Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XIV, Ed. 1933, 850 p.

 

 

AL

NUOVO RETTOR MAGGIORE

DON PIERO RICALDONE

QUARTO SUCCESSORE DEL BEATO DON BOSCO

SIANO APPORTATRICI DI LUCE E DI CONFORTO

IN QUESTO QUATORDICESIMO VOLUME

TANTE CARE MEMORIE PATERNE

CON IL PIU’ AMOROSO STUDIO

RACCOLTE E NARRATE [7]

 

Prefazione

 

                Nello svolgere le pagine di questo volume parrà più volte ai lettori di vedere Don Bosco insanguinare la persona movendo i passi sotto quel Pergolato da lui descritto in un notissimo sogno. Era un pergolato di magnifiche rose: rose sopra il capo, rose sotto i piedi, rose da ambo i lati; ma tutte quelle rose nascondevano tremendi aculei, che nell'andare gli squarciavano le carni. Spettatori superficiali lo guardavano con ammirazione o con invidia incedere sicuro Per un cammino così fiorito; chi invece si appressava e si metteva sulle sue tracce, sperimentava subito a costo di quante e quali trafitture l'Uomo di Dio conquistasse ogni palmo di terreno.

                Anche il Presente volume narra fatti e produce documenti di due anni, che non senza discapito dell’esposizione si sarebbero sdoppiati. Procedendo così passo passo con gli anni del Beato e raccogliendo per via e coordinando checchè abbia rapporto col nostro Fondatore, noi raduniamo la maggior copia Possibile di elementi, non solo Per informare ad aedificationem i nostri Confratelli, ma anche con la mira di preparare tutto il materiale che potrà occorrere al futuro biografo, il cui ufficio sarà di delineare con sintesi poderosa la straordinaria figura del Santo, inquadrandola bene entro la cornice del suo tempo.

                Durante questo biennio l'operosità di Don Bosco nel governo della crescente Congregazione, nei ministeri sacri, nel maneggio degli affari, nei viaggi frequenti, nel parare i colpi degli avversari non subì alcun rallentamento, quantunque le condizioni della sua salute si facessero ognor più penose. Ora a meglio [8] comprendere e valutare una sì stragrande attività tornano quanto mai opportune certe osservazioni del Beato Claudio De la Colombière. In un tempo nel quale, il lavoro apostolico lo teneva febbrilmente occupato, egli scriveva di sè alla sorella visitandina[1]: Il difficile è stare del continuo fra gli uomini e non cercare che Dlo; aver sempre un da fare tre o quattro volte superiore alle proprie forze, e non perdere la calma dello spirito, senza della quale non si può possedere Dio; non disporre se non di Pochi minuti per rientrare in se stessi e raccogliersi in orazione e ciò nonostante evitare la dissipazione. Tutto questo è possibile, ma non è tanto facile”. Che fosse possibile, ben si vide nei due Beati, con la differenza che un simile tenore di vita durò appena un paio d'anni per il De la Colombière, cioè durante il suo primo soggiorno in Paray-le-Monial, mentre per Don Bosco si protrasse almeno a un paio di ventenni. Tale possibilità, come accenna ivi il primo e come fu vero Per entrambi, deriva dall'applicarsi a ogni genere di occupazioni solamente per fini soprannaturali e perchè Dio lo vuole.

                Della spiritualità di Don Bosco è questo un lato su cui gettano nuova luce le parole proferite dal Santo Padre Pio XI in una udienza del 17 giugno 1932 agli alunni dei pontifici seminari romani, maggiore e minore. Fra le altre cose disse del nostro Beato il Papa[2]: “La sua vita di tutti i momenti era un'immolazione continua di carità, un continuo raccoglimento di preghiera; è questa l'impressione che si aveva più viva della sua conversazione: un uomo che era attento a tutto quello che accadeva dinanzi a lui. C'era gente che veniva da tutte le parti, chi con una cosa chi con un'altra: ed egli in piedi, su due piedi, come se fosse cosa di un momento, sentiva tutto, afferrava tutto, rispondeva a tutto, e sempre in alto raccoglimento. Si sarebbe detto che non attendeva a niente di quello che si diceva intorno a lui: si sarebbe detto che il suo pensiero era altrove, ed era veramente così: era altrove: era con Dio con spirito di unione; ma poi eccolo [9] a rispondere a tutti: e aveva la parola esatta per tutto e per se stesso, così proprio da meravigliare: prima infatti sorprendeva e poi proprio meravigliava. Questa la vita di santità e di raccoglimento di assiduità nella preghiera che il Beato menava nelle ore notturne e fra tutte le occupazioni continue e implacabili delle ore, diurne”.

                Da questo suo fondo di spiritualità Don Bosco traeva un'illimitata fiducia in Dio, per la quale nulla gli sembrava troppo arduo nelle opere a cui poneva mano, nulla lo turbava di fronte a qualsiasi eventualità del futuro. La stessa fiducia egli poi sapeva trasfondere ne' suoi collaboratori e cooperatori che, non mai troppo sgomenti da difficoltà interne o esterne, lo seguivano per la via da lui tracciata, gli uni condividendone le quotidiane fatiche, somministrando gli altri a lui e a' suoi col pane quotidiano anche mezzi moltiplicati a molteplici imprese.

                Un'altra cosa Don Bosco non perdette mai di vista in mezzo al trambusto degli affari: lo zelo per indirizzare a Dio le anime de' suoi Salesiani. A conseguire tale intento il suo gran segreto era amarli molto e individualmente tutti e far sì che ciascuno compiesse di buona voglia il proprio dovere. In pratica siffatta paternità universale, ma non generica e trascendentale, gli suggeriva quella moderazione che distingue gli uomini illuminati e veramente superiori e che, sapendosi adattare con buon criterio ai diversi temperamenti, tutti piega fortiter et suaviter là dove il bisogno o il dovere richiede

                E questo ci conduce a un'altra importante osservazione. Il lavorìo di Don Bosco per tirarsi su i soggetti che dovevano formare la base della sua Società, fu ben lungo e duro! Sceglierli, crescerli, plasmarli, affezionarli a sè e all’opera sua fu il suo travaglio di almeno trent'anni. E quante volte le sue speranze gli venivano frustrate da dolorosi abbandoni! Ma alla fine raccolse i frutti della sua invitta costanza, due specialmente, i quali furono la compattezza dei primi membri fra loro e col loro capo, e lo spirito di unione che da quelli noi abbiamo ereditalo. Fino a oggi infatti nessuna di quelle deplorevolissime [10] scissure che afflissero in su gl'inizi altre famiglie religiose, ha scosso in sessant'anni la nostra bella compagine. Di tanta concordia fraterna qual prova più luminosa che la recente elezione del quarto Successore di Don Bosco? Più di ottanta elettori convenuti dalle quattro parti del mondo ecco che, senz'ombra di previa intesa, si sono affermati sul nome di Don Pietro Ricaldone con sì mirabile unanimità, seguíta da sì pronto consenso dei mille e mille non elettori, che il fatto non isfuggì all'attenta osservazione del Papa, il quale nella prima udienza concessa al novello Rettor Maggiore si compiacque di rilevarne il significato e il valore[3]. I muri di un edifizio si fendono allorchè le fondamenta non hanno la dovuta stabilità; quando invece la durano compatti, è segno che l'architetto le ha basate su salda roccia. Dio non permetterà giammai, speriamo, che elementi deleteri si accostino a questa base; ma se col tempo principii rovinosi avessero ad attentarvi, nutriamo fiducia che, non che a disgregarla, non arrivino nemmeno a scalfirla. La piena conoscenza di Don Bosco nella sua vita, nelle sue opere e nel suo spirito avrà una sovrana e perpetua efficacia a cementare sempre più Ira loro le parti del gran tutto da liti creato.

                Ritorniamo a noi e al nostro modesto lavoro, Nonostante la prova dei fatti, anche nel periodo d  i cui qui ci occupiamo, quanta e quale incomprensione ci toccherà deplorare, e non in volgari intelletti! Mentre la forza stessa delle cose costringeva i più a esclamare Digitus Dei est hic !, per altri il dito di Dio stava occulto sotto l'umiltà del suo Servo. Nel campo evangelico è questa la sorte dei grandi seminatori; ivi chi semina non suol essere precisamente quel desso che poi miete, e il germe da cui maturerà la gioia del mietere viene d'ordinario fecondato dalle lacrime che per lo più accompagnano il travaglio del seminare[4].

 

                Torino, 13 agosto 1932.

 

 

CAPO I. Il Beato visita le case di Francia.

 

                Il crescente sviluppo che le Opere salesiane prendevano in Italia e in Francia, obbligava Don Bosco ad assenze sempre più frequenti e prolungate sia per visitare le case di fresca fondazione sia per conferire con promotori e benefattori; ma soprattutto gli bisognava non perdere mai di vista Roma, dove si agitavano per la Congregazione i maggiori interessi riguardo al suo avvenire. Buon per lui che aveva a Torino chi ne adempieva assai bene le veci. L'esperienza degli ultimi anni era stata più che sufficiente a dimostrargli ch'ei poteva riposare tranquillo sulla maturità di Don Rua; non avrebbe infatti potuto desiderare un figlio più devoto, un interprete più fedele, un lavoratore più indefesso e più intelligente, uno spirito più illuminato, un superiore la cui autorità fosse più indiscussa, un uomo insomma che, tutto consacrato alla missione di Don Bosco, tutto imbevuto delle sue idee, fosse meglio capace non solo di tener in pugno le redini dell'Oratorio, ma anche di rappresentare degnamente la persona del Fondatore in ogni ordine di affari. Perciò anche nel 1879 Don Bosco si assentò a più riprese e per notevole spazio di [12] tempo dalla Casa madre senza punto preoccuparsi delle conseguenze che la sua lontananza potesse produrre. Noi dunque cominceremo per quattro successivi capitoli a seguirlo in Francia, in Liguria e Toscana, a Roma e nel ritorno Per aliam viam a Valdocco.

                Veramente, se avesse dovuto chiedere consiglio al medico, il Servo di Dio non si sarebbe esposto nella stagione invernale ai disagi, alle fatiche e agli strapazzi che lo attendevano in sì lunga peregrinazione; ma degli uomini eletti da Dio a compiere nel mondo opere grandiose per la sua gloria è lecito ripetere in certo senso che convaluerunt de infirmitate, ricevettero forza quand'erano infiacchiti[5], tanto apparvero tetragoni a tutte le influenze avverse.

                Partendo il 30 dicembre da Torino, egli non lasciò a Don Rua un gran che di danaro, ma gli rimise una circolare da spedirsi il I° di gennaio per la lotteria dei quadri[6]; anche la lettera ai Cooperatori prossima a uscire nel Bollettino di gennaio era un appello a beneficenza[7]. Nella circolare Don Bosco diceva:

 

                   Benemerito signore,

 

                Prego umilmente V. S. Benemerita a volermi continuare la sua carità per la piccola lotteria, di cui si è già tenuta parola nel nostro Bollettino. Dal regolamento, che le unisco, vedrà quale ne sia lo scopo. Si tratta di vestire i nudi, albergare i pellegrini, dar da mangiare ai poveri affamati e cooperare alla salvezza delle anime.

                Fiducioso pertanto nella sua carità, le unisco biglietti N... che spero voglia ritenere per sè, o distribuire ad altre persone benevoli di sua conoscenza. Se però al principio di marzo possedesse ancora biglietti che non giudicasse di ritenere ella può con piena libertà rinviarmeli. Qualora poi giudicasse poter distribuire ancora altri biglietti, favorisca darmene cenno, che coli animo riconoscente le verranno tosto spediti.

                Iddio misericordioso, elle promette larga mercede per un bicchier d'acqua fresca data in suo onore, rimeriterà copiosamente l'opera sua [13] benefica, mentre l'assicuro delle comuni preghiere di tutti i beneficati giovanetti, e con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi

Di V. S. Benemerita

 

                I° Gennaio 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. BOSCO,

 

 

Lo accompagnava Don Cagliero. Fermatisi alcuni giorni a Sampierdarena[8], si recarono il 3 gennaio ad Alassio, dove rovarono il Direttore malazzato e i principali confratelli rotti dalla stanchezza. Era prossima l'Epifania: unanimi quei superiori supplicarono Don Bosco di lasciare là per alcuni giorni il suo valoroso compagno di viaggio, affinchè aiutasse i giovani a far bene la festa e con la sua grande briosità ne ravvivasse l'allegria. “Mi fermai [ ... ] lavorando non poco, scriss'egli[9], e questa mia fermata servì di visita pastorale ai Salesiani e di straordinariato per le suore”. In quella circostanza Don Bosco stabilì ufficialmente Don Luigi Rocca vicedirettore, che in pratica equivaleva poi a direttore, del collegio; la poca salute di Don Cerruti e la sua recente nomina a, Ispettore esigevano quel provvedimento.

                Il Beato, menando seco tre chierici che l'avevano raggiunto a Sampierdarena, partì quasi subito per Nizza Mare. Qui non [14] se ne sapeva nulla, Parve però che di qualche cosa straordinaria quei confratelli avessero 1 un vago sentore; infatti, mentr'erano a pranzo, un fischio fortissimo della locomotiva, quale non solevasi udire, fece sì che dicessero ridendo: Qualche gran novità ci dev'essere in aria! -Levatisi poi da mensa, il Direttore aveva già il cappello in testa per andare a fare una visita, quando gli corse incontro il portinaio gridando: - Don Bosco, Don Bosco! - I giovani a quell'annunzio si precipitarono verso la porta e intorno a Don Ronchail, che senza scomporsi credette trattarsi di sogno o scherzo. Ma, posto piede sulla soglia per uscire, vide con i suoi occhi Don Bosco, sceso allora allora dalla vettura. Gli fu improvvisata la migliore accoglienza possibile. Sull'entrare in casa egli chiese al Direttore come stesse il barone Héraud. Singolare combinazione! Proprio in quell'istante il Barone, anche lui di nulla informato, comparve là improvvisamente e con un profondo inchino presentò a Don Bosco le chiavi. Allorchè Don Bosco finiva di desinare, ecco il fattorino con un telegramma, che egli aveva spedito da Montone per annunziare il suo arrivo.

         Fece pena a tutti il vederlo non poco sofferente. Il treno lo stancava; era sempre afflitto nella vista; aveva lo stomaco logoro e pativa incitamenti al vomito. “Ha però molta speranza nelle preghiere dei suoi figli, scriveva Don Ronchail, e si raccomanda che facciano a questo scopo delle buone e sante comunioni”. E a sua volta Don Cagliero: “Converrà che si facciano preghiere per Don Bosco. La sua vista e il suo stomaco si risentono facilmente e bisogna convincersi che non è più quello di una volta. Chi lo accompagna deve usargli riguardi assai; ora che ne ha bisogno, non essendo accostumato a domandarli, tace. Bisogna prevenirlo in tutto”. La sua corrispondenza di quei giorni è scritta sotto la stia dettatura[10] [15] Passò la domenica 5 e la solennità dell'Epifania nella casa di Nizza, donde il 7 partì per Marsiglia. Si prese Don Roncbail per segretario; quindi Don Cagliero, allorchè giunse a Nizza, vi trovò l'ordine di governare il Patronage Saint-Pierre fino al ritorno del Direttore. Alla partenza del Beato vi fu un po' d'ilarità, giacchè egli portava cappello e facciuola o rabat alla francese. Agli occhi de' suoi figli pareva strana la sua figura in quell'abbigliamento. Egli pure rideva e disse: - Oggi comincia il carnevale e bisogna ben fare qualche cosa di straordinario! - Ma la facezia nascondeva un pensiero assai più serio che coloro non s'immaginassero. Come allora in Francia alla francese, così appresso in Ispagna vestirà alla spagnuola. Quella carità che lo faceva essere tutto a tutti per portar tutti a Gesù Cristo, gli dettava atteggiamenti esteriori atti a sgombrare dalle menti dannosi pregiudizi, come per esempio che oltre le frontiere italiane egli volesse improntare le sue opere a un proprio nazionalismo con pericolo di eccitare la suscettibilità dei paesi che lo ospitavano, e di sollevare dubbi odiosi sulla sincerità del suo zelo.

                Presero il treno per Fréjus, dove furono accolti assai cortesemente dal vescovo monsignor Terris; indi la sera stessa ripartirono per Marsiglia. Qui ricevettero il primo saluto dal mistral o maestrale, vento freddissimo che soffia da tramontana a ponente e che imperversò un paio di giorni, sìcchè in certi momenti sembrava che volesse rovesciare la casa. Non era proprio il tempo più desiderabile per la malferma salute di Don Bosco!

                Ma il freddo non era soltanto nell'aria: sulle prime quasi nessuno si occupava di Don Bosco. Venuto a Marsiglia pressochè in incognito, unicamente dall'Oratorio ricevette festevoli accoglienze. Anche il curato di San Giuseppe non sembrava più quello d'una volta, cotanto mostravasi indifferente. Nelle visite poi Don Bosco non incontrava che gli atti di una gelida officiosità. In un caso anzi gli toccò di peggio. Andato a visitare un'importante comunità religiosa, chiese del superiore [16] al portinaio, che gl'indicò le scale, il corridoio e la stanza. Aveva con sè Don Bologna. Salirono da soli, guardando in qua e in là, finchè trovarono il posto indicato, e ivi seduti sopra un sofà tre religiosi che trattavano di affari. Don Bosco si presentò umilmente -Che cosa cerca? gli chiese il superiore.

                - La cartiera del padre Rettore, rispose Don Bosco.

                - Passi in anticamera.

                - Vorrei solamente dire al padre Rettore...

                - Passi in anticamera. Adesso dobbiamo sbrigare alcuni negozi.

                Don Bosco andò in anticamera e aspettò parecchio. Finalmente venne il padre Rettore e con modi sostenuti lo interrogò:

                - Chi è lei?

                - Sono Don Bosco.

                - Che cosa desidera da me?

                - Vorrei raccomandare alla sua bontà il nuovo collegio che ho fondato qui in Marsiglia.

                - E niente altro domanda?

                - Nossignore. lo era venuto solamente per questo fine e per ossequiarla.

                - Se non ha altro da dirmi... Ho capito... La riverisco..

                Ciò detto, egli si ritirò e Don Bosco uscì da quella casa. Don Bologna lo seguiva barcollante, tanto era irritato e confuso. Ma il Servo di Dio gli disse con tutta calma: - Sta' allegro! Saranno essi più confusi di noi riflettendo al modo col quale ci hanno trattati. - Infatti quando negli anni seguenti i prodigi rivelavano la mano della Provvidenza nelle Opere di Don Bosco, quei Padri accorsero premurosamente a visitarlo e a prestargli ossequio.

                Diremo fra breve quale fosse la causa che aveva indotto negli animi un sì grande mutamento, per cui da tempo Don Bologna si sentiva molto a disagio - sollecitava la presenza del Beato Padre. Questi senza sgomentarsi cercava di rinfrancare [17] il Direttore. La stia cameruccia dava sopra una collinetta coronata da tre magnifiche querce; ma da basso un cortile a piano inclinato permetteva di guardare dentro alle stanze. Un giorno, additando a Doli Bologna l'altura attraverso i vetri delle finestre, che non erano adorne di cortine, gli disse: - Vedrai che presto ci libereremo da questo inconveniente e avremo là una bella e grande casa con un ampio e ben spianato cortile. - Parole che rianimarono un po' il Direttore, ma senza rasserenarlo del tutto, tanto più quando sentì Don Bosco esclamare: - Io qui perdo tempo! - Infatti non si trovava la via per conchiudere alcunchè di serio.

                Ma a torre d'imbarazzo il Servo di Dio intervenne la Provvidenza con un fatto, che in tiri batter d'occhio cambiò le disposizioni degli spiriti. Una madre piemontese, e propriamente astigiana, condusse da Don Bosco un suo figlio che faceva pietà: piccolo, rachitico, quasi raggomitolato in se stesso, moveva a stento le povere gambe, sorretto da due stampelle. Gli si potevano dare otto anni. Lo videro passare parecchi giovani esterni, che frequentavano le scuole dei Salesiani e appartenevano alla cantoria di San Giuseppe. Fanciullo e madre vennero introdotti nella stanza di Don Bosco. Il Servo di Dio indirizzò a entrambi alcune parole; indi benedisse lo storpio, ingiungendogli di buttar via le grucce. Succedette una metamorfosi istantanea: il ragazzo si raddrizza, getta da sè i miseri sostegni e se la dà a gambe. La donna, quasi demente, afferra quei legni, gli si slancia dietro gridando al miracolo e nè l'uno nè l'altra si fecero più vedere[11]. Solo otto mesi dopo, durante gli esercizi spirituali, [18] Don Bologna osò chiedere in confidenza a Don Bosco in che modo fosse andata la cosa, non avendovi egli assistito. Don Bosco gli rispose con pari confidenza: - Vedi, Don Bosco pensò che in Francia non poteva far nulla e disse alla Madonna: Là[12], incominciamo!

                E si cominciò davvero. La fama del prodigio si sparse per tutta la città, levando un rumore straordinario, sicchè principiarono visite senza fine. Sebbene non si possa asserire che Don Bosco possedesse la lingua francese, tuttavia la parlava con una franchezza, che ne rendeva simpatici anche gl'immancabili sbagli. Un'altra cosa elle impressionava ancor più era la sua invincibile tranquillità, elle maggiormente spiccava di fronte all'abituale vivacità tutta propria dei Francesi. Lo dominava allora l'idea d'ingrandire la casa e tanti de' suoi visitatori, sapendolo, andavano a gara nel descrivere la rapidità con cui l'ingrandimento si sarebbe eseguito: essi ci vedevano già duecento cinquanta ragazzi di lì a sei mesi. Don Bosco lasciava dire, ma poi con una sua osservazione pratica, espressa in un tono che al paragone si sarebbe detto flemmatico, riconduceva gl'interlocutori nel mondo della realtà.

                Il giorno 12 Doli Bologna scrisse a Don Rua: “L'entusiasmo si sveglia”. Quel giorno Don Bosco fu invitato a pranzo dal Vescovo, elle lo volle seduto accanto a sè, fra una corona di dieci parroci della città. Di nuovo Don Ronchail a Don Rua il 14: “Non ci saremmo mai aspettati di trovare tanta generosità e tanto buon volere. A considerare quello che si fa in questi giorni, pare di essere nei tempi favolosi. Don Bosco è fuori di sè. e non sa darsi ragione come siansi oltrepassate le sue speranze e le stesse sue immaginazioni. Questa settimana formerà una bella pagina nella storia della Congregazione”. E Don Bologna con la stessa data al medesimo: “t, favoloso come si estenda il movimento”. La fiumana dei visitatori crebbe a segno elle il segretario interinale, non [19] avvezzo ai servizi che si richiedevano in simili circostanze, diceva a Don Rua, in una lettera del 20: “Il suo nome è come un elettrico che in breve percorse tutta Marsiglia, e se rimane qui ancora per qualche tempo, bisognerà che Don Berto venga a regolare le udienze”. Anche Don Bosco in data dei 27 ragguagliava Don Rua così: “Le nostre imprese qui procedono in modo favoloso, direbbe il mondo, ma noi diciamo in modo prodigioso. Sia sempre lodata ed esaltata la bontà del Signore”.

                In mezzo a tanto entusiasmo era sorta la proposta di una conferenza: ma la facesse Don Bosco, la tenesse nella chiesa parrocchiale o almeno parlasse a un pubblico scelto in un salone della città. Don Bosco dovette piegarsi; ottenne però di radunare gli amici nell'ospizio, entro un dormitorio trasformato in sala. Pensare a quel che dovesse dire e soprattutto come dirlo non gli fu possibile per le visite che non gli davano tregua. Assistette alla riunione anche il Vescovo. Don Bologna stupì nell'udirlo parlare con tanta disinvoltura in quel suo francese; stupirono anche altri uditori, taluno dei quali, dovendo rispondere ad amici curiosi di sapere come Don Bosco se la fosse cavata quanto alla lingua, si espresse argutamente così: “Ha parlato francese come se lo sapesse”.

                In sì universale favore, al disegno dell'ingrandimento rispondevano pronti i primi mezzi di esecuzione. Quasi a stimolare la liberalità dei Marsigliesi Don Bosco affidò tosto a un impresario un lavoro per cinquanta mila franchi da terminarsi entro agosto, affinchè vi fosse posto per due centinaia di giovani. Una mattina che con l'architetto Itier egli studiava un piano di costruzione, sopraggiunse l'abate Timon[13], che stette lungamente con loro esaminando, consigliando, approvando, obbiettando, disapprovando; finalmente prese [20] commiato. Don Bosco che, per quanto guardingo nelle sue opere, nondimeno univa alla circospezione gran prontezza d'intuito, disse all'architetto: - Io temo che il buon canonico Timon, entrato in paradiso, vi troverà qualche cosa che non sarà pienamente di suo gusto.

                Avrebbe voluto Don Bosco dare un pranzo ai principali suoi amici di Marsiglia; tua le condizioni della casa mal si prestavano alla bisogna. Fu dunque ben inspirato il signor Giulio Rostand, presidente della Società Beaujour, ad allestire in onore di Don Bosco un banchetto veramente regale, a cui convitò il fiore della città. Inter pocula il discorso cadde stilla casa da costrurre e sul grande ospizio da aprire per artigiani sotto la direzione di Don Bosco. Due problemi si affacciavano di noti facile soluzione: mettere insieme le non poche migliaia di franchi necessarie per tirar su la fabbrica e creare un capitale i cui frutti bastassero al mantenimento (lei giovani ricoverati. Tutti convenivano essere ardimentoso quel progetto e di non sicura attuazione. Don Bosco al momento buono disse sorridendo e con aria grave: - Sì, abbiamo cose grandi da fare; ma per fare grandi cose ci vogliono i Marsigliesi. - Queste parole produssero l'effetto di una scintilla elettrica: Don Bosco non si sarebbe mai immaginato di ottenere il successo che ottenne. Le difficoltà delle spese a poco a poco scomparvero, nè mai si dovettero sospendere i lavori per mancanza di denaro. Narrando l'incidente ad Alassio il Beato confessò di non essersi punto accorto lì per lì dell'impressione prodotta dalle sue parole, uscitegli proprio ex abundantia sermonis; glielo disse dopo l'abate Guiol e lo dimostrarono i fatti. E’ da ricordare per altro quanta fosse la maestria di Don Bosco, in dir parole che sonassero le più gradite all'orecchio de' suoi ascoltatori.

                Le visite si succedevano quasi senza interruzione. Di una particolarmente abbiamo trovato memoria. Si presentò a Don Bosco un signor Olive, marsigliese ricchissimo, il quale, afflitto da una malattia incurabile, lo pregava di benedirlo [21] e d'impetrargli la guarigione. Il Beato gli propose un mezzo sicuro per guarire: andare alla banca, prendere una somma proporzionata alla stia fortuna e portargliela. Non essere questo per lui un gran sacrifizio; ma se anche dovesse costargli un po', bisognare piegarvi il capo, trattandosi di ottenere un vero miracolo. Quegli chiese tempo per parlarne con la moglie. Don Bosco gli disse: - Se crede che sia troppo, veda lei; per me la credo condizione indispensabile. Dio però vede i cuori e conosce quale possa essere adeguato sacrifizio... Se mai non volesse dare a me la somma che ho detto, la consacri pure a qualche altra opera pia o la consegni al Vescovo che la distribuisca... Ma se vuol guarire, deve fare così.

                Il signore tornò parecchie volte da Don Bosco, ma non veniva mai al punto di decidersi. Finalmente un giorno il Servo di Dio, essendosi recato dal Vescovo, ricevette dalle sue mani duemila e cinquecento franchi a nome del signor Olive. Questi poi non tardò a rivedere Don Bosco, credendosi d'aver fatto abbastanza; ma per le sue possibilità quella era una bezzecola. Sembra che la Provvidenza volesse aiutarlo a staccare il cuore dalle ricchezze.

                Don Bosco naturalmente gli rese le dovute grazie dell'offerta; ma alle sue insistenze per sapere se potesse sperare la sospirata grazia, gli rispose: - Senta! L'altra volta, quando le fu fatta quella proposta, vedevo che il Signore l'avrebbe esaudito; adesso non ho più la medesima sicurezza. Preghi pure il Signore; può darsi che Egli nella sua bontà la esaudisca; ma la cosa è difficile. Il momento è passato e non ritorna più. Gesù, dice la Scrittura, pertransiit benefaciendo, e non mansit. Intende questo latino? - Quegli intese purtroppo di doversene restare con la sua malattia, e così fu.

                Se le visite lo assediavano, non erano meno incalzanti gli affari. “Grandi imprese abbiamo tra mano, scrisse a Don Rua, e grandi preghiere occorrono, affinchè tutto riesca bene”. Uno di questi gravi negozi era di chiarire e definire nettamente [22] la posizione dei Salesiani di fronte alla parrocchia di San Giuseppe. Direttore e curato non se la intendevano più fra loro. Anzitutto questi voleva dall'Oratorio di San Leone il servizio della maìtrise, ossia scuola di canto e di cerimonie per la sua chiesa. Di maìtrise in verità nessuno aveva mai parlato durante le trattative per aprire un ospizio a pro' della gioventù povera; se ne parlò solamente dopo che Don Bologna prese la direzione dell'Oratorio. Un bisogno inaspettato fu la causa che mosse il canonico Guiol ad affidare la maìtrise ai Salesiani, che con gran disturbo del personale e gratuitamente vi si acconciarono per compiacere a chi aveva dato loro tanti segni di benevolenza. Facevano però le cose come potevano, valendosi di giovani esterni, mentre si sarebbe preteso che fosse assicurato meglio il servizio per opera dei ricoverati. Con questo sarebbe andata di mezzo la buona riuscita degli interni, perchè certamente non si sarebbero potuti assistere abbastanza, qualora avessero dovuto andar fuori di frequente nè fossero stati sotto l'assoluta dipendenza del Direttore. “Noi, sarà spiegato più tardi, quando si acuiranno le divergenze[14], abbiamo un sistema speciale di educazione detto Preventivo, la cui pratica riesce impossibile, se gli allievi non sono a totale nostra disposizione e indipendenti. Non si fa mai uso di mezzi repressivi: la sorveglianza, la ragione, la religione debbono usarsi ad ogni momento. Riesce perciò indispensabile che la maìtri se faccia il servizio parrocchiale senza che ne siano obbligati i giovanetti interni, i quali però non si rifiuteranno, quando fosse necessario, in occasione eli grandi solennità, di completare il coro dei cantori ed il servizio delle sacre funzioni”.

                Oltre alla schola cantorum il curato chiedeva pure ordinariamente, come cosa dovutagli, preti ausiliari per il servizio [23] della parrocchia, ministero non conosciuto in Italia. La prima volta che se n'era parlato, il parroco ne aveva fatto a Don Bosco la proposta come di un mezzo con cui ricavare qualche emolumento a vantaggio dell'Istituto. Questi preti, diceva egli, celebrata la loro Messa, potranno impiegare il rimanente del loro tempo negli affari dell'Oratorio. Non si fede mai parola d'altri servizi se non quando Don Bosco fu a Marsiglia. Nemmeno su questo punto Don Bologna avrebbe potuto contentare il parroco senza compromettere il buon andamento della sua casa. Al qual proposito nel documento citato poc'anzi si aggiungerà ancora un'osservazione che interessa la vita della nostra Società. “Essa è, si dice ivi, consacrata al bene morale e materiale della gioventù, e l'ufficio di prete ausiliario, l'assistere alle sepolture, l'accompagnare i cadaveri al Camposanto torna ripugnante ai membri della medesima Congregazione in modo che parecchi amerebbero meglio ritirarsi dalla Congregazione anzichè variare lo scopo con cui si erano consacrati al Signore”.

                Queste due circostanze crediamo che bastino a spiegare come, passata la luna di miele, si manifestasse del malumore fra la casa e la parrocchia, fra il Direttore Don Bologna e l'abate Guiol, e come per riverbero si fosse negli amici di quest'ultimo intiepidito l'affetto verso i Salesiani. Il ridestarsi poi, anzi l'accrescersi dell'entusiasmo dopo la miracolosa guarigione sopì i dissensi; ma conveniva portar la scure alla radice, regolando bene la faccenda, e qui si parve la magnanimità di Don Bosco. Sempre riconoscente a colui che tanto erasi adoperato per l'andata de' suoi figli a Marsiglia, trattò benevolmente della vertenza con l'abate, e dopo una corrispondenza assai animata fra Marsiglia e Torino, il Beato nel mese di settembre s'indusse a sottoscrivere col curato di San Giuseppe una specie di convenzione, la quale fosse da parte sua un segno tangibile di volontaria gratitudine. Ad evitare però che si andasse oltre i limiti, egli fece inserire ivi la clausola che l'oratorio di San Leone si sarebbe prestato [24] al servizio parrocchiale nel modo proposto, “compatibilmente con gli uffici che ciascuno avrebbe dovuto compiere nell'oratorio”[15].

                Per un altro grave negozio Don Bosco tornò a chiedere speciali preghiere, scrivendo a Don Rua il 21: “Havvi grande bisogno di preghiere. Se i giovani vogliono farmi una cosa la più cara, facciano un triduo di comunioni e di preghiere secondo la mia intenzione e pel buon esito degli attuali nostri affari”. Bisognava stipulare con la Società Beaujour una nuova convenzione da sostituire all'antica, che veniva a scadete da sè per la necessità di un'altra assai più importante. Si trattava di assicurare le fondazioni della Navarre e di Saint-Cyr; al quale scopo la Beaujour avrebbe fatto acquisto delle due proprietà rurali dall'abate Vincent e dai suoi locatari, pagando soltanto i debiti che vi gravavano sopra, mediante danari di benefattori, e affidando poi terreni e case a Don Bosco in base a condizioni da stabilirsi. Queste condizioni furono studiate in laboriose conferenze e fissate in un accordo da ratificarsi entro tre mesi e da mettersi in vigore dopo altri quattro[16]. A cose fatte il Beato ne informò così Don Rua il 27: “Oggi alle due si decideranno grandi affari per noi. Tutto è preparato in nostro favore; speriamo che le cose saranno tutte conchiuse secondo i santi voleri del Signore”. Di queste cose gli aveva scritto pochi giorni prima: “Sono di molta importanza morale, materiale e religiosa”.

                Anche l'affare di Auteuil venne ad accrescergli il lavoro. L'abate Roussel,. desideroso da tempo di abboccarsi con lui, profittò della stia presenza a Marsiglia per andar a conferire. Aveva intenzione di sollevare difficoltà al progetto inviatogli da Torino qualche mese innanzi, compilato dal Capitolo Superiore e già sottoscritto da Don Bosco; ma a poco a poco, vedendo l'entusiasmo dei Marsigliesi per Don Bosco, si sentì [25] talmente conquidere, che firmò sic et simpliciter, instando perchè si facesse presto ad eseguire[17].

                Documento della sua attività marsigliese sono anche le lettere da lui inviate a Don Rua. Ne abbiamo cinque, ma più che lettere, si direbbero tanti promemoria di cose fatte o da fare, disposte a elenco ed esposte in forma schematica; dal che si rileva quanto le due anime s'intendessero a vicenda. Le pubblichiamo in fondo al volume[18]. Dalle medesime i lettori vedranno pure come Don Bosco, nonostante le brighe d'ogni sorta che lo stringevano da tante parti, pensasse a tutto e a tutti con solerzia di superiore generale e con sollecitudine di padre. Nè pensava direttamente al solo suo vicario. Infatti un pensiero premuroso egli portò, per esempio, agli ascritti, scrivendo al loro Maestro.

 

Carissimo Don Barberis,

 

                Altre cose per noi a parte. Spero elle i nostri cari ascritti, pupilla dell'occhio mio, godranno buona salute e che gareggieranno col loro fervore ad estinguere il freddo elle naturalmente sentesi in questa stagione. Dirai loro che essi sono gaudium meum et corona mea. Corona di rose, ma certamente non di spille. Non mai vi sia un aspirante Salesiano che colla cattiva condotta pianti la spina nel cuore del loro affez.mo padre Don Bosco. Ciò non sarà mai, anzi sono sicuro che tutti gareggieranno colle loro preghiere e comunioni a consolarmi colla esemplare loro condotta.

                 I tre ascritti partiti con me furono divisi come segue: Boyer alla Navarra, Taulaigo che scrive, e Turin sono qui per santificare gli abitanti de la maison Beaujour. Questa casa è un rampollo che ha bisogno di molta coltivazione in principio, ma che crescerà in alto albero 1 cui rami ed ombra benefica faranno sentire i benefici effetti in altri lontani paesi. Così spero nel Signore. Sabato Foglino e Quaranta prenderanno l'imbarco per Montevideo. Sono allegri e contenti e non altro desiderano che volare velocemente in aiuto ai loro compagni dell'Uruguay.

                D. Ronchail scriverà altre notizie. Dirai a Don Depert che mi santifichi la sagrestia e tutti quelli che si recano in essa; a Palestrino sagrestano che si faccia buono; a Giulio Augusto[19] che stia allegro, [26] a D. Rua che cerchi danaro; al sig. conte Cays che abbia cura della sua salute come egli farebbe per me.

                Iddio vi benedica tutti e a tutti conceda la grazia di ben vivere e di ben morire. Questa grazia Dio la conceda specialmente a colui che non troverò più al mio ritorno a Torino.

                Tu poi abbimi sempre in G. C.

 

Marsiglia, 10 Gennaio 1879] Tuo affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

                Colui che Don Bosco non avrebbe più ritrovato era uno dei dipendenti di Don Barberis, cioè l'aspirante Don Remondino, che morì il I° febbraio.

                Non dimenticò le Figlie di Maria Ausiliatrice, per le quali tutte mandò al Direttore di Mornese Don Lemoyne un suo scritto, rimastoci purtroppo finora irreperibile.

 

                   Mio car.mo D. Lemoyne,

 

                Dalla diocesi di S. Lazzaro scrivo una lettera e forse dal sito dove S. Maria Maddalena si raccoglieva a pregare ed a far penitenza, scrivo questa lettera alle Figlie di Maria Ausiliatrice. O la madre superiora, o meglio tu stesso, leggerete questa lettera con quelle osservazioni che giudicate a proposito. Avrei anche piacere che se ne potesse mandare copia in tutte le altre case di suore.

                Io sono qui con molti e gravi affari alla mano. Quando li saprai, rimarrai stordito e vedrai il sogno di Lanzo realizzato[20]. Mercoledì prossimo vado alla Navarra passando per S. Cyr, che pure è nostro. Pel fine della settimana, a Dio piacendo, sarò a Nizza. Non so a che punto si trovino le ordinazioni del mio amico Musso che saluterai da parte mia. Saluterai pure gli altri di casa nostra, il sig. prevosto ed altri nostri amici e cooperatori salesiani.

                Dio ti benedica, o caro D. Lemoyne, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

Affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

Un altro suo delicato pensiero fu per gli artigiani dell'Oratorio, i cui auguri paternamente intese ricambiare con questa affettuosissima letterina indirizzata al loro catechista. [27]

 

                   Carissimo D. Branda,

 

                Tutte le volte che io penso ai miei cari artigiani e che prego per loro, se andassi a far loro visita, sarei più volte al giorno tra di essi a parlare e consolarli. Tuttavia voglio dimostrare coi fatti che di loro mi ricordo in maniera particolare. Dirai adunque che gli augurii fattimi nelle feste natalizie e di buon capo d'anno mi furono graditi e li ringrazio di cuore. Ho avuto di loro buone notizie e benedico il Signore che dia loro il buon volere e la grazia di essere virtuosi.

                Mi trovo qui in questa casa di S. Leone dove sono già un sessanta ragazzi, che poco per volta si faranno veri seguaci degli artigiani dell'Oratorio. Anzi alcuni hanno dimostrato l'impegno di volerli superare nell'ubbidienza e nella pietà. Ho loro risposto che non vi riusciranno! Vedremo!

                Intanto dirai a tutti che raccomando di cuore la frequente confessione e comunione; ma ambidue questi sacramenti siano ricevuti colle dovute disposizioni in modo che per ogni volta si veda il progresso in qualche virtù. Volesse Iddio eh e io potessi dire, ogni artigiano essere un modello di buon esempio agli altri compagni! Dipende da voi, o miei cari giovani, il darmi questa grande consolazione.

                So che pregate per me e attribuisco il miglioramento di mia vista alle vostre preghiere; continuate. Vi ringrazio e Dio vi ricompenserà.

                Il dono che vi chiedo è una santa comunione secondo la mia intenzione.

                Dio benedica te, o caro D. Branda, benedica tutti gli assistenti, gli operai, tutti gli artigiani e ci conceda la grazia grande di poter fare un cuore solo ed un'anima sola per amare e servire Dio in terra, per poterlo poi un giorno lodare e godere eternamente in cielo.

                Credimi tutto in G. C.

 

                Marsiglia.

 

Affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Allorchè le relazioni con la. Francia si facevano ogni dì più frequenti e rilevanti, la Provvidenza inspirò al conte Cays, benchè così avanzato in età, di abbracciare la di dura vita dell'Oratorio[21]. Questo virtuoso gentiluomo, possedendo a perfezione la lingua francese che scriveva in modo impeccabile, e conoscendo a fondo l'indole di quel popolo, rese al Servo di Dio segnalatissimi servigi sia con la penna che di [28] persona. In qual pregio Don Bosco l'avesse, ce ne fa fede questo documento.

 

                   Car.mo  sig. conte Cays,

 

                Ho ricevuto con piacere la sua lettera e la ringrazio delle notizie. elle mi dà. L'abbé Roussel veline di fatto a Marsiglia e dopo qualche trattenimento egli firmò puro e semplice il progetto da noi mandato. Io lo porterò meco camminando verso Torino. Spero che al giorno 3 prossimo febbraio potremo trovarci insieme ad Alassio dove tratteremo quanto sia da farsi in concreto.

                Veda se può vendere qualche cascina di S. Anna, altrimenti faremo bancarotta[22]. Io sono tuttavia a Marsiglia per una serie di affari di qualche importanza che spero molto utili per la nostra Congregazione, il che sarà tema delle nostre conferenze in Alassio.

                Il sig. D'Ycard è venuto qui a chiedere di sue notizie e si rallegrò assai in saperla già sacerdote, anzi pensava che ella fosse qui meco[23].

                La mia salute ha migliorato alquanto e ne sia ringraziata la bontà del, Signore.

                Se può, faccia un passo dalla marchesa Fassati, ossequiandola da parte mia e dandole di mie notizie.

                La prego pure di ossequiare da parte mia tutta la sua famiglia; e partecipare a D. Ghivarello elle si faccia buono, a D. Fusconi che sono privo di sue notizie, a D. Angelo Savio che sia veramente un angelo, a lei poi che si abbia tutti i riguardi per la sua salute e faccia per lei come ella farebbe per me stesso. [29]

La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e ci aiuti a compiere in ogni cosa i santi divini voleri.

             Preghi per me che le sarò sempre in G. C.

                Marsiglia, 20 Gennaio 1879.

 

Affez.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Beato ebbe inoltre occasione di scrivere alla signora Matilde, consorte del signor Alessandro Sigismondi, che più volte abbiamo incontrati nei viaggi di Don Bosco a Roma. Questa lettera è prova della costante devozione di quei piissimi coniugi verso il nostro Beato Padre. Gli volevano veramente bene! Nell'estate del 1931 il signor Don Rinaldi, trovandosi a Roma nella sede della nostra Procura Generale, sì vide venire innanzi una buona vecchietta, che, reggendo i passi col suo bastoncino, aveva fatta a stento la pur comoda scala e si presentava a lui per riverirlo e porgergli una caritatevole offerta. Era la vedova signora Matilde la quale, avendo casualmente appreso che dimorava colà il terzo successore di Don Bosco, non aveva potuto resistere alla forte brama di fargli visita e parlare con lui del Beato.

 

                   Stimatissima Sig.a Matilde,

 

                La sua lettera venne a raggiungermi nella casa di Marsiglia. Doli Rua ha già fatto celebrare una santa Messa a Torino all'altare di Maria Ausiliatrice secondo la pia di lei intenzione. Dal canto mio, ne ho celebrata un'altra qui colla comunione e preghiere dei nostri orfanelli.

                Questa casa fu inaugurata l'anno scorso quando partendo da Roma venni a Marsiglia e fu chiamata Oratorio di S. Leone in ossequio al novelle Pontefice.

                Sul finire della corrente settimana partirò per altre case che abbiamo in Francia e continuerò il cammino alla volta di Roma dove a Dio piacendo spero potermi trovare circa dai 15 ai 20 del prossimo febbraio.

                Signora Matilde e signor Alessandro, quanto avremo da discorrere, quante cose a dire!

                Potendomi solo trattenere poco tempo nella santa città dovremmo proprio trattenerci qualche giorno intiero a chiaccherare.

                Dio la benedica e con lei benedica il caro sig. Alessandro, la sig.a [30] Adelaide, e raccomandandomi alle loro preghiere ho l'onore ed il piacere di professarmi.

 

Marsiglia, 21 Gennaio 1879] Aff.mo come figlio

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S, Mi servo di un segretario pel disturbo del mal d'occhi, che ora però vanno alquanto meglio.

 

                Don Bosco il 27 col curato di San Giuseppe andò a Aix “per un affare di rilievo”, come scrisse a Don Rua. Sembra che quivi abbia allora tenuto un sermon de charité, seguito da questua[24].

                Nella vetusta città romana accadde un curioso episodio, narrato più tardi da Don Bosco stesso e raccolto da Don Lemoyne Recatosi a visitare il barone Martiri, fu da lui trattenuto a mensa in mezzo alla sua famiglia. Egli aveva molta confidenza cori quei nobili signori. Poco prima che si mettesse in tavola, il Beato, attraversando un salotto in cui vide sopra un tavolo vasellami e posate d'argento, si fermò a osservare quel piccolo tesoro; poi con affettata serietà e con tutta calma, stese la mano e pezzo per pezzo parte si cacciò nelle tasche, parte chiuse nella valigia che era là in un canto. Il Barone e gli altri stavano a vedere come andasse a terminare quello scherzo. Finita la sua operazione, che fu cosa di pochi minuti, Don Bosco gli chiese quanto potesse valere quel servizio di tavola. - Se si dovesse comperare nuovo, rispose, ci vorrebbero diecimila franchi: ma la rivendita ne darebbe forse soltanto mille.

         - Ebbene, riprese Don Bosco, giacchè il signor Barone è così ricco, e io (levo tribolare tanto per isfamare i miei poveri giovanetti, mi dia mille franchi e io le restituirò la sua argenteria. [31] Il nobiluomo cori la maggiore naturalezza del mondo sborsò a Don Bosco mille franchi e cori noli minore naturalezza Don Bosco rimise ogni cosa al proprio posto.

                Il 29, accompagnato sempre da Don Ronchail, lasciò Marsiglia e partì alla volta di Saint-Cyr. Qui l'aveva preceduto circa due settimane avanti Don Cagliero, di ritorno dalla Navarre, dove aveva condotto due Figlie di Maria Ausiliatrice; ma la sua gita era stata frettolosa, non essendovi altri nel Patronage Saint Pierre che potesse, com'eglì diceva, “tenere il foro coscienzioso”[25], cioè confessare la comunità.

                Per essere in quel giorno la festa di San. Francesco di Sales, non fu lauta la cena imbandita loro a Saint-Cyr la sera dell'arrivo: brodo di lenticchie, pietanza di lenticchie in olio e aceto, più due passerotti fritti, che i giovani avevano presi lungo il giorno e che dovevano servire per tre commensali.

                La mattina appresso erano aspettati a Tolone per visitare quella maìtrise, che si voleva mettere sotto la direzione dei Salesiani; poichè è da sapere elle in certi luoghi le maìtrise sono veri piccoli seminari. La visita fu lunga e minuziosa. Il Servo di Dio benedisse durante quel soggiorno una signorina gravemente inferma, che guarì quasi subito e campò ancora cinque anni. Ignoriamo le circostanze del fatto; solo ci è noto che in conseguenza di esso la zia della graziata divenne, finchè visse, zelantissima cooperatrice Salesiana[26].

                Mentre la visita si protraeva più che non si sarebbe creduto, Don Bosco disse sotto voce al segretario che cercasse una trattoria dove fare un po' di pranzo; ma quei signori per eccesso di cortesia non si staccarono mai dai loro fianchi e li vollero infine accompagnare alla stazione, dove si giunse appena in tempo per prendere il treno che doveva portarli a Hyères. E qui agli stimoli della fame altri guai si aggiunsero [32], che ne misero a dura prova la pazienza. Fra notte Ci sarebbe dovuta essere ad attenderli la carrozza del conte di Buttigny, perchè un telegramma gli avevano essi spedito da Tolone e un altro Don Perrot da La Crau per annunziarne l'arrivo.  Don Bosco, sicurissimo di trovare la carrozza, lasciò partire gli omnibus, tanto più che a una certa distanza occhieggiavano due fanali come quei che si accendono ai lati delle carrozze. La città d'Hyères dista venti minuti di cammino dalla stazione. I nostri viaggiatori si mossero nella direzione dei fanali, elle dopo una diecina di passi improvvisamente un dopo l'altro si spensero Erano i lampioni del gas, che rischiaravano la strada all'ingresso della stazione.

                Che fare? Noli restava che proseguire a piedi. Ma tutto il giorno là era piovuto, sicchè il fango arrivava alle caviglie; e poi era buio e le valige pesavano. Facendo di necessità virtù, s'incamminarono in nomine Domini. Quando le braccia indolenzite dallo sforzo noli reggevano più il peso delle valige, le posavano su paracarri o su mucchi di ghiaia e si fermavano alcuni minuti; allora Don Bosco raccontava piacevoli storielle in modo però da invogliare il compagno a raccontarne anche lui di sue. Con tali soste giunsero a Hyères quando e come poterono. Incontrata ivi una donna, le chiesero dove stesse il signor Buttigny; ma la poveretta che era di Cuneo, non seppe che rispondere. Entrarono in un caffé, dove speravano di avere informazioni; ma ivi fu detto loro che di Buttigny esistevano tre famiglie. Andavano così a zonzo per le vie deserte, quando s'imbatterono in un signore, al quale chiesero sé sapesse dir loro in che parte si trovasse la casa di un Buttigny, elle possedeva una villeggiatura vicino alla Navarre. Quel signore, chiamato un ragazzetto e dategli indicazioni precise, ve li fece condurre.

                Intanto il Conte stava sulle spine. Il suo carrozziere, che era andato ad aspettate Don Bosco alla stazione di La Crau anzichè a quella d'Hyères, aveva fatto ritorno con la notizia [33] che Don Bosco non c'era. Ma il suo padrone, che, vestito in abito nero, aveva premura di recarsi a un'adunanza, diceva essere impossibile elle Don Bosco non fosse arrivato; aver egli ricevuto non tino, ma due telegrammi. E tempestava di rimproveri il disgraziato automedonte. In quel mentre ecco arrivare Don Bosco e il suo compagno. - Sono qui, - fece Don Bosco, posando la sua valigia e guardandolo con un'aria stanca e con il suo consueto sorriso. Erano infangati fino alla cintura: dal treno al palazzo avevano impiegato più di un'ora. Il Conte proruppe in espressioni di grande allegrezza; ma, vedendolo in quello stato, ordinò ai servi elle ne facessero pulite le vesti. - Signor Conte, disse invece Don Bosco, oggi non abbiamo pranzato; ci faccia la carità di darci prima tiri po' di cibo.

                Intanto crepitava già un gran fuoco sotto la cappa del camino. La mensa fu presto imbandita. Non è a dire come facessero onore alle vivande. Andati finalmente a riposo, lasciarono gli abiti ai domestici, elle, messili ad asciugare, ebbero al mattino un bel da fare per ripulirli a dovere.

                Verso le undici il dottore D'Espiney, medico d'Hyères, venne a prendere Don Bosco per condurlo a visitare il conte di Villeneuve. Don Ronchail li accompagnava. Quel signore in una caduta da cavallo aveva dato della testa contro tiri albero, riportandone serie lesioni al cervello, elle facevano temere circa lo stato delle sue facoltà mentali. Per colmo dì sventura la morte gli rapì la moglie da lui grandemente amata, sicchè andò vicino a perdere il senno. Furioso non era, ma tanto bisbetico, che i medici avevano deciso d'internarlo quella settimana in una casa di salute.

                Se non elle il dottore D'Espiney, uomo di fede antica, suggerì di ricorrere prima ai mezzi celesti. Don Bosco trovò il malato che fumava -Signor Conte, gli disse il dottore, abbiamo qui Don Bosco, che è venuto a farle una visita. Il Conte squadrò Don Bosco e poi, chiamando la fantesca: Maddalena, disse, è l'ora della passeggiata. [34] - Ma scusi, signor Conte, pregò il dottore, la rimandi un poco. C'è qui Don Bosco che le vuol dare la sua benedizione.

                Il Conte serio serio si pose a sedere. Don Bosco gli presentò una medaglia di Maria Ausiliatrice, ch'ei gradì, e lo benedisse. Da quel punto alla solita esaltazione nervosa sottentrò in lui una calma perfetta. Sulla sera mandò a prendere Don Bosco in casa del conte Buttigny e lo intrattenne in lunga conversazione. Il Servo di Dio lo esortò ad aver fiducia in Maria Ausiliatrice, gli prescrisse alcune preghiere e gli disse che lo aspettava perfettamente guarito nel mese di maggio a Torino per la festa di Maria Santissima Ausiliatrice. Il Conte anticipò di un mese quel viaggio. Non gli rimaneva più traccia di male.

                La visita alla Navarre e a Saint-Cyr gli diè modo di conoscere bene le condizioni materiali e morali dei due stabilimenti. Alla Navarre riscontrò fertilità di terreni; non così a Saint-Cyr. Qui per altro s'avevano buoni cespiti d'entrata nelle primizie della campagna e nella vendita di sempreverde da far corone, ricercatissime in Francia per carri mortuari e per tombe. Rimaneva a studiarsi se fosse meglio dare in affitto le terre o coltivarle per mezzo di giornalieri o sfruttarle direttamente, stabilendovi due colonie agricole. Tali istituzioni godevano il favore universale, sicchè uomini d'ogni colore le avrebbero aiutate.

                Quanto all'andamento interno, trovò un'eredità poco desiderabile. Alla Navarre seppe cose che gli fecero orrore riguardo alla moralità degli antichi padroni; allora si cercava con ogni possibile mezzo di far dimenticare si brutte miserie. Vi era già una cinquantina d'individui, di cui dieci palesavano chiara vocazione allo stato ecclesiastico. A Saint-Cyr invece scoperse una vera babele. Gl'inquilini in numero di oltre quaranta, andavano dai tre ai trent'anni; le così dette monache, delle quali dicevamo nel volume precedente, assistevano i dormitori; nei laboratori ragazzi e ragazze lavoravano [35] insieme per lo più senza assistenza. Urgeva quindi accelerare l'apporto alla Beaujour, per potervi andare al possesso e prenderne la regolare amministrazione[27]. Nelle conferenze di Alassio, riferitone al Capitolo Superiore, Don Bosco disse: “Preghiamo il Signore, affinchè ci benedica e ci tenga la sua santa mano sul capo. Certamente, se io fossi stato a giorno di queste cose prima del contratto, sarei andato più adagio nell'accettare; ma mi si era detto che gli affari della colonia non erano andati guari bene solo per mancanza di direzione”.

                Con questa e somiglianti maniere di parlare Don Bosco chiudeva preventivamente la bocca a chiunque nel volgere dei tempi, udendo parlare dei suoi sogni, fosse mai tentato di crederlo un visionario, uno cioè che andasse dietro alle illusioni della fantasia. Egli non aveva senza dubbio dimenticato il roseo sogno del 1877 a Lanzo; come poteva dunque asserire che se avesse saputo prima quello che seppe dopo, non avrebbe accettato? Noi vediamo qui una volta di più come il Servo di Dio in agibilibus, non ostante i sogni, non si credesse punto dispensato dal condursi conforme ai dettami di un'illuminata prudenza. Ma la Provvidenza era poi sempre quella che guidava gli eventi.

                Nessun'altra notizia ci è dato di registrare intorno al primo passaggio di Don Bosco per quelle terre, dove ancor oggi risuona benedetto il suo nome. Ai 2 di febbraio lo ritroviamo già a Nizza[28] sulla via del ritorno in Italia. Qui nuovamente la bontà di Dio volle glorificare il suo Servo con un fatto prodigioso, che noi racconteremo ricalcando la nostra narrazione sopra una memoria autografa della persona interessata[29] e sopra un ampio certificato del suo medico curante.

                La contessa di Villeneuve, colta nel 1876 da peritonite acuta, era giunta sull'orlo della tomba. La grave malattia [36] fu vinta, ma lasciò orine profonde del suo passaggio. Febbri intermittenti, che già per l'addietro assalivano la signora, si mantennero ribelli a tutti i rimedi, e coli accessi di tale intensità che talora sembravano minacciarne l'esistenza. Nel 1878 le forze declinavano di giorno in giorno, nè più si credeva alla possibilità di una guarigione.

                Or avvenne che nel novembre di quell'anno un amico le parlasse di Don Bosco e delle grazie ch'egli otteneva mercè l'intercessione di Maria Ausiliatrice. Tale discorso accese in lei un desiderio vivissimo di vedere l'uomo di Dio per sollecitare i soccorsi delle sue preghiere. Il suo medico dottor D'Espiney le consigliò l'aria di Nizza, La contessa nel gennaio del 1879 era in quella città, ma non vi sperimentava alcun giovamento; anzi prostrazione generale, inappetenza, insonnia, insofferenza di qualsiasi fatica, fosse anche di fare pochi gradini, le rendevano la vita insopportabile. Udito che Don Bosco trovavasi a Nizza, chiese e ottenne  udienza il 3 febbraio. La vista del Beato la impressionò forte. Egli la fece sedere, la pregò di spiegargli la stia malattia, l'ascoltò con bontà paterna e poi alzatosi le disse: - Certo sii questa terra non vi è cosa che abbia maggior pregio della sanità. Ma noi non conosciamo in ciò i voleri di Dio. Nondimeno egli ha promesso di aprire a chi bussa; busseremo dunque tanto forte che ci dovrà aprire, perchè l'ha promesso. Ella sarà guarita perché educhi cristiana mente i suoi figli. -

La Contessa s'inginocchiò per ricevere da Don Bosco la benedizione, e Don Bosco, benedettala, le parlò dei figli e invitò lei pure a Torino per il 24 maggio. Scrive essa nella stia relazione: “Rientrai in casa piena di speranza, quasi non ricordando più d'essere stata ammalata un'ora prima. Sulla sera andai a diporto con i figli, facendo circa sei chilometri Nel salire le scale non sentivo il menomo incomodo l'appetito e il sonno nulla mi lasciavano a desiderare e de' miei lunghi patimenti non mi rimaneva più traccia. Mi sentii restituito immediatamente l'uso delle mie gambe, tanto che dopo brevissimo [37] tempo io potei fare con un mio congiunto una passeggiata di dodici chilometri in meno di tre ore e quasi senza fermarmi”. Il suo medico, verificatane la guarigione, stese il particolareggiato ragguaglio che dicevamo poc'anzi e che si può leggere in altra parte del volume[30].

                Rimangono da narrare due episodi avvenuti a Nizza, che con ogni probabilità appartengono a questo tempo. Il primo veniva ricordato dal cardinal Cagliero, quand'egli voleva mostrare quanta efficacia avessero lo sguardo e la parola di Don Bosco. Dopo una conferenza tenuta a Nizza il Beato usciva dal presbiterio per avviarsi alla porta, stretto intorno intorno dalla folla che non lo lasciava proseguire. Un individuo di torvo aspetto stava immobile a guardarlo, come se macchinasse qualche brutto tiro. Don Cagliero lo teneva d'occhio ed era inquieto, perchè Don Bosco, lentamente procedendo, si avvicinava a lui. Finalmente si trovarono di fronte. Don Bosco, appena lo vide, gli rivolse la parola:  Che cosa desiderate?

                - Io? Nulla!

                - Eppure sembra che abbiate qualche cosa da dirmi.

                - Io non ho nulla da dire.

                - Volete forse confessarvi?

                - Confessarmi io? Ma neppur per soglio!

                - Dunque che cosa fate qui?

                - Sto qui... perchè non posso andar via...

                - Ho capito... Signori, mi lascino un momento solo, disse Don Bosco a coloro che lo circondavano.

                 Tiratisi i vicini in disparte, Don Bosco sussurrò ancora qualche parola all'orecchio di quell'uomo, elle, cadendo in ginocchio, si confessò là in mezzo alla chiesa.

                L'altro fatto è narrato nella stia Vita di Don Bosco dal D'Espiney, il quale lo udì dal notissimo editore parigino Josse. A Nizza fu a vedere Don Bosco monsignor Postel, sacerdote [38] dotto e fecondo scrittore, che era anche uomo di grande pietà. Durante la conversazione il prelato gli domandò a bruciapelo: - Mi dica su, ho io la coscienza in regola col Signore? Il Servo di Dio, sfiorando un sorriso, fa per andarsene; ma il suo interlocutore gli taglia il passo, serra a doppio la porta, si mette in tasca la chiave e: - Guardi, Don Bosco, gli dice, non s'esce di qui, fino a che io non sappia come sto col Signore.

                Queste parole furono proferite con accento sì risoluto, che Don Bosco, fattosi pensoso e rimasto un po' con le mani sul petto, l'una nell'altra secondo il suo costume, rimirò con occhio pieno di benevolenza Monsignore, e gli disse spiccato spiccato:

                - Lei è in stato di grazia.

                - Mi resta però il dubbio, replicò quegli, che soltanto la sua benignità la faccia parlare così:

               -No, caro Monsignore, soggiunse Don Bosco, quel che dico, lo vedo.

 

 

CAPO II. Da Alassio a Lucca. Le conferenze annuali di S. Francesco di Sales.

 

                NEL  1878 il prolungato soggiorno di Don Bosco a Roma aveva impedito che queste conferenze si tenessero; ma nell'anno seguente egli non volle elle si tralasciassero, anzi parecchio tempo prima vi fermò il pensiero. “Abbiamo da sistemare la radunanza di san Francesco, scrisse a Don Rua da Marsiglia l'II gennaio. Io proporrei di trovarci ad Alassio oppure a S. Pier d'Arena. Si potrebbe scegliere il giorno tre febbraio. Potresti venire con D. Durando e qualcuno che giudichi ad hoc. Dimmi il tuo parere sulla convenienza, sul luogo e sul tempo. Andrei io stesso a Torino, ma [ciò] interromperebbe i miei progetti”. Don Rua si dovette rimettere a Don Bosco, esprimendo soltanto la stia preferenza per Alassio; infatti, il Beato gli tornò a scrivere il 21: “Prepariamo adunque le cose per Alassio nel giorno 3 Febbraio”. Questa data però fu dovuta spostare al giorno 6[31].

                Partito da Nizza il 5 febbraio in compagnia di Don Cagliero e di Don Ronchail, dopo una fermatina a Vallecrosia per rallegrare i confratelli di quella casa, Don Bosco giunse [40] sull'imbrunire ad, Alassio. Verso mezzogiorno del 6 arrivarono da Torino Don Rua, Don Lazzero, Don Ghivarello, Don Barberis e il conte Cays, che avevano pernottato a Sampierdarena. Quanto commovente fu l'accoglienza fatta loro da Don Bosco! Egli era sceso nel refettorio. I nuovi arrivati, siccome venivano alquanto intrattenuti fuori dai chierici e dai giovani, così entrarono uno alla volta; ora, al comparire di ognuno, Don Bosco lo accoglieva con segni di grande benevolenza, facendo festa e battendo le mani e mentre gli s'accostavano per baciargli la destra, egli domandava notizie della loro salute, li interrogava sui giovani o sui chierici, chiedeva di questo e di quello. Alla fine: - Oh va bene! esclamò. Bisogna poi scrivere ai tali così e così... Bisognerà che al tale io mandi un biglietto... Scrivendo ai giovani, dirai che Don Bosco è stato tanto contento di saperli sani e buoni; che desidero vederli; che preghino per gli affari che stiamo trattando, affinchè tutto riesca bene...

                Le conferenze si apersero alle quattro pomeridiane del 6 febbraio. Oltre ai già nominati, vi parteciparono i Direttori della Liguria. La prima seduta si passò tutta in ragionare delle cose di Francia. Don Bosco narrò le accoglienze avute a Marsiglia; riferì minutamente sulle case della Navarre e di Saint-Cyr; disse di proposte venutegli da Fréjus, da Aix, da Tolone e da Hyères. Parlando dell'abate Guiol si espresse così: “A Marsiglia, il parroco Guiol si mostrò di una generosità grande nel sostenere materialmente e moralmente i Salesiani, e quindi bisogna che ci mostriamo anche noi generosi nell'accondiscendere ad alcune domande che ci fa”. La lettura di due lettere, scrittegli da Don Bologna, gli suggerì questa osservazione: ““Io credo elle qualunque francese fosse venuto a Torino, quand'anche facesse miracoli, non avrebbe avuto le profferte avute da noi in Francia e soprattutto a Marsiglia, città così gelosa di estranee ingerenze”. Dopo vennero in discussione gli articoli sottoscritti a Marsiglia dall'abate Guiol e da Don Bosco, intorno all'affare della Maìtrise, e si esaminarono i [41] punti più salienti della convenzione con la Società Beaujour. Seduta stante, furono nominate due commissioni, una presieduta da Don Rua per provvedere ai bisogni di personale della casa di Marsiglia, e l'altra per completare quello di Sampierdarena; Don Bosco e il conte Cays si riserbarono il disbrigo della corrispondenza, massime con la Francia, Per ultimo fu messa sul tappeto la questione di Anteuil, della quale abbiamo già ampiamente trattato nel capo diciannovesimo dell'altro volume esaurito anche quest'argomento, l'adunanza si sciolse a sera molto inoltrata. I convenuti avevano speso bene il loro tempo!

                La mattina del 7 lavorarono in separate sedi le due commissioni per il personale. Nel pomeriggio si addivenne alla creazione delle Ispettorie, che furono tre: piemontese, ligure e americana, facenti centro rispettivamente a Torino, ad Alassio e a Buenos Aires. Le case poste fuori delle due prime circoscrizioni vennero aggregate a uno dei due primi centri suddetti. A Ispettori furono designati per il Piemonte Don Francesia, che però avrebbe continuato a dirigere il collegio di Varazze fino al termine dell'anno scolastico; per la Liguria Don Cerruti, a cui era già stato assegnato un vicedirettore nella persona di Don Luigi Rocca, per l'America Don Bodrato, che di fatto esercitava già da due anni tale ufficio A questa parte della seduta assistevano solamente i Capitolari nell'anticamera di Don Bosco,- appresso Don Bosco e i membri del Capitolo Superiore passarono nella sala attigua, ov'erano già radunati i Direttori, e il Beato annunziò loro l'avvenuta erezione delle Ispettorie con la nomina degli Ispettori. Dagli Ispettori egli disse che si attendeva mi gran sollievo per il Capitolo Superiore e un grande aiuto per i singoli Direttori.

                E' bene notare che, come riferisce Don Barberis, il Beato non considerava ancora questo ordinamento come definitivo, ma lo voleva solo in via di esperimento: si cominciasse a fare e frattanto si sarebbe veduto se avvenissero inconvenienti, a cui porre rimedio. Osserveremo inoltre che ad Alassio non [42] si fe' cenno dell'Italia centrale, forse perchè fra breve non vi sarebbe rimasta altra residenza che quella dì Magliano Sabino; in seguito per altro si cambiò parere, secondochè vediamo nella comunicazione ufficiale alle case. Questa comunicazione fu fatta con la data di Torino, quando il Servo di Dio trovavasi a Roma. Dal medesimo documento apprendiamo una seconda notizia, di cui però ad Alassio era già pervenuta un'informazione confidenziale, comunicata all'assemblea. I membri del Capitolo Superiore, la cui carica durava sei anni, erano pressochè al termine del loro sessennio, sicchè si sarebbe dovuto convocare il Capitolo Generale per nuove elezioni. Ma da questa convocazione durante il corso dell'anno scolastico sarebbero derivati gravi disturbi; onde Don Bosco aveva presentato a Roma una supplica per ottener la proroga dei poteri fino al prossimo Capitolo Generale. La grazia fu accordata. Mettiamo qui la circolare anzidetta.

 

                   Ai Direttori delle nostre Case,

 

                Con grande consolazione vediamo come l'umile nostra Congregazione, coll'aiuto di Dio, prenda ogni giorno maggior incremento e vada dilatandosi. Laonde per corrispondere alla Divina bontà niente dobbiamo risparmiare di quanto può contribuire al suo consolidamento.

                A tale fine il Capitolo Superiore con parecchi direttori di nostre Case si raccolsero nel Collegio di Alassio il 6 febbraio dell'anno corrente e stabilirono le Ispettorie di cui dò comunicazione a tutti i direttori delle nostre Case.

                I. Ispettoria Piemontese con Sede nella Casa Madre di Torino. Ispettore è il Sac. Gio. Francesia, che continuerà a reggere il collegio di Varazze. Questa Ispettoria si estende a tutte le case del Piemonte compresa quella di Este.

                II. Ispettoria Ligure colla Sede in Alassio e si estende a tutte le Case di Riviera da Lucca a Marsiglia.

                III. Ispettoria Romana. Le Case di questa sono quelle di Magliano, di Albano e di Ariccia. Essa sarà retta dal Sac. Monateri che terrà le veci di Ispettore sino a nuove disposizioni.

                IV. Ispettoria Americana. Per tutte le Case dell'America Meridionale che formano questa Ispettoria, continuerà nella sua carica il Sac. Frane. Bodrato Curato della Parrocchia della Bocca in Buenos Aires.

                Pertanto ciascun Direttore procuri di attivare le necessarie relazioni col proprio Ispettore, onde avere così un aiuto nella propria direzione [43] morale e materiale, e nell'appianare le. difficoltà che possono insorgere.

                Debbo pure notificarvi un'altra cosa assai importante relativa al Capitolo Superiore. I Consiglieri di esso erano scaduti e si sarebbero dovuti raccogliere i direttori per la elezione. Ma ad evitare i disturbi e danni che ne sarebbero avvenuti alle singole case per l'assentarsi del Direttore a metà dell'anno scolastico, ho fatto ricorso alla S. Sede, affinchè fossero mantenuti in ufficio per qualche tempo. Il S. Padre con apposito Rescritto 14 febbraio benignamente ha concesso che gli attuali consiglieri continuassero in carica fino al settembre del 1880. In quel tempo dovendosi tutti radunare pel Capitolo Generale, riuscirà molto più agevole la elezione di tali consiglieri. Così negli anni successivi avrà luogo detta elezione.

                Colgo quest'occasione per raccomandarvi caldamente la lettura, la spiegazione e la pratica delle deliberazioni prese nel Capitolo Generale celebrato in Lanzo nel Settembre 1877. Coloro poi che conoscessero cose da aggiungere o da modificare in quelle deliberazioni, procurino di notarle per dame a suo tempo comunicazione nel futuro Capitolo che, a Dio piacendo, speriamo di tenere nel 1880.

                Riceverete pure una copia della esposizione fatta alla S. Sede sullo stato della nostra Pia Società. Questo servirà d'informazione a ciascun socio, di eccitamento a ringraziare il Signore che in un modo cotanto sensibile benedice i nostri deboli sforzi, e di forte stimolo a promuovere con uno zelo ognor più vivo la maggior gloria di Dio e la salute delle anime, specialmente di quelle che la Divina Misericordia ci affida per la morale e cristiana educazione.

                Non debbo terminare questa mia lettera senza raccomandarvi una virtù la quale abbraccia tutte le altre, la santa ubbidienza. Amate voi stessi questa virtù e coll'esempio e col consiglio fatela amare dai vostri dipendenti. Obedientia est quae caeteras virtutes inserit, insertasque conservat.

                La grazia di N. S. Gesù Cristo sia sempre con voi. Pregate per me che io vi sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 10 Marzo 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Ai soci di ciascuna casa si dia comunicazione delle cose e loro possono riguardare.

 

                Il Servo di Dio dedicò la seconda parte della seduta al suo tema preferito, svolgendo questi concetti sulle vocazioni.

 

                Ora la prima cosa da trattarsi è il modo di aiutare le vocazioni. A questo proposito prepareremo mi capo pel nuovo Capitolo generale. [44] Fra di noi vi è la base delle vocazioni, che è la frequenza ai santi Sacramenti; stiamo saldi su questa santissima base, procurando che le confessioni e le comunioni siano fatte bene. Ma ciò non basta ancora. Posto questo fondamento, si tratta di alzar la fabbrica, cioè a dire, bisogna che i Direttori più volte all'anno parlino di vocazione. Non è mai il caso di suggerire ai giovani: Fatevi preti, o non fatevi preti. Bisogna istruirli come vi siano due vie: gli uni debbono salvarsi passando per l'una, gli altri passando per l'altra; bisogna raccomandar loro di pregar molto il Signore per conoscere su quale delle due debbano essi camminare, in quale abbia egli sparse le sue grazie perchè le possano raccogliere; e si consiglino col confessore.

                Mezzi importantissimi per risvegliare nei giovani o conservare la vocazione allo stato ecclesiastico od anche il desiderio di appartenere alla Congregazione, sono:

                I° La carità con cui i giovani si vedranno trattati.

                2° La carità reciproca elle vedranno usarsi tra di loro i Superiori. Se vedranno che uno non tratta guari bene coll'altro, che questo mormora di quello, che si criticano le disposizioni di questo o di quel Superiore, allora più nessuno si fa salesiano.

                3° Altra cosa elle giova assai è il promuovere la cognizione del regolamento delle case e le deliberazioni del Capitolo generale di Lanzo. Ogni socio abbia copia del regolamento dei collegi, lo studii, sicchè se fosse interrogato sul suo regolamento speciale riguardo alla carica elle copre, possa rispondere secondochè è stampato nel libro. Qualora un Direttore non potesse fare altro e ottenesse che ciascuno eseguisca bene la parte elle gli è assegnata, farebbe già molto. Da ciò verrebbe l'ordine, e l'ordine impedisce tanti mali che fanno perdere la vocazione.

                Desidero pure elle si dia a tutti i soci una copia delle deliberazioni del Capitolo generale, non solo perchè si conoscano, ma ancora perché essi vedano le cose elle si potrebbero aggiungere. I Direttori, i prefetti e chi copre qualche carica è bene che ne abbia una copia interfogliata per annotarsi le proposte da trattare o da mutare, secondo loro parrà venir insegnando l'esperienza. Si tratta di perfezionare i nostri regolamenti quanto si può e il più presto che si può. Le basi che si stabiliscono adesso, col pieno assenso di tutti, dureranno: i giovani elle crescono adesso si imbeveranno facilmente delle nostre idee e tradizioni. Invece, passata la prima generazione, noti si accetteranno più i cambiamenti, fossero anche necessari, o almeno si accetteranno con grande difficoltà. Dobbiamo compir l'opera. Si vede ciò elle accade per lo più in altri Ordini religiosi, i quali ebbero poi bisogno di riforme, fecero scismi, e talora diedero scandali.

                I Capitoli generali che si raduneranno fra trenta o cinquant'anni, quando noi saremo morti, perderanno molto della loro importanza.

                Ritorniamo alle vocazioni. Altra cosa da stabilirsi per avviarle, e generalmente pel bene delle nostre case, riguarda i confessori dei [45] giovani. E’ necessario elle i giovani siano diretti da confessori elle tutti abbiano lo stesso spirito. Avviene coli frequenza che vengano e si fermino nelle nostre case ecclesiastici molto buoni, ma elle non sono dei nostri, e confessano. Taluno sarà santissimo, ma non conoscendo lo spirito della Congregazione, dà consigli contrari a quelli elle daremmo noi, e il giovane perde assolutamente la confidenza al suo confessore antico, al Direttore della casa. Vi sono poche cose elle rechino ai giovani maggior danno di questa. Un tale agli esercizi di Lanzo venne a consultare Don Bosco su puliti delicati di occasione; poi andò a consultare un altro confessore elle noli era dei nostri, il quale gli diede un consiglio diametralmente opposto al mio. Quel consiglio fu il principio della sua rovina e adesso quel tale è totalmente guasto. Si inetta per principio elle nei collegi nessuno vada a confessare se noli ne ha l'incarico dal Direttore. I preti elle noli appartengono a noi, noli si mettano mai a confessare regolarmente, fossero pure saliti come Monsignor Belasio e Don Persi. Se ne scapiterebbe sempre. Si vada anche adagio nel mettere i nostri preti nuovi in questo uffizio pei giovani.

                Altro gran male alle vocazioni e al buon ordine generale lo arrecano coloro che cercano di fare centro a parte in mezzo agli allievi. Si insista perchè in ogni casa tutti facciano centro al Direttore. Chi in qualche modo vien domandato di consiglio risponda sempre: -Il Direttore elle cosa ti ha detto? Interroga il Direttore. Consígliati coli lui, confídati pienamente coli lui e vedrai elle te ne troverai contento. Esso è posto dal Signore per conoscere i tuoi bisogni e provvedere: ha lumi speciali per suggerirti ciò elle devi fare e ciò elle devi fuggire.

                Ma guai quando in una casa si formano due centri! Sono come due campi, come due bandiere, e se noli saranno contrari, saranno almeno divisi. L'affezione che si mette in uno è a scapito dell'altro. Tutta la confidenza che un giovane pone in chi cerca di attirarlo a sè, è tolta a colui che avrebbe diritto di possederla intiera. La freddezza porta l'indifferenza, la minor stima ed anche lui principio di avversione, e un regno diviso sarà desolato. Il Direttore procuri adunque eh nella sua casa non si rompa l'unità.

                A questo riguardo non si stabilisca qui nulla di categorico e di assoluto, ma si lasci alla prudenza del Direttore il dirigersi praticamente secondo le norme sovra esposte e in qualunque caso si dà loro facoltà di dire: - Abbiamo per regola, elle siccome i Vescovi hanno facoltà di approvare o non approvare gl'individui per le confessioni negli istituti, così l'ha il nostro Superiore per i suoi sudditi. E questa facoltà è riservata a lui solo. Chi vuole ottenerla bisogna elle si rivolga a lui. -Essendovi nelle nostre case qualche buon ecclesiastico secolare, si dia ogni comodità agli esterni di confessarsi da lui. Per gli interni in tutti i giorni vi sia il solo Direttore incaricato di ascoltare le confessioni, dando però nelle domeniche maggior comodità ai penitenti. [46] Riguardo alla comunione frequente come regolarci? Si conceda pure una gran frequenza, ma si fissino alcuni punti:

                I° Che i giovani si confessino una sola volta per settimana. Se hanno bisogno di confessarsi più volte per fare la comunione, io giudicherei essere meglio che se ne astengano. Questa come regola generale elle può avere eccezione in qualche individuo e specialmente in alcune circostanze.

                2° Dare licenza ai penitenti, quando chiedono il permesso di andare alla comunione tutte le volte elle nulla hanno sulla coscienza che loro dia pena. E quando hanno solo piccole cose? Si noti che colui il quale si confessa ogni settimana e lungo questa cade sempre in molte piccole colpe, non dà indizio troppo buono di sè.

 

                Detto quello che voleva dire su questo tema, fece due raccomandazioni sull'ammissione di estranei a convivere coi soci. Non si tenessero nelle nostre case nè come capi d'arte, nè come incaricati d'uffici un po' influenti individui che non avessero intenzione di appartenere alla nostra Società. Neppure si permettesse mai a maestri d'arte stipendiati di abitare in casa nostra; ma, presentandosi la necessità di stipendiarne alcuno, non gli si desse mai l'abitazione, ma fosse trattato come esterno e all'esterno abitasse.

                Infine si procedette all'ammissione di parecchi ascritti ai voti perpetui. Chiedendo poi alcuni di farli triennali, Don Bosco ribadì cosa già da lui detta e ridetta, essere cioè i voti triennali occasione di troppe tentazioni per i giovani, molti dei quali non resisterebbero agli allettamenti del mondo in causa di tale stato, secondo loro, precario, da cui potevano di leggieri svincolarsi; invece coi voti perpetui stare tutti generalmente più tranquilli nè pensare più oltre al proprio avvenire, che si considerava ormai come stabilito. “S'introdussero i voti triennali, continuò testualmente, quand'io aveva un'altra idea della Congregazione. Avevo in animo di stabilire una cosa ben diversa da quella che è; ma ci costrinsero a far così, e così sia. Ora stando le cose come oggi sono, i voti triennali creano pericoli; meglio è ammettere solamente ai perpetui coloro che vediamo forniti delle virtù e condizioni [47] necessarie; gli altri si escludano”. Così terminò ad ora avanzata quella seduta.

                Sul punto dei voti triennali Don Bosco aveva manifestato le medesime idee che la sera del 18 ottobre 1878, discorrendo con Don Barberis e con Don Guidazio lassù nella stia galleria. Detto della sua nessuna simpatia per i voti triennali, aveva soggiunto: “Avevo messo i voti triennali, perchè da principio avevo in mente di formare una Congregazione elle venisse in aiuto ai Vescovi; ma siccome non fu possibile e mi costrinsero a fare altrimenti, i voti triennali ci tornano più d'inciampo che di vantaggio”.

                Questa reiterata affermazione richiede qualche chiarimento. La Congregazione nella sua forma definitiva non balzò tutta d'un tratto dal cervello di Don Bosco. L'idea di associarsi collaboratori gli si aggirò assai presto per la mente: i misteriosi sogni gliela insinuarono e la tennero viva: ma essa gli si affacciava sotto aspetti vaghi, elle le circostanze venivano di mano in mano rischiarando e precisando. Egli cominciò nel 1855 a procacciarsi di proposito le cognizioni necessarie per compilare una regola, che, abbozzata nel 1857, presentò in quell'anno a otto volonterosi, perchè la studiassero e vedessero se si sentivano di praticarla. Orbene due cose si riscontrano in quella regola primitiva, che poi subirono rilevanti modificazioni. Una riguardava appunto i voti. “I voti, si diceva, saranno per due volte rinnovati di tre in tre anni. Dopo sei anni ognuno è libero di continuarli di tre in tre anni oppure farli perpetui, cioè obbligarsi all'adempimento dei voti per tutta la vita”. E’ una dicitura elle fa considerare la professione triennale non già subordinatamente alla perpetua, cioè quale stadio di preparazione a questa, ma come cosa a sè e semplice mezzo per legare ad tempus le volontà dei soggetti, che frattanto coadiuvassero Don Bosco nell'opera degli oratori e delle vocazioni ecclesiastiche; stava in questo principalmente l'aiuto da prestare ai Vescovi. Con l'articolo succitato si connette e si spiega quest'altro: [48] “I voti obbligano l'individuo finchè egli dimorerà in congregazione. Quelli che o per ragionevole motivo o dietro a prudente giudizio dei Superiori partono dalla Congregazione, possono essere sciolti dai loro voti dal Superiore Generale della casa Maestra”. L'altra cosa notevole è dove si tratta dei rapporti con i Vescovi. “Se avvenisse, si legge ivi, di dover stabilire qualche nuova casa, il Superiore Generale concerti prima quanto riguarda allo spirituale ed al temporale col Vescovo della Diocesi in cui quella intende aprirsi, secondo le regole del governo di casa come infra”. I Soci nelle nuove case bastava che fossero due, dei quali almeno tino sacerdote. Fin qui dunque si mirava unicamente ad un probabile moltiplicarsi di oratori fuori dell'archidiocesi torinese, dipendenti tutti da Don Bosco e in ausilio degli Ordinari diocesani. Solo dopo l'udienza pontificia del 9 marzo 1858 cominciò il lavorío per costituire modis et formis la Congregazione salesiana; ma la pratica dei voti triennali restò ancora per oltre un decennio, quando divenne pura eccezione per casi speciali fino al nuovo Codice di diritto canonico.

                La mattina dell'8 andò tutta in esaminare le condizioni di Saint-Cyr e in determinare qualche provvedimento per quell'orfanotrofio. Non fa d'uopo ora aggiungere altro al già detto nel volume precedente, riporteremo soltanto le parole con cui Don Bosco pose termine alla discussione. “Consoliamoci, diss'egli, chè questa è veramente una vigna apertaci dalla divina Provvidenza. Da queste istituzioni verrà gran bene alle anime. Vi è speranza di vocazioni allo stato ecclesiastico, perchè fra quei giovani ve ne sono di costumati e atti al santuario. Parecchi mi parlarono di volersi fare Salesiani; vi si troveranno anche figli di Maria; avremo pure di quelli che si fermeranno nella Congregazione come coadiutori. In Francia oggi non vi sono quasi più Congregazioni di uomini che si occupino delle classi umili; quelle che vi sono o rimangono inoperose per varie cause o si consacrarono all'educazione dei figli delle classi superiori. Nessuno vi è che si [49] curi del genere di educazione, al quale ci siamo dati noi. Tutti amano lo spirito nostro e la classe dei giovani, attorno a cui noi impieghiamo le nostre cure. Per questo motivo appunto incontriamo tanta simpatia in ogni luogo e per questo, come spero, non saremo mai disturbati”. Con questo suo dire egli abbracciava tutta l'opera di colà; non solo cioè Saint-Cyr, ma anche la Navarre.

                La conferenza pomeridiana non si protrasse come le altre volte. Per prima cosa si trattò di un viaggio circolare che Don Durando e Don Cagliero dovevano intraprendere per l'Italia allo scopo di visitare le più importanti delle molte case offerte a Don Bosco. Tale viaggio si sarebbe già dovuto compiere da più mesi, se le circostanze non avessero obbligato a ritardarlo. Se ne fissò dunque l'itinerario: andare fino a Napoli; da Napoli salpare per Catania, vedere Randazzo e procedere fino a Palermo; di qui tornar per mare a Napoli e passare a Brindisi, dove il Vescovo aspettava con gran desiderio; da Brindisi percorrere in ferrovia il littorale dell'Adriatico fino a Venezia e poi per la via di Milano far ritorno a Valdocco. La loro missione principale era di concludere le trattative per Randazzo, Brindisi e Cremona. A Randazzo dovevano far accettare il capitolato già stretto col municipio di Varazze; negli altri luoghi dove si volevano i Salesiani, promettessero per quando vi fosse personale sufficiente. Inoltre Don Cagliero decidesse sul posto per un istituto femminile che la duchessa di Cárcaci avrebbe voluto affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice in Catania. Il Beato terminò dicendo: “Andate; ma siccome tempus urget, procurate di riposar bene la notte; di giorno poi datevi attorno, sbrigando molti affari. Dovunque vi recherete, se c'è Vescovo o altra precipua autorità, andate a far visita e dite loro: Siamo qui a portarle gli ossequi del nostro Superiore”.

                L'accenno alle Suore richiamò l'attenzione dei presenti sopra un penoso stato di cose. Il loro numero aumentava notevolmente d'anno in anno, ma eran troppe quelle che [50] ammalavano e morivano. Quali rimedi apprestare elle avessero efficacia a migliorarne le condizioni igieniche nelle loro comunità? Se ne ragionò minutamente, rimettendo a Don Cagliero un esame più accurato; intanto questi, che aveva maggior conoscenza della loro vita, cominciò a suggerire alcuni provvedimenti generali e di più facile attuazione: gran moto, aria libera, mutare sovente le suore addette alla cucina; annesso ad ogni casa un cortile o giardino, dove potessero senza soggezione di esterni giocare. gridare, saltare, divagarsi; liberarne le coscienze da opprimenti angustie, molte di esse, a parer suo, cadendo inferme per causa di pene interne, scrupoli, timori e simili. Dopo di che Don Bosco invitò a ringraziare il Signore e dichiarò chiuse le conferenze.

                I Capitolari e i Direttori convenuti, passando quei tre giorni accanto a Don Bosco e osservandone, come calavano fare in ogni possibile occasione, il tenore di vita, ne ammiravano le virtù e si manifestavano l'uno all'altro le proprie impressioni. Don Barberis si è fatto per noi portavoce dei discorsi che correvano fra loro su quest'oggetto. Li colpiva soprattutto il suo eroico spirito di sacrifizio. Chi, non conoscendolo, si fosse fermato al svio esteriore, non avrebbe lontanamente supposto quant'egli dovesse soffrire; poichè con tanti pensieri per il capo, con tante importunità da più parti, non mai un modo brusco o un istante di nervosità verso chicchessia, anzi una grazia e specialmente una tolleranza delle altrui debolezze che sembrava in lui quasi seconda natura.

                Della sanità egli comprendeva tutto il valore, nè ricusava i riguardi elle giovassero a mantenergliela; era però di grande edificazione il vedere con quale tranquillità d'animo si acconciasse agl'incomodi della stagione e ad altri inevitabili disagi. Certi giorni faceva freddo. - Già, esclamava, ogni anno bisogna che il freddo ritorni; procurate di ripararvi bene, perchè non abbiate a soffrire nella sanità. - Nella stagione del caldo, in certi giorni di afa, l'avevano udito dire: - Bene, bene! questo ci voleva, le campagne hanno bisogno di calore. [51] - E magnificava i vantaggi che l'estate reca alla natura. Era stanco? - Già, diceva sorridendo, mi sono stancato un po'. Oh, un giorno o l'altro, se avrò un tantino di tempo libero, vorrò riposarmi! - Ai suoi nondimeno ripeteva che non si affaticassero di troppo. Continuava ad aver male agli occhi e il destro non gli serviva quasi più. - E' vero, osservava, con un occhio vedo meno che con due. Tuttavia spero che il Signore mi conserverà quest'uno, perchè altrimenti non potrei più lavorare. Oh, il Signore saprà ben aggiustare in qualche modo le cose. - Nelle adunanze, in cui si ventilavano proposte già da lui vagliate per ogni verso, chi sa quanto gli costava lo star ad ascoltare osservazioni improvvisate, obbiezioni superficiali, opposizioni punto ragionevoli! Avere poi un disegno preciso nella mente, vederne sicura la possibilità di esecuzione, ma non poterlo per buone ragioni manifestare se non per metà e udire argomentazioni per dimostrarlo campato in aria e ineseguibile, quanto gli doveva riuscir cosa dura! Ma in tali casi il suo metodo era esporre con semplicità le sue vedute e poi senza entrare in discussioni rimettersi lì per lì tranquillamente al voto altrui, anche se contrario al suo desiderio; ma in seguito, dando tempo al tempo, condurre le fila in modo da far proclamare possibile l'impossibile, il tutto sempre da parte sua senza la minima aria di trionfo.

                Ad Alassio questa volta, occupato com'era, non potè intrattenersi guari con gli alunni del collegio, fuorchè in confessione durante la messa della comunità. Tuttavia, uscendo di chiesa dopo le otto, non impiegava meno di venti minuti a traversare il cortile, perchè i giovani, appena lo vedevano spuntare, gli correvano d'attorno, ed egli sempre a rallegrarli con qualche facezia o a dir loro qualche buona parola; per ogni caso aveva pronte le sue interrogazioni o le sue risposte. Lo stesso faceva con i loro maestri e assistenti.

                Parecchie autorevoli persone furono da lui per offrirgli collegi e case. Il suo contegno, la stia pacatezza e bonarietà, la sua profondità di vedute, la saggezza dei suoi suggerimenti, [52] la maniera affabile di trattare e quell'affettuoso sorriso li facevano rimanere incantati. Una deputazione del municipio di Porto Maurizio venne a pregarlo di prendere la direzione delle scuole cittadine e di aprire ivi un collegio da costruirsi a, pubbliche spese; quei signori, quantunque delusi nelle loro speranze, andarono via stimandosi fortunati per il colloquio avuto col Servo di Dio.

                In pubblico Don Bosco ad Alassio parlò due volte, la prima ai giovani e la seconda ai cooperatori. Ai giovani diede la buona notte dopo le orazioni serali del sabato 8 febbraio. Rivolse la parola specialmente agli alunni del ginnasio superiore e del liceo. Raccomandò l'allegria. Stessero allegri essi, e a tal fine si mettessero bene in pace con Dio; chiamassero a parte della loro allegria le anime del Purgatorio, e perciò la dimane, essendo festa, facessero la santa comunione in loro suffragio; prolungassero l'allegria propria, pensando tutti nel comunicarsi alla loro vocazione, perchè quello era il modo di procurarsi allegrezza per tutta la vita. Disse infine che li voleva allegri non solo nell'anima, sì anche nel corpo; essersi egli per questo inteso col Direttore, affinchè  a mensa avessero qualche contentino. Concluse: - Allegri così e buoni ora, vi preparerete un'allegria eterna, che io vi auguro di tutto cuore, pregando il Signore che ve ne faccia dono.

                Trovò pure il tempo per fare una conferenza ai cooperatori salesiani del luogo, che riempirono la navata centrale della capace chiesa. Non era la prima conferenza di tal genere che si udisse in Alassio; infatti l'anno innanzi l'aveva tenuta monsignor Alimonda, vescovo di Albenga e cooperatore della prima ora. Egli amava grandemente il collegio e il suo Direttore, col quale conversava volentieri e a lungo; stimava moltissimo la Congregazione e riguardava in Don Bosco l'uomo della Provvidenza, al quale portava sincero affetto assai prima di essere Vescovo. Nella recente festa di san Francesco, celebratasi in collegio il 2 febbraio, sperando che Don Bosco fosse per allora già di ritorno dalla Francia, [53] era andato a fare il panegirico del santo Patrono e aveva pronunciate bellissime parole in onore di Doli Bosco. Del Salesio, creato nel 1877 Dottore della Chiesa, aveva pure tessuto l'elogio dinanzi a' suoi seminaristi il 29 gennaio; nella qual circostanza era uscito in queste enfatiche espressioni: “E dove ti lascio, o mio caro amico, venerando padre del clero, Giovanili Bosco! A te giovanetto il Sales si rivelò; e da lui prendesti il sapere amabile, la santità carezzevole, tutto il corredo delle dolci virtù cristiane, che tanto onore ti fanno. Prendesti da lui il concetto e lo spirito della tua benemerita Congregazione dei Salesiani. Io la vidi nascere e dilatarsi, la nuova Congregazione, come una pianta di paradiso trasferita in terra; simile in tutto al crescere e al dilatarsi dei bei monasteri della Visitazione. San Francesco di Sales rivive e moltiplica in te, e per te rivive e moltiplica nella comunanza civile. Questo tributo di lode io ti debbo per isfogo di gratitudine; imperocchè dell'opera solerte de' tuoi figli si giova e si allieta la mia dilettissima diocesi: ma più preziosi encomii e ringraziamenti più degni a te vengono dalla Chiesa Cattolica, a cui nell'Europa e nell'America per l'Apostolato dei Salesiani si feconda il grembo d'innumerabili fanciulli educati alla virtù, di barbari convertiti e di cristiani santificati”[32].

              Appena saputo dell'arrivo di Don Bosco, mandò a chiedere quando e come gli sarebbe possibile intrattenersi familiarmente con lui. Don Bosco studiava la maniera di prevenirlo, recandosi ad Albenga; ma il Vescovo fece più presto e venne ad Alassio e si strinse per buona pezza a colloquio col Beato. Allorchè il Prelato partì, Don Bosco e tutti i Superiori lo accompagnarono alla stazione.

                Prima che i Capitolari e i Direttori pigliassero il volo, Don Bosco fece radunare a conferenza tutti i confratelli della casa; ma sentendosi troppo stanco, diede a Don Rua l'incarico di parlare in sua vece: egli tuttavia presiedette, circondato [54] dai Superiori maggiori. Era la prima volta che in un'adunanza di tal fatta cedesse ad altri la parola.

                A Don Rua, quando ripartì per Torino, diede due lettere e un biglietto da recapitare. Le lettere andavano al suo grande amico Don Vallauri e alla costui sorella inferma.

 

                Carissimo Sig. D. Pietro,

 

                Le accludo questa lettera per la Sig. Teresa sua sorella. Se vede che non possa più leggerla da sè, favorisca di leggerla Ella stessa, l'assicuri delle nostre comuni e private preghiere. Ella poi, o caro D. Pietro, si abbia cura della sua sanità. lo pregherò sempre Dio per Lei. Sono in via per Roma richiesto dal S. Padre. Se di là posso servirla in qualche cosa, sarò tutto a' suoi ordini. Preghi per me e per i nostri poveri ragazzi (40.000) e mi creda sempre in G. C.

                Alassio, il 9 Febbraio 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                   Benemerita Sig. Teresa Vallauri,

 

                D. Rua mi portò sue notizie e mi rincresce assai, che i suoi malori abbiano aumentate le sue sofferenze. Dio sa quanto abbiamo pregato per la sua guarigione. Non fummo ascoltati, ma continueremo. Siamo però certi che le comuni preghiere nostre gioveranno al bene dell'anima. Abbia fede in Gesù e Maria Ausiliatrice.

                Ella ci ha fatto molta carità e finchè durerà la Congregazione Salesiana si faranno mattino e sera preghiere per lei.

                Dio la benedica, la consoli colla sua santa grazia e preghi per me che sarò sempre in G. C.

                Alassio, 9 Febbraio 1879.

 

Obbl.mo Servitore

 Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Appena giunto a Roma dimanderò una speciale benedizione al S. Padre per Lei

 

                Il biglietto era per il chierico Eugenio Armelonghi, insegnante nel collegio di Borgo San Martino. Sopra una sua carta da visita il Servo di Dio vergò queste righe: “Armelonghi fili mi. Si diligis me, praecepta mea servabis. Praecepta mea sunt nostrae Constitutiones. Gratulor tibi eo quod valeas et adolescentuli tui in scientia et pietate concrescant. Deus te [55] benedicat. Ora pro me. Amicus tuus. Sac. GIOVANNI BOSCO. Alassio, 9 Febbraio 1879”[33].

                Partito da Alassio e toccato Varazze, Don Bosco si portò a Sampierdarena, dove stette fino al 19. Da Alassio egli aveva spedito al Signor Rostand per la Beaujour una relazione della sua visita alla Navarre e a Saint-Cyr, informandolo bene sullo stato del personale e sul valore dei terreni. Le sue informazioni, comunicate dal presidente al consiglio amministrativo della Società, tornarono opportunissime per assicurare il buon esito della sottoscrizione che si era in procinto di aprire a favore della Società per le nuove opere; intanto quei soci badavano a compiere esattamente le formalità legali riguardo ai divisati apporti, affinchè tutti gli atti si compiessero in piena regola. In risposta il presidente gl'indirizzò a Sampierdarena una lunga e affettuosa lettera, nella quale salutava Don Bosco quale inviato della Provvidenza e si augurava che l'opera di Marsiglia prendesse tutto lo sviluppo di cui era suscettibile mercè la triplice creazione di un noviziato Salesiano, di scuole secondarie per la coltura delle vocazioni ecclesiastiche e di scuole professionali; i soci della Beaujour essere pronti a secondarne con entusiasmo lo zelo, aiutandolo a trovare i mezzi[34].

                Don Bosco, dovendo scrivere proprio allora al curato Guiol, gli manifestò tutto il gradimento provato nel leggere quelle pagine riboccanti di sì nobili sensi. “In questi momenti, scrisse per sua ispirazione e in suo nome Don Rua, io ricevo una stupenda lettera del Sig. Rostand che io conserverò come preziosa memoria di un uomo tipo di carità, dì religione e di assennatezza. Spero potergli rispondere da Roma, ma se lo vede, cominci a dirgli che i suoi progetti sono quegli stessi che hanno sempre dominato e tuttora dominano [56] i miei pensieri. A Beaujour un noviziato, orfanotrofio, scuole per coltivare vocazioni; ecco le cose che con l'aiuto del Signore speriamo di effettuare. I tempi, i luoghi, le persone ci consigliano di camminare colla massima cautela, ma colla massima fermezza”[35].

                Mentre dimorava a Sampierdarena, una sua benedizione produsse un effetto sorprendente. La signora Anna Chiesa aveva una figlia per nome Pia molto tribolata da ostinatissimo mal di capo. Inteso che nell'ospizio di San Vincenzo vi era Don Bosco, la condusse a lui, perchè gliela benedicesse; ma, essendo il Servo di Dio occupato in dare udienze, non gli si potè avvicinare. Non si perdette d'animo: aspettò quattro o cinque ore pazientissimamente. Più volte Don Bosco uscì di camera con qualche persona, senza mai volgere a lei lo sguardo. Una volta finalmente, passandole vicino, le disse: - E lei che cosa desidera, signora? - La buona madre gli espose in poche parole lo stato della figlia. - Oh! è cosa da poco, - rispose Don Bosco ponendo leggermente la mano sulla testa dell'inferma. Il male svanì all'istante, nè mai più tornò a molestarla.

                Il ricordo di questo fatto diede più tardi origine a un altro che ebbe pure dello straordinario. Motto Don Bosco, la signora Casanova che soffriva a un piede, trascurò talmente il male, che, quando si mise nelle mani dei medici, non vi restava più alcuna via di scampo senza l'amputazione della gamba. La povera donna, desolata a quell'annunzio, non si dava pace, quando la signora Chiesa sua amica, memore della guarigione istantanea e perfetta  della figlia, le andò a consigliare di raccomandarsi a Don Bosco, lasciandole una di quelle reliquie ex linteaminibus che erano tanto ricercate dopo la morte del Beato. Gradì colei il consiglio e pregò Don Bosco e si applicò alla gamba la reliquia. Venuto il giorno dell'operazione, i medici, preparati i ferri, le sfasciarono la [57] gamba; ma con istupore di tutti vi si riscontrò un evidente principio di guarigione, che progredì fino a sanità completa.

                Alla partenza del Beato da Sampierdarena era cosa intesa che si dovesse trovare il conte Cays per accompagnarlo a Roma e là fargli da segretario insieme con Don Berto. Il nobile Conte, ormai umile Salesiano, aveva dichiarato di essere pronto a dividere con Don Berto la camera e financo a dormire, in mancanza di meglio, sur un letto acconciato con sedie, pur d'avere la bella fortuna di fare quel viaggio con Don Bosco. Questi adunque lo aveva rimandato da Alassio a Torino, perchè vi assestasse alcune faccende e dopo sette giorni lo raggiungesse a Sampierdarena.. Don Cays venne all'Oratorio, fece i suoi preparativi, salutò i numerosissimi amici, ricevette da loro commissioni e mancava appena un giorno a partire, quand'ecco un telegramma di Don Bosco significargli che si fermasse a Torino e che in sua vece partisse Don Bonetti. Il Conte disfece tranquillamente la sua valigia e con quanti s'incontrava, ripeteva: - Non vado più a Roma. Don Bosco mi ha mandato a dire che mi fermassi.

                Il Beato col suo fido segretario, montato in treno a Sampierdarena, scese alla Spezia, dove passò due giorni parte scrivendo e parte facendo visite. Pernottò dal cavalier Bruschi, divenuto poi sacerdote Salesiano; avendo egli la cappella domestica, il Beato vi celebrò la santa Messa. Era sindaco della città un nipote del cavaliere, che abitava nella medesima casa. Egli vedeva i pretini come il fumo negli occhi; anzi in alcune occasioni aveva agito contro di essi da nemico dichiarato. Don Bosco gli fece visita. Trovatolo a letto alquanto indisposto, si trattenne un po' di tempo a conversare con lui. Dopo d'allora il sindaco fu tutt'altro da quel di prima. Confessò egli medesimo agli amici che Don Bosco gli era apparso ben differente da quello che egli si credeva, nè cessava di parlarne con lode.

                Il Servo di Dio volle a pranzo nell'istituto l'abate parroco, il vicario foraneo, alcuni canonici e alcuni semplici preti, il [58] cavalier Bruschi e altri. Fu una vera disperazione per il povero Don Rocca, perchè aveva un cuoco per modo di dire e non aveva una stanza un po' conveniente dove apparecchiare la tavola. Ma l'onore e il piacere di stare a mensa con Don Bosco li fece tutti lieti e contenti, come se si fossero trovati col Re, ci scrive il medesimo Don Rocca.

                Visitate le scuole e fatta una conferenza ai confratelli, la mattina del 22 salì a Sarzana per ossequiare il Vescovo, che lo tenne seco a mezzogiorno. La sera proseguì per Lucca[36]. A Pisa ecco il direttore Don Marenco e alcuni signori lucchesi, ansiosi di dargli il benvenuto. Alla stazione di Lucca, sebbene piovesse, lo aspettavano i giovani, che gli fecero un'ovazione, cosa non davvero frequente a quei tempi per un prete. Tre carrozze padronali portarono in città Don Bosco e il suo seguito. Fatta breve sosta alla casa Burlamacchi, si tirò diritto all'oratorio di Santa Croce. Ivi parecchi ragguardevoli cittadini complimentarono Don Bosco e tosto, data l'ora tarda, si ritirarono “lasciandoci soli, scrive Don Marenco, nella dolce conversazione col nostro Padre”.

                La dimane, domenica, nella chiesa dell'oratorio la gente si stipava per vederlo e ascoltarne la Messa. Il suo soggiorno a Lucca andò segnalato per le molte richieste di benedizioni a infermi. La prima fu allo scoccare del mezzodì: la marchesa Burlamacchi lo pregava di recarsi a benedire il vecchio marchese. Aveva ottantotto anni, non articolava parola, ardeva dalla febbre e lo crucciava perpetua insonnia. Don Bosco gli diede la benedizione e, cosa del tutto inaspettata, il vegliardo cominciò a riposare e a sentirsi meglio e il lunedì si levò. Nel pomeriggio fu chiamato per lo stesso motivo al capezzale di altri infermi, finchè la sera impartì a tutti la benedizione col Santissimo. I giovani, benchè fosse notte e tempo cattivo, l'aspettarono per baciargli la mano e, come [59] si esprime il Direttore, “udire una parola dal nostro buono e portentoso Padre”.

                Anche il marchese Massoni il dì seguente lo mandò a chiamare per essere da lui benedetto. Don Bosco lo trovò inchiodato dalla paralisi sopra un lettuccio. Da sei anni giaceva in quello stato. Allora non poteva più muovere un dito; anzi il male era tanto avanzato, elle al povero infermo bisognava rialzare ogni momento il capo, perchè non gli cadesse a piombo sul petto, trascinandogli la persona in terra. Lo imboccavano e gli nettavano il naso, come si fa con i bambini. La moglie, la figlia e un figlio piangevano dirottamente. - Me lo risani questo povero infelice! - supplicava singhiozzando la signora; e inginocchiataglisi davanti: - Oh Don Bosco, ripeteva, me lo risani! -Don Bosco si pose a sedere e prese a parlare; ma le sue parole miravano a infondere pazienza e rassegnazione, senza dare mai un filo di speranza. Calmatisi un po' gli animi, egli benedisse il marchese e gli ordinò di fare il segno della croce. Qual meraviglia! Alzò da sè la destra e si segnò. Gli disse quindi che ogni giorno ripetesse quell'atto, invocando i santissimi nomi di Gesù e di Maria.

                A dispetto delle distrazioni carnevalesche, il nome di Don Bosco risonava per ogni dove nella città. Quand'egli camminava per via, chi si fermava a guardarlo rispettosamente, chi gli teneva dietro, chi gli rivolgeva supplici espressioni. Perfino le maschere, dimentiche delle loro leggerezze, gli passavano accanto con segni di riverenza. Non pochi rimandavano la comunione alle otto e mezzo per riceverla dalle sue mani. Quello poi che intervenisse fra lui e i tanti che gli andavano a parlare, non lo potè sapere nessuno; Don Marenco ne vide uscire di così impressionati che perdevano la tramontana e non ritrovavano più la porta che dava sulla strada. “Quali giorni di concorso! esclama il medesimo. La casa dei Salesiani era diventata la casa del comune”.

                Il 25 le udienze, moltiplicatesi oltre misura, l'avevano così affaticato elle sul tardi, affranto e preso da forte mal di [60] capo, dovette troncarle e ritirarsi in camera. Fece in quei giorni un tempaccio con bufera e pioggia; all'alba del 26 fulminava orribilmente, poi cadde neve e ricominciò a piovere. Il Beato, con carrozza inviatagli da una buona signora di Lucca, visitò parecchie benemerite persone della città sofferenti nella salute. Andò fra gli altri dal conte Sardi, il quale in seguito narrava di un suo figlioletto che, vicino a morirgli e da lui raccomandato alle preghiere di Don Bosco, erasi improvvisamente riavuto e allora stava benissimo.

                Verso le tre parlò ai Cooperatori nella chiesetta della Croce, osservando il solito cerimoniale. I presenti sommavano a un centinaio e mezzo; vi assistette l'Arcivescovo. Don Bosco, illustrò l'opera delle opere, gli oratori festivi, e spiegò che cosa fosse l'associazione dei Cooperatori salesiani. Gli uditori pendevano dal suo labbro con religiosa attenzione[37]. Dopo la cerimonia una moltitudine di persone invase la sacrestia e la casa, facendogli ressa intorno per dirgli una parola e udire da lui qualche cosa che rispondesse alle loro necessità spirituali o temporali.

                Di un fatto specialmente corse in brev'ora la notizia per tutta la città. Don Bosco, avendo a fianco il Direttore e circondato da una corona di gentili signori, moveva alla volta della cattedrale per venerare il Volto Santo. t questa la denominazione popolare di un miracoloso Crocifisso, che si custodisce a Lucca dal secolo ottavo e che si vorrebbe fatto scolpire da San Nicodemo; raramente viene esposto alla pubblica venerazione, e in privato non si scopre se non a cospicui personaggi ed a porte chiuse. A Don Bosco non passò neppure per la mente di chiedere un tal privilegio. Facevano dunque la loro via piede innanzi piede, allorquando echeggiò nell'aria un grido: -La benedizione! - Erano un padre e una madre che conducevano a braccio un loro figliuolo ventenne, da tempo malato di spinite. Camminava a grande [61] stento e strascinando le gambe, nè si reggeva da solo. Ma, disse loro Don Bosco soffermandosi, dare la benedizione qui sulla strada? - Poi, alzando gli occhi al cielo, riprese: - Anche qui Dio può benedire. -Com'egli si pose in atto di dare la benedizione, tutti intorno a lui s'inginocchiarono. La folla si accalcava da ogni parte. Com'egli benedisse l'infermo, i genitori lo rialzarono di peso. - Non puoi fare qualche passo? gli domandò il Beato.

                - No, mi mancano le forze, rispose.

                - Senti qualche dolore?

                - Nossignore.

                - Su, fa' qualche passo, che ti vediamo.

                Il giovane ci si provò e si moveva, da sè, ma Don Bosco: Là, gli disse, vienmi ad accompagnare. Io vado a vedere il Volto Santo. - E continuando a discorrere insieme, s'avviarono. Il giovanotto fece con Don Bosco un dugento passi senz'appoggio di sorta. Passato il primo stupore, la turba cominciò a rumoreggiare e i parenti, riavutisi dello stordimento, deviarono col figlio, seguiti da una coda di gente. Il giovane come trasognato filò verso casa, nè più si vide, proprio com'era successo a Marsiglia.

                Alla cattedrale si parò dinanzi al Beato un colpo di scena: i canonici in cappa magna e quattro chierici con torce accese lo accolsero solennemente alla porta, lo condussero alla cappella del Volto Santo, gli scopersero il venerando simulacro e, favore insigne, gli procurarono la soddisfazione di potergli baciare il piede[38]. [62] Anche il demonio sperimentò a modo suo gli effetti della presenza di Don Bosco in Lucca. Una giovane sui trentacinque anni, abitante nella parrocchia di san Leonardo, era ossessa e pativa le più strane vessazioni diaboliche. Il parroco, certo Don Cianetti, come udì che Don Bosco stava per recarsi a Lucca, s'intese con chi di ragione per fargliela esorcizzare. Nulla trapelò di questa sua intenzione; eppure un giorno l'indemoniata, dando in ismanie, urlò: - Venga pure quel sacco di carbone, venga pure il protetto di quella... - E qui un'orribile bestemmia contro la Santissima Vergine. Ci volle del bello e del buono, ma pur finalmente si riuscì a trascinare l'infelice alla presenza del Servo di Dio, che, appena la vide, la benedisse; quando però egli fece per segnarla in fronte con un'immagine di Maria Santissima, non ci fu verso di tenerla ferma: quella povera creatura si divincolava come un serpente. Ciò avveniva la mattina del 25 febbraio. Don Bosco, ritirandosi, disse che sarebbe guarita il dì dell'Immacolata. Così accadde; poichè colei l'otto dicembre udì improvvisamente nella sua stanza come uno schianto di fulmine, e quello fu l'attimo della liberazione.

                Consolarono assai Don Bosco il numero e il contegno degli oratoriani. In realtà molto si era ottenuto da quei giovanetti in men di un anno. Le bestemmie che prima essi avevano la sciagurata abitudine di proferire ad ogni piè sospinto, più non ferivano le orecchie; già così avversi ad andare in chiesa che al suono del campanello scavalcavano anche i muri per darsi alla fuga, allora, udito il primo tocco, smettevano i giuochi e correvano per mettersi in ordine. Nella frequenza ai sacramenti, nella compostezza durante le pratiche religiose, nell'affetto verso i pretini l'occhio esperto di Don Bosco ravvisò quella lieta spontaneità che fiorisce di leggieri dovunque si applichi fedelmente il metodo da lui insegnato e praticato. Egli si compiacque molto, vedendoseli una volta tutti intorno a cantare, declamare, recitare; fra essi notò con soddisfazione anche calzolai, ramai, sarti, falegnami, tintori baffuti, che [63] erano gli scolari della sera. Trovò inoltre la chiesa ben ufficiata dai Salesiani e frequentatissima dal pubblico. Insomma si disse arcicontento della casa di Lucca, tanto contento che lasciò ordine al Direttore di partecipare a Don Rua questa sua consolazione.

                A Don Rua scrisse egli stesso da Lucca quattro giorni prima della partenza.

 

                   Carissimo D. Rua,

 

                Burlamacchi[39] insiste sul bisogno di cangiar aria. I suoi parenti non lo vogliono a casa. Sarà caso di mandarlo ad Alassio? Pensaci, e dillo a D. Barberis.

                Le Biografie dei nostri Salesiani, lette da te siano pure stampate; però quella di Arata e di D. Gamarra si possono annunziare in breve e poi stamparle a parte, ma con tutte quelle belle circostanze che D. Scappini, D. Albera, D. Notario, D. Barberis e D. Bosco ecc. possono aggiungere e formare due bei fascicoli delle Letture Cattoliche. Turia pure può dire qualche cosa. Per Cinelli concerta con D. Barberis. D. Bonetti attende i pacchi da Torino[40] ed io attendo pacchi e Bonetti qui a Lucca. Dimani conferenza dei Coop. Sales assistita da Mons. Arcivescovo. Dopo dimani mattina (27) partiremo alla volta di Roma. Di là manderemo notizie delle cose nostre. Fa un cordialissimo saluto a tutti i nostri giovani e di' loro che loro voglio tanto bene, che li amo nel Signore, li benedico e elle spero di mandare pei medesimi una speciale benedizione del S. Padre con annessavi una bella fetta di salame. Continuino ad essere buoni ed a pregare affinchè le cose nostre vadano tutte bene.

                D. Bologna insiste perchè se gli mandi Grosso per la musica. Se tu lo giudichi e non disturbi tanto Lanzo credo si possa appagare...

                Abbimi sempre in G. C.

                Lucca, 25 Febbraio 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

Quasi a compimento della precedente vi accluse un foglio per Don Barberis. Come si vede elle egli, da buon padre, pensava al bene de' suoi figli non solo in generale, ma anche individualmente, secondo i bisogni o le condizioni di ognuno! [64]

 

                   Carissimo D. Barberis,

 

                Per diverse cose elle mi hai scritto, ho risposto a D. Rua, quindi parlane con lui.

                Mi rallegro degli egregie che prenderanno gli ascritti nell'esarne semestrale. Lo stesso dirai da parte mia a tutti i chierici e nominatamente a Gresino ed ad Aime.

                Per le passeggiate a S. Anna nessuna difficoltà; ma si facciano quando il tempo e la stagione siano normali e le strade praticabili. Abbi gran cura della loro sanità.

                Dirai a D. Bertello che so come egli canta e porta la croce, ma per lui è cosa necessaria per introire in Regnum Dei. Dirai a D. Notario che gli voglio bene e elle conto molto sopra la sua dolcezza e fermezza, di cui continuerà certamente a dar saggio.

                Farai un carissimo saluto ai miei cari amici Ghiglione, Pelazza, Bandino e Lisa.

                Darai un pizzicone a D. Savio, perchè non mi ha ancora scritto una lunga lunga lettera.

                Dio ti benedica, o caro D. Barberis, e con te benedica tutti i nostri cari ascritti, cui auguro sanità e santità in abbondanza per la vita presente e per la futura.

                Continuate pregare per me elle sarò sempre in G. C.

                               Lucca, 25 Febbraio 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Con le due precedenti accluse una terza lettera per un chierico Alessandro Mora, incaricato con altri della corrispondenza riguardante la piccola lotteria che aveva lanciata sul finire del 1878[41]. Don Bosco, benchè lontano e distratto da tante cose, non la perdeva di vista: chiedeva biglietti da distribuire a Roma e incoraggiava il segretario e i suoi aiutanti a lavorare di buona voglia per il felice successo.

 

                   Mio caro Mora,

 

                So che lavori e Dio te ne rimeriti. Attendo i biglietti per Roma. Fa quello che puoi; ma cércati altri in aiuto. Da questa lotteria noi dobbiamo ricavare 100.000 franchi netti. Nota che tu non avrai alcuna giubilazione fino a elle la nostra impresa abbia raggiunto tale risultato. [65] Fa un cordialissimo saluto ai tuoi collaboratori. Saluta Valentini, Rossi Marcello, Palestrino, e D. Deppert per la bella lettera elle mi ha scritto. Dio ci conservi tutti nella sua santa grazia ed abbimi sempre in G. C.

                Lucca, 25 Febb, 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                L'atteso Don Bonetti arrivò da Sampierdarena la sera del 26, perchè Don Bosco aveva divisato precedentemente di partire per Roma il 27; ma era così spossato, che non si sentì di affrontare il viaggio e passò altri due giorni a Lucca, senza metter piede fuor di casa e sbrigando alcune pratiche per l'acquisto di un edifizio. Le notizie di Don Bosco, scritte da Don Berto e lette da Don Lazzero ai giovani dell'Oratorio, destarono un vero entusiasmo per l'amatissimo Padre[42].

 

 

CAPO III. Quattro settimane a Roma.

 

                   ABBIAMO appreso poc'anzi da Don Bosco che egli si metteva in viaggio alla volta di Roma, perché “richiesto dal Santo Padre”. Da Roma Don Bonetti scriveva:

                   “Don Bosco ebbe già due udienze dal Cardinale Nina e da parecchi altri per cose di rilievo [ ... ]. Il Segretario di Stato assicurò Don Bosco che il Papa desidera di parlargli di cose, che ora qui non si possono dire”[43]. Fra queste cose che non si potevano dire, è lecito congetturare che entrasse precipuamente la questione dell'exequatur negato dal Ministero al cardinale Parocchi per la sede arcivescovile di Bologna; ne parleremo nel capo quinto.

                Quali fossero poi i motivi dell'improvvisa sostituzione di Don Bonetti al conte Cays nell'accompagnare Don Bosco, si arguisce facilmente da ciò che proprio in quei giorni era occorso al primo. Il 12 febbraio un decreto arcivescovile l'aveva sospeso fino a tempo indeterminato dall'udire le confessioni in tutta l'archidiocesi, con l'ordine che a Chieri nell'Oratorio femminile di Salita Teresa gli venisse sostituito un altro sacerdote. Assentandosi, egli evitava che la cosa destasse ammirazione, e in Roma avrebbe potuto provvedere meglio alla propria difesa. [67] Otto giorni dopo queste disposizioni dell'autorità ecclesiastica si ebbe nell'Oratorio una visita inaspettata, che diede luogo a molteplici commenti e congetture e di cui giunsero a Don Bosco minuti ragguagli poco prima e poco dopo il suo arrivo a Roma[44]. Il 20 febbraio si doveva recitare un dramma sacro si il martirio di San Pancrazio. La mattina un servo dell'Arcivescovo, presentatosi in porteria e informatosi dell'ora precisa, avvertì il portiere che Monsignore intendeva assistervi. Fu uno stupore universale. Monsignore entrò nell'Oratorio con ritardo, per la qual cosa non potè la banda fargli onore all'ingresso, dovendo intrattenere il pubblico, tutto composto di esterni; lo ricevettero però i Superiori della casa e lo accompagnarono nel teatrino. Un giovane dal proscenio gli lesse con molto garbo un indirizzo, che parve tornare gradito a Sua Eccellenza. Nel corso della rappresentazione l'interessamento dimostrato, i ripetuti applausi e vari congratulamenti rassicuravano chi temeva che l'argomento portato sulla scena non gli dovesse andare a genio. Nè i giovani nè i chierici si fecero vedere, perchè, come si costumava durante le recite per le persone di fuori, erano andati a passeggio; mancavano anche i Superiori principali perchè assenti dall'Oratorio. Un'altra comparsa simile egli fece pochi giorni dopo a Valsalice. Don Bosco mandò a dire soltanto che si cercasse di scoprire la ragione di un avvenimento così inatteso; ma, fuori d'induzioni più o meno plausibili, non fu dato di raccogliere nulla di positivo.

                Dal I° al 28 marzo, per il tempo cioè trascorso da Don Bosco a Roma, nel Diario di Don Berto non troviamo quasi altro che una lunga e monotona rassegna di nomi propri: nomi di persone che Don Bosco visitò o da cui fu visitato o incontrato; nomi di luoghi, dov'egli andò[45]. Numerosi vi compaiono i Cardinali e i Prelati, con i quali Don Bosco ebbe [68] conferenze di ore e ore; col Segretario di Stato furono parecchi questi abboccamenti così prolungati. Il Vescovo monsignor Carlo Laurenzi, Uditore di Stia Santità, e monsignor Marzolini, segretario particolare, entrambi venuti in Vaticano da Perugia col nuovo Pontefice, anelavano di conoscere il Servo di Dio. Un giorno, avutolo a sè, conversarono insieme due ore e mezzo; dopo di che il primo fu udito esclamare pieno di ammirazione: - Oh che uomo! Merita proprio di essere conosciuto!

                Dignitari ecclesiastici che non erano ancora cooperatori salesiani, conosciuta l'associazione nei loro colloqui con lui, chiedevano di esservi ascritti. Dovunque andava, il Beato ritornava ordinariamente con nuovi nomi da inserire nell'elenco della pia Unione.

                In Vaticano la presenza di Don Bosco, già abbastanza nota, produceva tale impressione, che Svizzeri e gendarmi gli facevano il saluto come se fosse prelato. Una volta nel cortile di San Damaso il comandante Lambertini lo colmò di gentilezze, baciandogli e ribaciandogli la mano e chiamandosi fortunato di vederlo e di conoscerlo, e gli diede il suo nome per essere fatto cooperatore salesiano.

                Quanti inviti poi a mensa! Il 17 marzo festeggiò San Patrizio nel seminario irlandese, dove il rettore monsignor Kirby al solito gli fece trovare un'eletta corona di commensali. Accoglienze cordialissime incontrò presso i Benedettini di San Paolo fuori le mura il 21, festa del loro Patriarca. Gl'invitati erano una quarantina, fra cui il cardinal Bartolini protettore di quei monaci, il cardinal Chigi, buon numero di patrizi romani e di signori forestieri, il celebre archeologo Giovanni Battista de' Rossi e altri: in simili convegni Don Bosco non si smarriva, ma sapeva affiatarsi molto bene con tutti. Dopo il banchetto, mentr'egli discorreva a parte col cardinale Bartolini, in un gruppo di gentiluomini che lo osservavano taluno intese che si diceva: - Che aspetto venerabile! E' proprio un santo. [69]

                I signori Sigismondi lo circondarono, come sempre, di affettuose premure; anch'essi lo vollero più volte a mensa con i suoi due segretari. Ivi narrò che una mattina del mese di dicembre 187& aveva osservato un giovane vicino al confessionale alzarsi notevolmente da terra e un altro in mezzo ai compagni parimente sollevato più d'un metro. Il segretario ne dice i nomi; ma non sembra che li abbia uditi allora dalla bocca del Servo di Dio.

                Dicevamo delle udienze avute dal cardinale Segretario di Stato. Era questi il cardinal Nina, chiamato a quell'alto ufficio da Leone XIII sette mesi avanti per la morte del cardinal Franchi: a Don Bosco premeva di rendergli omaggio. Per due giorni consecutivi non gli fu possibile avvicinarlo; la terza volta, che fu il 5 marzo, dovette aspettare assai, perchè vi era gran gente prima di lui, ma alla fine venne il suo momento. - Mi rincresce, gli disse Sua Eminenza, che Ella abbia dovuto aspettare tanto, perchè so che ha molto da fare. - Lo accolse e lo trattò con l'amorevolezza che gli aveva sempre dimostrata in ogni occasione. Quella mattina faceva gli onori dell'anticamera un segretario che quarantacinque anni dopo, rammentando il fatto, scrisse una bellissima pagina. “L'anticamera, dice, era già piena di visitatori, quando vidi comparire insieme due ecclesiastici per avere udienza. Furono, come gli altri, invitati a sedere per aspettare il loro turno. Io, che di tutti i visitatori scrutavo un po' la fisonomia, rimasi subito colpito dall'aria di singolare modestia, serenità e raccoglimento che spirava dai loro volti, specialmente da quello del più maturo d'età, che era per l'appunto Don Bosco. Durante la lunga attesa del turno di udienza lo tenni d'occhio e rimasi ammirato della calma con la quale, senza dare alcun segno di preoccupazione, ora si mostrava assorto in gravi pensieri, ora intento a leggere e tracciare note sopra un taccuino. Intanto, il tempo fissato per le udienze si avvicinava al termine. Per la frequenza dei visitatori in quella mattina si prevedeva che molti sarebbero [70] partiti senza averla, e tra questi Don Bosco, arrivato piuttosto in ritardo. Egli però, senza farmi premure per essere ammesso, aspettava sempre al suo posto, egualmente tranquillo. Mai avevo veduto in simili circostanze tanta tranquillità in visitatori in attesa, sul finire delle udienze: e conchiusi dentro di me, che Don Bosco doveva essere un uomo di Dio, un'anima santa, perchè la sua calma singolare o era frutto di un'inalterabile quiete e dolcezza, o gli era ispirata dall'essere certo dell'udienza per lume superiore.

                “Compreso così di venerazione e di ammirazione, decisi di fargli avere ad ogni costo l'udienza. E chiuse che furono queste, nel partirsi di altri visitatori non ricevuti, dissi a Don Bosco di attendere, andai dal Cardinale e caldamente lo pregai a dargli udienza, riferendo la grande impressione che mi aveva fatto di uomo santo. Il Cardinale acconsentì. Don Bosco andò all'udienza, e vi si trattenne discretamente. Quando uscì, capii che aveva ricevuto un'accoglienza favorevole, e mi fermai a domandargli quelle notizie che mi poteva dare sul suo conto. E Don Bosco amabilmente mi parlò del suo Istituto, che non conoscevo affatto, e dei suoi Cooperatori, tra i quali mi accettò con molto piacere.

                “Ricordo un altro particolare. Don Bosco, licenziatosi da me, nel traversare la prima sala d'ingresso, lasciò una mancia ai servitori del Cardinale, che accettarono ben volentieri. A mio avviso, volle così compensarli dell'averli fatti aspettare oltre l'ora di chiusura delle udienze, e anche questo particolare mi rivelò in lui l'uomo di Dio, che usava per gli altri le più delicate attenzioni”[46].

                Alla sua abitazione in via Tor de' Specchi ecclesiastici e laici si disputavano i suoi scarsi ritagli di tempo libero. Anche nobili signori o vennero da lui o lo ricevettero onorevolmente nei loro palazzi. Così furono a visitarlo insieme il conte Carlo [71] Conestabile e il marchese Vitelleschi, dai quali seppe che a loro il Papa aveva parlato di lui con vero trasporto. Il principe Gabrielli, giunto nel tempo che Don Bosco era a tavola, non permise che fosse disturbato, ma lasciò un biglietto di visita, dicendo che sarebbe ripassato di lì a mezz'ora, come fece. In casa della duchessa Salviati, che desiderava parlargli e presso cui lo attendeva anche il marchese Patrizi, conferì per oltre a tre ore.

                Il Beato avvicinò anche persone del Governo come Ministri e alti impiegati. Di un solo affare noi abbiamo notizia, da lui trattato in quegli ambienti. Pendeva da cinque mesi sull'Oratorio una minaccia diretta a colpire quelle scuole ginnasiali. Fu veramente una grossa questione, di cui si svolgeva allora la fase preliminare. Noi ne tratteremo diffusamente in due distinti capi.

                In sì molteplici e travagliose cure non perdeva di vista i bisogni dell'Oratorio, ma si studiava di raggranellare un po' di quattrini da mandare a Don Rua, che chiedeva, chiedeva... Gl'inviò una volta 1250 lire, un'altra volta 1900, una terza 600. Un giorno disse a Don Bonetti[47]: “Domani o posdomani arriverà notizia che piovve denaro nelle scarselle di Don Rua”. Avveratosi il pronostico, Don Bonetti gli domandò come avesse fatto a saperlo. Ed egli: “Ieri quando te lo dissi, mi parve di vedere mettersi del vino bianco nel bicchiere di Don Rua ed ho supposto che avesse fatto festa per la contentezza del soccorso ricevuto”. Pare si trattasse di cinquemila lire, piovute all'Oratorio non sappiamo donde.

                Sempre per sopperire alle urgenti e ingenti necessità dell'Oratorio, il Beato distribuiva a larga mano in Roma biglietti della lotteria, propagandone la notizia con questa circolare.

 

                Benemeriti Signori Cooperatori Salesiani,

                                e Signore Cooperatrici di Roma,

 

I giovanetti raccolti nell'Ospizio di S. Francesco di Sales in Torino stretti da grave bisogno si raccomandano ai Benemeriti Cooperatori [72] e Cooperatrici di questa Alma Città. Una lotteria fu iniziata in loro favore, ed a nome dei medesimi mi fo ardito di raccomandare alla….. biglietti….. n….. pregandola di volerli gradire o distribuire a persone di sua particolare conoscenza. Se però in fine del corrente mese rimanessero biglietti che Ella non giudicasse di ritenere può liberamente rimandarli.

                E’ vero che la beneficenza è destinata ad un Istituto alquanto lontano da Roma; ma p osso assicurare che sarà a totale benefizio di parecchi giovanetti Romani colà ricoverati, e di altri che sono in condizioni di essere quanto prima mandati nel medesimo Istituto.

                I fanciulli beneficati con l'umile scrivente pregano Dio che La conservi in buona salute, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. Benemerita

 

                Roma, 7 Marzo 1879,

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                A Roma l'associazione dei Cooperatori e delle Cooperatrici, già numerosa, era cresciuta ancora notevolmente dopo la conferenza del 1878 e aumentavano di giorno in giorno, perchè Don Bosco ne pescava un po' da pertutto. Il 17 marzo[48] nella chiesa delle nobili Oblate di Tor de' Specchi tenne la conferenza prescritta per la festa di san Francesco di Sales. Il cardinal Vicario Monaco La Valletta presiedette all'adunanza, che fu cospicua per numero e qualità d'intervenuti. Il Servo di Dio espose quanto la Congregazione Salesiana con l'aiuto di Dio e col sussidio dei Cooperatori aveva fatto nel corso dell'anno precedente a vantaggio in special modo dei giovanetti poveri e abbandonati nell'Italia, nella Francia e nell'America. Dicendo degl'Istituti d'Italia, rilevò quelli aperti in luoghi minacciati dall'eresia protestante, massime le scuole diurne e serali attivate alla Spezia mercè la liberalità di Pio IX e la carità del suo Successore: circa duecento ragazzi erano ivi sottratti all'influsso dei vicini eretici. Rispose quindi all'interrogazione rivoltagli da molti: perchè non fondare anche a Roma una scuola di arti e mestieri? A giovanetti [73] di Roma e dintorni si provvedeva, disse, inviandoli alla casa di Torino o in altri ospizi; contarsene già in tutto un centinaio; desiderare anch'egli quant'altri mai, di fare qualche cosa anche in Roma e sperare di riuscirvi con l'aiuto di Dio e dei Cooperatori. Prese quindi la parola il Cardinal Vicario confermando quanto aveva detto Don Bosco sul bisogno di stabilire una casa in Roma per poveri ragazzi. Descrisse poi le rovine apportate dagli ultimi avvenimenti alle benefiche istituzioni romane; spronò i Cooperatori a favorire opere nuove, richieste imperiosamente da nuove necessità e in particolare dal dovere di reagire contro l'azione dei protestanti, i quali nel centro del Cattolicismo, come lamentava già di certi stranieri il Papa san Silvestro, cercavano con ogni mezzo di sollevare i Corpi per insozzare le anime.

                Per l'apertura di una casa in Roma qualche passo fu tentato anche quella volta. Il Cardinal Vicario ne era desiderosissimo, Ricevendo il Servo di Dio e facendolo sedere alla stia destra, gli aveva detto piacevolmente: - Don Bosco, voglio che si segga qui alla mia destra. Ciò ha un gran significato, sa? Significa che voglio che lei sia sempre la mia destra. - Il cardinal Oreglia pure incalzava, osservando che con una casa in Roma i Salesiani sarebbero più rispettati. Monsignor Jacobini, segretario dei Brevi, e il cavalier Silenzi, presidente del circolo di San Pietro, gli proposero un locale delle monache agostiniane ai santi Quattro Coronati. Don Bosco visitò l'edifizio, tutto in ottimo stato. Vi si sarebbero potuti albergare cinquecento artigiani, mediante un affitto annuo di lire tremila. Per intendersi comodamente sul come superare le difficoltà burocratiche, accettò volentieri un invito a pranzo dal cavalier Carosio, piemontese, consigliere della Prefettura. Questo medesimo signore gli aveva già promesso tutto il suo appoggio per conseguire l'intento; anzi l'aveva egli stesso presentato al Prefetto per una prima apertura che spianasse la via alle ulteriori trattative. S'intesero dunque per bene; ma all'atto pratico non si cavò un ragno dal buco. [74] Abbiamo detto altrove il perchè[49]. Se per altro alle amplissime profferte verbali avessero tenuto dietro sicure malleverie finanziarie, Don Bosco non sarebbe partito da Roma senza incamminare qualche cosa[50].

                Un'altra grandiosa proposta gli fu fatta: il principe Gabrielli gli offerse nientemeno che l'Ospizio di san Michele a Ripa, della qual opera egli era presidente. Questo immenso Istituto di beneficenza, creato dai Papi e incamerato dal nuovo Governo, andava di male in peggio. La moralità vi lasciava troppo a desiderare[51] e i redditi finivano per due terzi nelle tasche di certi amministratori. Don Bosco, al solito, accettò in massima, ponendo però in primis et ante omnia tre condizioni preliminari: piena libertà in tutto che concernesse la disciplina interna o che a quella conducesse; sgombero totale degli estranei, essendosi annidate là entro numerose famiglie; mano libera sui due terzi delle rendite. Il Principe, elle era animato da ottimi intendimenti, disse, che avrebbe radunato subito la Commissione, e che, se si fosse deciso qualche cosa, gli avrebbe portato la risposta. Don Bosco gli fece spedire da Torino una copia del Regolamento interno dell'Oratorio. Era già trascorso un mese, e i signori dell'amministrazione discutevano ancora. Si poteva ben prevedere che la buona [75] volontà del Presidente non sarebbe riuscita a spuntarla; fatto è che risposta non venne.

                Intanto Don Bosco lavorava a ultimare una relazione sullo stato morale e materiale della Società Salesiana da presentarsi alla Santa Sede; ma ora non ne diciamo nulla, perchè ne dovremo parlare a miglior agio in appresso.

                Non pago di questa relazione generale informativa alla Santa Sede, egli ne presentò due particolari al Cardinale Segretario di Stato col fine dichiarato di averne sussidi. Nella prima enumerava gli sforzi messi in opera dai Salesiani specialmente a Torino, alla Spezia e a Vallecrosia per mandare a vuoto le mene dei protestanti; ma ad assicurare e ad accrescere il bene ivi cominciato occorrevano validi mezzi materiali e morali, tanto più che in tutt'e tre i luoghi si dovevano fabbricare chiese e ospizi. La propaganda protestante dava allora gran travaglio ai Vescovi italiani. La libertà concessa dalle leggi aveva scatenato sull'Italia un'invasione di emissari evangelici che non conoscevano più ritegno alcuno. Non per nulla Don Bosco fra le opere di carità assegnate nelle Regole alla Società Salesiana aveva messo l'opporre un argine all'eresia; egli vedeva purtroppo in quanti modi essa tentava d'insinuarsi fra i rozzi e gl'ignoranti. Nella città dei Papi attraverso la breccia di Porta Pia l'onda protestantica irruppe impetuosa e dilagò. Per poco i protestanti non si piantarono nella chiesa degli Spagnuoli a piazza Navona; fortunatamente si frapposero in tempo i Missionari belgi del Sacro Cuore. “Questi nemici della fede di Gesù Cristo, disse il Cardinal Vicario nella conferenza ai Cooperatori Salesiani, non solo hanno qui edificati templi e aperte scuole alla menzogna, ma fabbricati ospizi di carità, e adoprano ogni arte per fare proseliti specialmente tra il basso popolo e tra la inesperta e povera gioventù”. Il far conoscere l'apostolato dai Salesiani già compiuto in questo campo serviva a confermare l'opportunità di chiamarli a spiegare lo stesso zelo anche a Roma. [76] Nella seconda relazione Don Bosco esponeva i bisogni delle Missioni d'America, additando l'opera di Maria Ausiliatrice stabilita a Sampierdarena come una sorgente copiosa di vocazioni missionarie. Qui pure chiedeva sussidi in arredi sacri, in libri e in denaro[52]. Delle Missioni egli aveva già. trattato nella prima udienza col cardinal Nina, che gli aveva detto: - Il Santo Padre sa già che Ella è in Roma, e domani mattina, andando all'udienza, gli esporrò quanto Ella mi ha detto. Intanto vada a nome mio dal cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, e gli dica che ne parli con me e si studierà il modo di aiuto da somministrare a Don Bosco per le Missioni. - Dal Prefetto di Propaganda Don Bosco fu ricevuto la sera dell'8 marzo e trattenuto più di un'ora e mezza sull'argomento; fu poi due volte da monsignor Zitelli, minutante della stessa Congregazione: ma ignoriamo l'esito di queste conferenze. Sempre per il medesimo oggetto scrisse una supplica al Santo Padre, al quale, rappresentando l'Oratorio di Torino e l'Ospizio di Sampierdarena come due seminari per le Missioni estere, rivolgeva la preghiera che volesse dire una parola in suo favore alle direzioni delle Opere della Propagazione della Fede e della Santa Infanzia.

                Al Santo Padre fece pervenire ancora tre suppliche per favori spirituali. Nella prima chiedeva che i sacerdoti salesiani approvati in qualche diocesi per le confessioni potessero dai Direttori delle case essere deputati a confessare gli allievi e altri ivi abitanti, e che i medesimi sacerdoti, viaggiando per terra o per mare nei luoghi di Missione avessero facoltà di ascoltare liberamente le confessioni dei fedeli. Nella seconda implorava che le indulgenze e grazie concesse il 9 maggio 1876 da Pio IX ai Cooperatori salesiani venissero estese a quanti vivevano nelle case salesiane. Con la terza risollevava la questione dei privilegi, supplicando per la rinnovazione dei due accordatigli da Pio IX il 21 aprile 1876, [77] l'anzidetto cioè delle confessioni e l'altro delle ordinazioni extra tempora. Lasciò quest'ultima supplica nelle mani dell'avvocato Leonori, quando partì da Roma,

                Scrisse inoltre al Papa per ottenere onorificenze a quattro insigni benefattori, verso i quali sentiva il bisogno di mostrare pubblicamente la propria gratitudine: la commenda di san Gregorio Magno al signor Giulio Rostand, un grado prelatizio all'abate Guiol, il cavalierato di Spada e Cappa al barone Amato Héraud e una croce di cavaliere al signor Benedetto Pelà dì Este[53].

                Furono concessi questi ultimi favori, meno il secondo. Quanto a indulgenze, un Rescritto del 22 aprile accordava: I° A tutti coloro che frequentassero gli oratori festivi e le case della Congregazione, indulgenza plenaria in articolo di morte, nel giorno del santo Natale, dell'Immacolata, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di san Francesco di Sales, dì Pasqua. - 2° La stessa indulgenza plenaria a chi intervenisse almeno alla metà delle prediche degli esercizi spirituali, che si dettassero nelle nostre chiese od oratori privati. - 3° A coloro fra essi che recitassero la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis, trecento giorni di remissione delle penitenze, e cento giorni ogni volta che attendessero alla meditazione[54]. Quale esito sortissero tutte le altre suppliche, non ci consta. Conviene però tener ognora presente che Don Bosco mediante simili atti non mirava esclusivamente e nemmeno prevalentemente a conseguire favori o benefizi: egli se ne valeva soprattutto come dei mezzi i più semplici e naturali per richiamar l'attenzione del Papa e delle Congregazioni romane sulle sue opere, il che giovava al consolidamento della Società e a sventare erronee informazioni. Così appunto si spiega quell'introdurre nelle domande larghi ragguagli, che a prima vista sembrerebbero esorbitare dallo scopo inteso, come ognuno può facilmente [78] rendersi conto leggendo i documenti pubblicati in fondo al volume.

                Il Beato fu una volta sola alla presenza del Papa. Non potè vederlo fino al 20 marzo, perchè le udienze erano sospese da due settimane; di circa cinquecento domande, quattro appena si diceva essere state esaudite[55]. Egli pure aveva chiesto fili dall'8 marzo, scrivendo a monsignor Macchi; ma inutilmente. Premendogli però la cosa, anche perchè pensava di andare a Magliano e poi partire, il giorno 20 si raccomandò a monsignor Boccali, cameriere segreto partecipante, perchè gli ottenesse un momento di udienza. Questo Prelato, perugino e confidente del Papa, conosceva Don Bosco dall'anno avanti[56]. N'ebbe risposta pressochè immediata di trovarsi la sera stessa nell'anticamera pontificia alle tre e un quarto. Così fece. Il Papa uscì all'ora precisa: era solo e in abito da passeggio, cioè con mantello e cappello rosso. Don Bosco che aspettava nella sala del trono, s'accorse che il Santo Padre lo udiva di buon grado. Gli chiese a Cardinale Protettore il Segretario di Stato, e il Papa gli rispose esser già cosa fatta; gli parlò delle Missioni e gli domandò benedizioni. Parlò anche di altre cose; ma questo soltanto seppero Don Bonetti e Don Berto, che attendevano a distanza. Adagio adagio Don Bosco accompagnò il Santo Padre fino alla lettiga, che stava pronta per portarlo alla passeggiata nei giardini. Il ricevimento tutto familiare e la non guari consueta familiarità di Leone XIII nel modo di trattare con lui, gli confermarono la verità di quanto aveva udito da vari Prelati sulle buone disposizioni del Papa a suo riguardo. Che se non ebbe in altra forma udienza privata, molte e lunghe conferenze ebbe col Segretario di Stato e con altri Capi di Congregazioni, per quali mai affari non si seppe allora e più non si saprà, almeno interamente, in avvenire.

                Sei giorni dopo questa udienza con biglietto della Segreteria [79] di Stato, recante la firma di monsignor Serafino Cretoni, si notificava ufficialmente a Don Bosco la nomina del Protettore, in questi onorifici termini: “La Santità di Nostro Signore, volendo che la Congregazione Salesiana, la quale va, acquistando ogni giorno nuovi titoli alla speciale benevolenza della S. Sede per le opere dì carità e di fede impiantate -nelle varie parti del mondo, abbia uno speciale Protettore, si è benignamente degnata di conferire quest'officio al Sig. Cardinal Lorenzo Nina Suo Segretario di Stato”. Al tempo di Pio IX faceva da Protettore il cardinal Oreglia, ma solo a titolo officioso, avendo quel Pontefice riserbata a sè la protezione della Società, bisognosa di particolare e paterna assistenza ne' suoi primordi; ora invece si aveva il Protettore vero e proprio al pari delle altre Congregazioni religiose. Nè la scelta poteva cadere su Prelato più benevolo; chè, avendo conosciuto Don Bosco prima del Cardinalato, nutriva per lui altissima stima e gli portava sincera affezione. Pregato da Don Bosco a voler essere il Protettore dei Salesiani, vi si era mostrato dispostissimo, dicendogli: - Non potrei offrirmi per questo al Santo Padre; ma se il Santo Padre me lo dice, accetto subito. - Diede prova eloquente del suo buon volere quando il Beato gli propose che, avendo Sua Eminenza tanto da fare, gli assegnasse una persona con cui trattare la faccenda delle Missioni. Rispose il Cardinale: - No, no; voglio che la trattiamo noi direttamente; passi domani alle quattro e mezzo, e ci parleremo meglio. E’ un miracolo il vedere una Congregazione venir sii in questi tempi sulle rovine altrui, dove tutto si vorrebbe distruggere. - Il Beato sperimentò soventi volte quanto gli fosse giovevole una sì affettuosa protezione[57]. Ritornato a Torino e comunicata al Capitolo [80] Superiore la designazione pontificia del Protettore, inviò al Cardinale in nome di tutta la Congregazione una. lettera di ringraziamento, perchè egli si fosse degnato di accettare quell'ufficio, di cordialissimo omaggio e di preghiera per le Missioni e forse anche per i privilegi; tanto ci è dato argomentare dalla seguente risposta di Sua Eminenza.

 

                   Ill.mo e molto Rev. signore,

 

                Oltremodo gradite tornano al mio cuore le obbliganti maniere, colle quali ella a nome della sua congregazione esprime sentimenti di tanta amorevolezza e fiducia a mio riguardo. Sono poi lietissimo per l'impegno che hanno d'impetrarmi continuamente colle loro preghiere da Dio quel lumi e quegli aiuti, di cui abbisogno fra le mie gravi sollecitudini e l'assicuro che in modo migliore di questo non potrebbero meritarsi la mia gratitudine.

                Le intenzioni che V. S. mi palesa per il consolidamento e l'incremento del suo istituto, pienamente confermo e non dubito che il suo zelo e la sua instancabile operosità col soccorso di Dio riuscirà a metterle prosperamente in effetto. In quanto a me, desideroso di concorrere a seconda di mie forze in questa opera del Signore, attendo da lei le occasioni di coadiuvarla nei suoi degni propositi. Bramerei frattanto che mi facesse distintamente conoscere di quali mezzi avrei a servirmi in ordine alla prima cosa da lei accennata delle missioni estere e dei nuovi rapporti a cui intende di legarle.

                Non mancai di compiere subito presso il Santo Padre la parte di che ella mi richiedeva e sono lieto di assicurarle che fu accolta da S. S. col più vivo gradimento.

                Con i sensi quindi di ogni stima e particolare considerazione ho il piacere di proferirmi di tutto cuore

                Della S. V. Ill.ma

 

                               Vaticano, 29 Aprile 79.

 

Servitor servo

  L. Card. NINA.

 

                Non abbiamo ancora detto nulla della salute di Don Bosco. Questa sarebbe stata abbastanza buona, se non era degli occhi; intorno a ciò niente di meglio che piluccare nella corrispondenza [81] de' suoi due segretari con Don Rua. Il 2 marzo Don Bonetti gli scriveva: “Siamo giunti ieri felicemente. D. Bosco sta bere, e il suo occhio non peggiora. Se stesse così sino al 1999, sarebbe già una bella grazia: tocca a voi santarelli dell'Oratorio ottenere da Maria Ausiliatrice questo favore”. E Don Berto il 7: “Gli occhi del nostro carissimo Padre lasciano sempre a desiderare. Pregate e fate pregare”. Il medesimo due giorni dopo: “La sua vista ieri e oggi va meglio. Fece qualche passeggiata e bastò. Di qui si vede che il suo migliore rimedio si è la disoccupazione, la quale non si può avere”. Sul medesimo giorno leggiamo nel Diario: “Addì 9 domenica festa di S. Francesca. Messa dalle Oblate di Tor de' Specchi. Vi vennero anche i cardinali Bilio e D'Avanzo. Il resto della giornata si passò in casa. Verso sera uscimmo e giunti alla salita del Campidoglio suonava l'Ave Maria[58]. Sereno era il Cielo, e noi fatta una passeggiata intorno al Campidoglio, ritornammo a casa”. Questa casa abitata da Don Bosco[59] è stata recentemente demolita. Sorgeva proprio di fronte al monastero delle Oblate, presso la pendice del Campidoglio e poco in qua dal punto, donde sporge la prominenza della. rupe Tarpea. Don Bonetti il io marzo: “Don Bosco sta abbastanza bene: sono due sere che i suoi occhi vanno meglio. Bisogna dire ai giovani che facciano bene questa novena di san Giuseppe, perchè doni e conservi la vista corporale al nostro carissimo D. Bosco, ed apra spiritualmente gli occhi ad alcuni disgraziati... Il povero D. Bosco prega per loro, e li raccomanda anche tanto alle preghiere dei loro buoni compagni. Si domanderà se questi sieno tra gli, studenti o tra gli artigiani; Don Bosco ha veduto che ve ne sono alcuni di qua e alcuni di là”. Finalmente Don Berto il 24: “Il Sig. Don Bosco sta abbastanza bene, ma gli occhi non migliorano. Oportet orare et semper orare. Lo dica ai [82] giovani”. Queste condizioni della sua vista affliggevano i suoi amici. L'Osservatore Romano del 18 marzo traduceva un lungo articolo della Semaine Liturgique su Don Bosco, nel quale si leggevano queste parole: “Il maraviglioso Don Bosco, stato sempre di salute cagionevole, è ora minacciato di perdere la vista; ormai un occhio è spento, e l'altro si va annebbiando. Il buon sacerdote ripete: - Sento che non tarderò ad essere chiamato per rendere i miei conti a Dio; vorrei dare l'ultima mano alla Congregazione Salesiana. - E intanto lavora con lo stesso ardore di vent'anni or sono”.

                A Magliano, se non proprio necessario, era almeno opportuno che facesse una visita: certi screzi, nati da malintesi intorno al collegio, avevano causato fastidi a Don Daghero. Questi venne a Roma; ci vennero anche i tre deputati del seminario. Una conferenza col cardinal Bilio, alla quale partecipò Don Bosco, diradò le ombre, la presenza del Beato sul posto avrebbe accomodato tutto. Partito con Don Bonetti e Don Berto nel pomeriggio del 24, giunse colà a un'ora di notte. Alla stazione di Borghetto lo accolsero i chierici del seminario e i convittori del collegio, una quarantina fra tutti. Vi si trovò pure Don Guidazio, venuto appositamente da Montefiascone. Dedicato un giorno agli amici esterni, passò l'intero 26 in casa, per dare ai confratelli la comodità di parlargli; all'indomani, lasciato ivi Don Bonetti, tornò con Don Berto a Roma. Qui null'altro gli restava da fare che sbrigar in fretta le ultime faccende e preparare le valige.

                Ad Albano questa volta non andò, ma vi supplì come non si poteva meglio. Ce lo narra Don Piccollo in una sua memoria, da cui stralciamo il racconto vivo dell'episodio. “In quell'ultimo anno della mia dimora ad Ariccia i confratelli di Albano e noi  della piccola casa vicina abbiamo avuto una bella sorpresa ed una grandissima consolazione. D. Monateri ricevette una lettera di Don Bosco che gli annunziava trovarsi egli a Roma e che al più presto voleva i suoi figli delle due case e che andassimo quindi a trovarlo il più presto [83] possibile. Chi può immaginare la nostra gioia? Al primo giorno libero, su diversi carrozzoni ci siamo messi per alla volta dell'eterna città. Regnava in tutti noi una contentezza insolita e il nostro cuore batteva forte, quando, giunti alla modesta casetta in via Tor de' Specchi, eravamo vicini al tanto sospirato istante di rivedere il Padre amatissimo e baciargli la destra. Entrati nella stanza dov'egli ci attendeva, lo abbiamo scorto sorridente e quasi ringiovanito per il piacere che provava nel rivederci [ ... ]. La giornata si passò interamente con lui; sentì tutti, diede a tutti quei consigli che credeva opportuni e durante il modesto pranzo consumato con lui avevamo l'impressione di trovarci a far parte di una scena celestiale. Sorridente rivolgeva la parola or a questo or a quello dei suoi commensali, ed io mai altra volta l'ho veduto così allegro. Dopo pranzo incaricò Don Giovanni Rinaldi di portare un regalo al Cardinale Nina, allora nostro Protettore, ed io fui scelto per compagno. Si trattava di un regalo ben modesto: una bottiglia di vino di ottant'anni. Il Cardinale l'accettò con segni di molto gradimento, perchè col dono materiale scorgeva il cuore di Don Bosco e incaricò il messo di ringraziarlo. A sera Don Bosco rinnovò i suoi consigli, aggiunse i suoi incoraggiamenti, ci benedisse e noi perdemmo l'allegrezza di cui eravamo stati inondati tutta la giornata: dovevamo lasciare il Padre e questo distacco era da noi ben sentito e bisogna pur dire che anche il Beato nostro Padre benedicendoci sentiva gran pena a separarsi da noi”[60]. [84]

                Tre lettere solamente abbiamo potuto rinvenire con la data dì Roma e la firma di Don Bosco; furono scritte tutte sotto dettato dai segretari a causa della vista. La prima è all'abate Guiol. Si apprende da questa che egli a Roma fece allora i primi passi per ottenere la facoltà di aprire un noviziato a Marsiglia. Sembra appartenere a quest'anno una lettera, composta in francese probabilmente dal conte Cays e diretta al Superiore Generale della Gran Certosa di Grenoble, per 'pregarlo di annoverate il futuro noviziato marsigliese fra le opere sussidiate dalla sua carità. La copia conservataci non è datata[61]. Ecco quella per il Curato marsigliese.

 

                   Carissimo Sig. Curato,

 

                Ho ricevuto con vero piacere la cara sua lettera del 26 febbraio, che mi racchiudeva le testimoniali a, Monsig. Vescovo di Marsiglia riguardo al noviziato. Va benissimo. Presso alla Santa Sede non evvi, difficoltà. Questo è già un gran passo. Dio ci aiuterà pel resto. Per la piccola casa accanto al nostro Oratorio credo possiamo fare così: l'acquisto in capo alla Società Beaujour, il Sig. Abbé Constant ritarderà le sue esazioni, ma a nostro carico, di modo che, se lo giudica bene l'amministrazione della Società, pagherà i 13 mila franchi richiesti per questo contratto, e io a suo tempo le riverserò a chi di dovere.

                Per sua norma alla metà del corrente marzo partirà il Sac. Cerruti Direttore del Collegio di Alassio alla volta della Francia in qualità d'Ispettore e procuratore generale. Egli visiterà tutte le nostre case e probabilmente con D. Ronchail prenderà tutte quelle deliberazioni che saranno a proposito.

                Lodo ed approvo la pratica degli impresarii per l'ingrandimento del nostro Orfanotrofio. [85] Ringrazio Lei e gli altri che si occuparono della Notice sur les Salésiens. M farebbe assai piacere se a suo tempo me ne manderà alcune copie, tra cui due da presentare al Santo Padre a nome di Lei.

                Io vedo ognor più la mano del Signore nella nostra fondazione di Marsiglia. Ci vuole un po' di pazienza e di sacrifizio nel suo principio. Ciò fa la Società Beaujour; io non rifiuterò di fare quanto posso, ma la quantità di case (21) aperte in questi mesi mi hanno fatto spendere attivo, passivo e neutro. Ciò nulla di meno ho in vendita una tenuta, che mi darà disponibili alcune centinaia di mila franchi, e così sarò in grado di regolarizzare i miei affari. Quanto però io mi sento portato alle imprese concertate dans la paroisse de Saint Joseph, altrettanto mi sento restio per l'Istituto Roussel, la cui cessione non è ancora assicurata.

                Non ho ancora veduto il Santo Padre, perchè prima debbo preparare diverse cose, delle quali scriverò tosto a Lei dopo l'udienza.

                Amato Sig. Curato, mi continui la sua affezione. Tutti i Salesiani pregheranno per Lei, per i Signori della Società Beaujour, e per tutti quelli che ci danno mano a promuovere la maggior gloria di Dio. Scriverò quanto prima a Monsig. Vescovo di Marsiglia.

                La grazia di X. S. Gesù Cristo sia sempre con noi, e preghi per me che le sarò sempre nel Signore

                Roma, 4 Marzo 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Un'altra lettera va al cavalier Carlo Fava, vecchio amico e benefattore del Beato.

 

                   Rispettabile e carissimo sig. Cavaliere,

 

                Da questa alma città godo assai di poterla ringraziare degli atti di benevolenza che in molte circostanze usò alla nostra casa, o meglio ai nostri poveri ragazzi.

                Noi preghiamo tutti i giorni per la preziosa conservazione dì sua sanità, per quella della Signora di Lei consorte e pel genitore di Lei.

                Prima che termini la settimana io spero di potermi presentare al S. Padre e chiedere soma di Lei e sopra tutte le persone raccomandate, nominatamente sopra la sua bambina, una speciale benedizione.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia, mentre con gratitudine mi professo

 

Roma. 19 Marzo 1879] Obbl.mo servitore ed amico

Sac. Gio. Bosco. [86]

                L'ultima lettera contiene ringraziamenti, raccomandazioni e consigli a Don Marenco, per lui e per i suoi giovani di Lucca.

 

                   Marenco mio carissimo,

 

                Ho ricevuta la tua lettera e quella de' tuoi allievi e ne provai vera consolazione. Vi ringrazio tutti di cuore dei figliali affetti che mi dimostrate. Assicura i tuoi allievi e miei cari figli, che io mi darò massima cura per corrispondere all'amore che hanno per me e pregherò per te e per loro.

                Voglio domandare una benedizione speciale per voi al S. Padre.

                Ma voi, amati figli, adoperatevi anche d'aiutarmi colla vostra buona condotta. Dio vi dà tempo e comodità di studiare e praticare la religione. Sappiatene approfittare.

                Se poi volete darmi un grande segno di affezione, pregate assai per me e fate una volta la santa comunione secondo la mia intenzione. Fra breve a Dio piacendo ci rivedremo.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Credetemi sempre nei Cuori di Gesù e di Maria

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Tu vero in omnibus labora, opus fac evangelistae, ministerium tuum viriliter imple et Dominus dabit tibi voluntatem et potentiam, sic transeundi per bona temporalia ut non amittas aeterna[62].

 

                Dopo le udienze pontificie il Beato soleva far preparare dal segretario e firmare circolari manoscritte, con cui partecipava a certi benefattori una speciale benedizione del Santo Padre. Non occorreva che egli al Papa facesse espressamente il nome di tutti; si sa bene infatti che il Papa estende la sua benedizione a tutti coloro, per i quali si ha in animo di chiederla. Così fece anche questa volta. Ci sono in archivio risposte che attestano il fervido gradimento con cui erano accolte tali comunicazioni.

 

 

CAPO IV. Primi atti delle Autorità scolastiche per la chiusura delle scuole ginnasiali nell'Oratorio.

 

                NELLA lunga e odiosa guerra mossa alle scuole dell'Oratorio le autorità Scolastiche agirono come strumenti più o meno consapevoli delle sètte, che, col passaggio del potere governativo nelle mani della sinistra parlamentare, moltiplicarono le congiure contro il fiorire ognor crescente delle scuole private, aperte e dirette da ecclesiastici o religiosi. Su tale argomento avremo forse occasione di ritornare più volte; qui esporremo solo i fatti che si svolsero ai danni della nostra Casa Madre. Ora pertanto, sospendendo il racconto del ritorno di Don Bosco a Torino, ci soffermeremo a narrare le prime avvisaglie contro il ginnasio di Valdocco e le difese opposte dal Servo di Dio durante la sua dimora a Roma.

                Il primo documento, venuto come ad aprire il fuoco, data dal io ottobre 1878. In esso il Consiglio scolastico provinciale intimava a Don Bosco di non affidare le classi se non ad insegnanti forniti di regolari diplomi che li abilitassero all'insegnamento, comminando in caso contrario misure di rigore, non esclusa la chiusura delle scuole; si esigeva pertanto che fosse inviato al regio Provveditore agli studi l'elenco dei professori per l'anno scolastico 1878-79 con la indicazione dei rispettivi titoli legali. [88] Don Bosco a tale ingiunzione non diede risposta; il motivo si è che tentò invece di ottenere dal Ministero una tolleranza di tre anni, durante i quali potessero nelle scuole dell'Oratorio insegnare anche professori senza diploma. In questo senso indirizzò la seguente supplica all'onorevole Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione.

 

                   Eccellenza,

 

                La grande sollecitudine con cui la E. V. promuove e sostiene gli Istituti che hanno per fine l'istruzione e l'educazione dei figli del povero popolo, mi dà animo a supplicarla per un segnalatissimo favore appoggiato unicamente alla nota di Lei clemenza ed autorità. Questo favore riguarda l'Istituto detto Oratorio di S. Francesco di Sales eretto in Torino. Qui sono raccolti più centinaia di poveri fanciulli indirizzati dalle varie autorità dello Stato i quali con un'arte o mestiere, oppure colla scienza letteraria si preparano a potersi guadagnare a suo tempo il pane della vita. Questa istituzione non ha alcun reddito fisso e si sostiene di sola Provvidenza. Perciò l'autorità scolastica ci usò sempre benevolenza; e considerando queste classi come insegnamento paterno e caritatevole, siccome è di fatto, non pose mai difficoltà sui titoli legali degli insegnanti. Ora però il Sig. Regio Provveditore agli Studi mi ha prevenuto che vuole tutti i professori muniti delle rispettive legali patenti.

                Il che sarebbe un vero disastro per questi poveretti, perciocchè numero notabile di costoro che sono di svegliato ingegno si troverebbero nella impossibilità di farsi una posizione onorata nel commercio, nella milizia, e nell'insegnamento.

                In questo grave bisogno ricorro supplichevole alla E. V. affinchè in via di grazia conceda che gli attuali Maestri riconosciuti idonei mercè più anni d'insegnamento, siano autorizzati almeno per un triennio a continuare il loro gratuito uffizio nella rispettiva classe. In tale spazio di tempo i medesimi insegnanti raggiungeranno l'età prescritta pei pubblici esami e potranno munirsi dei prescritto diploma di abilitazione.

                A nome dei poveri giovani di questo Istituto dimando questo segnalato favore, mentre prego Dio che renda felici i giorni della E. V.

                Con profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi di V. E.

                Torino, I° Novembre 1878.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Un autografo di Don Bosco, la cui copia, scritta e firmata da Don Durando, fu unita alla supplica, contiene questa dichiarazione: “Il sottoscritto nella sua qualità di direttore [89] degli studi dell'Ospizio detto Oratorio di S. Francesco di Sales, dichiara di tutto buon grado e con piena conoscenza di cosa che i signori insegnanti (seguono i nomi e le classi) hanno prestato insegnamento nelle rispettive classi con zelo e con notabile profitto della scolaresca loro affidata, dando non dubbie prove dì capacità e di attitudine nei vari rami d'insegnamento. Attesa poi la loro abnegazione nell'insegnare gratuitamente ai poveri fanciulli di questo istituto, unisce la stia preghiera a S. E. il Sig. Ministro della pubblica istruzione, affinchè in via di grazia si degni di autorizzarli a continuare nella rispettiva classe quell'insegnamento che prestano da più anni, ecc. D. DURANDO”.

                Per non lasciare nulla d'intentato che credesse utile a scongiurare il pericolo, invocò pure i buoni uffizi del suo amico israelita, segretario generale al Ministero degli Esteri, il commendator Malvano.

 

                Onorevolissimo sig. Commendatore,

 

                Mi trovo veramente in bisogno del suo appoggio. Ho innoltrata una domanda al Ministero della pubblica Istruzione, perchè le scuole di questo ospizio di poveri fanciulli siano considerate come scuole di carità rette da chi la le veci del genitore, perciò senza che i professori siano obbligati ad avere pubblica patente. Ciò devesi trattare forse lunedì o martedì. Si tratterebbe che gli attuali insegnanti siano autorizzati provvisoriamente, oppure ammessi a subire i prescritti esami, sebbene manchino dell'età prescritta da un ministeriale decreto.

                Una sua parola in mio favore mi tornerà vantaggiosa assai; specialmente pel nuovo ministro che forse non conosce come questa casa è vero orfanotrofio e come la maggior parte degli allievi sono qui indirizzati dalle pubbliche autorità.

                Mi confido nella sua bontà e noi avremo un motivo di più alla gratitudine verso di Lei, o benemerito Sig. Commendatore.

                Voglia gradire gli ossequi del Prof. Pechenino e del Prof. Durando, ambedue qui in mia camera che desiderano di essere ricordati alla sua benevolenza.

                Dio la conservi in buona salute e in vita felice e mi creda con verace riconoscenza.

                D.V. S. Onorev.ma

                Torino, 19 Ottobre 1878.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO. [90]

 

                Dal Ministero fu incaricato il Prefetto di significare a Don Bosco che, come già altra volta, così allora con rincrescimento non si poteva fare eccezione alla legge comune e che si confermava in tutto e per tutto la deliberazione del Consiglio scolastico provinciale. Nell'adempiere l'incarico il Prefetto per conto suo pregava Don Bosco di mandargli sollecitamente l'elenco e i diplomi degli insegnanti; essere volontà del Ministro che, qualora Don Bosco non ottemperasse all'invito, si provvedesse a norma di legge. Don Bosco il 15 novembre mandò i nomi di Don Rua, Don Durando, Don Bonetti, Don Bertello e Don Pechenino. All'elenco dei professori titolari volle aggiungere anche la nota dei maestri supplenti in ciascuna classe, non forniti di alcun diploma. Uomo delle imprese ardite, pare che tentasse con questo di ottenere un'approvazione implicita a favore dei non patentati. Egli intese sempre che l'Oratorio fosse riconosciuto come casa paterna. Un paio di settimane dopo il Provveditore Rho compiè una ispezione improvvisa in tutte le scuole e locali dell'Oratorio, avendo seco il Provveditore di Novara. Due dei titolari che stavano in casa, ebbero tempo di salire in cattedra; nelle altre classi furono trovati i supplenti. Il funzionario andandosene non celò la sua poca soddisfazione; tuttavia, essendo egli stato condiscepolo di Don Bosco, si sperava che a titolo di amicizia sarebbe proceduto con le buone. Era notorio però che egli vedeva piuttosto di mal occhio le case salesiane, quantunque sapesse generalmente fare buon viso e coprire così le sue reali intenzioni.

                Quella visita era stata ordinata dal Consiglio scolastico di Torino nell'intento preciso di riconoscere se gl'insegnanti possedevano o no i titoli voltiti e fossero veramente quelli dati in nota. La relazione provveditoriale fu disastrosa; onde il medesimo Consiglio rincarò la dose, minacciando severi provvedimenti, se prima del 30 gennaio 1879 non fosse tutto in regola. Questa comunicazione fu seguita a brevissimo intervallo da un altro foglio ufficiale, con cui a nome del Prefetto [91] si pregava Don Bosco di voler ricoverare nel suo Oratorio un povero giovane[63].

                Una seconda visita, fatta pure dal Provveditore il 7 marzo e finita peggio della prima, obbligò Don Bosco a occuparsi energicamente dell'affare. Intanto da fonte sicura potè venir in chiaro di due particolarità per lui importantissimo: il Ministero, scrivendo al Provveditore di Torino, aveva richiamato all'osservanza della legge, ma senza provocare a rigorose misure, e l'iniziativa della faccenda non era partita da Roma, sibbene dalle autorità locali, invocanti provvedimenti superiori[64]. Queste informazioni gli agevolarono la via. In casi di vessazioni da parte di autorità Don Bosco non si arrestava. a mezza costa, ma si spingeva su fino al sommo il 15 marzo domandò per iscritto udienza al ministro Depretis, presidente dei Consiglio; gli rispose il suo Capo di gabinetto commendator Celesia di Vegliasco, dicendogli che Sua Eccellenza l'avrebbe ricevuto quel giorno stesso dal tocco alle due nel Ministero degli Interni. Don Bosco fu puntuale. Attendeva da circa mezz'ora, quand'ecco entrare il Ministro. Si alzò in piedi al suo passaggio, e quegli lo salutò levandosi il cappello e lo ricevette immediatamente. Il ricordo di Lanzo aperse la conversazione, che durò tre quarti d'ora. Il Beato gli parlò anzitutto delle Missioni, che il Ministro disse di voler proteggere. Appressatosi poi egli all'argomento scottante con un accenno vago a difficoltà che gli attraversavano il passo, il Ministro gli osservò che, essendosi ormai formata un'opinione pubblica favorevole, non aveva nulla da temere. Al che il Servo di Dio replicò rammentando il mobile vulgus di Sallustio ed entrò a gonfie vele in materia. Il Depretis ascoltò con benevolenza e gli promise di raccomandare al Ministro della Pubblica Istruzione le sue scuole. Si navigava col vento in poppa. Allora Don Bosco fece un'ultima mossa. Con l'aiuto di, un suo amico, signor Ferdinando [92] Fiore, impiegato al Ministero, aveva steso un promemoria da presentare al Capo del Governo, affinchè avesse sotto mano gli elementi, sui quali appoggiarsi per accordargli la chiesta facoltà di mettere nelle classi dell'Oratorio docenti senza diploma. Don Bosco gli rappresentava la cosa in questo modo.

