accettazione in Congregazione, e coloro che danno voto o notizie a quest'uopo, cerchino di averle esatte, e in generale dì non dare il voto di accettazione a quei candidati, che non possono uniformarsi alla vita comune e compiere tutti gli uffizi e tutti i lavori, che sono propri della nostra Società. Quando poi uno è accettato definitivamente, si usino tutti i riguardi necessari. È mezzo efficace per conservare la sanità che vi sia sufficiente riposo, non troppo lavoro, non si mangi fuori dell'ora stabilita. Niuna applicazione alla sera dopo cena, anzi dopo le orazioni comuni ciascuno si rechi tostamente a riposo. La diligenza d'ogni socio nel compiere il proprio dovere, il ragionevole riparto degli uffizi secondo la sanità, la scienza, l'attitudine e le propensioni gioveranno assai alla conservazione della salute”.
3° Studio. Parla di studi letterari e teologici dei chierici e della preparazione al predicare. Niente di notevole.
4° Studio per gli allievi. Fa alcune raccomandazioni preliminari: “si abbia massima cura che gli allievi non passino il tempo in ozio, ma che non istudino più di quello che ognuno può. Il maestro non isforzi a progredire coloro che sono di scarso ingegno; gli allievi siano aiutati nelle rispettive classi”. Infine suggerisce queste quattro cose “da tenersi in considerazione” per il profitto degli allievi nello studio: “la precisione dell'orario, l'osservanza della disciplina, le passeggiate a suo tempo senza fermate e non troppo lunghe, non troppe vacanze, e queste pure condite con istudi di gradimento”.
5° Libri di testo. Per regola generale vuole che “i libri di testo siano scritti o corretti dai nostri soci o da persone notoriamente conosciute per onestà e religione”. Vuole parimente che si vegli sui libri di premio: “È meglio dare un libro meno gradito ma buono, anzichè uno ambito e curioso, ma che contenga massime o principii dannosi ai premiandi”. [247]
6° Moralità tra i soci salesiani. Punto di partenza: “La moralità è il fondamento e la conservazione degli Istituti religiosi. Non basta che questa sia palese esternamente, ma deve essere preventiva; vale a dire che preceda l'entrata in Congregazione”. E perciò ecco i criteri da lui imposti per l'accettazione degli aspiranti e per l'ammissione degli ascritti: “Prima di accettare un aspirante si prendano informazioni da fonte sicura sulla sua condotta morale antecedente; si transiga sulla scienza e sull'interesse materiale, ma si usi rigore intorno alle doti morali; nè mai si accetti un individuo, il quale per ragione d'immoralità sia stato espulso da qualche collegio, seminario o istituto educativo. Gli ascritti che nell'anno di prova mettono in dubbio questa dote importante, non siano ammessi alla professione religiosa. Anzi è meglio seguire l'usanza di altre corporazioni religiose, che rimandano il novizio appena vi è indizio che la moralità non sia ben fondata”. Per i professi, batte sull'osservanza delle Regole, sull'obbedienza, sulle pratiche di pietà e sulle uscite non necessarie.
7° Moralità tra gli allievi. Mette in prima linea l'esempio dei Salesiani: “La moralità tra gli allievi progredisce in proporzione che essa risplende nei Salesiani. I giovinetti ricevono quello che loro si dà; e i Salesiani non potranno mai dare agli altri quello che essi non possedessero. Siano ben considerate queste parole, e i Direttori ne facciano tema delle loro conferenze”. Poi “seme di buon costume tra gli allievi” sono “la precisione dell'orario e la puntualità di ciascuno al proprio uffizio”. Vengono quindi certi “Rigagnoli per cui le grazie e le benedizioni scorrono e si fanno via al cuore dei giovanetti”, cioè piccolo clero, compagnie, sacramenti, tridui, novene, esercizi spirituali, funzioni e solennità di chiesa. Finalmente sono buoni mezzi “i trastulli”; preferibili però quelli “in cui ha parte la destrezza della persona”, e da sbandirsi quegli altri che portano a “tratti di mano, baci, carezze” e simili. [248]
8° Abiti e biancheria. Nulla di speciale, nella parte dispositiva; ma lo spirito del Beato è in questo suggerimento: “La pratica di queste disposizioni abbisogna di molta carità; perciò i Superiori veglino che ciascuno sia decentemente vestito nè gli manchi alcuna cosa necessaria a riparare il freddo o a mitigare altrimenti il rigore delle stagioni”.
9° Economia nelle Provviste. Vi fanno da cappello questi due periodi: “Il nostro vivere è appoggiato sulla divina Provvidenza, che non mai ci mancò, e speriamo che non sarà per mancarci. Noi però dobbiamo dal canto nostro usare la massima diligenza per fare risparmio in quello che non è necessario, per diminuire le spese e dare qualche utilità nelle compre e vendite”.
10° Economia nei lumi. Sono le solite raccomandazioni e proposte.
11° Economia nella cucina e nei legnami. Di mezzo a una serie di norme pratiche balza fuori questa raccomandazione: “Ogni giorno il Prefetto faccia le sue ordinarie visite in cucina sia per osservare quello che manca, sia per impedire che altri vada in cucina, se non è addetto a qualche lavoro”.
12° Economie nei viaggi. Osservazioni comuni. Vi collega la giusta misura nella corrispondenza epistolare.
13° Economie nei lavori e nelle costruzioni. Dice qui il Beato Don Bosco: “Offende l'occhio delle persone oneste il vedere eleganza, ricercatezza negli edifizi, nelle suppellettili e negli apprestamenti di tavola presso di chi loro suole domandare carità”.
14° Rispetto ai Superiori. Anzitutto il grande ammonimento: “tutti quelli che esercitano qualche autorità, se vogliono essere ubbiditi e rispettati, facciano essi stessi altrettanto verso i loro rispettivi superiori”. Nel rimanente nulla di nuovo, se non fosse l'insistere perchè un paio di volte all'anno ogni Salesiano scriva al Rettor Maggiore “intorno alla propria sanità, alle difficoltà nel rispettivo uffizio e nelle altre cose che si riferiscono moralmente o materialmente alla [249] sua persona”; missive e risposte “non possono esser lette da altri fuori di colui che scrive o da chi esso volesse farle vedere”.
15° Ispettorati o provincie. Tre linee maestre per un primo regolamento che bisognerà compilare nel prossimo Capitolo per gl'Ispettori: rapporti scritti mensili dei Direttori, prelevamenti di danari dalle case e uso da farne, visite ordinarie e straordinarie. Don Bosco assegna all'esercizio della “autorità” ispettoriale questi due compiti: “promuovere l'osservanza delle nostre Regole” e “impedire le cose che possono generare abusi”.
16° Ospitalità, inviti e Pranzi. “Buone maniere, cortesia con tutti”. L'ospitalità a mensa ““sopra tutto nei giorni di magro” si offra “Rispettosamente”, ma “solamente a coloro che non istanno sulle pretese”. Nel seguito del paragrafo son tutte cose note.
17° Usanze religiose. Intende qui “le pratiche di pietà non comandate dalle nostre Regole”. Ci porge questa norma pratica: “Ogni Direttore ritenga le usanze della Casa Madre, ne serbi memoria e le mantenga in vigore nella casa a lui affidata”.
18° Abitudini. Tutte cose passate nel Regolamento.
19° Limosine. Precipuo: “secondo la nostre Costituzioni niuno può conservare danaro presso di sè nè in piccola nè in notabile quantità senza uno speciale permesso del superiore. Quindi, vivendo noi di Provvidenza quotidiana, non siamo in grado di fare alcuna limosina”. Norma pratica.. “tuttavia per la posizione nostra in faccia alla civile società e pei tempi in cui viviamo, ogni Direttore può concedere alcuni soldi ai preti di sua casa, affinchè possano fare qualche limosina nei casi di strettissimo bisogno o di grave convenienza, cioè ad evitanda scandala aut convicia”. Precauzione importante: “Nè prima nè dopo avere udite le confessioni, neppure in sacrestia si facciano limosine, perchè tale cosa potrebbe cagionare disturbi ed anche interpretazioni che ogni religioso deve assolutamente evitare”. [250]
20° Degli ascritti. Il punto più degno di nota è quello dove si raccomanda di rinviare tosto alla propria famiglia ogni ascritto che dopo l'anno di prova non fosse per gravi motivi ammesso alla professione religiosa. Della qual severità il Beato arreca due ragioni: “Ciò che non ha fatto nell'anno di prova, difficilmente lo farà dopo e, quando anche lo facesse, sarebbe uno sforzo momentaneo, sopra cui non si può calcolare... Fermandosi ancora in Congregazione, per lo più dissemina il malumore e il malcontento”.
21° Vacanze. Don Bosco si mostra in ogni occasione avversissimo alle andate in patria o presso parenti e amici o alle case di allievi. Anche qui ripete la nota sua raccomandazione: “L'esperienza ci ammaestrò che tali andate nel secolo furono sempre dannose e se qualche volta taluno giudicò di avere riportato qualche apparente vantaggio materiale, è però certo che non si può sapere di un solo che abbia conseguito alcun vantaggio spirituale”.
Poco tempo era trascorso dall'invio dello schema, che fu dato l'avviso del giorno di convocazione: l'apertura venne fissata per il pomeriggio del 5 settembre. I Direttori pertanto nel dì prescritto si raccolsero a Torino, donde partirono alla volta di Lanzo, sede dei lavori. Qui radunatisi verso il tramonto nella cappella del collegio, Don Bosco intonò il Veni Creator. Finito l'inno e data lettura degli articoli 3°, 4° e 5°, capo sesto, delle Regole, il Beato rivolse ai capitolati brevi parole.
Noi diamo ora cominciamento al primo nostro Capitolo Generale che da questo punto dichiaro aperto e convocato. Noi intraprendiamo cosa della massima importanza per la nostra Congregazione. Si tratta in modo speciale di prendere le nostre Regole e vedere quali siano le cose che si possono stabilire per ridurle uniformemente alla pratica in tutte le case che vi sono già al presente e in quelle che la divina Provvidenza disporrà che si possano aprire in futuro. Tutti avete in mano lo schema preventivo appositamente stampato; voi l'avete già annotato e avete ricevuto e siete incaricati di ricevere tutte quelle osservazioni che i singoli membri della Congregazione possono avervi [251] fatte per proporle al Capitolo. Altro non rimane che radunarci nel nome del Signore e trattare quelle cose che saranno proposte.
Il Divin Salvatore dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue di Gesù Cristo. Possiamo dunque essere certi che il Signore si troverà in mezzo a noi e condurrà Egli le cose in modo che tutte ridondino a sua maggior gloria.
Intendiamo in questo momento di porre il Capitolo sotto la protezione speciale di Maria Santissima essa è l'aiuto dei Cristiani e niente le sta più a cuore che coadiuvare coloro che non solo cercano di amare e servire il suo Divin Figliuolo, ma si radunano appositamente per istabilire il modo pratico di ottenere lo stesso fine anche nel maggior numero di uomini che sia possibile. Maria è lume dei ciechi; preghiamola che si degni proprio d'illuminare le nostre deboli intelligenze per tutto il tempo dì queste adunanze. S. Francesco di Sales poi che è nostro titolare, presiederà esso alle conferenze e speriamo che ci otterrà da Dio il necessario aiuto per prendere risoluzioni che siano secondo il suo spirito.
La cosa che più è da raccomandarsi e che bisogna si osservi in modo assoluto, è il segreto strettissimo di tutte le cose che si trattano in queste conferenze fino a tanto che siano compiute e sia arrivato il tempo di dar loro pubblicità. Allora si stamperanno le decisioni prese e si manderanno a confermare dalla Santa Sede, infallibile maestra in queste cose, e quindi saranno pubblicate.
Desidero grandemente che si proceda adagio e bene. Dacchè siamo per questo, lasciamo altri pensieri e attendiamovi seriamente. Se non bastano pochi giorni, ne impiegheremo più, impiegheremo tutto il tempo necessario; ma che sia poi una cosa fatta.
Ora invochiamo la protezione di Maria Santissima col canto dell'Ave maris stella e si darà là benedizione col Santissimo Sacramento; quindi ci recheremo nella sala del Capitolo a dar principio alle nostre conferenze.
Impartita la benedizione col Santissimo, si procedette immediatamente alle operazioni preliminari nella sala del Capitolo, che fu la stanza della Direzione. Riporteremo qui i nomi dei capitolari e dei consultori, nell'ordine e con le qualifiche di ognuno, secondo che li troviamo nei verbali. In certi ambienti torinesi circolava purtroppo ancora la voce malevola che i Salesiani fossero un'accozzaglia d'ignorantelli, buoni solo a far del chiasso e nulla più; questo spiega la cura [252] che ebbe Don Bosco di mettere in evidenza i titoli culturali dei presenti, tanto più che alle sedute egli invitava anche persone estranee. Ecco dunque l'elenco ufficiale.
1°.Sac. D. GIOVANNI Bosco, fondatore e Rettor Maggiore della Congregazione; autore di molti libri pubblicati a benefizio specialmente della gioventù.
2°.Sac. MICHELE RUA, Prefetto della Congregazione, professore di rettorica.
3°.Sac. GIOVANNI CAGLIERO, Catechista della Congregazione, dottore in teologia, celebre maestro e compositore di opere musicali ed Ispettore delle case dell'America del Sud.
4°.Sac. CARLO GHIVARELLO, Economo della Congregazione, maestro ed inventore di parecchi attrezzi di fisica e di meccanica.
5°.Sac. CELESTINO DURANDO, Consigliere scolastico della Congregazione, professore e autore di varie opere letterarie.
6°.Sac. GIUSEPPE LAZZERO, Consigliere del Capitolo Superiore, Direttore della casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
7°.Sac. ANTONIO SALA, Consigliere del Capitolo Superiore ed economo della casa di Torino.
8°.Sac. GIOVANNI BONETTI, Direttore del collegio di Borgo San Martino, professore di ginnasio, autore di varie produzioni letterarie.
9°.Sac. GIOVANNI FRANCESIA, Direttore dei collegio di Varazze, dottore in lettere, commentatore di Dante.
10°.Sac. FRANCESCO CERRUTI, Direttore del collegio di Alassio, dottore in lettere, autore di varie opere scolastiche.
11°.Sac. GIOVANNI LEMOYNE, Direttore del collegio di Lanzo Torinese, licenziato in teologia, autore di varie produzioni a pro della gioventù e del popolo.
12°.Sac. PAOLO ALBERA, Direttore dell'ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena, professore di ginnasio.
13°.Sac. FRANCESCO DALMAZZO, Direttore del collegio Valsalice, dottore in lettere.
14°.Sac. GIUSEPPE RONCHAIL, Direttore del Patronage St. Pierre in Nizza, professore di francese e di ginnasio.
15°.Sac. GIACOMO COSTAMAGNA, Direttore delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese, maestro e compositore di varie opere musicali.
16°.Sac. NICOLAO CIBRARIO, Direttore delle scuole di Maria Ausiliatrice in Torrione Valcrosia (Ventimiglia).
17°.Sac. LUIGI GUANELLA, Direttore delle scuole ed oratorio in Trinità presso Mondovì.
18°.Sac. GIUSEPPE SCAPPINI, Direttore spirituale dei Concettini in Roma. [253]
19°.Sac. GIUSEPPE MONATERI, Direttore del ginnasio di Albano Laziale, professore di ginnasio.
20°.Sac. GIUSEPPE DAGHERO, professore nel seminario di Magliano Sabino, dottore in lettere.
21°.Sac. DOMENICO BELMONTE, professore di fisica e storia naturale nel liceo di Alassio.
22°.Sac. GIULIO BARBERIS, Direttore del Noviziato, dottore in teologia, autore di varie opere letterarie.
23°.Sac. GIOACHINO BERTO, Segretario di D. Bosco ed Archivista della Congregazione.
Assistettero anche a varie sedute, specialmente a quelle sull'economia, il sac. Giuseppe LEVERATTO, Prefetto del collegio di Borgo S. Martino; il sac. ANTONIO PAGANI, Direttore spirituale nel seminario di Magliano Sabino; il signor Giuseppe Rossi, provveditore generale delle nostre case; ed il conte, ora abate Carlo CAYS di Giletta e Casellette, dottore in ambe le leggi, già Presidente del consiglio superiore delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli nella provincia di Torino; già Deputato al Parlamento Subalpino; ed alcuni altri.
Alcuni Direttori condussero seco un confratello della propria casa, non proprio come delegato, ma quasi come consultore. Quando si trattò dell'economia, fu chiamato da Torino il coadiutore Giuseppe Rossi, provvisioniere dell'Oratorio. Le sedute erano di due specie: le une parziali, che si tenevano dalle varie commissioni, e le altre generali a cui dovevano partecipare tutti i membri del Capitolo. Ad alcune di queste ultime Don Bosco aveva ottenuto che assistessero due illustri Gesuiti, il padre Secondo Franco, consumato maestro di ascetica, e il padre Giovanni Battista Rostagno, già professore di diritto canonico nell'Università di Lovanio. Entrambi professarono costantemente la più alta stima e venerazione verso il Servo di Dio. Con essi il Beato Fondatore aveva in sere precedenti tenute parecchie conferenze allo scopo di concertare le cose nel modo più conforme ai sacri canoni e alle consuetudini delle Congregazioni religiose.
Le conferenze generali si susseguirono in numero di ventisei, presiedute tutte da Don Bosco. I membri del Capitolo Generale prendevano posto in circolo su sedie attorno al tavolo della presidenza, nè vi era in questo alcun ordine prestabilito. [254] Ogni seduta si apriva e si chiudeva con le solite preci rituali.
Nella prima adunanza, lettosi il regolamento del Capitolo Generale, si passò all'elezione di un Regolatore, che fu Don Rua, e di due segretari, che furono Don Barberis e Don Berto. Il Regolatore aveva l'incarico di far eseguire il regolamento, avvisare per tempo le singole commissioni, affinchè avessero tutto pronto quando arrivava il loro turno, provvedere le cose necessarie ed essere come il centro, a cui si rivolgessero gli altri in qualsiasi occorrenza. Dei due segretari, uno doveva redigere i verbali delle sedute e l'altro registrare gli atti autentici ossia le deliberazioni che di comune accordo si prendessero.
Ciò fatto, vennero determinate le commissioni a cui affidare l'incarico di studiare minutamente le materie da trattarsi nelle conferenze generali, preordinando, per quanto fosse possibile, le deliberazioni definitive. A ogni commissione fu assegnato un presidente; ognuna poi si scelse un relatore, che nella conferenza generale sopra un dato argomento riferisse le conclusioni delle sedute particolari. Queste relazioni dovevano farsi in iscritto, sia per ottenere maggior precisione e speditezza, sia per agevolare ai segretari il loro còmpito abbastanza laborioso. Cinque furono la commissioni costituite in quella prima conferenza; tre altre vi si aggiunsero appresso per l'esame di alcune questioni, che in un primo tempo non eransi prese in considerazione. Di queste otto commissioni gli uffici e i componenti erano come segue.
COMMISSIONE I. Accettazioni e Noviziato. Studi sacri e Predicazione.
D. Francesia, D. Lazzero, D. Costamagna e D. Barberis. Presidente Don Francesia.
COMMISSIONE II. Studi tra gli allievi. Stampa e simili. D. Durando,
D. Cerruti, D. Monateri, D. Daghero. Presidente Don Durando. COMMISSIONE III. Vita comune. D. Rua, D. Ghivarello, D. Albera,
D. Cibrario. Presidente Don Rua.
COMMISSIONE IV. Moralità e cose relative. D. Cagliero, D. Lemoyne, D. Ronchail, D. Dalmazzo. Presidente Don Cagliero. [255]
COMMISSIONE V. Economia. D. Bonetti, D. Belmonte, D. Sala, conte Cays, cui si aggiunse D. Leveratto. Presidente Don Bonetti.
COMMISSIONE VI. Ispettorie ed uffici dell'Ispettore, D. Cagliero, Don Rua, D. Albera.
COMMISSIONE VII. Le Figlie di Maria Ausiliatrice. D. Costamagna, D. Bonetti, D. Cerruti, D. Albera.
COMMISSIONE VIII. Le deliberazioni Prese negli anni antecedenti; quali proporre al Capitolo Generale, perchè siano approvate e messe ai loro posti.
Questi lavori preparatorii assorbirono tutto il tempo assegnato alla prima conferenza generale. Allorchè l'ordine del giorno fu esaurito, il Beato pregò il padre Franco di rivolgere all'assemblea una sua parola; e questi richiamò l'attenzione degli astanti sulla necessità di formare nei Salesiani la coscienza[131]. Infine Don Bosco tenne il seguente discorsetto di conclusione.
È questo il primo Capitolo Generale della nostra Congregazione. Oltre al regolamento testè letto, non vi sono ancora norme speciali e consuetudini da seguire. Nei particolari si andrà avanti alla buona. Faremo tuttavia le cose adagio e pacatamente, affinchè questo medesimo Capitolo possa poi dare norma a quelli che si raduneranno in seguito.
A vero che è brevissimo il tempo che possiamo impiegare per questo Capitolo; ma molte cose sono praticate da anni e anni; noi poi non vogliamo fare una cosa scientifica, procedendo secondo regole o prestabiliti, ma tenerci alle cose pratiche, le quali direttamente ci riguardano. Se si lasciassero per caso alcuni punti da trattare, non importa: vi sarà tempo a ritornarvi sopra altra volta. Per noi sia tutta roba pratica; senz'aver bisogno di servirci d'altri libri per i nostri studi, questi si facciano sullo schema, togliendo qualche articolo, altri modificandone e altri aggiungendovene, secondo che si veda la convenienza. Si studino le regole, i regolamenti dei collegi, le circolari già mandate negli anni scorsi a tutte le case, e le deliberazioni già prese nelle conferenze generali dei Direttori, tenutesi qui a Lanzo e a Torino.