 

Promemoria.

 

                Col fine di beneficare una istituzione che tende a migliorare la classe più bisognosa della civile società, come appunto è la gioventù pericolante, e ritenuto che l'ospizio detto Oratorio di San Francesco di Sales in Torino:

                I° Fu costantemente giudicato quale opera di carità dalle autorità civili e municipali e come tale proclamato dal Senato del Regno e dalla Camera dei deputati;

                2° Che venne spesse fiate in aiuto alla autorità pubblica col dare ricovero a fanciulli abbandonati, e che perciò dalle prelodate autorità fu ognora favorito, commendato e sussidiato;

                3° Le autorità scolastiche per oltre a 36 anni l'hanno lasciato prosciolto dall'obbligo di porre insegnanti legali nelle classi secondarie;

                4° Che la spesa di legali insegnanti sarebbe di gravissimo danno all'Istituto, il quale è destituito di ogni sorta di mezzi pecuniarii, anzi tale spesa tornerebbe a danno degli stessi ricoverati, di cui dovrebbesi per necessità diminuire il numero;

                5° Questo ministero da parte sua, volendo continuare l'appoggio che l'Oratorio di S. Francesco di Sales ha fruito sotto ai precedenti ministeri, come ospizio di carità o istituto paterno dove il Sac. Bosco per solo spirito di carità fa le veci di padre ai fanciulli ivi ricoverati;

                6° Volendo benignamente applicare la legge sulla pubblica istruzione in modo che tomi utile e non dannosa alla, classe più bisognosa della società;

                7° Desiderando in fine cooperare a diffondere l'Istruzione divenuta obbligatoria tra le classi povere e meno agiate;

                Autorizza

                Il Sac. Giovanni Bosco a dare o far dare l'Istruzione secondaria ai poveri fanciulli del suo pio istituto, senza obbligo di mettere nelle rispettive classi insegnanti legalmente riconosciuti.

 

                Il foglio doveva essere accompagnato da una lettera, che servisse di presentazione e all'occorrenza anche di richiamo

 

                Eccellenza,

 

                Mi trovo nel bisogno di raccomandare alla E. V. la condizione dei poveri giovanetti raccolti nell'Ospizio di S. Francesco di Sales in [93] Torino. Pel passato questo istituto, come opera di beneficenza destinato a poveri ragazzi, non fu tenuto a rigore di legge nell'insegnamento. Il governo tenendo conto che la maggior parte dei nostri allievi sono indirizzati dalle varie Autorità dello Stato, non fece mai difficoltà intorno ai Maestri che prestavano gratuitamente l'opera loro. Adesso vuole elle gli stessi superiori che rappresenterebbero la classe siano stabilmente al loro uffizio, senza elle possano da altri farsi rappresentare. Io pertanto supplico umilmente la E. V. di voler dire una parola al Ministro della Pub. Istruzione affinchè voglia considerare i nostri ragazzi come sotto all'Autorità Patema e permettere che gli attuali insegnanti possano continuare nel loro caritatevole ammaestramento degli allievi, oppure siano ammessi ai relativi esami, sebbene non abbiano ancora compiuta l'età prescritta per essere legalmente abilitati.

                Raccomando umilmente alla carità della Eccellenza V. questi poveri figli del popolo a cui mi sono totalmente dedicato e pieno di fiducia di una patema sua raccomandazione presso al Sig. Ministro della Pubb. Istruzione.

                Ho l'alto onore di potermi professare della Eccellenza Vostra.

                Roma, 15 Marzo 1879.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Ministro, per altro noli credette opportuno ricevere queste carte, perchè gli sembrava miglior partito non andare per via ufficiale e aggiunse coli effusione: - Quando vuole parlarmi, non occorre che domandi udienza; venga pure e si faccia solamente annunziare; voglio che ci trattiamo da amici. Alla prima spedizione di Missionari che farà, me lo dica e sarà aiutato dal Governo; almeno i passaggi glieli accorderemo. - Infine gli disse alcune cose da riferire al Papa; il che Don Bosco promise di fare. Uscendo dal palazzo Braschi, sede allora del Ministero degl'Interni, Don Bosco passò accanto a un crocchio di deputati, dai quali partì un saluto a lui rivolto in dialetto piemontese. Poco prima Don Berto aveva udito dire ad alta voce in una delle sale: - Pare un santo.

                Quel tale signor Fiore aveva indicato a Don Bosco un “arcigno commendator Barberis” come colui che poteva moltissimo al Ministero, dov'era Direttore Generale delle [94] scuole secondarie. Lo consideravano tutti come uomo inaccessibile a raccomandazioni e passava anche per grande autocrate; ma Don Bosco, che l'aveva avuto a, compagno di scuola, andò a trovarlo, fidando nell'antica amicizia. Fu ricevuto subito e trattenuto circa due ore. Giacchè noi scriviamo principalmente per i nostri Confratelli, che sanno lo stile di Don Bosco nel descrivere incontri di qualsiasi genere, non rifuggiremo neanche qui dal riprodurre il punto culminante del colloquio nella forma dialogica di botte e risposte, in cui lo udirono Don Berto e altri dalle labbra di lui stesso, e ne presero memoria.

                Da principio Don Bosco al Commendatore dava del lei, come pure il Commendatore a Don Bosco; ma, una volta rotto il ghiaccio, quegli scappò a dire: - Lasciamo un po' da parte le cerimonie! Ti ricordi bene che fummo compagni di scuola. Diamoci del tu; così ci parleremo con un po' più di confidenza... A questo posto, m'intendi bene, io non guardo a nessuno.

                - Ma tu potresti aiutarmi, l'interruppe Don Bosco.

                - C'è la legge, mio caro. Io non debbo guardare ad altro.

                - Ma vedi che la ragione...

                 - Il Consiglio scolastico ha deciso ed è lui quindi che ha ragione.

                 - Ma fammi il favore... Vedi tu se potessi piegare il Ministro a sensi più benevoli...

                - Non posso.

                 - Ma intendi bene: io non vengo a te con pretensioni. Mi raccomando; intercedi, dammi qualche consiglio.

                 - Sottomettiti: ecco ciò che so dirti.

                - Ma guarda, io ho una penna, gli disse Don Bosco in tono quasi faceto, e la storia dirà come sia stato trattato un povero uomo, che non aveva altra intenzione che fare del bene alla povera gioventù abbandonata.

                - Scrivi quello che vuoi. Quando io non ci sarò più poco m'importa di ciò che gli altri diranno di me. [95]

                - Guarda, caro Commendatore: adesso, è vero che hai questo posto, ma non ci starai sempre... e l'interpretare così le leggi ti procaccia molta odiosità... e quando non sarai più a questo posto, sarai esecrato.

                A tali parole il signor Barberis stette un po' pensieroso e poi disse: -Ma bisogna che ci atteniamo alla legge.

                - Va bene; ma le leggi sono suscettibili anche d'interpretazione benigna, e non solamente odiosa.

                - Basta, da me non avrai mai nulla a temere. E' da Torino che strillano... è dal Consiglio scolastico... di là scrivono giù... Procura di metterti in relazione coi capi di quel Consiglio. - Poi passò a indicargli il modo di mettersi in regola. Infine concluse: Guarda in seguito se puoi anche parlare col ministro Coppino o almeno col Segretario Generale il commendator Bosio.

Da certe mezze parole del suo interlocutore Don Bosco attinse la certezza della cosa, della quale nutriva già forte dubbio. Tutti gli anni una trentina di alunni dell'Oratorio si presentavano agli esami di licenza ginnasiale, gareggiando con i candidati delle scuole governative e non di rado superandoli. Questa riuscita che dava sui nervi a certi pezzi grossi, destò invidie, fece nascere gelosie e creò nemici ira coloro, i quali non potevano tollerare che gl'istituti pubblici sfigurassero a quel modo di fronte alle scuole di Don Bosco. Una causa della guerra stava lì.

                Don Bosco, appigliandosi al consiglio del Barberis, andò dal commendator Bosio, Segretario Generale al Ministero della Pubblica Istruzione: ogni tentativo presso il ministro Coppino sarebbe stato come fare un buco nell'acqua: l'esperienza del passato ne dimostrava l'inutilità. Il Commendatore fu lietissimo di ricevere nel suo ufficio Don Bosco, che aveva gran desiderio di conoscere; lo trattenne due ore e gli diede utili suggerimenti sul modo di regolarsi riguardo ai professori.

                Mentre a Roma Don Bosco saliva e scendeva per tante [96] scale, a Torino il Provveditore addì 25 marzo presentò al Consiglio scolastico la relazione ufficiale stilla seconda visita da lui fatta alle scuole dell'Oratorio. “Ho trovato, diceva, gli alunni raccolti ed in perfetto ordine nelle scuole, ma, come si prevedeva, tutte le classi, ad eccezione della Ia erano dirette dai giovani chierici e sacerdoti Salesiani, che nella visita fatta precedentemente erano stati qualificati per supplenti dei Professori compresi nell'Elenco del personale insegnante dell'Istituto stesso. Era bensì nell'Istituto anche il Professore titolare della 4a classe, ma egli non comparve nella stia classe se non quando seppe che io passava da una classe all'altra per accertare chi desse realmente l'insegnamento. Un terzo insegnante fatto avvertire, a quanto pare, della visita che si stava facendo, vi giunse tutto ansante, quando io aveva già adempiuto al commessomi incarico ed era ormai trascorso il tempo della lezione”.

                Il professore che “giunse tutto ansante” era Don Marco Pechenino, l'autore dei dizionari greci e delle ancora ricercate Forme verbali. Egli nell'uscire dall'Oratorio dopo quella visita commise l'imprudenza di dire a un tale, ch'ei credeva suo amico: - L'abbiamo fatta noi al Provveditore! - Piccola vanteria, che quel zelante volò a riferire, facendo andare in bestia il burbero funzionario.

                Preso atto della relazione provveditoriale, il Consiglio scolastico deliberò di proporre al Ministero la chiusura del ginnasio annesso all'Oratorio di San Francesco di Sales. Don Bosco, assicuratosi che a Roma non c'era astio di sorta contro le sue scuole, prese il partito di Fabio Massimo: tener viva la questione temporeggiando. In questo modo si terminava l'anno scolastico, si chiudevano, se mai, le scuole, e poi si ricorreva a nuovi espedienti per il nuovo anno.

                Non passeremo sotto silenzio che qualche voce onesta durante quei prodromi di temporale si levò a Torino in difesa di Don Bosco anche dal campo liberalesco. L'avvocato Giustina, che nel giornalismo si firmava con lo pseudonimo di [97] Ausonio Liberi, direttore della Cronaca dei Tribunali[65] pubblicò un articolo intitolato “Un po' di pietà... e di giustizia”, vibrante di ammirazione per Don Bosco. Lo chiamava “probo cittadino”, onore della città torinese, innanzi al quale egli s'inchinava rispettando nella sua persona “non il sacerdote, ma l'angelo della pubblica beneficenza, l'apostolo di Cristo”; facendo poi appello ai giornalisti, soggiungeva: “Non facciamo questioni di partito. Innanzi alla pubblica beneficenza scompaiono le fazioni, resta l'umanità compatta di volenterosi che intendono l'opere loro al pubblico interesse, alla pubblica moralità”. Si fosse mostrato poi sempre così equanime questo signor Giustina!

                Nel bel mezzo di tali preoccupazioni, aggiuntesi ad altre che gli davano da fare a Roma, egli diceva tranquillamente ai suoi che anche questo in qualche maniera si sarebbe aggiustato. “Che calma da santo!”, commentava Don Bonetti, scrivendone a Torino[66].

 

 

CAPO V. Il viaggio di ritorno all'Oratorio.

 

                Non si comprenderebbe di leggieri come mai Don Bosco potesse passare tranquillamente mesi e mesi lontano dall'Oratorio, se non si sapesse che egli aveva là il provvidenziale Don Rua, colui che tanto faceva e poco o nulla si scopriva. Se per un verso Don Rua fu il capolavoro di Don Bosco, per un altro va considerato quale vero adiutorium simile sibi datogli da Dio, affinchè niente ne inceppasse la libertà a svolgere intera la sua missione. Non intendiamo ripeterci; ma sur un punto vogliamo qui richiamare l'attenzione dei lettori. Nell'Esposizione alla Santa Sede, di cui abbiamo fatto cenno e. di cui renderemo conto, si legge appena un richiamo fugace alle condizioni finanziarie: “Esistono, vi si dice, alcuni debiti, ma si hanno stabili in vendita di valore sufficiente a pagarli”. Verissimo. C'erano infatti, ad esempio, le proprietà lasciate a Don Bosco per testamento dal barone Bianco di Barbana, valutate considerevolmente. Ma il gran guaio stava in questo, che nulla ancora si era venduto, nè si trovava come vendere a condizioni soddisfacenti, e intanto le strettezze si facevano sempre più gravi. Don Rua non nascondeva agli intimi che la Congregazione non erasi mai trovata in sì critiche circostanze. La lotteria fruttava oblazioni quotidiane, e Don Bosco aveva stabilito di non chiuderla finchè noti avesse reso centomila lire nette; ma queste somme giornaliere [99] bastavano solo a tappare momentaneamente qualcuno dei tanti buchi. In momenti così difficili senza un uomo della calma, abilità e autorevolezza di Don Rua il disagio economico avrebbe ingenerato, insieme con la perdita del credito al di fuori, il malessere morale nell'interno e le sue ordinarie conseguenze, che sono il dissesto e il dissolvimento. Invece il pensiero comune riposava sereno su Don Bosco lontano, senza che nemmeno i più addentro alle segrete cose avvertissero quanto del merito di si riposato vivere spettasse a Don Rua. Mentre infatti la sua prudenza gl'insegnava a trattar gli affari con saggezza, la sua virtù lo conduceva a raggiungere i voluti scopi in silenzio e senza darsi a vedere.

                Premeva sempre a Don Bosco trovarsi nell'Oratorio per la settimana santa, che potevasi ormai dire imminente; era però lunghetto il giro che aveva divisato di fare nel suo, ritorno. Partì da Roma la mattina del 28 marzo per la via di Firenze, incontrandosi alla stazione di Orte con Don Bonetti, che aveva lasciato a Magliano. Nella capitale toscana son nomi che appartengono agli annali della cooperazione Salesiana i Nerli, gli Uguccioni, il domenicano padre Verda, men conosciuto, ma gran propagatore delle Letture Cattoliche e della Biblioteca dei classici italiani. Il Beato fu con i suoi due compagni di viaggio ospite della marchesa Nerli, che li mandò a prendere con la sua carrozza. Alla pietà della marchesa Uguccioni inferma soddisfece, andando a celebrare nella sua cappella domestica e visitandola e ragionandole di cose spirituali. Celebrò pure nel monastero di Santa Maria degli Angioli, dove si conserva il corpo di santa Maria Maddalena de' Pazzi, e dopo la Messa volle dire alcune parole di conforto alle povere monache, vittime delle spogliazioni settarie. In casa Nerli lo visitarono molte persone, fra cui la contessa Digny. Si diè premura di recarsi dall'Arcivescovo monsignor Cecconi, che lo ricevette con molto piacere e gli disse: - Io mi metto nelle sue mani riguardo alla casa per poveri ragazzi da aprirsi in Firenze. Mi dica che cosa debbo [100] fare, ed io farò tutto ciò che mi dice. - Parole che alludevano a incipienti trattative per un'opera da stabilirsi in quella città.

                Da Firenze potè finalmente scrivere di proprio pugno una lettera, e questa fu per il canonico Guiol, che gli aveva spedito a Roma una succinta monografia compilata dal suo vicecurato Mendre intorno a Don Bosco e alla stia Congregazione[67].

 

                Car. Sig. Curato,

 

                Ho ricevuto l'opuscolo del Sig. D. Mendre. E' un lavoro classico di questo genere. Mi ha però fatto più volte coprire il volto per rossore pei grandi elogi che fa alla mia povera persona. Ma sia tutto a maggior gloria di Dio e a vantaggio dell'Opera che si vuole commendare. Ringrazio Lui e la S. V. Il S. Padre gradì assai le due copie presentate. Manda a tale uopo ad ambidue una speciale benedizione.

                Sua Santità si trattenne a discorrere dell'Oratoire de St-Léon, disse più volte che ringraziava i promotori dell'Opera e li benediceva tutti di cuore. Ha poi commessa una immaginetta per Lei ed un'altra per il Sig. Rostand, ma prima di spedirle debbo attendere che sieno finite[68].

                Sono in via per Torino, dove giunto completerò quanto occorre per Marsiglia e per le due colonie agricole di S. Cyr e di Navarre.

                Quante cose occorrerebbero dirsi verbalmente! Spero lo faremo nel prossimo maggio.

                Dovrò scrivere quanto prima alle Sig. Jacques e Prat e ad altri; ma prego Lei fin d'ora a voler partecipare a tutti una speciale benedizione del Sommo Pontefice. Se le copie del nostro opuscolo sono in vendita, abbia la bontà di spedirmene una decina a Torino. Quelle speditemi a Roma scomparvero come fumo.

                Preghi per me, caro Sig. Curato, e con perfetta stima, affezione e gratitudine m creda sempre in G. C.

 

                Firenze, 29-3-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. E' la prima lettera che scrivo dopo quattro mesi. [101] Diciamo qualche cosa di questo elegante opuscolo. Si divide in due parti. Nella prima l'autore rappresenta la missione di Don Bosco e il suo metodo educativo, movendo per quella dall'episodio di Bartolomeo Garelli e per questo dall'altro della Generala, tratteggiati entrambi con drammatica maestria. Missione di Don Bosco è aver cura della gioventù povera e abbandonata. Qui egli protesta di non voler fare il panegirico della sua persona. “La sua modestia, dice, non lo permetterebbe e poi tornerebbe troppo difficile parlarne degnamente. Noi ci rivolgiamo alle anime ardenti di zelo per le opere veramente cattoliche e senza parlare delle virtù di Don Bosco, ci basta farne conoscere le Opere”. Metodo di Don Bosco nel trattare con la gioventù è la carità di Nostro Signore Gesù Cristo; con essa egli ha conquistato “un posto assai distinto fra coloro che nella Chiesa hanno più di tutti fatta propria la parola del Divin Maestro: Lasciate che i piccoli vengano a me”. Mostrato il Servo di Dio all'opera nelle fortunose vicende del suo oratorio festivo, conchiude questa parte così: “Quando s'è visto un granello di senapa e poi si è chiamati a contemplare un'alta pianta, non si può non prorompere in questa esclamazione: Quante gocce d'acqua e quanti raggi di sole ha dovuto la Divina Provvidenza largire al tronco, per commisurargli sapientemente il calore diurno e il notturno frescore!”. Prosegue poi con la storia dell'ospizio e delle scuole professionali cristiane, che trasformarono l'Oratorio in un “immenso alveare, dove ognuno lavora con santo entusiasmo producendo opere di non minor pregio che il miele delle più assortite e solerti api”. Il passaggio alla seconda parte è segnato da un cenno sugli inizi della Congregazione, che, estesasi largamente in Italia e spintasi nella lontana America, ha valicato pure le Alpi occidentali, stabilendosi in Francia.

                In questa seconda parte lo scrittore, messa in evidenza la necessità di curare cristianamente in Francia la gioventù operaia istituendo scuole professionali cristiane ed esposto [102] il molto già tentato a Marsiglia, ma con risultati insufficienti a motivo dei metodi introdotti, saluta l'avvento dei figli di Don Bosco, che creeranno ivi gli ateliers cristiani, come danno prova di saper fare a Nizza con le scuole di arti e mestieri e come si accingono a fare nei pressi della Crau d'Hyères con le scuole di agricoltura. Cita qui una recente raccomandazione di Leone XIII incoraggiante iniziative di tal genere[69].

                L'autore finisce invitando tutti i veri cattolici a farsi Cooperatori salesiani e formulando questo voto: “Possano tutte le nostre città di Francia appoggiate con abbondanti limosine la formazione di questi ateliers cristiani. Gli Oratorii di San Leone, di San Pietro e di Sant'Isidoro ci daranno presto senza dubbio il confortante spettacolo delle meraviglie che si compiono del continuo nell'Oratorio di San Francesco di Sales a Torino. Favorire le opere di Don Bosco è fare atto di buon cattolico ed è per conseguenza saper comprendere e tutelare gl'interessi della patria. La nostra terra di Francia, dove tutte le opere ispirantisi alla carità cattolica hanno certezza d'incontrare generosi protettori, non si mostrerà, speriamolo, men propizia del suolo d'Italia verso le istituzioni di Don Bosco. Felici coloro che contempleranno il granello di senapa divenuto un bell'albero; ma ancor più felici quegli altri che potran dire a se stessi d'aver contribuito con copia di limosine ad aiutarne lo sviluppo ed a consolidarne le radici”[70].

                Ricevute e rese visite in buon numero, il Servo di Dio lasciò Firenze per Bologna, il giorno 31. La contessa Maria Malvasia, ricevutolo alla stazione, lo condusse nel suo palazzo, dove a lui e a' suoi due sacerdoti assegnò un comodo appartamento, libero da ogni soggezione. Primo pensiero del Beato fu di rendere omaggio al cardinale arcivescovo Lucido Maria Parocchi, il quale gradì moltissimo la visita e invitò [103] tutti per la dimane. Sua Eminenza aveva ben ragione di prodigargli gentilezze, come fece; sapeva in fatti quanto egli d'accordo con Leone XIII e con il Segretario di Stato si fosse occupato a Roma e continuasse a occuparsi della sua penosa condizione. Promosso dalla sede di Pavia all'Arcivescovato di Bologna il 13 marzo 1877 e fatto già l'ingresso nella sua cattedrale, non riusciva a strappare l'exequatur. Il senatore Pépoli nella tornata del 23 gennaio 1879 aveva rinnovato all'alta Camera una sua interrogazione sul perchè di quel diniego. Il ministro Taiani rispose che, siccome spirava “un'aura più mite dal Vaticano”, si sarebbe anche potuto mitigare l'austerità dei rifiuti d'exequatur: ebbe però l'audacia di dire “non potersi presumere che colla discesa di Pio IX nel sepolcro” fossero “discese con lui tutte le ire ed i rancori!”. Venendo poi al caso, giustificò l'atteggiamento ministeriale verso l'Arcivescovo di Bologna con l'allegare l'opposizione delle autorità locali, come del Prefetto, della Questura, dei Magistrati. E' probabile che Leone XIII desiderasse a Roma Don Bosco per agevolare alla Segreteria di Stato le difficili e delicate pratiche. Con altri Vescovi il Governo venne realmente a più miti consigli; ma per quel di Bologna teneva duro. Il Beato sapendo che la rocca dell'opposizione era là, nelle fazioni politiche locali che gabellavano il Parocchi d'intransigente pericoloso, sperò dì poter espugnare la resistenza sul posto, avvicinando il Prefetto. Questo zelo gli guadagnò l'animo del Cardinale, che a tal vista depose certe sue prevenzioni sul conto di lui, come lo dimostrò il fatto. Il marchese Bevilacqua, fermo sempre nel suo proposito di procurare a Bologna un istituto di beneficenza per la gioventù più bisognosa, aveva condotte le cose a si buon punto, che. stava già per recarsi a Roma col fine di rimettere tutto nelle mani di Don Bosco; ma, parlatone al Cardinale, questi negò in un primo tempo il suo assenso e ricorse ad un'altra Congregazione, la quale però declinava l'offerta per mancanza di personale, Allora invece, udito dell'interessamento [104] di Don Bosco a Roma e a Bologna per la sua causa, aveva totalmente cambiato idea.

                Il Servo di Dio adunque, risoluto di agire presso il Prefetto, andò per visitarlo. La prima volta gli fu detto che non e era; tornato il dì dopo, ve lo trovò e venne ricevuto. Il Prefetto mostrò di credere che Don Bosco si presentasse a lui per domandargli denari; onde, fatti i convenevoli d'uso: Già, gli disse, Don Bosco va sempre questuando per i suoi ragazzi.

                - Sì, è vero, rispose, questo è mio mestiere; ma però adesso non sono qui per domandare limosina; son venuto unicamente per ossequio all'autorità.

                - Come mai, se Ella è superiore ai Deputati e agli stessi Ministri?... Quando si parla di Lei, c'inchiniamo tutti.

                Ci fosse o no un tantin d'ironia in queste parole o fosse la voglia di menare il can per l'aia, il fatto è che la conversazione durò Cosi per un bel pezzo. Se non che, quanto all'oggetto che importava più a Don Bosco, il risultato fu zero; poichè il livore settario non disarmò. Trascorsi inutilmente cinque anni, Leone XIII, per rimediare a quello stato violento di cose, chiamò il cardinal Parocchi a Roma, dove lo costituì suo Vicario. Là, come vedremo, egli s'incontrò di bel nuovo con Don Bosco in circostanze di gran momento per la Congregazione.

                Il Beato celebrava nella cappella domestica della contessa, che gli era larga della sua ospitalità, e venivano ad assistere anche persone ragguardevoli, come la Zambeccari, che poi conferiva a lungo con lui sul modo di attuare presto le istituzioni da essa vagheggiate e da noi accennate altrove.

                Nel pomeriggio del 2 aprile arrivò ad Este. Venne condotto difilato alla casa del suo grande benefattore Benedetto Pelà, perchè, festeggiandosene proprio in quel giorno il settantanovesimo compleanno, egli dava un solenne banchetto agli amici e volle ad ogni costo aspettare che Don Bosco ne onorasse la mensa. La contentezza provata dal degno uomo [105] nel vedete il Servo di Dio, fu cosa da non potersi ridire a parole. Ma egli era lungi le mille miglia dall'attendersi la sorpresa che gli toccò. Nel buono del convito Don Bosco, levatosi a parlare, fece un bellissimo brindisi, in cui lodò lo zelo e la benevolenza dei cittadini d'Este verso i poveri Salesiani e tutti ringraziò di cuore; ma poi diede una notizia che mandò in visibilio l'anfitrione. - Son lieto, disse, in sì bella occasione di poter salutare il signor Benedetto Pelà Cavaliere dell'Ordine di San Silvestro. Il Santo Padre lo ha insignito di quest'onore a fine di dargli un pegno del pontificio suo gradimento per quanto egli viene facendo in favore del nuovo collegio Salesiano e a bene della cristiana gioventù. I convitati erano vivamente commossi e il Pelà piangeva di consolazione. Festa più cordiale e più gioconda non sarebbe possibile immaginare[71].

                Di là il Beato passò in collegio. Qui la carità del signor Benedetto aveva pensato a tutto, financo alle tendine delle camere destinategli, volendole scurette a motivo della vista. Il dì appresso con il suo amico Antonio Venturini venne a fargli visita e cavatasi dì tasca un'obbligazione di lire ottomila imprestate a Don Sala, lo pregò di gradirla come offerta che egli intendeva fargli di tutta intera la somma, professandosi ognora pronto a qualsiasi spesa, pur di vedere presto il locale in pieno assetto per le esigenze di un convitto salesiano. Il cavaliere fu sempre per il collegio Manfredini un vero padre.

                - Vive a Este un nipote del mentovato signor Antonio Venturini, il dottor Francesco dello stesso cognome, alunno del collegio dal 1878 al 1886, il quale rende sicura testimonianza dì un fatto straordinario avvenuto allora nella sua casa. Sua madre era malata di metrorragia grave per vegetazione della mucosa uterina. Il medico curante Zannini e i chirurgi Morroni di Monselice e Sommariva di Este si trovarono concordi [106] nel giudicare grave lo stato dell'inferma. La famiglia richiese anche il parere del professor Vanzetti della regia Università di Padova, il quale opinò come gli altri, esprimendo chiaramente un giudizio infausto, avvalorato pure dal rilevante deperimento organico. Il padre del marito, nel secondo giorno della permanenza di Don Bosco a Esto, lo pregò di passare dalla sua casa. Il Beato accondiscese all'invito, Condotto alla presenza dell'ammalata, le domandò se avesse fiducia in Maria Ausiliatrice. Commossa, ella rispose di averne moltissima. Don Bosco le presentò quindi un'immagine di Maria Ausiliatrice, perchè se la riponesse sotto il guanciale e le fece recitare seco un'Avemmaria; dopo le impartì la benedizione e assicurandola che la Madonna le avrebbe ottenuta la grazia, si accomiatò. Infatti di lì a pochi giorni la signora tornava in mezzo a' suoi familiari sì perfettamente guarita da poter riprendere le sue, consuete occupazioni[72].

                Un vento furioso con pioggia torrenziale obbligò Don Bosco a prolungare di un giorno la sua permanenza nel collegio, impedendogli di mettersi in viaggio per andare a riverire il vescovo di Padova, come aveva stabilito. Potè così tenere una conferenza ai Cooperatori salesiani estensi. Parlò in un salone dell'istituto dinanzi a un uditorio numeroso di ecclesiastici, dì nobili signori e signore. Alla fine si entrò in cappella per la benedizione, nè alcuno volle andar via senz'aver baciato la mano a Don Bosco, ricevuta una speciale benedizione o udita una parola di conforto. Tanti gli baciavano il mantello o la vesto.

                Fin qui le conferenze salesiane erano state preparate e fatte sempre da Don Bosco stesso: come a Este, così a Roma due volto, a Torino, a Marsiglia, a Nizza, ad Alassio, a Lucca; allora ecco una relazione a stampa con la data del 25 marzo informarlo che i Cooperatori di Modena, radunatisi nelle forme stabilite, avevano tenuto la loro conferenza nella [107] chiesa della Beata Vergine del Paradiso. Il fatto è degno di memoria, per essere stata la prima volta che in un gran centro i Cooperatori facessero da sè; la qual cosa denota chiaramente quanto fosse ben avviata l'organizzazione in quella città; non bisogna dunque passarvi sopra di sfuggita.

                L'arcivescovo monsignor Giuseppe Maria Guidelli dei conti Guidi, cooperatore Salesiano da parecchi anni, vi si fece rappresentare dal suo vicario generale monsignor Prospero Curti il priore, di Sant'Agnese Don Enrico Adami fu l'oratore designato. Descritti i pericoli nuovi che correva la gioventù, additò in Don Bosco l'uomo suscitato da Dio a salvarmela per mezzo della Congregazione Salesiana, di cui tessè brevemente la storia; disse poi dei Cooperatori Salesiani, che cosa fossero e che cosa facessero, e sciolse una difficoltà. Mancavano forse a Modena istituzioni giovanili di carattere popolare? Vi faceva forse difetto lo zelo dei privati in aiuto del clero? A che dunque una nuova unione? Rispose: “La Pia Società dei Cooperatori Salesiani non fa se non proporvi di unirvi in santa lega per rendere più efficace l'opera vostra, offrirvi spirituali vantaggi in ricompensa delle vostre fatiche, pregarvi a procacciare sempre più il bene dei giovanetti ed invogliare altri a darvi mano per sostenere, promuovere e favorire con tutte le forze, le istituzioni educative che noi abbiamo nella nostra città”. Un caldo invito rivolse infine al cuore degli astanti, perchè portasse ognuno la sua pietra, ma, sull'esempio di Don Bosco, unendo le forze e operando uniti. Un telegramma del cardinal Nina annunziò la benedizione del Papa a quella “prima adunanza, diceva, di Cooperatori Salesiani”.

                Tutto questo piacque a Don Bosco; ma meritò un suo encomio speciale quello che si leggeva in fondo alla relazione, perchè ispirato da giusta comprensione dello spirito che deve animare i Cooperatori Salesiani. “Si parteciparono poi agli astanti le cariche, cioè che come Superiore sarebbesi, conforme al Regolamento, riguardato sempre Don Bosco, e con assenso [108] di Lui e dell'Ordinario come Presidente della Sezione modenese l'Ill.mo e Rev.mo Mons. Severino Roncati, il quale nominava a Vicepresidenti il M. R. P. Curato di S. Pietro e il M. R. Sig. Priore di S. Barnaba, a Segretario l'Ecc.mo Sig. Dott. Luigi Marchiò e a Cassiere l'Ecc.mo Sig. Marchese Dott. D. Giulio Campori. Il segretario lesse ancora un'appendice al Regolamento dei Cooperatori riguardante questa Sezione modenese, e si discusse brevemente sul modo con cui la medesima si sarebbe adoprata alla cristiana educazione della gioventù, e fu approvato che ogni anno almeno una volta si manderebbe in conformità al Regolamento un'offerta al Superiore di Torino a vantaggio delle case e delle missioni della Congregazione Salesiana, che i soci attivi si presterebbero ad insegnar la Dottrina Cristiana alle Parrocchie e all'Oratorio che colla cassa della Società si sarebbe aiutata l'Unione dei Figli di Maria, la Biblioteca gratuita popolare per la gioventù, divertimenti festivi, e la sala di convegno e intanto per raccoglier danaro si sarebbe promossa una lotteria, ad ogni seduta si sarebbe fatta una colletta e i soci benefattori avrebbero versato almeno 25 centesimi mensilmente”. Si pose termine con l'Iste Confessor e con la benedizione mediante la reliquia di san Francesco di Sales, che insieme con l'immagine del Santo stava esposta sull'altare.

                A tarda sera, dopo la cena, Don Bosco partì pel Padova. Là il vescovo monsignor Manfredini, con i suoi ottantasei anni, stette alzato per dargli il benvenuto e offrirgli l'ospitalità nel palazzo. La mattina seguente andò con Don Bonetti e Don Berto a celebrare nella cattedrale. In città fece visita soltanto alla contessa Da Rio. Alle undici di notte giungeva a Milano, prendendo albergo in casa del suo grande amico avvocato Comaschi. In quel giorno 5 aprile erano tornati a Valdocco dal loro viaggio in Sicilia e per l'Italia Don Cagliero e Don Durando.

                Nei quattro giorni che stette a Milano, consolò diverse persone inferme, recando loro la benedizione di Maria Ausiliatrice [109]. Il giovane Bonola, già allievo del collegio Valsalice, caduto dal tram, erasi fracassata una gamba e aveva dovuto sottoporsi all'amputazione. Allora versava in pericolo di vita. Don Bosco lo benedisse e gli diede una medaglia della Madonna, e tosto il malato prese a sentirsi meglio e la durò così fino al dimani sera, quando ricominciò a peggiorare[73].

                Portatosi dal Parroco dell'Incoronata, Don Usuelli, non lo trovò, perchè assente; ma ne trovò la domestica, che da quattro anni era impossibilitata a muoversi senza chi la reggesse. Benedetta e invitata a rizzarsi in piedi senza l'aiuto di alcuno, la donna obbedì,? comandata di andare in cucina, vi andò, gongolante di gioia.

                Don Bosco tornò il giorno seguente da Don Usuelli, che gli fece vedere tutto il suo collegio, sempre con la speranza che egli ne' assumesse la direzione, principiando dalla categoria degli artigiani. L'Arcivescovo, che fu cordialissimo col Servo di Dio e tirò avanti per due ore a discorrere con lui, vedeva bene l'andata dei Salesiani nella sua città. -Almeno, disse, avrò qui vicino degli amici! - Ma egli avrebbe preferito che si pensasse subito agli studenti. Così opinava pure Don Bosco; ma gli artigiani dovevano fare da paravento agli studenti di fronte alle autorità scolastiche, troppo arcigne con le scuole private. Fu stabilito che alla fine di maggio si [110] sarebbe firmato l'atto; ma altro è dire, altro è fare. Don Usuelli era uomo indeciso; venuto il tempo di conchiudere, egli continuava a voler trattare. Onde pulitamente gli si fece intendere che bisognava omai deporre il pensiero di avere colà i Salesiani.

                Milano era l'ultima tappa. La notizia che il 9 a sera Don Bosco avrebbe rimesso piede nell'Oratorio, riempì di allegrezza tutta la casa. Non lo vedevano da tre mesi e mezzo. Quel giorno, dopo l'ufficio delle tenebre (era il mercoledì santo), l'impazienza generale la vinse su tutto che non fosse far preparativi o contare i minuti. Don Bosco arrivò all'ora di cena. Le grida dei giovani soffocavano le note della banda. Le due lunghe e dense file che al passaggio dovevano fargli ala, in un attimo si disordinarono, nè fu possibile contenere l'impeto, con cui tutti irruppero su Don Bosco e si assieparono intorno a lui. Avevano un bel agitarsi, Don Lazzero, Don Cagliero e Don Barberis! Ci volle una mezz'ora almeno perch'egli potesse attraversare il cortile, salire in camera e subito scendere in refettorio. Allora sottentrò quel senso di quiete che regna in una famiglia, allorchè si sa di avere nel proprio seno il padre. E questo scambio di affettuosi sentimenti che legano i figli al padre, vibrò in due momenti speciali, di mistico silenzio uno e di animazione gioconda l'altro. Il giovedì santo, sull'imbrunire, Don Bosco nella chiesa di Maria Ausiliatrice, davanti all'intera comunità, fece la lavanda dei piedi, una scena che, sebbene si rinnovasse ogni anno, pure ogni volta sembrava nuova e inteneriva soavemente i cuori. Indi nella domenica di Pasqua un trattenimento accademico, allestito con cura per festeggiare il sospirato ritorno, procurò a tutti fra canti, suoni e declamazioni un'ora della più schietta esultanza.

                Il Beato, per le condizioni della sua vista, non potè augurare con lettera la buona Pasqua ai benefattori; tuttavia troviamo che dettò al segretario il seguente scritto per il cavalier Fava: [111]

 

                Carissimo Sig. Cavaliere,

 

                Giungo da Roma e mi fo premura di comunicarle che il Santo Padre rinnova una speciale benedizione sopra di Lei, la signora consorte e sopra la loro bambina. Dio li conservi tutti in buona salute.

                Gradisca eziandio l'augurio di Buone Feste e i sentimenti di gratitudine con cui ho l'onore di professarmi.

                Di V. S. carissima

                Torino, 10 Aprile 1879.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                A quello che non poteva fare il Beato, supplì Don Rua, con una circolare d'invito all'accademia. Detto ivi che i giovani “desiderosi di festeggiare il felice ritorno del Sig. Don Giov. Bosco, loro amatissimo Rettore” avrebbero dato nella solennità di Pasqua un trattenimento letterario e musicale, approfittava dell'occasione “per augurare cordialmente da parte di tutta la famiglia” dell'Oratorio “ogni benedizione per le imminenti feste Pasquali”.

                Perdurava nell'Oratorio la consuetudine di non deliberare mai cosa alcuna di qualche importanza senza parlarne prima con Don Bosco o senza scrivergliene. Aspettandosi allora di giorno in giorno il suo arrivo, non poche deliberazioni stavano in sospeso; onde, appena giunto dal suo lungo e operoso viaggio, egli si trovò in mezzo ad altri molteplici affari. Diciamone quel poco che ci fu dato di conoscere.

                E anzitutto circa l'andamento della casa. Da Don Lazzero e da Don Barberis s'informò dei giovani e dei chierici; se vi fossero ammalati, chi avesse commesso notevoli mancanze, quali spiccassero per bontà, come si procedesse nel lavoro e nello studio. Il Direttore dell'Oratorio gli fece i nomi di tre giovani che nuocevano ai compagni con la loro cattiva condotta e gli chiese licenza di rimandarli a casa loro, secondochè era sembrato opportuno. Don Bosco domandò se fossero tra i grandicelli o tra i piccoli; udito che appartenevano alle classi superiori nè avevano mai dato speranza di riuscita, gli disse di eseguire immediatamente la sua sentenza. D'ordinario [112] egli sperava molto nel ravvedimento degli allievi più giovani e nei casi in cui, sebbene ci fosse una mancanza grave, come sarebbe stata una risposta arrogante o una disubbidienza pubblica, nondimeno restava quella un fatto isolato nel tenore di una condotta complessiva niente buona. Quando invece un giovane viveva da tempo nell'Oratorio e benchè non cattivo, pure si mostrava sempre tiepido e indifferente, allora non ne sperava gran che e permetteva che si prendessero sul conto suo le deliberazioni giudicate più a proposito.

                Anche il Maestro dei novizi aveva i suoi due casi, per la cui soluzione attendeva i lumi di Don Bosco. C'era nel noviziato un suddiacono francese, già professo Certosino, accettato sii raccomandazione del Superiore Generale della Gran Certosa di Grenoble: pio, pronto a riconoscere i suoi torti e abile a molte cose, aveva per altro un'indole alquanto focosa, che durante l'assenza di Don Bosco gli era stata causa di due violente sfuriate e suon di man con elle. Persuaso che a motivo di queste malefatte dovesse venir mandato via, si presentò da sè a chiedere di far le valige e andarsene; ma si amò meglio aspettare Don Bosco. Il Servo di Dio, udita la relazione, volle che si soprassedesse, caso mai la buona volontà finisse con pigliare il sopravvento. Tanta longanimità faceva a volte stupire; ma egli seguiva in questo l'insegnamento del divin Maestro, che non si soffochi il lucignolo fumigante. Non transigeva, no, qualora ci fosse di mezzo lo scandalo; ma quanto ai chierici che avessero mediocre condotta, purchè non si prevedessero ragionevolmente cattive riuscite, pazientava. Così fece pure con un chierico di Lucca, il quale, lui assente, aveva dato seri motivi di lagnanze, sebbene in fondo in fondo non ci fosse proprio da disperare. Quella volta anzi espresse un suo modo di vedere sui soggetti di condotta mediocre. - Costoro, disse, si tengano. Di mediocri ve ne saranno sempre in qualunque Congregazione religiosa e in qualunque comunità. Se per rigore immoderato si volesse tagliar fuori ogni mediocrità, temo che diverrebbero [113] mediocri alcuni dei buoni, perchè sembra essere nell'ordine della Divina Provvidenza che la perfezione non sia di questo mondo, almeno nei più.

                Chi aveva maggior bisogno di rivedere presto Don Bosco era Don Rua, tesoriere dell'Oratorio, ma purchè s'intenda per tesoriere uno che amministra, sì, ma ben sovente anche senza tesoro. La cronaca riproduce un gustoso dialoghetto svoltosi una delle prime sere fra loro alla presenza di Don Lemoyne, di Don Barberis e di qualche altro prete della casa. Don Bosco disse a Don Rua: - Senti, Don Rua; tutti domandano danaro, e mi dicono che li mansi via a mani vuote.

                - Questo avviene, rispose Don Rua, per un semplice motivo: le casse sono vuote.

                - Si vendano quelle cartelle che ci rimangono, e così si farà fronte ai più pressanti bisogni.

                - Qualcuna si è già venduta; ma vendere ancora quel poco non mi sembra conveniente, perchè di giorno in giorno capitano casi gravi ed impreveduti, e non avremmo poi un soldo da poterne disporre.

                - E pazienza, il Signore allora provvederà; ma intanto soddisfacciamo a quei debiti che sono più pressanti.

                - Su quel poco danaro che tengo, ho già fatto i mie conti. Lo raduno per pagare Ila quindici giorni un debito di ventotto mila lire che scade; per questo appunto da alcuni giorni tutto il danaro che arriva lo metto in serbo per quella scadenza.

                - Ma no: questa è una follia... lasciare insoluti i debiti che potremmo pagare oggi, per mettere da parte la somma che si deve pagare da qui a quindici giorni...

                - Ma per i debiti d'oggi si possono differire i pagamenti; allora invece come faremo, dovendo pagare una somma così grossa?

                Allora il Signore provvederà. Incominciamo a disfarci oggi di quanto dobbiamo... E' un chiudere la via alla Divina [114] Provvidenza il voler mettere in serbo danaro per i bisogni futuri.

                - Ma la prudenza suggerisce di pensare all'avvenire. Non abbiamo visto in altre occasioni simili, fra quali impacci noi ci siam trovati? Fummo costretti a fare un secondo debito per pagare il primo. E questa è la via che mena diritto al fallimento.

                - Ascoltami. Se vuoi che la Divina Provvidenza si prenda cura diretta di noi, va' in tua camera, domani metti fuori quanto hai, si soddisfino tutti quelli che si possono soddisfare, e ciò che accadrà in seguito, lasciamolo nelle mani del Signore. - Quindi, parlando a tutti i presenti, continuò: - Non mi è possibile trovare un economo che interamente mi secondi, che sappia cioè confidare in modo illimitato nella Divina Provvidenza e non cerchi di ammassare qualche cosa per provvedere al futuro. Io temo che, se ci troviamo così allo stretto di finanze, sia perchè si vogliono fare troppi calcoli. Quando in queste cose entra l'uomo, Dio si ritira.

                Da tanta fiducia nella Provvidenza divina egli non disgiungeva le industrie dell'umana solerzia per la ricerca dei mezzi materiali; perciò una delle prime cose che fece appena tornato fu di adoprarsi, perchè la fonte tuttora aperta della lotteria gettasse con qualche copia. Onde ristampò la circolare del io gennaio, diramando con essa biglietti in quantità e mandandone pacchi ai Cooperatori, affinchè ne curassero la diffusione. Poi volle che, ad evitare facili sperperi pecuniari, si studiasse come costituire in casa un centro unico, da cui partissero tutte le deliberazioni concernenti spese. Prima, tutto si accentrava in Don Bosco; poi, quand'egli non potè più badare a tante cose disparate, provvedevano ai vari bisogni urgenti i singoli membri del Capitolo Superiore, secondochè ne venivano scoprendo, e indipendentemente l'uno dall'altro. Ma questo sistema danneggiava l'economia domestica. -Le cose, disse Don Bosco, andavano avanti alla buona; ma in affari d'importanza il dire che si va avanti alla [115] buona è quanto dire che si va avanti male. - Allora Don Leveratto prefetto dell'Oratorio, presentò un progetto per ben organizzare gli uffici e le dipendenze reciproche, sicchè ogni cosa facesse capo a chi avrebbe dovuto dar moto a tutto. Don Bosco disse di eleggere una commissione, a cui commettere l'incarico di esaminare quel progetto, e la commissione risultò composta di Don Rua, Don Lazzero, Don Sala e Don Leveratto.

                Un'altra via per ristorare alquanto le finanze esauste fu di riprendere le sue visite a famiglie buone e facoltose, sempre disposte ad aiutarlo. Per lo più insinuava bellamente nel discorso l'argomento delle opere di carità, che attirano le benedizioni del Signore sulle case generose nel beneficare il prossimo, e ne apportava esempi; essere la limosina mezzo sicuro per ottenere da Dio le grazie desiderate; tra le opere da soccorrersi esservi l'Oratorio, posto sotto la protezione speciale di Maria Ausiliatrice, la quale con molti fatti dimostrava quanto gradisse di vedere beneficati i giovanetti. Don Barberis, testimonio auricolare, dice che egli faceva questi discorsi pacatamente, parlando di altre persone e rappresentando al vivo con novità di aspetti l'importanza di una castità corporale che abbia per ultimo fine quella Spirituale, sicchè si amava di udirlo continuare su questo tema.

                Tornato di fresco da Roma era spesso interrogato sulle cose di là. Le notizie di Roma in quegli anni di transizione dai vecchi ai nuovi ordinamenti politici appassionavano i fedeli al Papa, che nell'aristocrazia piemontese contavansi numerosi; si badava non tanto alle notizie che correvano sii per i giornali, quanto a quelle che si trasmettevano di bocca in bocca per vie confidenziali e che si stimavano più rispondenti al vero. Avveniva quindi che Don Bosco, creduto molto addentro alle segrete cose, fosse dopo i suoi ritorni da Roma avidamente interrogato e talora con domande un po' imbarazzanti. Ciò accadde, per esempio, in casa De Maistre. Recatosi egli con Don Barberis a Borgo Cornalense per visitare [116] la duchessa di Montmorency e il conte Eugenio, che ivi si trovava con i suoi figli venuti in famiglia per le vacanze pasquali, ecco che s'intavolò un ragionamento di questo ,genere. La Duchessa e il Conte avevano parole di fuoco sulle condizioni fatte dall'Italia al Papa e alla religione; Don Bosco, al contrario, lasciando che i suoi interlocutori si accendessero, faceva calmo e tranquillo le sue osservazioni. Tanta pacatezza diede un po' sui nervi alla gentildonna che gli chiese come mai potesse mantenersi così freddo in una questione così vitale

                - Veda, rispose; che vale rimpiangere tanto i mali? E’ meglio che ci adoperiamo con tutte le nostre forze ad alleviarli. E poi questa gente che ora governa, ha molto bisogno della nostra compassione: sono troppo seri i conti che aprono con Dio.

                I rapporti dei due inviati, che n'avevano di poco preceduto il ritorno a Valdocco, gli furono causa di grande consolazione; essi mostravansi lieti d'aver compiuto in breve tempo un lungo viaggio, d'aver visitati molti luoghi e trattati molti affari. Noi ne riparleremo più innanzi. Notevoli sono due lunghe lettere di Don Cagliero dalla Sicilia. Ad Acireale, a Catania e a Randazzo furono ben sorpresi nel vedere come Vescovi e clero conoscessero bene Don Bosco e la Congregazione e quanta fiducia riponessero nell'opera dei Salesiani a vantaggio della gioventù maschile e femminile. Uno dei riflessi che più influirono sull'animo dei due negoziatori e li disposero a interpretare con qualche larghezza le istruzioni avute da Don Bosco fu questo, che i Salesiani erano “la prima Congregazione chiamata a riedificare nell'isola sulle rovine spaventose degli Ordini religiosi distrutti e dispersi nell'ultima soppressione”[74].

                Uno de' primi pensieri di Don Bosco subito dopo il ritorno fu per Marsiglia. Dal 5 aprile trovavasi a San Leone Don Angelo [117] Savio, mandatovi appositamente per dirigere i lavori della nuova fabbrica e rendere abitabile la casa novellamente acquistata. Non bastando all'uopo le oblazioni dei Marsigliesi, egli invocava da Torino aiuti pecuniari. Ora Don Bosco aveva colà un vecchio condiscicele di Chieri, già suo intimo amico, quell'Annibale Strambio da Pinerolo, del quale egli parla nel primo de' suoi scritti che sia giunto fino a noi[75]; allora console generale italiano nella città, non avrebbe egli potuto porgergli una mano per ottenere da Roma un buon sussidio? Gliene scrisse dunque, pregandolo vivamente di pigliarsi a petto la cosa. Data la natura della sua richiesta, non deve fare specie che Don Bosco s'indugi alquanto a magnificare i vantaggi che agl'immigrati dall'Italia avrebbe arrecati l'opera Salesiana.

 

                Eccellenza,

 

                Prego V. E. a prendere in benevola considerazione un fatto di cui Ella ha certamente esatta notizia. In varie occasioni a motivo di affari privati ho percorso il littorale del Mediterraneo da Ventimiglia a Marsiglia ed ho dovuto con grande rincrescimento osservare una moltitudine di giovanetti appartenenti a famiglie italiane in un doloroso abbandono. Alcuni perchè rimasti orfani di genitori, altri perchè sono dai medesimi trascurati, in generale si danno al vagabondaggio, quindi vanno a finire nei riformatorii, o se ritornano in patria abituati al mal fare, per lo più sono condotti in luoghi di reclusione. Ad unico fine di provvedere almeno in parte a questi giovanetti, ho procurato di attivare un Patronato pei poveri fanciulli nella città di Nizza Marittima, una colonia agricola alla Navarra presso Frejus ed un'altra a S. Cyr presso Tolone. Ma la città di Marsiglia era degna di particolare attenzione. Come è ben noto alla E. V. in questa città e dintorni sonvi non meno di 80.000 italiani. che lasciano un'immensa moltitudine di ragazzi in balìa di se stessi. A fine di dare qualche provvedimento a questi sfortunati giovanetti d'accordo colla E. V. e coll'appoggio della carità di lei e di altri cittadini, si aprì l'ospizio di artigianelli in cotesta città via Beaujour n. g. Ma appena aperto rimase tosto pieno di poveri fanciulli, e presentemente vi sono già circa So artigianelli con altrettanti che vengono a scuola come esterni. In vista del crescente bisogno e del grande vantaggio che si può procacciare a questi miseri patrioti venne intrapreso l'ingrandimento della [118] casa attuale per renderla capace almeno di alcune centinaia dì fanciulli, Si diè tosto mano ai lavori che progrediscono alacremente, e la spesa non è inferiore ai 100.000 franchi.

                Pel passato si appoggiò tutto alla carità cittadina, ma presentemente le spese di manutenzione dell'edificio, di vitto e vestito pei già ricoverati e per condurre a termine il cominciato edificio mancano assolutamente i mezzi necessarii. Egli è per condurre avanti quest'opera benefica che io mi rivolgo alla E. V. affinchè si degni di venirci in aiuto con quei mezzi che sono in suo potere. La supplico pertanto di volere informare il Governo italiano e far buoni uffici presso al medesimo, perchè venga in appoggio per condurre a termine quest'opera destinata alla classe più bisognosa e pericolante della civile società.

                E' vero che questi istituti non sono esclusivamente per gli Italiani e ciò, come ella ben sa, per evitare le suscettibilità nazionali, ma il fatto è che tornano, si può dire, quasi ad esclusivo vantaggio dei medesimi. - Esposto così il fatto, invoco rispettosamente, ma caldamente la sua autorità presso il Governo italiano, affinchè mi presti il sussidio indispensabile per sostenere gli istituti incominciati, terminare le ampliazioni e provvedersi del voluto suppellettile.

                Con tale piena fiducia mi reco ad onore di potermi professare con gratitudine e stima

                Della E. V.

 

                Torino, 15 Aprile 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una lieta notizia venne a rallegrare in quegli stessi giorni il Servo di Dio; monsignor Gaetano Alimonda, che incontrammo così benevolo verso di lui ad Alassio, era stato promosso all'onore della Porpora. Belle prove d'affetto il grande Prelato aveva già date a Don Bosco; ma le più belle di tutte erano riserbate a quando la vita del Beato volgesse al tramonto[76].

 

 

CAPO VI. Il Beato Don Bosco nel centro del suo regno.

 

                Se il regno della carità fu il regno di Don Bosco, l'Oratorio di Valdocco era la sua reggia. Qui infatti egli fissò la sua dimora come in luogo di predilezione; qui per molti anni resse personalmente la casa; di qui irradiava la sua azione benefica, allargando ognor più gli orizzonti del proprio apostolato nel mondo. Ma questo dilatarsi della sua attività portò per conseguenza che egli si dovesse ritrarre a poco a poco dal regime interno, costituendo di mano in mano cariche e uffici responsabili per il disbrigo degli affari domestici, e noi siamo arrivati ora al punto in cui l'Oratorio riceve la sua autonomia amministrativa sotto l'alta direzione di Don Bosco.

                La commissione della quale si è detto nel capo antecedente, non lavorò invano; le sue conclusioni più importanti vennero approvate, adottate e applicate. Erano le seguenti: un solo amministratore stesse a capo del movimento economico, professionale e commerciale della Casa Madre, e questo amministratore fosse il prefetto dell'Oratorio: a lui quindi spettasse la diretta vigilanza e il controllo della tipografia, della libreria e dei laboratori: l'Economo generale non ci avesse più nulla a vedere , se non in quanto l'Oratorio era una casa come tutte le altre; il Direttore fosse investito dei poteri ordinari che avevano tutti i Direttori; essere bene che egli [120] mettesse Don Bosco a parte di molte cose, desiderando il Servo di Dio che si procedesse in tutto d'intelligenza con lui, ma il Direttore non fosse legato da intromissioni dei membri del Capitolo Superiore: egli decidesse di lutti gli affari principali della casa, a lui in modo specialissimo spettassero tutte le accettazioni; il sottoprefetto degli esterni, che teneva. l'ufficio presso la porteria, ne fosse quale segretario e aiutante, nulla facendo senza di lui, e il cómpito suo consistesse in dare informazioni sull'Oratorio ai tanti che ne venivano a chiedere, fare le prime pratiche per le accettazioni dei giovani, esaminandone carte e requisiti, ma riserbandosi sempre dì parlarne col Direttore: presentandoglisi per essere accettato qualcuno privo delle condizioni richieste dal Regolamento, ma raccomandato da un Vescovo o da un'autorità civile influente, come per esempio dal Prefetto di Torino, che allora appunto raccomandava un fanciullo di appena otto anni, rimettesse senz'altro ogni pratica al Direttore, il quale accorderebbe qualsiasi eccezione, pur di non offendere chi stava in alto: in tali casi, essendovi difetto di età, mandare i ragazzi a Lanzo o altrove, benchè si trattasse di accettazioni gratuite; il sottoprefetto dunque della porteria agisse solo subordinatamente nelle sue registrazioni e nella tenuta dei libri e sempre a tenore del Regolamento; condoni o riduzioni di retta, sollecitare i saldi, accettare o espellere giovani, fossero cose dipendenti interamente dalla volontà del Direttore. In modo analogo si doveva procedere nelle case ispettoriali: l'Ispettore avesse l'alta sorveglianza di tutte le case dell'Ispettoria e tenesse le relazioni ufficiali col Capitolo Superiore conforme alle Regole, ma non s'immischiasse nell'ordinaria amministrazione locale. Il nuovo ordinamento dell'Oratorio fu accentuato dalla circostanza, che il Capitolo Superiore si separò anche di abitazione dal resto della casa. Prima i Capitolari tenevano l'ufficio nelle sale della direzione; allora si presero un appartamento intero nel secondo piano dell'edifizio centrale accanto alla chiesa di San Francesco, dove ognuno [121] disponeva di due camere; ivi pure venne trasferito il loro refettorio, che fino allora avevano avuto in comune coi professi al pian terreno.

                Una cosa Don Bosco non dismise mai nell'Oratorio, il ministero delle confessioni. Moltissimi, quanti più potevano, sì confessavano da lui. Negli esercizi spirituali degli studenti, sul finir di aprile, sebbene vi fosse copia di confessori estranei, pure confessò tanto e tanti, che una sera dalla stanchezza non aveva più voglia di cenare, e il braccio destro a forza di star curvo sul gomito all'inginocchiatoio e d'impartire assoluzioni gli si era talmente intormentito, che, provatosi quattro volte a stringere il cucchiaio con la mano destra, non vi riuscì, ma lo dovette prendere con la sinistra. In tempo relativamente breve egli spicciava gran numero di penitenti, perchè era piuttosto sbrigativo negli ammonimenti[77]. Per renderci ragione dell'effetto prodotto dagli stringati suoi consigli, bisogna tener conto anche dell'unzione con cui li dava e che tutti decantano coloro che ne fecero l'esperienza.

                A popolargli di giovani il confessionale contribuiva non poco l'opinione ch'ei leggesse nelle coscienze; che se non sempre, nè il più delle volte e nemmeno di frequente ciò avveniva, il semplice dubbio della possibilità aveva pure la sua forza a moltiplicargli i piccoli clienti. Il fatto però continuava a ripetersi di tempo in tempo e non tutto rimaneva tutte le volte segreto. Un giorno del 1879 il Servo di Dio, attorniato nel cortile da una ventina di giovani che un dopo l'altro gli baciavano la mano, ne fermò d'improvviso uno e in disparte dai compagni gli fece vedere la propria destra solcata da una profonda graffiatura rossastra. - Vedi quello che hai fatto? - gli disse. Il giovane, dato uno sguardo alla graffiatura, istintivamente si osservò le unghie, che proprio quella mattina si era tagliate. Don Bosco lo fissava e i loro [122] sguardi s'intesero presto senza parlare. Era una ferita nella carne viva. Quel giovane, di condotta buona, aveva udito discorsi poco morigerati, cedendo poi a una tentazione. Andò la mattina dopo a confessarsi da Don Bosco, persuasissimo elle il Servo di Dio sapesse tutto; e difatti così fu. Pieno di meraviglia e assai pentito, schivò da quel punto ogni pericolo, concepì un orrore sempre più forte per il peccato e divenuto sacerdote, si dichiarava pronto a confermare con giuramento la verità della cosa, avergli cioè Don Bosco letto distintamente nella coscienza.

                Il mal d'occhi persisteva ostinato a dargli fastidio. Chi temeva la cateratta, chi dubitava non esservi più rimedio alla graduale cecità; il dottor Reynaud, oftalmico assai stimato, disse chiaro e netto che non c'era più da sperare. Per altro Don Bosco veniva facendo una sua cura, della quale aveva fatto cenno a Don Berto nell'andare da Firenze a Bologna. Il 31 marzo, quando stavano per arrivare a Pistoia, il Beato raccontò al segretario che alcune notti addietro una misteriosa signora gli era apparsa nel sonno, tenendo in mano la boccetta di un liquore verdescuro e gli aveva detto: - Ecco, se vuoi guarire del suo mal d'occhi, prendi tutte le mattine un po' di questo sugo di cicoria per cinquanta giorni, e ti passerà. - Don Bosco, giunto a Torino, si dimenticò del sogno, come pure se ne dimenticò Don Berto. Ma sul principio di maggio, una sera, nel refettorio, presenti Don Rua e Don Berto, interrogò a bruciapelo Don Lago, l'ex-farmacista: - Dimmi, Don Lago, il sugo di cicoria fa bene agli occhi?

                - E' uno dei medicamenti consigliati, rispose quegli.

                - Ebbene, preparamene un poco.

                Don Lago obbedì coli la massima sollecitudine. Fin dalle prime volte che prese di quella medicina, il Beato avvertì un miglioramento. Il 22 maggio disse che i suoi occhi miglioravano in modo sensibile. Trascorsi i cinquanta giorni, sebbene egli facesse continuo uso della vista scrivendo di giorno [123] e di sera, il male, notevolmente diminuito, rimase stazionario; il che non impedì però che di lì a un par d'anni dall'occhio sinistro non ci vedesse più[78].

                Checchè sia di questo sogno, il Beato un altro ne ebbe dei soliti, che raccontò il 9 maggio. Assistette in esso alle lotte accanite che si sarebbero dovute affrontare dai chiamati alla Congregazione, ricevendo una serie di utili avvisi per tutti i suoi ed alcuni salutari consigli per l'avvenire.

 

                Grande e lunga battaglia di giovanetti contro guerrieri di vario aspetto, diverse forme, con armi strane. In fine rimasero pochissimi superstiti.

                Altra più accanita ed orribile battaglia avvenne tra mostri di forma gigantesca contro ad uomini di alta statura bene armati e bene esercitati. Essi avevano uno stendardo assai alto e largo, nel centro del quale stavano dipinte in oro queste parole: Maria Auxilium Christianorum. La pugna fu lunga e sanguinosa. Ma quelli che seguivano lo stendardo, furono come invulnerabili e rimasero padroni di una vastissima pianura. A costoro si congiunsero i giovanetti superstiti alla antecedente battaglia e tra tutti formarono una specie d'esercito aventi ognuno per arma nella destra il Santissimo Crocifisso, nella sinistra un piccolo stendardo di Maria Ausiliatrice modellato come si è detto sopra.

                I novelli soldati fecero molte manovre in quella vasta pianura, poi si divisero e partirono gli uni all'Oriente, alcuni pochi al Nord, molti al Mezzodì.

                Scomparsi questi, si rinnovarono le stesse battaglie, le stesse manovre e partenze per le stesse direzioni.

                Ho conosciuto alcuni delle prime zuffe: quelli che seguirono erano a me sconosciuti: ma essi davano a divedere che conoscevano me e mi facevano molte domande.

                Succedette poco dopo una pioggia di fiammelle splendenti Che sembravano di fuoco di vario colore. Tuonò e poi si rasserenò il cielo e mi trovai in un giardino amenissimo. Un uomo che aveva la fisionomia. di S. Francesco di Sales, mi offrì un libretto senza dirmi parola. Chiesi chi fosse. - Leggi nel libro - rispose.

                Aprii il libro, ma stentava a leggere. Potei però rilevare queste precise parole:

                Ai Novizi: - Ubbidienza in ogni cosa. Coll'ubbidienza meriteranno le benedizioni del Signore e la benevolenza degli uomini. Colla diligenza combatteranno e vinceranno le insidie degli spirituali nemici. [124]

                Ai professi: - Custodire gelosamente la virtù della castità. Amare il buon nome dei confratelli e promuovere il decoro della Congregazione.

                Ai Direttori: - Ogni cura, ogni fatica per osservare e far osservare le regole con cui ognuno si è consecrato a Dio.

                Al Superiore: - Olocausto assoluto per guadagnare sè e i suoi soggetti a Dio.

                Molte altre cose erano stampate in quel libro, ma non potei più leggere, perchè la carta apparve azzurra come l'inchiostro.

                - Chi siete voi? - ho di nuovo dimandato a quell'uomo, che con sereno sguardo mi stava rimirando.

                - Il mio nome è noto a tutti i buoni e sono mandato per comunicarti alcune cose future.

             - Quali?

             - Quelle esposte e quelle che chiederai.

             - Che debbo fare per promuovere le vocazioni?

            - I Salesiani avranno molte vocazioni colla loro esemplare condotta, trattando con somma carità gli allievi, ed insistendo sulla frequente Comunione.

                - Che devesi osservare nell'accettazione dei novizi?

                - Escludere i pigri ed i golosi.

                - Nell'accettare ai voti?

                - Vegliare se avvi garanzia sulla castità.

                - Come si potrà meglio conservare il buono spirito nelle nostre case?

                - Scrivere, visitare, ricevere e trattare con benevolenza; e ciò con molta frequenza da parte dei Superiori.

                - Come dobbiamo regolarci nelle Missioni?

                - Mandare individui sicuri nella moralità; richiamare coloro che ne lasciassero travedere grave dubbio; studiare e coltivare le vocazioni indigene.

                - Cammina bene la nostra Congregazione?

                - Qui iustus est justificetur adhuc. Non progredi est regredi. Qui perseveraverit, salvus erit.

                - Si dilaterà molto?

                - Finchè i Superiori faranno la parte loro, crescerà e niuno potrà arrestarne la propagazione.

                - Durerà molto tempo?

                - La Congregazione vostra durerà fino a che i soci ameranno il lavoro e la temperanza. Mancando una di queste due colonne, il vostro edifizio ruina schiacciando Superiori ed inferiori e i loro seguaci.

                In quel momento apparvero quattro individui portanti una bara mortuaria. Camminavano verso di me.

                - Per chi è questo? - io dissi.

                - Per te! [125]

                 - Presto?

                - Non dimandarlo: pensa solo che sei mortale.

                - Che cosa mi volete significare con questa bara?

                - Che devi far praticare in vita quello che desideri che i tuoi figli debbano praticare dopo di te. Questa è l'eredità, il testamento che devi lasciare ai tuoi figli; ma devi prepararlo e lasciarlo ben compiuto e ben praticato.

                - Ci sovrastano fiori o spine?

                - Sovrastano molte rose, molte consolazioni, ma sono imminenti spine pungentissime che cagioneranno in tutti profondissima amarezza e cordoglio. Bisogna pregare molto.

                - A Roma dobbiamo andare?

                - Si, ma adagio, con la massima prudenza e con raffinate cautele. Sarà imminente il fine della mia vita mortale?

                - Non ti curare di questo. Hai le regole, hai i libri, fa' quello che insegni agli altri. Vigila.

                Volevo fare altre domande, ma scoppiò cupo il tuono con lampi e fulmini, mentre alcuni uomini, o dirò meglio orridi mostri, si avventarono contro di me per isbranarmi. In quell'istante una tetra oscurità mi tolse la vista di tutto. Mi credevo morto e mi son posto a gridare come frenetico. Mi svegliai e mi trovai ancor vivo, ed erano le quattro e tre quarti del mattino.

                Se c'è qualche cosa che possa essere vantaggioso, accettiamolo.

                In ogni cosa poi sia onore e gloria a Dio per tutti i secoli dei secoli.

 

                Sull'argomento della vocazione ritornò nel mese di giugno, indirizzando un'importante lettera agli alunni del ginnasio superiore di Borgo San Martino.

 

                Ai miei amati figli di 4ª  e 5ª  ginnasiale di Borgo S. Martino,

 

                Prima d'ora avrei desiderato di rispondere ad alcune letterine scrittemi dal caro vostro Professore e da parecchi di voi. Non potendo ciò fare a ciascuno in particolare, scrivo una lettera per tutti riserbandomi di parlate a ciascuno privatamente nella prossima festa di S. Luigi.

                Ritenete adunque che in questo inondo gli uomini devono camminare per la via del Cielo in uno dei due stati: Ecclesiastico o secolare. Per lo stato secolare ciascuno deve scegliere quegli studi, quegli impieghi quelle professioni, che gli permettono l'adempimento dei doveri del buon cristiano e che sono dì gradimento a' proprii genitori. Per lo stato ecclesiastico poi, si devono seguire le norme stabilite dal nostro Divin Salvatore: Rinunziare alle agiatezze, alla gloria del mondo, ai godimenti della terra per darsi al servizio di Dio e così vie meglio assicurarsi i gaudii del cielo, che non avranno più fine. [126] Nel fare questa scelta ciascuno ascolti il parere del proprio Confessore e poi senza badare nè a Superiori nè ad inferiori, nè a parenti nè ad amici risolva quello che gli facilita la strada della salvezza e lo consoli al punto della morte. Quel giovanetto che entra nello stato ecclesiastico con questa intenzione, egli ha morale certezza di fare gran bene all'anima propria ed all'anima del prossimo.

                Nello stato ecclesiastico inoltre Vi sono molte diramazioni che devono tutte partire da un punto e tendere al medesimo centro che è Dio. Prete nel secolo, prete nella religione, prete nelle missioni estere sono i tre campi in cui gli evangelici operai sono chiamati a lavorare ed a promuovere la gloria di Dio. Ognuno può scegliere quello che gli sta più a cuore. più adattato alle sue forze fisiche e morali, prendendo consiglio da persona pia, dotta e prudente. A questo punto io dovrei sciogliervi molte difficoltà che si riferiscono al mondo, che vorrebbe tutta la gioventù al suo servizio, mentre Dio la vorrebbe tutta per sè Tuttavia procurerò verbalmente di rispondere, o meglio spiegare le difficoltà che a ciascuno possono occorrere nel prendere qualcuna di queste importanti deliberazioni.

                La base poi della vita felice di un giovanetto è la frequente comunione e leggere ogni sabato la preghiera a Maria SS. sulla scelta dello stato, come sta descritta nel Giovane Provveduto.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con voi tutti e vi conceda il prezioso dono della perseveranza nel bene. lo vi raccomanderò ogni giorno al Signore e voi pregate anche per me che vi sarò sempre in G. C.

                Torino, 17 Giugno 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                In su quel principiare di maggio Don Bosco potè vedere una volta di più quali buoni frutti producesse la sua carità evangelica verso gli uomini traviati dalla politica. Il senatore cagliaritano Giovanni Siotto-Pintòr, magistrato di vaglia, militava nelle file del più acceso liberalismo; ancora nel 1871 aveva dato alla luce un suo libro riboccante di anticlericalismo ereticale[79]. Ma nel 1879, “tribolato d'anima e di corpo”[80], mise il cervello a partito e si ripresentò a Don Bosco per pregarlo di ottenergli una speciale benedizione [127] dal Santo Padre. Don Bosco scrisse a Roma e ottenne. Quest'atto di bontà da parte del Papa lo indusse a riandare le opinioni da lui messe innanzi, in libri di vario argomento, intorno alla costituzione della Chiesa e a' suoi reggitori, e le riprovò. Tornò pertanto all'Oratorio il 4 maggio in compagnia del professor Allievo della regia Università di Torino per ringraziare cordialmente il Beato e, visitata minutamente la casa, partì con l'animo pieno di soddisfazione. Da allora in poi, cioè fino al 24 gennaio del 1882 quando morì, diede prove di vero affetto al Servo di Dio, come vedremo.

                Quattro particolarità segnalarono in quel maggio la novena di Maria Ausiliatrice: tiri pellegrinaggio, due conferenze e fra l'una e l'altra di queste un'abiura.

                Duecento Francesi vennero a chiudere in Torino il loro pellegrinaggio di Roma. Si rinnovò nell'Oratorio la scena del 1877. La sera del 15, primo giorno della novena, appena arrivati, entrarono nel santuario , dove presero parte coi giovani e coi fedeli alle pie pratiche mariane, udirono nella loro lingua infocate parole di monsignor Stanislao Schiapparelli, canonico del Corpus Domini, e si riversarono nell'Istituto, accolti a suon di banda, incontrati da Don Bosco e serviti di un rinfresco dai soci della Gioventù Cattolica torinese con a capo il conte Balbo. Il ricevimento si fece sotto i portici parati a festa, in mezzo alla folla dei giovani e degli esterni plaudenti. Parecchi si levarono a parlare; per Don Bosco parlò il conte Cays. Ultimo si avanzò il padre Picard, secondo Superiore Generale degli Assunzionisti. Con facondia e affetto egli rese grazie. a tutti, disse belle cose del Papa e poi, ritornando su gli encomi tributati da precedenti oratori ai pellegrini, li rivolse a Don Bosco esclamando: Voici le roi des Pèlerins! E spiegò: -Don Bosco non solo si può dire in continuo pellegrinaggio per le frequenti visite che fa alle sue case d'Italia e di Francia; ma, moltiplicando se stesso, là dove non gli è dato di recarsi in persona, spedisce i suoi figli. E noi vediamo questi suoi pellegrini andare per il mondo e, [128] attraversato l'Oceano, penetrare sino alle inospiti regioni della Pampa e della Patagonia. Ora io chiudo il mio discorso col fare due voti a nome anche de' miei compagni. Fo voto ardente che l'Opera dei Pellegrinaggi si sostenga, aumenti, si dilati. Molte e venerande memorie, preziose reliquie, taumaturghi santuari sono seminati pure nella nostra Francia. Perciò invito la Società torinese della Gioventù Cattolica a promuovere i pellegrinaggi anche sulla nostra terra. Noi vi, attendiamo, o fratelli, a Parigi, in quella Parigi che, sebbene sia detta la moderna Babilonia, pure come l'antica racchiude nel suo seno zelanti segnaci del vero Dio, adoratori coraggiosi di Gesù Cristo, figli devotissimi di Maria. Si, colà noi vi attendiamo per darvi un qualche contraccambio della carità e gentilezza, con cui ci trattate qui in questa vostra divota Torino. Il secondo voto qual è? Oh! voglia il Cielo far sì che presto uno stuolo di Salesiani, capitanati da Don Bosco, venga ad impiantare nella nostra Parigi un ospizio emulo di questo. Dal canto nostro noi gli prepareremo la strada con la parola e con la preghiera. - Uscirono dall'Oratorio a notte avanzata, dirigendosi in gruppi agli alberghi, dove li guidavano i soci della Gioventù Cattolica[81]. In una corrispondenza del 16 maggio da Torino all'Univers di Parigi si chiamava “ammirabile festa”l'accoglienza fatta ai pellegrini “nell'Oratorio di D. Bosco”.

                Esistono alcuni documenti, da cui risulta quale impressione quei buoni cattolici riportarono della loro visita all'Oratorio; sono tre lettere, delle quali due furono scritte l'anno dopo e la terza nel 1883. Un signore di Bordeaux e un sacerdote di Lille, ringraziando il Beato di averli inscritti fra i Cooperatori salesiani, ricordano con effusione l'incontro del 15 maggio. Il primo dice a Don Bosco: “Non ho dimenticato la fraterna e affettuosa accoglienza fattaci dalla stia benedetta casa di Torino e serbo la più dolce rimembranza della [129] sera deliziosa trascorsa in mezzo a' suoi cari giovani e ai loro amatissimi Superiori. Non ho parole per ringraziare il Signore della grazia concessami di godere per alcuni felici istanti della presenza del suo grati servo, il quale ha fatto tante belle cose per la stia gloria”. E il prete scrive: “Pellegrino da Roma, vidi e ammirai le opere magnifiche da Dio per mezzo di Lei compiute e liti sento onoratissimo di essere annoverato fra i Cooperatori Salesiani”. Nella terza lettera la viscontessa De Lagrégeolière, nata De Beauregard, rammentandogli d'aver raccomandato allora alle sue preghiere un patronage che le stava molto a cuore, ma che incontrava difficoltà e ostacoli, ora gli fa sapere che da quel punto le cose hanno pigliato una buona piega[82].

                Nel caloroso voto finale dell'abate Picard vibra l'eco dell'aspettazione che si aveva dei Salesiani a Parigi; altri echi di cose francesi a noi già note si ripercuotono in questa lettera di Don Bosco al parroco di Sali Giuseppe.

 

                Carissimo Sig. Curato,

 

                Nello scorso inverno Ella mi lasciò qualche speranza di una sua visita  alla festa di Maria Ausiliatrice. Avremo questo piacere? Noi tutti la aspettiamo di cuore. Sa che Mons. Vescovo di Marsiglia o quello di Fréjus effettuino il loro pellegrinaggio a Roma con probabilità che vengano a farei una breve visita?

                Ho sovente notizie del nostro Oratorio; amerei però di conoscere che cosa Ella osservi in bene o mediocre o male. Ella sa che ho piena fiducia in Lei e desidero di seguire i suoi prudenti consigli. Ancora un mese e mezzo  e poi si compie l'anno dacchè abbiamo cominciata la nostra pia impresa, e vorrei che a quell'epoca se ne vedesse già la consolidazione almeno in qualche cosa.

La casa di Auteuil presenta troppe difficoltà per noi; perciò seguendo il suo consiglio me ne sono definitivamente svincolato. Mi fanno altre proposte da Parigi, ma per ora non vengo ad alcuna conclusione. Navarra e S. Cyr sono in questo momento oggetto di organizzazione. Per andare però a S. Cyr non abbiamo ancora alcun documento nelle mani; ciò sarebbe necessario per metterci al possesso. Tuttavia nella prossima settimana cominceranno andarvi alcuni nostri [130] preti per mettersi in grado di esaminare e cominciare le cose di maggior premura.

                Se ha occasione di parlare coi Signori della Società Beaujour, favorisca dir loro che sabato faremo all'altare di Maria Ausiliatrice delle preghiere particolari, perchè Dio conservi tutti in buona sanità essi e le loro famiglie. Le offro gli omaggi di tutti i Salesiani, prego Dio che La conservi ed Ella mi raccomandi al Signore, mentre con gran piacere posso professarmi con vera stima ed affezione

 

                Torino, 20 Maggio 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Alla prima delle due conferenze che dicevamo poc'anzi, convennero i Cooperatori Salesiani, non in gran numero purtroppo, una quarantina in tutto, a motivo del pessimo tempo. Il discorso di Don Bosco si svolse sopra uno schema che sostanzialmente era sempre il medesimo: nuove fondazioni dell'anno in Italia, in Francia e nell'America la parte avuta dai Cooperatori; invito a proseguire nella cooperazione. Raccomandò specialmente la chiesa e l'Ospizio di Sali Giovanni Evangelista, mostrandone il benefico scopo.

                Nel di dell'Ascensione poi vi fu l'abiura di un valdese. Il giovanetto Coucourda era stato dai genitori cattolici collocato in un istituto dei Valdesi presso Ventimiglia. D'ingegno svegliato, progrediva rapidamente negli studi, bevendo insieme all'istruzione profana il veleno dell'eresia, talchè i ministri protestanti si ripromettevano da lui grandi cose. Ma egli, portato dalla sua naturale riflessione, cominciò col crescere dell'età a provare forti dubbi, nati e alimentati dall'udire le tante invettive e ingiurie che abitualmente si scagliavano là entro contro la Chiesa cattolica e contro la Madre di Dio. Un giorno, trovandosi egli a conversazione col direttore, con la moglie di costui e con alcuni maestri e compagni, il discorso cadde sulla verginità della Madonna. Per un po' lasciò che dicessero; ma alla fine osservò: - Voi mi sostenete che Maria non fu vergine; ma allora perchè nel Simbolo degli Apostoli ci fate dire che Gesù Cristo nacque da Maria Vergine? - Uno [131] scapaccione, che egli mandò a vuoto, fu la risposta della signora. - Oh, questa non è una ragione, - aveva esclamato, scansando il colpo. Diceva benissimo; infatti i suoi dubbi aumentarono a segno che già ruminava di rendersi cattolico. Ma come sottrarsi agli artigli de' suoi istitutori? e poi dove trovar ricovero? I genitori erano morti, nè aveva parenti che non fossero eretici. La Provvidenza gli porse aiuto. Un buon cattolico, avuto sentore del suo stato d'animo, gli agevolò l'uscita e lo consegnò a Don Bosco. Toccava i quindici anni. Fu istruito per bene e la sera del 22 maggio prima della funzione solita fece pubblicamente l'abiura e ricevette il battesimo sub conditione nel santuario di Maria Ausiliatrice gremito di popolo. Compiè la cerimonia monsignor Tammi, vicario generale di Piacenza, che in quei giorni era ospite dell'Oratorio; fungevano da padrino e da madrina il marchese Scarampi e la marchesa Fassati. Al neofito venne imposto il nome di Leone, in ossequio al regnante Pontefice. Monsignor Belasio montò quindi in pulpito e dal fatto prese lo spunto per celebrare in quella solennità le glorie dell'apostolato cattolico dal dì dell'Ascensione giù giù fino all'attività apostolica dei Salesiani: doppio ordine di idee che appresso sviluppò più largamente, formandone un volumetto per le Letture Cattoliche, e dedicandolo alle due nobili persone testè mentovate a perpetua memoria del rito compiuto[83].

                I Valdesi non portarono in pace, lo smacco sofferto. Il pastore evangelico e il direttore dell'asilo Valdese che aveva dato per cinque anni ospitalità al giovane, pubblicarono un libercolo, in cui asserivano che i superiori della casa di Maria Ausiliatrice, approfittando della sua miseria, l'avevano pervertito come avevano pur tentato di fare con tre altri del medesimo ospizio. Inoltre i protestanti nel loro periodico Le Témoin si scagliarono contro il convertito con un'acrimonia [132] e con villanie tali da disgradarne le ciane, quando montano in furia. Leone in una lettera aperta, che Don Bonetti l'aveva aiutato a preparare, rimise le cose a posto[84].

                Una novità fu la conferenza per le Cooperatrici salesiane, tenutasi alta vigilia della solennità di Maria Ausiliatrice. Se ne adunarono duecento, con il cerimoniale consueto, tranne che, invece di illi tratto della vita dì Sali Francesco, si lessero due capi sulla Salita di Chantal, cioè la Tragico fine dello sposo e l'eroica pazienza della vedova, dedicatasi per tutto il rimanente de' suoi giorni al servizio dì Dio e alle opere di carità. Anche a loro parlò Don Bosco. Esordì narrando com'egli da principio nello stabilire l'Associazione dei Cooperatori avesse in mente elle vi prendessero parte soli uomini; ma che Pio IX di moto proprio aveva voluto estendere i celesti favori anche alle donne, aggiungendo di sua mano nel decreto di concessione le parole: “A tutti i fedeli dell'uno e dell'altro sesso, omnibus utriusque sexus Christi fidelibus

                In seguito diede notizia di quello che, mercè l'aiuto delle Cooperatrici, facevano le Suore sotto l'alta direzione dei Salesiani a pro delle fanciulle, scendendo a minuti particolari. Accennati in fine i grandi pericoli, a cui stanno esposte le povere giovanette nei nostri paesi e, specialmente nell'America le esortò a soccorrere Salesiani e Suore per estendere sempre più a vantaggio di quelle i benefizi dell'istruzione e dell'educazione cristiana. Ma con quali mezzi potevano le Cooperatrici prestare la loro cooperazione?

 

                Eccone alcuni, disse Don Bosco. Anzitutto fatevi uno studio di in stillare in bel modo l'amore della virtù e l'orrore del vizio nel cuore dei fanciulli e  delle fanciulle delle vostre famiglie, vicini, parenti, conoscenti ed amici. Se mai venite a conoscere che qualche giovanetta inesperta corre pericolo dell'onestà, voi datevi sollecitudine di allontanarnela e strapparla per tempo dagli artigli dei lupi rapaci. Quando aveste, o sapeste che qualche famiglia ha giovanetti, o giovanette da mettere in educazione o al lavoro, aprite bene gli occhi e fate, suggerite, consigliate, esortate che sieno collocati in collegi, in educatorii, [133] in botteghe, in laboratori, dove con la scienza e con l'arte s'insegna anche il timor di Dio e dove sono in fiore i buoni costumi. Fate penetrare nelle vostre case libri e fogli cattolici, e dopo averli fatti leggere in famiglia, fateli correre nelle mani di quanti più potete, regalandoli come per premio ai ragazzi e alle ragazze più assidui al Catechismo. Soprattutto poi quando venite a conoscere elle qualche giovinetta non si può altrimenti salvare dai pericoli se non collocandola in qualche ritiro, voi datevi premura di mettervela al sicuro.

                Ma quelli elle maggiormente vi raccomando, sono i giovanetti di buona indole, amanti delle pratiche di pietà, e che lasciano qualche speranza di essere chiamati allo stato ecclesiastico. Sì, rispettabili Signore, prendetevi a cuore queste speranze della Chiesa; fate il possibile e, direi, persino l'impossibile per coltivare in quei teneri cuori e far germogliare il prezioso seme della vocazione; indirizzateli in qualche luogo dove possano compiere i loro studi, e se sono poverelli, aiutateli anche con quei mezzi elle la divina Provvidenza vi ha posti nelle mani e che la vostra pietà e l'amore delle anime vi sapranno suggerire. Voi fortunate, se potrete riuscire a dare qualche sacerdote alla Chiesa in questi tempi, nei quali scarseggiano talmente i sacri ministri, che in alcuni paesi della stessa nostra Italia nei giorni festivi non si dice neanco più messa, nè si compiono le funzioni religiose per mancanza di sacerdoti. Dio, gli Angeli, la Religione, le anime vi sapranno grado di un'opera così esimia, e voi ne avrete fin di quaggiù il centuplo nelle benedizioni elle ne riceverete in premio da Dio, oltre alla bella corona elle egli vi tiene riserbata in cielo.

                Ma qui qualcuna di voi potrebbe dire: - Per fare questo bene sono necessarie spese, e io non mi trovo in grado di farne. - Rispondo brevemente che una donna pia, amante di Dio, della Chiesa, delle anime sa industriarsi a fine di poter concorrere in qualche modo alle opere di carità; io so che voi lo fate, e me ne date prova ogni giorno. Ma lasciate che io lamenti, anzi lamentiamo insieme una grande cecità di molte persone dei giorni nostri. Esse trovano sempre il mezzo d'intraprendere un viaggio di piacere; il modo di provvedersi un ricco abbigliamento, di fare una bella comparsa in una festa; il mezzo di comperare non una, ma due e più coppie di superbi cavalli e magnifiche carrozze; ma se si tratta poi di fare una limosina, un'offerta per innalzare od abbellire la casa di Dio, per fabbricare un rifugio all'orfano e al derelitto, per provvedere vitto e vestito a un povero ragazzo, per dare alla Chiesa un sacerdote di più, oh! allora ecco in pronto le mille scuse: hanno spese, hanno impegni, hanno qui, hanno là, e finiscono per fare poco o nulla a pro della Religione e a sollievo delle umane miserie.

                Tempo fa un cotale diede in Torino una soirée; chi me ne parlò, la disse stupenda, magnifica, regale. - Quanto avrà costato? - dimandai io - Costò settantamila lire. - Settantamila lire in una [134] veglia! Oh cecità umana! Con settantamila lire si sarebbero potuti raccogliere settanta giovanetti, farli studiare, e forse regalare alla Chiesa settanta sacerdoti, che col divino aiuto avrebbero col tempo guadagnato a Dio migliaia di anime. E badate che quel signore poche settimane prima era stato pregato che volesse pagare per tre mesi la pensione a un povero giovane da ricoverarsi in mi istituto, e vi si era rifiutato! Certamente Iddio a suo tempo domanderà conto a colui di quella serata; ma intanto voi vedete come si faccia oggidì per rendersi inabili alle opere di beneficenza.

                Quello che dico dello spreco dei doni di Dio in grande, si dica di molti altri di minor rilievo, ma che ripetuti sbilanciano nondimeno le famiglie e le rendono incapaci a sostenere le istituzioni, le opere più utili per la Religione e per la società.

                Benemerite Cooperatrici, io non intendo di mettervi scrupoli e insegnare che non sia lecito vivere secondo il vostro stato, secondo la condizione vostra; voglio solamente dire ed inculcare che. non lasciate entrar nel vostro cuore e nelle vostre case la gran piaga, il gran flagello del lusso nè in grande nè in piccolo. Allora sì, voi sarete in grado sempre di concorrere anche materialmente alle opere di beneficenza, a tergere con mano pietosa le lacrime di tante povere famiglie, a salvare tanti giovanetti raccolti nei nostri istituti, mantenuti dalla vostra carità...

 

                E’ verissimo che le Cooperatrici concorrevano efficacemente alle opere di carità intraprese da Don Bosco; prove numerose lo dimostrano. Ogni novella casa, come in antico l'Oratorio, trovava in qualche buona signora la stia madre affettuosa che le porgeva assistenza; ecco infatti il caso recente della signora Jacques per l'oratorio di San Leone a Marsiglia. Nè queste pie benefattrici limitavano le loro sollecitudini alla casa vicina, ma le estendevano anche alla Casa Madre. Si hanno di questa bontà materna documenti toccanti, che bisogna tramandare ai posteri. Si è fatta più volte menzione della Signora Susanna, come la chiamavano i confratelli di Varazze. Nativa di Celle e sposata e abitante in Albissola, quanto non fece per quella casa fin dalle origini! Essa godeva tanta influenza a Genova presso le autorità civili, che talora impedì atti di ostilità già preparati contro il suo prediletto collegio. Or ecco una sua lettera a Don Rua nell'approssimarsi della festa di Maria Ausiliatrice. [135]

 

                Stimatissimo S. D. Rua, carissimo come Prediletto nipote,

 

                Domani mattina con la prima corsa elle parte dal Capo d'Albissola per San Pier d'Arena mi procurerò la gratissima soddisfazione di far spedire all'indirizzo di V. S. un cesto di frutta per il carissimo, portentoso, benefico sig. D. Bosco, loro amoroso Papà. Troverà nel fondo del cesto un involto con 4 fazzoletti; 3 di tela battista che costano lire 10 ognuno, l'altro con il ricamo del mio nome. Io non voglio usarli, nè lasciarli. D. Bosco prelodato li impiegherà bene. Sono nuovi, non me ne sono mai servita. Spero troveranno dolci le pesche e gli aranci che mi hanno mandati ieri da Finale; e buoni i pomi carli che mi è riuscito di conservare per queste consolanti loro feste.

                Facciano la carità di ricordarsi di me e pregare Maria -SS. che mi ottenga una buona e santa morte.

                Il sig. Angelo Riello, prete della Missione nel nobile Collegio di Savona, mi ha scritto che non gli hanno spedito il Bollettino di questo mese di maggio. Io gli ho mandato il mio. Loro raccomando, di non dimenticarlo: è uno dei migliori cooperatori per le prime spedizioni dei loro Missionarii. Mi raccolse più di una somma che diedi a Don Bosco.

                A Lui, a V. S., a D. Cagliero, a D. Durando, a D. Lazzero, al Rev.do Pechenino presento i miei più affettuosi rispetti e mi rinnovo di V. S. stimatissima

 

                22 Maggio 1879.

 

Dev.ma obbl.ma serva come Nonna

SUSANNA PRATO Vedova SAETTONE[85].

 

                L'annuale solennità fu molto disturbata dal cattivo tempo: da mane a sera piovve a dirotto. Nullameno la piena del popolo durò tutto il giorno alla chiesa. Con il permesso dell'Ordinario pontificò monsignor Garga, ausiliare del Vescovo di Novara. Alla vigilia vi aveva celebrato pontificalmente, con il permesso dell'Ordinario, monsignor Berengo, trasferito dodici giorni prima dalla sede Vescovile di Adria a quella di Mantova. Due frasi cadute dalla penna al Beato nello scrivere a Don Bologna dicono tutta la sua contentezza per l'esito della festa.

 

                Mio caro D. Bologna,

 

                Ti mando qui alcune lettere, cui completando indirizzo colla busta le manderai a destinazione. [136] Se tu sarai da tanto di condur teco il Sig. Curato di S. Giuseppe per la festa di S. Gio. sarà proprio una solennità di prima classe. Digli che la sua lettera ultima va benissimo; di tutto gli scriverò.

                A Madame Jacques, che si faccia coraggio nella stia sanità: le Suore si preparano e saranno all'ordine a semplice richiesta.. Che spettacolo la festa di M. A.! più di 6 mila comunioni nel solo giorno della festa.

                Vale el Valedic.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                L'abate Guiol noti venne per San Giovanni. La ricorrenza onomastica riportò ai figli la bramata occasione di dire al Padre il loro affetto coli lettere private[86], con doni collettivi[87] C Con manifestazioni pubbliche. L'inno di Don Lemoyne, musicato dal giovane maestro Dogliani, rappresentava drammaticamente le quattro Ispettorie testè istituite e cantava le quattro principali Opere di Don Bosco, cioè la pia Società Salesiana, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l'opera dei Figli di Maria e la pia Unione dei Cooperatori. Il festeggiato nell'ultima parlata che rivolse al pubblico fece vibrare di entusiasmo i cuori dei giovani e dei forestieri, annunziando con accento commosso di aver ricevuto quella mattina una lettera da Don Costamagna elle dal mezzo della Pampa gli dava buone nuove sull'evangelizzazione degli infedeli. Dalla serenità di Don Bosco chi mai avrebbe potuto lontanamente immaginare elle alla vigilia di si bel giorno un delegato di pubblica sicurezza gli aveva recato il decreto di chiusura delle sue scuole?

                La musica di Dogliani era piaciuta moltissimo. Per l'effetto il maestro aveva saputo trarre partito e dalla geniale varietà dell'inno che importava una fantastica messa in scena e da ottime voci di cui disponeva.. Anche il pubblico esterno [137] aveva gustato assai la composizione. Venuta l'ora della cena, Dogliani, com'era suo ufficio, servì alla mensa dei Superiori, che stavano ancora nel refettorio comune. Uscita poi la comunità e  finito di sparecchiare, egli si avvicinò a Don Bosco e gli baciò la mano per andarsene .. Ma Don Bosco, tenendogli stretta la destra, gli disse di fermarsi. Arrivava il caffè per Don Bosco: segno che il capo gli doleva forte. C'erano due tazze. - Ecco, Dogliani, gli disse, prendi anche tu il caffè!

                - Dogliani guardava a Don Cagliero lì presente come per dire che a Don Cagliero, non a lui spettava quell'onore. Don Bosco Versò e gli porse; egli bevve e ringraziatolo di cuore uscì. Ancora oggi il ricordo della bontà che vide accompagnare quell'atto, lo intenerisce.

                Per la festa il barone Héraud di Nizza Marittima aveva mandato a Don Bosco dei confetti che servirono a onorare la mensa in quel giorno, e li aveva accompagnati pure con una generosa offerta. Il Beato affettuosamente lo ringraziò.

 

                Car.mo Sig. Barone,

 

                Suo Sig. Fratello o meglio suo grande amico Felice Barone Amaud va a Nizza ed io ne approfitto per darle nostre notizie. La nota pratica è sempre data per compiuta, ma non ricevo mai l'ultima conclusione. Vedremo[88].

                I suoi confetti furono eccellenti e ho verificato che la dolcezza e la bontà del donatore vennero infuse in quella dei doni che fecero ottima e maestosa comparsa a mensa.

                Come l'e scrissi, i suoi f. 1000 furono ricevuti e tosto spesi; e furono spesi pel Sacerdote Fagnano Gius. che al principio di agosto partirà da Buenos Aires e si recherà a fondare la prima parrocchia nel Paraguay d'ordine del S. Padre.

                Altre cose altra volta. Sono nei pasticci. Ho molto bisogno di sue preghiere.

                Dio benedica Lei la sig. Baronessa, e li conservi ambidue in buona salute.

Mi creda con gratitudine e stima grande

                Di V. S. Car.ma

                Torino, 19-7-79.

 

Obbl.mo aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [138]

 

                Nell'Oratorio si era sperato di avere per San Giovanni l'avvocato Comaschi di Milano, la cui venerazione per Don Bosco è nota ai lettori. Non avendolo veduto comparire, il Beato si diè premura di scrivergli.

 

                               Car.mo Sig. Cavaliere,

 

                Nei giorni passati credeva di riceverla tra noi ad ogni momento, secondo la lettera che mi aveva scritto, ma finora niente. Sarà forse malato o qualche disturbo in famiglia? Non lo voglio supporre e prego Dio che non sia.

                Ad ogni modo Ella sa che noi siamo tutti suoi e perciò venendo qui tra noi viene a casa sua.

                Dio la benedica e con Lei benedica la sua famiglia, e mi voglia sempre credere con gratitudine

                Di V. S. car.ma

                Torino, 29-6-79.

 

Aff.mo Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Parte degli apparati che avevano messo a festa l'Oratorio in questa lieta circostanza, servi per fare onore a monsignor Gerlando Maria Genuardi, primo vescovo di Acireale. Don Cagliero e Don Durando nel loro viaggio per la Sicilia erano stati da lui accolti “con rara finezza e bontà”. Egli, radunato il suo clero nell'episcopio, li aveva presentati solennemente al senato della diocesi, elogiando col cuore alla mano Don Bosco e i Salesiani, dei quali si diceva “confratello”[89]. Don Bosco ci teneva a farlo pontificare nella chiesa di Maria Ausiliatrice per il giorno di San Pietro; ma l'Ordinario pose condizioni tali che equivalevano a un rifiuto, sicchè Monsignore, nonchè pontificare, non potè nemmeno assistere pontificalmente alla messa solenne.

                Come si vede, il succedersi di ospiti illustri nell'Oratorio non finiva mai, ed è sempre bello conoscere le impressioni che ne riportavano. Alle testimonianze già recate altrove ne aggiungeremo una pervenuta a Don Bosco sulla fine di maggio. Il [139] Padre Leonardo Maria Guerra dei Minimi gli scriveva: “Ricordo sempre con gioia e gratitudine quei giorni che per la bontà della S. V. Rev.ma passai così bene in cotesto ostello vero tipo di virtù e di ospitalità la più caritatevole e cortese. Tornando dalla mia missione dell'Africa Algerina, io aveva veramente bisogno di riposo e per la sua gran carità trovai anche da edificarmi e raccogliermi nello Spirito”.

                In relazione con la festa di Don Bosco era il tradizionale ricevimento agli ex-allievi; l'invito si faceva in quell'occasione, ma ordinariamente l'adunanza si teneva nelle ultime settimane dell'anno scolastico. Nel 1879 fu scelto il 17 agosto, All'agape fraterna sedevano più di sessanta, che, affratellati senza distinzione di grado, di casta o di merito, inneggiavano tutti egualmente a Don Bosco. Nei loro brindisi chi ritesseva la storia dei primi tempi, chi magnificava i progressi raggiunti, chi divinava il futuro, chi rievocava episodi del Beato. il buon Padre con parole dettategli dal cuore ringraziò Iddio d'avergli data la consolazione di vedersi circondato da quella corona de' suoi più anziani discepoli, che esortò a perseverare nel bene, invitandoli a rinnovare per almeno cent'anni si care riunioni. E' un fatto che gli ex-allievi di Don Bosco ritornavano con gaudio a rivedere l'Oratorio e all'Oratorio con gaudio ripensavano. “Per me dico il vero, scriveva uno dei lontani a un suo compagno[90]: fu realmente una bella fortuna l'aver passata parte della mia gioventù sotto la tutela di Don Bosco nell'Oratorio […]. Nell'Oratorio vi ha un non so che di speciale, una maniera d'educare la gioventù tutto affatto propria, che non si trova in altri collegi, i quali non sieno sotto la tutela del gran Don Bosco”.

                Alla dimane dell'onomastico ebbe termine un concorso che pendeva da due anni e del quale Don Bosco fu pars [140] magna. L'occasione di esso venne dall'Unità Cattolica. Nel 1877 questo giornale, chiudendo un concorso a premio per un libro sii San Giuseppe, faceva voti che se ne aprisse tosto un altro simile per un libro sopra Sali Pietro. Monsignor Pietro Ceccarelli, il parroco di San Nicolas nell'Argentina, trovandosi allora in Torino al seguito del suo Arcivescovo, lesse l'articolo e ricordando d'aver celebrato la sua prima Messa nel centenario del Principe degli Apostoli, del quale anche portava il nome, aderì alla proposta. Offerse dunque un premio di lire mille a chi avesse scritto in forma semplice e popolare il miglior libro sopra San Pietro; la semplicità però e la popolarità non dovevano essere tali da non permettere che entrassero o nel corpo dell'opera o in apposite appendici due trattazioni, una sulla venuta di San Pietro a Roma e l'altra sull'infallibilità pontificia. Monsignore rimise la cosa nelle mani del teologo Margotti, direttore del giornale suddetto, ma a patto che venisse incaricato Don Bosco di nominare e presiedere una Commissione di competenti Salesiani per l'esame dei lavori. Le modalità dovevano essere quelle consuete in questo genere di concorsi: motti di riconoscimento sui manoscritti, nomi degli autori in buste suggellate, apertura delle buste dopo fatta la designazione del vincitore.

                Poco dopo ecco un buon cattolico di Mantova, rimasto sempre anonimo, fare al suo Vescovo una proposta analoga per un libro sii San Paolo, consegnandogli la medesima somma da assegnarsi al miglior concorrente. Il Vescovo, che era a giorno della proposta precedente, si rivolse egli pure al Margotti, perchè volesse unire i due concorsi, affidando anche il secondo alla Commissione che si sarebbe costituita a Torino. La cosa tornò di sommo gradimento al teologo, che ne divulgò sul suo foglio la notizia.

                I manoscritti noli tardarono molto a. giungere. Il termine utile per la presentazione spirava il 29 giugno 1878, secondochè erasi fissato. Don Bosco nominò la Commissione il I° agosto [141] di quell'anno[91], e si diede principio all'esame La data stabilita per la pubblicazione dei risultati scadeva il 18 gennaio 1879; ma il numero dei lavori pervenuti e la mole di alcuni richiesero maggior tempo; onde la Commissione deliberò di protrarre alquanto il suo giudizio definitivo, non però oltre il 29 giugno successivo.

                Per il concorso sopra San Paolo la Commissione ebbe a occuparsi di soli quattro manoscritti e a cose fatte si pronunziò sul lavoro del sacerdote Giacomo Murena, prete della Missione, piacentino di nascita e abitante a Ferrara.

                Per l'altro concorso invece ci volle più lungo spazio e all'ultimo non potè continuare a svolgersi tanto speditamente. I manoscritti erano dieci. La Commissione, dopo un accurato studio sopra ciascuno, deliberò di escludere anzitutto i lavori meno rispondenti al programma, riducendo così a tre soli quelli che giudicava i migliori. Qui l'esame comparativo sollevò difficoltà e dubbi, sicchè le opinioni si divisero. Don Bosco, accortosi quale fosse il manoscritto, a cui il favore della maggioranza inclinava, ordinò che si sospendesse il giudizio definitivo e che tutt'e tre si mandassero a monsignor Rota, non più vescovo di Mantova, ma arcivescovo [142] titolare di Cartagine prelato autorevolissimo per dignità di grado, per dottrina eminente e per virtù; a lui si rimettesse la sentenza. La Commissione adottò unanime quella misura, sacrificando il suo amor proprio al desiderio di ottenere scrupolosa giustizia, secondo il volere di Don Bosco.

                Monsignor Rota accettò l'arbitrato propostogli e il 13 maggio 1879 scrisse al segretario della Commissione: “Ho esaminato e, poco fidandomi del mio giudizio, ho fatto esaminare da persone competenti le tre Vite di San Pietro... Quella da scegliere è sembrata la scritta in cinque fascicoli e che porta per epigrafe: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam (MATTH., XVI, 18) ed il testo di Origene: Nec adversus Petram, super quam Christus Ecclesiam aedificavit, nec adversus Ecclesiam portae inferi praevalebunt (ORIG. in Matth.)...”. Gli esaminatori vescovili dal canto loro formularono così il loro parere: “A noi sommessamente sembra che l'autore della Vita di San Pietro dettata in cinque fascicoli, abbia raggiunto lo scopo del programma; la chiarezza, la semplicità, l'evidenza la faranno leggere volentieri e con frutto al popolo, a cui servizio doveva dettarsi”. Quindi, notate alcune mende di lingua e di stile, soggiungevano: “Del resto, non dubitiamo asserire che le gesta di San Pietro vi sono rappresentate nel modo che può tornare utile alla maggioranza dei leggitori appartenenti alla classe del popolo”. Con questo giudizio accettato dalla Commissione il premio fissato da monsignor Ceccarelli restava definitivamente attribuito all'autore del lavoro recante in fronte i due sopra indicati testi.

                La Commissione pertanto fu convocata il 25 giugno per procedete all'apertura delle schede che portavano le epigrafi corrispondenti ai due scritti su San Pietro e su San Paolo giudicati meritevoli del premio. Assisteva alla seduta anche il teologo Margotti, che fu pregato di aprire le schede. Aperta quella corrispondente ai due testi di San Matteo e di Origene, [143] trovò che portava il nome: SAC. GIOVANNI BOSCO. Non appena fatto noto questo risultato; Don Bosco si affrettò a dichiarare non essere stata sua intenzione di aspirare al premio; ma che, trattandosi di glorificare il Principe degli Apostoli, non aveva resistito al desiderio di concorrere a celebrarne le lodi. Con l'unire segretamente il suo lavoro a quelli affidati alla Commissione, aver egli avuto per fine di assicurarsi se il suo lavoro fosse per riuscire di quel maggiore vantaggio per il popolo, che era nelle viste del promotore di quel concorso. Dopo tale protesta, dichiarò che, declinando fin d'allora l'acquisto del premio, ne faceva cessione a quell'Opera e destinazione, che sarebbe più tardi indicata dallo stesso promotore monsignor Pìetro Ceccarelli[92].

                Le condizioni del concorso non esigevano lavori interamente inediti; perciò Don Bosco aveva semplicemente rimaneggiato la sua Vita di San Pietro uscita nel centenario dell'Apostolo, togliendo, aggiungendo, modificando[93]. Il libro non vide la luce che nel 1884[94].

                Parecchie volte si è affacciata in queste pagine la menzione della piccola Lotteria aperta verso il termine del 1878. La necessità di ricavarne il maggior utile possibile consigliò di tirare in lungo per l'estrazione, finchè vi fosse speranza di smerciare biglietti. Con la data del 24 maggio Don Bosco spedì una nuova circolare. E’ mirabile la costanza, con cui egli spingeva avanti un impegno, dopochè aveva creduto bene di addossarselo. [144]

 

                Caritatevole Signore,

 

                Mi trovo al termine di una piccola lotteria iniziata a favore de' miei poveri giovanetti di questo istituto e rimanendo inesitati un numero notabile di biglietti, mi prendo la libertà, a nome dei medesimi, di raccomandarne N. ... alla carità di V. S. B.

                Spero che li vorrà gradire; se però al 30 di giugno le rimanessero biglietti che Ella non giudicasse di ritenere può liberamente rimandarli.

                Iddio misericordioso che promette larga mercede per un bicchier d'acqua fresca data in suo onore, voglia copiosamente rimeritare l'opera sua benefica, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di professarmi.

                Di V. S. Benemerita

                Torino, 24 Maggio 1879.

 

Obb.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nel frattempo erano avvenute due cose. Essendosi dal Servo di Dio spediti biglietti anche in Francia, tanti Francesi avevano raddoppiato il benefizio col pagare il valsente e restituire i biglietti. Inoltre molti nuovi oggetti offerti nel corso della Lotteria avevano reso legittimo l'aumentare il numero dei biglietti in ragione dei valori aggiunti. Ora Don Bosco mandò in Francia una circolare, nella quale diceva essere egli venuto nel proposito di devolvere il profitto di tutti questi biglietti a vantaggio dei giovani raccolti negli oratori e nelle case di Nizza, Marsiglia, Navarra e Saint-Cyr, “che, dipendendo egualmente dai Salesiani, avevano egual diritto di godere i frutti della Lotteria”[95]. Fiducioso elle questa avrebbe incontrato favore in Francia come in Italia, inviò a persone determinate biglietti individuali o, pacchi da distribuire.

                Il Bollettino teneva a bada coloro elle primi avevano risposto all'appello di Don Bosco nella stia lettera del capo d'anno ai Cooperatori, insistendo sempre sulla propaganda e pregando di restituite i biglietti non smaltiti[96]. In un supplemento [145] al numero di agosto pubblicò l'elenco degli oggetti, che avevano raggiunto la bella cifra di 501 e la cui parte più cospicua era costituita dalla collezione dei dipinti avuti per via dell'eredità dal barone Bianco di Barbanìa. In vista di queste opere d'arte Don Bosco offriva biglietti anche a personaggi altolocati, come ai Sovrani d'Italia e al conte di Chambord. La casa reale ne ritenne cinquecento; invece il conte e la contessa di Chambord feceno esprimere il loro rammarico, perchè la necessità di soccorrere tante opere francesi togliesse loro il modo di largheggiare quanto avrebbero voluto per l'Oratorio di Torino. Tuttavia nel mese di ottobre, forse per effetto della circolare destinata alla Francia, il Conte fece tenere a Don Bosco la somma di cinquecento franchi, facendogli pure intendere com'ei desiderasse di coadiuvare le tante sue opere buone, e che, non avendo potuto accettare i biglietti della Lotteria, voleva pur dimostrargli la stima e venerazione che per lui nutriva, raccomandandosi in pari tempo caldamente alle sue preghiere[97]. Don Bosco poi distribuì biglietti quanti più potè a Cardinali e a Vescovi. Le loro numerose lettere di risposta sono tanti documenti della carità che animava l'Episcopato italiano, benchè ridotto dalla rivoluzione in gravi angustie finanziarie, e sono insieme prova tangibile della stima che i sacri Pastori nutrivano per Don Bosco; fra le altre ne son rimaste anche due dei Vescovi di Angouléme e di Grerioble. Cinque decine di biglietti erano stati acquistati dal gran Magistero dell'Ordine Mauriziano[98].

                Per aver maggiori mezzi con cui sostenere le case di Francia Don Bosco aveva escogitato anche di pubblicare sul Figaro di Parigi notizie dell'Opera sua: per tal via persone benefiche e disposte a soccorrere chi lavorava a bene della gioventù povera, ma non informate, o informate male delle istituzioni cattoliche, avrebbero saputo dove estendere la loro generosità. Il conte Cays fu incaricato di venirne a capo. [146] Questi ne interessò l'abate Paulin, che aveva conosciuto a Auteuil come aiutante maggiore dell'abate Roussel. Il redattore capo del giornale accolse favorevolmente la proposta di pubblicare qualche articolo; richiese però che gli si fornissero maggiori spiegazioni intorno alla natura della cosa. Avute le spiegazioni, il direttore rispose che l'obbligo di limitarsi a favorire istituzioni francesi per non abusare della carità e generosità dei lettori, metteva il giornale nell'impossibilità di raccomandarne altre[99]. Diremo qui, precorrendo gli anni, che, quando i primi Salesiani andarono a Menilmontant, un redattore del Figaro parlò a Don Bellamy di aprire una sottoscrizione, del cui provento il cinquanta per cento fosse per il giornale, ma Don Bellamy ricusò, dicendo che Don Bosco non usava ricorrere in quella forma alla carità del pubblico.

                L'estrazione della Lotteria fu fatta il 30 agosto. A chi aveva acquistato biglietti erasi risposto individualmente con uno stampato recante la firma di Don Bosco e così concepito: “Con animo altamente riconoscente il sottoscritto le accusa ricevuta dell'importo dei biglietti della Lotteria che V. S. Benemerita ebbe la bontà di ritenere e unitamente ai giovanetti beneficati le prega dal celeste Rimuneratore ogni benedizione”. Ma quando tutto fu terminato, Don Bosco stimò suo dovere indirizzare una lettera di ringraziamento a quanti l'avevano aiutato nell'impresa.

 

                Benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici,

 

                Come già vi fu annunziato, la Lotteria, che fin dal principio dell'anno corrente io raccomandava alla vostra carità, è felicemente terminata.

                Per la qual cosa io sento il dovere di ringraziarvi dell'aiuto che mi avete prestato per il suo buon esito, sia coll'inviare doni, sia col ricevere e smerciare biglietti, e colla presente ve ne ringrazio di tutto cuore.

                Era certamente impossibile che tutti quelli i quali vi presero parte, venissero favoriti dalla sorte; ma chi non vinse alcun premio, ha nondimeno [147] da consolarsi nel pensiero di avere colla sua limosina concorso ad un'opera buona; ha da consolarsi soprattutto nella speranza di riceverne da Dio il centuplo in questa vita e un premio imperituro nell'altra.

                Dal canto mio vi assicuro l'aiuto delle povere mie preghiere, e di tutte le persone che vivono nelle nostre case; soprattutto pregheranno per voi tanti poveri giovanetti, ai quali Iddio per mezzo vostro provvede vitto e vestito, mentre noi ci occupiamo per dar loro quell'istruzione e quella educazione, che li ha da rendere buoni cristiani e probi cittadini.

                Intanto ho il bene di farvi sapere che il 19 del corrente mese, giorno consecrato alla Purissima Vergine, si farà un servizio religioso nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino, per implorare le benedi-zioni del Cielo sopra di voi, sopra le vostre famiglie e sopra i vostri interessi spirituali  e temporali, Si celebrerà una messa assistita da tutti i nostri giovanetti tanto studenti quanto artigiani, con una Co-munione generale e con altre speciali preghiere.

                In fine nella speranza che, nel sostenere le nostre opere di beneficenza a pro di tanta povera gioventù abbandonata, il valido vostro appoggio non mi verrà meno neppure per l'avvenire, colgo questa propizia occasione per professarmi con alta stima e profonda gratitudine

 

Vostro obbligatissimo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Fra la seconda metà di settembre e la prima di ottobre Don Bosco visitò le case della Liguria, probabilmente nell'occasione degli esercizi spirituali che si facevano a Sampierdarena; ma di quel giro non sapremmo nulla, se non fosse di un cenno che si riscontra in questa bella lettera di condoglianza al conte Eugenio De Maistre, vedovato della consorte

 

                Caris.mo Sig. Conte Eugenio,

 

                Non so come cominciare questa lettera! Giunto dalla visita delle case della Liguria mi è data la tristissima notizia che la Signora Contessa di Lei moglie non è più tra i vivi. Io mi immagino il dolore e la costernazione che tale disgrazia avrà cagionato in Lei, in tutta la sua famiglia! Mi rincresce di non saper che fare se non delle preghiere. Questo abbiamo fatto e facciamo per Lei e per la compianta Defunta. Quando Ella era gravemente ammalata la Sig. Duchessa ce lo fè sapere chiedendo preghiere. Si fecero in tutte le nostre case, ma Dio non giudicò di esaudirci o meglio giudicò che quella rosa fosse pervenuta a tal segno di bellezza agli occhi di Dio Creatore da meritare di essere [148] svelta dal giardino terrestre per venire trapiantata nel giardino dei godimenti imperituri del cielo. Adoriamo i Decreti divini e diciamo Fiat voluntas tua.

                Ella però, Sig. Eugenio, ha più cose da consolarsi in questa afflizione. Di aver perduta una vera madre di famiglia in terra, ma ha guadagnato una celeste protettrice. Di poterla raggiungere un giorno, e può essere presto, in uno stato assai migliore che non era quello della vita mortale, che fino a tanto che vivremo potremo colla preghiera e colle buone opere suffragarla se è ancora necessario, od almeno accrescerle la gloria accidentale del Paradiso qualora si trovasse già colà accolta.

                Dio la benedica, o sempre caro Sig. Eugenio, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, e tutti li illumini e li diriga con sicurezza per la via del cielo. Amen.

                Con tutta venerazione ed affezione ho il piacere di potermi professare in G. C.

Di V. S. Car.ma

                Torino, 15 Ottobre 1879.

 

Aff.mo Amico

Sac. GIO. Bosco.

 

                Abbiamo dovuto staccare da questo capo la storia di una lotta, che Don Bosco nel 1879 sostenne dall'Oratorio e per l'Oratorio, ma che bisogna poter seguire senza interruzioni e per non breve tratto nelle sue varie fasi. Ne vedemmo già i prodromi nella vertenza per gl'insegnanti; ma la tempesta più grossa si scatenò dopo. Il Servo di Dio disse che l'Oratorio era nato e cresciuto sotto le bastonate; ma sotto le bastonate continuava pur sempre a vivere.

 

 

CAPO VII. La chiusura delle scuole.

 

                LA tattica temporeggiatrice che vedemmo scelta da Don Bosco nella sua vertenza con il Consiglio Scolastico di Torino per gl'insegnanti dell'Oratorio, non che ad arrestare la lotta, non valse nemmeno a rallentarne il corso. Per ovviare al pericolo che si abbia da taluno a fraintendere l'atteggiamento assunto e mantenuto con fermezza incrollabile da Don Bosco in questa guerra, è necessario conoscere bene lo stato della legislazione scolastica italiana d'allora nella parte che si riferiva all'insegnamento secondario non governativo nè pareggiato.

                La pubblica e privata istruzione in Italia era sempre governata dalla legge 13 novembre 1859, detta legge Casati, dal nome di Gabrio Casati che ne fu l'autore. Lo spirito di quella legge era di libertà. Essa riconosceva accanto all'insegnamento ufficiale anche quello libero sotto varie forme, dite sole delle quali hanno per noi particolare importanza. L'articolo 246 diceva: “E’ fatta facoltà ad ogni cittadino, che abbia l'età di venticinque anni compiti ed in cui concorrano i requisiti morali necessari, di aprire al pubblico tino stabilimento d'istruzione secondaria, con o senza convitto”. Seguivano tre condizioni, fra cui principalissima quella che i diversi insegnamenti fossero impartiti da istitutori legalmente abilitati. Si avevano così gl’istituti privati propriamente detti, [150] che, a tenor di legge, il Ministero doveva sorvegliare, ma non governare; la qual sorveglianza governativa aveva per oggetto la tutela della morale, dell'igiene, dell'ordine pubblico e delle istituzioni.

                Un'altra forma d'istruzione secondaria privata riposava sugli articoli 250 e 251, ed era quella che si dava “nell'interno delle famiglie sotto la vigilanza dei padri o di chi ne faceva legalmente le veci, ai figli della famiglia ed ai figli dei congiunti della medesima”; come pure “quella che più padri di famiglia associati a questo intento” facessero “dare sotto l'effettiva loro vigilanza o sotto la loro responsabilità in comune ai propri figli”. Era la così detta scuola paterna che la legge dichiarava “prosciolta da. ogni vincolo d'ispezione per parte dello Stato” Di tal fatta potevasi considerare anche l'istruzione secondaria data in ospizi, dove generosi benefattori dell'umanità raccoglievano poveri e derelitti giovani, per adempiere verso di essi il ministero paterno. A ben vero che circolari di Ministri, interpretazioni di Provveditori, disposizioni di Consigli Scolastici andavan riducendo in pratica a una mera lustra il principio legale del libero insegnamento secondario; ma indubbiamente nessun potere esecutivo ha il diritto di sostituirsi alla legge, e un cittadino che cerchi di mandare a vuoto ingerenze e imposizioni arbitrarie non incorre certo la taccia di disobbedienza alle leggi dello Stato.

                Ora che conosciamo una legge statutaria, facciamo la conoscenza dei preposti alla. sua esecuzione in Torino, e primieramente del Prefetto, che si mostrò il più zelante di tutti nella campagna contro l'Oratorio. Reggeva la provincia di Torino un tal Minghelli Vaini, del quale l'allora celebre consigliere municipale Dupraz descrisse la vita in una lunga lettera confidenziale per Don Bosco , che noi possiamo riassumere così: attivissimo rivoluzionario a Modena nel 1848, membro del Governo provvisorio di quel ducato e dopo l'annessione chiamato al Ministero; nel 1849 Direttore del nuovo penitenziario di Oneglia, ma dimostratosi privo dei requisiti, [151] voluti sia per organizzare elle per dirigere quello stabilimento; dopo un'ispezione e un'inchiesta trasferito alla direzione della casa di pena delle donne e dell'ospizio celtico in Torino; Deputato al parlamento; Ispettore delle carceri, Prefetto a Cagliari e a Torino. Un altro dell'ex-ducato modenese, Nicomede Bianchi, di Reggio Emilia, Assessore per la Pubblica Istruzione a Torino, fu veramente il factotum in quest'affare, portandovi lo spirito settario di cui diede tante prove ne' suoi lavori storici. Il provveditore Rho era spalleggiato dal suo fratello prete, semplice maestro elementare, ma abusivamente in funzione d'ispettore scolastico. Entrambi erano stati condiscepoli di Don Bosco alle scuole di Chieli. Covava in essi un vecchio rancore contro il Beato, da quando un loro nipote era stato licenziato dal collegio di Mirabello. Il focoso teologo aveva minacciato che si sarebbe fatto rendere conto dello sfregio, com'ei lo chiamava; nel 1879 blaterava contro l'Oratorio e annunziava qua e là come certa la chiusura delle sue scuole, senza dimostrare in alcun modo che questo severo provvedimento fosse per dispiacergli. Al Provveditore Don Bosco, tornato da Roma, fece visita e, alludendo alle sue ispezioni, disse: - Spero che tu almeno mi tratterai bene! - Ma l'altro rispose che egli stava in tutto per la legge. Don Bosco insistette ricordandogli l'antica amicizia e allegando le sue ragioni; ma non ne strappò altra risposta che: - Mettiti in regola! Mettiti in regola! - Un motivo di tanta durezza se l'era lasciato sfuggire di bocca, parlando con qualcuno nel cortile stesso dell'Oratorio: temeva, facendo altrimenti, di andar Provveditore a Palermo od anche di perdere il pane.

                Ed ora narriamo i fatti. Nella novena di Maria Ausiliatrice, il segretario del Consiglio Scolastico Provinciale mandò al Beato copia conforme di un decreto ministeriale del 16 maggio, ordinante la chiusura del ginnasio annesso all'Oratorio di San Francesco di Sales: incaricato dell'esecuzione, il Prefetto, quale Presidente del Consiglio Scolastico di Torino. Il provvedimento draconiano si fondava sopra due motivi: [152] la contravvenzione alle disposizioni vigenti rispetto all'idoneità legale degli insegnanti e l'inganno ripetutamente teso da Don Bosco all'autorità scolastica torinese col mandare una lista d'insegnanti abilitati, mentre in realtà si serviva di altri non abilitati. Si noti però che questa comunicazione del decreto non era ancora fatta in forma ufficiale, ma a modo di semplice avviso, affinchè si prendessero le debite misure. Il Prefetto agì in tal maniera, perchè la maggioranza del Consiglio Scolastico essendo favorevole a Don Bosco, aveva deliberato che la comunicazione ufficiale del decreto si facesse solo il giorno prima che gli alunni partissero per le vacanze autunnali.

                Bisognava profittare del tempo per iscongiurare il disastro. Don Bosco andò a trovare il Prefetto per ringraziarlo del riguardo usatogli, per esporgli le sue considerazioni e per rimettergli il seguente foglio che gli servisse di promemoria.

 

                               Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                Prego V. S. Ill.ma a volere ascoltare l'esposizione di alcune cose elle si riferiscono ai poveri giovanetti raccolti nell'ospizio detto Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

                Schiarimenti sopra il decreto con cui il Sig. Ministro della pubblica istruzione ordinava la chiusura delle scuole Ginnasiali del Ritiro ossia ospizio, noto col nome di Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

ESPOSIZIONE STORICA.

 

                Mosso dal vivo desiderio di provvedere in qualche modo a tanti sfortunati giovanetti, elle pel loro abbandono, si vanno preparando un tristo avvenire, fin dall'anno 1841 mi sono dato cura di raccoglierne il maggior numero possibile in appositi giardini di ricreazione. Nel 1846 pei più abbandonati e pericolanti si aprì un caritatevole ospizio cui le autorità. civili e governative solevano inviare cotale sorta di miserabili fanciulli. Scopo principale era di far loro apprendere un'arte o mestiere per renderli capaci di guadagnarsi un giorno onesto sostentamento. Tra i ricoverati poi ve n'erano alcuni elle avevano sortito dalla natura attitudine speciale per la scienza; ed altri, perchè appartenenti a famiglie nobili o di civile condizione, ma decadute, parve opportuno elle venissero destinati allo studio delle classi secondarie Se ne ottenne un buon risultato, mentre non pochi di loro giunsero a fare onorati carriera nel commercio, nella milizia, nell'insegnamento [153], e taluni anche a coprire delle prime cattedre nelle Università dello Stato. Parecchi eziandio desiderosi di appigliarsi all'arte tipografica divennero allievi della Tipografia di questo medesimo Istituto. Queste scuole furono dall'autorità scolastica in ogni tempo considerate come opera caritatevole, casa di ricovero, scuole paterne in conformità della legge Casati sulla pubblica istruzione, articoli 251 così espressi: L'Istruzione ecc... Anzi i Regi Provveditori delle scuole, i Ministri della pubblica istruzione e lo stesso regnante Umberto I furono sempre i nostri più insigni benefattori col consiglio e coll'aiuto pecuniario. Solamente nel passato anno scolastico 1877-78 il Sig. Regio provveditore ci ordinò di porre in classe insegnanti titolati, sotto pena di non più permettere l'apertura delle nostre classi ginnasiali a favore di questi nostri poveri giovani.

                Considerando che questo sarebbe stato un infortunio per tanti figli del popolo che verrebbero così privati di un mezzo con cui campare la vita e forse taluni non potendosi applicare a faticoso mestiere, dovrebbero ritornare nel tristo abbandono in cui giacevano;

                Desideroso d'altro canto di obbedire per quanto è possibile alle autorità dello Stato, ho procurato di mettere in classe insegnanti col loro rispettivo titolo; e, poichè alcuni di essi sono applicati all'amministrazione materiale dell'istituto, mettevano supplenti idonei, elle hanno titoli equipollenti, e costoro assistevano e dirigevamo le classi in quelle ore in cui quelli non potevano trovarsi in classe. Le cose erano così avviate, ed io era assente da Torino, quando il Regio Sig. Provveditore (Lettera di esso, 2 Genn. anno corrente) venne improvvisamente a fare novella visita alle nostre scuole. Egli dichiarò elle per la pulizia, igiene, disciplina e moralità si lasciava niente a desiderare, ma notò che tre insegnanti titolari erano in quelle ore occupati nei rispettivi uffizii amministrativi, e in loro vece trovò i supplenti; per questo solo motivo, come sta scritto nella mentovata lettera, minacciò la chiusura dell'istituto se noli stavano permanenti al loro posto i professori dati in nota. Credo bene di osservare elle l'anno scolastico dura in questo ospizio dai 15 di Ottobre ai 15 di Settembre, e che l'orario delle scuole potendo essere ordinato secondo la maggior comodità degli insegnanti, quantunque in alcune ore ed in alcuni giorni i singoli professori titolari non si trovino in classe, essi noli abbandonano punto il regolare insegnamento; poichè se in certe ore e giorni sono impediti dalle molte loro occupazioni di tenersi all'orario legale, compensano con esuberanza l'insegnamento nelle ore libere dalla rispettiva amministrazione.

                Devesi pure osservare elle non esiste legge alcuna che obblighi gli Istituti privati ad osservare gli orarii scolastici governativi. Ignoro se vi siano leggi le quali proibiscano ai titolari di farsi supplire, quando essi noli possono trovarsi nella rispettiva classe, tanto più servendosi di insegnanti coli titoli equipollenti. Vi sono molti fatti elle militano [154] in contrario, ed in questa nostra Torino vi è un pubblico Insegnante che supplisce da più mesi in Liceo di primo grado senza titolo di sorta, se non vogliamo chiamare titolo equipollente, l'approvazione del Sig. R. Provveditore.

                Nulladimeno volendomi non solamente tenere sottomesso, ma eziandio ossequente all'autorità scolastica, chiedo che per via di favore mi si voglia dare un lasso di tempo, affinchè io possa provvedere non solamente quanto prescrivono le leggi ma quanto desiderava lo stesso Sig. Provveditore aggiungendo queste parole: ecc. ecc.

                Supplico pertanto la S. V. Ill.ma come padre dei poveri figli del popolo, a voler interporre i suoi buoni uffizi, sia presso il Consiglio Scolastico della Provincia di Torino, e sia, se occorre, anche presso il ministro della Pubblica Istruzione, affinchè non a me, ma a questi miei giovani ricoverati sia concesso lo spazio di tempo implorato.

                Spero di ottenere il favore che imploro, ma qualora poi non potessi conseguire l'implorato favore, per non danneggiare l'avvenire dei miei poveri giovani e gettarli in mezzo ad una strada, mi sottoporrei al grave sacrifizio di modificare l'Amministrazione dell'Istituto, affinchè ogni professore possa trovarsi nella propria classe, a quell'orario che si volesse prescrivere.

                Ho l'onore di potermi professare

                                D. V. S. Ill.ma

                Torino, 18 Maggio 1879.

 

Obbl.mo esponente

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Beato mirava a far ritirare il decreto; perciò scrisse e inviò copia di questa esposizione a persone influenti di Torino e di Roma, come al commendator Barberis, al presidente dei ministri Depretis, al ministro della guerra generale De la Roche, amico di Don Dalmazzo, e ad altri pezzi grossi. Egli disse in Capitolo l'8 giugno: - Il ministro Coppino intenda almeno, che abbiamo alti sostenitori e come, nonostante la sua malignità, il Signore disponga che possiamo anche umanamente resistere. Scrivere a lui non mi conviene, perchè, avendogli io scritto e parlato varie volte negli anni scorsi, mi prometteva sempre mari e monti a parole, mentre invece co' fatti si studiava poi d'imbrogliarmi in ogni maniera.

                Persuaso che non vi fosse nulla d'imminente da temere, credette bene di passare da Nicomede Bianchi, che tanta influenza [155] esercitava nel Consiglio Scolastico e Municipale di Torino. Si conoscevano da un pezzo. Don Bosco nella suddetta adunanza capitolare, in cui espose ai Superiori lo stato della questione, riferì sul punto più essenziale il dialogo avuto con lui e che troviamo riportato nei verbali. Il Bianchi, appena lo vide, senza lasciargli aprir bocca, incominciò ex abrupto:

                - Oh Don Bosco! Ella viene per parlarmi di quel decreto.

                - Appunto.

                - Oh veda! non tema; si è deciso in Consiglio di non mandarglielo, se non la vigilia della partenza dei giovani per le vacanze.

                - Questo è bene; ringrazio cordialmente tutti coloro che presero parte a quest'atto di benignità. Ma Vostra Signoria capisce che questo decreto è un atto di biasimo e di sfiducia inflitto a me. Io credo di non meritarmelo.

                - Che cosa vuole! Adesso c'è.

                - Che cosa mi consiglierebbe lei? Io vorrei farlo ritirare, presentando documenti opportuni.

                - Io ho studiato la cosa e credo che avrebbe in mano ragioni sufficienti per ottenere questo legalmente; ma non glielo consiglio per due motivi. Primo, perchè, se fossero costretti a ritirarlo, farebbero dopo tante malignità, che per lei sarebbe peggio; secondo, sebbene Ella abbia ragioni da recare, altri ne addurrebbero altre in contrario, e di riffa di raffa, il decreto starebbe sempre. Veda, in questo decreto è interessato il Consiglio Scolastico di Torino, il municipio e il ministero dell'Istruzione Pubblica.

                - Ma dunque devo tenermi questo atto di sfiducia?

                - Senta: Ella per quest'anno va avanti e per un altr'anno si provveda di professori titolati che facciano scuola essi stessi.

                - I professori titolati vi sono e fanno scuola... Siamo forse obbligati all'orario governativo? Questo, certamente no. [156]

                - Dalla relazione fatta al Consiglio Scolastico risulta che non vi siano nell'Oratorio questi professori titolati.

                - Vi sono.

                - Allora Ella mandi subito una nota di essi al Prefetto, facendo risultare che questi professori vi sono, ne declini i nomi e unisca i rispettivi titoli. Urla cosa poi che io, non come consigliere municipale nè come membro del Consiglio Scolastico, ma come amico posso dirle è che Ella non solo non è tenuto a seguire l'orario governativo, ma a fine di evitare ogni vessazione o visita importuna, indichi per altri anni, in caso di bisogno, che per maggior comodità dei suoi professori ed allievi non sèguita l'orario comune, ma fa scuola al mattino di buon'ora e alla sera tardi; od anche con un metodo esclusivo si fa di mattino alla tal ora o di sera alla tal altra così, se viene il Provveditore al mattino senza avvisare, si dice che i giovani fanno studio e che la scuola è alla sera; se il Provveditore viene alla sera, si può dire che la scuola è stata fatta al mattino,

                - Io la ringrazio tanto della grande benevolenza che mi usa, dicendomi tali cose; tuttavia si persuada che io noli ho mai cercato nè cerco di eludere la legge nè di contravvenirle; che ho ferma intenzione di uniformarmi ad essa; solamente devo dire che nella moltiplicità delle cose, alcune volte non si può seguire l'orario e altre volte è necessario lasciare il supplente.

                Volendo poi informarsi meglio della sua posizione di fronte al Consiglio Scolastico e al municipio di Torino, gli fece molte interrogazioni, caso mai vi fosse qualche punto nero ch'egli non sapeva. Fu assicurato di no; anzi l'Assessore gli disse che nel Consiglio Scolastico si era parlato a lungo e con alti elogi dell'istituto di Don Bosco, delle sue opere e dei giovanetti poveri da lui ricoverati; essersi però detto che Don Bosco voleva eludere la legge e ingannare le autorità, mettendo a far scuola maestri non patentati (esistevano ancora le scuole elementari per ragazzi esterni) e facendo figurare [157] come professori, insegnanti senza diploma. - Questo è l'unico punto nero, disse Nicomede Bianchi. Andò il Provveditore e non trovò i professori a posto. Andò una seconda volta, e le cose erano come prima; anzi qualche suo maestro o chi altro fosse non sappiamo, dopo questa seconda visita ebbe a dire a qualcuno: Glie l'abbiamo fatta! l'abbiamo corbellato bene! E questo fu detto perchè nell'Oratorio avevano avuto tempo a far entrare in classe, prima del Provveditore, uno o due maestri patentati. Queste cose venute a notizia del Provveditore e comunicate in Consiglio provocarono l'atto di sfiducia e fecero proporre al ministero il decreto di chiusura.

                Don Bosco fece notare con quanta leggerezza ed anzi ingiustizia si fosse provocato un atto Cosi odioso. Tutto perchè qualcuno, che non si sapeva chi fosse, a qualchedun altro pure ignoto aveva detto parole sconvenienti verso il Provveditore! Tuttavia egli fu molto contento di quel colloquio, durato molto a lungo. - Esteriormente, notò Dori Bosco, Nicomede Bianchi mi si mostrò benevolo e mi palesò varie cose a nostro riguardo, che importava grandemente di conoscere. Egli senza dubbio è uno dei più pericolosi nel Consiglio Scolastico e sarà probabilmente lui che ci ha dato il colpo di grazia; ma a volte il Signore parla anche per bocca dell'asina di Balaam.

                Tutte queste cose Don Bosco portò a conoscenza dei Superiori principali; ma in casa non se ne sapeva nulla. Egli sperava di poter almeno ottenere la dilazione di due anni, concessa dalle leggi; e in due anni c'era tempo di far molto. Per questo si raccomandò caldamente al teologo Baricco, consigliere municipale e suo zelante amico, che però gli rispose[100]: “Io ho tutta la buona intenzione di favorire l'Oratorio di San Francesco di Sales dalla S. Vostra fondato, e sostenuto con tanto utile pubblico; vedo però troppo difficile, [158] per non dire impossibile, che l'autorità scolastica le conceda lo spazio di due anni per ordinarlo in conformità delle leggi. Già da parecchi anni il ministro inculca ai consigli provinciali di chiamare tutti gli istituti privati alla osservanza della legge; epperò a quest'ora un'indulgenza eccezionale non può più avere luogo. L'Oratorio di San Francesco di Sales è un istituto di grande considerazione per il numero degli alunni che contiene, ed una eccezione fatta per esso sarebbe da altri minori invocata. Io che veggo come vanno le cose credo di dare alla S. V. un salutare consiglio persuadendola a fare ogni sforzo per provvedere idonei e stabili insegnanti a tutte le scuole. In questo modo la vita dell'istituto sarà tranquilla, e niuno potrà turbarne il pacifico andamento. La Provvidenza in cui la S. V. confida le darà i mezzi per fare tutto e bene”. Allora il Servo di Dio scrisse al Prefetto questa lettera giustificativa:

 

                Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                Sebbene io abbia già declinato verbalmente il nome degli insegnanti nelle Classi Ginnasiali ai nostri poveri ricoverati, tuttavia giudico opportuno di darli qui scritti per norma dell'autorità scolastica cui Ella così degnamente presiede.

                I professori pertanto che al presente somministrano l'insegnamento per queste poche settimane dell'anno scolastico, sono i seguenti:

 

 Ginnasiale Sac.

Durando Celestino

                4ª

   „         „        

Rua Michele

                3ª

  „          „       

Bonetti Giovanni

                2ª

  „          „       

Pechenino Marco

                Iª

   „          „       

Bertello Giuseppe

                I loro titoli esistono nell'ufficio del R. Provveditore e se occorre ne manderò copia anche a V. S. Ill.ma.

                Nell'anno prossimo 1879-80 avrà luogo qualche cangiamento; ma a suo tempo se ne darà regolare comunicazione, assicurando elle tutti saranno muniti dei titoli legali.

Mi permetta l'onore di professarmi

di V. S. Ill.ma

                Torino, 20-6-79.

 

Umile servitore

Firmato: Sac. Gio. Bosco. [159]

 

                Ma altro che due anni di tempo!. Il ministro, conosciuta la deliberazione di proporgli che fosse ritardata fino al termine dell'anno scolastico la intimazione del decreto di chiusura, non solo non accondiscese, ma perentoriamente ingiunse al provveditore di far chiudere non più in là del 30 giugno. Il Rho gliene diede preavviso all'amichevole, soggiungendo[101]: “L'amicizia personale che mi lega a te da tanti anni, mi obbliga a consigliarti di accogliere con rassegnazione il Decreto e di eseguirlo con verità e sincerità. Ciò fatto potrai mandare al Ministro un ricorso, nel quale, premessa la dichiarazione che, da buon cittadino, hai obbedito alle disposizioni dell'Autorità Governativa, chiederai che ti sia concesso di riaprire il Ginnasio per l'anno scolastico 1879-80, promettendo di valerti nell'opera di insegnanti muniti di titoli legali e di disporre che questi attendano personalmente ed abitualmente all'ufficio loro. Questa domanda, appoggiata presso il Ministero da qualche persona autorevole, potrà, io penso, essere favorevolmente accolta, mentre quella, che fu già respinta due volte, e che tu ripetesti al Prefetto, di essere autorizzato a servirti di insegnanti sprovvisti di titoli almeno per due o tre anni, non sarebbe, a mio giudizio, favorevolmente accolta”.

                Dopo il lampo, il tuono. Era la vigilia della Natività di San Giovanni Battista, festa in cui si celebrava l'onomastico di Don Bosco, quando un delegato di pubblica sicurezza comparve nell'Oratorio alle ore dieci col decreto, che consegnò in mano a Don Bosco, dando e ricevendo atto della consegna[102]. Sotto la medesima data la posta gli recava la mattina seguente un biglietto coli la preghiera per il collocamento di un giovane Gabbero Michele; glie lo inviava il signor Angelo Boggiani, che faceva parte del Consiglio di Stato, una sezione del quale aveva dato parere favorevole al decreto di chiusura. [160] Come pensare che Don Bosco potesse accettar il consiglio di “accogliere con rassegnazione” un decreto che lo obbligava a sì precipitosa chiusura delle sue scuole? L'Oratorio non era un collegetto che vivacchiasse di contrabbando in un angolo remoto della penisola; il nome di colui che ne reggeva le sorti, volava onorato e venerato per le bocche di mezzo mondo in Italia e all'estero; nè tanti ragazzi si buttavano così da un giorno all'altro sul lastrico. Credette dunque utile quello che prima aveva ricusato di fare, scrivere cioè immediatamente al ministro Coppino. Stese la lettera[103], ma non si decideva a spedirla; finalmente la spedì dopo tre giorni, un po' ritoccata.

 

                               Eccellenza,

 

                Mi venne comunicata copia del Decreto Ministeriale di chiusura del Ginnasio da me tenuto in questo Oratorio Salesiano. Mi permetta di osservare che la proposta di chiusura fatta da questo Consiglio Scolastico, alla quale si appoggia esso Decreto, non ha fondamento legale (come apparisce dal qui unito Documento) sia perchè i diversi insegnamenti nel mio istituto sono affidati a professori muniti dei Titoli legali, secondochè prescrive l'art.° 246 della legge, citato senza fondamento contro di me nel Decreto, sia perchè non esiste nessuna delle gravi cagioni citate dall'art. 247 per la chiusura di un Istituto. Che poi i Professori titolati di questo Ginnasio, quando sono impediti dal far lezioni, si facciano supplire da altri insegnanti, è questo un fatto elle non può autorizzare la chiusura di un Ginnasio, sia perchè non contraddice a nessun articolo della legge, sia perchè si verifica in qualunque Istituto e pubblico e privato.

                Perciò invoco dalla giustizia di V. E. la revoca del Decreto di chiusura, ed attendo dalla sua gentilezza due righe di risposta, affinchè se mai questa fosse sfavorevole (ciò che non credo) io possa per la tutela de' miei poveri alunni ricorrere a que' mezzi, che le leggi mi consentono.

                Ho l'onore di professarmi di V. S.

                Torino, 26-6-79.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                In questo ricorso Don Bosco vedeva, se non altro, una ragione per guadagnare tempo, il che era pur qualche [161] cosa in tale frangente; onde scrisse al Prefetto della provincia:

 

                               Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                Ho ricevuta la pregiatissima sua lettera che accompagnava il decreto ministeriale, con cui ordinava la chiusura delle nostre scuole Ginnasiali.

                Tornandomi impossibile nel breve spazio di quattro giorni [feriali] fare esecuzione a tale decreto, e per altro lato i motivi sui quali esso si appoggia mancando di fondamento legale, ho deliberato di fare ricorso all'Autorità Superiore.

                Tanto le partecipo, affinchè si compiaccia di sospendere l'esecuzione del mentovato decreto fino a nuovo avviso che certamente le verrà comunicato.

                Ho l'onore di professarmi di V. S. Ill.ma

                Torino, 26-6-79.

 

Umile servitore

Firmato: Sac. Gio. Bosco.

 

                Don Bosco, dovendosi assentare da Torino, incaricò Don Rua di recarsi con Don Durando dal Prefetto per sentire dalle sue labbra quali fossero i suoi voleri relativamente al decreto di chiusura. Di male in peggio! Nel colloquio appresero elle egli intendeva dover essere i giovani allontanati dall'Oratorio; e poichè la sua risolutezza non ammetteva replica, lo pregarono di voler almeno concedere una proroga sia per terminare gli esami, elle era impossibile finire nel breve lasso di tempo fra l'intimazione del decreto e la data dello sfratto, sia per aver agio di recapitare quelli fra i giovani che non avevano più genitori. In questo parve disposto ad accondiscendere, sicchè si ritenne di poter andare avanti qualche giorno oltre il 30 giugno senza tenia di disturbi[104].

                Ma fu un'illusione beli presto dissipata. Il giorno stesso di quella visita il Prefetto rispose alla lettera di Don Bosco, dicendogli di non potere in verun modo sospendere l'esecuzione del decreto ministeriale; se quindi entro il 30 del mese non si fosse ottemperato all'ordine di chiudere l'istituto, egli [162] minacciava di ricorrere ai mezzi somministratigli dalla legge, perchè venisse rispettata l'autorità del Governo, da cui il decreto emanava. “Per l'esecuzione, rinfacciavagli pure il funzionario, Ella ebbe non quattro, come erroneamente asserisse, ma bensì otto giorni di tempo, essendogliene stata fatta l'intimazione il 23 corrente”. Ma Don Bosco non aveva a buon diritto calcolato due giorni festivi, il 24 San Giovanni e il 29 domenica, e i due giorni dell'intimazione e della chiusura. Tranquillo, sereno e franco gli rispose:

 

                               Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                Per gravi e legali motivi avendo fatto ricorso all'autorità Superiore, credeva venisse protratta l'esecuzione del decreto di chiusura delle scuole dei nostri poveri giovani fino a che la competente autorità si fosse pronunciata. Ora dalla nota prefettizia ricevuta ieri, rilevo che V. S. ne vuole perentoriamente l'attuazione entro quest'oggi 30 giugno.

A tale intimazione io debbo sottomettermi illimitatamente. Perciò le partecipo che oggi stesso l'insegnamento Ginnasiale è cessato in questo Ospizio; mi studierò di applicare gli allievi in qualche mestiere compatibile colla loro età e condizione; quelli che hanno ancora genitori verranno possibilmente consegnati ai medesimi.

                In ultimo alcuni allievi della quinta Ginnasiale, dovendo presentarsi all'esame dì Licenza, dovranno dimorare nell'Ospizio fino all'epoca dei pubblici loro esami.

                Ho l'onore di professarmi

                Torino, 30 Giugno 1879.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Prefetto scambiò qualche parola col Pretore, per vedere se questi gli avrebbe prestato mano e imposto lo sgombero con la forza; ma il Pretore non volle saperne d'infierire contro tanti poveri ragazzi. Giovani orfani o poverissimi si presentavano in prefettura a chiedere che si provvedesse a ricoverarli. Finalmente il 2 luglio furono concessi alcuni giorni per ultimare gli esami. Che era intervenuto a calmare gli spiriti? Il ministero vacillava e ne sembrava certa la caduta. In tali momenti i funzionari avveduti si rammentano spesso di [163] Talleyrand e del suo: Surtout, pas de zèIe. Lo zelo invece non lasciava posa a Don Bosco, che, dato nuovamente di piglio alla penna, mise in carta una difesa da mandare al ministro dell'Istruzione Pubblica, prospettando meglio il carattere di paterne che avevano le sue scuole e appellandosi alle disposizioni della legge Casati. Uno scatto eloquente di santa indignazione gli esce dal cuore là dove confuta l'accusa d'aver voluto trarre in inganno le autorità scolastiche.

               

                Schiarimenti sopra il decreto con cui il signor Ministro della pubblica istruzione ordinava la chiusura delle scuole Ginnasiali del Ritiro, ossia Ospizio, col nome di Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino.

 

ESPOSIZIONE STORICA.

 

                Alla E. V. è certamente noto come pel vivo desiderio di provvedere in qualche modo a tanti sfortunati giovanetti, che pel loro abbandono vanno preparandosi un tristo avvenire fin dall'anno 1841 mi sono dato cura di raccogliere il maggior numero possibile in appositi giardini di ricreazione.

                Nel 1846 pei più abbandonati e pericolanti si aprì un caritatevole ospizio, cui le autorità civili e governative solevano inviare tale sorta di miserabili fanciulli.

                Scopo principale era di far loro apprendere un'arte o mestiere per renderli capaci di guadagnarsi un giorno onesto sostentamento. Fra i ricoverati poi ve ne erano alcuni che avevano sortito dalla natura attitudine speciale per la scienza, ed altri, perchè appartenenti a famiglie nobili o di civile condizione ma decadute, venivano destinati allo studio delle classi secondarie. Se ne ottenne buon risultato, mentre non pochi di loro giunsero a fare onorata carriera nel commercio, nella milizia, nell'insegnamento e taluni anche a coprire delle prime cattedre nelle università dello Stato. Parecchi eziandio desiderosi di applicarsi all'arte tipografica, divennero allievi della Tipografia di questo medesimo Istituto.

                Queste scuole furono dall'autorità scolastica in ogni tempo considerate come opera caritatevole, casa di ricovero, a guisa di numerosa famiglia di cui lo scrivente sotto ad ogni rapporto fa le veci di padre. Ciò tutto in conformità della legge Casati sulla Pubblica Istruzione articoli 251-252.

                Articolo 251. - “L'Istruzione secondaria elle si dà nell'interno delle famiglie sotto la vigilanza dei padri o di chi ne fa legalmente le veci, ai figli di famiglia ed ai figli dei congiunti della medesima, sarà prosciolta da ogni vincolo d'ispezione per parte dello Stato”.

Articolo 252. - “All'istruzione, di cui nell'articolo precedente, [164] sarà eguagliata quella che più padri di famiglia, associati a questo intento, faranno dare sotto l'effettiva loro vigilanza e sotto la loro responsabilità in comune ai propri figli”.

                Anzi i Regi Provveditori delle scuole, i Ministri della Pubblica Istruzione si resero sempre benemeriti col favore della loro autorità, coll'aiuto pecuniario ed indirizzandovi anche poveri giovanetti che la sventura avesse gettati dall'agiatezza nella miseria. I Reali nostri sovrani, e lo stesso regnante Umberto I furono sempre i nostri più insigni benefattori.

                Solamente nel passato anno scolastico 1877-78 il sig. Regio Provveditore di questa Provincia Torinese ci ordinò di porre in classe insegnanti titolati, sotto pena di non più permettere l'apertura delle nostre classi Ginnasiali. Tale esigenza cagionava non leggiero disturbo e spesa; tuttavia:

                Considerando che questo sarebbe stato un infortunio per tanti figli del popolo che forse non potendosi applicare a faticoso mestiere, dovrebbero ritornare nel tristo abbandono in cui giacevano;

                Desideroso d'altro canto di obbedire per quanto è possibile alle autorità dello Stato, ho procurato di mettere in classe insegnanti col loro rispettivo titolo; e poiché alcuni di essi sono applicati all'amministrazione materiale dell'istituto, mettevano supplenti idonei, che hanno titoli equipollenti, e costoro assistevano e dirigevano le classi nelle ore in cui quelli non potevano trovarsi.

                Le cose erano così avviate quando in tempo di mia assenza il Regio Sig. Prov. (lettera di esso, 2 Gennaio anno corrente) venne improvvisamente a far novella visita alle nostre scuole. Egli dichiarò che per la pulizia, igiene, disciplina e moralità si lasciava niente a desiderare; ma notò che tre insegnanti titolari erano in quelle ore occupati nei loro uffizi amministrativi e in loro vece trovò i supplenti. Per questo solo motivo, come sta scritto nella mentovata lettera, minacciò la chiusura dell'Istituto se non stavano permanenti al loro posto i Professori dati in nota.

                Credo bene di osservare che l'anno scolastico dura in questo Ospizio dai 15 di Ottobre ai 15 di Settembre, e che l'orario delle scuole potendo essere ordinato secondo la maggior comodità degli insegnanti, quantunque in alcune ore e in alcuni giorni i singoli Professori titolati non si trovino in classe, essi non abbandonano punto il regolare insegnamento; perchè se in certi giorni e in certe ore sono impediti dalle loro molte occupazioni di tenersi all'orario legale, compensano con esuberanza l'insegnamento nelle ore libere della rispettiva Amministrazione.

                Devesi pure osservare che non esiste legge alcuna che obblighi gli istituti privati ad osservare gli orarii scolastici Governativi. Ignoro pure se vi siano leggi le quali proibiscano ai titolari di farsi supplire quando essi non possono trovarsi nella rispettiva classe; avendone [165] in questa nostra Torino dei pubblici insegnanti che suppliscono in Licei di primo grado senza titolo di sorta, se noti vogliamo chiamare titolo equipollente l'approvazione del Sig. R. Provveditore.

                Nulla di meno volendomi non solamente tenere sottomesso ma eziandio ossequioso all'autorità scolastica, chiedeva che per via di favore mi si volesse dare un lasso di tempo, affinchè io potessi provvedere non solamente quanto prescrivono le leggi, ma quanto desiderava lo stesso signor Provveditore. Nella istanza presentata al signor Presidente scolastico aggiungeva queste parole:

                “Supplico pertanto la S. V. Ill.ma come padre di poveri figli del popolo, a voler interporre i suoi buoni uffizi sia presso il Consiglio Scolastico della Provincia di Torino, e sia, se occorre, presso il signor Ministro della Pubblica Istruzione, affinchè non a me, ma a questi miei ricoverati sia concesso lo spazio di tempo implorato.

                “Qualora poi non potessi conseguire l'implorato favore, per non danneggiare l'avvenire dei miei poveri giovani e gettarli in mezzo ad una strada, mi sottoporrei al grave sacrifizio di modificare l'amministrazione dell'Istituto, affinchè ogni professore possa trovarsi nella propria classe a quell'orario che si volesse stabilire”.

                Ho atteso molto tempo un favorevole riscontro o almeno una tolleranza fino alla fine dell'anno scolastico, ma invece il 23 corrente mese di giugno mi viene comunicato il decreto di chiusura delle nostre scuole.

 

ALCUNE OSSERVAZIONI SOPRA QUESTO DECRETO.

 

                Finora in tutti i miei rapporti coll'autorità civile ho sempre tenuto quale rigoroso dovere di seguire la volontà di chi comandava, senza mai servirmi delle leggi. Nel caso presente io prego mi sia concesso di fare alcune rispettose osservazioni.

                Dal giorno 23 al 30 Giugno, tolti i giorni festivi, rimangono quattro giorni per dare gli esami a quasi 300 allievi, prevenire i loro parenti o tutori, di cui molti abitano Città lontane, ed altri in assai remote Nazioni. Tali sono Francia, Inghilterra, Polonia, ecc.

                Inoltre molti di questi allievi sono stati inviati dalle Autorità Governative o Municipali; mi ripugna il doverli loro rinviare; neppure queste Autorità potrebbero tosto trovare ai loro protetti un nuovo collocamento. Ciò dimanda certamente più di quattro giorni. Per questo lato il decreto tornava di impossibile esecuzione.

                Si noti eziandio che molti di questi giovanetti sono orfani e assolutamente privi di mezzi di fortuna. Che farne? Gittarli nel primiero abbandono? Non ho cuore di farlo se non costretto dall'autorità, che credo non verrà a questo estremo.

 

ILLEGALITA' DEL DECRETO.

 

                Prima di venire alla proposta di chiusura sarebbesi dovuto eseguire l'articolo 248 e dar tempo al capo dell'Istituto di fare le sue [166] osservazioni. Se tale articolo fosse stato osservato si sarebbero dati i necessarii schiarimenti mettendo in grado il Consiglio Provinciale superiore per le scuole di proferire fondato giudizio.

                La legge poi sulla pubblica istruzione proferisce (art.° 247) le cause di chiusura come segue: “Non può essere chiuso un Istituto se non per cause gravi in cui sarà impegnata la conservazione dell'ordine morale e la tutela dei principii che governano l'ordine sociale pubblico dello Stato, o la salute degli allievi”.

 

ERRORE DEL CONSIGLIO SCOLASTICO DI TORINO.

 

                Il signor Ministro appoggia il suo Decreto sopra il Consiglio Scolastico di Torino e motivato dalla mancanza di idoneità legale degli insegnanti, e l'inganno in cui il Sac. Gio. Bosco volle trarre l'autorità scolastica, mandando una lista di insegnanti abilitati, mentre in realtà si serviva di altri non abilitati.

                La prima parte di tale asserzione è priva di fondamento, poichè il medesimo sig. R. Provveditore in data 2 Gennaio asserisce di aver ricevuta il 15 Novembre 1878 la nota dei professori coi loro titoli legali intorno a cui non ebbe mai occasione di fare reclami. Dunque la proposta di chiusura è basata sopra l'errore. Riguardo la seconda parte dell'asserto che lo scrivente abbia voluto ripetutamente trarre in inganno l'autorità scolastica, mi fa vergogna dover rispondere.

                Sono 38 anni che vivo in Torino servendo il Governo senza interesse di sorta, unicamente guidato dalla carità cristiana; ho costantemente impegnato sostanze, sollecitudini e vita, pei poveri figli del popolo, ed ho la coscienza di poter dire che: Qualsiasi giudice severo metta pure a rigoroso esame quanto ho pubblicato colla stampa, detto verbalmente, operato nei varii tempi; non ho timore che si possa imputarmi d'aver voluto trarre le autorità in inganno, Ben lungi dal cercare la evasione della legge, mi sono sempre messo di fronte colla più scrupolosa osservanza nel predicarla, osservarla, e farla osservare. Se talvolta ho chiesto benigna applicazione delle leggi alle supreme autorità, dalle quali fui sempre bene accolto e favorito, ciò sempre ho fatto non per me, ma sempre in favore dei miei poveri ed abbandonati fanciulli.

                In quanto al sostituire insegnanti a quelli dati in nota al R. Provveditore, si è già sopra risposto. Qui ripeto soltanto.

                I° Non vi è alcuna legge che proibisca un professore titolare che in caso di bisogno possa farsi supplire, restando egli tuttora responsabile della classe a lui affidata in un Istituto privato, tanto più quando il supplente ha titoli equipollenti.

                2° Qui poi si deve nuovamente notare che negli istituti privati vi è piena libertà di stabilire l'orario che torna a comodità degli insegnanti perciò gli insegnanti titolari delle nostre classi potevano dichiarare come in realtà hanno dichiarato per iscritto all'autorità scolastica [167] che essi non di nome ma di fatto erano gli insegnanti della classe loro affidata (art. 246).

                Il giorno 25 dello stesso mese si fece appello al Sig. Ministro perchè si degni di leggere gli schiarimenti notando che la brevità del tempo rendeva impossibile l'esecuzione del Decreto.

                Il 26 si pregava il Sig. Prefetto di Torino a voler sospendere gli effetti del Decreto fino alla risposta del Sig. Ministro.

                Il Sig. Prefetto risponde che se pel 30 non erasi dato esecuzione al Decreto, egli l'avrebbe fatto eseguire con quei mezzi che le leggi gli concedono.

                Il 30 Giugno si dà comunicazione al Sig. Prefetto che sono chiuse le scuole, e che in ossequio alle leggi si studierà di dare collocamento agli allievi nel più breve termine possibile. Ed alcuni sono inviati alla propria famiglia.

                Il giorno 2 Luglio il Sig. Prefetto concede alcuni giorni per dare sollecitamente gli esami dopo cui siano immediatamente allontanati dall'Istituto.

                Ma dove inviarli mentre non pochi sono assolutamente orfani ed abbandonati, altri provengono da lontani paesi ed anche da rimote nazioni?

 

                Quando questa apologia giunse a Roma, era avvenuto il crollo del ministero. Depretis, presentata alla Camera alta la legge per l'abolizione della tassa sul macinato, non seppe indurre i Senatori ad approvarla così come stava. Il Senato la rimandò alla Camera dei Deputati sostanzialmente rifatta, onde, nato un conflitto di poteri fra le due assemblee, la votazione riuscì contraria e portò alle dimissioni del gabinetto. L'Unità Cattolica in un bell'articolo qualificò allora il famoso decreto di chiusura delle scuole di Don Bosco “ultima gloriosa impresa del ministero”[105].

                Queste preoccupazioni non diminuivano l'abituale tranquillità di Don Bosco. Infatti il 5 luglio inaugurò nel collegio di Valsalice un museo ornitologico, chiamandovi a presiedere la cerimonia il senatore Siotto-Pintòr. Quella collezione, non copiosa ma ordinata e in ottimo stato, era opera paziente. del canonico Giambattista Giordano, ammirato dai Torinesi non meno per valentia oratoria che per virtù sacerdotali. [168] Cultore appassionato e intelligente della natura, egli consacrava le ore libere nel suo ritiro di Rivalta a far ricerca di uccelli rari, a imbalsamarli e a classificarli, riducendo una sala della sua villa a museo e ordinandovi in vetrine un bel saggio di ornitologia nostrana e straniera. Morto lo studioso nel 1871, gli eredi offersero la raccolta a Don Bosco, che ne fece acquisto per il liceo di Valsalice. Così Don Bosco rispondeva all'insulto di chi gli chiudeva le scuole, col promuovere cioè gl'incrementi della cultura.

                Il Siotto-Pintòr, che pigliava parte vivissima alle peripezie dell'Oratorio, nel suo discorso ebbe spunti e allusioni, intesi solo da chi era al corrente dei fatti, ma abbastanza pepati. C'è ancora chi rammenta il contrasto mirabile fra la calma di Don Bosco e la veemenza con cui il senatore sardo, ragionando col Servo di Dio nell'Oratorio, si scagliava contro chi era causa di quelle molestie. Nè stette contento a rumorose e vane querele, ma fino a Roma levò la voce in difesa dell'“impareggiabile” Don Bosco. Dovendo partire per Cagliari, non volle lasciar Torino senza scrivere al ministro dell'Istruzione Pubblica dimissionario, il quale si limitò a rispondergli che se l'Ospizio Salesiano si trovava veramente nelle condizioni legali asserite da lui, il Direttore presentasse al Consiglio scolastico regolare istanza, perchè com'era di sua competenza, volesse revocare l'ordine di chiusura[106].

                Ma ben poco si poteva sperare dalle autorità locali; onde il Beato, la dimane dell'inaugurazione valsalicese, aveva scritto al Re Umberto I, supplicando la Maestà Sua di prendere sotto il suo patrocinio i giovani dell'Oratorio.

 

                                Sacra Real Maestà,

 

                Un Istituto molte volte beneficato e si può dire fondato dai vostri Maggiori e dalla carità di V. M. generosamente sussidiato è ora colle più umili e calde parole raccomandato alla Clemenza Sovrana. Parlo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales che ha per iscopo di raccogliere i più poveri e pericolanti figli del popolo, Un Decreto Ministeriale comunicato [169] il 23 dello scaduto giugno ordinava la chiusura delle scuole che da 35 anni sono m esso esercitate. Ciò mi obbligherebbe a gettare nel tristo abbandono circa 300 giovanetti, che mercè ancora pochi anni di educazione, sarebbero ridonati alla Società capaci di guadagnare onestamente il pane della vita.

                Il cuore ripugna di farlo: soltanto la Maestà Vostra può venirci in aiuto e salvare dalla rovina questi poverelli.

                La supplico pertanto di far leggere gli uniti schiarimenti con cui espongo fedelmente lo stato delle cose. Io non intendo biasimare, nemmeno disapprovare l'autorità, chiedo solamente che V. M. se non giudica d'annullare il mentovato decreto, ne faccia almeno sospendere gli effetti, fino a che siasi in qualche modo provveduto all'avvenire di questi sfortunati fanciulli. Essi tutti protendono le tremanti loro mani al paterno cuore di V. M. invocando la Clemenza Sovrana.

                Tutti unanimi preghiamo Dio che si degni di conservare V. S. R. M.

                Torino, 6 Luglio 1879

Umil.mo suddito

Sac. Gio. Bosco.

 

                Poichè il tempo incalzava, il giorno 8 telegrafò al conte Visone, ministro della Casa Reale: “Sono costretto mettere per le vie 300 poveri ragazzi. Urge. Supplico pronto provvedimento „. Nello stesso giorno il Conte spedì da Roma questo telegramma al cavalier Crodara Visconti, Direttore della Real Casa in Torino: “Prego avvisare sacerdote Don Bosco, Direttore Oratorio S. Francesco di Sales, che sua istanza diretta a S. M. trovasi per ordine Sovrano in corso presso Ministero Istruzione Pubblica”. E Don Bosco rispose subito telegraficamente al conte Visone: “Nostri giovanetti, loro Superiori riconoscenti porgono cordialissimi ringraziamenti, assicurando incancellabile gratitudine generoso atto clemenza Sovrana”.

                Per questo insieme di circostanze sembrò rimandata sine die la dispersione dei giovani studenti, che però non avevano scuola, ma andavano a passeggio in luoghi lontani della campagna e là, fatto circolo intorno al maestro, sedevano con lui e ricevevano così lezioni all'aperto. Naturalmente le varie classi pigliavano direzioni diverse. Pare che i giovani non sapessero nulla della chiusura, Don Bosco dunque fu tanto [170] persuaso della tregua, che ne diede l'annunzio al Cardinale Protettore il quale se ne congratulò scrivendogli l'II luglio: “Il vivo dispiacere da me provato all'annunzio di chiusura di coteste scuole, ha dato luogo a vera soddisfazione dopo .il ricevimento del foglio di V. S. Ill.ma dell'8 corrente. Formando ora voti perchè alla sospensione dell'ordine di detta chiusura succeda la cessazione totale delle molestie che le hanno recato, mi congratulo intanto con Lei e co' suoi poveri e numerosi alunni di ciò elle è di già conseguito”.

                Ma era una via crucis di guai che non doveva finire tanto presto. Don Bosco presentò al Prefetto il telegramma comunicatogli dal cavalier Crodara; ma il Prefetto fece orecchio di mercante, nè volle sospendere gli effetti del decreto nemmeno finchè l'istanza al Re avesse avuto corso: soltanto gli accordò la dilazione di dieci giorni per i giovani che non sapessero dove rifugiarsi. Il Beato non si diede per vinto: voleva ottenere a ogni costo un differimento, e quindi scrisse al ministro della Casa Reale, sollecitando la protezione sovrana.

 

                                Eccellenza,

 

                La E. V. non può certamente immaginarsi la grande consolazione che apportò a me ed ai nostri giovanetti il telegramma diretto al Sig. Cav. Crodara intorno alle nostre scuole. Ma siamo ricaduti nella primiera costernazione quando lo presentai al Sig. Prefetto di Torino pregandolo di sospendere gli effetti del Decreto Ministeriale. Ei mi rispose tosto che non potea prendere norma da nissuno in questi affari, che perciò si dovesse procedere allo sgombro dei nostri poverelli. ,Concede unicamente una decina di giorni per coloro che avevano fatto reclami di non sapere ove rifugiarsi. Gli altri devono tostamente disperdersi per le vie e per le piazze. Le persone oneste dicono tutte elle non vi sono motivi di chiusura; e qualora ci fossero si potrebbero far cessare le scuole ginnasiali; ma non cacciare gli orfanelli dalla casa altrui, come ne fu ripetuta la minaccia con lettera prefettizia nella giornata di ieri sera.

                In questo stato di cose non mi rimane più altro appoggio che la protezione sua e quella di S. S. R. M., supplicando che si possa almeno lasciare in pace questa casa fino a elle sia letta la mia istanza e siasi dato pronunciamento in merito della medesima. [171] I giovanetti pieni dì riconoscenza si abbandonano nelle benefiche di Lei mani, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare

Della E. V.

                Torino, 10 Luglio 1879,

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo l'Unità Cattolica, anche un periodico scolastico torinese Il Baretti, diretto dal professor Perosino, si occupò della disgustosa faccenda con questa nota[107]: “Il ministro Coppino, cadendo, ha voluto lasciare memoria di sè in Torino, dove ha  fatto chiudere le scuole di D. Bosco in Valdocco. Ne parleremo nel prossimo numero”. Intanto l'Unità Cattolica tornò alla carica con un articolo che in sostanza era la relazione inviata da Don Bosco al ministro, ridotta però a stile giornalistico. “Ma avvi ancora, vi si diceva sul finire, un Torinese di alta autorità, che ha carità ed umanità in cuore: è questi Umberto I”. Al che seguiva l'appello di Don Bosco al Re e la risposta avutane[108]. Un terzo foglio Lo Spettatore, giornale cattolico, politico e amministrativo di Milano, scese in lizza con due articoli vivacemente polemici, nel secondo dei quali è degna di particolare rilievo questa considerazione[109]: “Si vogliono tutelare gli studi di tutti questi poveri giovani; e per por rimedio ai difetti che si sono immaginati, si fanno mandare tutti sul lastrico delle piazze, ove non avranno non solo più ombra d'istruzione, ma parecchi di essi, mancando del tozzo di pane per vivere, saranno costretti ad imparare un'altra scienza, quella cioè del vizio e del libertinaggio. E questo dovrà dirsi un provvedimento consentaneo allo scopo della legge? Supposto che non si possa loro dare quell'insegnamento così stranamente vagheggiato, che solo acquista valore da una ministeriale patente, perché obbligarne lo sfratto? Ma dunque il difetto dell'insegnamento  [172] dovrà essere d'impedimento ad un'opera così filantropica, qual è quella di raccogliere dalle vie e di provvedere del pane quotidiano ai giovani meschini abbandonati?”.

                Ad avvocato difensore del Rho s'impancò il fratello prete, scrivendo a Don Bosco una lunghissima lettera, della quale giova riferire l'esordio e il poscritto[110]. Non esordiva troppo male. “Devo dire, cominciava egli, che io ho sempre avuto per te una grande stima, come ne hanno quanti sanno e conoscono il tuo buon carattere e il molto bene che fai, massime alla classe povera; ma devo dirti sinceramente che nel fatto della chiusura di tue scuole hai molto torto. Io credo (scusarmi se ti parlo da buon amico e col cuore alla mano e senza reticenze), io credo che l'amore che nutri pel tuo istituto ti chiuda un tantino gli occhi e non ti lasci vedere il male che vi si trova; come un buon padre di famiglia cui l'affetto alla medesima, forse troppo spinto, non lascia più gran fatto temere i difetti dei figli „. La requisitoria che viene dopo è tutta impostata sul non volere o non sapere distinguere fra ginnasio privato e scuola paterna; tutto il gran male lamentato là nel proemio si riduce all'insegnamento impartito da maestri senza diploma. Il sugo della prolissa orazione sta raccolto nell'appendice sotto la firma, combinato con le lacrime del coccodrillo. “Ti assicuro, ripiglia il nostro patrono, che a mio fratello rincresceva moltissimo fare quello che il suo dovere e la legge gli imponevano, e gli duole assai che tu non volessi capirla per uniformarti una santa volta alla legge; ma il dovere e la legge anzitutto. Non si poteva più in modo alcuno tollerare; e se altri ha pel passato tollerato, egli in coscienza più non poteva e tu puoi forse dargli torto? Don Bosco è abbastanza onesto senza dubbio per non condannare gli operati del suo antico amico, e se ci pensa bene sopra, deve confessare che ha fatto nè più nè meno che il suo dovere e che egli vorrà mettersi in regola per non avere più [173] per l'avvenire osservazione di sorta, e così non compromettere gli altri. Gli è certo che il tuo istituto è ben diretto per la moralità, come tu dici; ma basta forse questo? no, no e sempre no. Conviene che l'insegnamento sia sempre regolare e secondo la legge, cui nessuno deve eludere nè tenersi sopra o farei contro, ed allora tutto andrà bene. Ti pare così? Caro amico, credi pure me schietto, certi consiglieri ti consigliano, ma per fini non sempre giusti e onesti”. Questa insinuazione colpiva specialmente il teologo Margotti e il professor Allievo. Nel resto si vede purtroppo che. cosa possa toccare alla mentalità anche di un buon prete, quando la si lasci contaminare da “dicasterica peste”[111], o più prosaicamente dal mal dell'impiegato.

                Il teologo Rho ribadì i medesimi concetti in un'acre lettera al Margotti[112]. Questi non giudicò di rispondergli, ma passò lo scritto al suo “veneratissimo Don Bosco”, dicendogli che avrebbe fatto cosa forse utile alla  causa e certo grata a lui, se rispondesse “privatamente” al fratello del provveditore. Don Bosco ne ascoltò il consiglio.

 

                Teologo Rho,

 

                Il Teologo Margotti mi dà comunicazione della lettera che gli hai scritto dicendomi poter rispondere a quella parte che mi riguarda.

                Ciò fo volontieri perchè il nostro argomento abbisogna di schiarimenti senza cui ogni cosa è travisata.

                Se tu fossi passato all'Oratorio ti avrei detto essere un falso supposto l'affermare che i nostri Maestri non son patentati.

                Lo stesso tuo fratello Provveditore nel suo uffizio ha la nota del nome, cognome e titoli legali dei medesimi, che sono: Rua Michele, Durando Celestino, Bertello Giuseppe, Bonetti Giovanni, Pechenino Marco, tutti muniti del loro diploma. Quindi appoggia sull'errore il decreto di chiusura quando adduce per motivo di quella disposizione il difetto di Professori muniti di idoneità legale.

                Tu dici che mi servo di allievi anziani per fare scuola etc.

                Tu vorrai chiamare anziani i mentovati Professori che realmente furono miei anziani allievi. [174] Tali pure sono il Prof. Rinando, all'Università di Torino, Marco, a quella di Roma, ed altri altrove. Non potrei servirmi di costoro nelle nostre classi? Siccome poi gli istituti privati hanno libertà di orario, niuno può pretendere che l'insegnamento non si faccia quando e come torna possibile e comodo agli Insegnanti. Poi la legge dice chiaro che un Istituto non può essere chiuso, se non quando è gravemente turbato l'ordine sociale, l'ordine morale, o la salute degli allievi. Nessuno di questi motivi si può addurre contro le scuole dei nostri poveri giovanetti, anzi il medesimo Provveditore nella relazione fatta al Consiglio Scolastico Provinciale dopo la sua visita dichiara che per la pulizia, disciplina, moralità e profitto eravi niente a desiderare.

                Inoltre esistendo uno di questi abusi, la legge dice che prima di venirsi alla chiusura di un Istituto qualunque, devono attendersi le osservazioni del Capo di quello da presentarsi al Consiglio Scolastico Provinciale. Di questo nulla si fece. Il signor Provveditore venne in tempo di mia assenza, andò di volo nelle scuole, e trovò che l'igiene, la moralità, la pulizia, il profitto, lasciavano niente a desiderare.

                Al mio ritorno in Torino ho trovato lettera del Provveditore che insisteva si dovessero rimanere in classe permanentemente i Professori titolati secondo l'orario pubblico. La legge non voleva questo; ma per compiacere all'autorità ho supplicato che mi si desse tempo a provvedere per non turbare l'Amministrazione di questa casa, e conchiudeva: Se questo favore non mi è concesso, prego volermelo significare, che io modificherò l'Amministrazione dell'Istituto e farò in modo che gli Insegnanti titolari possano trovarsi in classe a quell'orario che l'autorità scolastica giudicasse di stabilire. Non ricevetti risposta alcuna se non il 23 di Giugno passato, quando mi era comunicata la chiusura del Ginnasio. Tu ti appelli alla legge che è superiore a tutti e a tutto. Io direi che la giustizia deve regolare tutte le leggi.

                Quale articolo di legge fu violato? Ho sempre chiesto e atteso invano una risposta. E poi il Provveditore od altri può ordinare lo sfratto dei poveri giovanetti raccolti in un ospizio, come si pretende sul caso presente?

                Tu aggiungi che sono tre anni che il Sig. Provveditore insiste che io mi uniformi alla legge. lo risposi che tutti i provveditori, tutti i ministri di Pubblica Istruzione sempre hanno lodato, approvato, aiutato e sussidiato questo Istituto per oltre a trent'anni. Ci voleva un amico, un compagno di scuola a proporre la chiusura, e proporre la chiusura allora che con non leggero disturbo io mi era messo in tutta regola in faccia alla legge. Come tu vedi, ho scritto col cuore alla mano e mi farai un vero favore se tu leggendo la legge Casati mi dirai quali articoli siano stati violati. Quanto qui ti scrivo è in tutela dei poveri giovanetti raccolti in questo Ospizio; fuori di questo io ti assicuro [175] che con te e con tuo fratello desidero di essere in buone relazioni, e proverò gran piacere ogni qualvolta vi potessi rendere qualche servizio.

Credimi sempre colla dovuta stima

                Torino, 20 Luglio 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il teologo si piccò. Aspettava un riscontro alla sua di otto facciate e che cominciava con un “mio caro e buon amico D. Bosco”, e niente; scrive al Margotti, il Margotti comunica la lettera a Don Bosco pregandolo di rispondere, e Don Bosco per cortesia verso il Margotti risponde e quasi apostrofandolo cominciò con quel “Teologo Rho!”Il teologo Rho, di temperamento nervoso, dovette fargli pervenire le sue rimostranze. Ed ecco la sobria e dignitosa dichiarazione del Beato.

 

                Amico sempre carissimo,

 

                L'uomo onesto, quando non è creduto, deve porsi in rigoroso silenzio. Non mi hai inteso e non rispondi ad una delle cose esposte nella mia lettera. Lo sprezzo poi con cui tu parli dei preti di questa casa mi impedisce di spiegarmi coi dovuti vocaboli. Perciò in questo fatto è inutile di parlare, come io vivamente desiderava. Nelle altre cose saremo sempre buoni amici. Io conterò ognora sopra la tua benevolenza e sopra quella di tutti i tuoi fratelli, specialmente del Cav. Provveditore. Ed io sarò sempre felice ove a te o a' tuoi possa prestare qualche servizio. Amami in G. C. e credimi inalterabilmente

                Torino, 24-7-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il teologo riscrisse, rifrisse, esortò a cercare un mezzo termine che servisse di base a una conciliazione[113]; Don Bosco tacque. Dalla corrispondenza surriferita è lecito arguire che la macchina era stata montata dal Provveditore, ma non misurandone affatto le conseguenze; onde pare che cercasse un espediente per cavarsela con decoro. D'altra parte questi [176] non voleva male a Don Bosco; è dunque probabile che c'entrassero pressioni estranee e relativo timore di perdere l'impiego. Ma un'altra ovvia osservazione si affaccia a chi legge le due lettere del fratello. Come nella prima, così nella seconda esalta la virtù di Don Bosco. “Nessuno, dice in questa, pone in dubbio la tua onestà di carattere; sarei io il primo a difenderti (come ti accerto elle lo feci e non una sola volta), che anzi tutti riconoscono il bene immenso che fai e che facesti; anzi, mi permetti di dirti, che vuoi farne troppo; ed è allora (perdonami, caro mio) che si può compromettere; e dirti che fai troppo bene è forse farti torto? nol credo”. Ora, come conciliare un sì alto concetto di Don Bosco e crederlo consciamente ostinato in una linea di condotta contraria, al dovere e alla giustizia? Non c'era invece nel teologo un grosso equivoco, e in altri uno zelo degno di miglior causa?

                Formatosi il nuovo ministero Cairoli, l'Istruzione Pubblica fu affidata a Francesco Perez, siciliano. Subito l'Unità Cattolica accolse un articolo intitolato “Una domanda di giustizia” e scritto da “un chiarissimo personaggio... nè chierico nè chiericale”[114], che dimostrava come la chiusura del ginnasio dell'Oratorio fosse contraria alla legge. Il “chiarissimo”anonimo” era il professor Giuseppe Allievo, ordinario di pedagogia nella regia Università di Torino. Per conto suo il direttore del giornale vi premetteva un cappello, in cui si diceva: “Noi pubblichiamo l'articolo mandandolo al nuovo ministro dell'Istruzione, il quale comincerebbe egregiamente il suo Ministero se per prima cosa riparasse una enorme ingiustizia e non permettesse che fosse consumato tanto strazio della morale e della legge. Son pochi giorni e noi abbiamo avuto l'onore di baciar la mano in Torino ad un illustre Prelato della Sicilia, venuto espressamente tra noi per chiedere a Don Bosco i suoi Salesiani che andassero ad aprire istituti [177] di educazione nell'isola[115]. Poco dopo ci toccò di vedere nella stessa Torino perseguitato l'Istituto Salesiano e le sue scuole. Quanto sarebbe bello se un ministro nativo della Sicilia riparasse questo danno, cagionato agli studi ed alla buona gioventù in Torino da un antico ministro piemontese”. L'articolista professore, dimostrata l'illegalità del decreto, stigmatizzava pure l'arbitrio nell'eseguirlo, ponendo un quesito al Prefetto: “Il ministro, vi era detto, aveva decretato la chiusura del ginnasio privato; e siccome un ginnasio è un luogo dove s'insegna, così legalmente è chiuso quando vi è cessato l'insegnamento, come cessava di fatto il 30 giugno nelle scuole Salesiane. Ma il Prefetto si arbitrò di colpire in quel ginnasio anche il pio Ospizio, ordinando lo sfratto a tutti gli alunni e figli del popolo, che attendevano pacificamente agli studi in quelle scuole ginnasiali. Ci dica il signor Prefetto in nome di che legge o di che altra autorità superiore può egli strappare dal seno di un Ospizio di carità tanti poveri figli per gettarli sul lastrico od alla mala ventura!”. Infine si levava fieramente a difesa dell'onore di Don Bosco: “In tutta questa triste vicenda di illegalità e di arbitrii anche il modo offende. Don Bosco volle (sono parole del Provveditore e del Prefetto ripetute nel decreto ministeriale) trarre in inganno ripetutamente l'autorità scolastica di Torino. Dunque quel buon sacerdote del Signore, la cui carità cristiana veglia su tanti figli del popolo, non solo ingannò, ma volle, ingannare l'autorità! A' suoi nemici non bastava colpirlo in ciò che ha di più caro, le scuole de' suoi giovanetti; bisognava farla da inquisitori, penetrando nelle sue intenzioni, e tacciarlo di mala fede, di volontà subdola ed ingannevole!”.

                Ora si entra in piena polemica giornalistica. Trascuriamo le volgarità di fogli irreligiosi; veniamo piuttosto all'articolo promesso dal Baretti. Quell'articolo comparve nel numero del 17 luglio. E’ notevole in esso la ritorsione dell'accusa. [178] “Noi chiediamo, scrive l'autore, a chi ha consigliato, a chi ha ordinato e a chi ha fatto eseguire la chiusura delle scuole sopradette per la mancanza di patente legale in chi fu trovate un giorno ad insegnarvi, noi chiediamo a tutti costoro se in questa stessa Torino tutti gli insegnanti governativi che presentemente insegnano siano muniti di laurea o patente che li autorizzi all'insegnamento. E si noti che questi, che altri chiamerebbero insegnanti illegali al par di quelli delle scuole di D. Bosco, ricevono, come è giusto, stipendio, mentre gli altri insegnano per puro e lodevole spirito di carità, come fanno tutti quelli che appartengono a quel pio Istituto. Potremmo ancora aggiungere che da queste scuole illegali di D. Bosco uscirono dotti insegnanti, autori di opere e libri pregiati, insigni professori liceali ed universitarii; e che ancora presentemente esse danno allievi, i quali ai pubblici esami di licenza sono quasi sempre tutti promossi; e nei corsi universitari sono sempre tra i più segnalati, ma ce la passiamo. Diremo invece, che trattandosi di un Coppino che giudica e sentenzia in fatto di Legalità, noi per i troppi esempi che ce ne diede e ce ne dà, non possiamo sempre ammettere la competenza del giudice”.

                Da lontano per chartam et atramentum certe controversie non si risolvono nè presto nè bene; inoltre il mutamento di ministro consigliava di studiare da vicino il terreno. Fu dunque ben avvisato Don Bosco nel mandar a Roma Don Durando e il professor Allievo con la missione di ottenere dal Governo che fosse differita l'esecuzione del decreto di chiusura, massime per ciò che riguardava lo sgombero dei giovani. Si indirizzò all'avvocato Aluffi, segretario al ministero dell'Interno, con questa lettera di presentazione.

 

                               Car.mo Sig. Avv. Aluffi,

 

                Il Cav. Allievo prof. alla R. Università di Torino e il Professore Don Durando vanno a Roma per affare delle nostre scuole. Hanno sommo bisogno di avere un momento di udienza dal Comm. Villa Ministro dell'Interno, che fu sempre nostro benefattore. [179] Io li dirigo a Lei affinchè suggerisca ai medesimi la via più breve per essere appagati.

                Se poi ha conoscenti al Ministero della P. I. lo chiederebbero del medesimo favore.

                Spero che Ella goda buona salute e pregando Dio che La conservi mi professo con gratitudine

                Di V. S. Car.ma

                Torino, 20-7-79.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                L'onorevole Villa, deputato di Castelnuovo d'Asti, era ministro dell'Interno, succeduto a Depretis nel rimpasto ministeriale. Egli conosceva personalmente Don Bosco fino dal 1859, dal qual anno erano stati frequenti e cordiali i loro reciproci rapporti. I due inviati dovevano rimettergli la seguente raccomandazione.

 

                                Eccellenza,

 

                Ricordo sempre con gratitudine l'appoggio caritatevole che la E. V. in varie occasioni porse ai poveri giovinetti di questo ospizio; e questo appunto mi dà fidanza a ricorrere eziandio nel caso presente.

                Un decreto del ministro della pubblica istruzione, firmato il 16 Maggio e comunicato il 23 Giugno, anno corrente, ordinava la chiusura delle nostre classi pel solo motivo che non vi sono in esse maestri patentati. Ciò è privo affatto di fondamento poichè lo stesso Sig. Provveditore dichiarò che la nota degli insegnanti titolari eragli stata consegnata nel suo uffizio il 13 novembre 1878.

                Tuttavia si ubbidì al decreto e l'insegnamento secondario cessò al tempo fissato 30 giugno ultimo passato. Ma ciò che mise questo povero Istituto nella costernazione è il vero ordine dato dal Sig. Prefetto di questa città, in forza di cui gli stessi allievi devono essere tostamente licenziati dall'ospizio e quindi messi in mezzo ad una strada, nel tristo abbandono in cui giacevano prima di essere accolti tra noi.

                Io supplico la E. V. come ministro dell'Interno, come benemerito nostro cittadino e come deputato della mia patria Castelnuovo d'Asti, di voler dare ordini in proposito, affinchè questi poveri giovanetti possano continuare l'attuale loro dimora per occuparsi in quelle cose che ai medesimi potranno giovare a procacciarsi un giorno onesto sostentamento; così cesserà l'agitazione dei giovanetti, lo sconcerto dei loro parenti, mentre tutti con animo riconoscente si uniranno meco ad invocare sopra la E. V. le benedizioni del Cielo.

                Il professore D. Durando, direttore delle nostre scuole, e il [180] Cav. Allievo, professore alla R. Università di Torino, che presta l'opera sua caritatevole in favore dei nostri giovanetti, sono portatori dì questo mio piego, e saranno lieti di poter dare ulteriori schiarimenti, se le molte occupazioni di V. E. lo permettessero. Ho l'alto onore di professarmi di V. E.

                Torino, 20 Luglio 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Per il ministro dell'Istruzione Pubblica Don Bosco ave compilato una sommaria relazione dell'accaduto.

 

                                Eccellenza,

 

                Un decreto Ministeriale, firmato il 16 Maggio e comunicato il 23 Giugno, anno corrente, ordinò la chiusura delle scuole secondarie che da 35 anni si fanno caritatevolmente a benefizio dei poveri fanciulli ricoverati in questo Ospizio detto Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Questo decreto poggia sulla mancanza di idoneità legale negli insegnanti, il che è privo d'ogni fondamento, poichè nel 15 novembre 1878 fu consegnata nota formale dei maestri coi rispettivi titoli loro legali al Sig. Provveditore, come segue:

Ginnasiale Professore

Durando Celestino.

                4ª

                ”              ”

Rua Michele.

                3ª

                ”              ”

Bonetti Giovanni

                2ª

                ”              Teologo

Pechenino Marco

                Iª

                ”              Sacerdote

Bertello Giuseppe

                Quindi vi sono i Professori muniti di Patenti in conformità della legge Casati art.° 246.

                La stessa legge descrive i motivi per cui si può chiudere un Istituto e sono: Grave turbazione dell'ordine sociale, dell'ordine morale, della sanità degli allievi, art.° 247.

                Niuno di questi motivi è accennato; anzi in una sua visita il Sig. Prov.re riferisce formalmente che per igiene, disciplina, moralità e profitto avvi niente a desiderare.

                Il Decreto aggiugne che furono messi supplenti in classe in luogo dei professori titolari. Al elle si risponde che nella sua visita il Sig. Prov.re trovò tutto in regola. ma notò che di cinque professori, due soltanto erano in classe, i quali però davano le loro lezioni nelle ore loro possibili.

                Non vi è alcuna legge che proibisca un professore titolare di farsi supplire in caso di bisogno come si pratica generalmente.

                Inoltre la mentovata legge lascia liberi gli Istituti privati di stabilire quell'orario che torna più comodo agli insegnanti. [181] Per questi motivi il sottoscritto supplica la E. V. di voler riconoscere la benemerenza degli insegnanti che prestano l'opera loro affatto gratuita, e fare un segnalato benefizio a questi poveri figli del popolo togliendo gli effetti legali al mentovato Decreto, e lasciandoli dimorare tranquilli nel loro Ospizio, e non obbligandoli a disperdersi, come fu ordinato, con evidente pericolo della loro rovina sociale, materiale e morale.

Ho l'onore di potermi professare

                Della E. V.

                Torino, 20-7-79.

 

Obbl.mo servitore,

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Nel giorno della partenza di Don Durando e del suo illustre compagno per Roma un quotidiano cattolico, l'Emporio Popolare, rivolgendosi ai padri di famiglia, additava loro nella chiusura delle scuole di Don Bosco uno dei peggiori arbitrii commessi per odio di partito dai sinistri, saliti al potere nel 1876. Dinanzi a sì mostruoso sopruso tre considerazioni si facevano: i sedicenti liberali gridare a squarciagola di voler l'istruzione delle classi del popolo, ma poi osteggiarla grossolanamente appunto nelle classi medesime col chiudere le scuole popolari di Don Bosco; non quindi amore di giustizia, ma rabbiosa e cieca invidia guidare le autorità nel loro modo di agire verso Don Bosco, le cui scuole, come da tutti si sapeva, facevano assai miglior prova che tante altre governative; far pessima figura il ministro Piemontese Coppino, che per odio alla religione non aveva badato a sciabolare uno degli istituti che a detta di tutti formava una delle più belle glorie del suo Piemonte[116].

                I due professori ebbero a Roma un incontro tanto più incoraggiante quanto meno aspettato. Recatisi in Vaticano a visitare monsignor Ciccolini, cameriere segreto partecipante e custode generale dell'Arcadia, furono senz'altro per opera di lui favoriti dell'udienza pontificia. Leone XIII, che passeggiava in una sala vicina, condiscese a riceverli subito. [182] Egli, sebbene già informato dal cardinal Nina di quanto accadeva a Valdocco, volle sentir meglio come realmente stessero le cose. - Non perdete tempo, disse quindi a Don Durando. Presentatevi al ministro dell'Istruzione Pubblica e a quello degl'Interni, cercatevi appoggi presso il Re, interessate persone influenti! - Era proprio quello che Don Bosco veniva facendo; udita la qual cosa, il Papa ne fu contento.

                Da entrambi i ministri ebbero pronto ricevimento e buone parole[117], confermate poi anche per iscritto dall'onorevole Perez, il quale, in data 24 luglio si espresse a questo modo: “Rispondo al biglietto che mi ha indirizzato con la data del 15 luglio del corrente[118], facendo voti perchè il suo istituto possa prosperare ogni dì più in benefizio dei poveri. E’ questo effetto non verrà impedito, ne son certo, dall'ultimo atto compito dal Ministero della Pubblica Istruzione; perocchè l'Amministrazione del Collegio preponendo alle sue scuole ginnasiali insegnanti patentati, oltre a conformarsi alla legge, che è quel che vuole il Ministero, avrà meglio assicurato la bontà degli studi e il profitto dei suoi giovani”. Laonde il Beato potè scrivere all'avvocato Aluffi:

 

                Car.mo Sig. Avvocato Aluffi,

 

                Umili ringraziamenti per l'appoggio dato a' miei inviati. Stamattina ho ricevuto lettera dal Ministro di pubblica istruzione che mi assicura la cessazione degli effetti del Decreto di chiusura delle nostre scuole; ma pesa sempre l'ordine del Prefetto che ordina lo sgombro degli allievi dall'Istituto. Niuno sa trovare ragione di tale misura. Il Decreto si riferisce sostanzialmente all'insegnamento e non allo sfratto dei ricoverati nell'Ospizio. A tale effetto imploro un provvedimento dal Ministro di cui unisco lettera, che prego voler consegnare nel modo più sicuro.

                Quando l'affare sia finito Le farò novelli ringraziamenti. Mi creda con gratitudine suo umile

                Torino, 26 Luglio 79.

 

Servo

Sac. Gio. Bosco. [183]

 

                Il provveditore Rho aveva nel frattempo commesso una vera imprudenza, scendendo nel campo giornalistico a spezza re pubblicamente una lancia contro l'Oratorio; un'autorità scolastica che si mette così allo scoperto, chiama il pubblico a dar giudizio sul suo operato. Ben ci spieghiamo per questo come l'Unità Cattolica, invitata ai termini di legge a stampare una lettera di lui, dichiarava non senza spirito che lo faceva “assai di buon grado”. Il suo cavallo di battaglia era sempre che quello di Don Bosco fosse “un istituto di istruzione privata, non già una Casa d'istruzione paterna”. E poichè Don Bosco nella riapertura delle scuole per l'anno 1877-78 aveva chiesto direttamente al ministero dell'Istruzione Pubblica di essere autorizzato almeno per un triennio a valersi dell'opera d'insegnanti senza regolare diploma, ecco che il Provveditore si credette di coglierlo in aperta contraddizione, provando ad evidenza, diceva lui, questa sua domanda che egli stesso riconosceva l'indole privata e punto paterna del suo istituto. In secondo luogo il Provveditore accusava Don Bosco di falsità, perchè, messo alle strette, aveva mandato un elenco di professori, i quali non insegnavano nè punto nè poco[119].

                Al Provveditore rispose sul medesimo giornale con due articoli Doli Giuseppe Bertello, che dirigeva le scuole dell'Oratorio[120] Nel primo dimostrava essere istituto Paterno quello di Don Bosco e perciò non andar soggetto alle leggi che governavano gl'istituti privati. Non esserci padri di famiglia associati, come voleva la legge; ma esserci i senza padre e chi li raccoglieva in casa sua con amore e sollecitudine paterna. Per trenta e più anni, cioè fino al 1876, averlo il Governo lasciato fare come gli consentivano i suoi mezzi e gli dettava la sua carità. Per aprire un ginnasio privato Don Bosco, secondo l'articolo 247 della legge Casati, avrebbe dovuto far conoscere con una dichiarazione scritta la sua intenzione al Provveditore della provincia; non essersi mai [184] compiuta questa formalità, nè esserne venuto mai richiamo di sorta. Fatto ben singolare, per scuole di contrabbando, un trentennio di vita indisturbata! Si obiettava aver Don Bosco chiesta l'autorizzazione temporanea di tenere insegnanti non legalmente approvati. Sì, ma quando l'autorità scolastica gli aveva intimato improvvisamente l'aut aut: o consegnare la nota dei professori approvati o chiudere l'istituto. Allora Don Bosco per estremo rimedio aver supplicato per un triennio di tolleranza, in cui formarsi i professori o provvedere altrimenti all'avvenire dei suoi giovani. Il secondo articolo voleva sostenere non potersi dal Provveditore dimostrare che i professori dati in nota, invece di compiere essi il loro ufficio, si facessero sostituire da giovani chierici e da giovani sacerdoti, com'egli aveva asserito nella sua relazione al Consiglio Scolastico. Dobbiamo confessare che qui il ragionamento si fa cavilloso; bastava su questo punto rispondere con un provisum in primo. Là era l'Achille degli argomenti e qui soltanto il suo tallone, che infatti al Provveditore offerse ottima presa per una replica[121] Don Bertello controbattè, sviscerando appunto l'argomento degli argomenti, sul quale invece aveva sorvolato bravamente il Provveditore, dicendo che quel primo articolo nulla conteneva di notevole[122].

                Un periodico umoristico, scherzando su “Don Bosco in un grande imbroglio”, con parecchie sciocchezze istituiva fra il Margotti e Don Bosco un parallelo che ci apre uno spiraglio per iscorgere i segreti pensieri che dovettero dar origine a questa guerra[123]. Diceva l'articolista: “Fa maggior [185] danno all'Italia D. Bosco (rispetto pur sempre la buona fede) che cento Margotti. Margotti almeno è conosciuto. Porta bandiera spiegata. Ha franchezza, ha carattere. Non ha paura nemmeno del diavolo. Dice addirittura a squarciagola: - Vogliamo il Papa-Re, fuori da Roma i ladri, gli scomunicati  e fa voti che venga un altro Sisto V che dia polenta e forca in abbondanza ai Romani. Don Bosco invece, parmi d'averlo detto un'altra volta, è un'acqua morta, che scava sordamente la sponda. Quatto quatto insegna il suo bravo catechismo, insinua quatto quatto idee di Papa-re (però senza nominarlo direttamente); e prepara da un anno soldatini al Papa. Dunque io penso, che sia più dannoso all'Italia Don Bosco che il trombettiere Margotti, che si fa sentire da tutti. Cento volte meglio un avversario manifesto, che uno coperto col manto. In conclusione: sotto questo aspetto la chiusura dell'Istituto sta benissimo, ed io la vorrei perpetua”.

                Era opportuno che anche Don Bosco parlasse. Egli uscì dal suo silenzio con una lettera alla Gazzetta del Popolo, che la pubblicò nel suo numero del 4 agosto.

 

                                Signor Direttore,

 

                Più volte nel suo giornale e segnatamente nel numero 211 Si è parlato della chiusura delle scuole dell'Ospizio noto col nome di Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Siccome per onore della verità e per vantaggio dei poveri giovanetti qua ricoverati non poche cose devono rettificarsi, così a titolo di cortesia, la prego di voler inserire la seguente verace narrazione dei fatti.

                In ogni tempo questa Casa fu sempre reputata Ospizio di Carità, Ricovero di poveri fanciulli e non mai Ginnasio privato.

                Gran numero di essi sono avviati alle arti e mestieri, mentre altri, o perchè di svegliato ingegno, o perchè appartenenti a civili famiglie decadute, fanno il corso ginnasiale, affinchè non vada fallita la loro vocazione agli studi, e non siano violentate le loro propensioni. [186] La legge Boncompagni nel 1848 e la legge Casati nel 1859 favorirono queste scuole, e per trentacinque anni i regi Provveditori e i Ministri della pubblica istruzione hanno cooperato al bene di questo Ospizio, considerandolo qual ricovero di poveri fanciulli, quale istituto paterno, il cui Superiore fa veramente le veci di padre, secondo la legge Casati, articoli 251, 252 e 253. Si noti eziandio che questo Istituto vive di provvidenza, gli allievi ricevono totalmente gratuita l'istruzione, come pure gratuita prestano gli insegnanti l'opera loro. Ciò nulladimeno il signor Provveditore volle sottoporre questo Ospizio alle leggi dei ginnasi privati, e quindi obbligare il Superiore con non leggeri sacrifizi a mettere in classe dei professori patentati,

                Dal canto mio volendo fare ossequio non alla legge, che ciò non comandava, ma all'Autorità che così esigeva, vennero scelti cinque professori patentati, cui furono affidati i diversi insegnamenti voluti dalla legge. Articolo 246.

                Non sembrò pago di questo il signor Provveditore, ma pretese che gli insegnanti titolari si trovassero in classe secondo l'orario di suo gradimento! Il che è contro alle leggi, che lasciano ai ginnasii privati la facoltà di stabilire l'orario che torna a maggior comodità dei medesimi.

                Egli fu per l'inosservanza del pubblico orario e perchè alcuni titolari si fecero talvolta supplire, che il Consiglio scolastico della Provincia di Torino, dietro relazione del signor Provveditore, propose la chiusura di queste scuole.

                Il signor Ministro della pubblica istruzione credette tale proposta fondata sul vero ed emanò il decreto di chiusura il 16 maggio, che ritardò a comunicare fino al 23 giugno.

                La legalità di quest'atto sarà da altri giudicata. Io dico soltanto che questa è storica esposizione, che niuno potrà nè cambiare, nè altrimenti interpretare.

                Una cosa poi in questo fatto deve amareggiare gli amatori della giustizia, ed è che non fu udita la parte interessata. Le leggi scolastiche e civili d'Italia e dell'estero concedono all'imputato di fare le sue ragioni; ciò a me non fu concesso, e non fu concesso a danno di quei poveri figli del popolo, che tutti gli uomini onesti dovrebbero proteggere ed occuparsi seriamente per migliorarne la condizione.

                Vivo però nella ferma speranza che il novello Ministro della pubblica istruzione riparerà ad un atto sì dannoso al publico bene e lo riparerà conformemente a quella libertà d'insegnamento che le vigenti leggi concedono.

                La ringrazio anticipatamente, signor Direttore, della cortesia, che spero mi vorrà usare, ed ho l'onore di professarmi colla dovuta stima

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 2 Agosto 1879.

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco. [187]

 

                Il professor Allievo, sempre più convinto del buon diritto di Don Bosco, tornato che fu da Roma, diede alle stampe un opuscolo intitolato: La legge Casati e l'insegnamento privato secondario. Per Don Bosco fu veramente il cacio sui maccheroni. L'autore non lo nominava; ma somministrava ottimi argomenti per la si-la causa. Il Beato se ne valse tosto, spedendo la pubblicazioncella al ministro Perez con la seguente lettera.

 

                                Eccellenza,

 

                Alla F. V. è certamente noto come un Decreto del Sig. ex-Ministro Coppino ordinava la chiusura delle scuole secondarie, che da trentacinque anni si facevano a benefizio dei poveri giovani raccolti in questo Ospizio. Il Decreto era firmato il 16 maggio e veniva comunicato il 23 giugno con effetto di esecuzione pel 30 dello stesso mese ed anno corrente.

                Come Direttore di questo Pio Istituto io sono obbligato d'impedire la rovina de' miei giovanetti e cercare quei mezzi che possono tornare ai medesimi di vantaggio presente e futuro. Lasciando a parte elle l'esecuzione del Decreto era impossibile in così breve tratto di tempo, la prego permettermi alcune osservazioni che parmi lo debbano rendere illegale e senza effetto.

                I° Il Consiglio Provinciale, quale è costituito. (Vedi documenti).

                2° Non si è ascoltata la parte interessata. Ogni legislazione, ogni tribunale non dà mai sentenza senza prima ascoltare le ragioni dell'imputato.

                Nel caso nostro vi fu un'ispezione del Sig. Provveditore che travisò la sua relazione e la fece pervenire al Consiglio scolastico, senza fame parola al Direttore dell'Ospizio elle avrebbe certamente avuto gravi cose da riprovare.

                3° Niuna legge sulla Pubblica Istruzione colpisce i Ricoveri di Carità, per la ragione che non vi sono interessi nè pubblici nè privati da tutelare. In questo Ospizio i Maestri prestano il loro insegnamento gratuito, come gratuite sono le lezioni per parte degli Allievi ricoverati

                Al più gli Istituti di beneficenza dovranno considerarsi come Istituti patemi in cui il superiore fa veramente le veci di padre, giacchè deve somministrare ai medesimi alloggio, vestito, pane ed istruzione. Non fa costui, effettivamente le veci da padre? Vedasi Opuscolo annesso del Professore Gius. Allievo.

                4° La legge sulla pubblica Istruzione art. 356 dice: “Le persone che insegnano a titolo gratuito nelle scuole festive per i fanciulli poveri, o nelle scuole elementari per gli adulti, od in quelle dove si [188] fanno corsi speciali tecnici per gli artieri, sono dispensate dal far constare la loro idoneità”. Se la legge tanto permette in pubblico, non permetterà anche i corsi secondarii nell'interno di una famiglia adottiva quale appunto è quella di cui parliamo? Vedi articolo 252.

                La ragione di chiusura si basa sull'assenza dei professori legali al tempo dell'insegnamento. Si nota elle nessuna legge prescrive alcun regolamento agli Istituti privati, perciò ciascheduno è libero di fissare quell'orario che torna più facile agli insegnanti. Difatto questi nostri professori dovendosi occupare ad ore determinate nell'amministrazione del Pio Istituto, scelgono il tempo loro possibile di mattino o di sera per compartire le loro lezioni. Dunque nè il cangiamento di orario, nè l'assenza dei Professori può costituire alcun titolo legale di chiusura di un Istituto.

                5° E’ da ritenersi che nella visita ispezionale fatta improvvisamente dal Sig. Prov.re propriamente parlando trovò un solo Professore assente e che aveva un supplente. La supplenza di un Professore può costituire un titolo legale di chiusura di un Istituto? Credo che niuno vorrà essere di questo parere.

                6° Questo Istituto non fu mai considerato come Ginnasio privato, ma come Ricovero di poveri giovanetti. Così giudicarono i Provveditori delle scuole secondarie, così il giudicò lo stesso ministero della Pubblica Istruzione per lo spazio di oltre a 35 anni.

                Ciò esposto e per i titoli sopraindicati, e pel bene dei poveri miei giovanetti e pel vantaggio della medesima civile società, supplico V. E. a voler riconoscere l'illegalità del citato Decreto e lasciare che questo Istituto continui a procacciare un mezzo di vivere a tanti poveri figli del popolo, che altrimenti sarebbero esposti ad un tristo avvenire.

                Qualora poi la E. V. nell'alta sua saviezza giudicasse di non poter favorire questa mia istanza, la pregherei umilmente di volerla trasmettere al Consiglio di Stato per avere il relativo parere. Pieno di fiducia nella voce pubblica elle proclama la E. V. padre dei figli del popolo, ho l'alto onore di potermi professare

                Di V. E.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La polemica nei giornali dilagò. Dal 5 al 9 agosto quattro quotidiani interloquirono, e uno a doppia ripresa. L'Unità Cattolica del 5 riprodusse la lettera di Don Bosco alla Gazzetta del Popolo con questo cappello: “Don Bosco è l'uomo della carità che vivifica; i suoi nemici sono gli uomini della lettera che uccide. Contro Don Bosco si ripete il grido che fu già lanciato contro lo stesso Gesù Cristo: Nos legem habemus et [189] secundum legem debet mori. Ma la legge è tanto male applicata contro Don Bosco, quanto lo fu contro il Divin Redentore. Ad ogni modo, noi mettiamo termine a questa polemica. L'uomo della `carità non ama di accendere liti”. La Gazzetta del Popolo del medesimo giorno aveva due lettere di due sacerdoti, ma quanto diverse! Una era di Don Rua per un brevissimo chiarimento; l'altra di un abate Mongini. Questo prete, liberale di tre cotte, ebbe per noi il merito di cantare fin, troppo chiaro, scoprendoci sempre meglio le batterie degli avversari. La questione legale era il pretesto; il lato vero della contesa era politico. Scriveva il prete liberale: “Don Bosco, che ha istituti in Italia e fuori, e perfino in America, ha una importanza politica coperta col manto dell'umanitarismo, cioè collo scopo della beneficenza. Questa importanza consiste nel genere del suo insegnamento, che è tutto informato ai principii del Sillabo; di guisa che prepara generazioni infeste all'Italia, ed alla civiltà in generale. Don Bosco, che pare avere il privilegio della ubiquità, si può chiamare il Sillabo ambulante col miele sulle labbra per farlo digerire a piccole dosi ai suoi giovani, come fanno le madri colle pillole verso i proprii ragazzi. In Don Bosco l'arte di innamorare al Papato è tutto, e si può dire che in ciò vale mille maestri clericali, e mille giornalisti così detti cattolici coi loro eccessi. Guai se le cento città d'Italia avessero per ciascuna un Don Bosco! Se non altro gl'imbarazzi crescerebbero a dismisura, e se ne vedrebbero gli effetti all'occasione. Con tutto questo vorrei dire che, se la legge non può rimediare a tutti i mali dell'istruzione secondaria, ad istituti di siffatta natura essa deve essere severamente applicata ed ispezionata, ed all'uopo chiudersene le porte”. Intanto qui abbiamo la grammatica “applicata” con criteri ultraliberali. Don Rua il giorno 6 rispose ad alcuni quesiti della Gazzetta Piemontese, che imparzialmente ne pubblicò la lettera[124]. Don Bertello confutò [190] nell'Unità Cattolica del 7 alcune affermazioni secondarie, che aveva lasciate da parte nella precedente risposta del 3 al Provveditore; son cose che per noi nulla contengono di nuovo. Finalmente l'Osservatore Romano del 9 con due colonne intitolate “Una difesa troppo leale”raffrontava il caso di Don Bosco con quello del padre Ferrari. Morto nel 1878 il celebre gesuita Secchi, astronomo e matematico di fama mondiale, il Governo italiano, incamerato il Collegio Romano, aveva per un resto di pudore lasciato tranquillo il grande scienziato nell'angolo dell'edifizio dov'era situato l'Osservatorio, sua creatura e per tanti anni sua cura. Scomparso il genius loci, il suo confratello e assistente padre Ferrari, che tutte le ragioni di diritto e di convenienza volevano mantenuto a quel posto, ne fu espulso: il signor Coppino senza tanto investigare, visto che tale arbitrio giovava agl'interessi del suo partito, andò difilato al proprio scopo. Per le medesime convenienze settarie, a detta dell'organo vaticano, lo stesso signor Coppino aveva deliberato “la capricciosa chiusura di un egregio e benemerito istituto cattolico, come quello del ginnasio di Don Bosco”. Questo era proprio mettere il dito sulla piaga.

                In mezzo al battagliare della stampa si fece nuovamente udire la voce di Don Bosco con una lettera al Margotti: lettera “degna proprio di lui”, diceva il giornale che fu ben lieto di renderla pubblica. “E se taluno, soggiungeva la redazione, vuole ancora dubitare che le scuole di Don Bosco appartengano ad un Istituto paterno, nessuno vorrà disconoscere ch'egli abbia un cuore veramente di padre”.

 

                               Chiarissimo Sig, Teologo,

 

                La benevolenza che V. S. chiarissima si compiacque di usare a me ed a questi miei giovanetti mi obbliga a professarle i più cordiali rendimenti di grazie anche per parte dei fanciulli beneficati. Ora le chiedo un favore di altro genere sulla vertenza di questo Oratorio col regio signor Provveditore agli studi della provincia di Torino. [191] Il punto legale è stato ad esuberanza discusso, e pare che già si cominci a passare alle personalità.

                Avendo pertanto questo Istituto bisogno di tutti e di tutto, d'altro canto desiderando nella mia pochezza di cooperare colle Autorità al pubblico bene, mi fo a pregarla di voler soprassedere da ulteriori questioni sopra tale materia, per far luogo a quella carità operosa che deve regnare in ogni classe di cittadini.

                Giudico però opportuno di notarle l'errore da cui derivò tutta questa disgustosa vertenza. Si volle che esistesse un ginnasio privato annesso a questo Ospizio. Ciò non fu mai. Se gli abitanti di Torino, quelli stessi che dimorano nel nostro Ospizio, fossero richiesti dove si trovi tale ginnasio, niuno il saprebbe indicare, perchè non esiste.

                Esistono invece delle scuole gratuite, che si fanno caritatevolmente ad una scelta di fanciulli dell'Ospizio, che per ingegno o per condizione di famiglia decaduta sono ammaestrati negli studii secondarii.

                Malgrado questa mancanza di fondamento nella proferita sentenza, e sebbene il decreto di chiusura non dovesse estendersi allo sfratto degli allievi, tuttavia, come in passato, non solamente ho ubbidito alla legge, ma eziandio all'autorità. Perciò, uniformandomi interamente al decreto ministeriale, il giorno fissato venne sospeso l'insegnamento secondario, e poco dopo gli allievi furono inviati ai loro parenti, amici o benefattori, che almeno temporaneamente diedero ricetto caritatevole.

                Ella, signor Teologo, può difficilmente immaginarsi quanto sia stato amareggiato il mio cuore nel vedere precipitosamente troncarsi il corso degli studi a circa trecento de' miei figli adottivi, i quali sono da più anni oggetto di incessanti sollecitudini e di non leggeri sacrifizi materiali, e, quello che più monta, doverli disperdere non senza pericolo di un tristo avvenire!

                Ho però piena fiducia che l'Autorità scolastica, riconosciuta la posizione in cui questo Istituto si trova in faccia alla legge ed alla civile società, mi permetterà di poter quanto prima raccogliere i miei allievi, per continuar loro quella educazione, che valga a metterli in grado di vivere la vita dell'onesto cittadino e nel tempo stesso guadagnarsi onesto sostentamento.

                Intanto ben di cuore continuo ad offerire questo ospizio a quei fanciulli abbandonati che le pubbliche Autorità giudicassero di indirizzare ad imparare arti o mestieri. Conchiudo col rinnovarle i sentimenti della profonda mia gratitudine con cui ho l'onore di potermi professare

Di V. S. chiarissima

                Torino, 9 Agosto 1879] Obbl,mo ed umile servitore

Sac. Gio. Bosco. [192]

               

                Nello stesso giorno io agosto un altro foglio liberale torinese, il Risorgimento, senza voler addentrarsi nel merito della questione, ebbe la franchezza di scrivere: “Ci sembra pure che il summum ius sia summa iniuria, quando si ha di fronte un Istituto, non solo educativo, ma caritativo, che provvede il pane del corpo e dell'anima a centinaia di poveri fanciulli

                Fatte quindi le solite riserve del liberalismo sullo spirito elle dominava i numerosi istituti di Don Bosco, proseguiva: “Con tutto ciò non possiamo non rimanere stupefatti davanti a cotesti miracoli della fede e della carità, elle nessuno seppe, non che superare, raggiungere”. Con questo preambolo il giornale dava ai lettori la ragione dell'ospitalità accordata a un ampio articolo, in cui, prescindendosi dal pulito di vista legale, veniva prospettata la vera natura del tanto discusso Ospizio, cosa indispensabile “per potersi fare tiri giusto criterio sulla illegalità della chiusura e sulla gravità delle sue conseguenze”. Descritto il sorgere e l'ampliarsi di esso e i suoi costanti rapporti con le autorità governative, si paragonava il recente atto dell'autorità scolastica coli la strage degli innocenti ordinata da Erode e si esprimeva la fiducia nelle migliori disposizioni del nuovo ministero[125].

                La polemica giornalistica varcò le Alpi. Un giornale parigino che non era farina da far ostie, il Figaro, intrattenne briosamente i suoi numerosi lettori sulla chiusura delle scuole di Don Bosco. Nel numero del 13 agosto una corrispondenza da Torino, presentati due attori principali del dramma, il Coppino e il Rho, delineava in iscorcio la benefica figura della loro vittima e poi batteva in breccia il malaugurato provvedimento, dimostrandone la puerile assurdità[126]. [193] A Torino, nel giorno in cui vi arrivò il numero del Figaro contenente una così solenne strigliata, accadde una di quelle coincidenze che verrebbe voglia di chiamare scherzi della Provvidenza per confondere la malignità degli uomini. Il famigerato Fischietto si sbizzarrì quel giorno con una caricatura, dove si vedeva un brutto ceffo vestito da prete, assiso sulle nubi, stringendo nella destra uno spegnitoio e sotto il braccio un volumone e un fagottino e portando sulla spalla sinistra un bastone recante in cima un secondo fagotto e un cartello con questa scritta: “Bel modo di proteggere le industrie. A Torino il Taumaturgo Dominus Lignus fabbricava nemici d'Italia con macchine non patentate dal ministero della Pubblica Istruzione: gli fecero chiudere la fabbrica! Dovremo forse vederlo emigrare per l'America in groppa ad una nube ed ingrandire colà le sue succursali!”Passi per l'idea fissa di veder Don Bosco emigrare da Torino[127]; ma quello spegnitoio fu proprio un infortunio sul lavoro. Mentre i lettori del foglio umoristico ridevano del nemico dei lumi costretto a portar lontano il suo oscurantismo, i lettori del Baretti apprendevano diverse cose interessanti. Apprendevano elle, presentatisi dall'Oratorio 32 candidati per la licenza ginnasiale nel regio ginnasio Monviso, 22 avevano conseguito la licenza, mentre degli interni solamente 7 su :16 erano stati approvati; apprendevano che i ventidue delle scuole illegali avevano ottenuto i migliori voti e elle anzi uno di essi era riuscito il primo di tutti gli 82 candidati, superando di dieci punti il migliore degli altri; apprendevano che i nove ritenuti in qualche materia avrebbero riparato agevolmente l'esame nella sessione di ottobre. Commentava il periodico: [194] “E questo esito favorevole si ottenne nonostante i disturbi che cagionò alle scuole il decreto di chiusura”. Sii questi risultati naturalmente i giornali cittadini ebbero la prudenza di serbare il silenzio.

                Le ferie sopirono il conflitto e fecero sospendere gli assalti; ma Don Bosco non interruppe le pratiche per ottenere che l'Oratorio fosse riconosciuto come casa paterna e quindi esente dall'obbligo di sottostare alle esigenze degli istituti privati. In settembre scrisse al ministro dell'Istruzione Pubblica, prospettandogli il ginnasio dell'Oratorio come provvidenziale rifugio a tanti giovani forniti d'ingegno, ma diseredati dalla fortuna.

 

                                Eccellenza,

 

                La pubblica voce che proclama la E. V. protettore dei figli del povero popolo, mi fa sperare la continuazione della sua benevolenza verso quei giovanetti dell'Ospizio detto Oratorio di S. Francesco di Sales, che desiderano di percorrere la via del sapere e della virtù. Questo Ospizio raccoglie circa 900 poveri ragazzi, ai quali colla scienza o coi mestieri si procura un mezzo con cui a suo tempo guadagnarsi il pane della vita.

                Quelli di più svegliato ingegno sono avviati alla carriera degli studii secondarii.

                Per lo spazio di 36 anni i Ministri della Pubblica Istruzione ed i Regi Provveditori hanno costantemente incoraggiato e sussidiato queste scuole, senza mai richiedere insegnanti legali: soltanto quest'anno 1878-79 il Sig. Provveditore di Torino, volendo sottoporre questo Istituto a leggi più strette che non sono quelle relative agli Istituti privati, cagionò disturbo e non lieve danno agli allievi, siccome ebbi già l'alto onore di esporre alla E. V.

                Ora supplico la E. V. che si degni considerare l'Oratorio di San Francesco di Sales quale casa di beneficenza, ricovero di poveri ed abbandonati fanciulli e permettere elle lo scrivente, mentre fa da padre nel provvedere il pane e quanto occorre per l'educazione materiale, possa eziandio dare per sè o per altri l'istruzione necessaria per prepararsi onesta maniera di campare la vita.

                L'esito felice degli allievi nei pubblici esami e il decoro, con cui molti di loro coprono dei primi posti come insegnanti nelle stesse Università dello Stato, fanno testimonianza intorno alla idoneità dei maestri.

                Intanto a nome proprio e da parte di tutti i giovanetti beneficati, [195] professo la più profonda gratitudine, mentre ho l'onore di potermi professare della E. V.

                Torino, Settembre 1879.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Contemporaneamente ritentò la prova con il ministro degli interni. L'una e l'altra lettera egli corredò di opportuni allegati.

 

                Eccellenza,

 

                A fine di assicurare ai giovanetti di questo Ospizio un mezzo valevole col tempo a guadagnare da vivere onoratamente, ho presentata una memoria al Sig. Ministro della Pubblica Istruzione. In essa io chiedo che questo Istituto continui ad essere tenuto quale opera di beneficenza, e elle il Superiore di esso possa loro far dare l'istruzione secondaria, come da circa trentacinque anni ha praticato.

                Nel 1865 il R. Provveditore, ignaro della natura tutta speciale di questo Istituto, voleva sottoporlo alle leggi dei Ginnasii privati, quindi con insegnanti titolari; ma una dichiarazione del Ministro dell'Interno, ed un'altra del Sindaco di Torino, dirette al Ministro della Pubblica Istruzione, tolsero ogni difficoltà.

                Presentemente trovandomi in caso identico, mi fo' animo di supplicare V. E. a voler dire una parola in favore dei nostri giovanetti presso al prelodato Sig. Ministro della Pubblica Istruzione. La gratitudine mia e dei giovanetti verso la E. V. sarà grande ed incancellabile, e tutti pregheremo Dio che la conservi, mentre ho l'alto onore di potermi professare

Torino, Settembre 1879.

 

Obbl.mo esponente

Sac. Gio. Bosco,

 

                Da Roma non veniva nulla, e l'anno scolastico stava per ricominciare. Fece allora di bel nuovo appello alla giustizia e alla carità del ministro Perez.

 

                Eccellenza,

 

                Si avvicina il tempo di cominciare le scuole, ed io mi trovo tuttora nella incertezza per quello elle debbo fare a favore dei giovanetti abbandonati che la Divina Provvidenza fa recapitare a questo Istituto di carità. Io pertanto La supplico umilmente e caldamente a prendere in benigna considerazione questi ragazzi elle a Lei protendono la mano dimandando protezione. Mentre poi attendo la benefica autorizzazione per dare l'istruzione secondaria ai giovanetti ricoverati in questo [196] ospizio, la prego a permettermi elle, in rapporto al sofferto disturbo, faccia rispettosamente osservare:

                I° Che la legge Casati non obbliga il Direttore di un Istituto privato a presentare veruno orario scolastico all'Autorità locale, nè questa lo può pretendere.

                2° Che i miei insegnanti fecero scuola, e che la legge non dà il diritto al Consiglio Scolastico di determinare il numero delle lezioni annuali, necessarie all'osservanza delle leggi;

                3° Che il Provveditore di Torino essendo due sole volte venuto ad ispezionare quest'Oratorio, non poteva di qui logicamente arguire che i maestri titolari non insegnassero quasi mai; perciocchè sebbene alcuni di loro fossero occupati lungo il giorno nell'amministrazione dell'Istituto, tuttavia studiavano le ore libere per dare le volute lezioni ai loro allievi;

                4° Che io mi sono provveduto di Professori titolari non già perchè credessi questo Istituto essere Ginnasio privato, giacchè per 35 anni le autorità civili, scolastiche, municipali hanno sempre considerato questo Istituto come opera di carità; ma ho preposti alle nostre classi insegnanti legali per cedere alla insistenza e minaccie dell'autorità scolastica.

                La giustizia e la carità elle proclamano la S. V. Protettore dei figli del povero popolo, mi fanno sperare di essere liberato da una vessazione che ritorna a datino pubblico e specialmente di tanti poveri fanciulli che, senza questo mezzo di educazione, corrono grave rischio di seguire la inala via e forse anche di finire nelle carceri dello Stato.

                Pieno di fiducia nella nota sua bontà io con profonda gratitudine mi professo

Di V. E.

                Torino, 19 Ottobre 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Questa volta il ministro si fece vivo. Il 28 ottobre gli scrisse: “Dal pregiato foglio di V. S. Rev.ma in data del 19 corrente ho con piacere sentito che Ella ha trovati per le classi ginnasiali del suo Collegio professori muniti di regolare diploma. Ciò farà sì che Ella potrà senza ritardo riaprire le classi suddette, al quale effetto si dovrà rivolgere al Consiglio Scolastico: di che dandole avviso, per fine me le rassegno pieno di stima e di considerazione ecc.”. S. E. volle salvare capra e cavoli. Il Beato capi che su questo terreno non avrebbe [197] guadagnato nulla più che la facoltà di riaprire le sue scuole, previa la presentazione dei titoli. Si attenne dunque alle istruzioni ministeriali e mandò l'elenco degli insegnanti al Provveditore, che ne scartò due: Bartolomeo Fascie, studente del secondo anno di lettere, e Gallo Besso, studente del secondo anno di matematica; provvedesse quindi che la prima ginnasiale e l'insegnamento dell'aritmetica in tutte le classi fossero affidati a insegnanti forniti di regolari diplomi; ciò fatto egli avrebbe proposto al Consiglio Scolastico Provinciale di autorizzare la riapertura dell'istituto. Don Bosco provvide.

 

                Ill.mo Signor Provveditore,

 

                Allo studente Bartolomeo Fascie del 2° anno di lettere sottentrerà il Prof. D. Marco Pechenino nell'insegnamento della Ia ginnasiale pei poveri fanciulli di questa casa.

                Al eh. Gallo Besso studente del 20 corso di matematica non si avrebbe altri da sostituire, perciò il corso di aritmetica resta per ora sospeso fino a che se ne possa avere uno coi titoli legali. Questo è conforme alla legge che non prescrive il numero nè le qualità degli insegnamenti da darsi negli istituti privati.

                Il sottoscritto poi, fermo nell'idea che il suo sia un istituto di beneficenza, e non un ginnasio privato, e perciò non soggetto all'articolo 246 della legge Casati riguardo ai titoli degli insegnanti, presenta i maestri patentati solo per condiscendere all'autorità locale, aspettando una decisione dall'Autorità superiore.

                Torino, 29 Novembre 1879.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ma Don Bosco non poteva tollerare che il decreto ministeriale di chiusura pendesse in ogni tempo quale spada di Damocle sul suo Oratorio: volle ottenerne la revoca. In sostanza riusciva a questo effetto il tentativo a cui si accingeva di strappare per le sue scuole il riconoscimento ufficiale che erano paterne. Ed ecco che si venne ingaggiando una nuova battaglia.

                Erano giorni, in cui nei Parlamenti dei principali Stati europei si duellava per la libertà d'insegnamento: sembrava che dappertutto spirasse un'aura di reazione contro il tirannico [198] monopolio della scuola; sicchè l'opinione pubblica si appassionava in vario senso al problema. In Italia il Congresso cattolico nazionale di Modena, tenutosi nell'ultima settimana di ottobre, affrontò la questione. L'ingegnere Buffa di Torino presentò uno schema di petizione da inviarsi, coperto di firme, alle due Camere, per chiedere che l'insegnamento fosse libero. ““Come padri, vi si diceva, abbiamo diritto di educare ed istruire secondo la nostra coscienza i figli che Dio ci ha dato. Come Italiani, abbiamo diritto di crescere una generazione che non d'ignominia, ma di onore e di gloria riesca alla patria. Come cittadini abbiamo diritto che le leggi scolastiche s'informino al primo articolo dello Statuto, e al principio di libertà nell'insegnamento, che decretato dal Parlamento subalpino nel 1857, voluto applicarsi nella legge organica 13 novembre 1859, venne, per abuso di chi doveva la legge stessa applicare, disconosciuto e reso lettera morta”. Nel corso della discussione avendo il Buffa nominato Don Bosco e accennato ai suoi istituti di carità, scoppiò una salva di vivissimi applausi.

                Il ministro Perez aveva idee larghe circa la libertà d'insegnamento. E semplice aver richiamato da Torino e assunto a suo Segretario particolare l'Allievo, convinto e pubblico assertore di questa libertà, è sufficiente a far conoscere le tendenze ministeriali, confermate pure da altri fatti[128]. Ma questa propensione fu non ultima causa della sua breve permanenza al ministero[129]. Diede le sue dimissioni il 19 novembre, seguite per intestine discordie da quelle dell'intero Gabinetto Cairoli. Il Cairoli, incaricato della ricomposizione, offerse al Perez l'agricoltura; ma quegli ricusò, ponendo il dilemma: o l'istruzione o niente! Gli succedette il letterato Francesco De Sanctis.

                Don Bosco era risoluto di portare la sua questione dinanzi al Consiglio di Stato, chiedendo l'annullamento del decreto  [199] Coppino siccome illegale per essere l'Istituto Salesiano opera di carità. Per questo si preparò convenientemente il terreno. Cominciò a comporre un memoriale sotto forma di ragguaglio storico indirizzato al nuovo ministro della Pubblica Istruzione, con cinque appendici di documenti che andavano dal 1850 al 1866: egli dava in esso una giusta idea dell'Oratorio di Valdocco. Perchè poi le autorità dello Stato potessero venir informate a dovere, fece stampare il suo scritto a mo' di opuscolo[130], che con o senza l'altro sopra mentovato dell'Allievo mandò a quanti poteva essere utile illuminare intorno alla faccenda. Orti bisognava imbroccare la via buona per giungere al Consiglio di Stato.

                Il Consiglio di Stato, secondo il prescritto della legge, non riceveva nè deliberazioni nè documenti se non dai ministeri; onde qualsiasi istanza doveva andare per la via gerarchica. Nel caso nostro faceva d'uopo rimettere la petizione al Presidente del Consiglio Scolastico Provinciale, che l'avrebbe presentata al Consiglio stesso, e il Consiglio con sua relazione al ministro dell'Istruzione Pubblica; il ministro poi, esaminata la questione, avrebbe trasmesso tutto l'incartamento al Consiglio di Stato. Ma il Consiglio Scolastico di Torino che fiducia poteva ispirare a Don Bosco? Non avrebbe cercato con ogni mezzo di trarre l'acqua al suo mulino? Se non altro, avrebbe potuto con burocratici ritardi tentar di mandare la cosa alle calende greche. Un'altra via si apriva più sicura e più spedita: ricorrere al Re. La legge glie ne dava il diritto ed egli se ne valse. E' vero che allora il Gabinetto di Sua Maestà, passata l'istanza al protocollo generale, l'avrebbe trasmessa al ministero dell'Istruzione Pubblica e questo si sarebbe rivolto anzitutto al Consiglio Scolastico di Torino per ischiarimenti; ma non era più possibile far arenare la pratica, nè per l'ordinario sottoporla a soverchi indugi; inoltre Don [200] Bosco aveva a Roma tanto presso il Ministero elle presso il Consiglio di Stato, amici fidati, i quali l'avrebbero tenuta d'occhio, rimovendo remore e cattivando influenze.

                Il Beato compilò dunque un ricorso al Re, ampliando il memoriale già spedito al ministro e unendovi una larga documentazione sulla vertenza. Uno degli amici suddetti, il signor Benedetto Viale, torinese, vecchio impiegato nella segreteria del Consiglio di Stato, scrivendo a Don Rua di quel ricorso, giudicò che “non poteva essere meglio redatto”; portatolo poi a un suo intimo, che copriva un posto molto elevato presso il ministero dell'Interno, n'ebbe in risposta .che era “molto ben scritto e assai stringente pel ministero dell'Istruzione Pubblica”, il quale aveva ordinato la chiusura; che se non ricevesse giustizia, Don Bosco avrebbe potuto benissimo rivolgersi al Parlamento e financo procedere per via giudiziaria. Il signor Viale dal canto suo assicurò Don Rua dicendo: “Non dubiti che vigilerò, raccomanderò, consiglierò per un esito favorevole, che non è altro che la giustizia”[131]. Anche l'istanza al Re fu poi da Don Bosco data alle stampe[132], e avuto dal signor Viale l'elenco dei componenti la sezione del Consiglio di Stato, che trattava gli affari della pubblica istruzione, ne mandò copia a ciascuno, insieme con l'altro suo opuscolo e con quello dell'Allievo.

                La petizione di Don Bosco fu dal Gabinetto reale trasmessa al Ministero dell'Istruzione Pubblica l'II dicembre. Nella vigilia di Natale il Ministero presentò al Consiglio di Stato, l'incartamento relativo coli una lettera ministeriale, che risente dell'acredine, la quale dovette condire le informazioni [201] di provenienza torinese[133]. A relatore era già stato designato il commendator De Filippo, elle sembrava favorevole, quando per mutamenti introdotti nel Consiglio di Stato le questioni attinenti al Ministero dell'Istruzione Pubblica dovevano essere trattate dalla sezione dell'Interno, e perciò la relazione sarebbe dovuta passare ad altri; invece per alte raccomandazioni, a cui non fu estranea l'opera del Viale, venne lasciata al De Filippo. Anche il senatore Siotto-Pintòr favorì Don Bosco, interponendo i suoi buoni uffici presso il ministro, presso il Presidente del Consiglio di Stato Cadorna e presso i consiglieri suoi amici; “la violazione della legge è manifesta”, esclamava l'energico sardo[134].

                Ma non era così manifesta ai signori di Torino. Come se nulla fosse, il Prefetto volle conoscere programmi e orario delle scuole. Don Bosco gli rispose:

 

                               Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                In ossequiosa risposta alla lettera di V. S. Ill.ma in data 24 dicembre 1879 mi fo dovere di rispondere che i programmi usati nelle nostre scuole non sono uniformi, perchè è diverso il grado di istruzione che occorre compartire ai nostri ricoverati.

                In quanto all'orario, sebbene non prescritto dalla legge, le dico di buon grado che per lo più le lezioni si danno dalle 9 alle II ½ del mattino e dalle 2 alle 4 ½ pomeridiane.

                Ma siccome i nostri insegnanti hanno eziandio degli impegni nell'amministrazione di questo Istituto, così non di rado devono variare l'orario comune. Hanno però agio a compiere il corso affidato essendo tra noi l'anno scolastico dal 15 ottobre al 9 settembre.

Ho l'onore di professarmi

                Torino, II Gennaio 1880.

 

Sac. Gio. Bosco. [202]

 

 

                Ed anche Don Bosco, come se nulla fosse, si rivolse al ministro degli Interni Depretis per averne un sussidio, rappresentandogli i suoi bisogni con tanti giovanetti raccolti nell'Oratorio da alimentare. Il ministro incaricò il Prefetto di partecipargli il suo rincrescimento per non poter elargire il chiesto sussidio, mancando nel suo bilancio i fondi a simili spese ed essendo state già le tenui risorse disponibili impiegate a sollievo di tanti infortunii che si lamentavano in ogni parte del Regno durante quella stagione invernale[135].

                Il Presidente del Consiglio di Stato aveva nominato la commissione speciale per l'esame dell'affare. Si componeva di otto consiglieri, che si radunarono il 26 febbraio 1880. La conclusione fu che, non risultando abbastanza chiara l'indole ed il carattere delle scuole in questione, si riservasse l'avviso della commissione a quando le fossero comunicati schiarimenti da chiedersi. Don Bosco, informatone confidenzialmente, indirizzò al Ministero la seguente memoria.

 

                In data 13 novembre 1879, ho umiliato all'E. V. un ricorso perchè fosse rivocato il decreto di chiusura delle scuole annesse all'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove sono ricoverati ed educati cristianamente molti poveri giovanetti abbandonati. Non avendo ricevuto risposta alcuna alla mia preghiera e non sapendo se al Consiglio di Stato o al Ministero sia rimasta arenata la pratica, mi rivolgo alla E. V. perchè voglia essermi di tanto cortese da dirmi se fu pigliata in considerazione la mia supplica, e se furono esaminati i documenti che la appoggiavano e che mostravano ad evidenza l'indole ed il carattere dell'Istituto di beneficenza da me eretto. E mi preme tanto più insistere in questo momento in cui mi viene partecipato correre voce a Torino che il R. Provveditore agli studii di questa città e provincia abbia testè riscritto al Ministero sulla questione in corso.

                Mi giova credere vadano altamente errati quelli che mi insinuarono tal cosa; ma se avessero qualche fondamento le voci corse a danno di questo povero Istituto io sarei in dovere di provare coi fatti che quelle asserzioni sono al tutto contrarie alla verità. Si vuole, se son vere le cose esposte, che il R. Provv. abbia voluto presentare alla E. V. le nostre scuole come un vero privato ginnasio, nel quale gli alunni mediante una rata mensile hanno l'insegnamento secondo le varie [203] scuole cui appartengono. Gli è questo un grande errore, giacchè l'Oratorio di S. Francesco di Sales essendo destinato a favore di poveri ragazzi, non avvi neppure uno dei ricoverati che paghi un centesimo per avere quest'insegnamento, neppure uno degli insegnanti che percepisca il benchè minimo stipendio, e quindi gratuitamente i ragazzi ricevono le lezioni e gratuitamente l'impartono gli insegnanti. Basterebbe a mio credere questa sola osservazione per mostrare la natura dell'Istituto e per presentarlo quale opera pia, giusta quanto ha determinato il Consiglio di Stato nel dicembre dello scorso anno 1879. Dirò tuttavia che a prova del mio asserto potrei numerare e citare parecchie accettazioni gratuite di giovani, raccomandati da vari passati ministri, dalla questura, e dallo stesso prefetto Minghelli Vaini pochi dì prima del decreto di chiusura delle nostre scuole. Qualcuno vi ha, è vero, che offre o mensilmente o annualmente qualche piccola somma e forse avvene uno ogni centinaio che potendo paga L. 24 mensili, ma questo piccolo aiuto come può bastare pel vitto, pel vestito e riparazioni che richiede ciascun individuo? Questo non può certamente mutare l'indole dell'opera pia a favore dei poveri giovanetti che vivono dei mezzi che la D. Provvidenza ci manda; il che può chiaramente vedersi dal regolamento dell'Istituto che richiede le seguenti condizioni per l'accettazione.

                I° 12 anni compiuti e non più di 18.

                2° Orfani di padre e di madre, salvo che particolari motivi richiedessero qualche eccezione.

                3° Poveri ed abbandonati. Quelli che hanno qualche cosa la porteranno seco a vantaggio dell'Istituto.

                Si vorrebbe in secondo luogo che i ragazzi raccolti nell'istituto siano destinati allo stato ecclesiastico o religioso.

                Per aver una risposta a questa osservazione basterebbe visitare oltre l'oratorio di Torino, gli ospizii della città di Lucca, di Sampierdarena, e si vedrebbero centinaia, e possiam dire migliaia di poveri ragazzi applicati ad arti e mestieri e che in nessun modo aspirano allo stato ecclesiastico. Molti tra i giovani raccolti hanno percorsa più o meno splendida carriera e nessuno è rimasto spostato in società come si vorrebbe far supporre, poichè il sottoscritto si è fatto un dovere di collocare sempre convenientemente i giovani affidati alle sue cure quando, o per difetto d'intelligenza, di mezzi o di volontà, non intendevano percorrere la carriera degli studii e abbandonavano l'Istituto.

                E a conferma di quanto asserisco potrei citare migliaia di giovani che tolti dall'ozio e dalla miseria si guadagnano ora onestamente il pane in società, come potrei nominare parecchi dei nostri giovani alunni che collo studio giunsero a coprire cariche luminose nella magistratura, nella milizia, nei varii ministeri e non pochi sono quelli i quali laureati in lettere e filosofia insegnano con plauso in varie città d'Italia, non solo nei licei e ginnasii ma nelle stesse regie università. [204] E’ vero tuttavia che sul numero considerevole di giovanetti alcuni mostrano inclinazione allo stato ecclesiastico e religioso, e questi trovano nelle nostre scuole quei mezzi e quegli aiuti di cui abbisognano per corrispondere alle divine chiamate e questi ci sono indispensabili per prestare istruzione, vigilanza, e direzione agli allievi dell'Ospizio e nei molti giardini di ricreazione destinati a trattenerli nei giorni festivi.

                Dalle cose fin qua esposte mi giova sperare che l'E. V. sarà sufficientemente edotta sul vero stato della questione e quand'occorresse sono pronto a presentare i documenti e le prove prima che vengasi ad una deliberazione, la quale inspirata solamente a relazioni prive di fondamento, tornerebbe dannosa a tanti poveri figli del popolo che raccolti in mezzo alle vie, mentre stavano per divenire un manifesto pericolo per la società, attendono ora a migliorar se stessi, e mediante una buona educazione lasciano fondata speranza di poter riuscire probi e onesti cittadini, onore della società, speranze di più lieto avvenire.

                Tengo fiducia nella illuminata saggezza e bontà dell'E. V, e spero che avrà la bontà di far pervenire queste mie osservazioni al Consiglio di Stato, affinchè gli eminenti personaggi chiamati a pronunziare un giudizio definitivo su questa dolorosa vertenza, abbiano chiara idea del vero stato delle cose in questione.

 

                Si vede che le cose andavano a rilento; infatti soltanto ai 7 di aprile il provveditore Rho spedì al ministero la chiesta relazione sulla natura dell'Oratorio di Don Bosco. Confrontando questa relazione con la memoria surriferita appare che il Servo di Dio aveva subodorato molto bene quello che bolliva in pentola, quali idee cioè avrebbero informato il rapporto provveditoriale, quando fosse chiesto da Roma. il Provveditore asseriva che pochissimi alunni potevano ottenere di esservi tenuti gratuitamente e che i due terzi, uscendo per avere interrotti gli studi o per averli finiti, si riversavano nella società privi di mezzi di fortuna, non più atti ai lavori manuali, a cui attendevano prima, e non abbastanza istruiti per poter intraprendere una carriera civile. Per questi due motivi l'Oratorio non essere istituto di beneficenza. Ora a questi due appunti Don Bosco rispondeva preventivamente, senz'averne l'aria, nella sua memoria al ministro[136]. [205] Allorchè il Provveditore fornì al ministro tali informazioni, Don Bosco si trovava a Roma. Avrà certo brigato la parte sua; ma non sappiamo più nulla dell'affare fino al 28 aprile, quando la commissione si radunò per la seconda volta. Si voleva formulare lì per lì il parere, basandolo puramente e semplicemente sui ragguagli del Ministero, vale a dire del Provveditore. Ma il buon consigliere barone Celesia scattò e presa la parola, si oppose dicendo: - Ecchè? si vorrebbe venire ad una sentenza definitiva senza neppur udire la parte interessata? Signori, non siamo in Turchia! - La franca osservazione produsse l'effetto desiderato; infatti il Presidente incaricò il consigliere commendator Gerra di redigere parere sospensivo[137] che nella parte sostanziale risultò in questi termini: “Ritenuto elle sulle notizie raccolte e precisate dal Regio Provveditore degli studi in Torino circa il carattere dell'Istituto scolastico nell'Oratorio di San Francesco di Sales in quella città, non fu interrogato il Sac. Giovanni Bosco ricorrente contro il decreto elle ne ordinò la chiusura; che lo interrogare il Sac. Giovanni Bosco è conveniente e può giovare alla più completa e sicura istruzione dell'affare; che l'incarico di interrogare il Sac. Giovanni Bosco potrà essere adempito dal Prefetto della Provincia nel modo che egli stimerà migliore; il qual Prefetto avrà così opportunità di stabilire ed esporre tutti gli elementi di fatto necessarii a conoscere se l'Istituto del quale si tratta sia di beneficenza o di istruzione, e se essendo d'istruzione appartenga a quelli contemplati nell'articolo 260 o a quelli contemplati negli articoli 251 e 252 della legge 13 novembre 1859: che sulle risultanze così completate sarà bene che il Ministero esprima de terminatamente il proprio avviso, LA COMMISSIONE è di parere che, prima di pronunciarsi sul merito, l'affare debba essere ulteriormente istruito in 'Conformità delle avvertenze premesse”. [206] Intanto a Torino erano avvenute parecchie novità negli uffici governativi, Così un nuovo Prefetto Casalis aveva preso il posto dell'altro. Egli, per eseguire gli ordini del Consiglio di Stato, formulò a Don Bosco per iscritto i cinque seguenti quesiti: I° Quale fosse l'indole dell'Oratorio in generale, e quale particolarmente lo scopo che egli si proponeva nel mantenervi le scuole ginnasiali. 2° Quanti fossero i giovani dell'Oratorio addetti ad arti o mestieri, e quanti quelli che frequentavano le classi del ginnasio, e quanti i chierici che attendevano agli studi filosofici e teologici. 3° Se i giovani tutti dell'Oratorio e più specialmente quelli che attendevano agli studi ginnasiali fossero tenuti nell'istituto gratuitamente, ed in caso negativo quanti fossero quelli che godevano di un posto intieramente gratuito, e quanti d'un posto semigratuito. 4° Quanti alunni solessero presentarsi annualmente all'esame di licenza ginnasiale e quanti quelli che nell'anno precedente lo avevano superato. 5° Quanti fossero gli alunni che negli ultimi cinque anni avevano compito la quinta classe ginnasiale e quanti fra questi erano passati nell'istituto al corso filosofico, per dedicarsi quindi al ministero ecclesiastico ed ascriversi al Sodalizio Salesiano da lui fondato. Don Bosco gli rispose così

 

                               Illustrissimo Signore,

 

                Mi fo un dovere di rispondere ai varii Quesiti che V. S. Ill.ma si compiacque di propormi per incarico del Ministero della Pubblica Istruzione sopra l'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Il I° Quesito domanda: qual sia l'indole dell'Oratorio in generale e quale particolarmente lo scopo che il Direttore si propone col mantenere in esso le Scuole Ginnasiali.

Rispondo alla prima parte del Quesito.

                Un Parere emesso dal Consiglio di Stato nel 1879 stabilisce che il carattere di una fondazione è determinato dal fine che si propone e dalle qualità delle persone a cui vantaggio essa è diretta. - Ora ecco il fine che io mi proposi nel fondare l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Non credo poterlo meglio esporre che colle parole da me usate quando per la prima volta ne formolai il Regolamento, e che furono consegnate alla Autorità governativa e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale: “Si incontrano talora giovani orfani e privi dell'assistenza patema, perchè [207] i genitori non possono o non vogliono curarsi di loro, senza professione, senza istruzione. Costoro sono esposti ai più gravi pericoli spirituali e corporali, nè si sa come impedirne la rovina, se non si stende loro una benefica mano, che li accolga, li avvii al lavoro, all'ordine, alla religione. La Casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales ha per iscopo di dar ricetto ai giovani di questa categoria.

                “Affinchè un giovane sia accettato nella Casa detta: Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, sono necessarie le seguenti condizioni:

                I° Che il giovane abbia dodici anni compiuti, e che non oltrepassi i diciotto;

                2° Sia orfano di padre e di madre, nè abbia fratelli o sorelle, od altri parenti, che possano averne cura;

                3° Totalmente povero ed abbandonato. Qualora, avverandosi le altre condizioni, il giovane possedesse qualche cosa, egli dovrà portarla seco alla Casa, e sarà impiegata in suo favore, perchè non è giusto, che goda la carità altrui chi può vivere del suo;

                4° Che sia sano e robusto, non abbia alcuna deformità nella persona, nè sia affetto da malore schifoso o attaccaticcio;

                5° Saranno di preferenza accolti quelli che frequentano l'Oratorio festivo di San Luigi, del Santo Angelo Custode e di San Francesco di Sales; perchè questa Casa è specialmente destinata ad accogliere quei giovani assolutamente poveri ed abbandonati che intervengono a qualcuno degli Oratori summentovati”.

                Questo è il fine col quale fu aperto l'Oratorio Salesiano, ed io restando fedele ad esso in ogni tempo, mi impegnai di attuarlo con quei mezzi che la Provvidenza mi somministrava. Ciò posto, apparisce chiaro essere l'Oratorio Salesiano nella sua indole un Istituto di Beneficenza a pro della Gioventù abbandonata. E che sia tale fu riconosciuto sempre dai Municipii, dalle Questure, dalle Prefetture, e dagli stessi Ministeri dello Stato che gli raccomandarono centinaia di giovanetti abbandonati: per tale fu proclamato nel Parlamento Nazionale e nel Senato del Regno; e per tale infine lo ebbero le persone dabbene e caritatevoli, che lo giovarono della loro benevolenza e di copiosi sussidii, tanto che da piccoli principii potè crescere fino a ricoverare un migliaio di persone, e fondare officine, laboratori e scuole, dove i più utili ritrovati delle scienze e delle arti sono comunicati ai figliuoli del popolo, e per essi riversati sulla civil società.

                In conferma di tutto questo viene il fatto che una innumerevole quantità di giovani, di cui sarei pronto a declinare i nomi, usciti da questo Oratorio coprono oggidì nella Società ufficii più o meno cospicui sia nei Licei e nelle Università, sia nell'Esercito e nelle pubbliche Amministrazioni. E mi è grato poter affermare che nessuno di quelli, che si mostrarono docili allievi di questo Istituto, ne uscì sfornito dei mezzi necessarii a guadagnarsi onorevolmente il pane, come nessuno [208] vi ha di mia saputa, che nelle sue relazioni o colla Società o col Governo non si mostri uomo dabbene e buon cittadino; anzi vi hanno esempi di tali che in alcune gravi contingenze spiegarono atti di vero eroismo.

                Venendo alla seconda parte del medesimo Quesito io, rispondo che lo scopo speciale, elle mi propongo nel mantenere le scuole in questo Oratorio si è di compiere un importante ramo di educazione e soddisfare ai bisogni ed alle vocazioni molteplici e varie dei giovanetti in esso ricoverati. Dei quali alcuni, inclinati per natura all'esercizio di certe arti e mestieri più nobili ed elevati (tipografia, calcografia, fonderia, fotografia, stereotipia, ecc.) noli sarebbero in grado di impararli bene ed esercitarli con frutto se non fossero un poco istruiti nel Latino, nel Greco, nel Francese, nella Geografia e nell'Aritmetica, ecc.

                Altri mostrando lui ingegno assai sveglio ed una speciale attitudine al culto delle scienze si credette giovare grandemente alla Società coltivando questi eletti ingegni ed avviandoli alla carriera delle scienze superiori. Di questi molti o cogli aiuti dell'Istituto o concorrendo ai posti gratuiti del Collegio delle Provincie, o di altre benefiche istituzioni, poterono pigliare l'iscrizione nelle Università muniti di tutti i titoli dalla legge richiesti e compiervi i loro studi, ed ora fanno buona prova o sulle cattedre o cogli scritti; e qui solo per brevità se ne tace il nome potendosi manifestare ad ogni richiesta della pubblica Autorità.

                Sonvi poi altri noli pochi di casato cospicuo ma caduti in bassa fortuna, i quali non potendo per ragione di convenienza confondersi con quelli della prima categoria, vengono avviati ad una carriera più confacente alla loro condizione. Per rispondere alle esigenze di queste due ultime categorie di alunni si fu nella necessità di dare alle scuole dell'Oratorio la forma d'insegnamento Ginnasiale. Questo scopo speciale, come si vede, non solo non contraria, ma adempie vie più lo scopo generale di beneficenza, a cui mira questo Ospizio.

                Risposta al 2° Quesito. - I giovani dell'Oratorio addetti ad arti o mestieri od a lavori diversi dell'Istituto sono in numero di 510. Quelli che frequentano le classi del Ginnasio, come apparisce dalla nota già consegnata al Sig. Provveditore, sono circa 300. E' forse superfluo il notare che in questi numeri vi ha sempre una certa fluttuazione, essendovi quasi ogni settimana dei giovani che per diversi motivi si allontanano dall'Istituto, ed altri che vi entrano. Nell'autunno e nell'inverno, per ragioni elle è facile capire, il numero dei ricoverati è maggiore, mentre diminuisce nei tempi estivi.

                Rispetto ai chierici conviene avvertire due cose: I° Che nell'Oratorio non c'è un corso regolare di studi filosofici, ma a que' giovani che occupati  nell'Uffizio di assistenti od in altri lavori dentro l'Istituto, intendono consacrarsi allo stato Ecclesiastico, si dà, nel tempo e nel [209] modo elle la condizione dell'Istituto permette, quell'insegnamento che è necessario a ben assistere nei laboratorii, dormitorii, ecc., a catechizzare i fanciulli, a fare scuole serali di letteratura e di musica vocale ed istrumentale, ed a compiere altri somiglianti Uffizi necessarii all'Istituto e richiesti dalla loro vocazione.

                2° Che non tutti i chierici, i quali dimorano presentemente nell'Oratorio o negli altri Istituti fondati da D. Bosco, uscirono dalle scuole dell'Oratorio di Torino; ma i più furono allievi di altri Collegi o Seminari, i quali, desiderosi di associarsi a D. Bosco nelle varie opere di beneficenza che ha alle mani, vennero a sottoporsi all'ubbidienza di lui. Il che apparisce chiaro dalla tavola seguente, colla quale si risponde al proposto Quesito.

                Chierici, che nel senso esposto attendono allo studio della Filosofia nell'Oratorio Salesiano, venticinque; dei quali diciassette compierono il Ginnasio in altri Istituti, e soltanto otto furono allievi dell'Oratorio. Studenti di Teologia dodici, dei quali cinque provenienti da altri Istituti.

                Venendo ora al 3° Quesito, un articolo del Regolamento di questo Istituto dice: “Se il postulante possiede qualche cosa, la porterà seco nella sua entrata nello Stabilimento, e sarà impiegata a suo favore, perchè non è giusto elle viva di carità, chi noli è in assoluto bisogno”. - In forza di questo articolo avviene elle non tutti i ricoverati nell'Oratorio Salesiano vi stiano gratuitamente, ma taluni vi paghino una piccola pensione mensuale od annua, secondo la possibilità loro, o dei parenti. Il che tuttavia, avuto riguardo alla qualità delle persone, elle si accolgono in questo Oratorio, non toglie elle la massima parte delle spese restino a carico del medesimo come appare dalla tavola seguente:

                Giovani ricoverati 810. Posti tenuti gratuitamente 450.

                Studenti tenuti gratuitamente nell'Istituto centosei (106). Uno solo per ogni cento paga la pensione di lire 24 mensuali. Gli altri ne pagano cinque, quale otto, quale dieci, ecc. Tenuto poi conto de' posti occupati gratuitamente e delle molte quote inesigibili, si può stabilire che la pensione media degli studenti è di circa lire sei mensuali per testa. Le quali, come ognun -vede, non bastano a gran pezza a provvedere il vitto; onde l'istruzione rimane totalmente gratuita per parte degli alunni elle la ricevono, come è intieramente gratuita per parte di coloro che la dànno, non essendovi fra le tante persone, che sono necessarie all'istruzione, all'assistenza ed agli altri uffizi dell'Istituto neppur uno, che riscuota un soldo di stipendio.

                A compimento di questa risposta credo necessario avvertire che D. Bosco tiene altri Istituti di educazione in varie parti d'Italia, i quali essendo destinati alle classi mediocremente agiate, vi si paga la pensione regolare di L. 24, mensuali od anche più, e vi dànno l'insegnamento Professori muniti dei Titoli legali. Con questi evidentemente [210] non è da confondere, come taluno ha fatto, l'Oratorio di Torino diverso al tutto per indole e per condizione.

                Risposta al Quesito 4°. Gli allievi dell'Oratorio suddetto che annualmente sogliono presentarsi all'esame di licenza Ginnasiale sono in media una ventina. Nell'anno passato si presentarono 31, lo superarono 26. Parecchi di questi ottennero i più bei voti nel R. Ginnasio Monviso di Torino, ed uno riuscì il primo con dieci punti sopra tutti gli altri, ed ebbe l'attestato di onore.

                Rispetto al Quesito 5° credo necessario di notare che non esiste tra noi alcun sodalizio, ma solo una pia Associazione detta di S. Francesco di Sales, la quale ha per iscopo di occuparsi della educazione della gioventù specialmente povera ed 'abbandonata. L'esponente e tutti quelli che vi appartengono sono liberi cittadini e in ogni cosa dipendono dalle leggi dello Stato.

                Gli alunni che negli ultimi cinque anni compirono la 5ª classe Ginnasiale in questo Oratorio furono 210. Quelli tra questi, che passarono nell'Istituto agli Studi Superiori per dedicarsi al Ministero Ecclesiastico ed ascriversi alla pia Società di S. Francesco di Sales, sono 31.

                Pare non tornare a biasimo dell'Istituto che parecchi dei suoi allievi di loro spontanea volontà si associno a D. Bosco per recare ad altri quei benefizi, che essi hanno ricevuto; ma insieme da questo confronto apparisce come sarebbe erroneo il credere che si tengano aperte le scuole dell'Oratorio specialmente per benefizio della pia Associazione Salesiana.

                Con questo io credo di avere, per quanto mi fu possibile, soddisfatto ai cinque Quesiti proposti dalla S. V. Ill.ma, pronto a dare ogni altro schiarimento quando ne fossi richiesto. Ma nel medesimo tempo oso supplicare il Consiglio di Stato che qualunque sia per essere la decisione riguardo alla prima dimanda del mio Ricorso, Esso favorisca di pronunciare altresì il suo esplicito parere intorno alla seconda domanda, che si riferisce alla legalità del Decreto Ministeriale in forza di cui furono chiuse le scuole dell'Oratorio Salesiano.

                In ogni evento intendo mettere questo Pio Istituto sotto la benevola protezione di V. S. Ill.ma della quale sarò sempre colla massima venerazione

                Torino, 7 Luglio 1880.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                I primi a cui mandò copia di questa esposizione, gliene dissero ogni bene. Al signor Viale parve che lo scritto rispondesse nel modo più categorico e vittorioso a tutti i quesiti e che non potesse più dubitarsi dell'indole eminentemente benefica dell'Oratorio, e soggiungeva: “Alle buone ragioni in [211] merito fa degno confronto la temperanza e la nobiltà del linguaggio e tutto spira il convincimento della verità e la purezza della coscienza che non sa mentire nè a sè nè agli altri”. Esprimeva poi l'augurio che il Prefetto trasmettesse tal quale la risposta al ministero e che il ministero si convincesse della giustizia e riparasse l'errore commesso[138]. Anche il barone Celesia lesse e scrisse al Beato: “Di passaggio in questa città mi vien rimessa la preziosa lettera di V. S. Rev.ma del 17 corrente, coll'annessa copia di osservazioni. Rendo grazie alla S. V. Rev.ma della fattami comunicazione e desidero che le cose siano chiarite a vantaggio della beneficenza e della educazione, cui tanto Ella si dedica. Spiacente di non poterla riverire in persona, la prego di gradire gli atti di alta stima del suo, ecc. ecc.”[139]. Ma interessa soprattutto conoscere il sentimento del Prefetto. Accusando ricevuta[140], si espresse così: “Ho visto la difesa che fa del suo istituto. Per me sono già persuaso e spero che se ne persuaderanno anche gli altri”. Erano buone parole, che aspettavano di essere chiarite e confermate dai fatti; ma intanto Don Bosco aveva già un elemento per arguir l'umore dell'uomo, con cui aveva da fare e da cui dipendeva tutto l'esito della controversia. Noi sappiamo come il Servo di Dio, ricevendo da persone amiche doni geniali, fosse solito farne presente a benefattori o ad autorità. Gli avevano regalato un leprotto vivo, e pensò di offrirlo al nuovo Prefetto, forse nell'atto di complimentarlo per la sua nomina. Questi nella medesima lettera dei Quesiti lo ringraziava in una forma un po' singolare dicendo: “Ho l'obbligo di ringraziarla della lepre, a cui procacciai un avvenire più degno di me, di Lei e di chi l'ha creata, dandole la libertà”.

                Parrebbe incredibile! Il Prefetto Casalis indugiò tanto a trasmettere, le dichiarazioni fornite da Don Bosco il 7 Luglio [212] 1880, che solamente il 7 giugno 1881 l'incartamento per il tramite del Ministero pervenne al Consiglio di Stato. Il ritardo permise al nuovo Provveditore commendator Denicotti di esaminare per conto suo la questione, e il Prefetto non fece che riassumere e far sue le osservazioni sfavorevoli di lui, traendone la conseguenza che il decreto di chiusura non poteva essere revocato se non quando Don Bosco si dichiarasse disposto, come ogni altro cittadino, ad eseguire le prescrizioni della legge.

                Il Presidente della sezione che trattava nel Consiglio di Stato gli affari spettanti al Ministero dell'Istruzione Pubblica, nominò una commissione speciale di nove membri per il nuovo esame del ricorso. Don Bosco, avvertito segretamente di ogni cosa, fece stampare in gran fretta la lettera prefettizia dei cinque Quesiti e la sua risposta, premettendovi a mo' di preambolo questo indirizzo:

 

                                Illustrissimo Signore,

 

                Al ricorso da me rassegnato a Sua Maestà contro il Decreto ministeriale di chiusura dell'Istituto educativo di giovani stabilito in Torino nell'Oratorio detto di S. Francesco di Sales mi vennero fatte dal Ministero di P. I. le seguenti dimande di schiarimenti intorno alla natura dell'Istituto, alle quali mi feci premura di dare analoga risposta fin dal luglio dell'anno scorso, risposta che ora qui riproduco.

                A tale uopo reputo opportuno di ricordare in via sommaria (come apparisce dimostrato dai documenti già presentati a questo Eccell.mo Consiglio di Stato):

                I° che l'Istituto predetto si deve considerare [che] sia come vero Istituto paterno e come Istituito di beneficenza;

                2° che, dato e noli concesso elle sia un Istituto privato, e quindi soggetto alla legge vigente, esso non poteva essere chiuso, perchè i Professori dati in nota come abilitati insegnarono essi medesimi effettivamente, facendosi solo sostituire in caso di necessità; sicchè è un errore di fatto che siansi affidate le scuole ad altri insegnanti non abilitati;

                3° che tutto il passato depone in favore del ricorrente, al quale noti furono mai domandate note di Professori abilitati dalle autorità scolastiche precedenti, e elle mandò esse note solo quando gli furono richieste, invocando in suo favore gli articoli 251, 25 della legge, soltanto allora che fu contestata la natura del suo Istituto. [213] Dovendo il mio ricorso essere deferito all'esame del Consiglio di Stato, mi pregio di rassegnare alla S. V. I. una copia sia dei Quesiti, sia delle risposte nel caso che le possa tornare di qualche utilità alla maggior cognizione della questione.

                Torino, 2 Luglio 1881.

 

Umile Ricorrente

Sac. Gio. Bosco.

 

                Senza lasciar trapelare che egli conoscesse il tenore della relazione prefettizia e i nomi dei Commissari, mandò lo stampato a questi e ad altri membri del Consiglio di Stato. Don Bosco sapeva benissimo che i documenti annessi alle pratiche sono poco letti e meno ancora esaminati e, che per lo più in simili Commissioni i relatori danno ragione al Governo e i commissari ai relatori; sottoponendo invece ai singoli componenti la stia Commissione quelle due lettere, egli li metteva in grado d'informarsi sommariamente e di prendere in adunanza la parola, confutare gli argomenti del relatore e sapersi poi regolare nella votazione.

                Sembrava tutto disposto perchè l'adunanza si tenesse verso la metà di luglio; invece fu differita a novembre, perchè la maggior parte dei Commissari erano andati in ferie. La si tenne dunque ai 29 di quel mese. La causa di Don Bosco ebbe la peggio, specialmente per le maligne insinuazioni di Abignente. Due membri della Commissione presero le sue difese e il barone Celesia lottò a spada tratta in favore di lui, ma tutto fu inutile[141]. Il parere dopo una lunga serie di ritenuto che e di considerato che, ultimo dei quali era che il decreto ministeriale non impediva a Don Bosco di riaprire le sue scuole, quando si conformasse alla legge, finiva sentenziando che il ricorso contro il decreto di chiusura non meritava di essere accolto. Ai 22 di dicembre il Re firmò il decreto per il rigetto del ricorso, e così ebbe termine la laboriosa controversia.

                Ma non ebbero fortuna gli uomini che la sollevarono. L'onorevole Coppino uscì quasi subito dal Ministero. Il Minghelli [214] Vaini, Prefetto di prima classe a Torino, fu traslocato Prefetto di terza classe a Catania, poi a Lecce e quindi messo a riposo; Nicomede Bianchi, che maneggiò tutto l'affare, venne in bel modo rimosso dall'ufficio; il provveditore Rho che aveva tanta paura di andare in Sicilia, ricevette nel 1880 l'ordine di raggiungere la residenza di Palermo. Supplicò, non andò, ma di lì a poco fu esonerato dall'ufficio e sospeso dallo stipendio, sicchè, divenuto come insensato, si ritirò nel nativo paesello. Suo fratello prete, colpito da apoplessia, stette a lungo inchiodato in un letto. Per chiudere la dolorosa, storia aggiungeremo che durante le misure vessatorie un certo professor Castelli si presentò a Don Bosco con tali proposte e documenti da gettare il povero Provveditore nel fango; ma Don Bosco sdegnò siffatti mezzi, dicendoli indegni di un'anima cristiana. Nè personalmente il signor Rho, anche quando compiè quegli atti, ebbe mai a lagnarsi di Don Bosco, dopo la cui morte ricordava “l'ardente carità cristiana da cui era animato e amava dirsi “vecchio amico di quell'uomo a cui il nostro paese e l'intiero mondo cristiano debbono eterna gratitudine”[142].

                A dir vero, il provveditore Rho non era alle sue prime armi, Egli non solo aveva già negato di riconoscere il carattere di vescovile al piccolo seminario di Borgo San Martino, succedaneo a quel, di Mirabello, ma aveva anche cercato di togliere il pareggiamento al collegio dei Barnabiti a Moncalieri. Il Rho, insomma, fosse debolezza o partito preso, serviva la consorteria che combatteva la libertà d'insegnamento per scristianeggiare la scuola e la nazione. Il ministro dell'Istruzione Pubblica Ruggero Bonghi nel 1875 aveva proclamato in piena camera non potersi sperare compiuta la rigenerazione e la ristaurazione morale d'Italia, finchè non fosse esclusa dall'educazione ed istruzione della gioventù l'influenza del clero. [215]

                Ecco dunque dove paravano i rigorosi provvedimenti, con cui Per fas et nefas si attraversava l'istituzione delle scuole paterne, così conformi alla legge 13 novembre 1859. Il Bonghi stesso nel gennaio del 1875 con una circolare s'arrogò il diritto d'interpretare, mutilare, applicare a modo suo quella legge; alle teoriche poi e deduzioni bonghiane si appigliarono i Consigli Scolastici e il Consiglio di Stato per rifiutare la facoltà di aprire scuole paterne, sotto il pretesto che lo spirito della legge non comportava di estendere fino a cento il numero di più padri di famiglia che potevano associarsi per far istruire e far educare in comune i loro figli sotto la propria vigilanza, e che parimente ripugnava alla legge il potersi dai padri di famiglia delegare ad altri il loro diritto e la loro autorità sopra siffatte scuole[143]. Si voleva a ogni costo rendere impossibile una scuola, un collegio, un convitto chiuso all'ateismo ufficiale, che si soleva far passare sotto la maschera apparentemente non odiosa della così detta laicità.

                Con questo preciso obbiettivo la Massoneria ognora imperante alla Minerva fece alla chetichella man bassa della sempre vigente legge Casati. Per via di decreti ministeriali od anche per mezzo di semplici circolari dei ministeri l'arbitrio si venne sovrapponendo ora alla lettera ora allo spirito della legge. Anzi bastarono spesso le rimostranze di un Carneade qualunque, perchè il ministero dell'Istruzione Pubblica imponesse con la forza quello che la legge non imponeva, e vi si ostinasse a dispetto di tutto e di tutti; una volta poi ingaggiata la lite e giunta al Consiglio di Stato, questo dava ragione al ministro e torto a chi con la legge era perfettamente in ordine.

                Don Bosco che vide chiaramente e vide molto presto quali fossero i segreti intendimenti dei settari e che volle senza rumore elevar un argine contro l'irrompere del male, fu anche dei primi a sperimentare gli effetti del tirannico monopolio statale negli ordinamenti scolastici d'Italia.

 

 

CAPO VIII. La prima relazione triennale alla Santa Sede sullo stato della Congregazione.

 

                MENTRE questi e altri non meno grossi fastidi che vedremo nei capi seguenti, avrebbero potuto far perdere la bussola a chi non possedesse la santa imperturbabilità di Don Bosco, egli dovette anche applicare la niente a trarsi da una situazione imbarazzante in cui erasi venuto inopinatamente a trovare di fronte alla Santa Sede per un atto del suo ufficio di Superiore Generale.

                Nel mese di marzo del 1879, stando a Roma, aveva compilato una relazione sullo stato morale e materiale della Società Salesiana, che fece dare alle stampe (I) e umiliò alla Santa Sede, distribuendone copia anche ai Direttori delle case. Ne faceva così la presentazione: “Le Costituzioni di questa Società al capo VI prescrivono che ogni tre anni debbasi fare alla S. Sede una relazione sullo stato materiale, morale e progresso della medesima. Ciò si è solo fatto approssimativamente in passato, perciocchè l'apertura di nuove case, e le modificazioni cui la nascente Congregazione dovette piegarsi per le speciali circostanze dei tempi e de' luoghi, impedirono di fare una completa ed esatta esposizione quale [217] si doveva. Il Rettore Maggiore di questa Congregazione desideroso di prestare in ogni cosa il dovuto ossequio alla Santa Sede, con piena fiducia di avere quelle osservazioni e quei consigli che possono contribuire alla maggior gloria di Dio, compie ora questo suo dovere, esponendo umilmente lo stato in cui si trova codesta pia Società nei vari paesi ne' quali esercita qualche atto di sacro ministero o prende parte all'educazione scientifica o artistica della gioventù”. Segue poi un limpido riassunto storico delle origini e degli sviluppi della Pia Società dal 1841 al 1879 con un'idea sommaria del suo regime. Scrive il nostro Beato Padre:

 

                Questa Congregazione nel 1841 non era che un Catechismo, un giardino di ricreazione festiva, cui nel 1846 si aggiunse un Ospizio pei poveri artigianelli, formando un Istituto privato a guisa di numerosa famiglia. Diversi sacerdoti e parecchi signori prestarono l'opera loro come esterni cooperatori alla pia impresa. Nel 1852 l'Arcivescovo di Torino approvò l'Istituto accordando di moto proprio tutte le facoltà necessarie ed opportune al Sacerdote Bosco Giovanni, costituendolo Superiore e capo dell'opera degli Oratorii. Da quest'anno al 1858 cominciò la vita comune; scuola, educazione di chierici, di cui parecchi divenuti preti si fermarono nell'Istituto. Nel 1858 Pio IX, di santa memoria, consigliava il Sacerdote Bosco a costituire una pia Società al fine di conservare lo spirito dell'opera degli Oratorii. Egli stesso benevolmente ne tracciava le Costituzioni, che furono ridotte in pratica per la vita comune ad uso di Congregazione ecclesiastica di voti semplici.

                Dopo sei anni la Santa Sede con apposito decreto lodava, commendava l'Istituto e le sue Costituzioni e ne stabiliva il Superiore.

                Nel 1870 l'Istituto con le sue Costituzioni veniva definitivamente approvato con facoltà di rilasciare le dimissorie ai Chierici Salesiani , che fossero entrati nelle case della Congregazione prima dei 14 anni di età.

                Nel 1874 le Costituzioni erano definitivamente approvate nei singoli articoli, con facoltà di rilasciare indistintamente le dimissorie ad decennium. Di poi la Santa Sede in diversi tempi arricchì questa pia Società dei privilegi più necessari ad ma Congregazione Ecclesiastica di voti semplici. Frattanto si fondarono parecchie case di mano in mano che la Divina Provvidenza ne porgeva l'opportunità ed i mezzi: e crescendo esse in numero assai notevole, si divisero in Ispettorie e Province.

                I confratelli ripartiti nelle diverse case della Congregazione sono dipendenti dal Direttore della rispettiva comunità; i Direttori sono [218] soggetti ad un Ispettore che presiede ad un numero determinato di case formanti la sua Ispettoria o Provincia. Gli Ispettori dipendono dal Rettor Maggiore. Questi col suo Capitolo Superiore amministra tutta la Congregazione, con dipendenza diretta ed assoluta dalla Santa Sede.

                Sebbene questa Congregazione abbia per iscopo di occuparsi in modo particolare della gioventù pericolante, tuttavia i suoi membri si prestano volentieri in aiuto delle parrocchie e degli Istituti di beneficenza colla predicazione in occasione di tridui, novene, esercizi spirituali, missioni, dando comodità colla celebrazione della S. Messa, e coll'ascoltare le confessioni dei fedeli. Inoltre si adoprano a comporre, pubblicare, diffondere buoni libri, spacciandone ogni anno oltre ad un milione.

 

                La memoria si chiude con una rapida notizia sullo stato morale, dove sono singolarmente degni di nota,. anche per il modo in cui sono espressi, due accenni, uno sui rapporti con l'Ordinario torinese e l'altro sull'annosa questione dei privilegi. Riportiamo il passo.

 

                Esposto lo stato e l'incremento materiale che la Divina bontà ha concesso all'umile Congregazione Salesiana si dà qui un breve cenno dello stato morale della medesima.

                1. L'ossevanza delle Costituzioni, grazie a Dio, è mantenuta in tutte le Case, e finora non vi fu alcun Salesiano che dimenticando se stesso abbia dato qualche scandalo. Il lavoro supera le forze e il numero degli individui; ma niuno si sgomenta, e pare elle la fatica sia lui secondo nutrimento dopo l'alimento materiale. E' vero che alcuni rimasero vittima del loro zelo tanto in Europa quanto nelle Missioni estere; ma questo non fece altro elle accrescere l'ardore di lavorare negli altri religiosi Salesiani. Si è però provveduto che niuno lavori oltre le sue forze con nocumento della sanità.

                2. Le dimande degli aspiranti Salesiani sono assai numerose, ma si è provato che molti hanno vocazione ad altri ordini religiosi od allo stato di preti secolari, non ad ascriversi alla pia Società di S. Francesco di Sales. Le dimande annue sono di circa trecento, di cui centocinquanta sono ammessi al Noviziato; e coloro elle in fine di esso professano sono in media centoventi.

                3. Coi Parroci e cogli Ordinarii Diocesani siamo in ottima relazione; e possiamo dire che ci fanno da padri e da benefattori. Con un solo Ordinario si incontrano delle difficoltà, di cui non si potè mai sapere la vera cagione. Colla pazienza, coll'aiuto del Signore e lavorando sottomessi nella sua Diocesi si spera di acquistare quella benevolenza che godiamo in tutte le altre Diocesi. [219]

                4. Altra grande difficoltà fu incontrata nei Privilegi. Si crede che i Salesiani abbiano i Privilegi di cui comunemente godono tutti gli Ordini religiosi e le altre Congregazioni Ecclesiastiche, ciò che finora la Santa Sede non giudicò di concedere. L'andamento materiale e morale sarebbe reso assai più facile mercè la Comunicazione dei Privilegi, di cui si fa umile ma calda preghiera.

                5. Si è tenuto il primo Capitolo Generale nel settembre 1877. Si trattarono più cose assai importanti per la pratica delle nostre Costituzioni, ma prima di mandare le prese deliberazioni alla Santa Sede si giudicò opportuno di metterle per alcun tempo in pratica, introdurvi le modificazioni per conoscere le correzioni a farsi, e sottoporle ad altro Capitolo Generale, che a Dio piacendo si terrà nel settembre del 1880.

                6. Tutti i Soci della Congregazione si uniscono al loro Rettore Maggiore per fare omaggio alla S. Sede e professarle “inviolabile attaccamento, e supplicano che questa suprema Autorità della Chiesa loro continui la paterna sua assistenza, mentre essi con tutto l'impegno possibile non cesseranno di sostenere la fede e l'ubbidienza al Vicario di Gesù Cristo in tutti i paesi dove hanno case sia in Europa che in America.

                Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.

 

Sac. GIOVANNI Bosco

Rettore Maggiore.

 

                La parte più ampia della relazione verte intorno allo stato materiale. Don Bosco annette importanza ad ogni forma di attività da lui voluta e dai suoi esercitata, per ristretto che ne sia il campo; nulla perciò gli sfugge di quanto fanno i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Ne vien fuori così un'esposizione analitica, nella quale il molto e il vario dovettero allora produrre nei Soci un misto di sorpresa e di compiacimento da farli esclamare: Digitus Dei est hic, qui c'è il dito di Dio[144].

                Alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari questa prima relazione triennale di Don Bosco fu minutamente esaminata in ogni sua parte; dal qual esame risultarono sette “rilievi”, che dal cardinale Ferrieri Prefetto gli vennero [220] comunicati in data 5 aprile, sicchè egli li trovò sullo scrittoio quando fece ritorno all'Oratorio quattro giorni dopo. Il Servo di Dio non ebbe la menoma difficoltà a rispondere con opportuni schiarimenti; sol che la risposta andò per le lunghe. Troppe brighe lo incalzavano in quei mesi, come abbiamo veduto e vedremo, perchè potesse studiarvi sopra e ponderare bene le sue espressioni. Fece un abbozzo che diede a copiare; poi nella copia introdusse notevoli aggiunte e modificazioni, fors'anche ebbe d'uopo di consultare persone pratiche e benevoli; cosicchè la lettera non partì da Torino se non il 3 agosto. Essa è molto interessante. Noi stamperemo in corsivo i rilievi citati testualmente da Don Bosco.

 

                                Eminenza Reverendissima,

 

                Ho ricevuto copia delle osservazioni che l'autorevole Congregazione dei Vescovi e Regolari si degnò di fare sulla esposizione dello stato morale e materiale della Pia Società di S. Francesco di Sales.

                Prima di tutto ringrazio umilmente la E. V., assicurandola elle di tali rilievi ne farò tesoro a vantaggio dei Soci Salesiani, e serviranno di norma per le future relazioni che ogni triennio devonsi fare alla Santa Sede.

                Intanto mi fo dovere di dare qui gli schiarimenti richiesti secondo l'ordine numerico con cui furono fatte le osservazioni.

 

                I° Nulla si dice nella succitata Esposizione sullo stato economico dell'Istituto, nè sul Noviziato, il quale deve farsi a norma di quanto viene stabilito dai Sacri Canoni e dalle Apostoliche Costituzioni.

 

                               Schiarimenti:

 

                La Pia Società non esiste legalmente, perciò non può possedere nè contrarre debiti, nè crediti. Le Case della Congregazione (come a pag. 13 della mentovata Esposizione) sono di proprietà dei membri della medesima; esistono debiti, ma un Socio ha in vendita uno stabile di valore sufficiente a pagarli. Ma la Congregazione sia come ente morale sia come ente legale non possiede e non può possedere cosa alcuna.

                Una Casa di Noviziato è qui in Torino approvata e regolata dalla stessa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari e se ne seguono tutte le norme stabilite ed approvate come nel Capo XIV delle nostre Costituzioni; colle medesime norme, e con Decreto di approvazione della Congregazione di Propaganda Fide fu aperta altra Casa di Noviziato [221] in Buenos Ayres, capitale della Repubblica Argentina. Con autorizzazione della prelodata Cong. dei Vescovi e Regolari è attivato quello di Marsiglia, dove si sta compiendo un edifizio adattato ed opportuno per tutte le osservanze prescritte a quest'uopo. Si dovrà presto aprire un nuovo Noviziato nella Spagna nella Diocesi di Siviglia, di che a suo tempo si farà formale preghiera alla Santa Sede per la dovuta autorizzazione. Si era pure fatta dimanda di attivare un Noviziato in Parigi; ma alcune difficoltà insorte ne rendono improbabile l'attivazione, perciò resta sospesa ogni pratica relativa.

                Un Sacerdote di scienza e di pietà esperimentata è il Direttore dei Novizi. Due altri Sacerdoti lo coadiuvano. Fanno regolarmente ogni giorno la meditazione, lettura spirituale, visita al SS. Sacramento, recitano il Rosario della Beata Vergine. Ogni sera si raccolgono in chiesa a ricevere la benedizione col Venerabile, Ogni settimana fanno la loro Confessione, quasi ogni giorno si accostano alla S. Comunione. In ciascuna settimana hanno luogo due Conferenze, una istruzione sopra le Costituzioni. Finora l'osservanza religiosa è mantenuta.

 

                2° La Pia Società non può essere divisa in Ispettorati, che è cosa insolita, ma in Province, per l'erezione delle quali in ciascun caso deve ottenersi la facoltà della S. Sede.

 

                R. La Pia Società venne divisa in Ispettorie a norma dell'art. 17 Capo IX delle nostre Costituzioni così espresso: “Si opus fuerit, Rector Maior, Capitulo Superiore adprobante, constituet visitatores, eisdemque curam quamdam demandabit certum Domorum numerum inspiciendi, ubi earum distantia et numerus id postulaverit. Huiusmodi visitatores, sive inspectores, vel cognitores, Rectoris Maioris vices gerent in domibus et in negotiis eisdem demandatis”.

                Sua Santità Pio IX, di sempre venerata memoria, nel primo organismo dell'umile Società Salesiana raccomandava di eliminare quelle denominazioni, che potessero urtare contro lo spirito del secolo. Pertanto invece di appellare Convento, proponeva si dicesse Casa, Collegio, Ospizio, Orfanotrofio; in luogo di Generale si appelli Rettor Maggiore; al nome di Priore o Guardiano si sostituisca Direttore; a Provinciale o Provincia qualche vocabolo equivalente. Sarà opportuno dire che la divisione in Ispettorie non è ancora attivata, ma è solamente proposta ad esperimento, e qualora se ne conosca possibile l'effettuazione si farà il dovuto ricorso alla S. Sede. Ma nella tristezza dei tempi nostri e le continue e gravi difficoltà che ogni giorno dobbiamo appianare non lasciano ravvisare altra divisione tollerabile in mezzo al secolo, perciò si prega a volerla temporaneamente ammettere.

 

                3° All'articolo Ispettoria Piemontese si dice, che al sacro Ministero dei Salesiani sono confidati alcuni ricoveri di donne. Una tale commissione non può darsi, che dall'Autorità Vescovile rispettiva, e doveva [222] esprimersi, se essa eravi intervenuta, ed in che consiste il detto Sacro Ministero.

 

                R. Nell'aprire Istituti femminili e nell'assumerne la direzione spirituale furono seguite tutte le norme descritte nel Capitolo X delle nostre Costituzioni. Sono questi Istituti mancanti affatto di mezzi materiali, cui i Salesiani a richiesta degli Ordinarii prestano caritatevolmente il religioso servizio. Questo sacro ministero è sempre concertato e limitato dall'Ordinario Diocesano in tutto ciò che si riferisce ai SS. Sacramenti della Confessione, Comunione, alla celebrazione della S. Messa, alla parola di Dio, catechismi e simili.

 

                4° Dalla detta Esposizione risulta, che i Salesiani hanno Collegi, Scuole, ecc. e nulla si dice, se col permesso dei rispettivi Ordinarii, e se nell'insegnamento dipendono da essi a forma dei Sacri Canoni, e specialmente del S. Concilio di Trento.

 

                R. Furono seguite le Regole approvate dalla S. Sede come sono descritte nel Capo X delle nostre Costituzioni per l'apertura di novelle Case, quindi furono premesse le dovute pratiche cogli Ordinarii Diocesani quali sono prescritte dai Sacri Canoni e dal Sacro Concilio di Trento.

 

                5° Nella medesima Esposizione si aggiunge una relazione sopra un Istituto di donne sotto la denominazione di Maria Ausiliatrice, e nulla si dice, se questo Istituto abbia un Superiore Generale da cui dipendano le Suore, e se esso sia del tutto indipendente, come dev'essere, dall'Istituto dei Salesiani.

 

                R. Quando furono approvate le Costituzioni Salesiane si trattò e si discusse quanto riguardava l'Istituto delle Figlie di Maria SS.ma Ausiliatrice.

                L'Istituto di Maria Ausiliatrice dipende dal Superiore Generale della Pia Società Salesiana nelle cose temporali, ma in ciò che concerne all'esercizio del culto religioso e all'amministrazione dei Sacramenti sono totalmente suggette alla giurisdizione dell'Ordinario. Il Superiore dei Salesiani somministra i mezzi materiali alle Suore e col consenso del Vescovo stabilisce un Sacerdote col titolo di Direttore Spirituale per ogni Casa di Suore.

                Parecchi Vescovi hanno già approvato questo Istituto femminile, ed ora si sta facendo il dovuto esperimento per conoscere praticamente le modificazioni da introdursi prima di umiliarle alla S.Sede per l'opportuna approvazione.

                Siccome poi in vari punti delle loro regole è notato il limite della dipendenza delle Suore dal Superiore dei Salesiani, così viene unita una copia delle loro regole per chi desiderasse maggiore schiarimento sulle medesime. [223] Si nota eziandio che la Casa Madre di queste Suore è in Mornese, Diocesi di Acqui, il cui Ordinario ha sempre regolata l'origine, il progresso e la dilatazione dell'Istituto.

 

                6° Si aggiunge, che le dette Suore fanno la cucina, ed hanno cura della biancheria, e del vestiario nei Seminari, e negli Ospizi dei maschi, lo che è stato sempre riprovato dalla S. Sede.

 

                R. In ogni cosa si ebbero previe intelligenze cogli Ordinarii Diocesani, anzi le dimande furono fatte da loro medesimi, e si seguono tutte le regole che i Sacri Canoni prescrivono e che la prudenza suggerisce.

 

                7° Questa Sacra Congregazione non può a meno di riconoscere come cosa singolare, ed inopportuna, che la ripetuta Esposizione sia stata data alle stampe, mentre la relazione triennale da darsi dai Superiori Generali degli Istituti non è per altro ordinata, che per fare conoscere alla S. Sede lo stato disciplinare, personale, materiale, economico di ciascun pio Istituto, e l'andamento del Noviziato.

 

                R. Ho poi fatto stampare tale Esposizione ad unico fine di facilitarne la lettura. Essendo questa la prima volta che io inviava relazione di questa fatta alla S. Sede ho seguito il consiglio del Superiore di un altro Istituto che mi disse: La S. Sede preferisce l'esposizione stampata. Altra volta mi farò dovere di inviarla manoscritta.

                Dati così i richiesti schiarimenti prego la E. V. a conservare questa povera Società in benevola considerazione.

                I tempi, le autorità, le leggi civili, gli sforzi che si fanno per annientare gli Istituti ecclesiastici mi spingono a chiedere dalla E. V. tutto l'appoggio e tutta la indulgenza compatibili colle prescrizioni di Santa Chiesa.

                Questi schiarimenti dovevano essere spediti alla E. V. nel mese di maggio ultimo scorso, ma per gravi disturbi cui soggiacque questa Casa ho dovuto differire al presente giorno.

                Colla massima venerazione reputo sempre ad alta gloria il potermi sottoscrivere

Della E. V. Rev.ma

                Torino, 3 Agosto 1879.

 

Umil.mo ed obb.mo servitore

Sac. GIO. Bosco.

 

                Gli schiarimenti forniti da Don Bosco diedero luogo a nuove osservazioni in data 3 ottobre, trasmessegli dall'avvocato Leonori il giorno 6. Questi nella lettera di accompagnamento diceva a Don Bosco: “Bisogna (perdoni la mia audacia) fare una risposta piena, concludente e soddisfacente, per [224] guisa elle da parte della Congregazione noli possa esservi replica”. Egli potè replicare solamente il 12 gennaio 1880, quando partiva per la Francia e inviava a Roma Don Dalmazzo come Procuratore Generale della Congregazione. Nella sua replica noli cita più le parole della lettera cardinalizia; ma noi per rendere più agevole la lettura ve le andremo inserendo fra parentesi quadre e in carattere corsivo.

 

                                Eminenza Reverendissima,

 

                Io sono addolorato che malgrado il mio buon volere non sia riuscito a dare i voluti schiarimenti sopra l'esposizione triennale alla S. Sede intorno alla nostra umile Congregazione. Affinchè questo ed altro affare possa essere spiegato nel senso compatibile con questa Congregazione e nel tempo stesso nel senso voluto dai Sacri Canoni, mando il Sacerdote Dottore Francesco Dalmazzo in qualità di nostro Procuratore con incarico di porsi agli ordini di V. E. o di chi Ella giudicherà indicare al medesimo.

                Intanto io espongo qui alcuni miei pensieri in ossequiosa risposta alla lettera che la E. V. degnavasi indirizzarmi il 3 ottobre 1879.

                Il mentovato Sacerdote Dalmazzo può dare spiegazioni in proposito ove ne sia d'uopo.

 

[Collo schiarimento dato sull'Osservazione N° I Ella dice che la pia Società non esiste legalmente, perciò non può possedere nè contrarre debiti. Prosiegue poi, che le Case della Congregazione sono proprietà di alcuni socii; esistono debiti, ma un socio ha in vendita uno stabile per pagarli. Conchiude, che la Congregazione sia come Ente morale, sia come ente legale, non possiede, nè può possedere. Si ritiene da questa S. Cong.ne, che tutte dette espressioni di non legale esistenza, vogliansi da V. S. intendere in riguardo alla legge civile ostile ai Pii Istituti; Poichè in riguardo alle leggi della Chiesa, avanti la quale non hanno alcun vigore le leggi civili, tutti i pii Istituti, così anche quello dei Salesiani, hanno la loro legale esistenza secondo i Sacri Canoni. É Perciò che sono soggetti alla S. Sede pei beni, che hanno sotto qualunque titolo, e sotto qualunque nome siano stati acquistati, e si posseggano. Tutti i pii Istituti nella loro relazione triennale, non attendendo alle leggi civili di qualunque governo, fanno la loro esposizione sullo stato economico, esponendo in succinto, quali beni Posseggono sotto qualunque nome, quali rendite, di qualunque provenienza esse siano, percepiscono, e come sono erogate; e se devono vender beni anche posseduti a nome di terze persone, crear debiti, questa S. Cong.ne ha loro sempre inculcato la necessità del beneplacito Apostolico, e si sono mostrati obbedienti solamente V. S. ha allegato la legge civile per esimersi da tali  [225] obblighi. Rifletta, che le Costituzioni Salesiane furono dalla S. Sede approvate con i detti obblighi risultanti dall'Art. del Cap. VI e dall'Art. del Cap. VII, ancorchè fossero state emanate le dette leggi civili all'epoca dell'approvazione succitata].

 

                I° Riguardo alla proprietà. - Questa nostra Pia Società nè in faccia alla Civile Società nè in faccia alla Chiesa è ente morale da poter possedere.

                Nel Capitolo IV delle nostre Costituzioni si legge: “Ideoque qui sunt professi in hac Societate dominium radicale, ut aiunt, suorum bonorum retinere poterunt”. Nel medesimo Capitolo n. 2 è come segue: “Poterunt vero sodales de dominio sive per testamentum, sive (permissu tamen Rectoris Maioris) per acta inter vivos libere disponere”.

                Siccome per la tristezza dei tempi questo punto era per noi fondamentale, io chiedeva nell'approvazione delle nostre Costituzioni, come dovessero intendersi le parole del Capitolo VII articolo 3 così espresso: “In bonorum alienationibus Societatis, et aere alieno conflando, serventur quae sunt de iure servanda iuxta Sacros Canones et Constitutiones Apostolicas”.

                Per mezzo di Monsignore, poi Cardinale Vitelleschi, allora Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari gli Em.mi fecero dire: La risposta è nell'articolo medesimo, cioè in alienationibus bonorum Societatis: e ciò si dovrà intendere elle quando i tempi o i luoghi permettano di possedere qualche cosa in comune o a nome della Pia Società, si dovrà osservare questo articolo come lo osservano tutte le, Congregazioni religiose ed ecclesiastiche. Ciò pare conforme al n. 2 del sopradetto Capitolo VII, dove si dice del Rettor Maggiore: “Nulla, quod ad res immobiles attinet, emendi vel vendendi ei fuerit facultas, absque Superioris Capituli consensu”.

                Questo è il senso elle ho sempre dato io alle nostre Costituzioni fin dal principio della esistenza di questa Pia Società. Così le intese sempre il Sommo Pontefice Pio IX di sempre gloriosa memoria, come pure gli Eminentissimi Cardinali scelti per l'esame e per l'approvazione delle nostre Costituzioni.

                Il considerare poi soggetti alle prescrizioni dei Sacri Canoni gli stabili posseduti personalmente dai Soci quali beni ecclesiastici, metterebbe nella confusione l'andamento delle cose nostre; perciocchè tutti i Salesiani fecero la loro professione religiosa appoggiati sopra il primo articolo del Capo IV De voto paupertatis, elle comincia così: “Votum paupertatis, de quo hic loquimur, respicit tantummodo cuiuscumque rei administrationem, non vero possessionem”.

 

[Nello stesso schiarimento sull'Osservazione N. I V. S. asserisce che con autorizzazione della S. Cong.ne de' VV. e RR. è attivato il Noviziato di Marsiglia. Non constando alla prelodata S. Cong.ne di avere [226] dato la della autorizzazione, si vede nella necessità d'invitarla a trasmettere copia del relativo rescritto, da cui risulti  la facoltà di aprire il Noviziato in Marsiglia].

 

                2° Noviziato di Marsiglia. - Riguardo all'autorizzazione del Noviziato di Marsiglia, che si desidera erigere, ho preso un equivoco, perocchè codesta Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in data 5 febbraio 1879 avendone chiesto il parere al Vescovo di quella città, egli in data 23 febbraio 1879 rispose favorevolmente, perciò si giudicava questa pratica terminata, mentre è. tuttora in corso. Si uniscono i relativi documenti e rinnovo la preghiera per la concessione del favore.

 

[Nella risposta che V. S. dà all'Osservazione N° 2 dice che la Pia Società venne divisa in Ispettorie a norma dell'Art. 17 Cap, IX delle Costituzioni. Ora nel succitato Art. 17 si parla, di Visitatori da costituirsi dal Rettore Maggiore si opus fuerit, Capitulo Superiore approbante e non già d'Ispettori. Tutti gli altri Istituti in qualunque parte del mondo essi esistono sono divisi in Province, previa l'approvazione della S. Sede, la quale mai ha ammesso che la divisione si faccia sotto altro nome. Ella dovrà attenersi alla regola generale].

 

                - Nella divisione in Ispettorie invece di Province ho giudicato che questa fosse l'applicazione pratica dell'articolo 17 Capo IX delle nostre Costituzioni: “Si opus fuerit, Rector Maior, Capitulo Superiore adprobante, costituet visitatores, eisdemque curam quamdam demandabit certum domorum numerum inspiciendi”.

                Il nome di Provincia e Provinciale in questi calamitosi tempi ci getterebbe in mezzo ai lupi, da cui saremmo o divorati o dispersi. Questa nomenclatura fu proposta dallo stesso Pio IX di sempre cara e grata memoria. Qualora poi si volessero assolutamente gli antichi nomi, supplico elle tale obbligazione sia almeno limitata nel trattare colla Santa Sede, con libertà di usare nel secolo quei modi e quei vocaboli che sono possibili in questi tempi.

 

[Nello schiarimento che la S. V. dà all'Osservazione No 3 così si esprime: Nell'aprire Istituti femminili, e nell'assumere la direzione spirituale di essi furono seguite tutte le norme descritte nel Cap. X delle Costituzioni. In questo Capitolo si parla dell'apertura delle case per Chierici, per giovani, e per fanciulli da educarsi dai Salesiani; non parlasi affatto dell'apertura di case di donne da dirigersi da essi. Nè può dirsi essere stata mente della S. Sede di permettere l'apertura e la direzione di tali case ai Salesiani nell'approvare le Costituzioni, perchè è ciò contrario alle sue massime fondate sopra ben ragionevoli motivi. Potranno i Salesiani avere la direzione spirituale nelle case di donne, qualora venga loro affidala dai rispettivi Ordinarii, e questa direzione [227] spirituale deve consistere nell'amministrazione dei Sacramenti, e nella predicazione della Parola di Dio, se, e come loro viene commesso dai detti Ordinarii].

 

                - Nelle cose relative alle Suore di Maria Ausiliatrice i Salesiani non hanno nelle loro Case altra ingerenza se non la spirituale nei limiti e nel modo che permettono e prescrivono gli Ordinarii nella cui Diocesi esiste qualche Casa delle medesime.

 

[Alla Osservazione N° 5 così risponde la S, V.: Quando furono approvate le Costituzioni Salesiane si trattò, e si discusse quanto riguarda l'Istituto delle Figlie di Maria SS. Ausiliatrice. L'Istituto di Maria Ausiliatrice dipende dal Superiore Generale della Pia Società Salesiana. Riscontrata la ben voluminosa posizione del' Salesiani, e specialmente la parte che riguarda l'approvazione delle Costituzioni, si è osservato, che mai si trattò, e molto meno si discusse ciò che riguarda le Figlie di Maria Ausiliatrice. Se ciò fosse vero, certamente questa S. Congregazione avrebbe ordinato la divisione dei due Istituti. Non fu mai suo solito di approvare, specialmente nei tempi più a noi vicini, che gl'Istituti di donne dipendano dagl'Istituti di uomini: e se mai è, occorso qualche caso di tale dipendenza, ne ha costantemente ordinato la cessazione immediata. Ella vuole introdurre una massima contraria, che questa Cong.ne non può fare a meno di riprovare].

 

                - In ciò che si riferisce all'Istituto di Maria Ausiliatrice, se sia stato o no proposto nell'approvazione delle Costituzioni posso rispondere che nel Sommario stampato per cura di codesta Sacra Congregazione nell'esame per la definitiva approvazione delle nostre Costituzioni nel numerare le case in quel tempo già aperte a pag. lo, n. 16 si legge quanto segue: “Come appendice e dipendentemente dalla Congregazione Salesiana è la Casa di Maria Ausiliatrice fondata con approvazione dell'Autorità Ecclesiastica in Mornese, Diocesi di Acqui. Lo scopo si è di fare per le povere fanciulle quanto i Salesiani fanno pei ragazzi. Le religiose sono già in numero di quaranta ed hanno cura di 200 fanciulle”.

                Gli Em.mi Cardinali sopralodati fecero alcune dimande sopra la natura e scopo di questa Istituzione e mostrandosi soddisfatti delle mie verbali dichiarazioni conchiusero che sarebbesi poi trattata la cosa più accuratamente quando venissero presentate le loro Costituzioni per l'opportuna approvazione alla S. Sede.

 

[Quando questa S. Cong.ne nell'Osservazione N° 5 sulla relazione triennale di V. S. scrisse sul regime dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fecesi a dimandare, se questo avea la sua Superiora Generale, e non il Superiore Generale, come V. S. erroneamente scrive, riportando l'osservazione suindicata]. [228]

 

                - Negli schiarimenti richiesti il 5 aprile 1879 si dimandava: “Se questo Istituto delle Suore di Maria Ausiliatrice abbia un Superiore Generale da cui dipendano le Suore, e se esso sia del tutto indipendente, come dev'essere, dall'Istituto dei Salesiani”. Fu risposto affermativamente aggiungendo quale ne fosse l'autorità in conformità delle Costituzioni di quelle religiose. Ora la F.. V. chiede se le mentovate Suore abbiano una Superiora Generale. Rispondo affermativamente che esse hanno la Superiora Generale ed il proprio Capitolo Superiore conformemente al titolo III delle loro Costituzioni.

                Esposto quanto sopra prego la E. V. a voler con patema bontà considerare che la pia Società Salesiana senza mezzi materiali, in tempi calamitosi cominciò e si sostenne in mezzo a crescenti difficoltà e in mille modi osteggiata. Perciò ha bisogno di tutta la benevolenza e di tutta la indulgenza che è compatibile coll'Autorità di S. Madre Chiesa.

                Si contano fino a cento le Case aperte, e in cui si porge cristiana educazione a circa cinquantamila fanciulli, di cui oltre a seicento annualmente entrano nel Chiericato. D'altro canto credo poter assicurare la Eminenza Vostra che i Salesiani non hanno altro fine che di lavorare alla maggior gloria di Dio, a vantaggio di Santa Chiesa, dilatare il Vangelo di Gesù Cristo fra gli iridi Pampas e nella Patagonia.

                Prostrato davanti all'E. V. chiedo venia se involontariamente avessi scritto parola non conveniente, mentre ho l'alto onore di potermi professare

Della E. V. Reverend.ma

                Torino, 12 Gennaio 1880.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nella lettera di Roma vi era ancora questo tratto: “Sull'Osservazione N. 60 ossia che le Suore di Maria Ausiliatrice hanno cura della biancheria e del vestiario nei Seminari, e vi fanno la cucina, cosa ch'è stata sempre riprovata dalla S. Sede, si risponde che in ogni cosa si ebbero previe intelligenze cogli Ordinari Diocesani, anzi le dimande furono fatte da loro medesimi. Questa S. Congregazione quando è giunta a conoscere, che gli Istituti di donne prestano simili opere nei Seminari, e negli Ospizi di maschi, ancorchè vi sia stato il consenso dei rispettivi Vescovi, anzi abbiano questi stessi chiamate le Suore a prestarli, lo ha costantemente interdetto”. Su questo punto Don Bosco non replicò, probabilmente [229] perchè non era egli solo in causa, ma vi erano, e anche più di lui, alcuni Vescovi, come quelli di Casale e di Biella.

                Dalla Sacra Congregazione non ricevette altre osservazioni dopo questa replica; ma l'affare ebbe strascichi penosi', come vedremo a tempo e luogo.

                Nelle molteplici traversie del periodo che ci si svolge dinanzi, quello che alla luce dei fatti emerge sopra tutto è la santità dell'uomo di Dio, che senza mai nè rallentare la propria attività a causa di ostacoli nè mendicare dall'attività stessa giustificazioni a bruschi procedimenti, va costantemente dritto e calmo per la sua strada. Gran virtù ci vuole di certo in simili contingenze a non iscantinare da una parte per debolezza d'animo o dall'altra per atteggiamenti arditi. “Non posso nascondere, scriveva appunto per questi affari[145], la mia amara afflizione nel non potermi far capire. Lavoro e intendo che tutti i Salesiani lavorino per la Chiesa fino all'ultimo  respiro. Non dimando aiuto materiale, ma domando soltanto quella indulgenza e quella carità che è compatibile coll'Autorità della Chiesa”. “Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi, scriveva ancora[146], io rispondo sempre coll'apertura di una casa”. In queste due citazioni palpita lo spirito del nostro Beato Padre; e che non fossero nella seconda sole parole, ne vedremo la prova nella relazione triennale del 1882. Insomma nei santi non si dà mai il caso che l'azione impedisca la santità; piuttosto è da dire che dalla santità piglia in essi origine e incremento l'azione.

 

 

CAPO IX. La questione dell'oratorio femminile di Chieri.

 

                A Chieri, contro il fiorente oratorio femminile tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, scoppiò nel 1879 una grossa guerra, prolungatasi per inaudite vicende fino al 1883. Essa, pur riguardando personalmente il Direttore Don Bonetti, coinvolse nondimeno anche il Beato Don Bosco, che era il centro come di ogni attività salesiana così di tutte le eventuali contrarietà in Torino e nei dintorni. Riannoderemo il filo della narrazione nel punto dove l'abbiamo interrotto[147], per interromperlo ancora e riprenderlo nel volume quindicesimo.

                L'anno nuovo si aperse con brutti auspici per l'oratorio dì Salita Teresa. Intorno ad esso aveva Don Bosco nel 1878 fatto sorgere un convitto per fanciulle di condizione civile, una scuola gratuita per ragazzette povere e una scuola festiva per ragazze più grandi; ma il pomo della discordia era sempre l'oratorio. L'Arcivescovo, malamente informato da alcuni preti del luogo, fra cui in prima linea il curato del duomo Don Oddenino, piombò il 12 gennaio a Chieri, radunò i canonici e tenne loro un discorso tutt'altro che adatto a illuminare rasserenare gli spiriti. Il bene che si faceva dai Salesiani nell'oratorio femminile disse essere un belle che non era bene; [231] i Salesiani fare generosamente del bene, ma somigliare essi a locomotive, alle quali occorrono robusti freni per trattenerle ed anche opportune valvole di sicurezza. Nonostante quella requisitoria, quando si venne al trar dei conti, la maggioranza dei presenti non fu di parere che l'oratorio si dovesse chiudere; onde Monsignore deliberò di tollerarlo ancora.

                Essendo lontano Don Bosco, il suo vicario Don Rua, avuta contezza della conferenza arcivescovile e mosso da desiderio di chiarir le cose per mettere fine ai litigi, scrisse a Monsignore una lettera che è un capolavoro di finezza diplomatica.

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                Mi venne riferito che ieri la F. V. Rev.ma ebbe occasione d'intrattenersi in Chieri con varii membri di quel rispettabile Capitolo intorno all'Oratorio di S.ta Teresa appartenente alla Congregazione Salesiana e intorno a quello che vi si fa nei giorni festivi a prò delle giovinette della città. Mi venne eziandio fatto sapere che la E. V. avendo conosciuto che vi si f a del bene ne mostrò soddisfazione, e a quei pochi che si mostrarono contrarii diede a divedere quale fosse l'animo suo in proposito. Nella fiducia elle la E. V. voglia usarci l'alta sua benevolenza, credo bene di qui presentare copia di un Breve del Santo Padre Pio IX di f. m. sopra cui appoggiati noi facciamo le funzioni religiose in detto Oratorio come in tutte le altre Chiese elle ci appartengono in Italia, Francia ed America. A nome di D. Bosco che si trova presentemente a Marsiglia io presento alla E. V. la qui unita copia all'unico scopo che Ella abbia un argomento di più onde persuadere i dissenzienti che i Salesiani sono in regola, e non solamente sono da Lei autorizzati ma ancora dalla Santa Sede, e perciò per un vano timore non ci si mettano incagli nella via del bene.

                E poichè mi si porge propizia l'occasione, Le notifico elle dopo il privato colloquio tenuto colla E. V. verso la metà dello scorso mese abbiamo presentato al M. Rev. Sig. Canonico Lione Vic. Foraneo di Chieri il seguente piano d'accordo che ci pareva ragionevole e elle non avrebbe impedito lo scopo dell'Oratorio:

                I. Se le funzioni si terranno contemporaneamente all'istruzione parrocchiale saranno escluse dall'Oratorio le donne maritate e le altre attempate:

                II Le altre giovani si lasceranno in libertà di assistere alle funzioni dove meglio loro aggrada.

                Questa proposta contro la nostra aspettazione fu rigettata come inaccettabile. [232] Nel ringraziar la E. V. del favore con cui ci conforta a lavorare secondo il nostro scopo nella sua arcidiocesi io La prego a continuarci la sua benevolenza.

                Raccomando alla carità di sue preghiere la povera mia persona, tutta questa Casa e specialmente l'amato Sig. D. Bosco.

                Gradisca gli atti della profonda venerazione ed altissima stima con cui baciandole riverentemente il sacro anello mi professo

                Di V. R. Rev.ma

                Torino, 13 Gennaio 1879.

 

Umil.mo Servitore

Sac. RUA MICHELE.

 

                Ma gli avversari dell'oratorio c'erano e non si davano pace e menavano le lingue senza ritegno. Don Bonetti, afflitto delle continue maldicenze, pregò per lettera il curato che desistesse dal suo atteggiamento ostile, il quale tanto danno recava alle anime e porgeva ansa a dicerie punto edificanti. Gli chiedeva intanto perdono se in qualche maniera lo avesse offeso e lo invitava a visitare in segno di pace l'oratorio, confessandogli che a ogni modo le vessazioni non lo avvilivano, anzi gl'infondevano coraggio. La vivacità del tono e alcune frasi un po' acri urtarono il destinatario, che, mal interpretando i sentimenti del Direttore e consultatosi con i suoi aiutanti, denunziò la lettera all'Arcivescovo, quasi fosse una provocazione. L'Arcivescovo, impegnato allora in una grossa bega giornalistica con monsignor Balan, continuatore del Rohrbacher, a proposito del Rosmini[148], lasciò trascorrere tre settimane senza rispondergli; indi, sollecitato a viva voce da Don Oddenino perchè intervenisse, il 12 febbraio senza far precedere ammonizione canonica e senza interpellare Don Bosco, tolse a Don Bonetti la facoltà di ascoltare le confessioni, finchè non avesse domandato venia al curato della “mancanza di rispetto commessa nella sua lettera”.

                A Don Bonetti parve di sognare. Corse subito all'arcivescovado per chiedere quali fossero nella lettera incriminata [233] le espressioni da giudicarsi irriverenti; ma gli fu negata udienza. Premeva per altro levar via ogni motivo d'ammirazione e di scandalo nel popolo, col far cessare la censura prima che giungesse il sabato, nel qual giorno Don Bonetti Soleva recarsi a Chieri; onde il 13 febbraio giovedì, stimò miglior partito piegare il capo e sottostare alla imposta condizione. Per quanto dunque gli sapesse amaro, scrisse al curato, chiedendo perdono; ma poichè dall'altra sua esulava la benchè minima intenzione di recar offesa, gli sembrò giusto e ragionevole porre in rilievo tale circostanza. Spedita la lettera di scusa, ne diè ragguaglio a Monsignore, esprimendo fiducia che la sospensione fosse per cessare issofatto e insieme insinuando che in caso contrario egli per sua giustificazione e per onore della Congregazione a cui apparteneva, non sarebbe stato alieno dall'appigliarsi a mezzi spiacenti, quale un ricorso a Roma. Parole queste ultime non necessarie, a dir vero, nè opportune al raggiungimento dello scopo. Monsignore se ne adontò e trascese, poichè senza nemmeno attendere di conoscere se il curato si dichiarasse o no soddisfatto, ripetè a Don Bonetti la sospensione, aggravando per giunta la mano con l'infliggergliela assolutamente e indefinitamente, cioè senza veruna condizione e a beneplacito di Sua Eccellenza.

                Ora è da sapere che una decisione della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, emanata il 20 novembre 1615 ed esumata per Don Bonetti dal padre Rostagno, vietava procedure così sommarie con i religiosi; diceva infatti: “Gli illustrissimi Cardinali, a nome e per autorità della Santa Sede, stabiliscono e dichiarano che ai Vescovi ed agli Arcivescovi non è lecito di sospendere dalla confessione i confessori Regolari, eccettochè per causa spettante alla confessione”. Questa disposizione che tornava così a capello, animò Don Bonetti a tentare il ricorso; giacchè per lui causa del castigo era una lettera, non la confessione. E poi restava anche a vedere se la lettera costituisse reato. A parer suo nella pena [234] andavano qui di mezzo la liceità e la giustizia. Tuttavia hic et nunc bisognava ritener valida la sospensione; perciò la domenica seguente :16 febbraio a Chieri per confessare le ragazze si recò di buon mattino Don Leveratto, prefetto dell'Oratorio; il Direttore vi si trovò alla sera per fare il catechismo e predicare. Questi poi, volendo coprire bellamente il ripetersi delle sue assenze nelle domeniche successive, annunziò che doveva accompagnare Don Bosco a Roma e sbrigare colà anche faccende che interessavano l'oratorio di Santa Teresa; raccomandava quindi che si pregasse per il buon esito. Ecco perchè improvvisamente Don Bonetti prese il posto del conte Cays nell'accompagnare a Roma Don Bosco.

                Partì, come abbiamo già narrato. Allora fu che Monsignore fece quelle tali comparse improvvise all'Oratorio di Valdocco e al collegio di Valsalice per assistere a rappresentazioni drammatiche. Sappiamo quanta sorpresa destassero quelle novità e come fossero variamente interpretate. Piacque invece a tutti l'inaspettata condiscendenza, con cui nelle ordinazioni di quaresima ammise a ricevere i minori, il suddiaconato e il diaconato un gruppo di Salesiani. Ragioni per negarle non vi sarebbero state; tuttavia si era tanto avvezzi a difficoltà e dinieghi dell'ultima ora, che ordinandi e non ordinandi a quella cedevolezza gioirono. Vi ha di più: terminata la cerimonia, rimise perfino graziosamente agli ordinati le loro candele. Non basta. Essendo andato il giovane Scaloni, il futuro Ispettore salesiano, a riportare i sacri paramenti nella sacrestia, Monsignore, come lo vide, lo fece chiamare e gli disse: - Tu sei colui che ha fatto la parte di san Pancrazio... Bene! - E gli regalò un'immagine. Corse insomma la voce ch'ei volesse finalmente rappattumarsi con l'Oratorio.

                Don Bonetti, giunto a Roma il 2 marzo, umiliò nel giorno 6 al Santo Padre per mezzo della Congregazione del Concilio formale ricorso contro l'operato dell'Arcivescovo a suo riguardo [235]. Sull'incidente Don Bosco aveva già nel febbraio riferito per sommi capi al cardinal Ferrieri, Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari. Non ci consta che ne ricevesse risposta; può darsi che per effetto di quella relazione venisse l'avviso doversi quell'affare rimettere per ragioni di competenza alla Congregazione del Concilio.

 

                                Eminenza Rev.ma,

 

                Mi rincresce di cagionate disturbi a V. Em. Reverendissima cotanto occupata pel bene universale di S. Chiesa. Ma mi trovo in dovere di scrivere questa lettera perchè mi sembra impedita la maggior gloria di Dio e il bene delle anime. E' già la terza volta che l'Arcivescovo di Torino sospende sacerdoti Salesiani dall'ascoltare le confessioni dei fedeli senza osservare le forme canoniche. Sospese lo scrivente non firmando la patente di confessione senza darne avvisi di sorta. Sospese il Sac. G. Lazzero, Direttore della casa madre di Torino senza avvisarne il Superiore, senza preavviso e senza che mai se ne sia saputa la cagione.

                Testè fu sospeso il Sacerdote Giovanni Bonetti cui era stata affidata la direzione di un Oratorio festivo nella Città di Chieri dove faceva assai bene.

                Il Curato di quella Parrocchia e l'Arcivescovo credettero che questo Sacerdote avesse scritto all'uno e all'altro lettere mancanti del dovuto rispetto; ma posto anche che queste lettere fossero tali, la qual cosa è tuttavia da esaminarsi, ciò sarebbesi immediatamente accomodato se ne fosse stato avvisato il superiore della Congregazione. Invece fu tolta al medesimo ogni facoltà di confessare in tutta la diocesi di Torino. Ma pare che, secondo le prescrizioni di S. Chiesa più volte rinnovate da cotesta autorevole Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, sospensioni di tal genere devono essere precedute da alcune ammonizioni con darne comunicazione al Superiore, e per motivi spettanti al Sacramento della Confessione.

                Pertanto prego la E. V. ad invitare il Rev.mo Nostro Arcivescovo di Torino ad usare le regole prescritte dalla S. Sede per simili provvedimenti e avanti di infliggere così gravi pene Ecclesiastiche si degni di esaminare se i fatti lo meritano e per quanto è possibile siano evitati i pubblici scandali, come appunto avvenne nel caso del Sacerdote Giovanni Bonetti a cui è tuttora sospesa la facoltà di ascoltare le confessioni dei fedeli. Così colui che predicava con tutto zelo nella città di Chieri ha dovuto abbandonare il confessionale intorniato da una moltitudine di penitenti e allontanarsi da questa archidiocesi per non essere fatto segno alla pubblica ammirazione.

                Esposto così umilmente e rispettosamente quanto sopra mi rimetto [236] senza riserbo a tutto quello che la Em. V. sarà per ordinare o semplicemente consigliare a questo riguardo.

                Mi permetta l'alto onore di poter baciarle la sacra porpora e professarmi con profonda gratitudine

                Di V. Em. Rev.ma

                (Manca la data)[149].

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Che le lodi tributate da Don Bosco a Don Bonetti non fossero immeritate, ce lo conferma una dichiarazione del A febbraio 1879, firmata da cinque canonici chieresi[150], i quali testificarono che egli, dirigendo da sei mesi l'oratorio festivo di Santa Teresa, vi aveva “fatto veramente gran bene, con soddisfazione di tutte le persone oneste e timorate di Dio, specialmente dei padri e delle madri di famiglia”. Di rincalzo abbiamo una testimonianza del canonico Calosso, che il 12 febbraio aveva scritto per conto suo a Don Bosco ringraziandolo con espansione di cuore, perchè mandava ogni settimana a Chieri “quel buon Salesiano”, che era “proprio il più adatto ad istruire e correggere i cattivi costumi di tante figlie ignoranti e di riprovevole condotta”[151]. Interinalmente e in attesa degli eventi Don Leveratto aveva assunto la direzione dell'Oratorio, facendovi molto bene; “ma è sempre vero, scriveva a Don Bonetti il canonico Sona[152], che l'oratorio di Chieri resterebbe ingiustamente infamato e ne soffrirebbe anche nell'onore la stessa Congregazione Salesiana se la S. V. non viene reintegrata nel suo onore e libertà di esercizio del sacro ministero”.

                É di prammatica che copie dei ricorsi vengano dalle Congregazioni romane inviate agli Ordinari dei ricorrenti pro informatione et voto e ai loro Superiori, se i ricorrenti sono regolari. Quel documento fece aprire gli occhi a monsignor [237] Gastaldi sul suo mal passo; onde s'impegnò di muovere ai ripari, senza però rispondere a Roma. Fece chiamare quindi Don Rua, lo accolse amichevolmente e lo incaricò di partecipare a Don Bonetti che gli restituiva la facoltà di confessare “dove e quando” volesse. Ma nel colloquio aggiunse: Don Bonetti è un buon sacerdote, ma non conviene più che vada a Chieri. Che mai? Non può farsela con quel clero. Io fui là, radunai il clero, e l'arciprete, il parroco e varii canonici, eccetto il canonico Sona, erano d'accordo nel dire che non conviene più che Don Bonetti vada a Chieri[153]. - Qui Don Bonetti, come si arguisce da una postilla alla lettera, ritenne che o Don Rua non avesse inteso bene le parole dell'Arcivescovo o che l'Arcivescovo avesse errato nel valutare i giudizi canonicali. Comunque si fosse, a Don Bonetti quella condizione di non mettere più piede a Chieri non gli andò giù. Era pur sempre una misura che sapeva di punizione e che agli occhi della gente lo faceva apparire colpevole di chi sa quale mancanza.

                A questo punto era il contrasto, quando capitò un intermezzo disgustoso, che ci richiama il noto proverbio: Dagli amici mi guardi Dio, dai nemici mi guardo io. Don Bonetti aveva per lettera narrato in succinto e senza reticenze a una persona intima di Chieri la storia della stia vicenda fino a quel dì 24 marzo. L'amico, invece di tenere per sè lo scritto confidenziale, ebbe l'infelice idea di rendergli un servizio, che l'altro non si sarebbe mai potuto immaginare. Trasformò addirittura la lettera, sostituendo al lei il voi, quasi fosse una circolare dal Direttore indirizzata alle sue oratoriane, e accodandovi alcune aggiunte di sua invenzione, e poi la fece leggere pubblicamente nell'Oratorio, non sappiamo bene in che giorno e in che ora; Don Leveratto al certo non ne fu prevenuto nè ebbe sentore della cosa. Dopo la lettura il foglio andò in giro e venne anche copiato. Fu una vera disgrazia [238] che solo troppo tardi si riuscisse a ritirare dalle mani del pubblico le copie di quella malaugurata contraffazione. È inutile dire che quelle notizie, comunicate in tale forma, riempirono di pettegolezzi la città e aggiunsero nuova esca alla fiamma.

                Dopo il suo ritorno da Roma Don Bonetti avrebbe desiderato di conoscere quale fosse Fumore dell'Arcivescovo, e l'occasione si presentò presto. Nelle prime settimane dopo Pasqua soleva la Curia torinese restituire ai sacerdoti le patenti di confessione; Don Notario, professore di teologia nell'Oratorio, andò a ritirare quelle dei Salesiani e vi andò con l'intenzione di esplorare paese. Aveva con sè Don Deppert come testimonio. La patente di Don Bonetti non gli fu consegnata. Egli fece rispettosamente osservare quella mancanza. Rispostogli essere ordine di Monsignore, chiese che gli si rilasciasse in iscritto una dichiarazione che lo giustificasse dinanzi ai Superiori. Il segretario Don Chiaverotti se ne schermiva. Nacque un diverbio, elle richiamò l'attenzione del cancelliere canonico Chiuso. Don Notario lo pregò di chiedergli udienza dall'Arcivescovo. Il canonico vi acconsentì. L'Arcivescovo ricevette lui e Don Deppert e, udito il motivo della venuta, rifiutò di consegnare le patenti dei Salesiani che risiedevano fuori di Diocesi, compresa quella di Don Bonetti, che pure aveva la sua residenza abituale in Torino. I confratelli dimoranti in altre diocesi conservavano le patenti di Torino per potervi confessare quando, come spesso accadeva, si recavano all'Oratorio. Monsignore dunque negò con le patenti anche la chiestagli dichiarazione. Domandato poi a Don Notario chi fosse e avutone in risposta essere egli il nuovo Direttore della casa di Chieri, si abbandonò a invettive e accuse violenti contro Don Bosco e i Salesiani. Don Notario ascoltò con pazienza e come la burrasca passò, fatta riverenza, accennava a uscire.

                - Come?! Se ne va così presto? esclamò Monsignore.

                - Come vuole che io stia qui a sentir parlare in questo [239] modo del mio Padre e Superiore? Sono qui in casa di Vostra Eccellenza e non posso pigliarne le difese.

                Monsignore si calmò, lo prese per un braccio, lo costrinse a sedere e cominciò un dialogo pacato e quasi diremmo cordiale. Don Notario, quando fu sul partire, disse: - In quanto alle patenti, se la Curia non mi vuol fare la dichiarazione, ho qui il mio compagno che testificherà per me presso chi mi ha mandato.

                Il 2 maggio le patenti furono restituite a Don Bonetti, ma sempre con la condizione che a Chieri non andasse più senza una speciale autorizzazione dell'Arcivescovo. Avendo egli già da due giorni cominciato a predicare ivi il mese di Maria, pregò Sua Eccellenza di autorizzarlo a continuare, sia per non interrompere l'opera con ammirazione generale sia per raccogliere i frutti della parola di Dio confessando. Non venne esaudito; onde il 4 maggio si richiamò al Santo Padre contro l'odiosa proibizione.

                Non passò gran tempo che si vide l'effetto del nuovo ricorso. Il 26 l'Arcivescovo scrisse a Don Bosco: “Ho un bisogno urgentissimo di conferire con V. R. per cosa gravissima; e perciò la prego di venirmi a vedere dentro di quest'oggi; chè quantunque in letto potrò tuttavia discorrere. Confidando che godrò il piacere di rivederla dopo quasi II mesi che trascorsero dalla benedizione della pietra fondamentale della Chiesa di S. Giovanni, passo a dirmi ecc. *. Don Bosco la sera stessa andò da lui. La “cosa gravissima” era appunto la faccenda di Don Bonetti, di cui la sacra Congregazione gli aveva comunicato il ricorso. Si conchiuse che Monsignore restituiva a Don Bonetti la facoltà di confessare in qualunque luogo, rimettendosi alla prudenza del Beato circa l'inviarlo o no a Chieri.

                Don Bonetti respirò e intorno a lui tutti si rallegrarono che il dissenso fosse una buona volta composto. Ma la gioia fu di breve, brevissima durata. La mattina dopo per tempo una nuova lettera di Monsignore a Don Bosco disdiceva quanto [240] si era detto la sera innanzi. Eccone il tenore: “La necessità in cui sono di sopprimere senza indugio le discordie suscitate a Chieri, m'obbliga ad assicurarmi che Don Bonetti ne siano (sic) allontanato Infine a che io stesso abbia riesaminato le cose sul luogo, e presa una conclusione con pieno conoscimento di causa; e quindi reputo necessario che per tutto questo tempo, questo sacerdote non eserciti in Chieri il ministero di confessore; e conseguentemente ritiro da Don Bonetti la facoltà di assolvere sacramentalmente insino al tempo suaccennato, che, stante lo stato fisico in cui io mi trovo, non è possibile il determinare. Questo è quanto io aveva dichiarato a D. Rua sul principio di questo mese; e quanto, riflettendo sopra a tutta la nostra conversazione di ieri sera, penso dover dichiarare a V. S. Rev.ma”.

                Deluso, afflitto, sconfortato Don Bonetti umiliò immediatamente al Santo Padre questa nuova supplica: “Il Sacerdote Giovanni Bonetti della Congregazione Salesiana prostrato ai piedi di Vostra Santità espone umilmente come in data del 6 marzo e poi del 4 corrente maggio presentava ricorso alla Santità Vostra per ottenere il revocamento di una sospensione inflittagli dall'Arcivescovo di Torino, che a lui sembrava contraria alle ripetute decisioni emanate da codesta Apostolica Sede. In seguito al quale ricorso ieri 26 maggio questo Arcivescovo chiamava a sè il Sac. Giovanni Bosco Superiore Generale della Congregazione Salesiana, e per mezzo suo faceva sapere al sottoscritto come revocando la sospensione restituivagli la facoltà di confessare liberamente nell'Archidiocesi. L'umile esponente riceveva con gioia questa notizia, pieno di riconoscenza verso la Santità Vostra, ma ecco che stamane 27 dopo una notte appena d'intervallo, riceve una nuova comunicazione dell'Arcivescovo colla quale questi dichiara continuare la sospensione, e doversi tenere come non avvenuta la revocazione. di ieri sera. Con quale dolorosa sorpresa il sottoscritto e il suo Superiore ricevessero questo inaspettato annunzio non si potrebbe adeguatamente [241] descrivere. Pertanto l'umile esponente ricorre per la terza volta alla Santità Vostra, prega ossequiosamente ma istantemente che usando della suprema autorità si degni liberarlo da una posizione così dolorosa per lui e per la Congregazione Salesiana, non che oltremodo dannosa alle anime e impeditiva della maggior gloria di Dio, essendo ciò di scandalo e di vero malcontento fra il popolo”.

                Il continuo ripetersi di attriti consimili offriva a Don Bosco sempre nuovi argomenti sulla necessità improrogabile per la Congregazione di possedere intera la sua autonomia mercé la comunicazione dei privilegi; per il qual motivo indirizzò al cardinale Nina protettore una supplica, affinchè gli fossero almeno rinnovati alcuni privilegi goduti già temporaneamente sotto Pio IX[154].

 

                                Eminenza Reverendissima,

 

                Nel vivo desiderio che V. E. possa avere una giusta idea delle cose che si riferiscono all'umile Congregazione Salesiana, espongo qui brevemente i gravi disturbi che dovette sostenere dalla parte dell'Ordinario della casa Madre di Torino.

                Le opposizioni di questo Ordinario andarono sempre unite a quelle delle autorità civili e scolastiche. Perciò la E. V. può di leggieri immaginarsi quanto siasi dovuto faticare e soffrire per cominciare una Congregazione, sostenerla e consolidarla priva affatto di appoggio temporale e di mezzi materiali. Non c'è però mai mancato il consiglio, la direzione e l'appoggio del Sommo Pontefice da cui fummo sempre trattati colla benevolenza di un padre amorevole.

                Forse la E. V. dirà: Perchè non reclamare presso la S. Sede? Ciò feci qualche volta, ma la mancanza di un Cardinale Protettore rese infruttuosi i miei reclami.

                Tutte le lettere di cui si parla in questa esposizione sono originalmente conservate nell'archivio di questa Congregazione.

                La grazia che al presente ci è sommamente necessaria è la comunicazione dei privilegi come godono i Passionisti, i Redentoristi, e gli stessi Oblati di Maria Vergine e in generale godono le Congregazioni Ecclesiastiche approvate dalla Chiesa. Ma ciò incontrerebbe forse gravi difficoltà; perciò almeno mi siano rinnovati i tre favori di cui [242] abbiamo fatto uso per tre anni, e che soffriamo grave disturbo e non lieve danno pella dilazione del rinnovamento dei medesimi.

                Credo opportuno di unire anche qui copia della preghiera già lasciata nelle mani di Monsignore Jacobini, affinchè, previo consenso di Vostra E., ne promovesse la concessione per mezzo della Sacra Congregazione del Concilio.

                Noi preghiamo il Signore che conservi la V. E. in buona salute pel bene di S. Chiesa, e perchè ci aiuti a condurre la Pia Società Salesiana in uno stato normale in faccia alla Chiesa, e così sostenersi in mezzo agli attacchi da cui incessantemente è fatta segno.

                Dimandiamo tutti rispettosamente la sua santa benedizione mentre io ho l'alto onore di baciarle la sacra Porpora e professarmi

                Della E. V. Reverendissima

                Torino, 13 Giugno 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La memoria allegata alla lettera era “una raccolta manoscritta di fatti perpetrati da Mons. Gastaldi a danno della Congregazione Salesiana, desunti dalle lettere del medesimo Arcivescovo”[155]; essa doveva servire a dimostrare quali fossero le conseguenze del non avere i privilegi . Per rendersi conto di tutte le cose ivi contenute ci voleva tempo; perciò Sua Eminenza si riservò a rispondere in proposito. Quanto poi ai privilegi da rinnovarsi, pregò Don Bosco di trasmettergli il testo della primitiva concessione[156]. Il Beato mandò copia dei rescritti al Cardinale, che raccomandò al Santo Padre la domanda di rinnovazione; ma non lo trovò disposto ad accoglierla favorevolmente. La ragione era questa. Don Bosco aveva presentato la sua domanda alla Sacra Congregazione del Concilio; ma per ragioni di competenza la cosa era passata alla Congregazione dei Vescovi e Regolari, e questa Congregazione aveva già fatto al Papa la sua relazione in senso negativo. Quindi i buoni uffici del Cardinal Protettore giunsero troppo tardi e non valsero a nulla. Avvertiva [243] però l'Eminentissimo: “Ciò non deve ispirare alla S. V. alcun timore di poca benevolenza del Pontefice verso la benemerita Congregazione Salesiana, ma deve solo ravvisarvi la prova che la detta S. Congregazione non giudica ora opportuno di abbondare nella concessione di altri privilegi”. Infine conchiudeva: “Del resto, quanto è in me, avrò sempre caro il poterle mostrare il mio vivo desiderio di promuovere tutti i vantaggi possibili per una Società, che tanto si adopera pel bene delle anime, e della quale sono protettore.”[157].

                Don Bosco non abbandonò la pratica. Lasciato che passasse l'estate con le sue ferie, volle tentare un'altra via per ottenere quei tali privilegi. Giacchè sapeva per esperienza che il Prefetto dei Vescovi e Regolari si mostrava piuttosto duro con lui, pregò il novello cardinale Gaetano Alimonda che s'adoprasse presso il cardinal Nina affinchè la sua domanda fosse presa in esame dalla Congregazione del Concilio. Le cordialissime risposte del Porporato ligure dovettero, se non altro, temperargli un tantino le amarezze che in quei giorni da varie parti lo affliggevano, come abbiamo visto nel capo precedente, come vediamo in questo e come vedremo nei due che seguono. “Già dissi a voce, gli scriveva l'Alimonda, e ripeto per iscritto che, dove io possa e sempre che io valga, la Congregazione Salesiana, diletta figliuola dello Spirito di V. S. M R.da, può a sicurtà giovarsi di me. Ed è per questo che io son pronto a servirla presentemente Mi condurrò dal S. Padre e mi adoprerò con bel modo [.. ]. Mio dolcissimo Don Giovanni, Dio sa quanto Le voglio bene e quanto La stimi; è per me un onore, una consolazione il potermi annoverare tra i  suoi servi”[158]. Com'ebbe poi parlato al Papa, tornò a scrivergli: “Posso accertarla che il Pontefice è ben affetto verso dei Salesiani ed apprezza i preziosi servigi che rendono alla Chiesa: ma dal sottoporre le di Lei domande alla Congregazione competente non può passarsi, com'Ella [244] ben comprende”. Avendo anche tenuto col cardinale Nina lunga conferenza sulla convenienza di rivolgersi alla Congregazione del Concilio, ne lo informava così: “Il Cardinale non crede conveniente far passare dai Vescovi e Regolari al Concilio la pratica: opina che non da sinistre prevenzioni verso i Salesiani, ma dalla recente loro istituzione provengano e il ritardo a trattare la cosa, e le difficoltà ad assimilarli alle altre Congregazioni di data più antica, le quali da principio passarono pure per le stesse difficoltà. Ad ogni modo ritenne la supplica; ne conferirà col Santo Padre e parmi disposto ad adoprarsi perchè al riaprirsi delle Congregazioni la pratica sia ventilata e decisa. lo raccomandai caldamente e raccomanderò ancora che almeno i due privilegi già conceduti siano confermati. Certo che la mia influenza è ben poca negli affari di una Congregazione cui non appartengo e come ultimo entrato nel sacro Collegio: ma quel poco che posso lo farò di gran cuore”[159]. La pratica dunque si arrestò; ma a Don Bosco giovava tener vive le questioni che più gli stavano a cuore, perchè in questo modo ne favoriva e accelerava il maturare.

                Ed ora rimettiamoci in carreggiata. La sospensione è pena umiliatissima per un sacerdote, tanto più quando, non essendo palese la colpa, rimane aperto l'adito ai peggiori sospetti. Si capisce quindi come Don Bonetti non vedesse il momento di levarsi da dosso quell'onta. Con tutti i suoi ricorsi non un barlume di speranza! Ai 16 di luglio si sfogò con monsignor Verga, segretario della Congregazione del Concilio. “Corre già il sesto mese dacchè io mi trovo sotto il peso di una sospensione, inflittami dall'Arcivescovo di Torino, reputata contraria alle decisioni più volte emanate da cotesta Apostolica Sede, e impeditiva della maggior gloria di Dio. In questo intervallo di tempo tre ricorsi furono umiliati al trono del Santo Padre per mezzo di cotesta Sacra Congregazione; ma [245] fin qui non si ebbe ancora alcuna deliberazione in proposito, e io son tuttavia impedito di esercitare liberamente il mio sacro ministero, con grave scandalo di molte povere anime. Si è quindi coll'animo afflitto, ma pur sempre fiducioso, che. io mi raccomando alla ben nota bontà della E. V. R.ma, perchè voglia degnarsi di promuovere una risoluzione definitiva a questo riguardo, e così togliere la povera mia persona da uno stato così penoso, e far cessare un siffatto male. Io scrivo alla E. V. questa lettera col consenso del Sac. Giovanni Bosco mio venerato Superiore, e a nome Suo La prego chè per amor di Gesù Cristo, di Maria Ausiliatrice e di S. Francesco di Sales nostro caro patrono, voglia usarmi la carità di farmi inviare un qualsiasi riscontro per sua e per mia norma”.

                L'invocato riscontro non veniva; per giudicare, la Sacra Congregazione aspettava che l'Arcivescovo di Torino rispondesse, e questi non rispondeva. Onde nell'animo di Don Bonetti si formò un nuovo disegno. Ai 27 dello stesso mese si consultò con l'avvocato Leonori. “Questo mio stato di punizione, gli diceva, ha dato occasione al grave sospetto che io abbia commesso delle infamie, trattandosi specialmente d'un istituto femminile. Così in questi giorni, mentre da una parte il Governo ci percuote colla spada[160], l'Autorità Arcivescovile ci colpisce colla croce, mettendoci in voce di sacerdoti indegni e traditori delle anime. t una guerra troppo ingiusta e crudele, e mi pare che non sia onorevole per la Santa Sede il permettere più a lungo dal canto suo un siffatto disordine, che muove a sdegno le persone oneste. Se io sono creduto colpevole, mi si faccia conoscere: e ove non sappia mostrar la mia innocenza, non recuso mori; ma se colpevole non sono, perchè farmi subire un sì lungo e indebito castigo, con tanto sfregio e del mio carattere e della mia Congregazione, e pur con sì grave scandalo dei fedeli?” Egli dunque aveva intenzione di fare causa e pregava l'avvocato di assumere [246] le sue parti. L'avvocato, pur confessando che preferiva una decisione senza causa e promettendo di adoprarsi a tale oggetto, si disse pronto ad assumere la difesa[161].

                All'impazienza di Don Bonetti stringeva il freno la longanimità di Don Bosco, sicchè quegli non precipitò le cose. Il 20 agosto insistette ancora presso monsignor Verga: “... Non avendo potuto far udire la, mia voce presso l'Arcivescovo, col permesso del mio Superiore sono ricorso più volte al Santo Padre per mezzo della Sacra Congregazione del Concilio, donde si scrisse e riscrisse all'Arcivescovo pro informatione e voto; ma questi nè risponde nè mi toglie la sospensione. Intanto che ne avviene? Presso i miei confratelli, presso l'Istituto già da me governato, presso le anime da me dirette, nella città di Chieri, in Torino, nella mia patria, in tutta l'Archidiocesi io sono ormai tradotto quale un sacerdote scandaloso. Le voci sinistre prendono tanto più credito, in quanto che si sa che io ho ricorso a Roma, e dei miei ricorsi dopo sette mesi non si vede alcun risultato”. Si raccomandava dunque a lui e per suo mezzo al Santo Padre per una risposta consolante, la quale ponesse fine alla sua tribolazione.

                Finì agosto, passò settembre, si era a mezzo ottobre, e nonostante lo zelo adoperato da monsignor Verga e l'impegno dell'avvocato Leonori, tutto perdurava nello - statu quo. Il 15 di questo mese ritentò di aver udienza dall'Arcivescovo; ma egli la diede ad altri e non a lui. Allora pensò fra sè e .disse: - Qui non è sperabile di terminare la questione: ci vuole l'autorità di Roma. Tentiamo ancora una via pacifica: giacchè l'Arcivescovo non ridona quello che ha tolto e non risponde alle replicate lettere della sacra Congregazione, non si potrebbe ottenere che io fossi autorizzato da Roma ad esercitare come prima il Sacro ministero in sino a che egli o abbia risposto o abbia rimediato in qualch'altro modo?[162] Sperando dunque di ottenere che il Santo Padre volesse rivocare [247] a sè la causa, preparò un quarto ricorso, al quale unì l'attestato dei cinque canonici chieresi e quest'altro di Don Bosco:

 

                Il Sac. Giovanni Bosco Superiore della Pia Società Salesiana attesta che il Sac. Giovanni Bonetti, membro della medesima Congregazione, tenne sempre onesta ed esemplare condotta, quale si addice ad un buon religioso. Anzi con varii scritti dati alle stampe, colla direzione, che per 12 anni tenne del piccolo Seminario di Borgo S. Martino, diocesi di Casale, si rese molto benemerito della buona educazione della gioventù. Esercitò coli buon successo il ministero della predicazione in occasione di esercizi spirituali, missioni, tridui, novene e simili.

                Nell'uffizio poi di Direttore dell'Oratorio festivo di S. Teresa in Chieri il medesimo lavorò con zelo e non ordinarii sacrifizi nel catechizzare, confessare ed istruire povere giovanette, sicchè riuscì a raccoglierne oltre a 400 nel mentovato Oratorio mercè l'aiuto, l'assistenza e la direzione materiale delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Questo si dichiara affinchè il prelodato Sacerdote Bonetti se ne possa valere, ove glie ne sia mestieri.

                Torino, 28 Ottobre 1879.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Indirizzò il ricorso al cardinal Nina con preghiera di umiliarlo al Santo Padre e di appoggiarlo con la sua valida protezione. Diceva a Sua Eminenza: ““L'affare di cui si tratta si sarebbe dovuto rimettere nelle mani di V. E. sin dal suo principio; ma in quel tempo la nostra Congregazione non aveva ancora l'alto onore di avere la E. V. per suo protettore, e perciò si passò per altra via. Credo che sia questa la ragione per cui esso si trova tuttora nel medesimo stato. Noto alla E V. che, nel desiderio di terminare questa questione senza recare disturbi alla Santa Sede, io col consenso del Rev.mo mio Superiore Don Giovanni Bosco domandai più volte di parlare all'Arcivescovo di Torino; ma questi non volle mai ricevermi”[163]. Fece rimettere il plico a Sua Eminenza dall'avvocato Leonori, stimolandolo a procurare che tutto fosse aggiustato prima che cominciasse la novena dell'Immacolata, [248] festa principale dell'Oratorio di Santa Teresa. Ma quest'altro ricorso non giunse nelle mani del Santo Padre: monsignor Verga e l'avvocato lo ritennero, non giudicando opportuno inoltrarlo. Prima che il nodo arrivasse al pettine, dell'acqua ne doveva scorrere ancora sotto i ponti!