L'importanza di questo Capitolo sta in ciò, che le regole, le quali finora sono solo organiche, riescano pratiche; cioè si studino tutti i mezzi per ottenere che in pratica si eseguiscano uniformemente in tutte le nostre case. [256]
Ripeto che la cosa più importante in queste radunanze e direi la cosa al tutto necessaria è il segreto assoluto sia con gli esterni che con i confratelli, i quali non siano del Capitolo, e questo fintanto che gli atti vengano mandati a Roma per l'approvazione; badando anche a essere circospetti nel parlare fra noi, quando altri ci possono udire. Quasi in ogni Congregazione il segreto è obbligatorio, sanzionato col giuramento, e perciò si fa colpevole chiunque lo violi. Noi non abbiamo questo; ma ciascuno vegga da ciò, quanto in ogni luogo si creda importante il tenere le cose segrete.
Ciascuno in questi giorni abbia molta pazienza nello studiare le varie materie, ed anche qualora le cose non procedessero con tutta regolarità per essere questo il Capitolo, a cui non vi sono ancora regole preventive. Speriamo però che, benedetto dal Signore, posto come lo abbiamo sotto la protezione speciale di Maria Santissima Ausiliatrice, arrecherà alla Congregazione copiosi vantaggi.
Nelle adunanze plenarie le discussioni partivano dai resoconti delle sedute particolari, presentati dai relatori delle commissioni. Quando su queste discussioni si deliberava per via di voto, se ne formulavano articoli, che poi riuniti avrebbero costituito gli atti autentici da spedire a Roma. Tali atti andavano distinti in doppia serie: gli uni puramente disciplinari e aventi per iscopo di formare il manuale a uso della Congregazione, e gli altri organici direttivi, da aggiungersi alle Regole già approvate. Per quelli sarebbe bastato il Visto di Roma; per questi invece si richiedeva l'approvazione formale, senza di cui non potevano aver forza obbligatrice. La massima parte di detti articoli vide la luce nel 1878, nè riesce malagevole procurarsene copia; quindi non ci sembra opportuno sovraccaricarne qui il nostro volume. Le discussioni poi che li prepararono, così come le vediamo riassunte nei verbali, non ci presentano oggi elementi di tal rilievo, che valga la spesa di dedicar loro molte pagine. Noi crediamo piuttosto di far cosa utile e gradevole ai nostri lettori scorrendo quelle vecchie carte per estrarne le parole vive di Don Bosco, che per buona sorte sono state con frequenza raccolte a verbale testualmente. Dove per altro nel corso delle discussioni compaiano elementi di qualche interesse, non mancheremo di prenderne nota. [257]
COADIUTORI E ARTIGIANI AGLI STUDI. PREDICAZIONE.
Conferenza 2ª. Per via ordinaria, chi fosse accettato in Congregazione come coadiutore, non si volle che potesse venirvi ammesso alla carriera ecclesiastica: su questo punto gli altri Istituti religiosi sono inesorabili. Tuttavia, se occorressero eccezioni, queste si accordassero esclusivamente dal Rettor Maggiore. Quanto agli artigiani desiderosi di passare agli studi per entrare nella Congregazione come chierici, la cosa si rimetteva ai rispettivi Direttori. Del resto, osservò Don Bosco a conclusione, ora che scarseggia tanto il clero, ove è moralità e attitudine, io son di parere che si faciliti la via al sacerdozio. Egli difatti aveva ottenuti buoni frutti in entrambi i casi. Da coadiutore a studente era passato quel sant'uomo di Don Lago. Degli artigiani poi saliti al sacerdozio il numero cresceva ogni anno; allora, per esempio, si fecero i nomi di Don Tamietti, di Don Pavia, di Don Rinaldi Giovanni, di Don Cassinis, di Don Beauvoir, di Don Davico.
In tema di predicazione Don Bosco osservò: Per quanto è possibile, si scrivano le prediche; così riusciranno più proficue agli uditori ed anche di maggiore utilità per il predicatore medesimo, in quanto che questo lavoro lo aiuta a istruirsi assai bene. In casi di premura la preparazione si faccia su qualche accreditato scrittore.
DISCIPLINA E BUON ORDINE. COMPONENTI IL CAPITOLO GENERALE.
Conferenza 3ª. In questa conferenza sorse incidentalmente una questione, che tocca la storia delle Regole; quindi bisogna parlarne. Chi precisamente aveva diritto di prender parte al Capitolo Generale? Le Regole, contemplando il caso, in cui si dovesse tenere il Capitolo Generale per l'elezione del Rettor Maggiore, stabilirono che si radunassero tutti i Direttori e un socio professo perpetuo di ogni casa, eletto dai soci professi [258] della medesima; dove poi si diceva del Capitolo triennale, non si faceva motto dei componenti. Per sopperire a questo silenzio, Don Bosco, stampandosi le Regole in italiano, appose all'articolo 3° del capo 6° una postilla di questo tenore: “Il Capitolo Generale è composto dai membri del Capitolo Superiore e dai Direttori delle case particolari”. Questa nota sbrigativa non infirmava naturalmente il disposto per l'elezione del Rettor Maggiore. Orbene il primo Capitolo Generale approvò la postilla con l'aggiunta degli Ispettori.
Tema di quella conferenza erano gli studi fra gli allievi; si trattò quindi anche della disciplina, sul quale argomento il Beato tenne questo importante discorso.
Per lo passato, due cose in modo speciale impacciavano il regolare andamento della casa.
1° La mancanza di personale faceva sì che quasi tutte le cose si accumulavano sul Direttore, il quale rimaneva così sopraccarico da non essergli possibile di farle procedere tutte con ordine. Un po' alla volta questo inconveniente diminuì e va sempre più diminuendo; ma neppur ora le cose sono abbastanza regolate. La base dev'essere questa: il Direttore faccia il Direttore, cioè sappia far agire gli altri: invigili, disponga, ma non abbia mai esso da metter mano all'opera. Se non trova individui di grande abilità nel far le cose, lasci chi è di abilità mediocre; ma per la smania del meglio non si metta a far le cose esso. Egli deve invigilare che tutti facciano il proprio dovere, ma non deve prendere nessuna parte particolare. Così facendo, gli rimarrà tempo per eseguire ciò che io credo di non aver mai abbastanza inculcato. Il Direttore, per quanto può, anche tutti i giorni visiti tutta la casa, veda l'andamento di tutto, sappia tutto quello che si fa. In molti luoghi non si fermerà, in altri non dirà nulla, ma passi e in cucina e nei refettori e persino in cantina, nelle camere e dappertutto. Se vi sarà questo, non si potrà mai nella casa radicare nessun disordine e si eviteranno molti inconvenienti.
2° Noi non avevamo un regolamento fisso. Si fece un primo regolamento; ma era per artigiani, che andavano a lavorar fuori. Appena si cominciava a praticarlo bene, vedendosene la grande necessità, si stabilirono i laboratori interni. Si adatta il regolamento per questo uopo; ma sopravviene la necessità di tenere in casa anche studenti ed ecco che il regolamento deve di nuovo essere cambiato e adattato a questa nuova circostanza. Andava in vigore questo cambiamento, e sopravviene il bisogno di aprire collegi separati di studenti. Ora ci viene altro, e sono i seminari che ci sono affidati. Altro già ci aspetta, [259] e sono le colonie agricole che ci si propongono. Non potendosi avere con tutta precisione un regolamento stabile e particolareggiato, avveniva che alcuni punti, anche d'importanza, erano trascurati; ma ora le cose si possono dire nel loro stato normale. Si procuri da tutti di osservare bene ognuno la parte sua, e si veda anche modo di far bene osservare agli altri la loro, e le cose procederanno senza inconvenienti.
Già da molti e da lungo tempo ed anche da persone assai influenti mi si faceva osservare che si sarebbe ottenuto frutto più sicuro non estendendomi tanto, ma consolidando di più le cose esistenti. Nessuno meglio di me vedeva certi disordini ed inconvenienti che avvenivano da quella straordinaria scarsità di personale, causataci dall'estenderci a molte cose; ma dall'altra parte si vedevano tante e tante anime per la via della perdizione, e proprio nessuno che se ne curasse! Poi anch'io aveva sotto gli occhi i disordini che sarebbero avvenuti, se non vi fosse stato tra noi un lavoro continuato e molto intenso. Quindi si giudicò bene di andare avanti nel modo incominciato. Con questo io intendeva ancora di fare ossequio alle parole del Santo Padre Pio IX, al quale avendo appunto proposto questa difficoltà, egli m'incoraggiò a proseguire e mi disse precisamente: - Quando avete un buon prete od un buon chierico su cui possiate far calcolo e di cui vi possiate proprio fidare, andate pure ad aprire una casa. - Facendogli osservare che in queste case i giovani non venivano a essere abbastanza disciplinati e riuscirebbero un po' indocili, rispose: - Se non farete dei novizi, non importa; ma farete dei buoni cristiani, istruiti nella santa legge di Dio.
COOPERATORI SALESIANI E “BOLLETTINO SALESIANO”.
Conferenza 4ª. Buona parte di questa conferenza si aggirò intorno all'associazione dei Cooperatori Salesiani, dei quali noi abbiamo ragionato a lungo nel capo quarto del volume undecimo, e intorno al Bollettino Salesiano, destinato a essere l'organo dei Cooperatori stessi. Ritessiamo brevemente la storia di questo periodoco, che doveva ben presto acquistare tanta popolarità.
Per circa due anni uscì dalla tipografia dell'Oratorio un foglio quasi mensile, che aveva per iscopo di far conoscere le edizioni salesiane e altre pubblicazioni utili specialmente alla gioventù e al clero; onde portava il titolo di Bibliofilo Cattolico. Fino a oggi non ci è stato possibile rinvenirne un [260] solo esemplare. Sembra però che non avesse un contenuto esclusivamente librario, infatti sappiamo che nel suo secondo numero, comparso nell'agosto del 1875, pubblicò il regolamento per l'opera dei Figli di Maria, compilato allora allora da Don Bosco[132]. Il periodichetto tirò avanti così fino all'agosto del 1877, quando subì una radicale trasformazione. Otto grandi facciate a due colonne contenevano comunicazioni e notizie prevalentemente salesiane; un'appendice portava elenchi di libri; perciò il titolo era doppio: Bibliofilo Cattolico o Bollettino Salesiano mensuale. Il primo fascicolo di saggio, continuando la numerazione precedente, figurava come quinto fascicolo dell'anno terzo. Non recava più l'indicazione tipografica dell'Oratorio, ma di Sampierdarena; Don Bosco aveva dovuto appigliarsi a questo espediente, perchè la Curia arcivescovile di Genova non gli sollevava le difficoltà di quella torinese per la concessione dell'imprimatur. La doppia intestazione durò soltanto fino al numero di dicembre; il primo numero del '78 porta in fronte l'unica dicitura di Bollettino Salesiano. L'abbonamento costava tre lire, le quali per altro non si faceva obbligo al alcuno di versare. Sulle prime lo curò personalmente Don Bosco, sia per dargli l'indirizzo da lui inteso, sia perchè non aveva allora a chi affidarne la direzione, ma pensava già di richiamare per questo scopo all'Oratorio Don Bonetti, Direttore del collegio di Borgo S. Martino.
È bello il sentire come il Beato Padre parlasse della novella pubblicazione. Il 10 agosto 1877, quando era uscito appena il primo numero, egli disse a Don Barberis: - Il fine del Bollettino è di far conoscere le cose nostre il più che si può, e farle conoscere nel loro vero senso. Questo ci servirà per ottenere soccorsi, attirando l'affetto delle persone alle nostre istituzioni. Sapendo maneggiar bene l'argomento, nello scrivere si potranno insinuare le varie maniere di soccorrere le [261] nostre imprese. Tale periodico sarà il sostegno principale di tutte le nostre opere: se esso cadesse, anche queste cadrebbero. Gli si procurino quanti più lettori si possa; si cerchi di divulgarlo in tutti i modi e gratuitamente. Si tenga per principio che il vantaggio da esso arrecato non istà nelle tre lire di annualità; quindi non si richieggano: un benefattore che dia una limosina, basterà talora a pagare per tutti.
La presentazione del Bollettino ai Cooperatori fu dettata da Don Bosco in uno scritto che riempiva le due prime pagine. Eccone il riassunto. Nel regolamento dei Cooperatori si prometteva un organo mensile che li ragguagliasse delle cose fatte o da farsi per ottenere il fine ad essi proposto: allora sì attuava la promessa. Riusciva così possibile operare con unità di spirito e rivolgere tutte le sollecitudini ad un punto solo, che era la gloria di Dio e il bene della civile società. Il programma comprenderebbe tre parti: 1° Esposizione delle cose proposte dai soci o dai loro Direttori per il bene generale e particolare degli associati, con le norme pratiche per i Cooperatori. 2° Relazione di fatti, tornati fruttuosi ai soci e atti a servire di esempio; come episodi edificanti e notizie e lettere di Missionari, specialmente Salesiani. 3° Comunicazioni, annunzi, libri, massime da propagarsi.
Di qui il Beato passava a dare un'idea del Cooperatore Salesiano. “Diconsi Cooperatori Salesiani coloro che desiderano occuparsi di opere caritatevoli non in generale, ma in ispecie, d'accordo e secondo lo spirito della Congregazione di S. Francesco di Sales”. Quindi raccogliere ragazzi pericolanti e abbandonati, avviarli al catechismo, trattenerli nei giorni festivi e collocarli presso onesti padroni, dirigerli, consigliarli, aiutarli in modo da farne buoni cristiani ed onesti cittadini. Il Bollettino avrebbe date le norme opportune. Don Bosco insisteva sul carattere pratico dell'istituzione. “Qui non si stabilisce, diceva, una confraternita, non un'associazione religiosa, letteraria o scientifica, nemmeno un giornale; ma una semplice, unione di benefattori dell'umanità, pronti [262] a dedicare non promesse, ma fatti, sollecitudini, disturbi e sacrifizi per giovare al nostro simile”. Egli chiudeva il suo indirizzo con queste categoriche dichiarazioni: “Estranei affatto alla politica, noi ci terremo costantemente lontani da ogni cosa che possa tornare a carico di qualche persona costituita in autorità civile od ecclesiastica. Il nostro programma sarà inalterabilmente questo: lasciateci la cura dei giovani poveri ed abbandonati, e noi faremo tutti gli sforzi per far loro il maggior bene che possiamo, chè così crediamo poter giovare al buon costume ed alla civiltà”.
Non mancò gente corriva che definì il Bollettino Salesiano la gran cassa per far quattrini. Don Bosco, al solito, lasciò dire e andò innanzi; osservò soltanto che col tempo il suo esempio avrebbe avuto innumerevoli imitatori, e anche di coloro stessi i quali biasimavano il suo operato, non pochi avrebbero messo fuori Bollettini propri. Nel che fu veramente profeta. Comunque sia, il Bollettino Salesiano, fra tutte le pubblicazioni di Don Bosco, è forse quella che ha prodotto i maggiori frutti sia con l'accendere i cuori a cooperare alle Missioni e alle opere di religione, sia col suscitare generose vocazioni ecclesiastiche e missionarie. Certo è che anche in questo il Beato Don Bosco antivenne i tempi: nel mondo tendenze nuove soppiantavano abitudini vecchie: quel che una volta si amava tener celato, si doveva presto sentire il bisogno di propalarlo, fosse bene o fosse male. Don Bosco credette miglior partito far servire all'incremento del bene quella voglia di pubblicità che egli presagiva dover diventare una vera mania e insieme un veicolo di tanto male.
Il Capitolo Generale non approvò la proposta d'introdurre fra i Cooperatori la pratica di conferenze mensili, benchè se ne facesse già cenno nel regolamento. Una ragione stimata persuasiva e conforme allo spirito di Don Bosco fu che tale pratica veniva a creare un vincolo alquanto imbarazzante. Molti infatti desiderare di essere Cooperatori e fare veramente [263] del bene; pure sentir ripugnanza a comparire in pubblico o non trovar comodo il recarsi a tali adunanze. Chi poi non volesse più appartenere all'associazione, astenendosi dall'intervenire, dar tosto a divedere il proprio alienamento e quindi giustificarsene parlandone con altri e necessariamente biasimando qualche disposizione dei Salesiani. Esserci ormai il Bollettino qual vincolo naturale di unione; evitarsi con questo il lamentato inconveniente. Non meriterebbe più qualcuno di essere annoverato fra i Cooperatori? Gli si sospendesse l'invio del periodico, e la cosa moriva da sè.
Si obbiettò: - Il Bollettino si manda gratuitamente; pure a noi costa danaro e cagiona disturbo. - Riguardo alle spese fu risposto che fino allora erano state Coperte et quidem a usura. Tanti, non vedendo quota fissa e obbligatoria, largire più che non si sarebbe domandato; altri non dar nulla sul momento, ma inviare poi limosine in determinate circostanze o aiutare in diverso modo l'Oratorio. Riguardo ai disturbi, fu osservato che l'Oratorio, essendo il centro unico per un numero già grande di associati, vi aveva certo il suo da fare; tuttavia, una volta regolata l'amministrazione, le cose dover procedere più comodamente: richiedersi quasi solo una persona abile, che se ne occupasse esprofesso. Queste osservazioni erano di Don Bosco, il quale continuò così:
Io avrei subito trovato il mezzo, che non desse tanto lavoro; ma allora questa associazione non avrebbe più corrisposto allo scopo. Il mezzo era facile: lasciare molti centri, che facessero ognuno da sè, affratellando o cancellando affratellati. I Terziari francescani sono così costituiti. Ogni casa di Francescani può affiliare chi vuole, e il numero in questo modo resta anche sempre molto grande, ma non si può avere un centro e unità di azione. Il più grande sforzo che io abbia fatto per questi Cooperatori, cosa per cui ho studiato molti anni e in cui per questo solo parmi di essere riuscito, fu appunto di trovare il modo di rendere tutti uniti al capo e che il capo possa far pervenire i suoi pensieri a tutti. Ora nemanco noi non possiamo farei un'idea dell'estensione che prenderà quest'Opera e dell'influenza morale che eserciterà quando si sia così estesa. Quando siano varie migliaia, ed io son persuaso che in poco tempo saranno cinque mila almeno, allora si otterranno effetti sorprendenti. Il Santo Padre stesso, quando vide [264] questo vincolo di tutti col capo, del capo con tutti, sorpreso soggiunse: Ma questa è una vera massoneria cattolica!
Oltre ad altre cose, scopo nostro si è ancora di spargere buone massime, e nelle stesse famiglie dove si riceve il Bollettino fare del bene. Ora ecco come abbondantemente noi otterremo lo scopo. Poniamo, ad esempio, che oggi nel Bollettino s'invitino tutti a fare il catechismo a ragazzi, mostrandone l'utilità e il modo pratico; che domani si raccomandino i nostri collegi; che in un altro numero si parli dell'esercizio di buona morte da farsi una volta al mese, mettendone in rilievo la bellezza e indicando il modo pratico di farlo; in altro numero s'invitino ad esercizi spirituali una volta all'anno; altra volta s'insista sull'utilità di spargere letture cattoliche; e cose simili. Che effetto non produrranno queste proposte fatte in bel modo e da amici? E son di parere che questo gran bene si otterrà sempre, perchè le nostre proposte son prese in buona parte. D'altronde poniamo un po' che in un anno la Congregazione versi in grave bisogno di soccorsi; facendone un appello sul Bollettino, credo che ci verrebbe oltre al domandato, poichè sono in bel numero le famiglie disposte a far sacrifizi per questo.
È dunque necessario che ogni Direttore abbia buona cognizione di questi Cooperatori, e poi ne parli nel vero senso. Domandati dello scopo, non vi è da rispondere altro se non che il loro scopo è di fare al giovani tutto quel bene sì spirituale che temporale che per noi si possa, e si preferisce far del bene ai giovani più poveri e più abbandonati. Si dica di più che il Santo Padre volle farsi mettere come primo Cooperatore. In questo modo, senza esagerare nulla, moltissimi restano attirati e domandano essi medesimi di esser fatti Cooperatori.
Don Bosco invitò poi tutti i presenti a vedere insieme il modo pratico di aumentare il numero dei Cooperatori. Fra l'altro piacque la proposta di estrarre dall'elenco degli associati alle Letture Cattoliche i nomi di tutti coloro che fossero conosciuti come persone oneste e atte e di mandar loro il diploma. Alla domanda, se i religiosi e gl'istituti educativi si potessero ascrivere fra i Cooperatori, Don Bosco rispose:
Sì, tanto gli uni che gli altri. Tuttavia per gl'istituti si mandi il diploma solo al superiore od ai superiori, e si registrino essi col nome dell'istituto; in questo modo tutto l'istituto rimane affiliato: ma bisogna avvisarli che tutto il corpo fa per parti e che perciò tutti i membri facciano qualche opera o materiale o morale a pro della Congregazione.
L'essere poi questa nostra associazione sciolta da vincoli obbligatorii [265] fa sì che anche gli Ordini religiosi possano appartenervi. Tanto più lo possono i Terziari francescani e domenicani. Il nostro modo di ottenere lo scopo, che è la gloria di Dio e la salvezza delle anime, è al tutto diverso dal loro. Essi adoperano un modo tutto ascetico, fanno molte preghiere, recitano l'uffizio e simili; noi invece siamo tutti azione, moto, opere di carità verso il prossimo. Essendo così i primi tutti pratiche di pietà e noi tutti pratiche di carità, si congiungono tanto bene le due istituzioni; ed anche facendo parte di entrambe, non vi resta niente di sopraccarico nè in preghiere nè in opere buone.