                Anche l'anno terminò senza che si vedesse alcun principio della fine. Il dolore di Don Bonetti cresceva a dismisura e gli strappava dalla penna amare considerazioni. “L'assicuro, scriveva all'avvocato Leonori[164], che io soffro assai, e non so concepire come la Sacra Congregazione del Concilio nello spazio di circa un anno non abbia ancor potuto indurre questo Arcivescovo a darle ragione del suo operato contro le prescrizioni dell'Apostolica Sede a danno di un povero religioso, od obbligarlo a restituirgli la facoltà di udire liberamente come prima le confessioni dei fedeli, restaurandolo per questa via nel rapitogli onore così necessario ai sacerdoti soprattutto ai giorni nostri. Ringrazio Iddio che fin dalla mia giovinezza mi ha inspirato un'alta stima e un caldissimo affetto alla Sede Apostolica e a quanto le appartiene. Se ciò non fosse, io mi troverei oggidì in grande pericolo, perchè, la mia dolorosa posizione essendo conosciutissima in queste parti, non mancano sussurroni capaci di consigliare ed eccitare a scandali. Ma coll'aiuto di Dio, scandali non commetterò giammai, dovessi anche morire sospeso e in voce di religioso indegno. Soffrirò rassegnato per non accrescere dispiaceri al Santo Padre e al mio superiore Don Bosco, pago di far conoscere la mia innocenza nel dì del giudizio. Tuttavia io non posso non desiderare di essere tolto da questo stato di punizione, sia per poter lavorare liberamente nella Chiesa a beneplacito dei miei Superiori, sia ancora pel decoro della Congregazione Salesiana, a cui appartengo, ed anche per l'onore della mia famiglia per la mia ingiustissima sospensione umiliata e avvilita”. [249]

                In Roma si adoprava a tutt'uomo per Don Bonetti anche il novello Procuratore della Congregazione Don Dalmazzo; ma egli s'imbatteva da ogni parte in ragioni di prudenza, che consigliavano di dar tempo al tempo[165]. Finalmente il 23 marzo potè scrivergli: “Parte stamane, e forse col medesimo corriere della presente, lettera della Congregazione del Concilio che è un vero ultimatum...”. Solo il 28 giugno monsignor Gastaldi scrisse al Segretario del Concilio, asserendo non trattarsi nel caso di punizione, ma di una provvidenza dettata dalla prudenza. Si può ben immaginare quanto poco questa scappatoia appagasse Don Bonetti, ma ormai, a motivo della stagione, non restava a far altro che attendere l'autunno.

                L'autunno inoltrato portò due incidenti che imbrogliarono ancor più le faccende, dando pretesto a due nuovi capi d'accusa. Sul principiare di novembre del 1880 nella casa di Chieri morì una Suora di Maria Ausiliatrice. Non appena la defunta fu composta nel sepolcro, volarono alla Curia i particolari d'una solenne violazione dei diritti parrocchiali e delle leggi canoniche. L'avvocato fiscale della Curia canonico Colomiatti, fermatosi alle prime notizie, chiamò Don Rua ad audiendum verbum senza dirgliene il perchè, e gli espose il fatto così: avere due Salesiani amministrati gli ultimi sacramenti alla moribonda, togliendo il Viatico dalla cappella interna e l'Olio santo dalla casa dei Gesuiti, e dopo il decesso essere i medesimi proceduti all'accompagnamento funebre per le vie della città fino al cimitero. Don Rua, pigliando per vero il racconto, diede le spiegazioni che gli parvero probabili e scusò i due sacerdoti come “non guari pratici”; quindi pose in iscritto le sue dichiarazioni, scrivendo all'Arcivescovo una lettera, che terminava a questo modo: “Dimando pertanto a V. E. umile venia pei due Sacerdoti suddetti, disposto a fare altrettanto verso il Parroco locale se V. E. lo ravviserà necessario. Che se occorresse anche qualche indennità per [250] violati diritti parrocchiali, ad un semplice suo venerato cenno ci disponiamo a fare quanto sarà necessario”[166]. Ma quale non fu la sua sorpresa, quando potè udire in qual modo fosse realmente andata la cosa! Non due sacerdoti salesiani avevano amministrati gli estremi conforti alla religiosa, ma il canonico chierese Matteo Sona; non i due sacerdoti avevano condotta la salma all'ultima dimora, ma dopo la messa di requie il feretro era stato accompagnato al camposanto more pauperum da una schiera di giovinette. Il non aver indagato più oltre portò in seguito l'Arcivescovo a produrre anche questa deformazione del vero come prova che i Salesiani non lasciavano occasione di recargli “sfregio e disgusto”[167].

                L'altro incidente non riguarda Chieri, ma la causa. Il 17 novembre 1880 Don Bonetti, stanco di essere lasciato così da ventidue mesi sulla corda, umiliò direttamente al Papa la supplica del 24 ottobre 1879, rimasta nelle mani di monsignor Verga, dichiarandosi “disposto ad accogliere preventivamente con somma venerazione” quanto Sua Santità fosse per ordinare a suo riguardo. L'effetto fu immediato. Cinque giorni dopo il cardinale Caterini, Prefetto del Concilio, ordinò al Segretario monsignor Verga di avvertire il supplicante che la stia causa sarebbe trattata in plenario Eminentissimorum Patrum consessu entro il termine di un mese. L'avvocato Leonori, incaricato di comunicare la decisione alle due parti, accluse nella lettera per Don Bosco l'altra per l'Arcivescovo con preghiera di farla subito recapitare[168].

                Il plico raggiunse Don Bosco a San Benigno nella nuova casa di noviziato. Rimandò sollecitamente all'Oratorio la busta indirizzata a Sua Eccellenza e recante il suggello della Sacra Congregazione, perchè senza indugio venisse consegnata. Ne ebbe incarico Don Deppert, che il 3 dicembre la [251] portò all'arcivescovado. Vide l'Arcivescovo che passava e domandò di parlargli; gli fu negato. Allora si presentò al cancelliere canonico Chiuso, al quale disse che era latore di una lettera proveniente da Roma per Sua Eccellenza e che per suo scarico avrebbe desiderato una riga di ricevuta. Il Cancelliere udì con isdegno quella domanda. L'altro si recò allora dal segretario teologo Corno e ne ricevette la medesima accoglienza. Fece notare che la lettera non era di Don Bosco, ma di una Congregazione romana, come lo indicava il bollo; disse ancora che pochi mesi prima, dovendo lo stesso Monsignore comunicare a Don Bosco una lettera consimile per parte della Congregazione dei Riti, il suo domestico nel consegnarla aveva domandato e ottenuto la ricevuta. Fu come parlare al muro. Allora Don Deppert, temendo possibili conseguenze, non si azzardò di consegnare la lettera. Domandare un cenno di ricevuta in casi simili non è davvero il finimondo; anzi si costuma farlo pressochè universalmente.

                Al domani Don Deppert ritornò con un confratello e chiese di presentare personalmente la lettera nelle mani dell'Arcivescovo. Non gli fu concesso. Risolse dunque di rimetterla al segretario; il che fece dicendo: - Spero che questa lettera sarà consegnata a chi di ragione; ma in caso contrario questo mio confratello è testimonio che io ho compiuto il mio dovere. - L'Arcivescovo, tenuta ventiquattro ore la lettera, la rimandò a Don Bosco, il quale, chiesto consiglio a Roma sul da farsi, la rinviò a Monsignore dentro una cortesissima sua. In procinto di recarsi a Borgo San Martino per la festa posticipata di San Carlo, titolare del Collegio, gli scriveva infatti così:

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                Debbo recarmi alcuni giorni fuori di Torino, ma prima di partire desidero dare corso alla spiacevole vertenza di D. Bonetti. Nè io nè D. Bonetti abbiamo altro da aggiungere, se non quello che fu già esposto alla Sacra Congr. del Concilio. Mi fu acclusa in un piego la lettera di quella Sacra Congregazione, affinchè la facessi pervenire a [252] mano della E. V. E ciò intendo di fare con questo mio foglio. Sempre contento e lieto ogni volta mi reputi capace a prestarle qualche servigio, mi permetta l'alto onore di potermi professare

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 13 Dicembre 1880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La portò il medesimo Don Deppert, che, consegnatala al segretario, non chiese ricevuta, perchè la soprascritta era di Don Bosco. L'Arcivescovo aperta la prima busta e letta la lettera di Don Bosco, gliela rinviò per posta insieme coli quella della Sacra Congregazione, senz'aggiungere nemmeno una parola di spiegazione[169].

                Si spiegò invece con i Cardinali del Concilio. Narrato il fatto a modo suo, commentava: “Io mi sentii profondamente umiliato ed amareggiato da questo modo di trattarmi, e ciò specialmente in mezzo alle tante amarezze che mi assediano ogni giorno. Io prego caldissimamente la S. Congregazione ad aver la bontà di noti mandarmi più nessuna carta per le mani di questo Ecclesiastico, il quale, dimenticandosi del mio zelo e della mia opera assidua, noti disgiunta da danaro, con cui per tanti anni dal 1848 al 1867 io venni cooperando allo stabilimento della stia Congregazione, ora mi perseguita e non lascia occasione di recarmi sfregio e disgusto”[170]. Ma  a Roma in tutto questo non si vide altro che una manovra per ritardare il giudizio e stornare una' sentenza, la quale doveva essere infallantemente pronunziata[171].

                Nella storia del conflitto si distinguono molto bene tre fasi. La prima precedette la sospensione di Don Bonetti: era il tempo delle recriminazioni chieresi contro l'oratorio di Santa Teresa. La seconda va dal 12 febbraio 1879 al 17 novembre 1880: è il periodo dei ricorsi torinesi alla Santa Sede. L'ultima si estenderà a tutto il corso della causa davanti [253] alla Sacra Congregazione del Concilio. Cominciata la seconda fase, cioè non molto dopo la sospensione, dalla tipografia Bruno di Torino uscì un opuscolo senza nome d'autore, il quale figurava essere un capo di famiglia chierese. Il libercolo s'intitolava: L'Arcivescovo di Torino, Don Bosco e Don Oddenino ossia Fatti buffi, serii e dolorosi raccontati da un Chierese. L’anonimo vi pigliava le difese di Don Bonetti, sonando a campane doppie contro monsignor Gastaldi e il curato del duomo di Chieri. La notizia di tale pubblicazione arrivò ai Superiori Salesiani il 29 maggio, mentre tenevano capitolo e, seduta stante, disapprovarono nella forma più energica quel mettere in canzone e buttare in piazza l'Autorità ecclesiastica. In verità quel lavoro è anche una povera cosa, e par fatta più per irritare che per convincere, nè meriterebbe di venir menzionato, se non fosse per le conseguenze a cui diede luogo durante lo svolgimento della causa. Intanto l'arciprete vicario foraneo Don Lione e il curato del duomo Don Oddenino attribuirono la paternità del libello a Don Bonetti, presentando di ciò formale accusa all'Arcivescovo[172]. Simili espedienti polemici sono biasimevoli in sè e non hanno altro risultato che d'invelenire. insanabilmente le questioni, come si vedrà a suo luogo.

 

 

CAPO X. Le Suore e l'ebrea Bedarída.

 

                POCO per quest'anno abbiamo da dire di nuovo intorno alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che sia strettamente connesso con la biografia di Don Bosco; un po' più a lungo ci toccherà parlare di un caso, nel quale e Suore e Salesiani vennero impigliati per opera di malevoli.

                La Madre Mazzarello, che aveva accompagnato le dieci suore partenti per l'America, vide a Sampierdarena il Beato Fondatore, con cui prese gli ultimi accordi circa l'assetto definitivo da darsi alla vecchia e alla nuova casa madre, quella ormai quasi spopolata e questa già pressochè al completo. Ai 3 di gennaio partirono la Superiora per Mornese e il Servo di Dio per Alassio alla volta della Francia.

                Ad Alassio Don Bosco radunò tutte le Suore e prima di ragionar d'altro fece far loro una specie di rendiconto, incominciando dalla Direttrice e interrogando come se la passassero per il vitto, se fossero abbastanza provvedute di tutto il necessario, se avessero sufficiente riposo, se dormissero bene di notte... Raccomandata poi loro la fedele osservanza delle Regole: - In quanto al lavoro, disse, lavorate, lavorate pur molto; ma fate anche in maniera da poter lavorare a lungo. Non accorciatevi la vita con privazioni e fatiche soverchie o con malinconie o con altre cose che siano fuor di proposito. - Le rivide, ma non più solo di passaggio, dopo [255] il suo ritorno dalla Francia, quando tenne in quel collegio le conferenze dei Superiori. Allora le senti anche individualmente e s'interessò con bontà paterna perchè avessero comodità di ricrearsi e di passeggiare a ore debite nel giardino, e di tutto quello che poteva renderle contente. Un giorno, attraversando il refettorio con un parroco, mentre una Suor Succetti lo stava riordinando: - Oh, qui c'è Marta! esclamò. Ah Marta, Marta!... - Quell'allusione evangelica fu fatta con un tono di voce che s'impresse nella memoria della suora e le servì poi sempre di richiamo al pensiero del Signore in mezzo alle sue occupazioni giornaliere.

                Il trasferimento della sede generalizia da Mornese a Nizza Monferrato si eseguì sul principio di febbraio. Fu un doloroso sacrifizio al cuore della Madre abbandonare quel nido di memorie: soltanto l'obbedienza la potè strappare dal luogo dove aveva imparato ad amare e servire il Signore e donde non avrebbe mai creduto di doversi allontanare se non quando fosse giunto il momento di cambiare la terra col cielo.

                Tre sole fondazioni appartengono al 1879: una a Cascinetta presso Ivrea e due in America, a San Carlos di Almagro nella capitale argentina e a Las Piedras nell'Uruguay. A proposito di nuove fondazioni il Beato diede alla Madre Generale questa norma: - Per adesso va bene accettare asili infantili; ma ci sia sempre la condizione di potervi svolgere anche l'oratorio festivo e tenere un laboratorio per le giovanette del popolo. - Riguardo a Las Piedras c'è una lettera che dimostra quanto lo spirito della Madre fosse consono con i principii elle informavano la condotta del Fondatore verso i subalterni Quella comunità, amalgamata alla meglio con le suore disponibili, zoppeggiava un tantino. Scrisse dunque la Madre alla Direttrice[173]: “Mi rincresce che la nuova casa di Las Piedras non vada tanto bene. Suor Giovanna è troppo giovane e non abbastanza posata per fare [256] le veci della Superiora. Non bisogna però che vi spaventiate; persuadetevi che dei difetti ve ne sono sempre; bisogna correggere e rimediare tutto ciò Che si può, ma con calma, lasciando il resto nelle mani del Signore. E poi non bisogna fare tanto caso delle inezie. Certe volte per far conto di tante piccolezze si lasciano poi passare le cose grandi. Con dir questo non vorrei che intendeste di non far caso delle piccole mancanze; non è questo che voglio dire. Correggete, avvertite sempre, ma nel vostro cuore compatite e usate carità con tutte. Bisogna, vedete, studiare i naturali e saperli prendere; per riuscire bene, bisogna ispirare confidenza. Con suor Vittoria bisogna che abbiate pazienza, che la formiate a poco alla volta allo spirito della nostra Congregazione; non può averlo preso, perchè è stata troppo poco tempo a Mornese; mi pare che se la saprete prendere, riuscirà bene. Così delle altre; ciascuna ha i suoi difetti, bisogna correggerli con carità, ma non pretendere che ne siano senza e nemmeno pretendere che si emendino tutto in una volta: questo no! Ma con la preghiera e con la pazienza e la vigilanza, poco per volta, si riuscirà a tutto. Confidate in Gesù, mettete tutti i vostri fastidi nel suo Cuore, lasciate fare a Lui, Egli aggiusterà tutto. State sempre allegre, sempre di buon animo; quando non sapete come fare, rivolgetevi a suor Maddalena[174] e fate tutto ciò che essa vi dirà e state tranquilla. E poi avete un buon Direttore, per cui non dovete aver fastidio. State attenta a obbedirlo. Mi dite che avete da lavorar molto, e io ne sono ben contenta, perchè il lavoro è il padre d'ella virtù; lavorando scappano i grilli e si è sempre allegri. Mentre vi raccomando di lavorare, vi raccomando pure di aver cura della salute, e raccomando anche a tutte di lavorare senza nessuna ambizione, solo per piacere a Gesù. Vorrei che istillaste nei cuori di tutte l'amore ai sacrifizi, il disprezzo di se stesse e il distacco dalla propria volontà. Ci siamo fatte suore [257] per assicurarci il paradiso; ma per guadagnare il paradiso ci vogliono dei sacrifizi. Portiamo la croce con coraggio e un giorno saremo contente”.

                Era forse giunta appena a destinazione questa lettera della Madre Generale che Don Costamagna dopo una missione predicata a Las Piedras scriveva a Don Bosco: “Riguardo alle, Suore io non mi sarei mai immaginato che ci potessero aiutare cotanto in una missione. Posso dirle senza tema d'errare che non si sarebbe potuto fare il bene che si è fatto alle donne e alle ragazze senza l'intervento delle Suore. Al loro catechismo concorrevano oltre le bimbe moltissime Signore del popolo, e pendevano attente dal loro labbro come da quello del predicatore. L'udienza intanto era cresciuta e nei quattro ultimi giorni la vasta chiesa era zeppa di gente. Si chiamò da Montevideo D. Rizzo ed altri preti, e ci mettemmo tutti in confessionale standovi dal mattino sino alla più tarda notte. Ma eccoti che ad ogni momento ci veniva tra i piedi or un bambino or una bambina di 18, 20, e più anni di età, che non solo non si erano mai confessati, ma noti sapevano un et dei misteri principali. Come avremmo potuto tirare avanti senza l'aiuto dei Catechisti e delle Catechiste? Quindi è che noi eravamo chiusi nel confessionale e i detti chierici (Rota, Chiara e Baccigalupi) e quattro Suore, stavano continuamente intenti ad istruire a poca distanza, e ce li mandavano così ben preparati che a molti venivan giù i lacrimoni doppi”[175].

                Due volte il Beato si recò a Nizza. La prima volta fu per la festa dell'Assunta, nel qual giorno si chiudevano gli esercizi delle Suore e si faceva la professione; egli diede i ricordi, svolgendo questo tema: -Vita di preghiera, di lavoro, di umiltà, di nascondimento e sacrifizio, solo per Dio e per le anime, e imitazione della Madre Celeste in terra per partecipare poi più largamente alla sua gloria in cielo. - Vi tornò [258] il 21 per assistere agli esercizi delle signore. La cronaca ha serbato il ricordo di queste parole, che disse alle esercitande in uno de' suoi sermoncini dopo le orazioni della sera: - Vi sono persone ricche di buon cuore e di pietà, le quali lasciano per testamento una parte delle loro sostanze per opere di carità. Buona e santa cosa! Bisogna però notare che nel Vangelo non è scritto: “Lasciate in morte il superfluo ai poveri”, ma “date il superfluo ai poveri”. Come vedete, la cosa è ben diversa.

                Parlò pure separatamente alle Superiore e alla comunità delle Suore. Alle prime fece questa raccomandazione: - Terreno qui non ve ne manca; soggezione di vicini o di cittadini non ne avete. Esercitate le suore giovani e bisognose di moto nei piccoli lavori della vigna e del giardino. E' questo un esercizio molto utile alla salute. - Alla comunità poi lasciò questo paterno consiglio: - Scrivete ai vostri genitori, non lasciateli in pena col vostro prolungato silenzio. Ciò fa male a voi e a loro, e può esser causa d'impedimento a tante vocazioni. Se invece le vostre famiglie avranno di voi più frequenti notizie si sentiranno contente di avervi date al Signore, ricaveranno morale vantaggio dalle vostre parole, faranno anche leggere quelle lettere agli amici e conoscenti, e questi più facilmente permetteranno alle loro figlie di farsi suore.

                Di questi esercizi diede relazione alla contessa Corsi. Monsignor Belasio, qui menzionato, n'era stato il predicatore. La Bruna si chiamava una cascina ereditata dalle Suore sulla collinetta, dove sorse poi il loro noviziato.

 

                                Mia buona e car.ma Mamma,

 

                Scrivo dalla Madonna delle Grazie dove si fece una stupenda muta di Esercizi. Le signore erano circa cento. Le monache e le educande fuggirono tutte alla Bruna. Era uno spettacolo indescrivibile il mirare la divozione, la pietà,' l'allegria che in tutte traspariva. Non mancava altri che la nostra Mamma Corsi. Si è però parlato molto di l'ei e pregato per Lei. Anzi un giorno io ho celebrato Messa, le Esercitande fecero la S. Comunione con particolari preghiere affinchè Dio conservi in buona salute tutta la sua famiglia e preservi i crescenti bambini [259] dai malanni che infestano questi paesi. Ma un'altra volta bisogna che procuri di venire anche Lei, e sono sicuro che ne rimarrà consolata. Dica al Sig. Conte Cesare e Sig. Contessa Maria che in questo anno rinunzino definitivamente di venire a Nizza. La difterite si è rallentata, qualche caso però succede sempre. Il vaiuolo poi prende una intensità assai inquietante. Nella passata settimana morirono 6 pel vaiolo nero. Di vaiuolo ordinario casi 25, di cui 12 nella Parrocchia di S. Ippolito. Domenica venne il Vescovo a dare la Cresima nella Chiesa di S. Giovanni e continuò lunedì. Ma, per non far. gridare l'amministrazione, due ore in una Chiesa e poi in un'altra. La sera ci fu predicatore nuovo che supplì Mons. Belasio. Chi fu? D. Bosco. Qui c'è D. Cagliero e D. Lemoyne che sono ambidue stanchi assai, e devono dimani ricominciare gli Esercizi per le Suore.

                Non so se potrò vedere Nonna, perchè sono assai assediato di cose.

                Le Suore ed il Sig. Casalegno, che è qui presente, i predicatori tutti vogliono essere ricordati e fanno rispettosi ossequi. Dio li benedica tutti, e preghino anche per me che con figliale affetto le sarò sempre in G. C.

                Nizza, 27 Ag. 1879.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Sta sera parto alla volta di Torino.

 

                La tempesta di Chieri, per cui sommessamente si gemeva nelle case circonvicine, non diminuì nell'Oratorio di Santa Teresa nè la frequenza delle ragazze nè la buona volontà delle Suore, che si occupavano di esse sotto la guida esperta di Don Antonio Notario, incaricato da Don Bosco di sostituire Don Bonetti finchè durasse la sospensione. In quell'oratorio una nota caratteristica veniva dalle scuole festive. A Chieri nelle manifatture di cotone e tela stavano occupate centinaia dì fanciulle e giovanette, molte delle quali, non avendo potuto frequentare le scuole elementari, non sapevano nè leggere nè scrivere, e questo, data la natura dei tempi, tornava di grave discapito alle famiglie. Don Bosco volle provvedervi disponendo che le Suore ovviassero a tale inconveniente con una scuola festiva gratuita, dalle ore dieci a mezzogiorno. La frequentavano un buon centinaio di ragazze dai nove ai quindici anni, e una quarantina di più adulte, graduate in [260] tre classi secondo l'età e l'istruzione[176]. Chi fosse penetrato nel recinto dell'oratorio in dì festivo, al vedere tanto fervore di pratiche religiose, tanta varietà e attività di opere, tanta animazione di giuochi, tutto sotto la direzione delle. Suore, avrebbe capito subito perchè il nemico del bene vi si fosse tanto accanito contro.

                Anche a Lu le Suore erano guardate in cagnesco da politicanti locali. Urla corrispondenza del mese di febbraio a un quotidiano torinese[177] protestava fieramente perchè “in un paese come Lu” si tollerassero tant'oltre “gli eccessi del connubio stretto tra un conosciuto reazionario qual era Don Bosco ed liti sindaco clericale” e denunziava all'universo un simile “stato di cose fatale all'incivilimento di un così cospicuo villaggio del Monferrato”. Tutto il male proveniva dall'avere Don Bosco, “per soverchia cecità di chi avrebbe dovuto provvedere”, aperta ivi una casa di Suore, dalla quale egli “per mezzo dei suoi emissari” aspirava “ad una completa dominazione”. I “Boschini” potevano così andar liberamente a predicarvi “un bigottismo” elle era “inevitabile germe dissolutore della tranquillità domestica e sociale”. Non mancava neppure una tirata contro l'arciprete che, pur facendo “professione di liberalismo”, frequentava poi “unitamente al sindaco ed a' suoi assessori” non sappiamo quali “loiolesche riunioni”. Da ultimo faceva appello alla popolazione di Lu, perchè si valesse dell'“arma formidabile” del voto nelle elezioni per disfarsi di certa gente, e all'autorità governativa, stilla quale ricadeva “la responsabilità di sì deplorevole situazione”. Ma popolo e Governo furono sordi a tanto grido, così sordi elle il fecondo lavoro delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Lu non è stato mai fino ad oggi interrotto.

                Più grossa battaglia minacciò la quiete della Casa madre al primo di giugno. La comunità era in festa, perchè le postulanti [261] stavano per ricevere l'abito religioso, benedetto da Don Cagliero. La mattina di quella domenica, dopo la messa solenne, verso le undici e mezzo, vien chiamato improvvisamente nel parlatorio il Direttore Don Chicco, e si trova davanti al sottoprefetto di Acqui, accompagnato dal vicesindaco di Nizza. Il funzionario governativo gli domanda se sia vera la voce corsa, che debba farsi là entro una vestizione religiosa di zitelle. Alla risposta affermativa, chiede se le giovani compiano quell'atto liberamente e se non c'entrino seduzioni o pressioni. Possiamo ben figurarci come Don Chicco fra stupito e sospettoso lo rassicurasse su questo punto. Ma l'altro, punto soddisfatto, scappò a dire che voleva vedere le vestiende e interrogarle.

                Qui prese la parola Don Cagliero, presente al colloquio, ma comportatosi da estraneo, e parlò nella sua qualità di Direttore generale delle Suore. Volle pertanto sapere dal sottoprefetto se facesse quelle investigazioni come autorità o come amico; e se come autorità, gli dimostrasse la legalità del suo operare. Lunga fu la disputa. Don Cagliero batteva e ribatteva sempre lì: in qua potestate haec facis, con quale autorità un sottoprefetto del regno andasse in case private a inquisire se vi fossero zitelle che avessero intenzione di monacarsi. Essere quel convento una casa privata; avere le maggiorenni la libertà riconosciuta dalla legge e le minorenni la licenza dei loro padri. Egli non voler cedere se non a intimazione accompagnata da minaccia di usare la forza; ma anche in tal caso protestando per iscritto e alla presenza di testimoni. Che se al sottoprefetto come ad autorità egli noli avrebbe mai permesso di entrare in casa, di lui come amico era pronto ad appagare ogni desiderio. Il vicesindaco fremeva, scattava, usciva in parole aspre e se la pigliava coli le leggi, che non avessero abbastanza provveduto alla soppressione delle case religiose. Il sottoprefetto dovette imporgli silenzio; poi vista la mala parata, dichiarò che si svestiva dell'autorità, dicendo: - Io sono Germano Magliani. - Ed io, soggiunse [262] Don Cagliero, vado a chiamare l'unica minorenne, che è Maria Terzano.

                Allora sorse una nuova questione. Il signor Magliani pretendeva di rimanere solo con la ragazza per poterla interrogare più liberamente; ma Don Cagliero, usando i termini più deferenti, gli fece notare, che, non essendovi presente il padre, spettava a lui tenerne le veci, non foss'altro per convenienza sociale. Venne la Maria. Il sottoprefetto le fece brevissime domande e quasi per mera cerimonia: la giovane rispose ottimamente. Licenziatala, quegli rivelò che proprio per essa era venuto, ossia per agire contro suo padre, del quale dicevano che per motivi d'interesse spingeva la figlia a prendere il velo. Erano però male voci messe in giro da bricconi male intenzionati. Don Cagliero condusse quindi il signor Magliani a visitare il refettorio, dove già le Suore sedevano a mensa, e lo menò anche a vedere le camere. Colui si mostrò assai soddisfatto e nell'andarsene trattò molto gentilmente Don Cagliero, che a sua volta non fu da meno in cortesia, poichè lo pregò di scusarlo, se il suo dovere l'aveva costretto a muovere quell'opposizione.

                Il visitatore -avviatosi alla carrozza che lo attendeva di là dalla cancellata, vi montò e ordinò di sferzare verso la città non senz'aver prima fatto un gesto quasi di stizza a un capannello di signori che si aspettavano ben altro. Vi era il procuratore del Re venuto pure da Acqui, vi era un ufficiale dei carabinieri con parecchi militi, e ad essi facevano corona alquanti cittadini di Nizza. Costoro, appena capirono che nulla restava a fare, batterono mogi mogi in ritirata per la strada divorata dal rappresentante del Governo. Il contegno dell'arrabbiato vicesindaco aveva già detto abbastanza, qual fosse il movente di quella spedizione; il netto si conobbe chiaramente da poi. I settari del luogo, contrariati dalla presenza di tante monache 'e più dal vederne il fortunato proselitismo, avevano montato una cabala per mandare a morite la cerimonia della vestizione e così a poco a poco forzare [263] le ospiti mal gradite a mutar aria. Ma per quella volta restarono con il danno e le beffe; poichè, oltre alle spese incontrate per tale mobilitazione, dovettero ancora sorbirsi l'onta del pubblico scorno di fronte alla cittadinanza sana.

                Ma a Nizza con un'altra battaglia in grande stile si era sul punto di rinnovare l'offensiva. Fossero o no concertate e coordinate le mosse, certo è che la doppia coincidenza di luogo, di tempo e di obiettivo c'impressiona. In quel medesimo primo giorno di giugno il foglio che già aveva accolto la corrispondenza di Lu, sdoganò per i suoi lettori una prosa giacobina imbarcatagli proprio da Nizza[178]. Il titolo era promettente: INFAMIE PRETINE. Il trafiletto è un nuovo documento che prova come la setta continuasse a tener d'occhio Don Bosco macchinando di annientarlo. Diceva: “Sappiamo che l'autorità politica è oggi occupata a districare un tenebroso complotto pretino, mercè di cui una avvenentissima donzella di Nizza Monferrato abbandonava improvvisamente la propria famiglia e veniva a Torino prendendo il velo monacale. La donzella prima di fuggire di casa lasciava una lettera diretta ai parenti in cui protestava che non avrebbe mai abiurato alla propria religione  la famiglia è israelitica - e si sarebbe serbata sempre degna del nome rispettabile del suo casato. Un congiunto della neomonaca è giunto testè a Torino e in unione all'autorità giudiziaria ha attivato delle indagini per scoprire il luogo dove è rinchiusa la ragazza per strapparla agli artigli della nera setta. In tutta questa faccenda si ficca di mezzo il nome di un nero famoso della nostra città e parrebbe che alle arti inique degli accoliti di questo poderoso agitatore oscurantista debba attribuirsi l'accaduto. E siamo in pieno secolo decimonono! E gli ordini claustrali sono aboliti per legge governativa! Intanto quando la luce sarà fatta appieno ne terremo informati i nostri lettori”. Ma l'effemeridi burbanzosa non potè più vedere la luce, nè tener informati [264] i lettori, perchè fece come l'ape quando ha piantato il pungiglione: in quel giorno stesso morì.

                Narriamo prima com'erano andate precisamente le cose. Ricchissimi Ebrei di Alessandria, per impedire che una loro parente si facesse cristiana, come sembrava desiderare, l'avevano costretta a sposare un agiato calzolaio di Nizza. Il pio desiderio della madre fu ventitrè anni dopo un serio proposito nella figlia, il cui nome Annetta Bedarída ebbe per questo il suo quarto d'ora di celebrità. Da due anni essa vagheggiava in cuor suo l'idea di ricevere il battesimo, quando, giunte a Nizza le Figlie di Maria Ausiliatrice, il suo spirito si orientò verso di loro. Alcune giovani cristiane l'avevano condotta all'oratorio dalle Suore; poi ella aveva preso a frequentarle da sè, mettendole a parte de' suoi disegni. Il ricordo della madre defunta, sotto il cui capezzale, dopo morta, i suoi avevano rinvenuto un catechismo, la stimolava al gran passo. Se non che, restando in casa, non sarebbe mai riuscita nell'intento. Così a poco a poco architettò una fuga. Una sera dunque va alla Madonna delle Grazie e prega le Suore di non negarle ospitalità, perchè in famiglia non vuol tornare più. Le suore si commuovono, si credono in dovere di porgerle aiuto e concertano il modo. Consultarono il parroco; ma egli prudentemente se ne lavò le mani. Allora una buona fa miglia mise a loro disposizione la propria carrozza, su cui la Bedarída con due Suore si condusse a Incisa, dove prese il treno che per Nizza andava a Torino. Salire alla stazione di, Nizza non era consigliabile, stante il pericolo che i familiari della giovane se n'accorgessero. A Torino le sue compagne di viaggio la presentarono alle loro consorelle di Valdocco, che l'accolsero amorevolmente, la tennero seco e le procurarono ogni comodità d'istruirsi nelle verità della fede e nei doveri cristiani. Gli Ebrei, saputa la fuga, strepitarono, misero in moto i loro correligionari di Torino e ricorsero alla stampa; onde avvenne che l'agonizzante gazzetta torinese desse appunto l'ultimo segno di vita facendosi eco dei loro clamori. [265]

                Il rauco suon della barbarea tromba non produsse però quel rapido effetto che si sperava; seguirono infatti tre mesi durante i quali la giovane israelita visse tranquilla con le Suore, andando e venendo anche per Torino senza notevoli disturbi. I parenti, com'era naturale, si diedero subito d'attorno per iscoprire il luogo del suo rifugio; scopertolo, colorirono la cosa come un atto di violenza consumato per ordine di Don Bosco e ne fecero denunzia all'autorità giudiziaria. Però, trattandosi di una maggiorenne, i magistrati non furono tanto corrivi. Pochi giorni dacchè abitava a Valdocco, andò bensì da lei un ispettore di pubblica sicurezza per interrogarla; ma essa dichiarò che liberamente e spontaneamente aveva cercato asilo presso le Suore di Don Bosco e che voleva dimorare là per prepararsi al battesimo, sicchè da parte delle autorità tutto per allora finì lì. Alcuni parenti la visitarono, fra cui il padre, al quale confermò tutta la sua filiale affezione; anche da questo lato non ci fu altro per circa tre mesi. L'Ebrea, istruita nella dottrina cristiana, sperò di venir battezzata per il 24 giugno e poi per il 15 agosto: la contessa Balbo le avrebbe fatto da madrina. Ma Don Cagliero, suo maestro di religione, e Don Bonetti che la dirigeva, le consigliarono d'indugiare ancora a fine di prepararsi meglio al grande atto.

                Quella calma era foriera di tempesta. Le speranze deluse si cambiarono in furore. Oramai il piano era bell'e preparato: assalire la giovane dal suo lato debole, cioè dalla parte del cuore, sommuovere l'opinione pubblica e così agevolare un intervento energico dell'autorità[179]. [266] Il 25 agosto venne a trovarla un fratello, col quale si chiuse a confabulare per più ore, dicono cinque. Lo accompagnava un figlio del rabbino, presunto fidanzato della giovane, il quale si ritirò e riapparve solo alla partenza dell'amico. Durante il lungo abboccamento la poveretta commise una debolezza. Vedendo il fratello piangere e sentendo le sue insistenze perchè tornasse a casa, ne fu intenerita e il cuore la tradì. L'altro, accortosi del momento patologico, le somministrò carta e penna e le dettò alcune righe da consegnare alle autorità, affinchè la facessero uscire da quel luogo, quasi vi fosse trattenuta per forza. Scrisse ella macchinalmente, non però del tutto inconscia di far cosa che non andava bene, e gli abbandonò nelle mani lo scritto senza badare più che tanto alle conseguenze. Passati alcuni minuti e lasciata libera, rientrò in se stessa, conobbe il suo sproposito, e in faccia al fratello e a due testimoni ritrattò quello che aveva fatto, e sebbene per contentarlo avesse promesso di uscire con lui, non si volle muovere, ma risolse di prendersi un altro po' di tempo per riflettere seriamente. Indignato il fratello partì con il suo compagno al fianco e con propositi assai bellicosi in capo.

                Presaga di quello che le stava per succedere, la catecumena provvide a parare il colpo, mutando dimora; perciò la mattina seguente passò ad abitare presso una buona signora poco lungi dall'Oratorio. Era appena uscita dalla casa religiosa, che sopraggiunsero suo fratello, un cugino e un loro compagno; ma udito della partenza, si allontanarono di là con un diavol per capello. La mattina del 27 si portò nell'Oratorio [267] il procuratore del Re, al quale la giovane tosto si presentò, dichiarando la propria volontà di rimanere dove si trovava e a lui raccomandandosi affinchè ne tutelasse la libertà personale. Il suo interrogatorio fu consegnato a verbale e da lei sottoscritto. Il magistrato se n'andò convinto non esserci ombra di coazione.

                Tutto sembrava finito; ma si era solamente al principio. La Gazzetta del Popolo nel suo numero del io settembre sciorinò ai lettori una corrispondenza da Nizza Monferrato, che dell'accaduto tesseva un racconto da mille e una notte. La falsità cominciava dal titolo: La storia di una vestizione. Come se fosse possibile imporre il velo monacale a una zitella non peranco battezzata! Un particolare fantastico, bevuto da altri giornalisti e riprodotto con indignazione, veniva esposto in questi termini: “Parendo che la ragazza si mostrasse alquanto tiepida nella fede che la si vuole costringere ad abbracciare, si ricorse persino al mezzo di scrivere appositamente alcune scene drammatiche intitolate L'Ebrea convertita, nelle quali la povera infelice si vide minacciata da pene severissime. A quelle rappresentazioni la povera Bedarída fu costretta assistere più di una volta, avendo a lato un prete che con sguardo severo la rimbrottava ogni volta che essa sentendosi intenerire piangeva dirottamente pensando al dolore che provavano i parenti della convertita...” Era invece un dramma conosciutissimo nelle case di educazione e preparato dalle Suore prima che la signorina Annetta fuggisse; tant'è vero che essa lamentava di non essere venuta una settimana avanti, perchè le sarebbe piaciuto rappresentare la parte dell'Ebrea. Manco a dire che il corrispondente nizzese faceva la voce grossa sulla dichiarazione carpita nella maniera che dicevamo.

                Alla livida narrazione di Nizza il giornale torinese aggiunse in proprio un incitamento per le autorità, affinchè procedessero energicamente contro Don Bosco a termini di legge e attaccò la sonaliera politica, tentando anche di risvegliare le passioni [268] agitatesi nel 1852 intorno al caso del piccolo Mortara[180]. “Le corporazioni religiose sono abolite, diceva; perchè si lascia ch'esse possano tuttavia tener conventi e insidiare in tal modo la libertà, la pace delle famiglie? E' forse per assistere a tali scandali e lasciarli impuniti che la Sinistra è salita al potere? L'Italia ha, avuto un Mortara maschio, ma lo scandalo d'allora fu commesso da aguzzini pontifici, e ciò si capisce. Ma ora dovremo noi avere una Mortara femmina sotto ministri liberali italiani, sotto ministri di Sinistra?”

                Il prefetto di Torino, quel Minghelli Vaini che i lettori conoscono, non soleva essere insensibile all'oracoleggiare della Gazzetta. Il 3 settembre, di buon mattino, un nuvolo di guardie, parte in divisa e parte in borghese, accerchiò la casa ospitale della Bedarída e le adiacenze; poi si udì un forte picchiare alla porta, come di chi la volesse forzare. Non fu aperto; ma l'Ebrea, svegliatasi di soprassalto e atterrita, cadde in preda alle convulsioni. In brev'ora, alla Vista di quell'appostamento e alle dicerie che correvano, trasse gran gente per assistere [269] a lui assalto. Verso le nove ecco giungere in carrozza all'Oratorio il prefetto coli il procuratore  generale. Domandò di parlare a Don Bosco. Il Servo di Dio elle terminava allora di confessare, venne dopo circa dieci minuti. Il primo saluto del funzionario fu un rimprovero di averlo fatto aspettare tanto e lì su due piedi gli gettò in faccia il sospetto elle in quel frattempo egli fosse corso a dare l'imbeccata alla giovane. Il Beato gl'indicò la casa dove l'Ebrea abitava: era a due passi dall'Oratorio. Quegli accigliato e brusco vi si avviò.

 

                Là non volle altro testimonio elle il magistrato. La ragazza non si smarrì ma, raccolte alla meglio le forze, fece osservare come già due interrogatorii avesse subíti per la medesima cagione e elle non sapeva spiegarsi perchè ne occorresse un terzo. Il prefetto che s'immaginava di dover essere da lei accolto come lui angelo liberatore, si sentì molto contrariato da  quell'esordio; ma la presenza del procuratore generale lo obbligava a serbare una certa moderazione. Udita pertanto la sua volontà e com'ella fosse rimasta sempre libera e come libera fosse tuttora, e elle lo scritto di otto giorni addietro le era stato, per dir così, strappato dal fratello senza che ella ne sapesse prevedere gli effetti, chiamarono il padre, un fratello e una sorella di lei. Molto si parlamentò da ambe le parti. Infine il prefetto augurò ai parenti che la ragazza tornasse in seno alla famiglia per calmarne il dolore. Il magistrato però con la massima pacatezza fece osservare a quei di casa sua che ella, essendo maggiorenne, godeva per legge del diritto di scegliere liberamente la propria religione.

                Tuttavia il prefetto sì manteneva fisso nell'idea di staccarla dalle suore. A nulla valevano le reiterate proteste della Bedarída, che presso di loro non aveva sofferto nè soffriva violenza di sorta; egli si arrovellava a persuaderla elle le conveniva uscirne e ricoverarsi in altro istituto. Evidentemente il ghetto aveva trovato in lui il suo uomo.

                - Io non conosco altri istituti fuorchè quelli di Don Bosco, diceva ella. [270]

                 - Sarà mia cura, rispose il prefetto, di cercargliene uno di suo gusto, per esempio, presso le Figlie dei Militari.

                 - Ma che bisogno c'è di mutare domicilio? lo qui non sono più dalle suore e non v'è neppur motivo di supporre che, io mi voglia far cristiana per consiglio loro.

                 - Ma qui ella si trova tuttora vicino a persone che hanno attinenza con l'istituto di Don Bosco; e poi la vita che qui deve menare, non si addice alla sua condizione. Io invece saprò ben trovarle un luogo che le presenti tutte le comodità Anche i suoi parenti sono d'accordo con me, non è vero?

                 - Sì, rispose il padre; anzi sono disposto a pagare quanto bisogni.

                 - Ebbene, conchiuse il prefetto, cercherò io il posto e a suo tempo ne la farò avvertita.

                Le guardie di questura sorvegliarono la casa tutto il giorno, tutta la notte e non si movevano nemmeno il giorno dopo. La giovane, temendo che stessero là ad attendere che mettesse piede fuori della porta per agguantarla, si teneva tappata dentro; ma poi sdegnata scrisse al prefetto lagnandosi e protestando: “La ringrazio della premura presasi a mio riguardo nel giorno di ieri; ma io le significo che voglio godere piena libertà di stare dove mi trovo, e invoco questo diritto a nome della legge. Quindi protesto di non voler uscire da questa casa: protesto ancora contro il modo che si usa con me in questi giorni con tenermi le guardie attorno, come se io fossi una prigioniera. Si vuol far credere che io sia una vittima dei Preti e delle Monache; ma sotto colore di libertà sono la vittima di ben altra gente. Quando più non mi piacesse di fermarmi in questa casa, saprei andarmene a cercare un'altra di mio gusto, senza che altri me la determini. Fui libera e capace di cercarmi, questa, e sono tuttora capace, e voglio essere pienamente libera di uscirmene e cercarmene un'altra. Spero poi che V. S. Ill.ma vorrà dare tosto gli ordini opportuni che siano tolte le guardie d'intorno alla mia casa, [271] perchè mi sembra una vergogna trattare in questo modo una libera cittadina uscita già di minorità e colpevole di nulla”.

                Ma il prefetto sotto il mentito pretesto di difendere la sua libertà personale contro le immaginarie violenze di Don Bosco non tolse l'assedio, che durò ben cinque giorni, gettando nel popolo il sospetto di chi sa quali misteriosi reati commessi da lei e da altri. Di notte i poliziotti spiavano i passanti, per tema che la preda sgattaiolasse camuffandosi anche da uomo. à di quelle guardie facevano pure una trista propaganda contro Don Bosco; poichè spacciavano che egli voleva costringere l'Israelita a farsi monaca per carpirne le ricchezze[181]; altre più sguaiatamente dicevano ben di peggio. Lo attestarono i vicini, che sorvegliavano la propria figliuolanza, perchè nessuno si avvicinasse a quelle bocche pestilenziali. Ad acuire la morbosa curiosità del volgo uscì uno di quei fascicolini di canzonette e storielle popolari, dove sul fatto si ricamava una novella boccaccevole e rocambolesca, e la protagonista con nome romantico ed epiteto lacrimogeno era detta la “sventurata Esmeralda”[182].

                Don Bonetti non aveva indugiato a confutare le calunniose accuse della Gazzetta; in una sua lettera del 2 settembre al Direttore dimostrava che la giovane israelita liberamente era venuta alla casa delle suore, liberamente vi era rimasta, liberamente poteva andarsene. Ma la Gazzetta pubblicò la lettera soltanto il 4, ponendovi in coda certe “osservazioni” che miravano a infirmarne tutto il contenuto.

                Oramai gli eventi precipitavano. Il procuratore del Re due altre volte, la mattina e la sera del 6, andò a trovare la signorina per consigliarla, anzi per pregarla che accettasse la proposta fattale dal prefetto di uscire da quella casa e passare in altro luogo non sospetto. Essa finì col condiscendere [272]; ma è doveroso aggiungere che l'argomento più valido a fiaccarne la resistenza fu l'averle il prefetto dato a intendere elle, se noti piegasse, Don Bosco e il suo istituto ne sarebbero andati di mezzo. Preparatone così l'animo, il prefetto le scrisse la mattina del 7: “Ho l'onore di parteciparle che la Signora Direttrice dell'Istituto Ferraris, via S. Francesco di Paola N. 10 bis, la riceverà in qualunque ora V. S. si presenti alla porta del suo appartamento, che è al io piano, standovi stilla porta del pianerottolo della scala una placca in ottone con sii scrittovi: ISTITUTO FERRARIS. Là Ella sarà padronissima affatto dei suoi pensieri: là la Direttrice ha l'ordine di secondarla nei suoi desiderii, anche accompagnarla ad una villa elle tiene in affitto essa Signora Direttrice verso la Madonna del Pilone, se a V. S. piacesse di pigliare un poco di aria di campagna. I genitori di lei pagano tutte le spese giornaliere, che a V. S. piacesse di fare secondo le abitudini dell'agiata famiglia, alla quale appartiene. Veda bene, Signorina: o le piaccia di restare nella religione dei suoi genitori o di farsi cattolica, Ella sarà padronissima di abbracciare quella risoluzione , che la sua volontà le suggerirà di preferire. Io metterò ogni impegno perchè Ella nella rettitudine della sua coscienza abbia da dire a sè e agli altri, che il Prefetto di Torino, o meglio il Governo del Re che egli rappresenta, non ha cercato, non ha voluto, non ha dato disposizione con altro scopo fuori che con quello di lasciarla liberissima di seguire la stia vocazione, o sia quella di farsi cattolica, o sia quella di restare nella religione in cui è nata. Qualunque cosa le mancasse, in qualunque modo accadesse che il trattamento che riceverà nell'Istituto Ferraris le paresse non conforme alle prendesse suesposte, voglia farmelo sapere, e io darò ordini perchè la sua libertà amplissima sia tutelata”. Intanto però le toglieva la libertà di abitare nella casa, dov'essa voleva rimanere

                Prima di abbandonare la sua dimora, la giovane consegnò a chi di ragione questo autografo, elle si conserva nei nostri [273] archivi: “Io sottoscritta in presenza dei testimoni con me sottoscritti dichiaro di uscire da questa casa Via Cottolengo N. 31, non già perchè vi abbia ricevuto o vi riceva pressione nella mia deliberazione di farmi Cristiana, ma per l'unico motivo di annuire a un Consiglio del Procuratore Generale di S. Maestà, che me ne pregò, e così evitare disturbi e sfregi ai miei benefattori, che mi hanno usato tanta Carità”.

                Entrò dunque il 7 settembre nell'istituto, in cui la signora Ferraris, amicissima del prefetto e della Gazzetta del Popolo, teneva a convitto allieve maestre. La Direttrice subito al primo incontro le disse che non bisognava lasciarsi riempire la testa da idee di fanatismo. La mattina del dì seguente fu data licenza al fratello di entrar nella sua camera da letto; ma la sorella, svegliata e conosciutolo, ne lo scacciò dispettosamente. Il giorno io un dottore che si disse falsamente mandato da Don Cagliero, tentò di parlarle; ma ella insospettita non lo volle ricevere. Lo stesso giorno il sedicente amante, accompagnato dal fratello, chiese alla Direttrice di poterla visitare; ma la giovane ricusò di vederlo.

                Tutte queste erano vere insidie; ma si ricorse anche alla calunnia. La Direttrice, scorgendo che per otto giorni la signorina persisteva a non voler vedere nè udire persone che la stornassero dalla stia idea, non si peritò di farla mettere in canzone come visionaria; al qual fine narrò che essa “le aveva raccontato sul serio di aver veduto Dio in persona sotto le forme di un bel vecchione colla barba bianca, che le diede consigli e suggerimenti”. Il solito giornale divulgò la notizia; altri giornali gli tennero bordone[183]: e la Direttrice che fece? La Bedarída, prima di entrare nel suo convitto, aveva avuto modo di parlare con il biellese avvocato Caucino, grande spauracchio degli anticlericali per le sue vittorie forensi in difesa del clero, e ne aveva chiesta l'assistenza. L'avvocato andò poi a visitarla nella nuova dimora e sarebbe [274] dovuto ritornare; ma la Ferraris ingannò la ragazza, facendole credere essere stato il Caucino a calunniarla di visionaria, di monomaniaca, e così glielo mise talmente in sospetto, che essa noti volle più rivederlo. Allora la poveretta inesperta si trovò isolata in balìa di persone congiurate a' suoi danni: Un giorno, per dimostrarle che i suoi parenti avevano ragione di non permetterle l'abbandono dell'ebraismo, la sua carceriera in presenza di lei domandò a una signora: - Se Ella avesse una figlia che volesse farsi protestante, ne sarebbe forse contenta? Non farebbe di tutto per impedirglielo?

                Nell'istituto la famiglia desiderava che passasse una quindicina di giorni, senza verun contatto nè con Salesiani nè con Suore; ma stanca di tante torture, non aspettò nemmeno quel termine. Da una lettera che le indirizzò Don Bonetti il 18, si arguisce che il ritorno a Nizza era ormai deciso. “Mi consola però il sapere, dice Don Bonetti, che Ella continua nella buona volontà di ricevere il battesimo”.

                Il 18 stesso, che fu il giorno della partenza di Annetta Bedarída per Nizza, un foglio volante col titolo: Don Bosco, Don Margotti e l'avv. Caucino scornati, e con una silografia del Beato, i cui lineamenti alterati ad arte lo facevano apparire di aspetto antipatico, veniva sparso a larga mano in città ad annunziare l'infelice vittoria. La rabbia giudaica, secondo le informazioni della questura, era giunta a tal grado di accanimento, che qualcuno dell'Oratorio doveva stare in guardia contro insidie alla vita. Figuriamoci il trionfo che si menò dopo un sì poco invidiabile risultato! Sulla Cronaca dei Tribunali del 20 settembre il direttore avvocato Giustina incitava il Procuratore del Re a istruire un regolare processo; ma non se ne fece nulla, tanto evidente era alle autorità non esservi stato nessun delitto, doversi invece ritenere scellerate menzogne le delazioni dei giornali.

                L'Unità Cattolica subito contrappose un altro foglio volante, dove si leggevano o meglio si rileggevano tre documenti già pubblicati separatamente, cioè la lettera, della Bedarída [275] al Direttore, l'altra lettera di lei al Prefetto da noi riferita qui sopra, e un suo telegramma al Ministro dell'Interno per protestare contro chi voleva “ingerirsi in affari della sua coscienza”. Questa pubblicazione era stata l'unico intervento del quotidiano cattolico nel fervore della mischia. Un tal riserbo rispondeva certo a una propensione di Don Bosco. Scoppiato un litigio, egli, una volta chiarite le cose mediante la serena esposizione dei fatti, non amava battagliare. Nella presente controversia poi, se gli si fosse dato retta, la gran questione sarebbe morta prima di nascere. Egli ritenne fin da principio che fosse meglio affrettare il battesimo. - Battezzata che sia, disse, tutto è finito. - Infatti il fratello, la prima volta che fu dall'Annetta, credendola già battezzata, parve rassegnarsi al fatto compiuto. Ma Don Cagliero aveva preferito andare adagio; onde colui, avvedutosi del proprio abbaglio, sollevò tutto quel putiferio. Del resto, non ogni male viene, per nuocere: grazie agli Ebrei, tanti buoni Cristiani appresero che esistevano anche le Suore di Don Bosco e che a Nizza Monferrato avevano la loro Casa madre.

 

 

CAPO XI. Le Missioni e la storia di una denunzia.

 

                NELL'ANNO, di cui ci veniamo occupando, non vi fu spedizione missionaria. Mentre nell'America i Salesiani vedevano approssimarsi l'ora delle Missioni propriamente dette, Don Bosco non si stancava di premere per ottenere delle sue Missioni un riconoscimento canonico. I tentativi fatti durante il Pontificato di Pio IX avevano sortito scarsi risultati; ora egli mirava a conseguire ben più. Fece pertanto un primo passo con il rappresentare a Leone XIII l'attività missionaria da lui spiegata in Europa, il contributo cioè che egli recava alla preparazione di apostoli per le Missioni proprie e altrui; ma diede alla sua relazione la forma di una supplica indirizzata allo scopo di poter avere sussidi dalle due massime Opere di assistenza missionaria.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Prostrato umilmente ai piedi della Santità Vostra espongo con tutto il rispetto come da molti anni sotto il nome di Oratorio di San Francesco di Sales in Torino siasi aperto un Ospizio o Seminario dove si coltivano e si preparano evangelici operai per le Missioni estere. Di fatti un numero notabile dei nostri allievi trovasi ora nella China, nell'Australia, nell'Africa, e in numero di oltre cento nella stessa America Meridionale.

                 Questo Istituto che presentemente contiene oltre a 500 allievi, si è finora sostenuto colla carità dei fedeli, e nei casi eccezionali coll'aiuto del Sommo Pontefice. [277] Ora la mancanza dei beni materiali cagiona gravi difficoltà per continuare nel fine proposto di somministrare individui per le Missioni estere, e perciò mi fo ardito di supplicare V. S. a voler dire una parola in favore del Pio Istituto presso alla direzione dell'Opera Pia della Propagazione della Fede di Lione, e dell'altra Opera Pia detta della S. Infanzia, affinchè ci vengano in aiuto con qualche caritatevole sussidio. In questa guisa si potranno viemeglio continuare gli studi, le vocazioni, sostenere altre case aperte col medesimo fine, di formare missionarii all'Estero, di cui si sente cotanto grave il bisogno. Case sussidiarie al Seminario di Torino sono l'Ospizio di S. Vincenzo de' Paoli nella città di Sampierdarena, il Patronato di S. Pietro a Nizza di mare, quello di S. Giuseppe presso Fréjus, quello di S. Cyr vicino a Tolone e finalmente l'Oratorio di S. Leone nella città di Marsiglia. Questi Istituti portano nomi che non esprimono i fini che noi accenniamo, ma ognuno può immaginare il motivo che consiglia ad usare tali denominazioni.

                Questa è l'opera che umilio a V. S. supplicandola a volerla benedire e favorire in quel modo che nella sua alta ed illuminata sapienza giudica opportuno.

                Colla massima venerazione e col più profondo figliale ossequio ed attaccamento mi protesto

Di V. S.

                Roma, 20 Marzo 1879.

 

Umilissimo ed obbligatissimo figlio

Sac. Gio. Bosco.

 

                Un mese dopo fece un passo più decisivo. Umiliò al Santo Padre per mano del Cardinale Protettore una nuova supplica, condensandovi notizie particolareggiate sull'attività missionaria esercitata dai suoi nell'America Meridionale e allegando una serie di documenti pontifici atti a mettere in valore quelle Missioni, affinchè l'Autorità suprema si degnasse di regolarne la posizione davanti alle Congregazioni Romane.

 

                Beatissimo Padre

 

                Le prime trattative di missioni salesiane all'estero si ebbero coll'Em.mo, Barnabò nel 1872, che ne dava incoraggiamento. S. S. Pio IX poi nel 1874 localizzava le missioni ed incoraggiava a recarci nella Repubblica Argentina per prendere cura degli italiani colà dispersi e tentare novelle prove tra gli Indi Pampas e Patagoni. Il medesimo caritatevole Pio IX somministrava mezzi materiali per la prima spedizione, che si effettuò il 14 Novembre 1875. I primi missionarii salesiani [278] si presentarono al S. Padre in numero di 10 il I° Novembre di quell'anno per riceverne la benedizione e la missione apostolica. il S. Padre li incoraggiava con calde parole, li muniva di una lettera del cardinale segretario di Stato all'Arcivescovo di Buenos Aires in data dello stesso giorno.

                Ai medesimi erano concesse le facoltà necessarie dalla S. Congregazione di Propaganda Fide con decreto del 14 Novembre 1875.

                Il medesimo Sommo Pontefice esprimeva la sua consolazione lodando ed approvando la novella missione con Breve in data 17 dello stesso mese ed anno.

                Per dare ognora maggiore stabilità alle salesiane missioni la Congregazione di Propaganda, informata dell'incremento della messe evangelica e delle vocazioni che in quei paesi Dio suscitava, autorizzò la fondazione di un noviziato con decreto 6 Luglio 1876.

                Il regnante Sommo Pontefice, che Dio lungamente sano e salvo conservi, in data 18 Settembre 1878 si degnava d'indirizzare altro Breve pieno di paterno affetto con cui approva ed incoraggia le missioni salesiane di America.

                Lo stesso regnante Sommo Pontefice Leone XIII sebbene travagliato dalle strettezze finanziarie, tuttavia informato delle difficoltà che s'incontravano nella quarta spedizione per la mancanza dì mezzi pecuniarii, concorse con generosa offerta ed animava a proseguire le opere incominciate con apposita lettera in data 23 Novembre 1878.

                Difficoltà grande fu l'incertezza se le missioni dell'America del Sud appartengano alla Congregazione dì Propaganda Fide, oppure alla Congregazione degli affari straordinarii ecclesiastici. Si raccomanda ogni cosa alla carità e zelo dell'Em.mo card. Nina segretario di Stato, affinchè qual protettore della congregazione si degni:

                I. [Dichiarare] a quale delle due sacre Congregazioni mentovate debbano rivolgersi i missionarii salesiani, che ora trovansi nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina, nei ricorsi all'autorità della Santa Sede.

                2. Approvare queste missioni secondo la richiesta fatta dal Consiglio Generale dell'Opera Pia della Propagazione della Fede residente in Lione, affinchè si possano ottenere i promessi sussidii che nello stato attuale di cose sono indispensabili.

                3. In risposta alla medesima lettera del Consiglio Generale della Propagazione della Fede si può notare che per ogni trattativa di sussudio o pratiche relative si faccia capo al sac. Gio. Bosco Rettor Maggiore della mentovata Congregazione in Torino. Qui havvi il seminario principale da cui partono i missionarii, e dove pure tengono corrispondenza dai paesi loro affidati per l'esercizio del sacro loro ministero.

                4. Tornerebbe pure di grande vantaggio una commendatizia presso l'Opera della Santa Infanzia. Si potrebbe notare come molti [279] giovanetti salvati da certa morte furono dall'Arabia (Cabil) trasportati nella casa di Torino. Qui instrutti nella fede, battezzati, ammaestrati nelle scienze, alcuni furono avviati ad un mestiere ed altri vennero ammaestrati per la carriera ecclesiastica, ed ora sono missionarii nella loro patria. Altri provenienti dalla città di Damasco fanno ora i loro studii per essere poi rinviati nei loro paesi. Assai più è notevole il numero, dei ragazzi selvaggi dai Salesiani battezzati in mezzo agli Indi; altri ricoverati negli ospizi di Buenos Aires. In questo giorno medesimo 20 Aprile 1879, partono tre missionarii salesiani col ministro della guerra di Buenos Aires a fine di recarsi fra gli Indi Pampas e salvare quel maggior numero di fanciulli che si può dallo sterminio cui pare siano stati condannati dal Governo Argentino. Pur troppo quei ragazzi vagano a migliaia in cerca di chi loro salvi l'anima e il corpo, ma non si possono avere mezzi materiali e morali per salvarli tutti; e nondimeno sarà sempre un numero di fanciulli selvaggi donati al Vangelo ed alla civile società.

                Torino, 20 Aprile 1879.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Conveniva in seguito tener presenti al pensiero del Papa le Missioni Salesiane. A questo si provvide con far sì che l'Ispettore Don Bodrato da parte sua e dei confratelli inviasse al Vicario di Gesù Cristo devoti omaggi in due tempi diversi, vale a dire per l'onomastico e per il capo d'anno. Il primo indirizzo, spedito da Buenos Aires il 6 luglio, giunse a Roma per San Gioachino, che è ai 16 di agosto;' si portava in esso a conoscenza del Santo Padre l'avanzata dei Salesiani verso la Patagonia, la necessità di stabilire una residenza centrale sulle foci del Rio Negro e una missione da qualcuno di loro predicata nel Paraguay. Il secondo indirizzo partì pure di là il 27 novembre in modo che arrivasse a Roma con gli auguri per il nuovo anno; vi si parlava intanto di recenti progressi nelle terre patagoniche, dell'imminente apertura di una casa a Patagones e della collaborazione prestata dalle Figlie di Maria Ausiliatrice[184].

                Senz'aspettare che le sue pratiche presso la Santa Sede sortissero l'effetto desiderato, il 17 settembre rinnovò per la terza volta le sue istanze alla Santa Infanzia e alla Propagazione [280] della Vede per ottenere sussidi a vantaggio delle sue Missioni, unendo alle sue domande copia di una lettera dell'Arcivescovo monsignor Aneyros, dalla quale si potevano rilevare i meriti dei Salesiani nella Repubblica Argentina. Le risposte furono, al solito, gentilissime nella forma e negative nella sostanza. La Santa Infanzia sussidiava solamente Missionari che attendessero a tre cose insieme, cioè a battezzare, riscattare e allevare piccoli infedeli, nè sovvenzionava Missioni nascenti se non quando possedessero già residenze. destinate a quei tre scopi; inoltre non ammetteva al godimento di assegni fissi nuove missioni, se non quando l'Opera avesse aumenti di mezzi che le rendessero possibile allargare la sfera della sua beneficenza.

                In questa lettera incontriamo una preziosa allusione: il Direttore Generale si compiaceva delle cose udite nel Congresso di Angers sulle “mirabili Opere” del Beato. Quel Congresso, tenutosi poco prima, si era occupato esclusivamente di istituzioni operaie cattoliche; Ernesto Harmel, fratello di Leone il bon Père di Val des Bois, vi aveva letto un ragguaglio sulla natura e sullo sviluppo delle scuole professionali fondate da Don Bosco. Di quel Congresso abbiamo anche un altro ricordo. Un sacerdote parigino, abate Machiavelli, noto in Francia per il suo apostolato sociale e per la sua competenza in questioni operaie e incardinato allora nella diocesi di Nancy, chiedeva l'anno dopo all'Oratorio informazioni particolareggiate sull'Opera di Don Bosco, la quale egli diceva d'aver udito lodare altamente nel Congresso di Angers e di cui conosceva soltanto l'esistenza[185]. Gli furono mandati i numeri fino allora usciti del Bollettino francese, che aveva [281] fatto la sua prima comparsa nell'aprile del 1879 e che oltre al resto conteneva già tradotti i primi tredici capitoli di Storia dell'Oratorio, scritta da Don Bonetti per il Bollettino italiano.

                Dalla Propagazione della Fede la risposta venne più tardi, perchè la proposta del Beato era stata oggetto di esame successivamente presso i due Consigli centrali di Lione e di Parigi; ma tornò in campo l'eterna difficoltà statutaria, che l'Opera poteva aiutare soltanto le Missioni presso popoli infedeli, non appartenenti cioè a Stati cattolici, nè aventi gerarchia ordinaria, semprechè fossero riconosciute come tali ufficialmente dalla Santa Sede e rette da determinati Superiori ecclesiastici. Entrambi però i documenti stanno a confermare quanto fosse già nota e apprezzata l'Opera di Don Bosco in Francia[186].

                Di un grazioso sussidio del Santo Padre per le Missioni diede il cardinale Nina comunicazione a Don Bosco il 21 ottobre. “Non ho mancato, scriveva Sua Eminenza, di riferire al Santo Padre quanto la S. V. si compiaceva espormi nella sua pregiata dei 16 dello scorso mese e nella successiva dei 27 relativamente ai suoi Missionarii di Buenos-Aires, non che, a quelli che dovranno quanto prima muovere dall'Europa alla volta del Paraguay. Sua Santità giustamente apprezzando i non piccoli vantaggi che vengono arrecati da Missionari del suo benemerito istituto, specialmente in quelle lontane regioni cotanto bisognose di spirituali soccorsi, ne è rimasta vivamente soddisfatta ed accogliendo favorevolmente la dimanda di qualche soccorso materiale per procedere alle prime spese necessarie alla prossima spedizione si è degnata di elargire a tal uopo la somma di lire mille. Nel portare a notizia di V. S. questo tratto della Sovrana beneficenza, La interesso vivamente a sollecitare per quanto è possibile la desiderata partenza”. Il Servo di Dio nella lettera [282] del capo d'anno segnalerà ai Cooperatori e alle Cooperatrici questo esempio di papale carità, e mostratone tutto l'intimo valore, professerà in questa forma la propria gratitudine: “Ad un atto di così alta bontà del Santo Padre noi ci studieremo di corrispondere con fervore e quotidiane preghiere per la sua conservazione e pel bene dì Santa Chiesa, di cui è Capo visibile. E poichè il danaro che scende nelle auguste di Lui mani va a terminare dove più grande è il bisogno della Religione e la necessità dei fedeli, noi ci daremo premura di promuovere l'Obolo di San Pietro. Come quello che non potrebbe avere una più santa destinazione”[187].

                Don Bosco aveva dunque in animo di fare quest'anno una spedizione di Missionari al Paraguay? Abbiamo già accennato come tale realmente fosse la sua intenzione[188]. Infatti il 3 gennaio, corrispondendo volentieri alle premure fattegli in proposito a nome di Sua Santità, si era affrettato ad assicurare il cardinal Nina che nel prossimo ottobre sarebbero pronti dieci tra preti e catechisti e altrettante Suore per recarsi al Paraguay, dove esercitare ogni opera di carità presso quelle popolazioni bisognosissime dì aiuti spirituali.

                Avvicinandosi poi il termine da lui prefisso e rinnovandosi le insistenze di quel Delegato Apostolico, la Segreteria di Stato nel mese di settembre lo sollecitò ad allestire la spedizione dei dieci Missionari, i quali per altro si sarebbero dovuti fermare a Buenos Aires, non movendo alla volta del Paraguay prima di aver preso gli opportuni accordi col Rappresentante Pontificio monsignor Angelo Di Piero, arcivescovo di Nazianzo, Quanto alle Suore, affinchè si potessero fin dal loro arrivo convenientemente collocare, si stimava necessario che venissero precedute dai Missionari; se ne sospendesse quindi per allora la partenza. Queste erano le istruzioni inviate da Roma, dove si confidava che Don Bosco fosse in grado di adempiere alle promesse del gennaio, tornate di vivo [283] gradimento al Papa[189]. Ma circostanze imprevedute erano sopraggiunte a intralciare i disegni del Beato, che così ne scrisse al cardinale Nina, Segretario di Stato.

 

                                Eminenza Rev.ma,

 

                In riscontro alla rispettabilissima lettera della E. V. in data io corrente Settembre mi affretto di comunicarle quanto segue.

                Come avevo già avuto l'onore di rendere noto all'E. V., era stabilito che due nostri religiosi partissero da Buenos Aires col I° Agosto per recarsi a reggere almeno la Parrocchia della Città dell'Assunzione nel Paraguay. Pochi giorni prima della loro partenza furono consigliati, non so da quale autorità, di differire per motivo della rivoluzione scoppiata in quella repubblica. Non so se le nuove dimande del Delegato Pontificio siano di recente data, oppure anteriori al 12 Agosto; ad ogni modo io scrivo immediatamente al Superiore dei nostri Missionari stanziati in Buenos Aires, perchè mi ragguagli sullo stato delle cose, e se pare conveniente partano tostamente i due mentovati religiosi, affinchè vadano al loro ufficio e preparino quanto occorre per quelli elle saranno di prossima partenza dall'Europa. Sarebbe però indispensabile di poter ricorrere a qualche fonte di beneficenza sia per fare il corredo personale elle va ad una cifra assai rilevante e per fare tutte le altre spese di viaggio.

                Al 20 di questo mese attendo novelle notizie dalla Repubblica del sud e probabilmente dallo stesso Paraguay. Ove ne sia d'uopo darò subito comunicazione di ogni cosa all'E. V.

                La prego intanto di permettermi l'alto onore di potermi professare colla più profonda venerazione della E.V.

                Torino, 16 Sett. 1879.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Del Paraguay noi troviamo elle più si facesse motto nè allora nè poi per una quindicina d'anni. Rimandiamo i lettori a quanto dicemmo nel volume precedente sulle condizioni politiche di quel paese.

                Anche il Vescovo di San Domingo aveva ricordato in maggio a Don Bosco la fatta promessa di mandargli suoi Missionari per marzo, secondo il desiderio del Santo Padre[190]. [284] - Come rispondere? - chiese Don Cagliero, dopo aver letta a Don Bosco la lettera indirizzatagli da quel Prelato. Rispondi a questo modo, gli disse Don Bosco, e lo riferisce la cronaca: essere noi pieni di buona volontà a suo riguardo e desiderare di andargli in aiuto; ma che il Santo Padre medesimo, nel momento in cui cercavamo di assottigliare il personale di qualche casa, per compiacere a Sua Eccellenza, ci dà nuovi incarichi molto più pressanti; per il qual motivo ora lo preghiamo di pazientare. - E nemmeno per San Domingo si rinnovarono le insistenze se non passati molti anni.

                Questa necessità di “assottigliare il personale di qualche casa”per aprirne o provvederne qualche altra, si ripeteva ogni tanto anche senza che c'entrassero le Missioni; onde un lamento mosso il 29 aprile da alcuni Superiori elle lo scarso numero di confratelli aumentasse soverchiamente nelle case il lavoro dei singoli con detrimento della sanità, tanto più elle in quasi tutti i luoghi i nostri accettavano predicazioni e officiature in chiese esterne. Don Bosco osservò: -Abbiamo già troppe cose per le mani senz'andarci a cercare altre occupazioni; tanto più che queste divagano e fanno sì che il cuore si attacchi a certe imprese esteriori, che forse lusingano l'amor proprio, e si trasandino poi le cose nostre. Anche in America per questo motivo sono tutti oppressi da lavori Straordinarii. É vero che tutto ha per fine la maggior gloria di Dio; ma è anche vero che noi dobbiamo avere per iscopo primario la cura della gioventù, e non è buona ogni occupazione elle da questa cura ci distragga. Lasciare elle un collegio vada male per predicare e confessare altrove, non è buon metodo. Chiudiamo la breve parentesi, lasciando l'Italia, e rifacendoci a dire dei nostri Missionari d'America.

                Il 1879 segna una data storica nei cominciamenti delle Missioni Salesiane d'America; appartiene a quell'anno il primo contatto con gli Indi della Pampa e della Patagonia in quelle loro terre elle erano ancora per la massima parte inesplorate. Fallito il tentativo dell'anno antecedente per [285] la via del mare a causa della furiosa tempesta che mise a repentaglio la vita di monsignor Espinoza e di Don Costamagna, questi due     coraggiosi studiarono un altro itinerario per le vie di terra. Una felice congiuntura, che dobbiamo esporre, ne favorì l'apostolico zelo. Cominciarono nel 1879 le spedizioni regolari di esplorazione e di conquista, che avrebbero in pochi anni posto fine per sempre al dominio selvaggio e reso possibile colonizzare e sfruttare gli sconfinati territori dell'ovest e del sud, Ossia della Pampa e della Patagonia. La prima mossa fu di portare la frontiera della repubblica fino al Rio Negro, soggiogando o discacciando gli Indi ed opponendo loro la barriera insuperabile del grande fiume, navigabile col suo affluente Neuquén dall'Oceano alle Ande. Stavano di fronte venticinque mila Indi allo stato selvaggio, dei quali solo quattromila e cinquecento erano atti a combattere, ma privi di armi moderne, inesperti di strategia militare e sforniti di disciplina. Il progetto della campagna era stato sanzionato con legge il 4 Ottobre 1878; l'esercito di operazione, composto di quattromila e cinquecento uomini, si mise in marcia il A aprile 1879, ripartito in cinque divisioni, sotto il comando supremo del generale Roca, Ministro della Guerra. Tre divisioni batterono l'interno della Pampa, una percorse il suo limite occidentale e un'altra più numerosa scese a fronteggiare la Patagonia, dove si accampavano cinque formidabili Cacichi. Mentre il Governo si proponeva per allora soltanto di spazzare e sotto mettere la zona chiusa fra il Rio Negro e le Ande, cioè tutta la Pampa e un po' della Patagonia settentrionale, restò indirettamente conquistata la Patagonia intera, perchè in un secondo tempo questa regione potè essere senza straordinaria difficoltà debellata. Si era creduto che i selvaggi si sarebbero concentrati al sud per essere spalleggiati dai Patagoni; invece fuggirono attraverso le Cordigliere al Chilì o si arresero o si dispersero con l'intento d'incorporarsi fra i civili; moltissimi perdettero la vita anche senza che si opponessero all'avanzata [286] delle truppe. La marcia dell'esercito durò dall'aprile al luglio del 1879; la campagna del Rio Negro si chiuse nell'aprile del 1881 con esito completo.

                Spedizioni isolate, senza un piano generale, eransi fatte precedentemente, come abbiamo narrato altrove[191]. Durante quelle offensive non pochi Indi erano stati massacrati o presi e condotti a Buenos Aires e distribuiti come schiavi alle famiglie; quindi nei superstiti regnava un'acrimonia, che rendeva oltremodo difficile ai bianchi l'avvicinarli. Nella spedizione generale esulava dalla mente dei governanti il proposito d'incrudelire contro gl'indigeni; anzi il Ministro della Guerra volle pensare anche al loro bene spirituale. Perciò saputo che si desiderava spedire Missionari verso la Pampa, offerse all'Arcivescovo i suoi servigi, promettendogli di assistere e difendere i suoi inviati durante il lungo e pericoloso viaggio. Monsignor Anevros accettò l'offerta, raccomandandogli il suo vicario generale monsignor Espinoza e due Salesiani, Don Costamagna e il chierico Luigi Botta. Il Ministro li nominò cappellani militari.

                Il mercoledì dopo Pasqua, 16 aprile, insieme col comandante in capo e con molti ufficiali i tre partirono per ferrovia da Buenos Aires verso Azul, ultimo lembo civile, al di là del quale si stendeva sconfinato il deserto pampero. Al momento della loro partenza l'Arcivescovo ordinò che in tutte le chiese si sonassero a festa le campane. Ad Azul ricevettero un cavallo per ciascuno ed un carro per tutti, il quale servisse al trasporto delle cose personali e sacre e offrisse un ricovero dì notte e un rifugio nelle intemperie. Di là con otto giorni di cammino arrivarono al Carhué, punto di concentramento e di divisione delle milizie.

                Era il Carhué una stazione quasi nel cuore della Pampa e segnava il limite occidentale della frontiera argentina con il territorio degli Indi. La piccola altura si specchia in un magnifico [287] lago di acqua salsa. Intorno a un fortino si raggruppavano circa quaranta case, e alla periferia si scorgevano disseminati i toldos di due tribù pacifiche, dette Eripaylá e Manuel Grande dai nomi dei rispettivi Cacichi. Don Costamagna che aveva preceduto di qualche giorno i suoi compagni, andò subito ripetutamente da quegli Indi, che dimoravano a breve distanza. I due capi lo ricevettero cordialmente; il primo anzi gli fece da interprete. Con il loro consenso il Missionario radunò i ragazzi, a citi tentò di far apprendere il segno della croce e le verità fondamentali della fede. Giunti i compagni, si misero tutti insieme con entusiasmo all'opera. Amministrarono il battesimo a fanciulli indi e a figli di cristiani, aggiustarono matrimoni e disposero alla fede lo stesso figlio maggiore del cacico Eripaylá. Mentre attendevano instancabilmente a sì cara fatica, il Ministro della Guerra li pregò di seguirlo al Rio Negro, verso cui movevano duemila uomini senza un prete e dove avrebbero trovato Indi quanti ne volevano, proprio sui confini settentrionali della Patagonia. Monsignor Espinoza stimò che convenisse annuire.

                Fu un viaggione di trenta e più giorni, a schiena di cavallo e fra i più gravi disagi. La colonna disperse due forti gruppi di Indi, che s'illusero di poterne impedire il passo. Nel gran giorno di Maria Ausiliatrice Don Costamagna era già in riva al Rio Negro, mentre gli altri due cavalcavano ancora per la zona che va dal Rio Colorado a questo fiume. Più volte purtroppo essi dovettero fremere in silenzio alla vista di soldatesche brutalità contro la vita degli Indi. Si fece una tappa a Choele-Choel sulla riva sinistra del Rio Negro, donde scesero a Patagónes, non lungi dalla foce. Là presero un po' di riposo. Ne avevano estremo bisogno! Dopo tanto cavalcare, dopo aver sofferto fame e sete e insonnia e tutti i malanni che provengono da mancanza di cibo o da pessimo nutrimento, dopo inauditi tormenti causati da un freddo glaciale che ne irrigidiva le ossa, senza il rifugio di una capanna o di una [288] tana nelle più gelide ore notturne (l'ultima parte del viaggio cadeva laggiù nel cuore dell'inverno), poterono finalmente procurarsi qualche ristoro, che ne ricreasse le forze e li rimettesse in grado di lavorare.

                Indii per la strada e nelle fermate ne avevano incontrati e avevano fatto loro il maggior bene possibile. Particolarmente dell'opera di Don Costamagna a Choele-Choel monsignor Espinoza scrisse[192]: “Il padre Costamagna con quel zelo che tanto lo distingue aveva già principiato fin dal giorno del suo arrivo a istruire molti Indi adulti, perchè potessero ricevere presto il santo battesimo; e fummo tutti e tre non poco ricompensati delle nostre fatiche e patimenti per le primizie che potemmo offrire a Dio sulle maestose sponde del Rio Negro. Il I° di giugno sacro alla Pentecoste, assistito dai due Missionari salesiani, in una bellissima pianura e a cielo scoperto, celebrai il santo sacrifizio della Messa. Vi assisteva il Generale con tutto il suo stato maggiore ed i battaglioni in ordine di grande parata... Era la prima volta che s'immolava l'Ostia di pace in quei deserti; la prima volta che lo stendardo della Croce benediceva quelle terre percorse dal barbaro e infelice selvaggio! Dopo la santa Messa si cantò un solenne Te Deum e si prese possesso delle terre patagoniche e si battezzarono sessanta Indi, che furono incorporati nell'esercito. Il 2 giugno Don Costamagna battezzò altri ventidue Indietti, tre bambini di famiglie cristiane e quattordici Indie adulte. Il 4 giugno terminò di battezzare altri nove Indi, che il 2 non erano ancora ben preparati. Il giorno dopo, avendo il Ministro con parte delle truppe fatta una ricognizione al Neuquén, partimmo per Patagones... Il 21 giugno arrivammo finalmente a Patagónes, dove si diede tosto principio alla santa missione con la Messa cantata e con la predica del padre Costamagna. Speriamo un abbondante frutto. Finita questa missione, torneremo a internarci nel deserto [289] e a catechizzare coli più comodità tanti poveri Iridi, elle dal Missionario aspettano il loro benessere spirituale e materiale”.

                Giova conoscere questo posto strategico delle future Missioni Salesiane. Patagónes aveva circa un secolo di vita, con una popolazione di quattromila anime, divisa fra le due sponde del Rio Negro, a una cinquantina di chilometri dall'Atlantico. Sulla sinistra del fiume prese il nome di Carmen de Patagones, dalla Vergine del Carmine, il cui simulacro i Patagonesi avevano rapito ai Brasileni in una battaglia navale; sulla destra si chiama Mercedes de la Patagonia, perchè si trova sui confini di questo territorio. Qui oltre il padre Savino lazzarista, loro compagno di sventura nel naufragio del 1878, incontrarono un Antonio Calamaro Sacrestano, nativo di Voltri ed ex-alunno di Lanzo; il 23 giugno egli si mise a cantare un inno onomastico in onore di Don Bosco, imparato da lui quattordici anni prima.

                I Missionari rientrarono in Buenos Aires alla fine di luglio. Il racconto di quanto col divino aiuto avevano operato in tre mesi e mezzo di peregrinazione, infiammò talmente l'Arcivescovo, elle il 5 agosto ne scrisse una lunga lettera a Don Bosco[193], cominciando con queste parole: “E' finalmente giunta l'ora, in cui Le posso offrire la Missione della Patagonia che le stava tanto a cuore, come anche la parrocchia di Patagónes, che alla Missione puó servire di centro”. Descritte poi le miserrime condizioni di quella povera gente e detto della propaganda protestante, proseguiva: “Io mi rivolgo a Lei con quella più viva sollecitudine, di cui è capace il cuore di un Prelato, e La scongiuro per le viscere misericordiose di Nostro Signore Gesù Cristo d'affrettarsi a venire in mio aiuto per soccorrere tante povere anime abbandonate... La casa centrale dei Missionari si potrebbe stabilire a Carmen [290] di Patagones ovvero a Mercedes della Patagonia, e da questo centro dirigere le missioni nei villaggi.... come anche spedirne di qui in tutta la Patagonia, ove migliaia d'infedeli vivono ancora nelle tenebre dell'idolatria... Il Governo insiste con ardore perchè io vi mandi tosto dei missionari, e mi ha promesso di ottenere dalle Camere una considerevole somma per sussidio, somma superiore a quella che è ora accordata annualmente, e che incomincerà a decorrere dal io gennaio 1880... Ella si farà facilmente idea dell'ansietà con cui io sto aspettando la sua risposta... Il mio cuore s'allarga alla speranza ch'Ella non mi abbandonerà in queste sì stringenti circostanze e che sarà per abbracciare incontanente e con gioia  incarico di questa Missione, sì necessaria per la gloria di Dio e per la salute di tante anime, che ora si trovano completamente abbandonate per mancanza di Missionari. Sono persuaso che Don Cagliero, il quale conosce queste regioni e ne ha toccato con mano gli urgenti bisogni, mi aiuterà in questa santa e laboriosa impresa. Sono stato soddisfattissimo delle buone notizie avute sul miglioramento della sua vista. Prego caldamente il Signore che voglia conservare in perfetta e lunga salute la S. V., di cui abbiamo tanto bisogno”.

                Monsignore accludeva copia di una lettera per il signor Edoardo Calvari, agente dell'emigrazione a, Genova, affinchè interponesse i suoi buoni uffici per ottenere ai missionari salesiani il passaggio gratuito fino a Buenos Aires. Pare che contemporaneamente il Governo argentino affidasse a Don Bosco ufficiale incarico di evangelizzare la Patagonia, promettendogli validi aiuti. Questa corrispondenza gli giunse a Lanzo il 5 settembre durante un corso di esercizi spirituali. Don Barberis entrò nella camera di Don Bosco subitochè egli aveva lette queste notizie e lo trovò “tutto gioia”, scrive egli, e soggiunge che dopo avergliele partecipate esclamò: - Chi sa dove andremo a finire[194]? - . [291]

                Il Signore consolava così Doli Bosco afflitto allora da gravissimi dispiaceri, come ben sanno i lettori. Della sua gioia ci è vivo testimonio la seguente lettera a Don Costamagna.

 

                                Mio caro D. Costamagna,

 

                Ringraziamo Dio. La tua missione andò bene; non t'incolse disgrazia.

                In altra tua scrivimi minutamente l'accoglienza, abitazione, vesti, parole dei cacichi coi quali ti sei trattenuto.

                Ora tratta seriamente con D. Bodratto e coll'Arcivescovo l'apertura di una casa centrale di suore e di Salesiani a Patagones. Non è egualmente necessaria una al Carrhué? Se occorre io mi occuperò pel personale e tutti insieme ci occuperemo dei mezzi materiali.

                La mia vista va assai bene; sia ringraziato il Signore. Fa un carissimo saluto a D. Daniele, D. Vespignani, D. Rabagliati, a tutti gli altri confratelli ed alunni. Hai notizie del Sig. Gazzolo? Mons. Espinoza non ha sofferto?

                Le tue lettere sono stampate e lette. da ogni parte. Il mio caro D. Allavena che fa, come sta? Con un appetito indescrivibile! Se ne scrivi una sul Rio Negro, altra sul Rio Colorado saranno pur lette con gran piacere.

                Dio ti benedica, o sempre caro D. Costamagna; faccia Dio che ci possiamo amare, aiutare colle preghiere in terra, per trovarci poi un giorno tutti raccolti con Gesù in cielo.

                Questo autunno abbiamo fatto una spedizione di cera a Buenos Aires. Si desidera sapere se è pervenuta e se, pel prezzo, conviene continuare tali spedizioni.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

                Torino, 31 Agosto 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Don Costamagna dinanzi a simile autografo del suo buon Padre andò in visibilio e diede, rispondendo, libero corso agli affetti del suo cuore. “Lei si è degnato mandarmi una letterina tutta di suo pugno. Una lettera di Don Bosco in questi tempi è per noi poveri suoi figli Salesiani Americani una cosa che fa epoca. Ah! chi può immaginare ciò che si sente in cuore al vedere i caratteri del nostro carissimo Padre? Certamente elle più grande giubilo non provava Timoteo quando riceveva lettere di San Paolo, suo diletto Padre in [292] Gesù Cristo. Si figuri, o caro Don Bosco! Quando noi leggiamo nel Bollettino Salesiano gli esordi della Congregazione Salesiana e le prime gesta del nostro Patriarca[195], ci vien da piangere in pensando che egli vive tuttora, e elle noi pure siamo suoi figli! Or che non sarà il ricevere una stia lettera, vederne i caratteri e udirlo come parlare al nostro Cuore con quello stesso affetto, con cui un giorno ci rubava al mondo senza che neppure ce ne addassimo, e ci chiudeva nella eletta Vigna Salesiana a lavorare solo pel Signore?” Siccome poi Don Bosco gli aveva chiesto ulteriori notizie degli Indi, Don Costamagna per il momento se la sbrigava inviandogli non una relazione, ma una collezione di gruppi fotografici, dove si vedevano gli Indi da lui e da monsignor Espinoza istruiti e battezzati là sulle sponde del Rio Negro. Una chiosa sommaria illustrava i particolari che ne avevano d'uopo[196]. L'anno seguente un documento ufficiale[197] precisava essersi celebrati nel corso di quella missione duecento ventitre battesimi di fanciulli appartenenti a famiglie indigene e cristiane e centodue di adulti indigeni.

                Il cardinal Desprez, Arcivescovo di Tolosa, esaminava un giorno con vivo interesse nella figura del globo terraqueo posta sul suo scrittoio le varie regioni del mondo, pensando a quanto la Chiesa aveva fatto per evangelizzarle. Fermatosi sulla Patagonia e sulla Terra del Fuoco, rifletteva con dolore come quelle parti estreme del nuovo continente fossero state poco favorite; poichè missionari in piccolo numero avevano visitate e infelicemente le plaghe patagoniche e nessuno era ancora penetrato nella Terra del Fuoco. Di ciò si rammaricava, quando, arrivatogli il Bollettino francese, vi lesse che i Salesiani intraprende vano quelle missioni. Tutto giubilante [293] esclamò: - Come sono contento che sia toccato a Don Bosco il compiere materialmente la grande profezia: In omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum! - Così alcuni anni dopo lo stesso Cardinale a Don Bosco, in presenza di Don Albera.

                Un'altra bella letterina Don Bosco indirizzò il mese appresso a Don Tomatis, al quale di recente era stata affidata la direzione del collegio di S. Nicolás. Il primo Direttore Don Fagnano, ammalatosi gravemente di tifo e con ricaduta, aveva dovuto trasferirsi per la convalescenza a Buenos Aires, donde, conte vedremo, non tornò più al suo collegio, ma partì per le Missioni della Patagonia.

 

                Mio caro D. Tomatis,

 

                Sono sempre stato a giorno delle cose del collegio dì S. Nicolas; presentemente pare voglia correre novella fase sotto al tuo ducato. Bene sia. Animo. Noi poniamo in te piena fiducia e speranza. Ti noto qui alcuni degli avvisi che do sempre ai Direttori e procura di valertene.

                I) Abbi grati cura della tua sanità e di quella de' tuoi sudditi; ma fa in modo elle niuno lavori troppo e non istia in ozio.

                2) Procura di precedere gli altri nella pietà e nell'osservanza delle nostre regole; e adoperati affinchè. siano dagli altri osservate, specialmente la meditazione, la visita al SS. Sacramento, la Confessione settimanale, la Messa ben celebrata, e pei non preti la frequente comunione.

                3) Eroismo nel sopportare le debolezze altrui.

                4) Agli allievi molta benevolenza, molta comodità e libertà di confessarsi.

                Dio ti benedica, o caro D. Tomatis, e con te benedica tutti gli altri nostri confratelli, figli, l'amico Ceccarelli, cui debbo scrivere e a tutti vi conceda sanità e grazia di una santa vita. A tutti un cordialissimo saluto.

                Prega per me, che ti sarò sempre in G. C.

                Alassio, 30 Sett. 79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Da questo scritto argomenterai che gli occhi miei vanno assai meglio. [294] Nelle prime righe è evidente l'allusione a un decadimento di quel collegio. Infatti gli alunni erano diminuiti. Causa precipua di quella diminuzione si giudicò essere stato l'arrivo colà dei parenti del Direttore, che erano poveri e comparivano tali; onde si prese a sussurrare che anche il Direttore, al par di tanti altri, fosse andato da quelle parti per far quattrini e arricchire i suoi; il qual sospetto, al dire di Don Cagliero, bastava laggiù, dall'inconscia un prete non potesse più conchiudere niente di buono. Appena è necessario aggiungere che il Direttore agì con la più schietta semplicità e nell'interesse stesso della casa, onde avere cioè persone fidate per lavori di vario genere, ma a questo mondo la rettitudine non salva chi non fa le cose coli una certa dose di prudenza. L'anno dopo il collegio ripigliò vita, mentre Don Fagnano spiegava la sua attività in un campo, dove egli solo poteva operare con tanta efficacia.

                Prima che l'anno finisse, Don Bosco volle che tutti i suoi fossero messi a parte della propria letizia per il dischiudersi della missione patagonica ai Salesiani e nel medesimo tempo fece appello alla comune solidarietà, affinchè nulla mancasse al buon cominciamento dell'impresa. Don Rua, incaricato di rendersi interprete di questi sentimenti del Servo di Dio, scrisse il 18 dicembre ai direttori delle Case e per il loro tramite ai confratelli e ai giovani: “Le porte della Patagonia sono aperte ai Salesiani [...]; il Signore vuole a noi affidare quella importante missione, come tante circostanze ci fanno chiaramente conoscere: le ultime lettere arrivate dall'America ci annunziano che a Patagónes e nelle colonie di quelle parti vi è grande aspettazione dei Salesiani. Come si vede, ben si può dire ciò che diceva il nostro Divin Salvatore, che già la messe biondeggia, e noli aspetta che il coltivatore che vada a raccoglierla. Ma qui appunto incontriamo la difficoltà, trovare il personale, stante le molte imprese che già abbiam tra mano. Converrà pertanto mettere in pratica il consiglio che lo stesso nostro Divin Salvatore dava agli Apostoli: Rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem [295] suam. Perciò il nostro caro Superiore Don Bosco ordina che appena ricevuta la presente, si cominci anche in codesta casa a recitare ogni giorno un Pater, Ave e Gloria da continuarsi sino alla fine di gennaio, a fine di ottenere che il Signore si degni farei conoscere chi fra i Salesiani Egli destina a quella missione, e voglia ispirare a tali Confratelli i sentimenti di zelo, di carità e di coraggio necessarii a sì bella impresa, ed intanto compiacciasi pure di provvederci altro personale da supplire abbondantemente quelli elle devono colà recarsi”.

                Nel capo d'anno poi Don Bosco partecipò la lieta notizia ai Cooperatori e alle Cooperatrici nella sua circolare già citata. “Ma il campo più glorioso, scriveva, che in questi momenti la divina Provvidenza presenta alla vostra carità, è la Patagonia. In quelle ultime regioni del globo finora non poterono penetrare gli Operai del Vangelo per annunziare la fede di Gesù Cristo. Ora pare che sia giunto il tempo di misericordia per quei selvaggi. Monsignor Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires, d'accordo col Governo Argentino, ci invita formalmente a prendere cura dei Patagoni, e io pieno di fiducia in Dio e nella vostra carità ho accettata l'ardua impresa. Si fecero già le prime prove, e ben cinquecento di loro furono istruiti nella fede, rigenerati alla grazia col santo battesimo, ed ora fanno parte del gregge di Gesù Cristo. Dalle rive del Rio Negro movendo al sud di quei vastissimi deserti s'incontrano sei colonie a guisa di paesi a parecchie giornate di distanza l'un dall'altro, dove sono già cominciate le relazioni commerciali e principii di agricoltura. Nel mese di marzo i Salesiani, e nel medesimo tempo o poco più tardi le nostre Suore andranno a stabilire case e scuole in quei paesi. Ivi sarà il centro, donde speriamo coll'aiuto del Signore partiranno in appresso gli Operai Evangelici allo scopo di penetrare nei vasti deserti e nelle sconosciute regioni della Patagonia”. Circostanze impreviste, come diremo a suo luogo, obbligarono l'Ispettore Don Bodrato ad anticipare la partenza dei Missionari per alla volta di Patagónes. [296] Menzionando poc'anzi i dispiaceri di Don Bosco temperatigli dalle confortanti notizie patagoniche, non intendevamo di riferirci soltanto alla chiusura delle scuole, alla controversia di Chieri e alla questione dell'Ebrea, ma anche a una guerra mossagli con l'accusa di aver procurato una diserzione, mandando in America un giovane per sottrarlo agli obblighi di leva. Con i missionari della quarta spedizione era partito nel 1878 il chierico Michele Foglino, che giusto allora compiva i suoi vent'anni, essendo nato nel dicembre del 1858, e quale renitente alla leva fu condannato in contumacia a tiri anno di reclusione militare. Un tal Atanasio Torello, nativo come il Foglino di Nizza Monferrato e studente al l'Università di Torino, elle senza quella fuga sarebbe stato esonerato dal servizio militare, si fece accusatore di Don Bosco imputandogli d'aver costretto il Foglino a espatriare, o meglio, non accusatore, ma piuttosto strumento di accusa, al servizio di certa stampa. La prima pietra fu lanciata dal rabbioso anticlericale avvocato Giustina, che nel suo settimanale[198] con un articolo intitolato Sempre a Don Bosco insinuò la cosa e minacciò di far tradurre il Servo di Dio innanzi ai tribunali. Nel numero del seguente sabbato[199] la minaccia venne ripetuta in questa forma: “Nel numero venturo cominceremo noi ad informare l'autorità stilla fuga del Foglino dall'Italia e come esso si trovi attualmente in un collegio dell'abate Giovanni Bosco. Dimostreremo ancora con una lettera autentica tante altre coserelle che in nome della pubblica moralità siamo in obbligo di dire”. Gli rispose per le rime il cattolico Corriere di Torino[200], che con trasparente allusione alla recente campagna giudaica, mossa come questa da Nizza, disse il giornale avversario “periodico di Torino che vedeva solamente la luce del sabbato” e proclamò Don Bosco “troppo grande per temere da simili attacchi e per aver bisogno di difesa”. [297]

                L’ebdomadario sabbatino mantenne la parola. Infatti nel suo numero del primo novembre formulò l'atto di accusa, invitando il procuratore del Re ad appurare i fatti; ma s'introduceva con un esordio extra rem, dove il difetto di serenità è compensato per noi dall'inconscia rivelazione di maneggi occulti, che ci spiegano questa e altre cose simili. Diceva così: “Nizza Monferrato, se nessuno ancora nol sa, è l’oppidum, la fortezza dell'esercito di Don Bosco. Là preti, là chierici, là monache, là figliuole numerose di famiglia e tutti credenti nella miracolosa potenza dell'abbate  Bosco, al quale si dà in anticipazione il titolo di santo... Don Bosco è spalleggiato poi dai nobili che gli fanno corona. E chi comanda è una certa signora contessa, la quale di Don Bosco è l'occhio destro. C'è la gioventù che vorrebbe scuotere questo giogo ed innalzare la bandiera della rivolta; ma, ahimè, essa non è in forze sufficienti per opporsi alla falange dei bacchettoni che puntellano per bene il partito clericale”. Seguiva una divagazione sull’affare della Bedarída; dopo di che narrava: “Foglino tessitore, figlio di povera gente, veniva ricevuto dall'abate Giovanni Bosco in uno dei suoi collegi. Colà imbevuto nei principi del cattolicismo, abbuiato da tutte le superstizioni possibili, il Foglino finì per essere, come si suol dire, un Salesiano. Viene il momento della leva. E Foglino si reca a Nizza Monferrato per l'estrazione del numero. Il suo numero è compreso tra quelli dichiarati abili al servizio militare. E Foglino deve presentarsi perchè è soldato.  All'annunzio di tale avvenimento quello che nella congrega salesiana si sia detto o fatto, certamente in modo positivo non si sa. Si sa un fatto, sulla verità del quale non manca la testimonianza giurata. Nel tempo in cui il Foglinosi trovava in Nizza Monferrato gli fecero sollecitazioni perchè venisse a Torino da Don Bosco. E il Foglino dicea: I veui nen andè a Turin, perché a veulo feme andé an America[201]. Si sa che Don [298] Bosco in America ha istituti di propaganda fede e di apostoliche missioni. Si sa che i missionari oggi non aumentano e che difficilmente si trova chi per la propagazione della fede se ne voglia andare all'altro emisfero. Don Bosco ha bisogno di giovani... e il resto pensatelo voi, o signori. Mettete insieme i due fatti, deducetene le conseguenze e avrete il primo barlume di verità”.

                Il primo barlume di verità è invece un altro. Il Foglino venne all'Oratorio nel novembre del 1871; le “sollecitazioni” perchè venisse a Torino erano gl'inviti fattigli durante le vacanze del 1875 a iscriversi nella Società insieme con tanti suoi condiscepoli, il che ci dimostra in quale buon concetto egli fosse tenuto. Nell'Oratorio quell'anno si era fatto un gran parlare di Missioni, perchè fervevano i preparativi per la prima spedizione. Incerto se dovesse vestirsi chierico a Torino o nel seminario di Acqui, il giovane proferì le parole citate, che hanno soltanto il valore che potevano avere allora. Un secondo barlume è che allora come oggi nessuno sì mandava in terre lontane, senza che egli ne facesse formale domanda per iscritto. E un terzo barlume sia che dal 1875 al 1878 corsero tre anni, nei quali il Foglino ebbe agio di vedere, pensare e decidere. Cum essem parvulus, loquebar ut parvulus, sapiebam ut parvulus, cogitabam ut parvulus[202]. La marioleria però del giornale appare in questo, che con la frase ambigua “nel tempo in cui il Foglino si trovava in Nizza Monferrato” si dava a intendere ai lettori che il Foglino avesse parlato così dopo l'estrazione del numero, cioè dopo tre anni di chiericato e quando aveva già emesso i voti religiosi.

                Il giornale dell'avvocato Scala[203] replicò il dì appresso con un trafiletto umoristico. La conversazione giornalistica fu ripresa il 22 e 23 novembre. La Cronaca menava il cari per [299] l'aia; ma dal suo divagare due punti emergono, utili non tanto alla cronaca del momento quanto alla storia. Il primo è un chiarimento che sempre meglio discopre donde provenisse la guerra e... il nerbo della guerra. “Il Foglino, si leggeva, fuggendo ha travolto nella rovina un bravo nostro studente il signor Torello Atanasio, il quale deve troncare a mezzo i suoi Studi per coprire il posto lasciato vuoto dal fuggiasco Foglino”. E dopo una serie d'interrogazioni retoriche alle autorità perchè non si movevano, l'articolista rizzava un paravento che nascondesse agli occhi dei lettori il vero movente di tanto ardore bellicoso. “Nessuno più di noi, vi si asseriva, venera in Don Bosco l'uomo filantropo, ma nessuno più di noi ama il rispetto all'uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. Per la seconda sacrifichiamo volentieri ogni simpatia, ogni rispetto, ogni amicizia, persino gli affetti della famiglia”.

                A questo catoneggiare l'antagonista ebbe buon gioco a vibrare un colpo maestro. La Cronaca in un passato articolo aveva preso l'atteggiamento di chi si accingesse ad abbattere un drago che non sarebbe tardato a comparire. Il Corriere del 23 novembre scriveva: “Aspettavamo con viva curiosità il famoso drago della Cronaca dei Tribunali. Ahimè! che delusione! Esso ha semplicemente la proporzione di un pipistrello; per quanto esso cerchi di gonfiarsi resta pur sempre un pipistrello. Veda, poveretto, di non far la fine della rana di Esopo! Ci si dice poi che questo pipistrello conosca Don Bosco, perchè... ne ha assaggiato il pane. Certamente fra tanti augellini a cui Don Bosco ha fornito e fornisce nido e pane, potè anche trovarsi qualche pipistrello... che si crede un drago. Ala Don Bosco non lascerà certo la cura affettuosa degli augelletti per occuparsi dei pipistrelli”.

                Il Direttore della Cronaca aveva infatti frequentato come alunno interno il ginnasio di Lanzo e di Varazze. Travolto dalla politica e caduto in balìa delle sette, fece l'iconoclasta fin verso il tramonto della sua vita. Ferito dunque dall'articoletto [300] del Corriere, tentò rimediarvi con una lettera della quale ai termini di legge impose la pubblicazione, e in cui diceva di essere stato bensì allievo di Don Bosco negli anzidetti collegi “per volontà dei genitori”, ma di avervi anche pagato “l'importo della pensione di prima classe”. Veramente un po' di gratitudine sarebbe stata una paga assai migliore; ma anche di quest'amarezza permise la Provvidenza che fosse abbeverato Don Bosco, di patire cioè simili vessazioni per opera d'un suo ex-allievo[204]. E questo serva di conforto agli educatori, che non sanno darsi pace per l'ingratitudine di qualche loro beneficato. Neppure a Don Bosco fu risparmiata siffatta tribolazione.

                La stampa fece silenzio per tre mesi, cioè fino al 28 di febbraio del 1880, nel qual giorno con aria di trionfo la Cronaca notificava ai lettori quanto segue: “Don Bosco in tribunale. I lettori ricorderanno ancora il fatto di quel certo soldato Foglino di Nizza Monferrato, il quale, fuggito nel tempo della leva militare dall'Alta Italia, oggi si trova a Buenos Aires prete apostolico di un noto prete torinese. I lettori si ricorderanno la polemica che la Cronaca a tal riguardo impegnò col Corriere di Torino. Ora l'autorità giudiziaria sta procedendo contro l'abate Giovanni Bosco per l'accusa di aver agevolato e anzi procurato al Foglino i mezzi dell'avvenuta diserzione. Ne riparleremo a suo tempo”. Con tanta voglia di riparlarne noli ne fiatò più fino al 12 di giugno. Segno evidente che le altisonanti denunzie non erano prese sul serio da nessuno.

                Dal 12 giugno al io luglio fra i due giornali in lizza vi fu uno scambio di botte e risposte, donde due asserzioni soltanto vale la pena di raccogliere: una che Don Bosco fu prosciolto [301] “per deficienza di prove”, non quindi per inesistenza di reato, il che è poco meno di una condanna, e l'altra che “ciò avvenne perchè non tutti i testimoni, che avrebbero potuto far luce sulla causa, furono escussi”.

                Riguardo ai testimoni non escussi, ci riesce doppiamente preziosa una notizia largitaci dalla gazzetta[205]: “Noi fummo interrogati solo in via di schiarimento, ma abbiam fatto constatare che altri testi avrebbero potuto meglio illuminare la coscienza del giudice”. Qui adunque si accusa con estrema leggerezza l'autorità giudiziaria di aver negletto il dover suo in cosa abbastanza grave del suo ufficio; ma più che tutto è da credere che il signor Giustina, messo finalmente in condizione di sfoderare il materiale probatorio, di cui si vantava in possesso, non abbia lesinato il proprio contributo all'illuminamento della giustizia. Se non che si dev'essere rinnovato il caso de partitriunt montes, exit ridiculus mus; infatti gli elementi da lui prodotti e illustrati con la sua eloquenza, non fecero nè caldo nè freddo a chi ne riceveva la deposizione.

                - Ma più inescusabile era l'affermare che Don Bosco fosse stato prosciolto per difetto di prove. Questa maniera di esprimersi veniva a dire che c'era stato almen l'inizio di un procedimento penale a carico di Don Bosco, e così la intesero certamente i lettori, tanto è preciso il valore della formola giuridica adoperata. Ora noi abbiamo potuto a nostro bell'agio fare diligenti ricerche negli archivi della pretura di Nizza e mentre non riscontrammo indizio di lacune nei documenti, non c'imbattemmo nemmeno in una lievissima traccia che si fosse iniziato processo di sorta. Sappiamo invece da altra fonte che si fecero indagini di polizia, quali si sogliono esperire allorchè si diffondono sinistre voci di reati occulti; ma dopo gl'interrogatorii del padre e della madre con le consuete minacce a scopo d'intimidazione, calò il sipario, et hic finis[206]. Certo non poteva garbare all'autore o [302] agli autori di tanto fracasso che tutto sì risolvesse così in una bolla di sapone; ci spieghiamo quindi la voglia di occultare lo smacco, cambiando magari le carte in mano.

                Una cosa dava colore di verità alle affermazioni del Giustina, ed era il leggere ne' suoi articoli certe particolarità, che appalesavano in lui una conoscenza precisa della vita intima che si svolgeva fra le mura dell'Oratorio. Ebbene, la storia di questo episodio non sarebbe completa, se non aggiungessimo una parola sopra un suo informatore. Dimorava da tre anni nell'Oratorio un tal Ferrero, fisico, naturalista e fotografo sempre occupato in esperimenti elle andavano a vuoto, ma che costavano fior di quattrini ai Superiori. L'uomo finalmente destò sospetti circa l'essere suo e venne messo alla porta, ed allora si scoperse com'egli fosse affigliato alla massoneria e in un grado avanzato. Ecco l'informatore del giornalista. Arcades ambo!

                Sarebbe ingenuità porre il quesito, se Don Bosco sapesse o no che il Foglino disertava. Che la determinazione eroica di preferire l'esilio al pericolo di perdere la vocazione provenisse interamente dal chierico, è fuori d'ogni dubbio; che Don Bosco lasciasse liberamente fare, è non meno certo. Ma chi noti sa qual sorta di legge fosse quella che condannava alla caserma gli alunni del santuario? Il fatto è che a sessant'anni di distanza quella legge è stata da chi governa l'Italia, coraggiosamente riveduta e corretta di buon accordo con l'Autorità ecclesiastica, che l'aveva colpita di condanna.

                Se noi ci siamo indugiati alquanto intorno a questo episodio, buone ragioni vi ci hanno indotti. Bisognava anzitutto liberare la memoria di Don Bosco dall'odioso sospetto di violenza morale a danno di un suo suddito. Oltre a ciò, appartiene alla biografia di Don Bosco tutto che gli fu causa di sofferenze. Ma c'è dell'altro ancora. Insegnanti non patentati, violazione della libertà di coscienza, disprezzo di una legge dello Stato non furono che pretesti settari per mantener viva la guerra contro Don Bosco e contro ciò che [303] un tal nome rappresentava. Testimonianze sfuggite agli aggressori nel furor della mischia ne sono già state da noi riferite in parecchi luoghi; qui dobbiamo far tesoro ancor di due,

                Il Giustina dirigeva pure un periodico bisettimanale, torinese, illustrato. il Romanziere popolare, nel cui numero dell'II gennaio 1880 pubblicò di Don Bosco un profilo pieno di sciocchezze e una vignetta che malamente lo rappresentava. Per noi il punto notevole è questo: “Giovanili Bosco, fedele al pontefice ne seguì le orme politiche e tutti gli sforzi intese onde allevare una numerosa prole di preti, un esercito d'antiliberali, di servi della Chiesa, e di nemici d'Italia. Noli calpestò la carità, è vero, ma la fraintese e la fece servire di strumento a mire di partito. Don Bosco divenuto miracolosamente grande, prodigiosamente potente, è l'occhio destro del Vaticano, è l'ispiratore del partito cattolico, l'educatore dei novelli liberticidi fedeli al motto: Viva il Papa Re! Viva Roma papalina! Da ogni onesto liberale non si può quindi disapprovare il Governo allorquando cerca, per quanto può, di restringere la cerchia d'azione di questo uomo, che rifiutato più volte il cappello cardinalizio, sarebbe, se l'avesse voluto, per l'ingegno e per attività, uno dei più famosi ed astuti padri generali dell'ordine di Gesù. Egli ama meglio, non per sete di lucro, non per gloria di partito, stare in mezzo alla gioventù e instillare negli animi delle masse i principii reazionarii del catechismo politico della Chiesa, levigato e fatto bello nell'apparenza dall'oro della carità”. Parlando poi della gioventù da lui educata, dice che essa “non conosce la patria, non rispetta nè il re nè le leggi, fugge per non servire il proprio paese coll'armi, s'insacca in una sottana da prete per congiurare contro la libertà, contro fa grandezza di Roma, capitale d'Italia”. Con maggior violenza si scagliò contro di lui nella sua Cronaca del 10 luglio: “Nessuno più di noi riconosce i benefizii dell'uomo utile al proprio paese. Ma quando quest'uomo che fa tanti benefizi innesta nel cuore [304] della gioventù quei prinicipii che sono il puntello del papismo, sono le bombe Orsini che dovrebbero un giorno mandare all'aria il santo tempio delle nostre libertà, oh allora scordando i benefizii non abbiamo innanzi che un nemico, il quale della beneficenza si fa scudo per combattere pel papa, per distruggere quello che con tanti sacrifizi i padri nostri hanno cementato insieme”. Rettorica ampollosa di quei tempi, la quale però ci svela che cosa si pensava e si ordiva in conventicole di politicanti, dove si covavano i destini di un'Italia senza Dio.

                Il Beato Don Bosco poteva benissimo far sue le parole scritte da San Paolo, quando gli si presentò una bella opportunità di guadagnar anime a Gesù Cristo in Efeso: Ostium mihi apertum est magnum el evidens, et adversarii multi[207]. Mentre il Cielo gli schiudeva la porta della Patagonia, mostratagli già nei “sogni” come suo campo di conquiste evangeliche, l'inferno gli suscitava contro ostilità d'ogni fatta per ridurlo all'impotenza. Ma egli, ad esempio dell'Apostolo, non che perdersi d'animo, considerava quale segno dell'essere stilla buona via il vedersi così avversato.

 

 

CAPO XII. Case non aperte e case chiuse nel 1879.

 

                PROPOSTE di aprire nuove case ne pervennero a Don Bosco in un numero assai maggiore che non siano quelle di cui ci accingiamo a parlare; ma le vicende, alle quali il materiale archivistico andò soggetto, causarono perdite di documenti e poi in molti casi vere pratiche non furono intavolate. Alla luce quindi delle testimonianze rimasteci verremo studiando anche in questa parte l'attività di Don Bosco durante il travaglioso 1879. Alle case per cui si trattò, ma non si pattuì, faranno seguito alcune, che le circostanze consigliarono di chiudere per impiegare più utilmente altrove il personale.

                Premettiamo un'osservazione di indole generale, che bisognerà tener presente per non errare nei giudizi sulla condotta del Beato. Nelle trattative poste a dormire si possono per lo più distinguere tre momenti. In un primo tempo Don Bosco fa buon viso alle proposte con verace intenzione di esaudire, se non sorgeranno ostacoli insormontabili; onde i proponenti aprono il cuore alla speranza. Succedono poi le pratiche formali, condotte dall'altra parte con entusiasmo e dalla parte di Don Bosco senza precipitazione; ma nel corso di esse emergono difficoltà o volutamente occultate o non bene avvertite dagli interessati. Infine si arriva al punto più delicato, quando bisogna scrivere la dura parola: Impossibile! [306] D'ordinario le difficoltà più serie sono di tal natura che la convenienza vieta di dir la verità nuda e cruda; quindi allora si accampa la mancanza dì personale a motivo di circostanze sopraggiunte o si adducono altre ragioni meno evidenti: perciò imbarazzo di qua, e delusione, sconforto, amarezza di là. L'arte dì comporre i dissapori che n'erano l'effetto, stava nelle buone maniere usate o ispirate da Don Bosco.

 

MODENA.

 

                Cominceremo da Modena, la prima città dove i Cooperatori fecero da sè nel preparare e tenere una conferenza salesiana[208]. In un appello diramato nel 1894 un Comitato modenese promotore delle Opere di Don Bosco diceva che da tempo la fondazione di un istituto salesiano a Modena era stato pio desiderio di tutti i buoni. Oh sì, da tempo assai più remoto che non si credessero quei buoni amici. La prima idea infatti risaliva al 21 marzo 1875. Don Bosco, ospite del conte Tarabini[209], udito dell'estremo bisogno elle si sentiva colà di aprire un oratorio festivo per porre un argine alla immoralità dei figli del popolo, aveva dichiarato che non ricuserebbe di assistere anche personalmente quei cittadini, quando si fosse potuto mettere mano ad un'opera così benefica. I mezzi economici purtroppo scarseggiavano; ma la vista del male che progrediva nella classe umile della società, indusse il conte nel gennaio del 1877 a interpellare il Beato, se e come stimasse opportuno d'intraprendere qualche cosa[210]. La risposta fu favorevole, ma dilatoria. Nel 1879, anno della [307] conferenza, alcuni zelanti Cooperatori del clero e del laicato dedicavano le loro cure a un oratorio festivo, governandolo secondo il metodo di Don Bosco e facendo voti di poterlo rimettere quanto prima ai Salesiani. Ma il Beato li incoraggiò a proseguire, avendo egli allora fin troppa carne al fuoco.

                Per un altro affare lo assediava di preghiere l'Arcivescovo di Modena monsignor Giuseppe Guidelli. Egli avrebbe voluto che il Servo di Dio lo aiutasse a ripristinare il collegio vescovile o piccolo seminario di Finale Emilia, chiuso da sette anni. Don Bosco si disse disposto a servirlo, ma chiese tempo. Monsignore nel 1879 incalzava con lettere sempre più pressanti, mostrando che il bisogno urgeva; perciò Don Bosco, presagendo di non poterlo contentare tanto presto, gli fece rispondere in giugno che le vessazioni governative gl'impedivano di appagarne con la voluta sollecitudine il buon desiderio. Solo nel 1913, sedici anni dopo l'apertura dell'istituto San Giuseppe a Modena, doveva il secondo successore di Don Bosco mandar i Salesiani a dirigere il piccolo seminario di Finale, intitolandolo a Maria Ausiliatrice.

 

ISILI.

 

                Nel 1879 Don Bosco ricevette dalla Sardegna il primo invito per una fondazione. Il suo nome era già assai noto nell'isola, specialmente per i suoi libri, per le Letture Cattoliche e da ultimo per il Bollettino Salesiano. Ce lo prova il fatto che da Ales cinque studenti lo pregarono tutti insieme di inscriverli fra i Cooperatori Salesiani, promettendo di compiere qualsiasi opera, spirituale venisse loro comandata e di offrire alla fine dell'anno il loro obolo, frutto di minuti risparmi su gli scarsi mezzi di cui disponevano; pregavano poi istantemente che fosse mandato a ciascuno di essi l'organo dell'associazione[211]. Il suggerimento di chiamare Don Bosco [308] in Sardegna fu dato da un padre Porqueddu da Genoni, gesuita, che propagava con zelo la divozione a Maria Ausiliatrice e, trovando giovanotti di buona volontà, li raccomandava a Don Bosco, il quale ne ricevette parecchi o come artigiani o come Figli di Maria, Don Atzeni fra gli altri. Preoccupato egli della crescente scarsità di vocazioni ecclesiastiche, incitava da parecchi anni i Vescovi a far sì che Don Bosco aprisse uno o più collegi nell'isola, aiutandolo nella bisogna; ma i poveri Vescovi, benchè pieni di buona volontà, si dibattevano in tali strettezze, che si sentivano cader l'animo dinanzi a un'impresa della quale tanti purtroppo e anche ecclesiastici non conoscevano tutta l'importanza. Veduti inutili i suoi sforzi da quel lato, che pure gli sembrava il più proprio a riuscire, si rivolse ai secolari, sicuro che col tempo sarebbero andati appresso anche gli ecclesiastici; poichè fra questi ve n'erano animati da buone intenzioni e forniti di mezzi, che avrebbero impiegati volentieri in opera così santa.

                Aveva appena lanciata l'idea, che trovò subito un signore, il quale prometteva molto senza desiderare altro che conoscere le richieste di Don Bosco per la fondazione di un collegio o piccolo seminario od oratorio, in cui si desse buona educazione ai giovani, facendo loro imparare fin da piccoli la vita di sacrifizio “cosa qui quasi ignota”, scriveva il Padre, sicchè facilmente con la divina grazia s'accendesse loro in cuore la viva brama di consacrarsi al Signore e di esserne degni ministri. Egli dunque aspettava da Don Bosco due linee per sapere come regolarsi. Don Bosco rimise la lettera a Don Cagliero, scrivendovi sopra: “E' bene parlarne presto in Capitolò”. Si deliberò di rispondergli che per il momento era impossibile, ma che intanto si adoperasse a provvedere i mezzi necessari; i quali mezzi essere “una casa e un tozzo di pane”. Replicò il Padre, pregando che gli si spiegasse più chiaramente il tozzo di pane. La seconda. risposta non fu guari incoraggiante rispetto all'esecuzione del disegno Sembra [309] però che quel religioso non fosse uomo da fermarsi a mezza via, tanto più in cose dei servizio di Dio. Infatti riuscì a trovare la casa: un collegio lasciato dai padri Scolopi e passato per diritto al municipio di Isili che, avendolo dato con questo patto che fosse luogo di educazione e d'istruzione, aveva rivendicato edifizio e reddito dopo la partenza dei religiosi. Quel municipio dunque offriva a Don Bosco il fabbricato con un'entrata di duemila lire, più qualche altra risorsa. “Non mi dica, scriveva il Padre a Don Bosco[212], che non ha soggetti: cerchi, frughi, rovisti, accetti e mandi ad ogni costo. Oh quanto bene! oh che bella Patagonia!”.

                L'offerta era stata fatta soltanto in via officiosa. In seno al consiglio comunale la proposta venne presentata da un consigliere Giovanni Zedda per incarico del consigliere e deputato d'Isili Pietro Ghiani Mameli, abboccatosi col Beato probabilmente a Roma, e informò i colleghi come qualmente “certo sacerdote Bosco continentale avrebbe divisato l'impianto in Sardegna di un collegio per l'insegnamento ginnasiale, tecnico e, se si voleva, elementare, purchè dal municipio si provvedesse il locale ed un assegno annuo di lire quattromila”. Il sindaco Antioco Porceddu appoggiò la proposta, conchiudendo con queste parole: “Basta sapere essere un progetto del sacerdote Bosco che ben conosco, per accettarlo”. Il Consiglio comunale dopo breve discussione, accogliendo favorevolmente e di buon grado in massima la proposta, deliberò ad unanimità che si addivenisse alle opportune trattative. La deputazione provinciale tre settimane dopo approvò[213]. In una lettera del 24 maggio il padre gesuita ribadiva: “Per carità, D. Bosco mio, faccia di tutto perchè questa cosa riesca; abbiamo più bisogno dei poveri Patagoni, e non vi è in Sardegna un Collegio nè un seminario, in cui possiamo far educare un giovane con qualche fondata speranza di buon riuscimento”. [310] Il Beato prese in considerazione la cosa, riservandosi di attendere fino a che favorevoli circostanze gli permettessero di agire. Ad Isili si riposò su questa promessa per cinque mesi; poi il sindaco rinnovò l'istanza. Don Bosco il 21 novembre a mezzo di Don Durando, incaricato delle pratiche per le accettazioni di case, ringraziò i signori del consiglio per tanti segni di fiducia; disse che ben volentieri si sarebbe già venuti all'effetto, se l'estrema penuria di personale insegnante l'avesse consentito; sperare tuttavia che ciò che non poteva farsi allora, si sarebbe condotto a buon termine più tardi, e tanto per principiare gli si facesse conoscere la distanza della stazione ferroviaria più vicina a Isili, la capacità dello stabile e se vi fosse cortile e giardino annesso. Il sindaco diede le informazioni richieste.

                Oramai l'anno scolastico aveva ripreso il suo corso, nè vi era premura di spingere avanti il negozio. Ma il 22 aprile, non vedendo giungere altra comunicazione, il sindaco pregò caldamente Don Bosco a nome del consiglio, che mandasse a Isili un suo rappresentante per osservare e trattare: il municipio si sarebbe sobbarcato all'indennità di viaggio. Trascorsero così due anni, nel qual tempo rinnovatasi la rappresentanza del comune, il nuovo sindaco Antonio Cicalò, riassunta la pratica, si rese interprete dei sentimenti di tutti i suoi amministrati, instando che si accelerasse l'apertura del desiderato collegio[214]. Ma il momento non era propizio; così noli si parlò più di Isili se non dopo la fondazione del collegio di Lanusei, capoluogo del circondario. Parrà che l'indecisione di Don Bosco, nonostante le mezze promesse, si sia protratta di soverchio; ma bisogna sapere che nel palazzo già degli Scolopi si erano installati gli uffici municipali e governativi, e ci si stava comodamente; ora non conveniva certo a Don Bosco aver l'aria di andar là a sloggiare quegli impiegati ed altri inquilini. [311]

 

PISOGNE.

 

                Un voluminoso incartamento racchiude la documentazione completa di una pratica che riguarda Pisogne e va dal 1878 al 1886, culminando però nel 1879. É Pisogne una borgata della diocesi e provincia di Brescia, all'imboccatura della Valle Camonica, sulla riva orientale del lago d'Iseo. Esisteva colà un collegio fondato nel 1822 da un sacerdote Giacomo Mercanti, di cui portava il nome, e prosperato fino al 1865 con scuole elementari e ginnasiali. In seguito manchevolezze della direzione e rivolgimenti poli tipi l'avevano fatto decadere. Essendo l'Opera di Don Bosco anche da quelle parti già assai conosciuta e ammirata, il vescovo monsignor Giacomo Corna Pellegrini, nativo di Pisogne, portò il pensiero su di lui per rialzare le sorti del povero istituto. “In questa provincia di Brescia pur tanto vasta e religiosa, gli scriveva, non vi ha pur un collegio di grido, e che risponda ai bisogni del giorno. Un collegio sotto i di Lei auspici e direzione produrrà un gran bene”[215]. Don Bosco fece rispondere non essere possibile per quell'anno, ma sperarsi “per altro anno”.

                L'istituto era costituito in ente morale e amministrato dal comune; perciò ne fu comunicata la notizia alla giunta, che l'accolse con riconoscenza e si mise con Don Bosco in diretta relazione, ritenendo senz'altro potersi fare sicuro affidamento sulle “eminenti qualità civili e morali”, che lo rendevano “illustre e benemerito davanti alla società”. Per prima cosa si voleva che il ginnasio venisse pareggiato, pur non ignorandosi che il voler rimettere in piedi l'istituto importerebbe non lieve sacrifizio; ma tutto si ripromettevano quei signori di ottenere “dalla nota filantropia” di Don Bosco[216]. Don Bosco ordinò di rispondere che il pareggiamento importava troppe spese; bastare allo scopo l'approvazione [312] dell'autorità scolastica e lo svolgimento dei programmi governativi.

                Altre campane mandarono altro suono. Fu segnalato a Don Bosco il pericolo che egli, ingannato da false relazioni, andasse a cadere in “un vespaio di difficoltà, di spese e di disturbi”. Ulteriori comunicazioni della giunta municipale confermarono indiretta niente queste confidenze; si diceva infatti che, ammessa la massima della fondazione, faceva mestieri stabilirne i particolari, i quali sarebbero “molti e svariati”[217] e quindi malagevoli a concretarsi per via di corrispondenza epistolare. Laonde fu nominata una commissione di due membri, fra cui il fratello del Vescovo, con l'incarico di trattare personalmente e a viva voce. Da Rovato altri nuovi informatori, che avrebbero voluto una scuola professionale nel loro paese, dicevano corna di Pisogne, perchè luogo di febbri e covo di discordie, con un municipio responsabile della rovina del collegio Mercanti. Vi era poi anche la troppa vicinanza di un collegio a Lóvere, che obbligava a riflettere; anzi quella direzione, messa in allarme e temendo la concorrenza, spontaneamente si offriva, a fare del collegio Mercanti un suo istituto filiale. I due comuni, sebbene limitrofi, appartenevano a province diverse, dipendendo Lóvere da Bergamo. Infine l'ispettore scolastico, accampando informazioni pervenutegli da Torino, brigava d'accordo coi liberali del paese per mandar a vuoto il disegno; ardì perfino scrivere al municipio contro Don Bosco lettere diffamatorie, elle il sindaco sdegnò di lasciar leggere in consiglio.

                Il 3 aprile Don Cagliero e Don Durando, reduci dal loro giro per l'Italia, si fermarono a Brescia, ospiti del Vescovo, nel cui palazzo ricevettero i due commissari. Si dissero fra l'altro noli favorevolmente prevenuti sulle condizioni igieniche locali, circostanza assai pregiudizievole all'incremento [313] dell'istituto, e dichiararono che per il prossimo anno scolastico, data la momentanea deficienza di personale insegnante a motivo di precedenti impegni, Don Bosco non poteva obbligarsi all'apertura del collegio di Pisogne. Udite le calorose insistenze del Vescovo e dei due commissari, non essendo eglino autorizzati a conchiudere, ma solo a trattare, si rimisero a quanto avrebbe deciso Don Bosco in base alla relazione che essi avrebbero fatta.

                Il responso di Torino fu che, approvata in massima l'accettazione, non vi era per l'imminente anno scolastico la possibilità di procedere all'apertura. Allora il consiglio comunale, preso atto della relazione dei suoi commissari, deliberò che si domandasse a Don Bosco per il momento anche una persona sola, a cui affidare subito la direzione. Ma a Torino si credette meglio di soprassedere. Si venne poi elaborando un capitolato sulla base di quello conchiuso col municipio di Randazzo, che noi vedremo nel capo seguente. Si giunse così al 1881, quando una Seconda commissione delegata dalla giunta si recò a Torino per conferire con Don Bosco e con lui si stabilì che un Salesiano accompagnato da un tecnico sarebbesi portato a Pisogne per visitare l'edifizio, osservare le adiacenze e giudicare sul da farsi. La giunta si stimò in dovere di ringraziare Don Bosco e di attestargli la propria riconoscenza per il modo cortese e deferente, col quale erano stati accolti e trattati nell'Oratorio i suoi rappresentanti. Ma la visita non si fece. Le obiezioni sollevate sul contratto di Randazzo giustificarono il timore di serie difficoltà e di gravi incagli per l'avvenire. Perciò Don Bosco, trovandosi di passaggio a Firenze, diede ordine a Don Rua di scrivere che egli intendeva di riprendere la stia libertà, desistendo dalle, pratiche. Vi furono poi quattro nuovi tentativi dal 1892, al 1905, ma senza pro. E' vero che il collegio di Lóvere, essendo diventato laico, noti poteva più fare ombra; rimaneva però sempre l'eccessiva ingerenza del municipio, che avrebbe legato le mani al Direttore. [314]

 

MONTEROTONDO

 

                A Roma sul principio dell'anno Don Bosco, visitato dal canonico Gerardo Procacci, parroco di sant'Ilario in Monterotondo, aveva promesso di mandare là da Magliano Don Daghero, per vedere un locale che si voleva affidare ai Salesiani, perchè vi tenessero le scuole elementari del comune e vi aprissero inoltre un ginnasio. I principi Boncompaghi, d'accordo con l'Eminentissimo Bilio Vescovo e con il municipio, sicuri anche di far cosa gradita a tanti padri dì famiglia, auspicavano l'arrivo dei figli di Don Bosco in mezzo a quella popolazione  il principe padre amava dirsi grande amico del Servo di Dio. Don Daghero andò, vide e riferì: la sua relazione fu undequaque favorevole. Tosto il sindaco prese nelle sue mani l'affare, col proposito di licenziare i maestri laici, come ne aveva il diritto, e sostituirvi i religiosi; Ugo Boncompagni figlio, presidente di quel circolo della gioventù cattolica, si associò a lui nel pregare Don Bosco che non mettesse indugio[218].

                Don Durando rispose a nome di lui che per allora non si poteva, ma dava buone speranze “per altro anno”. - Si rimandi pure ad altro tempo, fu. replicato; ma si stringano subito i nodi del contratto, anche perchè, approssimandosi le elezioni, si corre rischio di non avere più un consiglio comunale formato di elementi sani come al presente. - Da Torino si promise di fare il possibile; ma si evitò a bello studio ogni frase che si prestasse a essere intesa come impegnativa. Questo linguaggio venne interpretato per un cortese rifiuto, nè vi si tornò sopra. Nel 1911 il Boncompagni figlio, allora sacerdote e prelato, rifece la proposta a Don Albera, che per difetto di personale declinò l'invito. Cadere in balìa di municipi, massime nei piccoli centri, dove i partiti si accapigliano per dei nonnulla e si dilaniano con danno dei terzi, poteva [315] essere fonte di continui guai. Non erasi lasciato prevedere che si dovesse correre quest'alea, quando il Beato aveva detto al sullodato canonico: - Se la relazione di Don Daghero è favorevole, la cosa è fatta: dipende da quello che egli riferirà. - Neppure Don Daghero nella sua lunga relazione mostrò d'aver subodorato l'inconveniente.

 

ACIREALE.

 

                Monsignor Gerlando Maria Genuardi fu il primo Vescovo della Sicilia che trattasse con Don Bosco per avere nella sua città episcopale i Salesiani. Scusandosi con lui del suo tanto insistere: “Che vuole, mio egregio Signore, gli scriveva[219], se Iddio proprio mi tiene fitto in mente un pensiero, che la povera gioventù di questa città e diocesi deve aver salute e vita a mezzo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales?”. Aveva già appoggiato autorevolmente la domanda per Randazzo, luogo della sua diocesi; ma in cima dei suoi pensieri metteva la sua Acireale. Egli disegnava di riaprire un collegio Sali Martino, governato già da ecclesiastici e poi chiuso, e aveva fatto in modo che l'edifizio fosse ceduto in uso a Don Bosco mediante un tenuissimo fitto. “A questo proposito, continuava Monsignore, Ella ben comprende come dovette, esultare di bella speranza il mio povero cuore, e però senza porre tempo in mezzo io la comunico alla S. V. e la raccomando al suo cuore, al suo zelo, alle sue orazioni sotto la luce soavissima e possente del Cuore di Gesù. Io in questi giorni farò una novena a questo scopo. Ella poi risolva e mi scriva. Ma nel caso che volesse consolarmi mettendo la prima tenda della sua famiglia in Sicilia in questa città, sarebbe necessaria la sua venuta qui, dove in ogni ora ed in ogni giorno troverà col mio povero cuore, aperto il mio piccolo episcopio”.

                Don Bosco non vi andò, ma vi mandò i suoi due inviati, Don Cagliero e Don Durando. Essi nella loro peregrinazione, [316] sbarcati in Sicilia, si diressero ad Acireale, dove, visitato l'edifizio, lo trovarono magnifico e adatto per collegio. Poi Monsignore, nella visita ad limina, si spinse fino a Valdocco unicamente per trattare della cosa col Beato. Di quelle trattative un particolare soltanto è giunto a nostra conoscenza. Al collegio S. Martino il municipio acitano accordava già un sussidio annuo di lire duemila; orbene il Vescovo aveva ottenuto elle il municipio annuisse a prestarlo nuovamente, quando venissero i Salesiani: egli anzi sperava che tale somma verrebbe raddoppiata, qualora Don Bosco vi stabilisse anche il liceo. Conveniva però che Don Bosco desse ufficialmente comunicazione delle sue intenzioni e facesse domanda del mentovato sussidio, Don Bosco indirizzò al sindaco la seguente lettera[220].

 

                                Illustrissimo Signore,

 

                Da ragguardevole personaggio di cotesta città venuto a visitare questo Oratorio di S. Francesco di Sales mi è stato manifestato il desiderio elle cotesti proprietarii dell'ex-collegio S. Martino in una a cotesta cittadinanza si hanno di vedere per mezzo de' miei preti riaperto quel Collegio all'educazione ed istruzione della gioventù con un corso completo d'insegnamento secondario.

                Ora, desiderando per quanto è in me corrispondere in un tempo più o meno lontano a sì onorevole invito, ed essendomisi fatto conoscere come la S. V. insieme coli cotesta ragguardevole rappresentanza municipale allo scopo di agevolare sì fatta riapertura, non sarebbero lontani dal concorrere con qualche annuo assegno a titolo di sussidio sull'azienda comunale, prima che io possa definitivamente impegnarmi, Le sarei grato, se la S. V. in modo categorico volesse apprestarmi [317] qualche conoscenza sugli intendimenti di cotesto onorevole Municipio in ordine all'accennato concorso.

                Ho l'onore di potermi professare colla più distinta stima

                Di V. S. Ill.ma

                Torino, 30 Giugno 1879.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il consiglio comunale approvò che fosse accordato l'annuo sussidio di lire quattromila per quando i Salesiani avessero aperto in Acireale un liceo pareggiato. Quest'ultima antifona dovette sonar male all'orecchio di Don Bosco; ma fortunatamente non ci fu più motivo di continuare la pratica, perchè le cose pigliarono un'altra direzione. A lasciar cadere anzi del tutto la prima proposta del Vescovo dovette contribuire pure l'essersi appreso che nella città fioriva da poco tempo un collegio San Michele, diretto dai Padri Filippini. Monsignore dunque per il 1880 maturava un altro disegno. La stia diocesi, creata da Pio IX nel 1872, non aveva ancora potuto possedere un seminario, perchè non era stata peranco riconosciuta dal Governo. Avvenuto nel 1880 il riconoscimento, Sua Eccellenza pensò subito al seminario e di pieno accordo col suo capitolo fece istanza a Don Bosco, perchè si compiacesse di accettarne la direzione; si sarebbe dovuto cominciare con i corsi elementare e ginnasiale, ma nella forma laicale di seminario-convitto o convitto Vescovile. Don Bosco non esitò a entrare in trattative per questo nuovo progetto, abbandonando il precedente.

                Per prima cosa egli espresse il desiderio che si pigliasse per base il capitolato di Magliano, manifestando la sua intenzione che nel programma si stabilisse doversi gli alunni vestire da chierici nel servizio religioso e nelle pubbliche funzioni. Il capitolato piacque; onde la deputazione conciliare del seminario lo tenne presente nel redigere un suo progetto dell'atto da stipularsi. Se non che, a cose fatte, ne risultò un piano, che si allontanava di molto dall'aspettazione del Beato e del suo Capitolo. Una corrispondenza assai nutrita del Vescovo [318] coli Don Bosco durò fino al luglio del 1881; il cancelliere della Curia canonico Michele Méndola e il segretario vescovile Don La Spina intrapresero il viaggio di Torino per chiarire le idee e appianare le difficoltà. Ma nonostante tutto il buon volere di ambe le parti, reciprocamente riconosciuto, il Capitolo Superiore non diede voto favorevole, perchè non vide una situazione abbastanza netta e in tutto scevra di spiacevoli sorprese nell'avvenire[221]. Fu un gran dolore per il Vescovo; ma, prelato di eminente virtù, amò sempre egualmente Don Bosco e i suoi [222]successori, nè lasciò mai di compiacersi per avere con il collegio di Randazzo aperto nella sua diocesi le porte della Sicilia alla Congregazione.

 

CATANIA.

 

                Veramente Catania precedette di un anno Acireale nel chiedere a Don Bosco che mandasse i Salesiani; ma vere trattative non corsero. Fra quel clero si contavano numerosi i Cooperatori. Il sacerdote Rosario Riccioli, rettore del seminario, fece allora qualche passo; anzi, recandosi a Torino i sacerdoti Contessa e Scavone di Agira, li autorizzò a ragionarne coli Don Bosco. Il Beato si restrinse a consigliare d'intendersela con l'Arcivescovo monsignor Dusmet. L'anno seguente fece un altro passo il canonico Cesàreo, che scrisse al Servo di Dio: “Risolutissimo, non io isolatamente ma qualche altro ecclesiastico, di destinare a tale scopo [di stabilire in Catania un convitto per poveri artigianelli] alcune nostre proprietà ed essendo stata questa nostra risoluzione maturata da qualche tempo, desideriamo di veder posta ad effetto ogni cosa mentre siamo in vita, ed in un momento nel quale dal nemico dell'uman genere si cerca scristianizzare [319] la povera gioventù”[223]. Ma tutto finì lì nella città destinata a divenire il centro della vasta e feconda attività dei figli di Don Bosco per Visola del sole. A non omettere nulla, aggiungeremo che monsignor Guttadauro, vescovo di Caltanissetta, vagheggiava nel 1877 per la sua sede l'idea di un orfanotrofio femminile sotto la direzione delle Figlie di Maria Ausiliatrice; ma anche quello rimase nulla più che un pio desiderio.

 

ROMA.

 

                Neppure nel '79 era scoccata l'ora tanto desiderata per una fondazione a Roma. Non una, ma due case si dicevano pronte ivi nel maggio di quell'anno. Una presso la Chiesa dei Santi Quattro doveva essere un piccolo ospizio per artigianelli, da intitolarsi alla Sacra Famiglia; l'altra in Trastevere sarebbe stata una scuola professionale, e la voleva il Papa. Si chiese pertanto un prete abile, che andasse ad assistere subito all'impianto della prima ed a trattare per entrambe. Per quella si asseriva essersi raccolti danari sufficienti a provvedere le cose più necessarie; per questa avrebbe pagato tutto il Papa. Tali le informazioni di monsignor Jacobini[224], che furono salutate dai Superiori come un tratto speciale della Divina Provvidenza, Don Monateri, Direttore ad Albano, venne incaricato della pratica, con l'istruzione di udire, vedere e riferire senza dare assicurazione di verun genere. “Quest'anno, gli scriveva Don Barberis a nome di Don Bosco, abbiamo già data la parola per altre case, ma queste di Roma non è da lasciarle sfuggire, perchè vi è bisogno di avere un centro in Roma”.

                La relazione di Don Monateri non si fece aspettare; senonchè le notizie non erano quali si desiderava che fossero. Le idee dei Romani erano toto caelo diverse da quelle di Don Bosco. Si sarebbe voluto che una Commissione concentrasse [320] tutto nelle sue mani e s'ingerisse anche nell'amministrazione interna, sicchè i Salesiani vi facessero da umili servitori. Quella Commissione, già bell'e composta, consegnò a Don Monateri un abbozzo delle regole, che s'intendeva d'imporre. Don Monateri significò a quei signori che il Capitolo Salesiano non avrebbe mai approvato condizioni simili e suggerì invece un progetto, nel quale a lui pareva che potessero convenire ambe le parti; ma parlò al vento e dovette inviare a Torino l'inesorabile schema. Il Capitolo approvò pienamente il progetto di Don Monateri e respinse a pieni voti l'altro. L'effetto fu qual era da attendersi: scese sii tutto il silenzio e l'oblio.

                Per Roma non era stata ancor detta l'ultima parola riguardo all'Ospizio di Sali Michele[225]. Il principe Gabrielli, presidente della commissione governativa che lo amministrava, invitò formalmente Don Bosco nel mese di giugno ad accettare l'intera direzione morale e disciplinare dell'istituto, dicendo elle si sarebbe recato a gloria, se, nonostante il gridare della piazza, egli avesse potuto durante la stia presidenza porlo in sì buone mani. Noi abbiamo già visto in elle deplorevole decadimento fosse piombata un'istituzione, intorno alla quale i Papi avevano profuso oro e cure. La difficoltà massima da Don Bosco opposta per l'accettazione era stata la mancanza di autonomia Il Principe, che aveva fatto il possibile e l'impossibile per eliminare tale difficoltà, allora assicurava che in quanto alla disciplina i Salesiani sarebbero lasciati completamente liberi e indipendenti. Don Bosco rispose che accettava in massima e che i Salesiani si sentivano beli onorati per tanta fiducia che in loro si riponeva. Ecco in proposito le idee di Don Bosco, quali si leggono nella minuta di risposta al Principe[226]. [321]

 

                                Eccellentissimo Sig. Principe Gabrielli,

 

                Alcuni affari dei giorni passati mi tolsero il piacere di rispondere prontamente alla rispettabile sua lettera del 4 corrente Giugno.

                Ora premetto i miei umili ringraziamenti a Lei e a tutta l'amministrazione dell'Ospizio di S. Michele, la quale si compiacque rivolgersi alla Pia Società di S. Francesco di Sales pel servizio di quel glorioso Istituto.

                Io vorrei che quella rispettabile amministrazione ottenesse il suo scopo e dal canto mio fossi io pure in grado di appagarla. Sarà bene pertanto che mi spieghi sopra la parte più essenziale della sua lettera: Confidare la direzione dei giovani e la loro immediata dipendenza e sorveglianza.

                Queste basi sono accettabilissime in massima, ed io mi provo a tradurle in pratica in questo senso:

                I° L'amministrazione esercita la sua autorità su tutto ciò che si riferisce alle finanze, al personale relativo, compre, vendite, costruzioni, riparazioni e simili.

                2° Il Sacerdote Bosco provvederà Direttore, Economo, Prefetti, Portinaio, Capi d'arte, Maestri di scuola e servitori nel numero che saranno necessarii per assicurare la disciplina, la moralità e il profitto professionale degli allievi. E per questo personale sarà stabilita una discreta somma per ciascun individuo o complessivamente.

                3° L'amministrazione corrisponderà una diaria o mensualità in ragione dei giovani che intende siano accolti nell'Istituto.

                4° Il Direttore dell'interno è responsabile di tutto quello che riguarda all'Istituto e riceve i giovanetti allievi a norma delle condizioni che l'amministrazione sarà per stabilire.

                Il medesimo Direttore è disposto di conservare nel rispettivo uffizio le attuali persone di servizio e quei capi d'arte, [secondo] che l'amministrazione ne riconosce il merito e la convenienza.

                In questo modo l'amministrazione avrebbe tutti i vantaggi finanziari che desidera, conserverebbe intatto lo scopo dell'Istituto ed eserciterebbe la sua piena autorità, mentre la Società Salesiana potrebbe a sua volta mettere in pratica tutti i mezzi che alla medesima sono indispensabili per conseguire il suo fine. Perciocchè nelle nostre case si fa uso di un sistema disciplinare affatto speciale, che noi chiamiamo preventivo, in cui non sono mai adoperati nè castighi nè minacce. I modi benevoli, la ragione, l'amorevolezza ed una sorveglianza tutta particolare sono i soli mezzi usati per ottenere disciplina e moralità tra gli allievi, come la E. V. avrà potuto rilevare dal Regolamento della casa di Torino, che serve eziandio per tutte le nostre case d'Italia, di Francia e di America.

                Mi sarebbe cosa graditissima che la E. V. o qualunque dei Signori Amministratori, capitando a Torino, ci onorasse di una visita in questo [322] nostro Ospizio e notasse quanto sarebbe da togliere od aggiugnere per applicarne il Regolamento a quello di S. Michele a Ripa.

                Ho esposto qui brevemente alcuni miei pensieri; occorrendo trattare ulteriormente, mi potrà fare scrivere, ed io darò carico a qualche amico della Prefettura di Roma o del Ministero degli Interni, i quali, come conoscitori delle cose nostre, potranno porgere i richiesti schiarimenti ed anche trattare a mio nome.

                Prego Dio che La conservi in buona salute, e mi creda colla massima stima

                Della E.V.

 

Umile Servitore.

 

                Il Principe, animato da ottime intenzioni, richiese nuovi schiarimenti. Don Bosco sviluppò più largamente il suo concetto, e poichè allora Don Durando era a Roma per la questione contro il ginnasio dell'Oratorio, lo incaricò di trattare personalmente con lui.

 

                Eccellenza,

 

                Ho alquanto ritardato il riscontro della rispettabile lettera di V. E.; attendeva che il mio progetto fosse un po' più sviluppato praticamente, siccome vedrà nel foglio unito[227]. Il Professore Durando nostro Sacerdote è a Roma per alcuni giorni e dimora al solito domicilio presso Torre de' Specchi. Egli è incaricato di trattare ogni cosa relativa e se gli fisserà un'ora si troverà a' di Lei cenni.

                Potrebbe anche farne parola al Sig. Cav. Carosio, che è assai bene informato delle cose nostre

                Se io mi sono abbastanza bene spiegato, credo di non aver oltrepassato i limiti che la E. V. mi aveva tracciato. Se vi sono osservazioni le riceverò con buon grado.

                Il punto fondamentale sta nel poter liberamente esercitare il nostro sistema dì educazione. In tutto il resto non avremo difficoltà.

                Prego Dio che La conservi in buona salute, mentre mi raccomando alle valide sue preghiere, e mi professo

Della E. V.

                Torino, 23 Luglio 1879.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Le trattative, a quanto pare, procedevano coli lentezza. Il Beato per avere sul posto chi facesse convenientemente le sue [323] parti, si procurò un intermediario nella persona del suo affezionato Aluffi[228].

 

                               Car.mo Sig. Avvocato,

 

                Avrei un affare ad affidarle, ma non so se in questi giorni Ella sia in Roma. Ad ogni modo ne darò cenno a V. S.

                Si tratta di affidare ai nostri maestri ed assistenti l'opera pia di S. Michele a Ripa. Le trattative sono già iniziate, ed il Principe Gabrielli, presidente di quell'opera, mi invita ad incaricare qualcheduno per trattare in modo positivo e gradirebbe la persona di V. S.

                Pertanto se Ella può, e se non è suo tempo di ferie, io le manderò copia del proposto capitolato colle relative istruzioni. Come Ella vede, non la dimentico mai in ogni nostra occorrenza; ed Ella a sua volta si valga di me ovunque la possa servire, mentre  io sono lieto pregarle ogni celeste benedizione e professarmi di V. S. Car.ma

 

                Alassio, I° Ott. 79.

 

                Il Beato non ebbe che a lodarsi dell'opera di questo ottimo funzionario governativo, il quale per la sua posizione al Ministero dell'Interno poteva influire più direttamente nella pratica. Le cose però andavano a rilento; ma Don Bosco aveva tutte le ragioni di evitare la fretta. Riscrisse all'avvocato Aluffi:

 

                               Car.mo Sig. Avvocato,

 

                Ho ricevuto la rispettabile sua lettera e la ringrazio dei ripetuti disturbi a mio riguardo. L'affare dell'Ospizio di S. Michele bisogna lasciarlo camminare a bell'agio. Il Sig. Principe Gabrielli ha senno e prudenza e cammina fin dove l'onestà comporta. Laonde siamo in buone mani. La S. V. ha fatto bene la parte sua e intanto si vedrà o meglio Ella vedrà l'opportunità del tacere o del parlare. Io mi rimetto al suo buon senno.

                Se le accadrà di vedere il prefato Signore favorisca di ossequiarlo da parte mia assicurandolo di tutta la mia stima e gratitudine, desideroso di poterlo in qualche cosa servire.

                Prego Dio che la conservi in buona salute, mentre di tutto cuore e con grato animo mi professo

                Di V. S. Car.ma

                Torino, 25 Nov. 79.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [324]

 

                Nella penuria di documenti intorno a quest'affare altro non ci rimane che un magro verbale del Capitolo Superiore, donde si viene a conoscere come la libertà concessa al futuro Direttore fosse più illusoria che effettiva; egli, per esempio, non sarebbe stato padrone di scegliersi il prefetto che volesse nè di stabilire un economo interno che dirigesse i laboratori, nè di mettere un portinaio salesiano che stesse completamente a' suoi ordini. Le pratiche dunque si arrestarono e furono rotte; tornò per altro a favore dei Salesiani il sapersi in Roma che il Governo trattava con essi e aveva in essi fiducia per cosa di sì alta importanza.

 

MONTEFIASCONE.

 

                Coli queste fondazioni andate a vuoto ne porremo alcune poche non attecchite. Il bisogno urgente di personale non consentiva a Doli Bosco di lasciare confratelli dove si viveva a disagio, si stava all'altrui mercè e non vi era speranza di miglior fortuna. Vogliamo alludere a Montefiascone, Albano e Ariccia, dove il Servo di Dio aveva messo piede assai più per compiacere ad alte personalità e mirando remotamente a Roma, che non per fiducia che avesse di potervi prendere durevole stanza.

                A Montefiascone Don Guidazio era un pesce fuor d'acqua[229]. La sua condizione si fece alquanto spinosa, dopochè aveva preso a combattere l'idea chimerica dì aprire ivi un liceo con professori salesiani: allora tanto nel Vescovo che nel Rettore egli scorgeva una crescente freddezza verso di lui. Non si aveva tuttavia il menomo dubbio che egli non fosse per continuare nel seminario l'opera sua; il parlare anche solo dell'ipotesi di un richiamo sarebbe stato un provocare qualche ricorso al Papa per impedirlo: e data l'affezione che Leone XIII nutriva per monsignor Rotelli, si poteva star certi che non sarebbe mancato un divieto pontificio. [325] Finito quindi l'anno scolastico, Don Guidazio ricevette l'ordine di recarsi a Torino per rimettersi in salute, giacchè realmente non si sentiva guari bene; più tardi al Vescovo fu significato che, essendosi Don Bosco obbligato con lui solo per un anno, egli si riteneva sciolto da ogni vincolo e destinava Don Guidazio altrove; in caso di bisogno avrebbe cercato e facilmente trovato un professore esterno da suggerire ai superiori di quel seminario. Dal prosostituto alla Segreteria di Stato ecco tosto giungergli una calda raccomandazione a ritornare sul provvedimento, rinviando senza indugio Don Guidazio al suo ufficio nel seminario di Montefiascone, anche per risparmiare un sommo imbarazzo al Vescovo e un grave dispiacere al Papa. Fatta ragione delle pie esagerazioni che apparivano in questi motivi, Don Bosco non recedette dal suo proposito.

 

ALBANO E ARICCIA.

 

                Molto a disagio si trovavano pure i figli di Don Bosco ad Albano e Ariccia. Trasferito alla sede di Ostia e Velletri il cardinale Di Pietro che li aveva chiamati, e morto poco dopo il suo successore cardinale Morichini, i quali due Porporati avevano amato i Salesiani come figli, questi non erano più nelle grazie del nuovo Vescovo. l'Eminentissimo Morichini nutriva per loro tanto affetto, che, essendo accidentato, si fece condurre alla loro casa e volle essere portato su a braccia in poltrona. Arrivò durante la scuola di musica vocale; onde fu eseguito alla sua presenza l'Orfanello di Don Cagliero, il qual canto lo commosse fino alle lacrime. Gli succedette il cardinale D'Hohenlohe, che fece il suo ingresso con istraordinaria solennità. Al pranzo di gala venne invitato anche Don Monateri; ma nella visita fatta da lui a Sua Eminenza in compagnia di un altro Salesiano l'accoglimento fu piuttosto glaciale. In seguito Don Trione, recatosi a ossequiarlo con un prete novello della diocesi, fu ricevuto bene, ma non una domanda o una parola su Don Bosco e sui Salesiani. Tutto [326] confermava la voce che egli fosse prevenuto contro la Congregazione. Fautore della scuola rosminiana, era legato in amicizia con monsignor Gastaldi. A chi ne sondò l'animo per conoscere se avrebbe permesso a Don Bosco di aprire in Albano un collegio, si manifestò risolutamente contrario. Nel suo clero poi noli poteva trovare chi gli parlasse favorevolmente dei Salesiani; poichè quei preti, oltrechè non avevano mai guardato di buon occhio i buzzurri, negli ultimi tempi movevano loro una sorda guerra. Un incidente anche da poco sarebbe stato la gocciola bastante a far traboccare il vaso, e l'incidente fu un malaugurato schiaffo che il buon Don Montiglio, perduta la pazienza, lasciò andare durante la scuola a un importuno convittore del seminario. Questo diede origine a un battibecco, a pettegolezzi e a maldicenze di sacrestia. Per quelli di Ariccia alle cause accennate si aggiungeva il pessimo stato della loro abitazione che era incomoda, malsana, ristretta, disturbata nell'interno dal via vai degl'impiegati municipali e di chi si recava nei loro uffici. Alle ripetute domande di qualche miglioramento si rispondeva sempre con vaghe promesse; il municipio indebitato non aveva fondi. Durarla più a lungo in simili condizioni non era possibile nè per gli uni nè per gli altri.

                Buon per loro che Don Cagliero e il suo compagno di viaggio andarono a passare con essi il carnevale. Nella sua relazione a Don Bosco quegli aveva scritto: “Attese le urgenti domande per aprire convitti e la niuna speranza di aprirne in Albano, ci sembra questo un personale sprecato. Quel poco di bene che fanno i nostri nei due colli germani, lo potrebbero fare i preti stessi del paese; ed a poco si riduce il frutto di questo personale, compiuto piuttosto. e ben disciplinato, mentre occupato altrove in qualche convitto darebbe un risultato maggiore assai”[230]. Di lì a non molto venne a Don Monateri l'ordine di presentare le dimissioni dei Salesiani [327] di Albano al Cardinale Vescovo, che immediatamente le accettò. Analogo ordine fu mandato a Don Gallo per il municipio di Ariccia, che nicchiò, ma dovette rassegnarsi.

                Ad Ariccia la riluttanza delle Autorità aveva un. suo perchè. L'arciprete e quei della giunta avevano fatto segretamente pratiche per attirare altri maestri; ma, non avendone trovato, non sapevano più elle, pesci pigliare. In un ambiente simile non era più aria per i Salesiani.

                Ad Albano, i convittori del seminario sì ridussero a due; e i chierici, costretti a frequentare pubbliche scuole con insegnanti atei e fra condiscepoli d'ogni risma, si trovarono a mal partito. Per tutto questo il seminario si dovette chiudere, chiuso rimanendo fino ai dì nostri.

                Tuttavia le popolazioni dei due luoghi volevano molto bene ai Salesiani, sia per ragioni di sacro ministero, sia per le splendide funzioni che facevano, sia per le cure da essi prodigate ai loro figli nella scuola e fuori della scuola. I giovani poi eran loro talmente affezionati, elle ne riempivano del continuo la casa. Di questa benevolenza del popolo e della gioventù, i superstiti Salesiani. che ne furono oggetto, serbano tuttora vivo il ricordo; così pure, quando nuovi Salesiani si stabilirono nel vicino Genzano, sentirono come da quelle buone genti si lamentasse ancora la partenza degli antichi, che li avevano preceduti vent'anni prima nei Castelli Romani.

 

 

CAPO XIII. Case aperte nel 1879.

 

                NELLA lettera del capo d'anno 1880 ai Cooperatori il Beato Don Bosco, enumerando le nuove case aperte. L'anno antecedente, metteva in primo luogo la colonia agricola di Saint-Cyr; infatti il suo vero cominciamento datò dal 10 giugno 1879, quando se ne prese effettivamente possesso e le Figlie di Maria Ausiliatrice vi assunsero la direzione di povere giovanette applicate ai lavori agricoli. Nulla per ora abbiamo da aggiungere al già detto in questo e nel volume che precede.

 

                S. BENIGNO CANAVESE.

 

                Una casa destinata ad acquistare somma importanza nella Congregazione fu inaugurata nell'estate del '79: la casa di San Benigno Canavese. Con tale fondazione Don Bosco ricondusse il fervore della vita e della pietà in una storica dimora che da secoli aveva offerto un tranquillo asilo di preghiera, di studio e di operosità a numerosa famiglia di monaci Benedettini. Intorno al sacro ostello, come accadde per infiniti altri luoghi, erasi formato a poco a poco un grosso borgo, che dal nome dell'abbazia si chiamò San. Benigno di Fruttuaria. L'aveva fondata nel 1001 il monaco Guglielmo di Volpiano, già abate benedettino di San Benigno a Digione e istitutore di quaranta monasteri, celebrato grandemente [329] per santità e dottrina in tante parti dell'Europa cristiana. Durante il medio evo l'influenza di questa abbazia crebbe a segno che il suo capo ne reggeva trenta altre, esercitando giurisdizione anche temporale non solo in Italia, ma in Francia, in Austria e in Corsica; poichè Papi, sovrani e signori feudali dotarono largamente la badia di villaggi, castelli e beni. Un tempo ne dipendevano fino a milleduecento monaci. Vero focolare di virtù e sapere, diede alla Chiesa due Papi, Innocenzo IV e Sisto IV; cinque principi di Savoia vi furono abati. Nelle sue origini valse ad apportarle celebrità il fatto di re Ardoino, che, affranto dalle lotte politiche, aveva Cercato ivi la pace, vestendo l'abito di S. Benedetto e perseverando fino al termine de' suoi giorni nell'austerità della regola claustrale. Il suo ricordo, non travolto dalle rovine del tempo, sopravvive tuttora dopo nove secoli nelle tradizioni popolari.

                Sul finire del secolo decimoquinto cominciò la decadenza, che coincise con l'erezione dell'abbazia in commenda[231]. La nomina degli abati commendatari continuò anche quando non esistevano più monaci e le ultime terre abbaziali erano state assorbite dai duchi di Savoia. L'ultimo abate commendatario, preposto al governo spirituale degli abbaziali, fu il celebre cardinale Amedeo delle Lanze, che, morto nel 1738, lasciò viva ricordanza di sè per la sua munificenza di gran signore e il suo zelo di buon prelato. Dopo di lui il territorio abbaziale venne incorporato alla diocesi d'Ivrea. Il colpo estremo partì dalla legge 15 agosto 1865, per la quale le restanti rendite passarono all'amministrazione del fondo culto e i beni in potere del demanio. Finalmente nel 1877 tiri regio decreto dichiarò monumento nazionale il palazzo abbaziale, che il demanio cedette in uso e custodia al municipio. Erano dunque tali le condizioni giuridiche del sacro luogo, allorchè si trattò di affidarlo in subcessione a Don Bosco. [330] Il pensiero di chiamarvelo partì dal parroco Don Benone, che, fallito un primo tentativo, fu più felice in un secondo. Dobbiamo premettere che nel 1852 i Padri della Dottrina Cristiana avevano aperto ivi un istituto pareggiato e che contemporaneamente un buon. sacerdote in un locale a fianco teneva una scuola succursale del collegio per i meno abbienti; ma nel 1867, sorte divergenze col municipio, i Padri abbandonarono il paese, andandosene con loro anche il detto sacerdote. Allora fu che il teologo Benone propose a Don Bosco di subentrarvi per fondare ivi un collegio suo. Don Bosco rispose che ben volentieri accoglieva la proposta; ma innanzi tutto il parroco vedesse di ottenere il consenso del Vescovo d'Ivrea, che era monsignor Moreno. Quegli, sicuro di non incontrare alcuna difficoltà per un'opera tanto buona, si recò da Monsignore, al quale con la familiarità di vecchio amico espose il caso. - Mai e poi mai, gli disse Sua Eccellenza, permetterò a Don Bosco di stabilirsi nella mia diocesi. - Mortificatissimo a sì inattesa risposta, il teologo si ritirò nè si trattenne a pranzo nell'episcopio, come soleva fare ogni volta che qualche motivo lo conduceva dal capo della diocesi. In seguito il Vescovo, sperando di aver egli col tempo a sua disposizione l'edifizio, mise le mani innanzi per impedire che altri se ne ingerisse; col quale intendimento vi fece molte riparazioni e brigò presso il Governo perchè fosse riconosciuto monumento nazionale. Il riconoscimento venne, egli buttò nei lavori quindici mila lire, e tutto finì con tornare a vantaggio di Don Bosco; poichè la nuova condizione dell'edifizio ne impedì il passaggio ad altri acquirenti, finchè, morto il Vescovo nel 1878, Don Benone ripetè con ottimo successo il tentativo d'installarvi i Salesiani.

                Lo scopo di Don Bosco era di trasferire a San Benigno il noviziato de' suoi chierici. Per tre fasi passò il noviziato salesiano. Sul principio i novizi crescevano come in famiglia, pigliando parte alla vita comune e così esercitandosi tanto nelle pratiche di pietà quanto nella vita attiva propria della [331] Congregazione; quindi conformemente alle differenti attitudini chi assisteva i giovani, chi faceva scuola, chi insegnava il catechismo, chi si occupava negli oratorii festivi, chi aiutava negli uffizi, vivendo sotto la dipendenza diretta dei superiori della casa. Per gli studi filosofici e teologici frequentavano le scuole del seminario. In un secondo tempo ebbero scuole a parte e venne assegnato loro un superiore, dal quale dovevano in tutto e per tutto direttamente dipendere, e questi fu Don Giulio Barberis; ma continuarono per qualche anno a tenere ancora assistenze dei giovani. Durante questo periodo con progressivo isolamento furono a poco a poco destinati loro camerone proprio per dormire, cortile distinto per la ricreazione, refettorio per essi soli; esonerati in ultimo da ogni assistenza, formarono nell'Oratorio un corpo segregato da tutto il resto dello stabilimento. Infine ebbero anche casa propria, la casa di San Benigno Canavese, dove tutto era ordinato alla loro formazione religiosa.

                Che Don Bosco a ciò mirasse nell'aprire la casa di San Benigno, lo disse egli medesimo; ma disse pure che non conveniva dare alla casa un aspetto esclusivamente chiesastico; dovervisi quindi accettare anche giovanetti artigiani, mettendo su alcuni laboratori, che tornassero insieme di utilità per i bisogni interni[232]. E quanto savio fosse questo suo divisamento, si vide allorchè, avvenuta da parte del municipio la subcessione dell'edifizio a Don Bosco, la regia prefettura di Torino prima di accordare l'approvazione definitiva inviò al sindaco la seguente nota: “Siccome poi nel contratto di cessione dal Demanio al Comune quest'ultimo si è obbligato di non destinare il Palazzo Abbaziale ad usi che non siano di pubblica utilità; così coli verrà che la S. V. indichi espressamente a quale uso detto Palazzo sarà adibito dal Sacerdote Bosco, che accenni le ragioni per le quali l'uso stesso potrà rivestire il carattere di utilità pubblica”. Don Bosco, ricevuta [332] comunicazione di questa nota prefettizia[233], inviò al sindaco la seguente risposta.

 

                               Ill.mo Sig. Sindaco,

 

                Ho l'onore di rispondere alla sua lettera in data io Marzo riflettente l'uso del palazzo abaziale a S. Benigno. Come sta già notato nell'atto di cessione, io intendo di destinarlo a pubblica utilità, come sono altre case che da me dipendono. In particolare poi desidero che il palazzo abaziale di S. Benigno serva:

                I° Ad uso delle scuole diurne per la scolaresca del paese.

                2° Scuole serali per gli adulti.

                3° Trattenere in amena ricreazione, musica, ginnastica, declamazione e simili nei giorni festivi i giovanetti operai del paese.

                4° Del locale che sopravanza farne un ospizio di poverelli artigianelli, come quello di Torino, dove si raccolgono abbandonati fanciulli provenienti da varie parti d'Italia.

                5° Se il locale lo comporterà, fare eziandio uno studentato di preparazione per nostri assistenti nel tempo che fanno il loro tirocinio per imparare le regole pratiche, con cui tenere la disciplina nei dormitorii, nei laboratorii, nei catechismi e nelle classi d'insegnamento.

                Queste sono le cose che si hanno di mira secondo che lo concederà la capacità del locale.

                Credo così aver appagato il suo quesito e quello del signor Prefetto della provincia di Torino. Occorrendo ulteriori schiarimenti, sarò sempre lieto di poterli dare.

                La prego di credermi in tutto quello che La potrò servire, con pienezza di stima

                Roma, 10 Marzo 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Quello che formava l'obbiettivo principale, è posto qui in fondo a tutto il resto ed espresso a mo' d'ipotesi. Che se nell'atto di subcessione non indicavasi in qual maniera Don Bosco avrebbe usato del palazzo a utilità pubblica, veniva ciò determinato nella convenzione con la giunta municipale, dove si diceva assumersi egli per sè e per i suoi eredi questi tre obblighi: I° Di soddisfare agli impegni che il comune teneva verso il Governo, secondochè si stabiliva nell'atto di subcessione. 2° D'impiantare nei fabbricati un istituto educativo [333], che estendesse l'istruzione elementare a favore della popolazione. 3° Di assumere gl'impegni che il comune teneva allora con gl'insegnamenti delle scuole elementari. Qui è messa in vista come contrattuale la parte soltanto dell'uso che interessava il comune, senz'alcun cenno all'altra che a Don Bosco stava maggiormente a cuore, ma che non conveniva porre in evidenza prima del tempo. Il suo intendimento tuttavia era adombrato sufficientemente nella frase “impiantare nei fabbricati un istituto educativo”, del quale venivano presentate come emanazione le scuole elementari.

                Avviate per bene le cose, ne parlò Chiaramente nella citata circolare del 1880 ai Cooperatori, dove, presentando la nuova casa come “destinata a molteplice scopo di pubblico bene”, soggiungeva: “Ivi parecchi poveri giovanetti apprendono un mestiere, mentre altri fanno il tirocinio per divenire buoni maestri ed assistenti nelle scuole e nei laboratorii. V'interviene pure nei giorni feriali la scolaresca del paese; vi si tiene anche oratorio festivo”. Sono intuitive le ragioni di cautela che gli consigliavano di evitare qualsiasi cenno a religioso noviziato. D'altra parte il municipio, lasciando mano libera a Don Bosco, ci aveva il suo tornaconto, inquantochè questi arricchiva il paese di un'utile istituzione e liberava il bilancio comunale, da obblighi onerosi.

                Nè la promessa e poi la presenza di artigianelli nella casa era solo per gettar polvere negli occhi. Infatti il direttore Don Barberis subito dopo la presa di possesso diffuse con una circolare la notizia che Don Bosco aveva aperto in San Benigno Canavese “un nuovo ospizio di beneficenza per raccogliere sempre maggior numero di giovani abbandonati, educarli alla virtù ed al lavoro e renderli atti a guadagnarsi onoratamente il pane della vita”; e quindi pregava d'inviargli quei ragazzi che si conoscessero più bisognosi di educazione e pericolanti, purchè avessero dodici anni compiti e non diciotto, chiedeva insieme lavoro per falegnami, i sarti, calzolai e legatori di libri, i soli laboratori allora [334] possibili, e si raccomandava alla carità dei buoni, avvertendo che la si poteva fare con danaro, con oggetti d'uso e con generi alimentari. I laboratori noli tardarono guari a moltiplicarsi e a prendere notevole sviluppo; ma i novizi erano così poco disturbati dalla coabitazione di tanti artigiani, che nel corso della vita ordinaria non s'accorgevano nemmeno della loro presenza, non vedendoli mai, perchè avevano gli uni e gli altri cappelle, ambienti e cortili a sè.

                Correva quell'anno il giubileo straordinario per l'esaltazione di Leone XIII al soglio pontificio. Nel maggio il prevosto di San Benigno, recatosi all'Oratorio per chiedere un Salesiano che andasse a predicare un triduo di preparazione all'acquisto delle sante indulgenze, fu tosto appagato con l'invio di Don Barberis, che, essendo designato a dirigere la nuova casa, avrebbe potuto vedere quali lavori fossero indispensabili prima di occupare il luogo. Più tardi Don Bosco mandò Don Cagliero e Don Barberis a Ivrea dal novello Vescovo monsignor Davide Riccardi per fare atto di ossequio e domandare le opportune facoltà. Sua Eccellenza si mostrò largo di condiscendenza fino a dire: - Occorrendo, si prendano pure tutte le facoltà che sanno potersi accordare da un Vescovo cattolico. - Avuta poi a suo tempo comunicazione dell'ingresso dei Salesiani nella stia diocesi, espresse tutta la sua gioia per il felice avvenimento, augurandosi che ottimo e durevole fosse il loro soggiorno, dal quale sperava gran bene[234].

                I primi abitatori della casa di San Benigno furono i chierici ascritti dell'anno scolastico 1878-79. Terminati i loro esami ai 3 di luglio, mossero il giorno 5 da Torino in numero di cinquanta, facendo a piedi il viaggio fino alla nuova residenza per trascorrervi le vacanze estive. Furono accolti festosamente dalle autorità e dalla popolazione. Mancavano molte e molte cose; ma durante il periodo preparatorio è sempre stato utile che i nostri novellini si trovassero nell'occasione [335] di doversi ingegnare per sopperire in qualche cosa ai bisogni della vita.

                Nonostante il desiderio, anzi il proposito di trapiantare a San Benigno il noviziato, Don Bosco prima di radunarvi definitivamente gli ascritti dell'anno appresso volle accertarsi bene se il luogo fosse adatto. Ecco perchè dispose che vi andassero i chierici a passare le vacanze: intendeva con quello di fare un esperimento. Nel mese poi di settembre durante gli esercizi di Lanzo incaricò Don Rua, Don Lazzero e Don Barberis di esaminare se la cosa fosse o no conveniente, e di riferirne quindi in Capitolo. La relazione fu favorevole per più motivi. Due soli ostacoli si rinvennero: il primo, che quella casa sempre sarebbe stata a carico della Casa madre con notevole aggravamento di spese, pochissimi essendo ordinariamente gli ascritti che pagassero qualche cosa; il secondo, che la lontananza avrebbe impedito a Don Bosco di riceverne le confessioni, come in passato, e d'infonder loro il vero spirito della Congregazione.

                Alla prima difficoltà si rispose che il Signore, come si era degnato sempre di provvedere alle necessità della Congregazione, così noti sarebbe venuto meno allora, trattandosi di un'opera che tendeva unicamente alla sua maggior gloria. Quanto all'altra difficoltà si fece osservare che Don Bosco si assentava pure dall'Oratorio per più mesi dell'anno; che anche nell'Oratorio egli stentava ormai a conoscere tutti i chierici; che potrebbe con frequenti visite, per esempio negli esercizi della buona morte, andarli a trovare e così conoscerli e dirigerli.

                Fu dunque deciso il 17 settembre che i chierici ascritti avrebbero d'allora in poi passato il loro anno di prova a San Benigno, e ivi si recarono tosto i giovani che negli esercizi spirituali erano stati dai Superiori accettati per la Congregazione. Il 20 ottobre nella cappella interna si fece la prima vestizione per mano di Don Bosco, che disse infine parole d’incoraggiamento e di conforto alla virtù. Fra i cinquanta [336] che ricevettero allora l'abito sacro, dite meritano speciale menzione: Michele Unia, l'eroico apostolo dei lebbrosi e Filippo Rinaldi, terzo successore del Beato Don Bosco.

 

CREMONA.

 

                Nel prefato resoconto del capo d'anno ai Cooperatori Don Bosco dopo San Benigno enumerava di seguito tre fondazioni che vissero vita breve, non già per difetto di previdenza o di preparazione da parte sua, ma per circostanze di forza maggiore che fin dall'inizio le sopraffecero.

                La prima è la casa di Cremona. I dite visitatori salesiani durante il viaggio di ritorno passarono anche di là, dove trovarono le cose discretamente bene avviate. In settembre vi si recò pure l'economo Don Sala, che rimase soddisfatto dei preparativi compititi dalla commissione incaricata di ciò. Quindi verso la fine di quel mese partirono per Cremona tre preti, dite chierici e due coadiutori. Direttore fu nominato Don Stefano Chicco, che lasciò a Don Lemoyne il suo posto di Nizza Monferrato. Nella sua circolare Doti Bosco scrisse: “Si aperse in Cremona un oratorio festivo, giardino di ricreazione, chiesa pubblica, scuole diurne e serali sotto al titolo di S. Lorenzo”.

                I Salesiani lottarono ivi per tre anni fra serie difficoltà a motivo dei partiti politici che non tolleravano checchè avesse aspetto di favorire l'influenza clericale. Disgrazia volle che un insegnante per cause disciplinari usasse misure stravaganti con alcuni ragazzi. Trapelatane fuori la notizia, si levò subito un gran chiasso. Gli anticlericali, impadronitisi dell'affare, suscitarono uno scandalo, aizzando la plebaglia, che per più giorni consecutivi si affollava nei pressi dell'istituto con clamori e minacce d'ogni genere e con tentativi d'assalto. Per colmo di sciagura, il nuovo direttore Don Domenico Bruna, succeduto al defunto Don Chicco, sbagliò tattica in quei frangenti, pigliando le difese dell'incauto subalterno; il [337] che inasprì l'opposizione e costò a lui stesso l'immediata destituzione da parte dell'autorirà prefettizia.

                I buoni però si schierarono dalla parte dei Salesiani: vennero raccolte in fretta e furia le firme di circa cinquanta padri di famiglia in lor favore. Il Beato mandò subito a Roma Don Durando, perchè le presentasse al commendator Malvano. Questi, ricevendole mentre andava a pranzo dal Re, gli promise di parlarne al ministro della Pubblica Istruzione, che era pure fra gl'invitati. Alla sera il commendatore riferì a Don Durando che la cosa andava male. Questi poi, conferito col cavalier Costantini, segretario del ministro, e dettogli che l'affare si era messo nelle mani dell'onorevole avvocato Villa, s'intese rispondere che per questo appunto la cosa sarebbe andata ancor peggio. Infatti, avendo la massoneria cremonese ingiunto al fratello trepuntino di non muoversi, questo signore intascò lire cinquecento per le spese del viaggio, nè più si fece vivo. Don Durando volò tosto a Cremona per parlare con le autorità locali. Ma il prefetto era via; il provveditore si teneva nascosto; il sindaco non era ancora nominato e il facente funzione non se ne volle impicciare. Così le bieche mire nemiche trionfarono; poichè divenuta per tal modo insostenibile la posizione, i Salesiani d'ordine dei loro Superiori il I° luglio 1882 si ritirarono, rimettendo ogni cosa nelle mani della Commissione, elle li aveva chiamati. Monsignor Bonomelli addoloratissimo non potè far nulla per calmare le ire. settarie, nè volle andar in cerca delle responsabilità, non cessando per questo di amare Don Bosco e la sua Congregazione[235]. Avremo occasione di tornare su questi fatti nel volume seguente.

 

BRINDISI.

 

                Detto di Cremona, Don Bosco proseguiva: “Col medesimo scopo fu aperta una casa il giorno 8 di novembre in [338] Brindisi, penultima città dell'Italia meridionale”. In questo accenno così fugace sembra quasi di leggere il pronostico della brevissima durata. I Salesiani non avevano abitazione propria, ma dimoravano in un appartamento del palazzo arcivescovile. Quel buon Prelato, Monsignor Luigi Maria Aguilar barnabita, era stato a visitare Don Bosco e l'Oratorio, partendone edificato e commosso[236], e vagheggiando alcunchè di simile per la sua archidiocesi; ma i suoi voti rimasero senza effetto. Malintesi non chiariti in tempo crearono ai Salesiani negli ambienti ecclesiastici diffidenze e ostilità, che li rendevano invisi, tanto più che il clero locale non vedeva la necessità della presenza di quei preti forestieri in mezzo alla popolazione brindisina. I pochi confratelli, che avrebbero dovuto dar cominciamento all'opera, vedendo dileguarsi le simpatie della prima ora e perduta la speranza di riconquistarle, nell'estate seguente se ne tornarono senza più in Piemonte.

 

CHALLONCES.

 

                Parecchie volte Don Bosco, parlando col savoiardo commendator Dupraz, quello della casa di Trinità, aveva manifestato il desiderio di metter mano a qualche opera nella diocesi del Santo, da cui la Congregazione derivava il nome. Quel signore ne ragionò col suo Vescovo di Annecy Monsignor Magnin, descrivendogli il bene che i Salesiani facevano soprattutto a favore della gioventù povera e abbandonata; il che udito, Monsignore lo assicurò che, qualora Don Bosco avesse il mezzo di fondare un suo istituto in Savoia, gli avrebbe prestato tutto il suo appoggio. L'occasione si presentò propizia nel 1877. Il commendatore e una sorella nubile si proposero allora di acquistare e adattare un fabbricato a Challonges, loro patria, nell'Alta Savoia, affinchè Don Bosco vi aprisse oratorio, scuole e convitto. Il Vescovo, richiesto del suo consenso, scrisse a Don Durando: “Da gran tempo [339] so tutto il bene che compie la Congregazione fondata da Don Bosco e quindi plaudo di cuore alla fondazione che cotesto uomo di Dio ha in animo di fare a Challonges nella mia diocesi. Dopo aver ammirato da lungi i prodigi del suo zelo a vantaggio della gioventù italiana, sarò fortunatissimo di ammirare da vicino e di benedire quanto la sua Congregazione attuerà, com'io ne ho fiducia, fra i miei cari diocesani[237]”. Morto Monsignor Magnin quando le lunghe pratiche volgevano al termine, il suo successore Monsignor Isoard si disse ben lieto di continuare il suo favore. all'opera buona e diede il benvenuto ai Salesiani, ripromettendosi egli pure da essi preziosi vantaggi spirituali per i suoi diocesani[238].

                I lavori di adattamento si prolungarono più che non si fosse preveduto, importando coli l'acquisto una spesa di circa settantamila franchi, sborsati dal commendatore, che si obbligò inoltre a passare ai Salesiani un annuo assegno di franchi millecinquecento. Don Bosco mandò Don Durando a vedere, se e quando si potesse cominciare. L'apertura fu stabilita per il novembre del 1879

                Pressochè alla vigilia dell'inaugurazione un consigliere comunale di Challonges lanciò un foglio volante intitolato “Oratorio di San Giovanni Battista”, nel quale diceva che con l'autorizzazione del Vescovo di Annecy e col beneplacito del parroco locale si sarebbe aperto nella casa del commendator Dupraz un oratorio cattolico per l'educazione e l'istruzione religiosa dei ragazzi esterni di Challonges e dei paesi vicini; ne esponeva minutamente il programma, comprendendovi una scuola gratuita approvata, conformemente alle leggi, dal delegato cantonale per le scuole primarie; terminava rendendo noto che si aveva intenzione di aprire anche una scuola libera o, come diremmo noi, privata per il regolare insegnamento elementare. [340] Ma per scuole di tal genere si richiedeva che chi le rappresentava di fronte al Governo possedesse. la debita patente e fosse di nazionalità francese. Ora Don Bosco alla direzione della casa intendeva preporre Don Cays, italiano. Onde gli convenne far venire da Saint-Cyr l'abate Vincent, elle aveva tutti i requisiti per sostenere quella parte presso le autorità scolastiche del paese.

                I Salesiani vi furono accompagnati da Don Durando. Appena giunti, diedero principio all'oratorio festivo con scuola di canto. L'oratorio era quotidiano, perchè in Savoia per disposizioni episcopali si faceva ogni giorno un'ora di catechismo a tutti i ragazzi dal io novembre al 14 marzo. Le giornate riuscivano per questo veramente piene; poichè, essendosi dovute formare diverse classi, il catechismo occupava i nostri dalle sette e mezzo alle otto e mezzo: indi veniva la messa: poi scuola gratuita, nella quale era permesso insegnare soltanto a leggere, scrivere e far di conti. Nel pomeriggio i ragazzi tornavano a divertirsi nel cortile; ma non pochi, venendo da tre paesi dei dintorni, portavano seco da mangiare e restavano là fino a sera. La casa si prestava molto bene; le aule scolastiche erano comode e belle. “Tutto va bene, scriveva il Conte[239], ad eccezione del povero direttore sottoscritto il quale si sente assai lontano dal possedere i mezzi necessari per corrispondere all'importanza della propria posizione. E' vero che vo ripensando a quello che Ella liti disse tante volte, che omnia possum in eo qui me confortat; con tutto ciò avrei bisogno che la debolezza della mia confidenza non fosse pari alla mia incapacità! Le scrivo sinceramente queste mie ansietà, noti già perchè io voglia rifiutarmi a fare il mio possibile, ma per ottenere da Lei che preghi assai il Signore per me”.

                Intanto accadde anche là quello che era già avvenuto altrove: gli alunni del maestro comunale disertarono la scuola [341] pubblica per passare alla scuola gratuita, detta di carità, dove l'insegnamento impartito non poteva aver valore legale, essendo incompleto. Questo abbandono della scuola governativa mise i nostri nella, necessità di far sì che i giovani non avessero a' scapitare; onde aggiunsero nuove materie d'insegnamento e pensarono di dover affrettare il normale assetto della scuola libera. Pressati dunque da ecclesiastici e laici, i Salesiani cominciarono le pratiche per detta scuola; ma, spedite alla prefettura le carte relative, si misero senz'altro all'opera, cioè senza lasciar passare prima l'intervallo di un mese dalla domanda secondo il prescritto della legge.

                Allora contro i nostri si scatenò un gran ca' del diavolo. Giornali massonici attaccarono i nuovi venuti, massime il Patriote Savoisien di Chambéry, organo dei radicali. Soffiava nel fuoco il maestro comunale, al quale erano rimasti appena due alunni. L'ispettore intervenne e fece denunzia alla prefettura, che deferì l'abate Vincent all'autorità giudiziaria con due capi d'imputazione. Il primo era d'aver tenuta aperta una scuola libera senza la debita autorizzazione. e per questo fu citato a comparire dinanzi al tribunale correzionale civile di Saint-Julien, capoluogo del circondario. Il secondo capo d'accusa era d'aver introdotto nella scuola come insegnanti e come sorveglianti o assistenti due stranieri, cioè Don Cays e un chierico. Per questo secondo motivo venne dal prefetto di Annecy l'ordine d'immediata chiusura della scuola; ma poichè a un provvedimento così draconiano non si poteva ricorrere se non per ragione di pubblica moralità, si applicò siffatta causale alla presenza di stranieri, quasi ciò tendesse a mettere le scuole sotto la direzione di persone che non offrissero sufficienti garanzie. Così l'8 dicembre il Direttore congedò gli alunni, dicendo loro che la scuola era sospesa fino a nuovo avviso. Dal tribunale poi l'abate Vincent venne condannato a franchi venticinque di ammenda e inabilitato ad aprire pubbliche scuole. Il Commendatore allora non finiva più di [342] tempestare, perchè si cercasse in fretta un altro soggetto francese e patentato da poter riprendere l'insegnamento.

                Conosciute queste traversie ed anche le difficoltà finanziarie d'ella casa, Don Rua opinava che il Direttore venisse a parlare con Don Bosco sulle decisioni da prendere. “Del resto, gli scriveva il 4 dicembre, nel timore che V. S. abbia a differire la stia venuta a causa di coteste vertenze, ho interpellato Don Bosco sulle deliberazioni che gli sembrerebbero da adottare per codesta casa, ed egli mi rispose che sembra opportuno cercar di ritirarci, se si può, coll'onore delle armi”. Due cose inducevano Don Bosco a questa soluzione. Anzitutto l'impossibilità ormai di mettere alla testa un sacerdote salesiano: è vero che bastava stabilire un altro come direttore in faccia alle autorità, comparendo i restanti membri della casa come a lui soggetti; ma Don Bosco guardava al pericolo che quegli, non contento solo di comparire, volesse anche farla realmente da superiore. D'altra parte, dopo le diatribe davanti ai tribunali, le autorità sarebbero state con cent'occhi sopra i Salesiani, sicchè facilmente si sarebbero accorte se vi fossero congregazionisti e forestieri e avrebbero continuato a mettere incagli. “Meglio forse sarebbe, continuava Don Rua nella citata lettera, se il Commendatore intende proprio continuare l'impresa, che cominci ad avviarla con elemento affatto francese ed estraneo alla Congregazione, e poi mitigandosi i tempi e dando alquanto giù l'effervescenza presente, si potrà forse ritornare, specialmente se si tratterà di aprire un convitto”.

                Don Bosco vide subito quale fosse stata la causa di tanto male: si era avuta troppa fretta di cominciare la scuola libera. L'esperienza gli aveva insegnato che a far opere durature bisognava principiare dagli oratorii festivi: gli sviluppi ulteriori venivano poi di mano in mano col tempo e secondo le circostanze. Raccomandò pertanto al Conte di ritentare la prova a questo modo. [343]

 

                                Car.mo Sig. Conte,

 

                A suo tempo ho sempre ricevuto le care sue lettere, che mi hanno fatto molto piacere e mi diedero anche non poca pena. Dovevamo proprio aspettarci una cornata dalla parte del demonio, Però se noi ci fossimo tenuti al primo programma del Sig. Comm. Dupraz, forse avremmo evitato questo urto. Quel programma stabiliva oratorio festivo, scuola serale per questo anno; intanto sarebbesi veduto quanto avremmo dovuto fare. É un affare serio, quando si toccano le suscettibilità dei Municipii. Siamo quasi in identica posizione alla Trinità di Mondovì. Colà i maestri fanno di tutto per levarci gli allievi, e il Municipio dà appoggio ai medesimi. Ad ogni modo attendiamo la risoluzione del Pretore, a cui è forza di uniformarci.

                Giudico però sia bene di tenerci strettamente all'oratorio festivo colle scuole di carità nel senso stretto elementari. Don Rua le scriverà in proposito delle altre cose.

                In quanto alle altre nostre scuole non saranno disturbate, perchè a Nizza a Navarra, a Marsiglia insegnano ai soli artigianelli interni. A Marsiglia si insegna anche ai giovanetti della Maìtrise, ma sotto la responsabilità del curato della parrocchia.

                La prego di fare i miei umili ossequii al Sig. Comm. Dupraz ed alla Signora di lui Consorte, assicurandoli che io prego per la loro sanità  e pei comuni nostri interessi, affinchè riescano bene.

                Dio la benedica, o mio caro Sig. Conte, benedica le sue fatiche e quelle di tutti i nostri confratelli e preghi per me che le sarò sempre in N. S. G. C.

                Torino, 12 Dicembre 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Mi raccomando di non badare a spese per tutelare la sua sanità e quella dei nostri confratelli. Siano tutti ben coperti.

 

                Il Conte non potè recarsi a Torino se non nel gennaio del 188o. Ivi Don Bosco sottopose l'intricata questione all'esame del Capitolo Superiore; intricata diciamo, anche perchè il Commendatore Dupraz, avuto sentore che i Salesiani volevano ritirarsi, se l'ebbe molto a male e indirizzò a Don Rua una forte requisitoria contro un tale disegno, che a lui nel calore del momento sembrava non conforme a lealtà. Fu dunque stabilito di restringere la sfera di azione in modo da non dare appiglio a nuovi interventi dell'autorità e di cercare un istitutore da sostituire all'abate Vincent; si volle [344] inoltre che la ripresa avesse scopo di prova per la durata di un anno, nel quale il Capitolo avrebbe sopperito ai bisogni finanziari. Il conte Cays ricevette l'incarico di riferire al Commendatore queste decisioni[240].

                Dopochè il Direttore fece ritorno alla sua residenza, una nuova difficoltà insorse a intralciare l'andamento dell'oratorio. Aveva egli scritto al Vescovo di Annecy per l'esercizio delle facoltà accordate alla Congregazione, annunziandogli in pari tempo che fra breve si sarebbe proceduto alla benedizione della cappella secondo l'autorizzazione già da lui accordata. Se non che Monsignore gli rispose che, date le circostanze del momento assai ostili alle Congregazioni, credeva prudente non porgere pretesti a nuove accuse, tanto più che a rigore di diritto per aprire una cappella di tal fatta richiedevasi un'autorizzazione ministeriale. In pratica spesse volte si passava sopra a questa disposizione legislativa; ma dopo quanto era accaduto, si poteva star certi che la prefettura, appellandosi a quel tale articolo, avrebbe fatto chiudere la cappella. Fu dunque giocoforza soprassedere. Intanto sopravvenne la morte del commendatore Dupraz, anima dell'affare, e i Salesiani, che nell'estate erano venuti all'Oratorio per gli esercizi con poca probabilità di ritorno, nonostante le insistenze della vedova, si ritirarono del tutto. Del resto, la campagna che allora si conduceva in Francia contro le Congregazioni religiose, sconsigliava dal richiamare l'attenzione sui nostri, come sarebbe avvenuto, se si fossero rimandati i Salesiani a Challonges dopo i clamorosi incidenti di fresca data[241].

                Del resto, quello di Challonges non fu il solo caso, in cui la prudenza suggerisse a Don Bosco di non mettersi in vista, [345] ma di aspettare tempi migliori per dilatare l'opera Salesiana in Francia. Un lungo carteggio del Conte Cays con l'abate Comoy e con Don Bologna, durato dal gennaio al giugno del 1880, per l'apertura dì una casa a Fourchambault nel dipartimento della Nièvre, venne sospeso per ordine del Beato, quando comparvero i primi decreti ostili alle Congregazioni religiose non approvate.

 

EPISODIO DI ANNECY

 

                Prima di lasciare la Savoia noi dobbiamo dire di un episodio. in cui anche il conte Cays ebbe parte come segretario di Don Bosco per le lettere francesi[242]. Proclamato che fu San Francesco di Sales nel 1877 Dottore della Chiesa, le Suore della prima Visitazione di Annecy si accinsero a innalzargli un bel santuario, dove collocare in sede più degna e più accessibile al pubblico le sacre spoglie del lor Fondatore custodite allora nella cappella del monastero. I lavori vennero intrapresi nel 1878; ma dopo un anno i fondi raccolti erano pressochè esauriti, rimanendo ancora da provvedere alle decorazioni interne. Nel maggio del 1879 ecco giungere a Don Bosco una lettera della madre priora Maria Luisa Bartolezzi, che gli esprimeva il desiderio di vedere il suo nome legato a una pietra della nuova chiesa. Da Torino le arrivavano ricchi materiali in marmi, graniti, sculture, oggetti d'arte; sembrava quindi naturale che non dovesse mancare un omaggio da parte di chi alla sua Congregazione aveva dato il Vescovo di Ginevra per patrono. La lettera si chiudeva annunziando una prossima visita del confessore di quel monastero.

                Questa visita molto probabilmente non avvenne; infatti un mese dopo nella risposta redatta dal Conte Cays e firmata da Don Bosco non se ne fa il menomo cenno. Il Beato fra [346] l'altro diceva: “Voto del mio cuore sarebbe che la nostra Congregazione, posta sotto la protezione dell'amabile Dottore, avesse in cotesto santuario un altare a testimonianza della nostra divozione. Temo però che a tanto non mi bastino le forze. Avrei assolutamente bisogno di sapere prima se vi sia ancora un altare disponibile e a quanto ammonterebbe la spesa. Qualora io la trovassi proporzionata ai miei mezzi, ben volentieri me la assumerei. Non posso dunque obbligarmivi preventivamente, nè intendo pigliarmi impegni prima di conoscere l'onere a cui mi sobbarco”.

                Lieta della generosa offerta, la madre priora gli notificò senza indugio che due altari non avevano fino a quel punto trovato benefattori: l'altare del Sacro Cuore di Gesù e quello della Beata Vergine. “Ognuno di questi altari in marmo, aggiungeva essa, importerà una spesa da tremila a tremila cinquecento franchi. Ma se Ella si degna di unire il suo nome al nostro monumento in un altare speciale, non è nostra intenzione di esigere l'intera somma necessaria. Quel tanto che Ella potrà fare, sarà ricevuto con profonda gratitudine e aggiungerà nuovo lustro a una chiesa edificata mercè la carità dei figli prediletti del nostro glorioso Dottore”.

                Don Bosco, aspettando che da Annecy gli si mandasse un preventivo basato sii disegno d'architetto, non scrisse più nulla; non dimenticò tuttavia la sua promessa di concorrere secondo le proprie forze. Infatti il conte Cays, quando stava a Challonges e aveva occasione di recarsi ad Annecy, ricevette da lui l'incarico di rimettere a chi di ragione per quello scopo la somma di cinquecento franchi. Ma colà le cose avevano fatto il loro cammino: l'altare del Sacro Cuore era bell'e finito e la cappella elle lo conteneva, molto ben decorata, e il tutto a spese di Don Bosco per la somma di cinquemila franchi, sicchè l'offerta anzidetta si considerò come un piccolo acconto. Chi tace consente, avevano pensato ad Annecy; chi tace non dice niente, aveva ragione di rispondere Don Bosco, elle erasi riserbato di dire l'ultima parola, [347] quando avesse sott'occhio il progetto. Restandosi sui tremila franchi, egli si sarebbe ingegnato di soddisfarvi parte in contanti, ma il più in materiali e sculture favoritigli da marmisti torinesi, suoi amici. Trovare invece lì per li cinquemila franchi era un affar serio per lui, che aveva già sulle braccia la costruzione di parecchie sue chiese.

                La Provvidenza anche quella volta gli venne in aiuto. Il Conte Cays, ritornato nell'estate da Cliallonges, narrò il caso a un suo vecchio confidente e zelante cooperatore salesiano, al barone Feliciano Ricci des Ferres. Questi fu ben contento di potersi valere della buona occasione per liberarsi la coscienza da uno scrupolo. Egli aveva acquistato in Torino uno stabile, appartenuto già alle Suore della Visitazione e tolto loro al tempo della dominazione francese[243]. É vero che in forza del concordato fra Pio VII e Napoleone 1 chiunque avesse acquistato beni dai religiosi non si doveva più inquietare; ma il Barone, delicatissimo di coscienza, avrebbe voluto un'assicurazione tangibile di benestare. Onde, recatosi da Don Bosco, gli manifestò l'idea di fare la seguente proposta: egli verserebbe alla Visitazione di Annecy franchi quattromila in due rate uguali e in cambio le Suore o ricuperassero l'immobile al prezzo di compera con l'indennità dei restauri fatti dal compratore o gli ottenessero dalla Visitazione di Torino un documento, da cui risultasse nulla ostare da parte loro a che la casa anzidetta rimanesse in sua proprietà. Fu pregato il confessore della prima Visitazione a fare da intermediario. Si può agevolmente immaginare in che modo la faccenda andasse a finire. Meglio di così giammai non avvenne che si pigliassero, come si dice, due piccioni a una fava[244]. [348]

 

RANDAZZO.

 

                Una delle fondazioni che più hanno onorato e onorano il nome del Beato Don Bosco è certamente il collegio San Basilio di Randazzo. In cinquantatrè anni ha prodotto una somma tale di buoni frutti, che ben possiamo passar sopra a difficoltà e a inconvenienti temporanei, che talora ne minacciarono financo l'esistenza. La sua rigogliosa vitalità ha resistito a ogni prova, sfatando le diffidenze sorte in taluni la sera del 24 ottobre, allorchè dopo tanto aspettare si vide giungere un manipolo di giovanissimi chierici sotto la scorta di un sacerdote dall'aspetto piuttosto sofferente, e vincendo i timori di altri che in tempi di sì verde anticlericalismo non credevano possibile aprire nella Sicilia una scuola privata per opera di religiosi.

                E' Randazzo un grosso borgo della Sicilia, che ab antico ha nome di città. Fabbricato sulla lava e con la lava nera dell’Etna riposa quasi sulle ginocchia del gigante, che vede esalar fumo e biancheggiare di nevi perenni a duemila cinquecento metri più in alto. Negli anni di cui parliamo non esisteva ancora la ferrovia circumetnea: la linea ferroviaria più vicina era quella che da Messina conduce a Catania, distante circa trenta chilometri. Vi si arrivava con una diligenza di vecchio stile, che scesa di buon mattino a Piedimonte Etneo, rimontava faticosamente a tarda sera. In quell'angolo remoto Don Bosco andò a piantare il suo primo nido su terra sicula.

                Vivono a Randazzo famiglie assai ragguardevoli per tradizioni avite, per ricchezza di censo e per uomini di alta levatura, non fa quindi meraviglia se anche là fu sentito presto il bisogno di provvedere alla pubblica istruzione in [349] modo conforme alle esigenze dei tempi. Fino dal 1862 il Municipio volse la mira a fondare un collegio; ma le difficoltà non erano né poche nè lievi. Nel 1867 si fece un primo passo risoluto con l'ottenere per questo scopo dal Governo la concessione del già monastero dei Basiliani. Se non che la scarsità dei mezzi e il non sapersi a chi affidare l'ideata istituzione fecero sì che s'arrivasse al 1878 senz'aver conchiuso nulla. Quell'anno cittadini autorevoli, calpestando tutti i pregiudizi, si proposero d'invocare il caritatevole concorso di qualche corporazione religiosa. Fermato questo concetto, restava a scegliere il sodalizio a cui rivolgere la preghiera. Un giorno l'arciprete Don Francesco Fisauli, recatosi dal Vescovo di Acireale, da cui Randazzo dipende, entrò in quel discorso e disse del disegno fatto e dell'incertezza sulla scelta.

                - Perchè non vi dirigete a Don Bosco? l'interruppe Monsignore.

                - Don Bosco? chi è questo Don Bosco?

                - Come? non conoscete Don Giovanni Bosco da Torino?

                L'arciprete si strinse nelle spalle. Allora il Vescovo gliene raccontò brevemente la storia. Quegli, tornato a Randazzo, infiammò gli amici, che senza por tempo in mezzo misero mano all'opera[245].

                La preparazione procedette laboriosa. Chi agiva era l'arciprete, di cospicua famiglia locale; ma il movente, l'ispiratore, l'anima nell'impresa fu un nobile e benemerito randazzese, il cavaliere Giuseppe Vagliasindi Romeo, che specialmente da consigliere provinciale presentò il progetto alle autorità civili, facendolo accettare là dove le autorità ecclesiastiche non avrebbero mai potuto trovar ascolto. Egli poi fino agli ultimi giorni della sua vita rimase fedele ai Salesiani, costituendosi tutore e difensore del collegio contro tutto e contro tutti. Altri nell'istituzione non vide se non la maniera di conciliare i bisogni dell'istruzione con gl'interessi del bilancio; [350] ma il Vagliasindi, pur non trascurando i vantaggi intellettuali uniti con quelli materiali, aveva mire più elevate, volendo anche l'educazione cristiana della nuova gioventù. Giovane allora ma influentissimo, temperamento politico ma insieme coscienza cristiana, riuscì in pieno regime massonico a strappare dalle autorità tutorie tutte le necessarie autorizzazioni per un'opera così apertamente religiosa. Nè si contentò di agire con la prudenza voluta dalle malaugurate condizioni del tempo, ma vi accoppiò anche un'umile riserbatezza, per la quale soltanto dopo la morte di lui è venuto in piena luce il suo operato, mentre potè altri passare per vero protagonista in vece sua. Il Beato, che era a giorno delle sue benemerenze, gli fece pervenire più volte i suoi cordiali ringraziamenti per tutto quanto egli aveva fatto e avrebbe continuato a fare in pro del collegio San Basilio[246].

                Dopo il dialogo dell'arciprete col Vescovo vennero aperte le trattative con Don Bosco. Questo si fece mediante una lettera stesa dal Vagliasindi[247], ma fatta stia dall'arciprete e trasmessa da Monsignore al Beato con calde raccomandazioni[248]. Sembra però che già in aprile il Vagliasindi con lettera privata facesse a Don Bosco una prima apertura sull'argomento, dandogli notizie topografiche, edilizie, morali e finanziarie che potevano giovare allo scopo[249]. La risposta venne tosto favorevole: il Beato essere pronto ad aprire in Randazzo scuole tecniche e ginnasiali con un convitto e ad assumervi l'insegnamento primario; nulla fissare allora per l'assegno, ma inviare la convenzione stipulata col municipio [351] di Alassio, perchè servisse di norma; fra non molto dover giungere colà qualche suo rappresentante[250]. Si alludeva con queste ultime parole al disegnato viaggio di Don Cagliero e di Don Durando.

                Ufficialmente dinanzi al Consiglio comunale il nome di Don Bosco non risonò se non nella seduta del 28 gennaio 1879 per bocca del consigliere provinciale Giuseppe Vagliasindi[251], il quale riferì delle trattative intavolate, incontrando le generali approvazioni. Il 3 marzo arrivarono i due inviati, che si trattennero a Randazzo sei giorni. Scrisse Don Cagliero[252]: “Abbiamo avuto un ricevimento ufficiale da quel Municipio, inspirato a trattare con noi non da motivi materiali, ma da spirito cristiano, desiderando un'istruzione soda, sana e religiosa”. In vista di si buone disposizioni e considerando che i Salesiani erano “la prima Congregazione chiamata a riedificare in Sicilia sulle rovine degli ordini religiosi distrutti e dispersi nell'ultima soppressione”, i due negoziatori s'indussero a procedere con maggior larghezza che non comportassero le istruzioni ricevute. Pigliando per base il capitolato più blando di Alassio, anzichè quello più esigente di Varazze, portato con loro e preferito da D. Bosco, stipularono il 7 marzo col municipio per la durata di cinque anni una convenzione, che, approvata il 29 aprile dal Consiglio scolastico provinciale, ebbe subito dopo forma legale[253]. Allorchè tutto fu in ordine, Don Bosco indirizzò al sindaco “una compitissima lettera, la quale, come scriveva l'Arciprete[254], oltrechè fu di grande soddisfazione ai membri del Municipio, riuscì anco gradita a quanti ebbero la fortuna di [352] leggerla o sentirla riferire”. Infine mandò a Randazzo Don Antonio Sala, consigliere del Capitolo Superiore, affinchè dirigesse i lavori ordinati dal, Municipio per la buona sistemazione dei locali.

                A tenore del contratto, le scuole e il convitto si dovevano aprire sul principio dell'anno scolastico 1879-8o. Direttore della nuova casa fu nominato Don Pietro Guidazio, ormai libero da Montefiascone. Egli partì da Torino il 19 ottobre con il suo personale. Durante il viaggio vide quanto fosse conosciuto e stimato Don Bosco nell'Italia meridionale. A Napoli non gli si voleva lasciar celebrare la messa, perchè privo del celebret; ma gli bastò dire che era un prete di Don Bosco, perchè non solo gli si permettesse di celebrare, ma si traessero fuori bellissime paramenta e gli si usasse ogni sorta di gentilezze. A Messina poi l'Arcivescovo monsignor Guarino li colmò di cortesie. Erano in dieci: servi loro di propria mano il caffè e quindi fece allestire nel seminario un comodo alloggio e quanto occorresse per il vitto. Il Direttore inoltre ricevette ivi molte visite di preti e di laici ragguardevoli, bramosi di conoscere i Salesiani e le cose loro. Partirono il giorno dopo l'arrivo, edificati dalla bontà di quell'eminente Pastore, che voleva essere considerato come Salesiano. Non pago di tanto, egli scrisse al Servo di Dio una lettera affettuosissima, augurandosi che s'avverasse l'annunziatagli possibilità di accogliere fra breve lui stesso in Messina[255].

                A Randazzo i Salesiani erano attesi dal clero e da molto popolo, che li accompagnarono al collegio, guardandoli con meraviglia così giovani, ma con rispetto. In casa furono visitati dalle autorità civili. Un'eco della buona impressione provata da Don Guidazio per quelle accoglienze si ha nel seguente periodo della sua prima lettera a Don Bosco[256]: “Insomma io trovo tutto bello per ora; bello il cielo, ameno [353] il paese, grandioso il collegio, quando tutto sia sistemato, e ottima la popolazione”. Terminava poi con questi sentimenti: “Noi siamo pieni di buona volontà e, se occorre, coll'aiuto di Dio faremo miracoli; ma abbiamo bisogno che l'Oratorio non ci dimentichi e che Ella, Signor Don Bosco, ci raccomandi a Maria Ausiliatrice ed al nostro Patrono S. Francesco, che ci conceda parte di quella dolcezza e zelo per le anime, con cui Egli operò tanti prodigi a maggior gloria di Dio. Ci mandi, amatissimo Sig. Don Bosco, la sua benedizione e si assicuri che, noi faremo ogni sforzo per renderci sempre più degni del nome che portiamo di Salesiani e figli di Don Bosco”.

                Le domande di ammissione per il convitto arrivavano già alla cinquantina. Don Sala, rimasto là fino ai primi di novembre, aveva trasformato il monastico edifizio e le sue adiacenze in una gaia dimora per i nuovi e vispi abitatori. L'ingresso era fissato per il 12 novembre. Dopo, un mese Don Guidazio descriveva l'andamento dei giovani mostrando, senza volerlo, quali fossero anche in Sicilia i salutari effetti del metodo di Don Bosco[257]. “Non può credere, diceva, quanto questi giovani ascoltano volentieri e accolgono con venerazione i consigli di Don Bosco. Se mi trattenessi un'ora a parlare di Don Bosco, non vi è pericolo che facciano un atto d'impazienza. Sono poi così docili ed ubbidienti, che noi stessi ne siamo meravigliati. Impreteribilmente tutte le domeniche ed altre feste s'accostano ai santi Sacramenti [ ... ]. I parenti sono soddisfattissimi dei loro figliuoli, vedendoli tanto allegri e che preferiscono la vita del collegio a quella della famiglia. Infatti molti di essi desideravano averli a pranzo con loro nel giorno di Natale e ne fecero la domanda. Io risposi non poterli compiacere, chè la regola non lo permetteva; e instando essi, feci venire avanti gli stessi figli, ed alla presenza de' parenti dimandai se volevano andare a pranzo in famiglia oppure pranzare con noi in collegio, e [354] neppur uno vi fu, elle non rispondesse voler fermarsi in collegio; del che soddisfatti i parenti, cessavano dall'importunarci, contentandosi di mandare in collegio somari carichi di dolci pei giovani e pei superiori. Per tenere allegri e contenti questi ragazzi abbiamo trovato un mezzo molto semplice, quello del piccolo clero, vestendone otto o dieci per sera durante la novena [ ... ]. Vedere come questi giovani, specialmente gli adulti, vanno matti per servire alle funzioni vestiti da chierico [ ... ]! Abbiamo già fatto due volte il teatrino pei soli giovani”.

                Presso un collegio di Don Bosco non poteva mancare l'oratorio festivo. Don Stefano Trione, mosso a pietà dallo spettacolo di tanti ragazzi del basso popolo privi d'ogni istruzione, appollaiati in miseri abituri e abbandonati a se stessi per le strade, si sentì spinto a occuparsi di loro, raccogliendoli alla festa e trattenendoli in un ambiente più umano. Manifestò la sua idea al Vescovo, che non solo l'accolse bene, ma gli consigliò di far presto e lo raccomandò al clero locale. Ebbe così a sua disposizione una chiesa deserta e l'uso di banchi accatastati altrove, e l'oratorio fu bell'e aperto con l'intervento di circa duecento poveri ragazzi. Era per lui argomento di grande consolazione il vedere come quei monelli, avvezzi a proferire parole sozze, a imprecare, a bestemmiare chiamando santo il diavolo, secondo la mala usanza dell'isola, si venissero gradatamente trasformando. Naturalmente per attirarli ricorreva ai soliti amminicoli; preparava per loro piccole lotterie, li divertiva con l'opera dei pupi o teatro delle marionette, prometteva alla lunga qualche passeggiata coli merenda in campagna

                  Lo aiutavano in tutto questo un chierico e alcuni giovani del ginnasio, che gli facevano anche da interpreti per il dialetto siciliano, prestandogli mano a mantenere il buon ordine sia in chiesa che nella ricreazione. Con la carità appresa da Don Bosco si guadagnò l'affetto di quei poverini, istruendoli nelle cose di religione e rialzandoli dall'abiezione in cui languivano.

                Nella primavera del primo anno scolastico due preziose [355] visite rallegrarono il collegio San Basilio. Monsignor Guarino, da un paese della stia archidiocesi limitrofo al territorio randazzese volle andar a vedere nel loro campo di azione i tanto decantati figli di Don Bosco. Stette con essi una settimana, facendosi piccolo coi piccoli, intrattenendosi piacevolmente con gli alunni e pigliando anche parte ai loro trastulli, come vedeva praticarsi dai superiori. Un'accademia in suo onore molto gli piacque. Partì con l'intima persuasione che l'opera di Don Bosco fosse veramente provvidenziale per i tempi che correvano. Circa un mese dopo anche monsignor Genuardi, Vescovo della diocesi, si compiacque di gradire l'ospitalità dei Salesiani. Fu ricevuto coi debiti onori e festeggiato con la rappresentazione di una commedia latina; il che fece trasecolare quanti erano in grado di portar giudizio sulla cosa. Per tutte le vie insomma la buona riputazione del collegio si affermava nel luogo e si diffondeva nell'isola.

                Ogni medaglia però ha il suo rovescio. Don Rua aveva messo sull'avviso Don Guidazio di non dare troppo peso alle prime impressioni[258]; col tempo i fatti giustificarono il consiglio. Ostilità settarie di provveditori e d'ispettori governativi, freddezze di autorità comunali, difficoltà interne misero talvolta a dura prova la fermezza del Direttore, che per altro e con l'abilità propria e mercè la cooperazione efficace del fido cavaliere Giuseppe Vagliasindi furono sempre trionfalmente superate. Due assicurazioni erano state perentoriamente date da Don Bosco. A Don Guidazio accomiatandolo egli aveva detto: Non temere. A Randazzo farai tante belle cose. Don Bosco ti benedice e pregherà per te. - E sotto l'ispirazione del Beato era stata espressa poco prima “la più viva fiducia” che quella prima casa aperta in Sicilia sarebbe andata prosperando e divenuta “come la semente di molte altre”[259]. Entrambi gli auspizi hanno avuto la più eloquente conferma dai fatti.

 

 

CAPO XIV. Spigolando per diversi luoghi e tempi attraverso il 1879.

 

                PARECCHIE non trascurabili cose o coserelle, che non presentavano alcun addentellato con altre parti del nostro racconto, saranno riunite in questo capo, sicchè, di quanto sappiamo intorno alla vita del Beato durante il 1879, nulla vada perduto. É un gruppo di svariate particolarità riferentisi quasi per intero a case d'Italia e di Francia.

 

                A LANZO: VISITE, MUNICIPIO, ESERCIZI.

 

                A Lanzo di richiama anzitutto lo scioglimento di un voto, al quale il collegio si era obbligato fino dal 1873. In quell'anno terminata appena la costruzione del nuovo edifizio che si erge imponente di fronte alle prealpi, una minaccia di crollo aveva messo in trepidazione i superiori: il lato destro e la sesta colonna del porticato più lungo cominciavano a cedere. Si corse ai ripari; ma il Direttore Don Lemoyne atterrito ne riferì subito a Don Bosco. Il Beato senza scomporsi gli disse di affidare a San Giuseppe la custodia della colonna pericolante, facendo voto di porre nel cortile una colonna simile con la statua del Santo Patriarca. Il pericolo venne scongiurato; ma, mentre, come suol accadere nei cambiamenti del personale, s'indugiava a mantenere la promessa, un fatto nuovo [357] ne rinfrescò la memoria. Nel 1877 un Piccolo convittore torinese per nome Vittorio Emanuele Salvini, trastullandosi sul secondo pianerottolo dello scalone, si sporse tanto dalla ringhiera, che piombò nel vuoto; ma per una strana congiuntura andò a cadere proprio sulle ginocchia del Direttore Don Scappini. Entrambi nel momento della disgrazia invocarono ad alta voce San Giuseppe e rimasero perfettamente illesi. Ciò saputo, Don Bosco sollecitò l'adempimento dell'obbligazione contratta; ma il monumentino non fu pronto se noli per il 19 marzo del 1879. Il Servo di Dio che annetteva la massima importanza alle manifestazioni religiose, volle intervenire all'inaugurazione, a cui parteciparono pure molti forestieri. Per la solennità il chierico Grosso, che tanti allori doveva mietere nel campo della musica sacra, compose un inno, eseguito con accompagnamento di banda dai musici dell'Oratorio sotto la direzione del maestro Dogliani. A ricordo perenne della grazia e del voto Don Bosco dispose che in onore di San Giuseppe si desse ivi ogni mercoledì la benedizione col Santissimo, come tuttodì si costuma.

                Le gite di Don Bosco a Lanzo erano ancora abbastanza frequenti. Vi tornò nel buono della primavera, al tempo dei nidi, nella quale occasione accadde un episodio caratteristico. Durante il passeggio alcuni convittori scopersero, presero e portarono in collegio una nidiata di merli, che nascosero nel dormitorio dentro una cassetta; ma ben presto le povere bestiole soccombettero una dopo l'altra al trattamento degl'inesperti allevatori. Morto l'ultimo uccellino, i ragazzi s'accordarono di dargli onorata sepoltura; onde nel tempo della ricreazione fecero il trasporto, scimiottando le cerimonie usate dalla Chiesa nei funerali. Lo accompagnarono dunque come all'ultima dimora con canti liturgici, con aspersioni e infine con discorso. Don Bosco da una finestra seguì tutto lo svolgersi della scena; poi durante lo studio mandò a chiamare colui che era stato il protagonista della birichinata. Con aspetto grave gli fece capire la brutta cosa che aveva fatta, [358] una vera profanazione da non doversi ripetere mai più. Non appena quindi vide il bricconcello tutto compreso del proprio fallo, mutò registro; disse che perdonava a lui e agli altri, e nel congedarlo gli regalò un pacco di caramelle da distribuire anche ai suoi complici. La lezione ci voleva e ci fu; ma nel modo d'impartirla c'era tutta l'anima e il sistema educativo di Don Bosco[260].

                Nel settembre dell'anno medesimo scadeva la convenzione col Municipio; ora, dati i precedenti di cui ci siamo occupati nell'altro volume, Don Bosco pensò di tastare il terreno per conoscere quali fossero le definitive intenzioni del Consiglio comunale. Onde scrisse al sindaco:

 

                               Ill.mo Sig. Sindaco,

 

                Nel testè passato mese di Luglio avendo fatta una gita a Lanzo, ho osservato esservi necessarie riparazioni non leggere ma indispensabili, sia per l'uso, sia per la conservazione dell'edifizio del Collegio. Ad evitare guasti maggiori fo preghiera a V. S. a voler dare gli ordini opportuni nella buona stagione, perchè facciansi eseguire le mentovate riparazioni. Nella stessa occasione mi fo dovere di richiamare a memoria che coll'anno scolastico 1880-81 termina la capitolazione conchiusa tra lo scrivente e questo municipio; invito perciò la S. V. a volermi significare quali siano le intenzioni di V. S. a questo proposito, affinchè si possano prendere in tempo utile quelle deliberazioni che saranno del caso. Attendo un qualche riscontro dalla nota di Lei cortesia, mentre ho l'onore di potermi professare di V. S. e di tutti i rispettabili consiglieri municipali di Lanzo

                Torino, 23 Agosto 1879.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La risposta non lo soddisfece nè punto nè poco; perciò dispose che i Salesiani, abbandonati i locali del già convento, si concentrassero nel nuovo fabbricato, dove Pertanto furono trasferite anche le scuole elementari. Nè il sindaco se l'ebbe a male, come si vide alla vigilia della riapertura. Il Provveditore, che conduceva allora la lotta contro il ginnasio dell'Oratorio [359], rivolse pure la sua attenzione al collegio di Lanzo, chiedendo al sindaco informazioni sul suo andamento e la nota dei maestri elementari e degl'insegnanti ginnasiali. Informato della cosa, Don Bosco abbozzò una risposta, da cui traspare tutta la stia fermezza e che il sindaco semplicemente ricalcò.

 

PROMEMORIA.

 

                Ricevuta la nota del Sig. Provveditore agli studi del 14 corrente sett. sull'andamento del Collegio di Lanzo, il Sindaco sottoscritto volle visitare ed interpellare il Direttore del medesimo, e lo trovò in ogni cosa accondiscendente; e sebbene negli anni addietro egli abbia sempre spedito la nota dei maestri allo stesso uffizio provveditoriale, tuttavia sul cominciare dell'imminente anno scolastico, verrà da questo municipio inviato nome e cognome dei tre maestri elementari muniti di regolari patenti. Riguardo poi agli insegnanti del ginnasio si prega il Sig. Provveditore a volerne egli stesso ricevere la nota dal Direttore del Collegio, in vista della tenue quota con cui il Municipio concorre pel ginnasio. E questo è il motivo per cui si contenta di insegnanti idonei, senza pretendere che siano patentati. In questa medesima occasione, siccome ne fu già richiesto dal R. Provveditore, crede far cosa non discara al Provveditore stesso assicurandolo, che il procedimento di questo Collegio fu sempre di piena soddisfazione in tutto ciò che si riferisce alla moralità, disciplina, profitto degli allievi, e tutto questo perchè se ne ebbe sempre a lodare. E' vero che ultimamente si trovarono in classe maestri...

 

                Don Bosco presentò le liste volute. Circa l'andamento del collegio esiste una testimonianza che con ogni probabilità si connette con gli studi allora in corso presso il Ministero sull'ordinamento degl'istituti per corrigendi[261]. Nel 1879 il dottor Giulio Benelli, direttore del carcere giudiziario di Torino, forse per raccogliere elementi utili alla compilazione di un nuovo regolamento dei riformatorii governativi, visitò i collegi salesiani, cominciando da quello di Lanzo. Quali fossero le impressioni da lui riportate nelle sue visite, si legge in un articolo che egli pubblicò nove anni dopo sulla Rivista di discipline carcerarie[262]. Eccone la parte più notevole: [360] “Negli istituti dì Don Bosco che visitai trovai un grande ordine, un grande affetto pei Superiori, un forte sviluppo d'istruzione nei giovani, una fiducia cieca, illimitata nei loro precettori. Il primo che osservai fu quello di Lanzo nel. 1879. Pochissimi sacerdoti provvedevano a tutto: un loro cenno, dato col sorriso sulle labbra, come preghiera d'amico cortese, era eseguito colla rapidità del lampo [ ... ]. Tutto all'intorno spirava un'aria di quiete, di beatitudine da incantare. E' facile immaginare come ne rimanessi io, che poche ore prima avevo lasciata La Generala coi suoi stridenti cancelli, colle inferriate e con un buon nerbo di guardie carcerarie e di soldati! Trovai allora quanto doveva essere vero il fatto narrato dal conte Connestabile, che il Don Bosco avesse un giorno accompagnato da solo trecento corrigendi della Generala fino a Stupinigi, ottenendo a stento tale concessione dall'allora Ministro Rattazzi, che voleva far circondare detti giovani almeno da carabinieri travestiti. E d'allora mi nacque la convinzione ormai incrollabile che se purè è possibile sperare di ottenere l'emenda ed il buon avviamento di fanciulli traviati od abbandonati, gli è solo col crescerli in un ambiente di rigida disciplina (e cioè di disciplina senza transazioni), ma accompagnata da quella mite dolcezza, che deve spirare nelle famiglie bene ordinate ed all'onesto vivere avvezze. Il sistema disciplinare degli istituti di Don Bosco non è a base d'intimidazione. Un solo chierichetto basta a tenere a bada una grande comitiva di giovinetti. Prima e più ancora di curare l'istruzione materiale della scuola, ai giovinetti s'impartisce con cura assidua l'educazione del cuore. Fra quei chierici che vi fanno da precettori, vi sono tutt'altro che aquile d'ingegno, ma giovani tutti di modi insinuanti e di buona educazione morale. Questi a contatto continuo coi giovanetti, sono un forte coefficiente al bene. Il fanciullo non è lui, è imitazione; ed i fanciulli degli istituti di Don Bosco hanno ottimi modelli da imitare. Ecco come si spiegano i risultati che vi si ottengono”. [361] Nel settembre Don Bosco presiedette in Lanzo a due turni d'esercizi spirituali. Il primo durò dal 3 al io, con duecentocinquanta esercitandi, fra cui i chierici ascritti. Questi da San Benigno andarono a piedi fino a Ciriè, donde proseguirono in treno fino a Mathi; qui, visitata la cartiera e incontrati quei che venivano da Torino, si accompagnarono con loro in treno fino alla mèta. Là trovarono già Don Bosco, che di salute stava “mediocremente bene”, dice la cronaca[263].

                La sera del 5 nella “buona notte” il Beato troncò una questione che si trascinava da parecchi anni. Più volte, come si è visto, egli aveva espresso il desiderio che si facesse a meno dei voti triennali, ma senza che si venisse mai a una decisione, perchè da alcuni dei Superiori si riteneva offrire la professione temporanea un buon mezzo per conoscere meglio i soggetti. Quella volta invece Don Bosco tagliò il nodo, nè appresso fece più parola di ciò con nessuno. Disse adunque così: “Prima di avvisare che coloro i quali desiderano di farsi inscrivere, diano il loro nome, bisogna che io dia un altro avvertimento, ed è che questo è l'ultimo anno, in cui si facciano i voti triennali. Un altr'anno chi li desidera fare li farà subito perpetui. Si è provato che i voti triennali sono una tentazione troppo grande per molti. Passato un anno in Congregazione, ciascuno capisce abbastanza se Iddio lo chiami a questa Congregazione e se si sente le forze sufficienti oppure no; epperciò è in grado di deliberare e di dire: -Faccio i voti perpetui, oppure, prendo un'altra via. Quest'anno però i voti triennali si fanno ancora, perchè l'anno scorso non si era ancora avvisato di questo; anzi resta piena libertà a chi ha fatto domanda pei voti perpetui, di farla per i triennali, come pure a chi l'ha fatta pei triennali, di farla pei perpetui”. Il Beato ripetè poi il medesimo avviso in tutte tre le altre mute di quell'anno. Si vede tuttavia che in pratica egli rifuggiva tanto dall'imporre pesi superiori [362] alle forze quanto dallo smorzare qualche lucignolo fumigante; infatti basta consultare i catalogi, per rilevare come nuove professioni triennali non siano mancate mai.

                Nella solenne cerimonia per l'emissione dei voti Don Bosco parlò; ma del suo discorso possediamo soltanto l'esordio. “Si accrescono, disse, di giorno in giorno le file dei nostri Confratelli, cioè di coloro elle corpo ed anima si consacrano al Signore per mettere in sicuro la salvezza dell'anima propria e per salvare anime altrui. Oh che grande consolazione è mai questa per me! Vedere che all'insaputa del mondo si preparano tanti per uscire a far del bene! E' proprio il Signore che lo vuole e perciò benedice in questo modo. Il mondo non ne sa nulla; fuori che noi qui e quelli che hanno relazione con noi [nessuno ne sa]. Tanti anni fa si fece la prima muta di esercizi, ed allora eravamo quattordici in tutto. Allora la Congregazione non esisteva ancora. Di questi quattordici, dodici erano esterni, perchè Don Bosco allora non aveva che due interni, La seconda volta elle si fecero, erano cresciuti a trentadue. Ma quando la Congregazione prese forma, allora si scelse di fare gli esercizi a Trofarello. Mi ricordo elle un anno alla seconda muta non vi erano che sedici. Ma in breve tutto quel locale diventò insufficiente e si dovette abbandonare e si venne a fare gli esercizi in Lanzo. Qui si crebbe in modo che, cominciando dall'anno scorso, neppure più le due mute consuete bastarono e se ne fece una terza a Sampierdarena. Quest'anno siamo obbligati a farne una anche ad Alassio. Questa prima muta ascende al numero di duecento cinquanta esercitandi e sento elle la seconda non sarà inferiore a questa. Non si vede qui patentemente la mano di Dio? Ma in un luogo là della Sacra Scrittura il Signore fece dire: Multiplicasti gentem, sed non magnificasti laetitiam. Dovrà dirsi questo anche di noi? Io spero di no. Mettiamoci tutti bene d'accordo perchè ciò non avvenga. Sapete che cosa vi si richiede? Una parola sola. Io non voglio dirvi tante cose, perchè si vada avanti belle. Una cosa sola: Osservanza. Osservare [363] le nostre Regole. Gl'istituti religiosi andarono sempre avanti bene, finchè vi fu l'osservanza. Quando decaddero? Quando questa cominciò a decadere o si ruppe”. Il paragonare con l'umiltà delle origini i progressi fatti dalla Congregazione, diventa sempre più, per dir così, un suo tema obbligato, quando vuol animare specialmente i Salesiani giovani all'amore della loro vocazione.

                Anche nel secondo corso d'esercizi Don Bosco predicò dopo le professioni. La cronaca ci ha salvato solo un tratto sulla temperanza, dicendolo opportuno a far conoscere il suo spirito riguardo alla pratica di questa virtù. Parlando dei danni morali causati ai giovani dall'intemperanza specialmente nell'uso del vino, raccomandò: “Si procuri da ciascuno di stare in regola, mangiando e bevendo quel tanto che gli può abbisognare e non più. Sarete, per esempio, invitati a pranzo, oppure la necessità o la convenienza vorrà che ci si vada, e quivi troverete abbondanza di cibi e di bevande; state pure allegri, non si voglia fare il ritroso: dacchè si ha questa occasione, si fa qualche cosa più dell'ordinario. Ma siano ben misurate le proprie forze, misurati i propri bisogni: nessun eccesso, nessuna intemperanza, e in questo essere rigorosi con noi medesimi. Accadrà invece altre volte che manchi la razione ordinaria; ebbene si profitta della circostanza per fare un po' di mortificazione allegra. Si dirà: - Ho bisogno di digiunare qualche volta per vincere le mie tentazioni; dacchè l'occasione mi si presenta, scelgo oggi. E se maggiore è l'appetito e più grande il bisogno di lavorare, si dirà: -Questo digiuno e questo lavoro fatto a stomaco vuoto varranno assai più, perchè non è di mia scelta, ma disposto dal Signore -”.

 

A VALLECROSIA: COSTRUZIONI.

 

                A Vallecrosia i protestanti, che si vedevano troncate a mezzo le loro mal concepite speranze, non se ne potevano dar pace. Il pastore evangelico e il direttore dell'asilo valdese [364] sfogarono il proprio maltalento in un opuscoletto intitolato: Poche parole agli abitanti dei piani di Vallecrosia e villaggi circonvicini. Vi si faceva strazio della storia, della verità e del buon senso. Lo scopo era di eccitare le popolazioni contro la casa di Maria Ausiliatrice. Il Bollettino di luglio vi rispose per le rime; ma ci voleva una risposta più che di parole.

                Gli eretici agognavano di ottenere che Salesiani e Suore sloggiassero da Vallecrosia; Don Bosco invece aveva già studiato il modo di cambiare l'umile cappella in una grande chiesa che bastasse ai bisogni spirituali dei cattolici, e voleva dare una decorosa sede alle scuole d'ambo i sessi. Il nuovo Vescovo monsignor Tommaso dei marchesi Reggio, proseguendo nell'opera del suo predecessore, caldeggiava l'impresa. In una circolare del 12 giugno “alle anime generose e pie”, descritto a vivi colori il pericolo dell'invasione protestante, taceva appello alla carità di grandi e piccoli, di ricchi e poveri, perchè tutti contribuissero con offerte in danaro, con prestazione d'opera, con oggetti di valore, con materiali d'ogni genere. Egli istituì anche un'apposita commissione di cinque sacerdoti e quattro laici, che avvisassero ai mezzi di propaganda nella diocesi; ma la parte più onerosa gravava sempre sulle spalle di Don Bosco, che il Vescovo nominava due volte nella sua lettera con termini assai onorifici.

                Nonostante le lotte che in quel tempo doveva sostenere, e le spese necessarie per la chiesa di San Giovanni Evangelista, il Beato sempre calmo, sempre disposto a far del bene, ci si mise con tutta l'alacrità possibile. Dovette superare non poche nè piccole difficoltà per arrivare all'acquisto del terreno indispensabile. In agosto scrisse al direttore Don Cibrario:

 

                                Car.mo D. Cibrario

 

                Finora non mi fu possibile occuparmi seriamente della progettata costruzione Vallecrosia, ma adesso ci sono ad hoc et propter hoc. Procura adunque di parlare col Sig. Can. Cassini o con altri e sappimi dire:

                I° Se non fu ancora scritto al Papa e si giudica che scriva io stesso con o senza la pastorale o meglio circolare di Mons. Reggio. [365]

                2° Se la scheda stampata all'Oratorio è già venuta a vostre mani, se soddisfa oppure vi siano delle modificazioni a farsi.

                3° Se la lettera da unirsi alla scheda è già fatta, o se debbo occuparmene io. Tu mi, dirai questo ed altro che occorra, ed io procurerò di soddisfare a tutto e prontamente.

                Saluta tutti i nostri amici, e credimi sempre in N. S. G 3. C.

                Torino, 24 Agosto 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Il disegno è terminato? I lavori sono cominciati? E' inutile rivolgersi alla Duchessa di Galliera, elle non riceve.

 

                Al Papa scrisse poi egli stesso con lo scopo di ottenere da Leone XIII benedizioni e sussidi, che invogliassero i buoni a largheggiare in soccorsi.

 

                                Beatissimo Padre,

 

                Umilmente prostrato ai Vostri Sacri Piedi, Beatissimo Padre, col massimo rispetto espongo quanto segue:

                In Valle Crosia, paese tra Ventimiglia e Bordighera, in questi ultimi anni avvenne tale invasione di Protestanti, che tutti i paesi vicini ne sono minacciati. Il Vescovo di quella diocesi, Mons. Reggio, esprime con dolore lo stato religioso di quella porzione del suo gregge colla commovente circolare di cui mi fo ardito umiliarne copia a V. S. a nome dello stesso Venerando Prelato.

                A fine di porre qualche riparo alla minacciante eresia quattro anni or sono fu provvisoriamente preso a pigione un edifizio che doveva servire per le scuole, per la Chiesa e per abitazione degli insegnanti. Ma ciò è una vera meschinità in paragone degli eleganti e lusinghieri fabbricati che hanno colà eretti i promotori, dell'eresia.

                Ora malgrado la tristezza dei tempi e la difficoltà di trovare i mezzi necessarii l'umile esponente, mosso dalla gravità del caso, dall'invito del Vescovo Diocesano e dagli stessi incoraggiamenti di V. S. di combattere l'errore ovunque si manifesti, sarebbe disposto di porsi alla testa per cominciare una costruzione più decorosa per la religione e più corrispondente al crescente bisogno.

                A tale scopo si è fatto acquisto dell'area opportuna, fu compiuto il relativo disegno e si sta per por mano all'opera.

                Non vi è alcun mezzo preventivo; tutto si abbandona nelle mani della Divina Provvidenza e nella inesauribile carità della S. V.

                Pertanto per consiglio del prelodato Mons. Reggio e a nome della commissione di beneficenza appositamente istituita La supplico a [366] voler impartire l'Apostolica benedizione a tutti coloro che in qualunque: modo concorrono a quest'opera di carità.

                Se poi la S. V. si degnasse di concedere un materiale sussidio servirebbe certamente di nobile e direi irresistibile eccitamento ai buoni cattolici di venirci in aiuto.

                Coll'animo pieno di confidenza e di riconoscenza preghiamo Dio che conservi lungamente la preziosa esistenza di V. S., mentre io a nome di tutti, o Beatissimo Padre, ho l'incomparabile onore di potermi professare

                Della S. V.

                Torino, 16 Sett. 1879.

 

Umil.mo ed obbl.mo figlio

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Santo Padre rispose accompagnando l'apostolica benedizione con l'invio di cinquecento lire. Nella lettera a Don Cibrario il Beato chiama schede certi moduli da riempire con i nomi degli oblatori e le cifre delle oblazioni. A tali fogli si univa questo appello “compilato” da lui stesso[264].

 

                                Ai Cattolici[265],

 

                La dolorosa descrizione che in apposita circolare Mons. Reggio Vescovo di Ventimiglia fa dell'invasione protestante in Valle Crosia mette in seria apprensione chiunque ami la nostra santa Cattolica Religione. I nemici della fede non risparmiano mezzo nè morale nè materiale per disseminare l'errore e fare proseliti.

                A fine di mettere qualche argine ai portatori dell'eresia e porre almeno in salvo la pericolante gioventù si è provvisoriamente preso a pigione [in detto luogo di Valle Crosia] un edifizio che dovesse servire di chiesa, di abitazione per gli insegnanti e per sale di scuola; ma è una meschinità in paragone degli eleganti palagi colà costrutti dai seguaci di Lutero [delle eleganti scuole e chiesa dei sedicenti Evangelici e a fronte dei bisogni di quella località].

                E' pertanto indispensabile dar principio ad una costruzione che abbia una Chiesa conveniente, che da una parte abbia le abitazioni dei maestri, le sale della scuola domenicale, diurna e serale; dall'altra l'abitazione delle suore maestre e locali idonei per le loro allieve.

                A tale uopo sta preparata un'area di circa duemila metri quadrati con opportuno disegno; una quantità notabile di materiali ammucchiati [367] saranno quanto prima gettati nelle fondamenta Attesa l'urgenza si spera che gli edifizi saranno condotti a termine entro breve tempo.

                Ma dove si prenderanno i mezzi per mandare ad effetto tale impresa? Avvi niente di preventivo e tutto si abbandona nelle mani della Divina Provvidenza elle non viene mai meno nelle necessità; la nostra fiducia è nel Supremo Gerarca della Chiesa, elle sebbene si trovi in gravi strettezze offre pel primo la somma di f. 500, aggiugnendo una speciale benedizione a tutti coloro che vi concorreranno coll'opera o colla parola; si confida nella carità dei Vescovi e nominatamente in quella di Mons. Reggio, Vescovo di Ventimiglia; si confida nella cooperazione di tutti quelli che amano la conservazione di nostra Santa Religione e l'educazione cristiana e civile della crescente gioventù.

                Fiduciosi pertanto nell'aiuto dei buoni cattolici i sottoscritti, offrono essi stessi il loro obolo e si assumono l'impegno di raccogliere ogni genere di offerte siano in danaro siano in materiali da costruzione.

                Per agevolare poi la via alle offerte si unisce una scheda in cui ciascuno può notare la somma che la carità del suo cuore suggerisce di offerire una volta sola, per due anni oppure per tre.

                [Fiduciosi pertanto nell'aiuto dei buoni cattolici i sottoscritti che già offersero essi stessi il loro obolo, invitano le anime generose a voler fare altrettanto, sottoscrivendo alla presente e indicando il genere della loro offerta, sia in danaro sia in altro qualunque oggetto, sia per una sola volta, sia per più volte nel tratto di due o tre anni].

                Finito l'edifizio, come segno di viva gratitudine si stabilirà un servizio religioso quotidiano elle si farà nella chiesa per tutti i benemeriti oblatori.

                Noi conchiuderemo colle parole dei Libri Santi che dicono: Voi avete cooperato alla edificazione di una Casa del Signore in terra, ed Egli vi metterà un giorno al possesso di un regno che non avrà più fine.

 

Obbl,mi Servitori

(firmati i membri della Commissione).

 

                In una supplica al regio Economato dei benefizi vacanti Don Bosco si diffondeva in più larghi particolari sull'opera di Vallecrosia.

 

                                Ill.mo Signore,

 

                Il Sacerdote Giovanni Bosco ossequiosamente espone che dietro invito della venerata memoria di Mons. Lorenzo Biale, nel 1876 apriva nei piani di Vallecrosia presso Ventimiglia due scuole pubbliche elementari [368] maschili, con 40 alunni, e femminili con 60 alunne, come risulta dal registro d'iscrizione e dalla relazione dell'Ispettore Provinciale, gratuite affatto e conformi quanto all'insegnamento, alle leggi vigenti, non che una piccola chiesa ufficiata colla dispensazione dei SS. Sacramenti, e della divina parola.

                Che queste due scuole e chiesuola a contrapposto della scuola e cappella evengelica già prima là vicina impiantata dai protestanti, erano imperiosamente reclamate dalla stessa amenità del sito abitato da buon numero sempre crescente di borghesi e di forestieri villeggianti, i quali senza di esse per la penosa distanza d'un'ora dalla parrocchia, e dalle scuole del capoluogo internato al Nord poco salubre, mal potrebbero compiere i loro doveri di cristiani e di cittadini e meno ancora quello dell'educazione morale e letteraria dei loro figliuoli. Che la suddetta pia opera rilevantissima ed assai costosa e pel locale tolto a pigione e pel mantenimento del personale addettovi fu dall'esponente sostenuta sin qui colle poche oblazioni precarie dei terrazzani, e principalmente colle annuali generose largizioni d'un insigne Benefattore, senza che vi abbia mai contribuito per nulla il Municipio, di Vallecrosia, perchè povero e già troppo aggravato dalle spese di scuola, di medico condotto e di altre cui deve sostenere nel capoluogo. Ora da un anno e mesi per la morte del sullodato Benefattore, e anche per le misere annate che corrono: essendo ridotte a pochissimo le eventuali limosine di quegli abitanti, un così utile istituto si trova mancare de' mezzi indispensabili alla sua vitale esistenza.

                Troppo doloroso sarebbe al sottoscritto se dovesse allontanarsi da quella borgata, che dalle affettuose sollecitudini di quelli che vi lavorano per l'indirizzo educativo e la saggia vita cristiana e civile, va ritraendo consolante profitto. Esso però nell'estremo in cui versa ricorre con fiducia al R. Governo che generoso sempre, com'è, di annue sovvenzioni ai più benemeriti ministri della Religione e zelatori insieme del benessere sociale, vorrà, cerziorato che sia della verità dell'esposto dal Regio Subeconomo di Ventimiglia, stendere pietosa la mano a soccorrerla.

       Impertanto l'umile esponente si rivolge con riverente fiducia al nobile cuore di V. S. affinchè degnisi Ella concedergli sul tesoro dell'Economato Generale quel sussidio che meglio si addica ad un'opera di tanta importanza e necessità, per cui egli con imperitura gratitudine non cesserà di invocare sull'augusto venerato sovrano ed incliti suoi consiglieri le più elette benedizioni del cielo.

               

                Nonostante le miserie di quell'anno, in cui le campagne generalmente resero poco, le offerte vennero in misura tale da permettere che, sul finire di dicembre, i lavori portassero già fuor di terra i muri maestri. [369]

 

A BORGO SAN MARTINO.

 

                A Borgo San Martino il collegio San Carlo, benchè non ne fosse più Don Bonetti il Direttore, non declinava dalle sue ottime tradizioni le simpatie della popolazione erano universali e profonde. Se n'ebbe una prova, quando per bisogno di personale i Superiori decisero di ritirare i maestri Salesiani dalle scuole comunali, dando il diffidamento. Saputasi appena la cosa, fu una levata di scudi generale. I padri di famiglia iniziarono una sottoscrizione, che raccolse le firme di tutti e venne spedita a Don Bosco; il parroco minacciò financo di abbandonare la parrocchia. Don Bosco non volle parere indifferente a quel plebiscito di affetto; ma ordinò dì scrivere al direttore Don Belmonte, che la diffida non si mandasse, e promise di recarsi a Borgo per concertare il da farsi. É del medesimo tempo il gioiello di lettera scritta da Don Bosco agli alunni di quel ginnasio superiore sulla scelta dello stato e da noi riportata precedentemente[266].

 

A VARAZZE.

 

                A Varazze nel movimento del personale per l'anno scolastico 1879-80 vi fu il cambio del Direttore: Don Francesia, trasferito a Valsalice, lasciò là per successore Don Monateri, che, avvenuta la chiusura della casa di Albano, era a disposizione dei Superiori. Ma questi, non istimandosi da tanto, mosse qualche difficoltà e avrebbe desiderato che la direzione di quel collegio venisse affidata ad altri. Don Bosco fu pronto a calmare paternamente le sue apprensioni.

 

                               Car.mo D. Monateri,

 

                Se io volessi comandarti cosa contraria alla volontà di Dio, ti allontanerei da Varazze; ma nè tu, nè io vogliamo fare tal cosa. Dunque abbi pazienza; vienmi in aiuto, ma senza accrescermi i fastidi che sono già molti e gravi assai. [370]

                D. Francesia ti parlerà, intendetevi e fra breve sarò anch'io a passare teco alcuni giorni.

                Dio ti benedica e ti conservi ad essere sempre bonus miles Christi.

                Abbimi in G. C. tutto tuo

                Torino, 27 Novembre 1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

A MAGLIANO SABINO.

 

                A Magliano Sabino il seminario-convitto andava di bene in meglio. Nell'ottobre Don Bosco potè mettere i Superiori a parte della grande consolazione arrecatagli da una lettera del cardinal Bilio. Sua Eminenza, che da un mese villeggiava colà nel centro della sua diocesi suburbicaria, avendone osservato da vicino l'andamento e il progresso si nella pietà che negli studi, sentì quasi il bisogno di manifestare al Beato tutta la sua alta soddisfazione. “Io ne sono veramente contento, gli scriveva il 14 ottobre, e ringrazio V. S. Ill.ma che ha procurato cotanto bene a cotesta mia diocesi in tempi sì difficili e calamitosi. I Maestri tanto Sacerdoti che Chierici da Lei mandati sono zelanti ed esemplari, e sotto la loro disciplina spero nel Signore che i giovani riusciranno addottrinati e dabbene. Intanto la buona fama si è diffusa nei paesi d'intorno e nella stessa Roma, tantochè il numero degli alunni è salito già fino a sessanta circa ed è per crescere ancora. Ciò si deve al buon concetto che meritamente si ha del R.mo Don Bosco e dei Salesiani. Ne sia gloria a Dio. Da mia parte non mancherò in contraccambio di giovare dove posso al suo Istituto e lodarmene allo stesso S. Padre”. Prima di far ritorno a Roma, il Cardinale presiedette alla solenne premiazione degli alunni, dando così una pubblica testimonianza del suo gradimento e favore.

 

A NIZZA MARE.

 

                A Nizza Mare tre letterine ci aprono qualche spiraglio per vedere che cosa passasse fra quella casa e il Beato. Sono [371] tutte tre del mese di luglio, indirizzate al Direttore. Nella prima egli ringrazia degli auguri fattigli nell'occasione del suo onomastico, annunzia l'invio dell'opuscolo contenente l'Esposizione delle cose nostre alla Santa Sede, ha parole di sentita riconoscenza verso una famiglia di benefattori e tocca della piccola lotteria estesa, come si disse, anche alla Francia.

 

                                Car.mo D. Ronchail,

 

                Mi adoprerò di fare una risposta alla strana lettera di D. Bianchi e vedrò, Domino dante, se posso calmarlo. Ai primi dell'altra prossima settimana passerà il Sig. Curato Guiol a Nizza[267]. Egli avrebbe bisogno di portare a D. Bologna almeno fr. 10 mila. Vedi un poco se puoi parlare coll'Ab. Convin[268] oppure con altri per lui mutuo. Fa tutto quello che puoi per aiutarmi a trarre d'imbarazzo l'impresario della nostra casa di Marsiglia.

                Avrei bisogno di sapere se D. Pirro, D. Macherau sono già sacerdoti e se non avvi difficoltà. L'altro prete di Annecy, che mi scrisse per S. Giovanni chi è? Vuole essere Salesiano? Il Ch. Pentore pare ritornato in sè?

                Dirai a tutti che ho letto con gran piacere gli scritti che mi hanno indirizzati da codesto patronato[269], li ringrazio tutti e prego Dio e che li rimeriti e li conservi nella sua santa grazia.

                Se hai qualche buona notizia a comunicarmi fa presto perchè ho molti fastidii.

                Dio vi benedica tutti e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.

                Torino, 14-7-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Tra i “molti fastidi” che in quei giorni lo travagliavano, Don Bosco riceveva un pò di conforto dall'affetto dei suoi figli, dalla solidarietà dei Direttori, che facevano sacrifici per aiutarlo a condurre innanzi le sue imprese, e dalle buone notizie sull'andamento delle case. Tanto appare dalla seconda lettera. [372]

 

                Mio caro D. Ronchail,

 

                Ringrazio te e tutti i nostri amati figli dì Nizza delle preghiere e degli auguri fatti per me.

                Dio vi benedica e tutti vi conservi nella sua santa grazia.

                Riceverai le due copie della nostra esposizione per la posta.

                Mi hai fatto piacere delle notizie che dai dei signori Tiban. Se hai occasione di vederli salutali tanto da parte mia; di' loro che li ringrazio di cuore della carità e benevolenza che usano al nostro orfanotrofio. Assicurali elle ogni giorno io li raccomando al Signore nella Santa Messa.

                Per la nostra lotteria che cosa hai fatto? Hai spacciato i biglietti? Ne hai da rimandare? Ne vuoi ancora?

                Continuate a pregare per me che vi sarò sempre in G. C.

                Torino, 4-7-1879.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Come nell'Oratorio la cameretta di Don Bosco era sempre aperta a chiunque della casa volesse parlare con lui per qualsiasi motivo, così da lontano i suoi figli con la massima confidenza potevano scrivergli anche solo per isfogarsi in. momenti di malumore, sicuri che egli non li avrebbe lasciati senza risposta. Così il giovane catechista di Nizza, Don Lorenzo Bianchi, sentendosi alquanto a disagio, aveva versato il proprio patema d'animo nella lettera “strana” menzionata sopra, che tuttavia non trovò insensibile il buon Padre.

 

                               Car.mo D. Ronchail,

 

                Ho scritto una lunga lettera a D. Bianchi che egli non ha ricevuto. Cerca se è rimasta alla posta o per la casa. Se non si trova dimmelo e gliene scriverò un'altra. Danne comunicazione allo stesso D. Bianchi ed assicuralo che non mi dimentico di lui, ma che mi raccomando a lui di non dimenticarsi di me.

                Altre cose altri giorni. Dio ci benedica tutti e credimi quale con vero affetto ti sarò sempre in G. C.

                Torino, 23-7-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Ho letto con piacere le lettere dei Damaschini. Salutali da parte mia. [373] Nel 1881 i cinque giovani Damasceni, che erano stati mandati dall'Oratorio a Nizza, furono richiamati da Don Bosco a Torino con l'intenzione di prepararli al chiericato; ma il Patriarca Melchita di Antiochia Gregorio Jussef, saputo che si voleva farli entrare negli ordini latini, non volle. “Il fine per cui sono stati mandati a Nizza, scriveva il 20 ottobre 1881, era che facessero gli' studi necessari a un ecclesiastico per tornare poi qui e venir impiegati a pro delle anime”. Pregava quindi Don Bosco di rinviarli a Marsiglia e farli consegnare a un sacerdote suo procuratore, che avrebbe provveduto secondo le sue istruzioni. Il Patriarca terminava la sua lettera dicendo: “Non le nasconderò che ho gran bisogno di operai spirituali nelle mie diverse diocesi e che mi è indispensabile avere qui cotesti giovani al servizio della mia Sede Patriarcale. Vivamente la ringrazio delle cure ad essi prodigate durante la loro dimora nelle sue case”. Fu fatto subito come sua Beatitudine desiderava.

 

A MARSIGLIA.

 

                A Marsiglia, essendosi posta la pietra fondamentale della nuova fabbrica nel giorno di Maria Ausiliatrice, si lavorava con alacrità a costruire; ma i fondi disponibili furono presto esauriti, onde la necessità del prestito accennato da Don Bosco nella seconda lettera, con la quale ha stretta relazione un'altra al parroco di San Giuseppe. Da essa si apprende, come una risorsa per Don Bosco a proseguire l'impresa fosse nella vendita delle cascine venutegli dall'eredità del barone Bianco di Barbania. Il canonico Guiol aveva visitato Don Bosco e l'Oratorio verso la metà di luglio, fermandosi solo pochi giorni, perchè chiamato a Marsiglia da' suoi doveri pastorali. Il Beato gli scrisse:

 

                               Car.mo Sig. Curato,

 

                Poche parole per darle ragguaglio delle cose nostre le fotografie dell'Oratoire St. Léon sono ultimate, ma forse non le potrò spedire [374] prima di mercoledì: in tal caso le indirizzerò a Marsiglia, come eravamo intesi.

                Fu conchiuso il contratto di una delle cascine di Caselle, e se ne farà l'atto notarile sul fine della corrente settimana. Così spero poter mettere in pace D. Bologna.

                Se però D. Ronchail ha potuto trovare a tempo la persona cui ho scritto io stesso, credo potrà somministrare la somma occorrente.

                Ad ogni modo studierò la maniera di condurre avanti i nostri affari e non restare a metà strada. La Congregazione Salesiana è bambina, e perciò più bambini sono tuttora i suoi figli. Ma coll'aiuto di Dio cresceranno e a suo tempo potranno riportare senno e frutto da scomodi fatti: pazienza, costanza e preghiera.

                La sua dimora tra noi ha fatto un gran piacere a tutti. Fu però troppo breve. Sarà rinnovata, non è vero? Ci scusi se non l'abbiamo trattato coi dovuti riguardi, come ognuno desiderava[270].

                Dio la conservi sempre in buona salute e mi creda in G. C.

                Torino, 20 Luglio 79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dal Santo Padre aveva Don Bosco sollecitato e ottenuto un'onorificenza pontificia, che fosse degno riconoscimento dei meriti del signor Rostand nella direzione della Società Beaujour,. Si trattava ora di  fargliene decorosamente la presentazione; per questo il Beato si raccomandò al parroco Guiol.

 

                Car,mo Sig. Curato,

 

                L'Em.mo Card. Nina mi dà comunicazione della concessione fatta da S. S. della commenda di S. Gregorio il Grande al benemerito Signor Rostand. [375] Scrivo a D. Bologna che passi da Lei per concertare di fare una bella festa.

                Il Breve pontificio non è generico, ma è tutto speciale, come rileverà dal testo che Le unisco.

                Lo stesso Card. Segretario di Stato m'accenna a qualche concessione del S. Padre, di cui darò comunicazione appena sarà effettuata.

                Desidero che aggiustiamo tutto a costo di qualunque sacrifizio; mi è però indispensabile non molto, ma un po' di tempo.

                Lascio aperta la lettera al Sig. Rostand; quando l'avrà letta per sua norma, ne abbasserà il sigillo prima di consegnarla, etc.

                Faccia come giudica meglio: mi manca il tempo; scriverò presto.

                Dio ci benedica tutti e mi creda .

                Torino, 29-7-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Prepari un bell'articolo pel Bollettino.

 

                Il Signor Rostand, pieno di gratitudine, ringraziò Don Bosco, ringraziò direttamente il Papa; in pari tempo completò le pratiche necessarie per la legale sistemazione tanto della casa di Marsiglia quanto del povero orfanotrofio di Saint-Cyr. Quello che Don Bosco desiderava di aggiustare “a costo di qualunque sacrifizio” era la faccenda della Maìtrise, per la quale l'abate Guiol continuava. a menare grande scalpore, scrivendo lettere di fuoco. Vi alludeva pure nella lettera precedente con la frase un po' sibillina “scomodi fatti” ossia fatti spiacevoli. Uomo generoso e zelante, l'abate aveva gli impeti dei temperamenti impulsivi che, una volta fissatasi in capo un'idea, non sanno poi nella pratica dirimere le difficoltà, ma pretendono di schiantarle senza badare a circostanze nè a conseguenze. Per allora, grazie alla remissività di Don Bosco, un accomodamento fu raggiunto, come a suo luogo abbiamo narrato.

                Nella Vigilia della novena di Natale il Beato inviò particolari auguri a tre signore marsigliesi molto benemerite dei Salesiani. Due di queste signore sono già note; l'altra era la consorte del prelodato signor Rostand. [376]

 

                Madame Rostand très respectable,

 

                Più volte Don Bologna mi parlò delle opere di carità che Ella e la sua signora figlia fanno verso ai poveri ragazzi dell'Oratorio di San Leone. Io credo di compiere lui dovere mio facendole umili e cordiali ringraziamenti.

                Desidero però di farle un regalo che per la sua specialità Le tornerà gradito. Ecco quale:

                Giovedì prossimo, a Dio piacendo, celebrerò una S. Messa all'altare di Maria Ausiliatrice; i nostri giovanetti faranno la santa Comunione con particolari preghiere secondo la pia di Lei intenzione. Nostro fine è d'invocare le benedizioni del Cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. La sanità, la pace, la prosperità sia l'eredità dei Signori Rostand, dei loro figli fino all'ultima generazione.

                Dio li benedica tutti, a rivederci nel prossimo gennaio, e preghino per me che sarò sempre in G. C.

                Torino, 15 Dicembre 1879.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. I miei rispettosissimi ossequii a monsieur Rostand degno di Lei marito.

 

                Nostra buona e carissima Madre madame Jacques,

 

                Non solamente i suoi figli di Beaujour, ma anche quelli di Torino si ricordano della loro buona Madre e dei molti benefizi che ci fa. Persuasi di farle cosa gradita vogliamo pregare tanto tanto per Lei in questi giorni. Di più nel giorno di venerdì prossimo celebrerò la S. Messa ed i nostri giovanetti faranno la S. Comunione coli particolari preghiere secondo la pia di Lei intenzione.

                Dio La conservi, o nostra carissima Madre; Dio La benedica e la consoli con fiori spirituali elle servano a suo tempo a farle una bella corona in cielo.

                A Dio piacendo spero di poterla riverire nel prossimo gennaio, e nel raccomandarmi alla carità delle sue preghiere, ho l'onore di potermi professare con affetto filiale in G. C.

                Torino, 15 Dicembre 1879.

 

Obbl.mo come figlio

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Rispettabile Signora Noilly-Prat,

 

                Nella sua grande carità si degnò la S. V. di farsi benemerita protettrice dei poveri giovanetti dell'Oratorio di S. Leone. Io desidero di manifestarle in modo particolare la mia gratitudine davanti a Dio. [377] Sabato quinto giorno della novella del S. Natale celebrerò la Santa Messa, i nostri giovanetti faranno la S. Comunione con particolari preghiere in onore di Gesù Bambino e secondo la pia di Lei intenzione. Pregheremo affinchè Iddio La conservi in buona salute e sempre in grazia sua; Le faccia vedere copioso il frutto della sua carità in terra, e più copiosa ancora ne sia la mercede che Dio sarà per darle un giorno in Cielo.

                Dio La benedica, o benemerita signora Prat, e voglia gradire questo piccolo tributo della mia gratitudine. Ho la speranza di poterla riverire personalmente nel prossimo mese di Gennaio.

                 Aggiunga la carità di pregare anche per me che Le sarò sempre in N. S. G. C.

 

                Torino, 15 Dicembre 1879.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una buona lettera non poteva mancare nella stessa circostanza per il canonico Guiol, tanto più che Don Bosco non gli aveva più scritto dal mese di luglio. Gli premeva poi anche prepararsi il terreno per la sua prossima andata a Marsiglia.

 

                                Car.mo Sig. Curato,

 

                Sebbene da qualche tempo non le abbia più scritto, non mi sono mai dimenticato di fare ogni mattino per Lei un memento nella Santa Messa.

                In questi [giorni] però credo di compiere un mio dovere col farle cordialissimi auguri di buone feste e di buon capo [d'anno] e di assicurarla che in tutto il 1880 continueremo a pregare per Lei all'altare della S. Vergine Ausiliatrice, Spero che Dio ci ascolterà e che Ella passerà un anno felice.

                Intanto le partecipo che circa alla metà del prossimo gennaio, a Dio piacendo, sarò a Marsiglia per sistemare le cose del nostro Oratorio e vedere quali provvedimenti si possano prendere per saldare i debiti fatti e quelli elle purtroppo dovremo ancora fare. Crederei cosa molto opportuna una conferenza dei Cooperatori Salesiani e di altre persone benevole e benemerite Non so se all'Oratorio si potrà avere qualche sala, oppure anche servirsi della attuale cappella, o se si trovi qualche sito adattato in casa di qualche benefattore. Lo scopo sarebbe di poter dire quel che si è fatto e elle si necessita di fare; parlare dei Cooperatori e del modo facile con cui possono venire in aiuto. Un suo consiglio servirà di nonna intorno al da farsi. [378] Se vede qualcheduno dei signori della Società Beaujour, la prego di ossequiarli da parte mia.

                A Lei poi in particolare mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'onore di professarmi in N. S. G.

                Torino, 22-12-79.

 

  Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Grazie al cielo, la mia vista ha migliorato alquanto.

 

                Proprio alla vigilia della solennità natalizia monsignor Giovanni Lodovico Robert, succeduto a monsignor Place nel governo della diocesi marsigliese, diede un pubblico segno della sua benevolenza verso i figli di Don Bosco.

                Erasi aperta una sottoscrizione per raccogliere danaro, con cui far fronte alle spese di costruzione; il Vescovo non solamente la benedisse, ma in termini assai lusinghieri la raccomandò caldamente per iscritto ai fedeli[271]. In ciò egli seguiva le orme del suo predecessore, che, promosso alla sede arcivescovile di Rennes, soleva dire: - Se non avessi fatto altro nel tempo del mio Episcopato a Marsiglia che introdurvi i Salesiani, basterebbe questo a rendermi contento dell'opera mia. - Perciò voleva e instava, perchè i Salesiani andassero anche a Rennes, dicendo che dopo egli sarebbe morto contento.

 

A VALDOCCO.

 

                A Valdocco pure si faceva assegnamento sull'eredità del barone Bianco per assestare il bilancio. Le due chiese di San Giovarmi Evangelista e di Vallecrosia assorbivano gran parte [379] della beneficenza. Ad aggravare le condizioni finanziarie si aggiungeva il rincaro dei commestibili, che quell'anno aumentava di un terzo la spesa degli anni antecedenti. “Come fare dunque? Si domandava Don Bosco nella circolare del gennaio 1880 ai Cooperatori. Sgomentarci? Non mai. Si tratta del bene delle anime e della civile società. Per lo passato col mezzo di caritatevoli offerte, e specialmente coll'ultima lotteria, che fu per noi una vera risorsa, abbiamo soddisfatto a gravi ed urgenti spese. Per quelle da farsi in avvenire io confido pienamente nella Provvidenza del Signore, che in simili stringenti bisogni non mi è mai venuta meno; io ripongo ancora la mia fiducia nella vostra carità”. Egli era già ricorso anche a uno spediente. Posta il 29 maggio sul tappeto la questione finanziaria e visti i grossi debiti che gravavano sii ogni ramo dell'amministrazione, i Superiori convennero, ed egli annuì, che si contraesse un mutilo di lire centomila da estinguersi poi mediante la vendita della villa di Sant'Anna a Caselle. Delle strettezze in cui l'Oratorio versava troviamo anche più tardi un indizio manifesto in questa lettera al cavaliere Carlo Fava.

 

                               Ill.mo e car.mo Sig. Cavaliere,

 

                Ieri nel farmi la generosa offerta in. compagnia della Signora di Lei moglie ne accennava l'intenzione per la Chiesa di S. Giovanni Evangelista. Ma sebbene il bisogno sia grande per quella chiesa, tuttavia se ella me lo permette, avendo ancora un gran numero di ragazzi vestiti da estate, impiegherei detta somma a provvedere alla loro urgenza che è veramente vestire i nudi.

                Rinnovo i miei ringraziamenti perla carità che fa a me ed a questi poverelli e pregando Dio a spandere copiose le celesti benedizioni sopra di Lei, [sopra la] signora moglie e bambina, ho l'onore di professarmi con profonda gratitudine

                Di V. S. Ill.ma e car.ma

                Torino, 4 Dic. 1879.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Questa lettera conteneva un poscritto, nel quale Doli Bosco mostrava gli effetti di un inconveniente non raro a [380] succedere nei collegi. Il Cavaliere l'aveva pregato di revocare la minaccia di licenziamento a carico di un giovane artigiano; n'ebbe in risposta queste spiegazioni.

 

                P. S. Ho parlato con D. Branda in proposito del giovanetto Peano, e mi disse che non vi è nessun ordine in proposito.

                Osservò soltanto che una zia del giovanetto viene troppo sovente a vederlo facendo promesse e regali fuor di regola.

                D. Branda le fece osservare che questi commestibili facevano sì che quell'allievo non badava più nè ad avvisi, nè a minacce di castighi, e che continuando in simile guisa era un costringere i Superiori di mandarlo a casa a Natale. A ciò la buona zia rispose: E' troppo presto a Natale, si differisca almeno dopo l'inverno. Crederci perciò molto opportuno che la S. V. potendo aver conoscenza della zia la avvisi, affinchè lasci gli educatori a fare 1  a parte loro: tanto più che il ragazzo di niente abbisogna. Ella però faccia come giudica meglio nella sua prudenza.

 

                Una cosa di tutt'altro genere riguarda pure l'Oratorio. Nel corso di queste Memorie già più volte è stato detto della sollecitudine caritatevole di Don Bosco per rimettere in carreggiata poveri sacerdoti traviati. Ne accoglieva talora nell'Oratorio, circondandoli di attenzioni delicate nè risparmiando alcun mezzo che giudicasse utile a' riabilitarli. Così fece nell'estate del 1879 per un prete Machet, già parroco di Gravère nella diocesi di Susa e passato alla setta dei Vecchi Cattolici. Per la sua reintegrazione scrisse di proprio pugno a Leone XIII.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Gio. Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. S. implora umilmente perdono di un figlio traviato, che dimenticando se stesso cadde nel profondo abisso dell'empietà. P, questi il sacerdote Serafino Machet della diocesi di Susa. Egli era parroco nel paese di Gravère, ma per la sua biasimevole condotta morale meritò di essere espulso dalla rispettiva parrocchia. Un abisso lo condusse ad mi altro abisso, e finì coli farsi seguace della setta che si dice dei vecchi cattolici. La necessità di vivere, egli dice, lo portò a quegli eccessi. Egli divenne capo e predicatore, e fu creato curato di Roncourt Cantone di Berna nella Svizzera.

Professò e predicò l'eresia dal 15 dicembre 1875 fino al mese di giugno dell'anno corrente 1879. [381] Accolto nell'Oratorio di S. Francesco di Sales chiede di fare ritorno in grembo alla Chiesa di Gesù Cristo, e da alcuni mesi ripigliò le pratiche di nostra santa religione.

                Ora col consenso e a nome del Vescovo di Susa, si domanda la facoltà di poterlo assolvere dalle riserve, pene e censure incorse pei suoi misfatti, pronto a sottomettersi a quelle penitenze e a quelle riparazioni di scandalo che V. S. giudicasse necessarie ed opportune.

                Dimanda solo per via di grazia di poter per ora non dare pubblicità nei giornali della sua ritrattazione, per unico motivo che se ne farebbe troppo gran rumore, e potrebbe impacciare alcuni suoi disgraziati antichi colleghi, i quali ugualmente desiderano far ritorno alla verità.

Sperando la grazia si professa

                Di V. S.

 

Obbl.mo figliuolo

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La risposta gli pervenne sul principio di dicembre da monsignor Angelo Jacobini, assessore del Santo Officio, al qual tribunale era stata rimessa l'istanza per il tramite della Segreteria di Stato; ma da tale risposta si rileva soltanto che, esaminata la domanda, quella sacra Congregazione aveva comunicato al Vescovo di Susa i provvedimenti da prendere; Don Bosco pertanto si ponesse d'intelligenza con detto Ordinario.

                Riposante pensiero per Don Bosco erano le preghiere che quotidianamente nell'Oratorio i suoi giovani innalzavano a Maria Ausiliatrice e le loro numerose comunioni. Egli sentiva di possedere in questo un perenne tesoro spirituale, a cui ricorrere fiducioso sia per ottenere dal Cielo le grazie di cui abbisognava nell'allargarsi della sua ardua Missione, sia per soddisfare ai debiti che aveva verso i suoi benefattori. Quanto viva fosse in lui tale fiducia, lo dimostra eloquentemente questa sua lettera del novembre ad Alfonso Fortis[272].

 

                Mio carissimo Alfonso,

 

                Ho ricevuto le tue care due lettere, ambedue apportatrici di notizie sfavorevoli per la tua sanità. lo ne provai vivo rincrescimento, [382] ma ho viva fiducia che Dio ascolterà le nostre preghiere e che la tua sanità ritornerà quella di prima. In quanto al fare scuola non ti dare pensiero. Che tu possa star bene e per noi basta; giacchè dopo la grazia di Dio la sanità è il primo tesoro.

                Anche il caro Riccardo è percosso nella sanità! Quanto mi rincresce! Quanto Papà e Mamma dovranno soffrire!

                Ad ogni modo io vorrei dare un assalto gagliardo alla fortezza di Davidde, alla potenza di Maria, e in certo modo obbligarla a concedervi la grazia di poter star bene per così ambidue impiegare santa, mente le vostre forze al bene delle anime. Facciamo dunque così. Per tutto il mese di dicembre prossimo sarà celebrata una Santa Messa ogni giorno all'altare di Maria Ausiliatrice. I nostri giovani faranno la Santa Comunione con preghiere particolari nel corso del mese.

                Tu poi cogli altri di famiglia reciterete un Pater a Gesù Sacramentato ed una Salve Regina a Maria Immacolata. Ho piena fiducia che questi nostri deboli sforzi riuniti obbligheranno il Signore ad ascoltarci ed esaudirci.

                Dio benedica te, il buon Riccardo, Papà e Mamma e vi conservi tutti nella sua santa grazia.

                A rivederci in buona salute e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

                Torino, 29-11-79.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

FINE D'ANNO.

 

                Approssimandosi la novella del santo Natale e quindi il termine dell'anno, per entrambe le circostanze il Servo di Dio rivolse uno speciale pensiero a tutte le case della Congregazione. Il 13 dicembre per i Salesiani e i loro allievi diramò copie di questo suo biglietto.

 

                Novena del SS.mo Natale pei religiosi e allievi delle Case Salesiane.

                La solennità del SS.mo Natale deve eccitare in noi i seguenti affetti e risoluzioni:

                I° Amore a Gesù Bambino colla osservanza della sua santa legge;

                2° Sopportare i difetti altrui per amore di Gesù Bambino;

                3° Speranza nella infinita misericordia di Dio e fermo proponimento di fuggire il peccato;

                4° Riparare lo scandalo col buon esempio in ossequio a Gesù Bambino; [383] 5° Per amore di Gesù Bambino fuggire l'immodestia anche nelle cose più piccole

                6° In ossequio a Gesù Bambino esaminare se nelle confessioni passate vi era il dolore colle sue qualità;

                7° Se abbiamo mantenuti i proponimenti fatti nelle passate confessioni;

                8° Rivista sulle confessioni della vita passata, come farà poi Gesù Cristo al suo divin Tribunale;

                9° Risolvere di amar Gesù e Maria sino alla morte;

                10° Festa del SS.mo Natale. Comunione e frequenza di essa per l'avvenire.

                Con augurio di celesti benedizioni per parte del vostro amico

                Torino, 13-12-1879]

Sac. Gio. Bosco.

 

                Passate quindi le feste natalizie, il Beato fece pervenire alle case la solita strenna, così concepita:

 

STRENNA Di D. Bosco

AI SALESIANI E LORO ALLIEVI

AUGURI PEL 1880.

 

                I. A tutti indistintamente: Promuovere il buon esempio colle parole e colle opere; tenere lontane le abitudini anche indifferenti in cose non necessarie.

                2. Ai Direttori: La pazienza di Giobbe.

                3. Ai Superiori: La dolcezza di S. Francesco di Sales nel trattare cogli altri.

                4. A tutti gli Allievi: Occupare bene il tempo: nullum temporis pretium.

                5. A tutti i Salesiani: Esatta osservanza delle loro regole.

                I Superiori sono incaricati d'annunziare e spiegare anche in più volte gli augurii sopra notati.

                Dio vi benedica tutti, con ringraziamenti speciali a coloro che mi scrissero lettere d'augurio.

                Torino, 26 Dicembre 1879.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

PREDIZIONI.

 

                Del 1879 ci rimangono da registrare alcune profezie di Don Bosco, per le quali non abbiamo trovato luogo opportuno nei capi precedenti. Una fu fatta a Suor Clementina di San [384] Giuseppe, entrata nelle Giuseppine di Torino nel 1875. Sentendosi una crescente attrattiva per le missioni, non si decideva mai a palesare il suo desiderio alle Superiore, che qualche anno dopo il suo noviziato la nominarono maestra delle novizie. Avrebbe voluto parlarne con Don Bosco, ma l'idea di aver da fare con un santo la metteva in soggezione. Finalmente un giorno del 1879, dovendo accompagnare un'educanda al Cottolengo per visitarvi una persona, le disse: Mentre tu stai qui al Cottolengo, io vado a visitare l'Oratorio di Don Bosco.

                Fattasi animo, si presentò al Beato, il quale, uditala, le dichiarò che essa doveva andare nelle missioni.

                - Ma le superiore, rispose, non vorranno darmene la licenza.

                - Ebbene, voi chiedete di essere staccata da questa Congregazione, unitevi alle nostre suore nella prossima spedizione per l'America e a Buenos Aires entrate e stabilitevi nella casa delle Giuseppine fondata dalla Congregazione vostra di Pinerolo.

                Suor Clementina, tutta consolata per queste parole, chiese alle Superiore la licenza di andare alle missioni; ma la licenza le fu negata, sia perchè la suora era di gran vantaggio alla comunità, sia perchè le Giuseppine di Torino non avevano casa alcuna in paesi di missione.

                Pochi mesi dopo tornò a vedere Don Bosco, che incontrò nel cortile dell'Oratorio, mentre andava in chiesa. Subito gli disse della negativa avuta e gli chiese consiglio: Don Bosco, alzati gli occhi al cielo: - Pazienza! - le rispose, nè altro aggiunse ed entrò in sacrestia.

                Passati alcuni giorni, la suora fu presa da uno strano malore, che le cagionava grandi patimenti e le impediva di eseguire i molteplici incarichi affidatile. Ripetè la domanda di andare alle missioni, ma senza pro. Il male durava da dieci anni, quando nel 1889 fece istanza per essere sciolta dalle Giuseppine di Torino e poter entrare fra quelle di Chambéry. [385] L'affetto delle sue Superiore vi si oppose; ma da ultimo cedettero ed essa venne accolta ivi coli ogni amorevolezza. Senonchè alla sua ardente brama era anche là d'impedimento la malattia; onde non le passava nemmeno per la mente di parlarne. Nella speranza di procurarle un'aria più confacente, la Superiora la mandò alla casa fondata in Roma dalla Congregazione; ma quivi pure aggravandosi il male, la richiamò.

                Morì frattanto in quei giorni a Cristiania, oggi Oslo, la Superiora di un fiorente ospedale tenutovi da questa Congregazione per i cattolici, Si voleva sostituirla con una suora francese; ma il Delegato Apostolico, avvisatone, rispose che non ne voleva affatto sapere. La Superiora di Chambery, imbarazzata per tale opposizione, pensò a suor Clementina, e un giorno, mandatala a chiamare, le disse a bruciapelo: - Andreste voi nelle missioni? - Sorpresa la religiosa da un'interrogazione simile, rispose che se la sua infermità le lasciasse tregua, vi sarebbe andata ben volentieri.

                 La Superiora non le disse altro. Essa, tutta sconvolta e per il riaccendersi del desiderio e per la trepidazione naturale in chi si vede sul punto di conseguire cosa lungamente sospirata invano, andò in cappella a pregare Don Bosco che l'aiutasse in un momento così decisivo. Pregava da una mezz'oretta, quando la Superiora le si fece dappresso con un telegramma del Delegato, il quale, essendo stato richiesto del suo beneplacito per una suora italiana, rispondeva affermativamente.

         A tale notizia suor Clementina giubilò. Spesi quindici giorni nel rinforzarsi e nel fare alcuni preparativi, partì. Rivenne a Torino nel 1891 per vedere la famiglia e poi tornarsene al suo posto; nella qual congiuntura narrò a Don Belmonte la profezia di Don Bosco, conchiudendo: - Ora mi sento proprio felice. La salute mi basta per soddisfare a tutti i miei obblighi. Ho con me quaranta suore e cinquanta infermi. Nel nostro ospedale i medici protestanti prestano volentieri le loro cure. - [386]

                Non più a una suora, ma alla comunità torinese delle Suore di Sant'Anna Don Bosco fece nel 1879 una predizione. Queste religiose erano state invitate ad aprire una casa in Roma, non sapevano però risolversi ad andarvi, temendo di non trovare in quella città aiuto e favore. Vollero tuttavia consultare Don Bosco, il quale disse risolutamente che andassero. Risposero di non avere mezzi per intraprendere tale fondazione. - Vadano tranquille, ripigliò Don Bosco; non passerà gran tempo che avranno una bella casa. - Fidandosi della sua parola, andarono e presero stanza in una poverissima casa, dove per alcuni anni vissero fra molte privazioni, finchè due nobili romane, affezionatesi all'istituto e presovi il velo, recarono in dote oltre una vistosa somma anche un magnifico palazzo, del quale nel 1884 cedettero la proprietà alla Congregazione. Le suore, trasportata ivi la loro residenza, non osavano quasi abitarvi, parendo loro che tanta grandiosità mal si accordasse, con la povertà evangelica.

                Due altre predizioni furono per due Salesiani. Don Secondo Marchisio ne ricordò una pubblicamente nell'anno venticinquesimo della sua prima messa, celebrata nel 1879. Allora Don Bosco, mettendogli la mano sulla spalla, gli aveva detto: - Sarai per vent'anni prefetto, e poi e poi vedremo!... - Orbene il giorno in cui i Superiori gli dissero che sarebbe stato catechista nell'Oratorio, si compievano i vent'anni della sua prefettura a Valdocco e a Borgo. La seconda profezia riguardava Don Francesco Dalmazzo. Nella festa dell'Immacolata Concezione del 1879 si faceva a Valsalice il pranzo di commiato per lui e di buon arrivo per il suo successore Don Francesia; poichè egli doveva partire per Roma a farvi da Procuratore generale della Congregazione. Era fra gl'invitati il dottor Vincenzo Gribaudi, medico dell'Oratorio. Questi, che aveva molta confidenza con Don Bosco, lo pregò di lasciare ancora Don Dalmazzo alla direzione del collegio valsalicese per conforto di stia madre, addoloratissima di tale partenza. Il Beato, volgendosi a Don Dalmazzo, [387] gli disse: - Ritornerai a Torino quando si dovrà tenere il Capitolo per eleggere il successore di Don Bosco. - Infatti egli tornò a stabilirsi in Torino nella casa di San Giovanni Evangelista durante il gennaio del 1888, poche settimane prima che Don Bosco volasse al cielo.

                In quest'argomento di previsioni è da narrare anche un incontro avvenuto a Lu. nell'ottobre del 1879. Don Bosco vi ricevette, come sempre, generosa ospitalità dai coniugi Giuseppe e Maria Rota, genitori di Don Pietro, chierico allora nell'Oratorio e futuro Ispettore nel Brasile. Tornando da visitare la signora Isabella Grossetti inferma, una turba di gente che aspettava per vederlo, gli si mise attorno e lo seguiva. Nel crocicchio di via Montaldo e di via Circonvallazione adocchiò in mezzo alla folla un ragazzo in maniche di camicia e senza scarpe, che teneva gli occhi fissi sopra di lui. Fermatosi a guardarlo, gli domandò:

                - Come ti chiami?

                - Quartero.

                - Vuoi venire con me a Torino?

                - Volentieri. Sono venuto qui per questo.

                - Dunque vieni. Là io ti farò mettere i chiodi alle scarpe.

                Gli astanti risero della facezia. Ma Don Bosco, intesosi coi parenti, lo accolse nell'Oratorio e ve lo tenne fino al termine del ginnasio. Se oggi Don Quartero è un modello di parroco, lo deve a quel provvidenziale incontro[273].

                E' pure del 1879 un vaticinio di assai più larga portata. Si sussurrava di prossime persecuzioni contro le Congregazioni religiose in Francia. Don Bosco disse: - Verrà un giorno, che i Salesiani saranno dispersi e raccolti dai Cooperatori Salesiani; ma questo durerà poco tempo, e dopo la Congregazione sarà più fiorente di prima. - Siffatta dispersione dei Salesiani avvenne in Francia non allora, ma per effetto della [388] legge sulle Associazioni, promulgata nel 1901 e applicata negli anni successivi. Molti confratelli poterono restare sul posto, perchè i Cooperatori in un primo tempo offersero loro generosa ospitalità e poi, traendo partito dalla legge stessa, li protessero, li aiutarono e li misero in grado di continuare a farvi del bene. In seguito, com'è noto, le cose pigliarono miglior piega, sicchè le opere salesiane ivi risorsero, divenendo d'anno in anno sempre più fiorenti[274].

 

 

CAPO XV. All'aprirsi del nuovo anno.

 

                IN sull'aprirsi del 1880 conviene che diamo urlo sguardo allo stato della Congregazione per misurarne i progressi. Il Capitolo Superiore si componeva come segue:

 

RETTORE sac. Bosco Giovanni.

PREFETTO sac. Rua Michele.

DIRETTORE SPIRITUALE sac. Cagliero Giovanni.

ECONOMO sac. Ghivarello Carlo.

CONSIGLIERE SCOLASTICO sac. Durando Celestino.

CONSIGLIERE sac. Lazzero Giuseppe.

CONSIGLIERE sac. Sala Antonio.

 

PREFETTO DEL CLERO sac. Bonetti Giovanni.

MAESTRO DEGLI ASCRITTI sac. Barberis Giulio.

 

                Don Ghivarello nel Catalogo figura anche Direttore dell'orfanotrofio di Saint-Cvr. Realmente Don Bosco nel febbraio del 1879 aveva stabilito di mandarvi lui per qualche tempo, intendendosi egli molto di agricoltura e potendo senza inconvenienti assentarsi da Torino; ma, poichè non sapeva ancora parlar bene il francese, vi fu mandato provvisoriamente un altro fili verso il termine dell'anno.

                I nomi di Don Bonetti e di Don Barberis vengono dopo quelli dei Capitolari, ma a una certa distanza, non essendo [390] essi membri del Capitolo Superiore, sebbene talora Don Bosco li facesse assistere alle sedute. Senza dubbio il Beato volle usar loro questa distinzione per metterne maggiormente in valore il rispettivo ufficio di fronte ai Confratelli. Prefetto del Clero dal 1878 al 1880 equivalse a Rettore del Santuario di Maria Ausiliatrice.

                I soggetti che in qualsiasi modo si potevano dire appartenenti alla Congregazione, sommavano a 732, e cioè:

Professi perpetui

 325

Professi triennali

 80

Ascritti

 146

Aspiranti

 181

(Sacerdoti 127)

 

                Le case formavano quattro Ispettorie con denominazione geografica: piemontese, ligure, americana, romana. Alle prime tre erano preposti Don Francesia, Don Cerrutti e Don Bodrato; alla romana, che comprendeva Magliano Sabino, Randazzo, Brindisi e Roma (Torre de' Specchi), badava da Torino Don Durando.

                Il Catalogo, secondo l'uso introdotto nel 1875, conteneva le succinte biografie dei “Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna* nell'anno precedente. Erano un coadiutore, Carlo Tonelli, e cinque chierici: Pietro Scappini, Luigi Bianchi, Clemente Benna, Carlo Trivero, Giacomo Delmastro. Le quattro paginette dedicate al chierico Benna, di distintissima famiglia torinese, sono sufficienti a rivelare in questo giovane una notevole ricchezza di doti naturali e di doni soprannaturali che. rendendolo “la delizia dei compagni e la compiacenza dei superiori”, facevano concepire di lui ottime spe-ranze.

                Don Bosco teneva molto a simili biografie dei Soci defunti; ma, prevedendo che col dilatarsi della Congregazione sarebbe del pari aumentata la difficoltà di avere sempre le necessarie informazioni, ecco che col Catalogo del 1880 mandò di conserva un modulo, che servisse di norma per raccogliere sollecitamente [391] e spedire con la maggior prontezza possibile a Torino tutte le notizie, elle potevano occorrere ai biografi designati. Su dieci punti bisognava rispondere: I° Fatti ed esempi della prima età in famiglia e nella patria. 2° Tenor di vita in collegio o nell'ospizio, riguardo alla scuola o al laboratorio. 3° Condotta durante la prova e dopo la professione. 4° Uffizi disimpegnati. 5° Parole e opere spettanti al sacro ministero, se il confratello era stato sacerdote e soprattutto se missionario. 6° Virtù speciali; detti e fatti. 7° Divozioni e pratiche di pietà. 8° Discorsi e relazioni col prossimo. 9° Scritti, come libri, biglietti e lettere; sentenze e massime estratte dai medesimi. 10° Circostanze dell'ultima malattia e morte. Come ci si sente la mentalità dell'uomo nato non solo per fare ma anche per scrivere della storia, se la prima attività non avesse paralizzata la seconda!

                A Roma, nell'appartamento di Torre de' Specchi posto dalle nobili Oblate a disposizione di Don Bosco prese, stanza Don Francesco Dalmazzo, incaricato di trattare gli affari della Congregazione presso la Santa Sede come Procuratore Generale[275]. L'ufficio di Procuratore Generale costituisce negli Ordini e Congregazioni religiose una carica della massima importanza; poichè, essendo il Procuratore destinato al servizio del proprio Ordine o Congregazione, ne è il rappresentante ufficiale presso il Papa, i Cardinali e le sacre Congregazioni romane, e veglia al suo decoro e ai bisogni dell'intero Sodalizio. Per alcuni anni titolare della Procura salesiana fu Don Rua; come appare dall'annuario pontificio La Gerarchia Cattolica. Il Beato inviò Don Dalmazzo a Roma il 12 gennaio, con questa lettera di presentazione per il Cardinal Nina, Segretario di Stato. [392]

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Ho l'onore di presentare alla V. E. Rev.ma il nostro Procuratore nella persona del Sacerdote Francesco Dalmazzo Dottore in lettere e già Direttore del Collegio di Valsalice presso Torino. Esso potrà esporre le cose nostre alla E. V., si metterà a disposizione de' suoi illuminati voleri e darà, ove d'uopo, le comunicazioni opportune sia riguardo a Torino che alle altre case della Congregazione.

                Sul finire di Febbraio spero anch'io di avere l'onore di poterLa ossequiare personalmente, e ringraziandoLa in modo particolare della lettera che ha testè indirizzata a tutti i Salesiani, reputo a vera gloria di baciare la Sacra Porpora e inchinarmi con profondo rispetto.

                Della E. V. Rev.ma

                Torino, 12 Gennaio 1880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La lettera “indirizzata a tutti i Salesiani” era la risposta agli auguri che cominciava così: “Ringrazio vivamente V. S. Ill.ma e tutti i Salesiani, dei quali Ella è autorevole interprete, degli auguri di felicità direttimi pel principio del nuovo anno. I vincoli di affetto e di officii che mi uniscono alla Congregazione me li hanno resi gratissimi”. Informava inoltre Don Bosco d'aver rimesso al Papa due lettere di felicitazioni da parte stia, significandogli che Stia Santità le aveva ricevute “con grande compiacenza” e che ringraziava e benediceva di cuore i Missionari e i Salesiani d'Italia[276].

                Al neoprocuratore, che veniva dal bel collegio di Valsalice, la dimora di Tor de' Specchi offriva un ben povero alloggio. Non vi era che una stanza da letto, piccola e disadorna, sicchè, quando vi tornò Don Bosco in aprile, Don Dalmazzo dovette acconciarsi a dormire sul canapè. Il Beato, osservando ivi il tavolo di legno greggio e coperto con un misero drappo tutto tarlato, esclamò: - Oh, questo sì che mi piace! Ecco una vera casa salesiana! - E rideva di cuore. [393] Sul novello Procuratore l'Unità Cattolica del 30 gennaio recava questa corrispondenza da Roma: “Il benemerito Don Bosco ci ha mandato, come procuratore generale della sua Congregazione, il sacerdote Francesco Dalmazzo, e gli fu fatta un'accoglienza quale egli meritava, non solo per la Congregazione Salesiana che rappresenta, ma anche per i suoi meriti personali. So che l'Eminentissimo Cardinale Vicario intende giovarsi della dottrina e delle virtù di questo chiarissimo ecclesiastico per l'insegnamento in Roma”. A quest'ultima notizia fa riscontro quanto Don Dalmazzo scriveva a Don Rua poco dopo la metà di febbraio: “Non ho ancora cominciato a far scuola e sto attendendo la giubilazione di un vecchio professore di letteratura latina nel Seminario Romano, che non deve essere lontana essendo uomo valetudinario. Frequento però il corso di Diritto Canonico all'Apollinare”. Non gli mancarono amarezze in quei principii, come appare dalla medesima lettera, dove dice: “Sono finalmente stato ricevuto o dirò meglio, apostrofato dal Card. Ferrieri”. Il colloquio gli rivelò quanto purtroppo l'Eminentissimo fosse male informato sul conto del “veneratissimo nostro Don Bosco”, per usare l'affettuosa espressione del Procuratore, il quale chiudeva la stia relazione con un accorato: Nesciunt quid faciunt.

                Due cose furono sul principio di gennaio oggetto delle sollecitudini del Beato: la diffusione delle Letture Cattoliche e la ricerca di buoni coadiutori.

                Dire che Don Bosco amava le sue Letture Cattoliche sarebbe ripetere cosa che tutti sanno; ma troppi forse ignorano oggi quanto egli siasi fino all'ultimo adoperato a sostenerle, a farle apprezzare e a diffonderle per tutta l'Italia. Così anche quest'anno pubblicò una circolare, con cui raccomandava caldamente a tutti gli amici della religione che lo aiutassero ad accrescere ognor piú il numero degli associati e dei lettori per porre coli tal mezzo un argine alle cattive letture, causa di tanto danno fra il popolo cristiano. L'esperienza di ventisette [394] anni gli faceva proclamare l'utilità di questi opuscoli, che si potevano avere a sì modico prezzo[277].

                Un'altra circolare fece egli redigere e spedire specialmente ai parroci, pregandoli che, se avessero giovanotti o uomini dai vent'anni compiuti ai trentacinque circa, desiderosi di abbandonare il mondo e di abbracciare la vita religiosa come laici, li indirizzassero alla pia Società Salesiana. Oltre alla bontà della condotta e alla sanità di mente e di corpo, questi tali dovevano essere disposti a occuparsi in qualunque lavoro, come nella campagna, nell'orto, in cucina, in panatteria, in tener refettori, in fare la pulizia della casa ed anche, se fossero abbastanza istruiti, in far da segretari negli uffici; qualora poi fossero addestrati in qualche arte o mestiere, avrebbero potuto continuare l'esercizio[278]. Per questa via egli mirava a far conoscere largamente, come la Congregazione avesse pure i suoi laici e quale ne fosse il carattere, non confondibile con quello dei tradizionali conversi. Il moltiplicarsi delle opere induceva la necessità di reclutare un numero adeguato di coadiutori.

                Con l'estendersi della fama di santità che circondava il nome di Don Bosco, andava pur crescendo quasi di giorno in giorno la moltitudine delle persone che si raccomandavano alle sue preghiere; onde, tornandogli impossibile rispondere a tutti individualmente, diede col nuovo anno a litografare una lettera che volta per volta servisse di risposta. In essa, mentre prometteva di pregare e di far pregare, raccomandava pure a ognuno di unirsi con lui e con i suoi giovanetti mediante una novena, in cui recitare quotidianamente tre Pater, Ave, Gloria, tre Salve Regina, e le giaculatorie Cor Iesu Sacratissimum, miserere nobis e Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis, frequentando inoltre la santa comunione, “sorgente di tutte le grazie”e facendo qualche opera di carità, massime a pro de' suoi giovanetti [395] poveri[279]. Oggi questa è diventata per eccellenza la novena di Don Bosco in onore di Maria Ausiliatrice. Oralmente però il Beato la suggeriva già da tempo, specificando che i Pater si dicessero a Gesù Sacramentato[280].

                Se nel tempo a cui siamo giunti con la nostra storia, era già grande il concetto che si aveva della santità di Don Bosco, sempre maggiore vedremo farsi questa riputazione negli anni seguenti, ma vedremo pure grandeggiare di pari passo nel Servo di Dio l'umile sentire di se stesso. Cade in questo periodo una particolarità rivelatrice, narrata dal suo segretario Don Gioachino Berto. Per ben valutare l'atteggiamento e il linguaggio di quest'ultimo, è utile sapere com'egli fosse uomo rustichetto e incapace per natura di escogitare o di adoperare formule che apparissero anche lontanamente adulatorie. Un giorno Don Bosco gli disse:

                - Guarda, Don Berto, io desidererei che tu notassi tutto quello che osservi in me di difettoso e me lo dicessi.

                - Piuttosto, gli soggiunse l'altro, dovrebbe Lei fare questo uffizio a mio riguardo.

                - No, no, replicò il Beato; vorrei che tu notassi tutto quello che trovi di biasimevole in me e me lo dicessi.

                Don Berto allora, vedendo che egli parlava sul serio, gli disse: -Ebbene, se lei vuole proprio che io mi prenda questo incarico, mi prometta che lei farà altrettanto verso di me.

                - Sì, sì, va bene; comincia perciò fin d'ora a dirmi in quali cose ti sembra dovermi io correggere.

                - Se veramente desidera questo, eccole quanto ho osservato in lei e che secondo me bisognerebbe correggere. Ma, veda, sono cose da niente.

                - Quali, per esempio?

                - Quando parla e racconta qualche fatto familiarmente, ha l'abitudine di ripetere quasi a ogni proposizione le parole ma o dico che, senza che c'entrino per nulla nel discorso. [396] Questo mi fa pena sentendolo, non per me, ma per gli altri che ascoltano.

- E altre cose ?

                - Un'altra cosa si è che, celebrando messa, dopo il Confiteor nel dire indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum, invece di nostrorum, dice talora vestrorum e tribuat vobis invece di tribuat nobis.

                Don Bosco ascoltava col capo chino; poi, sorridendo, insistette: -E altro?

                - Inoltre ho osservato che nel prendere le abluzioni del calice, le fa gorgogliare per qualche istante in bocca prima d'inghiottirle, come farebbe chi volesse risciacquarsela. Questo strepito si ode da tutti quelli che le stanno intorno e a me fa una disgustosa impressione; mi pare un difetto e siccome voglio molto bene a Don Bosco, mi piacerebbe che lasciasse tali abitudini. Ora le chieggo perdono, se ho parlato coli troppa libertà.

                Ma egli replicò: - Solamente queste cose? lo vorrei che mi notassi difetti gravi.

                - Al presente non ho altro da osservarle; in avvenire, se così desidera, notando qualche altro difetto in Lei, non mancherò d'indicarglielo, perchè mi sta molto più a cuore l'onor suo che non il mio. Sa bene, come dice Sallustio, che negli uomini grandi che stanno in alto, anche le più leggiere colpe e difetti e imperfezioni appaiono al volgo gravi delitti.

                A queste parole Don Bosco si fece serio in viso e cambiò discorso.

                Per San Francesco di Sales il Beato 'si sarebbe dovuto assentare da Torino; quindi volle assicurarsi in tempo i priori della festa, facendone viva istanza ai coniugi Fava.

 

                Benemerito Sig. Cavaliere Fava,

                Più volte la S. V. e la Signora Annetta di Lei moglie hanno fatto insigne carità a me ed a tutta questa casa. Ora abbiamo tutti il più vivo desiderio che la S. V. e la pia di Lei consorte in quest'anno siano i priori della festa di S. Francesco di Sales nostro patrono e titolare. [397] I disturbi saranno per noi. Musica, predicatore, funzioni dì chiesa saranno nostro pensiero.

                Ella e la signora Annetta, potendo, verranno a qualche funzione della giornata, e se possibile, al nostro pranzo e alla sera al Teatrino. Padrini, quando si amministrerà il Sacramento della cresima.

                Noto che tutte le preghiere, le comunioni, e la messa della comunità saranno tutte offerte a Dio secondo la pia loro intenzione.

                D. Rua mio alter ego darà schiarimenti se occorrono e prenderà la sua risposta che spero favorevole.

                Dio benedica lei e tutta la sua famiglia e mi creda con profonda gratitudine.

                Di V. S. B.

                Torino, II-I-I880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il cavaliere non solo gradì l'invito, ma nella sua carità gli mandò un'offerta di lire trecento.

                Da Torino Don Bosco partì certamente fra il 12 e il 14 gennaio; il giorno preciso non si conosce, Egli si recava in Francia. Prima di raggiungere la frontiera, si trattenne un po' nel collegio di Alassio; il che sappiamo a motivo di una predizione fatta ivi dopo il pranzo e che attende tuttora il suo avveramento[281].

                Un episodio grazioso gli accadde a Ventimiglia. Mentre seduto nella stazione aspettava il treno di Francia, osservava un ragazzetto dell'età di sette od otto anni molto irrequieto. Era figlio del locandiere. Andava, veniva, parlava con l'uno e con l'altro degli avventori o dei garzoni; si avvicinava ora al padre, ora alla madre: aveva proprio l'argento vivo addosso. Ma di quando in quando gli usciva di bocca la parola Chisto. Don Bosco seguiva con l'occhio il piccolo bestemmiatore, finchè questi venne vicino a lui con stia madre.

                - Vieni qui, piccolino, gli disse. Permette che io dica una parola a suo figlio? chiese poi alla madre.

                - Faccia pure, rispose la signora. [398]

                - Ascoltami, continuò Don Bosco rivolto al fanciullo Vuoi che t'insegni a pronunciare bene le parole?

                Il fanciullo non osava parlare. - Rispondi! gli fece la madre, quasi indispettita.

                - Sì, proferì il birichino in modo sgarbato.

                - Sta' dunque attento, ripigliò il Servo di Dio, come si fa a pronunciar bene le parole... Prima di tutto lévati il berretto.

                Il piccolo non si moveva. - Su, lévati il berretto, gl'ingiunse la madre.

                Il fanciullo se lo levò. Allora Don Bosco prese a dire: - Sta' attento. Si dice Cristo e non Chisto, e a questo modo. Osserva. In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia. - Fattosi così il segno della croce, continuò: - Sia lodato Gesù Cristo. Attento bene: non Chisto, ma Cristo.

                Intanto si era tutto attorno radunata gente, fra cui anche il padre, che esclamò: - Lei ha ragione, reverendo. Si prendono certe abitudini senza pensarci, e i piccoli imparano dai grandi. Anch'io ho questa abitudine, e presto o tardi bisognerà. che la smetta.

                - Spero che sarà presto, osservò Don Bosco senz'aggiungere parola.

                Il locandiere dovette ritirarsi subito per servire gli avventori; il piccolino lo seguì e tutti si allontanarono. Dopo qualche istante la madre gli si accostò e gli disse:

                - Avrebbe la bontà di celebrarmi una messa?

                - Volentieri!

                - Prenda dunque .....

                - Non fa bisogno d'elemosina. La celebrerò ugualmente secondo la sua intenzione.

                - No, prenda; mi fa piacere.

                - Quando è così, sia pure.

                La signora gli diede una busta con dentro dieci lire; quindi si ritirò visibilmente commossa. Da quel giorno, tutte le volte che Don Bosco passava di là, essa, avendo saputo chi [399] era, gli dava sempre dieci lire di elemosina per la celebrazione di una messa. Nell'anno dell'esposizione nazionale di Torino Don Bosco, entrato nel recinto e passando dinanzi a un buffet, si sentì salutare da una signora, la quale, rivelatasi per la padrona del caffè di Ventimiglia, gli chiese che le permettesse di fargli una visita nell'Oratorio. - Ben volentieri, le rispose Don Bosco. Ma in questa stagione sono sempre fuori di casa e sarà difficile trovarmi.

                - Venne difatti colei più volte, ma non potè mai incontrarlo. Voleva parlargli per collocare quel suo figlio nel collegio di Alassio, desiderando di ottenerne da lui stesso l'accettazione.

                L'amabilità di Don Bosco era proprio un incanto. Un sacerdote del Canton Ticino, Don Giacomo Cavalli, scrivendo il 5 gennaio da Rasa a Don Rua, chiudeva la sua lettera con queste affettuose espressioni: “Dica all'amato nostro Don Bosco che reciti tre Ave Maria secondo la mia intenzione e, se può, mi faccia la grazia di mandarmi un qualche pio ricordo che lo terrò come preziosa reliquia. Almeno almeno una sol linea scritta di sua mano! Oh il cuore di Don Bosco è tutto bontà e spero che mi farà un tal favore, non per mio merito, ma per amor di Gesù e di Maria”.

 

 

CAPO XVI. Il Beato Don Bosco visita le case di Francia.

 

                LA necessità d'un nuovo viaggio in Francia veniva specialmente da Marsiglia. I lavori di costruzione ivi in corso richiedevano danari, e i danari mancavano; la questione del servizio parrocchiale, sopita per brev'ora, tornava fastidiosamente a galla, e urgeva trovar rimedio; presso la Società Beaujour pendevano affari d'importanza, che mal si potevano trattare da lontano. Per tutti questi motivi Don Bosco, fermo nel proposito di dare alle cose della Congregazione in Francia un avviamento spedito e sicuro, lasciata da parte ogni altra considerazione nè badando a disagi fisici, si rimise in cammino a quella volta. E realmente la Provvidenza dimostrò coi fatti, quanto tale andata rispondesse a' suoi arcani disegni.

                Il Beato Padre giunse felicemente a Nizza la sera del mercoledì 14 gennaio; ma ben pochi de' suoi figli lo videro all'arrivo, non tanto perchè l'ora fosse assai tarda, quanto perchè più nessuno l'aspettava. Il Direttore Don Ronchail, che da due giorni correva mattina e sera inutilmente alla stazione, ritiratosi in camera verso le dieci dopo aver visto passare da un pezzo l'ultimo treno, sentì alle dieci e mezzo rumore di passi e di parole sotto la finestra e affacciatosi distinse chiaramente, com'egli si esprime, “la voce del nostro caro Papà”. Disceso a precipizio e salutatolo, gli domandò, se [401] fosse già pagata la vettura. - Come? diss'egli. Credi tu che un giovinotto pari mio abbia bisogno di vettura per venire fin qui dalla stazione? - Ma il coadiutore Rossi, che l'accompagnava da Torino e qualche altro della casa andato con poca speranza ad aspettarlo, gli confermarono che, nonostante le loro insistenze, Don Bosco aveva voluto far vedere di essere ancor buono a fare una passeggiata di tre quarti d'ora alle dieci di notte.

                Nè si mostrava stanco; infatti non andò a riposo se non Sonate le dodici. La dimane, benchè in città non si fosse dato per certo che egli sarebbe giunto quel giorno, vi fu nell'oratorio tale un affluire di visitatori, che dovette starsene chiuso in camera fino a mezzodì per dare udienze. Disceso per il desinare, soltanto allora potè vedere i giovani nel loro refettorio e intrattenersi a tavola col personale. Verso la fine alcune allegre sonate accrebbero la gioia comune. I musici erano appena diciotto; ma Don Bosco notò subito con piacere che dall'ultima volta la piccola banda aveva fatto progresso.

                Appena uscì dalla saletta da pranzo, la carrozza dei conte Celebrini già lo attendeva per condurlo a benedire la contessa, inferma da sei mesi. In compagnia del Direttore continuò quindi a far visite, recandosi anzitutto a ossequiare il Vescovo. Sull'imbrunire, mentre per la salita di Carabacel andavano dal conte di Villeneuve, s'imbatterono in Don Cagliero, che arrivava allora allora dalla ferrovia. Egli pure aveva fatto il viaggio con Don Bosco; ma erasi fermato un giorno a Vallecrosia con Don Cibrario.

                Qui si svolse rapidamente una scenetta, che, a dir vero, non sarebbe materia di storia, ma che nondimeno serve a ritrarre la cara familiarità solita a regnare fra Don Bosco e i suoi figli. Ci si vedeva poco a quell'ora; tuttavia Don Ronchail nel prete che si avvicinava, riconobbe tosto Don Cagliero, e quindi lo salutò dicendo: Bon soir, mon révérend Père, avez-vous fait bon voyage? - Très bon, rispose quegli. Allora Don Bosco domandò in italiano al primo, chi fosse [402] quel prete. Il Direttore, immaginando che egli scherzasse, volle completare lo scherzo, dicendogli che era un prete amico della casa, solito a visitare di quando in quando i Salesiani. - Alloggerà dunque al patronato, soggiunse Don Bosco. - Certamente, confermò Don Ronchail. Fu cosa d'un attimo, e Don Cagliero che aveva mangiato la foglia, stava per proseguire la strada senza mostrare di essersene addato, quando graziosamente Don Bosco gli disse: Alors à nous revoír dans quelques istants. In così dire si separarono. Fatti pochi passi, Don Bosco tornò a chiedere:

                - Chi è quel prete?

                - Ma è Don Cagliero! rispose l'altro.

                - Come? Don Cagliero?! Ma io non l'ho riconosciuto nemmeno dalla voce!

                Dalla voce non lo riconobbe, perchè Don Cagliero aveva un po' di raucedine e insieme perchè egli aveva parlato francese. Ciò udito, si mise a ridere di vero cuore e n'ebbero fino al palazzo del conte, dove pranzarono. Molto ancora si rise dopo il ritorno, perchè Don Cagliero aveva continuato la commediola, ingannando parecchi confratelli con il suo parlar francese e con il cappello alla spagnuola, poichè doveva proseguire per Siviglia.

                La mattina del 16 Don Bosco partì con Don Ronchail per Fréjus, dove monsignor Terris lo aspettava a pranzo e per onorarlo aveva invitato anche il suo Vicario generale e altre ragguardevoli persone; vi si prolungò la conversazione fino alle quattro e mezzo, ora della partenza. Sul treno sì riunirono con Don Cagliero e Rossi, che erano diretti a Marsiglia; ma viaggiarono insieme solamente per un tratto, finchè Don Bosco e il suo segretario cambiarono linea, prendendo per Hyères. Questa volta a Hyères noli vi furono incidenti simili a quello dell'anno innanzi; poichè nell'uscire dalla stazione trovarono Don Perrot, direttore della casa di San Giuseppe alla Navarre, e la vettura dell'ottimo signor De Bouting, il quale si mostrò lietissimo di dar loro ospitalità durante i tre [403] giorni che rimasero nella piccola, ma incantevole cittadina. Al suo giungere Don Bosco trovò radunati nello splendido salone del palazzo comitale un bel gruppo di Cooperatori, che, appena lo videro entrare, levarono un grido di gioia e gli mossero incontro a dargli il benvenuto. Dopo cena si vegliò fino alle undici, tanto era vivo in tutti quei nobili signori il desiderio di ascoltare il Beato.

                A Hyères, come già a Nizza, Don Bosco non ebbe un momento di riposo per le continue visite e udienze; non vi fu persona religiosa della nobiltà o della borghesia, tanto di Hyères che della colonia, la quale non volesse avvicinarlo, consigliarsi con lui, esporgli le proprie miserie, raccomandarsi alle sue preghiere. Dovette anche recarsi presso buon numero d'infermi, bramosi di riceverne la benedizione.

                La domenica 18 celebrò nella chiesa parrocchiale a un magnifico altare della Madonna di Lourdes. Due diaconi gli servirono la messa; vi assistevano numerosi fedeli, fra cui molti Cooperatori e Cooperatrici. Furono tanti coloro i quali vollero ricevere dalle sue mani la comunione, che bisognò fare uno strappo alla regola, non usandosi colà comunicare fuori dell'altar maggiore.

                Nel frattempo spuntò un gaio stuolo di ragazzi della Navarre, che, accolti prima e ristorati nella casa ospitale del signor De Bouting, scortarono poi Don Bosco, che faceva ritorno alla chiesa per la messa solenne, da loro cantata. Eseguirono quella di Don Cagliero, detta di San Luigi. Nel pomeriggio dopo i vespri, in cui i giovani cantarono il Dixit e il Magnificat pure di Don Cagliero, montò in pulpito l'abate Isnard, Viceparroco di Solliès-Pont e zelante cooperatore, che a una folla straordinaria parlò delle opere e delle missioni salesiane. Finito il discorso, una questua in favore della casa di San Giuseppe ristorò alquanto le misere finanze di Don Perrot.

                Al termine della funzione Don Bosco fu pregato di passare in sacrestia, dove tutti i preti del luogo e alcuni delle vicinanze lo attorniarono, stimandosi fortunati di udire dalle [404] sue labbra una buona parola. Chi chiedeva consiglio, chi voleva un ricordo, chi implorava la benedizione. Era una scena commovente di umiltà e di fede.

                La mattina del lunedì, celebrata la messa per i Cooperatori, tenne una breve conferenza. - Che coraggio, diceva egli dopo a Don Perrot ridendo, che coraggio ha Don Bosco! Mettermi a parlare francese a gente così colta e durarla per un quarto d'ora! - Ciò nonostante le sue disadorne parole furono gustate da quei signori e da quelle signore, che pendevano attenti dal suo labbro senza perdere una sillaba. Verso le undici partì con Don Ronchail per Tolone, mentre Don Perrot faceva ritorno alla sua Navarre, donde il 21 scrisse a Don Rua: “Quanti disturbi e quante fatiche non s'impone mai questo buon Padre pei suoi figli! Oh come dobbiamo essere riconoscenti al Signore d'avercelo dato! Come si lavora volentieri dietro all'esempio d'un Padre instancabile e quanto son dolci gli sforzi che si devono fare per osservare con esattezza e con vero spirito le nostre sante Regole, onde mostrarci degni suoi figli!”

                Alla stazione di La Pauline bisognava cambiar treno. Appena discesi, ecco un signorino ventenne avvicinarsi loro e dire al segretario: C'est bien le révérendissime Père Don Bosco que j'ai l'honneur de voir ici... Alla risposta affermativa, prese graziosamente il loro piccolo bagaglio, conducendoli a una carrozza elle portava blasone agli sportelli. Era la carrozza del signor De Vallavieille, il quale grazie alla raccomandazione del Vescovo di Frèjus aveva ottenuto che Don Bosco sostasse presso di lui per dargli la sua benedizione, essendo egli da più d'un anno infermo. Gli si era scritto che i viaggiatori sarebbero scesi più oltre, alla stazione della Garde, ma quegli volle essere così gentile da farli rilevare prima per loro maggior comodità, prevenendoli telegraficamente. Curiosa fu in quel telegramma, indirizzato al signor De Bouting, la metamorfosi subíta dal nome di Don Bosco, che diventò per errore del telegrafista un non mai conosciuto Bomb-Asco. [405] Il De Vallavieille, già prefetto di Lione sotto Mac-Mahon e ottimo cattolico, aveva una famiglia religiosissima, che con varie persone accorse per conoscere il Beato, godette vivamente della sua conversazione a mensa e dopo fino alle quattro, ora di partire per Marsiglia. Finalmente alle sette e mezzo il Servo di Dio entrava nell'Oratorio di San Leone, acclamato con un sol grido da cento e più voci: Vive Don Bosco!

                La prima impressione da lui provata nel mettervi piede fu che la casa di Marsiglia salisse a un'importanza sempre maggiore e che a regolarne bene lo sviluppo gli convenisse fermarsi ivi più a lungo che non avesse divisato. Questo che sulle prime era un semplice buon desiderio, diventò poi una vera necessità, come vedremo. Intanto il suo pensiero andava a quelle certe nubi  che più o meno offuscavano sempre le buone relazioni fra la parrocchia e l'oratorio; tali nubi parvero tosto dileguarsi e ciò “grazie al buon cuore del nostro Papà Don Bosco”, scrisse Don Ronchail, elle in altra stia diceva: “Il sig. Curato di S. Giuseppe è divenuto sereno, come un bel giorno dopo una tempesta”[282].

                Dunque ci fu tempesta, e che tempesta! Don Bosco ne aveva avuto sentore prima di andare in Francia; infatti il 12 gennaio indirizzò da Sampierdarena al parroco di San Giuseppe una lettera per annunziargli la sua prossima venuta, ma più ancora per aver occasione di dirgli: “lo mi pensava che le sue relazioni coll'Oratorio di S. Leone fossero più cordiali. Spero che parlandoci e parlando con Don Bologna si potranno togliere le difficoltà e riporre le cose nel modo che potranno assicurare il bene delle anime. Abbiamo incominciato con questo fine e Dio ci aiuterà a conseguirlo a costo di qualunque sacrificio dal canto nostro. Ho sempre avuto piena fiducia in Lei e sono persuaso che la sua bontà non ci verrà meno”[283]. [406]

                “Le difficoltà” erano entrate nel periodo acuto in settembre. Il parroco, avendo allora richiesto dai Salesiani un servizio impossibile, cominciò da quel punto a nutrire avversione contro di loro e contro Don Bosco stesso[284], che credeva d'accordo col Direttore nell'avversarlo. Ma la ruggine durava da tempo. Bisogna sapere che talvolta a motivo di servizi religiosi erano financo tre contemporaneamente i preti fuori di casa; il che avveniva soprattutto per funerali, assai frequenti e molto lunghi a causa di certi usi locali, e poi ci voleva un'ora e più dì vettura fino al Camposanto. I Salesiani dovevano inoltre ammaestrare i giovani cantori, dirigere la cantoria della parrocchia e il piccolo clero e condurre un dato numero di giovani per accompagnare il Viatico e le sepolture a ogni cenno del Parroco; tutte le feste un Salesiano doveva binare in parrocchia e dopo la seconda messa, detta per ultima, benedire puerpere e accompagnare feretri al cimitero. Essendo la parrocchia grossissima, tali camminate si ripetevano fin tre volte al giorno. Per questo servizio i preti ricevevano prima cento cinquanta franchi al mese; con Don Bosco il canonico Guiol ne aveva pattuiti solo cento. Si noti ancora che in faccia alla città l'accompagnare morti era un ufficio disonorevole, perchè affidato a sacerdoti che non predicavano, non confessavano, piovuti dall'Italia per amor di lucro e non sempre lodevoli per condotta. Un giorno i Domenicani dissero a Don Bologna: - Come mai? I Salesiani sono forse venuti a Marsiglia per fare i becchini della parrocchia? - Finalmente si noti che gravami così insopportabili dovevano durare in perpetuo. Firmando la convenzione, Don Bosco, ignaro delle usanze locali, non avrebbe mai immaginato tanta enormità di oneri; egli supponeva che fosse là come in Italia dove il servizio parrocchiale dei nostri è un cooperare, al bene dei fedeli, ma dandosi sempre la precedenza ai doveri verso i giovani della casa e senz'ombra [407] di servitù. Si capisce quindi come fossero incessanti i reclami dei Salesiani a Torino e le esortazioni di Don Bosco ad aver ancora un po' di pazienza.

                Quando egli arrivò a Marsiglia, la tensione era giunta al sommo. Venuto il curato a visitarlo, egli entrò pacatamente in questione. Erano presenti Don Bologna, Don Ghione prefetto e forse Don Ronchail, direttore di Nizza. Il curato non si potè contenere e montato in furia chiamò Don Bosco truffatore, imbroglione, mancator di parola e si ritirò. Don Bosco lasciò dire, mantenendosi sempre calmo e paziente, senza fare mai neppure atto di voler rispondere, mentre l'altro inveiva.

                Alla sera il parroco voleva tornare a San Leone per riattaccare il discorso sugli oneri, dei quali si lamentavano i Salesiani. Ma Don Bosco lo mandò a pregare che avesse la bontà di rimettere quei negozi a miglior tempo. Intanto per il dì appresso egli aveva invitato a pranzo alcuni benefattori. Che vi fosse anche il parroco, non conveniva, data la sua esaltazione; escluderlo dall'invito nemmeno, potendo quest'atto essere preso in mala parte e accenderne vie più lo sdegno. Disse perciò a Don Bologna: - Vieni, andiamo dal signor Curato.

                - A prendere il resto del Carlino? gli rispose il Direttore.

                - No, ma a calmarlo e a guadagnarlo. Egli è impulsivo, ma è buono e vedrai che aggiusteremo tutto.

                E così fu. - Lei ha detto bene, signor Curato, gli fece Don Bosco; sì, ha ragione. Ma i Salesiani non dimenticheranno mai i benefizi ricevuti, e gliene saranno sempre grati. - Poi soggiunse che non aveva coraggio d'invitarlo a pranzo con sè, perchè non poteva trattarlo come desiderava; che però egli stesso si sarebbe diman l'altro recato a pranzo da lui, perchè voleva far festa in canonica e perchè là si stava meglio che a S. Leone... Quando si separarono, il Curato si teneva ancora un po' sulla sua; ma quella sera noli cenò, la notte non dormì, e la mattina seguente di buon'ora venne all'oratorio [408], volle che Don Bosco radunasse il Capitolo e dinanzi a tutti si scusò dicendo che ritirava le sue parole e le sue pretensioni; soltanto osservava riguardo al coro della maìtrise, essere stato quello il movente per chiamare i Salesiani a Marsiglia; riguardo alle rilesse e ai funerali, si rimetteva alla possibilità. Insomma, l'accordo fu fatto e la pace anche.

                Il parroco rimase talmente ammirato e commosso dell'umiltà di Don Bosco, che d'allora in poi si mantenne fedele amico di lui e delle sue opere. Dopo la morte del Servo di Dio, dovendosi cominciare a San Leone una nuova fabbrica e mancando i mezzi, venne in persona col Direttore a fare un triduo di preghiere presso la tomba del Beato per poter trovare a sua intercessione gli aiuti necessari, e fu esaudito[285].

                Avvicinandosi la festa di San Francesco di Sales, Don Bosco avrebbe voluto convocare i Cooperatori marsigliesi; ma bisognò rinunziarvi, perchè allora, essendo la città funestata da malattie e morti, non era possibile tenere riunioni. Tuttavia al 29 un po' di festa si fece ed anche un po' di teatro; il che diede occasione a un fatto singolare. Il giovane protagonista del dramma, buscatosi un forte raffreddore, aveva perduto completamente la voce. Il Direttore, contrariato da tale incidente, andò da Don Bosco e gli espose il suo imbarazzo per la trista figura che doveva fare licenziando così gl'invitati. Don Bosco, riflettuto un momento, disse di condurgli il piccolo attore. Questi, appena entrato, si mise in ginocchio per ricevere la benedizione; ma il Beato prima di benedirlo gli disse piacevolmente: - Lascia fare a me. Io ti presterò la mia voce e tu potrai sostener bene la tua parte. - Difatti l'alunno riebbe subito la sua voce ordinaria, mentre Don Bosco all'istante rimase afono. La rappresentazione andò benissimo; ma, passata la necessità, passò anche a Don Bosco l'afonia. [409] Nessun foglio cittadino aveva ancora parlato di lui; eppure la processione dei visitatori durava da mane a sera. Dire che le udienze non gli lasciavano respiro non è punto esagerare, infatti a dieci giorni dal suo arrivo non aveva peranco avuto agio di visitare la casa nè i lavori che vi si stavano facendo. Cori tutto ciò non dimenticava i lontani. Il 22 gennaio scrisse a Don Rua:

 

                                Mio caro D. Rua,

 

                Ho ricevuto la tua lettera e le notizie che mi dai. In ogni cosa sia benedetto il Signore. Dirai a M.me Legrand che le ho subito mandato la benedizione di M. A. con particolari preghiere per Lei. Nè mancherò di pregare per la defunta Damig. Occelletti e per la buona Paolina che continua ad usarci carità..          Rincresce la perdita del giovanetto Della Torre. Ma ringrazio il Signore che siasi preparato a ben morire: io raccomanderò a Dio l'anima sua.

                Temo che l'altro non si prepari bene. Credo ben f atto che tu dia un avviso generale che spero  farà salutare impressione sopra chi avesse qualche cosa particolare sulla coscienza.

                Ho ricevuto la lettera di D. Bonetti in rapporto alla casa di Penango. Se giudicate cosa opportuna, io non sono contrario. Si può cominciare a fare l'offerta di 20.000 lire, notando come noi abbiamo venduto un gran castello signorile a Strambino con 8 giornate di terreno per 25.000 lire.

                Finora ho fatto le cose di volo per ripigliarle al mio ritorno. Mi fermerò tutto il mese a Marsiglia per conchiudere affari e cercar danaro.

                Ma ho molto bisogno di preghiere e mi raccomando ai nostri cari giovani che facciano una santa comunione per questi miei urgenti bisogni.

                D. Cagliero partì di qui domenica passata a sera per Siviglia e scrisse già da Barcellona sul suo buon viaggio. Altri ti diranno altre notizie. Dio ti conservi in buona salute, mio caro D. Rua, e conservi nella sua santa grazia tutti i giovani dell'Oratorio, compresi D. Lago e D. Riccardi.

Abbiatemi sempre in G. C.

                Marsiglia, 22-1-80.

 

Aff.mo amico

Abbé JEAN Bosco.

 

                Quello che dice di un morto e di un morituro ha bisogno di spiegazione. Prima di venir via dall'Oratorio, non avendo [410] avuto tempo di parlarne egli stesso in pubblico, incaricò Don Lazzero di annunziare ai giovani che durante la sua assenza due di essi sarebbero partiti per l'eternità. Uno per nome Luigi Della Torre da Mezzana Bigli, artigiano sui diciott'anni, era già morto il 14 gennaio; “l'altro”, Antonio Borello da Grugliasco di anni quindici, pure artigiano, morì il 9 marzo, facendosi da sè la raccomandazione dell'anima per l'aggravarsi improvviso del male.

                Prima che il mese finisse, inviò anche una letterina a Don Barberis, con incoraggiamenti per lui e raccomandazioni per gli ascritti.

 

                                Mio caro D. Barberis.

 

                Omnes quidem currunt, sed non omnes accipiunt bravium. D. Molini, come vedi, desidera di far ritorno ad Lares. Procura di provvedere alla meglio che puoi. Credo che la sanità dei cari ascritti sia buona. Di loro elle attendo grandi cose dalla loro bontà, dal loro studio e dalla sanità.

                La messe evangelica si presenta ogni giorno più copiosa. Coraggio adunque, o miei cari ascritti. Dio vi prepara grazie, lavoro e Paradiso. Dio vi benedica tutti e pregate per me che vi sarò sempre

                Marsiglia, 30-1-80.

 

aff.mo amico in G. C.

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo questo biglietto, sembra che a Marsiglia non abbia più toccato la penna per scrivere a chicchessia; fu quasi miracolo che non soccombesse alla dura e interminabile fatica del ricevere quanti facevano ressa alla porta della sua camera. Noi dobbiamo ora narrare, alcuni fatti che ci spiegano il perchè di una calca sì straordinaria. I processi diocesani e apostolici, corrispondenze private, narrazioni orali di testimoni raccolte da Don Lemoyne saranno le nostre fonti.

                Il 30 gennaio Don Bosco andò a celebrare dalle suore della Visitazione. Giaceva colà gravemente inferma una signorina Périer, accolta nel monastero, perchè già allieva dell'istituto e nipote di una superiora. Affetta da cancro e spedita dalla scienza aspettava omai la sua fine. Il Beato, avendo facoltà [411] di entrare nella clausura, si recò nell'infermeria, dove trovò parecchie ammalate, a ciascuna delle quali rivolse parole di conforto; ma, giunto vicino alla Périer, le disse: - E voi non chiedete licenza di alzarvi? Su, alzatevi.

                - Ma non sa, gli osservò sommessamente la Superiora, che ha un cancro? E' incurabile.

                - A mezzodì alzatevi, riprese Don Bosco, e andate a pranzo con le altre.

                Benedettala, uscì. Egli era appena fuori della stanza, che l'ammalata prese a dire: - Ala io non ho più nessun male. Io sono guarita, voglio alzarmi, datemi le vesti. - Infatti l'ulcere maligna era scomparsa.

                 Dopo avvenne un casetto curioso. Don Bosco aveva detto alla Superiora di pregare il medico, che attestasse per iscritto la natura miracolosa della guarigione. Il medico, buon cristiano, prese scandalo di tale domanda; perciò volle vedere Don Bosco per averne la spiegazione. Mentre aspettava nell'anticamera, diceva al Direttore Don Bologna: - Fra le virtù di Don Bosco non c'è l'umiltà? La sua richiesta non sa di vanagloria? Vorrebbe forse profittare di questa guarigione per proprio interesse? - Don Bologna si sforzava di fargli intendere la cosa per il suo verso; ma era come se dicesse al muro. Venuta quindi la sua volta di essere introdotto, che cosa passasse fra lui e Don Bosco, nessuno lo seppe; il fatto è che dopo un'ora il Direttore, sospinto l'uscio per avvertire dell'impazienza di coloro che aspettavano, vide il medico in ginocchio, piangente e con le mani giunte in atto di preghiera, e Don Bosco stava per benedirlo. Uscito disse a Don Bologna: - Non è per sè, no, non è per sè, ma per gli altri e per la gloria della Madonna.

                La Périer si fece poi Figlia di Maria Ausiliatrice, campò fino al 1886 e morì nella casa madre a Nizza Monferrato[286]. [412] Prima e dopo questa guarigione altri fatti straordinari concorsero a divulgare la fama di taumaturgo, che agli occhi di non pochi circondava già il nome di Don Bosco. Riferiremo qui i più accertati.

                La signorina Barbarin, condannata da circa quattro anni all'immobilità, passava la vita distesa sur un letto. Di tratto in tratto un nodo la stringeva alla gola, facendole metter fuori la lingua e stravolgere gli occhi. Don Bosco, invitato a pranzo in quella famiglia, vi andò con Don Bologna. Dopo i primi convenevoli, lo condussero dall'inferma. Egli la esortò a confidare nella Madonna, fece alcune preghiere con gli astanti e la benedisse.

                - Ora si alzi, le ordinò, e venga a tavola con noi.

                - Impossibile! esclamò quasi esterrefatta la madre. Non si può muovere da quattro anni.

                - Che importa? rispose Don Bosco. Il passato non è il presente. Io mi ritiro. La facciano alzare, si vesta e scenda con noi a pranzo.

                Nella sala da pranzo una trentina di persone tra familiari e invitati conversavano aspettando; a loro si unì tranquillamente il Beato. Noti passò un quarto d'ora che, spalancatasi la porta, entrò, seguíta dalla madre e da altri, la giovane, camminando con tutta speditezza. A sì improvvisa apparizione un brivido da non potersi descrivere invase i testimoni della scena, che la guardavano estatici e nessuno osava parlare. Ruppe essa il silenzio, invitando ad accomodarsi.

                A mensa sedette presso Don Bosco. Mangiava con appetito e prendeva di tutto. Dato giù il generale stupore, la gioia dominò sovrana; soltanto la madre sembrava estranea, perchè guardava e taceva. L'ingenua signora, credenzona anzi che no, aveva fatto affatturare la figlia e le dava da bere acqua affatturata, sperando con questo mezzo di rimetterla in salute; anche allora le fece apprestare di quell'acqua. [413]

                 - Ma perchè quest'acquaccia? le disse Don Bosco. É molto meglio un po' di vino. Acqua le dia quell'altra che è così limpida. - E accennando alla bottiglia dell'acqua comune, le mesceva di quel buono.

                - Almeno benedica quest'acqua - ripigliò la madre. Il Beato la contentò, ma fe' celino di portar via la precedente.

                L'inferma era tanto ben guarita, che il dì appresso andò con la madre a restituirgli la visita.

                Notevolissimo è il caso del signor Bonnet marsigliese. Era egli andato alle acque di Allevard nel circondario di Grenoble per curarsi lo stomaco e l'esito gli parve tanto felice che prima di partire volle rivedere il dottor Emilio Chatain per ringraziarlo delle sue cure. Se non che sul punto di congedarsi sentì un forte dolore all'osso sacro e lo disse al medico, che, visitatolo per bene, gli riscontrò una tubercolosi locale; onde gli fe' premura di restituirsi subito a Marsiglia per esservi operato.

                Il signor Bonnet obbedì all'istante. A Marsiglia consultò specialisti, si sottopose ad atti operatorii, lo martoriarono per sei o sette mesi, ma non si veniva mai a capo di nulla. In preda allo sconforto seppe di Don Bosco e della sua presenza nella città. Non volle più intender altro; ma senza por tempo in mezzo si trascinò da lui pieno di fiducia che egli l'avrebbe guarito. Il Beato lo ricevette con bontà, lo benedisse e lo incoraggiò dicendogli che stesse tranquillo, perchè avrebbe ricuperato la salute e fatto una bella carriera. Queste parole gli ridonarono, per dir così, la vita; ma il meglio si fu quando, tornato a casa, una scarica repentina di materie purulente gli portò via il fomite del male.

                Il dottor Chatain, fervente cristiano, raccontando il fatto, soggiungeva essersi avverata non solo la prima parte della predizione, ma anche la seconda; poichè il Bonnet giunse ad occupare un alto ufficio e divenne padre felice di due figlioletti belli e sani come due amorini. [414] Non meno interessante è una narrazione che un sacerdote genovese fa in una lettera a Don Lemoyne, suo amico[287]. Si presentò a Don Bosco in Marsiglia una signora, che amaramente si doleva perchè suo marito si ostinasse a fare il miscredente e perchè un suo bambino di cinque anni fosse privo di favella. Il Beato la consolò, promettendole di pregare per la conversione dello sposo e per la guarigione del figlio; ma le raccomandò di pregare lei pure, facendo la solita novena a Maria Ausiliatrice.

                Rincasata, la signora disse a suo marito che aveva visto Don Bosco. Quegli. si adirò, montò sulle furie, gridava che Don Bosco era un prete e che ai preti egli non credeva, e a queste parole mescolava bestemmie contro Dio e imprecazioni contro la moglie. Sbollite le ire, s'andò a pranzo. Fra un discorso e l'altro la signora accennò d'aver raccomandato a Don Bosco la guarigione del figlio; ma l'Altro scrollò le spalle. Ebbene in quella il piccino lanciò improvvisamente un grido: -Papà! papà! - Era la prima volta che udivano la stia voce. Il padre scosso, ma non vinto, s'intenerì si alzò da mensa e si chiuse nella propria camera. La mattina seguente, andato a visitare Don Bosco, gli dichiarò francamente che ai preti gli ripugnava di prestar fede. - Oh, gli rispose Don Bosco, se no n mi vuole come prete, mi riguardi come amico. - Poi adagio adagio lo venne illuminando, finchè colui, che aveva già il cuore in subbuglio per il portento del dì innanzi, cedette le armi, ammaliato anche dalla bontà del suo interlocutore. Il colloquio insomma finì con la confessione del miscredente, che accomiatandosi gli fece scorrere nelle mani una generosa offerta.

                Si ha pure memoria di singolari intuizioni e di vere profezie. E' grazioso il fatto della vedova Ponge. La signora presentò a Don Bosco due suoi figli, perchè li benedicesse; [415] volendo poi ella spiegargli come uno le desse gravi dispiaceri, il Beato, senza darle tempo di esprimere il suo pensiero, mise la mano sulla spalla proprio del discolo, dicendogli: - Ehi, Carlo, bisogna che siate la consolazione della vostra buona mamma. - Nessuno a Don Bosco aveva rivelato il nome del giovane nè parlato della sua condotta. Il ragazzo rimase talmente colpito che, com'è scritto nel documento dei nostri archivi, non diede mai più alla madre alcun motivo di lamentarsi.

                Ad una inferma predisse la cessazione del male, ma in un senso che lì per lì non venne inteso. Recatosi un giorno all'istituto delle religiose del Sacro Cuore, fu pregato di visitare una suora che pativa molto per mal d'occhi, e che lo supplicò di farla guarire. - Sì, si, rispos'egli sorridendo, dopo domani vedrà che belle cose! - Infatti al secondo giorno l'ammalata andò in paradiso.

                Era un crescendo di meraviglie. Cose sorprendenti si videro e si udirono in un pensionato femminile tenuto dalle Suore dell'Immacolata Concezione[288]. Le convittrici stavano radunate in un salone per ricevere Don Bosco, che veniva a visitarle. Egli entrò molto alla buona, dicendo: Vous attendez Don Bosco, n'est-ce pas? Don Bosco viendra el Don Bosco le voila. Dietro di lui era entrata e si avanzò una donna del popolo con una ragazzina sulle braccia, che non poteva affatto muovere le gambe. La povera donna, non avendolo potuto raggiungere nel convento delle suore di San Giuseppe di Cluny, dov'egli era stato allora allora, l'aveva seguito colà, cacciandosi dentro senza badare a nessuno e, posata la sua creatura sopra un divano dinanzi al Servo di Dio, lo scongiurava di darle la benedizione. Don Bosco, benedettala e animatala a confidare nella Vergine Ausiliatrice, le ordinò senz'altro di camminare. Esitava essa per tema di cadere; onde la madre fece per aiutarla. Ma Don Bosco non volle, dicendo: [416] - Non ha bisogno di aiuto... Alzati e va' in cappella a ringraziare la Madonna. - Si alzò, camminò e fu accompagnata alla cappella da alcune pie persone commosse e piangenti. Don Cagliero, presente al fatto, la rivide appresso uscire dall'istituto con i propri piedi e semplicemente appoggiata al braccio della mamma[289].

                Torniamo alle alunne. Cessato il tramestio, due di esse, che attendevano là nel mezzo il momento opportuno, poterono fare la loro parte. La più piccola recava un mazzo di fiori con tanti involtini che racchiudevano monetine da cinquanta centesimi, offerta delle educande a Don Bosco, e l'altra già grande gli lesse un indirizzo a nome delle superiore e delle compagne. Egli, ascoltato il complimento, rispose a tutta la comunità; finito che ebbe, poterono, quelle che vollero, udire da lui una parola particolare.

                Quando fu terminato il ricevimento pubblico, gli vennero presentate separatamente le allieve che si preparavano agli esami da maestre. Il Beato le assicurò che tutte sarebbero state promosse, anzi che sarebbero riuscite le prime; a una poi che aspirava alla patente di grado superiore, apertole un libro che essa teneva in mano, indicò un punto senza dire il perchè. Una delle altre, la lettrice di poc'anzi, per cognome Aiguier, aveva in animo di farsi suora dell'Immacolata Concezione, ma voleva entrare in un convento di clausura della medesima Congregazione per dedicarsi a vita contemplativa; la Superiora generale però vi si opponeva, esigendo che prendesse il diploma e restasse fra le religiose insegnanti. La studentessa fissa nella sua idea rifiutava di presentarsi agli esami e confidò a Don Bosco la propria intenzione. Don Bosco mirandola con uno sguardo che essa più non dimenticò, le aperse dinanzi come a caso la Littérature del Meneket e le disse: - Lei non sarà mai religiosa, ma [417] avrà bisogno di lavorare. Prenda la patente: riuscirà la prima di tutte. Un giorno le servirà. - La signorina Aiguier, che vive tuttora a Marsiglia[290], narrando il fatto, dice che lo sguardo di Don Bosco le parve in quel momento significare che pur non facendosi religiosa, ella sarebbe vissuta sempre come tale; aggiunge per altro che là per là quel vous ne serez jamais religieuse l'aveva contrariata alquanto.

                Ogni cosa si avverò per filo e per segno. All'esame fu dettata la pagina indicatale da Don Bosco. Fra le promosse la Aiguier risultò la prima, seguita immediatamente nella graduatoria dalle compagne, che riportarono votazioni superiori a quelle di tutte le altre candidate. La loro compagna di patente superiore venne interrogata dove Don Bosco aveva posato la mano, e conseguì un'ottima promozione La Aiguier non si fece suora, benchè il suo confessore le si fosse mostrato scettico sulla predizione di Don Bosco. Appartenendo a famiglia di grandi negozianti, si riprometteva un avvenire comodo, senz'alcun bisogno di esercitare l'insegnamento; invece di punto in bianco la fortuna si cambiò: suo padre per una disgraziata operazione commerciale perdette ogni avere, ed ecco allora cominciare per lei il calvario della scuola. Grazie alla provvidenziale patente essa potè aiutare la famiglia a guadagnare il pane quotidiano. Lusinghieri partiti le si erano offerti nel tempo buono; ma non volle mai accasarsi, onde se ne vive oggi sola soletta come una monaca.

                Le notizie di questi e di altri portenti dello stesso genere, non tutti a noi ben noti, correndo di bocca in bocca, determinarono un accorrere di visitatori, che per le intere giornate mettevano a rumore la casa. Don Cagliero, tornato da Siviglia, informava così Don Rua[291]: “Marseille est bouleversée, ed il suo movimento, il suo entusiasmo e trasporto per vedere [418] Don Bosco [...] mi ricordano ciò che successe a Roma nel '64, quando colà faceva lo stesso che qui sta facendo. Si è stabilita come una corrente elettrica in tutti i quartieri della città per comunicare tutto a tutti, tutto ciò che Don Bosco ha detto, ha fatto e sta per fare per ogni sorta di bisognosi spirituali e corporali [ ... ]. Questo straordinario concorso di gente, grandi e piccoli, ricchi e poveri, religiosi e secolari, cresce ed aumenta ogni dì più. Come tutti i bisognosi sopra descritti ricevono grande benefizio, così si dovette dilazionare la partenza da Marsiglia fino a domenica. Marsiglia è città di grandi borse, di gran fede e che ha grandi bisogni. E non esagero se dico che Don Bosco, se il tempo glielo permettesse, sarebbe in grado di fare quivi ciò che Giona profeta a Ninive. Ai suoi piedi cadono sciolti in lacrime mustacchi che fari paura, peccatori inveterati, donne vanitose e religiosi tiepidi. E ciò che più si ammira e stordisce è che si aprono alla beneficenza e carità cristiana borse finora chiuse ed insensibili ai bisogni del povero”.

                Nelle prime settimane però non era così quanto alle borse: “molto entusiasmo, ma niente danaro”[292]. Conviene però anche aggiungere che Don Bosco non soleva chiedere limosine individualmente a nessuno; in quella vece, se richiesto, esponeva soltanto le sue strettezze, affinchè, chi udiva, facesse come il cuore gli dettava. Nacque da tale suo atteggiamento un malinteso, che egli non fece nulla per dissipare.

                In compagnia del parroco Guiol visitò per la prima volta la signora Prat, che, desiderosa di soccorrere le opere salesiane, aspettava solo che Don Bosco domandasse. Ella dunque condusse con questa intenzione il discorso sulle opere di lui, chiese ed ebbe spiegazioni, ma non lo udiva mai accennare a verun bisogno che avesse di soccorsi. Allora passò a osservare come a tante opere buone che son nella Chiesa, necessitassero insigni benefattori; Don Bosco approvò l'osservazione. [419] Essa venne quindi a dire dei larghi sussidi che dava alle Figlie della Carità e alle Piccole Suore dei poveri; Don Bosco ne la lodò, esortandola a continuare. Stupita che egli nulla chiedesse per sè, disse che le sue fortune erano tali da lasciarle margine per quelle beneficenze e per altre ancora; Don Bosco rincalzò, notando che davvero Marsiglia aveva tante miserie da porgere occasione a ogni specie di carità. Insomma, per quanto la buona signora s'ingegnasse di strappargli una parola che alludesse alle proprie necessità, non vi riuscì mai. Alla fine Don Bosco si congedò, lasciandola trasecolata e incerta su quello che dovesse pensare per cotal modo di procedere. La dama, non potendo contenere in sè la meraviglia, se ne aperse con il parroco. Essa aver tanto desiderio di beneficare e Don Bosco non chiederle nulla! Il parroco le chiarì l'enigma, dicendole che sarebbe dovuta entrare lei stessa in argomento, perchè Don Bosco non domandava. Ciò udito, lo pregò di procurarle un altro incontro con lui per il giorno seguente.

                La mattina appresso Don Bosco e il parroco furono di bel nuovo a quella casa. La signora si rifece a parlare di carità, ma non ci fu verso che il Beato esponesse le sue miserie per averne soccorsi. Egli era dunque già per andarsene come nel giorno avanti, quando ruppe essa il ghiaccio, interrogandolo:

                - Ma Lei, Don Bosco, non ha bisogno di nulla?

                - Io, rispose Don Bosco sorridendo, ho bisogno di tutto.

                - Ma perchè non ne parla?

                - La Provvidenza sa i bisogni che ho.

                - E se la Provvidenza avesse destinato me a venirle in aiuto?

                - Le sarei ben riconoscente!

                - Quali sono i suoi bisogni?

                - Molti e gravi.  Abbiamo debiti per costruzioni fatte, ci restano costruzioni da fare .....

                - Quant'è oggi l'ammontare del debito per le costruzioni? [420]

                - Non saprei così su due piedi.

                - Ebbene, verifichi.

                 - Sentirò il mio architetto.

                 - E io sarò contenta di aiutarla.

                Si separarono con questa intesa. Don Bosco non indugiò a mandare il conto, che saliva a sessanta mila franchi. La signora Prat si obbligò a pagare tutto in più rate prima che l'anno finisse.

                Su questo punto, fosse esperienza fatta o naturale intuito, Don Bosco aveva anche un certo suo modo di vedere. Egli la ragionava così: - Quando si domanda apertamente la elemosina, si ricevono dieci, venti, cinquanta lire, e non più, e chi una volta ha dato, difficilmente ridà la seconda, persuaso che il beneficato debba restare contento. Invece, facendo sì che il benefattore chiegga egli stesso in qual misura possa dar soccorso, si può senz'arrossire presentargli una cifra anche grossa di debiti, e l'altro, se non darà tutto il bisognevole, darà sempre le migliaia, anzichè le centinaia di lire. In tal caso spetta a lui non ritirare con vergogna le proprie profferte di aiuto.