Generalmente l'associazione dei Cooperatori è benevisa a tutti, perchè in nessun modo entra in politica, e sono di parere che se noi siamo lasciati operare, si è appunto perchè la nostra Congregazione è al tutto aliena dalla politica. Anzi io avrei persino voluto che vi fosse un articolo nelle nostre Costituzioni che proibisse d'immischiarsi comechessia in cose di politica, e questo era nelle copie manoscritte; ma allorchè si presentarono a Roma le nostre Regole e si approvò per la prima volta la Congregazione, questo articolo fu tolto dalla Congregazione deputata appositamente ad esaminare le nostre Regole. Quando poi nel 1870 si trattò di approvare definitivamente la Congregazione e si dovettero nuovamente mandare le Regole ad essere esaminate, io, come se nulla fosse avvenuto antecedentemente, v'inserii di nuovo quest'articolo, in cui si diceva essere vietato ai Soci entrare in quistioni politiche: me lo cancellarono di nuovo. Io che era persuaso dell'importanza di questo, nel 1874, in cui si trattava di approvare i singoli articoli delle Costituzioni, cioè si trattava dell'ultima approvazione definitiva, presentando le Regole alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, ve l'introdussi ancora, e nuovamente mi fu cancellato, e questa volta la cancellatura fu motivata e mi si scrisse: È per la terza volta che questo articolo si cancella. Sebbene in generale paia che esso si potrebbe ammettere, in questi tempi alle volte avviene in coscienza di dover entrare in politica, poichè spesso le cose politiche sono inseparabili dalla religione. Non è dunque da approvarsene l'esclusione fra i buoni cattolici. - Così quell'articolo fu tolto definitivamente e noi in caso di utilità e di vera convenienza potremo trattarne: ma fuori di questi casi teniamoci sempre al principio generale di non intrigarci in cose politiche, e questo ci gioverà immensamente.
Il giorno dopo questa conferenza ricorreva la Natività di Maria Santissima. Parecchi dei capitolari avrebbero voluto recarsi a Torino in quella circostanza per confessare e per fare altro del sacro ministero; ma Don Bosco fece osservare che per il momento nulla doveva premere quanto il buon andamento [266] del Capitolo: si vedesse perciò di anteporre questo a tutto il rimanente, eccettochè vi fossero casi di urgente necessità. - Desidero, seguitò, che le cose procedano avanti bensì con alacrità, ma con calma. Non precipitiamo niente, perchè queste adunanze faranno epoca nella nostra Congregazione e da esse dipenderà in gran parte il suo buon avviamento per l'avvenire. Non dico che ne abbia a dipendere la sua esistenza o il suo scioglimento; ma che esse saranno base molto sicura al suo progredire. Io sono di parere che la salvezza di tantissime anime dipende da quanto saremo per sottoporre a regola in questi giorni. - Si stabilì dunque che a Torino si recasse il solo Don Durando, chiamatovi da vera necessità.
ASPIRANTI. COADIUTORI TROPPO GIOVANI.
Conferenza 5ª. Questa conferenza fu tenuta alla sera della Natività dopo le sacre funzioni. Vi si trattò degli aspiranti, degli ascritti e dei professi triennali. Degli aspiranti Don Bosco disse:
Prima di tutto è da intendere bene che cosa voglia dire aspirante per la nostra Congregazione. Aspirante è chi desidera ritirarsi dal mondo e viene come per vedere che cosa qui si faccia, se la vita nostra è conforme alla natura sua, in una parola se la Congregazione gli piace o no. Chi viene di fuori, non si fa mai un'esatta idea delle cose nostre: uno se le figura in un modo e altri in un altro; vengano nell'Oratorio o in altra casa, stiano alcune settimane o alcuni mesi, e vedranno se la Congregazione è pane per i loro denti, ed anche i Superiori possono in quel frattempo conoscere quel postulante così in generale, ed egli intanto o paga un po' di pensione o lavora a pro della casa. Conosciute che abbia poi alquanto le cose nostre, qualora volesse andarsene, è sempre in libertà; se invece vuol fermarsi, farà la domanda formale di passare al noviziato. Questo è l'essere aspirante.
Non fa neppur bisogno che l'aspirante conosca le singole regole; fa solo bisogno che conosca così in generale lo spirito della Congregazione. Quando viene uno, il quale, sebbene affatto esterno, è già persona conosciuta, ed egli conosce già più o meno la Congregazione, l'aspirandato è già fatto: egli può benissimo essere accettato subito come ascritto. Per i giovani della casa il metterli nel catalogo degli [267] aspiranti è un soprappiù; essi, mentre frequentano le nostre case, già vedono e conoscono lo spirito della Congregazione e restano anche conosciuti. Già tutto è fatto. Ma per gli adulti non conosciuti questo tempo d'aspirandato è indispensabile. Ecco una cosa che ci avvantaggia sopra le altre Congregazioni e Ordini religiosi, poichè essi non hanno, come abbiamo noi, un mezzo di poter conoscere coloro che domandano l'abito, e bisogna che li accettino subito in casa a vita comune. Da noi, chi viene già adulto, è bene che si faccia lavorare molto da principio; così più facilmente acquistano lo spirito della Congregazione o, se non altro, si guadagnano il pane che mangiano.
Circa l'età per l'ammissione dei coadiutori ai voti il Beato non si mostrò guari propenso ad ammettere coadiutori di giovane età con gli adulti, perchè in tale mescolanza egli diceva nascondersi gravi pericoli; anzi lo spirito della Chiesa sembravagli essere stato sempre di tener separati i giovani dagli adulti. L'assegnare poi a giovanetti certi uffizi di casa, come in cucina, nei refettori, egli giudicava cosa pericolosissima sempre. - Per me, soggiunse, piuttosto che mettere a fare il refettoriere un giovane che non sia ancora d'età matura, preferirei fare io la pulizia del refettorio.
Conferenza 6ª Le discussioni sulla vita comune portarono a considerare quella regola che prescrive di consegnare al Superiore qualsiasi dono possa pervenire ai confratelli. Don Bosco, fatta notare la convenienza di ciò e detto come tale fosse la consuetudine ordinaria in tutte le Congregazione religiose, recò due graziosi esempi.
Una volta, disse, mi trovai presente, quando ad una monaca fu fatto il regalo di un orologio. Essa lo prese dalle mani della persona donante, lo guardò un poco, lo encomiò: - Oh, com'è bello e grazioso! Tante grazie, tante grazie! Poi si rivolse alla madre superiora e senza più glielo consegnò. Pareva che il donante fosse persino un po' mortificato e le disse: - L'ho portato apposta per lei. - Ma essa rispose: - La madre sa ben essa che cosa farne. Se ne avrò bisogno, me lo darà; per ora non ne abbisogno.
Un'altra volta a un Domenicano, già abbastanza attempato e [268] grave, fu portata una somma notevole di danaro, perchè ne facesse limosine a suo grado. - La ringrazio tanto, rispose, ne parlerò col padre Priore e si accerti che verrà speso nel miglior modo. - Intanto passa il Priore, ed egli subitamente gli consegna il danaro, dicendo averlo portato quel signore, perchè si spendesse in limosine. - È per lei - soggiunse il donatore. - Sì, bene, rispose il padre; ma non sa che tutto ciò che hanno i figli è del padre?
Ragionandosi in seguito di libri personali e di libri comuni e del non farne grandi trasporti, quando si muta di casa, il Beato espresse questo pensiero: - Io credo che la nostra Congregazione avrebbe fatto un gran passo, quando, nell'andare da una casa all'altra, non vi fosse bisogno di far baule, ma si potesse partire issofatto con un piccolo involto sotto il braccio.
ASCRITTI: MORALITÀ, SCRUPOLI, MEDITAZIONE.
Conferenza 8ª. Fu dedicata agli ascritti. Vi si ribadì il principio che la Congregazione Salesiana non ha per fine di riformare una vita mondana, riducendola con la preghiera, la meditazione e la penitenza all'osservanza della legge di Dio e alla pratica della perfezione cristiana; ma ha bisogno d'individui di vita già buona e provata, i quali vogliano consacrare ingegno e fatiche alle opere di carità verso i loro simili. “Il nostro noviziato, sono parole del relatore Don Cagliero, non è di natura tale che possa cambiar i costumi già depravati, ma è fatto perchè ciascuno possa istruirsi sul genere di vita che vuole abbracciare e sulle cose che dovrà fare nel rimanente del viver suo. Questo fine del nostro noviziato e della nostra Congregazione è da tenersi altamente impresso nella mente; il non badarvi può produrre pessime conseguenze”.
A far sì che vi fosse unità di azione nel consigliare chi chiedesse di ascriversi alla nostra Società, il Beato Don Bosco propose il seguente caso. Un giovane domanda di essere ammesso in Congregazione e così espone il suo stato: - Durante quest'anno sono caduto in tempi diversi due, tre volte in [269] cose immorali. - Oppure: - Caddi una volta; poi stetti molto tempo senza ricadere; poi ricaddi tre o quattro volte di seguito; poi non più. - Che consiglio si darebbe a costui? Gli si potrebbe consigliare di entrare in Congregazione? Un'osservazione fondamentale, disse Don Bosco, si è di vedere se il giovane cadde tutte le volte che si trovò nell'occasione. Posto che sì, sarebbe ancora a vedersi, se egli è di quelli che rispetto alla vocazione sono fermi e non tentennanti e se la sua volontà è di quelle risolute. Posto che sia di fermo volere, gli si può rispondere che vada avanti; poichè, se non si rispondesse così, bisognerebbe temere di veder i seminari e gli Ordini religiosi vuotarsi a poco a poco, perchè quasi più nessuno potrebbe entrarvi. Se invece, date le condizioni descritte, il giovane non è di quelli fermi e costanti nei loro propositi, si risponda pure negativamente. - Nel margine del verbale, accanto al penultimo periodo, una mano estranea, che si può ritenere con certezza essere di Don Cagliero, scrisse “Qui si parla certo di sole mancanze cum seipso solo; vae, nobis, si aliter foret!”.
Si venne appresso a parlare degli scrupolosi, i quali nelle Congregazioni cagionano ordinariamente grandi noie. Bisogna distinguere bene fra scrupolosi e scrupolosi. Ben pochi si danno davvero a Dio senza provare sul principio scrupoli di varia forma: il Signore li permette per sempre meglio purificare le anime. Questi tali s'incoraggino, si aiutino, si consiglino con ogni carità; chè in breve si ridurranno a bene e faranno onore alla Congregazione. Altri invece sono proprio teste stravolte, che non prendono mai le cose per il giusto verso, e questo è da ritenersi come un genere o un primo grado di vera pazzia. Si distinguano dunque bene gli uni dagli altri, e dei secondi bisogna assolutamente disfarsi, perchè o tosto o tardi cagioneranno gravi dispiaceri.
Si chiese a questo punto qual libro si conoscesse più adatto per la meditazione dei principianti. Per gli altri si usava il Da Ponte e si giudicò doversi continuare a usarlo, sia per [270] l'abbondanza della materia, sia perchè, una volta finito, si può ricominciare anche più volte. Per i principianti invece i capitolari trovarono utilissimo l'Apparecchio alla morte, di sant'Alfonso, e La scuola di Gesù appassionato, di un religioso Passionista. Prosegue il verbale: ““Ma del Da Ponte si fecero elogi sperticati. È da commendarsi altamente l'introduzione, che andrebbe letta cento volte e imparata a memoria, poichè vale tant'oro. Chi segue bene quanto in essa si dice, troverà assai facilitato il modo di fare la meditazione”.
CONFESSIONI MAL FATTE. SEMICLAUSURA. MESCOLANZE DI GENTE NELLE FESTE. ASSISTENZA NEI DORMITORI.
Conferenza 10ª. Fu ripreso l'argomento della moralità fra gli allievi. Avviata la discussione, Don Bosco parlò così:
Finora si dissero molte cose sulla moralità e si parlò di molti mezzi per ottenerla nei giovani; ma non si toccò ancora il principale. Punto culminante per ottenere la moralità è al certo la frequente confessione e comunione, ma proprio ben fatte. S'è detto nella conferenza antecedente di dare ogni comodità ai giovani e di far venire confessori da essi non conosciuti, ma preferibilmente della Congregazione; si vede proprio che col dare grande comodità e col procurare confessori intendentisi di queste cose, si ottiene già molto: ma certo sarà sempre quasi impossibile ottenere tutto. Fa pietà vedere lo stato di coscienza in forse nove decimi dei giovani. Nè l'avere ogni comodità li mette a posto! Bisogna persuadersi che quando un giovane ha la disgrazia di lasciare imbrogli sulla coscienza, per lo più va avanti anni e anni, e non vi è solennità o muta d'esercizi o morte di altri che lo colpisca. È proprio da dire che l'aggiustarsi delle coscienze viene direttamente da Dio, il quale di tanto in tanto, forse senza nessuna occasione straordinaria, fa rinsavire.
E con la grazia del Signore nelle nostre case di bell'imbrogli si aggiustano. Si può dire che non passa una gran festa, non esercizio della buona morte, senza che si appalesi la misericordia del Signore sopra qualcuno dei nostri allievi. In occasione poi degli esercizi spirituali ciò avviene proprio su larga scala; ma purtroppo questo non è in tutti, ed anche dopo vari anni, se si domanda a uno di costoro: - Ma non hai tu fatto gli esercizi spirituali? - Sì. - E come va che non hai aggiustato questo? - Mah!... non l'ho aggiustato. - E tutto finisce lì. Tuttavia son di parere che si studino tutti i modi di dare [271] sempre maggior comodità, perchè vi sarà sempre qualcuno, il quale in grazia di questo lascerà operare su di sè la divina misericordia; e la sola probabilità di un buon successo merita che ce ne occupiamo molto. Ma la si tenga come cosa importante.
Essendo incidentalmente ritornato il discorso sulla moralità dei soci, Don Bosco volle esporre un suo pensiero.
Da molto tempo vi rifletto sopra, ma fin adesso l'ho solo abbozzato, e bisognerà studiarci fra tutti. Si tratterebbe di stabilire che i Salesiani, per quanto è possibile, dormano in una parte della casa, dove non siano mai ricevuti nè forestieri, nè uomini di casa, nè giovani. Vi sia, quasi direi, una specie di clausura, che nessuno possa valicare. Per esempio, lungo la scala per cui si va nelle celle dei preti, dei professori e generalmente dei superiori, non vi sia a dormire nessun altro, nè per quella si dia adito ai dormitori dei giovani; specialmente poi e assolutamente non dormano in quella parte della casa donne di sorta alcuna, fosse pure la madre del Direttore o di quelle buone donne che nei nostri collegi rappezzano la biancheria o fanno altri simili lavori. La ragione è chiara: noi molte volte accettiamo in casa di coloro che non sono per niente conosciuti; saranno buona gente, ma noi non li conosciamo ancora abbastanza e sappiamo d'altronde che il mondo è pieno di malizia e che tutti siamo figli d'Adamo. Passerebbero forse moltissimi anni, com'è da sperare, senza che avvenga niente; ma potrebbe anche avvenire. Oggi non vi sarà alcun pericolo; ma è precauzione da prendersi. Se poi queste precauzioni per noi sarebbero non necessarie e quasi eccessive, riteniamo che sarebbero ciò non ostante molto opportune per riguardo agli esterni, i quali, sebbene maligni, non avrebbero alcun appiglio a dubitare o a parlar male. Io proporrei quasi di mettere un qualche cancello nel luogo che dà adito a dette camere e di scrivervi sopra: RISERVATO oppure SALE DI RIPOSO PEI SUPERIORI.
Nell'Oratorio per la festa di Maria Ausiliatrice e nei collegi per quella del titolare si facevano certe fiere, a cui partecipavano anche gli esterni, producendosi così mescolanze di gente che potevano riuscire pericolose. Esaminandosi il fatto, Don Bosco mise le cose a posto, dicendo:
Queste sono cose che nei primordi delle nostre case sono necessarie e non producono alcun male, appunto perchè sono cose straordinarie: ma il lasciarle andare avanti come di regola sarebbe un grande sbaglio, poichè tutti gli anni s'introduce qualche disordine e una volta introdotto [272] non si toglie più. Anzi, per un altr'anno si riproduce in proporzioni già usai più vaste; e fa spavento il vedere quali proporzioni prenda col tempo, mentre non vi è quasi disordine introdotto una volta, che non si sia riprodotto l'anno veniente.
Negli esordi il permettere di queste cose fa del gran bene sia per il far conoscere la casa, sia per l'allegria dei giovani, sia per l'accaparrarsi la benevolenza dei forestieri; ma in seguito vanno diminuite e poi anche tolte affatto.
Nell'Oratorio da principio non vi era neppure porteria e si andava a lavorare fuori; eppure la novità e il fervore primitivo delle cose facevano sì che non avvenivano disordini. Con l'andare del tempo si vide la necessità di cintare il cortile e di mettere un portinaio; ma si lasciava entrar in casa chicchessia. Col tempo si dovette impedire anche quello. Così si dica della fiera di Maria Ausiliatrice. Nei primi anni si fece un chiasso dell'altro mondo; ma la novità della cosa faceva sì che di minore entità fossero i disordini. In seguito si diminuì l'affluenza degli esterni, e quasi si può dire che la festa oggi è regolata.
Utile a ricordarsi è quel che vi si disse intorno all'assistenza nei dormitori. Un tempo si permettevano agli assistenti piccole cellette negli angoli delle camere, consistevano esse in semplici tendine sostenute da un ferro. Quivi per lo più l'assistente aveva un tavolino con alcuni libri. In seguito Don Bosco tanto insistette, che furono eliminate le celle, furono tolti assolutamente i tavolini; per chi assisteva, si lasciò solo un letto con cortine, e non mai negli angoli, ma fra gli altri letti del dormitorio. Ora egli rinnovò le sue raccomandazioni su questo punto, che gli stava grandemente a cuore: via le celle, via i tavolini! La qual fermezza di lui ci colpisce ancor più, vedendo com'egli tenne testa alle obbiezioni sollevate da alcuni Direttori.
- Vi sono maestri, osservò taluno, che devono assistere in camera ed hanno bisogno del tavolino per mettere libri e pagine ed abbisognano della celletta per andarvi a studiare qualche volta.
- Nemmeno in questo caso ciò si permetta, ribattè Don Bosco.
- Come faranno dunque i maestri?
- Abbiano luogo adatto altrove; per esempio, uno scrittoio [273] chiuso a chiave nello studio comune o nella scuola, ma in dormitorio, no.
- Altrove non vi sono camere disponibili; con tanti giovani che domandano di essere accettati, nei nostri collegi si sta allo stretto.
- Ebbene, si accetti minor numero di giovani; ma in dormitorio non vi siano tavolini nè, celle. Basta il letto con le tende per il tempo della levata e del coricarsi; poi queste siano sempre raccolte.
Dopo di che il Beato, allargando il discorso, toccò di alcuni mezzi per far fiorire la moralità nei collegi.
Queste sono precauzioni, con le quali si potranno già ottenere molti buoni effetti; tuttavia nè con questo nè con altro si potrà mai ottenere una moralità assoluta in tutti: bisognerebbe non essere figli d'Adamo. Si faccia quanto si può e poi ancora un poco, e in seguito ricordiamoci di pregare molto, e la preghiera otterrà quanto non potremo ottenere coi nostri sforzi. E ricordiamoci che i due mezzi più atti a togliere dalla radice ogni azione d'immoralità e a introdurre questa virtù in grado pressochè perfetto tra i nostri allievi sono: 1° La molta frequenza dei santi Sacramenti. Questo è il principale e, checchè si dica, se veramente i Sacramenti si frequentano molto e nelle dovute maniere, non si radicherà nessun disordine. 2° Si restituiscano alla propria famiglia coloro che cagionassero scandali di questo genere. Non c'è verso: quando il mal abito è inveterato, solo per miracolo uno si converte. Quel tale si confesserà, ne sarà veramente pentito, ne domanderà perdono in privato e in pubblico; ma non passerà gran tempo, e saremo da capo. Con costoro bisogna procedere irremissibilmente. Avranno tutto il dolore necessario per avere l'assoluzione dei peccato, ma noi non possiamo fidarci di loro per il tempo avvenire.
Conferenza IIª. L'economia diede materia a discutere per quattro conferenze. In questa prima venne fuori la proposta di stabilire un provveditore o agente, che avesse l'ufficio di sollecitare i pagamenti delle pensioni. Sembra che fossero troppi coloro che, messi i figli in collegio, si contentavano di promettere senza mai pagare. A procedere per via giudiziaria, [274] erano più il tempo perso e gli incomodi incontrati che non il profitto ricavatone. Siccome il dibattito andava per le lunghe, Don Bosco tagliò corto dicendo: - Con quelli che si mostrano morosi, bisogna essere santamente crudeli. Io non trovo altro rimedio che mandare i giovani presso i loro genitori o parenti, affinchè, se sono nella possibilità di pagare, siano sollecitati con questo atto a farlo prontamente; se non sono nella possibilità, si tengano i giovani a casa. Non vi è che una sola eccezione, ed è quando quel giovane desse buone speranze per la Chiesa; allora si può tollerare alquanto e, se non solvono, si possono inviare alla casa di Torino o di Sampierdarena o in altra casa di beneficenza. Qui, come per altri, la Provvidenza provvederà anche per loro; ma i collegi è bene abbiano una retta fissa e che, per quanto si può, non si transiga.
Conferenza 13ª. Conveniva fare distribuzioni di pane e minestra ai poveri presso la porta dei collegi? Distribuzioni pubbliche di vitto, no; in privato, sì, ma a famiglie indicate dal parroco. Dopo questa conclusione Don Bosco diede sul far limosina alcune norme sapienti, che sono insieme documento della sua carità generosa, ma illuminata.
Raccomando tanto tanto di sostenere, quanto si può, i forestieri poveri, perchè d'ordinario non sono conosciuti, ed anche se conosciuti, non sono curati dal paese. Trovandosi di costoro che si conoscano proprio necessitosi, si soccorrano in tutti i modi possibili; perchè sono sempre in pericolo maggiore che non i paesani in egual condizione.