                Il danaro dunque venne, e in misura sufficiente per saldare i vecchi conti, per stipulare il contratto del terreno adiacente alla casa Beaujour, per regolare le faccende di Saint-Cyr e della Navarre, e perchè Don Savio, il quale aveva condotto a termine il primo lato dell'edifizio, mettesse mano alla costruzione dell'altro e all'innalzamento della parte centrale, senza tema di rimanere a mezzo per mancanza di quattrini. Cose tutte che avevano del sorprendente, come sorprendeva il vedere Don Bosco fra tutta quella gente parlare sempre arditamente francese e mostrare gran coraggio in ogni cosa.

                Nonostante la fatica delle udienze la sua salute sembrava abbastanza buona. Egli non era però senza incomodi. Dopo le orazioni s'intratteneva volentieri e anche lungamente a parlare, essendo quello l'unico tempo che avesse libero. Una sera confidò a Don Anacleto Ghione, che al mattino nell'alzarsi [421] soffriva assai. Questo doveva essere nell'atto di mettersi le calze elastiche per le vene varicose. Quei confratelli, accortisi che le aveva già logore, gliene comperarono un paio di nuove. Ordinariamente lo aiutava Don Berto tanto a toglierle che a metterle; il fare allora da sè tali operazioni gli accresceva senza dubbio le sofferenze. Una volta Don Berto, mosso a compassione al vedere lo stato di quelle povere gambe, gli baciò i piedi. - Hai baciato i piedi di Giuda! - gli disse Don Bosco con accento di profonda umiltà![293].

                In che condizioni egli avesse le gambe, lo intravide abbastanza Don Belmonte, quand'era Direttore a Sampierdarena, come narrò nel primo anno del suo direttorato al quaresimalista della parrocchia[294]. Un giorno, capitatogli nell'ospizio il Beato che tornava da visitare le case della riviera di ponente, profittò dell'occasione per dirgli che si sentiva proprio stanco da non poterne più. - Io non posso più continuare questa vita, conchiuse; non ho mai un momento di riposo! -Per tutta risposta il buon Padre si piegò alquanto della persona verso terra, alzò un po' la veste e mostrandogli le gambe tutte gonfie che parevano due colonnette o cuscini, aggiunse: - Mio caro, fatti coraggio! Riposeremo in paradiso.

                Il citato Don Ghione, che era prefetto della casa di Marsiglia, un'altra sera dopo le orazioni lo incontrò tutto solo in un corridoio e scorgendolo contro l'usato un po' inquieto, gli domandò se si sentisse male. Rispose di no, ma che era sdegnato, perchè una signora sofferente della vista avrebbe voluto a ogni costo ch'ei le mettesse le mani sugli occhi. Io, disse, non metterò mai le mani sulla faccia di una donna per tutto l'oro del mondo. - Un altro pensiero poi lo amareggiava grandemente. - Il popolo, continuò a dirgli con pena, molto ignorante in cose di religione, crede che sia Don Bosco che opera le guarigioni avvenute in questi giorni. Ma no, [422] non è Don Bosco, ma è per l'intercessione di Maria Ausiliatrice, è Maria che ottiene le grazie. - Allora Don Ghione per cavarsi una curiosità che da tempo lo stuzzicava, gli domandò con tutta confidenza: - Senta, signor Don Bosco: quando si presenta a Lei una persona e le chiede la benedizione per ottenere una grazia od una guarigione, nel momento in cui la persona si presenta a Lei, Ella sa già se essa è o non è destinata a ottenere la grazia mediante la benedizione da Lei datale? - Rispose: - Della persona destinata a ottenere la grazia, quando si presenta a me, io non so nulla; ma mentre le dò la benedizione, mi viene come un'ispirazione, quasi volessi tentar il Signore, e dico a quella persona: Alzatevi, andate a ringraziare la Madonna. In quell'istante la persona si sente realmente guarita[295] - .

                Nella prima settimana di febbraio Don Bosco visitò le case di Saint-Cyr e della Navarre, donde ritornò a Marsiglia[296]. Lo accompagnava Don Ronchail, che fu poi sostituito da Don Cagliero, appena giunto dalla Spagna. Questi trovò elle il Beato aveva “buona gamba per camminare, ma poca vista per vedere”. Infatti gli erano aumentati assai il dolore e l'infiammazione d ell'occhio infermo[297].

                Delle due visite nulla ci è noto riguardo a Saint-Cyr, ben poco riguardo alla Navarre: ne serba il vago ricordo un sacerdote salesiano vivente, Don Michele Blain, quel Michelino Blain, il cui nome ci è venuto già alla penna nell'illustrare [423] il sogno del 1877 sulla colonia agricola della Navarre[298]. Orfano di padre, perdette anche la madre nel giorno stesso, in cui si apriva la casa di San Giuseppe, l'8 luglio 1878. Una zia materna carmelitana lo indirizzò a quei Salesiani, che lo ricevettero il 16 ottobre del medesimo anno. Aveva buona voce e buon orecchio: onde fu subito addestrato nel canto. Come, sentendolo cantare, Don Bosco in lui ravvisasse allora il giovinetto del sogno, noi l'abbiamo già narrato.

                Allorchè si avvicinava il tempo di partire da Marsiglia, Don Bosco volle che si chiamassero a raccolta i Cooperatori e le Cooperatrici per tenere la conferenza, resa impossibile nella festa di San Francesco di Sales, tanto più che desiderava inaugurare con qualche solennità la parte già compiuta del nuovo edifizio e dare così ai benefattori un segno tangibile della serietà con cui si attendeva allo sviluppo dell'opera. Fu scelto per l'adunanza il venerdì 20 febbraio, giorno in cui ricorreva l'anniversario dell'elezione di Leone XIII. Il Vescovo monsignor Robert accettò di presiedervi; gli fecero corona con Don Bosco e il parroco Guiol i membri della Società Beaujour, e vi assistettero ecclesiastici in bel numero, molti laici ragguardevoli, un. eletto stuolo di signore e un gruppo di persone del popolo. Un giovanetto lesse una prosa a onore “del buon padre e caro benefattore Don Bosco”, com'egli lo salutò. Narrava della scoperta da lui fatta di un tesoro, che era corso a deporre ai suoi piedi, sapendo quanto egli avesse estremo bisogno di mezzi pecuniari per condurre a fine le sue imprese: tesoro però trovato e portato solamente in sogno, il qual sogno egli augurava che diventasse realtà grazie alla carità generosa dei Cooperatori e delle Cooperatrici marsigliesi. Quindi un chierico rese omaggio al Vescovo, esprimendogli devoti sentimenti e mettendo l'oratorio di San Leone sotto la sua benevola e paterna protezione. Infine prese la parola Don Bosco. La Gazzette du Midi in un lungo [424] resoconto, che uscì in due puntate il 23 e 24 febbraio, scriveva; “Non diremo nulla di nuovo ai nostri lettori, se ripeteremo che Don Bosco è un miracolo di carità e di zelo [ ... ]. Non fa dunque meraviglia se, nonostante le difficoltà che incontra a parlar francese, egli abbia tenuto sospeso dal suo labbro il numeroso uditorio venuto per ascoltarlo. In lui parlava il cuore. Gli Apostoli hanno il dono delle lingue, e l'anima sa intendere e far intendere un linguaggio che è eco di Cielo”.

                Il Beato spiegò lo scopo della sua opera, venire in soccorso della gioventù pericolante. Narrò per quali vie e modi dal 1841 in poi fosse venuto e venisse attuando questo pensiero; disse dei risultati già ottenuti; espose quindi il fatto e il da farsi per le case di Saint-Cyr e della Navarre. Toccando dell'affetto che gli ex-allievi conservavano per il loro padre, raccontò un episodio recentissimo. Un antico allievo dell'Oratorio di Torino, che erasi stabilito a Barcellona, inteso del viaggio di Don Bosco, non aveva potuto resistere al desiderio, anzi al bisogno di rivedere l'amatissimo suo benefattore; onde, passato il mare, gli era comparso dinanzi, felice d'intrattenersi un po' con lui dopo tanto tempo per dargli conto di sè e delle cose sue. - Son rimasto fedele, gli diceva, ai suoi buoni consigli e ammaestramenti, e mi sento ben fortunato. Ho preso moglie, i miei affari vanno discretamente e non chieggo di più al Signore. Ho voluto vedere ancora una volta lei, mio buon Padre, domandarle la benedizione per me, per la moglie, per i figli e aprirle ancora una. volta in confessione la mia coscienza, come con tanta gioia del mio cuore facevo trentacinque anni or sono.

                Infine Don Bosco ritessè la storia della fondazione di Marsiglia. Egli c'era venuto nel 1876. Aveva notato per le vie molti ragazzi vagabondi. Parlatone col parroco di San Giuseppe, si convenne che bisognava soccorrere tanta povera gioventù nel corpo e nell'anima. Come fare? Andarono a consultare il Vescovo, nè passò gran tempo che l'opera di via Beaujour era fondata, per quali mezzi Dio lo sapeva: ma [425] potevasi dire che la Provvidenza aveva aperto le sue mani inesauribili. Fece rilevare come l'opera meritasse tanti favori, avendo essa un carattere di utilità generale; tutti perciò bisognava che l'aiutassero.

                Gli servì di conclusione un aneddoto. Una sera di quell'inverno Don Bosco, uscendo dall'Oratorio di San Leone, erasi imbattuto per la via deserta in un giovanottone che a vederlo metteva paura e faceva pena nello stesso tempo. Gli rivolse la parola: e qui, secondo la sua abitudine, rifece dinanzi all'uditorio il dialogo.

                - Amico, che fai qui?

                - Ho freddo, rispose coli voce tremante e fremente.

                - Non hai casa?

                - Ho fame... - E in così dite, alzando le braccia, gli cadde ai piedi. Il Beato si sforzò, come potè, di rialzarlo e trascinarlo fino alla porta dell'Oratorio, dove gli si apprestarono le prime cure. Ricuperate le forze: - Ah, signor abate, esclamò, voi avete fatto un'opera grande. Mi avete salvata la vita e preservato da un delitto; la disperazione m'avrebbe indotto certamente a commetterlo. Volete tenermi con voi? -La casa era piena; ma un letto gli si acconciò alla meglio. Allora egli stava nell'oratorio, pregava, lavorava e dava buon esempio. - Eccovi, disse Don Bosco, quello che bisogna fare per tutti, per la società inferma, e farlo per amor di Dio che ha detto: Amatevi gli uni gli altri.

                A nome degli uditori il signor Enrico Bergasse, presidente delle conferenze di San Vincenzo, gli rispose con calde espressioni, salutando in lui un'altro Vincenzo de' Paoli, che raccoglieva i fanciulli e affrancava le anime dall'odiosa schiavitù della corruttela e del vizio. L'oratore ne prese motivo per magnificare la fecondità indefettibile della Chiesa, che possiede sempre rimedi a tutti i mali e per esaltare la divina bontà che concede ognora al inondo, giusta i bisogni di ciascuna età, uomini provvidenziali.. A una società cotanto inferma Dio mandava medici come Don Bosco, i cui inviati [426] venivano tosto riconosciuti e accolti dal popolo. - Ne abbiamo, disse, un esempio in questa casa di via Beaujour, fino a ieri nascosta e ignorata, e divenuta oggi il convegno di tutti i cuori caritatevoli della città e un centro di pellegrinaggio, ove la gente si accalca del continuo intorno all'uomo di Dio. Così appunto il Signore si compiace di far nascere e prosperare le opere dei servi suoi: da umile principio, grano impercettibile di senapa, sorge un albero, che dilata ben presto i suoi rami benefici sulla terra consolata.

                Quando dall'alto del suo seggio parlò il Vescovo, l'ambiente era saturo di simpatia. Egli insistette sul carattere provvidenziale dell'opera di Don Bosco e sul suo contrassegno di opera veramente cattolica, perchè tutte le opere care a Dio hanno cominciamenti umili e oscuri. I Santi essere strumenti del Signore, condotti dalla mano divina senza che essi veggano dov'ella li guida. San Francesco di Sales, preso da Don Bosco a- patrono del suo istituto, aver compiuto in tal modo opere immortali, di cui egli non prevedeva nè l'influsso nè la portata. Monsignore manifestò infine tutta la sua benevolenza per l'oratorio di San Leone.

                Dopo la benedizione episcopale Don Bosco andò alla porta, dove secondo l'usanza tenne il piattello, sul quale tutti premurosamente deponevano le loro offerte. Molti, inchinandosi sulle mani del Beato, gliele baciavano. Il signor Emilio Sumien, l'articolista del giornale citato sopra, commentava: “Abbiamo visto quel commovente spettacolo, fermandoci ivi a lungo per meglio contemplarlo. Non pochi nel passare sussurravano qualche cosa all'orecchio del sant'uomo, che con una pazienza inalterabile rispondeva a ognuno e col sorriso sulle labbra benediceva i fanciulli. Intanto le, monete d'oro cadevano nel bacile miste a semplici soldarelli, e le mani, tanto più discrete quanto maggiore era l'offerta, si ritiravano in fretta per non essere vedute. La carità ispirava veramente gli oblatori. Don Bosco ringraziava tutti con soavi parole; ma noi abbiamo più volte notato ch'ei rivolgeva [427] uno sguardo speciale a persone del popolo che non potevano deporre se non monetuzze da poco; gli uomini come lui sanno quanto valga l'obolo del povero”.

                Numerose persone stettero là per parlare ancora a Don Bosco, per ottenerne la benedizione, per domandargli un consiglio o una preghiera, per confidargli qualche pena. Egli cercava di contentare tutti, senza dare il menomo indizio di noia o di stanchezza, finchè i responsabili della sua salute non lo costrinsero a pigliarsi un po' di riposo. Tuttavia la casa non si vuotò: “Queste, come dice il suddetto scrittore, son scene d'ogni giorno, quali si leggono solo nelle vite dei Santi. Spettacoli sì commoventi sembrano destinati a consolare la. Chiesa nelle sue presenti amarezze e ad infondere nel cuore di tutti i cattolici una speranza invitta”[299].

                L'entusiasmo destato dal suo passaggio poteva dileguarsi ben presto come fuoco di paglia. Ma affinchè ciò non avvenisse, il Beato organizzò in Marsiglia, e così intendeva di fare anche a Nizza, due comitati, uno di Signori e l'altro di Signore, i quali con continuità e di comune accordo avvisassero ai mezzi pratici per tener desta l'attenzione e attiva la carità cittadina nei riguardi dell'opera, da lui concepita di vaste proporzioni. Nemmeno da lontano, come vedremo, egli perderà di vista questi suoi zelanti Cooperatori.

                Noi abbiamo potuto procurarci gli accuratissimi verbali delle sedute che sotto la presidenza del parroco di San Giuseppe tenne il comitato delle Signore dal marzo del 1880 al febbraio del 1895. Sarà interesse della nostra storia trarne partito qui e altrove[300]. Dal 4 marzo al 30 dicembre del 1880 [428] le adunanze furono ventuna, di cui le prime, quattro si possono chiamare preparatorie. In esse si ventilarono parecchi sistemi pratici per raccogliere soccorsi: io sottoscrizioni annuali per venticinque, cinquanta, cento franchi con relativi moduli; 20 istituire posti gratuiti, anche mediante sottoscrizioni collettive; 30 diffondere liste per dieci persone caduna, obbligantisi a versare due franchi all'anno; 40 adottare un ragazzo per franchi trecento all'anno. Quest'ultimo sistema le Signore l'avrebbero proposto alle grandi case di commercio. Per le dizaines si faceva assegnamento sulla generalità dei Cooperatori, che nell'elenco sommavano a seicento.

                Rileviamo alcune cose di ordinamento interno. Si considerò membro nato dei due comitati il direttore dell'Oratorio di San Leone Li presiedeva il curato di San Giuseppe. Entrambi i comitati furono suddivisi in tre commissioni. In quello degli uomini una si sarebbe interessata dei generi alimentari, l'altra dei laboratori e la terza degli oggetti di cancelleria, del contenzioso e della traduzione del Bollettino italiano; in quella delle donne le tre commissioni avrebbero badato rispettivamente alla biancheria, agli abiti e al culto. Fu concertato che funzionasse una cassa unica per i due comitati.

                La commissione per il contenzioso ebbe subito campo di agire. Allorchè dalle signore si trattò delle ricevute da rilasciare agli oblatori, i pareri si divisero circa l'apporvi o no le marche da bollo; chi voleva risparmiare quella spesa, chi temeva inconvenienti dalla mancanza di tale formalità. La decisione fu rimessa alla commissione competente, che deliberò per il sì.

                Nelle sedute successive si cominciò a rendere conto degli introiti, a determinare come impiegarli e a discutere su tutto ciò che riguardava l'attività del comitato. Osserveremo solo che nelle fondazioni di posti gratuiti, pur concedendosi agli oblatori la facoltà di presentare i ragazzi che [429] li dovevano occupare, si lasciò in ogni caso mano libera al direttore[301].

                La sera della partenza da Marsiglia, che fu ai 22 di febbraio, cortile e corridoi erano gremiti di gente che sperava ancora di dirgli qualche cosa. Una signora, dall'aspetto e dall'abito distinto, pur di arrivare a parlargli, celatasi dietro una porta che per una scala di legno metteva al dormitorio dei giovani, ebbe la costanza di rimanere in quel nascondiglio dalle sei del mattino alle sei pomeridiane, uscendone solo un momento verso mezzodì per andare a comperarsi un po' di pane. “Se io non l'avessi veduta, scrive Don Ghione, e non fossi stato informato, quella buona signora non avrebbe neppur veduto Don Bosco; io le ottenni tre minuti di udienza proprio nel momento che Don Bosco stava per partire”.

                Ancor più pietoso è il caso di una povera popolana. Rincantucciatasi fin dal mattino in un angolo dell'anticamera, si appoggiò ivi alla parete, recando sulle braccia un bambino pallido, immobile e cieco. La povera donna, rassegnata e piena di fede, aspettava il suo turno per presentarsi a Don Bosco. Il viavai dei visitatori continuava senza interruzione: ai posti degli uscenti ne sottentravano sempre di nuovi, La naturale timidità impediva a colei di avanzarsi e far valere i suoi diritti con persone di riguardo, qualche tentativo era stato vano, perchè aveva dovuto indietreggiare risospinta dalla folla. Scoccavano, le undici, quando venne il parroco di San Giuseppe per condurre Don Bosco a colazione dalla signora Prat. Al passaggio del Beato tutti gli si strinsero attorno, sicchè essa, vista l'impossibilità di rompere la calca, non si mosse. Uscito Don Bosco, le si appressò il marito, che le portava un po' di cibo. Rimase così altre due ore ferma al suo posto e silenziosa. Don Cagliero però l'aveva notata, sentendone viva compassione.

                Al riapparire di Don Bosco si spinse innanzi; ma la fitta [430] barriera delle persone l'arrestò. Il Servo di Dio si ritirò nella sua stanza e la donna nel suo cantuccio. Ecco finalmente Don Bosco venir fuori in abito da viaggio. Circa trecento persone che ingombravano ogni andito, si disputavano lo spazio. Per la meschina andarsene Don Bosco voleva dire perdere ogni speranza. Sembrava l'immagine del dolore. In buon punto lo sguardo di Don Cagliero cadde su di lei e Don Bosco disse, quella donna chiede la sua benedizione.

                - Ma non ho più tempo. Si fa tardi. Il treno parte.

                - É là da tutto il giorno - insistette Don Cagliero, volgendosi poi tosto a lei e chiamandola a voce alta e imperiosa. Le si aperse a grande stento un varco, sicchè arrivò a Don Bosco. Il piccolo era sempre là immobile. Don Bosco alzò la destra e lo benedisse. Battere le manine, scuotersi tutto, stropicciarsi gli occhi offesi dalla luce improvvisa fu l'effetto immediato. La scena però si svolse rapidissima, senza che nè Don Bosco arrestasse il suo andare nè altri cessassero di affannarsi per fargli largo attraverso la moltitudine, che si protendeva nervosamente da ogni parte verso di lui; quindi nel parapiglia la donna sgusciò fuori pazza di gioia, gli astanti poco o nulla badarono e forse il solo Don Cagliero si rese pienamente conto dell'accaduto[302].

                Fino alla carrozza la gente premeva il Beato, chi per baciargli la mano, chi per toccargli almeno le vesti, chi per fargli toccare corone o pannilini d'infermi. “Io, scrive il già citato Don Ghione, lo accompagnavo e facevo ciò che potevo per aprirgli il passo. Giunti verso la metà della scala, Don Bosco mi rivolse uno sguardo fulmineo, ch'io non seppi interpretare. Allora con tono vibrato mi disse: - Non vedi? - Mi accorsi che tra la folla che quasi lo portava, vi erano due donne proprio davanti a lui. Don Bosco senz'aspettare [431] che io mi adoperassi per liberarlo, usò della sua forza non ordinaria per iscostare quelle persone. Quando fu in vettura, gli videro la veste tagliuzzata in più luoghi, sicchè per via gliene fu provveduta un'altra. Nella Sua camera tutto ciò che egli aveva toccato, ci veniva derubato, credo anche da quelli di casa per contentare i Cooperatori, non risparmiarono neppure le lenzuola”.

                Si sarebbe dovuto andare a Nizza; ma quella sera pernottarono a Aubagne, distante men che un'ora di carrozza da: Marsiglia. Quando egli e Don Cagliero furono soli in vettura, Don Bosco, umiliato e confuso, ruppe il silenzio per dire: - Come è ammirabile il Signore e come è grande la sua misericordia! Per muovere tanta gente e operare le sue meraviglie, ha voluto servirsi di un contadino dei Becchi[303] - . A Nizza arrivarono soltanto il 24 sul tardi. É probabile che Don Bosco si fermasse un paio di giorni presso il conte di Villeneuve, che aveva là presso il castello. Affezionatissimo a Don Bosco, doveva essere ben felice di dargli ospitalità. Il  Beato potè così prendere un tantino di riposo, del quale doveva sentire estremo bisogno.

                Nizza fu su per giù, una seconda Marsiglia: i medesimi assedi giornalieri del pubblico, la medesima eroica pazienza del Beato, il medesimo intervento di fatti straordinari, sebbene di questi scarseggino le notizie sicure. Si aggiunse ivi la corrispondenza epistolare; fra il 24 febbraio e il 6 marzo da molte parti della Francia la posta gli recò più di ottocento lettere. Anche al Patronage Saint-Pierre, come all'oratorio di San Leone prima del suo arrivo, le angustie finanziarie si facevano ognor più stringenti: spese per acquisti d'immobili indispensabili, spese quotidiane per più di cento bocche, spese per l'attrezzamento dei laboratori. E poi si rendeva ogni di più urgente la necessità d'ingrandire, tanto numerose fioccavano le domande per accettazioni di ragazzi bisognosi; [432] occorreva inoltre costruire una cappella più ampia e più decorosa e ci voleva una sala di studio da sostituire a quella che c'era, bassa, stretta e mal situata. Per tutte queste esigenze della casa si richiedevano capitali, mentre le risorse ordinarie non bastavano a scemare il peso crescente dei debiti già contratti.

                Ma neppure a Nizza la Provvidenza mancò di assistere visibilmente il suo Servo, quasi a stimolo della carità di molti; l'effetto fu tangibile, ma le cause, come dicevamo, ci sono poco note. Con certezza sappiamo soltanto di un fatto. Un certo signor G., d'anni cinquantasei, impiegato del Goverro, andò a confessarsi da Don Bosco. Uditane l'accusa, il Beato disse al penitente: - Pensi un po' se non si sia dimenticato di confessare il tal peccato... - E glielo richiamò alla mente con tutte le sue circostanze, compresa l'età di diciott'anni, in cui l'aveva commesso. Quel signore sbalordito, appena levatosi di là, corse all'ufficio del Direttore Don Ronchail a raccontargli il caso, dichiarando che davvero se n'era dimenticato e che gli bastava quella prova a convincersi che Don Bosco era un santo.

                La generosità dei cittadini si addimostrò tanto in privato che in pubblico. Al pranzo datosi in suo onore parteciparono sedici invitati, i quali più che d'altro godevano della sua presenza e della sua edificante e amena conversazione. Verso la fine, quando il conversare divenne più vivo, un ottimo e facoltoso commensale balzò in piedi e apostrofò gli altri così: - Signori miei, ammirare le opere di Don Bosco va bene; ma va anche meglio condividerne il merito, venendogli in soccorso. Come volete che faccia ad ampliare la casa per accettare maggior numero di ragazzi abbandonati, se non ha soldi? - Ciò detto, fece girare il piatto, sul quale quattro dei presenti deposero mille franchi ciascuno, e settecento gli altri tutti assieme.

                Un banchetto un po' più lauto, con inviti a Don Bosco ed a suoi amici, si volle imbandire da Ernesto Harmel, fratello [433] di Leone il bon père. Era colui che l'anno innanzi a un congresso di Angers, come si disse, aveva fatto una relazione sopra la natura e gli svolgimenti dell'opera Salesiana, Egli doveva trovarsi, come tanti altri signori, nella Costa Azzurra durante la fredda stagione per motivi di salute. Mentre adunque, conversando familiarmente, si aspettava che fosse messo in tavola, il Servo di Dio descrisse la cappella dell'istituto, tanto angusta per il numero degli alunni e tanto sconvenevole per tenervi il Signore. - Mi hanno presentato, continuò, un disegno del nostro architetto Levrot; ma ci vorrebbero trentamila franchi.

                - Trentamila franchi! interloquì l'avvocato Michel. Temo assai che a Nizza in questi giorni non riesca a raccapezzarli. Nell'inverno abbiamo avuto tante lotterie, tante questue, che le borse sono smunte.

                - Eppure, ripigliò Don Bosco, io ne avrei bisogno quest'oggi stesso.,

                S'andò a tavola. Alle frutta il notaio Saietto si alza e dice a Don Bosco: - Sappia, Don Bosco, che una caritatevole persona mi ha dato trentamila franchi da consegnarle. Ella può, quando voglia, far ritirare la somma al mio ufficio. Il Servo di Dio, giungendo le mani e levando gli occhi al cielo, ringraziò Maria Ausiliatrice di tanto favore.

                Si fecero pure due appelli alla carità dei fedeli. Il primo partì dal pulpito della chiesa parrocchiale di Notre-Dame, per bocca del gesuita padre Lacouture quaresimalista. Vi era presente Don Bosco; la questua fruttò oltre ogni credere.  Al secondo pensò Don Bosco stesso mediante una Conferenza ai Cooperatori. In una corrispondenza da Nizza leggiamo[304]: “Le cose da lui dette interessarono vivamente il pio e caritatevole uditorio sia per l'opera Salesiana in generale, sia per i fatti particolari uditi. Don Bosco si esprimeva in francese, lingua a lui più familiare nella lettura che sul pulpito; ma [434] quelle sue frasi ingenue e quel suo periodare all'italiana sembrava che piacessero ancor più agli uditori, rapiti dalla sua parola di apostolo”. La questua dimostrò la verità di quest'ultimo asserto; infatti, messosi Don Bosco in giro col bacino; dal Vescovo all'ultimo dei presenti tutti diedero con larghezza. Un signore vi depose una moneta d'oro. - Dio gliela renda, disse Don Bosco. - Oh, se è così, me ne tenda di più rispose quegli, raddoppiando l'offerta. Alcune famiglie, non limitandosi alle oblazioni fatte nelle due questue, mandarono più copiosamente per lettera.

                Le cose dette di Marsiglia spiegano a sufficienza come Don Bosco non avesse potuto sull'ultimo compiere certi doveri di cortesia, massimo fra tutti quello di accomiatarsi personalmente dal Vescovo e da altri personaggi. Si fece quindi premura, appena potè, di scriverne al parroco di San Giuseppe. L'autografo con quei caratteri ancor più informi del solito e molto difficili a decifrarsi, provano quanto vero sia ciò che dice ivi della sua stanchezza; la quale però non gli ha impedito di farvi seguire un'osservazione che gli doveva stare grandemente a cuore sulle meraviglie da Dio operate intorno alla sua persona.

 

                                Car.mo Sig. Curato,

 

                Io sono a Nizza, ma ho dovuto partire senza poterla riverire e ringraziare della grande carità e benevolenza che usò a me e a tutti i poveri Salesiani: ciò dico anche a nome di D. Cagliero. Dio la rimeriti  da noi abbia la più sincera gratitudine.

                Ora avrei bisogno che Ella mi facesse una commissione importante a Monsig. Vescovo, cui non m'è possibile di scrivere. Potesse fargli una visita, pregando di scusarmi, perchè sono partito senza passare a prendere i suoi ordini per Roma, e ringraziarlo della sua paterna benevolenza, della sua offerta, e delle belle parole che volle ben proferire in onore del nostro Oratorio di S. Leone. Se mai posso servirlo in qualche cosa a Roma, sono lieto di poterlo fare.

                Nei primi giorni del mio arrivo in questa città credeva poter riposare; ma cominciarono tosto le solite visite degli esterni, ed ora mi trovo stanco da non poterne più. Dopodimani partirò alla volta della città eterna senza aver potuto trattare alcuna cosa nell'interesse di [435] questo istituto. Quanto facilmente il volgo si lascia ingannare! Cose tutte del Signore, effetto della sua immensa misericordia, si vorrebbe giudicare opere dell'uomo.

                Non ho ancora potuto scrivere a D. Bologna. Se può dargli delle mie notizie mi fa piacere. Spero che in qualche paese potrò avere tempo e scrivere ad alcuni marsigliesi che insistono per avere risposta.

                Dio li benedica tutti, o caro Sig. Curato, e la conservi in buona salute e preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.

                Nizza, 4 Marzo 1880.

 

aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Due fatterelli non ci sembrano trascurabili per chi ami conoscere sempre meglio lo spirito del nostro Beato Padre.

                Un giorno a Nizza, presa una vettura di piazza, quando s'arrivò al momento di pagare, s'avvide di essere senza un soldo; perciò disse al vetturino che, avendo egli lasciato a casa il portafoglio, passasse al Patronage Saint-Pierre, dove l'avrebbe soddisfatto.

                - Di chi debbo cercare? chiese l'altro.

                - Di me.

                - Ma Lei come si chiama?

                - Abbate Bonomo.

                Verso sera il vetturino venne. Don Bosco si era dimenticato di avvertire in casa; onde nell'anticamera, richiesto colui chi cercasse, rispose come sappiamo. Il segretario stizzito: - Qui non c'è nessun Bonomo,  gli fece bruscamente, indicandogli l'uscita. Ma l'uomo alzò la voce, tanto che Don Bosco, udito l'alterco e compreso il perchè, si affacciò. Voilà l'abbé Bonhomme! gridò trionfalmente il vetturino. Don Bosco ridendo lo pagò, dandogli più che non gli spettasse.

                Il secondo episodietto è di tutt'altro genere. Una sera, avendo pranzato da un benefattore, tornava a casa sull'annottare in compagnia di Don Ronchail e, attraversando certe vie fuori di mano, si lordò sconciamente le scarpe. Rientrato nell'istituto e chiusosi in camera, non poteva resistere al fetore; ma, non volendo affidare ad altri un sì basso [436] e nauseante servizio, si mise egli stesso a ripulire. Quando stava già per terminare, il Direttore, scorto il lume acceso, entrò nella stanza e sorprese Don Bosco occupato in quella pulizia. Strappategli di mano le scarpe, compì l'opera, commosso alla vista di tanta umiltà.

                Nell'ultima settimana Don Bosco si trovò più imbarazzato che mai, perchè dovettero tenere il letto i suoi due maggiori aiutanti, cioè Don Ronchail e Don Giovanni Bonetti, venuto a prendere il posto di Don Cagliero. Allude a questa mancanza di segretari il motto piemontese da lui usato in questa letterina al Direttore della casa di Villacrosia per annunziargli la sua prossima visita.

 

                               Car.mo D. Cibrario,

 

                Sabato prossimo alle 4 pom. circa sarò a Ventimiglia con D. Bonetti se potrà levarsi da letto.

                Se non puoi dare alloggio a tutti due parlane col Can. Sig. Cav. Cassini.

                Io scrivo perchè in mancanza di cavai i'aso a troto[305].

                Dio ci benedica e credimi in G. C.

                Nizza, 4 Marzo 80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una minuta preparata ivi da Don Bonetti per Don Bosco ci fa conoscere che allora la direzione delle ferrovie della Bassa Italia, a istanza del Beato, aveva esteso alle reti meridionali e calabro-sicule il favore già goduto su quelle dell'Alta Italia da tutte le persone delle case salesiane, vale a dire la riduzione del cinquanta per cento sul prezzo del biglietto di viaggio. Don Bosco ringraziando, assicurava che d'indi in poi avrebbe “con ogni speciale preferenza e riguardo”accolto ne' suoi istituti gli orfani degli esercenti al servizio delle mentovate ferrovie; significava nel medesimo tempo che sulle reti dell'Alta Italia viaggiavano con le stesse condizioni [437] anche le “religiose chiamate Figlie di Maria Ausiliatrice”, e le “giovinette presso di loro ricoverate, le quali erano pure da lui dipendenti, occupate negli istituti femminili sotto l'alta sua direzione”ed esprimeva la speranza chè per analoghi motivi potesse venir accordato anche ad esse l'identico benefizio. La sua domanda fu esaudita[306].

                Sul punto di riprendere la via d'Italia vedeva sopra i suoi figli di Francia addensarsi la procella: pendeva sul paese la minaccia di persecuzione contro le Congregazioni. Dal mese di gennaio le due Camere discutevano sulla questione del pubblico insegnamento, ma con il non abbastanza larvato proposito di vibrare un fiero colpo alle fiorenti scuole libere, tenute da religiosi. A Marsiglia in una riunione presso il parroco Guiol, presenti anche i signori Rostand e Bergasse, si era studiato come prevenire eventuali sorprese. Don Bosco espose il suo modo di vedere, che chiarirà a tempo opportuno, come vedremo; tuttavia non volle che si prendessero le cose troppo al tragico. - Sopprimere le Congregazioni religiose è, disse, come battere le mani per cacciar via gli uccelli scesi a beccare il grano, che sta a seccare nell'aia. Scappano subito gli uccelli, ma poi uno dopo l'altro ritornano; cosicchè, se non si sta là a battere le mani tutto il giorno, essi beccano sempre tranquillamente. Allo stesso modo, passato il momento della soppressione, anche i religiosi a poco a poco rientrano e ripigliano il lavoro.

 

 

CAPO XVII. Dalla Liguria a Roma e a Napoli.

 

                IL nostro Beato Padre, nonostante il suo gran desiderio di rivedere l'Oratorio dopo due mesi di assenza, fu costretto a continuare direttamente il viaggio per Roma. Importanti affari, che non ammettevano dilazione, dovevano essere trattati colà di presenza; fra le altre cose bisognava decidere presto sull'assetto da dare alle Missioni lungo il Rio Negro, e questo richiedeva una serie di pratiche della Santa Sede col Governo Argentino. C'erano poi la guerra alle scuole dell'Oratorio, la grossa controversia di Chieri e altri negozi. Tuttavia non proseguì subito oltre, ma ebbe necessità d'indugiare alcuni giorni nella Liguria.

                La prima tappa in ltalia fu a Vallecrosia, perchè vi si doveva benedire e collocare la pietra angolare della chiesa di Maria Ausiliatrice, le cui costruzioni erano omai terminate. Alla cerimonia, compiutasi la sera del 7 marzo, diede lustro insolito l'intervento di tre Vescovi: monsignor Reggio ordinario diocesano, monsignor Allegro vescovo di Albenga e monsignor Boraggini di Savona. I due ultimi, venuti a Ventimiglia per la consacrazione della restaurata cattedrale, accolsero di ottimo grado l'invito per la funzione vespertina dei Salesiani. Per quei paesi fu un avvenimento; la strada provinciale riversò nei piani di Vallecrosia migliaia di, persone. Don Bosco secondo il consueto volle che nulla si trascurasse [439] per rendere solenne la cerimonia; si fecero quindi venire da Alassio e da Sampierdarena giovani allievi, affinchè allietassero la festa con i loro canti. Il cavalier Giuseppe Moreno di Bordighera, uomo venerando per età e per alti sensi religiosi, accettò di far da priore e pose la prima calce sulla pietra benedetta. Il verbale di prammatica che nella pietra si doveva riporre, oltre i nomi e i dati che è costume inserirvi, conteneva anche queste parole rivolte prima da Don Bosco al popolo: “In questo giorno, in questo momento solenne, o Signori, io compio un dovere di gratitudine verso di voi, che interveniste a questa religiosa funzione e verso di quelli, soprattutto, che coll'opera personale e pecuniaria, e colle preghiere hanno concorso a cominciare questo sacro edifizio. Prima che esso sia condotto a termine, noi dovremo ancora sostenere non leggieri sacrifizi; ma la vostra carità non verrà meno, nè ci mancheranno la protezione della gran Madre di Dio e gli aiuti del Cielo. Dagli uomini voi avrete riconoscenza e preghiere in vita e dopo morte. I posteri loderanno la vostra fede e il vostro zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime, e Dio pietoso vi assicura larga mercede in sulla terra, seguita dalla gloria immortale, che Egli vi tiene riserbata in Cielo, avverando Cosi il suo detto: Io non toglierò la mia misericordia a chi edificherà la casa al mio nome e gli stabilirò un trono nel regno sempiterno”[307]. Dopo il collocamento della pietra il Vescovo parlò ai fedeli, additando, nella nuova chiesa un baluardo per la custodia e difesa della fede.

                Pare che una seconda fermata Don Bosco facesse ad Alassio, donde passò a Sampierdarena[308]. Quivi chiamò Don Rua, col quale aveva da conferire su molte cose. “Ho veduto D. Bosco, scrisse questi[309], e l'ho trovato abbastanza in buona salute, sebbene molto stanco”. Durante tale soggiorno [440] nell'ospizio di Sali Vincenzo il Beato fece uno di quegli atti che cotanto edificano e elle ci rivelano il genuino suo spirito. Una mattina, scendendo dalla camera verso le otto per andare in chiesa, incontrò uno scopatore che spazzava i portici e notò che, fosse poca attitudine o poca diligenza, non nettava bene il pavimento. - Vuoi vedere come si fa a scopar bene? - gli disse egli. E toltagli di mano la granata, scopò con tutta flemma quasi un terzo del porticato, mentre lo scopatore lo stava guardando a bocca aperta. - Hai veduto come si fa? - gli replicò poi, restituendogli il suo strumento di lavoro. Salutatolo quindi con amorevolezza, entrò in chiesa.

                Verso la mezzanotte dell'II marzo con il segretario Don Berto, fatto venire appositamente da Torino, prese il treno per Roma. Preannunziati telegraficamente da Don Rua, furono ricevuti da Don Dalmazzo, che li condusse a Tor de' Specchi. Don Bosco visitò quella sera stessa il cardinal vicario Monaco La Valletta; la mattina dopo si recò dal cardinale Nina, Segretario di Stato e protettore della Congregazione, il quale gli disse d'aver saputo che a Marsiglia aveva fatto affari. Il Cardinale non intendeva probabilmente di affari materiali; ma Don Bosco, pigliando la frase così come sonava: - Sì, Eminenza, gli rispose, e ne ho fatti anche per il Santo Padre. - Portava invero una bella somma, affidatagli da signori francesi per l'obolo di San Pietro.

                Il diario di Don Berto dal 14 al 22 ci somministra queste asciutte informazioni: “Domenica sera andammo tutti ad augurare buona festa onomastica alla Signora Matilde Sigismondi, essendo quel giorno, 14 marzo, sacro a S. Matilde. Lunedì 15. D. Bosco accompagnato da D. Daghero andò per riscuotere un vaglia francese, ma non potè. Si pranzò a casa in compagnia del signor Matteo Pesce Segretario della direzione generale delle poste. Alla sera si andò a visitare il Card. Alimonda, il quale promise di venir a fare la conferenza ai [441] Cooperatori Salesiani di Roma. - 17. Mercoledì da Mons. Jacobini a parlargli delle nostre Missioni; poi alla Benedizione dalle Stigmatine, dove D. Dalmazzo predicava gli esercizi spirituali. Poi a casa, - 18, Da Mons. Boccali, dove incontrammo Monsignor Paolo Fortini Direttore della Fiaccola di Roma. Poi da Mons. Sallùa a parlare per Marchet, prete, già Parroco che si era fatto vecchio cattolico[310]. Quindi dal Card. Oreglia, poi dal Card, Bartolini. - 19. Festa di S. Giuseppe. D. Bosco pranza dai Signori Marchesi Vitelleschi.- Sabato 20. Dalla Principessa Odescalchi; alla sera dal Card. Consolini. - 21. marzo. Alla sera D. Bosco e D. Dalmazzo dal deputato Sanguinetti; dal cav. Moreno e Vignola per trattare della compera di una casa. - Lunedì 22. D, Bosco e D. Dalmazzo vanno a visitare la Principessa Odescalchi. Alla sera D. Bosco si reca presso il Card. Consolini”.

                Da Roma Don Bosco nei primi giorni regolò una faccenda, che pendeva da parecchi mesi e nella quale noli si vede abbastanza chiaro. Il primo polacco che entrò in Congregazione, un tal Matteo Grochowski, vissuto quattro anni nell'Oratorio e ordinato prete, ottenne, sembra, verso l'autunno del 1879 il permesso di recarsi ne' suoi paesi a raccogliere offerte per la chiesa di Sali Giovanni Evangelista; ma, partito elle fu, non diede più notizia di sè. Don Cagliero, al quale come a Catechista spettavano siffatte pratiche, scrisse per ragguagli al rettore delle Scuole Pie di Cracovia; questi però nonostante le ricerche fatte noli riuscì a rintracciarlo. Frattanto arrivò una richiesta d'informazioni sul conto di colui dal parroco di Beuthem e quasi contemporaneamente mia grave denunzia anonima da Cracovia, dalla quale si apprese che egli dimora presso i Francescani di detta città. Don Cagliero gl'intimò issofatto la sospensione conte a religioso girovago e gli ingiunse di restituire le commendatizie rilasciategli prima del [442] viaggio. Il colpito si giustificò anzitutto da sè alla meglio, ma poi si difese modis et formis per la penna di persona molto esperta, che gli compose una serrata arringa latina, in cui, scagionatosi delle accuse, domandava la secolarizzazione per poter assistere sua madre, vecchia e sola. Don Bosco adunque, per fare le cose in modo da non porgere appiglio a cavilli o motivo a qualsiasi osservazione, aspettò di essere a Roma, dove potersi consultare con qualche competente e così dare all'atto forma e solennità conveniente. Stese quindi con l'aiuto di Don Dalmazzo un decreto, col quale pronunziò lo scioglimento dai voti, dichiarando per altro alle autorità ecclesiastiche rimaner sospeso il prete fino a che non trovasse un Vescovo disposto a incardinarlo nella propria diocesi, e facendo pure conoscere che egli era ancora in obbligo di terminare il suo corso di teologia dogmatica e che non aveva peranco dato alcun esame di confessione. Ma insieme nella sua carità, attestando la buona condotta da lui tenuta durante la sua permanenza nella Congregazione Salesiana, umilissimamente lo raccomandava alla benevola considerazione del suo Ordinario e invocava le divine benedizioni su quanti fossero per beneficarlo[311]. Infine, che è che non è, vediamo comparire costui a Roma, bazzicare in casa a Tor de' Specchi e sembrare in procinto di recarsi a Torino[312]; dopo di che se ne perdono le tracce.

                Fra una visita e l'altra Don Bosco, sempre aspettando l'udienza pontificia, indirizzava lettere a Torino e in Francia ed anche altrove; ma sei solamente ce ne rimangono di questo primo periodo. Avendo da rispondere a Don Durando su qualche punto delle trattative allora in corso per l'accettazione di una colonia agricola offerta da una signora Astori in Mogliano Veneto, se ne sbriga in quattro parole, perchè il pensiero dell'Oratorio lo trasporta subito con veemenza ai giovani e ai confratelli della casa. [443]

 

                                Mio caro D. Durando,

 

                Ho tosto risposto alla Signora Astori che D. Sala sarebbe andato.

                Ti unisco la lettera che servirà al medesimo di norma.

                Godo molto che Dio conceda buona salute ai nostri cari giovani e che facciano bene la novena di S. Giuseppe. Dirai a tutti che in quel giorno celebrerò per loro la Santa Messa, e che mi raccomando a tutti per una S. Comunione.

                Sono impaziente di trovarmi tra loro. Sollecito il mio ritorno a Torino. Ma assicurali che io lavoro per loro.

                Dirai a D. Lazzero che pel suo S. Giuseppe dimanderò una benedizione speciale al Santo Padre.

                Saluta D. Leveratto, D. Bertello, Buzzetti da parte mia con tutti gli altri nostri cari confratelli. Tu poi non dimenticarti che Dio ti chiama a santificare e santificarti.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e prega per me.

                Roma, 16-3-1880.

 

Tuo aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nel medesimo giorno con sollecitudine tutta paterna ripensò a Marsiglia, scrivendo al chierico Cartier, che, sebbene non fosse ancora nemmeno in sacris, era già membro del capitolo di quella casa.

 

                                Amatissimo Cartier,

 

                Di tutto buon grado io pregherò e farò pregare pel degno Car.mo Albrieux travagliato da lunghi malori. Mando a te l'immagine di Maria Aus. affinchè questa Madre celeste gli porti la sua santa benedizione. Egli continui a proteggere li nostri poveri giovanetti e noi raddoppieremo le nostre suppliche presso Dio.

                Tu mi dai poche notizie della nostra famiglia Beaujour[313] e questo è segno che tutto va bene. Mi farai piacere di salutare i nostri Confratelli specialmente il Sig. Direttore e Odaglia, da cui dipende il buon andamento dell'Istituto.

                Antoine, Brogly, Bardon stanno bene? D. Savio fa progredire la novella costruzione?

                Dio vi benedica tutti e tu prega per me che ti sarò sempre in G. C.

                Roma, 16 Marzo 1880

                Torre de' Specchi 36.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [444]

 

                Di lì a cinque giorni scrisse al Direttore, dando e chiedendo notizie, raccomandandogli di aiutare Don Rua, toccando dei rapporti col parroco di Sali Giuseppe; ma nella lettera spicca su tutto un aureo consiglio, che è uno dei segreti del suo sistema pedagogico.

 

                Mio caro D. Bologna,

 

                Procura di mandarini il nome preciso di quel signore della Commissione Beaujour elle ha offerte due mila lire nel giorno del congresso e che noi siamo andati a casa sua, ma non abbiamo trovato. Farai anche bene di dirmi il nome delle Presidenti o dei Presidenti dei comitati che il sig. Curato ha organizzato in favore del nostro Ospizio.

                Mad. Prat mi scrive che al 10 aprile prossimo ti darà trenta mila lire per la casa in costruzione. Attese le strettezze in cui si trova D. Rua non potresti mandargli dieci mila lire e così incominciare il pagamento della somma che egli mutuò per mandare a Marsiglia l'anno passato? Pensaci. Di qui io continuo a rispondere alle lettere dei marsigliesi che promettono molto per Beaujour. Dimmi anche se si continua a portar quattrini.

                Non ho ancora avuto udienza dal S. Padre. Dopo scriverò subito a chi di dovere.

                In particolare poi procura di distribuire gli uffizii ai singoli impiegati in modo elle non rimanga nè cosa, nè persona, nè ragazzo, nè luogo che non siano affidati a qualcheduno.

                In questi momenti conviene fare qualunque sacrifizio per tenerci in buona relazione col sig. Curato e col sig. A. Mendre suo Vicario.  Salutali ambedue e di loro elle subito dopo l'udienza del S. Padre loro scriverò.

                Quando mi scriverai dammi anche particolari di D. Savio e di tutti gli altri confratelli etc.

                Dio vi benedica tutti e credimi in G.

                Roma, 21-3-1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                N. B. A molte lettere non ho potuto rispondere perchè mancanti di sottoscrizione, del nome o del luogo.

 

                Nel giovedì santo annunziò con un semplice bigliettino di poche righe a Don Rua la visita di un signore francese, che era già passato all'Oratorio nell'andata a Roma. [445]

 

                                Car.mo D. Rua,

 

                Monsieur Ancel ripassa all'Oratorio. É buon cattolico e ben disposto in favore delle cose nostre.

                Procura di fargli assistere alle funzioni religiose specialmente del piccolo clero.

                Fate buone feste e a rivederci nel Signore.

Roma, 25-3-80] Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Un grave lutto, che aveva colpito una famiglia molto amica, gli dettò una lettera di cristiana condoglianza, scritta nel venerdì santo. Era morto il capo della famiglia Fortis[314]; Don Bosco, appena gli affari e gli occhi glielo permisero, indirizzò parole di conforto al figlio maggiore.

 

                Mio caro Riccardo,

 

                Il nostro buon Papà non c'è più. Adoriamo i divini decreti. Questo colpo era atteso e temuto, ma non lo aspettava tanto presto. Io suppongo la costernazione tua, di Alfonso e sopratutto della buona mamma. In questi dolorosi frangenti noi Cattolici abbiamo un gran conforto che è il solo vero conforto; finchè si vive,  pregare e fare opere buone in suffragio dell'anima del defunto, e intanto consolarci nella ferma speranza che lo rivedremo, forse presto, in uno stato assai migliore che non era quello della vita presente. A comune conforto ti dico che ho già pregato assai per l'anima del caro defunto e che per lui si fecero preghiere e comunioni in tutte le case della Congregazione.

                In quanto poi a te e ad Alfonso non prendete per ora alcuna deliberazione; pregate e procurate di consolare mamma col rispetto, colla sottomissione e colle pratiche religiose.

                Circa al 20 aprile p. sarò a Torino. Se mai veniste a passare almeno qualche giorno con me, ne sarei contento e potremo parlarci di ogni cosa. Dio vi benedica tutti e pregate per me che vi sarò sempre in G. C.

                Venerdì Santo, Roma, 26 Marzo 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Della domenica di Pasqua è uno scritto molto laconico; vi si legge però abbastanza fra le righe. Di chi si parli, non [446] è possibile arguire, nè carità e prudenza permettevano di mettere più chiaramente le cose in carta; ma di che si tratti, è facile intendere. Don Giovanni Piccini, parroco di Rive d'Arcano nel Friuli, gli aveva chiesto consiglio sul da farsi; il Beato gli rispose[315]:

 

                                Car.mo in G. C.,

 

                Caddero e cadono i cedri del Libano; dolorose cadute, preghiamo pei caduti e per noi che Dio ci preservi.

                Si conservi il segreto.

                Se poi avvenissero conseguenze, allora procurino di allontanare per tempo la compagna, in modo che nessuno sappia dove sia.

                Se poi l'altro volesse anche allontanarsi, ciò faccia in parte e paesi opposti per lontananza.

Ho ricevuto L. 7 e le sue pie intenzioni saranno adempite.

                Dio la benedica e preghi per me, che le sarò sempre in G. C.

                Roma, Pasqua 1880.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Per Roma nella settimana santa si aggirava un pellegrinaggio francese. La mattina del 24 Don Bosco, recatosi cori Don Dalmazzo dal cardinale Nina, entrò nell'anticamera del Segretario di Stato mentr'era affollata di quei pellegrini, fra i quali si trovava un gruppo di signori e signore, che venivano da Marsiglia e lo riconobbero ed esclamarono tosto a una voce: Il y a Don Bosco! A tal grido tutti i presenti mossero con impeto verso di lui e gli si gettarono in ginocchio davanti, chiedendogli la benedizione. Don Bosco, sorpreso da quell'atto improvviso, si tirò indietro, ricusando e dicendo non essere permesso a nessun sacerdote di benedire in quel luogo, ma spettare ciò esclusivamente al Papa. Essi nondimeno ripetevano di volere la sua benedizione. Ora bisogna sapere che quel correre verso Don Bosco e quel buttarsi a terra aveva fatto traballare il pavimento si da produrre nelle sale superiori e attigue un'impressione di terremoto. Scesero [447] alcuni Monsignori per vedere che cosa fosse accaduto. Anche il Cardinale si affacciò; ma, commosso alla vista della scena singolare: - Li benedica, disse a Don Bosco, altrimenti non si alzano più. - Allora Don Bosco obbedì.

                Alla sperimentata benevolenza di questo insigne Porporato Don Bosco era ricorso due giorni innanzi per ottenere finalmente di essere ricevuto dal Papa in udienza privata. Ne aveva fatto domanda per iscritto appena giunto a Roma; la domanda aveva rinnovata a voce parecchi giorni dopo; ma la risposta non veniva mai. Gli scrisse adunque così:

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Quando si ha bisogno di qualche grazia straordinaria si deve ricorrere a qualche santo che in Paradiso sia molto vicino al Signore. Io fo lo stesso coll'E. V. - Sono dieci giorni che sono a Roma, e ci venni, come Ella ben sa, per cose di premura della nostra Congregazione, e specialmente per le Missioni della Patagonia per cui si devono prendere delle importanti deliberazioni, che reclamano una preventiva approvazione del Santo Padre. Da 9 giorni ho domandato la necessaria udienza; ieri feci preghiera a Mons. Maestro di Camera a volermi aiutare ad ottenere il favore, ed aggiunsi anche avere meco una somma alquanto considerevole del danaro di S. Pietro. Mi fu risposto che per questa settimana non ci avessi nemmanco a pensare, quasi nessuna speranza mi diede per la settimana prossima seguente. Da S. E. il Card. Ferrieri sono passato più volte, ho pure fatta dimanda per iscritto, ma fino ad oggi non ho speranza di poter ottenere udienza.

                Dovendo in qualche modo rispondere alle proposte del Governo Argentino sulla Evangelizzazione delle Rive del Rio Negro (Pampas e Patagonia), mi fo animo di rivolgermi alla E. V. Rev.ma, come a nostro protettore e benefattore insigne, pregandola a voler dire una parola al S. Padre in nostro favore.

                Se però o il Santo Padre fosse incomodato, o per qualunque motivo non giudicasse potermi ammettere all'implorata udienza, io accetto e venero qualunque disposizione.

                Passerò un momento dalla E. V. per avere una sola parola di risposta.

Coll'animo pieno di gratitudine ho l'alto onore di potermi professare

                Della E. V. Rev.ma

 

                Roma, 22 Marzo 1880.

                Torre de' Specchi 36.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco. [448]

 

                A cercare del cardinal Ferrieri, prefetto della sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, Don Bosco si presentò ben sette volte nel tempo che fu a Roma, senza però avere il bene di un'udienza qualsiasi. L'ultima volta, mentre chiedeva al domestico quando l'avrebbe potuto vedere e questi evasivamente accennava alle molte occupazioni di Sua Eminenza, ecco venir fuori il segretario, al quale si rivolse subitamente il Beato, dicendogli con calma tiri po' 1 accorata: - Ma dunque questi Capi di Congregazioni noli sono posti per trattare gli affari? E se li trattano, dove e quando li trattano? - Il Monsignore si strinse nelle spalle.

                Col Prefetto dei Vescovi e Regolari Don Bosco aveva sempre molte cose da trattare; ma sull'animo del cardinale Ferrieri agivano a suo riguardo sinistre prevenzioni, che eransi venute radicando sotto lo stillicidio incessante delle denunzie torinesi, Quel continuo dipingere Don Bosco quasi fosse un ribelle ostinato contro l'autorità diocesana e un violatore sistematico dei sacri canoni, avrebbe fatto presa anche in un Prefetto che noti avesse avuto con l'Ordinario di Torino i rapporti dell'Eminentissimo Ferrieri; poteva invero sembrar necessario stare in guardia per non compromettere i diritti della giurisdizione vescovile nè le leggi della Chiesa. Date pertanto simili disposizioni di spirito, la fermezza del Beato nel salvaguardare l'onore e gl'interessi del suo Istituto da imputazioni o da atti pregiudizievoli dava facilmente adito a giudizi erronei sulla natura de' suoi atteggiamenti. A conoscere bene quanto da questo lato fosse spinosa la condizione di Don Bosco e a meglio intendere le tribolazioni che per lo stesso motivo egli dovrà sopportare in seguito, nulla vale più del dialogo avvenuto nel primo abboccamento del Procuratore generale cori Stia Eminenza e da lui accennato in una sua lettera a Don Rua[316]. Noi riferiremo ogni cosa secondo la narrazione fattane a Don Lemoyne dal Procuratore medesimo [449]. Per non prendere scandalo, gioverà conoscere anche l'indole dell'uomo. Ce lo descrive così il Soderini[317]: “Era questo Porporato uomo di molto senno e di molta dottrina, dal fare tra il ruvido e il severo, forse un poco troppo mordace”.

                La prima volta che Don Dalmazzo si presentò, gli si disse che il Cardinale non era in casa; ma egli tornò una seconda e terza volta e avuta sempre l'identica risposta che Sua Eminenza non poteva riceverlo, pregò il segretario di dire all'Eminenza Stia che, urgendo a lui di vederlo, si degnasse fissargli il giorno e l'ora dell'udienza nello spazio di un mese. Gli si fissò il sabato seguente alle ore nove.

                Don Dalmazzo f ti puntuale. Dopo aver aspettato alquanto, perchè quel mattino il Cardinale si alzava allora da letto, venite introdotto. Sua Eminenza era nel suo studio vestito da semplice prete: il suo sguardo incusse quasi timore a Don Dalmazzo, elle pure aveva persona e aspetto imponente e non era un pusillanime.

                - Che cosa volete da me? gli chiese in tono brusco.

                - Io vengo da Torino, gli rispose Don Dalmazzo, mandato da Don Bosco per ossequiare Vostra Eminenza e per domandarle elle abbia la bontà di farci sapere quali siano le osservazioni che si fanno sulla Pia Società e quali siano le cose che si debbono in essa correggere. Don Bosco non ha altro desiderio che di essere in tutto e per tutto sottomesso al parere de' suoi Superiori.

                - Don Bosco! bon Bosco è un bugiardo, esclamò il Cardinale, Don Bosco è un impostore, Don Bosco è un prepotente, che vuole imporsi alla Sacra Congregazione!

                - Mi perdoni, Eminenza, ma Don Bosco non intese mai d'imporsi alla Sacra Congregazione. Se è obbligato a ricorrere con insistenza, si è perchè l'Arcivescovo di Torino lo costringe a questi passi. [450] - Anche quello là è un bel tomo, per darci briglie su brighe; ma insomma che vuole Don Bosco? Non ha scienza, non ha santità. Avrebbe fatto meglio, se si fosse limitato a stare alla direzione di un Oratorio, senza ostinarsi a voler fondare una Congregazione.

                - Mi perdoni, Eminenza, noi che lo abbiamo conosciuto, abbiamo ben altro concetto di Don Bosco. E siamo duecento preti!

                - Voi fareste meglio a uscire dalla sua direzione, rientrare nei vostri seminari diocesani e mettervi a disposizione dei vostri Vescovi. Don Bosco non è l'uomo da fondare Congregazioni.

                - Scusi: crede Ella che tutti noi siamo così corti d'intelligenza da metterci sotto la guida di Don Bosco, senza conoscere qual persona egli sia? Voglia persuadersi che noi lo stimiamo e amiamo, e ci sentiamo offesi, quando lo sentiamo oltraggiato e vediamo vilipese le sue opere.

                - Io non aveva intenzione di offendervi, ripigliò con fare più cortese il Cardinale; dico solamente che Don Bosco non doveva presumere di accingersi alla fondazione della sua Pia Società. Dei resto, qual è la vostra missione?

                - Io ho preso alloggio presso Torre de' Specchi, e se Vostra Eminenza avrà qualche comando da darmi, io sono ai suoi ordini.

                - Va bene.

                - Tutte le volte che desidererà qualche spiegazione, io sono pronto a dargliela.

                - Sentiremo.

                - Don Bosco in ogni cosa vuole prestare obbedienza alle disposizioni della Sacra Congregazione.

                - É ciò che vedremo. - A questo punto il Cardinale congedò il Procuratore ma con cortesia, accompagnandolo fino alla porta.

                Con Don Bosco egli continuò a mostrarsi duro. Per il nostro Beato Padre, che amava tanto la pace e che per vivere [451] in pace con chicchessia avrebbe fatto ogni sacrificio consentitogli dalla coscienza, il vedersi così respinto da tanto alta autorità, fu certo una delle massime afflizioni. Son croci per altro, le quali, come la storia ci attesta, Dio ne' suoi imperscrutabili disegni ha permesso che or più or meno toccassero a tutti i grandi fondatori di Ordini e di Congregazioni religiose. La loro condotta umile, caritatevole e animosa in sì difficili e delicate contingenze fu una delle prove più eloquenti della loro santità.

                Il diario di Don Berto prosegue: “23 marzo Don Bosco alla sera va a far visita al Card. D'Avanzo. - 24. Al mattino D. Bosco va dal Card. Segretario di Stato. - 25. Giovedì Santo, pranzo da Mons. Kirby, direttore del Collegio Irlandese. Visita alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù da fabbricarsi al Macao in Roma nuova. - 27. Sabato Santo. Visita alla chiesa di S. Andrea delle Fratte; poi dal Card. Simeoni a Propaganda. - Domenica di Pasqua 28 marzo, ci venne il Padre Gatti e Menghini a visitare D. Bosco. Poi D. Bosco con D. Dalmazzo a visitare il Card. Vicario, il quale diede definitivamente incarico ai Salesiani di assumersi la erezione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, con annesso Ospizio di beneficenza, quale monumento alla venerata memoria di Pio IX”.

                Il diario salta il 26, venerdì santo. Con quella data l'archivio parrocchiale di San Giuseppe a Marsiglia ha una lettera dettata e solo firmata da Don Bosco per il canonico Guiol. Vi traspare la sua preoccupazione, perchè non si rallentino i buoni rapporti fra la casa e la parrocchia. Circa i timori che egli manifesta di inquisizioni governative, rimandiamo chi legge a quanto diremo appresso sulle leggi di marzo contro le Congregazioni religiose.

 

                               Carissimo Sig. Curato,

 

                Dalle sue care lettere rilevo assai bene le sollecitudini e la carità con cui la S. V. carissima si occupa dell'Oratorio di S. Leone. lo non posso altro che ringraziarla e pregare Iddio che ci continui la sua santa [452] grazia per condurre a termine l'opera cominciata unicamente per la gloria di Dio e pel belle delle anime.

                La prego di ringraziare il Sig. Giulio Rostand pel novello tratto di carità che liti annunzia. Quando poi giunga in Roma il suo amico di Parigi, non mancherò di trattarlo con tutti i riguardi che ben si merita e da parte mia farò quanto posso per secondare il buon progetto di una colonia agricola nel senso che egli desidera.

                Non ho ancora potuto avere l'udienza del S. Padre a motivo della folla di gente elle ne fa dimanda ed anche della sanità cagionevole di Sua Santità. Ho però fiducia di essere ammesso quanto prima. A tale uopo avrei bisogno elle la S. V. potesse mandarmi nome, cognome e qualità delle Presidenti e del Presidente dei nostri Comitati di Beneficenza, e ciò nel desiderio di ottener loro qualche favore spirituale che torni eziandio a vantaggio di tutti i membri del Comitato.

                D. Bologna liti scrive che è molto contento dell'Oratorio e delle buone relazioni esterne, specialmente colla parrocchia di S. Giuseppe. Ho fiducia elle il Signore continuerà a tenerci fermi in quella caritatevole unione che è indispensabile a sostenere le opere pie dirette al bene pubblico, quale si è la nostra. Lo stesso D. Bologna mi accenna ai frutti di già ottenuti dai Comitati elle Ella col suo zelo riuscì ad istituire. Sia benedetto il Signore.

                Si teme che nel dimandare o meglio nel formare il catalogo degli Istituti religiosi di Francia si facciano anche domande a Beaujour. In tale caso Ella potrebbe dire a D. Bologna che come Capo della casa si dia Taulaígo che è francese, Prefetto lui abate come Brogly che è pure francese. In quanto poi all'insegnamento compariscano soltanto le scuole della Maìtrise che sono aperte a capo di Lei che presenta i voluti titoli legali. Questo è in previsione, perchè: Jacula praevisa minus ferient.

                Quando se ne dia occasione assicuri i membri dei nostri Comitati che io li ringrazio di tutto cuore e che non mancherò di raccomandarli lutti ogni giorno al Signore nella Santa Messa. Il Signore la conservi in buona salute e preghi per me che con sincero affetto Le sarò sempre in Gesù Cristo

 

                Roma, Torre de' Specchi, v. 36, 2° p.

                26 Marzo 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Mi sono servito del Segretario unicamente perchè è di sera, tempo in cui ho qualche difficoltà a scrivere.

 

                Poichè nulla faceva prevedere tanto prossima l'udienza pontificia, Don Bosco il lunedì dopo Pasqua partì per Napoli. Non fece sicuramente quel viaggio per isvago nè per vaghezza [453] di ammirare gl'incanti della terra e del mare partenopeo. Una volta, come Si legge nel processo apostolico, Don Barberis, accompagnandolo per Marsiglia, volle distrarlo col fargli vedere qualche monumento religioso; ma egli rispose: - Siamo qui per altro scopo e ben più importante. - Don Bosco noti perdeva tempo n'è spendeva danaro in gite di curiosità, gabellate talora per viaggi d'istruzione. Sembra dunque che siasi recato a Napoli per trattare di un'opera da fondarsi. Infatti nell'Osservatore Romano del 9 aprile liti articolo certamente autorizzato, fors'anche comunicato dalla Procura, diceva essersi dovuto Don Bosco recare a Napoli “per fondare una Colonia agricola ed un Ospizio di arti e mestieri pei fanciulli poveri ed abbandonati”; e il segretario, in una lettera dell'8 aprile a Don Rua scriveva: “Dovrei ancora parlarle della gita a Napoli, dove il Sig. D. Bosco combinò qualche cosa con quella persona che Ella sa”. Questi dati ci autorizzano a ritenere che la persona visitata fosse la marchesa Gargallo e la fondazione ideata riguardasse Siracusa, come diremo nel volume quindicesimo.

                 Sui particolari del viaggio il diario ha questa nota più lunga del solito: “29 marzo. 1). Bosco ed io col convoglio delle 8 e 30 antimeridiane partimmo per Napoli, giungendovi verso le 3 e 40 pom., e preso un legno venimmo direttamente a prendere alloggio dal molto Rev. Sig. D. Fortunato Neri, Parroco dell'Ospedaletto presso S. Giuseppe. Dopo pranzo visita alla marchesa Carmela Gargallo, via santa Lucia n. 64, 3° piano. Vedemmo la magnificenza e l'incanto del porto e golfo di Napoli. Il 30 marzo verso le ore 10 ½  ci venne il canonico Pacilio a prendere D. Bosco e lo condusse a visitare varie case di educazione e la Chiesa dell'Annunziata,- poi all'Istituto delle Monache della Carità, dove l'Arcivescovo di Napoli dava un pranzo a 400 i più poveri della città. Giunti là presso ecco il padre Lodovico da Casoria che fattosi incontro a D. Bosco lo salutò e baciogli la mano. Poi entrammo entro al cortile, di forma quadrilatera e circondato da portici [454] con doppia fila di tavole ed una specie di giardino nel centro. Quivi D. Bosco potè trattenersi a più riprese col P. Ludovico da Casoria. Di lì ad un poco arrivò l'Arcivescovo e D. Bosco lo salutò. Quivi fece conoscenza. col Comm. Giusso, buon Cattolico e Sindaco di Napoli. Era bello il veder l'Arcivescovo cingere il grembiale e poi versare il vino e distribuire le pietanze. C'era pure il Vescovo di Venafro[318], che similmente serviva i poverelli. Verso le 2 ½  il P. Ludovico venne per far visita a D. Bosco. Poi si andò di nuovo dalla marchesa Gargallo, quindi alla stazione ed il convoglio era già partito. Allora preso un legno, D. Bosco andò a visitare le Monache Salesiane o della Visitazione al Monastero della Pace N. 119. Quivi dalle ore 3 ½  circa ci trattenemmo fin verso le 6 ½ , intanto che preparataci un po' di cena, e mangiato, fummo poi accompagnati dal portinaio fino al vapore. Dalle 9 e 5 minuti viaggiammo tutta la notte e giungemmo a, Roma verso le 6 ½ Di qui venimmo in via Viminale dalle Dame del SS.mo Sacramento a celebrar la Santa Messa, poi a piedi per la via Viminale e Foro Traiano ci portammo a casa”.

                Una lettera del diarista[319] conteneva qualche altra particolarità. L'Arcivescovo Sanfelice nel distribuire il cibo ai poveri aveva alla sua destra Don Bosco ed a sinistra il padre Ludovico da Casoria, “chiamato il D. Bosco di Napoli”. Il Beato potè pur trattenersi ivi “con altri principali personaggi napoletani pieni di buon cuore, che tutti dimostravano gran piacere di veder D. Bosco a Napoli ed in quella circostanza lamentando solamente la sua troppo breve dimora”. Don Lemoyne scrive che Don Bosco vide colà anche lo storico della Chiesa monsignor Salzano, domenicano, vescovo titolare di Edessa il quale ricordava sempre quell'incontro. Un giovane ecclesiastico che parimente lo osservò allora con interesse e ne serbò affettuosa memoria fu monsignor Salvatore [455] Meo, poi Vicario generale di Napoli e vescovo titolare di Metone[320].

                A questo Prelato, che si reputò felice d'introdurre Don Bosco all'udienza dell'Arcivescovo, siamo debitori di una notizia, dalla quale si scorge che alto concetto il futuro Cardinale siasi fin d'allora formato del nostro Fondatore; poichè ne fece collocare in sala alla parete il ritratto, al disopra della poltrona su cui il Beato aveva seduto, ritratto rimasto quivi costantemente fino alla morte di colui che ve l'aveva fatto porre[321]. Don Bosco da Roma gl'inviò poi tostamente il diploma di Cooperatore Salesiano; della qual cosa il degno Presule lo ringraziò, assicurandolo che l'aveva accolto assai volentieri e pregandolo di significargli “se poteva in nulla giovare all'opera”[322]. La visita del Beato a Napoli giovò ad aumentare ivi notevolmente il numero dei Cooperatori, che già era cospicuo.

                Il cenno al monastero della Visitazione, richiama un importante ricordo, vivo tuttora. presso quelle religiose, come potè verificare poc'anzi il Salesiano Don Tomaso Chiapello, che ne ha fatto menzione nell'opuscolo citato qui sopra. La presente Superiora rammenta benissimo la visita di Don Bosco e com'egli gradisse una modesta refezione offertagli nel parlatorio. Ma vi è ben di più. Vivevano nel monastero due suore, professe dal 1876 e sofferenti una per dolori al capo, l'altra per male interno. Nella speranza che la benedizione del Servo di Dio le guarisse, gliele fecero venire innanzi. Egli, benedicendo la prima, le disse: - Gesù la vuole compagna nella sua coronazione di spine. Tuttavia lavorerà molto per questa casa. - Infatti campò fino al 1920, occupando le maggiori cariche, ma travagliata sempre dal suo mal di testa. Benedisse la seconda, animandola a soffrire; poi in disparte alla [456] Superiora, morta nel 1881, soggiunse: - Questa suora è matura per il Cielo. - Infatti di lì a pochi mesi cessò di vivere.

                Il ritorno di Don Bosco a Tor de' Specchi fu amareggiato da un brutto caso, successo il giorno innanzi. Al mattino del 31 marzo Don Dalmazzo si sentì la cameretta invasa da tiri crescente odore di abbruciaticcio. Fattosi sulla soglia, ecco uscir fumo dalla stanzuccia di Don Berto. La aperse: in un turbine di fumo luccicò a' suoi occhi un fuoco di bragia che ardeva nella parte superiore d'un grosso sacco da viaggio posato in terra presso la lettiera, e una lingua di fuoco saettò dal fondo del letto. Don Dalmazzo esterrefatto afferrò il sacco in fretta e furia e lo spense; poi diede l'allarme. Accorsero i vicini, vennero anche i pompieri e l'incendio fu soffocato prima che si potesse sviluppare. Scomparso ogni pericolo, esaminò il valigione, che conobbe essere stato scassinato; infatti al posto della serratura riscontrò un largo buco, e nel secondo scompartimento della borsa una scatoletta, ch'ei sapeva contenere una somma di danaro, stava intatta e ben aggiustata, ma era vuota. Evidentemente il ladro aveva appiccato il fuoco alla valigia nella speranza che questa s'incenerisse e così sparissero le tracce del furto; invece la combustione aveva operato lentamente senza fiamma, allargandosi intorno e comunicandosi alla coperta e al pagliericcio del letticciuolo, che al contatto della corrente d'aria avvampò. Erano pertanto spariti seimila franchi in sei biglietti di banca francese; cinque ne aveva consegnati a Don Bosco la signora Noilly-Prat e uno il barone di Monremy, affinchè li deponesse ai piedi del Papa per l'obolo di San Pietro. Il ladro doveva aver subodorato la presenza della somma, essendosi fatti dei passi nei giorni antecedenti per esigerla; doveva anche conoscere dove stesse riposta. Dunque la mano rapace noti era da cercarsi molto lontano. Denunziato il delitto, la questura fece due sopraluoghi, eseguendo minute perquisizioni; il delegato interrogò un chierico e il cuoco, sottopose a interrogatori anche Don Dalmazzo; infine stese il suo rapporto, ricostruendo [457] il fatto e conchiudendo che il ladro si era servito del fuoco per coprire il reato e che si trattava di furto domestico o simulato. Fortuna che la cosa morì lì; altrimenti chi sa dove si sarebbe andati a finire? La Capitale del 3 aprile pubblicò la notizia, lardellandola di falsità e di scherzi degni del partito che rappresentava; le rispose pacatamente l'Osservatore Romano del g. Don Berto l'8 aprile scrisse a Don Rua: “Poco mancò che io non impazzissi. Ma D. Bosco udì il doloroso racconto senza battere una palpebra, immobile, senza mutare d'aspetto con una. tranquillità che aveva del maraviglioso: non una parola di biasimo o d'impazienza o di lamento uscì dal suo labbro. Ho osservato in lui l'uomo rassegnato a tutti gli eventi e prosperi e avversi, e l'ammirai più in questa occasione che non avrei fatto quando era a Marsiglia circondato di gloria”.

                Senz'alcun dubbio il grave infortunio addolorò Don Bosco[323]; ma l'abituale stia conformità al volere di Dio anche in accidenti acerbi e repentini noti gli lasciò perdere la pace. Infatti continuò, conte se nulla fosse, nel disbrigo de' suoi negozi e scrisse financo dite suppliche da umiliarsi al Sommo Pontefice per alcuni favori. La prima era ben originale: “Il Sac. Gio. Bosco umilmente prostrato ai piedi di V. S. espone che la Contessa Callori, ricca signora e fervorosa cattolica, ha la buona volontà di fare una generosa largizione per continuare la costruzione della chiesa di S. Gio. Evangelista, già incominciata in Torino presso al tempio e scuole dei protestanti. Ma questa pia Signora, unicamente per consolazione spirituale di sè e della propria famiglia, amerebbe che la cifra di tale Somma venisse scritta dalla veneratissima mano di Vostra Santità. Il Sac. Gio. Bosco prostrato ai piedi di V. S. umilmente implora questo segnalato favore”. La contessa, [458] che andava soggetta a scrupoli di coscienza, forse esitava fra il desiderio di dare in certa misura e il timore che fosse troppo rispetto a' suoi doveri familiari; questo dunque sarebbe stato uno spediente valevole a rassicurarla. Il Papa annuì; ma non conosciamo la cifra.

                Nella seconda supplica Don Bosco chiedeva indulgenze plenarie in molte feste per tutti i fedeli e negli esercizi della buona morte per i giovani delle case salesiane; chiedeva inoltre che tali favori, concessi già in parte da Leone XIII ad tempus, fossero tutti estesi in perpetuo[324]. Suo scopo era di promuovere sempre più con questo mezzo la comunione frequente. Ignoriamo il tenore della risposta.

                Due giorni del diario: ““3 aprile. Quest'oggi ci venne l'Avvocato Agnelli ed un altro signore per consolare Don Bosco. In quel mentre egli esorcizzava un'indemoniata. - 4 aprile Domenica in Albis. D. Bosco da Sigismondi a pranzo. Ci venne di nuovo il March. Comm. Augusto di Baviera[325], Esente delle Guardie nobili di S. S. -a portare un biglietto in cui diceva che aveva parlato con chi di ragione in Vaticano per l'udienza di D. Bosco e che sperava questa fra brevissimo tempo. Poi di lì ad un poco ritornò, facendomi vedere un biglietto di Mons. Boccali, che diceva che il Papa ha niente su D. Bosco e che avrebbe date le disposizioni per l'udienza”. Di qui si scorge che Don Bosco, temendo di essere in disgrazia presso Leone XIII, se n'era aperto con quel Cameriere segreto, suo amico.

                Quell'ossessa era stata condotta a Don Bosco da fuori di Roma; egli la esorcizzò con esorcismo privato. Nell'atto che la benediceva e pronunciava sopra di lei il nome di Gesù Cristo e di Maria Ausiliatrice, poco mancò che il diavolo non soffocasse la sua vittima. Lo spirito maligno fu richiesto in latino del suo nome ed egli rispose: Petrus. Si noti che la donna era una povera contadina; tuttavia parlava perfino [459] l'inglese ne' suoi perturbamenti diabolici. Gli fu domandato in nome di Dio, da quanti anni possedesse quella persona. - Da due in tre anni, rispose.

                - E che cosa fai qui?

                - Faccio il guardiano di Santa. (Era questo il nome dell'ossessa).

                - Dove stavi prima?

                - Nell'aria. Voi dovete combattere molto contro di me.

                - Perchè non vuoi uscirne? Non vedi che aumenti le tue pene, il tuo male?

                - E io lo voglio il male

                Poi fece conoscere che per essere cacciato via ci voleva un esorcismo solenne; ma a questo si richiedeva una facoltà particolare del Cardinal Vicario, il quale era assente e sarebbe stato fuori fino al 21 del mese. Fu diretta quindi a monsignor Lenti vicegerente, nè altro più se ne seppe. Ma intanto un po' di bene ci fu; poichè quel signore che accompagnava l'avvocato Agnelli, al sentire le risposte e al vedere i gesti dell'indemoniata, disse: - Non avevo mai creduto al diavolo; ora ci credo, perchè l'ho visto.

                Giornata ricca di consolazioni fu il 5 aprile. Rassicurato che il Papa gli era sempre benevolo, gl'inviò direttamente una lettera, la quale pose fine agl'indugi: nelle prime ore venne finalmente recapitato a Don Bosco il biglietto che gli annunziava essersi degnato il Santo Padre di ammetterlo all'udienza privata quella sera stessa alle sei e tre quarti, Il Beato si tracciò subito lo schema consueto degli argomenti.

 

                Udienza del S. P. 5-4-80] Danaro derubato.

                Affari di Francia,

                Della Patagonia. - Prefettura Ap. - Vicariato Ap. Proposta del Governo. Seminario per le Missioni estere.

                Affari dei Vescovi e Reg. - Facoltà sospese. - Card. Pref. inaccessibile. Benediz. Coop. Benefattori, ai giovani.

                Un minuto solo di udienza al mese quando ci sono affari. - Procuratore e Segretario. [460] Questa udienza mensile egli domandava per il Procuratore, che col proprio segretario avrebbe presentato al Santo Padre quella sera. Da quanto diremo più avanti in distinto capo, si arguirà facilmente, di che abbia trattato col Papa circa le emissioni. Della Francia dirà egli stesso in una lettera al parroco Guiol, che si leggerà in questo capo medesimo. Per gli affari pendenti dinanzi alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari gli bisognava consultare la posizione che lo riguardava; ma recatosi per questo nella mattinata alla segreteria, s'intese rispondere non esserci nulla, perchè il cardinale Ferrieri aveva ritirato ogni cosa presso di sè.

                Per il medesimo pomeriggio Don Bosco aveva indetta la terza conferenza ai Cooperatori romani. L'adunanza si tenne alle quattro nella cappella delle Oblate di Tor de' Specchi. Tre Cardinali la onorarono della loro presenza: Nina, Sbarretti e Alimonda. Anzitutto Don Dalmazzo lesse un capo della vita di San Francesco di Sales; quindi alcune signore Oblate cantarono un mottetto, che preparò gli animi degli uditori ad ascoltare la parola di Don Bosco. Il suo discorso durò mezz'ora. Egli espose quant'erasi fatto dall'anno antecedente fino a quel punto mercè la carità dei Cooperatori, segnalando specialmente l'attività spiegata a fine di porre riparo all'invadenza protestantica; disse poi dello sviluppo dato alle opere salesiane nell'America, toccò della Patagonia e degl'inutili sforzi fatti in trecent'anni per evangelizzarla e parlò delle fondate speranze che i suoi figli potessero fra breve penetrare in mezzo ai selvaggi e rigenerarli a Gesù Cristo[326]. [461] Sceso Don Bosco dal palco, vi salì il cardinale Alimonda, che affascinò l'uditorio coli quella stia eloquenza originale, fatta di concetti profondi, a cui s'innestavano ricordi storici e reminiscenze erudite il tutto attraversato da lampi d'immagini e di espressioni novissime. Scelse per testo le parole di Sali Paolo: Dei sumus adiutores, esordendo col manifestare la sua gioia di trovarsi in mezzo a tante persone, che non si erano messe nella via di Caino e non avevano piegato il ginocchio a Baal; allusione ai traviamenti di altri romani nel nuovo ordine di cose; gloriavasi inoltre di appartenere egli pure ai Cooperatori Salesiani. Dopo questo preludio mostrò il dovere che tutti si ha di cooperare con Dio al belle e alla salvezza delle anime, indicò l'oggetto di tale cooperazione (noi stessi, i giovani abbandonati, le vocazioni ecclesiastiche, le Missioni) e ne divisò i mezzi (sacramenti, buone letture, scuola cristiana, elemosina, preghiera). Finita la conferenza, fu cantato un secondo mottetto, e infine il Cardinale Segretario di Stato impartì la benedizione col Santissimo Sacramento. Dopo i Cooperatori vollero tutti licenziarsi personalmente da Don Bosco e dirgli una parola.

                Ormai il tempo incalzava. Bisognò correre in casa, indossare il ferraiolo e volare al Vaticano, dove si giunse proprio alle sei e tre quarti: ma fu necessario aspettare fino alle sette e mezzo: allora monsignor Boccali, che era di servizio, introdusse Don Bosco dal Papa. L'udienza durava da circa mezz'ora, quand'ecco nella sala dove stavano il Procuratore e il segretario, entrare il cardinale Manning, arrivato quel giorno dall'Inghilterra. I Cardinali non fanno anticamera. Monsignor Boccali subito lo annunziò e lo introdusse. A tal vista Don Bosco fece tosto per allontanarsi; ma il Papa lo teneva per mano dicendogli: - State, state qui. - Monsignor Boccali invece lo tirava per la veste, dicendogli sotto voce: - Don [462] Bosco, esca. - Ma il Papa continuava a tenerlo stretto per mano. Fu una scenetta curiosa. Il Papa intanto fissò al Cardinale l'udienza per un altro giorno e riprese la conversazione con Don Bosco. Se si considera quanto Leone XIII ci tenesse al protocollo, possiamo ben inferire, che egli diede in quell'istante al nostro Beato Padre un gran segno d'onore; ma anche quella conversazione doveva essere ben interessante!

                Dell'udienza noi riferiremo ora quel tanto che poterono sapere da Don Bosco stesso coloro che gli stavano a fianco, ed è sparso nella loro corrispondenza, più il resto di cui serbò memoria Don Lemoyne. Tutto non si saprà mai, perchè su certe cose Don Bosco manteneva un riserbo impenetrabile.

                Il Beato narrò al Papa la storia del furto delle seimila lire. Il Papa gli domandò: - Perchè non me le avete portate subito?

                - Santo Padre, rispose Don Bosco, sono venti giorni che ho fatto la domanda per avere udienza, e l'ho ripetuta tre o quattro volte, prima ancora di andare a Napoli; monsignor Macchi non mi fece risposta alcuna, anzi diceva sempre che non si poteva, mi rimandava sempre di settimana in settimana.

                - Questo mi rincresce assai, osservò il Papa. Monsignor Macchi non mi disse mai nulla. Almeno potevate dirlo a qualche suo Cameriere.

                - L'ho detto, rispose Don Bosco.

                - Immaginate se non vi riceveva! Tutti i giorni ricevo persone che non hanno nessun affare, gente che non viene per altro se non per prendere notizie del Papa, baciargli la mano, eccetera; immaginate se non riceveva un fondatore, il capo di una Congregazione, venuto da lontano. State certo che il Papa non ha nulla da osservare sopra di voi, nè sopra la vostra Congregazione; anzi vi ringrazio del bene che fate alla Chiesa. Ma perchè non l'avete detto a monsignor Macchi che avevate danari da portarmi?

                - L'ho detto. [463]

                - Potevate dirlo al Cardinale Nina.

                - L'ho detto.

                - E lui?

                - Egli mi disse che non poteva far altro se non raccomandarmi a monsignor, Macchi.

                - Appena ho ricevuto la vostra lettera, ho domandato a monsignor Macchi, perchè non vi aveva fatto passare. Mi rispose che gli avevate detto di dover andare a Napoli.

                - Appunto perchè doveva andare a Napoli, ho domandato tante volte prima l'udienza. Mi premeva di portarle quel denaro, per cui stavo in pena.

                - Questo mi dispiace, mi rincresce molto, e a me non dissero nulla! Fate così: un'altra volta, venite all'udienza pubblica, e vedendovi vi fisserò l'udienza privata io stesso.

                Si parlò anche dei privilegi. Il Papa disse che egli per sistema era contrario ai privilegi dei Religiosi. E Don Bosco a mo' di facezia: - Ma i Religiosi allora non possono esistere! E poi i privilegi sono segni di benevolenza, che la Chiesa può concedere o non concedere od anche ritirare quando crede.

                - Voi che cosa domandate?

                - Domando due o tre privilegi che godono tutti gli altri Ordini religiosi e ne domando solo la rinnovazione o la conferma.

                - Basta, disse il Papa, se è solo per queste cose, intendetevi col cardinale Alimonda e aggiusteremo tutto; così pure riguardo alle Missioni intendetevi coll'Alimonda e con monsignor Jacobini.

                - La pregherei ancora, Santità, di confermare il titolo di Monsignore a Don Ceccarelli, parroco di San Nicolá de los Arroyos nella

                Repubblica Argentina.

                - Sì, sì, rispose il Papa.

                - Così pure domanderei il titolo di Monsignore a Don [464] Migone, elle diede il terreno per fabbricare la chiesa di Vallecrosia dedicata a Maria Ausiliatrice. - Anche a questo il Papa aderì.

                - Ho anche qui in Roma, continuò Don Bosco, il mio Procuratore generale e supplicherei elle una o due volte al mese egli potesse dire una parola o almeno venire a baciarle il piede col cardinale Alimonda.

                - Sì, sì, venga pure, rispose il Papa.

                L'udienza durò quaranta minuti. Dopo vennero introdotti Don Dalmazzo e Don Berto, coi quali il Papa fu molto amabile. Essi portavano, oltrechè oggetti da benedire, anche i dizionari latini di Don Durando, elle Don Bosco presentò al Papa, dicendoli lavoro di un professore salesiano, che aveva posto ogni studio a purgarli da certe voci inopportune per la gioventù. Il Papa li fece deporre sul suo scrittoio. Infine diede la sua benedizione dicendo press'a poco: -Benedico voi, i parenti vostri, la vostra Congregazione, gli ammalati, soprattutto i vostri allievi e i Missionari: che possiate crescere di numero corrispondere al fine della Congregazione a cui appartenete e che fu ispirata da Dio al vostro Superiore e che si sviluppò già in modo prodigioso. Che possiate lavorare costantemente per la gloria di Dio e pel belle della Chiesa, che siate disposti a fare qualunque sacrifizio anche della vita per questa Chiesa e che possiate sempre promuovere il bene e la gloria di Dio e la salute delle anime con coraggio e con forza e perseverare costanti nel servizio di Dio e nella vocazione a cui siete chiamati. - “Come vede, scrisse Don Berto a Don Rua nella lettera citata, la benedizione del Papa fu un vero e bellissimo discorsetto d'incoraggiamento e di conforto. Egli parlava in tono così tenero, cordiale, amichevole, che in quel momento al vedere tanta affezione e benevolenza verso del nostro amatissimo Padre e verso la Congregazione nostra rimanemmo estatici. In quei preziosi e impagabili momenti ci pareva di rimirare l'amabilissimo Pio IX risuscitato in Leone XIII”. [465] In favore di Don Ceccarelli e Don Migone il Beato per ordine del Papa stese due brevi memorie da rimettersi alla Segreteria di Stato[327]. Rinnovò pure l'istanza, perchè fosse concesso un titolo prelatizio al parroco Guiol, al quale con la massima sollecitudine fece pervenire questa lunga lettera contenente altre notizie intorno all'udienza.

 

                                Car.mo Sig. Curato,

 

                Giungo in questo momento dall'udienza del S. Padre ed avrei molte cose a scriverle. Le dico per ora elle il S. Padre ascoltò con grande attenzione le cose elle io gli esponeva della carità, dello zelo dei Marsigliesi, dei Comitati istituiti per provvedere alle necessità dei nostri giovanetti. Il S. Padre ne fu commosso, manda a tutti i membri del comitato una speciale benedizione, promettendo qualche cosa per iscritto entro breve tempo.

                Se mai Ella, Sig. Curato, si fosse trovato presente ad ascoltar le belle parole pronunziate dal S. Padre ai Salesiani, loro allievi e poi con maggior energia ai cooperatori, cooperatrici, ne avrebbe avuto la più grande consolazione; lira quando venne a parlare dell'Oratorio di S. Leone, di ciò elle si è fatto, e di ciò che si spera di fare, dello zelo, della generosità degli oblatori, della bontà del Vescovo, della Società Beaujour, allora il S. Padre fu meco profondamente commosso e dopo molte parole conchiuse dicendo: - Questo è il vero modo di venire in aiuto della Chiesa, e migliorare la civile società travagliata da tante sciagure.

                Il resto o che sarà pubblicato nel Bollettino o che glielo scriverò in altra lettera.

                Coraggio, o sempre caro Sig. Curato; è vero elle ci tocca faticare, è vero che il demonio studia di opporsi co' suoi inganni, ma non temiamo: Dio è con noi, il suo aiuto non ci mancherà.

                Mi farebbe piacere di ossequiare da parte mia quei nostri benefattori speciali, come i Signori della Società Beaujour, l'abbé Mendre e le Signore dei nostri comitati

                Le sottopongo un pensiero: Non si potrebbe formar liti 3° comitato in cui ci fosse la damigella Gabrielle Arman ed altre che si mostrarono molto amanti delle cose nostre?

                Se può, parli un momento con D. Bologna e gli dica in confidenza che il S. Padre non vuole che si diano le nostre regole, qualora fossero richieste dal governo. Qualora però venisse fatta tale dimanda, si prenda un momento di tempo e mi si scriva tutto. [466] Forse in breve tempo potrò comunicarle un pensiero del S. Padre che farà stupire me e la S. V. Preghiamo: Dio ci guiderà.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi e preghi per me che le sono di tutto cuore

                Roma, 6-4-80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il “pensiero del Santo Padre” si riferiva a un disegno, del quale gli scriverà presto in una sua lettera da Torino. La “cosa per iscritto”accennata sul principio della lettera concerneva un favore spirituale. Nel licenziarsi dal Cameriere segreto monsignor Boccali il Beato gli aveva rimesso quattro pagelle di un'indulgenza plenaria per quattro presidenti dei comitati che raccoglievano offerte a vantaggio dell'Oratorio di San Leone e del Patronage Saint Pierre, e l'aveva pregato, di farle sottoscrivere dal Santo Padre e di consegnarle al cardinale Alimonda. Il favore si fece sospirare, ma venne. Infatti, dopo reiterata l'istanza, monsignor Cretoni, pro-sostituto alla Segreteria di Stato gli scrisse a nome del cardinale Nina il 3o agosto: “Il S. Padre ha ricevuto l'istanza di V. S. Ill.ma del 20 cadente e vi ha rilevato con molta soddisfazione le notizie relative all'appoggio che hanno trovato in Marsiglia le opere salesiane. Volendo quindi Sua Santità incoraggiare con qualche grazia spirituale i Signori e le Signore delle Associazioni da Lei menzionate, oltre la Benedizione che loro comparte con tutto il cuore, concede a tutti i membri di esse l'Indulgenza Plenaria da lucrarsi in articulo mortis colle consuete clausule e condizioni. Sono lieto di renderla di ciò informata... affidando a Lei l'incarico di comunicare questa mia risposta al Parroco di S. Giuseppe in Marsiglia per norma di coloro che vi hanno interesse”.

                Abbiamo pure un altro documento, che arricchisce il tesoretto di notizie tramandateci sull'udienza del 5 aprile. É un autografo lasciato da Don Bosco a Don Dalmazzo, forse per sua utile informazione; vi si contengono alcuni concetti, che egli si era proposto di esporre al Santo Padre. [467] Cose urgenti cui solo il Vicario di Gesù Cristo può provvedere.

 

Pei fanciulli.

 

                Si faccia il catechismo ai fanciulli, almeno in ciascun giorno festivo.

                Sono pochi i paesi e pochissime le città in cui in generale abbiano luogo tali catechismi, meno poi ancora pei fanciulli poveri ed abbandonati. Pochissima cura per invitarli ed ascoltarli in confessione.

 

Pel clero.

 

                Maggior sollecitudine a fare l'istruzione ai fedeli secondo le norme stabilite dal Catechismo ai parroci pubblicato per ordine del Sacrosanto Concilio Tridentino. É difficile trovare una parrocchia ove tali istruzioni abbiano luogo se si eccettuano i paesi dell'Italia Settentrionale.

                Maggior premura e maggiore carità nell'ascoltare le confessioni dei fedeli. La maggior parte dei Sacerdoti non esercita mai questo sacramento, altri appena ascoltano le confessioni nel tempo pasquale e poi non più.

 

Per le vocazioni ecclesiastiche.

 

                Le vocazioni ecclesiastiche diminuiscono in un modo spaventoso e quelle poche che s'incontrano corrono gran pericolo di naufragio nel servizio militare cui ognuno è obbligato sottostare.

                Un mezzo efficacissimo per avere e conservare le vocazioni al Sacerdozio è l'opera detta di Maria SS. Ausiliatrice commendata ed arricchita di molte indulgenze dalla Santità di Pio Papa IX. Suo scopo è di raccogliere giovani adulti che abbiano buona volontà e siano forniti delle qualità necessarie a tale uopo.

                Si osservi che sopra cento giovanetti che cominciano gli studi con animo di farsi preti appena sei o sette giungono al Sacerdozio; al contrario fra gli adulti si è osservato che sopra cento ve ne sono circa 93 che pervengono fino al presbiterato.

 

Ordini religiosi.

 

                Gli ordini religiosi passano una crisi terribile. Due cose sono a promuoversi:

                Raccogliere i religiosi dispersi, ed insistere sulla vita comune e sull'apertura dei rispettivi noviziati.

                I religiosi che hanno vita contemplativa estendano il loro zelo al catechismo dei fanciulli, alla istruzione religiosa degli adulti, ad ascoltare le loro confessioni.

                La Santa Sede presti mano per aiutare, consigliare, sostenere e guidare le novelle istituzioni ecclesiastiche affinchè possano conseguire il loro fine e così corrispondere al bisogno crescente di S. Chiesa che in tanti diversi e nuovi modi è assalita e combattuta. [468] Nel lungo colloquio col Sommo Pontefice il Servo di Dio non aveva dimenticato i suoi più insigni benefattori, nè i suoi collegi e le persone verso di questi più benemerite. Onde nei giorni immediatamente successivi il suo segretario ebbe un bel da fare; poichè dovette in ironie di Don Bosco annunziare per lettera ai più grandi benefattori un'indulgenza plenaria concessa loro dal Santo Padre, e scrivere ai Direttori, comunicando una speciale benedizione del Papa ad essi e ai loro allievi e pregandoli di partecipare agli amici della loro casa, quanto era detto in un foglio separato, perchè servisse di modulo. Di questo modulo non possediamo l'originale, ma soltanto la copia spedita al conte Don Cays, direttore della casa di Challonges; lo stile è quello genuino del Beato.

 

                               Benemerito signore o Benemerita signora,

 

                Mi affretto di partecipare alla S. V. come il Sac. Gio, Bosco, nostro Superiore, nella sera del 5 corrente mese ebbe l'alto onore di essere ammesso ad una udienza particolare di S. Santità Leone XIII.

                In quella bella occasione il Sommo Pontefice con grande bontà degnavasi di compartire la Santa ed Apostolica Benedizione a tutti i nostri benefattori, Cooperatori Salesiani, ed in ispeciale alla S. V. e a tutta la stia famiglia, cui prega dal Cielo l'abbondanza dei favori celesti spirituali e temporali.

                Di tutto buon grado le dò comunicazione di questo atto di benevolenza del Sommo Pontefice, mentre i nostri giovanetti si uniscono meco a pregare Dio perchè la conservi in buona salute, mentre ho la buona ventura di potermi professare con profonda gratitudine

                Della S. V. B.

                Torino o Nizza etc.

 

Obbl.mo servitore

   Sac. N. N. Direttore.

 

                É giusto dedicare qui un pensiero al segretario Don Berto, che allora come sempre fu dì e notte instancabile nel servire Don Bosco, nè ci reca sorpresa l'apprendere sotto la data del 1880, che il buon Padre, così sensibile a ogni piccolo servizio o beneficio ricevuto, gli dicesse talora: - Don Berto, che cosa potrò fare io per darti piacere, in cambio di quanto fai per me e per tutte le attenzioni che usi al povero Don Bosco? [469]

                - Sono già abbastanza pagato, gli rispondeva Don Berto, per il gusto che provo a servirla in tutto ciò elle posso, dolente che non mi senta capace a fare assai più come lei meriterebbe e io vorrei.

                - Ebbene, ripigliava, sappi che Don Bosco ti guarda come la pupilla dell'occhio suo. E andando io paradiso, come spero, se il Signore lascerà a mia disposizione un posticino vicino a me, questo sarà riservato per te.

                Diamo ora un'altra scorsa al diario: “6 aprile. Don Bosco va a pranzo dal Card. Alimonda. - 7. Va da Mons. Jacobini a trattare delle nostre Missioni. Venne a far visita a Don Bosco in casa il Ch. Zoia, nostro antico allievo, con un altro chierico francese pure Barnabita: poi il Can. Colombi e l'avv. Leonori; ed un certo Ambrosi Eliseo, impiegato alla Direzione generale delle Poste, a prendere notizie del suo fratello Ambrosi Natalino. Nella notte dal 6 al 7 D. Bosco di nuovo[328] si pose a gridare; ed al dimani richiestolo del perchè, mi disse che era effetto di sogni spaventosi. - 8. Giovedì Don Bosco andò alla Segreteria di Stato a trattare per le nostre missioni. - 9. Venerdì. Don Bosco va a pranzo dal Sig. Colonna[329], dove si trova anche D. Omodei Zorini. - 10. Oggi D. Bosco con Don Dalmazzo andò da Mons. Jacobini a tener insieme una conferenza sulle nostre missioni. - II. Domenica. Don Bosco si fermò quasi tutto il giorno in casa. Ci veline il Sig. Conti a fargli visita. - 12. Venne Mons. Rota a parlare con Don Bosco e ad invitarlo a pranzo per mercoledì. - I3 Oggi Don Bosco pranzò dal Sig. Conti e poi alla sera andò dal Card. Alimonda. - 14. Don Bosco si recò da Mons. Rota e alla sera ritornò a visitare il Card. Alimonda. Verso le ore 5 venne a Tor de' Specchi il Card De Luca a vedere se Don Bosco fosse a casa e con rincrescimento si dovette annunziargli che era assente. - 15. Don Bosco dal Card. De Luca e da Mons. [470] Agnozzi, Poi tutti quattro, Don Bosco, Don Dalmazzo, Zucchini e io a pranzo da Mr. Kirby al Collegio Irlandese. Io a mezzogiorno andai a portare al Card. Alimonda le carte per ottenere l'erezione di un Vicariato in Patagonia. Il Card. mi disse: - Felice lei che sta con un uomo, che è proprio un Santo! - 16. Don Bosco va fino alla posta. 17. Don Bosco si reca alla Cancelleria. Viene a pranzo con noi il Padre Gregorio Francesco Palmieri. - 18. Domenica, A sera Don Bosco andò dal Card. Vicario a portare un promemoria da presentarsi al S. Padre intorno all'erezione della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma”.

                Il chierico Zoja, già alunno di Valsalice, fu intrattenuto per quasi un'ora da Don Bosco a parlare di metodi educativi, specialmente su quello in uso presso i Barnabiti. Egli oggi, membro ragguardevole della sua Congregazione, rammenta che, passatosi poi a discorrere di amministrazione, massime in riguardo alle scuole professionali, disse scherzando al Beato: - Alla prima crisi ministeriale io proporrei lei come ministro delle finanze. Sono sicuro che in poco tempo coprirebbe tutti i debiti della nazione.

                - Debiti non bisogna farne, disse il Servo di Dio sorridendo. Don Bosco ha paura dei debiti. I debiti non lasciano dormire...

                - Eppure Lei ha costruito la chiesa dì Maria Ausiliatrice, facendo debiti.

                - Non è così, spiegò egli. Ho cominciato a costruirla con pochissimi soldi in tasca e sono andato avanti sino alla fine, ma senza spendere mai più di quello che la -Provvidenza mi mandava.

                Infatti Don Bosco, costruita che ebbe la chiesa, non procedette alle decorazioni che furono eseguite dopo la sua morte. Vuol dire che egli non credette di avere allora dalla Provvidenza i mezzi necessari a tale scopo. Non fece così invece per la chiesa di San Giovanni Evangelista, che lasciò magnificamente decorata. [471] Siamo pressochè alla vigilia della partenza; prima di chiudere il capo sta bene che scorriamo quell'altro poco di corrispondenza romana, che è giunta a nostra notizia. Dalle due prime lettere per ordine cronologico basterà spiccare alcuni periodi, omettendo questioni d'affari. Una del 9 aprile diretta al Direttore di Nizza Don Ronchail, distinta in sei numeri, ha per ultimo un cenno sul furto e un richiamo a raccomandazione già fattagli: “Procura di fare una visita al Sig. Barone di Monremy e dirgli che il S. Padre fu spiacentissimo del fatto, lo ringrazia ben di cuore e manda una speciale benedizione a lui e alla signora Ménier; prega che il Signore ad ambidue dia buona sanità. Se mai venisse il momento che egli giudicasse di mandare qualche cosa al S. Padre, farebbe piacere servirsi di me per così riparare lo scorno toccato nel furto, a nostro danno perpetrato. Spero di scrivere una lettera quanto prima a questo nostro vero amico e benefattore. Tu poi studia che gli uffizi siano ripartiti, che le regole siano osservate sia nella levata come nella cogiata[330]. Omnibus una quies, labor omnibus unus. Così.Virgilio, Georgiche lib. 4 alla metà”. L'altra lettera del 12 va a Don Rua. Comincia così: “Desidero di trovarmi per gli esercizi dei nostri cari giovani; perciò procurate di portare gli esercizi spirituali a qualunque giorno dopo il 26 corrente”. Suggeriti poi vari mezzi per levarsi dagli “incubi” dei debiti, prosegue: “Sollecito il mio ritorno a Torino per aiutarti a cercare quibus [denari]. Rincresce che in tutti i siti mi vuotano le saccocce e sarà pochissimo quello che potrò portare a Torino”. Intanto ci risulta che, paternamente sollecito, due giorni dopo fece spedire a Don Rua tre vaglia da lire mille caduno, “frutto delle sue fatiche” ossia “di varie offerte raccolte alla spicciolata”[331]. Conchiude scrivendo: “Fa' un cordialissimo saluto a tutti i nostri cari giovani, dicendo loro che domenica, Patrocinio [472] di S. Giuseppe, io celebrerò per loro la S, Messa; ma che essi facciano la loro comunione secondo la mia intenzione. Ho affari molto gravi per le mani. Preparo una trama contro Don Cagliero”. Qui forse c'è un'allusione alle pratiche per il Vicariato patagonico e al suo presunto titolare.

                Una terza lettera fu per Don Barberis e per gli ascritti di San Benigno. Gli esami di cui li loda, erano i semestrali.

 

                                Car.mo D. Barberis,

 

                Ho mandato una benedizione del S. Padre per tutti: ma in modo speciale per i nostri cari ascritti. Egli si trattenne volentieri a discorrere di loro, e le sue parole voglio comunicarle io stesso personalmente a S. Benigno. Ma tu puoi assicurarti, che il S. Padre ci vuole molto bene e prende molta parte alle cose nostre.

                Dirai poi che sono stato contento degli esami, sia di quelli che ottennero buoni voti, sia di quelli che hanno fermo proposito di ottenerli in altro esame.

                Itaque, filioli mei, gaudium meum et corona mea, sumite omnes scutum fidei, ivi contra insidias diaboli certare possitis. Sed ipse Dominus Jesus factus est pro nobis obediens usque ad mortem, ut et nos per obedientiam et mortificationem introire possimus cum ipso et per ipsum in gloriam Patris nostri qui in coelis est. Igitur pugnate viriliter ut omnes coronemini feliciter.

                Sacrosanctam communionem ad mentem meam facite et ego in missae sacrificio quotidie vestrum recordabor.

                Gratia D. N. J. Ch. sit sempre vobiscum. Vale et veledic[332].

                Romae, 16 Ap. 1880.

amicus tuus

JOANNES Bosco Sacerdos,

 

                P. S. Per sola tua norma ho scritto a D. Verolfo che ci venga in aiuto. Se però ti dice niente, tu non ne farai parola.

 

                Quando potè supporre che la vedova del signor Fortis avesse dato tregua al suo dolore, scrisse direttamente anche [473] a lei, come aveva già scritto al figlio[333]. Avendone tante volte sperimentata la carità, unì agl'incoraggiamenti la preghiera di aiutarlo nelle sue strettezze. Si suol dire elle il tempo e il lavoro mitigano i grandi dolori; ma in chi ha fede le opere di misericordia li santificano.

 

                Stimabilissima Sig.ra Giuseppina Fortis,

 

                A suo tempo ho ricevuto la sua lettera, che mi dava la dolorosa notizia della morte del fu di Lei marito. Ne ho preso viva parte e a Torino si fecero e si fanno speciali preghiere pel riposo eterno dell'anima di Lui con piena fiducia che ora sia già stato accolto in seno alla divina misericordia in Paradiso.

                Vengo testè dall'udienza del S. Padre, presso cui mi feci premura di domandare una speciale benedizione per Lei, pel caro Alfonso e Riccardo, affinchè tutti ottengano sanità e grazia di ben vivere e ben morire. Il S. Padre accondiscese di tutto buon grado.

                Ora vengo a parlare delle cose nostre di Torino. D. Rua mi scrive elle si trova in critiche circostanze finanziarie, specialmente per sostenere le nostre Missioni di America e dar pane ai nostri poveri giovanetti. Io mi raccomando alla sua carità, qualora potesse venirci in aiuto. Abbiamo molte opere tra mano e questo anno l'aumento dei prezzi nei commestibili ci fa sentire la miseria.

                Col finire di questo mese spero di essere a Torino e forse di vedere Lei, Sig.ra Giuseppina, co' suoi figliuoli e miei cari amici.

                Le mando una prodigiosa immaginetta della S. V., affinchè porti la fortuna sopra tutta la sua famiglia.

                Preghi per me che le sarò sempre in N. S. G. C.

                Roma, 16 Apr. 80.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Poichè l'udienza pontificia era stata ai 5 del mese, il “vengo testè” va inteso in largo senso e fu scritto perchè nell'estimazione la cosa serbasse il carattere di attualità.

                Vi è una quinta lettera bellissima, indirizzata a un ex-alunno dell'Oratorio, che divenne poi un ragguardevole sacerdote Salesiano, fratello dell'indimenticabile Don Domenico Ruffino. Partito dall'Oratorio, aveva incontrato una serie di peripezie, facendo l'istitutore e l'insegnante in diversi [474] luoghi, finchè il nostalgico ricordo della vita trascorsa all'ombra del santuario di Maria Ausiliatrice lo ricondusse a Don Bosco nel settembre del 1880.

 

                Mio carissimo Ruffino Giacomo,

 

                La tua mi recò una vera consolazione. Il  mio affetto per te fu sempre grande ed ora che mostri desiderio di ritornare all'antico nido, mi si risvegliano le reminiscenze del passato, le confidenze fatte, la buona memoria del passato eccetera. Perciò qualora tu ti risolva di farti Salesiano, non hai da fare altro che venire all'Oratorio e dirmi: Ecco il merlo che fa ritorno al nido. Il resto sarà tutto come era e come tu conosci.

Desidero però che tu non inetta negli imbarazzi gli attuali tuoi Superiori e perciò se è mestieri che tu differisca la tua venuta a Torino per qualche tempo fallo pure, purchè non vi sia danno all'anima tua.

                Io sarò all'Oratorio sul finire di questo mese e colà ti attendo come padre ansioso di riavere il proprio figlio. Là ci parleremo di quanto sarà mestieri.

                Dio ti benedica, o car.mo Ruffino, e prega per me che ti fui e ti sarò sempre in G. C.

Roma, 17 Aprile 1880.   Torre de' Specchi 36.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una sesta lettera, scritta al Direttore della casa di Marsiglia, mette in evidenza come nel cuore paterno di Don Bosco dalla preoccupazione per i grandi interessi comuni non si dissociasse mai l'attenzione minuta ai bisogni individuali dei singoli.

 

                Mio caro D. Bologna,

 

                Dopo domani parto da Roma, perciò ti metto qui alcune lettere che tu metterai in busta e le consegnerai a chi di ragione.

                Il S. Padre, come ti sarà già stato detto, manda una speciale benedizione a te, ai nostri cari giovani, a tutti i nostri benefattori e confratelli, compresi Borghi e Bernard, i quali fanno poco se non si fanno santi.

                Fa mestieri che tu parli sovente e con famigliarità a D. Ghione e a D. Pirro. Sono due buone creature, tu ne farai quello che vuoi, ma bisogna maneggiarli come si fa della pasta.

                D. Rua scrive a me che si trova in assoluto bisogno di danaro. Ho [475] mandato qualche cosa, ma ne ha nemmeno da sentirne il gusto. Mandagli tutto quello che puoi. Potevi dare soltanto fr. 25 mila all'impresario, contando i sei mila già donati. Adesso è fatto.

                Pare che il Sig. Curato abbia già raccolto qualche cosa. Va' però con molta prudenza e pazienza. Adduci il motivo che D. Rua ha fatto un debito di 15 mila fr. per Beaujour ecc. Ho scritto e continuo a scrivere e tutti mi promettono offerte per S. Léon.

                Se scrivi indirizza le lettere a Lucca fino al 25, dopo a Sampierdarena, maggio a Torino.

                Dio conservi tutti nella sua santa grazia, fa' un cordialissimo saluto ai giovani, ai confratelli e tutti preghino per me che sono in J. C

                Roma, 1880-18-4.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Una bella lettera scrisse pure al barone Héraud di Nizza. Del suo carattere si mette qui in rilievo il costante buon umore. Specialmente fuori di Nizza, dove non fosse conosciuto, incontrandosi con Don Bosco, aveva talvolta delle geniali e graziose trovate, che rallegravano molto il Beato e quanti gli Stavano da presso[334]. Come Cameriere di Spada e Cappa era stato di recente a prestare servizio in Vaticano.

 

                Mio carissimo Sig. Barone,

 

                Prima di partire da Roma debbo compiere il mio dovere e scriverle una lettera. Affari, persone divote o curiose mi hanno continuamente occupato e mi lasciarono poco tempo pe' proprii affari miei. Ho però potuto fare varie visite, tra cui al Card. Bartolini, Bilio, Oreglia, Nina, M.r Boccali, Ciccolini etc. I quali tutti si ricordano di Lei, de' suoi discorsi pieni di sale e di lepidezze. Ognuno mi diede particolar incarico di farle rispetti, saluti, augurii, augurando una Sua ritornata a Roma. [476] Nella udienza poi del S. Padre ho potuto discorrere con comodità. Esso ricordava benissimo la dimora sua in Vaticano, notando: - Che cara persona! Egli è sempre di buon umore. So che fa molto bene col suo buon esempio nella pratica della religione e nelle opere di carità. So pure che fa molto bene alla vostra istituzione; tenetevelo caro.

                Chiese poi della sua famiglia, ed avendogli risposto che tutta la sua famiglia consisteva in lui e nella moglie sua che è di sanità cagionevole, egli ripigliò: - Dio lo consoli colla pace del cuore a lui e colla sanità alla consorte sua. Comunicategli la santa mia benedizione.

                Ho giudicato di aggiungere come la S. V. si occupa del danaro di S. Pietro. - Lo so, ripigliò S. S., ed è per questo che mi sono ricordato di lui e delle sue particolarità.

                In quanto poi a' miei affari ho avuto una visita in mia camera, mentre io era in Napoli, e persuasi certamente di farmi un servizio, rubarono un po' di biancheria che meco aveva portato da Torino, scassinarono bauli e valigie e andarono a trovare una somma di 6.000 lire che erano danaro di S. Pietro destinato pel S. Padre. Quegli incameratori[335] nel partire, non se ne può capir bene lo scopo, diedero fuoco alla camera del Segretario mio e così misero nella costernazione i vicini ed i lontani. Così camminano le cose del povero mondo.

                Dò incarico alla S. Vergine Ausiliatrice affinchè vada a casa sua, porti copiose benedizioni, e sia costante protettrice e custode della famiglia e di tutti i suoi interessi, non dei danari, che deve portarli per la costruzione della chiesa dell'Ospizio di S. Pietro. Se vedrà il signor Ingegnere Levrot ed i fratelli Bonin, la prego di ossequiarli tanto da parte mia.

                Io parto dopodimani da Roma per essere a Torino, a Dio piacendo, sul finire del mese.

                Mi raccomando alla carità delle sue sante preghiere assicurando che le sarò sempre in N. S. G.

                Roma, 18 Aprile 80.

 

Obbl.mo aff.mo amico.

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Non ho potuto riscontrare alla sua lettera che mi raccomandava un Signore che ha un nipotino gravemente infermo. Io ho subito dato ordine che si facessero speciali preghiere, messe, benedizioni nella chiesa di Maria A. di Torino. Io pure l'ho di tutto buon grado ogni mattino raccomandato nella S. Messa. Non so se Dio abbia ascoltato le nostre preghiere, o se siasi in 'altra guisa compiuta la santa volontà del Signore, Avrei caro di saperlo, perciocchè egli prometteva molto per la Chiesa del nostro Ospizio. [477] Ultime visite e partenza, secondo il diario: “19 aprile. Don Bosco andò dal Card. D'Avanzo, il quale disse elle vuole farsi Salesiano. Alla sera Don Bosco da Mons. Iacobini; poi dal Card. Nina, Don Dalmazzo ed io a pranzo in casa Vitelleschi. - 20 Mattino. Don Bosco andò a far visita al Barone Tommaso Celesia, via S. Eustachio; poi dal Card. Mertel e Martinelli, e Marchesa Cavalletti e Casa Vitelleschi, ed io dal Sig. Alessandro a salutare la Signora benefattrice Matilde e Adelaide. Col convoglio delle 6 ½ partimmo per Magliano; alla stazione il bigliettario, nostro antico allievo, certo Miglietta, salutò Don Bosco in piemontese”.

                Ma partire noti significava che non restasse più nulla da fare; il Procuratore doveva pensarci, secondo le istruzioni che Don Bosco gli aveva o gli avrebbe date. Ecco la ragione di questo promemoria lasciatogli dal Beato.

               

                Due decorazioni, una pel Sig. Barone di Monremy di Verdun, l'altra pel sig. Giuseppe Bruschi di Spezia, definitivamente concesse.

                Pel Sig. Ing. Levrot promessa del Card. Segretario. La pratica è a nome dell'Ordinario elle ha bella commendatizia.

                Al medesimo S. Padre non potei più e non mi fu più permesso presentarmi all'udienza a cui mi invitò.

                Lasciate imperfette cose delle Missioni e Vicariato della Patagonia.

                Al Card. Alimonda vivi ringraziamenti. Raccomandare nostre facoltà che ci furono tolte. Egli ne ha copia, come pure il S. Padre.

                A Mons. Rampolla[336] che le carte pel Vicariato esistono per intiero nella Segreteria degli Affari Eccl. straord.

 

                Durante la dimora di Don Bosco a Roma il Procuratore fu testimonio di una stia precisa predizione e del relativo avveramento. Giunse al Servo di Dio dalla Francia una lettera, in cui una signora lo supplicava di mandare una benedizione alla sua unica figlia gravemente inferma. - Qui c'è una signora, disse a Don Dalmazzo, che vorrebbe da me preghiere speciali per la guarigione della sua figlia di appena [478] due anni. Ma che cosa debbo risponderle? La stia figlia certamente morrà.

                - É cosa dura dover fare simile risposta, osservò Don Dalmazzo.

                 - Rispondile tu!

                - Che cosa le debbo rispondere?

                 - Scrivile che io pregherò perchè essa faccia il santo volere di Dio, rassegnandosi alle divine disposizioni.

                Don Dalmazzo scrisse la lettera, addolcendo l'espressione con l'esortare la signora a tenersi in tutto rassegnata al voler di Dio e con assicurarla che intanto si sarebbe pregato. La signora seppe leggere fra le righe; onde spedì subito un telegramma a Don Bosco, col quale rinnovava la domanda di preghiere e avvisava che seguiva lettera. Don Dalmazzo presentò il telegramma a Don Bosco, chiedendogli che cosa bisognasse rispondere. - Nessuna risposta, disse Don Bosco. Ed ecco arrivare la lettera. La povera madre, quasi delirando al pensiero di dover perdere la figlia, la voleva assolutamente guarita per le preghiere di Don Bosco. Don Dalmazzo un'altra volta aspettava che cosa dovesse rispondere. - Nessuna risposta, ripetè Don Bosco. Essa non saprebbe educare quella fanciulla; quindi per la sua anima è meglio che muoia. - Non passarono cinque giorni, che un telegramma annunziava la morte della piccina.

                É sempre un diletto per lo storico il raccogliere testimonianze sulla potente e salutare impressione che la persona di Don Bosco produceva in chi lo avvicinasse o anche soltanto lo vedesse; poichè il ripetersi di simili attestazioni da parti diverse e in diversi tempi è una riprova continua della sua incontestabile superiorità come uomo e della sua spirituale altezza come santo. In quell'anno studiava filosofia a Roma il chierico Peri-Morosini, che salì poi all'episcopato e divenne amministratore apostolico del Canton Ticino, Orbene una sera egli e i suoi compagni, andando a passeggio in squadra e attraversando Piazza San Luigi dei Francesi, scorsero [479] la mite figura di un prete, che alcuni riconobbero per Don Bosco e lo dissero agli altri. Il nostro abbatino, senza punto badare alla regola che vietava di scostarsi dalle file, corse a lui, lo salutò, gli baciò la mano. - É inutile dire l'impressione mia, narrò da Vescovo in una solenne accademia commemorativa di Don Bosco ad Ascona[337]. Io pensai: Don Bosco è il ritratto vivo del carattere del Nazzareno: dolce, mite, buono, umile, modesto. Così, così doveva essere Gesù!

 

 

CAPO XVIII. Da Roma a Torino, per Magliano, Firenze, Lucca, La Spezia, Sampierdarena.

 

                ALLONTANATOSI Don Bosco da Roma, il suo nome risonò poco dopo dinanzi a una grandiosa assemblea. L'Opera nazionale dei Congressi Cattolici, il cui scopo era di stringere in un fascio le forze dei Cattolici italiani a difesa della Chiesa e del Romano Pontefice, aveva istituiti Comitati regionali, che dovessero adunarsi di quando in oliando per trattare degl'interessi religiosi a seconda delle necessità dei vari luoghi. Il Comitato romano tenne la stia prima adunanza laziale nei giorni 21 e 22 aprile, convocando i convenuti nelle splendide sale del palazzo Altemps. Aveva la presidenza d'onore l'Eminentissimo Cardinal Vicario; ai suoi fianchi sedevano da un lato il duca Salviati, presidente effettivo, il principe Don Camillo Rospigliosi, l'assistente ecclesiastico e altri, e dal lato opposto parecchi vescovi. Orbene durante la seduta mattutina del 22 l'avvocato Frascari propose che una delle società cattoliche esistenti si accingesse a studiare i mezzi per togliere dalla strada, educare e istruire cristianamente la moltitudine dei fanciulli che girovagavano per le vie oziosi e che detta società per agire efficacemente si mettesse d'accordo con i Salesiani di Don Bosco. La proposta, messa ai voti, venne approvata in entrambe le sue parti; del che i [481] giornali cattolici recarono la notizia al Beato, quand'era sulle mosse per lasciare Magliano. All'opera di Don Bosco tornava di grande vantaggio anche la semplice pubblicità, che un riconoscimento così autorevole e in luogo così augusto era atto a procacciarle.

                Nel seminario di Magliano il Beato si fermò dalla sera del 20 alla mattina del 23 aprile. Per festeggiarne la venuta si fece coincidere col giorno 21 la così detta passeggiata generale, che suol farsi ogni anno dopo Pasqua. Non è da credere che la cosa fosse concertata senza previa intesa con lui, tanto più che egli aumentò l'allegria della scampagnata, prendendovi personalmente parte. S'andò alla villa del seminario, che sorge sulle alture di Calvi nell'Umbria. Dopo una giornata trascorsa tanto lietamente, fu più volenterosa la docilità degli alunni alla voce dei Superiori, che li esortavano a profittare della presenza di Don Bosco per il bene delle loro anime. Il Beato ricevette le confessioni sì dei convittori che dei chierici; quindi spese il rimanente del tempo libero in dare udienze alle persone di casa, sicchè tutti ebbero comodità di parlargli. Quanta corrispondenza egli abbia ivi incontrata, si può rilevare da una bizzarra espressione del segretario, il quale scrisse[338]: “Papà è molto stanco; a Magliano volevano prendergli la pelle”.

                Non vi mancò per altro qualche refrattario. Di un convittore in particolare si ha memoria, che non solo non era farina da far ostie, ma che, messo in collegio contro stia voglia, odiava da anni preti e frati. Si chiamava Mari. Don Bosco, incontratolo, gli pose la mano stilla fronte e gli disse: - Tu sarai un giorno religioso e sacerdote. - Il giovane, ciò udendo, rise d'un riso sardonico e sprezzante. Ma non sempre rise così; poichè nel 1890. egli passò per Torino nella cocolla di frate Minore da Messa e avviato alle Missioni francescane dell'America meridionale. Visitò l'Oratorio, dove da [482] Don Rua fu trattenuto a pranzo e li raccontò ai Superiori le proprie vicende.

                La mattina del 23 tutta la casa accompagnò alla stazione il Servo di Dio, che partiva alla volta di Firenze: accompagnamento gaio e clamoroso e specialmente improntato a quella confidenza, che da quelle parti non si conosceva nei rapporti fra alunni e superiori, ma che Don Bosco riguardava come potente mezzo di educazione. Don Daghero viaggiò con lui fino a Orte, dove si cambiava treno per giungere a un'ora di notte nella città dei fiori. Qui la marchesa Uguccioni, vera mamma dei Salesiani gli diede ospitalità nel proprio palazzo. Anche la marchesa Nerli si mostrò al solito molto cortese. Il segretario ci ripete che egli passò due giorni in fare e ricevere visite, senz'aggiungere particolari di qualche interesse biografico.

                Una copiosa documentazione dei nostri archivi, della quale ci varremo a suo tempo, fa conoscere che esisteva da due anni a Firenze un comitato per l'apertura di una casa salesiana in città; i membri più influenti di esso conferirono a più riprese con Don Bosco per trovar la maniera di affrettare l'attuazione dell'impresa. A dir vero, egli non aveva bisogno dì sprone, bastandogli per questo la conoscenza dei bisogni locali, unita al suo zelo per la salvezza della gioventù; ma questa volta a Firenze ebbe un incontro, che lo ferì nel vivo del cuore e gli fece sentire acerbamente la pena di non poter subito accorrere. Andando per le vie, s'imbattè in una lunga fila di ragazzi e, domandato chi fossero, s'intese dire che erano figli di cattolici guidati alle scuole e al tempio dei protestanti e che altre squadre li avevano preceduti o li dovevano seguire. Attonito, angosciato, atterrito alla vista di quelle Innocenti creature strappate alla Chiesa, raccomandò con le lacrime agli occhi che non si perdesse tempo, ma sì moltiplicassero gli sforzi per portar pronto rimedio a tanto male. Scrivendo poi da Lucca al cardinale Nina, gli narrò l'accaduto; al che Sua Eminenza rispose il 5 maggio: “Ringrazio V. S. [483] delle notizie fornitemi colla sua lettera dei 29 del p. p. mese, le quali se hanno vivamente rammaricato per la parte concernente il fatto, che Le cadde sott'occhio nella città di Firenze, non han potuto noti produrre grande consolazione nell'animo tanto del S. P. che mio per ciò che spetta lo zelo veramente straordinario, onde cerca Ella di far argine alla corruzione ed eresia, dove questa maggiormente irrompe. Sua Santità quindi grata agli sforzi che V. S. adopera a tale effetto, Le ha ben di cuore impartito la implorata Apostolica Benedizione, pregando insieme il Signore affinchè Le accordi forza e coraggio per proseguire sempre con maggior frutto nella salita intrapresa”.

                A Lucca la notizia della seconda visita di Don Bosco risvegliò l'entusiasmo dell'anno avanti. L'aveva diffusa in città una circolare del Direttore Don Marenco, che convocava per quell'occasione a conferenza i Cooperatori Salesiani nella chiesa della Croce[339]. Dal 26 aprile a tutto il I° maggio furono giornate piene per il Beato, che tra confessare, dare udienze, far visite non poteva godere un momento di respiro. La conferenza si tenne la sera del 29. Nella chiesina dell'oratorio convennero le persone più cospicue e distinte di Lucca. Con le rituali formalità fedelmente osservate prima e dopo, Don Bosco in atteggiamento umile e soave parlò dal pulpito. Anzitutto rivolse un grazie cordiale ai Cooperatori e alle Cooperatrici lucchesi per l'assistenza prestata alle opere salesiane durante l'anno poc'anzi decorso, invitò a ringraziare il Signore dei benefizi ricevuti; ragionò quindi della cooperazione Salesiana generale e locale, mercè il concorso a sostenere le Missioni d'America, le case aperte in Italia e in Francia e l'oratorio di Salita Croce. Fece l'enumerazione delle più recenti fondazioni, descrisse l'importanza della Missione intrapresa di fresco nella Patagonia, dove gli eroici tentativi di tre secoli andati a vuoto per la ferocia degli Indi, stavano [484] per venir ripresi con fondate speranze di successo dai Salesiani. Poi continuò:

 

                Al presente cessarono quei pericoli, e la misericordia di Dio sembra che voglia estendersi a rischiarare quei popoli che ancora siedono nelle tenebre dell'idolatria. E già si è stabilito il centro delle nostre Missioni a Carmen di Patagónes, posto sulla foce del Rio Negro. Questo fiume che discende dai lontani monti delle Ande che attraversano l'America meridionale in tutta la sua lunghezza e dividono le Pampas e la Patagonia dal Chilì, dopo un corso di quasi mille km. si getta nell'Oceano Atlantico. Esso serve di confine tra i Pampas al Nord e la Patagonia al Sud. Le due sponde pertanto di questo gran fiume presentano un campo vastissimo allo zelo dei Missionarii Salesiani; per cui essendo ora troppo pochi in confronto al bisogno, occorre di venire loro in aiuto al più presto con novella e numerosa spedizione. Ma dove prendere i mezzi? Questo è quanto si raccomanda alla carità dei Cooperatori Salesiani; di cooperare ciascuno nella sfera delle sue possibilità coll'offerta in danaro della propria borsa chi può; chi non può del suo si adoperi a cercare soccorso presso i propri parenti, amici e conoscenti. Questi missionari sono contenti di dar la vita per la fede e noi diamo la borsa.

                Ora passando alla cooperazione locale io debbo ringraziarvi tutti e di cuore e questo sia detto prima a gloria di Dio e poi della città di Lucca. Chè anche qui, mediante la vostra carità, si potè aprire un Oratorio festivo, poi scuole serali, quindi diurne ed anche un Ospizio dove sono già raccolti una quarantina di ragazzi, per imparare un mestiere e chi per fare quegli studi richiesti dalla loro professione; tutti però educati ed istruiti nella nostra santa cattolica religione; e crescono su buoni cristiani ed onesti cittadini. Si è potuto comprare questa casa, benchè non sia ancora pagata; poichè malgrado le agevolezze fatte nel prezzo e nel contratto rimangono ancora 40.000 lire da pagare. Poi bisogna pensare a mantenere i ragazzi che non vivono solamente d'aria. Così pure i maestri e direttori, malgrado ogni economia, hanno pure bisogno di sostenersi per poter lavorare. Si è perciò a questo fine trattato a lungo con sua Eccellenza Nostro Veneratissimo Arcivescovo, e stabilito di mandare a ciaschedun cooperatore una pagella in bianco, in cui ciascuno procurerà di notare quel tanto che il suo cuore, e la sua carità e la sua posizione gli suggeriscono, oppure procurerà di trovare presso altri qualche offerta da destinarsi a quest'uopo. In questa maniera ciascun cooperatore resta fatto questuante o raccoglitore di offerte, mandando al fin del mese al Direttore quel tanto che si è potuto raccogliere, oppure passerà questo medesimo a vedere se avvi qualcosa da ricevere. In questo modo la fatica e la spesa divisa fra tanti resta meno sentita e meno pesante.

                Ma si può concorrere anche in altre maniere. Per esempio, so che [485] l'anno scorso le caritatevoli monache Benedettine mandavano ai Salesiani tre volte la settimana la minestra bell'e fatta. Altri non potendo offrir denaro, davano biancheria, come camicie, lenzuola, arnesi di cucina; altri seggiole, altri si adoperarono a comperar i banchi delle scuole e via dicendo.

                Ma voi direte: Qual mercede avremo noi di tutto questo? Ed è giusta questa dimanda, poichè questa è cosa ragionevole e che sempre si propone l'uomo prima di intraprendere all'opera buona. La mercede sarà d'aver contribuito a salvar dalla ruina spirituale e fors'anche temporale, tanti ragazzi, che forse sarebbero andati perduti ed a finir in carcere, d'aver impedito elle quei ragazzi divenissero il flagello della società. Credetelo pure, elle se adesso rifiutate l'obolo per la loro educazione, verranno forse un giorno a prendervelo in saccoccia. Ma se adesso procurate di venir loro in aiuto, la cosa muterà ben di aspetto. Essi saranno quelli che vi benediranno, riconosceranno in voi tanti benefattori, e all'occorrenza saranno anche disposti a difendervi e a dar anche la loro vita per salvare la vostra. Inoltre essi pregheranno sempre per i loro benefattori, e la preghiera del povero sale sempre gradita al trono dell'Eterno. Di più in tutte le chiese e case Salesiane si fanno ogni giorno speciali preghiere per tutti i Cooperatori Salesiani.

                Ma noi, come cristiani, dobbiamo operare per un motivo più alto; per un motivo di fede. Il Signore promette già il centuplo in questa vita e l'eterna felicità nell'altra per ogni opera di carità che si fa per amore di Lui. Oltre a ciò nel Vangelo aggiunge pure, e ce ne obbliga: Quod superest, date pauperibus, date il superfluo ai poveri. Ma questo superfluo dove si può trovare per servircene a vantaggio dei poverelli? Si può trovare il superfluo nel risparmio dei viaggi di solo piacere; nel vestito un po' dimesso; negli apprestamenti di tavola; nei tappeti; e via dicendo: ed anche nei balli e nei teatri, il che però non è per voi, ma per coloro che non si trovano qui.

                Ma ritornando alla mercede promessa dal Signore del centuplo, chi di voi non darebbe volentieri, se in questo momento venisse uno qui alla porta della Chiesa e procedesse avanti, dicendo a ciascuno: Orsù, chi ha da metter danaro all'interesse del cento per uno, avanti? lo credo che nessuno si rifiuterebbe di dare il suo obolo. Ebbene è certo che il Signore dà questo centuplo in questa terra, ora col conservare in vita un figlio, ora col far prosperare le campagne, o colla pace nelle famiglie, o colla sanità, risparmiando da gravi malattie nelle quali si dovrebbe spendere in parte od anche tutto il patrimonio, in medici e medicine; talvolta coll'evitare liti che finirebbero nella rovina materiale della famiglia; col rispetto del figlio verso i proprii genitori, e coll'affezione dei parenti verso i proprii figliuoli, col difendere da certe disgrazie e simili. Insomma in mille guise il Signore trova mezzo di benedirci e darci il centuplo delle opere di carità elle facciamo in prò dei poveri giovanetti, oltre alla vita eterna. [486] Ma la cosa più consolante ancora sarà certamente ciò che dirà il Signore a ciascuno di noi quando ci presenteremo al suo divin tribunale. Egli dice che tiene fatto come a se stesso quello che si fa per uno dei suoi minimi che sono i poveri giovanetti. Egli adunque ci dirà: lo era ignudo di panni e tu mi hai vestito, era affamato e tu mi hai dato da mangiare, era pellegrino e tu mi hai dato ricetto. Era abbandonato e tu mi hai raccolto ed ospitato. Vieni pertanto a ricevere il premio eterno che ti è stato preparato ab aeterno. Al contrario dirà a chi non avrà fatto queste opere: Io era senza panni e tu non mi hai vestito, aveva fame e non mi hai dato da mangiare, era abbandonato e non mi hai raccolto.

                Finalmente la più grande consolazione noi la proveremo in punto di morte, perchè allora questi giovanetti da noi beneficati si rivolgeranno a Dio e gli diranno: Costoro salvarono l'anima nostra e Voi salvate la loro. A nimam salvasti, animam tuam praedestinasti.

 

                Le famiglie religiose della città si stimavano ben fortunate di accogliere Don Bosco anche per brevi istanti fra le loro mura. Le religiose Benedettine lo vollero al convento perchè benedicesse una loro consorella inferma, e forse per Fora tarda, gli apprestarono una refezione: la presente Abbadessa addita coli compiacenza ai visitatori la mensa, a cui lo vide assiso con alcuni Salesiani. Quando poi ricevette la notizia che l'inferma era passata a miglior vita, egli, rispondendo, si mostrò memore di quella cortesia e della loro carità.

 

                Dio pietoso benedica Donna Nazzarena M. Abad. Benedettina Cass[inese] di Lucca e con Lei benedica tutta la sua religiosa famiglia. Dia il Paradiso a quella che fu chiamata al riposo celeste; dia sanità a quelle che vivono. Faccia il Signore che dopo lunga vita vadano tutte, niuna eccettuata, a godere il premio della minestra data ai Salesiani e di molte altre opere di carità. Così sia.

                Preghino anche per me che loro sarò sempre in N. S. G. C.

                Torino, II Giugno 1880.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                La Superiora odierna, commentando la frase, nella quale Don Bosco pregava “lunga vita” alle religiose d'allora, ama ripetere che tutte oltrepassarono gli ottant'anni e che l'ultima a lasciare la terra superò i novanta [487] Anche le primarie famiglie di Lucca si disputavano l'onore di averlo seco a mensa non per altro motivo che per il concetto in cui l'avevano di santo. Nel giorno che precedette la Conferenza egli accettò l'invito del signor Bertocchini, il quale a prezzo discreto e da soddisfarsi a rate secondo la possibilità gli aveva venduto una casa, quella ridotta a collegio. I Signori lo ricevettero nella loro villa non lungi dalla città. Don Bosco prese con sè il Direttore e Don Maggiorino Borgatello, catechista. Ora quest'ultimo attestò per iscritto che durante il pranzo, venutosi a discorrere delle opere salesiane e particolarmente dell'Oratorio, il Servo di Dio fece trasecolare i commensali, raccontando con la massima semplicità due fatti portentosi, accaduti proprio dinanzi a' suoi occhi nel santuario di Maria Ausiliatrice. Poichè Don Borgatello dice di riferire le parole “testuali” proferite dal Beato, noi le riportiamo tali e quali. Don Bosco parlò così: “Molti attribuiscono a me il poco bene che la Congregazione Salesiana fa; ma s'ingannano. Se Don Bosco ha fatto e fa un po' di bene, lo deve ai suoi figli. Il Signore diede a Don Bosco dei figli tanto virtuosi, che questi fanno veri miracoli e pei meriti di essi Don Bosco va avanti come in trionfo; il mondo crede che sia opera di Don Bosco, mentre è tutto dovuto ai suoi figli. Potrei contare molti fatti in conferma del mio dire; ma bastino i seguenti. Un giorno io entrava nella chiesa di Maria Ausiliatrice dalla porta maggiore, verso sera, e quando fui circa a metà della chiesa, osservando il quadro, vidi che la Madonna era coperta da un drappo oscuro. Tosto dissi fra me stesso: - Chi sa perchè il sacrestano abbia coperto l'immagine della Madonna? - Ed avvicinandomi più verso il presbiterio, vidi che quel drappo si moveva. Poco dopo calava giù lentamente finchè toccò il pavimento, adorò il Santissimo Sacramento, fece il segno di croce ed uscì fuori passando per la sacrestia. Quel drappo era un figlio di Don Bosco, che in un'estasi d'amore si era innalzato fin vicino all'immagine di Maria Santissima per meglio vederla, contemplarla [488], amarla, baciare i suoi piedi immacolati. Un'altra volta entrava in chiesa dalla sacrestia e vidi un giovane innalzato all'altezza del santo Tabernacolo dietro del coro, in atto di adorare il Santissimo Sacramento inginocchiato nell'aria, colla testa inclinata ed appoggiata contro la porta del Tabernacolo, in dolce estasi d'amore come un Serafino del Cielo. Lo chiamai per nome ed egli tosto si riscosse e discese per terra tutto turbato, pregandomi di non palesarlo ad alcuno. Ripeto che potrei contare molti altri fatti simili per far conoscere che tutto il bene che fa Don Bosco, lo deve specialmente ai suoi figli”[340].

                Faremo menzione anche di un'altra cosa accaduta il giorno dopo la conferenza. Don Bosco quella mattina celebrò verso le otto nella chiesa di Santa Croce, stipata di persone d'ogni ceto. Mentr'egli diceva la Messa, fu condotto là un giovane sedicenne, che dicevasi travagliato da vessazioni diaboliche; nè mancavano indizi abbastanza plausibili per congetturare che il disgraziato fosse realmente in potere dello spirito maligno. Veniva dai dintorni di Lucca; lo accompagnavano il padre, la madre e un altro uomo; era intenzione di costoro ottenere da Don Bosco che lo benedicesse. Il giovanotto camminò da sè tranquillamente fino alla porta dell'istituto; ma non appena vide un prete, i due uomini dovettero fare sforzi erculei per trascinarlo dentro, tanto violentemente si divincolava. Spinto che fu nell'interno, si buttò a terra, strisciando via per nascondersi, ammutolendo, sprangando calci contro chiunque gli si avvicinasse e tentando di colpire con le mani specialmente i sacerdoti. Ridotto all'impotenza dalle braccia nerborute di coloro che lo tenevano per i piedi e per le mani, si sforzava di mordere e di avventarsi. Al termine [489] della Messa, per quanto egli si dibattesse e riluttasse ad andare avanti, lo portarono di peso e con enorme fatica attraverso la chiesa nella sacrestia. Tutti videro come, passando dinanzi al Santissimo Sacramento, il meschino digrignasse orribilmente i denti e lo udirono emettere un fischio prolungato come lo stridere di cosa che frigga in padella. Alla perfine giunsero dov'era Don Bosco, tutto raccolto nel suo ringraziamento della santa Messa.

                Don Bosco, alzatosi dal genuflessoio e guardatolo con espressione di grande pietà, benedisse l'ossesso, recitò su di lui alcune preghiere, e ai genitori assegnò orazioni da dirsi per tutto il mese di maggio. Rivolse quindi parecchie interrogazioni a quell'infelice, che non rispose mai se non alla maniera dei mutoli. Sputava però contro la medaglia datagli a baciare da Don Bosco, facendo tentativi ora con le mani per afferrarla e gettarla via, ora con la bocca per addentarla e stritolarla. Don Marenco che aveva in una teca un creduto capello della Madonna, volendo sperimentare l'autenticità della reliquia, gliela avvicinò, stringendola tuttavia bene in pugno, perchè l'energumeno non la vedesse; ma questi sull'istante diede in ismanie così furiose da incutere spavento.

                I parenti dissero che si chiamava Francesco e che era loro impossibile farlo pregare, che anzi non lasciava nemmeno pregare quei della famiglia. Si seppe dai medesimi essere egli caduto in tale stato il giorno di San Giuseppe e già due volte essersi gettato giù da una finestra alta cinque metri senza farsi verun male.

                Riportato via a forza di braccia, appena si trovò fuori dalla vista di persone ecclesiastiche e di oggetti sacri, riebbe la padronanza di sè, si mise a camminare da solo e parlava normalmente e disse tra l'altro che la medaglia l'avrebbe presa lontano dalla città, ma in città non mai, perchè altrimenti sarebbe rimasto ucciso. Giova sperare che col mese di Maria anche l'ossessione terminasse, mercè [490] le preghiere ordinate da Don Bosco; ma noi non ne sappiamo nulla[341].

                Due vecchi amici di Don Bosco, il marchese Massoni e il signor Burlamacchi, avevano comperato una casetta a Viareggio con l'intenzione di cederla ai Salesiani, affinchè si prendessero cura della gioventù ivi molto abbandonata; lo aspettavano quindi colà perchè vedesse e decidesse. Don Bosco accondiscese al loro desiderio; che cosa per altro vi si concertasse, a noi non è noto. Una sola circostanza conosciamo, che dimostra in quanta stima Don Bosco fosse tenuto da chi lo avvicinava. La signora Burlamacchi, dopo gli onori di casa, volle condurlo in un appartamento superiore, dove, licenziati tutti gli estranei e ritiratasi essa pure, fece passare da lui uno a uno tutti quei della famiglia, affinchè ne sentissero una buona parola e ne ricevessero la benedizione.

                Quella sera ripartì per La Spezia. Qui furono ospiti del già menzionato signor Bruschi, non essendo possibile alle sue due stanze nell'angusto appartamento appigionato dai Salesiani. Don Bosco, toccando con mano la necessità di locali più adatti per lo sviluppo che intendeva dare all'opera, volle risolutamente che il direttore Don Rocca s'ingegnasse a procurare i mezzi, con cui tirare su dalle fondamenta un edifizio suscettivo di graduali ingrandimenti. Bisogna dire a onor del vero che i principi furono ben poco incoraggianti: circolari, visite, conferenze di Don Rocca non fecero guari [491] breccia negli Spezzini d'allora. Ma Don Bosco, che aveva le sue ragioni per non restare ivi come a pigione, non si perdette d'animo. Gli bastò per il momento che con il poco danaro raccolto si gettassero le fondamenta di una casetta; il resto sarebbe venuto di poi, come venne di fatto.

                Per non dover più ritornare su questo principio di ampliamento, del quale furono poste le fondamenta il 16 agosto, aggiungeremo qui stesso un particolare. Incominciati appena i lavori, Don Bosco dovette inviare al Cardinale Protettore una relazione, in cui descriveva i progressi che la Congregazione dappertutto andava facendo, il bene dalla medesima operato e i vantaggi spirituali che ricevevano le popolazioni dallo zelo dei Salesiani. Coglieva quindi l'occasione per prospettare a Sua Eminenza le condizioni della Spezia e l'urgente necessità di avere una casa adatta e capace; onde lo pregava di proporre al Santo Padre che nel sussidio di lire cinquecento mensili assegnatogli fin dal novembre del 1877 gli si facesse accordare un notevole anticipo, il quale avrebbe permesso di accelerare gl'ingrandimenti indispensabili. L'Eminentissimo Nina gli rispose il 26 agosto. Accennate le condizioni eccezionali in cui versava la Santa Sede e i molti e impellenti bisogni ai quali doveva essa far fronte in quei malaugurati tempi di lotte e di contraddizioni, gli comunicava che, non ostante le critiche circostanze dell'erario, la Santità Sua, bramosa di assecondare, per quanto le veniva consentito, la domanda, erasi degnata di accoglierla almeno in parte", disponendo che a titolo di prestito fosse somministrata a Don Bosco la somma di lire seimila da estinguersi col rilascio di lire cento mensili sul sussidio, e volendo a questa somma aggiunta pur quella di lire duemila per la celebrazione di altrettante Messe. Avuta che ebbe nelle sue mani la doppia elargizione, Don Bosco che aveva ordinato di fabbricare una casa provvisoria a un solo piano oltre il terreno, fece scrivere da Don Rua che vi si aggiungesse un piano ancora, come si [492] fece, in quel piano fu possibile allogare una trentina di letti, dandosi così principio all'ospizio[342].

                Di tappa in tappa Don Bosco si avvicinava a Torino: il 3 maggio era a Sampierdarena. Tutto quanto sappiamo di quei giorni sta racchiuso in queste brevi note di Don Berto: “Lunedì [3] verso le ore due ripartimmo verso Genova. Arrivammo verso le 6 e mezzo. - Al giorno dopo Martedì 4 Maggio Don Bosco con Don Albera andarono a pranzo dall'Arcivescovo. Nell'Ospizio c'era pure Don Ronchail. -Mercoledì 5 maggio Don Bosco col Barone Héraud pranzò in casa. Alle ore 4 e mezzo incominciò in chiesa la lettura del Capitolo XIV della Vita di S. Francesco di Sales, della sua carità verso il prossimo. Essendo i Cooperatori raccolti in numero di circa 180, Don Bosco montò in pulpito e tenne loro una Conferenza lunga un'ora e un quarto abbondantemente[343]. Fu udito con molta attenzione; diede la Benedizione col SS.mo Sacramento. Si cantò dopo la lettura il mottetto Tota pulchra es Maria. Dopo il discorso il Sit nomen Domini benedictum. Quindi il Tantum ergo in musica, dopo la Benedizione, preti, signori e signore assediarono Don Bosco in sacrestia, bramosi tutti di dirgli una parola, baciargli la mano, raccomandarsi alle sue preghiere, ricevere la sua benedizione, ed una medaglia dalle sue mani; e nessuno si allontanò prima di aver ottenuto il suo scopo. La questua fu da 550 a 600 lire all'incirca. L'Arcivescovo non potè venire a cagione elle era vigilia dell'Ascensione di N. S. G. C. Così pure vari Cooperatori preti. L'Arcivescovo però mandò a tutti i radunati la sua benedizione Episcopale. Don Bosco prima di scendere dal pulpito avvertì pure che nel cortile interno dello stabilimento vi sarebbe stato qualche intrattenimento per chi desiderasse fermarvisi. Quindi tutti gli invitati vennero a sentire la musica [493] istrumentale, che fece bene la sua parte, eseguendo con molta perfezione vari pezzi di autori celebri e classici. Cosi Don Bosco non fu libero di sè che verso l'ora di cena. - All'indomani giovedì 6 Maggio, festa dell'Ascensione di N. S. G. C. la passammo a Sampierdarena. - 7 Maggio alle ore 7 e un quarto circa, c'incamminammo verso la stazione, accompagnati da Don Cerruti e Don Francesia e giungemmo all'Oratorio verso le 12 e mezza, dove i giovani schierati sul nostro passaggio dalla portieria al refettorio, coi preti e chierici, ricevettero colla musica il signor Don Bosco. Cantarono un inno durante il pranzo. Tutta la casa fu ripiena di giubilo pel suo arrivo dopo una lontananza di circa quattro mesi dall'Oratorio”.

                Prima di lasciare Sampierdarena egli avrebbe voluto consolare colla sua presenza i figli di Varazze; ne sospiravano la venuta a Savona anche le suore della Misericordia, bramando che benedicesse la loro Superiora gravemente inferma. Ma dovette rinunziare all'una e all'altra andata, così scrivendo al neo-direttore Don Monateri:

 

                Mio caro D. Movateri,

 

                Urge troppo di recarmi a Torino. Perciò non posso fare la diversione per Varazze e per Savona.

                Ti attendo a Torino per il tempo che ci potrai venire.

                Intanto assicura le Suore della Misericordia che io non mancherò di pregare per loro e per la loro Superiora. Appena poi giunto a Torino farò speciali preghiere all'altare di M. A., affinchè Dio conservi ancora in vita la preziosa colonna, anzi il fondamento di quel meraviglioso istituto.

                Dio ti benedica, o mio caro D. Monateri, fa un cordialissimo saluto a tutti i nostri confratelli e a tutti i nostri allievi e pregate per me che vi sarò sempre in G.

Sampierdarena, 7 maggio 1880

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Non erasi ancor rimesso dalla stanchezza di sì lungo e faticoso viaggiare, che dovette rispondere a due lettere dell'abate [494] Guiol, pervenutegli per via e aggirantisi intorno ad affari che concernevano le costruzioni marsigliesi. Il tono e la lunghezza dello scritto dimostrano a evidenza quanto egli apprezzasse la cooperazione del buon curato di San Giuseppe e quanto davvero ci tenesse a non disgustarlo proprio in nulla. Dalla medesima risposta si arreca un altro interessante contributo alle notizie già da noi raccolte intorno all'udienza pontificia.

 

                Mio car.mo Sig. Curato,

 

                La sua lettera del 25 scaduto aprile mi venne a trovare a Lucca: quella del 5 corrente mi raggiunse a Sampierdarena. Ora sono stabilmente a Torino. Le sue lettere mi dànno la più grande consolazione e mi fanno ognor più conoscere che l'esposizione fatta al S. Padre intorno al suo zelo per le opere di carità non è punto esagerata. D. Bologna mi scrive assai spesso raccontandomi le sue incessanti sollecitudini per l'opera di S. Leone e mi invita a ringraziarla, come intendo di fare con questa lettera.

                Dopo la sua lettera che mi annunziava essere in vendita la superficie di circa 2000 metri di terreno accanto dei nostri laboratori, io mi sono messo a pregare, anzi ho stabilito che si facciano mattina e sera speciali preghiere dai nostri giovanetti all'altare di Maria A., affinchè ci faccia trovare i mezzi a ciò necessari. Dio ce li farà certamente fra non molto trovare, purchè, come lo spero, il progetto sia della maggior sua gloria. Non mancherò di scrivere a mad. Prat parlandole dell'opera, senza però farle formale dimanda.

                Ho scritto alla medesima signora, come ora scrivo a Lei, o mio caro Sig. Curato, che il S. Padre sta erigendo le Missioni Salesiane in Patagonia in Vicariato Apostolico e siccome ci vogliono studi e missionari preparati apposta per quelle regioni vastissime e selvaggie, lo stesso Santo Padre propose, se è possibile, un collegio da intitolarsi seminario per le Missioni della Patagonia, se possibile, unito all'oratorio che porta il suo nome. - Marsiglia, egli dice, è una città sommamente cattolica, è generosa, è centrale per le opportune corrispondenze in Europa e nell'America. Scrivete da parte mia a quella pia Società, che con zelo veramente cristiano si occupa dei vostri ospizi in quella città, dite loro che è una grande opera che io intendo raccomandare alla loro carità. Quando avrete ricevuto qualche risposta, datemene comunicazione.

                Ella pertanto, o caro Sig. Curato, ne parli col Sig. Rostand e se egli è dì parere, ne parli al consiglio della società Beaujour, ed anche coi nostri comitati e poi me ne dica qualche cosa, affinchè io possa compiere il pensiero esternato dal S. Padre. Come Ella ben vede, la Società [495] Beaujour ed i nostri comitati sono certamente chiamati a cose non più ordinarie. Omnia possumus in eo, qui nos confortat.

                Lo scritto lasciato nelle mani del S. Padre per alcuni favori spirituali ai nostri comitati sono tutte parole nel senso che Ella mi accenna; ma ci vuole tempo. Il Card. Alimonda è incaricato di ritirare questo ed un altro favore, appena sia firmato[344].

                Sono giunto a Torino molto stanco. In ogni casa salesiana subito una folla di gente mi assediava e non mi lasciava un momento di riposo. Ciò nulladimeno ho avuto grandi consolazioni. L'unione, la carità, l'osservanza regna in tutti i Salesiani, e il S. Padre, che ne era già informato, mi disse essere un fatto prodigioso quello che, adiuvante Deo, si è potuto fare. Lo spirito di pietà regna ne' nostri allievi e in quest'anno saranno forse raddoppiate in numero le vocazioni alla Congregazione.

                La prego infine, Sig. Curato, di voler significare ai benemeriti Signori e Signore dei nostri comitati che nel giorno 16, solennità di Pentecoste, secondo della novena di Maria Ausiliatrice, io intendo di fare un servizio religioso secondo le pie loro intenzioni. Tutti i nostri giovani faranno speciali preghiere, la santa Comunione, io celebrerò la santa Messa per invocare le benedizioni del cielo sopra di loro e sopra le loro famiglie.

                D. Cagliero gode assai della bella offerta che fa la generosa Mad. Jacques per le nostre Suore. Scriverò a Lei direttamente. Montiamo uno scalino per volta e camminando in alto giungeremo al Cielo. Ma ora tutti quei di nostra casa, D. Rua, D. Cagliero, D. Durando etc. le fanno meco formale invito, perchè voglia venire a farei una visita nella festa di Maria A. Ci farà questo regalo prezioso? Ben inteso che Ella può condurre seco chi meglio giudica.

                Finiamola. Il Signore la conservi, la rimeriti e se può, dia di ogni cosa comunicazione a D. Bologna, cui non posso scrivere, se non di volo. Preghi per me che con gratitudine ed affezione le sono sempre in G. C.

                Torino, 9 Maggio 1880.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Due giorni dopo, la Francia gli ridette una bella occasione di esprimere i suoi sentimenti verso i cattolici di quel paese. L'II maggio vennero all'Oratorio l'abate Picard e il visconte De Damas, dirigenti di un pellegrinaggio francese a Roma. [496] Don Bosco trattenne a mensa i due personaggi, mentre i pellegrini facevano capo alla sede della Gioventù Cattolica. Era da poco finito il modesto desinare, quando, portati dal desiderio di vedere Don Bosco, un centinaio di quelli ottennero di presentarsi a lui nel refettorio, dov'egli conversava tuttavia con i suoi ospiti e con qualche altro sacerdote; di là passarono a visitare la casa. Ma dopo la benedizione ritornarono con tutti i restanti, accolti al suono della banda sotto il porticato degli studenti.

                Qui si cantò un inno di occasione; poi cominciarono i discorsi. Dopochè ebbe parlato il marchese Garassini, presidente della Gioventù Cattolica di Torino, parlò Don Bosco in francese. Pregati gli uditori che badassero non ai difetti di forma, parlando egli una lingua che non era la sua, ma ai sentimenti da lui espressi, ringraziò i pellegrini dell'onore che facevano all'Oratorio con la loro visita; dimostrò il suo dispiacere di non averli potuti ricevere, come avrebbe desiderato, in un palazzo adorno di ricchi addobbi. Disse quindi del loro bell'esempio di fede e di attaccamento alla Cattedra di San Pietro e al Sommo Pontefice, avendo essi affrontato i disagi di sì lungo viaggio appunto per prestare ossequio al Santo Padre in Roma; notò pure il bell'esempio dato agl'Italiani col calpestare così francamente il rispetto umano. Toccando delle fondazioni francesi, diede loro in succinto un'idea del Cooperatore salesiano, invitando tutti i presenti a inscriversi nella Pia Unione. Tornati poi in patria, si ricordassero dei Salesiani e dell'Oratorio, si ricordassero che qui avevano amici, i quali pregavano per loro e ne condividevano i sentimenti di religione e di fede[345]. Il padre Picard con eloquenza rese grazie a Don Bosco, ai Salesiani e alla Società della Gioventù Cattolica, inneggiando al Beato, ai suoi figli e ai Torinesi. Ultimo prese la parola quel gran cattolico che fu l'ingegner Buffa, segretario della Gioventù Cattolica, grande [497] amico di Don Bosco e uomo degno quant'altri mai di non essere lasciato cadere nell'oblio dalla presente generazione dei Cattolici italiani.

                Com'egli tacque, i membri della Società giovanile distribuirono per ricordo ai pellegrini una fotografia della chiesa di Maria Ausiliatrice e un ritratto di Don Bosco; a sua volta il padre Picard consegnò a Don Bosco un migliaio di medaglie benedette da Leone XIII, perchè le facesse distribuire ai giovani dell'Oratorio. Prima di uscire, i pellegrini si strinsero intorno al Beato per parlargli e riceverne la benedizione. Parecchie signore, avendo potuto scambiare con lui qualche parola, piangevano di consolazione.

                L'invito a farsi Cooperatori non fu lanciato al vento; infatti, mentre cantori e sonatori eseguivano simultaneamente un concerto finale, i pellegrini facevano a gara per inscriversi in quel numero. Appresso il Servo di Dio, esaminando a suo bell'agio l'elenco dei nomi, mandò a chi gli parve opportuno il relativo diploma.

                I Marsigliesi, memori dei fatti accaduti sotto i loro occhi, non gli davano tregua con le lettere; ond'egli non finiva mai di rispondere, raccomandando alla carità di tutti i bisogni di quella casa. Scrivendo al Direttore, ci lascia intendere anche qualche dispiacere assai sensibile per il suo cuore.

 

                Mio caro D. Bologna,

 

                Ti mando qui una lettera da recapitare ed un'altra per Madame Jacques che tu procurerai di mettere in bella busta, e fattone il rispettivo indirizzo, trasmetterai a di Lei mani.

                Continuo a rispondere alle quotidiane lettere che ricevo da Marsiglia: Io Prego, ecc. ma vengano in aiuto ai poveri ragazzi dell'Ospizio di S. Leone. Non so quali ne siano i risultati. Qualche cosa viene anche a Torino.

                Brogly dimostra desiderio di venire a Torino. Se vieni tu, potresti prenderlo per compagno venendo alla festa di Maria Ausiliatrice, purchè non vi sia alcun demerito.

                Ho scritto invitando il nostro sig. Curato di S. Giuseppe alla nostra festa. Rinnova le tue preghiere: tutta la casa lo attende, e abbiamo molte cose da discorrere. [498] Fa un cordialissimo saluto a tutti i nostri cari confratelli ed allievi; Dio li benedica tutti e preghino per me che vi sarò sempre in N. S. G. C.

                Torino, 13-5-1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Scrivo una lettera a D. Pirro in cui lo biasimo di aver tradito se stesso, la Congregazione e la Chiesa. Lo esorto ad aprire l'occhio sull'abisso ecc. Egli te ne parlerà.

 

                Le parole di color oscuro sul Conto del chierico Brogly e del prete Don Pirro verranno chiarite da quanto diremo nel capo ventesimo. Ora è tempo che rivediamo il buon Padre in mezzo ai figli del suo diletto Oratorio.

 

 

CAPO XIX. Il Beato nell'Oratorio dal maggio al dicembre del 1880.

 

                FESTE conferenze, episodi notevoli, detti memorabili, sogni, lettere e altre cose che starebbero più o meno a disagio in capi di argomento definito, saranno raggruppati qui nella loro varietà, offrendo un insieme di utile e gradevole lettura.

 

NELLA FESTA DI MARIA AUSILIATRICE.

 

                Tre manifestazioni si facevano d'anno in anno sempre più imponenti durante la novena e nella festa di Maria Ausiliatrice: la folla che traeva al santuario, il moltiplicarsi di favori spirituali e temporali a chi invocava nelle sue necessità la Madonna di Don Bosco, e la ressa intorno al Beato per ricevere da lui la benedizione della Vergine. Della stragrande affluenza dei divoti scrisse il Bollettino di giugno: “Dal giorno che venne consacrata, la chiesa di Maria Ausiliatrice non vide mai sotto le maestose sue volte un numero così sterminato di fedeli”. Di grazie nella sacrestia ne furono registrate centinaia; lo stesso periodico ne narrò brevemente undici di seguito, “piccola parte”, dice, di quelle ricevute o riferite in quei giorni da vari luoghi d'Italia e di Francia. Una sì visibile bontà della divina Madre faceva naturalmente [500] volgere gli sguardi sul suo servo fedele, che era costretto a rimanere le lunghe ore nell'antesacrestia per soddisfare alla pietà degl'innumerevoli che bramavano essere da lui benedetti.

                Due conferenze tenne il beato nel corso della novena una ai Cooperatori e l'altra alle Cooperatrici torinesi, entrambe nella chiesa di San Francesco. La prima fu nel pomeriggio del 20 maggio. Don Bosco s'introdusse spiegando la differenza che passa fra operatore e cooperatore. Operatore è chi dirige un'opera o un'impresa; cooperatore chi vi lavora sotto la direzione del capo. Per quanta attività di mente e di cuore un capo qualunque dispieghi, a pochissimo riesce, se non è coadiuvato da altri. Chi, per esempio, dirige un oratorio festivo frequentato da alcune centinaia di ragazzi, ne è il capo e l'operatore; ma che potrebbe fare da solo, sebbene intelligente e pieno di zelo? Si rovinerebbe la salute senza ottenere ordine in chiesa e fuori. Non così se aiutato da altri che a seconda delle loro attitudini insegnino il catechismo, regolino le sacre funzioni, diano lezioni di cantò, facciano da sorveglianti nella ricreazione, mettano in scena commediole, governino i giuochi ginnastici e via dicendo; in questo modo l'opera che fin dal suo nascere sarebbe andata di male in peggio, prospera, sì rafforza e produce abbondanti frutti. Avviene come in una macchina: quando tutte le ruote secondarie seguono il movimento della ruota maestra, questa tira innanzi e fa molto lavoro. Da se solo neanche Don Bosco avrebbe fatto nulla; ma con i suoi cooperatori le opere si erano moltiplicate e progredivano. Non senza perchè Pio IX aveva benedetta e Leone XIII ribenedetta la pia Unione dei Cooperatori Salesiani. Ciò premesso, riepilogò le opere intraprese dai Salesiani da un anno a quella parte; istituti di educazione aperti a bene della gioventù, erezioni di chiese per opporre un argine alla propaganda dei protestanti, missioni fra gli Indi della Patagonia, oltre agl'incrementi delle opere già avviate. La conferenza alle Cooperatrici fu tenuta [501] la sera del 22. In essa Don Bosco, rallegratosi del loro numero e accennato di volo quanto nell'ultimo anno Dio avesse benedette le fatiche dei Salesiani e delle Suore, si diffuse a parlare del belle che facevano le Figlie di Maria Ausiliatrice a pro delle giovanette, prospettando come in un quadro la storia della loro Congregazione dalle origini fino alle fondazioni più recenti in Italia, in Francia, nell'America civile e nella selvaggia Patagonia.

                Per la festa egli si era già assicurati i priori. Ce lo dimostra questo suo biglietto del 19. in cui con una figura retorica di facile interpretazione diceva: “Il Sac, Giovanili Bosco prega il Sig. Conte di Pamparato e la degnissima di Lui consorte a voler prendere la Santa Vergine sotto la loro protezione ed accettare la qualità di priori pel giorno 24 del corrente mese dedicato alla grande Salennità di Maria SS. Ausiliatrice”. I nobili Signori, senza intervenire personalmente il che non era punto indispensabile, fecero atto di adesione coli i loro presenti, come rileviamo da questa lettera del Beato.

 

                Stimabilissima Signora Contessa,

 

                Desiderava di compiere il mio dovere personalmente ma scorgendo la mia difficoltà di uscir di casa, giudico opportuno di cominciare almeno in parte per iscritto.

                Ho pertanto ricevuto due cesti di bottiglie, grazioso dono di V. S. e del Sig. Conte ottimo di Lei marito; più la limosina di fr. 200 caritatevole offerta di ambedue. Io fo loro i più sentiti ringraziamenti e prego Dio che all'uno e all'altro dia lunghi anni di vita felice, li conservi in buona salute, e li consoli in ogni santo ed onesto desiderio. I nostri ragazzi faranno pure speciali preghiere con questo medesimo fine.

                Augurandomi di essere onorato da una loro visita personale, coi sentimenti della più profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare di Lei, Sig. Contessa, e del Sig. Conte di Lei marito

                Torino, 30 Maggio 1880.

 

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Abbiamo già visto com'egli invitasse alla festa il canonico Guiol, che difatti venne, come si legge nei verbali del comitato  marsigliese. Molto gradiva Don Bosco quest'intervento [502] dei più insigni Cooperatori, ai quali era largo di ospitalità; molto anche teneva a rendere consci gli amici e benefattori assenti, che non li avrebbe o non li aveva dimenticati nella solenne circostanza. Così al conte Eugenio De Maistre, che quella Volta non sarebbesi recato a Torino, scrisse:

 

                Car.mo Sig. Conte Eugenio,

 

                Quest'anno non abbiamo il piacere di vederla tra noi, ma io non voglio dimenticarla. Ogni giorno la raccomandiamo nelle comuni nostre preghiere; ma Domenica, vigilia della festa di M. A., noi faremo uno speciale esercizio di pietà secondo la pia di Lei intenzione. Io celebrerò la S. Messa, i nostri giovani faranno la Santa Comunione con particolari preghiere secondo o meglio per invocare le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. So che la Sig. zia Duchessa si prepara per andarle a fare una visita.

                Molti la dissuadono, ma Ella è ferma decisa. Il giorno 26 di questo mese spero fare una gita a Borgo, e colà avrò notizie di tutta la sua famiglia, che giova credere in buona salute.

                Ricevo notizie di Mamà in questo momento da una lettera della Contessa Charles de Maistre. Mi dice che sta alquanto meglio in paragone dei giorni passati; ma è sempre sofferente assai. In casa nostra preghiamo mattino e sera per Lei.

                Le celesti benedizioni discendano copiose sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia, ed Ella, o caro Sig. Eugenio, preghi anche per me che le sarò sempre in G. C.

Torino, 18-5-80.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Durante la novena ogni sera la benedizione col Santissimo veniva data da canonici e curati della città, e alla vigilia fu riserbato quell'onore a monsignor Luigi Anglesio, successore del Beato Cottolengo. Per le solenni funzioni del gran giorno, a breve distanza già dal 24, si stava ancora in timore che nessun Vescovo vi potesse pontificare; la Provvidenza invece dispose che non uno, ma ben tre sacri. Pastori concorressero a rendere più splendida la cara solennità. Don Bosco aveva da tempo carezzato l'idea di chiamar a predicare nel triduo e nel dì solenne l'eloquente domenicano Lorenzo Pampirio; ma poi questi, eletto vescovo di Alba, proprio allora era in [503] procinto di fare l'ingresso nella sua diocesi e quindi tutto occupato in tale pensiero; tuttavia, affezionatissimo a Don Bosco, volle trovar modo di contentarlo. A celebrare la messa della comunione generale fu invitato monsignor Giacomo Corna-Pellegrini, vescovo titolare di Samaria e ausiliare di Brescia, venuto a Torino per sua divozione. Finalmente per i pontificali si ebbe l'inattesa presenza di monsignor Daniele Comboni, vescovo titolare di Claudiopoli e Vicario apostolico dell'Africa centrale. La maestà della persona, la lunga barba che gli scendeva dal mento, la voce sonora che riempiva la chiesa e si faceva udire fin dalla piazza, la pietà profonda che trasparivagli dagli atti e dall'accento, richiamavano su di lui l'attenzione della folla, risvegliando l'idea di un grande Apostolo.

                Egli fu invero uno dei più grandi Missionari. Uscito dall'Istituto veronese delle Missioni, compì dal 1859 in poi viaggi apostolici assai azzardosi attraverso la Nubia. Creato provicario dell'Africa centrale nel 1872 e Vicario apostolico nel 1877, edificò chiese, fondò scuole per i negri nel Cairo e a Khartum, eresse stazioni missionarie nel suo Vicariato, proponendosi di convertire i negri per mezzo dei negri, di cui combattè energicamente la barbara tratta. Rientrava ogni tanto in Italia per raccogliere i mezzi necessari alla rigenerazione dell'Africa, recandosi sempre anche a Parigi, e quando passava per Torino, visitava Don Bosco; anzi nel 1864 aveva preso alloggio nell'Oratorio, entusiasmando i giovani con i suoi racconti sulla Nigrizia. Morì a Khartum il 10 ottobre 1881, salutato per antonomasia il Vescovo dei negri.

                La sera del 24 maggio, fermatosi a cena con Don Bosco, volle parlare ai giovani dopo le orazioni. Disse festa di paradiso quella a cui aveva assistito; proclamò il santuario di Maria Ausiliatrice uno dei più celebri d'Italia; espresse il voto ardente che Don Bosco gli mandasse in aiuto i suoi Salesiani. Non sappiamo bene se prima o dopo la festa, visitò pure il collegio di Valsalice, dove diede la prima comunione [504] ad alcuni allievi. Nel partire, mentre si accomiatava da Don Bosco, vedendosi attorniato dai convittori e scorgendo in essi la brama di udirlo, lasciò libero il corso alla parola e li trattenne per quasi un'ora, che parve un istante.

                Della solennità una nota di Don Lazzero ha queste due frasi: “La festa fu bellissima; concorso straordinario”. Il valoroso giornale cattolico di Torino, sebbene non gli fosse concesso di sbilanciarsi nei riguardi del nostro Beato, pure volle scrivere[346]: “Fu uno spettacolo veramente degno della pietà dei Torinesi. Tra quel popolo immenso, che dalla mattina alla sera si affollava e si pigiava nel vasto tempio, non un bisbiglio, non un'irriverenza, e invece un raccoglimento e un fervore che strappava le lacrime. Le comunioni, già numerosissime durante la novena di preparazione, si moltiplicarono quel giorno a più migliaia”. Notevole per i tempi d'allora è ciò che soggiunge della musica: “Sopra tutto ci piace ricordare la messa di Benedetto Marcello, nella quale non sappiamo se più fossero da ammirare le sublimi armonie, degne della maestà dei sacri misteri, o l'arte, colla quale i giovani musici interpretavano ed esprimevano i concetti del grande maestro”. Infine concludeva: “Lodato sia Dio che in tempi così calamitosi ci fa assistere a siffatti spettacoli di pietà e di religione. Finchè Maria SS. Ausiliatrice stenderà benigna la sua protezione sopra di noi, e finchè il nostro popolo si mostrerà a lei divoto ed Affezionarti, non temiamo che sia per prevalere nei nostri paesi il regno di Satana”. Così ci spieghiamo meglio l'esclamazione sfuggita a monsignor Comboni durante il pontificale e raccolta dai ministri che lo assistevano. Girando dal suo trono lo sguardo su quella moltitudine tanto divota: Digitus Dei est hic, esclamò profondamente commosso, qui c'è il dito di Dio.

                Qui e altrove abbiamo citato osservazioni di Don Lazzero. Si leggono in alcuni quaderni, che propriamente contengono [505] solo pochissime note, espresse in pochissime parole; ma esse ci dànno occasione a un rilievo. Nove decimi almeno di tali appunti si riferiscono alla chiesa dì Maria Ausiliatrice. Ora, se si pensa che Don Lazzero aveva la direzione dell'Oratorio intero, questo significa che sotto Don Bosco nell'Oratorio alla cura della chiesa di Maria Ausiliatrice convergevano le sollecitudini di tutta la casa.

                Noteremo ancora un particolare. La famiglia di Don Bosco nel giorno della festa erasi pressochè duplicata; poichè oltre ai molti ospiti s'aggiungevano anche gli alunni dei collegi vicini e bisogna pure tener conto delle allieve e dì tante signore convenute nella casa delle Suore, alle quali medesimamente Don Bosco provvedeva. Come si potè allestire il pranzo per tanta gente? Vi pensò Maria Ausiliatrice, movendo i suoi caritatevoli divoti; questi infatti fin dai giorni precedenti, come se fosse corsa una parola d'ordine, avevano inviato vino, carne, cacio, frutta, dolci in sì gran copia, che ne bastò per tutti. Non esagerò punto chi anche in questo fatto credette di ravvisare d'adempiersi delle parole di Gesù: Cercate il regno di Dio e la sua gloria, e allora tutte le altre cose vi saranno date per giunta[347].

                Stimiamo consentaneo all'indole di queste Memorie biografiche il non staccarci dal caro argomento senza spigolare alcune notiziette sparse in una prolissa relazione, che è stata conservata nei nostri archivi[348] e tratta appunto della festa celebrata nel 1880. Un fervente cooperatore Salesiano, il veneto Don Antonio Agnolutto, desideroso di assistere da vicino alla grande solennità, giunse nell'Oratorio la sera del 18, accolto ivi con la massima cordialità (la Doli Rua e dagli altri. Potè salutare Don Bosco la mattina dopo; ma soltanto alla sera del 20 verso le sette fu da lui mandato a chiamare per conferire un po' insieme, secondo il comune desiderio. [506] Il colloquio durò fino alle otto. Il buon sacerdote che aveva pure da consegnargli alcune offerte, descrive così la propria impressione: “La sua bontà mi diede confidenza anche troppa, e la lingua mi scorreva con tutta libertà, quale può dare il più confidente amico, e devo dirlo che furono più le cose che dissi io, di quelle che disse il santo uomo. Osservai e notai che mentre io non aveva certi riguardi ed attenzioni a interromperlo nei suoi discorsi, egli non interrompeva me, ed era pronto a interrompere il suo discorso, quando sentiva la prima mia parola. Ebbe la pazienza di sentire una ad una le varie raccomandazioni di vari offerenti, e poi quella di aspettarmi che facessi la somma totale delle offerte, chè fui negligente di non averla fatta prima ed osservai che, credo per non mettermi in riguardo, consegnatami una matita, si era ritirato in parte alla conveniente distanza mostrando di attendere ad altro”. Gli rimise pure una lettera collettiva di quattro chierici del suo seminario di Portogruaro. La conversazione si protrasse fino al segnale della cena; terminata la quale, il Beato amorevolmente gli disse: - Se non credessi di far torto al suo Vescovo, le chiuderei le porte perchè non partisse dall'Oratorio.

                Non mi ricuserei, rispose Don Agnolutto; ma vedo che starei qui come un ingombro.

                - Vuole, ripigliò Don Bosco, una parrocchia di dieci mila anime, che avrei in America?

                - La accetterei se Dio lo volesse; ma lei avrebbe molto da rifare in me e molto da aggiungere.

                - Ne vuole una di quindicimila anime?

                - Le stesse ragioni ancor più me lo impedirebbero.

                In questi termini si separarono, augurandosi a vicenda la buona notte. Ma le parole del Beato rimasero fitte nell'animo del sacerdote, risvegliandogli il pensiero che gli venisse in quelle significata la volontà di Dio; onde non volle andar via senz'avere un nuovo abboccamento, in cui domandare spiegazioni. Perciò la mattina del 25, giorno della [507] partenza, si mise come in agguato nella camera assegnatagli, dinanzi alla quale Don Bosco doveva passare per discendere. Lo sentì, uscì e là sul pianerottolo della scala gli chiese in ginocchio la benedizione, accompagnandolo poi fino alla sacrestia, dove, fattosi coraggio, gli chiese consiglio. Il Beato, pensatovi un po' gli disse di tornare in diocesi e gli raccomandò di essere sempre buon Cooperatore Salesiano; gli promise inoltre di scrivergli, appena potesse. Mantenne di fatti la promessa il 17 giugno, includendo anche un foglio per i quattro chierici accennati sopra.

 

                Mio caro D. Agnolutto,

 

                É un po' tardi, ma debbo scrivere per compiere la mia promessa. Ella pertanto favorisca di far pervenire l'unita lettera al suo indirizzo con sua comodità; per la posta riceverà poi alcune immagini di Maria A. per ciascuno di quegli ottimi chierici, cui aggiungerà che io li amo molto in G. C. Mio caro D. Agnolutto, io la ringrazio di tutto il bene che ci fa come cooperatore. Dio la rimeriti, la benedica e la conservi. Ogni qual volta venisse qualche cooperatore qui tra noi ce lo mandi come a casa sua. Io prego ogni giorno per loro, ed essi preghino anche per me affinchè possiamo aiutarci a guadagnare molte anime a Dio sulla terra per riunirci poi un giorno tutti insieme nel regno della gloria. Così sia. - Dio benedica Lei e tutti i nostri amati cooperatori e preghi per me che le sono in N. S. G. C.

                Torino, 17-6-80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. La S. V. ed i Chierici mentovati compatiscano il mio brutto scrivere.

 

                Nella vigilia di Maria Ausiliatrice Don Bosco aveva ricevuta una visita ben importante. Di ritorno da Roma, dove aveva condotto un gruppo di pellegrini suoi connazionali, L'ungherese Antonio Lonkay, valoroso direttore del giornale cattolico Idok Tannuja di Budapest, passò per Torino e volle vedere Don Bosco, elle già conosceva per fama. Verso sera dunque andò all'Oratorio, dove il Beato lo ricevette con la sua solita bontà, facendo uso della lingua latina, che quegli parlava speditamente; infine gli presentò [508] un'offerta e si fece inscrivere fra i Cooperatori salesiani, lasciando molto edificati della stia pietà quanti ebbero occasione di vederlo.

 

NELLA FESTA DI DON BOSCO.

 

                L'annuale dimostrazione di affetto e di stima che si soleva tributare a Don Bosco il 24 giugno, diventava sempre più solenne per intervento di uomini altolocati e di ex-allievi, per varietà di doni, per manifestazioni letterarie e musicali, per generale entusiasmo. La sera del 23 il Beato, ringraziando commosso per tante belle testimonianze resegli nella prima accademia, finì con paragonare se stesso alla cicala, dicendo: - lo non sono altro che una cicala che grida e poi muore. - La sera seguente nella seconda accademia il paragone della cicala diede lo spunto a un geniale discorso letto (la un sacerdote e a lui grazioso dialogo di tre giovani, che a nome dei loro compagni dicevano: - Don Bosco non è che, una cicala che grida di aiutarlo a salvarci l'anima, e noi siamo i suoi cicalini che vogliamo corrispondere ai suoi inviti. - In una fantasia di colori brillavano su trasparenti i nomi di trentotto località, dove sorgevano le principali case salesiane.

                Dentro una gran busta abbiamo trovato ventinove lettere d'augurio, scritte quest'anno da giovani dell'Oratorio a Don Bosco nel suo giorno onomastico. Gli scriventi si fecero la maggior parte salesiani e alcuni di essi vivono tuttora. Spiccheremo da ogni lettera l'espressione più personale, senz'altro ordine che quello in cui l'epistolario ci è venuto dinanzi: avremo così un nuovo elemento per conoscere sempre meglio la vita intima dell'Oratorio al tempo di Don Bosco.

                Zaio Giuseppe si raccomanda alle preghiere di Don Bosco in riguardo alla stia vocazione. Olivazzo Maggiorino desidera di essere chiamato da Don Bosco sito figlio. Rossi Giuseppe della terza ginnasiale vorrebbe prender parte agli esercizi [509] spirituali di Lanzo, ma tenie elle i suoi parenti non glielo permettano; domanda perciò consiglio a Don Bosco sul da fare. Due fratelli Fracchia vengono al loro padre per dirgli elle lo amano di vero amore Lombardi Ramiro ha brama di essere missionario Baudo Emanuele desidera di corrispondere sempre più ai benefizi che riceve da Don Bosco. Carmagnola Albino si raccomanda alle preghiere di Don Bosco, affinchè il Signore lo renda umile e puro e lo faccia esentare dalla milizia Aceto Giovanni, che fa il muratore, vuole essere missionario a qualunque costo. Infatti fu prete e missionario zelantissimo. Coatto Alberto sente che la gratitudine per i benefizi fattigli da Don Bosco non si spegnerà mai nel suo cuore. Guazzotti Francesco è intenerito al pensiero dei benefizi che da Don Bosco riceve. Fauda Giovanni Battista, alunno della quarta ginnasiale a Lanzo, viene a dire che ha fermissima volontà di farsi missionario Salesiano. Carlando Orazio ha termini di umile gratitudine che commuovono. Pirola Celestino si presenta a Don Bosco come tiri poveretto che, bramoso di ricambiarlo de' suoi benefizi, non è capace di far altro che pregare. Renzoni Attilio lo prega di ottenergli la grazia che possa progredire sempre nella virtù. Agosta Giacomo fa auguri filiali al suo amatissimo padre. Bongiovanni Lino domanda l'amicizia di Don Bosco e che gli fissi un tempo per fare la confessione generale. Magistrini Domenico raccomanda alle preghiere di Don Bosco due anime che da lungo tempo non praticano più i doveri di religione. Trezzi Luigi si raccomanda alle preghiere di Don Bosco, affinchè Maria Ausiliatrice lo aiuti nella sua vocazione. Garrone Evasio, tornato dal servizio militare desidererebbe che Don Bosco lo facesse presto chierico. Dell'Antonio Tommaso lamenta di non aver avuta tutta la confidenza con Don Bosco e questa dice essere stata la cagione di tante sue pene interne. Ansaldi Francesco chiede di andare agli esercizi di Lanzo. Crosazzo Luigi, libraio, si raccomanda a Don Bosco, perchè gli ottenga da Dio una [510] grazia spirituale. Rosatto Edoardo gli ricorda un favore chiestogli poco tempo prima. Graziano Paolino prega Don Bosco che continui a beneficarlo. Melandri Edoardo desidera di essere un giorno tra i figli di Don Bosco. Rappa Camillo, tipografo compositore, promette di mutar vita. Mazzoni Vittorio domanda che Don Bosco preghi, affinchè il Signore lo confermi sempre più nella sua vocazione. Rossi Angelo della terza ginnasiale promette cambiamente di vita e domanda l'aiuto di Don Bosco per riuscirvi. Cazzaniga Giuseppe, libraio, vuole stare sempre con Don Bosco[349].

Alla rappresentanza degli ex-allievi Don Bosco fece sapere che quest'anno avrebbe dato loro due ricevimenti distinti, uno nella domenica 25 luglio per gl'impiegati civili e l'altro nel giovedì appresso per gli ecclesiastici. Alla prima festicciuola si trovò presente anche un Cappuccino italiano che risedeva a Smirne. Il buon religioso che non aveva mai visto dimostrazioni di tal fatta, volle esprimere a mensa quanto sentiva in cuore. “Se dai frutti si conosce l'albero, disse tra l'altro, io dal vostro contegno, dalla vostra gratitudine, dalle vostre protestazioni di affetto e dalle promesse di fedeltà rilevo che l'Istituto, dal quale siete usciti, è un albero buono, un albero che dovrebbe distendere le sue radici per tutta la terra”. Don Bosco, presa per ultimo la parola, disse anzitutto della sua gioia nel rivedere tanti suoi antichi figli; ricordò i primordi dell'Oratorio: casa meschina, cappella angusta, cortile ristretto; eppure da sì umili principii era sorto tutto ciò che in quel momento essi vedevano ed anche tutto ciò che non vedevano, fuori di Torino, fuori d'Italia e fuori d'Europa. Quindi proseguì[350]: [511]

                Io godo assai nel sapere che voi vi regolate sempre bene, vivete da buoni cristiani, da cittadini onorati. Taluno di voi nel suo componimento ha notato che vi ebbe qualche ingrato, che se la prese contro il luogo di sua educazione e ci diede dei dispiaceri; ma due cose vanno osservate a questo riguardo. La prima si è che gli ingrati non sono dei primi giovani dell'Oratorio; la seconda che non vi terminarono la propria educazione, perchè cacciati via per mala condotta. Del resto noi non dobbiamo maravigliarci di trovare degli ingrati: anche tra i dodici Apostoli ve ne fu uno, quantunque avesse ricevuto per tre anni l'educazione dal Maestro dei maestri, dallo stesso Figliuolo di Dio fatto uomo. Noi li compiangiamo, perchè sono infelici; la nostra vendetta sarà di pregare per loro, perchè rinsaviscano prima della morte. Siamo Salesiani, e come tali dimentichiamo tutto, perdoniamo a tutti, faremo a tutti del bene quanto possiamo e del male a nessuno. Sebbene per altro dobbiamo trattare caritatevolmente con tutti, non dobbiamo tuttavia fare confidenze nè legare amicizia con coloro, che non sono del nostro spirito. Così useremo a un tempo la semplicità della colomba e la prudenza del serpente, guardandoci dai traditori e dai tradimenti[351]

                Ma una cosa più d'ogni altra vi raccomando, o miei cari figliuoli, ed è questa: dovunque vi troviate, mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi. Amate, rispettate, praticate la nostra santa religione; quella religione con la quale io vi ho educati e preservati dai pericoli e dai guasti del mondo; quella religione, che ci consola nelle pene della vita, ci conforta nelle angustie della morte, ci schiude le porte di una felicità senza confini.

                Molti di voi hanno già famiglia. Ebbene quella educazione che voi avete ricevuta nell'Oratorio da Don Bosco, partecipatela ai vostri cari.  Così mentre tanti dei vostri compagni, che si portarono persino nell'America in cerca di anime da salvare, e si adoperano a diffondere la luce della verità e della vera sapienza dove regnano le tenebre dell'errore e del vizio, voi farete altrettanto secondo il vostro potere e così fra tutti propagheremo nel mondo la maggior gloria di Dio, coopereremo alla salute delle anime, a scemare nella società il male. Allora voi vi dimostrerete buoni Salesiani, veri figli di Don Bosco, che desidera solo di popolare il cielo e disertare l'inferno. Il nostro lieto banchetto è terminato; ma ad un altro v'invito che non avrà mai fine: a nome di Dio e di Maria Ausiliatrice v'invito al banchetto del Cielo, e prego e supplico che nessuno vi manchi.

 

                All'adunata degli ex-allievi sacerdoti chi meglio d'ogni altro seppe rendersi interprete del comune sentimento fu [512] Don Felice Reviglio, parroco di Sant'Agostino. In capo al salone da pranzo spiccava questa iscrizione: FIGLI RICONOSCENTI E PII - DA VARIE CITTÁ E PAESI - RACCOLTI A LIETA MENSA - COI, MIGLIORE DEI PADRI. Togliendo di qui l'argomento: “Sì, disse Don Reviglio, riconoscenti noi siamo e ci è dolce il proclamarlo. Come potremmo noi dimenticare le cure amorose prodigateci da Don Bosco negli anni della nostra inesperienza e volubilità giovanile? E ricordando quei tratti di bontà ineffabile, quelle parole affettuose con cui ci animava al bene, quella pazienza inalterabile con cui tollerava i nostri difetti, quella sollecitudine perseverante con cui si adoprava a renderci migliori, chi non si sentirà compreso da riconoscenza verso di lui? No, tra di noi non vi sono ingrati nè vi saranno [ ... ]. E dimostreremo la riconoscenza col regolarci dappertutto da sacerdoti zelanti ed esemplari, come Don Bosco ci desidera; la dimostreremo col far conoscere le sue opere, col sostenerle, col diffonderle nel popolo; la dimostreremo col prendere le sue difese, quando per ignoranza o per malafede se ne denigrassero le intenzioni e se ne travisassero i fatti, fosse anche da parte di persone altolocate...”. Quei preti capirono l'allusione finale. Applauso più cordiale non poteva coronare il discorso. In tono pacato, com'era suo costume, Don Bosco prese a dire così e tutti lo stettero ad ascoltare con religioso silenzio.

 

                Voi non potete immaginarvi, o miei  cari figliuoli, la contentezza che io provo nel rivedervi intorno a me; nè io stesso saprei esprimervela tutta. (Qui a Don Bosco mancò la parola: tutti n'erano commossi)…Sapevo già di volervi bene; ma oggi il mio cuore me ne dà una prova incontrastabile. Io sono e sarò sempre vostro padre affezionatissimo. Sarebbe mio vivo desiderio di vedervi e parlarvi più spesso. Ma la maggior parte di voi si porta di rado a Torino, e il più delle volte io mi trovo assente, e non possiamo incontrarci. Spero che d'ora innanzi potremo vederci e parlarci almeno una volta all'anno, perchè intendo che si continui questa festa, finchè Dio ci lascerà in vita.

                Io avrei ora molte cose a dirvi. La principale si è che vi adoperiate a fare tutto il bene possibile alla gioventù delle vostre parrocchie, delle vostre città, dei vostri paesi, delle vostre famiglie. Don Bosco [513] e i suoi Salesiani non possono trovarsi dappertutto, nè fondare scuole e oratorii per i fanciulli di tutti i luoghi, dove se ne avrebbe bisogno. Voi, miei amatissimi, che avete in questa Casa medesima ricevuta la prima vostra educazione, vi siete imbevuti dello spirito di San Francesco di Sales e avete imparate le regole e le industrie da usarsi per il miglioramento della tenera età, voi dovete supplire secondo le vostre forze, voi dovete venire in aiuto di Don Bosco, a fine di conseguire più facilmente e più largamente il nobile scopo propostoci, il vantaggio cioè della religione, il benessere della civile società, mediante la coltura della povera gioventù. Non dovete certamente trascurare gli adulti; ma voi non ignorate come questi, fatte poche eccezioni, non corrispondono guari alle nostre cure. Perciò attacchiamoci ai piccoli, allontaniamoli dai pericoli, tiriamoli al catechismo, invitiamoli ai sacramenti, conserviamoli o riconduciamoli alla virtù. Così facendo, vedrete fruttificare il vostro ministero, coopererete a formare buoni cristiani, buone famiglie, buone popolazioni: e costruirete per il presente e per l'avvenire un argine alla irreligione e al vizio irrompente.

                Ma per riuscir bene coi giovanetti, fatevi un grande studio di usare con essi belle maniere; fatevi amare e non temere, mostrate loro e persuadeteli, che desiderate la salute della loro anima; correggete con pazienza e con carità i loro difetti; soprattutto astenetevi dal percuoterli; insomma adoperatevi a far sì elle, quando vi veggono, vi corrano attorno e non vi fuggano, come fanno purtroppo in molti paesi, e il più delle volte ne hanno ragione, perchè temono le busse. Forse per alcuni vi sembreranno gettate al vento le vostre fatiche e sprecati i vostri sudori. Per il momento forse sarà così; ma non sarà sempre, neppure per quelli che vi paiono più indocili. Le buone massime, di cui opportune e importune li avrete imbevuti; i tratti di amorevolezza, che avrete loro usati, rimarranno loro impressi nella mente e nel cuore. Verrà tempo che il buon seme germoglierà, metterà i suoi fiori e produrrà i suoi frutti.

                In conferma vi racconterò un fatto accadutomi poche settimane addietro. Sul principio del corrente mese fu visto a raggirarsi intorno alla chiesa di Maria Ausiliatrice e alla cinta dell'Oratorio un militare; era un capitano. Egli cercava coll'occhio mi luogo, che aveva cambiato di aspetto. Dopo inutili ricerche, domandò a uno dei nostri che entrava in casa:

                - Per piacere, saprebbe dirmi dove sia l'Oratorio di Don Bosco?

                - Eccolo, signore.

                - Possibile! Ma qui una volta c'era un campo, là una casipola che minacciava di cadere; per chiesa vi era una misera cappella, che dal di fuori non si vedeva.

                - Ho udito più volte che le cose erano appunto come lei dice; ma io non ebbi la sorte di vederle. Quello che le posso assicurare, si è che questo è l'Oratorio così detto di San Francesco di Sales o, come lei [514] lo chiama, l'Oratorio di Don Bosco. Se Vostra Signoria gradisce dì entrarvi, faccia pure liberamente.

                Il capitano entra, esamina la casa da una parte e dall'altra e poi pieno di meraviglia domanda: - E Don Bosco dove abita?

                - Don Bosco abita lassù..

                - Gli si potrebbe parlare?

                - Crederei di sì.

                E mi fu presentato. Appena mi vide, esclamò: - O Don Bosco, mi conosce ancora?

                - Non mi rammento di averla veduta mai.

                - Eppure mi vide, mi parlò, mi trattò più volte. Non si ricorda più di un certo V…..che negli anni 1847, '48 e '49 le diede tante noie e fastidi, le fece ripetere tante volte silenzio! in chiesa; che al catechismo lei teneva sempre vicino a sè, perchè non disturbasse i compagni, e che a stento si andava a confessare?

                - Altro che mi ricordo! M ricordo pure che spesso, udendo il suono del campanello per andare in chiesa, egli entrava per una porta e ne usciva dall'altra, costringendo Don Bosco a corrergli dietro.

                - Ebbene io sono proprio quel tale.

                Narratemi poi le principali vicende di circa trent'anni, quanti appunto ne son passati dal 1850 in qua, egli disse: - Ma io non ho mai dimenticato nè Don Bosco nè il suo Oratorio; e giunto poc'anzi a Torino, mi sono fatto premura di venirlo a rivedere. Ora sarei a pregarla che mi volesse confessare. -Volentieri mi sono prestato. E prima di licenziarlo gli domandai: - Qual è stata la ragione che hai domandato di confessarti? - Sapete che cosa mi rispose? Uditelo: - La vista di Don Bosco mi fece venire in mente le industrie che egli usava per tirarmi al bene, mi ricordò le parole che mi diceva all'orecchio, il suo desiderio, i suoi inviti che andassi a confessarmi, e queste rimembranze me ne hanno messo la voglia in cuore e mi ci hanno indotto. Miei cari figliuoli, se mi soldato fra tanti pericoli del suo mestiere, fra tante dicerie che avrà udite, conserva nondimeno la memoria delle verità religiose apprese nella sua giovinezza e venuta la propizia occasione domanda di confessarsi e si confessa, perchè mai ci perderemo noi di coraggio e ci avviliremo, quando nella coltura dei giovanetti non ci vedessimo subito corrisposti? Seminiamo, e poi imitiamo il contadino che aspetta con pazienza il tempo della raccolta. Ma vi ripeto, non dimenticate mai la dolcezza dei modi; guadagnatevi i. cuori dei giovani per mezzo dell'amore; ricordatevi sempre della massima di San Francesco di Sales: Si prendono più mosche con un piatto di miele che con un barile, di aceto.

 

                Il discorso di Don Bosco non terminò qui, ma ce ne manca il seguito. Non è da tacere il modo faceto con cui annunziò per la domenica della Santissima Trinità del 1891 [515] il cinquantesimo anniversario della sua prima messa. - É vero, disse, elle in undici anni vi sarà tempo di fare i dovuti inviti; tuttavia fin da quest'oggi io invito tutti i presenti a pranzo con me per quella circostanza e prego che nessuno manchi. Comincio anche a fissare il servizio religioso. Teologo Reviglio, curato di Sant'Agostino, diacono; Don Vaschetti, vicario foraneo di Volpiano, suddiacono; teologo Ballesio, arciprete e vicario foraneo di Moncalieri, prete assistente; teologo Savio Ascanio, rettore del Rifugio, cerimoniere. Il resto si fisserà a suo tempo. Qualora poi Colui che tiene in mano le chiavi della vita e della morte disponesse altrimenti di noi, facciamo in modo, o miei cari figli, di trovarci tutti immancabilmente in cielo a quelle feste elle non avranno mai fine.

 

DUE ATTENTATI.

 

                I trionfi di Don Bosco turbavano i sonni ai nemici di Dio e della Chiesa, sicchè si arrivò all'estremo eccesso di armare contro di lui mani omicide. I lettori sanno quante altre volte la vita del Beato corresse pericolo a causa di vili aggressioni; ma dopochè le sue opere riscotevano tanta ammirazione dal mondo civile, non sarebbe parso verosimile che si volesse ancora trascendere ad atti di così selvaggia barbarie. Eppure nell'anno di grazia 1880 a breve distanza di tempo ben due attentati, forse connessi fra loro, vennero orditi dai settari per tor di mezzo violentemente il nostro buon Padre.

                Il primo colpo gli doveva essere vibrato in una delle ultime settimane di giugno da un ex-allievo dell'Oratorio, che si chiamava Dasso Alessandro e che viveva della sua arte in Torino. Si presentò egli alla porteria chiedendo di parlare al Beato. Essendo pratico della casa, ne trovò da sè la stanza, nella quale fu introdotto. Aveva gli occhi stravolti e sembrava un uomo astratto e preoccupato di tutt'altro che di chi gli stava davanti. Don Bosco lo accolse [516] con la solita amorevolezza; ma poichè il giovanotto taceva e un'agitazione crescente pareva metterlo in orgasmo, il Servo di Dio gli domandò: - Che cosa vuoi da me? Parla! Lo sai che Don Bosco ti vuol bene. - Quegli allora si gettò in ginocchio, ruppe in lacrime, e singhiozzando gli narrò una brutta storia. Si era ascritto alla massoneria; la setta aveva condannato Don Bosco alla morte; dodici nomi erano stati estratti a sorte; dodici individui dovevano succedersi con quell'ordine a eseguire la sentenza. - A me è toccato di essere il primo, proprio a me! E sono venuto per questo!... lo non farò mai un'azione simile. Mi tirerò addosso la vendetta degli altri; svelare il segreto è la mia morte, io sono perduto, lo so: ma io uccidere Don Bosco, mai! - Ciò detto, trasse fuori l'arma nascosta e la scagliò a terra.

                Don Bosco lo rialzò, cercò di calmarlo, di rassicurarlo, ma tutto fu inutile: il poveretto uscì a precipizio dalla camera, come chi sia spinto da forza misteriosa verso l'abisso.

                Il Beato scrisse subito un biglietto al padre, uomo assai prudente, invitandolo d'urgenza all'Oratorio, dove gli confidò ogni cosa. Ma suo figlio, straziato dai rimorsi, il 23 giugno si buttò vestito nelle acque del Po. Le guardie daziarie, ghermitolo in tempo, lo consegnarono a due poliziotti, che lo menarono a casa sua. Di lì a due giorni il padre scrisse a Don Bosco per raccontargli  l'accaduto e invocare soccorso. “Reverendo padre dei figli traviati, gli diceva, a Lei, alla sua inesauribile carità, raccomando mio figlio”. Don Bosco rivide più volte questo padre disgraziato, col quale concerto la maniera di ridurne il figlio sul buon sentiero, sottraendolo in pari tempo alla vendetta dei complici. Infatti, dopo averlo largamente soccorso, gli potè agevolare la fuga all'estero, procurandogli un asilo sicuro, in cui visse sconosciuto fino al termine dei suoi giorni.

                Il secondo attentato avvenne in forma più tragica, nel dicembre successivo. Un giovane signore sui venticinque anni fece visita a Don Bosco, elle gli accennò cortesemente [517] di sedere accanto a lui sul divano. Aveva una faccia che fili dalle prime ispirò ben poca confidenza; specialmente gli lampeggiava negli occhi un elle di sinistro, che consigliò subito a Don Bosco di mettersi in guardia e di sorvegliarne le mosse. Un mal represso nervosismo lo agitava. Così seduto parlava, saltando di palo in frasca, talora scaldandosi e gesticolando a guisa di un esaltato, ed ecco nell'agitazione scivolargli di tasca sul divano una piccola rivoltella a sei colpi. Don Bosco, senza che egli se n'avvedesse, destramente vi pose la mano sopra e adagio adagio se la intascò. Quegli nel suo inconcludente parlare era anche uscito in frasi provocanti, quasi avesse voglia di attaccar briga. A un certo punto gira fulmineamente gli occhi intorno, caccia la destra nella saccoccia, fruga e rifruga con segni di meraviglia e di dispetto, balza in piedi, osserva di qua e di là, e non sa darsi pace. Don Bosco pure si era alzato da sedere e, mentre l'altro continuava nelle sue frenetiche ricerche, con tutta tranquillità: - Che cosa cerca, signore? gli domandò.

                - Avevo una cosa, qui, in tasca... Chi sa come... Ma dove sarà andata?

                - Avrà creduto di averla con sè e invece…

                - No, no! - ribattè quegli smaniando e girando per la stanza e penetrando anche nella stanza vicina.

                Don Bosco, avvicinatosi rapidamente all'uscio e portata la sinistra al manubrio per essere pronto ad aprire, puntò l'arma contro di lui e senza scomporsi gli disse: - É questo l'arnese che lei cercava, non è vero? - A tal vista il ribaldo restò di sasso; poi voleva impadronirsi della sua rivoltella. Ma Don Bosco in tono energico: - Orsù! gl'intimò. Esca subito di qui, e Dio le usi misericordia! - In quella aprì l'uscio e ad alcuni che erano nell'anticamera disse di accompagnare il signore in porteria. L'assassino esitava; ma Don Bosco: - Esca, gli replicò, e non ritorni più! - Finalmente uscì. Due della casa, che capirono di che si trattava, lo accompagnarono fili sulla strada, dove lo attendeva un gruppo di [518] giovinastri, che parlavano sottovoce presso una carrozza. Compreso che il colpo era fallito, parte saltarono sulla vettura che in un baleno disparve, e parte batterono i tacchi; l'amico mogio mogio proseguì per via Cottolengo.

                Salvo dal secondo attentato, Don Bosco mandò a chiamare il teologo Margotti per consultarsi con lui e vedere se fosse il caso di denunziare il fatto; ma dopo matura discussione si decise di no. Al colloquio fu presente Don Cagliero.

 

CASA NELVA.

 

                Don Bosco guadagnava sempre più terreno per l'allargamento dei confini che dovevano chiudere l'area destinata all'Oratorio. La casa addossata oggi al teatro e recante nel centro il busto marmoreo di Doli Pavia, allora sorgeva isolata e apparteneva a un signor Giovanni Battista Nelva insieme con una lunga striscia di terreno, che misurava 2015 metri quadrati, protendendosi fino alla Via Cottolengo[352]. Il Beato, saputo che casa e terreno erano in vendita, stabilì di farne acquisto. Insorsero difficoltà da ambe le parti a impedire il desiderato accordo. Don Bosco diede carta bianca a Don Rua, che conchiuse il contratto il 17 agosto 1880, pochi giorni prima di recarsi a Marsiglia per presiedervi agli esercizi spirituali. Il contratto fu stipulato per lire 13.500 con atto di permuta. Don Bosco cedette al Nelva per lire 12.000 un terreno fabbricabile posto nell'angolo di Via Cottolengo e via Allione, l'odierna via Salerno. Per molti anni la casa fu sede e il terreno cortile dell'Oratorio festivo.

 

SECONDO CAPITOLO GENERALE.

 

                Al secondo Capitolo Generale, la cui convocazione cadeva appunto nel 1880, non possiamo dedicare gran numero di pagine, come abbiamo fatto per il primo, giacchè non ci [519] è stato dato finora di mettere la mano sui verbali che o non furono redatti formalmente o andarono smarriti. Di coloro che vi parteciparono uno solo sopravvive, don Angelo Maria Rocca, allora direttore della casa di Spezia. Dalle pallide reminiscenze che a mala pena egli serba del remoto avvenimento, parrebbe potersi dedurre che siansi fatte le cose piuttosto alla buona.

                I Capitolari si radunarono, come l'altra volta, a Lanzo nel mese di settembre; ma, diversamente dall'altra volta, Don Bosco non credette pulito necessario di premettervi una grande preparazione. A questo si aggiunga che buon numero dei nuovi direttori e delegati, essendo giovanissimi, non erano ancora capaci, scrive Don Rocca, di portare un contributo rilevante nelle discussioni, gli anziani poi, osserva il medesimo, avevano l'aria di persone stanche e bisognose di riposo. Neppure negli argomenti si vede che vi fossero novità atte a suscitate speciale interesse o richiedenti serietà di studio. La conclusione più essenziale fu che, al termine, ogni cosa si rimise di comune accordo nelle mani del Capitolo Superiore, affinchè questo continuasse il lavoro e formulasse definitivamente le deliberazioni.

                Di quel Capitolo ci rimangono tre documenti. Vi è anzitutto la lettera di convocazione, in cui si notifica pure che, scadendo dalla loro carica tutti i membri del Capitolo Superiore tranne il Rettor Maggiore, si sarebbe proceduto a nuove elezioni[353]. Viene poi una circolare latina di Don Bosco ai direttori e ad altri superiori delle case, datata da Torino nel primo giorno della novella di Maria Immacolata[354]. Richiedendosi ancora non breve tempo prima che si potessero concretare, ordinare e dare alle stampe le deliberazioni [520], Don Bosco giudicò bene di richiamare subito l'attenzione sopra otto punti, di cui raccomandava l'osservanza. I° Rileggere attentamente le deliberazioni del primo Capitolo Generale, massime nelle parti riferentisi alla moralità e all'economia. 2° Far fare i rendiconti mensili e il mensile esercizio della buona morte. 3° Non andare ai bagni, a meno che vi fosse la prescrizione del medico. 4° Obbedire col fatto ai Superiori, non allontanarsi per nulla dalla propria casa senza il debito permesso e senza ragionevole motivo, non tener danaro presso di sè nè spendere senza necessità o fuor dei limiti determinati dal superiore. 5° Eliminare assolutamente quella causa d'ogni male che sono le vacanze in famiglia o in casa di amici. 6° Esemplarità di vita e fuga di ogni cosa che avesse anche solo apparenza di scandalo. 7° Pazienza, carità e dolcezza negli atti e nelle parole. 8° Entro i mesi dì febbraio e di marzo scrivere tutti al Rettor Maggiore, dando notizia della propria salute e della vocazione. I direttori dovevano far tema di conferenze ai Confratelli queste raccomandazioni, che toccavano punti così essenziali alla pratica della vita salesiana.

                Ma il documento di maggior importanza è costituito dal volume delle Deliberazioni, pubblicato due anni dopo[355]. Dall'esame e dal confronto salta facilmente agli occhi che il secondo Capitolo Generale non fu se non una revisione e un completamento del primo. La revisione portò a modificare leggermente alcuni punti, secondochè dettava l'esperienza; il completamento introdusse poche aggiunte rimaste prima in sospeso. Le quattro righe provvisorie del 1877, che formavano il capitoletto dello Studio tra li Salesiani, hanno ceduto il posto a due bei, capi sotto il titolo di Studi Ecclesiastici e Studi filosofici e letterari. Inoltre agli anteriori Regolamenti ritoccati o ampliati per l'Ispettore, per i Direttori, per i Capitoli Generali e per la Direzione delle Suore, ne furono [521] aggiunti due, la cui materia era già stata oggetto di studio fino dal 1877, cioè il Regolamento per l'elezione dei membri del Capitolo Superiore e quello per gli uffizi di ciascun membro. Ecco dunque come tutto ci spieghi il perchè di fronte ai Capitolari stessi e ai Soci il secondo Capitolo Generale non rivestisse più l'imponenza del primo.

                Nel presentare ai Confratelli la nuova raccolta delle Deliberazioni Don Bosco scriveva: “Lo sviluppo della nostra pia Società in Europa ed in America è un sicuro indizio che Iddio la benedice in una maniera speciale. Sia perciò impegno d'ogni Salesiano di rendersi ognor più degno della grazia del Signore collo spirito di preghiera, d'ubbidienza e di sacrifizio. Ciò noi potremo ottenere per mezzo dell'esatto adempimento delle nostre Costituzioni e di queste deliberazioni”. Sopra aveva pur detto che dall'osservanza delle Regole e delle deliberazioni capitolari dipendevano in massima parte lo sviluppo della nostra pia Società e il profitto spirituale de' suoi membri.

 

 

CAPO XX. Due denunzie, una perquisizione un malinteso e un sogno rivelatore.

 

                DOBBIAMO  ripigliare ora la dolorosa storia di nuove molestie sofferte dal Beato nell’esercizio del più puro zelo per la gloria di Dio e della Chiesa e per il vantaggio spirituale delle anime. Cominceremo col narrare l'ultima fase della vertenza originata dalla pubblicazione di grazie      che i fedeli attribuivano all'intercessione di Maria Ausiliatrice[356]. Monsignor Gastaldi poco dopo la bella festa del 1880, accusò al Papa Don Bosco e i Salesiani di stampare miracoli della Beata Vergine senza il suo permesso. Sarà meglio leggere per intero il documento[357].

 

                Beatissimo Padre,

 

                La novella Congregazione dei Salesiani fin dal 1868 aprì in Torino una Chiesa sotto il titolo di Maria Ausiliatrice; e pochi anni dopo la stessa Congregazione diede alle stampe un libro ripieno di grazie prodigiose e miracoli che si dicono operati in questa chiesa o ad intercessione di Maria Ausiliatrice quivi venerata. Il libro fu portato alla mia Curia, che lo affidò a un ecclesiastico acciò lo rivedesse; e questo ecclesiastico [523] vi pose il suo visto; ottenuto il quale, si pubblicò il libro, senza che vi fosse sottoscritto nè il mio Vicario Generale nè alcuno degli Ufficiali della mia Curia. Pubblicatolo, si divulgò ancora colle stampe che l'Arcivescovo aveva approvato questo libro; per lo che io fui costretto a dichiarare in un giornale che il semplice Visto di uno dei Revisori arcivescovili non bastava per nulla a conchiudere che il libro fosse approvato dall'Arcivescovo.

                Ben tosto per cura dei Salesiani si fece una nuova edizione di questo libro, con l'aggiunta di nuovi miracoli, e lo si fece rivedere dalla Curia arcivescovile di Genova, che vi appose il suo Visto e la nuova edizione venne fuori come uscisse dalla Tipografia che i Salesiani hanno in San Pier d'Atena, e venne sparsa per tutta la diocesi di Torino.

                Nel presente anno 188o, stampato per certo in Torino, ma pubblicato come venisse fuori dai torchi di San Pier d'Arena uscì col visto della Curia di Genova e per cura dei Salesiani un libro col titolo...[358] tutto pieno di grazie prodigiose ottenute in questi ultimi anni per la invocazione di Maria Ausiliatrice venerata nella Chiesa suaccennata.

                Ora il Concilio di Trento nella Sess. XXV, Decreto de Invocai. Et Venerat. etc. dice: Statuit S. Synodus,... ullo in loco, vel ecclesia quomodolibet exempta, nulla admittenda esse nova miracula, nisi recognoscente et approbante Episcopo. E il Ferraris alla voce Miraculum, dimostra che il Vescovo ha il diritto di far coprire le Immagini, e far chiudere la chiesa anche dei Regolari, fino a che siasi fatto l'esame dei prodigi, che si dicono operati in grazia di tali Immagini o in tali chiese.

                Quindi io per lettera invitai il Superiore Generale dei Salesiani a portare alla mia Curia le testimonianze e gli argomenti che dimostrano la realtà di tali grazie prodigiose: ma non ottenni nulla, fuorchè una lettera di risposta inconcludente.

                E frattanto si pubblicano a migliaia di copie e per Torino e per tutta la Diocesi torinese e per tutto il Piemonte e per tutta Italia questi prodigi che si dicono operati da circa 8 anni in qua e che se fossero reali, si opererebbero, direi, sotto i miei occhi; e si pubblicano senza nessuno esame, nessuna approvazione, nessun assenso del Vescovo diocesano; anzi, quasi direbbesi, in opposizione alle sue prescrizioni pubblicate nel Calendario liturgico del 1878.

                É vero che in questi libri si pone una Protesta nel senso dei Decreti di Urbano VIII: e si dichiara che noli si dà alla narrazione dei racconti prodigiosi altro peso che di autorità puramente umana. Ma basterà questo per adempire al prescritto del Concilio di Trento? A [524] me pare di no: imperocchè qui trattasi di prodigi operati non nei tempi antichi, non in luoghi lontani, ma nel tempo Presente nella città arcivescovile e come sotto gli occhi dell'Arcivescovo di Torino, cui il Concilio di Trento dà l'incarico di esaminarli e riconoscerli prima che si divulghino: pare adunque manifesto, stando al decreto del Concilio di Trento, che questi prodigi non si debbano in modo alcuno pubblicare, e molto meno nella diocesi, in cui si dicono avvenuti, senza il Previo esame e riconoscimento del Vescovo locale.

                E poi che autorità umana si ha mai quivi? Questa non può risultare che dalle testimonianze esaminate e giudicate dall'Autorità competente. Ma a chi spetta esaminare i testimoni e giudicare se sono degni di fede e se il fatto da loro attestato è prodigioso sì o no? Il Concilio di Trento decreta che ciò spetta al Vescovo. Adunque prima dell'esame e giudizio del Vescovo non si ha autorità umana in fatto di miracoli.

                Si aggiunga che Torino è una città di 240 mila persone, gran numero di Professori e Dottori e studenti nell'Università  e con una magistratura numerosa e fiorente. Ora se si pubblicano questi fatti prodigiosi con tanta leggerezza, e questi si fanno credete a tante migliaia di persone con tanta facilità e non senza apparenza manifesta di considerevolissimo lucro temporale, l'Autorità ecclesiastica non può a meno di riflettere alla conclusione che tante persone colte dei giorni presenti in parte già così inclinate alla incredulità e in parte già così ostinate nel negare ogni principio soprannaturale quindi ne traggano contro la realtà dei miracoli registrati nelle Sacre Scritture e nei fasti della Chiesa. Si osservi che nel 1877 una giovane ricoverata nella piccola _Casa del Cottolengo per circa 9 mesi ingannò gran parte dei torinesi colle sue imposture fingendosi ipnotizzata (sic).

                Quindi secondo il mio giudizio si dovrebbe fare proibizione severa ai Salesiani di pubblicare d'ora in poi la narrazione di qualunque siasi miracolo operato nella chiesa di Maria Ausiliatrice di Torino senza previa licenza dell'Autorità ecclesiastica; e loro ingiungere di ritirare e sopprimere tutti i libri che si pubblicarono su questi supposti miracoli.

                Io penso di essere in gravissimo dovere di esporre queste cose a V. Santità, acciò nella sua sapienza dia quei provvedimenti, che giudicherà opportuni.

                Implorando da V. Santità la benedizione apostolica per me e per la mia diocesi sono, ecc.

 

                Il Santo Padre trasmise la lettera al cardinale Bartolini, prefetto della Congregazione dei Riti, che richiese all'Arcivescovo di Torino copie dei libri, assicurandolo che ne avrebbe procurato un diligente esame. Monsignore accompagnò l'invio [525] dei libretti con una lettera pepata[359]. L'esame venne affidato ufficialmente a monsignor Lorenzo Salvati, promotore della fede. Nessun dubbio, dice questi in sostanza nel suo votum pro veritate consegnato il 16 luglio, che spettino ai propri Vescovi e non ad altri l'esame e il giudizio canonico su nuovi miracoli attribuiti alla divina Onnipotenza o all'intercessione della Beata Vergine e dei Santi; non sempre tuttavia riesce facile nè opportuna l'inquisizione e approvazione in forma canonica, anche perchè i fatti miracolosi “come sembrano quelli di Torino, osserva il relatore, spesso presentano soggetto e carattere più di grazie che di miracoli”. In questi casi egli è di parere che i Vescovi, a tenore di un decreto 23 maggio 1668 della Sacra Inquisizione, debbano bensì preventivamente rivedere e approvare il libro, affinchè venga alla luce scevro di ogni cosa contraria alla sana dottrina e senza nulla di strano, ridicolo o contrario alle comuni norme della sana critica; ma che si astengano da giudizio e da positiva approvazione circa la verità dei fatti miracolosi che vengono narrati, soltanto permettendo di stamparli come narrazioni appoggiate unicamente sopra sufficienti argomenti di probabilità umana, atti a produrre una qualche morale certezza; al qual effetto basta la protesta esplicita dell'autore, conforme ai noti decreti di Urbano VIII. Questa regola, come spiegava ampiamente il relatore, era stata adottata a puntino dalla Sacra Congregazione dei Riti in due recenti decreti per postulati dei Vescovi di Santiago nel Chile e di Capua[360]. Indi proseguiva: [526] “Così si pratica dovunque ed anche in Roma. Nei ben regolati Santuari tuttodì suole prendersi nota di grazie, talora improntate anche dei caratteri di miracolo, che i fedeli in argomento di gratitudine vanno ad attestare, di propria e certa scienza, avere ottenuto dalla celeste Regina ed a confermarli ancora colla soluzione di spontanei voti. A tempo congruo si fa una scelta delle registrate relazioni meglio documentate, e se ne compongono edificanti opuscoli, che vengono stampati colla revisione della competente autorità ecclesiastica, tenendo lo stesso metodo che si osserva per le biografie e narrazioni di fatti miracolosi dei Santi, Beati e servi di Dio”.

                Monsignor Salvati non sorvolò sulla gravissima insinuazione di turpe mercimonio. Infatti ribattè trionfalmente quel punto della lettera arcivescovile in questi termini: “I doni in denaro ed oggetti preziosi che in abbondanza affluiscono alla chiesa della Beata Vergine Ausiliatrice, nulla in sè contengono di turpe mercimonio. Poichè tutte essendo oblazioni spontanee, elicite da puro religioso affetto di gratitudine, non sono che altrettante prove eloquenti della verità delle asserite grazie. Sono segnali ed attestati che la divina Bontà sempre ed in ogni epoca sommamente aggradisce a gloria sua e ad edificazione del suo popolo. Si ammirano in tutti i Santuari della Vergine Santissima accumulati voti e donativi preziosi, e cose di tal fatta; non che tabelle votive antiche e moderne esprimenti guarigioni ed altri successi miracolosi, fino ai più recenti Santuari, quale è quello di Lourdes, sorto interamente per una lunga serie intrecciata di prodigi e di larghe oblazioni e voti dei fedeli beneficati”.

                Il Promotore della Fede dava quindi un consiglio e faceva una proposta. Consigliava maggior dignità nello stile e maggior circospezione nei particolari, e proponeva di consigliare “i buoni Padri Salesiani” che per ogni buon fine procurassero quanto prima lo potessero, una nuova, ben corretta [527] edizione, almeno dei principali di detti opuscoli, corredata del regolare visto dell'Ordinario locale. Egli attribuiva a errore involontario l'aver fatto ricorso a un Vescovo estraneo per l'approvazione di libri aventi per solo oggetto i fatti prodigiosi che si asserivano tenere il loro centro in Torino, nella chiesa di Maria Santissima Ausiliatrice. Questa fu la risoluzione che venne comunicata a Don Bosco[361].

                Don Bosco presentò la questione allo studio del dotto canonista gesuita padre Rostagno, che compilò una memoria per dimostrare quattro cose: I° Che i miracoli di Santi canonizzati non abbisognano per la stampa di esame rigoroso dell'Ordinario, ma che basta la semplice revisione, dalla quale consti non esservi nulla di superstizioso o ripugnante alla pietà e ai dogmi. 2° Che a giudizio dell'Avanzini[362], stampato in Roma con l'approvazione del Maestro dei Sacri Palazzi, non esisteva obbligo di revisione ecclesiastica nei nostri paesi, come tale obbligo era sconosciuto nel Belgio e nella Francia; anzi la legge della revisione non osservarsi nemmeno a Torino e dal clero[363]. 3° Che tuttavia i Salesiani avevano l'approvazione dell'Ordinario, nella cui giurisdizione era la tipografia, e tanto bastava. Che se si eccepisse che gli opuscoli erano stati realmente stampati a Torino, si poteva rispondere che monsignor Gastaldi stesso aveva approvato libri editi in altre diocesi da autori non soggetti alla sua giurisdizione. 4° Che la richiesta dell'Arcivescovo di esaminare i miracoli, perchè questi si riferivano a un'immagine venerata in una chiesa della sua diocesi, non era ammissibile, volendosi da lui un esame severo e rigoroso, quali il Tridentino esige per tutt'altri casi. [528] Il Beato a titolo di schiarimento mandò lo scritto del padre Rostagno al cardinale Bartolini, informandone contemporaneamente monsignor Salvati e invitandolo all'Oratorio. Ci duole di non aver copia della lettera, perchè in essa egli dichiarava quello che avrebbe fatto per eliminare i dissensi, come si desume dalla risposta di Monsignore, del quale riportiamo qui alcuni periodi. Scriveva egli il 26 agosto: “Credo mio dovere di esprimerle i sensi di alta stima che nutro verso la sua degnissima persona e di riconoscenza per il modo nobile e compito col quale ha voluto scrivermi, mentre io non ho fatto altro che esercitare tenuemente il mio ufficio. Sul merito della vertenza mi porto alle osservazioni già esposte dopo l'esame dei fatti hinc inde, per quanto apparivano dai documenti. La parte più interessante mi è poi sembrata quella pratica, onde tracciare possibilmente una qualche via per togliere le disgustose divergenze, E godo di sentire dalla S. V. che la cosa infine manca di fondamento. Non è la prima volta che il demonio suscita gran mole di ostacoli contro le più belle opere di Dio senza fondamento. Conosciuto quindi l'inganno, tanto più è facile guardarsene e colla prudenza nella quale Ella tanto si distingue, riportarne piena vittoria […..]. Quanto al venire a Torino, accetto con molta gratitudine la sua cordiale offerta e ne profitterò a tempo ed occasione opportuna, se si presenterà.

                Avrò allora la soddisfazione e l'onore di conoscere la S. V. anche di persona”.

                Qual sorte toccasse ai suddetti schiarimenti, l'abbiamo narrato nel volume undecimo. Un lato veramente debole dell'accusa stava nel prendere per miracoli quelle che si presentavano ai lettori come semplici grazie. Tutta la controversia lo dimostra; un episodio del 6 novembre lo conferma. Il tipografo Binelli, che pubblicava la Mistica Città di Dio dell'Agreda, fece personalmente omaggio del primo quaderno a monsignor Gastaldi. Questi, guardato il fascicolo, non gradì l'offerta dell'opera, ma disse che tutt'al [529] più non l'avrebbe proibita. Poi chiese all'editore in che modo sperasse di smerciarla.

                - Spero, disse, che i benevoli mi daran mano. E poi ne depositerò buon numero di copie all'Oratorio di San Francesco di Sales.

                - All'Oratorio di San Francesco di Sales? fece Monsignore con accento di meraviglia.

                - Sì, alla libreria di Don Bosco.

                - Ah! Va molto bene. I miracoli narrati nella Mistica Città di Dio somigliano molto ai miracoloni di Don Bosco. Se la Madonna li fa, bene quidem; se no, egli li inventa e poi li vende.

                Raccolte di questo genere se ne continuarono a pubblicare d'anno in anno per il mese di maggio nelle Letture Cattoliche, come a sua volta la Curia genovese continuò a concedere senz'alcuna difficoltà l'approvazione, come di libri stampati a Sampierdarena; soltanto si poneva ogni studio per evitare espressioni che potessero far pensare a miracoli e non a semplici grazie.

                Appartiene a quest'anno anche l'odiosa molestia di una perquisizione. La mattina del 18 agosto piombarono nella tipografia un delegato e un gruppo di guardie, che, ingiunto a tutti di star fermi al proprio posto e collocati alcuni piantoni, diedero principio a una minuta ricerca, senza che si sapesse a che mirassero con le loro indagini. Solo quando il delegato sequestrò le bozze di stampa del Bollettino Salesiano si capì quale potesse essere l'oggetto dell'atto poliziesco, sebbene non s'arrivasse a comprenderne il perchè. Il periodico figurava sempre edito a Sampierdarena; ma non di rado le circostanze obbligavano a stamparlo nell'Oratorio. Era uno spediente per evitare continui urti con la Curia torinese, liberarsi da incagli di revisione e non andare incontro a frequenti ritardi. Allorchè il funzionario richiamò i suoi uomini, dichiarando esaurito il suo mandato, qualcuno gli chiese spiegazioni. - Gelosia di mestiere! - rispose egli [530] con un sarcastico sorriso. Prima però che si allontanasse, gli si fece mettere a verbale che le due tipografie di Torino e di Sampierdarena non ne formavano che una sola.

                Don Bosco non era in casa, perchè dirigeva a Nizza Monferrato gli esercizi spirituali delle signore e poi delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Avuta informazione del fatto, comunicò a Don Rua il suo pensiero in proposito.

 

                Car.mo D, Rua,

 

                Non so capire lo scopo della perquisizione della Questura. Noi abbiamo sempre tenuto la tipografia di S. Pierdarena per succursale di quella di Torino; e facciamo stampare per dare lavoro ai nostri giovani secondo fa possibilità ed il lavoro. Ambedue le tipografie sono approvate dall'autorità governativa. Se c'è qualche formalità a compiere lo dicano e ci uniformeremo, ma ci dicano quale sia.

                Perchè ci possiamo parlare tu potrai partire alle 9 ant. domenica. Torino-Bra-Nizza. Saresti qui alle due circa e potresti ripartire alle 6½ per Genova[364].

                Se poi passerai qui la notte vieni a qualunque corsa. Sarebbe comoda quella che parte da Torino ore I pom. Asti-Castagnole. Nizza alle 6. V. l'orario.

                A rivederci. Dio ci benedica tutti. Amen.

 

                Nizza M., 21-8-80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Poi al suo ritorno, sollecito sempre d'impedire che mali sospetti pigliassero corpo a danno del suo Oratorio, scrisse direttamente al Procuratore del Re per conoscere il vero motivo di quel disturbo.

 

                Ill.mo Sig. Procuratore del Re,

 

                Nel giorno 18 di questo mese si presentava a questo Ospizio la Questura per fare una perquisizione domiciliare, a fine di accertarsi, qualcuno disse, se il Bollettino Salesiano si stampi in questa tipografia di Valdocco o in quella di S. Pier d'Arena.

                Ciò essendo venuto in tempo di mia assenza e la persona interrogata non essendo forse in grado di dare esatta risposta all'autorità, [531] credo conveniente esporre qui brevemente ma esattamente lo stato delle cose.

                Il Bollettino nel suo principio portava il titolo di Bibliofilo e fino a tanto che si stampò in Torino si adempierono le prescrizioni delle leggi e se ne spedivano i dovuti esemplari a chi di ragione; come consta dalle quitanze fatte da questa autorevole Procura, che la S. V. saviamente dirige.

                Nel mese di Settembre 1877 i poveri giovanetti, raccolti nel nostro Ospizio di San Pier d'Arena, mancando di lavoro, si mandò da Torino una macchina tipografica con gli utensili relativi ed alcuni nostri allievi già divenuti idonei a far da capo tipografia, e colà si cominciò a stampare il Bibliofilo o Bollettino Salesiano.

                Si noti che per questa specie di periodico per tutto il tempo che si stampò in Torino non fu mai richiesto alcun gerente; perciocchè era riguardato come una specie di catalogo delle nostre librerie e tipografie, e soltanto nel Settembre 1877 il Procuratore del Re per la città di Genova chiese un Gerente responsabile, che fu tosto presentato ed accettato nella persona del Sig. Ferrari Giuseppe, il quale dura tuttora nel medesimo uffizio.

                Da quell'epoca (settembre 1877) fino al 13 del morente agosto vennero adempiute tutte le obbligazioni imposte dalla legge sulla stampa, come consta dalle ricevute fatte da quella Regia Procura, che si presentano a semplice richiesta. - La legatura però e l'impostazione del Bollettino fu sempre fatta in Torino, perchè essendovi qui maggior quantità di allievi, più agevolmente se ne può fare la spedizione.

                La stampa poi, ora totalmente, ora in parte continuò a San Pier d'Arena, talvolta anche in Torino, quando cioè in quella tipografia, a cagione di altri impegni., non potevasi disbrigare questo lavoro, che per lo più è sempre di premura.

                Dal sopra esposto parmi si possa dedurre che la nostra tipografia di Torino si possa dire una sola con quella di S. Pier d'Arena, perchè un solo ne è il proprietario, da un solo dipende il lavoro, e tutti gli oggetti tipografici; e i poveri giovanetti, che ne sono allievi, lavorano provvisoriamente in ambi i luoghi, secondo il bisogno, come se le due tipografie non fossero che parti di una sola. Tanto in questa quanto in altre occorrenze mi sono costantemente fatto un sacro dovere di ottemperare all'osservanza delle leggi; nè mi sono giammai immaginato che in tale operato vi fosse infrazione di legge: tal che se vi fosse qualche formalità a compiere, cosa che affatto ignoro, io prego la S. V. a volermela far significare affinchè io possa continuare la incominciata educazione a questi poveri figli del popolo, al cui vantaggio morale e sociale ho consacrata la mia vita, ma senza agitazione e sgomento, come suole avvenire in simili perquisizioni.

                Qualora poi la mentovata perquisizione fosse stata motivata da qualche altra violazione di legge o da causa politica, La prego umilmente [532] ma istantemente a comunicarmelo per mia norma e per norma degli altri Ospizi, purchè tale mia richiesta non si opponga alla riservatezza in cui per avventura dovesse tenersi nella sua pubblica carica.

                La illuminata sua saviezza saprà condonare alla confidenza con cui scrivo e con questa persuasione ho l'onore di potermi professare

                Della S. V. Ill.ma

 

                Torino, 31 Agosto 1880.

Umilis.mo Servìtore

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Col tempo si venne a sapere da un certo Vallero, exallievo e impiegato alla pretura di Borgo Dora, che la perquisizione era stata motivata da due lettere anonime, nelle quali si diceva che la tipografia dell'Oratorio stampava cose clandestine. Don Berto finalmente in calce a una copia della lettera testè riferita scrisse che nella faccenda era da ravvisare una manovra del canonico Colomiatti, avvocato fiscale della Curia diocesana. Comunque il magistrato rispondesse alla lettera di Don Bosco, non ci consta che l'intrigo varcasse le soglie del palazzo di giustizia.

                Mentre questa vertenza faceva il suo cammino, furono per un medesimo oggetto sporti due diversi ricorsi: uno al Cardinale Protettore e l'altro alla Sacra Congregazione del Concilio. Della lettera all'Eminentissimo Nina non conosciamo il tenore preciso; dell'altra in vece abbiamo il testo[365], in cui fra parecchi capi d'accusa si legge: “Nel presente anno per dargli [a Don Bosco] una pubblica solenne testimonianza della mia stima e fiducia gli ho offerto in regalo la proprietà di una mia casa civile con giardino in Torino, richiedendolo solo, che due dei suoi religiosi facessero scuola gratuita a ragazzi poveri dei dintorni e tenessero un oratorio festivo; ma non ebbi pure una risposta”.

                Ecco di che si trattava e in che modo andarono le cose. Monsignor Gastaldi, desiderando che presso alla nuova chiesa del Sacro Cuore di Gesù si aprisse una scuola gratuita e un [533] oratorio festivo per i fanciulli, con sua lettera del 22 marzo 1880 indirizzata a Don Cagliero dichiarò che offriva a lui e per lui alla Congregazione un locale di sua proprietà e insieme lire seimila, a condizione che i Salesiani si assumessero l'obbligo di tenervi aperte in perpetuo due classi elementari maschili gratuite per i poveri durante dieci mesi dell'anno e l'oratorio festivo. A questo fine si sarebbero. stipulate due scritture, una notarile e legale di vendita a tre membri della Congregazione e un'altra fra Monsignore, Don Rua e Don Cagliero e i tre proprietari acquisitori, i quali in nome della Congregazione si sarebbero assunti i detti obblighi; nel caso d'inadempienza, la proprietà sarebbe passata all'Arcivescovo di Torino pro tempore. Tale scrittura si sarebbe sottoposta all'approvazione della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Univa alla lettera la pianta del locale e aspettava un riscontro affermativo.

                Monsignore dovette scrivere così a Don Cagliero, perchè non ignorava essere Don Bosco a Roma. Don Cagliero per altro indugiò a rispondere, perchè voleva attendere il ritorno di Don Bosco; ma l'Arcivescovo tornò a scrivergli l'8 aprile: “La prego di venire quam primum a discorrere dell'affare per cui le ho scritto, chè mi preme assai di venire ad una conclusione al più presto”. Don Cagliero si presentò a Sua Eccellenza. Sapevasi in casa che la stessa offerta era già stata fatta ad altre Corporazioni religiose, le quali l'avevano declinata. Esaminata bene la faccenda, Don Cagliero espresse il parere che neanche la Congregazione Salesiana per la penuria di personale e di mezzi era in grado di aprire una nuova casa con i pesi voltiti e con sole lire trecento annue, quante ne risultavano dall'offerta di lire seimila. Egli conchiuse dunque che per allora mancava la possibilità di sobbarcarsi agli oneri di tale esibizione. L'Arcivescovo stesso, trovate giuste le osservazioni di Don Cagliero, convenne che un'entrata di sole lire trecento annue era troppo insufficiente all'uopo; onde fu stabilito di sospendere le trattative fino [534] all'apertura della nuova chiesa e casa di San Giovanni Evangelista, situate non lungi dal luogo anzidetto: di là poi si sarebbero potuti senza gran difficoltà mandare mattina e sera due maestri per la scuola.

                Tutto pertanto sembrava ormai pacifico, quando con la data del 23 giugno Don Bosco ricevette dal cardinale Nina la lettera seguente.

 

                Ill.mo Signore,

 

                Ho potuto apprendere da fonte sicura che alcuni mesi addietro Mons. Arciv. di Torino offriva in dono alla Congregazione dei Salesiani una bella casa con terreno abbastanza ampio, ch'Egli possiede presso la nuova Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù, e ciò nell'intento che i Salesiani stessi vi aprissero due scuole gratuite elementari pei ragazzi poveri, delle quali s'ha gran bisogno in quella nuova parte della città. A questa offerta avrebbe aggiunto pur quella di lire sei mila, dichiarandosi anche disposto ad accrescere tale somma onde facilitare l'accettazione della sua proposta.

                Ora stando a quanto mi venne riferito, tutto ciò sarebbe stato accolto con molta freddezza dalla Congregazione anzidetta, di guisa che Mons. Arciv. avrebbe in fine pregato per lettere V. S. Ill.ma ad accedere presso di Lui, per intendersi sull'argomento in discorso.

                Però invece di andarvi in persona, vi avrebbe Ella inviato un membro della sua Congregazione nello scopo di conoscere che cosa volesse il detto Prelato, il quale malgrado che dichiarasse di attendere una decisione di V. S. intorno alla menzionata offerta, sarebbe tuttora in attesa di una definitiva risposta.

                Non nascondo a V. S. che siffatto racconto mi ha cagionato una qualche sorpresa. Imperocchè sembrami che dopo le difficoltà occorse tra V. S. e Mons. Arciv., avrebbe Ella dovuto fare di tutto per corrispondere alle prefate benevole esibizioni, e dare così anche V. S. una prova dell'interesse che nutre di vivere in buona armonia col medesimo Prelato. Di che, non potendo io dubitare, sono indotto a ritenere che gravi ragioni La rendono perplessa tra l'accettazione ed il rifiuto, comunque il contegno tenuto nell'affare di cui trattasi possa sembrare meno atto a togliere di mezzo gli attriti, tante volte da Lei stessa deplorati.

                Non volendo tuttavia poggiare il mio giudizio unicamente su ciò che mi è stato finora riferito, La prego di fornirmi qualche schiarimento in proposito, e frattanto con sensi di distinta stima mi confermo

                Della S. V. Ill.ma

 

                Roma, 23 Giugno 1880.

 

Aff.mo per servirla

L. Card. NINA. [535]

 

                Don Bosco rispose così al Cardinale:

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                L'affare che si riferisce a Mons. Arciv. di Torino (lettera 23 giugno u. s.), essendo stato trattato da altri nella mia assenza, ho giudicato bene farlo coscienziosamente esporre da chi ne ebbe tutta la parte.

                Non posso a meno di sentirne amaro rincrescimento nel vedere le cose in cotesta guisa travisate.

                Di questo genere fu la sospensione inflitta al Sac. Giuseppe Lazzero, Direttore di questa Casa Madre, senza osservare alcuna forma canonica. Altrettanto è del Sac. Giovanni Bonetti da oltre un anno e mezzo sospeso per la città di Chieri, e malgrado la ripetuta sollecitazione della Sacra Congregaz. del Concilio a dare ragione del suo operato non volle mai rispondere e la sospensione continua. Allo scrivente toccò la medesima sorte di sospensione. Presentemente gravitano due lettere minacciose, una in data 25 Nov. 1877, l'altra del I° Dic. 1877 in forza di cui sono ipso facto sospeso.

                Se scrivo, stampo, o per me o per mezzo di altri, alcuna cosa che torni a carico dell'Arciv. di Torino non lo mando a chicchesia, ad eccezione del Sommo Pontefice. Dopo di che Egli Mons. Arciv. ha scritto quello che gli piacque a carico dei poveri Salesiani, anche alle Sacre Congregazioni di Roma, senza che si possano fare le dovute risposte.

                Ciò non ostante vi sono oltre a trecento Salesiani che lavorano alacremente nella Diocesi di Torino, senza mai dimandare nè impieghi nè onorari di sorta. Contro a costoro niuno finora potè fare parola di rimprovero.

                A Mons. Arcivescovo di Torino io non ho mai dimandato altro, se non che mel dica quando c'è qualche cosa, ma non la scriva travisata alla Santa Sede. Ciò tutto inutilmente.

                Di qui hanno origine le gravi difficoltà che incontriamo presso la Sacra Congreg. di Vescovi e Regolari, per mettere l'umile Società Salesiana in uno stato normale, come appunto si trovano gli altri, Istituti religiosi approvati definitivamente dalla Santa Sede.

                Con tutto ciò io non intendo mica di muovere reclamo: i tempi sono troppo difficili; aumenteremo il nostro buon volere a lavorare per la gloria di Dio, e non di più.

                I Salesiani si uniscono meco a ringraziare la E. V. per la benevola protezione che ci presta; preghiamo Dio che La conservi in buona salute ed invocando la santa di Lei benedizione con gratitudine profonda ho l'alto onore di potermi professare a nome di tutti

                Di V. S. Rev.

 

                Torino, 10 Luglio 1880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [536]

 

                Nella sua lettera Don Bosco ne accluse un'altra di Don Cagliero, che esponeva il corso e il risultato sospensivo della pratica condotta da lui stesso[366], terminando con questa osservazione: “Io, il Sig. D. Bosco e il Sig. D. Rua e quanti furono a cognizione del progetto di Monsignor Arcivescovo eravamo lungi le mille miglia dal pur sospettare la gravità estrinseca di questa offerta e tanto meno dal prevederne le spiacevoli conseguenze che se ne sarebbero dedotte a nostro carico. E ciò massimamente dopo la determinante negativa data allo stesso progetto in questione da altre Congregazioni, mentre da noi gli fu soltanto chiesta una dilazione”.

                Per questo affare le sorprese non finirono qui, Ormai il Beato non vi pensava più, riposando nella fiducia che le spiegazioni fossero state esaurienti, quand'ecco il 26 agosto giungergli una lettera da parte del cardinale Nina con un esordio che diceva: “Attendevo una risposta alla mia del 23 perduto giugno con quell'ansietà che pienamente giustificano la gravità dell'argomento ed il desiderio di porre un termine a taluni attriti per ogni rapporto deplorevoli”.

                Dunque le due lettere del 10 luglio non erano pervenute nelle mani del Cardinale; furono perciò rinnovate il 3 settembre. D'allora in poi ufficialmente da Roma non si tornò più sull'affare, benchè, come dicevamo sul principio, l'Arcivescovo di Torino credesse. dì poter ripetere la sua accusa in dicembre.

                Vi fu nel 188o anche un malinteso. Per se stesso sarebbe di poca entità; ma non ci sembra questa una ragione per passarlo sotto silenzio. In un quadro non tutte le tinte hanno la medesima intensità; nondimeno sono tutte necessarie all'effetto dell'insieme.

                Il 12 ottobre Sua Eccellenza, essendo in visita pastorale nel comune di Volpiano, estremo lembo della sua archidiocesi da quel lato, si recò senz'alcun preavviso a visitare [537] la vicina casa di San Benigno. Sopraggiunto così all'improvviso, infilò la porta che metteva nei laboratori, dove non era certamente da aspettarsi che poveri ragazzi artigiani male in arnese e con le mani imbrattate chi di pece e chi di pasta, andassero subito a baciargli l'anello. Tuttavia dieci giorni dopo scrisse a Don Bosco lodandosi delle cortesie usategli dai superiori presenti, ma lamentando il contegno dei ragazzi di tre laboratorii e soprattutto biasimando alcuni chierici che al suo passaggio erano fuggiti via in fretta dal cortile[367].

                Gli rispose il direttore Don Barberis, spiegandogli le cose come noi le abbiamo esposte; i chierici poi essersi ritirati, perchè attendendo a un lavoro materiale non si trovavano in istato da potersi presentare a un Arcivescovo.

                Quanti malintesi in una diecina d'anni! Ma il peggiore dei malintesi consisteva sempre nell'idea fissa che Don Bosco e i Salesiani per partito preso movessero ostinata guerra all'autorità dell'Ordinario. Lo ridisse questi il 18 ottobre in una lettera a monsignor Belasio, che, facendo affidamento sull'antica amicizia, aveva rinnovato i suoi buoni uffici per piegarlo a più benigni consigli, verso Don Bosco[368]. Cosi permise Iddio negli arcani consigli della stia sapienza infinita. Il Signore però non lasciava di confortare il suo servo con lumi e favori celesti.

                Nell'estate del 1880 Don Bosco ebbe un sogno, in cui sotto il velo di simboliche apparizioni gli venivano adombrati eventi futuri. Lo fece nella notte sul nove luglio. Vide egli una pioggia misteriosa, del cui significato possono darci la chiave questi appunti di Don Lemoyne: “Le guerre di Mons. Gastaldi erano giunte al punto più acuto. La questione per D. Bonetti ferveva. A Roma si propendeva per Monsignore contro di noi. Sembrava che le speranze umane fossero svanite. Una condanna sarebbe riuscita dolorosa nelle attuali circostanze”. [538] Or ecco quello elle allora Don Bosco sognò. Gli parve di essere col suo Capitolo nella camera vicina alla propria, detta la camera del Vescovo, e di tenervi conferenza. Mentre parlava delle cose nostre, si accorse che il cielo si rannuvolava; quindi scoppiò una tempesta con fulmini, lampi e tuoni che mettevano spavento. Un tuono più fragoroso dei precedenti fece tremare la casa. Don Bonetti si alzò e andò nella galleria attigua e dopo brevi istanti si mise a gridare: - Una pioggia di spine! - Infatti cadevano spine così fitte come le gocce d'acqua in una pioggia dirotta.

                Poi si udì un secondo tuono fragorosissimo come il primo e subito sembrò che il tempo si rischiarasse alquanto. Allora Don Bonetti dalla galleria gridò: - Oh bella! Una pioggia di bottoni. - Venivano giù per l'aria tanti bottoni di fiori, che in breve se ne formò in terra un alto strato.

                A un terzo schianto di veementissimo tuono comparvero tratti di cielo sereni e alcuni raggi di sole. E Don Bonetti dal loggiato: - Una pioggia di fiori! - Tutta l'aria era piena di fiori d'ogni colore, forma e qualità, che in un baleno coprirono il suolo e i tetti delle case con mirabile varietà di tinte.

                Un quarto tuono fortissimo rimbombò nell'aria. Il cielo era divenuto terso e splendeva un limpido sole. E Don Bonetti a gridare: - Venite, venite a vedere; piovono rose. Cadevano infatti dall'alto nembi di rose fragrantissime. Oh finalmente! - esclamò allora Don Bonetti.

                Don Bosco all'indomani radunò appositamente il Capitolo Superiore per raccontare quello che aveva veduto nel sogno. Dando un rapido sguardo al succedersi degli avvenimenti, ci pare di scorgere nelle fasi del sognato fenomeno le fasi successive della lotta. Fino a quel punto erano state spine; ma dappoi le cose, benchè a rilento, cominciarono a prendere una piega migliore. Due sentenze di Roma riuscirono favorevoli a Don Bosco. Leone XIII avocò a sè la causa, mise le condizioni per tiri accomodamento fra monsignor [539] Gastaldi e Don Bosco, il quale con la sua umiltà edificò i Prelati romani. Tuttavia la guerra non cessava. Monsignore, saputo nel 1883 che Don Bosco andava in Francia, scrisse agli Arcivescovi di Lione e di Marsiglia che non gli permettessero di predicare. Le sue lettere giunsero dopo che monsignor Gastaldi era improvvisamente morto. Ma a Lione non gli fu permesso di tenere conferenze pubbliche; invece l'Arcivescovo di Parigi lo fece parlare in una delle principali chiese, protestando che, quand'anche l'Arcivescovo di Torino fosse ancora vivo, non avrebbe tenuto in nessun conto le sue raccomandazioni. Ben tosto la venuta del cardinale Alimonda a Torino fu una vera benedizione per il Servo di Dio. Nel dì dell'Annunziata del 1884 il cardinale Ferrieri, assalito da fiero attacco nervoso, si mostrò disposto a lasciar concedere i privilegi, domandati per tanti anni invano da Don Bosco. Finalmente proprio il 9 luglio seguente in circostanze singolari, come vedremo, giunse all'Oratorio il sospirato decreto. Da quel punto cominciò per il Beato un periodo di quiete che durò fino al non lontano termine della sua vita.

 

 

CAPO XXI. Prima conferenza salesiana a S. Benigno Canavese e a Borgo S. Martino.

 

                PUR fra tante fatiche e molestie, Don Bosco trovava non solamente il tempo, ma, cosa ancor più difficile, la serenità per presentarsi ai suoi Cooperatori, ragionare loro delle sue opere e invocarne l'aiuto. Cosi nell'estate del 1880 andò a San Benigno Canavese ed a Borgo San Martino per tenere la prima conferenza ai Cooperatori Salesiani dei due luoghi[369].

                A San Benigno parlò il 4 giugno. Ecco nelle sue grandi linee il discorso del Beato. Compiaciutosi di trovarsi per la prima volta fra quei Cooperatori, enumerò i favori spirituali che essi potevano godere per il fatto di essere inscritti alla pia Unione e mostrò come il Cooperatore, fedele alle regole, viva da religioso in mezzo al secolo; potersi invero l'Associazione considerare quale un terz'ordine antico, ma adattato ai bisogni presenti. Oggi si grida ai quattro venti: Lavoro, Istruzione, Umanità. Ebbene grazie ai Cooperatori e alle Cooperatrici i Salesiani fanno appunto tre cose: aprono laboratorii nelle città e organizzano colonie agricole nelle campagne per addestrare la gioventù al lavoro; fondano collegi maschili e femminili, scuole diurne, serali e festive, [541] oratorii domenicali per dirozzare le menti giovanili e arricchirle di utili cognizioni; a migliaia di orfani e abbandonati dischiudono ospizi e agli stessi popoli barbari recano i benefizi della civiltà. Con preghiere, con morale assistenza, con aiuti materiali i Cooperatori sono tante braccia che collaborano col Capo e cori le altre membra della Congregazione Salesiana a produrre questo triplice ordine di beni. In altri tempi, quando la società viveva di fede, bastava unirsi nella pratica di pii esercizi; oggi invece oltre al pregare, che non deve mancare mai, bisogna operare, intensamente operare; se no, si corre alla rovina.

                Venendo più al positivo, additò come opera speciale l'istruzione religiosa della gioventù. Un Cooperatore, una Cooperatrice può fare gran bene con limosine e buoni consigli, ma più ancora col prestarsi al proprio parroco nel mandare i giovani al catechismo. Il catechismo cattolico negli oratori festivi è l'unica tavola di salvezza per tanta povera gioventù in mezzo al pervertimento generale della società. Parroci e sacerdoti con tutto il loro zelo non possono certo trovarsi in ogni luogo, ma nel ministero del catechizzare abbisognano di aiutanti che facciano venire in chiesa i ragazzi, che esortino i genitori a mandarveli, che assistano le classi, che insegnino la dottrina. Al qual proposito citò un bell'esempio. In un villaggio di seimila anime soltanto una quarantina di fanciulli andavano alla dottrina. Orbene i Cooperatori sotto la guida del parroco in breve ne attirarono quattro centinaia, e nella Pasqua ne portarono a confessarsi e a comunicarsi circa settecento, fra i quali quattrocento d'ambo i sessi fecero la loro prima comunione[370].

                Enumerò infine altre opere di carità possibili ed anche facili ai Cooperatori, come rimettere la pace nelle famiglie, ricondurre sul buon sentiero qualche traviato, procurare appoggi a chi è senza mezzi: ma il tutto fare con dolcezza, [542] carità e prudenza, tre virtù caratteristiche del buon Cooperatore salesiano. Alla carità dei presenti raccomandò in special modo, com'era naturale, il nuovo ospizio aperto allora allora a San Benigno.

                Della concettosa conferenza del I° luglio a Borgo siamo in grado di offrire ai lettori le parti più notevoli pressochè con le parole del Beato. Presiedeva all'adunanza monsignor Ferrè vescovo di Casale. Don Bosco esordi felicemente in questa maniera:

 

                Mi trovava a Roma nell'occasione che l'immortale Pontefice Pio IX di santa memoria riceveva in pubblica udienza i rappresentanti della stampa cattolica e ricordo tuttora il magnifico discorso da lui tenuto in quel giorno. Per animare gli scrittori cattolici a combattere vittoriosamente il nemico di Dio e della Chiesa, Pio IX li esortò a stare uniti fra loro e portò per esempio il combattimento dei tori nella Spagna. Senza punto approvare quello spettacolo che ricorda la dominazione dei Mori in quel paese, il Santo Padre descrisse come si tengono i combattenti per vincere e abbattere l'indomita bestia. In lima gran piazza, alla vista d'immenso popolo difeso da uno steccato, si sprigiona il tremendo quadrupede. Il toro aizzato dalle grida, inseguito dai combattenti, spinto dal suo furore, mandando orrendi muggiti, si precipita contro questo e quello e abbassa la testa per infilzarlo con le corna; ma il lottatore, quando se lo vede vicino, fa un salto da un lato e gli caccia nel muso o nel collo uno spiedo o la spada. L'animale ferito si avventa contro un altro, che gli misura un secondo colpo. Il toro allora smania, mugge disperatamente, gira di qua e di là sull'arena, cercando di abbattere quanti gli si parano dinanzi; ma da ogni parte trova, avversari che tutti col medesimo scopo lo attendono e lo tempestano di colpi nei fianchi, sulla testa, alla giogaia e uno gli cala un fendente sulla schiena: cosicchè dopo inutili sforzi la bestia stramazza al suolo e muore. - L'unione dei combattenti, osservò Pio IX, è quella che stanca, vince, abbatte la ferocia del toro. I nemici di Dio e della Chiesa, contro cui abbiamo da combattere, sono dalla Sacra Scrittura chiamati tori: tauri pingues obsederunt me, lamentava il reale profeta[371], uomini inferociti a guisa di tori mi hanno assediato. Lo stesso lamento dobbiamo ripetere noi in questi tristissimi tempi. Ma vogliamo abbattere questi nemici e riportarne vittoria? Siamo tutti uniti contro di loro come una compatta falange e guardiamoci dal muovere assalti, dall'adoperare la penna o la voce gli uni [543] contro gli altri. - Se queste non furono le identiche parole uscite dal labbro del grande Pio IX, sono questi però i sensi del suo discorso.

                Vi ho ricordato questo fatto e queste parole, o benemeriti Coop. e Coop.ci, per farvi ben comprendere il bisogno elle vi è oggi che i buoni cristiani si uniscano fra loro per promuovere il bene e combattere il male, perchè vis unita fortior, l'unione fa la forza.

                Fin dal 1841, quando questo povero prete cominciò a radunare giovinetti nei giorni di festa, levandoli dalle vie e dalle piazze per trattenerli in divertimenti onesti e per istruirli nella nostra santa religione, egli sentì il bisogno di aver Cooperatori, che gli porgessero la mano. Quindi fin d'allora molti sacerdoti e laici della città e in appresso pie signore, accolto il suo invito, a lui si unirono per aiutarlo, chi col menargli fanciulli, chi con l'assisterli e catechizzarli; le donne poi e le comunità religiose lo aiutarono col rattoppare abiti, fare bucati, e provvedere biancheria ai più bisognosi e abbandonati. Con l'aiuto di Dio e la carità di queste persone benevole, quello che abbia potuto fare questo sacerdote e quello che facciano presentemente i Salesiani, voi già lo avete appreso dalla lettura del Bollettino Salesiano e non occorre qui di ripeterlo.

                Visto il bene che tante persone insieme unite facevano a vantaggio della povera gioventù, si pensò allora d'istituire una formale Associazione sotto il titolo di Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e farla approvare dal Vicario di Gesù Cristo. Molti Vescovi, dopo averla riconosciuta nelle loro diocesi, la raccomandarono alla Santa Sede e tra quelli che più caldamente la promossero ho il piacere di annoverare Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Pietro Maria Ferrè, nostro veneratissimo Pastore. Il Santo Padre Pio IX di santa memoria, esaminato il progetto, lo approvò; anzi, desiderando che la Pia Unione prendesse maggior incremento, aprì i tesori delle sante indulgenze. Dall'anno di questa approvazione, 1876, sino ad oggi i Cooperatori e le Cooperatrici sono cresciuti sino al numero di trentamila, e vanno aumentando ogni giorno, di mano in mano elle la pia Società vien fatta conoscere in mezzo ai fedeli.

 

                Ciò detto, passò a dare un breve ragguaglio delle opere Salesiane dovute alla generosità dei Cooperatori e delle Cooperatrici: sono cose a noi già note. Espose quindi quello che bisognava fare per essere vero Cooperatore e vera Cooperatrice, e così godere delle grazie speciali concesse dalla santa Chiesa alla pia Unione.

 

                Primieramente osservo che per lucrare le indulgenze concesse dal Vicario di Gesù Cristo bisogna adempiere le opere prescritte per l'acquisto di esse. Quindi se l'indulgenza è annessa a una data preghiera [544], alla visita di una chiesa, o alla confessione e comunione, è necessario praticare queste opere, e ciò vale tanto per i Cooperatori salesiani quanto per i terziari francescani. Ma per acquistare siffatte indulgenze non basta adempiere le opere prescritte, ma bisogna anche far parte della Pia Unione dei Cooperatori secondo lo scopo della medesima.

                E che cosa si deve fare per appartenervi? Anzitutto esservi ascritto dal Superiore della Congregazione Salesiana o da persona da lui delegata, e non esserne stato escluso in appresso. L'aggregazione generalmente si fa coll'invio del diploma unito al regolamento. Oltre a ciò praticare opere di carità, secondo lo spirito e il fine della Pia Unione.

                Ma qui taluno domanderà: - É forse necessario praticare tutte e singole le opere di carità notate nel regolamento? - No, non è necessario; neppure è necessario praticarne una o più in tempo determinato; ma è necessario e sufficiente praticarne alcuna, quando si presenta l'occasione. Ho detto che è necessario praticarne alcuna. Lo scopo della Pia Unione è di dare alla Congregazione Salesiana aiutanti, che si assumano soprattutto una cura speciale della gioventù. Quindi ognun vede che i Cooperatori e le Cooperatrici devono industriarsi di eseguire qualche opera di carità conducente a questo nobile scopo; altrimenti sarebbe delusa la pia intenzione della Chiesa, che aperse questi tesori in loro favore. Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggi con tanti mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, bisogna unirsi nel campo dell'azione ed operare. Ho poi aggiunto che per essere buon Cooperatore e buona Cooperatrice basta praticare qualche opera di carità, quando si presenta l'occasione. E il fare così non deve tornare difficile a un buon cristiano, a una buona cristiana. Quante belle occasioni si presentano! Si può dare un buon consiglio a un fanciullo o ad una ragazza per indirizzarli alla virtù e allontanarli dal vizio; si può suggerire qualche buon mezzo ai genitori, perchè allevino cristianamente i loro figliuoli, li mandino alla chiesa o dovendoli collocar allo studio o al lavoro, scelgano buoni collegi, maestri virtuosi, onesti padroni; si può far in modo da avere buoni maestri e buone maestre nelle scuole; si può prestare aiuto nel fare il catechismo in parrocchia; si può regalare, imprestare, diffondere un buon libro, un foglio cattolico o levarne di mezzo uno cattivo; si può concorrere a eseguire un lavoro, provvedere un abito, cercare un posto, pagare la pensione per far ritirare un giovinetto od una fanciulla povera od abbandonata; si può risparmiare una spesa, mettere in serbo una moneta per dare una limosina, promuovere un'opera che sìa per tornare di gloria a Dio, di onore alla Chiesa, dì vantaggio alle anime; si può per lo meno esortare altri a farlo. Occasioni di fare del bene o d'impedire del male non ne mancano mai. Non ci manchi il buon volere, non ci manchi il coraggio, non ci manchi l'amor di Dio e del prossimo e noi senza quasi accorgerci [545], da padri e da madri, da maestri e da maestre, da sacerdoti e da laici, da ricchi e da poveri, saremo veramente Cooperatori e Cooperatrici, impediremo del gran male, faremo del gran bene.

                Qualcuno mi potrebbe dire: - Finchè si tratta di fare del bene con la parola, io ci sono; ma con mezzi materiali non posso, perché sono povero. - Chi è povero, faccia da povero. Ma per povero che sia, un Cooperatore, se vuole, sarà sempre in grado di concorrere anche materialmente a un'opera di carità. Fra molto povera quella vedova di cui parla il Vangelo, non aveva che un quattrino, duo minuta; eppure volle anch'essa concorrere al decoro del tempio insieme coi ricchi oblatori, e ne riscosse gli encomii di Gesù Cristo. Del resto vi so dire che vi sono tanti e tante che decantano le loro miserie quando sono invitati a fare un'opera buona, a vestire un povero orfanello, a soccorrere una famiglia indigente, a ornare una chiesa; ma quando si tratta di provvedersi un abito o una veste di lusso; quando si tratta di un pranzo, di una partita, di un viaggio di piacere di una festa da ballo, di una comparsa, oh! allora non c'è più povertà. Allora se il danaro non c'è, si fa comparire; allora si trova il mezzo di fare bella figura e si sfoggia anche un lusso superiore alla propria condizione.

                Vi sono poi altri, i quali hanno sempre paura che loro manchi la terra sotto ai piedi; vedono sempre il presente e il futuro coi più tetri colori. Costoro sono di quei tali che, al dire del Salvatore, vanno sempre domandando tremebondi: Che cosa mangeremo domani? che cosa berremo? di che cosa ci copriremo? Quid manducabimus? aut quid bibemus? aut quo operiemur? E così radunano sempre, tesoreggiano sempre, tengono in serbo, e intanto viene la morte senza che abbiano fatto del bene e lasciano i loro averi all'ingordigia o ai litigi dei parenti, che in breve se li consumeranno o se li faranno divorare dagli avvocati e dai procuratori. Non imitateli, o miei buoni Cooperatori e pie Cooperatrici; e perchè non seguiate questi esempi, ascoltate due osservazioni.

                Oggi vi sono molti che mettono danaro alle banche per riscuoterne un interesse. Ma qualsiasi banca, per buona riputazione che goda, lascia sempre il timore di un fallimento. E quanti fallimenti!  quante famiglie ridotte per questo al verde! Ma sia pur sicura una banca; non passa tuttavia un interesse superiore al cinque o al sei per cento. Ma io conosco una banca inesauribile, che presenta guarentigie tali da rendere impossibile ogni fallimento e che passa un interesse non dico del cinque, del dieci, del trenta, del cinquanta per cento, ma il cento per uno. Chi è questo sfondolato banchiere? É Dio, padrone del cielo e della terra, che appunto ha promesso di rendere ora, nunc, in questo tempo, in tempore hoc, il cento per uno a chi dispone de' suoi beni alla sua maggior gloria, a vantaggio de' suoi poverelli. Chi lascerà per me le cose sue riceverà centies lantum nunc in tempore hoc, ci assicura Gesù Cristo nel Vangelo, et in saeculo futuro vitam [546] aeternam[372]. Riceverà il centuplo nelle benedizioni che Dio manderà alla sua persona, ai suoi beni, ai suoi affari, ai suoi negozi; il centuplo nella pace del cuore, nella concordia della famiglia, nelle grazie spirituali in vita e in morte. Non basta: il Signore tiene ancora riserbato nell'altra vita un premio imperituro: et in saeculo futuro vitam aeternam. Ravviviamo dunque la nostra fede, o benemeriti signori, e studiamo il modo di assicurarci un tanto bene.

                La seconda osservazione è questa. Alcuni credono che il fare limosina sia un consiglio e noti un precetto; quindi, purchè non si servano male dei loro averi, si pensano di fare abbastanza per salvarsi. Questo è un inganno fatale, che impedisce purtroppo tante opere buone nel mondo e strascina molte anime all'eterna perdizione, come vi ha menato il ricco Epulone. É più facile, ha detto Nostro Signore Gesù Cristo, ad un cammello passare per la cruna di un ago, che un ricco salvarsi, se egli mette il suo cuore nelle ricchezze e non si cura dei poverelli. Costui, se si vuole, non peccherà contro la giustizia, ma peccherà contro la carità; ora che differenza c'è tra l'andare all'inferno per aver mancato contro la giustizia e l'andarvi per aver mancato contro la carità? Che poi l'aiutare gl'indigenti non sia un consiglio, ma un coniando, apparisce chiaro dalla divina Scrittura. Non mancheranno poveri nella terra di tua abitazione, diceva Dio nell'antica legge; perciò io ti comando di aprire la mano al povero e al bisognoso: idcirco ego praecipio tibi, ut aperias manum fratri tuo egeno[373]. E il divin Salvatore, parlando della limosina, usa il verbo al modo imperativo dicendo: Quod superest, date eleemosynam[374]. E per non lasciare alcun dubbio in questa materia dichiarò che al dì del giudizio chiamerà al regno eterno coloro che sulla terra avranno fatte opere di carità, e manderà all'inferno coloro che si saranno ricusati di farne[375]. Un'altra volta disse: Non chi avrà detto: Domine, Domine, Signore, Signore, entrerà nel regno de' Cieli, ma chi avrà fatto la volontà del mio Padre, che non si contenta di parole, ma vuole opere buone[376]. Quindi l'apostolo San Giacomo scrive che la stessa fede non giova alla salute, se non è congiunta con le opere, e  dice che una fede senza le opere è una fede morta: fides sine operibus mortua est[377].

                Mi sono fermato a trattare un poco più a lungo questo argomento, non già perchè io creda che qualcuno di voi ne abbia bisogno, ma affinchè, se gli occorre, se ne serva per cavare certi pregiudizi dal capo di altri, In quanto ai Cooperatori e alle Cooperatrici io sperimento ogni giorno che essi fanno e sanno fare la carità, e confido che vorran [547] continuare, mostrandosi così veri seguaci di San Francesco di Sales, che si fece tutto a tutti per guadagnare tutti a Dio, e ripeteva sovente: Datemi anime e prendetevi il resto; da mihi animas, cetera tolle. Voi avete udito, e leggete pure ogni mese, dove va a finire la vostra carità. La speranza, anzi la certezza di giovare a tanti poveri giovanetti, allontanarli dai pericoli del mondo, educarli per Dio, per la Chiesa, per il Cielo, vi deve grandemente consolare e farvi sembrare leggiero ogni sacrifizio. Facciamoci dunque coraggio e seguiamo l'avviso lasciatoci dal divin Salvatore. Coi vostri beni fatevi degli amici, affinchè quando veniate meno, alla fine della vostra vita, questi vi ricevano negli eterni tabernacoli. Facite vobis amicos de mammona iniquitatis, ut, cum defeceritis, recipiant vos in aeterna tabernacula[378]. Amici nostri saranno allora tante anime state per mezzo nostro salvate; amici nostri gli Angeli custodi di quelle stesse anime; amici nostri i Santi, a cui avremo procacciato compagni in Cielo e quello che più importa, amico nostro sarà Gesù Cristo, che ci assicura di tenere per fatto a se medesimo tutto il bene che avremo fatto al più piccolo de' suoi discepoli. Amen dico vobis, quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis[379].

 

                Don Bosco, che professava e inculcava una riverenza ai Vescovi divenuta tradizionale nelle nostre case, prima di scendere rivolse umile preghiera a monsignor Ferrè, perchè si degnasse di consolare l'uditorio con una sua buona parola. Il Vescovo, che era parlatore facondo, ragionò con foga dei bisogni sociali e dei cómpiti assegnati dalla Provvidenza ai figli di Don Bosco, raccomandando infine la pia Società all'affetto operoso di coloro che lo ascoltavano. Quella sera fu recitata dai convittori la commedia latina Phasmatonìces, di cui abbiamo parlato nel volume dodicesimo. Il medesimo lavoro drammatico era stato rappresentato poco prima anche nel nobile collegio di Valsalice; nel 1882 venne portato sulle scene di Randazzo, nel primo collegio Salesiano di Sicilia. La tradizione dei drammi latini durò nelle case Salesiane fino a pochi anni dopo la morte di Don Bosco.

 

 

CAPO XXII. Preziosi documenti di vita spirituale.

 

                CASTITÀ, povertà, confessione ben fatta, sono tre cose sulle quali Don Bosco amava tornare con frequenza parlando ai suoi figli e per i suoi figli. Il 1880 ci offre due fatti, tre casi, un ammonimento e un sogno, che si aggirano intorno a questo triplice tema.

                Il nostro monsignor Costamagna ricevette dalla persona interessata ampia facoltà di comunicare al primo storico del Beato quanto siamo per dire, 4 condizione però di tacerne il nome[380]. Un giovanetto dell'Oratorio aveva la disgrazia di cadere e ricadere in grave colpa contro la virtù angelica, massime durante il tempo delle vacanze. Ora nell'autunno del 1880, ritornato dal paese con l'anima lorda di peccato; corse tosto a confessarsi da Don Bosco, il quale fece con lui una cosa che non si sa aver egli fatta mai con altri. Uditane l'accusa, strinse forte forte la faccia del penitente contro la sua, dicendogli: - Io voglio che di questi peccati tu non ne faccia mai più per tutta la tua vita! - Si direbbe che in quel momento l'amore della purezza dall'anima del confessore si trasfondesse tutto Dell'anima del piccolo peccatore; poichè questi, cresciuto e fattosi religioso, nel 1899 si protestava disposto a giurare dinanzi a Dio l'effetto prodigioso [549] in lui operato da quella che monsignor Costamagna chiama “carezza straordinaria, eccezionalissima in Don Bosco”. E l'effetto fu che gli parve di sentirsi sradicare dal cuore le malnate inclinazioni, a segno che ritornò alle vacanze, poi fece il soldato e nell'uno e nell'altro tempo si vide esposto a gravi pericoli di offendere Dio, ma non cadde mai più nelle sue vecchie miserie.

                Sensibilissimo in materia di povertà Salesiana, Don Bosco si levava con energia non solo contro ogni infrazione, ma anche contro tutto ciò che gli sembrasse minacciarne da lungi la perfetta osservanza. A San Benigno nel secondo inverno un superiore della casa avrebbe voluto che si facessero a tutti i chierici i loro pastranini nuovi e che si fornissero certe tendine da guernire le finestre di camere private. Il prefetto Don Nai, che fra le insistenze del confratello e le strettezze delle finanze non sapeva che pesci pigliare, ne fece parola con Don Bosco, venuto a visitare la casa. Il Servo di Dio se ne mostrò assai dolente e ali rispose: - Stasera farò io una conferenza al personale. Radunatisi i superiori nella biblioteca, parlò della povertà nel vestire e nell'arredare le stanze, usando un linguaggio assai forte e reciso. Nelle cose udite parve a quel tale superiore di, riscontrare troppa severità; onde, allorchè, finito il suo dire, Don Bosco invitò i presenti a fare le osservazioni che credessero opportune, quegli notò non doversi disgiungere il decoro dalla povertà. Al che il Beato soavemente, ma con risolutezza ribattè: - Il decoro del religioso è la povertà.

                Assisteva alla conferenza anche il chierico Filippo Rinaldi, il quale nel dicembre del 1930, parlando ai confratelli dell'Oratorio per l'esercizio della buona morte e ricordando il fatto, disse d'aver allora pensato fra sè che neppure la povertà dei cappuccini e degli ordini mendicanti era così rigida come quella voluta da Don Bosco. Il medesimo Don Rinaldi osservò che Don Bosco aveva parlato in tal modo [550] della povertà proprio quando alle sue scuole di Tipografia apprestava i locali più grandiosi che vi fossero in Torino per stabilimenti congeneri, e costruiva il collegio magnifico accanto alla chiesa di San Giovanni Evangelista. Tale coincidenza suggerì a Don Rinaldi l'idea di una distinzione da farsi. - Non dobbiamo, disse, confondere la povertà interiore dei Salesiani e la povertà personale di ciascuno, coi bisogni dell'Opera Salesiana esterna, bisogni i quali esigono che Don Bosco sia ognora all'avanguardia del progresso, secondo l'espressione usata da lui col futuro Pio XI.

 

* *

*

                Per l'ammissione al noviziato o ai voti Don Bosco in una seduta del Capitolo Superiore propose e risolse tre casi importanti. Primo caso. Un giovane si presenta per chiedere di essere ascritto al noviziato. Il poverino ha avuto una catena di miserie fino al tempo degli esercizi spirituali; ma allora si mostra risolutissimo nel bene. - Si ammetta alla prova, - conchiuse Don Bosco. Secondo caso. Un altro ha deciso di fare la domanda dei voti e le cose sue vanno bene; ma prima della professione si deve recare in famiglia, e qui abyssus abyssum invocat. Udito il parere degli altri, che ignoriamo quale fosse, Don Bosco parlò così: - No! no! no! Ai giovani che fanno pasticci fino all'ultimo, io rispondo: No, non farti chierico! Costoro nel tempo del noviziato sanno frenarsi; ma poi l'incendio si ridesta sempre. Bisogna quindi che andiamo tutti d'accordo nell'essere più rigorosi, perchè crescono ogni giorno più gl'incentivi al male e si vedono altrove cadute che mettono spavento.

                In questa sua osservazione Don Bosco include, come si vede, anche l'ammissione al noviziato; ma non sembra che qui egli si contraddica. Quelli che da lui son chiamati “pasticci” si devono intendete nel senso insinuato dalla frase biblica [551] di poco avanti, con la quale non alludeva solo a fragilità personali, ma al far getto del pudore; infatti parlando del secondo caso, aveva pure soggiunto: - Come potrebbe poi questo tale andar a predicare nel suo paese? - Il suo pensiero è dunque che non solo dalla professione religiosa, ma anche dalla vestizione chiericale debba essere escluso chiunque “fino all'ultimo” abbia scandalosamente mancato contro la moralità.

                Terzo caso. Un individuo, che è vissuto nel mondo ed ha passato nella dissipazione la sua gioventù, tiene da un anno buona condotta e domanda di essere ascritto e di farsi prete. Don Bosco non volle nemmeno che si consigliasse a un tale soggetto di cominciare la prova, massime se al suo passivo c'entrasse Sodoma. - Tutti d'accordo, disse, aiutatemi, perchè simile gente non venga mai accettata.

                Un ammonimento infine egli diede il 14 novembre, mentre nel Capitolo Superiore si riesaminavano i regolamenti abbozzati dal secondo Capitolo Generale. Don Bosco disse: - Ora vedo nella Congregazione un bisogno, quello di metterla, al riparo dalla freddezza e dal decadimento col promuovere lo spirito di pietà e di religiosa vita comune. Voglio distruggere la smania di andare ai bagni, quando questi non siano ordinati dai medici. Vi sono di coloro che ci vanno contro le prescrizioni dei Superiori. Il pericolo è maggiore per i chierici. In quanto ai giovani della riviera, sarà molto difficile impedire che ci vadano. Giova poi ripetere nei vari collegi ciò che le deliberazioni stabiliscono riguardo alla moralità. Si studi attentamente questo punto. Vediamo sovente venir chiusi collegi e messi in prigione i maestri. Qui in Italia non si ha la malignità di dubitare di noi. Ma alla Navarra e a Saint-Cyr abbiamo accettata una successione senza inventario e prima di noi ci furono casi orrendi. Al principio dell'anno scriverò una lettera ai Direttori, toccando i punti principali per la conservazione della moralità. Siamo esatti specialmente nell'ordinare che tutti facciano l'esercizio della [552] buona morte e preti e chierici e coadiutori e si sorveglino attentamente tutti e vi sia esattezza nella levata e assistenza alla meditazione. In tutti i tempi, ma specialmente ora, per noi la moralità è questione di vita o di morte. Guai se il pubblico venisse a sapere cose infamanti di noi! Sacrifichiamo la nostra vita, ma si sostenga sempre e sempre trionfi la moralità.

 

* *

*

 

                Per le giovani speranze della Congregazione Don Bosco nella notte dall'otto al nove agosto ebbe un sogno che narrò ivi stesso la sera del giorno io durante gli esercizi spirituali degli ascritti. Ne esistono due redazioni; una di Don Barberis è affrettata, l'altra è evidentemente una traduzione dal francese, ma fatta maluccio: erano parecchi quell'anno i Francesi a San Benigno. Ci serviremo della seconda per integrare la prima. Il sogno si potrebbe intitolare: Un misterioso convito, Don Bosco parlò press'a poco in questo modo:

 

                Prima di tutto dovete sapere che i sogni si fanno dormendo. Io mi sognavo di trovarmi qui in San Benigno (cosa strana, perchè si sogna quasi sempre di trovarsi in luoghi e circostanze diverse da quelle che presentemente sono in realtà) e precisamente di trovarmi in una gran sala, come sarebbe il nostro refettorio di qui, anzi più grande ancora.

                Questa sala molto grande era tutta illuminata ed io pensava tra me: - Che Don Barberis abbia fatta questo proposito? Ma dove avrà potuto prendere tanti denari?

                Là vi erano molti giovani a pranzo seduti intorno alle mense. Ma non mangiavano. Quando entrai io in compagnia di un altro, essi presero del pane in atto di chi è per dar principio al suo pasto.

                La sala era elegantemente illuminata, ma di una luce che non lasciava vedere di dove venisse. Le posate, le tovaglie, le salviette erano così bianche che le nostre più candide, messe vicino a quelle, sembrerebbero sucide. Posate, bicchieri, bottiglie, piatti erano tutti così lucenti e belli, che io sospettai di sognare e diceva tra me: - Ma io sogno! Mai più in S. Benigno tante ricchezze! Pure sono qui e non sogno. - [553]

                Intanto osservavo quei giovani che stavano là, ma non mangiavano. Domandai: - Che cosa fanno lì, elle non mangiano? - Mentre diceva questo, tutti si misero a mangiare.

                Io guardava e vedeva tanti giovani delle nostre case e molti di quelli che sono qui a fare gli esercizi. Non sapeva che dirmi e domandava al mio compagno che mi dicesse che cosa significasse tutto quello, ed egli mi rispose: - Sta attento un momento e capirai tutto il mistero.

                Mentr'egli proferiva queste parole, si cambiò la luce che vi era prima, ne comparve un'altra più risplendente ancora, e mentre facevo per appressarmi a veder meglio, eccomi comparire una schiera di venustissimi giovanetti come angeli, che tenevano in mano un giglio, e si misero a passeggiare sopra la tavola senza toccarla coi piedi. I commensali si alzarono e col sorriso sulle labbra stavano osservando. Quegli angeli distribuivano gigli qua e là e coloro che li ricevevano si sollevavano anch'essi da terra, come se fossero spiriti. Osservando quali erano i giovani che ricevevano i gigli; io li conosceva; ma apparivano così belli e risplendenti, che non mi sarei immaginato di trovare di meglio in paradiso. Domandai che cosa significassero quei giovani che portavano il giglio; mi fu risposto: - Non hai predicato tante volte la bella virtù della purità?

                - Sì, diss'io; la predicai e la insinuai tanto nel cuore dei miei giovani.

                - Ebbene, ripigliò il mio compagno, quelli a cui vedi il giglio in mano sono appunto coloro che seppero conservarla.

                Non sapeva proprio che dirmi. Standomi tutto meravigliato, vidi comparire nuovamente un'altra schiera di giovani che passeggiavano sulla tavola senza toccarla e avevano in mano tante rose e le andavano distribuendo; e chi le riceveva acquistava in quel momento e riteneva poi uno splendore bellissimo in volto.

                Domandai al mio compagno che cosa volesse significare quest'altra schiera di giovani che avevano le rose; ed egli mi rispose: - Sono quelli infiammati d'amore di Dio. - Vidi allora che tutti avevano sulla fronte a caratteri d'oro scritto il proprio nome, e mi feci più dappresso per poterli veder meglio, e anzi feci per prender nota dei loro nomi, ma essi ad un tratto sparirono tutti.

                Con loro scomparve pure la luce, sicchè io rimasi all'oscuro, in un'oscurità però nella quale ci si poteva vedere ancora alquanto. Vedevo facce rosse quasi di fuoco, ed erano di coloro che non avevano ricevuto nè il giglio nè la rosa. Vidi pure alcuni che si affaticavano attorno a una corda limacciosa pendente dall'alto e si sforzavano di arrampicarvisi e andare in alto; ma la corda cedeva sempre e veniva giù un poco, di modo che quei poverini erano sempre a terra con le mani e la persona infangate.

                Stranamente maravigliato di vedere in quella sala un simile giuoco, [554] domandai con insistenza che cosa mai volesse significare quello che io vedeva. Mi fu risposto:- La corda è, come tu predicasti, la confessione, corda alla quale chi sa bene attaccarsi arriverà certamente al cielo: e questi sono appunto quei giovani che vanno ancora sovente a confessarsi e si attaccano a questa corda per potersi innalzare; ma si attaccano alla corda cioè vanno a confessarsi senza tutte le disposizioni necessarie, con poco dolore e poco proponimento, e perciò non possono arrampicarsi; quella corda si rompe sempre e non possono mai innalzarsi, ma scivolano giù e sono sempre allo stesso piano.

                Io voleva prendere il nome anche di quelli, ma ebbi appena il tempo di scriverne due o tre, che essi sparirono dai miei occhi. Con essi sparì pure quel po' di luce ed io rimasi in una totale oscurità.

                In mezzo a quella oscurità vidi uno spettacolo ancor più desolante. Certi giovani di un aspetto tetro avevano attortigliato al collo un gran serpentaccio, che con la coda andava al cuore e sporgeva innanzi la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua, se mai aprisse le labbra. La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la loro bocca era torta ed essi erano in una posizione da mettere spavento.

                Tutto tremante domandai nuovamente che cosa mai volesse quello significare e mi fu detto: - Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegl'infelici per non lasciarli parlare in confessione e colle fauci avvelenate sta attento, se aprono la bocca per morderli. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza, tornano più e più volte a confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore.

                Allora dissi al mio compagno: affinchè io possa ricordarmi.

                - Su, su, scrivi, mi rispose.

                - Ma non c'è tempo, diceva io.

                - Su, su, scrivi.

                - Dammi i nomi di tutti costoro, affinchè io possa ricordarmi.

                Mi posi a iscrivere, ma n  e scrissi pochi, perchè sparirono tutti dai miei occhi. E il mio compagno mi disse:               - Va'; di' ai tuoi giovani che stiano attenti e conta loro quello che hai visto.

                - Dammi un segno, gli risposi, affinchè mi possa ben persuadere se questo è semplicemente un sogno oppure un avvertimento che il Signore vuol darmi per i miei giovani.

                - Bene, mi disse, sta' attento!

                Allora ricomparve la luce che cresceva sempre più e ricomparvero quei giovani che avevano il giglio e le rose. La luce cresceva ad ogni istante, sicchè potei osservare che quei giovani erano tutti contenti; una gioia d'angeli splendeva nel loro volto.

                Osservavo con una meraviglia indescrivibile e intanto la luce cresceva [555] sempre e crebbe tanto Che poi dette in una terribile detonazione. A quel fregore mi svegliai e mi trovai nel mio letto tanto stanco che ancora adesso mi risento di quella stanchezza.

                Ora voi date a questo sogno quella fede che si può dare ai sogni; per me intanto vi dirò che mi pare esservi anche del vero. Ieri sera e quest'oggi ho voluto fare degli esperimenti e indagando ho trovato che il mio sogno non era tutto un sogno e che soltanto una misericordia straordinaria del Signore può salvare certi disgraziati.

 

* *

*

 

                Stanno bene qui due salutari avvertimenti rivolti a preti per ritrarli da fatue vanità mondane e da certa dannosa ostinatezza nel fare a proprio modo; li rivolse però in forma un po' originale, felicissimo com'era nel trovare motti di spirito atti a correggere.

                Un giorno del 1880 sedeva alla mensa di un signor M. nella sua villeggiatura di Moncalieri fra molti invitati. I più di questi per onorare l'anfitrione avevano al petto le loro decorazioni cavalleresche; anche alcuni preti si fregiavano di simili croci. Arrivati al punto in cui la conversazione cominciava a farsi viva, Don Bosco uscì a dire: - Bella figura che faccio io qui senza titoli! Non sono commendatore, non sono cavaliere, non sono professore, non ho neppure la patente di prima mignin [prima elementare inferiore]. Quando mi presenterò a San Pietro, egli mi dirà: Come? Valeva la spesa vivere tanto senza ottenere una patente, una croce? Va', va' via! E mi darà le chiavi sul muso.

                Tutti ridevano anche per il modo con cui proferiva queste parole. Poi la signora disse: Lei non ha nulla, perchè non ha voluto accettare nulla. I convitati fecero silenzio. Come? le rispose egli. Io non voler accettare nulla?... Provi un po' lei a darmi qualche migliaio di lire per i miei poveri giovani, e vedrà se non voglio accettare nulla! - La signora imbarazzata a una conclusione così improvvisa, cercava di cavarsela in qualche maniera, ma senza trovar [556] parole che avessero senso; allora Don Bosco la rimorchiò, cambiando bellamente discorso.

                Qui egli aveva dato una lezione alla vanità specialmente dei preti; altrove, sempre a tavola, la lezione fu d'altro genere. In novembre erasi recato a fare la predica dei morti nella parrocchia di San Martino Tànaro. Il parroco, uomo conosciuto per l'ostinatezza nelle sue idee, aveva fondato una piccola congregazione religiosa femminile, impiegando un capitale di dodicimila lire ed esigendo da ogni postulante lire mille di dote, la qual somma egli assicurava con un'ipoteca, qualora non venisse subito sborsata. In quel giorno aveva invitato a pranzo parecchi preti. Comparve in tavola un bel tacchino. Don Bosco prese per sè solamente la testa e battendola col coltello diceva: - Oh che testa dura, che testa dura! - Il parroco gli porse nuovamente il piatto, perchè si servisse meglio. - Lasci che compia il mio affare, rispose egli. - E continuava a picchiare e a ripetere: - Oh che testa dura! - Finalmente riuscì a spezzare l'osso. Chi avrebbe detto, esclamò allora, che in una testa Cosi dura vi fosse così poco cervello! -I vicini che l'udirono, intesero molto bene che la lezione era per il parroco; ma questi sembrò non badarvi punto. Certo è che la sua fine dimostrò quanto avesse bisogno di una lezione somigliante. Infatti, morto nel 1890, lasciò un testamento così poco giudizioso, che il municipio, pur riconoscendone le benemerenze a pro del paese, non ardì nemmeno decretargli una lapide commemorativa, come, taluno aveva proposto.

 

 

CAPO XXIII. Attraverso la corrispondenza.

 

                LE lettere di Don Bosco pubblicate sono assai meno numerose di quelle che o andarono distrutte o giacciono nell'oblio. Gli uscivano dalla penna con grande rapidità, come generalmente si scorge anche dalla negletta scrittura; perciò hanno il pregio della schietta spontaneità. In esse non lo abbandona mai quella padronanza di sè e quella calma imperturbabile che si manifestava in tutta la sua vita esteriore. Chi ne legge parecchie, si sente penetrare nell'animo una speciale disposizione a pensieri pacifici. Lo spirito di Dio che vive nei Santi, ne guida la penna non meno che la lingua.

                Apriremo la serie contenuta nel piccolo epistolario di questo capo con

 

TRE LETTERE PATERNE.

 

                Una è indirizzata al Direttore di Varazze. Si vede che questi era impaziente di ricevere da lui risposta ad altra sua. La forma porta i segni manifesti della fretta che lo incalzava.

 

                Car.mo D. Monateri,

 

                Bisogna propriamente rispondere quando si può, e tu abbi pazienza. Dirò dunque:

                I° Al nostro buon amico futuro parroco di Varazze non posso [558] per ora accordare altro prete, se non quell'aiuto che i nostri preti del collegio potranno adoperarsi per venirgli in aiuto, e ciò faranno certamente nei limiti del possibile.

                2° Il giovane Fassio della 5ª abbia la bontà di ripetere la lettera, perchè la sua, che parmi avere ricevuto, non posso trovarla nel mare magnum di queste carte.

                3° Di tutto buon cuore benedico e prego pel giovanetto Corazzale Cirillo e pel suo fratellino da tre anni infermo.

                4° Prego Dio che ti dia sanità, scienza e santità da governare bene i tuoi fringuelli e farne altrettanti S. Luigi, ed intrepidi Salesiani.

                Dio ti benedica, o sempre caro D. Monateri, e con te benedica tutti i nostri cari confratelli ed allievi e pregate anche per me che sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 8-6-80.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                Le altre due lettere andarono al Direttore del collegio Manfredini di Este. Con la prima il Beato rispondeva agli auguri per l'onomastico. Vi accluse un foglio contenente un elenco di lavori da eseguirsi nella chiesa di San Giovanni Evangelista, perchè egli trovasse chi si volesse assumere le spese di qualcuno.

 

                Car.mo D. Tamietti,

 

                Ho ricevuto augurii e saluti da te e da' tuoi. Ne fui contento. Vi ringrazio tutti di cuore. Ti affido un foglio stampato. Leggi e cerca almeno uno che voglia assumersi qualcuno di tali lavori.

                Fa' particolari saluti ai nostri amici, ai confratelli, agli allievi. Dio vi benedica; e prega per me che vi sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 9-7-1880.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Se D. Gallo è ancora tra i vivi, salutalo caramente da parte mia.

 

                Gli esercizi spirituali delle vacanze erano aspettati da Don Bosco per rivedere i suoi figli ed erano sospirati dai Salesiani per riavere la consolazione di confessarsi da Don Bosco e di conferire con lui. [559]

 

                D. Tamietti Car.mo,

 

                Fa' in modo che Berra non faccia spropositi. Venga agli esercizi, tratteremo tutto e faremo quanto sarà bene per lui.

                Una lettera pel Sig. Cav. Pelà. Dio vi benedica tutti: a rivederci. Pregate per me che vi sono in G.C.

 

                Torino, 25 Agosto 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco

 

                P. S. Tua sorella suora a Nizza Monferrato ti manda suoi saluti chiede tue notizie, sta bene e fa molto bene.

 

                Un gruppo di sei lettere ci mette a conoscenza di cune cose fatte da Don Bosco

 

PER LA CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA.

 

                La chiesa di San Giovanni Evangelista faceva ormai bella mostra di sè sul corso Vittorio Emanuele II in Torino; ma nell'interno troppe cose restavano a fare. Abbiamo potuto mettere insieme questo gruppetto di documenti, i quali dimostrano come il Servo di Dio s'ingegnasse a tutto potere per procacciarsi i mezzi necessari. Sono lettere in cui si ammira la franca semplicità dei Santi nel sollecitare per le loro imprese il caritatevole concorso delle persone facoltose. Al barone Ceriana, che aveva collocato la pietra angolare, ricordava bellamente una mezza promessa fattagli nel 1878[381]. Egli non fu sordo all'invito.

 

                Benemerito Sig. Gius. Ceriana,

 

                L'anno passato io mi faceva ardito d'invitare la S. V. B. a fare qualche lavoro speciale che avesse ricordato la famiglia di colui che aveva collocata la pietra angolare. Ed Ella mi lasciava qualche speranza di assumersi il grandioso altare maggiore, che è doppio e la balaustra che gira attorno al presbitero. Ora la spesa venne assai modificata, perciocchè i capi marmorini per avere ciascuno la gloria di [560] quei publici lavori, da quattordici mila franchi la ridussero ad otto mila. Cioè 5000 i due altari e 3000 per la balaustra.

                Ora se la sua carità giudicasse di assumersi uno o tutti due questi lavori, io le sarei riconoscentissimo e pregherei ben di cuore il Signor Iddio per Lei e per tutta la famiglia.

                I lavori dovrebbero deliberarsi adesso, ma la loro esecuzione ed il pagamento non sarebbe che al principio del 1881.

                Dio la benedica e la conservi in buona salute e mi creda con profonda gratitudine

                Di V. S. B.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Don Bosco aveva compilato e fatto stampare un elenco di lavori da compiersi nell'interno della chiesa e il relativo costo, premettendovi questa intestazione: “Lavori da eseguirsi nella Chiesa di S. Giovanni Evangelista, la spesa dei quali viene umilmente raccomandata ai caritatevoli Cattolici e specialmente ai Signori Cooperatori Salesiani ed alle Signore Cooperatrici, a Memoria del grande Pontefice Pio IX[382]”. A certe persone inviava egli stesso il foglio con una sua lettera. Così fece coll'avvocato Carlo Comaschi di Milano, la cui venerazione per il Servo di Dio è nota ai lettori[383].

 

                Car.mo Sig. Avv. Cav. Comaschi.

 

                L'Apostolo della Carità, il discepolo prediletto del Divin Salvatore va in cerca di chi aiuti a fabbricare l'edifizio a gloria di Dio cominciato. A suo nome io raccomando alla carità di V. S. qualcuno dei lavori notati nel foglio unito. Egli dal cielo non mancherà di proteggere Lei e tutta la sua famiglia, ed io coi miei cari giovanetti innalzeremo ogni giorno speciali preghiere al Datore di ogni bene perchè conservi [561] Lei, la Signora moglie e il figlio Alfonso in buona salute e nella sua santa grazia lo ho sempre un grande piacere quando posso professarmi con particolare stima ed amicizia

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 27 Giugno 1880.

Aff.mo amico in G.C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il caritatevole Signore aderì al desiderio di Don Bosco, che ne lo ringraziò con quest'altra affettuosa letterina.

 

                Car.mo Signor Cavaliere,

 

                Va tutto bene. La ringrazio della graziosa offerta che si compiace di fissare per la Chiesa di S. Giovanni E.

                Ma venendo a Torino, faccia capo da noi, e mi prevenga con un solo biglietto di visita, affinchè non si rinnovi il mio rincrescimento di trovarmi fuori di casa in tale circostanza.

                Vedrò anche Alfonso con gran piacere.

                Dio benedica Lei, o caro Signor Avvocato, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, e mi creda con fraterna affezione

                Di V. S. car.ma

 

                Torino, 17 Luglio 80.

Aff.mo amico

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Rammentino i lettori quell'Alfonso Fortis che fu a un pelo di seguire l'esempio del conte Cays[384] e che, come abbiamo veduto, perdette in aprile il padre. Anche a lui propose di concorrere con far le spese di qualche lavoro.

 

                Mio caro Alfonso,

 

                Io spero che nel perfetto riposo di Crabia la tua sanità abbia notabilmente migliorato, e che tutti quei di casa, Riccardo e Maman godiate benessere di salute, siccome ho chiesto e continuo a chiedere al Signore. Se però mi dai delle notizie particolari, mi fai veramente piacere.

                La Chiesa di S. Giovanni incontra qualche difficoltà per mancanza di mezzi, ed io desidererei che ci fosse un aiuto speciale da parte della vostra famiglia, assumendovi di far eseguire qualcuno dei capi di lavori [562] notati nel foglio che qui unisco. Se si giudica bene, io metterei volentieri inciso: LA FAMIGLIA FORTIS, od altro che meglio vi piacerà. Parlane adunque colla Sig.ra Maman e Riccardo, e se il progetto piace, me ne darai cenno; in contrario mi condonerete il disturbo.

                Dio ti benedica, o sempre caro mio Alfonso, e con te benedica tutta la vostra famiglia; che Dio vi conservi lunghi anni in buona salute, e pregate per me che vi sarò sempre in N. S. G. C.

 

                Torino, 29-6-80.

 

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Trovandosi a San Benigno in agosto, mandò il solito foglio con un suo scritto a due persone di quelle vicinanze. Anzitutto a un signor Cena, che doveva essere un Cooperatore di Montanaro, comune non lontano da San Benigno.

 

                Stimabilissimo Sig. Cena,

 

                Mi manca il tempo per andarla a riverire personalmente, ma non voglio partire senza assicurarla che mi è molto rincresciuta la disgrazia che le avvenne qualche tempo fa. Le assicuro che ho pregato e continuerò a pregare il Signore che le ritorni la primiera sanità.

                In questa medesima occasione le raccomando un'opera di carità che sarà certamente da Dio ricompensata. Prenda in considerazione qualcuno dei lavori che rimangono a compiersi nella Chiesa di S. Giovanni, secondo il foglio che qui le unisco.

                Dio la benedica, o caritatevole e benemerito cooperatore salesiano, Dio le conceda il prezioso dono della sanità e la conservi nella sua santa grazia. Compatisca la confidenza con cui scrivo, e voglia pregare eziandio per me che le sarò sempre in G. C.

                S. Benigno, 13 Agosto 1880.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Umili rispetti alla pia di Lei moglie con augurio di buona salute e di celesti benedizioni.

 

                Con la medesima data e per il medesimo scopo scrisse una Signora Merlini di Volpiano, altro comune vicino.

 

                Preg.ma Signora Merlini,

 

                Ieri sera Ella venne a chiedere di me in tempo che io ascoltava le confessioni, e mi rincresce, perciocchè le avrei parlato di qualche affare concernente alla maggior gloria di Dio. [563] So che Ella fa molte opere buone ed è per questo che io le raccomando di venirmi in aiuto per continuare i lavori per la Chiesa di San Giovanni secondo il foglio che le unisco. Se però non potesse concorrere, io non mancherà di pregare ugualmente per Lei e per la sua sanità.

                Dio la benedica e la conservi nella sua santa grazia e preghi per me che le sarò sempre in G. C.

 

                S. Benigno, 13 Agosto 1880.

 

Umile servit.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Anche per aver modo d'intercalare qualche notizia, che non troverebbe luogo acconcio altrove, faremo ora seguire un mazzetto di

 

LETTERE VARIE.

 

                La prima di esse è indirizzata a Don Eugenio Bianchi.

                Don Bianchi venne a farsi Salesiano nel quart'anno del suo sacerdozio. Era allora Viceparroco a Verucchio, lo storico nido dei Malatesta, nella diocesi di Rimini. Questa lettera non dovette essere da lui considerata come definitiva circa la sua vocazione; poichè egli ci narrava d'avere in quel settembre intrapreso un viaggio per alcune principali città d'Italia, usando di un biglietto ferroviario circolare. Definitivo invece fu il suo colloquio con Don Bosco, allorchè passò per Torino; infatti, appena udito il Servo di Dio, abbandonò, mezzo l'idea del viaggio e andò a Lanzo per gli esercizi spirituali, al cui termine la sua risoluzione di stare con Don Bosco divenne irrevocabile. Nell'ottobre, fatta una breve corsa in famiglia, cominciò il suo noviziato a San Benigno.

 

                Carissimo in N. S. G. C.,

 

                Da mio canto sono sempre lieto quando posso aggiungere qualche valente guerriero alle umili file dei Salesiani. Venga dunque; ma come Ella ben dice, venga a passare con noi qualche settimana. A tale scopo Ella può venire ad una muta di esercizi spirituali che avranno luogo in Lanzo dal 9 al 16 settembre prossimo. Se quest'epoca non è opportuna lo dica e le fisserò altro tempo ed altra muta di esercizi. Prima, mentre e dopo di essi ci parleremo e tratteremo quanto tornerà a maggior gloria di Dio. [564] L'attendo con gran piacere e nel raccomandarmi alla carità delle sue sante preghiere ho la consolazione di professarmi ora e sempre

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Nel partire da Rimini aggiusti le cose sue da poter essere assente qualche tempo ove ciò occorresse.

 

                Don Bianchi, dopo essere stato per quattro anni il maggiore aiutante di Don Barberis nella cura e formazione dei novizi, fu da Don Bosco designato direttore e, maestro del noviziato di Foglizzo, dov'eransi trasferiti gli ascritti chierici. Trascorsi undici anni in quell'ufficio, le sue condizioni di salute obbligarono i Superiori ad assegnargli mansioni meno faticose, finchè fissò la sua dimora nella scuola agricola di Bèitgemal in Palestina, dedicandovi diciannove anni di sollecitudini intense, prima come direttore e poi come confessore. Cessò di vivere nel 1931. Già salesiano nell'anima prima di appartenere alla Congregazione, si mise senza riserva nelle mani di Don Bosco e del suo degno interprete Don Barberis. Sotto membra atletiche aveva le amabilità di un amico e di un padre santamente affettuoso. Egli fu uno di coloro che, venuti adulti alla scuola del Beato, dimostrarono col fatto quanto lo spirito di lui fosse nella sua semplicità efficace in condurre a santità chi docilmente vi si affidava.

                Quest'altra lettera è per il chierico Luigi Cartier. Nel settembre del 1880 il Cartier si trovava a San Giovanni di Moriana (Maurienne) in Savoia, sua patria. Il vescovo mons. Rosset, saputo che egli era minorista, fece le meraviglie, che non si fossero chieste a lui le dimissorie per le ordinazioni; ma egli ignorava che eransi fatte le cose in piena regola. Dopo le spiegazioni di Don Bosco non ebbe più nulla a ridire.

 

                Mio carissimo Cartier,

 

                Sta pure tranquillo sulle tue Ordinazioni e sul Vescovo che ti ha ordinato. La nostra congregazione definitivamente approvata con facoltà di presentare i suoi membri alle sacre ordinazioni, non ha più [565] bisogno delle Dimissorie dei Vescovi a cui appartenessero o per origine o per altro titolo canonico. Fa buone vacanze, ma non dimenticare che tu devi essere ovunque salesiano; vale a dire: Sale nei discorsi e luce colle buone opere. Saluta da parte mia i tuoi parenti e il tuo Sig. Curato e raccomandandomi alle tue preghiere abbimi in G C.

 

                Torino, 17 Settembre 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Ricordati del tuo ritorno spirato che sia il tempo.

 

                Il marchese Landi di Piacenza, a cui va la terza lettera, teneva a disposizione di Don Bosco una discreta somma che si proponeva di consegnargli personalmente in un suo ritorno a Torino; poichè c'era già stato in settembre, ma senza trovarvi il Beato, che doveva essere a Lanzo per il Capitolo Generale o fors'anche a Sampierdarena per gli esercizi dei confratelli. La lettera è senza data; dev’essere dell'ottobre[385].

 

                Mio carissimo Sig. Marchese,

 

                Ella ebbe la bontà di venire fino a Valdocco per portarmi quattrini, e niuno me ne diè cenno, che io avrei sospeso ogni occupazione per riverirla come ben si meritava e si merita. Io attenderei fino all'autunno inoltrato che Ella venisse a Torino, ma poichè Ella ha già in pronto la elemosina, e d'altro lato noi trovandoci in bisogno non ordinario, così accetto la parte più avvantaggiosa della sua proposta.

                Pertanto Ella può mandare al mio indirizzo con lettera raccomandata, la somma in discorso, e credo che mi perverrà con sicurezza qui a Lanzo Torinese, dove mi trattengo fino al sedici del corrente mese.

                Ella mi dice di pregare per Lei e per la sua famiglia; sì, o caro Signor Marchese, lo fo di tutto buon grado e l'assicuro che da molti anni fo ogni mattino, un memento speciale per Lei e per tutta la sua famiglia. Sono intimamente persuaso che Ella pure pregherà per me e per tutta la mia armata elle nelle sue file conta già oltre a 60.000 combattenti, tutti valenti e intrepidi distruggitori di pagnottelle.

                Dio ci benedica tutti e ci confermi nel suo santo servizio colli grazia di ben vivere e ben morire.

                Le sono di tutto cuore in N. S. G.

 

Umilissimo Servo

Sac. Gio. Bosco. [566]

 

                Facciamo posto anche ad una lettera che Don Bosco dettò al segretario per il cavaliere Carlo Fava, limitandosi egli ad apporvi la sua firma. Gli mandava insieme un grazioso presente nel suo onomastico.

 

                               AI caritatevole Signore Cav. Carlo Fava

                                               nel suo giorno onomastico,

 

                Viva S. Carlo e chi ne porta il nome.

                Dimani mi farò dovere di celebrare la Santa Messa per Lei e per tutta la sua famiglia. I nostri giovani faranno preghiere e la santa Comunione all'altare di Maria SS. Ausiliatrice, chiedendo la grazia che m sua casa regni sempre la sanità, la pace, la concordia.

                Ella riceve molte lettere cui non potrà tosto rispondere; voglia gradire un portalettere ove riporle per conservarle.

                Viva S. Carlo e chi ne porta il nome; e mi creda in N. S. G. C.

 

                Torino, 3 Novembre 1880.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il munifico signore gli rispose sul medesimo tono: “Viva Don Bosco ed i suoi moltissimi amici, tra i quali io credo potermi dare il vanto di essere annoverato, se considero il gentilissimo tratto di cortesia usatomi col pregiato dono ricevuto nel giorno mio onomastico. Io conserverò il magnifico portalettere quale prezioso attestato della di Lei bontà a mio riguardo e mi è caro lo esprimerle la mia sincera gratitudine coi distintissimi miei ringraziamenti. Mia moglie sii associa a questi sentimenti e meco si unisce nel porgerle vivissime azioni di grazie per le efficaci sue preghiere in pro della nostra famiglia e per raccomandarci sempre alla sua buona memoria nella santa Messa. Accolga benignamente i nostri ossequiosi saluti”. A degno di nota come i più insigni benefattori, a cui Don Bosco non dava tregua con richieste dirette o indirette, non che sentirsi importunati dalle sue insistenze, moltiplicassero anzi i segni della loro affettuosa devozione verso di lui. Questo nasceva senza dubbie dal forte convincimento di aver da fare con un gran Servo di Dio.

                Rispetto a finanze si versava in cattive acque all'Oratorio [567]. Ci commuove questo appello alla solidarietà, perchè si venga in aiuto alla Casa Madre nelle sue gravi strettezze. I mezzi suggeriti non potrebbero essere più semplici e praticamente facili. Anche ben scelto è il tempo natalizio. É questa una circolare ai Direttori.

 

                Car.mo D....

 

                Quando una madre trovasi in grande necessità, rivolgesi tosto fiduciosa per aiuto a' propri figli.

                Quest'è appunto la condizione in cui attualmente si trova questa nostra povera casa Madre. Le grandi spese che abbiamo tra mano in questa città, a Bordighera, a Spezia, a Roma ed altrove; l'imminente spedizione di Missionari che si sta preparando, la sussistenza di varie case nuove a carico di questa (fra le altre quella di S. Benigno) hanno ridotto la povera Casa Madre in gravissime strettezze. Abbiamo per conseguente creduto opportuno non solo, ma necessario, interessare l'industriosa carità di ciascun Direttore di adoperarsi a venirci in aiuto.

                I) Con differire per alcuni mesi tutte le spese e quei lavori che non siano strettamente necessari.

                2) Effettuare le esazioni e raccogliere con diligenza qualsiasi piccola somma relativa a' nostri interessi.

                3) Raccomandarci umilmente ma caldamente ai Cooperatori Salesiani e ad altri nostri benefattori che vogliano venirci in aiuto o con oblazioni oppure con questue da loro promesse.

                Appena si possa avere danaro disponibile procura tosto di mandarcelo.

                Intanto preghiamo che il Signore largamente provvido con tutti, lo sia pure verso di noi.

                I Preti a tale scopo facciano un memento nella santa Messa e gli altri confratelli ed allievi offrano a Dio frequenti Comunioni.

                Dio ci benedica e ci conservi nella sua santa grazia.

                Credimi sempre in G. C.

 

                Oratorio-Torino, 21-12-1880.

Aff.mo amico

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Al Direttore di Marsiglia, che invocava aumento di personale, Don Bosco aveva mandato di recente Don Emanuele Casari, destinandoglielo a prefetto; per altri bisogni si riserbava di provvedere in una sua prossima visita. Intanto gli premeva prepararsi fin d'allora per la conferenza ai Cooperatori [568] marsigliesi; onde la richiesta di dati che gli fornissero poi materia opportuna.

 

                Caro D. Bologna,

 

                Ho ricevuto le tue lettere, quelle di Lassepas e di altri miei cari figli del nostro Oratorio di S. Leone. Ne li ringrazierai e li saluterai da parte mia e farò poi a tutti personalmente la dovuta risposta.

                Credo che a quest'ora Casari sarà già al suo posto. Si abbia pazienza sino al mio arrivo ed allora aggiusteremo tutto.

                Al giorno 22 partiranno i nostri missionari da Genova per l'America. Dopo io monterò sul battello della ferrovia e farò vela verso Marsiglia. Saprò poi dirti il giorno del mio arrivo che probabilmente sarà ai primi giorni di febbraio.

                Ho bisogno che tu mi faccia una relazione dello stato del Collegio cioè:

                I) Dei lavori fatti e a quale uso siano destinate le singole parti già compiute.

                2) Numero dei giovani interni, esterni, risultati ottenuti.

                3) Lavori a compiersi nell'ala destra della casa e quale spesa presso a poco vi si richieda.

                4) Mi dirai debiti e crediti (ne hai molti?), opera dei Comitati, loro servizio, tutti i fatti particolari che possono servire ad una esposizione che io desidero di fare nella Conferenza dei Cooperatori che spero avrà luogo pochi giorni dopo al mio arrivo. Manda pure il tuo scritto in lingua francese perchè meglio mi gioverà allo scopo.

                Occorrendo l'opportunità farai i miei auguri a Mad. Jacques, a Mad. Prat, a Mad. Brouquier etc.

                Dio benedica te, o caro D. Bologna, e benedica tutti i nostri cari figliuoli, ai quali tutti prego dal Signore sanità perfetta e la santa grazia colla perseveranza nel bene.

                Raccomando a tutti una santa Comunione secondo la mia intenzione, ed io sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 23 Dic, 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Taulaígo sta bene? Comincia a fare miracoli?

 

 

                Si ponga mente a questo laconico poscritto, riflettendo, per valutarne la portata, che il povero nominato era cagione di non lievi fastidi nella casa, e Don Bosco lo sapeva.

                Mandò con quest'altro scritto un paterno consiglio a Don Domenico Griglia, Priore di Bagnasco nella diocesi di Mondovì. [569]

 

                Carissimo Sig. Prevosto,

 

                Comprendo benissimo la sua posizione. Per essere tranquillo ora e sempre si rimetta pienamente alle disposizioni del suo Superiore Ecclesiastico. Se esso consiglia V. S. a continuare nel suo attuale Ministero, lo faccia.

                Non mancherò di raccomandarla al Signore ed Ella preghi anche per me che Le sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 30 Dic. 1880.

 

Suo buon amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Nè dimenticherò di pregare per la sua Madre.

 

                Modello di prudenza nello scrivere, essendovi sempre pericolo che gli scritti cadano in mani estranee, egli non metteva mai in carta cose che, indebitamente conosciute, potessero nuocere alla buona riputazione di coloro, ai quali o dei quali scriveva. Queste caute reticenze qui sopra e altrove egli le osserva senza dire, talora invece ne fa espressa menzione, come nella lettera che segue, indirizzata a Varzo, nel circondario di Domodossola.

 

                Mio caro Giorgio Borello,

 

                Non posso affidare alla carta la vera risposta alla tua lettera. Se però richiami alla mente quello che ti ho detto verbalmente potrai aver qualche norma per deliberare.

                Ti consiglierei per altro di palesare il tuo cuore al confessore e seguire il consiglio che egli ti darà.

                Dio ti benedica, o mio caro Borello, e prega per me che ti sarò sempre in G C.

 

                Lanzo Torinese, 7 Settembre 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

CAPO XXIV. La chiesa dei Sacro Cuore di Gesù in Roma.

 

                NON c’è fondatore o fondatrice di Ordine, Congregazione o istituto religioso, che non abbia anelato di portare le tende a Roma. Un impulso divino li sospingeva per differenti vie verso il centro dell'unità, dell'autorità e del magistero, quasi ad attingere limpide nella fonte quelle acque di vita che per tanti rivi essi prendevano a diramare nel mondo. Da molti anni, e prima ancora che le Regole fossero approvate dalla Chiesa, anche Don Bosco vagheggiava il disegno di una sua fondazione nella città dei Papi; ma tutti i tentativi tornarono in nulla fino al 1880, quando finalmente nel modo più inatteso quel sogno così a lungo carezzato accennò a tradursi in realtà; una realtà invero che costò al Beato sette anni di presso chè ininterrotti patemi morali e fisici, ma che in ultimo gli meritò le benedizioni di Dio e l'ammirazione degli uomini. Narreremo in questo capo le circostanze che precedettero e accompagnarono il principiare della chiesa e dell'ospizio che presero il nome dal Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio[386]. [571] Il piano edilizio escogitato da monsignor De Mérode, ministro di Pio IX, portava a uno sviluppo della città nei quartieri alti, specialmente in quello del Castro Pretorio. Che tale orientamento fosse stato ben previsto e ben preparato, lo prova il fatto che dopo il 20 settembre 1870 la espansione da quella parte non che arrestarsi s'accelerò, sicchè parve sorgere ivi quasi una nuova città. Ma nell'allargarsi crescente dell'abitato a tutto si pensava allora fuorchè all'assistenza spirituale di una popolazione avventizia che ognor più si addensava nell'ampia zona. Vi pensò il tribolato Pontefice Pio IX, il quale, benchè esausto di mezzi dopo la perdita dei propri Stati, non cessava di sopperire ai bisogni religiosi della sua Roma.

                L'8 dicembre 1870 egli aveva glorificato San Giuseppe proclamandolo Patrono della Chiesa universale, nè andò guari che acquistò a proprie spese un tratto di terreno là sull'Esquilino con l'intenzione di erigervi una chiesa da dedicarsi al grande Patriarca. Ma di lì a poco mutò divisamento. Nel 1871 i Vescovi d'Italia fecero a gara per consacrare solennemente le loro diocesi al Cuore adorabile di Gesù; donde nacque a Roma l'idea che nella città del Vicario di Cristo avesse a sorgere un grande santuario dedicato al divin Cuore, donde, come da focolare perenne, nuovo calore di pietà s'irradiasse dall'urbe nell'orbe. Banditore della proposta fu il padre Maresca barnabita, che dirigeva il Messaggero del Cuor di Gesù. Ecco perchè l'angelico Pio IX dispose che sulla detta area non più a San Giuseppe, ma al Sacro Cuore di Gesù s'innalzasse il tempio divisato, mostrandosi ben lieto che da quel punto più alto della città eterna il Cuore adorabile del Redentore come da un gran trono benedicesse quasi al mondo intero.

                Ma le cose purtroppo andavano in lungo, sicchè, mentre il nuovo centro s'ingrandiva per ogni verso, le parrocchie limitrofe di Santa Maria degli Angeli, di San Bernardo, di Santa Maria Maggiore e di San Lorenzo fuori le Mura non [572] bastavano più alla cura di tante anime. Vi rimediava come poteva quel sant'uomo che fu il francescano padre Lodovico da Casoria, coadiuvato da giovani laici dell'Azione Cattolica, fra cui primeggiava l'avvocato Pericoli; un'umile cappella aperta in un edifizio poco più là dal sito dell'erigenda chiesa provvedeva alle esigenze del culto. La morte intanto rapì il grande Pio IX senza che null'altro ancora si fosse fatto per attuare il suo disegno.

                L'assunzione di Leone XIII al seggio pontificale segnò il vero cominciamento dell'impresa. Egli che, Vescovo di Perugia, era stato uno dei primi a consacrare la sua diocesi al Sacro Cuore, presa conoscenza delle intenzioni di Pio IX, ne caldeggiò a tutto potere l'esecuzione. Fin dal I° agosto del 1878 per mezzo del suo Vicario cardinale Monaco La Valletta con una lettera latina indirizzata a tutti i Vescovi dell'orbe cattolico, eccettochè ai francesi già impegnati nell'erezione della Basilica di Montmartre, fece loro invito di concorrere mediante collette locali alla grandiosa impresa. La raccolta delle pie oblazioni era affidata alla Federazione Piana delle Società Cattoliche di Roma; una Commissione, nominata dal Cardinale fra il Patriziato romano e presieduta dal marchese Giulio Merighi, doveva invigilare all'andamento dei lavori.

                Questi lavori s'intrapresero subito con alacrità. S'incominciò dallo sterramento per rimuovere un monticello che ingombrava l'area, elevandosi alcuni metri dal piano stradale; indi si pose mano allo scavo del terreno per le sostruzioni. Ma qui gli operai s'imbatterono in un grosso ostacolo, frequente nel sottosuolo romano; poichè apparvero tosto alti cunicoli o gallerie sotterranee, formate in tempi remoti per l'estrazione della pozzolana, che si adopera a Roma, come altrove la sabbia, nella calce. Questo, contrattempo fu causa che si dovesse discendere a quattordici metri di profondità per trovare lo strato su cui murare le fondamenta. La prima pietra vi potè essere calata, con la [573] benedizione del Cardinale, il 17 agosto 1879, giorno sacro a San Gioachino e onomastico del Papa.

                Il disegno della chiesa, in stile bramantesco, era stato steso dal conte Francesco Vespignani, architetto dei Sacri Palazzi, quando spuntò un curioso incidente dal Belgio[387]. La circolare inviata dal Cardinale Vicario all'Episcopato nel 1878 aveva richiamato l'attenzione della baronessa DeMonier, la quale si disponeva a offrire centomila franchi per la costruzione della basilica, a patto però che si adottasse un disegno dell'architetto suo connazionale barone De Béthune. Non basta: l'oblatrice nulla avrebbe donato per un sacro edifizio nello stile della rinascenza, volendo essa a Roma una chiesa gotica oppure romanica. Il cardinale Dechamps, arcivescovo di Malines, consentì a informarne il Cardinale Vicario.

                Certamente la condizione imposta creava serie difficoltà, massime per il fatto che già si stavano costruendo le fondamenta secondo il disegno del Vespignani; tuttavia il Cardinale Vicario pregò l'Eminentissimo Belga di mandargli il disegno proposto, non senza osservare che in Roma quei due stili non piacevano. Al che l'Arcivescovo di Malines nell'inviare il disegno replicava: “Roma, il centro del Cattolicismo, deve avere monumenti di tutte le grandi epoche della sua storia ed è certamente rincrescevole che accanto alle basiliche costantiniane e alle basiliche classiche della rinascenza nulla si veda di somigliante alle cattedrali di Colonia, di Amiens, di York, di Reims, di Westminster e a tante altre ammirabili chiese del mondo cattolico, senza dimenticar e la cattedrale di Milano. Questo esclusivismo fu una conseguenza, lo so, della storia, ma ecco che l'occasione si presenta di farla sparire”.

                In ogni modo il progetto del Béthune fu attentamente esaminato. “Al certo, riscrisse il Cardinale Vicario, dovendosi [574] erigere una chiesa di stile assolutamente gotico, assai opportuno sarebbe il progetto presentato; per altro qui in Roma per siffatti edifizi trova maggior favore lo stile classico. Inoltre compiendosi qui il lavoro nelle misure e forme prescritte, l'offerta di lire centomila, quantunque assai ragguardevole, non sarebbe sufficiente, secondo i calcoli fatti, a raggiungere lo scopo”. A sua volta il Vespignani, insigne rappresentante del classicismo romano, nella relazione al Cardinale Vicario scriveva: “In Roma, sede delle belle arti, non ha trovato mai favore lo stile assolutamente gotico come quello che trae origine dal barbaro e solamente è stato adottato ora nella costruzione degli attuali tempi evangelici”.

                Il padre Maresca la pensava diversamente; onde consigliò alla Baronessa d'indurre il cardinale Dechamps a trattarne col Papa. Ma Sua Eminenza se ne schermì, non credendo di poter aggiungere altro a quanto già aveva scritto a Roma. E così per una questione bizantina la vistosa offerta svanì. Noi siamo persuasi che l'ingegnosità. di Don Bosco avrebbe trovato la maniera, per dirla con una frase volgare, di salvare capra e cavoli; ma il suo nome allora non era per anco entrato in campo.

                Certo è che ben pochi al mondo possedettero come Don Bosco l'arte o meglio il dono di sapersi procacciare i necessari soccorsi per compiere tante e sì grandi opere di bene. Così ad esempio, per quel che riguarda l'iniziativa romana, essa, benchè lanciata così dall'alto e raccomandata da nomi di principesca risonanza, dopo le prime mosse si arenò completamente. La mancanza di danaro costrinse a sospendere i lavori, quando la costruzione era appena a fior di terra. Il Papa, che aveva già sulle braccia la monumentale fabbrica dell'abside di San Giovanni in Laterano e il grandioso lazzaretto di Santa Marta in Vaticano, ne rimase addoloratissimo, nè poteva rassegnarsi a quella specie d'insuccesso; ma la Provvidenza gli mandò in tempo una buona ispirazione. Dobbiamo questa notizia al racconto fattone alcuni [575] anni dopo dal cardinale Alimonda[388]. Un giorno Leone XIII, tenendo circolo con i Cardinali, manifestò loro tutta l'amarezza dell'animo suo per quella forzata sospensione. Ne andava di mezzo, diceva, la gloria di Dio, l'onore della Santa Sede e il bene spirituale di una popolazione tanto numerosa.

                - Santo Padre, prese a dire l'Alimonda, io proporrei un modo sicuro per riuscire nell'intento.

                - Quale? chiese il Papa non poco sorpreso.

                - Affidarla a Don Bosco.

                - Ma Don Bosco accetterà?

                - Santità, io conosco Don Bosco e la sua piena e illimitata devozione al Papa; quando Vostra Santità gliela proponga, sono certissimo che egli accetterà.

                Questo colloquio avveniva nel marzo del 1880, nei giorni cioè della presenza di Don Bosco a Roma; perciò Leone XIII diede incarico al suo Vicario di parlargliene. Sua Eminenza glie ne parlò la sera del 24, senza però manifestargli che c'entrava il desiderio del Papa; gliene riparlò con maggior insistenza il 28, ma sempre come di cosa sua. Don Bosco non disse nè sì nè no, tante e tali erano le difficoltà che gli si affacciavano alla mente, come si raccoglie da più testimonianze dei processi.

                Anzitutto le difficoltà di ordine finanziario. Dai Romani ben poco si aspettava, conoscendo anche per esperienza, come già glie ne aveva scritto il Cardinale Vicario[389], quanto allora fossero stretti di mano. Nè molto sperava dai Francesi, [576] in quel tempo tutti intenti alla loro grande chiesa nazionale del Sacro Cuore e a sostenere le scuole libere; d'altra parte egli aveva ragione di credere che essi, generosi sempre con lui finchè si trattasse di aiutarlo a mantenere i suoi giovanetti, non avrebbero preso interesse alla nuova chiesa di Roma. Nemmeno sull'Italia sembravagli di poter fare largo assegnamento, sia per le ruinose condizioni economiche del paese, sia per il soverchio delle pubbliche gravezze, sia per la necessità di soccorrere tante buone istituzioni locali richieste dalle nuove condizioni politiche dello Stato. Non ignorava poi il costo delle costruzioni a Roma, le quali importavano maggiori spese che non in qualunque altra città d'Italia. E non aveva già sulle spalle un bel numero di opere edilizie? Costruiva le due chiese di San Giovanni Evangelista a Torino e di Maria Ausiliatrice a Vallecrosia; fabbricava a Marsiglia, fabbricava a Nizza, fabbricava alla Spezia. Era prudente aggiungere ancora legna al fuoco?

                Un altro motivo di non avventurarsi era la freddezza che gli pareva di vedere nell'accoglienza fatta al progetto di una chiesa al Castro Pretorio. Erasi bandito a tutto il mondo che il divisato santuario sarebbe stato pure un monumento alla memoria di Pio IX, tutti i Vescovi della Cattolicità erano stati invitati a raccogliere limosine; ma, raggranellato un centinaio di mille lire, tutto fu finito nè si aveva speranza in altre risorse.

                Aggiungevasi un terzo guaio. Don Bosco, assumendosi quel carico, avrebbe dovuto ratificare i contratti già stretti dalla precedente amministrazione, alla quale per giunta si concedeva ancora una certa ingerenza nell'opera; se non che quei contratti erano assai onerosi, quali purtroppo solevano essere, allorchè si trattava di lavori intrapresi in nome del Papa[390]. [577] Al disopra però di tutte queste considerazioni umane due altre di ordine più elevato si ergevano dinanzi al pensiero di Don Bosco: l'onore della Chiesa e l'onore della Santa Sede. Era un'onta che Roma cattolica sfigurasse così di fronte ai protestanti; essi con fondi poderosi avevano già innalzati nella santa città parecchi templi, e i cattolici non riuscivano a innalzarne uno. Era un disdoro il potersi dire che la voce del Papa aveva ottenuto un'eco sì fioca nel mondo. Ecco dunque perchè, ventilando il pro e il contro, Don Bosco sulle prime esitò tanto a esimersi dal grave peso.

                Ma venne finalmente a trarlo da tutte le sue incertezze la parola del Papa. Nella sospiratissima udienza del 5 aprile Leone XIII gli palesò il proprio desiderio, assicurandolo che con l'aderirvi avrebbe fatto cosa santa e gratissima al Papa: troppa essere la sua pena per quell'impotenza a continuare.

                - Il desiderio del Papa, rispose Don Bosco, è per me un comando; accetto l'incarico che Vostra Santità ha la bontà di affidarmi.

                - Ma io non potrò darvi denari, soggiunse il Papa.

                - Io a Vostra Santità non chieggo denari; chieggo soltanto la sua benedizione con tutti quei favori spirituali che crederà bene concedere a me e a quanti coopereranno meco a far sì che il Cuor di Gesù abbia un tempio nella capitale del mondo cattolico. Anzi, se Vostra Santità me lo permette, io edificherò pure accanto alla chiesa un oratorio festivo con [578] un grande ospizio, dove insieme possano essere accolti e avviati alle scuole e alle arti e mestieri tanti poveri giovani, che specialmente in quel quartiere abbondano.

                - Volentieri, gli rispose il Papa, benedico voi e con voi quanti concorreranno a un'opera così santa, sulla quale invoco fin d'ora le benedizioni di Dio. Per le modalità dell'esecuzione v'intenderete col Cardinale Vicario.

                Sparsasi in Roma la notizia che Don Bosco aveva ricevuto dal Santo Padre l'incarico di fondare un collegio al Castro Pretorio e di edificarvi la chiesa del Sacro Cuore, alcuni membri verdi della giunta municipale si recarono dal ministro Villa guardasigilli per sapere quale contegno si dovesse tenere di fronte al nuovo istituto, che probabilmente avrebbe preso vaste proporzioni. Non erano ancora passati dieci anni dalla breccia di Porta Pia: ad ogni stormire di frasca vaticana la setta gettava l'allarme. Il Ministro però, che era quel che era, ma che conosceva abbastanza Don Bosco, e come deputato rappresentava il collegio elettorale dì Castelnuovo, ascoltatili in silenzio, disse francamente a quei signori: - Don Bosco fa del bene a molti giovani togliendoli dal mal fare e dando loro l'istruzione. Egli non si occupa di politica. Lo lascino fare.

                Il marchese Scati, al quale sul finire del 1880 Don Bosco narrava il fatto[391], non si tenne dal manifestargli i suoi timori di guerre che i massoni del municipio e del governo gli avrebbero pur sempre potuto muovere. Il Beato gli rispose: “Per questo ci conviene andar guardinghi: semplici come le colombe, ma prudenti come i serpenti. Don Bosco si mantiene sempre scrupolosamente nella legalità: dare a Cesare tutto ciò che è di Cesare, niente di più, ma niente di meno. Guai se Don Bosco commettesse un'imprudenza! Troppi giovani si troverebbero ricacciati sulla strada”. [579] Tornato dall'udienza pontificia, Don Bosco venne abbozzando una specie di promemoria, che rimise egli stesso nelle mani del Cardinale Vicario la sera del 18 aprile, antivigilia della sua partenza da Roma[392]. Egli condensò nel breve scritto gli elementi, che poi servirono di base a compilare la convenzione definitiva.

 

                A Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Raffaele

                Monaco La Valletta Vicario di S. S. in Roma.

 

                I. La Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, monumento a S. S. Pio IX di cara memoria. - Ad unico fine di promuovere la maggior gloria di Dio e il decoro di Nostra Santa Religione di buon grado con tutti i miei religiosi io mi associo a V. E. Rev.ma per cooperare al proseguimento dei lavori in corso per la erezione della chiesa da dedicarsi al Sacro Cuore di Gesù in omaggio al glorioso Sommo Pontefice Pio IX di sempre cara memoria.

                In quanto alle condizioni da stabilirsi bramerei che la E. V. facesse per ambedue le parti: quella dell'Autorità Ecclesiastica e quella della Congregazione Salesiana, che la E. V. ha sempre guardato con occhio paterno. Ma poichè Ella desidera che io esponga a tale uopo i miei pensieri, lo fo volentieri, dando fin d'ora ogni facoltà alla E. V. di modificare ogni cosa come nella illuminata di Lei prudenza giudicherà più opportuno.

                II. La Congregazione di S. Francesco di Sales. - I° La Pia Società di S. Francesco di Sales per mezzo del suo Rettore prende l'impegno di cooperare con tutti i mezzi a lei possibili per assistere i lavori, cercar mezzi pecuniarii, e materiali da costruzione per ultimare la pia impresa che spera possa condursi a compimento nello spazio di due anni e mezzo o al più tardi in tre.

                2° Terminato il sacro edifizio, la medesima Congregazione si assumono le spese occorrenti per le provviste dei suppellettili, degli arredi e paramenti sacri; pagherà le spese d'imposta, di manutenzione, di riparazione e simili.

                3° Provvederà il personale necessario per l'esercizio del culto religioso, cioè un sufficiente numero di preti per la celebrazione di messe a comodità dei fedeli, per ascoltare le sacramentali confessioni, predicare e fare catechismi ai fanciulli.

                4° Contemporaneamente ai lavori della chiesa o tosto che i medesimi saranno terminati, si porrà mano all'edificazione di un ospizio in favore dei poveri fanciulli. Quivi oltre ai ragazzi ricoverati si aprirà [580] un oratorio festivo pei giovanetti che dimorano in quel vicinato, loro si farà il catechismo, la scuola serale e se sarà mestieri anche diurna, come si pratica nelle case della Congregazione aperte con identico scopo.

                5º Consacrata la chiesa al divin culto, i Salesiani dipenderanno dall'Autorità dell'Ordinario, come dipendono le chiese che appartengono a Congregazioni Ecclesiastiche, Qualora poi la prelodata Autorità Ecclesiastica giudicasse di erigere a Parrocchia la chiesa del Sacro Cuore, il parroco si sceglierà tra religiosi Salesiani, che il Rettore della Congregazione proporrà all'Em.mo Card. Vicario di Roma, e sarà quello che la stessa Eminenza Sua giudicherà più idoneo a quella carica per promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime.

                III. L'Autoritá Ecclesiastica. - I° Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Vicario continuerà il suo appoggio materiale e morale in favore dell'Opera con tante sollecitudini da lui cominciata e promossa; metterà a disposizione del Sac. Bosco il terreno, i muri dell'edifizio nello stato in cui si trovano. Il danaro raccolto per cura di S. E. o di altri a questo fine sarà tutto e unicamente impiegato nella costruzione della chiesa monumentale.

                2° Darà facoltà di continuare la questua in quei luoghi e presso a quelle persone, cui la prudenza suggerirà di ricorrere.

                3° L'Em.mo Card. Vicario non avrà alcuna responsabilità materiale pei lavori o pei nuovi acquisti di terreno, che occorressero alla prefata costruzione.

                4° S. E. il Sig. Cardinale Vicario è umilmente pregato di presentare questo progetto al S. Padre, affinchè lo modifichi a suo piacimento, e questo non avrà alcun valore, se non quando sarà dalla Santità Sua approvato e benedetto.

 

                Roma, 10 Aprile 1880.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

                Secondo le nostre Costituzioni, Don Bosco non poteva impegnarsi a fondo in un affare di tanta mole senza prima interpellare il proprio Capitolo. Giunto pertanto a Torino e radunati i suoi consiglieri, espose loro la proposta del Santo Padre. Lunga fu la discussione. Tutti convenivano essere onorifica la proposta pontificia, ma onerosissima; aversi in quel tempo debiti per oltre a trecentomila lire, nè sembrare cosa prudentemente e coscienziosamente consigliabile il metter mano a un'impresa che avrebbe inghiottito milioni. Dalla discussione si passò ai voti, che risultarono sei contrari e uno solo favorevole, quello certamente di Don Bosco. [581] Egli al vedersi respinta a quel modo la proposta del Santo Padre sorrise e disse: - Mi avete dato tutti un no rotondo, e sta bene, perchè avete agito secondo la prudenza necessaria a seguirsi nei casi seri e di somma importanza com'è questo. Ma se invece di un no mi date un sì, io vi posso assicurare che il Cuore di Gesù manderà i mezzi per fabbricare la sua chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà ancora una bella mancia. - Le sue parole, ispirate a sì viva fiducia nella divina Provvidenza, cambiarono di botto i pareri, sicchè, rifatta la votazione, i sei no diventarono tutti sì. Anzi, poichè, esaminato il disegno, si trovò che era troppo angusto, ecco che, seduta stante, si deliberò di proporne al Santo Padre un altro più vasto che riuscisse degno del Sacro Cuore e di Roma. E così fu fatto. La mancia altro non era che l'ospizio, il quale non entrava nelle intenzioni del Papa, ma sarebbe un di più, dato quasi a titolo di premio dal Sacro Cuore. I debiti della Congregazione, come il Servo di Dio aveva promesso e come attestò il cardinale Cagliero nei processi[393], vennero pagati senza che nascessero inconvenienti.

                Non si pose tempo in mezzo per dare principio alle trattative. Nel corso di esse spuntò una nuova idea. Il Consiglio Superiore della Gioventù Cattolica Italiana, il quale risiedeva a Bologna ed era presieduto dal conte Acquaderni, aveva deliberato di erigere un monumento alla santa memoria di Pio IX, senza però determinarne la forma, quando nel maggio del 1880 il Cardinale Vicario manifestò a quel presidente il suo desiderio che si unisse il progetto del monumento col progetto dell'erigenda chiesa. Vennero fuori parecchie proposte; ma la più accettabile sembrò quella di unire alla chiesa del Sacro Cuore una casa, che s'intitolasse dal nome del Pontefice defunto e avesse lo scopo di formare buoni e saggi educatori della gioventù. L'intenzione di onorare la memoria di Pio IX faceva già parte del programma [582] per l'erezione della chiesa; ma nell'accennato disegno la cosa prendeva -una forma più concreta. L'Acquaderni chiese dunque al Beato se egli fosse disposto ad accogliere la proposta[394]. Don Bosco, secondochè si legge in una sua postilla sulla lettera del Conte, rispose che accettava nel senso espresso dal Cardinale Vicario. Abbiamo fatto inutili ricerche a Bologna per sapere l'esito dell'affare; ma dal tenore della risposta adombrata nella riferita postilla sembra a noi verosimile che Don Bosco per iscansare immancabili complicazioni d'ingerenze estranee lasciasse cadere quell'idea.

                Frattanto mentre a Torino si elaborava uno schema di convenzione da inviare a Roma, Don Bosco s'affrettò a fare acquisto di un'area limitrofa al terreno primitivo, sulla quale sorgeva una casetta, all'estremità opposta, là dove oggi l'ospizio fa angolo fra via Marsala e via Marghera. Spese in tutto lite quarantanove mila e cinquecento. Quella casetta, alzata di due piani, fu la prima dimora dei Salesiani durante il periodo dei lavori. Lo scopo di Don Bosco nell'allargare così l'arca fabbricabile era di far posto al prolungamento della chiesa e all'erezione dell'ospizio. Egli non sapeva che con questo mandava a monte gl'intrighi dei protestanti per fabbricare colà un loro tempio; lo sapeva però bene il Cardinale Vicario, che si disse lietissimo dell'acquisto[395]. Sua Eminenza non dimostrò uguale arrendevolezza per l'ampliamento della chiesa: si sentiva forse ancora [583] legato alle sorti dell'impresa e paventava un secondo insuccesso. Ci volle del bello e del buono a piegarlo; infine l'intervento risoluto dell'architetto ne vinse le opposizioni[396].

                Quali fossero i sentimenti di Don Bosco in quegli inizi e a quali spedienti finanziari ricorresse da principio per far fronte alle ingenti spese, appare da tre sue lettere al Procuratore generale. Si noti che il terreno suddetto apparteneva alla Banca Tiberina, della quale era direttore il commendatore Caranti, menzionato più volte nella corrispondenza. La prima di queste lettere non ha bisogno di commenti.

 

                Car.mo D. Dalmazzo,

 

                Appena giunto da Casale ho tosto ripassato il consaputo progetto della chiesa del Sacro Cuore di Roma. Ho procurato che contenesse la nostra proposta con le osservazioni fatte per ordine di sua Em. il Sig. Cardinale Vicario. Dò a te ogni potere di modificare e conchiudere nel senso e in quei limiti che S. E. meglio giudicherà. Siamo tutti animati di secondarlo con tutti gli sforzi possibili.

                Lo pregherei soltanto che ci aiutasse a fare in modo che la chiesa sia molto spaziosa. Come trovasi nell'attuale disegno avrebbe appena 400 metri pel pubblico, e noi avremmo bisogno che ne avesse almeno il doppio. Perciocchè la nuova parrocchia prima che sia terminata. abbraccierà non meno di sei mila anime. Ciò richiederebbe circa 900 metri affinchè contenga un terzo della popolazione.

                In quanto al danaro avvi chi ci offre 100 mila lire al 5,50 compresa la ricchezza mobile. Se però la Banca Tiberina vuole farci un conto corrente converrebbe di più, perciocchè se noi possiamo vendere, come è probabile, le terre, che tu sai, facciamo fuoco delle nostre legna.

                Parlane anche coll'amico Sigismondi e se può avere qualche facilitazione maggiore l'accetteremo con gratitudine. Dirai a questo nostro veramente caro papà che abbiamo una impresa grande, ma Dio è con noi, perciò non abbiamo niente a temere.

                Farai umili ossequi al Card. Vicario, rinnovandogli l'offerta che i Salesiani saranno sempre suoi figliuoli obbedienti e fedeli, con pienissima facoltà di usare la sferza a tutti quelli che ne facessero qualcheduna.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Saluta i miei figli Zucchini e Giaretto e prega per me che sarò sempre in G. C.

 

                Torino, 7 Luglio 1880.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [584]

 

                Per animare alla carità le persone ricche, pie e generose, Don Bosco le stringeva vie più alla Chiesa e al Papa con i vincoli di onorificenze o di favori spirituali, che a seconda dei casi egli si studiava di ottener loro dalla Santa Sede. Queste persone poi, sentendosi allora quasi più vicine al Vicario di Gesù Cristo e da lui particolarmente dilette, godevano di rendersene degne facendo del loro meglio per cooperare in opere, nelle quali stimassero d'incontrare il sovrano gradimento del Santo Padre. Qui appunto la seconda lettera comincia con l'accenno a una doppia supplica, dal cui esaudimento egli si riprometteva notevoli vantaggi anche per la chiesa del Sacro Cuore. -Chiedeva la facoltà dell'oratorio privato per la vedova Prat, che noi già conosciamo, e per la sua madre[397]; e per rendere più compito il presente che intendeva far loro, volle sostenerne egli stesso le consuete spese[398]. Il favore venne accordato e con insperata sollecitudine. La lettera parla pure del compromesso per l'acquisto del nuovo terreno e tocca del trapasso legale della proprietà circa il terreno vecchio e l'iniziata costruzione. Il signor Sigismondi aveva anticipato per Don Bosco la somma di ventimila lire. In mezzo a sì aridi affari una nota di buon umore rivela e infonde serenità.

 

                Car.mo D. Dalmazzo,

 

                Ti mando due suppliche che tu puoi presentare al Card. Giannelli o forse meglio al Card. Mertel. Sono due insigni nostre Benefattrici fervorose cattoliche. Mad. Prat ha già offerto 65 mila lire (sessanta cinque mila) pel danaro di S. Pietro. Manderà altra somma tra breve tempo

                Se ci sono spese saranno fatte, ma desidero di farle io per poter dire che è un regalo. Cosa che frutterà assai più.

                Il Sig. Caranti ha ricevuto risposta per mezzo del Comm. Fontana che noi prendevamo anche il casotto a prezzo conveniente e rispose di sì. Sarà bene parlargli. Il compromesso dà tempo a provvedere e [585] ciò va bene. Io mi occupo di ogni cosa; specialmente del mutuo e ne spero assai bene.

                Appena fatto l'atto notarile del trapasso in nostro favore della Chiesa del Sacro Cuore, dammene subito notizia.

                Ogni cosa letta in Capitolo fu approvata.

                Per tua norma se facciamo bancarotta andremo a rifugiarci nella Patagonia con D. Fagnano. Dunque avanti con tranquillità.

                Se il Sig. Sigismondi ha bisogno della somma anticipata o prendila nella somma già esistente ad hoc, oppure scrivi e provvederemo.

                Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.

 

                Torino, 9-7-1880.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                La “clausula” sulla quale Don Bosco nella sua terza lettera dice di aver molto riflettuto, si riferiva all'articolo 3° dello schema di convenzione, articolo modificato poi nel senso da lui proposto.

                Riportiamo qui soltanto la prima metà della lettera, perchè il resto si riferisce ad altro argomento di cui diremo nel capo ventesimosesto.

 

                Mio caro D. Dalmazzo,

 

                Ho molto riflettuto sulla clausula relativa al caso che venisse a mancare la nostra Congregazione. Ma in faccia alla legge non siamo ente nè morale nè legale. D'altra parte anche in caso di cataclisma sarà sempre più rispettata una chiesa parrocchiale che appartenga all'Autorità ecclesiastica, anzichè una nostra proprietà che non possiamo possedere se non come proprietà individuale.

                Credo pertanto, se siamo ancora in tempo, si possa: La chiesa e la casa parrocchiale nella proprietà appartengono all'Ordinario di Roma in perpetuo; ma l'usofrutto apparterrà in perpetuo alla pia Società, di S. Francesco di Sales. Il resto si metta nelle mani della Divina Provvidenza. Se le cose non sono ancora conchiuse tu potrai parlare in questo senso al Card. Vicario. Altrimenti lasciamo quello che è scritto...