Bisogna anche avere riguardo specialissimo ai giovani e a quegli omaccioni, che si vedono di tanto in tanto domandare la limosina. Il motivo di questo è che, se costoro si adattano a domandare la limosina mentre sono forti e robusti, li spinge vera necessità e sono buoni cristiani. Se tali non fossero, si getterebbero al ladroneccio e per lo più non vi è nefandità che non si mettano poi a fare questi tali, qualora comincino a battere la mala via. Se poi sono giovanetti, ci sono già più raccomandati, appunto perchè più conformi alla nostra missione, ed anche perchè, non potendo ancora avere principii abbastanza [275] fermi, basta un nonnulla a gettarli per la strada dell'iniquità, la quale seguiteranno forse per tutta la vita.
Qualora poi avvenisse che chiedano la carità zitelle, oh, allora si soccorrano immancabilmente e con ogni carità e con la maggior larghezza che per noi si possa. Non vi è forse al mondo classe di persone più in pericolo dell'immoralità che queste zitelle così povere e abbandonate. Io per me darei ben volentieri la parte mia del pranzo, se non avessi altro, per toglierle di pericolo. Nè si dica che forse non ne avranno bisogno o che saranno già rotte ad ogni vizio. Se non fossero in bisogno, per lo più non verrebbero a chieder soccorso a noi. D'altronde, ancorchè non fossero virtuose, si toglierebbero almeno per quella volta dal pericolo. Ed è già una gran cosa!
Non si dica generalmente che coloro i quali domandano limosina, non siano bisognosi; si creda pure che la miseria ai nostri tempi ha forme molto più estese di quel che sembra esteriormente, e si trovano di quelli degni d'ogni compassione, i quali all'esterno sembrano di agiatissime famiglie. Quanti stettero già da me a domandarmi qualche cosa, anche del pane, i quali tengono il posto di pubblici impiegati e molte volte sono assai ben vestiti! Eppure, avuto quel poco, mescolarlo a lagrime di consolazione, che loro cadevano involontariamente dagli occhi!
Conferenza 14ª. Don Bosco biasimò sempre chiunque facesse nelle singole case costruzioni nuove o riparazioni di qualche rilievo senz'averne chiesto e ottenuto il permesso dal Superiore. - Questo punto, riaffermò allora, è della massima importanza; poichè non solo nelle nuove costruzioni, ma anche nelle riparazioni, specialmente dove entrano i muratori, la spesa ascende, ascende molto, e rincresce il vedere che si fa economia fin sul centesimo per altre cose e quasi si stenta del necessario, e poi per lavori di non vera necessità si spendono a cuor leggiero anche centinaia di franchi. Sia dunque inteso che prima di fare simili spese si ottenga il permesso dal Superiore, per ora dal Rettor Maggiore e in seguito almeno dall'Ispettore. - A taluno pareva che con questa esigenza Don Bosco fosse troppo stretto.
Anzi, ripigliò, è necessario essere strettissimo, perchè si tratta di cosa che, se non si tiene molto stretta, quasi per natura sua s'allarga, [276] essendo naturale, al vedere una cosa che non garba tanto, il volerla far cambiare, e qui bisogna tirare su un tramezzo e là demolire quell'altro, e qui aprire una porta e là chiudere quell'altra; ben inteso però che, cambiandosi in quella casa prefetto o direttore, verrà di nuovo il bisogno di atterrare l'eretto e di erigere l'atterrato, andando avanti così di spesa in spesa e con poca o nessuna utilità.
È poi necessario essere molto rigoroso in ciò per togliere d'imbroglio il Direttore. Vi sarà sempre quel prefetto, quell'assistente, quel maestro, che trovano indispensabili tante cose e vorrebbero introdurre variazioni. Vanno dal Direttore, il quale, vedendo anche lui dell'utilità nella cosa, non potrebbe negarla senza ingenerare malcontenti. Invece, quando si sappia che le son cose al tutto indipendenti dal Direttore, si acquetano e non dimandano più oltre.
D'altronde, io vidi che, come in tutto il resto, così in ciò specialmente si deve avere la mira più alta del segno e che bisogna volere due per essere sicuri di ottenere almeno uno.
In certi Ordini religiosi, alla fine dell'anno oppure quando vi è la visita del Superiore, fanno una lista delle riparazioni che occorrono ed anche delle più piccole cose si domanda permesso al Superiore. Molte volte il Superiore non farà alcuna osservazione; ma è sempre in libertà di farne: e poi quel solo riflesso che la tale spesa deve passare dal Superiore, fa sì che le cose non necessarie si tengano indietro.
Più avanti tornò sul tappeto la questione delle monografie e delle cronache, ventilata già nelle annue conferenze dei Direttori. Affacciatasi fortuitamente, occupò la maggior parte della seduta. Don Bosco fece un discorso, da cui si rileva una volta di più quanta importanza egli desse alla cosa.
Fra noi si lavora molto, si fanno molte cose; ma non teniamo memoria delle cose che si fanno. Finora la straordinaria moltiplicità delle occupazioni che si accalcano l'una sull'altra, senza lasciare un po' di tempo libero, ha fatto sì che riuscisse impossibile riprodurre per iscritto quello che fra noi si faceva. Non già che adesso le occupazioni per noi abbiano tregua; ma molte cose si trova modo di farle fare da altri, e molte sono già divise fra più, mentre prima erano unite e addossate al medesimo individuo. Di più nei tempi andati non si conosceva tanto la necessità di tenere nota di ciò che si faceva; ora vediamo che alcune volte nascono confusioni dove non avverrebbero, se si fossero tenuti gli opportuni appunti. E poi oggi ci accorgiamo che, essendo la Congregazione definitivamente approvata, dobbiamo dare norma a chi verrà dopo di noi. Il vedere che da noi si è operato in un modo piuttosto che in un altro e che la cosa riuscì, indicherà a loro la via per la quale dovranno camminare. Io pel momento trovo [277] di maggior importanza questo che altre cose; perciò credo necessario che ciascun Direttore in quest'anno vi si metta di buona voglia e pensi e studi il modo più opportuno e trovi il tempo a ciò, e questa che chiameremo monografia del proprio collegio si faccia e ogni anno si continui dal Direttore pro tempore.
La monografia cominci dal momento che in Torino si parlò di aprire quella casa o quel collegio; si mettano le trattative, i pro e i contro, gli aiuti e gli ostacoli, l'anno e il mese della fondazione; i nomi del Sommo Pontefice regnante, del Re, del Vescovo diocesano; poi seguiti narrando, per esempio, che l'anno tale si fece questo e quello e si tiri avanti cronologicamente indicando i fatti particolari, tessendo la biografia di coloro, per cui la convenienza lo richiegga; ma più che ad ogni altra cosa si badi a portare i documenti autentici e a indicare dov'essi si trovano. Di ognuna si trarranno due copie: una si conserverà nell'archivio del proprio collegio e l'altra si manderà all'archivio generale. Quando queste singole monografie siano arrivate a Torino, allora sarà da pensare a un altro lavoro, cioè a togliere da ciascuna quanto contiene di più importante per descrivere più in breve l'andamento della Congregazione.
Noi stessi fra molti anni saremo ammirati di vedere come con sì pochi mezzi e in sì poco tempo si sia fatto tanto, e impareremo l'uno dall'altro i mezzi da usare per riuscir bene nelle imprese. E dirò ancora che ciascuno imparerà da se stesso; poichè col procedere dei tempo non par vero come si dimenticano molte delle cose pratiche fatte da noi, che, sebbene facili, sono importantissime: rileggendoci, avremo di che imparare. Affinchè poi l'ammaestramento sia maggiore, e d'altronde trattandosi di scritti privati per noi, si mettano pure i difetti, nei quali si è caduti, dicendo, per esempio, che nelle tali circostanze si adoperarono tali mezzi e si sbagliò. Questo renderà la storia più fedele e servirà d'avviso per altre volte.
Tutti gli Ordini religiosi hanno questa specie di cronaca e minuta e documentata, e continuano a lavorarvi attorno alacremente, sebbene talora l'Ordine sia in decadenza; e continuano a farla di certe case che da mezzo secolo non sono più in loro potere, sicchè sanno di quelle tutte le principali vicende... Ne fummo privati l'anno tale; andò in possesso dei tale; poi servì al tale uso; poi passò al tal altro; poi si restituì... E conoscono per filo e per segno nomi di venditori e di padroni
Fra i Gesuiti vi è uno appositamente in ogni casa, il quale deve scrivere la storia e nei catalogi dei confratelli si stampa anche che il tale dei tali è scriptor historiae domus. Costui o chi sarà da lui incaricato fa la biografia di chi muore in casa, fosse pure l'infimo dei confratelli. E tutte queste memorie si tengono in archivio. Ogni tre anni poi tutte le case mandano copia dei loro annali all'archivio generale, affinchè serva alla storia della Congregazione. La storia poi della Congregazione [278] non si scrive tutti gli anni, ma dopo un periodo considerevole di tempo, ed anche si attende per avere un buono storico: allora si redige e sempre in latino: et quidem storia vera e autentica e molto bene scritta, sia per il latino eccellente sia per il modo di condurre la narrazione. Perchè questa non riesca troppo lunga, dagli annali bisogna estrarre solo i fatti principali; altrimenti diverrebbe noiosa. Neppure gli annali devono contenere tutte le singole particolarità. Anch'essi vogliono essere bene scritti ed elaborati; bisogna far uso di gran discernimento, saper evitare le ripetizioni, le cose che non hanno conseguenze, le minutezze. Tra i Gesuiti per le piccole cose, specialmente per i fatti edificanti, si ha un altro mezzo; vi sono le lettere annue, in cui si tien nota precisa di quanta predicazione si fa in ogni chiesa, degli esercizi di pietà e degli esercizi spirituali, delle confessioni e comunioni fatte in casa; ma specialmente di tutti i fatti edificanti che avvengono fra loro. E queste lettere si tramandano da una casa all'altra, da provincia a provincia, perchè si leggano in refettorio. In ogni casa vi è uno incaricato di redigerle e nel personale della casa è notato: Redigit litteras annuas.
Certo adesso questa monografia darà molto da fare, perchè si tratta di cominciare e i principii sono sempre più difficili, ed anche perchè si hanno da riandare cose di parecchi anni addietro; ma quando si sia redatta fino ai nostri giorni, ed anno per anno non si abbia da aggiungere se non quanto in quel tempo di più importante successe, e, sapendosi già di dover fare questo, si prenderà nota dei fatti mentre succedono, allora la cosa sarà di molto semplificata e con facilità da qualunque Direttore potrà eseguirsi.
Nella biografia che è da farsi di quei confratelli, i quali già furono dal Signore chiamati all'eternità, è da usare cura speciale. Di alcuni basteranno poche memori; di altri invece sarà da occuparsene proprio ex professo. Dei confratelli morti in questi ultimi anni sarà sufficiente quanto si è stampato in appendice ai nostri catalogi: ma degli antichi molte memorie sono da cercarsi con cura e bisogna vedere che non si perdano; perchè mi par proprio di poter dire che saranno questi sacerdoti o chierici o coadiutori, come altrettante perle che si devono far risplendere nella storia della nostra Congregazione. Quante cose sarebbero a dirsi di Don Alasonatti! E Don Ruffino? Quante care memorie lasciò! Fu un vero modello di vita cristiana. Io non so se l'abbia da mettere a confronto con san Luigi; ma per certo, tutto quello che sa fare un buon giovane, un buon chierico, un buon prete, lo fece tutto e lo fece con un ardore tale che nella pietà può essere messo a confronto coi migliori esemplari di vita cristiana e religiosa. Un bel lato principale di queste biografie sta qui: vedremo fra tanti anni come in questi tempi andati si lavorasse. Nasceranno con l'andare del tempo difficoltà e si avrà la chiave in mano per schivarle. Io ora mi trovo in certi imbrogli successi già molti anni sono; altri in questo [279] resterebbe impigliatissimo: io me ne vo avanti tranquillo, poichè non ho da fare altro che ricordare la buona o cattiva riuscita dei mezzi adoperati allora.
RIPOSO DOPO PRANZO, ISPETTORIE E ISPETTORI, RETTORE MAGGIORE E CAPITOLO SUPERIORE.
Conferenza 16ª. In quasi due conferenze successive si trattò di abitudini buone e di abitudini cattive. Fra le abitudini per sè indifferenti, ma nella realtà sempre cattive ed esiziali Don Bosco poneva l'andar a riposo nel letto dopo il pranzo. Nei paesi molto caldi si costuma andarvi; certe Congregazioni stabiliscono che vi sia per i confratelli un tal riposo; educatori anche buoni cristiani lo permettono agli allievi.
Ma per me, disse Don Bosco, la tengo una delle cose più pericolose per la moralità e sono di parere che il tener quest'abitudine e conservar bene la moralità sia cosa difficilissima, per non dire impossibile. Credo che se i Direttori di case conoscessero quanto questo riesca esiziale, si contenterebbero piuttosto di chiudere il collegio, che introdurre tale abitudine.
È dunque da vietare ai nostri confratelli ed ai giovani di riposare un poco nel dopomezzodì? Se avviene che, specialmente d'estate, uno resti soprappreso dal sonno, nel pomeriggio, dovrà sforzarsi a non lasciarsi vincere da quella tendenza? No; avvenendo che, mentre si lavora o si studia, il sonno ci sorprenda, ognuno assecondi pure questo bisogno e dorma un momento, adagiandosi sulla sedia o posando il capo sulla scrivania; ma nessuno si ponga a letto per conciliarselo il sonno; poichè io credo che sia precisamente questo il daemonium meridianum, da cui siamo avvisati di guardarci, come tanto pericoloso per le anime.
Per i giovani poi si continui quanto da noi già si pratica, nei paesi di gran caldo, dopo aver fatto un po' di ricreazione, si radunino nello studio o nella scuola e quivi ciascuno al proprio posto studii o dorma a suo piacimento, purchè siano assistiti, affinchè regni il silenzio e chi vuol riposare non ne venga impedito. Così chi sente il bisogno di riposare, può farlo; gli altri, cui il sonno non si concilia, hanno occupazione e tutti i pericoli scompaiono. Insomma quel che si riprova è l'abitudine di andare a letto dopo pranzo.
Tuttavia si volle far notare come nei paesi caldi questa abitudine fosse proprio generale, sicchè pochissimi non la [280] seguivano. - Ebbene, riprese Don Bosco, procuriamo di essere noi nel numero dei pochissimi, e credo che non ci troveremo malcontenti d'aver schivato quest'abitudine. Così facendo, si potrà lavorare di più, si acquisterà maggior riputazione, e altri imiteranno forse il nostro esempio.
Esaurito il tema delle abitudini, il resto del tempo fu speso a legiferare intorno a quella novità che era la divisione della Congregazione in province. Ne risultò il Regolamento per l'Ispettore, che si può leggere a parte; di due cose che ivi non si leggono, diremo noi ora brevemente, perchè materia dì storia.
Prima di tutto la denominazione. Il Capitolo scartò il nome di Provincia e specialmente il titolo di Provinciale, perchè non più opportuni ai giorni nostri. In faccia al mondo avrebbero fatto apparire la Congregazione sotto l'aspetto di Ordine monastico, rendendola antipatica, tanta avversione i nemici della Chiesa avevano inoculata in animi anche onesti contro le vecchie e venerande istituzioni religiose. Per altro non era questo un uscire dal solco della buona tradizione. Lo stesso sant'Ignazio non aveva già sbandito una parte della precedente nomenclatura conventuale? Così, per esempio, all'appellativo di Padre Guardiano aveva egli sostituito quello di Padre Rettore. Parve dunque ottimo consiglio fare a meno anche noi di certe esteriorità accidentali atte a urtar i nervi nei contemporanei e a renderci invisi fra la gente, a cui vogliamo far del bene. Il superiore pertanto incaricato d'invigilare sopra un certo numero di case si chiamasse Ispettore, e Ispettoria il territorio della sua giurisdizione; questi due termini esprimere con esattezza la cosa voluta e sonare oggi bene accetti ai profani, essendo pure usati in amministrazioni civili e scolastiche.
In secondo luogo, l'età dell'Ispettore. Fra i requisiti di eleggibilità conveniva fissarne un minimo? Don Bosco nel comporre le Regole aveva stimato meglio passar sopra all'età in tutte le cariche; quindi nelle redazioni primitive e nel testo [281] mandato a Roma per l'approvazione, di età non si parlava mai, qualunque fosse la carica elettiva. Roma però volle trentacinque anni per le cariche maggiori. Se non che, essendo la Congregazione quasi ancora sul nascere, i suoi membri non toccavano allora generalmente la matura virilità; onde fu necessario subito invocare dispense temporanee dall'osservanza di quella regola. Quanto agl'ispettori, evidentemente non si poteva far motto della loro età nelle Costituzioni, perchè al tempo dell'approvazione essi non esistevano ancora; perciò il Capitolo Generale lasciò in sospeso il problema, aspettando di vedere che cosa avrebbe fatto la Congregazione dei Vescovi e Regolari, quando le si fossero presentate deliberazioni di Capitoli Generali intorno alle Ispettorie.
Secondo il concetto di Don Bosco, che l'ha espresso nella conferenza 17ª, l'Ispettore Salesiano è “ un padre il quale ha per ufficio di aiutare i suoi figliuoli a far andar bene i loro negozi, e quindi li consiglia., li soccorre, insegna loro il modo di trarsi d'imbarazzo nelle circostanze critiche ”.
L'argomento delle Ispettorie tirò in campo la questione dei poteri che bisognava riconoscere nel Rettor Maggiore.
Su questo terreno Don Bosco tendeva manifestamente ad allargare i limiti, mirando a ottenere che tutto l'andamento generale della Società dipendesse dal Rettor Maggiore. Vi fu chi credette bene di muovere un'osservazione. Finchè si trattasse di Don Bosco personalmente, tutti volevano che egli avesse ogni autorità senza limitazione di sorta, ma bisognava pensare anche a quelli che sarebbero venuti in seguito. - E appunto per questo, interruppe Don Bosco, io vado guardingo e sto ben attento che non s'intralci l'autorità del Rettor Maggiore. Se si trattasse di me, non avrei questo bisogno, perchè già nel poco e nel molto mi lasciate fare quanto mi sembra; e poi, avendo io nelle mani il filo di tutte le cose, non si potrebbe quasi neanche agire diversamente. Ma io devo badare a quelli che verranno dopo di me. - [282]
Conferenza 20ª. Questa conferenza ebbe piuttosto il carattere di una seduta ordinaria del Capitolo Superiore per il disbrigo degli affari correnti; così avvenne che si discorresse pure di quei cotali, che, dimentichi della propria vocazione, se ne andavano per i fatti loro. Don Bosco raccomandò di usare sempre con essi tutti i riguardi possibili. - La cosa è un po' difficile, notò egli, perchè costoro spesse volte, e si può dire sempre, hanno demeriti notevoli. Tuttavia è bene che dissimuliamo i loro falli, usando con essi la massima benevolenza. Così anch'essi serberanno amore e rispetto alla Congregazione e noi saremo sicuri che, passato un po' di tempo, avremo in quel confratello un amico, un aiuto, uno insomma che, se non altro, parlerà bene di noi. E si creda pure che ne abbiamo bisogno: arreca sempre gran danno colui, il quale, anche ingiustamente e colpevolmente, sparli della Congregazione. Desidero piuttosto che si abbondi in gentilezze non meritate, anzichè far loro sentire un po' aspramente i meritati rimproveri e licenziarli di malagrazia.
Conferenza 22ª. La lettura dei verbali, anzichè farsi al principio di ogni seduta, fu rimessa al termine delle discussioni. Ebbe dunque cominciamento in questa conferenza, dando origine a una digressione, sulla quale è utile soffermarci. Si domandò se non fosse cosa buona stabilire che ogni sera nei collegi si desse la benedizione col Santissimo Sacramento. Così farsi da molti anni nell'Oratorio, così a Lanzo; non potersi dunque fruttuosamente fare lo stesso dappertutto? Tanto poco essere il tempo richiesto a ciò!
Buona, anzi ottima la cosa, come dubitarne? Ma non la si volle nei collegi se non durante le novene e il mese mariano, secondochè costumavasi nell'Oratorio prima che vi fosse la [283] chiesa di Maria Ausiliatrice. Vi si addussero due motivi. Il primo era di non sovraccaricare i giovani con pratiche divote. Molti di essi venivano da famiglie, in cui di religione poco si parlava e di pratiche religiose non se n'aveva forse nessuna quotidiana. C'erano già tutti i giorni le orazioni del mattino e della sera, il rosario, la messa, più le piccole preghiere solite a recitarsi lungo la giornata, e tanto bastava per la generalità. Chi volesse fare di più, si esortasse a farlo spontaneamente, massime la visita quotidiana a Gesù Sacramentato e alla Santissima Vergine; ma in comune non si aggiungesse altro. Il secondo motivo era per non dare tanto nell'occhio ai cattivi. Tutti avevano gli occhi addosso ai Salesiani, tanto i privati che il pubblico. In tempi nei quali si studiava ogni mezzo per abbattere tutto che sapesse di religione e si cercavano appigli d'ogni fatta per distruggere sacre istituzioni, manipolandosi apposta l'insegnamento e cambiandosi e ricambiandosi programmi, perchè i religiosi, attaccati ai loro metodi, antichi, non potessero più rispondere alle esigenze del moderno insegnamento, i nemici della Chiesa qualora avessero scorte nei collegi Salesiani tante pratiche di pietà, li avrebbero subito fatti bersaglio alle loro vessazioni. - Noi, continuò Don Bosco, abbiamo da fare con lo spirito del secolo, nemico potente e di malizia molto raffinata. Abbiamo assolutamente bisogno di non dare nell'occhio. Dal momento che volessimo combattere, come si dice, a spada tratta e apertamente con questo nemico, noi resteremmo subito contrariati e resi inutili a ogni lavoro. Atteniamoci sempre alla legalità; si accondiscenda proprio sempre molto dove si può; pieghiamoci alle esigenze moderne, anche ai costumi e alle consuetudini dei vari luoghi: purchè non si abbia da fare contro coscienza. Piuttosto che metterci in lotta con le autorità, prendiamoci pure il torto, dove abbiamo ragione; accondiscendiamo a tutti i regolamenti, decreti, programmi. In questo modo saremo benevisi, ci lasceranno operare (il che è più), e nello stesso tempo non faremo nulla contro coscienza. [284] Questa idea sulla convenienza di evitare sinistre impressioni nei profani con segni esterni di pietà non necessari, già due volte era affiorata durante il Capitolo Generale. Nella conferenza ottava essendosi da taluno proposto che in ogni dormitorio si accendesse sotto una statuetta della Madonna un lumicino simile alle lampade delle chiese, sicchè, chi si svegliasse, corresse subito con lo sguardo a Maria Vergine, arrise a tutti il bel pensiero; ma Don Bosco vi oppose un'osservazione “ che egli ha sempre di mira ”, commenta il verbale. - Venendo qualche maligno a visitare le nostre case, che direbbe al vedere in tutti i dormitori un altarino? Ci accuserebbe di superstizione; e noi, dati i tempi in cui siamo e viste le circostanze in cui ci troviamo, dobbiamo andar guardinghi in questa parte. Dobbiamo cercare d'imprimere, per quanto è possibile, la religione nel cuore di tutti e d'imprimerla più profondamente che si possa; ma con il meno di esteriorità che sia possibile. E sebbene nelle cose necessarie a farsi, non bisogni guardar in faccia a nessuno, tuttavia nelle non necessarie conviene evitare qualunque manifestazione che ci metta troppo in vista per quel che siamo.
Poi da capo nella conferenza quindicesima, a proposito di abitudini buone da conservare e propagare, fu rinnovata la raccomandazione di non introdurne di quelle che agli occhi dei cattivi potessero aver l'aria di pratiche superstiziose; nel che doversi aver riguardo specialmente alle usanze dei paesi. Che dire pertanto dell'uso di fare il segno della croce in cortile prima di sbocconcellare la pagnotta della colazione? Ecco la risposta del Beato: - Questa per certo è un'abitudine ottima; ma che direbbero i maligni se, andando a casa loro o comecchessia loro presenti, ci vedessero fare così il segno di croce? Se ci vedono farlo a pranzo, non dicono nulla; sanno che il catechismo lo prescrive, che ogni buon cristiano lo fa, e non se ne meravigliano. Noi in particolare possiamo farlo; ma in quei luoghi dove non c'è l'abitudine, non è il caso d'introdurlo. Specialmente non è da insistere su di questo coi giovani dei [285] nostri collegi. Purtroppo ve ne sono di quelli, che hanno genitori tutt'altro che religiosi. Se li vedono fare la preghiera prima o dopo il pranzo, forse lo tollerano; se vedessero farlo a colazione, facilmente susciterebbero questioni e alle volte non manderebbero più i giovani in collegio, dicendo: S'insegnano loro troppe bizzoccherie!
RETTOR MAGGIORE E CAPITOLO SUPERIORE. LE CRITICHE. “ LETTURE CATTOLICHE ” E “ BOLLETTINO ”.
Conferenza 23ª. Nella lettura degli articoli precettivi o direttivi, che nei verbali facevano seguito alle varie discussioni, se ne incontrò uno, nel quale di una certa cosa si diceva che la si rimettesse “ al Capitolo Superiore ”. Don Bosco volle modificata l'espressione con sostituirvi “ al Rettor Maggiore ”. E spiegò: - Nominandosi il Rettor Maggiore è già tutto inteso; poichè la Regola dice che nelle cose d'importanza egli raduni il suo Capitolo. Dicendosi altramente, pare si voglia far la cosa senza il Rettor Maggiore, mentre a lui spetta il disporre tutte le cose della Congregazione. In tutte le cose di rilievo si faccia sempre capo al Rettor Maggiore; egli poi, se vede spettare esse a qualche uffizio particolare, affiderà una faccenda al prefetto, un'altra all'economo o a chi di ragione. Ma se le cose sono di maggior rilievo, radunerà il Capitolo.
Nel corso della medesima lettura, riandandosi il detto intorno alla diffusione di buoni libri, il Beato prese la parola per dare alcuni consigli.
Non si critichino mai libri altrui, non se ne sparli. Questo serve solo ad attirarci grandi odiosità. Noi adotteremo i testi che meglio ci piacciono, se qualche amico c'interroga, si risponderà come a noi pare, ma lasciando di criticare altri.
Questo poi si faccia ancora più scrupolosamente, qualora si tratti di associazioni esistenti nei paesi, vale a dire confraternite, in cui le cose si facciano alla buona e grossolanamente. Non se ne dica mai male, nè si mettano in ridicolo per questo; anzi s'istruiscano, si aiutino [286], si consiglino, si sostengano in ogni modo queste buone istituzioni, e così noi con la benedizione di Dio ci attireremo pure la benevolenza degli uomini.
Anche verso chi criticasse noi, adoperiamo benignamente, prendendo in questo per stemma il prezioso motto: “ Far bene e lasciar dire ”. Se si attacca briga, si perde anche quando nelle dispute si riesce vittoriosi. Alcune volte vi è chi desidera attaccar briga, perchè così avrà poi pronto un motivo o almeno un pretesto per farci del male in tutti i versi.
Se diciamo già tanto contro il criticare cose altrui, tanto più dobbiamo dire contro coloro i quali, occorrendo alcun che non di loro gusto, criticassero le cose nostre. Mi sta tanto a cuore che ogni Direttore propaghi questo principio, e raccomandi e insista, finchè sia allontanato lo spirito di critica dai nostri confratelli!
Ogni Direttore inoltre si faccia con zelo a propagare nei nostri collegi le Letture Cattoliche e le associazioni dei Classici. Una volta quasi tutti i giovani vi erano associati; ora si è limitato tanto questo numero! Lungo l'anno procurino tutti in varie circostanze di parlarne, farle conoscere, lodarle e ottenere che molti restino associati. Saran sempre buoni libri che si spargono nel collegio e che si leggono con gran vantaggio. Inoltre questi libri si mandano dai giovani a casa e tanti altri li leggono. Nella loro casa varii li vedono e domandano di associarsi anch'essi, e con questo mezzo può allargarsi molto il bene che con dette letture si può fare. Si creda che la cosa è di maggiore importanza che non paia a primo aspetto: noi che ci affatichiamo tanto a fare associati, trascurando questo, tralasciamo uno dei mezzi che può essere di maggior vantaggio e di più facile esecuzione.
Un altro bene straordinario che viene dalla lettura e diffusione fra noi di queste associazioni e specialmente del Bollettino Salesiano, si è l'unità di sentimenti che ci acquista da parte di tutti e il vincolo strettissimo di unione che inserisce fra i confratelli. Noi siamo ancora nei nostri principii; il nostro numero non è ancora straordinariamente grande e finora l'Oratorio è stato centro per tutti, di modo che e tutti ci conosciamo e tutti i superiori delle varie case han visto come si fa qui e si sforzano di conservarne le istituzioni e lo spirito; ma andando avanti, se non si studia ogni modo di rannodare questo vincolo, in breve entrerà uno studio eterogeneo e non vi sarà più assoluta unità fra noi. Bisogna far di tutto per vincolarci in un solo spirito, e un modo speciale per ottenere questo si è che si leggano possibilmente nelle nostre case i medesimi libri, si studino i medesimi trattati, si apprezzino i medesimi autori e specialmente si conoscano dappertutto i libri composti dai nostri e le speciali opere delle singole case. E nulla potrà contribuire a questo meglio del Bollettino e delle Letture Cattoliche, che perciò si spandano largamente ed anche si leggano fra noi, quanto più sarà possibile. [287]
L'APPELLATIVO DI SALESIANO. DARE A CESARE QUEL CHE DI CESARE.
Conferenza 24ª. La denominazione di Salesiano, attribuita a soci e alle cose loro[133] e ripetutamente risonata agli orecchi nella lettura dei verbali, condusse Don Bosco a toccare un tasto sempre delicato ma allora delicatissimo.
Questa voce da noi dovrebbe usarsi molto parcamente. Alcuni anni fa non si era ancora introdotta e quasi non si conosceva che cosa volesse dire. Fu l'occasione della prima partenza dei nostri Missionari due anni fa quella che la introdusse e stabilì. Si cominciò a dire e ridire, stampare e ristampare dei Missionari Salesiani in Europa e in America, su libri e su giornali si raccontava dei Missionari Salesiani, e così invalse questo nome. Era cosa necessaria mi questi anni scorsi: bisognava che la Congregazione prendesse un nome fisso. Quello di san Francesco di Sales è nome caro alla Chiesa e al civile; è il santo della mansuetudine, virtù che piace sommamente anche ai cattivi; il santo che ci siamo preso per Patrono principale. Anche la parola Salesiano suona bene, sicchè si credette bene di adottarla.
Quello che ora dobbiamo fare si è di non darle troppa importanza, necessario che prendiamo qualche precauzione a questo riguardo. E prima di tutto nel dare alle stampe qualche libro non si metta: Prete Salesiano oppure della Congregazione Salesiana. Questo si è fatto fin qui, non è nulla; così si potrebbe continuare in certe circostanze speciali; ma generalmente non si faccia. Se l'autore del libro è Direttore di collegio, può mettere molto a proposito: Direttore del collegio salesiano, perchè quell'attribuzione è personale e serve a far conoscere il collegio e ad accrescere riputazione; il fare di più ci attirerebbe invidia, malvolere ed anche persecuzioni pubbliche e private.
Ora tuttavia si è fatto un passo molto ardito da questa parte: si è fissato questo nome nel Bollettino, che si manda ai nostri Cooperatori. È stato un passo ardito, dobbiamo dirlo, ma studiato. Era necessario farci conoscere e nel vero senso nostro. Finora, ringraziando il Signore, tutte le cose che si pubblicarono a nostro riguardo, si pubblicarono nel vero senso. Quel poco che si pubblicò dai malevoli contro di noi, consistette in alcune accuse o fatti particolari, che non intaccarono ancora niente l'andamento generale della nostra Congregazione. È gran cosa questa, che noi non veniamo fraintesi, ma possiamo [288] essere conosciuti proprio quali siamo. Io voglio sperare che il Bollettino, il quale si stampa appositamente per far conoscere il nostro scopo, aiuterà grandemente a tale effetto e presenterà sotto il loro vero punto di vista le con principali che di mano in mano avvengono nella Congregazione.
Scopo nostro si è di far conoscere che si può dare a Cesare quel che è di Cesare, senza compromettere mai nessuno; e questo non ci distoglie niente affatto dal dare a Dio quel che è di Dio. Ai nostri tempi si dice essere questo un problema, ed io, se si vuole, soggiungerò che forse è il più grande dei problemi; ma che fu già sciolto dal nostro Divin Salvatore Gesù Cristo. Nella pratica avvengono serie difficoltà, è vero; si cerchi adunque di scioglierle non solo lasciando intatto il principio, ma con ragioni e prove e dimostrazioni dipendenti dal principio e che spieghino il principio stesso. Mio gran pensiero è questo: studiare il modo pratico di dare a Cesare quel che è di Cesare nello stesso tempo che si dà a Dio quel che è di Dio.
- Ma, si dice, il Governo sostiene i più grandi scellerati, e talvolta si propugnano false dottrine ed erronei principii. - Ebbene, allora noi diremo che il Signore ci comanda di obbedire e di portar rispetto ai superiori etiam discolis, finchè non comandano cose direttamente cattive. Ed anche nel caso che comandassero cose cattive, noi li rispetteremo. Non si farà quella cosa che è cattiva; ma si continuerà a prestare ossequio all'autorità di Cesare, come appunto dice San Paolo, che si obbedisca all'autorità, perchè porta la spada.
Nessuno è che non veda le cattive condizioni in cui versa la Chiesa e la Religione in questi tempi. Io credo che da San Pietro fino a noi non ci siano mai stati tempi così difficili. L'arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno le persecuzioni di Giuliano l'Apostata erano così ipocrite e dannose. E con questo? E con questo noi cercheremo in tutte le cose la legalità. Se ci vengono imposte taglie, le pagheremo; se non si ammettono più le proprietà collettive, noi le terremo individuali, se richiedono esami, questi si subiscano; se patenti o diplomi, si farà il possibile per ottenerli; e così s'andrà avanti.
- Ma ciò richiede fatiche, spese: crea pasticci! - Nessuno di voi può vederlo come lo vedo io. Anzi la maggior parte degl'imbrogli non ve li accenno neppure, perchè non si resti spaventati. Sudo io e lavoro tutto il giorno per vedere di metterli a posto e ovviare agli inconvenienti. Eppure bisogna avere pazienza, saper sopportare e invece di riempire l'aria di lamenti piagnucolosi, lavorare a più non si dire, perchè le cose procedano avanti bene.
Ecco che cosa s'intende di far conoscere a poco a poco e praticamente col Bollettino Salesiano. Questo principio con la grazia del Signore, e senza dir molte parole direttamente, lo faremo prevalere e sarà fonte d'immensi beni sia per la società civile che per quella ecclesiastica. [289] Anche quanto al far bene e lasciar dire, Don Bosco sapeva benissimo che ogni regola ha la sua eccezione. Quindi, benchè alienissimo dal rispondere per le stampe ai giornali che lo assalivano, pure in certi rari casi stimò dover suo il ricorrere a quell'arma di difesa. Se n'era avuto un esempio il mese innanzi. La famigerata Gazzetta del Popolo aveva pubblicato una corrispondenza da Giaveno, nella quale, dandosi con velenose espressioni la notizia dell'arresto di un chierico assistente del locale collegio per fatti innominabili, si diceva ironicamente che l'arrestato era “un ex - allievo dell'Istituto di Don Bosco”. Don Bosco, appena potè avere le necessarie informazioni, scrisse questa letterina, che è un modello di moderazione:
Ill.mo Sig. Direttore della Gazzetta dei Popolo,
Nel suo giornale del 7 corrente agosto la S. V. pubblicò una corrispondenza di Giaveno che attribuiva a un mio allievo alcuni fatti per cui si occupava l'autorità Giudiziaria di Susa.
Io la prego di dare una rettificazione e dichiarare che la persona cui sono attribuiti quei fatti non fu mai allievo di alcuna delle mie case, nè come studente, nè come artigiano.
Spero che farà questa rettificazione a solo titolo di cortesia e per amore di verità, senza ricorrere all'appoggio delle leggi.
Colla dovuta stima ho l'onore, di professarmi
Sac. GIOVANNI BOSCO Superiore.
La Gazzetta, nel suo numero del 19, sotto la quotidiana rubrica “Pozzo nero”, dov'era comparsa la corrispondenza, pubblicò la lettera di Don Bosco, senz'aggiungervi una parola di commento.
DECRETO FINALE. ESERCIZI DEI CONFRATELLI.
Conferenza 25ª. Nella sedicesima conferenza Don Bosco aveva prospettata al Capitolo Generale l'opportunità che prima di sciogliersi addivenisse a un decreto, con cui fosse [290] data al Superiore la facoltà di redigere definitivamente e di ordinare gli articoli da mandarsi a Roma, lasciando lui arbitro di cambiare espressioni e cose nel modo che egli giudicasse migliore. Infatti era naturale che il complesso delle deliberazioni dovesse suggerire mutamenti, di cui volta per volta non s'intuiva la ragione; inoltre certi particolari, che tornava a proposito segnalare tra soci in privato, non andavano stampati nè posti sotto gli occhi altrui. Tanto lavoro non sarebbesi potuto compiere là da tutti insieme; onde la necessità di autorizzare il Superiore a eseguirlo comodamente in seguito. Ora si toccava con mano quanto fosse stata giusta la previsione di Don Bosco. La 25a conferenza si teneva la mattina del 5 ottobre, giorno destinato a chiudere i lavori del Capitolo Generale. Dopo un mese preciso di fatica tutti vedevano quanto restasse da fare, perchè l'opera si potesse dire compiuta. Eppure i Direttori avevano urgenza di ritrovarsi nei loro collegi per la prossima riapertura; Don Bosco per il 7, domenica del Rosario, aveva da tempo promesso di essere altrove. Disse adunque il Beato: - Le cose, come finora si sono trattate, si devono dire piuttosto abbozzate che compiute. È ancora necessario un lungo studio e lavoro per limare gli articoli già fatti, per ordinarli e vedere che non vi siano ripetizioni nè un articolo esprima qualche cosetta, a cui un altro contraddica; e poi occorre ancora separare le cose organiche, le quali sarà bene far approvare come regola, dalle cose disciplinari, ed anche da cose che, buone a sapersi da noi, non vanno pubblicate in alcun modo. Bisogna dunque oggi comporre questo decreto, il quale esprima la chiusura del Capitolo; nell'ultima seduta poi che terremo stassera, sarà letto e sottoscritto. - Nessuno fece difficoltà ad approvare che si troncasse senz'altro la lettura dei verbali. Per il decreto il medesimo Don Bosco tracciò le linee di base; l'incarico di redigerlo venne affidato a Don Durando e a Don Francesia.
Il rimanente della seduta fu dedicato a stabilire quanto [291] poteva concernere gli esercizi spirituali dei confratelli negli anni avvenire. Somma importanza il nostro Beato Padre attribuì in ogni tempo a questi annui ritiri. Fino al '77 il collegio di Lanzo, sulle alture delle prealpi, offerse nella stagione estiva la più gradita ospitalità a tutti gli esercitandi; ma l'estendersi della Congregazione obbligava a moltiplicare i luoghi di sì salutari convegni. Fu adunque deliberato che le case d'America, dell'Italia centrale e della Liguria avessero il loro corso d'esercizi nella rispettiva regione; due corsi fossero tenuti in Piemonte e due per le Figlie di Maria Ausiliatrice. Ma dove e quando?
Don Cagliero, interpellato per primo, nicchiò alquanto, accampando la mancanza di locale adatto. Don Bosco disse: - Il locale la Provvidenza lo provvederà. In ogni caso si preghi l'Arcivescovo di Buenos Aires che permetta di farli nel seminario durante le vacanze dei chierici. Buenos Aires è l'unico luogo centrale. Costerà certamente il venire da Montevideo e da S. Nicolás; ma pazienza! Noi abbiamo visto che qui la Congregazione prese, si può dire, uno sviluppo un po' accentuato solo dal tempo, in cui si cominciarono a fare gli esercizi spirituali appositamente per i confratelli.
Per l'Italia centrale si designò il seminario di Magliano, dove sarebbe andato Don Rua a rappresentare Don Bosco. Per la Liguria si rimase indecisi fra Sampierdarena, Alassio e la casa da aprirsi prossimamente alla Spezia. Di lì a due anni si sarebbe provveduto per un corso anche in Francia: ma intanto quei confratelli venissero nella Liguria. Ai due corsi di Lanzo, oltre i confratelli del Piemonte, sarebbero intervenuti sempre tutti i Direttori e quanti altri non potessero andare altrove.
L'assemblea; unanime fece voti che tali esercizi fossero predicati sempre da Salesiani. L'esperienza aveva insegnato che predicatori forestieri, anche assai dotti e santi, non producevano frutto come i nostri. Onde l'esortazione dì Don Bosco ai presenti che si addestrassero a predicare. - E poi, [292] soggiunse, incontrandosi chi abbia inclinazione speciale alla predicazione, e dicasi il medesimo per qualunque altra cosa, tenetelo presente alla memoria e cercate di secondarlo. Questo è un modo di ottenere buoni risultati senza tante fatiche.
Conferenza 26ª. Il Capitolo Generale, aperto la sera del 5 settembre, fu chiuso la sera del 5 ottobre: sicchè a un mese preciso di distanza l'ora del Te Deum coincise con quella del Veni Creator.
Anzitutto si esaminò l'abbozzo del decreto. Una sola osservazione merita di venir riferita. Gli estensori avevano scritto che si davano al Capitolo Superiore pieni poteri per ordinare, aggiungere e via via, A “Capitolo Superiore ” Don Bosco volle sostituito “ Rettor Maggiore ” adducendo tre motivi: 1° Per seguire l'uso di Roma che nelle comunicazioni ufficiali fatte alla Congregazione indirizza sempre gli atti al Rettor Maggiore. 2° Perchè, dicendosi Rettor Maggiore, si comprende anche il Capitolo Superiore. 3° Per una norma generale, com'erasi già dichiarato in precedenza.
Si trascorse quindi un po' di tempo a riparlare di predicazione. Nella seconda conferenza erasi deliberato che qualche confratello stendesse un breve trattato di eloquenza sacra da assegnarsi come libro di testo nelle scuole teologiche; venne designato Don Bonetti.
Ma bisogna, disse Don Bosco, che questo trattatello di precetti non riguardi esclusivamente la predicazione, sì bene anche l'educazione da darsi ai giovani. Bisogna incarnarvi il nostro sistema preventivo di educazione. Dev'essere l'amore che attira i giovani a fare il bene per mezzo di una continua sorveglianza e direzione; non già la punizione sistematica delle mancanze, dopo che queste siano commesse. È constatato che questo secondo metodo il più delle volte attira sull'educatore l'odio del giovane infin che vive.
La predicazione poi sia cosa semplice. Si dia la definizione della cosa, di cui si vuol trattare; dalla definizione si trae la divisione e se ne spiegano le parti. Non si affastellino molti testi o molti fatti appena [293] accennati, a fine di persuadere una cosa; ma quel testo o quei pochi testi si spieghino bene e si facciano campeggiare. Invece poi di accennare a molti fatti, se ne prenda uno che sia più a proposito e si racconti a lungo con tutte le sue particolarità che più facciano all'uopo. La ristretta mente del fanciullo, il quale non sarebbe capace di comprendere ed apprezzare la moltiplicità delle prove, terrà invece quest'una profondamente stampata nella mente e se ricevette in ciò una forte impressione, la sua tenera memoria la ricorderà poi ancora per molti anni.
Nel frattempo, essendosi messo in pulito e riportato nell'aula il decreto, se ne diede lettura; indi, pronunziatosi il placet, si passò alle sottoscrizioni[134].
Con quest'atto rimase chiuso il primo Capitolo Generale, i cui lavori erano proceduti con esemplare alacrità. Il Padre Franco, felicitandone i Capitolari, disse che in un sol mese essi avevano fatto quanto altrove avrebbe richiesto mesi parecchi. Ma appresso il dare forma canonica definitiva ai deliberati non fu cosa tanto spiccia, essendovisi voluto maggior tempo che da prima non si fosse immaginato; il fatto è che un anno dopo, l'impresa non era ancor giunta a compimento. Allora Don Bosco, valendo pur dare una legittima soddisfazione alla comune attesa, fece stampare e distribuire le quattro parti riguardanti la Vita comune, la Moralità, l'Economia e le Ispettorie, rimandando il resto a più tardi. Era un bel volumetto di circa cento pagine, recante sul principio un'affettuosa lettera del Beato Padre a' suoi “ figli amatissimi in Gesù Cristo ”[135].
Quando questa pubblicazione uscì, pendeva presso la sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari una pratica di Don Bosco per ottenere il benestare circa la proroga del Capitolo Generale. I tre anni dopo l'approvazione delle Regole datavano dal 4 aprile 1874, sicchè il Capitolo aveva subito [294] un ritardo di cinque mesi. Il Rescritto è annunziato dall'avvocato Leonori in sua lettera del 24 novembre 1878 insieme con quello per il conte Cays. Convalidata così la proroga del primo, riusciva possibile convocare gli altri Capitoli Generali nel periodo delle ferie scolastiche.
Il Beato aveva detto tante volte che le deliberazioni capitolari si sarebbero mandate a Roma; invece dopo un anno e più di rimaneggiamenti a Roma decise di non mandar nulla. Egli, come aveva per costume, ritenne miglior consiglio saggiare a bell'agio l'esperienza e vedere se la pratica in tutto e per tutto confermasse l'opportunità delle disposizioni fermate sulla carta. S'arrivò per tal modo al secondo Capitolo Generale, in cui alle deliberazioni del primo rivagliate ne furono aggiunte di nuove, e le une e le altre ben coordinate videro la luce nel 1882.
Il Padre Secondo Franco durante i preparativi del primo Capitolo Generale aveva detto che scopo precipuo dei capitolari doveva essere di formare la coscienza religiosa nei confratelli. Ciò che siamo venuti esponendo in questo capo è più che sufficiente a mostrare quanto buon cammino si fosse fatto in tal senso.
IL primo squillo annunziatore della terza spedizione partì da L'Unità Cattolica. Nel numero del 13 settembre un articolo intitolato “Nuova spedizione di Salesiani in America”, dopo un inno al Signore per il gran bene già compiuto e una descrizione dei vasto campo che si parava dinanzi ai figli di Don Bosco, mostrato il bisogno di operai evangelici in quelle remote contrade, diceva come Don Bosco stesse allestendo un terzo imbarco di circa quaranta persone fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui una parte avrebbe salpato nel prossimo novembre e il rimanente poco appresso. Si faceva quindi appello a tutti gli uomini di cuore, affinchè, aprissero le loro borse e aiutassero il Servo di Dio a sostenere le ingenti spese necessarie. Indi vi si proseguiva: “Non ignoriamo che alcuni non guardano tanto di buon occhio siffatte missioni, allegando per ragione aversi troppa penuria di sacerdoti fra noi”. Ma dopo altre considerazioni su questo proposito l'articolo terminava con la seguente osservazione: “Una persona molto versata nella storia moderna ebbe a ripeterci che ogni missionario spedito all'estero frutta non meno di dieci fratelli, i quali si avviano allo stato sacerdotale e pigliano [296] posto nella schiera, che quegli abbandonò eroicamente per recare agl'infedeli il Vangelo”[136].
Le citate parole dell'articolo alludevano con prudente reticenza agli effetti prodotti nel clero dell'archidiocesi da una lunga circolare che l'Arcivescovo aveva inviata ai parroci il 4 agosto. In essa Monsignore, rappresentata al vivo l'inquietante diminuzione dei sacerdoti, stimolava lo zelo dei sacri pastori a coltivare nella pietà i giovanetti inclinati allo stato ecclesiastico, mandandoli poi ai seminari di Bra e di Giaveno. Con tante cose belle e ben dette si leggeva fra le righe abbastanza chiaramente un biasimo per coloro che si adoperavano a preparare giovani per le Missioni estere e l'insinuazione che lo stato religioso non è più perfetto dello stato secolare. In un grave documento si osserva inoltre che chiunque leggesse quella circolare e conoscesse la Congregazione Salesiana, diceva subito che era fatta contro di essa[137]. Il punto più chiaramente allusivo a Don Bosco era là dove, asserito che “tutti gli Ecclesiastici sono indistintamente invitati [297] da Gesù Cristo alla perfezione”, soggiungeva: “Certo la immensa moltitudine dei fedeli, come tutti veggono, è posta dal nostro divin Redentore in mano ai Sacerdoti appartenenti al Clero così detto secolare ed è impossibile il supporre che esso voglia commettere quasi tutte le anime redente dal suo Sangue divino alle cure ed alla direzione di quella parte del Clero, che, come si vorrebbe supporre da taluno, dovesse essere la meno perfetta, la meno adorna, la meno ricca dì santità”. Lo stesso canonico Zappata, Vicario Generale, in un suo “parere intorno ad una circolare di Mons. Gastaldi”[138], era così persuaso del riferimento a Don Bosco che scriveva: “Bramerei che sopprimesse o almeno mitigasse l'allusione a Don Bosco, perchè temo assai ne possano avvenire da altra parte gravi disgusti all'Ecc. V. Ven.ma. Ella sa più di me quanti appoggi e protettori Don Bosco abbia in Roma; come, da quanto si dice, sia specialmente amato dal Papa... Non potrebbe accadere che da mala fraintesa o interpretazione da Roma venisse qualche cenno spiacevole e disgustoso all'Eccellenza Vostra?”.
Dopo questi precedenti, l'articolo del giornale cattolico non poteva esser lasciato correre senza richiamo. Infatti Monsignore, avutane contezza mandò al Teol. Margotti, direttore del giornale, una copia della sua lettera con queste parole scritte di suo pugno nel margine:
“Il benemerito Teol. Margotti è caldamente pregato di non promuovere neppure indirettamente la ognor crescente scarsezza di clero in Piemonte, ed anche nella diocesi di Torino, siccome potrebbe aver promosso col n. 213 anno 1877 de L'Unità Cattolica: e quindi non porre mai questo giornale in opposizione colle parole dell'Arcivescovo la cui autorità non può essere diminuita pur d'un millimetro, senza che ne riceva danno fra noi anche l'autorità papale. Vadano nelle missioni quanti Dio vi chiama: ma non si cerchi infondere tale vocazione in chi non l'ha nè quindi [298] la manifesta. La vocazione alle missioni è cosa tutta speciale”. Il Direttore de L'Unità Cattolica, tanto amico di Don Bosco, girò senz'altro a lui la stampa con la relativa soprascritta, accompagnandola con questo biglietto: “Venerat.mo e cariss.mo Don Bosco. Favorisca di leggere la presente, e pro bono pacis, per non offendere nè l'Arcivescovo, nè il Papa, non mi mandi più articoli da stampare senza il visto di S. E. Rev.ma. Suo dev.mo ed affez.mo Teol. MARGOTTI”. Don Bosco, che presiedeva a Lanzo il Capitolo Generale, gli rispose il 19 settembre, limitandosi a queste sole espressioni sull'incidente:
“Noi, caro Teologo, dovremo andare in paradiso insieme; giacchè dove c'è l'uno, c'è sempre l'altro...”[139].
Il fervore missionario era tenuto vivo, massime nei confratelli giovani, dalle lettere che giungevano dall'America durante i primi mesi dell'anno e che descrivevano al vivo i sacrifizi del personale troppo scarso per far fronte a tutti i bisogni. Quelle corrispondenze, lette a mensa, invogliavano tanti a domandare di correre in aiuto; anzi parecchi nel mese di aprile avrebbero voluto già intraprendere lo studio dello spagnuolo, tanto più che Don Bosco sembrava propenso a inviare rinforzi appena passata la festa di Maria Ausiliatrice. Ma poi incaricò Don Barberis di rispondere a quanti domandavano di partire che pensassero a far bene il mese di Maria e a prepararsi seriamente per i loro esami. Dichiarò inoltre essere sua intenzione che quella volta i Missionari imparassero meglio la lingua; sperare anzi che Don Cagliero potesse far loro almeno un mese di scuola, sicchè, arrivati là, fossero tosto capaci di lavorare. [299]
Rimandata dunque la nuova spedizione a novembre, la scelta dei soggetti da inviare fu fatta dal Beato men di due mesi prima che cominciasse il Capitolo Generale: quattro preti, otto chierici e sei coadiutori. La curiosità era grande di sapere chi fossero i fortunati; perciò molti stavano attenti a ogni sua parola per veder di scoprire il segreto. Il tutto si seppe in una maniera molto semplice. Un giorno Don Rua invitò Don Vespignani a prendere il caffè con Don Bosco. Egli non se lo fece dire due volte, ma volò nel refettorio, baciò la mano al Beato e si assise al suo fianco. Mentre si versava nelle tazze l'aromatica bevanda, Don Bosco prese a scherzare con lui e con i circostanti; quando poi ognuno ebbe la sua chicchera e ne sorbiva allegramente il contenuto, ecco Don Rua cavar fuori la solita strisciolina di carta, che sempre teneva fra le dita durante la ricreazione del dopo pranzo e che gli serviva di promemoria per dare avvisi, disposizioni e simili, e con un sorriso un po' misterioso guardare Don Bosco e dirgli: - Signor Don Bosco, vuole che io legga i nomi di quelli che faran parte della nuova spedizione di Missionari? - Avutone l'assenso, lesse adagio adagio: Don Costamagna, Don Vespignani... - e via via. In un baleno tutti quei nomi corsero di bocca in bocca per l'Oratorio, dando luogo a svariati commenti.
Don Vespignani che non s'aspettava tale improvvisata, trasalì. Egli, venuto alla Congregazione prete novello proprio la vigilia della seconda spedizione, aveva subito fatta domanda di andar Missionario; ma, nonostante le rassicuranti parole di Don Bosco[140], temeva sempre che le sue condizioni di salute non fossero ancora tali da permettergli quel viaggio. Allora Don Rua, accortosi del suo turbamento, gli chiese con grande amorevolezza, se avesse difficoltà. Alla sua risposta negativa: - Lei non andrà, interloquì Don Bosco, se prima il medico non la visita ben bene e non dichiara che [300] questo viaggio non Le può nuocere nella salute. - Infatti richiese il parere del medico, che glielo diede favorevolissimo.
I preti e i chierici a persone estranee sembrarono troppo giovani: cosa già detta sotto voce le altre volte, ma ridetta ora più apertamente. Ebbene da quei quattro preti uscirono un Vescovo, Don Costamagna, capo della spedizione; un Ispettore dell'Argentina e poi Consigliere professionale del Capitolo superiore, Don Vespignani; un eroico missionario della Patagonia, don Milanesio: ed erano i più giovani dei preti. Di quei chierici, due furono sapienti organizzatori d'Ispettorie, uno nell'Uraguay e nel Paraguay, Don Gamba, e l'altro nel Brasile, Don Rota; un terzo divenne zelantissimo apostolo del pergamo e del confessionale, Don Paseri; un quarto emulò Don Milanesio in Chos Malal e nel territorio del Neuquén, Don Panáro; un quinto si segnalò come pedagogista di competenza ufficialmente riconosciuta, diresse molto bene il grande collegio di S. Nicolás e per mezzo della scuola ottenne risultati sorprendenti fra i detenuti, Don Galbusera.
Sul conto dei coadiutori, che avevano l'aria di essere buoni laici e nulla più, nessuno par che trovasse a ridire. Di due almeno, Massa e Graziano, nomi non ignoti ai memori lettori[141], noi vogliamo fare un cenno. Il primo per circa dieci lustri, insegnando ai ragazzi il mestiere del calzolaio, contribuì efficacemente con la sua grande carità e pazienza a educare un bel numero di allievi artigiani. Toccò a lui la consolazione di addestrare al lavoro il primo Indio della Pampa Centrale figlio di Cacico e portato da monsignor Aneyros al collegio Pio IX. Questo tipo autentico della razza patagonica profittò talmente alla scuola del buon coadiutore, che divenne a sua volta maestro calzolaio nella scuola professionale di Viedma in Patagonia. Il Graziano, che incontrammo a Roma nel 1875 brillante ufficiale dell'esercito, deposte le spalline e fatti i voti nelle mani di Don Bosco, portò laggiù con la sua multiforme [301] attività le più spiccate attitudini a esercitare le funzioni proprie di un capo d'ufficio, prestandovi ottimi servigi nell'impianto e nell'organizzazione di quelle prime scuole professionali salesiane.
Dopo quanto abbiamo detto qui sopra sarà facile intendere un'osservazione di Don Vespignani, che dando un sintetico sguardo retrospettivo, scrive a più di mezzo secolo da quella data: “Nella terza spedizione partirono dall'Oratorio coloro che avrebbero tracciato ai Salesiani il cammino in tutte le direzioni per l'America del Sud, movendo successivamente dall'Argentina, donde si passò nel Chilì e nella Bolivia; dall'Uruguay, donde si andò al Paraguay e al Brasile, centro d'irradiazione alle Missioni del gatto Grosso, delle Amazzoni e del Rio Negro. Le due prime fondazioni del Plata diedero poi anche l'elemento per le fondazioni dell'Equatore, della Colombia e delle repubbliche circonvicine”[142]. È insomma la storia del granello di senapa, che si rinnova continuamente in seno alla Chiesa.
Sotto l'alta direzione di Don Cagliero e la guida immediata di Don Barberis gli eletti si addestravano nella lingua spagnuola e compievano la loro preparazione spirituale. Verso la metà di agosto si riunirono tutti a Lanzo per un corso di esercizi insieme con altri confratelli. Appartiene alla biografia del Beato Don Bosco ciò che scrive Don Vespignani a proposito di quello spirituale ritiro[143]: “Don Bosco che presiedeva i nostri esercizi, veniva quasi sempre con noi nelle ricreazioni e noi lo circondavamo col più tenero affetto, pendendo dalle sue labbra, ascoltandone consigli e raccomandazioni, facendogli molte domande, consultandolo su quanto ci poteva incogliere nell'avvenire: volevamo proprio stamparci bene nell'anima tutta la sua figura morale, volevamo bere alla fonte tutto il suo spirito. Non ci balenava lontanamente al pensiero l'idea, che non l'avremmo più visto o ascoltato; [302] giacchè per noi Don Bosco non doveva morir mai solo, prima di staccarci dal suo fianco, sentivamo il bisogno di raccoglierne quanti più ricordi e ammonimenti ci fosse possibile”. Nella così detta predica dei ricordi il Beato raccontò un sogno[144].
Sono venuto a dirvi due parole al posto del solito predicatore. Si ricevettero poco fa dall'America buone notizie, che sentirete poi leggere nei refettori o in altro luogo. Qui però io, invece di farvi una predica, vi racconterò una storiella. Chiamatela voi come volete: favola, sogno, storia; datele molta, datele poca, datele nessuna importanza. Giudicatela come vi piace; tuttavia anche la storiella che sono per narrarvi c'insegnerà qualche cosa..
Mi sembrava di passare per i viali di Porta Susa e davanti alla caserma dei militari vidi una donna che mi sembrava una venditrice di castagne abbrustolite, perchè sul fuoco faceva girare una specie di cilindro, dentro il quale io credeva che vi fossero a cuocere delle castagne. Meravigliato di vedere una maniera così nuova di far cuocere le castagne, mi avvicinai e vidi proprio quel cilindro a girare. Domandai alla donna che cosa facesse cuocere in quello strano arnese. Ed essa:
- Vado facendo confetture per i Salesiani.
- Come! dissi; confetture per i Salesiani?
- Sì! mi rispose; e in ciò dire aperto il cilindro, me le mostrò. Io potei allora, conoscere entro a quel cilindro confetture di vario colore, tramezzate e divise le une dalle altre da una tela; altre erano bianche, altre rosse, altre nere. Sopra di esse vidi una specie di zucchero ingommato, che sembrava goccie di pioggia o di rugiada caduta di fresco e questa pioggia era in qualche punto sparsa di macchie rosse. [303]
Io allora interrogai la donna: - Si possono mangiare questi confetti?
Ed io: - Ma... e che vuol dire che alcune di queste confetture sono rosse, altre nere, e altre bianche?
E quella donna: - Le bianche costano poca fatica, ma si possono facilmente macchiare; le rosse costano il sangue; le nere costano la vita. Chi gusta di queste, non conosce fatiche, non conosce la morte.
- E quello zucchero ingommato che cosa indica?
- È simbolo della dolcezza del Santo che avete preso ad imitare. Quella specie di rugiada significa che si dovrà sudare e sudare molto per conservare questa dolcezza, e che talvolta si dovrà spargere persino il sangue per non perderla.
Io tutto meravigliato voleva continuare a far domande, ma essa non mi rispose, più non parlò ed io continuai il mio cammino, tutto sopra pensieri per le cose udite. Ma ecco che, fatti appena alcuni passi, incontro D. Picco con altri nostri preti, tutti sbalorditi, tutti mortificati, coi capelli rizzati sul capo: - Che cosa è accaduto? dimandai loro.
E D. Picco: - Se sapesse!... se sapesse!...
Ed io insisteva domandando che cosa ci fosse di nuovo; ed esso: - Se sapesse!... Ha veduto quella donna che faceva confetture?
- Or bene, continuava tutto impaurito, mi ha detto che le raccomandassi di far in modo che i suoi figliuoli lavorino, lavorino. Essa diceva: troveranno molte spine, ma troveranno anche molte rose: di' loro che la vita è breve e la messe è molta; la vita, s'intende, è breve paragonata a Dio, perchè davanti ad esso è un momento, un nulla.
- Ma... e non si lavora? dissi io.
Ed egli: - Si lavora, ma si lavori. - Detto ciò, io non vidi più nè lui nè gli altri e più meravigliato di prima continuai la mia strada verso l'Oratorio e quivi giunto mi svegliai.
Questa è la storiella che vi voleva raccontare. Chiamatela apologo, parabola, fantasia, questo poco importa; quello che vorrei si ritenesse bene a mente si è ciò che disse quella donna a Don Picco ed agli altri; ossia che pratichiamo la mansuetudine del nostro San Francesco e che lavoriamo molto e sempre!
Qui Don Bosco si diffuse a spiegare quanto era stato detto dalla donna, ricavando dalle sue parole argomenti d'incoraggiamento a praticare quello che era stato; raccomandato. Disse pure a lungo del gran lavoro da farsi e del bisogno di lavorare, conchiudendo così: Guardiamo adunque di essere mansueti con tutti, preghiamo gli uni per gli altri, affinchè non avvengano defezioni nella moralità; facciamo il proponimento [304] di volerci sempre aiutare a vicenda. L'onore di uno sia l'onore di tutti, la difesa di uno la difesa di tutti; tutti siano impegnati per l'onore e per la difesa della Congregazione nella persona di ogni individuo, poichè l'onore e il disonore non cade già sopra un solo confratello, ma cade sopra tutti e sopra la intiera Congregazione. Perciò adoperiamoci tutti con zelo, affinchè questa nostra buona madre non abbia a ricevere danno o vergogna. Applichiamoci tutti a difenderla e ad onorarla. - Nell'esposizione di questo concetto proseguì ancora finchè uscì nella seguente perorazione: - Facciamoci coraggio, o figliuoli: incontreremo molte spine, ma ricordatevi che ci saranno anche tante rose. Non abbattiamoci d'animo nei pericoli e nelle difficoltà; preghiamo con fiducia e Dio ci darà il suo aiuto promesso a chi lavora per la sua causa. Uniamoci tutti insieme e facciamo quello che dice la Scrittura dei primi cristiani: cor unum et anima una. -
I Missionari evidentemente avevano più degli altri bisogno di stringersi e formare un cuor solo e un'anima sola. Don Bosco ci pensava. Il 7 ottobre era la Madonna del Rosario. Il Servo di Dio, appena chiuso il Capitolo Generale, non volle rompere la tradizione di festeggiare ai Becchi la solenne ricorrenza. Vi aveva mandato Don Milanesio con un gruppo di aspiranti a predicare la novena. Poi alla vigilia della festa mandò pure gli altri Missionari. Questi, andati fino a Chieri in treno e visitato il seminario, in cui Don Bosco aveva fatto i suoi studi ecclesiastici, proseguirono a piedi, sostando ogni tanto per riposare ed eseguendo allora capricciose fantasie con istrumenti a fiato e a corda più o meno concertabili, che parecchi di loro avevano portato seco. Don Bosco li raggiunse sul tardi. La festa riuscì molto divota e allegra. Nel ritorno passarono per Mondonio a visitare la tomba e la casetta di Domenico Savio. Quella gita così in corpo fu per Don Bosco uno dei mezzi, con cui affratellare i cuori di coloro che, poco o punto conoscendosi per l'addietro, dovevano andare a spendere le comuni fatiche tanto lungi dal Padre comune. [305] Mancava sempre il capo della spedizione. Don Costamagna nella casa di Mornese badava a preparare le sei Figlie di Maria Ausiliatrice, scelte a essere le prime della lunga schiera di consorelle, che si susseguirono in ambedue le Americhe. Impartiva loro lezioni di lingua spagnuola, avendola già egli appresa discretamente; le assisteva nelle inevitabili difficoltà coi parenti; le aiutava nell'allestimento del corredo da viaggio; ma soprattutto ne agguerriva gli animi con gli ausili spirituali. Non si mosse di là fino all'arrivo del nuovo Direttore Don Lemoyne. Finalmente il 28 ottobre tenne all'intera comunità una conferenza che fu l'ultima, sopra questo tema: “Il mondo sotto i piedi; nel cuore, sempre Gesù; nella mente, l'eternità”. Le scene del commiato dimostrarono quanta fosse la stima che per lui nutrivano educande e suore.
Fra quelle educande vi erano due sorelle di Don Vespignani. La visita improvvisa del loro Padre levò Don Giuseppe da un imbarazzo. Questi non aveva ancora scritto nulla ai suoi dell'andata in America; suo padre lo seppe dal Direttore di Mornese. Naturalmente corse a Torino più presto che non avesse stabilito. Ma a Torino c'era Don Bosco. Egli con Don Bosco aveva già avuto un incontro sul principio di febbraio, proprio nel momento che il Beato ritornava da Roma e quando il figlio giaceva così infermo come abbiamo detto. Sebbene fuori di sè dalla sorpresa dolorosa di trovare il malato in sì tristi condizioni, pure non aveva potuto sottrarsi al fascino che la bontà di Don Bosco esercitava su quanti lo avvicinavano; onde per quest'altra sorpresa ebbe difficoltà assai minore a rasserenarsi. Anzi le affettuose maniere del Servo di Dio lo soggiogarono a segno, che nel congedarsi, levatasi una grossa catena d'oro, gliela pose nelle mani, dicendo: Prenda questo piccolo omaggio a Maria Ausiliatrice. - Non bastò: fece ancora il sacrifizio di non riavere il figlio a casa prima della partenza, assumendosi egli stesso la delicata incombenza di far sì che anche la madre mettesse il cuore in pace. [306] Bisogna pur dire qualche cosa della preparazione finanziaria, che gravava anch'essa le spalle a Don Bosco. Che questa volta come nelle due precedenti egli diramasse una circolare per chiedere soccorsi, non sembra; del resto c'era ormai il Bollettino che vi poteva sopperire, tanto più che se ne faceva larga diffusione, se ne pagasse o no l'abbonamento. Nel suo numero di ottobre fu riportato per intero l'articolo de L'Unità Cattolica; ma soprattutto in quello di novembre si leggeva un caldo appello ai Cooperatori, perchè venissero in aiuto. Il Beato poi andò in persona a sollecitare la carità dei benefattori. “Io sono in giro cercando quibus per i missionari, scrisse in quel torno a un Direttore[145]; prega Dio che ce ne mandino”. In pari tempo dava mano alla penna e scriveva, scriveva con umile insistenza. Quand'anche non ottenesse nulla materialmente, egli non stimava gettata la fatica, perchè così, se non altro, di personaggi o di enti veniva richiamata l'attenzione sulla sua Opera.
Sperò di avere dal Ministro degli Esteri Melegari almeno le solite mille lire; con questa speranza gli fece pervenire una memoria, che raccomandò ai buoni uffici del tanto benevolo commendator Malvano.
Le unisco qui una memoria per S. E. il Ministro degli Esteri in favore dei nostri missionarii e maestri che devono partire per l'America in aiuto a quelli che già lavorano in modo speciale per la gioventù italiana che trovasi nella repubblica dell'Uruguai e della Repubblica Argentina.
Io raccomando questa pratica alla sua bontà e carità, e so che una sua parola contribuisce efficacemente ad un buon risultato della mia dimanda.
D. Durando si unisce meco ad esternarle incancellabile gratitudine e pregando Dio a renderla felice ho l'onore di potermi professare
Ma non ebbe nemmeno la somma consueta. Ardeva allora la guerra turco - russa che, creando in Oriente bisogni straordinari, aveva obbligato a impiegarvi tutti i fondi stanziati nel bilancio di quel Ministero. Ricevette però dal Ministro e dal Direttore della politica estera lettere sommamente cortesi[146]. Risposte di tal fatta provenienti dalle supreme autorità erano pur sempre indirette approvazioni, di cui egli faceva gran conto.
Tanto e non più potè conseguire in Francia. Al Ministro degli Esteri francese diresse il seguente foglio.
A sua Eccellenza il Ministro degli Esteri, Parigi,
La pia Società detta di S. Francesco di Sales potè già aprire parecchie case in Italia, in Francia, in America collo scopo di raccogliere giovanetti poveri ed abbandonati per istruirli nella scienza e ne' mestieri con avviarli a potersi col tempo guadagnare il pane della vita. Per sostenere le opere cominciate torna indispensabile una novella spedizione di quaranta altri Missionari nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina.
L'umile esponente, Superiore di questo istituto, appoggiando tali imprese alla sola carità pubblica, si rivolge eziandio alla E. V. supplicandola a venirgli in aiuto con alcuni passaggi marittimi, che la generosità del Governo Francese suole concedere per coloro, che consacrano la vita a pro dei loro simile nelle missioni straniere. Questi Missionari dimorano nell'Ospizio nominato Patronage de S. Pierre nella città di Nizza Marittima.
Oso notare che il favore sarebbe anche più grande, se fosse concesso sulla società dei trasporti marittimi di Marsiglia, oppure presso altra società cui tornasse di maggior gradimento alla E. V.
Assicuro la E. V. che prego Dio a colmarla di eletti favori e a rendere felice la Francia, mentre ho l'alto onore di potermi professare con profonda gratitudine
Ma il legale capitolato di appalto con le società di navigazione portava la clausola tassativa che il benefizio dei passaggi [308] gratuiti per i missionari fosse riservato esclusivamente a religiosi di nazionalità francese[147].
Con egual esito un mese innanzi aveva fatto istanza per sussidi presso il Consiglio centrale della Propagazione della Fede, come abbiamo detto altra volta[148]. Nè dimenticò il Cardinale Prefetto di Propaganda; infatti spedì al cardinal Randi questa supplica.
La missione dei Salesiani nell'America del Sud, cominciata sotto gli auspizii di V. E. due anni sono, fu benedetta dal Signore, ed ora conta già cinque Chiese aperte al divin culto, più un collegio o piccolo seminario a Villa Colón nell'Uruguay: altro a S. Nicolás de los Arroyos, più un ospizio pei fanciulli più abbandonati in Buenos Aires. In queste case sono già raccolti più centinaia di allievi, di cui non pochi manifestarono vocazione allo stato ecclesiastico, chiedendo di farsi missionarii, e di recarsi in mezzo agli Indi. Furono già date varie missioni nelle colonie più vicine ai selvaggi, ed ora si tratterebbe di aprire tre istituti. Uno al Rio Colorado vicino ai Pampas, altro a Carmen sul Rio Negro tra i Pampas e la Patagonia, il terzo a Santa Cruz, punto estremo della Patagonia sullo stretto di Magellano. Per sostenere le opere incominciate, rimpiazzare alcuni Salesiani da Dio chiamati alla vita eterna, ed impiantare le tre case summentovate io mi trovo nella necessità di fare una spedizione non minore di 40 missionarii che sono già preparati.
Ma oppresso dalle spese sostenute anteriormente e da quelle che dovrei in questa occasione sostenere, ricorro umilmente alla E. V. supplicandola a volermi venire in aiuto, anche per questa sola volta per fornire il corredo ai missionarii, provvederli di libri spagnuoli, fare le spese di viaggio e simili. È una spedizione numerosa, ma indispensabile, ed ho fiducia che entro brevissimo tempo, avremo i selvaggi che saranno evangelizzati dai medesimi selvaggi.
So che ci sono difficoltà per ottenere tale sussidio, ma so eziandio che una parola di V. E. appiana ogni ostacolo che vi si possa incontrare.
Assicuro V. E. che la nostra Congregazione sarà sempre ai suoi cenni, e faremo quanto potremo per la maggior gloria di Dio e del progresso delle missioni cattoliche; ma ho assoluto bisogno che la sua carità mi aiuti materialmente e moralmente. [309]
Pieno di confidenza nella sua bontà, reputo il più grande onore di potermi professare col più profondo ossequio e dichiararmi
Al medesimo Cardinale scrisse nuovamente e più a lungo per ottenere quella benedetta approvazione pontificia, che era condizione indispensabile, perchè l'Opera della Propagazione della Fede potesse comprendere anche la Patagonia fra le Missioni regolarmente da essa sussidiate.
Sono due anni da che sotto gli auspizii di V. E. e colla benedizione del S. Padre, si effettuava la Iª spedizione di Salesiani nella Repubblica dell'Uruguay e nella Repubblica Argentina. Un anno dopo se ne compieva un'altra ancor più numerosa. Loro scopo era di stabilire Collegi o Seminari nei paesi più vicini ai selvaggi, e così per mezzo degli allievi farsi strada tra i Pampas e tra i Patagoni. Dio benedisse i nostri deboli sforzi, e cinque Chiese furono già aperte al divin culto, a vantaggio dei fedeli: un piccolo Seminario in Villa Colòn presso Montevideo, capitale dell'Uruguay, ed il Santo Padre dimostrò gradimento che quel Collegio fosse chiamato coi suo venerando nome; altro Collegio fu aperto nella città di S. Nicolás de los Arroyos, il cui territorio confina cogli Indi; il terzo è un ospizio in Buenos Ayres pei poveri fanciulli specialmente selvaggi. Queste tre case sono piene di allievi, la disciplina e la moralità danno piena soddisfazione e già si manifestano parecchie vocazioni allo stato ecclesiastico. Quindi coll'autorizzazione di V. E. e coll'approvazione del Vescovo di Buenos Ayres si è aperto in questa medesima città una casa di studio o di Noviziato in cui preparare gli allievi per le missioni.
In questi due anni i Salesiani diedero missioni nelle vicinanze dei Selvaggi, e si ottennero buoni risultati, sia: nelle Colonie che da più anni non vedevano più il prete cattolico, sia fra gli stessi indigeni che di buon grado venivano ad ascoltare la parola del Vangelo. Fatta questa prima prova, dovevasi divenire alla seconda, studiare cioè un mezzo con cui potersi avanzare di fatto tra i selvaggi. Dopo aver conferito più volte con Mons. Aneyros Arcivescovo di Buenos Aires, si convenne essere cosa indispensabile attivare delle missioni tostamente sopra alcuni punti più limitrofi ai selvaggi. Da molte parti si potrebbe cominciare; gli stessi Cacichi si mostrarono ora benevoli, e chiedono missionari, ma i siti che presentano più speranza fondata, [310] e che sono giudicati meno pericolosi sono quelli di S. Cruz e del Caruhuè. Il Caruhuè è un punto dove avvi una nascente popolazione con guarnigione di soldati, costrutto nel 1875 sulla frontiera nuovamente eretta dalla Repubblica di Buenos Aires allo scopo di tener lontani i selvaggi Pampas che sotto apparenza di commercio fanno continue escursioni d'esterminio sugli Argentini. Dalla parte d'occidente è questa la parte più avanzata in mezzo agli Indi posta com'è ai gradi 37 e 20 di latitudine meridionale, ed ai gradi 5 di longitudine occidentale dal meridiano di Buenos Aires. Santa Cruz è una piccola colonia sulla punta estrema della Patagonia sullo stretto di Magellano al grado 50 di latitudine. È questo un sito di commercio dove i Patagoni sogliono radunarsi per iscambiare alcuni loro prodotti coi forestieri e ricevere invece commestibili e bibite che da quei selvaggi sono di preferenza ricercate. Un ospizio, una casa di Missione iniziata in questi due luoghi sembrano opportunissimi, sia per conservare la fede in quelli che l'avessero già ricevuta, sia per mettersi in relazione cogli indigeni, ricoverare ed educare i loro figli e così avanzarsi sulle terre da loro abitate.
È vero che sono gravi le spese sostenute e quelle che si devono sostenere al presente. Si tratta della spedizione di 40 novelli missionarii, per unirsi ai loro compagni e lavorare nella messe, che ognor più copiosa si presenta in quella vasta parte del campo evangelico. Tuttavia si spera che la pietà dei fedeli non verrà meno.
La stessa opera della Propagazione della Fede è disposta dì venirci in aiuto, ma, come di ragione, desidera che queste missioni siano approvate dalla S. Sede siccome sta notato nella lettera del Presidente del Consiglio Centrale di Lione che unisco originalmente.
Pertanto ad unico fine di promuovere la maggior gloria di Dio ed adoperare le deboli forze di questa Congregazione a dilatare il regno di G. C. supplico umilmente la E. V. a voler donare la sanzione a queste due Missioni da affidarsi ai Salesiani in capo al Teol. Gio. Cagliero. Esso ha fondato le nostre case di America, aprì 5 chiese al divin culto in quei siti, ha studiate e visitate le località di cui si tratta. In questa guisa saranno fondate due missioni, che benedette dal Signore e protette dalla S. Sede fanno sperare un lieto avvenire pei selvaggi Pampas e Patagoni. Mentre però io rimetto ogni cosa nelle mani dell'illuminata prudenza e sapienza dell'Em. V., mi raccomando quanto so e posso di aiutarmi coll'opera e col consiglio ad appianare quelle difficoltà che in questa pratica si potranno incontrare.
Con profonda gratitudine e col massimo rispetto ho l'alto onore di potermi professare.
Il Cardinale ricevette regolarmente entrambe le lettere; ma, trasmessa la prima alla Segreteria degli affari ecclesiastici straordinari, da cui l'America meridionale dipendeva, stimò che di là avrebbero risposto e non riscontrò la lettera di Don Bosco; avuta poi la seconda e rimessala a quella stessa Segreteria, avvisò il Beato che là si rivolgesse “per tutte quelle disposizioni che potessero essere adottate in argomento”[149]. Ma quando ricevette questa tardiva comunicazione, i Missionari stavano già per toccare il suolo americano; onde, sebbene vessato in più guise a Torino e obbligato a parare continui assalti, si applicò a stendere il “Progetto” di una Prefettura e di un Vicariato apostolico nella Patagonia, inviandolo al medesimo Prefetto di Propaganda. Ne riparleremo a suo tempo.
Era dunque una serie di disdette. Ma la più acerba di tutte gli venne questa volta dal Papa. Aveva egli pregato il cardinal Bilio d'implorargli dal Santo Padre qualche sussidio per la nuova Spedizione; ora immagini chi può come dovette restare al leggere queste righe.
Al ritorno dalla visita pastorale della Diocesi, trovai la pregiatissima sua lettera del 27 ottobre p. p. che mi attendeva. Nella prima udienza che ebbi l'altro ieri dal S. Padre, gli parlai di una nuova spedizione di quaranta Missionari Salesiani in America e della grande urgente necessità di qualche sussidio, massime per le spese del viaggio. Mi dispiace di doverle significare che il S. Padre non mi parve così ben disposto come l'anno scorso. I motivi di ciò, se non ho mal inteso, sono principalmente due: 1° L'affare dei Concettini; 2° L'abbracciar ch'Ella fa troppe cose insieme.
Mi studiai di togliere dall'animo del Papa ogni men favorevole impressione verso di Lei. Non so se io ci sia riuscito; ma è certo che una sua corsa a Roma in questi momenti sarebbe a tal uopo utilissima, se non anche necessaria.
Dal canto mio, non dubiti, ch'io l'aiuterò secondo la mia possibilità quavis data occasione, non solo per l'affettuosa stima che Le porto, ma anche a titolo di riconoscenza per il bene che i suoi buoni Salesiani [312] fanno a Magliano, bene che io non ho mancato di recare a notizia di S. Santità.
Aspettando di poterle discorrere più esplicitamente a viva voce, mi raccomando intanto alle sue sante orazioni, e di vero cuore mi raffermo
L'affare dei Concettini che dopo aver procurato a Don Bosco tanti fastidi, finì nel modo che sappiamo, naufragò non certo per colpa sua: gli accorti lettori l'avranno intuito, ma, il Papa non ebbe sentore delle occulte manovre. Quanto all'abbracciare molte cose insieme, sì, guardata da lontano, la molta intraprendenza di Don Bosco poteva impressionare; ma è anche vero che egli a nulla si accingeva senza i consigli di un'oculata prudenza, nè d'altra parte, se si toglie l'affare dei Concettini andato a male non per difetto suo, nessuna impresa da lui abbracciata in quel tempo gli fallì. “Men favorevole impressione” era penetrata purtroppo nell'animo del Papa; ma il seguito della nostra storia farà la luce sulle influenze che agirono allora ai danni del Servo di Dio. Qui ci limiteremo a narrare un fatto. In quella seconda metà del '77 Pio IX aveva scritto tre lettere a Don Bosco, dal quale gli si era prontamente risposto; ma le risposte non giunsero mai al Papa, perchè venivano intercettate da persone residenti in Vaticano. Del creduto silenzio di Don Bosco il Papa sulle prime si stupì; poi suppose che il suo strafare gli fosse causa di passar sopra anche ad alti doveri; infine se ne lamentava dicendo: - Che cosa ho fatto io a Don Bosco, che non si degna neppure di rispondermi? Non ho fatto per lui tutto quello che ho potuto? - Anche col cardinal Bilio sfogò una volta il suo dispiacere, esclamando: - Che cosa ho fatto io di male a Don Bosco, che non mi risponde? - Il Cardinale non trovava parole per discolpare il Servo di Dio quanto il suo affetto gli suggeriva; recatosi poi Don Cagliero a Roma [313] coi Missionari, gli spiegò chiaramente anche tutto questo, che nella sua lettera a Don Bosco aveva velatamente accennato. Don Cagliero che sapeva come Don Bosco a tutt'e tre le lettere avesse risposto con la massima premura e fosse molto sorpreso di non ricevere mai riscontro, lo rassicurò a pieno. Al Porporato non sembrò vero di avere in mano con che dissipare i dubbi del Papa, e Pio IX, uditolo, alzò gli occhi al cielo esclamando: - Pazienza! - Tuttavia il cardinal Bilio riportò l'impressione che il Papa non fosse rimasto ben persuaso. Il Signore permise che all'angelico Pontefice sull'estremo della vita toccassero di quelle croci che sogliono affliggere maggiormente i cuori dei Santi, purificandoli e distaccandoli sempre più dalla terra[150].
Non però da tutte le parti fioccavano a Don Bosco dinieghi. Così un bel giorno sul cadere d'ottobre gli fu notificato che il rappresentante della navigazione francese a Genova aveva ricevuto da Buenos Aires l'ordine per dieci posti di seconda classe da mettersi a disposizione di Don Bosco[151].
Poichè un gruppetto di Missionari doveva salpare da Lisbona, il Servo di Dio scrisse due volte a un sacerdote di quella città, ma senza averne mai risposta. Da ultimo si rivolse direttamente al Patriarca con una lettera in latino, nella quale lo pregava con viva istanza di procurare ai suoi figli una conveniente ospitalità a loro spese nel seminario o altrove[152]; ma anche questo passo dovette rimanere senza effetto, perchè, venuta la partenza, Don Bosco non ne fece motto ad alcuno e i viaggianti non ebbero nemmeno il pensiero di presentarsi all'alto Prelato.
Per la solenne cerimonia dell'addio fu scelto il 7 novembre. Tutto quel giorno Don Bosco tenne attorno a sè quei cari [314] figliuoli, che poterono con ogni agio parlargli in privato e in comune. Ormai non si andava più nell'ignoto. Don Cagliero, che prima di tornare in Italia aveva preparato ai nuovi il loro posto, si era studiato d'iniziarli alla vita che li attendeva. Eravi poi monsignor Ceccarelli, pregato da Don Bosco di fermarsi a Torino per insegnar loro lo spagnuolo e per iscortare una parte dello stuolo. Il distacco tuttavia e la gran distanza non potevano non essere sentiti vivamente da persone vissute vicino a Don Bosco e, tranne poche eccezioni, avvezze alla vita tranquilla del loro vecchio Piemonte.
Trepidavano assai più le buone Figlie di Maria Ausiliatrice; ma il pensiero che Don Costamagna sarebbe stato per loro angelus in via, ne rinfrancava gli spiriti. La sera del 6 novembre Don Lemoyne dispose che nella cappellina di Mornese si facesse una funzione simile a quella dì Torino. Vi convennero parenti e amici delle Missionarie. Dopo il canto dei vespri egli disse parole di saluto e d'incoraggiamento; poi, impartita la benedizione col Venerabile, furono cantate le preci dell'itinerarium. Quindi fra la commozione generale la madre Mazzarello si alza, e alla testa delle sei Suore che la seguono va verso l'uscita, mentre i presenti le salutano più col cuore che con le labbra. Due di esse che sarebbero andate con la Madre a Roma partirono subito per Sampierdarena ad attendervi i Salesiani; le altre quattro ve le raggiunsero il 13, quando le loro compagne erano di ritorno.
Dal pulpito di Maria Ausiliatrice la sera del 7 il Beato Don Bosco parlò così alla moltitudine dei fedeli accorsi.
Nel cominciare questa mia parlata devo avanti di ogni altra cosa ringraziare Iddio e Maria dei grandi benefizi che ci hanno fatti.
La maggior parte di voi si ricorderà che or sono due anni altri coraggiosi Salesiani in questa stessa chiesa prendevano commiato dai loro fratelli, per dirigersi in paesi sconosciuti, senza mezzi, senza sapere che cosa troverebbero. E perciò si era nella maggior inquietudine. Ma giunti in Buenos Aires ed in S. Nicolás trovarono aiuto, trovarono appoggio; le cose prosperarono e fu necessaria un'altra spedizione. Quindi, non fidati nelle nostre deboli forze, ma nell'aiuto [315] di Maria Santissima, fu inviato un secondo drappello nelle lontane Americhe. Andò e aiutò i fratelli. Ed ora una terza spedizione sta per partire ed in buon numero; sta per abbandonare la patria ed i parenti a fine di portare la luce del Vangelo in quelle remote regioni. Questa non si fa per poter dire d'averla fatta, ma sibbene per assoluta necessità di dividere le fatiche con gli altri che la precedettero. Coloro che già lavorano in quelle regioni non bastano, perchè il campo è tanto vasto, e se non vogliamo che soccombano sotto il peso della fatica dobbiamo mandare in loro aiuto altri Missionari. E questa terza missione non sarà l'ultima.
Qui anzi tutto dirò che tutto questo non è opera nostra, eccetto la fatica che deesi sopportare, ma è una vera e grande gloria del Signore che benedice la nostra buona volontà e i nostri disegni. Ora non vi è più quell'agitazione in coloro che partono, e in quelli che rimangono; i pericoli sono diminuiti, la distanza è abbreviata e più non reca turbamento: non abbreviata materialmente, ma essendo già percorsa da altri e coi mezzi di comunicazione e di trasporto che abbiamo si può considerare come una passeggiata, tanto più che un fratello che era partito coi primi, ritornò fra noi dopo avere spianata la via, e procurati gli aiuti per gli altri che verrebbero dopo. Ed un altro fratello che ora ritorna in America, era di là venuto e si fermò con noi qualche tempo.
Ed ora abbiamo qui una nuova scelta di confratelli che vanno in Missione. Sapete che cosa vuol dire la parola missione? essere missionario? Vuol dire essere mandato. Nello stesso modo con cui Gesù Cristo prima di abbandonar questa terra per ascendere in cielo mandava i suoi Apostoli: Ite, ad annunziare la parola di Dio in ogni luogo, e mossi da questa stessa parola i discepoli si fecero udire in tutte le regioni della terra; così con la stessa parola, il Capo visibile della Chiesa, il Vicario di Cristo in terra, manda sacerdoti da una parte e dall'altra per diffondere la luce del vangelo. Ed i nostri Missionari quando saranno a Roma, non andranno dal Santo Padre solo per vederlo, per offrirgli i loro omaggi, per ricevere una benedizione, per cerimonia, per formalità; ma per ricevere quel mandato che Gesù Cristo diede ai suoi Apostoli: Ite in mundum universum, praedicate evangelium omni creaturae. Andate, fate del bene; andate pure là dove siete indirizzati. Ed essi con questa benedizione se ne vanno tra le tribù selvagge e mutatele in mansuete gregge le conducono all'ovile di Gesù Cristo. In omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum.
Ma i Missionari bisogna che siano preparati ad ogni evento, anche a far sacrifizio della vita per predicare l'evangelio di Dio. Finora però i Salesiani non ebbero a portare gravi sacrifizi propriamente detti o vessazioni, se si vuole eccettuare D. Baccino che morì: e dicono quelli che lo osservarono, essere egli morto vittima sotto il peso delle fa - [316] tiche nel campo evangelico, o come si direbbe in altro modo, martire di carità e di sacrifizio pel bene altrui. Ma anzi che aver fatto una perdita in quel laborioso missionario, noi abbiamo fatto un acquisto, poichè in questo momento egli è nostro protettore in cielo.
I sudori dei nostri fratelli vennero benedetti da Dio. Avevamo già aperte case, ospizi, oratori e parrocchie in varii punti dell'America del Sud. In Buenos Aires specialmente si era fondato un grande ospizio per ricoverare i giovani poveri ed abbandonati. Ma vi sono anche delle ragazze più bisognose ancora, povere, abbandonate, che non conoscono pur se stesse, senza nessuno che le istruisca, che pensi per loro. Bisognava provvedervi. Ed appunto per la prima volta adesso le suore di Maria Ausiliatrice, in numero di sei, anch'esse abbandonano e casa e parenti e tutto per correre dove le chiama il bisogno. Là apriranno scuole, faranno il catechismo: faranno insomma del bene a quelle povere figlie abbandonate. E questo è un altro passo fatto.
Debbo qui notare una cosa: anche i protestanti mandano e vanno nelle loro così dette missioni, ma quale diversità tra le nostre e le loro missioni, tra il missionario protestante ed il missionario cattolico! Non ho tempo di farvi vedere particolareggiata questa differenza, ma ve la noterò solo. I protestanti vanno in missioni, sì, ma da chi sono mandati? Dalla regina d'Inghilterra, da imperatori, da re, da principi. I Missionari cattolici da chi ricevono la missione? Da Gesù Cristo rappresentato dal suo Vicario, il Sommo Pontefice. La regina d'Inghilterra o l'imperatore di Russia o di Prussia mandano forse in nome di Gesù Cristo? Eh no, essi non sono sacerdoti, nè succedono per una serie non interrotta agli Apostoli di Gesù Cristo. Essi sono mandati da uomini, hanno una missione umana che in generale non ha altro scopo che la politica e la guerra alla vera Chiesa. Non è Gesù Cristo che li manda. I ministri protestanti prima di partire, osservano se lo stipendio è abbastanza grasso: Eh? quanto mi danno? Se mi danno tanto, bene, vado; altrimenti non ci vado. E vi è poi buon alloggio? E il vitto e il vestito è largamente provveduto? - Poi cercano se vi hanno mezzi di sussistenza per i figli e per la moglie e partendo conducono con sè un mondo di cose, perchè vogliono ogni comodità ed agiatezza. Fa così il missionario cattolico? Niente di tutto questo! Dà l'addio ai parenti ed ai confratelli e parte tenendo per sola sua ricchezza ed appoggio Iddio e null'altro; e va dove l'obbedienza comanda, dove più vi è bisogno dell'opera sua, senza pensare dove, come, e quando troverebbe i mezzi da vivere.
I protestanti vanno solamente ove siano possibili tutti i conforti della vita, e se non vi fossero, se li procurano in ogni modo, calcolano i vantaggi temporali che potranno ricavare da quelle missioni e ricusano di andare incontro ai pericoli, e se talora la necessità o l'onore li costringe, vi vanno bene armati. I nostri invece non badano ad incomodi e sacrifizi, vanno dove sono mandati senza badare a [317] stenti e a pericoli; e quando loro toccasse soffrire anche la lame e la sete, sanno sopportare le privazioni con ammirabile pazienza. - Iddio, essi dicono, mi manda a predicare il suo vangelo, ed io lo predicherò a costo della mia vita. Del rimanente non mi preoccupo e non mi curo. - Questi vanno per guadagnare anime a Gesù Cristo, quelli vanno per far danaro ed arricchire sè, le mogli, i figliuoli e per rendere onorevole secondo il mondo la propria casa. Mentre le missioni protestanti sono un impiego lucroso, le missioni cattoliche sono un ufficio nobile, utile alla società umana, necessario alla vita eterna, un ufficio celeste, divino.
Chi ricopia in sè la vita del divin maestro, l'amore alle anime, le fatiche per salvarle? Il missionario protestante, o il missionario cattolico?
Ed ora lasciate che io rivolga una parola ai miei figli che partono. Ma che cosa debbo dire a questi cari confratelli che stanno per abbandonarmi, per andare, coraggiosi, nel campo del Signore? Voglio darvi i medesimi consigli, i medesimi avvisi che ho dati a coloro che sono partiti per i primi. Furono stampati e voi avrete comodità di leggerli e di studiarli. Un'altra cosa che vi raccomanderei anche tanto, sono le regole della nostra Congregazione. Prendete quel libro, studiatelo a memoria: quelle regole abbiatele sempre con voi e siano la norma del vostro operare.
Ora andate a Roma. Presentatevi al Santo Padre, come se fosse lo stesso Gesù Cristo in persona. Andrete poscia in America. Giunti colà, ringraziate tutti coloro che ci fecero del bene. Dite loro che qui in questa chiesa si prega per loro; dite loro che continuino le loro beneficenze, assicurandoli che il bene che voi farete, sarà anche tesoro di chi vi aiutò.
Notate, che avete laggiù dei ferventi cristiani che vi aspettano e vi sospirano; avete colà dei confratelli già stabiliti che vi preparano i locali destinati alla vostra abitazione; vi sono altri giovani che vi ascolteranno volentieri, ed essi stessi sono impazienti di vedervi e di abbracciarvi. Questi pensieri sono quelli che vi debbono animare. Ricevetti oggi una lettera che mi annunziava come in quelle parti si svilupparono molte vocazioni religiose e che molti domandarono di farsi Salesiani, vi aspetta adunque una messe copiosa e troverete molte consolazioni che vi faranno dimenticar le fatiche.
Ecco quello che io aveva in animo di dirvi.
Partite con coraggio. Potrà darsi che voi ritorniate a rivedere ancora questa stessa casa, il vostro paese, i parenti e gli amici; ma non è questo il pensiero che vi deve guidare. A nient'altro voi dovete anelare, se non a guadagnare anime a Dio, confortati da quelle consolanti parole: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. Io vi raccomando che preghiate per noi e noi pregheremo per voi perchè Iddio benedica il vostro lavoro. [318] Facendo voi quanto potete colla grazia di Dio, per le nostre preghiere, e per l'Aiuto di Maria Ausiliatrice, unendo tutti insieme i nostri sforzi, formeremo un cuor solo ed un'anima sola qui in terra, e potremo guadagnar anime al cielo per condurle con noi all'eterno trionfo. Ci rivedremo ancora qui in terra? Vi sarà qualcuno che più non ritornerà a riveder queste mura? Ebbene... là... sì... in cielo sarà il vero ritorno... là ci potremo riposare dalle nostre fatiche, là potremo godere la vera consolazione... Là ci rivedremo nel gaudio ineffabile in mezzo a tanti confratelli e alle molte anime da voi salvate... Là saremo eternamente beati lodando e benedicendo il Signore.
Capitanato da Don Cagliero, il drappello si mise in viaggio per Roma. Poco dopo il mezzogiorno del 9 Salesiani e Suore ebbero la dolce consolazione di vedere e di udire il Papa, il grande Pio IX. Stavano allineati nelle gallerie di Raffaello, quando giunse il Santo Padre con gli Eminentissimi Bilio, Pacca e Ledokowski. Don Cagliero, invitato a fare le presentazioni, disse: - Ecco, Santo Padre, la terza spedizione dei Missionari Salesiani, i quali vanno a raggiungere i loro confratelli nel campo delle nostre Missioni Americane. Vi sono pure le Figlie di Maria Ausiliatrice, che salpano anch'esse per la repubblica dell'Uruguay a fondarvi la prima loro casa per le povere fanciulle abbandonate. Siamo venuti a domandare la vostra apostolica benedizione, che non solo ci fu di conforto, ma che sperimentammo prodigiosa durante due anni passati nell'Argentina e nell'Uruguay. - Il Santo Padre rispose: - Si, cari figliuoli miei, vi benedico ben di cuore. Quindi, dato uno sguardo alla lunga fila, chiese: - Don Bosco dove prende tutta questa gente?
- Santità, gliela manda la divina Provvidenza.
- Ah, sì, la Provvidenza! Dite bene! Ella può tutto; confidiamo sempre in lei.
Don Cagliero umiliò a Sua Santità una relazione manoscritta sullo stato delle Missioni Salesiane in America, una copia dell'opuscolo stampato in occasione dell'inaugurazione del Patronato di San Pietro a Nizza Marittima e una copia dell'altro sull'Opera dei Figli di Maria per le vocazioni tardive [319] allo stato ecclesiastico. Qui il Papa, dando segno di speciale interessamento: - Ah! esclamò, le vocazioni allo stato ecclesiastico! Bene, bene! Indi li ammise tutti al bacio della mano; dopo di che, postosi loro di fronte, con voce ferma e robusta, nonostante i suoi 85 anni, tenne questo discorso: - Cari figli, ora spetta a me darvi un qualche ricordo che vi sia di conforto nell'avvenire. Ebbene, vi manifesterò un pensiero, che stamane mi si affacciò alla mente durante la santa Messa. Nell’introito della santa Messa che oggi abbiamo celebrato, della dedicazione della principal chiesa di questa nostra Roma, io leggeva alcune parole, che a prima vista fan meraviglia, e sono: Terribilis est locus iste. Come? interrogai me stesso. La chiesa è un luogo terribile, mentre è luogo dove noi veniamo a deporre le nostre amarezze, ad elevare la mente e il cuore nostro, a Dio, a domandargli aiuto nelle nostre afflizioni e necessità? E risposi a me stesso: Sì, la chiesa è terribile, ma solo per certuni. Dovete sapere, o cari figli, che vi sono degli uomini, che pur son figli della Chiesa, i quali sono cattivi assai assai. Costoro altro non fanno che affliggere e far piangere questa Chiesa, e se vengono nel luogo sacro, vi vengono solo per portarvi la desolazione ed aumentare gli affanni a questa povera Madre. Ora è con costoro appunto che la Chiesa diventa terribile, è a costoro che la Chiesa, santamente sdegnata, manda terribili castighi e pene, come vediamo tuttodì. Per altra parte la Chiesa non è terribile, ma benigna e dolce con coloro tutti che la amano, ne osservano i santi precetti e le sono devoti. Sta quindi a voi, o cari figli, il fare che questa Chiesa cessi di essere terribile. Voi, armandovi di grande zelo, farete che cessi il peccato, scompaia l'iniquità dalla faccia della terra; insomma voi, santificandovi nella vostra Congregazione, santificherete le genti che vivono in quelle remote regioni, ed allora vedrete questa Chiesa tornare lieta, benigna e pietosissima Madre e compartire a tutti gioie e benedizioni. - Riepilogato poi il suo pensiero, che è riferito qui per sommi capi, quale si [320] legge ne L'Unità Cattolica del 16 novembre, conchiuse: Amate, miei cari figli, la Chiesa, difendetene l'onore, fatela amare dai popoli: ecco il ricordo che vi dà in questo momento solenne il Vicario di Gesù Cristo. Infine annunziò e diede una larga benedizione.
Dopo permise ancora ai Missionari di avvicinarsi e di ribaciargli il sacro anello. Quando fu la volta di Don Vespignani, Don Cagliero disse: - Questo giovane sacerdote non ha ancora la facoltà di confessare. Prego Vostra Santità che voglia concedergli di poter esercitare il sacro ministero, finchè giunga a Buenos Aires. - Il Papa gli disse: - Confessate, confessate. Io vi dò ora tutte le facoltà. Quando poi sarete a Buenos Aires, vi presenterete a quell'Arcivescovo, ed egli vi concederà stabilmente le licenze canoniche. - Il medesimo Don Vespignani scrive: “Uscimmo dall'udienza con l'anima ripiena d'ineffabili sentimenti e benedicendo Iddio. Ci sembrava di discendere dal Tabor, d'aver visto il Signore e di avergli parlato a tu per tu come Mosè ed Elia”[153].
Nei giorni seguenti uno di loro, il chierico Carlo Pane, cadde infermo. Mentre visitavano le Catacombe di san Callisto, lo prese la febbre. La prima ad accorgersene dai brividi fu la Madre Mazzarello, che, levatosi lo scialle e accostatasi a lui, lo pregò riverentemente, ma fermamente di porselo sulle spalle. Il poveretto si schermì un po', ma le insistenze della Madre e il freddo per le ossa lo costrinsero ad accettare. Stette dai Fatebenefratelli, finchè le sue condizioni gli permisero di affrontare il viaggio per Sampierdarena; ma i suoi compagni non c'erano più: dovette aver pazienza e attendere un'altra spedizione.
Don Bosco il 13 li aspettava a Genova. Dolente del caso toccato al chierico: - State attenti, disse loro, a non perdere più nessuno per istrada! - Essi lo circondarono affettuosamente, gli raccontavano con entusiasmo l'udienza del Papa, [321] gliene rifacevano a gara il discorso, nè finivano più di dirgli le loro impressioni romane. E il buon Padre ad ascoltarli con bontà e a trarre da tutto utili riflessi, mostrando di condividere la loro gioia.
A Sampierdarena Don Vespignani non vedeva il momento di trovarsi a quattr'occhi con Don Bosco. Quella licenza di confessare, cascatagli così da alto e così d'improvviso, lo teneva soprapensiero. Non già che gli mancasse la preparazione: aveva fatto regolarmente i suoi corsi di morale nella sua terra nativa e aveva assistito alle conferenze bisettimanali del teologo Ascanio Savio nell'Oratorio; ma sul punto di esercitare il sacro ministero esitava. Si era dovuto ricorrere a quel colpo di audacia, perchè a Torino sarebbe stato inutile ogni tentativo di ottenere la regolare patente o facoltà di confessare. Solo in confessione egli potè aprire a Don Bosco i suoi timori che erano tre: uno sulla direzione delle anime, l'altro sul modo di sradicare dai giovani gli abiti cattivi e il terzo sulle cose de sexto per le persone maggiori. Il Beato lo ascoltò con la massima calma, mostrò di prendere in seria considerazione le sue difficoltà e poi si fece a scioglierle a una a una. Per la direzione spirituale, gli richiamò il testo: Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius et haec omnia adicientur vobis. - Cerchiamo, disse, di fondar bene nelle anime il regno della giustizia di Dio, guidandole per il cammino della grazia, cioè nell'esercizio di tutte le virtù cristiane e con il mezzo della preghiera: ecco i due punti importanti. Il resto poi, cioè il risolvere casi speciali e il dare consigli secondo lo stato di ciascuno, verrà per giunta, verrà da sè. - Per le confessioni dei giovani circa quel punto delicato gli suggerì d'insistere sulla frequenza dei sacramenti e sul ricordo delle massime eterne, non cessando mai di ripetere il vigilate et orate e d'incoraggiare alla divozione del Sacro Cuore di Gesù e di Maria Ausiliatrice. L'ultima cosa, per coloro che avevano ricevuto il sacramento del Matrimonio, si rendeva piana col ricordare i tre punti del catechismo romano, cioè il bonum fidei, il [322] bonum prolis, il bonum sacramenti e col raccomandare insistentemente di vivere da buoni cristiani.
Anche le suore non si staccavano dalla loro Madre Generale. Don Bosco pensava pure ad esse. La sera dei 13 Don Cagliero si presenta là con un bel dipinto di Maria Ausiliatrice su tela. - L'ho rubato nella sacrestia di Valdocco, disse scherzevolmente, e l'ho rubato per voi. Quel quadro aveva una storia. Il pittore, in serio pericolo di perdere la vista, era ricorso a Don Bosco. Don Bosco lo benedisse, ed egli guarì perfettamente, fece quella pittura e la donò al Beato. - È dunque il quadro del miracolo, conchiuse Don Cagliero. Don Bosco l'ha benedetto ed ora ve lo manda, perchè lo portiate con voi.
La partenza si doveva eseguire da tre porti e in tre tempi. Il gruppo maggiore sarebbe partito il 14 da Genova, un gruppo minore da Lisbona il 29 e due confratelli isolatamente da Le Havre fra i primi e i secondi. Il grosso dunque della carovana s'imbarcò sul Savoie con alla testa Don Costamagna; le suore li seguirono. Don Bosco per la terza volta salì a bordo di quel piroscafo, dove per la terza volta si rinnovò la scena del commiato con le ultime parole e l'ultima benedizione. Scrive Don Albera[154]: “ Fui varie volte in sua compagnia quando sul bastimento dava l'addio ai suoi missionari, e fu in quei preziosi istanti che potei aver la miglior prova della sua viva fede e del suo ardentissimo zelo. A questo egli diceva: - Spero che tu salverai molte anime, - A quell'altro suggeriva all'orecchio: - Avrai molto da soffrire; ma ricordati che il paradiso sarà il tuo premio. - A chi avrebbe dovuto assumere la direzione di parrocchie, raccomandava di prendere cura speciale dei fanciulli, dei poveri e degli ammalati ”. Poi ecco Salesiani e Suore ginocchioni sulla tolda e singhiozzanti e il Servo di Dio in piedi davanti a loro e benedicente.
La commozione agitava pure fortemente il suo cuore [323] paterno. Quasi per distrarlo Don Cagliero e Don Albera gli additarono la barca che sotto li attendeva. Discese. Vi presero posto in disparte anche Madre Mazzarello e un'altra suora. Trovavasi insieme Don Vespignani della seconda schiera, ma da Don Bosco chiamato seco nel venire alla nave. Un accidente provvidenziale temperò in Don Bosco il commovimento causatogli dal vedere i partenti, che si protendevano dal vapore e si sforzavano di far giungere al suo orecchio le ultime voci di addio: un buffo di vento gli portò via dal capo il nicchio. Quell'altra suora, che osservava le mosse del buon Padre, fu pronta a ghermirlo in acqua traendolo tutto grondante e intriso, mentre un bravo Cooperatore per ripararlo gli piantò in testa il suo cilindro... Don Bosco lasciò fare, sorridendo e ringraziando e portava con cert'aria di umoristica gravità quel copricapo, che a dir vero gli dava un aspetto abbastanza comico. Tutt'a un tratto con indescrivibile serenità e dolcezza guarda di sotto alla tesa Don Vespignani seduto di fronte e gli dice: - Lei pensa alla mamma... Ebbene, adesso alla mamma penso io. No, signor Don Bosco, rispose Don Vespignani, tocco vivamente da tanta delicatezza; questo pensiero non mi preoccupa troppo. Mia madre si rassegna presto, quando si tratta della volontà di Dio. - Don Bosco non fu mai l'uomo del dire e non fare. Passarono ventidue anni da quel giorno, e al figlio Don Giuseppe reduce dall'America la madre diede a leggere una letterina, che diceva testualmente così: “ signora Vespignani, Don Giuseppe parte e Don Giovanni resta in suo luogo presso di Lei. Ne è contenta? Egli va in America per salvare delle anime e per assicurare la salvezza dell'anima propria e di tutti i suoi cari. È a Lisbona e il mare è tranquillo e Maria Ausiliatrice lo copre col suo manto. Stia dunque allegra nel Signore e mi creda suo amico in Gesù Cristo Sac. Giov. Bosco”[155]. [324]