 

                Torino, 14-7-1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nel discutere con Don Dalmazzo sul regolamento della proprietà l'ottimo Cardinale Vicario si lasciò sfuggire queste parole: “Tutti dicono che la Congregazione Salesiana è Don [586] Bosco. Finchè egli vive, bene; morto lui, tutto si scioglierà come nebbia al sole”. Per altro si compiacque di ascoltare gli argomenti addotti dal suo interlocutore per dimostrare la stabilità della Congregazione. Questi chiuse la sua apologia osservando che se a Don Bosco e alla Congregazione fosse per toccare la fortuna di aver sempre a Cardinale Vicario un Porporato come Sua Eminenza, che era per i Salesiani un vero padre, Don Bosco non avrebbe insistito tanto sulla proprietà, lasciando tutto nelle mani sue; ma, poichè le cose potevano mutare, la prudenza consigliava di non transigere. L'osservazione gli garbò e disse che nel senso voluto avrebbe riferito al Santo Padre[399].

                Il giorno 14 luglio Don Dalmazzo scrisse al Beato: “Il Cardinale Vicario parlò a lungo col S. Padre su questo affare ed Egli disse al Vicario: - Parlate con D. Dalmazzo e ditegli che scriva a Don Bosco e lo preghi a nome mio a non mettere difficoltà alcuna a questa fabbricazione, perchè ne va di mezzo la salute delle anime -”. A volta di corriere Don Bosco rinnovò al Procuratore le sue istruzioni così formulate: “La proprietà della Chiesa in perpetuo all'autorità ecclesiastica; e l'uso in perpetuo alla nostra Congregazione. Ma tu nota all'Em.mo Card. Vicario che io mi sono messo interamente nelle sue mani. Egli ci vuole bene e noi tutti abbiamo piena confidenza in Lui; perciò, come gli scrissi già altra volta, Egli faccia ambe le parti, ossia come a lui sembrerà meglio potersi promuovere la maggior gloria di Dio. Tanto più che il Santo Padre ha raccomandato di togliere le difficoltà, e tutte siano tolte dalla carità e prudenza del Sig. Card. Vicario”.

                Botte e risposte fra il Vicariato di Roma e il Capitolo Superiore per fissare il testo della convenzione si susseguivano e s'incalzavano ancora, quando il Servo di Dio presentò ufficialmente il candidato a reggere la parrocchia, della [587] quale sul finire di marzo erasi avuto il riconoscimento civile[400]; l'erezione canonica datava già dal 2 febbraio dell'anno antecedente.

 

                Eminenza Reverend.ma,

 

                Da notizie provenienti da varie fonti mi risulta essere intenzione della E. V. Rev.ma di affidare la cura della nuova Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù ad un Sacerdote Salesiano. Qualora tale sia la rispettabile di Lei volontà, io Le propongo la scelta nella persona del nostro Procuratore Generale D. Francesco Dalmazzo Dottore in Lettere e figlio del fu Giacomo. Appena tale nomina sia effettuata, io mi darò premura d'inviare in aiuto del medesimo un numero sufficiente di sacerdoti procurando che vadano forniti delle doti necessarie a chi si consacra al sacro Ministero delle anime.

                L'umile nostra Congregazione ha già molti motivi di profonda gratitudine verso la E. V. ed io a nome di tutti l'assicuro che procureremo di corrispondere ai benefizi che ogni giorno ci va prodigando, mentre io reputo sempre al massimo onore di potermi inchinare e professare

                Della E. V. Rev.ma

 

                Torino, 31 Luglio 1880.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il decreto di nomina e d'investizione fu emanato solo il 12 luglio 1881 e comunicato al neoparroco Don Dalmazzo il 3 agosto successivo[401].

                Nonostante il buon volere dei contraenti, sorgevano sempre punti di disaccordo, sicchè s'arrivò all'autunno senza che si addivenisse a una perfetta intesa. Don Bosco mirava a eliminare qualsiasi causa di contestazione nel futuro. Nella prima metà di ottobre si discuteva ancora della congrua parrocchiale. I Superiori di Torino stavano in dubbio se chiederla a no, e se chiederla al municipio, al governo o alla Santa Sede. Finalmente il 18 di quel mese Don Bosco scrisse al Procuratore: “Riguardo alla Congrua ci rimettiamo a quello che giudicherà di fare il S. Padre e che consiglierà l'Em.mo Card. Vicario”. La cosa finì con essere [588] regolata a tenore dell'articolo 10° della convenzione. Intanto gli operai ripigliavano adagio adagio il lavoro; anzi Don Sala andava già in cerca delle colonne di granito volute dall'architetto. Nella lettera citata Don Bosco proseguiva: “Don Sala è in giro per avere i prezzi delle colonne per la Chiesa del Sacro Cuore. Te ne darò cenno e se avvi qualche cosa, dimmelo tosto […..] Fede, preghiera e avanti”.

                Col mese di novembre scadeva il termine convenuto per il pagamento di una forte rata del debito contratto verso la Banca Tiberina nell'acquisto del terreno, della casa e di materiali da costruzione, nè si sapeva dove dar del capo. Ricorrere alla stampa per sollecitare offerte non conveniva ancora, finchè rimanevano incompiute le ultime formalità L'imbarazzo di Don Bosco traspare abbastanza da questa lettera.

 

                Car.mo D. Dalmazzo,

 

                Occorre regolare partita Caranti secondo la lettera in cui dovevansi pagare 39 mila e 500 lire al presente. Io non aveva rilevata tale clausula. Per la crisi finanziaria tutti gridano e chiudono la borsa. Possiamo contare in Roma sopra qualcuno? Pensaci da vie o e da lontano e poi dimmene qualche cosa.

                Urge al sommo poter cercare danaro pel Sacro Cuore, ma finchè le cose siano definitivamente compiute pare non convenga pubblicare. Pure siamo senza danari! Dunque fa la conclusione.

                Vale et Valedic in Domino.

 

                Torino, 24 Novembre 1880.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ma la conclusione tardava tuttora a venire, perchè Don Bosco esitava alquanto su due articoli. L'articolo 8° imponeva un termine perentorio al compimento dei lavori e il 13° prospettava l'eventualità che l'Autorità Ecclesiastica, per manco di persona salesiana adatta, dovesse deputare alla parrocchia un vicario ed economo anche a vita. “L'articolo dei sei anni obbligatori, scrisse Don Bosco il 9 dicembre, e l'altra del Vicario parrocchiale a vita devono [589] essere modificati”. A tal uopo egli accludeva una nota redatta da Don Rua a nome del Capitolo Superiore e firmata da Don Bosco. Il senso d'illuminata prudenza e di santa semplicità che la informa, rispecchia molto bene lo spirito del nostro amato Fondatore.

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Il Capitolo Superiore della pia Società di S. Francesco di Sales per mezzo dello scrivente suo Rettor Maggiore prega la E. V. Rev.ma a voler permettere due piccole modificazioni agli articoli di proposta per la chiesa del Sacro Cuore.

                Se si dovesse sempre trattare colla sempre benemerita Eminenza Vostra si accetterebbero queste e qualunque altra condizione. Ma si tratta di evitare vertenze che troppo facilmente potrebbero insorgere tra coloro che in avvenire amministreranno le cose nostre dopo di noi.

                Pertanto all'articolo 8° fu aggiunto: “purchè questo non sia per impedimento di forza maggiore è fissato il termine dei lavori obbligatorii della casa parrocchiale al nono anno”.

                13° - A questo articolo le parole dopo “Vicario od Economo” fu tolto anche a vita per lasciare pieno esercizio all'Autorità Ecclesiastica e donare alla Congregazione Salesiana la possibilità di subentrare al normale esercizio della parrocchia e porre fine agli inconvenienti che sarebbero inevitabili nel caso i giovani dell'Ospizio, dell'Oratorio festivo e delle scuole dovessero intervenire alla chiesa parrocchiale, quando questa dipendesse da un amministratore estraneo alla pia Società.

                Dal canto mio però crederei far torto alla Divina Provvidenza, se avessi anche solo un dubbio che i casi contemplati nell'articolo 8 e 13 possano verificarsi, e perciò la illimitata fiducia che ci spinge a questa grande e spendiosa impresa giunga a meritarci la continuazione di pari benevolenza da parte della E. V.

                Non so se mi sia spiegato bene; ma ciò che non dico, lo comprenderà la illuminata saviezza della E. V. oppure lo spiegherà il nostro Procuratore Generale, cui ho conferito pieni poteri in questo ed in altri affari della Congregazione.

                Colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi

                Della E. V. Rev.ma

 

                Torino, II Dicembre 1880.

 

Obbl.mo servitore

 Sac. Gio. Bosco.

 

                Alle due modificazioni desiderate da Don Bosco il Vicariato fece buon viso, nel primo caso con l'aggiunta di una [590] riserva circa l'eventualità dipendente da forza maggiore e nel secondo con la sostituzione di “temporaneo” ad “anche a vita”. Con questo ebbero termine le schermaglie sul testo della convenzione, che l'II dicembre fu sottoscritta da Don Bosco e il 18, previa l'approvazione del Papa, dal Cardinale Vicario[402]. Fra l'una e l'altra data presentatosi Don Dalmazzo al Papa per umiliargli auguri e omaggi da parte di Don Bosco e dei Salesiani, il Santo Padre gli domandò a che punto si stesse per le firme. Udito essere imminente la firma del Cardinale Vicario, disse: -Fate presto e fate gran bene!

                Intanto bisognava saldare i conti con la Banca Tiberina, che mandò la parcella del debito, ammontante a lire quarantadue mila, nè ammetteva dilazione oltre la fine di dicembre. “Qui non v'è speranza di trovar danaro, aveva scritto Don Dalmazzo al Beato il io dicembre. Se ci fosse Don Bosco, allora qualche cosa verrebbe certo”. E continuava a tempestare per avere di che[403]. Il pensiero di Don Bosco è in questo passo di una stia lettera del 9 al disperato Procuratore[404]: “Per concretare il da farsi colla Banca Tiberina è d'uopo osservare che non avendo potuto vendere gli stabili ad hoc, non abbiamo il danaro preparato. Perciò se si può aspettare pagheremo l'interesse, come per l'altra somma. Diversamente facciasi un'eccezione sul modo di pagamento; cioè pagare a somme ripartite. Si studierà di estinguere l'intiera somma entro breve tempo. Tu poi in omnibus labora per raccogliere oblazioni e se non puoi provvedere altrimenti, fa' o perpetra qualche furto rilevante, o meglio. opera qualche sottrazione matematica nella cassa di qualche banchiere. Altri scriveranno altro”.

                La Banca però, non appena si convinse della potenza di [591] Don Bosco, accordò che i pagamenti si facessero a lunghe more; anzi a Don Dalmazzo, che aveva procura generale a nome di lui, diede per lo spazio di sette anni somme cospicue con semplice ricevuta, senza ipoteca. Arrivò financo a dargli una volta ottantamila lire, dicendo il direttore: - Si tratta di Don Bosco che ha la Provvidenza a sua disposizione e non ci fa perdere[405].

                Davvero soltanto la fiducia illimitata nella Provvidenza potè indurre Don Bosco a curvare le spalle sotto sì grave peso; chi guardava le cose umanamente, dinanzi a tanto ardire tentennava il capo. Interrogato allora da un eminente personaggio dove pensasse di prendere i mezzi in tempi così critici e anormali, rispose: - Dalla Provvidenza. - Al che quegli incalzò, domandando se fosse privilegio suo speciale l'avere la Provvidenza a propria disposizione. E Don Bosco: - Grazie a Dio, non ci è mai venuta meno[406]. - Infatti, come vedremo, spese due milioni per la chiesa e uno e mezzo per l'ospizio, cifre a quei tempi assai rilevanti.

                É però doveroso aggiungere che egli non tentò la Provvidenza, ma s'aiutò anche quanto potè. Sono incredibili gli strapazzi e le sofferenze a cui si sottopose per eseguire il desiderio del Pontefice, strapazzi e sofferenze che, al dire di Don Cerruti che ne fu testimonio, gli abbreviarono la vita N. Per tutti questi motivi, a cose fatte, Leone XIII alcun tempo dopo la morte del Servo di Dio, disse al successore di lui: - Ah, fu veramente una felice idea quella di affidare a Don Bosco l'erezione della chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio![407] -.

                Ma Don Bosco mirava lontano. Il nostro monsignor Giovanni Marenco ricordava una sua misteriosa parola, che

 

(3) L. c., n. III, De operibus ac fundationibus § 67. ???

 

[592] il tempo non deve coprire di oblio. Nel giorno stesso in cui accettò quell'onerosissima offerta, il Beato gli domandò:

                - Sai perchè abbiamo accettato la casa di Roma?

                - Io no, rispose quegli.

                - Ebbene, sta attento. L'abbiamo accettata perchè quando il Papa sarà quello che ora non è e come deve essere, metteremo nella nostra casa la stazione centrale per evangelizzare l'agro romano. Sarà opera non meno importante che quella di evangelizzare la Patagonia. Allora i Salesiani saranno conosciuti e risplenderà la loro gloria.

                Contenevano queste parole un vaticinio? Oggi intanto il Papa non è più quello che era allora, ma è come dev'essere. Quanto al resto, il tempo darà la risposta. Ma, o vaticinio o no, splende qui se non altro un lampo dello zelo che ardeva perenne in cuore al nostro Beato Padre, che, mentre a talune imprese metteva mano, altre ne vagheggiava.

 

 

CAPO XXV. Le Case salesiane in Francia durante la persecuzione contro le Congregazioni.

 

                LA procella che da diversi mesi rumoreggiava nell'aria allorchè Don Bosco partì dalla Francia, scoppiò sul finire di marzo. É questo un capitolo di storia ecclesiastica della più grande importanza.

                Un disegno di legge proposto da Giulio Ferry e presentato dal ministro Freycinet alle Camere con l'intendimento di colpire le cinque Università cattoliche sorte da poco in Francia, conteneva un articolo settimo, che escludeva dal pubblico insegnamento i membri delle Congregazioni religiose non riconosciute dallo Stato. I Deputati approvarono l'intero disegno; ma il Senato per ben due volte diede voto contrario a quell'articolo, rimandando così corretto il disegno all'altra Assemblea legislativa. Il Governo irritato deliberò di conseguire l'intento, e anche peggio, in via sommaria e amministrativa. Evocando vecchie leggi sepolte omai dal diritto pubblico allora vigente in Francia e interpretandone tortuosamente altre in vigore, emanò il 29 marzo 1880 due decreti, con il primo dei quali imponeva l'espulsione di tutti i Gesuiti dalle proprie case e la chiusura di tutti i loro stabilimenti educativi, e con il secondo ordinava alle Congregazioni non autorizzate di chiedere nel termine di [594] tre mesi l'autorizzazione governativa, sotto pena di venire egualmente proscritte. Un decreto successivo estese i due precedenti anche alle colonie francesi. Non poteva esservi dubbio che si voleva strappare la gioventù della Francia all'insegnamento e all'educazione dei religiosi.

                Un censimento del 1877 aveva rilevato sul suolo francese l'esistenza di cinquecento Congregazioni non autorizzate, che comprendevano circa ventimila religiosi dei due sessi. Di queste Congregazioni, quasi tutte le più importanti decisero senz'altro di fare causa comune con i Gesuiti, non chiedendo il riconoscimento. E n'avevano ben donde; poichè ad accordare l'autorizzazione si pretendeva che i Superiori Generali risedessero in Francia e che le Congregazioni sottoponessero le loro regole e i loro statuti all'esame del Governo. Bentosto tutti i Vescovi della Francia o con lettere al presidente Grévy o con indirizzi al Senato o con appelli al Ministro degli Esteri e al Presidente del Ministero, posero in luce meridiana tre cose, che cioè i decreti del 29 marzo erano un oltraggio alla Chiesa, una calcolata rovina dei più sacri interessi religiosi e un'offesa alla libertà di coscienza. I giureconsulti fecero il rimanente sul terreno legale. Ma furono tutte voci al deserto: il despotismo di Gambetta e dei radicali soffocò il grido della giustizia oltraggiata.

                L'esecuzione dei neroniani decreti cominciò il 30 giugno contro i Gesuiti. Da un capo all'altro della Francia, alle quattro del mattino, i Commissari di polizia scortati non solo da gendarmi, ma anche da militari, irruppero, abbattendone le porte, in tutte le loro case, dove, espulsine a viva forza i religiosi, apposero i suggelli della Repubblica. Non è cómpito nostro descrivere le scene, a cui lo sdegno degli onesti diede luogo dovunque l'espulsione fu eseguita; ma si deve pur dire che i cattolici dell'universo aprirono volenterosamente le braccia agli espulsi.

                Anche Don Bosco ascoltò l'impulso della sua carità. Anzi egli non aveva nemmeno aspettato che infierissero le vio lenze [595] per fare ciò che il cuore gli dettava. Persuaso che i Gesuiti sarebbero stati inevitabilmente i primi a sperimentarne le violenze, subito dopo la promulgazione dei decreti aveva scritto al padre Beckx, Generale della Compagnia, dicendo che “nel comune disturbo gli offriva le nostre case in tutto quello che l'avessero potuto servire[408]”. Il padre Beckx gradì assai “la generosa, spontanea e illimitata offerta”, com'egli la volle chiamare, aggiungendo nel ringraziarlo[409]: “Oh quanto è bella la carità di G. C.! Quanto bene la ricopiò in sè il caro San Francesco di Sales! Quanto degnamente di sì caritatevole Santo portano il nome quelli che sì bene ne ereditarono lo spirito di carità! È questo uno de' frutti dolcissimi che Iddio nella sua infinita sapienza sa trarre dalle persecuzioni dei tristi, che permette ai suoi servi: eccita cioè i buoni a prender parte alle altrui, pene, quasi fossero loro, e a sollevarle a costo di qualunque loro sacrifizio. Non so se verrà l'occasione di valerci delle sue tanto larghe offerte: ma le prometto che non dimenticheremo mai la sua generosità, e che pregheremo di cuore il Signore che anche in questa vita cominci a rendergliene il merito col benedire accrescere e prosperare tutte le opere di zelo che V. S. R. e il suo santo Istituto stan promovendo A. M. D. G. [ad maiorem Dei gloriam]. Preghi in carità per me e per tutta la nostra bersagliata Compagnia, e mi creda con rispetto, stima e sincerissima riconoscenza ecc.”.

                I tre Direttori delle case di Francia non si lasciarono sorprendere dagli avvenimenti: già prima del 29 marzo essi avevano pensato a premunirsi. A Don Ronchail che, come più anziano, era l'interprete di Don Bosco presso i colleghi e che gli aveva chiesto consiglio per ogni evenienza, il Beato tracciò da Roma le direttive da comunicarsi pure a Don Bologna e a Don Perrot. [596]

 

                Carissimo D. Ronchail,

 

                I° Camminare sulle basi che noi non siamo corporazione religiosa, ma società i cui individui esercitano tutti i diritti civili. Noi siamo venuti in Francia per occuparci dei ragazzi poveri ed abbandonati. Il nostro ufficio è totalmente gratuito. Fummo chiamati dai Vescovi rispettivi e veniamo loro in soccorso per raccogliere i più poveri ed abbandonati fanciulli della civile società.

                Se domandano le nostre Costituzioni si diano pure quelle latine. Si faccia sempre notare il Capitolo 1 dove parla dello scopo della nostra Società. Facciasi notare nel capo delle case particolari che l'entrata e consumo deve rimanere nella casa per cui si fa l'oblazione caritatevole.

                2° Si può dire che a Nizza vi ha la casa principale, ma che nelle altre case poi non siamo altro che locatarii e servitori della Società Beaujour.

                3° Non occorre pensare al Principato di Monaco. Non verremo a questo punto, ma qualora ciò accadesse mi si scriva tosto e darò le opportune direzioni. La Spagna, l'Uruguay, la Repubblica Argentina e la Patagonia ci attendono.

                4° In quanto alla pratica di farci autorizzare, presentemente è bene lasciar bollire un po' la pentola. Dies diei, eructat verbum et nox nocti indicat scientiam.

                5° Qualunque notizia su questo proposito mi sia prontamente mandata.

                6° In quanto alle altre case di Francia si tenga fermo che noi siamo per l'agricoltura e per le arti e mestieri. Se si fa a qualche nostro allievo scuola professionale ed anche di latino si è per formare dei sorveglianti, Maestri di scuola, capi d'arte e specialmente tipografi, calcografi e fonditori di caratteri.

                7° Appena avrò copia del testamento della nostra buona Mamma lo leggerò tostamente.

                8° In quanto ai lavori da farsi procura solamente di essere inteso col sig. Levrot, ma si abbia di mira la Chiesa che deve formare il centro a cui tutte le altre parti dell'edificio debbono avere comunicazione. Tutto passa; ogni giorno ha la parte sua di bene e di male. Dà comunicazione delle cose che si riferiscono alle altre case di Francia. Preghiamo molto e molto, affinchè Dio scongiuri l'uragano che in questo momento minaccia la navicella di Pietro.

                Dio ci benedica tutti e saluta e fa coraggio a tutti i nostri confratelli e credimi in G. C.

                Roma, 23 Marzo 1880.

                Torre de' Specchi 36.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [597]

 

                Per Don Bologna il Beato scrisse due volte al canonico Guiol. La prima volta, 26 marzo, gli diceva: “Si teme che nel dimandare o meglio nel formare il Catalogo degli Istituti religiosi in Francia si facciano anche domande a Beaujour. In tale caso Ella potrebbe dire a D. Bologna che come capo della casa si dia Taulaígo che è francese; prefetto un abate, Come Brogly che è pure francese. In quanto poi all'insegnamento compariscano soltanto le scuole della Maìtrise che sono aperte a capo di Lei che presenta i voluti titoli legali. Questo è in previsione, perchè iacula praevisa minus ferient”. La seconda volta, 6 aprile, gli aggiungeva: “Gli dica [a Don Bologna] in confidenza che il S. Padre non vuole che si diano le nostre regole, qualora fossero richieste dal governo. Qualora però venisse fatta tale domanda, si prenda un momento di tempo e mi si scriva tutto”. Due volte pure scrisse a Don Ronchail. La prima fu ai 9 di aprile da Roma: “Ricórdati di rispondere sempre, ove ne sia il caso, che noi siamo una pia Società di beneficenza, ma non religiosa, e che ogni socio è pienamente libero di esercitare ed esercita tutti i diritti civili”. Al medesimo da Firenze il 26 aprile: “Fa' come fanno le altre Congregazioni religiose; ma in ogni cosa sarà pur bene prendere la parola dal Vescovo che so essere bene informato sul contegno delle altre Congregazioni religiose”. Don Cartier ci fa sapere che, quando tra le varie Congregazioni si discuteva se si dovesse o no chiedere l'autorizzazione, Don Bosco scrisse a Don Ronchail di non compromettersi con alcuna domanda. Infatti, come abbiamo veduto testè, gli scrisse: di “lasciar bollire un po' la pentola”.

                A taluno dei nostri lettori non paia inconciliabile con la verità l'asserzione che i Salesiani erano “una Società di beneficenza, ma non religiosa”. Tali infatti erano essi di fronte al Governo, al quale avevano il dovere di rispondere solo su quanto esso aveva il diritto d'interrogare. Davanti al Governo i Salesiani altro non erano che liberi cittadini associati per uno scopo onesto sotto l'egida o salvaguardia [598] del diritto comune. In questo senso avevano chiesto alle Prefetture l'autorizzazione ad aprire le loro case, per fare cioè opera di bene a vantaggio della gioventù povera e abbandonata. Che se davanti alla Chiesa erano pure qualche cosa di meglio, il Governo non ci aveva che vedere, non avendo esso diritto a pretendere da niun cittadino una pubblica professione de' suoi principii religiosi per lasciarlo vivere in casa sua e secondo quelle condizioni innocue di vita che più gli aggradavano[410].

                Con tutte le istruzioni fornite loro da Don Bosco i Direttori sapevano ormai benissimo in che modo regolarsi, quando dalle autorità governative ricevessero, come ricevettero, quesiti sull'associazione e sugl'immobili da essa posseduti.

                Sfogliando i verbali del comitato di Signore marsigliesi, ci colma di ammirazione il vedere con che serenità continuavano le loro adunanze periodiche sotto la presidenza del parroco di San Giuseppe, occupandosi dei molteplici bisogni dell'Oratorio di San Leone, come se nulla d'insolito accadesse fuori. Prepararono financo una lieta festicciuola per la benedizione della nuova cappella, cerimonia compiuta con la massima pubblicità il 27 giugno dal Vescovo. Doveva per altro venire il giorno, in cui il rumore degli avvenimenti esterni avesse le sue risonanze anche nelle loro pacifiche riunioni; ma in quei resoconti non si coglie mai una nota, che suoni inquietudine.

                Il primo accenno fa capolino nel verbale del I° luglio, l'indomani della caccia clamorosamente data ai Gesuiti, ed ecco in quali termini. Don Bosco aveva fatto sperare una stia visita a Marsiglia in agosto. Il parroco, informandone le Signore, pregò di non divulgare la notizia per due ragioni che espose così: “Brevissimo tempo il santo Fondatore passerà a Marsiglia e avrà molto da fare, dovendo presiedere [599] a un corso d'esercizi spirituali dei Salesiani; bisogna dunque evitargli l'opprimente affluenza di visitatori che l'ha assediato l'inverno scorso. Oltre a questa ragione principale vi è anche una misura di prudenza da osservare: ci troviamo in un momento critico, nel quale non conviene destare l'attenzione. A Don Bosco si attribuiscono molte profezie; ma se si parla a lui di quest'argomento, si mette a ridere, il che non toglie nulla alla sua incontestabile santità. La cosa caratteristica che in lui ci colpisce e impressiona chiunque lo avvicini, è una calma che non gli viene meno giammai e che dimostra la sua gran padronanza di sè. Ora egli dice che bisogna aver fiducia e andare avanti, perchè non ci faran nulla; ma lo muove a parlare così la sua fede nella divina Provvidenza, nè sarebbe il caso di dare alle sue parole un'interpretazione profetica”.

                Più tardi Don Bosco manifestò qualche dubbio sull'opportunità di riunire a Marsiglia un certo numero di preti per gli esercizi; ma di là facevano fuoco e fiamme perchè non mancasse, essendo pendenti affari di sommo rilievo per la casa, che richiedevano la sua presenza. Vi si sapeva tuttavia che egli non istava tanto bene di salute; infatti mal d'occhi, accessi febbrili, eruzioni cutanee erano seri impedimenti a mettersi in viaggio. A dir vero egli, non badando a sè e a' suoi incomodi, avrebbe voluto partire lo stesso; ma i medici si opposero, e allora mandò in sua vece Don Rua. Il suo fido rappresentante, trovatosi colà nell'ultima decade di agosto ed esaminate da vicino le condizioni locali e generali, ne riferì al Beato durante il secondo Capitolo Generale apertosi in Lanzo subito dopo il suo ritorno[411].

                Fra il settembre e l'ottobre il canonico Guiol andò a Roma, dove potè udire dalle auguste labbra di Leone XIII espressioni della più alta stima per Don Bosco, che chiamò uomo straordinario. Durante quel viaggio egli s'incontrò con Don [600] Bosco, non sappiamo nè dove nè quando: potrebb'averlo visto a Sampierdarena, dove Don Bosco fu per gli esercizi sul finire di settembre. Avrebbe voluto condurlo seco in Francia; ma egli stesso dovette convenire che il momento non era propizio. Fatti recenti consigliavano a far di tutto per passare inosservati; concertata quindi la maniera di salvare la casa di Marsiglia, si separarono dandosi l'arrivederci al più presto possibile[412].

                Tutto faceva supporre che dopo la cacciata dei Gesuiti si mettesse mano all'esecuzione del secondo decreto contro le Congregazioni religiose non riconosciute; ma erano soltanto sorde minacce per costringerle a domandare l'autorizzazione. Il Governo si sentiva molto impacciato; da una parte lo incalzava la comminazione fatta in quella forma così solenne e dall'altra lo impensieriva il risultato sfavorevole del primo sperimento: anche l'opposizione legale era condotta con vigore dai più rinomati giureconsulti della Francia. Oltre a questo nel giro di pochi giorni centosessantasette magistrati avevano dato le loro dimissioni[413]: cosa che ne onorava altamente il carattere, ma che Don Bosco deplorava; egli avrebbe preferito che i buoni trovassero la maniera di restare al loro posto per impedire che vi sottentrassero uomini ostili alla Chiesa.

                Per uscire dall'intrigo senz'aver l'aria di capitolare il Freycinet intavolò segrete trattative con l'autorità ecclesiastica. Erasi già combinato un modus agendi, quando la stampa radicale, subodorato il maneggio, assalì con furore il Presidente dei Ministri, trattandolo da vigliacco e traditore e aizzando le turbe contro il Governo. Il fermento crebbe a segno, che causò la crisi del Ministero. Il nuovo Gabinetto, appena ricostituito sotto la presidenza di Giulio Ferry, sguinzagliò la forza pubblica all'assalto e all'assedio dei conventi [601]. L'impresa, cominciata il 16 ottobre con l'espulsione dei Carmelitani, venne proseguita contro tutte le Congregazioni d'uomini fino all'8 novembre, vigilia del riaprimento delle Camere.

                Importava sommamente mettere al sicuro la casa di Marsiglia, la cui sorte avrebbe influito sulle altre. La sua posizione legale di fronte al Governo poggiava sulla dichiarazione fatta tre anni innanzi dal parroco di San Giuseppe, che l'oratorio di San Leone era la Maìtrise parrocchiale, aperta da lui, il quale possedeva i titoli accademici richiesti a tale effetto. Si era poi convenuto che l'abate Mendre viceparroco, fornito dei medesimi titoli, ne Comparisse direttore con otto o dieci insegnanti francesi alle sue dipendenze. Don Bologna e gli altri Salesiani, a cui la nazionalità straniera non permetteva di abitare nella casa, ma che vi stavano di fatto a compiere la parte loro, si sarebbero eventualmente sottratti alle ricerche, finchè l'uragano fosse passato. Per parare meglio il colpo salvando le apparenze legali, Don Bosco rilasciò al curato la traccia di una dichiarazione da inviarsi all'Ispettore Accademico, o come diremmo noi, Ispettore scolastico.

 

                Signor Ispettore Accademico,

 

                Ho ricevuto la vostra lettera in data n. n. e guidato dal desiderio di portare il dovuto rispetto a V. S. ed usare l'ossequio che ogni cittadino deve all'autorità, credo opportuno di dare qui alcuni schiarimenti che riputiamo necessari, affinchè la V. S. possa farsi un giusto concetto dell'istituto detto Oratorio di S. Leone, rue Beaujuor 9, dove intervengono alla scuola i fanciulli della Maìtrise della mia Parrocchia di S. Giuseppe.

                Questo istituto ha per iscopo di raccogliere giovani poveri, abbandonati; dare loro pane ed educazione per così richiamarli dalla imminente rovina, e per mezzo di un mestiere metterli in grado di guadagnarsi a suo tempo il necessario sostentamento. A questo fine qui sono esercitati nei mestieri di sarto, calzolai, falegnami, ferrai, muratori, lavoratori di campagna, di giardino e simili.

                Un notabile numero di questi poverelli ogni anno sono tolti, si può dire, dall'anticamera delle carceri e ridonati giovani onesti alla civile società. Alcuni di questi giovanetti ed altri che vengono come [602] esterni compongono la maítrise che prestano regolare servizio nella mia parrocchia in qualità di cantori, di piccoli chierici nelle pubbliche e nelle private funzioni.

                A costoro si presta l'insegnamento primario e ad alcuni anche il corso classico.

                La scuola è aperta dallo scrivente che le unisce copia del diploma che lo autorizza in faccia alla legge.

                Nel corso classico insegnano M. l'Abbé Bénard N. e Cartier Louis etc.

                Nel corso primario insegnano M. l'Abbé Ricard, M. l'Abbé Lassepas.

                Il Sac. Taulaígo ha la direzione locale.

                L'Abbé Vincent e l'Abbé Cavagnac ne sono sorveglianti.

                Tutti i sopra mentovati soggetti sono di nazione francese, e prestano gratuitamente l'opera loro.

                Se occorre qualche altra formalità sono lieto di farla compiere a qualsiasi cenno della S. V.

                Metto questo istituto e questi poveri fanciulli sotto alla benevola di Lei protezione e mi professo rispettosamente etc…

 

                Ma purtroppo i peggiori nemici si annidavano fra le pareti domestiche. Si distinsero nella losca azione specialmente un chierico francese e un altro individuo suo connazionale, che dimorava in casa e del quale non siamo riusciti a scoprire il nome[414]. Il chierico fu il più accanito. Venuto da un'altra Congregazione, accettato in casa e trattato come fratello, vi esercitò qualche uffizio; ma sotto sotto intrigava con altri ai danni dell'oratorio. Presa una copia delle regole, vi unì vari documenti, fra i quali una sua relazione su quanto aveva visto nelle nostre case d'Italia e di Francia e spedì segretamente il tutto al Ministro dei Culti. I nostri che fino allora si erano presentati quali liberi cittadini, vi apparivano come Congregazione religiosa colpita dalla legge. Il Giuda, che pure Don Bosco per testimoniargli confidenza e amorevolezza aveva fatto venire alla festa di Maria Ausiliatrice, continuò nel suo spionaggio, finchè, scoperto e invitato con [603] onorevole pretesto a deporre l'abito, si allontanò. Ma appena uscito, comunicò ai giornali fatti calunniosi di crudeltà commesse dai Salesiani sui giovani, attribuendo loro anche tentativi per inoculare nei dipendenti odio contro la Francia; anzi arrivò all'estremo di citare in tribunale il direttore Don Bologna, accusato di violazione del sigillo postale. Il suo maltalento gli faceva dipingere i Salesiani come un branco di stranieri congiurati a bistrattare i fanciulli francesi. Arma terribile sempre in Francia, ma più che mai fatale allora, che fra operai italiani e francesi scoppiavano continuamente risse sanguinose per questioni di nazionalità.

                Per dire subito tutto aggiungeremo qui che il disgraziato ebbe dal Governo una cattedra in una scuola pubblica; ma non tardò a pagare il fio della sua fellonia. Non era trascorso un anno che, assistendo egli da un palco a una pubblica festa, il tavolato si sfasciò e il poverino fu raccolto di mezzo ai rottami più morto elle vivo, avendo fra l'altro riportato la frattura di quattro costole. Si dice elle, rimessosi alla meglio, picchiasse di nuovo alla porta dell'Oratorio per esservi riaccettato, ma che, pur non potendolo esaudire, il Direttore gli facesse ogni tanto la carità di qualche soccorso in danaro.

                A questo bel mobile teneva bordone di soppiatto quell'altro anonimo, che trovava pure ausiliari in alcune teste leggiere di conviventi nella comunità e spaccianti fuori qualunque cosa udissero in casa, sicchè con le loro fantastiche delazioni furono lì lì per inimicare fieramente coi Salesiani ,lo stesso parroco di San Giuseppe. Questi però avvedutosi in tempo dei vergognosi intrighi, nella seduta del 21 ottobre, parlando del tradimento alle Signore del comitato, chiuse così il suo dire: “Sono prove le quali, non che scoraggiare, pongono quasi il suggello alla bontà dell'opera e servono a infondere fiducia nel suo avvenire; poichè, venendo essa da Dio, Dio la difenderà. Noi però siamo tenuti ad agire con prudenza”.

                Nelle condizioni descritte i nostri non vedevano più alcuna via di scampo: mentre una dopo l'altra si chiudevano [604] le case religiose, come avrebbero potuto essi sperare sorte migliore? Infatti gli agenti del Governo avevano già proceduto alle operazioni preliminari, visitando le nostre case e facendo risultare che appartenevano a una Congregazione religiosa non riconosciuta. Finalmente il dì dei morti i Salesiani furono avvertiti di sgombrare entro le ventiquattro ore, pena l'espulsione manu militari; e quasi a togliere tutte le possibili illusioni, ecco che giungevano alle orecchie dei nostri in Marsiglia i clamori dell'assalto contro il non lontano convento dei Domenicani.

                Da questa casa i confratelli italiani, com'era inteso, si ritirarono presso il canonico Guiol; i rimasti seguirono in tutto e per tutto l'esempio delle comunità già disperse. Il medesimo fu fatto a Nizza e alla Navarre. In ogni casa si preparò una protesta scritta da consegnare agli esecutori; poi si barricarono le porte in modo che i Commissari per mettere ad effetto il loro mandato dovessero ricorrere alla violenza. L'ultima difesa del buon diritto doveva essere il cedere unicamente alla forza maggiore.

                Noi diremo qui soltanto quello che avvenne nella casa principale, sia perchè ne siamo meglio informati, sia perchè anche nelle altre le cose si svolsero su per giù allo stesso modo. il curato di San Giuseppe, tutto il consiglio d'amministrazione della Società Beaujour e un'eletta di nobili benefattori appartenenti alle prime famiglie della città si recarono nelle primissime ore del mattino a San Leone per assistere i Salesiani e per protestare con la loro presenza contro ogni sopruso e soprattutto contro la violazione dei più sacri diritti. Si diede tanto di catenaccio alla porta che metteva sulla strada e dietro si rizzò una barricata di tavole e di mobili. Tutti quei signori intanto stavano radunati nella sala dell'oratorio, aspettando gli eventi.

                Allo spuntar dell'alba i curiosi cominciarono a ronzare intorno all'edifizio; lo spettacolo ormai non era più nuovo, ma aveva pur sempre alcun che d'interessante. Fra i curiosi [605] s'aggiravano gli emissari della setta, spinti là per lanciare nell'aria le solite grida, con cui dare menzognera espressione alla così detta volontà del popolo sovrano.

                Scoccano le otto, l'ora tragica. Tutti in casa sono pronti; ma nessun rumore alla porta, nessun grido nella via, nessuno squillo di tromba nell'aria. Suonano le nove, le dieci, le undici; ma, non comparendo sciarpa di Commissario, gli spettatori delusi se ne vanno via a poco a poco. Verso le dodici alcuni colpi secchi alla porta rimbombano nell'atrio. Il portiere, un buon italiano, che aveva ordine di dare l'annunzio appena giungesse il Commissario, accostatosi al buco della serratura, gridò: - Chi siete? - Una voce sconosciuta rispose in francese con alcune parole, che quegli non capì, Dopo un istante di silenzio la voce riprese: - Je ne suis pas le Commissaire. Fate presto! che sono bagnato come un pulcino. - Infatti pioveva a catinelle. Il brav'uomo, colpito soltanto da quel le Commissaire, scappa, fa in quattro salti la scala, si avventa dove stanno i Signori e tutto ansante annunzia: Le Commissaire! le Commissaire! Queglino subito si alzano, si mettono i guanti, si accomodano i vestiti e preso in mezzo colui che per l'occasione fungeva da. Direttore, scendono e vanno alla porta, battuta furiosamente da chi voleva che si aprisse. - Chi siete? - si tornò a domandare. La risposta questa volta non veniva. Il temuto visitatore, fattasi apprestare una scala a piuoli, era entrato in casa per una finestra. Qual non fu l'ilarità di quei signori, quando si sentirono alle spalle la voce sonora dell'abate Mendre, che dava loro la baia! Rimasto nella parrocchia perchè aveva la Messa a tarda ora, egli, appena libero, era venuto sotto lo scrosciare dell'acqua al suo posto di combattimento. Ci voleva quel colpo di scena per ammazzare la noiosa monotonia della lunga attesa.

                Ma intanto che fare? Rientrati, il canonico Guiol prese a dire di una lettera, nella quale Don Bosco scriveva a un dipresso così: “Vi importuneranno, vi molesteranno, ma [606] saran solo disturbi. Se volessero cacciarvi, dimanderete un po' di tempo per restituire i giovani ai parenti e intanto Dio farà il resto[415]”. Udite queste assicurazioni, il presidente Rostand disse ai colleghi: - È inutile che rimaniamo qui. Se così ha scritto Don Bosco, andiamocene pure, che non succederà nulla. - E seguito dagli altri, uscì. Tuttavia per alcuni giorni i Salesiani montarono la guardia dietro le barricate, finchè, deposto ogni timore, spalancarono la porta e ripigliarono con tutta regolarità le loro occupazioni. Il Radical però e il Petit Provençal sbraitavano nè la smisero se non quando un ordine della prefettura impose loro silenzio[416].

                Si amerà conoscere qual fosse la condotta dei ricoverati durante la burrasca. Non vi è alcun indizio, da cui trasparisca che essi non abbiano fatto causa comune con i loro superiori; anzi un'importante lettera scritta dall'abate Mendre a Don Bosco sullo scorcio di novembre contiene notizie, che dovettero rallegrare il buon Padre sul conto loro[417]. [607] Più ancora, in un minuscolo taccuino di Don Cartier, testimonio oculare, si legge del 3 novembre: A 9 heures classe comme à l'ordinaire [alle 9 scuola regolare][418].

                Che Don Bosco fosse veramente sicuro del fatto suo, si vide in un episodio assai significativo. Don Bologna, avvertito della prossima espulsione, aveva telegrafato al Direttore di Alassio che facesse preparare una quarantina di letti per i Salesiani e per gli orfani abbandonati. “Stasera tutti da voi”, finiva il telegramma. Don Cerruti ne scrisse a Don Rua, perchè comunicasse a Don Bosco la notizia. Se non che, ritenendo per fermo che all'arrivo della sua lettera gli ospiti sarebbero già in casa, annunziò senz'altro che erano giunti ad Alassio i Salesiani di Marsiglia espulsi. Don Rua corse da Don Bosco a riferire la stupefacente notizia. - Che cosa dici? gli rispose il Beato. E impossibile. Non devono essere scacciati, l'ho scritto a Don Bologna.

                - Eppure Don Cerruti ci scrive che sono già ad Alassio.

                - Ma no, ma è impossibile!

                - Mi scusi, Don Bosco, la lettera parla chiaro.

                - Ma se ti dico che non devono essere scacciati !….. Dammi la lettera.

                Prese il foglio, lesse e poi disse: - Qui ci dev'essere un equivoco, uno sbaglio... Lasciami la lettera, scriverò io a Don Bologna. Vedrai. che è come dico io. - Ritiratosi quindi in camera, scrisse a Don Bologna per aver informazioni; ma benchè Don Rua insistesse a dire che Don Bologna si trovava ad Alassio, egli nell'indirizzo mise Marsiglia e senza menomamente scomporsi spedì. [608] La stessa sicurezza manifestò a Don Lemoyne, che, recatosi da Nizza Monferrato a Torino, non si tenne dal chiedergli perchè avesse scritto a Don Bologna: “Non temere, avrete noie, seccature, disturbi, ma non vi scacceranno”. Così pure non poteva comprendere perchè si ostinasse a non credere alle asserzioni di Don Rua. Il Beato con quella paterna confidenza, della quale era largo con i suoi figli, non gli nascose dove si fondasse tanta sua sicurezza.

                A lui per altro l'accennò molto in breve; compiutamente invece si spiegò a San Benigno la sera del io dicembre. Egli era là da alcuni giorni col Capitolo Superiore per dare l'ultima mano alle deliberazioni prese nel Capitolo Generale. Si tenevano lunghe conferenze mattino e sera, dice la cronaca. Quella sera dunque annunciò sorridendo ai Capitolari che voleva raccontare un sogno, e lo raccontò in questo modo.

 

                Pio IX già fin dal 1858, quando fai a Roma la prima volta, e poi in più altre circostanze mi disse di raccontare o scrivere tutto ciò che anche alla lontana sa di soprannaturale; è per questo che alcune cose le scrivo, altre le racconto, ma sono contento che si sappiano, perchè tornano sempre a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime.

                Questo sogno l'ho fatto circa alla festa della Natività della Madonna[419]; non l'ho raccontato prima, perchè non vi dava importanza e voleva un po' vedere: ma, volere o non volere, la cosa viene ad acquistare importanza e perciò lo racconterò.

                Eravamo nel tempo in cui in Francia si cominciava tanto a temere per le Congregazioni religiose; anzi, essendo già cacciati i Gesuiti, si era sul punto di veder cacciate tutte le altre. Io temeva per le nostre case di Francia, ho pregato, fatto pregare, ed ecco che una notte dormendo mi vidi avanti la Vergine Santissima posta in alto proprio come si trova Maria Ausiliatrice sulla cupola. Aveva un gran manto che si stendeva tutto attorno a sè e formava come un salone immenso, e lì sotto vidi tutte le nostre case di Francia: la Madonna guardava con occhio sorridente queste varie case, quand'ecco successe un temporale così orribile, o meglio un terremoto con fulmini, grandine, mostri orribili d'ogni forma e figura, fucilate, cannonate, che riempirono tutti del più grande spavento. [609] Tutti quanti questi mostri e fulmini e palle erano rivolti contro i nostri che stavano sotto il manto di Maria; ma nessuno arrecò danno a coloro che si trovavano sotto una così potente difenditrice: tutti i dardi andavano a spuntarsi nel manto di Lei e cadevano a vuoto. La Beata Vergine, in un mare di luce, con la faccia raggiante e un sorriso di paradiso disse molte volte in questo frattempo: Ego diligentes me diligo [io amo chi mi ama]. Poco alla volta cessò ogni burrasca e dei nostri nessuno restò vittima di quel temporale o terremoto o tempesta che si voglia chiamare.

                Io non volli fare gran caso di questo sogno; ma già fin d'allora scrissi a tutte le case di Francia che stessero tranquille. Mi si chiedeva: - Come va che tutti sono sbalorditi, e solo Lei è tranquillo in mezzo a questi trambusti e pericoli? - Io non rispondeva altro se non che confidassimo nella protezione della Vergine Santissima. Ma non se ne tenne conto. Scrissi all'abbé Guiol, curato di San Giuseppe, che non temesse, che le cose avrebbero avuto un buon successo; ma egli rispondeva come chi non capisce. E veramente a considerare la cosa adesso che la burrasca è pressochè passata, si vede che la cosa ha proprio dello straordinario. Vedere sbandate tutte le Congregazioni francesi che da tanto tempo fanno del bene in Francia, e poi vedere la nostra straniera, che vive del pane raccolto sulle spalle dei Francesi... con il giornalismo sfegatato, il quale grida contro al governo perchè non ci manda via, e noi lì tranquilli! Questo ci serva d'incoraggiamento per porre sempre la nostra fiducia in Maria Vergine. Ma non insuperbiamocene, perchè basterebbe un atto di vanagloria a far sì che la Madonna non si mostri più contenta di noi o lasci che i cattivi vincano.

                DON RUA. - Ma anche altre Congregazioni saranno state molto divote della Madonna. Come va che...

                DON BOSCO. - La Madonna fa ciò che vuole. D'altronde le cose nostre cominciarono in questo modo straordinario da quando io aveva da nove a dieci anni. Mi parve di vedere nell'aia di casa tanti tanti ragazzi! Allora una persona mi dice: - Perchè non vai ad istruirli?

                - Perchè non so.

                - Va', va', ti mando io.

                Io era poi dopo quello tanto contento, che tutti se n'accorsero.

 

                Storicamente parlando, le cose andarono in un modo semplicissimo. Il Commissario incaricato di procedere all'esecuzione del decreto dovette combattere fin verso le dieci di sera per sfondare le porte e rovesciare le barricate nel convento dei Domenicani di via Monteaux, sicchè l'ora tarda gl'impedì di dare l'assalto a San Leone, che era l'ultima casa religiosa da chiudere. Poi nella notte un ordine [610] del Ministero ingiunse al Prefetto di sospendere le esecuzioni; motivi di politica ministerale consigliavano qualche temperamento.

                Mai si apporrebbe chi volesse di qui argomentare che Don Bosco passasse sopra alle provvidenze umane atte a scongiurare il pericolo. Infatti interessò vivamente il Console d'Italia a Marsiglia, Annibale Strambio, già suo condiscepolo a Chieri. Per consiglio di detto Console e con l'approvazione di Don Bosco fu poi redatto dall'abate Mendre un memoriale giustificativo da presentare alle autorità contro le accuse dei giornali; nè il documento fu senza effetto, poichè gli articoli diffamatorii cessarono per ingiunzione della Prefettura[420]

                Il Beato non solo agiva egli stesso secondo i dettami dell'umana prudenza, ma non voleva nemmeno che i suoi si abbandonassero a imprudente sicurezza per gli incoraggiamenti da lui inviati. Il 16 novembre in una lettera che non possediamo[421], esprimendo la propria contentezza per la momentanea liberazione e confermando al solito le buone speranze,. raccomandava che anche dopo cantato il Te Deum si continuasse a pregare, perchè l'uragano si era bensì allontanato, ma non era cessato. Infatti alcune settimane dopo fu presentato alla Camera francese un disegno dì legge che mirava alla distruzione delle case religiose e degl'istituti di beneficenza superstiti, per mezzo di gravami fiscali, che ne rendessero l'esistenza impossibile[422]. Nella medesima lettera, detto che aveva scritto tutto al Santo Padre e che, se le cose non si mettessero troppo male, avrebbe fatto una visita in gennaio, rispondeva a una domanda rivoltagli di mandar in abito secolare le Figlie di Maria Ausiliatrice che dovevano recarsi a Marsiglia. Vi consentiva egli, sembrandogli quella una misura prudente in siffatte circostanze e [611] rimettendo al parroco di decidere quando fosse il momento opportuno per farle partire[423].

                Un altro atto di saggia previdenza egli compiè presso il Governo italiano. Nel mese di ottobre fece ricorso all'onorevole Cairoli, Presidente dei Ministri e Ministro degli Esteri, per un sussidio che chiedeva in considerazione della beneficenza esercitata dalle sue case di Francia a pro dei fanciulli di famiglie italiane ivi dimoranti: “Ti mando, scriveva a Don Dalmazzo[424], la lettera pel Ministro Cairoli e pel Sig, Comm. Malvano che si mostrò sempre nostro protettore, sebbene sia Israelita. Fa un bel piego per la lettera dell'uno e dell'altro e poi la porterai con qualche sollecitudine a motivo delle cose di Francia che incalzano”. La lettera al Ministro era del tenore seguente.

 

                Eccellenza,

 

                Alcuni anni or sono aveva l'onore di presentarmi a S. E. il sig. Ministro degli Affari Esteri per segnalare l'abbandono in cui si trovano molti fanciulli di famiglie italiane; costoro dimoranti al mezzodì della Francia abbandonati a se stessi e per lo più, dopo essersi resi colpevoli in faccia alla civile autorità, sono inviati in Italia. lo proponeva qualche provvedimento che il sig. Ministro lodò e ne incoraggiò l'esecuzione.

                A questo fine appoggiato ai soli mezzi della divina Provvidenza ho aperto due Ospizii, uno nella città di Nizza, l'altro a Marsiglia per artigianelli una colonia agricola presso a Fréjus ed un'altra vicino a Tolone.

                Un potabile numero di cotali giovanetti vennero ad occupare gli accennati edifizi che ben tosto diventarono ristretti al crescente numero de' richiedenti; perciò fu posto mano alla riattazione ed agli ingrandimenti. Ma in tutte queste imprese mancandomi i mezzi necessari per sostenerle e continuarle, appoggiato dal Console Italiano a Marsiglia nel mese di Aprile 1879 mi faceva ardito di umiliare [612] rispettosamente novella istanza all'E. V. invocando benevolo aiuto a favore di quei miserabili, che lottano col vizio e colla miseria, e il cui numero sale a più centinaia.

                Non avendo finora conosciuto alcun termine della dimanda già innoltrata, stimolato dalle urgenze stesse mi io ardito di rinnovare la medesima preghiera,

                Ho piena fiducia che mi voglia venire in aiuto a migliorare la classe più pericolante e più pericolosa della società; e pregando Dio che la conservi in buona salute ho l'alto onore di potermi professare

                Di V. E.

                Torino, 18 Ottobre 1880.

 

Umile Servitore

 Sac. Gio. Bosco.

 

                La domanda incontrò le simpatie del Ministro, il quale dispose che fosse inscritta nel bilancio del 1881 la somma di lire mille a titolo di sussidio non temporaneo, ma duraturo da erogarsi ogni anno alla casa di Marsiglia e alle affigliate; tuttavia, per evitare noie in Parlamento, presentò tale largizione globalmente con altre somme destinate al Console italiano di quella città in favore degli Italiani[425]. Fu anche questo uno spediente di Don Bosco per richiamare la benevola attenzione del Governo sulle sue opere francesi in quelle critiche circostanze.

                Finalmente la dimane del santo Natale il console Strambio in una lettera molto affettuosa credette di poter scrivere al suo “carissimo D. Giovanni” che ogni pericolo gli sembrava scongiurato e che anzi si cominciasse ad apprezzare l'oratorio di San Leone come un'opera altamente morale e profittevole alle classi derelitte[426]. Allora Don Bosco stimolò i suoi Marsigliesi alla riconoscenza verso Dio per le benedizioni ricevute durante l'anno morente e alla fiducia, nella protezione del Cielo anche per l'anno nuovo, ripetendo la sua parola d'ordine: “Andiamo avanti senza timore”[427]. [613] Le pene sembra che non dovessero venire mai sole a Don Bosco: per la Francia gli capitò allora un dispiacere che non fece rumore, ma fu da lui molto sentito. Ricordino i lettori gli appunti mossigli da Roma intorno alla sua prima relazione triennale, di cui abbiamo trattato nel capo ottavo di questo volume. Fra i punti controversi uno ve n'era che riguardava il noviziato di Marsiglia. Dopo la sua seconda replica del 1:2 gennaio nulla più aveva ricevuto per iscritto dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; ma, trascorsi quattro mesi, il Procuratore Don Dalmazzo venne a scoprire che i chiarimenti dati da Don Bosco su quell'argomento erano stati considerati poco meno che cavillosi sotterfugi, se non addirittura vere e proprie menzogne. Tale notizia lo ferì sul vivo; onde scrisse a Don Dalmazzo una lettera, in cui trabocca tutta l'amarezza del suo dolore[428].

 

                Mio caro D. Dalmazzo,

 

                Il Noviziato di Marsiglia è solo in costruzione, cioè rimangono a compiersi molti lavori, ma non fu, nè lo è per ora abitato da alcun novizio. Nello stato attuale delle cose non pare conveniente che se ne tenti l'apertura come si desiderava di fare l'anno 1879. Perciò i novizii francesi continuano a recarsi nella casa di Torino aspettando che gli avvenimenti umani diano indizio quali cose possano intraprendersi a vantaggio di nostra Santa Cattolica Religione.

                Ho già inoltrate tre dimande per questo noviziato e se verremo al momento probabile di aprirlo si farà, ove noli trovinsi le altre istanze, un'altra supplica alla Sacra Congregazione dei VV. e RR.

                Se tre anni sono, o quest'anno io avessi potuto ottenere udienza dall'Em.mo Card. Ferrieri, avrei potuto dare schiarimenti, i quali avrebbero risparmiato molto disturbo e non leggero danno alla nostra Congregazione. Ma ciò non ho potuto conseguire.

                Non posso poi nascondere la mia amara afflizione nel non potermi far capire. Lavoro e intendo che tutti i Salesiani lavorino per la Chiesa fino all'ultimo respiro. Non dimando aiuto materiale, ma domando soltanto quella indulgenza e quella carità che è compatibile coll'Autorità della S. Chiesa. [614] Attendo altre richieste per dare ulteriori schiarimenti, e faro quanto posso per essere chiaro affinchè non venga inteso al contrario di quanto ho in animo di esporre.

                Credimi sempre in N. S. G. C.

                Sampierdarena, 7 Maggio 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Tre cose sono fuori di ogni contestazione. In primo luogo, Don Bosco nel gennaio del 1879, incoraggiato dal nuovo Vescovo di Marsiglia, rinnovò presso la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari una supplica per ottenere l'erezione canonica di quel noviziato. In secondo luogo, allora detta Congregazione il 5 febbraio trasmise la supplica al Vescovo diocesano per le opportune informazioni, e monsignor Robert il 23 dello stesso mese inviò a Roma un'amplissima commendatizia, in cui dichiarava che nella casa salesiana di Marsiglia si poteva convenientissime Novitiatus immediate aperiri. In terzo luogo, nonostante il giudizio del Vescovo sulla possibilità di aprire subito il noviziato, Don Bosco non ne fece nulla, perchè nella casa non era ancora pronto un locale indipendente, dove riunire i novizi, ma indugiò fino al 1882.

                In quegli anni gli aspiranti francesi venivano in Italia, ma non tutti; alcuni fecero isolatamente il noviziato nelle case di Francia. Ed eccoci da capo nell'occasione di ribadire cosa già detta e ridetta e da non più fermarcisi; ma potendola ora documentare meglio, torneremo a ripeterla. Nel Processicolo compiutosi presso la Curia di Torino per Autorità Apostolica negli anni 1917-18, il cardinale Cagliero attestò in una sua deposizione[429]: “Don Bosco ebbe fino al 1884, in cui gli furono concessi i privilegi, ogni indulto dal Santo Padre Pio IX e poi da Leone XIII, vivae vocis oraculo, di cui si serviva con prudenza, ma. più volte si servì quando lo vedeva necessario per la gloria di Dio e il bene, delle anime, [615] come mi consta dallo stesso Venerabile e dal suo successore Don Albera”.

                La stima, l'affetto e la venerazione per Don Bosco ricevevano in Francia testimonianze eloquenti, che vedremo estendersi e moltiplicarsi con un crescendo continuo fino alla sua morte. A Nizza, il dottore D'Espiney aveva condotto, a termine una monografia su Don Bosco, della quale si dirà nel prossimo volume, per appagare il desiderio manifestatogli da tanti Francesi di conoscere la vita e le opere dell'uomo di Dio. A Marsiglia nei verbali delle adunanze tenute dal comitato delle Signore gli si dà del santo a ogni piè sospinto; di un santo vi son dette abitualmente la sua parola, la sua preghiera, la sua benedizione. Da Parigi il celebre abate Moigno, fisico e matematico insigne, fondatore della rivista scientifica Cosmos e autore dell'opera monumentale Gli splendori della Fede, scrisse al Direttore di Marsiglia, che l'aveva consultato sopra un sistema di riscaldamento: Je suis dévoué cœr el àme à Don Bosco ci à ses merveilleuses aeuvers [io sono cuore e anima tutto di Don Bosco e delle sue mirabili opere]. Sì schiette significazioni di simpatia appariranno tanto più degne di nota, se si consideri che venivano prodigate in Francia a un Italiano; vero. segno che si era persuasi seriamente della sua santità, non mai straniera in nessuna parte della Chiesa.

 

 

CAPO XXVI. Cominciano le vere Missioni nella Patagonia.

 

                LA Patagonia d'oggi non è la Patagonia di sessant'anni fa. Le sue condizioni sono ora talmente mutate che i giovani patagonici odierni, sentendo parlare di selvaggi e financo di Indi della Patagonia, provano quasi un senso di ribellione, come se si facesse oltraggio alla loro terra nativa, ma i loro avi argentini, che vissuti nei dintorni di Buenos Aires prima della spedizione militare del generale Roca, sperimentarono le carezze o videro le prodezze di quegli uomini del deserto e della foresta, sarebbero di ben altro parere. Del resto, basta dare uno sguardo a una carta del De Moussy nella sua pregevole opera di sessant'anni addietro sull'Argentina[430] per rendersi conto dello stato in cui erano allora quegli sconfinati territori; poichè sopra un'immensa superficie vi si leggono le indicazioni: Traversias, Pampas, Regiones inexploradas, Tierras incógnitas, Indios, Desiertos del Sur, que no son recorridos más que Por los salvajes. Guai a chi si avventurava in quelle plaghe, dove i bianchi erano ritenuti e trattati senz'altro quali prepotenti invasori! Né stavano al sicuro gli abitanti delle zone limitrofe incivilite, essendo continuamente esposti alle indiadas o scorrerie di quei barbari, le cui orde, piombando sulle opíme mandre [617] dei coloni argentini, rubavano il bestiame per andare a venderlo ai Cileni, privi di carne da macello. Non parliamo poi degli assalti ai piccoli centri disseminati a grandi distanze per la campagna: erano rapine, incendi e massacri da far inorridire.

                Il terrore delle carabine, ricacciando gl'indigeni nelle gole della Cordigliera e in pochi rifugi lungo le rive dei grandi fiumi meridionali, dischiuse alla colonizzazione regioni immense, che d'allora in poi si son venute popolando e trasformando. In quest'opera di civiltà ebbero la loro parte notevole i Salesiani, che dopo il passaggio delle truppe si fissarono in luoghi opportuni, donde organizzare l'assistenza religiosa e civile dei coloni e prendere contatto con le tribù superstiti. Queste, serrate sempre intorno ai propri Cacichi, s'avvezzarono adagio adagio a ravvisare nei Missionari di Don Bosco i loro migliori amici, che, mentre portavano ad essi la luce del Vangelo, si studiavano di accostare, amichevolmente i vinti ai vincitori con reciproco vantaggio.

                Il numero degli Indi non era così infinito com'essi pretendevano di dare a intendere, quando, amati e organizzati in selvaggia confederazione, minacciavano il Governo della Repubblica Argentina, quasi fossero in grado d'imporsi anche a' suoi eserciti. In realtà non superavano gli ottantamila. Se di civili e di civiltà non ne volevano sapere, ciò dipendeva, oltrechè dal ricordo di maltrattamenti patiti, dal timore assiduo di perdere la propria indipendenza. Padroni assoluti delle loro misteriose solitudini, scorgevano un pericolo di asservimento anche nella religione; perciò nessun Missionario ne aveva attraversato incolume le tolderie o villaggi di capanne, sicchè ormai l'inutilità del sacrifizio ratteneva sacerdoti e religiosi dall'inoltrarsi sur un suolo così infido.

                Per tal modo l'orgoglio degli Indi, cresciuto sino alla follia, li inebriava al punto che si credevano sovrani intangibili dei loro deserti, immaginandosi che nessuno avrebbe [618] mai osato percorrerli senza sottomettersi ad essi. A rompere tutto quell'incanto e a levar di mezzo quell'incubo continuo fu ordinata l'ardita impresa del 1879[431].

                Conosciuti gli abitatori, esploriamo ora alquanto il terreno, che sarà campo alle prime fatiche apostoliche dei Missionari di Don Bosco. La regione patagonica in tutta la sua estensione geografica abbraccia la Pampa, il Rio Negro, il Chubut, Santa Cruz e la Terra del Fuoco; ma la Patagonia propriamente detta comprende solamente i tre territori del Rio Negro, del Chubut e di Santa Cruz. Noi al presente non dobbiamo occuparci che del territorio più settentrionale, denominato dal fiume Rio Negro, che è tributario dell'Atlantico e formato dall'unione del Neuquén e del Limay con un percorso di 1137 chilometri. Si tratta di un territorio che è circa il doppio dell'Italia.

                Fiaccata la baldanza degli Indi, rimaneva la natura del paese a opporre barriere pressochè insormontabili. Oggi, diremo a più forte ragione noi col dottor Gabriel Carrasco, “dalle rive dell'Atlantico alle vette delle Ande s'incontrano scaglionati villaggi e colonie più o meno ricchi e floridi, che si aprono alla vita della civiltà. L'elica delle navi a vapore agita le viscere del già pauroso Rio Negro e porta palpiti di vita negli antichi centri degli Indi. La locomotiva con i suoi sibili acuti desta gli echi addormentati delle valli. La remota regione dei laghi andini contempla con istupore la bandiera argentina ondeggiante sugli alberi delle navi che li soleano[432]”. Ma mezzo secolo fa che cosa vi trovava il Missionario? Nella zona litorale un arenoso deserto, battuto da venti turbinosi che v'innalzavano i monti di sabbia detti médanos; nella zona centrale 'una serie di altipiani e terrazze, poverissimi di vegetazione, rotti da lagune salmastre e digradanti in sterminate lande sabbiose, le così dette traversias, prive d'acqua e con miseri rudimenti vegetali [619]: a passarvi d'estate, l'afa soffoca, la polvere accieca e mozza il respiro, la sete fa basire uomini e bestie. Vi sarebbe la zona andina, che, chiusa fra le precordigliere argentine e la Cordigliera Reale del Cile, è bella per boschi e prati, torrenti e laghi, e presenta panorami di una grandiosità indescrivibile; ma non esistevano vie d'accesso. Orbene in terre siffatte i Salesiani assistettero al formarsi del nuovo popolo patagonico, potentemente contribuendo al suo progresso e al suo sviluppo con le loro chiese, alla cui ombra benefica sì adagiavano o accorrevano i coloni, con le loro scuole professionali e agrarie per figli di bianchi e di indi, con le prime iniziative agricole, con i primi ospedali e perfino con i primi giornali.

                Uno sguardo così a volo d'uccello ci parve necessario premettere allo svolgimento della storia di queste Missioni, la quale nel processo del nostro lavoro dovrà essere esposta a spizzichi e a intervalli. Con questa notizia sommaria si ha subito sott'occhio il piano di supporto dell'intera ricostruzione storica.

                E la vera storia delle Missioni patagoniche comincia con le due fondazioni di Patagónes e di Viedma, sulla sponda del Rio Negro, a quindici chilometri dalla sua foce[433]. Per nove anni queste fondazioni rimasero le sole: non ci volle minor tempo per preparare il terreno a un piano ben regolato di attività missionaria. Da quei punti strategici i Salesiani con sacrifizi eroici, seguendo il corso dei fiumi, s'inoltrarono per vallate, colline e montagne a visitare i toldos dei poveri indi o le fazende dei civilizzati, non che le colonie che venivano sorgendo in ogni parte. Esplorato il paese, sceglieranno [620] i centri più adatti per case di missione, dando principio alle espansioni, che li porteranno per tutta la Patagonia settentrionale e centrale e nella Pampa, dove tutti gli Indi saran rigenerati nelle acque del santo battesimo.

                Venne per prima la fondazione di Patagones. L'Arcivescovo di Buenos Aires nell'agosto del 1879, ceduta a Don Bosco la Missione della Patagonia e in particolare le due parrocchie di Patagónes e di Viedma, prese a trattare con l'ispettore Don Bodrato per la loro sistemazione, sollecitando in pari tempo dal Governo i sussidi necessari. Due parrocchie per modo di dire; sarebbe come chi facesse dell'Italia due parti, una dal Po alle Alpi e l'altra dal Po alle Calabrie, e ne affidasse a due parroci la cura pastorale. Nel novembre già tutto era conchiuso con i Salesiani e si facevano i preparativi per la partenza, la quale però si dovette protrarre fino al 15 gennaio dell'anno seguente. Fu riprodotta quel giorno in miniatura l'imponente cerimonia dì Torino. Nella chiesa di San Carlo si fece la funzione della partenza, in cui l'Arcivescovo, assistito da canonici e da altri sacerdoti, dinanzi a uno stuolo di amici e benefattori della casa, tenne un bel discorso e disse l'Itinerarium clericorum; poi con onorevole accompagnamento i partenti si recarono a bordo del vapore Santa Rosa, che salpò la mattina appresso. Direttore della Missione era Don Giuseppe Fagnano e suoi aiutanti due sacerdoti e due coadiutori, più quattro Figlie di Maria Ausiliatrice, che andavano anch'esse a fondare la loro prima casa in quel paese. Un giornale della metropoli scriveva di queste ultime: “É la prima volta dacchè il mondo esiste, che si vedono Suore in quelle remote terre australi”.

                Don Fagnano, parroco di Patagónes e di tutte le colonie e tribù indie situate fra il Rio Negro e il Rio Colorado, non frappose indugio all'esercizio del suo apostolato. A Patagónes in settembre due scuole erano già in piena efficienza, [621] la maschile con quarantotto giovanetti e la femminile con quaranta fanciulle. Sollecitudini speciali si dedicavano ai figli degli Indi, che venivano in paese per motivo di commercio o d'altro. Dio solo sa i sacrifizi del primo quinquennio: scarsità di personale, strettezza di mezzi, contraddizioni di autorità congiurarono contro l'opera di Don Fagnano, che, nonostante la sua tempra indomita, avrebbe dovuto cedere le armi, se la mano possente di Dio non l'avesse sostenuto. Nel 1884, avviata e rimessa ad altri quella Missione, andrà Prefetto Apostolico nella Patagonia Meridionale e Terra del Fuoco, dove il valoroso figlio di Don Bosco opererà prodigi di zelo.

                Nella parrocchia di Viedma lavorò provvisoriamente da solo uno dei compagni di Don Fagnano, finchè nel dicembre arrivò il parroco. Fra Don Domenico Milanesio, già più volte ricordato nel corso di queste Memorie. Avesse o no un'idea almeno approssimativa della vastità di territorio toccatagli, si diede arditamente alla ricerca de gli Indi, nel che rivelò tali attitudini che, passato un anno, i Superiori mandarono a surrogarlo in Viedma quell'altro animoso missionario che fu Don Giuseppe Beauvoir, affinchè egli fosse totalmente libero di abbandonarsi alle sue predilette escursioni apostoliche. Fu una vera provvidenza per tutti gli abitatori del Rio Negro; ma diventò specialmente il padre degli Indi, dei quali parlava benissimo l'idioma e dai quali il suo nome veniva proferito come una salutare invocazione, quando contro maltrattamenti di civili non trovavano riparo. In trentatrè anni di apostoliche fatiche attraverso più volte a cavallo la Patagonia e ben ventisette volte valicò le Cordigliere. Molto egli soffrì, ma frutti copiosi di bene compensarono i suoi sacrifizi. Fu peculiar merito suo la definitiva pacificazione dei restanti Indi armati con i comandanti delle milizie governative. A lui si dovettero i primi approcci col bellicoso Manuel Namuncurà, battezzato più tardi con tutta la sua famiglia da colui che impersonò [622] in se stesso tutto il lavoro per il cristiano incivilimento della Patagonia, monsignor Giovanni Cagliero.

                Come Don Fagnano Padre Grande, così saluteranno gli Indi Padre Buono Don Milanesio. Entrambi questi campioni Don Bosco se li era cavati da due vocazioni notevolmente tardive, da lui accolte e curate prima ancora che istituisse i suoi Figli di Maria.

                Essi e gli altri Missionari della prima ora ebbero un solo gran torto: lavorarono, s'immolarono, caddero sul campo del loro apostolato senza curarsi di redigere in iscritto e tramandare ai posteri gli annali delle loro lotte e delle loro vittorie. Ecco perchè col volgere degli anni e in tempi a noi vicini si son potuti sollevare dubbi sulla realtà di un'opera veramente missionaria da essi compiuta. Ma la storia imparziale dovrà far giustizia di sì odiose maldicenze, come le ha chiamate in solenne circostanza un oratore ben informato[434].

                A tempo e luogo noi seguiteremo a narrare i progressi delle Missioni Salesiane in Patagonia durante l’ultimo scorcio della vita di Don Bosco, il quale fino all'estremo seguì con l'incoraggiamento, col consiglio e con la preghiera i passi de' suoi figli nel promuovere su quelle plaghe remote le opere della fede e della civiltà. Ma oltrechè con ogni sorta d'aiuti morali Don Bosco diede impulso allo sviluppo delle sue Missioni procacciando ad esse, non senza gravi difficoltà, un'organizzazione ecclesiasticamente salda, come qui e più innanzi vedremo.

                Già da tempo il Servo di Dio aveva intuita la convenienza di erigere nella Patagonia un Vicariato Apostolico e i lettori sanno delle prime manifestazioni di questo suo pensiero fatte da lui alla Santa Sede; ma quanto più si andava innanzi, tanto più quella semplice convenienza gli appariva una vera necessità, se si voleva dare all'azione missionaria andamento [623] regolare e duratura stabilità. Creando infatti una giurisdizione ecclesiastica non soggetta a Ordinari locali, ma dipendente da Propaganda, si otteneva omogenea e organica compattezza nel personale, libertà di movimenti nell'esercizio del sacro ministero e possibilità di rapporti diretti e continuati col Governo, dalle cui favorevoli disposizioni molto si aveva ragione di sperare. Onde questo fu tino degli affari che maggiormente occuparono Don Bosco durante la sua permanenza a Roma sul principio del 1880. Avvezzo a condursi con ponderazione pari all'importanza dei negozi che aveva tra mano, se ne aperse anzitutto confidenzialmente con alcuni Prelati; poi nell'udienza del 5 aprile ne fece parola col Santo Padre, che si degnò di deputare ufficiosamente a studiar la cosa con Don Bosco monsignor Jacobini, segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici straordinari, e il cardinale Alimonda, che apparteneva alla Congregazione di Propaganda. Il Beato, assistito da Don Dalmazzo, ebbe coi due personaggi parecchie conferenze, il cui risultato egli consegnò in un memoriale; poi, uniti con questo memoriale parecchi documenti illustrativi, il 15 aprile rimise ogni cosa al sullodato Cardinale, che la sera stessa ne fece la presentazione al Papa. Lo scritto di Don Bosco era accompagnato dalla seguente lettera.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Ho l'alto onore di poter presentare a V. S. una breve esposizione sullo stato delle Missioni Salesiane di America e sopra alcuni provvedimenti reputati necessari pel consolidamento delle medesime tra i selvaggi Pampas e Patagoni. Secondo il venerato comando di V. S. ho conferito a lungo coll'Em.mo Card. Alimonda e col Reverend.mo Mons. Domenico Jacobini; e facendo tesoro dei saggi riflessi e suggerimenti di questi due dotti personaggi, si conchiuse essere necessario un Vicariato Apostolico tra le colonie già costituite sulle rive del Rio Negro, ed un Seminario in Europa con cui provvedere Evangelici operai.

                Qualunque ordine la S. V. giudichi di dare a questo riguardo, servirà di norma a continuar la pratica presso al Governo della Repubblica Argentina e presso Mons. Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires. [624] Umilmente prostrato invoco l'Apostolica Benedizione sopra tutti i soci della umile nostra Congregazione e specialmente sopra quelli che sono nelle Missioni di America, che tanto la desiderano.

                Roma, 13 Aprile 1880.

 

Umil.mo ed Ob.,mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il memoriale conteneva un'esposizione ordinata e chiara di quello che erasi voluto fare, di quanto si era già fatto, e del rimanente che si aveva in animo di venir facendo nell'America del Sud; donde emergeva la necessità d'istituire nella Patagonia un Vicariato Apostolico e di aprire a Marsiglia un seminario per la formazione dei futuri Missionari.

 

                Esposizione fatta al S. Padre Leone XIII intorno alle Missioni Salesiane dell'America del Sud allo scopo di fondare un Vicariato Apostolico nella Patagonia.

 

LE MISSIONI SALESIANE ED I RAPPORTI COLLA S. SEDE.

 

                Le Missioni estere furono sempre oggetto vagheggiato dalla Congregazione Salesiana. Il bisogno di sostenere la fede in quelli che sono già battezzati, propagarla nei paesi selvaggi e così coadiuvare a liberare dalle tenebre dell'errore quelli che tuttora vi si trovano, si ebbe sempre tra di noi quale argomento di studio, di lettura e di ammirazione. Per molto tempo i nostri allievi solevano recarsi nelle Missioni, associandosi ad altri istituti, o richiesti dai Vescovi nell'America, nell'Australia, nelle Indie, nella China e nel Giappone. Le prime trattative di fare spedizione di Missionari all'estero furono nel 1872 coll'Em.mo Card. Barnabò Prefetto di Propaganda Fide; di poi il Sommo Pontefice Pio IX consigliava di raccogliere i religiosi Salesiani che aspirassero alle Missioni ed inviarli riuniti a fondare Case ed Ospizi nei siti dove apparisse maggior bisogno. Fra le altre regioni il Sommo Pontefice si compiaceva di segnalare l'America meridionale e nominatamente la Repubblica Argentina. Essendo egli stato qualche tempo in quei paesi potè conoscere la grande necessità di Missionarii che si recassero a prendere cura degli Italiani colà dispersi ed anche tentare qualche prova tra gli Indi Pampas e Patagoni. Il caritatevole Pio IX aiutò efficacemente con mezzi materiali a compiere la prima spedizione, ed il I° Novembre 1875 dieci Salesiani vennero a presentarsi dal Supremo Gerarca della Chiesa, dal S. Padre per chiedere la Benedizione, e così ricevere la Missione Apostolica dal Vicario di Gesù Cristo. Il S. Padre li accoglieva con grande benevolenza, li incoraggiava [625] con calde parole e li muniva di una lettera del Cardinale Segretario di Stato all'Arcivescovo di Buenos Aires in data dello stesso giorno.

                Ai medesimi erano concesse le facoltà necessarie dalla Sacra Congregazione di Propaganda Fide con decreto del 14 Novembre 1875.

                Il Sommo Pontefice poco dopo esprimeva la sua consolazione, lodando ed approvando la novella spedizione con un Breve in data 17 dello stesso mese ed anno.

                Per date maggiore stabilità a quella Missione la Congregazione di Propaganda Fide, informata dell'incremento della Messe Evangelica e delle vocazioni che in quei paesi cominciavano a manifestarsi, autorizzò la fondazione di un Noviziato con Decreto 6 luglio 1876.

                Il regnante Sommo Pontefice, che Dio lungamente sano e salvo conservi, in data 18 Settembre 1878 si degnava di indirizzare altro Breve pieno di paterno affetto, con cui approva ed incoraggia le Missioni Salesiane di America.

                Lo stesso regnante Leone XIII sebbene travagliato dalle strettezze finanziarie, tuttavia saputa la mancanza di mezzi pecuniarii per una quarta spedizione, concorse con generosa offerta ed animava a proseguire le opere incominciate con apposita lettera in data 23 Novembre 1878.

 

SCOPO DELLE MISSIONI SALESIANE D'AMERICA.

 

                Il Sommo Pontefice Pio IX proponeva ai Missionarii Salesiani tre fini:

                I° Andare a prendere cura degli adulti e specialmente dei giovanetti italiani, che in gran numero sono dispersi nell'America del Sud.

                2° Aprire Ospizi in vicinanza de' selvaggi perchè servissero come di piccolo Seminario e ricovero per i più poveri ed abbandonati.

                3° Con questo mezzo farei strada alla propagazione del Vangelo fra gli Indi Pampas e Patagoni. La Ia partenza dei Salesiani, come si disse, fu effettuata il 14 novembre 1875, e giunsero il 14 del seguente mese in Buenos Aires, capitale, della Repubblica Argentina.

 

PRESENTE STATO DELLE MISSIONI SALESIANE IN AMERICA.

 

                Attualmente i Salesiani in America sono circa 120 che si occupano come segue:

                Nella Diocesi e città di Buenos Aires, col Provinciale, centro della direzione e dell'amministrazione. L'Ispettore o il provinciale abita nella Parrocchia testè eretta sotto il titolo di S. Carlos en Almagro, di circa seimila anime.

                Ospizio di Pio IX, in cui circa 150 poveri fanciulli apprendono arti e mestieri.

                Scuole pubbliche, Oratorio, giardini di ricreazione e trattenimenti per gli esterni ne' giorni festivi. [626] Noviziato e studentato pei Soci della Congregazione.

                Parrocchia detta della Boca dedicata a S. Giovanni Evangelista di circa 27 mila abitanti, quasi tutti Italiani.

Pubbliche scuole pei poveri fanciulli.

                Chiesa detta Mater Misericordiae, o de los Italianos, che ha per fine precipuo d'assistere nella religione gli adulti ed i fanciulli italiani, che numerosi intervengono dai vari quartieri della città e dalle vicine campagne.

                Nella città di S. Nicolás de los Arroyos, a poca distanza dai selvaggi, avvi un Collegio o Piccolo Seminario per le Missioni, da cui già si ottennero alcune vocazioni.

                Nella città stessa amministrano una chiesa pubblica a favore degli adulti.

                Si amministra parimenti la parrocchia di Ramallo che è un villaggio di circa 4000 anime. Questa parrocchia è composta di vari casolari dispersi e distanti 1'uno dall'altro, ma che si raccolgono ne' giorni festivi a fine di assistere alle pratiche religiose, accostarsi ai Santi Sacramenti, e fare amministrare il S. Battesimo ai fanciulli.

                Nella Repubblica dell'Uruguay coll'aiuto del Signore si poterono eziandio già fondare più case.

                Il Collegio Pio di Villa Colón elle è considerato quale Seminario diocesano per le Missioni, ed è pareggiato all'Università dello Stato.

                Una pubblica chiesa è ufficiata a benefizio della popolazione circostante a Villa Colón.

                In Montevideo capitale della Repubblica, fu fondato un Oratorio con le scuole pei fanciulli poveri e pericolanti.

                Nella città di Las Piedras si regge una parrocchia di seimila anime, con pubbliche scuole e con Oratorio festivo.

 

SUORE DI MARIA AUSILIATRICE.

 

                Da tre anni le Suore di Maria Ausiliatrice si recarono in soccorso dei religiosi Salesiani di America, e si occupano delle fanciulle povere che sono numerosissime e che restano in grave pericolo della moralità e della religione.

                Nella Diocesi di Montevideo nella mentovata Parrocchia di Las Piedras le Suore aiutano i missionari a fare scuola, catechismo, assistere ed istruire le ragazze che provengono dagli Indi, preparandole a confessarsi, comunicarsi, a ricevere il Sacramento della Cresima.

                A Villa Colón hanno scuola, laboratorii nei giorni feriali, e Congregazione festiva per le ragazze più adulte.

                In Montevideo fondarono scuole ed Ospizio per le ragazze in pericolo di cadere nelle mani dei Protestanti.

                Nella città di Buenos Aires fondarono molte scuole, laboratorii e congregazioni festive per le fanciulle abbandonate. [627]

 

LE COLONIE DEL RIO NEGRO.

 

                Dato un rapido cenno sullo stato delle Missioni Salesiane d'America, giova ora esporre brevemente quanto si reputa più necessario da farsi, per migliorare la sorte dei selvaggi Pampas e Patagoni sul Rio Negro.

                Il Rio Negro è un fiume che nasce nelle sommità delle Cordigliere de Los Andes il quale dopo un lungo e tortuoso corso di oltre 1000 km. va a scaricarsi nell'Atlantico al grado 40 di latitudine Sud. La sponda Nord di questo fiume segna i confini dei vasti deserti Pampas. Alla sponda Sud del medesimo principiano le vaste regioni della Patagonia Orientale.

                Per quattro secoli i Missionarii Cattolici sostennero molte fatiche a fine di penetrare in quei selvaggi paesi; fecero inauditi sacrifizi, ma senza frutto, per quanto si sa, perciocchè niuno di coloro che penetrarono nell'interno della Patagonia poterono ritornare.

                L'anno 1878 i Salesiani desiderando di fare anch'essi una prova, partirono sopra un naviglio del Governo diretto al Rio Negro, ma una terribile burrasca li pose in pericolo della vita, li respinse più volte e infine furono costretti a rifugiarsi in Buenos Aires. Nel 1879 con miglior successo ritentarono la prova per altra via. Attraversarono i Pampas, parlarono coi Cacichi, o Capi de' selvaggi, trovarono buona accoglienza e poterono amministrare il S. Battesimo ad oltre 400 fanciulli Indi. Pervenuti al Rio Negro perlustrarono le Colonie di cui l'Arcivescovo di Buenos Aires in una lettera del 15 Agosto 1879. Offrendo quelle Missioni ai Salesiani, ne fa la descrizione come segue:

                “É finalmente giunto il momento, in cui io Le posso offrire la Missione della Patagonia che le stava cotanto a cuore, come altresì la Parrocchia di Patagones, elle può servire di centro alla Missione. Come Ella avrà già veduto dalle lettere del Sig. D. Costamagna, la Parrocchia di Patagones comprende:

                I° Carmen di Patagones con circa 3500 anime, ed è qui che risiede il Parroco che ne ha la cura;

                2° La Guardia-Mitre che è situata a circa 17 leghe da Patagones con una popolazione di circa 1000 anime;

                3° La Colonia Conesa a 34 leghe da Patagones ove si trovano circa 8oo Indi della tribù di Catriel;

                4° La nuova popolazione di Choele-Choel a 70 leghe da Patagones con circa 2000 anime tra cristiani ed indi. Tutti questi villaggi sono situati sulla riva Nord del Rio Negro, che si può facilmente passare, poichè nella sua larghezza non oltrepassa due Cuadras (metri 270). Dirimpetto a Carmen di Patagones, sulla riva Sud del Rio Negro, già propriamente nella Patagonia, si trova Mercédes della Patagonia, ove ha sede il governatore di questi territorii. Avvi quivi una chiesa adattata alla popolazione che è di 1500 anime.

                Ad otto leghe all'incirca da Mercédes si trova la Colonia di San [628] Francesco Saverio, anch'essa sulla riva Sud del Rio Negro, perciò terra di Patagonia. Questa colonia è composta di 400 Indi Linares.

                Tutti questi villaggi non hanno che un Sacerdote, il quale nei giorni festivi, celebrata una Messa nei luoghi di sua residenza, attraversa il fiume per recarsi a celebrare una seconda a Mercédes della Patagonia. Come Ella ben vede, è cosa impossibile che un prete solo possa bastare al servizio regolare di tutte queste parrocchie, quando anche avesse un coadiutore; ed egli è con grande mio rammarico che fino ad ora non ho potuto porre rimedio a tanto bisogno, a causa dell'assoluta mancanza di Sacerdoti.

                I Padri Lazzaristi 'alcuni anni or sono si presero carico di questa missione, ma il tutto si ridusse ad alcuni preparativi per la casa dei missionarii; dopo di che per mancanza di soggetti la dovettero abbandonare.

                A tutti questi guai si aggiungono i tristi effetti della Propaganda Protestante, che lavora in questi paesi”.

                Per cooperare a porre argine a quei mali crescenti e dare qualche stabilità alle Missioni Patagoniche ed impedire, che quelle popolazioni cadessero vittime delle insidie dei nemici della fede, si accettò la proposta dello zelantissimo Arcivescovo Aneyros, che faceva eziandio delle buone proposte a nome del Governo Argentino, di mandare i Salesiani in Patagonia. Venne quindi stabilita una spedizione di dodici Salesiani il 15 Dicembre ultimo scorso, e con più quieta navigazione pervennero a Carmen il 2 Gennaio di quest'anno. Altri partirono di poi in aiuto dei loro confratelli; e se  la Divina Provvidenza ci continua il suo appoggio, speriamo di effettuare tra breve un'altra spedizione[435].

                Il Governo Argentino, che per giovare alla sistemazione civile e religiosa di quelle colonie le costituì in Provincia, favorisce le Missioni [629] e presentemente offre l'opera sua per coadiuvare i Salesiani ad evangelizzare le due sponde del Rio Negro, che è quanto dire la promulgazione del Vangelo fra i selvaggi Pampas e Patagoni. A tale scopo promette aiuti materiali e appoggio morale. Ultimamente poi il Presidente di quella Repubblica chiese formalmente che gli si presenti un Capitolato in cui si espongano le condizioni che si reputeranno opportune per regolare i rapporti Ara i Missionarii, il Governo e gli Indi.

                                I Salesiani, giunti nella Patagonia, secondo il favore dell'Arcivescovo di Buenos Aires, scelsero Carmen per centro di corrispondenza e direzione. Le prime loro sollecitudini furono dirette alla erezione di chiese, di. case di abitazione, di scuole pei fanciulli e per le ragazze. Mentre alcuni si occupano così ad insegnare arti, mestieri e l'agricoltura alle colonie costituite, altri continuano ad avanzarsi tra i selvaggi per catechizzarli, e, se è possibile, fondare nuove colonie nelle regioni più interne del deserto.

                Le Suore di Maria Ausiliatrice hanno già cominciato a lavorare in favore di quelle colonie, ad organizzare scuole ed ospizi per ragazze abbandonate.

 

COSE DA FARSI.

 

                Per rendere la religione stabile nella Patagonia e cooperare efficacemente allo sviluppo ed incremento delle missioni, sembrano abbisognare tre cose di prima importanza:

                I° Una Prefettura o un Vicariato Apostolico che sia centro delle Colonie già costituite e di quelle che coll'aiuto del Signore si spera di formare.

                2° Fondare un Seminario che raccolga allievi, per fare studi, sull'indole, sulla lingua, intorno ai costumi, sulla storia e geografia di quei luoghi.

                3° Formulare una proposta con cui accettando le buone disposizioni del Governo Argentino, si assicuri lo stato religioso e civile degli Indi che vengono alla fede.

                Siccome le trattative del Governo Argentino esigono tempo e schiarimenti, perciò questo punto si può alquanto differire.

                Possono però fin d'ora trattarsi gli altri due punti, cioè la fondazione di un Vicariato Apostolico e di un Seminario Per le Missioni della Patagonia.

 

VICARIATO APOSTOLICO NELLA PATAGONIA.

 

                Il Governo Argentino avendo erette testè in Provincia le Colonie sopra descritte col nome di Provincia della Patagonia, collo stesso nome si potrebbe appellare il Vicariato o Prefettura Apostolica. Esso abbraccerebbe le Colonie delle due sponde Nord e Sud del Rio Negro, comprese tutte le terre del versante Orientale della Patagonia, fino a che non sia eretto un nuovo Vicariato a S. Cruz, piccola Colonia già [630] fondata verso lo stretto di Magellano, dove il Rio di tal nome si versa nell'Atlantico. Così che il nuovo Vicariato si estenderebbe dal 360 esclusivamente al 300 grado di latitudine Sud.

                Sarà bene di notare come le Cordigliere de los Andes dividono la Patagonia dal 400 al 500 grado di latitudine Sud fino allo stretto Magellano, formando così il versante Orientale dalla parte dell'Atlantico, il versante occidentale verso il Pacifico. Questo secondo versante appartenendo al Chilì sarebbe da escludersi dal progettato Vicariato. Dopo lo stretto Magellano cominciano Le Terre del Fuoco e le isole adiacenti sino al Capo Horn, cioè dal 50° al 630 grado. Questi paesi essendo ora oggetto in questione tra il Governo Argentino e il Chilì, sarà pur bene di non fame cenno nel nostro progetto.

                Fondato dalla S. Sede un Vicariato Apostolico a Carmen, oltre un centro stabile per quelle Missioni, si avranno eziandio i titoli per ottenere soccorsi dall'opera della Propagazione della Fede e della Santa Infanzia. Qualche aiuto si avrà parimenti da alcuni comitati di beneficenza, costituiti a Buenos Aires, collo scopo di cooperare alla diffusione del Vangelo tra i Pampas e nella Patagonia.

                Si ha pure fondata speranza che il Governo Argentino accondiscenderà a costituire una dotazione annua per un Vicariato che si può dire indispensabile per le condizioni politiche e religiose di quei paesi.

 

SEMINARIO PER LE MISSIONI DELLA PATAGONIA.

 

                Tre Collegi o Piccoli Seminari, come si disse, furono fondati nell'America del Sud a fine di coltivare le vocazioni allo stato ecclesiastico. Uno a Villa Colón; l'altro a Buenos Aires; il terzo a S. Nicolás de los Arroyos, ultima città della Repubblica Argentina confinante coi Pampas. Qualche vocazione si è già ottenuta, ma tali vocazioni per ora sono assai rare e non possono bastare ai gravi bisogni di quelle diocesi che versano nella massima penuria di clero. Sicchè diviene indispensabile un Seminario in Europa che abbia per fine di preparare evangelici operai per la Patagonia.

                Fatti maturi riflessi sulla convenienza di aprire questo Seminario in Italia, in Francia o nella Spagna, pare che per la speranza di appoggio materiale e morale sia da preferirsi la città di Marsiglia pel Seminario propriamente detto, e di aprire a suo tempo uno studentato nella Spagna per facilitare lo studio e l'uso della lingua spagnuola, che è appunto quella del Governo, e delle scuole del popolo, e prima ad essere imparata dai selvaggi.

                Costituito un Vicariato Apostolico, questo Seminario e questo studentato possono essi pure con fondamento sperare qualche aiuto dalla Propagazione della Fede e dalla S. Infanzia e si potrebbe anche organizzare un modo facile di raccogliere offerte a questo fine, qualora ciò sia di gradimento al S. Padre. [631] Si noti che per non toccare le suscettibilità delle Diocesi che in generale versano tutte nella penuria di Vocazioni ecclesiastiche, pare meglio che gli allievi siano ammaestrati fino alla filosofia; di poi restino liberi di fare ritorno nella propria Diocesi, o entrare in qualche Ordine religioso, oppure dedicarsi alle Missioni. della Patagonia. Soltanto questi ultimi dovrebbero essere definitivamente ricevuti ed avviati a fare gli studi proprii di coloro che vogliono consacrarsi alle Missioni fra i selvaggi Pampas, Patagoni, e, se a Dio piacerà, anche nelle Terre del Fuoco.

                Tutte le cose sovra esposte furono trattate e discusse col Rev.mo Mons. Domenico Jacobini, Segretario della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarii, e coll'Em.mo Card. Gaetano Alimonda, membro della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, ambidue appositamente incaricati da S. S. il Sommo Pontefice Leone XIII, cui ogni cosa sarà comunicata, affinchè si degni benedire ed approvare quanto giudicherà tornare a maggior gloria di Dio e a salvezza delle anime.

                Roma, 13 Aprile 188o.

 

                Due giorni dopo, certo secondo intelligenze prese nelle anzidette conversazioni, diede formale comunicazione della pratica iniziata a monsignor, Federico Aneyros, Arcivescovo di Buenos Aires, e a Don Bodrato, Ispettore dei Salesiani. Nella prima lettera non si può non ammirare la delicatezza squisita e. l'evangelica semplicità, con cui il Servo di Dio sfiora un tema per natura sua assai geloso in materia di giurisdizione.

 

                Eccellenza Rev.ma,

 

                A suo tempo, ho ricevuto la lettera di V. E. e quella di Mons. Espinoza. di Lei

                Vicario Generale, con cui a nome suo ed anche del Governo -Argentino offriva ai Salesiani le Missioni di Patagones e delle altre colonie del Rio Negro. - Di buon grado accettai quella pro posta, ed ho procurato di spedire alcuni religiosi, a fine di vedere, esaminare e preparare le cose occorrenti per accogliere altri Missionari che appunto si preparano alla partenza. Ma presa la proposta nella dovuta considerazione, ho giudicato di esporre ogni cosa al S. Padre per avere lumi, consiglio e direzione in affare di tale importanza. La S. S. volendo procedere con cognizione di causa, deputò una commissione di  eminenti personaggi, i quali giudicano poter tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime:

                I° Encomiare le sollecitudini dell'Arcivescovo di Buenos Aires per lo zelo che esercita nella vasta sua diocesi e segnatamente per dilatare il Vangelo tra i selvaggi dei Pampas e della Patagonia. [632]

                2° Esaminata poi la distanza delle colonie del Rio Negro dalla Sede Arcivescovile (quindici giorni di viaggio), propone la erezione di un Vicariato Apostolico, il quale abbracci le colonie costituite o che si andranno organizzando sulle sponde del Rio Negro. Così che il nuovo Vicariato si estenderebbe dal 360, esclusivamente al 50° grado di latitudine Sud. Si appellerebbe Vicariato Apostolico della Patagonia, essendo così chiamata la Provincia dal Governo colà stabilita., Avrebbe sede a Carmen, che diverrebbe il centro delle Missioni Salesiane fra gli Indi, secondo il parere della E. V.

                3° Pregare la F. V. a fare buoni uffizi presso al Governo, affinchè voglia coadiuvare con una pecuniaria annualità a fondare e sostenere tale Vicariato, che si reputa indispensabile per assicurare lo stato civile e religioso di quelle colonie. A tale uopo si scrive eziandio una lettera al Superiore dei nostri religiosi, affinchè di consenso colla E. V. promuova tutti quei provvedimenti che possono contribuire all'incremento e stabilità di quelle missioni.

                4° Ogni riflesso, osservazione che la E. V. giudicasse di fare al proposito, è pregata di voler tutto indirizzare a S. E. Reverendissima il Card. Nina, Segretario di Stato di Sua Santità.

                Dal canto mio poi non desisterò di fare quanto è in mio potere sia coll'inviar altri Missionarii in aiuto di quelli che già si trovano in Patagonia, sia con mezzi materiali che a questo fine si potessero raccogliere in Europa.

                Lo zelo della E. V. ha chiamato i miei religiosi nell'America del Sud, colla sua carità li ha sempre protetti e sostenuti, ed ho piena fiducia che continuerà a farci da padre, mentre noi promettiamo quali figli rispettosi di ubbidirla e servirla in ogni cosa che ci sia possibile.

                Sono lieto di potermi professare colla massima stima e col più profondo ossequio

                Di V. E. Rev.ma

                Roma, 15 Aprile 1880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco

Rettor Magg. della Cong. Sal.

 

                La seconda lettera è redatta anch'essa con molta circospezione, come quella che costituiva un documento da doversi eventualmente sottoporre alle autorità competenti.

 

                Mio caro D. Bodratto,

 

                Le buone disposizioni di Mons. Arcivescovo di Buenos Aires e del Governo Argentino, per diffondere la civiltà e la religione tra gli Indi e tra le colonie del Rio Negro, mi mossero ad accettare di tutto buon grado l'offerta delle missioni destinate alla civilizzazione ed evangelizzazione [633] degli abitanti in quelle vaste ed incolte regioni. A tale fine, come ben sai, abbiamo cominciato ad inviare il Dottore Fagnano con alcuni compagni allo. scopo di preparare mezzi e locali ad altri Salesiani che fra breve dovranno partire e recarsi a rinforzare le file de' loro confratelli della Patagonia.

                Ma nel desiderio di rendere ognor più stabile l'opera civilizzatrice tra quei popoli e quindi agevolare fra gli Indi la cognizione e la pratica delle arti, dei mestieri, dell'agricoltura, mi sono recato a Roma a fine di esporre al S. Padre come il Governo Argentino favorisca i Salesiani tanto pei passaggi, quanto per giovarci a vivere in que' selvaggi paesi. Il S. Padre ne provò grande consolazione; perchè con ciò venivasi, a concepire fondata speranza di dilatare il regno di Gesù Cristo sulla terra. Affinchè poi la pia impresa fosse maturamente ponderata, deputò una commissione di eminenti personaggi ad esaminare. quanto si era fatto nei tempi passati, e quanto fosse opportuno a farsi per cooperare col Governo a civilizzare ed evangelizzare que’ Popoli, che sono pur figli del Padre celeste, chiamati al grembo della cattolica religione; che è pure la religione dello Stato Argentino. Gli incaricati di S. S. dopo aver maturamente ponderata la condizione storica, geografica, civile e religiosa dei Pampas e della Patagonia, considerata la grande distanza di quelle colonie dalla Sede Arcivescovile di Buenos Aires, avuto riguardo al numero degli abitanti che già oltrepassano i diecimila e sono in via di aumento, persuasi che un Vicariato Apostolico servirebbe di legame morale e religioso ai popoli e nel tempo stesso formerebbe un centro intorno a cui potrebbero con sicurezza raccogliersi gli Indi che venissero alla fede: calcolando sulla generosità del Governo Argentino per un'opera diretta a civilizzare una parte notabile e più bisognosa de' suoi Stati: per tutti questi riflessi vennero alle seguenti deliberazioni:

                I° Ringraziare il Governo Argentino pel favore che presta alla, religione specialmente per diffonderla tra gli Indi.

                2° Consolidare lo stato civile e religioso delle colonie del Rio Negro, mercè la fondazione di un Vicariato Apostolico che si appellerebbe col nome stesso della provincia di Patagonia, e che abbraccerebbe le colonie costituite e quelle che fossero per fondarsi nei confinanti paesi dei selvaggi; così che il nuovo Vicariato si estenderebbe dal 360 esclusivamente al 50° grado di latitudine Sud.

                3° Pregare il Governo di venire in aiuto con un annualità pecuniaria, a fine di poter fondare ed assicurare l'esistenza di un Vicariato Apostolico tanto distante dai paesi inciviliti.

                4° Le intenzioni che verranno manifestate  dal Governo possono indirizzarsi all'Em.mo Card. Lorenzo Nina, Segretario di Stato di Sua Santità. Ma per la regolarità delle trattative e perchè siano fedelmente seguiti i buoni voleri del Governo, è opportuno che la risposta sia fatta per iscritto. [634] Dopo aver date le comunicazioni e le spiegazioni richieste dall'autorità civile, me ne farai relazione, per norma di quanto sarà da farsi pel buon successo della pia impresa.

                Intendo pure che questa lettera serva di ringraziamento al Governo della Repubblica per la protezione, benevolenza ed aiuto che in più occasioni ha somministrato ai religiosi Salesiani, ed alle Suore di Maria SS. Ausiliatrice.

                Roma, 15 Aprile 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Accompagnò questa lettera ufficiale e da comunicarsi alle autorità governative con un'altra intima, spirante il paterno affetto che sempre lo animava verso i Salesiani e verso le Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

                Mio caro D. Bodratto,

 

                Ti mando qui una lettera che tu comunicherai al Governo; anzi sarà bene che tu ne rilevi copia per lasciare, ove occorra, lo stesso originale in mano altrui. Una lettera quasi identica fu scritta all'Arcivescovo, con cui conferirai e di mano in mano si delibera qualche cosa, me lo farai tosto sapere. La pratica fu lunga assai, ma il Santo Padre che ne è alla testa, se ne occupò e se ne occupa personalmente.

                Per le conferenze preparatorie ci fui io e il nostro D. Dalmazzo, Mons. Jacobini Seg. della Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarii e il Card. Alimonda da parte della Propaganda.

                Se si può ottenere la fondazione regolare di un Vicariato, le nostre Missioni saranno sussidiate dall'Opera della Propagazione della fede e coll'appoggio della medesima si stabilirà un seminario in Europa collo scopo di preparare missionarii pei Pampas e per la Patagonia.

                Ho più volte ricevuto delle notizie e dei Salesiani e delle suore di Maria Ausiliatrice e benedico il Signore che ci ha in modo sensibile aiutati.

                Esprimi a tutti la mia grande soddisfazione. Il Santo Padre poi va all'entusiasmo per le nostre missioni. Vi manda una speciale benedizione. Spesso parla di voi; e vuole Egli pure venire in nostro aiuto materialmente.

                Raccomanda ai nostri cari confratelli:

                I° Lavorare quanto comporta la sanità e non di più, ma ognuno si guardi dall'ozio.

                2° Raccomandare l'osservanza delle nostre regole. Guai a noi se le studiamo senza praticarle!

                3° Sappimi anche dire se è possibile che almeno qualcuno venga al capitolo generale di settembre. Io lo desidero nel limite del possibile. Siamo scarsi di notizie di D. Fagnano e de' suoi compagni. [635] Ci occupiamo a preparare compagni per venire in vostro aiuto.

                Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Bodratto, e con te benedica tutti i nostri amati Salesiani e suore di M. A. Fa tanti rispetti al dott. Carranza, Mons. Espinosa. La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi ed abbimi sempre nei sacri cuori di G. e di M.

                Roma, 17 Aprile 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Mentre queste trattative facevano il loro corso, che non poteva essere di breve durata, Don Bosco vedeva avvicinarsi il tempo degli esercizi spirituali, in cui avrebbe avuto bisogno di presentare alle sacre ordinazioni una ventina di Salesiani; ma vedeva pure come perdurassero sempre le difficoltà occasionate dalla mancanza dei privilegi[436]. Perciò se già altre volte in passato, tanto più allora, volendo ottenere due extra tempus, mise in campo l'urgenza di aver personale per le sue Missioni cotanto benevise e incoraggiate da Leone XIII; umiliò dunque al Santo Padre questa supplica.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Le missioni dell'Uruguay e della Patagonia, che V. B. si degnò di benedire ed affidare all'umile Congregazione di S. Francesco di Sales, pigliano proporzioni molto estese con grande speranza di frutti spirituali. Un numero notabile di Sacerdoti catechisti, capi d'arte e di Suore coll'aiuto del Signore hanno già potuto stabilire chiese, case, scuole ed ospizi a benefizio dei fanciulli e delle ragazze selvagge, di cui più migliaia in breve tempo sono venuti alla fede. Ma il numero degli attuali operai è insufficiente al crescente bisogno di quei popoli, e [636] perciò secondo il beneplacito di V. S. si  sta preparando novella spedizione da effettuarsi sul principio del prossimo Novembre. Ma affinchè tale pia impresa possa compiersi, secondo la gravità del bisogno, occorre che Vostra Santità con atto di somma clemenza si degni concedere al Superiore della Congregazione di San Francesco di Sales , che nei prossimi mesi, di Agosto, Settembre ed Ottobre possa fruire due volte dell'Extra tempus, e così presentare alle sacre Ordinazioni quei Salesiani d'Italia e di Francia che avessero l'età e la scienza necessaria e che fossero forniti delle altre qualità prescritte da S. Chiesa.

                Umilmente prostrato supplico per questo segnalato favore, che spero tornerà a maggior gloria di Dio ed a grande vantaggio delle anime degli Indi, che ansiosi attendono chi vada a portare tra loro la luce del Vangelo e metterli per la via della eterna salvezza.

                Torino, 14 Luglio 1880.

 

Umile supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Procuratore, incaricato di far pervenire la supplica, ricevette da Don Bosco le seguenti istruzioni[437]: “Leggerai l'unita supplica al S. Padre e la lettera a Mons. Agnozzi, e poi metterai tutto in un piego che porterai al palazzo della Cancelleria procurando di parlargli[438]. Per tua norma ho domandato già due anni sono la stessa facoltà, ma mi fu concessa due mesi dopo la partenza dei Missionarii[439]. Se mai travedessi difficoltà, prega lo stesso Mons. Agnozzi che non la prenda male, se tu ti servi del Card. Protettore o di qualche altro canale che egli giudichi opportuno a questo bisogno. Nota anche: Mons. Agnozzi ci ha sempre favoriti; la facoltà dei nostri Missionarii, il permesso di aprire un noviziato in America sono tutte opere sue”.

                Il Beato continuava a confidare molto nei buoni uffizi di monsignor Agnozzi; ma ora le circostanze erano mutate. Monsignore da Segretario di Propaganda era passato a Segretario della Congregazione de' Vescovi e Regolari, e in questo nuovo ufficio egli si conformava agli atteggiamenti del suo Cardinale Prefetto nei riguardi del Servo di Dio. [637] Ne ebbe una prova Don Dalmazzo, quando, secondo le istruzioni di Don Bosco, si rivolse al cardinale Nina per l'extra tempus[440]. Saputo ciò, Don Bosco ne fu addoloratissimo; per altro, nell'esporre al Procuratore il suo sentimento dopo la notizia delle resistenze incontrate, scrive una lettera proprio da Santo, cominciandola e terminandola con lo scherzare nel più amabile dei modi sopra gli effetti del caldo e inserendovi un periodo, che ritrae tutta la sua magnanimità.

 

                Mio caro D. Dalmazzo,

 

                Qui noi siamo mezzo gelati pel caldo. Grande economia nella combustione di legna nella stufa, calorifero, ecc. Metteremo insieme quattrini.

                Non so capire come la pratica di D. Bonetti inoltrata alla Sacra Cong. del Concilio, ora tu me la metti ai Vescovi e Regolari. Qui noi perdiamo il 90% Se puoi, dammene spiegazione[441].

                Io credo bene che, o tu solo, o con l'avv. Leonori andiate a fare una visita al Card. Nina nostro protettore. Similmente fagli vedere la domanda dell'extra tempus. Se il S. P. desidera che sosteniamo le missioni che ci ha raccomandate, bisogna che egli, il S. Padre, ci sostenga specialmente in cose che godono tutte le altre Congregazioni, a tempo assoluto. Non potrebbe permetterci che per questa volta potessimo far capo ai Concilio che è proprio di spettanza? Il chiedere l'extra tempus per alcuni nominandi, non provvede al nostro bisogno. Ciò ho già fatto altre volte, ma mi fissarono dei Vescovi ordinanti di cui non ho potuto valermi. E poi per ognuno, per ciascuna ordinazione, una tassa. Sentirai quello che ti dirà il Card. Nina cui porterai a leggere la stessa mia dimanda. Se fosse caso di iniziare una questione col nostro Arc. è meglio di unite le nostre cause, e ce ne sono assai. Per tua norma l'Arcivescovo ha testè fatto un reclamo, che ci fu comunicato dal Card. Segretario di Stato,. Secondo esso noi siamo inconciliabili; non abbiamo accettata una sua proposta[442]. D. Berto ti manderà la pratica, o meglio, copia di risposta fatta al prelodato nostro Cardinale.

                Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi io rispondo sem re coll'apertura di una casa. Ora sto vedendo quale sarà. [638] Se vedi che i tuoi colleghi di mensa a motivo del caldo siano in pericolo di diventar freddi, mandali in Piemonte e tu li seguirai, oppure provvederai in qualche maniera. Se fosse per qualche settimana credo che il nostro caro Sigismondi ti darà volentieri la pappa. Come stai di danaro?

                Il sudore mi bagna la carta e non posso più scrivere.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia e prega per me: sarò sempre in G. C.

                Torino, 21 Luglio 1880.

 

Aff.mo, amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Per i buoni uffizi del cardinale Nina la dispensa dei due extra tempus fu ottenuta[443].

                Nell'Argentina le comunicazioni di Don Bosco giunsero troppo in mal punto, perchè Arcivescovo e Governo se ne potessero occupare. Si era ai prodromi della guerra civile. Fra il settembre e l'ottobre ci dovevano essere le elezioni presidenziali, uscendo di carica il presidente Avellaneda. Due candidati si disputavano la magistratura suprema della Repubblica, il generale Roca, figlio d'italiani, ma nato nel paese, e il giureconsulto Tejedor. Quegli aveva dalla sua il Governo, la gente d'armi e undici province; questi la provincia di Buenos Aires, di cui era governatore, due altre province e tutta l'aristocrazia. Le truppe nazionali si schierarono agli ordini del primo; l'altro, risoluto di sostenersi. con la forza, improvvisò un suo esercito reclutato in furia e armato alla meglio. I fautori di entrambi ingaggiarono una lotta cruenta, il cui accanimento culminò nel mese di giugno[444].

                Le milizie nazionali cinsero la capitale d'assedio, sicchè il collegio San Carlo si trovò fra due fuochi. Don Bodrato aveva avuto la previdenza di fare in tempo discrete provvigioni di biscotto, farina, frutta secche, stoccafisso e altri viveri di prima necessità. Mandò alle loro case i giovani che [639] avevano genitori, ma fra artigiani e studenti ne rimasero una quarantina. I nostri preti avrebbero voluto andare al campo appena cominciasse l'attacco, per assistere i feriti; se non che l'Ispettore lesse una lettera di Don Bosco, il quale diceva che, essendo nostro primario dovere attendere alla gioventù, non si esponesse nessuno senza necessità, come poteva avvenire nel caso che gli altri istituti religiosi non bastassero all'uopo ovvero accadessero fatti d'armi presso le nostre case e nelle nostre parrocchie: allora i Salesiani dovevano essere i primi.

                 Il 21 giugno vi fu uno scontro furioso con parecchie migliaia di morti là dove confinavano le nostre parrocchie di San Carlo e della Boca. Proprio quel giorno il povero Don Bodrato seriamente infermo e sollecitato da tutti i confratelli, aveva potuto strappare il permesso di entrare nella città assediata per farsi visitare da un medico. Ma a quale spettacolo gli toccò di assistere! Si vide sfilare dinanzi carri pieni di morti e feriti, che facevano rosseggiare di sangue le strade, e intorno donne e fanciulli che correvano gridando e cercando affannosamente dei loro cari. Egli non ebbe il coraggio di fare gran cammino in mezzo a tanto orrore, ma se ne tornò tostamente indietro, recando fra i suoi i segni dell'angoscia scolpiti nel volto.

                Tutto si sperimentò in quei brutti giorni: fame[445], arresti [640] per sospetti di spionaggio, arrolamenti forzati di giovani più adulti, tentativi di ladronecci, colpi di fucile; più d'ogni altro male però affliggeva i nostri il visibile deperire del loro Superiore, tanto più per l'impossibilità di avere in sì tragiche contingenze i soccorsi dell'arte medica. Quando la guerra terminò, le sue condizioni apparvero disperate.

                La malattia durava da tempo, ma dissimulata sempre dal virtuoso infermo sotto un esteriore abitualmente tranquillo e in una vita d'incessante lavoro; ma i dolori e le privazioni ultime diedero il tracollo. Ristabilita la pace, i medici gli riscontrarono un cancro allo stomaco. Da quel funesto 21 giugno al 4 agosto, quando volò al cielo, la sua vita fu tutta un soffrire. Al male suo si sovraggiunse la polmonite, il cui metodo di cura gli raddoppiò i martíri. Non usciva in lamenti, non faceva discorsi sul proprio stato; quando venne l'Arcivescovo, gli parlò delle pubbliche calamità e gli raccomandò la Scuola Professionale. Pensò alle cose fino ai primi di luglio; poi disse a Don Costamagna: - Io non ho più che fare. Offro a Dio la mia vita per le nostre opere. Adesso mi preparo a morire. - Da quel punto tacque d'affari, rispondendo solo a chi ne lo interrogava. Un mattino, nell'atto di ricevere il Signore, chiamatosi in colpa e chiesto perdono ai presenti e agli assenti, raccomandò a tutti la unione fraterna, la diligenza nelle pratiche di pietà e l'amore alla castità. Poco dopo presenti Don Vespignani, Don Bourlot e l'allora coadiutore Caprioglio, parlò così: - Vedete, ora mi stan davanti tutti gli anni della mia vita. Alcuni di essi mi affliggono, perchè non pensai come dovevo a Dio e all'anima; fra tanti però ne ho sedici che mi riempiono di consolazione, e questi sono gli anni passati nella Congregazione. - Egli era venuto con Don Bosco da Mornese, dove faceva il maestro elementare, in età di 41 anni, e a 46 fu prete.

                Nel solenne Viatico, dinanzi ai confratelli che ne attorniavano il letto genuflessi e lacrimanti, proruppe in questi [641] accenti: - Unione in carità, unione in castità; ve lo raccomando, unione in carità, unione in castità! - Reso che ebbe l’ultimo respiro, il pianto riempì la casa; da fuori si levò un coro di lodi alle virtù e alle opere dell'ottimo discepolo di Don Bosco; Don Vespignani attesta che subito si provarono gli effetti della sua assistenza dal cielo[446].

                Don Bosco, avvertito telegraficamente della dolorosa perdita, rispose con un telegramma il giorno 7 alla Curia Arcivescovile e per essa ai Salesiani, disponendo che Ispettore provvisorio fosse Don Costamagna. Monsignor Arcivescovo che a motivo dei pubblici sconvolgimenti non aveva potuto fare nulla di quanto Don Bosco l'aveva richiesto e che nulla quindi aveva avuto fino allora da rispondere in proposito, gli scrisse per la luttuosa circostanza la seguente lettera.

 

                Rev.mo D. Bosco,

 

                La S. V. Rev.ma avrà ricevuto con rassegnazione apostolica la trista notizia della morte del Rev.do Signor D. Bodratto, suo amatissimo figlio in G. Cristo, e nostro carissimo amico.

                La sua morte è una gran perdita per noi, trovandosi egli alla testa della nuova istituzione Salesiana in America; ed ora più che mai ne sentiamo la mancanza.

                Egli portava un gran peso sì, ma con vero coraggio apostolico. Il Signore ha voluto ricompensare già fin d'ora i suoi grandi travagli e patimenti, eroicamente sofferti e sostenuti per la Congregazione. Noi speriamo che ormai dall'alto della gloria del cielo egli intercederà grazie e favori per i suoi confratelli e per i suoi poveri orfani, che con tanta cura dalle vie raccoglieva nelle Case Salesiane.

                Questi ultimi mesi furono terribili per Buenos Aires a causa del flagello della guerra civile; ed il Collegio di arti e mestieri in San Carlos-Almagro, per trovarsi tra i due fuochi e dell'armata nazionale e della provinciale, ha sofferto moltissimo. Si dovettero licenziare quasi tutti i poveri fanciulli ritenendo quelli soltanto che non avevano più tetto. Soffrimmo, ma più di tutti ha dovuto soffrire D. Bodratto! Dio lo ha già rimunerato del suo patire e della sua carità.

                Malgrado la critica situazione in cui si trova il paese, il Collegio professionale e le altre Case Salesiane vanno abbastanza bene. [642] La S. V. si sarà rallegrata per le notizie che le ho fatto pervenire della Missione di Patagonia. Finora son dolente di non aver potuto ottenere dal Governo i soccorsi promessi per questa Missione. Li reclamerò di nuovo e spero di ottenerli presto, comparendo già essi nel bilancio della Nazione. Non sarò contento finchè questi aiuti non siano in mie mani, e possa soccorrere con essi le Missioni che versano in estremi bisogni. Iddio vuole per tal modo rendere maggiore e più puro il nostro merito.

                Ho ricevuto il suo telegramma col quale mi comunicava la nomina del Signor D. Costamagna a capo delle Missioni d'America. La scelta non poteva essere migliore.

                Si degni, Reverendissimo D. Bosco, estendere i miei saluti a tutti i cari Salesiani e comandi senza più al sempre

                Buenos Aires, 10 Agosto 1880.

 

Suo aff.mo

 + FEDERICO Arcivescovo.

 

                La parola del Padre ai figli desolati partì da Nizza Monferrato, dov'egli dirigeva gli esercizi spirituali delle Signore. Tardò a scrivere finchè non ricevette la relazione di Don Costamagna sulla fine di Don Bodrato[447]. Questi si sarebbe dovuto recare a Torino in maggio per prender parte al secondo Capitolo Generale; ma Don Rua ne l'aveva dispensato a nome di Don Bosco, accogliendo le ragioni da lui addotte di malferma salute, e aveva autorizzato Don Costamagna a farne le veci. Avvenuta la morte non potè neppure lui abbandonare il posto. E Beato gl'indirizzò questa lettera insieme con altre due per Don Vespignani e per Don Fassio.

 

                Sempre caro D. Costamagna,

 

                Tu non puoi venire al Capitolo; nemmeno alla elezione dei consiglieri della Congregazione. Pazienza per te, amaro dolore per me.

                Ora facciamo coraggio. Prendi le regole, fa quello che puoi per promuoverne l'osservanza. Le preghiere nostre e l'aiuto del cielo non ti mancheranno. Raduna spesso il tuo capitolo, fa parlare D. Vespignani, consulta anche l'Arcivescovo. Quando poi avrò tutti i particolari delle cose nostre si procederà alla nomina definitiva dell'Ispettore; ma per ora i poteri sono tutti concentrati in te.

                Veglia che niuno faccia perdere carte spettanti a D. Bodratto. [643] Fra esse avvi la pratica della erezione di un Vicariato nella Patagonia, cosa che sta molto a cuore al S. Padre.

                Appena il Governo sia un po' tranquillo, continua la pratica presso il medesimo, ma procura di andar d'accordo coll'Arcivescovo. Tanto esso quanto il governo devono fare una risposta alla S. Sede.

                Non risparmiare cosa alcuna perchè siano raccolte tutte le più piccole azioni che si riferiscono al compianto nostro D. Bodratto. Non occorre che le cose siano studiate ed ordinate. Manda tutto qui e le collegheremo colle lettere e colle altre cose che già abbiamo[448].

                Dio ti benedica, o sempre caro D. Costamagna, e con te benedica tutti i nostri cari confratelli ed allievi. Prega per me che ti sarò sempre in nostro S. G. C.

                Nizza Monferrato, 22 Agosto 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Ben inteso che saluterai tutti da parte mia, nominatamente, l'Arcivescovo, il Carranza, mons. Ceccarelli, cui dirai che il Santo Padre ha confermato il titolo prelatizio di cui scriverò quanto Prima.

 

                A Don Giuseppe Vespignani dopo quattro anni diede allora per la prima volta del tu. Il Beato Padre aveva avuti indizi non dubbi del valore e della virtù di lui; il lei precedentemente usato indicava un tal quale riserbo, che aveva per iscopo di osservarlo con miglior agio alla prova. Il momento di mostrargli tutta la sua paterna fiducia non poteva essere più ben scelto. Per intendere tutto il contenuto della lettera giova sapere che nella cronaca accennata qui sopra Don Vespignani tocca di alcuni inconvenienti verificatisi nel collegio di San Carlo; Don Bosco che doveva esserne informato, gli tracciò qui in poche parole la linea di condotta da seguire.

 

                Mio caro D. Vespignani,

 

                Ho ricevuto con gran piacere la tua lettera. Va tutto bene. Ma ora fatti vedere coraggioso. Pazienza, preghiera, coraggio; ecco il nostro programma in questo momento. Fa tutto quello che puoi per incoraggiare e togliere il malcontento. [644] Dirai agli studenti ed ai nostri ascritti che io attendo grandi cose da loro. Moralità, umiltà, studio, ecco il loro programma. Dio vi benedica tutti e credimi in N. S. G. C.

 

                Nizza Monf., 22-8-80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Anche la lettera a Don Michele Fassio sembra ave qualche riferimento alle accennate condizioni della casa.

 

                Carissimo Don Fassio,

 

                Va bene come hai scritto. Continua. In questo momento praebe te ipsum exemplum bonorum operum.

                Niuno si perda di animo in questo momento, niuno si lagni, niuno faccia un passo indietro. Coraggio. Dio è con noi. Io raccomando te e le tue fatiche nella S. Messa. Ciò che scrivo a te dillo anche a Don Rabagliati, a Don Remotti, a Don Milanesio, a Bettinetti, cui spero scrivere tra breve tempo.

                Dio ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia. Amen.

                Nizza Monferrato, 22-8-80.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Durante i trambusti della guerra civile le poste argentine funzionavano come potevano; perciò lettere di Don Bosco e di Don Fagnano andarono a finire chi sa come o chi sa dove. Soltanto in ottobre il Beato ne ricevette una, alla quale tostamente rispose. Di questa risposta abbiamo l'originale, rinvenuto fra le pochissime carte superstiti del compianto missionario.

 

                Carissimo D. Fagnano,

 

                Ho finalmente ricevuto la tua lettera del 6 settembre, ed è la prima che ricevo da te dal tempo che sei andato in Patagonia. Fra veramente inquieto perchè non riceveva alcuno dei tuoi scritti malgrado le tre mie lettere a te dirette, in cui ti dava diffusamente alcune norme da seguire. Pazienza. Vedrò se questa mia sarà più fortunata.

                Da ciò tu puoi avere già risposta alla prima domanda: che ho scritto e le lettere non ti sono pervenute e nemmeno io ho ricevuto lettera di sorta.

                Al secondo quesito ti dirò che fu di tutta mia intelligenza la tua andata in Patagonia. Dovevi recarti nel Paraguay secondo il desiderio [645] del S. Padre, ma urgendo inviare uno di assoluta confidenza e capace di sbrigarsi dagli affari, ma sicuro nella moralità, il Capitolo Superiore non potè fare altra scelta fuori della reverenda, ma sempre cara tua persona. Nè dubbio nè sfiducia od altro ci ebbero parte.

                Tu dirai: Ma D. Costamagna? D. Costamagna per motivi che è inutile il dirli, non poteva essere mandato.

                Presentemente io sono occupatissimo con D. Cagliero a preparare una spedizione di Suore e di Salesiani in tuo aiuto. Ma che vuoi? Abbiamo un orizzonte turbolentissimo, sebbene la nostra Società cammini come gigante.

                Mi fece veramente piacere la tua lettera, quella di Suor Vallese. Se ti va questa lettera, dimmelo e ti scriverò subito di nuovo.

                Saluta tutte le Suore e i nostri confratelli; dirai alle allieve ed agli allievi, che io li benedico tutti e tutti li amo in G. C.

                Ci vedremo ancora su questa terra? Sì.

                Obliviscere domum et parentes tuos, iacta super eos curam Domini[449].

                Dio ti benedica, o sempre caro mio D. Fagnano, prega e fa pregare per me, che ti sono sempre in G. C.

 

Torino, 21 Ottobre '80] aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Sig. D. Giuseppe Fagnano parroco a Carmen

                di Patagonia. Repubblica Argentina.

 

                Spettava ora a Don Costamagna, succeduto interinalmente a Don Bodrato nel governo dell'Ispettoria, spingere innanzi la pratica concernente il Vicariato Apostolico. L'anteriore Presidente della Repubblica, autore del progetto di legge che autorizzava la spedizione militare del 1879, aveva permesso ai Salesiani di accompagnare le truppe ed era ottimamente disposto verso di essi; onde tutto ci fa credere che non avrebbe sollevato ostacoli. Ma i torbidi politici non permisero a Don Bodrato d'intavolare con lui le trattative. Bisognava dunque aprirle col Presidente nuovo, generale Giulio Roca, dimostratosi in ogni tempo benevolo con i nostri. Don Bosco in novembre sollecitò Don Costamagna, perchè si mettesse all'opera. Nella lettera indirizzatagli su quest'argomento egli menziona quel signor Antonio Oneto, [646] che già nel 1876 aveva fatto istanza per ottenere qualche Salesiano nel Chubut[450].

 

                Carissimo D. Costamagna,

 

                Ho ricevuto le varie notizie che mi dài. Va tutto bene. Ti mando copia della lettera scritta al generale Roca per tua norma. Andandogli a far visita, porta teco la pratica del progettato Vicariato della Patagonia.

                Il S. Padre lo desidera vivamente e senza di ciò la Propagazione della fede ci dà niente e le nostre missioni e la stessa autorità governativa nella provincia Patagonica, sono sempre incertissime.

                Lavoriamo alacremente per una spedizione di Salesiani in America. Don Cagliero è in Sicilia. Appena giunto concerteremo ogni cosa.

                Ho pure scritto in generale al sig. Oneto che mi fa grandi progetti: io li studierò, tu li studierai ed altri li studieranno. A tutti quelli di America, che capitano qui raccomando i nostri debiti di America. Se tu vedi che qualche lettera possa giovare dimmelo e la farò prontamente.

                Altri ti scriveranno altro. Fa un cordialissimo saluto ai miei cari figli di America. Fa sapere che io li amo di tutto cuore e che ogni giorno li raccomando nella S. Messa.

                Dio vi benedica e pregate per me che vi sarò sempre in G.C.

 

                Torino, 12 Novembre 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                La Costituzione argentina contiene un articolo 67, nel quale si dichiara essere attribuzione del Congresso legislativo la conversione degli Indi al cattolicismo. Quello che riguardo al Sud era rimasto per tanto tempo un pio desiderio del legislatore, ecco che s'incamminava a diventare realtà con inestimabile vantaggio del regno di Dio e della nazione argentina. Cominciavano così ad avverarsi nella Patagonia le parole di una portata immensamente più vasta, che il Beato Don Bosco aveva proferite dal pergamo di Maria Ausiliatrice nel suo discorso del 1875 per la prima spedizione di Missionari: “Noi diamo principio ad una grande opera”.

 

 

CAPO XXVII. Secondo Capitolo Generale, fondazioni e ricordi delle Figlie di M. A.

 

                NEL 1880 la Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice e le sue Capitolari scadevano d'uffizio, compiendosi i sei anni assegnati dalle Regole per la durata delle rispettive cariche; onde per procedere all'elezione delle nuove Superiore fu indetto il secondo Capitolo Generale[451]. Diciotto suore avevano diritto al voto, cioè le Madri del Capitolo Superiore e le direttrici delle singole case. Udito dunque Don Bosco, si adunarono. Il 20 agosto nella casa di Nizza Monferrato, fecero gli esercizi e poi vennero all'elezione. Per delegazione del Beato vi presiedette Don Cagliero, direttore dell'Istituto, assistito da Don Lemoyne, direttore locale. A pieni voti fu rieletta Superiora Generale Suor Maria Mazzarello, e a maggioranza di voti risultarono elette le seguenti: Suor Caterina Daghero, Vicaria; Suor Giovanna Ferettino, Economa; Suor Emilia Mosca, la Assistente; Suor Enrichetta Sorbone, 2a Assistente.

                Perchè l'elezione avesse pieno effetto e le uffiziali scelte potessero entrare in carica, ci voleva il visto del Superiore Maggiore, che lo appose al verbale della seduta il I° settembre [648], pregando Dio che in tutte infondesse lo spirito di carità e di fervore, affinchè l'umile Congregazione crescesse in numero e si dilatasse in tanti altri paesi, dove le Figlie di Maria Ausiliatrice, salvando se stesse, guadagnassero a Dio molte anime[452]. Madre Mazzarello, bramosa di vedersi esonerata della carica, addusse a Don Bosco parecchi motivi, che egli ascoltò in silenzio; solo quando essa tirò fuori la sopravvenutale sordità all'orecchio sinistro: - Tanto meglio, rispose; così non sentirete parole inutili.

                In quest'anno le suore raggiunsero il numero di 167. Chiusa definitivamente la casa di Mornese e posta in vendita, ben otto di nuove ne vennero aperte. In gennaio, quella di Patagónes nell'Argentina, come dicevamo nel capo precedente. In febbraio da Nizza Monferrato partirono le prime tre suore destinate alla Sicilia. Le aveva chiamate a Catania la duchessa Cárcaci, fondatrice di un orfanotrofio, di cui volle affidar loro la direzione[453]. Ve le accompagnò Don Dalmazzo, che da un mese risedeva a Tor de' Specchi come Procuratore Generale dei Salesiani. Sette anni soltanto rimasero colà, dopo i quali dovettero ritirarsi a causa dì estranee ingerenze, che ne inceppavano l'azione; ma le aspettavano in città opere di maggior rilievo.

                Tre altre suore, con a capo la Caterina Daghero, si spinsero in aprile verso una direzione opposta, andando a prendere la direzione dell'orfanotrofio di Saint-Cyx. Colà si trovarono in un bell'impiccio. L'abate Vincent, al quale Don Bosco aveva consentito di restare ivi Direttore, accomunò con le Figlie di Maria Ausiliatrice sei suore da lui istituite. Preconcetti di nazionalità minacciarono tosto di guastare per sempre la buona armonia; inoltre il carattere del vecchio [649] abate lo portava a frequenti e clamorosi rimproveri alle nuove venute. Ma non per nulla Don Bosco vi aveva mandato una suor Daghero, la religiosa di finissimo tatto, dotata di rara prudenza e ricca di carità, che era destinata a diventare ben presto la Madre Generale.

                Seguendo. l'ordine cronologico, viene in settembre l'asilo di Borgomasino nella diocesi d'Ivrea, con oratorio festivo e appresso anche con le scuole comunali.

                Ben quattro case si apersero nel mese di ottobre, tre delle quali nella festa di Santa Teresa: le case di Este e di Penango, dove le suore, mentre accudivano alla cucina e alla biancheria dei locali collegi Salesiani, attendevano all'oratorio festivo femminile, e la casa di Melazzo, nella diocesi di Acqui. In questo paesello il ricco e caritatevole parroco Don Chiabrera commise alle Figlie di Maria Ausiliatrice asilo, laboratorio e orfanotrofio; ma nell'opera buona fu coadiuvato assai dal marchese Scati. Questo nobile Signore sotto Natale, recatosi da Don Bosco per ringraziarlo d'aver mandato a Melazzo le suore, potè riferirgli che le sue Figlie facevano ottimamente, magnificandone soprattutto lo zelo per l'oratorio festivo.

                - Le riunioni domenicali, gli osservò Don Bosco[454], sono cagione di bene immenso, come già le dissi altra volta. Il laboratorio ed anche l'asilo producono vantaggi grandi, ma limitati; le riunioni della domenica hanno un'influenza assai più estesa e impediscono molto male, togliendo le figlie adulte dalle occasioni e dalle lusinghe dei giovani scapestrati, che specialmente nei giorni festivi hanno agio di corteggiarle e di corromperle. Veda, qua alla domenica pochi anni or sono era uno spettacolo orribile; ragazze e giovanotti si assiepavano attorno agli organetti e davano esempio di oggi sconcezza d'atti e di parole. S'incominciarono a levar via tutti i giovani, attirandoli e trattenendoli all'Oratorio; [650] poi vennero anche le figlie, ed ora fanno ressa nella chiesa, si accalcano sulla porta e stanno talvolta ore ed ore alla pioggia per la speranza di udire qualche brano della parola di Dio.

                - É questo dovuto, interruppe il Marchese, alla grazia ed all'aiuto divino in modo visibile, poichè umanamente ciò non sembrerebbe altrimenti possibile.

                - Sì, all'aiuto di Dio; ma questo non manca, se si lavora davvero e con fiducia. - E qui narrò l'episodio della visita di un Ministro inglese all'Oratorio[455].

                Finalmente nella seconda metà di ottobre vi fu l'apertura del collegio Santa Maria a Bronte, grosso borgo sulle falde dell'Etna, a non molta distanza da Randazzo. Presero le scuole elementari femminili e la direzione dell'ospedale. Non senza meraviglia noi vediamo le Figlie di Maria Ausiliatrice, nate e cresciute in ambienti ristretti e avvezze a una vita casalinga, spiccare il volo per paesi lontani e d'altra lingua, massime allora, che i lunghi viaggi non si facevano nè con la frequenza nè con la facilità dei giorni nostri. Tanto poteva l'ascendente di Don Bosco sulle anime loro da spingerle a qualunque sacrifizio per andar a fare del bene. Don Bosco tuttavia non le avventurava per il mondo da sole: così, a Bronte le fece accompagnare da Don Cagliero, che per Roma, Messina e Catania le condusse fino alla loro residenza.

                Arrivarono il 22 dopo otto giorni di viaggio. I Brontesi uscirono in folla a dar loro il saluto augurale. Le autorità religiose e civili avevano preparato un dignitoso ricevimento. La mattina dopo nella chiesa matrice, piena di popolo, Don Cagliero, pregato di dire due parole, mostrò che cosa fosse la suora di carità, che cosa l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e quale il loro programma nella cristiana educazione delle fanciulle. Trattò nei due giorni successivi col Municipio e con la Congregazione di Carità di più cose riguardanti [651] il buon andamento e la stabilità del nuovo convitto femminile, che doveva aprirsi al più presto.

                Nel ritorno passò da Randazzo, dove trovò che il collegio Salesiano progrediva rapidamente. Fu di nuovo a Catania, poi a Caltanisetta, a Siracusa, a Noto, ad Acireale, a Messina, accolto dappertutto con vero trasporto da quei zelanti Pastori, impazienti di avere nelle loro diocesi i figli di Don Bosco[456].

                Fra le maestre mandate a Bronte vi era Suor Carolina Sorbone, sorella di Enrichetta[457]; a lei Don Bosco fece due profezie un paio di mesi prima che partisse per la Sicilia. Due pene la angustiavano: il desiderio di andare in America anzichè in Sicilia e il timore che un suo fratello, fattosi Salesiano, non perseverasse. Quella volta dunque ebbe la fortuna di parlare da sola pressochè un'ora “con quel caro e dolce Padre”, com'ella si esprime[458]. Don Bosco, dettole di star quieta, perchè egli leggeva nel suo cuore come in un libro aperto, soggiunse: -Per ora dell'America fatene un sacrifizio a Dio e preparatevi ad andare in Sicilia. Colà soffrirete molto e incontrerete molte contrarietà interne ed esterne, ma la benedizione che vi dò, vi renderà forte contro di esse. - Infatti tutto si avverò. La suora confessa che soltanto la forza di quella benedizione potè trattenerla da un eccesso nelle sue lotte spirituali, che le si fecero spaventose. Quanto al fratello Carlo, essa temeva che, avvezzo da nove anni alla vita militare, non perseverasse nella Congregazione Salesiana, di cui era entrato da poco a far parte. Chiese dunque al Servo di Dio se Carlo avrebbe perseverato. - Sì, le disse, state tranquilla che persevererà nella Congregazione Salesiana sino alla fine della sua vita. - Il fratello, reduce da [652] Randazzo, si trovava allora nella casa di Magliano; ma pareva proprio che fosse già sulla soglia per abbandonare la vita religiosa. Se non che poco dopo il suo arrivo colà una grave malattia lo colse, che lo portò alla tomba. In sull'avvicinarsi della sua ultima ora ritornò agli antichi propositi, facendo una morte edificante e da buon figlio della Congregazione.

                Nell'archivio della Casa Madre le Suore hanno messo insieme un centone di notizie spicciolate, provenienti da consorelle che conobbero Don Bosco ed ebbero con lui qualche incontro; spigoleremo in quella miscellanea alcune cose che si riferiscono al 1880. Sono motti, sono tratti, sono sguardi nel futuro, che ci richiamano qualche lato caratteristico del Servo di Dio.

                Madre Petronilla Mazzarello si trovò presente, mentre il Beato, imbattutosi a Nizza per il corridoio della casa in una suora non abbastanza osservante, le domandò con la sua solita dolcezza paterna come stesse. - Di salute sto bene, rispose la suora, ma di anima... - A cui Don Bosco: - Guardate, disse, la salute del corpo sta nelle mani di Dio, quella dell'anima sta nelle nostre mani.

                Suor Vincenza Bessone fu accettata da lui come postulante; nella qual circostanza le pose lievemente la mano sul capo, chiedendole: -Capelli d'oro; e il cuore è anche d'oro? - Poi soggiunse: - Aspetta ancora un anno e verrai. La giovane osservò fedelmente la consegna.

                Suor Angiolina Demartini rammenta di aver veduto Don Bosco a Lu nel 1880, quando, bambina di nove anni, frequentava la scuola delle suore. Il Beato entrò nella classe e, passando paternamente la mano sulla testa delle allieve, chiedeva loro il nome; quelle poi, fatte adulte, si ritrovarono per buona parte suore, nè poterono mai deporre il pensiero che ciò fosse effetto della visita e della benedizione del Beato.

                Suor Sofia Miotti scrive che una volta essa e alcune consorelle, non avendo ancora mai veduto nè udito Don Bosco, avevano pregato il Direttore di condurle a Torino e che egli [653] mandò a rispondere: - Di' alle suore che non siamo fatti per vederci nè per parlarci in questo mondo, ma per stare sempre insieme lassù in cielo.

                Le suore Teresina Germano e Giacinta Morzoni riferiscono due di quei fatti che rivelano in Don Bosco l'uomo della carità. Narra la prima un episodio avvenuto a Nizza nell'agosto del 1880. Essendo ancora postulante, si trovò casualmente presso il gruppo delle Madri sotto il porticato che dava all'antico refettorio della comunità. Quella volta la mensa doveva essere benedetta da Don, Bosco, che difatti vi si recò accompagnato da Don Cagliero. Le professe, le novizie e le postulanti erano già dentro. Don Bosco avanzatosi diede la benedizione, poi girò lo sguardo attorno e sorridendo disse a Don Cagliero: - Sono già in bel numero! Verrà, tempo che le Superiore non si troveranno più fra queste suore di Nizza, ma dovranno essere a Torino, più vicine ai Superiori. - La postulante portò scolpite nella memoria quelle parole, chiedendosi spesso se tal cosa sarebbe mai avvenuta, tanto a lei e a tutte sembrava che fosse remota da ogni possibilità; ora invece quel trasferimento è un fatto compiuto. Dopo il Servo di Dio domandò alla Madre Assistente: - Si può vedere la porzione della vostra minestra e pietanza? - L'interrogata fece il possibile per mostrargli qualche piatto meglio guernito; ma egli disse: - Madre, che cosa fate? Queste suore hanno molto lavoro; nutritele bene: fate come noi, che abbiamo due piatti. - La Madre, aiutata dalle altre Madri, voleva far capire che esse si contentavano di meno e che non abbisognavano di tanto come gli uomini, e che lavoro per lavare i piatti ce n'era già d'avanzo... - Oh, per questo, lasciate andare, interruppe Don Bosco. Unite pure, se volete, carne o pesce od altro e verdura nello stesso piatto; ma più abbondante, più abbondante! Avete tanto da lavorare! -

                L'altra delle due suore suddette racconta questo aneddoto. Da postulante udiva spesso ripetere che chi non aveva [654] salute, doveva far ritorno alla propria casa. Ora essa, che era di debole complessione e aveva una gran paura che toccasse anche a lei quella triste sorte, desiderava manifestare a Don Bosco il suo timore per chiedergli consiglio. Persuasa che fosse un santo, come tutte dicevano, era sicura che la sua parola sarebbe stata infallibile; quindi nell'agosto del 1880 studiava il modo di avvicinarlo. La naturale timidezza però la ratteneva sempre dal presentarsi a lui, finchè, inteso che egli era sulle mosse per andarsene, afferrò il coraggio con ambe le mani, si diresse verso la casa dove abitavano i sacerdoti e, non avendo mai messo piede colà, fu senza saperlo davanti all'uscio della stanza, dov'egli soleva ricevere. Alcune suore che ivi attendevano, le dissero di tornarsene, perchè Don Bosco aveva fretta di partire. In quella ecco Don Bosco affacciarsi col cappello in testa e la borsa da viaggio in mano; mancava poco all'arrivo del treno che doveva portarlo a Torino. La postulante, appena lo vide, alzatasi sulla punta dei piedi dietro le suore, disse forte: - Padre, io ho una cosa da dirle. - Don Bosco le fece far largo perchè potesse venire avanti; poi con tutta calma si volse, rientrò, la ricevette, si pose a sedere, disse a lei di sedersi e con voce lenta e tranquilla le domandò che cosa desiderava. - Padre, gli rispose, il Signore mi darà la sanità necessaria per rimanere nella Congregazione? - Ed egli: - Il Signore vi darà sanità e santità. - E poichè ella non aveva altro da chiedergli, il Beato si alzò, la salutò e senza scomporsi s'avviò alla stazione. Nel 1919 la suora scriveva: “Son già passati trentanove anni dopo quel felice incontro e sebbene di complessione gracilissima, ho sempre potuto fare la mia scuola; eppure mi si pronosticavano due anni di vita o poco più. Quanto alla seconda parte della predizione, è un altro par di maniche”.

                Suor Orsolina Rinaldi non sapeva decidersi a entrare tra le Figlie di Maria Ausiliatrice. Aveva al piede destro un male ribelle ad ogni cura. Come avrebbe potuto fare la vita [655] di attività e di moto che vedeva menarsi dalle suore? Consigliata d'interpellare Don Bosco, si recò una mattina nella chiesa di Maria Ausiliatrice ed entrata in sacrestia, lo vide che confessava dei giovani. Attese che terminasse; poi, avvicinatasi, gli espose il suo desiderio e i suoi timori. Egli la guardò e disse che ella aveva bisogno di maggior energia e di volontà più risoluta; il suo malanno essere cosa da nulla, andar egli in cerca di buone suore da mandare lontano lontano. Quindi fattala inginocchiare, disse con lei l'Ave Maria e le diede la benedizione di Maria Ausiliatrice. Infine le ingiunse di presentarsi a Madre Mazzarello e dirle a nome suo che l'accettasse fra le postulanti. Fu accettata nel novembre del 1880 nè ebbe mai più a risentirsi del piede, nonostante lunghe camminate e gravi fatiche.

                Anche a Suor Giacinta Laureri toccò da novizia alcun che di simile per un mal d'occhi che le tolse di botto il vedere quasi alla vigilia della professione. Venuto Don Bosco a Nizza nel giugno del 1880, Madre Mazzarello le disse di andare da lui a chiedergli la benedizione ed a pregarlo che la guarisse, per poter fare i voti. Obbedì la novizia. Il Beato, come se non avesse capito, le domandò con accento di sorpresa: - Oh! quando la Madonna vi vorrà in Paradiso, non vorrete andarci?

                - Oh sì, Padre, rispose ella, in Paradiso ci voglio andare; ma il mio timore adesso è che mi mandino via dalla Congregazione per causa di questo mal d'occhi... Sarei disgraziata per tutta la vita!

                - No, no, state tranquilla, ripigliò Don Bosco. É la Madonna che vi ha chiamata qui; essa vi vuole qui; la Madonna vuole che facciate tanto bene qui e che vi facciate santa... Ora vi dò la benedizione di Maria Ausiliatrice; domani pregherò per voi nella santa Messa; prendete questa medaglia di Maria Ausiliatrice, fate una novena alla Madonna e state tranquilla. Andate a domandare la professione, domandatela adesso, domandatela sempre. [656] Pregò molto; finalmente. un bel giorno si sentì guarita, con la sua vista chiara e limpida come se mai non avesse avuto alcun male; tant'è che negli esercizi fu ammessa senza difficoltà alla professione religiosa.

                Suor Luigia Boccalatte ricorda due predizioni ben poco allegre, fatte da Don Bosco in quella sua andata a Nizza per gli esercizi delle Signore. Al suo arrivo gli si era fatta una festicciuola con canti e suoni. Finito il trattenimento, le cantanti scesero dalla pedana per andargli a baciare la mano. Egli le guardò bonariamente e disse: - Preparatevi a cantare meglio in Paradiso. Quattro di voi vi andran quest'anno. Morirono infatti le suore Luigina Arecco, Maria Mazzarello, Clotilde Turco, Tersilla Ginepro, che erano là presenti e che, a detta anche delle Madri, furono rimirato con occhio speciale dal Servo di Dio, mentre gli baciavano la mano. Sul tardi poi alle Signore esercitande ripetè: -Anche quattro di voi dovranno presentarsi al tribunale di Dio. -Costernate a tali parole, le Signore non volevano andar a dormire; onde la Madre Assistente si recò da Don Bosco e gli disse: - Per carità, Padre, non dica più di queste cose, perchè noi non riusciamo più a quietarle! - E Don Bosco: - Io debbo fare la, volontà di Dio. Se il Signore mi manda di queste ispirazioni, io sono obbligato di parlarne.

                É di quest'anno l'epilogo d'un fatto dello stesso genere che i precedenti, ma pervenutoci da altra. fonte. Suor Celestina Torretta era andata a chiedere la benedizione di Don Bosco prima di partire per Nizza come postulante. Don Bosco le aveva detto: - Andate pure, chè da questo giorno la vostra famiglia sarà benedetta in modo speciale. Avete ancora sorelle?

                - Ne ho due.

                - Ebbene verrà anche la più giovane con voi.

                La più giovane si chiamava Felicina. La Celestina non le disse nulla, per vedere se la profezia si avverasse.

                Intanto la mamma cadde ammalata. Soffriva da due [657] anni, quando la figlia Felicina le suggerì di venire con lei a Torino per ricevere la benedizione di Don Bosco. La povera donna non aveva requie nè giorno nè notte, non poteva sentir parlare, non voleva gente in camera, fuori dopo alcuni minuti s'infastidiva; spesso la pigliavano svenimenti: nessun'altra persona ella sopportava presso di sè all'infuori della figlia Felicina.

                Il 24 maggio del 1878 questa, che aveva 16 anni, accompagnata la madre all'Oratorio (venivano da Buttigliera d'Asti e avevano pernottato a Chieri, perchè l'inferma non avrebbe resistito a fare di seguito tutto il viaggio), la lasciò in porteria, salì nell'anticamera di Don Bosco che trovò stipata di persone, e pregò della carità di concedere la precedenza a sua madre. Tutti acconsentirono. La madre salì e fu introdotta. Don Bosco le domandò donde venisse, le chiese il nome, la interrogò della famiglia e della figlia suora. Qui la madre gli parlò della pena da lei provata a quella partenza della sua primogenita e del proprio rincrescimento di vederla così suora in mezzo al mondo, mentre essa l'avrebbe preferita in clausura, perchè l'aveva sempre conservata gelosamente lontana da ogni pericolo. Don Bosco sorrise, ma non diceva nulla.

                Allora la madre gli chiese se potesse sperare la grazia della guarigione. Il Beato per tre volte guardò in silenzio prima la madre e poi la figlia. Costei, che conosceva la santità di Don Bosco, temette che egli le vedesse nell'anima qualche cosa fuori di posto, com'ella si esprimeva narrando il fatto, e si nascose dietro le spalle della genitrice. Don Bosco disse quindi alla madre: - Ecco, voi guarirete, quando lascerete che quest'altra vostra figlia vada a farsi suora. All'udir ciò, due lacrime le caddero dagli occhi, ma non rispose nulla.

                Nel medesimo istante Don Bosco, voltosi a Felicina, disse: - P, vero? sei contenta? - La giovane, che fin da bambina sentiva quella propensione, ma non l'aveva mai [658] palesata a nessuno, tanto meno alla madre, perchè sapeva quanto avesse sofferto alla partenza dell'altra, udite quelle parole e convinta che Don Bosco le avesse letto nel cuore, standosene là dietro, dov'era, giunse le mani in silenzio e alzò gli occhi al cielo. Il Beato vide e capì. Poco dopo benedisse la madre e le ripetè: - Voi guarirete, quando lascerete che anche quest'altra vada a farsi suora.

                Passarono ancora due anni. La povera donna andava di male in peggio; eppure nemmeno in casa non parlava mai di questa visita a Don Bosco. Finalmente la Felicina, piena di fede nelle parole del Beato e facendosi violenza da morirne, una sera le disse: - Ti ricordi delle parole di Don Bosco che saresti guarita, quando io fossi andata a farmi suora? Dunque io domattina parto, e Maria Ausiliatrice ti guarirà. - Disse così perchè aveva scritto e s'era intesa con la Madre Generale.

                Difatti partì. Tre giorni dopo la madre cominciò a star meglio, finchè guarì del tutto. Don Lemoyne, che raccolse dalla suora stessa e consegnò nelle sue note il racconto, scrisse: “Vive ancora nel 1907 e ha 78 anni”. Solamente quando vide sua sorella a Nizza, la Celestina le svelò la profezia fattale da Don Bosco quattro anni avanti.

 

 

CAPO XXVIII. Opere ricusate, differite o iniziate nel 1880.

 

                VERE fondazioni nel 1880 non vi furono che quelle di Patagónes e di Viedma sulle due sponde del Rio Negro argentino; per altre, a non tener conto di semplici           proposte orali o che comunque non lasciarono traccia nei documenti, in quell'anno o si diede subito una negativa o si prese tempo o vi si pose appena mano.

                Due sono le proposte che non ebbero alcun seguito di trattative. La prima parti da Roma. La principessa Odescalchi aveva intenzione di aprire scuole a Bracciano, suo feudo nel Lazio, dov'erasi insediato un frate sfratato, che dalla cattedra e fuori dispensava lezioni non precisamente di morale. Bramava pertanto da Don Bosco tre sacerdoti, di cui uno fosse professore di ginnasio e gli altri due maestri elementari. Essa avrebbe fornito alloggio, biancheria, mobili e seicento lire a testa. Se non si poteva quell'anno, si contentava di averli l'anno dopo, disposta anche a modificare le condizioni, secondochè piacesse al Beato[459]. Don Bosco rispose che allora non gli era possibile appagare il desiderio della Principessa[460], e non se ne parlò mai più in, seguito Ormai, dove non apparisse la possibilità di sviluppi [660] ulteriori, egli non disseminava più il personale in opere di poca entità.

                La seconda proposta lasciata cadere senz'altro per una ragione contraria alla precedente, fu di mandare Salesiani a Spálato in Dalmazia. I Vescovi dalmati avevano, di comune concerto ideato d'istituire un ginnasio privato, un ginnasio-liceo diremmo noi, nel seminario di quella città, ma che dovesse servire per tutte le diocesi della Dalmazia, eccetto Zara, che n'era fornita. Ogni cosa stava già predisposta da un anno, nè vi mancavano i locali e i fondi necessari' tutti gli sforzi però rimanevano paralizzati per difetto di personale insegnante, specialmente in filosofia, lingua latina, greca e italiana e scienze naturali. Quindi il Vescovo di Spálato a nome anche dei colleghi fece istanza al Santo Padre, pregandolo di venirgli in aiuto, affinchè per il prossimo anno scolastico 1880-81 la scuola si potesse aprire. Il Papa per mezzo della Segreteria di Stato portò il pensiero a Don Bosco, significandogli che avrebbe veduto con grande soddisfazione del suo animo ch'ei somministrasse i professori occorrenti per quel corso di studi secondari, semprechè fosse in grado di farlo[461]. Un ecclesiastico dalmata, incaricato di fare i passi opportuni per trovare i soggetti e concertarsi sulle eventuali spese, venne all'Oratorio e conferì col Servo di Dio. Quel rimettersi del Papa alle sue possibilità, resero a Don Bosco molto più facile il declinare l'invito. Indubbiamente, dinanzi a un desiderio incondizionato della Santa Sede, egli avrebbe studiato il modo di assecondare la richiesta; pia così nulla gl'impediva di dichiarare senz'altro l'impossibilità di mettere insieme un personale tanto numeroso e di tale qualità.

                A Lugo cresceva l'impazienza di avere i Salesiani[462]: [661] le insistenze presso Don Bosco si moltiplicavano; ma nulla vi si vedeva di concreto e di stabile, che ne affrettasse l'andata. Le visite fatte prima da Don Lazzero e da Don Barberis e poi da Don Bretto avevano ravvivate le speranze dei Lughesi; più ancora il passaggio di Don Cagliero e di Don Durando. Dopo la sua gita Don Bretto aveva scritto[463]: “Posso assicurarla di due cose: la prima è che nella Romagna vi è una grande necessità di educatori dei poveri giovanetti, i quali si trovano in circostanze da guastarsi quasi necessariamente; e l'altra si è che colà, e specialmente in Lugo, vi sono molte persone che ci vogliono bene”. Un ecclesiastico lughese, monsignor Giuseppe Emaldi, offriva due immobili, che si sarebbero potuti ridurre a collegio; ma il vecchio Prelato morì nel 1879 senza far menzione di ciò nel testamento e solo per atto fiduciario mettendo a disposizione dell'istituto, quando si aprisse, il fruttato di ventimila lire, che era ben poca cosa. I conti Emaldi sembravano disposti a fare; ma non si veniva mai al positivo. In città la famiglia Vespignani fino dal '77 non cessava di spronare; soprattutto il Signor Carlo Vespignani, fratello maggiore di Don Giuseppe, avendo a Torino conosciuto Don Bosco[464], faceva mille insistenze. Don Bosco però nelle sue fondazioni procedeva con gran ponderatezza: finchè non ci vedeva chiaro, non avventurava i suoi figli. Del suo buon volere per Lugo aveva dato una prova eloquente al suddetto signore con una interessante lettera, venutaci soltanto ora a notizia. Si osservi in essa l'accenno all'esclusione di ogni colore politico dalle sue istituzioni. Ardeva nella Romagna e fortemente a Lugo la lotta coi repubblicani, con il qual nome si designavano sommariamente tutti gli anticlericali della regione; era naturale che la corrispondenza del signor Carlo risentisse della temperatura politica locale. [662]

 

                Sig. Carlo mio carissimo,

 

                Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità.

                Perciò nel suo progetto di iniziare qualche cosa elle giovi ai fanciulli poveri e pericolanti, torli dai pericoli di essere condotti nelle carceri, fame buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo elle ci proponiamo.

                Ella dunque prepari il campo e la messe ed io sarò lieto di fare una gita e conoscere di presenza e ringraziare tanti confratelli, che prima di conoscermi personalmente mi usano già grande carità.

                Mi sono tenuto al datomi suggerimento ed ho pregato il Sig. Don Carlo Cavina di accettare da Decurione Salesiano[465] e così avere un centro. Procuri pertanto di mettersi in relazione con lui per le cose nostre.

                D. Giuseppe manda 25 diplomi da Cooperatore e ne manderemo altri quando ne sia bisogno[466].

                Ella mi ha invitato a cominciare la danza; ho accettato l'invito, ma bisogna che ci adoperiamo con tutti i mezzi e con tutti i sacrifizi per condurla a termine.

                Si ritenga bene che se vogliamo andare avanti bisogna che non si parli mai di politica nè pro nè contro; il nostro programma sia fare del bene ai poveri fanciulli.

                Non dimenticherò le altre cose che mi ha scritto e ne farò tema di altra lettera.

                Dio benedica la sua famiglia piccola e grande[467], faccia rispettosi ossequii ai nostri collaboratori; dica a tutti elle di buon grado li raccomando ogni giorno nella santa Messa, e che mi raccomando alle loro preghiere.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

 

                Torino, 11-4-77.

 

Aff.mo servo ed amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Pressanti sollecitazioni vennero a Don Bosco da Teano, piccola città della Campania; egli non potè mandarvi i Salesiani [663], ma fece accettare un accomodamento provvisorio. Quel municipio teneva un ginnasio con convitto, che dava meschini risultati didattici e morali; risoluto perciò di riformarlo, licenziò il direttore e i professori e volle mettere nelle mani di Don Bosco le sorti dell'istituto

                A perorare la causa presso Doli Dalmazzo venne appositamente da Napoli, con una raccomandazione del cardinale D'Avanzo, vescovo di Calvi e Teano, il marchese Dal Pezzo, teanese, consigliere provinciale e presidente di tutte le associazioni cattoliche; si voleva che il Procuratore generale inducesse Don Bosco ad accettare. Le condizioni, così come erano enunciate, sembravano buone. Il Beato rispose al Procuratore[468]: “Per la casa di Teano ci troviamo imbarazzati per difetto di personale. Tuttavia tra domani e posdomani faremo passare in rassegna caecos et claudos e domenica a sera nel Capitolo faremo il possibile per appagare chi ha riposto tanta fiducia nei Salesiani”.

                Nel Capitolo se ne trattò; ma tutta la buona volontà s'infranse dinanzi alla penuria di personale. Allora si stabilì di proporre al municipio che affidasse interinalmente la direzione al professore Don Giuseppe Manfredi, canonico di Sant'Ambrogio a Milano, per un periodo non maggiore di tre anni, nel qual tempo questi provvederebbe all'intero personale. La proposta venne accettata e si stipulò una convenzione dodicennale dal 15 ottobre 1880 al 15 ottobre 1892. Il municipio dava per dodici anni tutto il locale fino allora adibito per il ginnasio, riattandolo e mantenendolo in modo che potesse rispondere allo scopo. Nel caso che il numero dei convittori oltrepassasse i cinquanta, lo stesso municipio avrebbe provveduto all'ampliamento; il municipio assegnerebbe inoltre un sussidio annuo di dodicimila lire, più lire millecinquecento all'apertura per indennità di trasloco al personale. Don Dalmazzo si recò dite volte a [664] Teano, dove le accoglienze non potevano essere più cordiali. Il canonico Manfredi, cercatisi i professori, assunse la direzione, in attesa che Don Bosco a suo tempo mandasse i Salesiani; ma questo tempo non venne, essendosi mutate le circostanze.

                Parliamo ora di due case, una delle quali, aperta nel 1880, ebbe solo nell'anno seguente il suo assetto regolare, e l'altra dopo lunghe pratiche fu cominciata a costruire nel 1881; vogliamo dire le case di Penango e di Mogliano Veneto.

                Penango è un comunello del circondario e della diocesi di Casale Monferrato. Essendo quivi in vendita un edifizio civile situato sopra una ridente collinetta, il parroco Don Giuseppe Garavelli tanto fece e tanto disse, che Don Bosco si decise ad acquistarlo, sborsando per casa e terreni la somma di lire sessanta mila ai Signori Ghiron e Fiz, israeliti casalesi, procuratori del barone Leonino Sabino proprietario. Uno dei motivi che determinarono Don Bosco all'acquisto fu il desiderio di redimere un'annessa chiesa dedicata già alla Vergine dei dolori, ma divenuta, come quella di Nizza, un cantinone, sicchè la Madonna se ne stava là tra filtri, bottiglioni, botti e mastelli doppiamente addolorata.

                All'acquisto seguì immediatamente le presa di possesso. Si fecero le cose con grande solennità ai 6 di giugno. V'intervenne tutto il collegio di Borgo San Martino con i suoi 225 allievi. Monsignor Manacorda, vescovo di Fossano e nativo di Penango, celebrò, benedisse, predicò. Le buone popolazioni di Moncalvo, Cagliano, Casorzo, Vignale e di altri paesi circonvicini, avvertiti della cerimonia, si riversarono a Penango, che non aveva mai veduto intorno a sè tanta moltitudine e animazione; il nome di Don Bosco sonava per quelle terre benedetto e caro e una festa per l'apertura di un suo collegio costituiva un avvenimento per tutta la plaga. Scopo della fondazione era di stabilire ivi un convitto per giovinetti delle classi elementari, che fosse quasi succursale a quello di Borgo San Martino, dove ogni anno [665] per mancanza assoluta di posti bisognava respingere gran numero di domande. Don Bosco vi farà la stia prima visita nell'ottobre del 1881.

                Datano dal 1879 gl'inizi della casa di Mogliano Veneto, la quale però non ebbe vero cominciamento se non nel 1882. Compare ne' suoi esordi il nome di quell'avvocato Paganuzzi, che fu strenuo vessillifero dell'Azione Cattolica italiana nel periodo dell'Opera dei Congressi, e accanto a lui l'ingegnere Pietro Saccardo, altro cattolico militante di Venezia. Dolorosamente colpiti alla vista delle torme di ragazzi elle vagavano del continuo per le strade e per le piazze nella città della laguna, venendo su viziosi e bestemmiatori e per lo più senza nessuna cognizione di Dio e delle cose di religione, avversi alla fatica, disfatti nel fisico, e per patimenti e disagi d'ogni maniera guasti nell'intelletto, i due zelanti laici studiavano come portar rimedio a tanto male. C'erano, è vero, istituti di beneficenza, ma pochi e affatto insufficienti al bisogno; c'erano anche patronati serali: ma poverissimi di locali e di mezzi, esercitavano un influsso molto limitato. Come salvare tanta misera gioventù?

                Prescindendo per il momento dall'idea di dare maggior impulso ai benèfici istituti cittadini e facendo proprio un disegno del defunto patriarca Ramazzotti, essi vagheggiavano la fondazione di una colonia agricola, nella quale sembrava loro di scorgere un'arca di salvezza per tanti poveri ragazzi pressochè abbandonati. In campagna, a lor modo di credere, il lavoro non mancava, massime allora che con mezzi meccanici cominciavano a essere bonificati e resi salubri vasti terreni altre volte palustri ed incolti; ivi il lavoro essere morale e igienico più che in qualunque officina, e più consentaneo alla natura umana che non fosse l'agire quasi come macchina; ivi l'istruzione, l'alloggio, il mantenimento costare assai meno che in qualunque istituto di città, senza dire che il lavoro stesso per piccolo che sia e fatto da braccia ancora inesperte frutta sempre; ivi guadagnarci [666] non solo i ragazzi, ma anche la società tutta quarta, perchè le idee sovversive, l'odio delle classi povere contro le agiate, e gli altri funesti principii che agitano le masse, non trovano eccitamento, ma anzi si calmano e si rettificano dinanzi allo spettacolo della natura, che produce salutari effetti sotto l'influsso benigno della Provvidenza[469]. Supplicarono dunque Don Bosco di portare la stia attenzione e carità sii d'un problema così grave, ma più ancora sull'ideato rimedio. Il patriarca Agostini, informato della cosa, benediceva di gran cuore la proposta.

                La Provvidenza sembrò venire subito incontro alla caritatevole iniziativa. Una pia signora veneziana, Elisabetta Bellavite Astori, vedova da qualche tempo, intendeva appunto creare nel vicino villaggio di Mogliano, doveva aveva i suoi possessi, una colonia agricola, e non per testamento, ma vivente e anzi quanto prima. Consigliatasi col senatore Rossi di Schio, questi le aveva fatto un conto preventivo da sbalordire; sicchè ella era sul punto di rinunziare alla colonia e limitarsi a una casa di ricovero per dodici poveri vecchi. L'ingegnere Saccardo però, incaricato di prepararne un abbozzo, ne la dissuase, facendola ritornare all'originaria sua intenzione, e proponendole di chiamare Don Bosco. All'udire il nome, di Don Bosco, già noto per fama, si rallegrò assai; quindi, fatti i suoi calcoli, decise di donargli il terreno necessario in Mogliano Veneto e la somma di lire centocinquantamila per erigere nel fondo un edifizio su disegno del sullodato ingegnere Saccardo. Avvicinandosi la festa di Maria Ausiliatrice, la signora, invitata da Don Bosco, venne a Torino, dove s'intese con lui e ne riportò la più soave impressione, come appare dalla sua corrispondenza.

                Ormai essa considerava la fondazione della colonia agricola come il supremo affare della sua vita, quasi una missione da compiere per potere poscia intonare tranquilla il [667] Nunc dimittis; quindi non si diè pace, finchè Don Bosco non prese sopra di sè l'opera, quale istituzione affatto sua propria, tanta era la fiducia che riponeva nella santità di lui e nella protezione concessa dal Signore alle sue intraprese[470]. Don Bosco, trattatone col suo Capitolo, accettò formalmente[471]; dopo di che la Signora mise a sua disposizione la somma stabilita[472]. Essa avrebbe desiderato vivamente la venuta di Don Bosco; ma si rassegnò a rinunziarvi. “Sono ben dolente, gli scrisse[473], che mi sia tolto anche questa volta l'onore di accogliere tra le mie mura la veneratissima persona di Don Bosco: ma spero che questo a miglior tempo succederà: intendo, sì: le grazie distinte suole il Signore lasciarle lungamente desiderare, poi le concede; mi concederà pur questa”. Vi andò invece Don Sala, cui spettava per ufficio sovrintendere alle costruzioni, e portò seco una convenzione già sottoscritta da Doli Bosco, perchè ella pure la sottoscrivesse[474]. La fabbrica fu cominciata nella primavera del 1881 e attraverso le vicende che d'ordinario accompagnano lavori di tal genere, venne condotta rapidamente a termine.

                Prima però d'ogni altra cosa erasi chiesta l'autorizzazione dall'Autorità Ecclesiastica. Mogliano Veneto dipende ecclesiasticamente da Treviso, la qual diocesi era allora vacante per la morte di monsignor Zinelli, e ne aveva il governo come Vicario Capitolare il canonico Giuseppe Sarto, Egli non solo concesse quanto gli si domandava, ma volle stendere di proprio pugno l'intero atto relativo[475] e in termini oltremodo benevoli per Don Bosco, da lui personalmente conosciuto all'Oratorio nel 1875[476]. La casa fu inaugurata l'8 novembre 1882 da Don Moisè Veronesi, direttore. [668] L'impossibilità d'impiantare in quei luoghi una scuola di agricoltura forzò più tardi a cambiare la destinazione dell'Istituto che è tuttora assai fiorente.

                Nel 1880 principiò da Oporto un carteggio per una fondazione durato molto a lungo. In quella seconda città del Portogallo ai migliori ecclesiastici piangeva il cuore alla vista delle misere condizioni religiose, in cui versava il popolo. I protestanti, favoriti dall'ignoranza, vi facevano guasti incalcolabili. Per contrapporre un argine al crescere del male un gruppo di sacerdoti mediante limosine raccolte avevano aperto alcune scuole cattoliche, delle quali non si tardarono a vedere i frutti; ma erano frutti poco durevoli. 1 giovani, usciti di là, andavano a imparare un mestiere in ambienti dove respiravano l'irreligione e l'immoralità sicchè beli presto perdevano quanto di buono avevano appreso. Uno di quei preti, ragguardevole non meno per nobiltà di sangue che per zelo sacerdotale, Sebastiano Leite De Vasconcellos, il quale fu poi Vescovo di Beja, ruminava in cuor suo come fondare uno stabilimento, dove i giovani dalle scuole cattoliche passassero a imparare ull'arte in modo da divenire un giorno bravi operai cristiani. Ora, mentr'egli si studiava d'incarnare il suo disegno organizzando un'Officina di San Giuseppe ecco che venne a sapere di Don Bosco e delle sue scuole professionali. Gli scrisse immediatamente, scongiurandolo nel nome del Sacro Cuore di Gesù, che gli mandasse almeno tre Salesiani per aprire i tre laboratori dei sarti, calzolai e falegnami. Quante altre lettere scrisse a Don Bosco dopo quella prima! Gli rispondeva Don Durando, e la risposta in diversa forma era invariabilmente una, non essere possibile allora per mancanza di personale, ma sperarsi in seguito di poter esaudire i suoi voti. Commuove il leggere le calde pagine che il buon sacerdote scriveva, non appena gli sembrasse di cogliere in qualche frase un lampo di speranza.

                Credendosi di far breccia più facilmente nell'animo dei [669] Superiori di Torino, ottenne un'autorevole raccomandazione dal padre Ficarelli, superiore dei Gesuiti nel Portogallo. Don Bosco dispose che nel 1881 Don Cagliero, andato a Siviglia per una fondazione, di cui appresso diremo, si recasse a Oporto e vedesse e sentisse. Quella visita infuse coraggio, nello zelante sacerdote, che poco dopo intraprese il viaggio di Torino per conoscere Don Bosco, osservare da vicino le sue opere, intendersi con lui e riportarne la benedizione. Il Beato lo ascoltò con molta bontà, gli diede utili consigli e alla fine gli disse: - Io credo davanti a Dio che Ella debba aprire ora quell'istituto a beneficio della gioventù; più tardi io vi manderò i Salesiani. - Il sacerdote, ritornato in patria, conformandosi alle istruzioni di Don Bosco e facendo tesoro delle cose viste all'Oratorio, a Sampierdarena e a Marsiglia, formò una commissione delle maggiori personalità cittadine e aperse l'Officina di San Giuseppe con la riserva esplicita di cedere poi ogni cosa ai Salesiani, appena arrivassero; ma gli toccò pazientare fin dopo la morte di Don Bosco, alla cui promessa diede esecuzione il suo Successore.

                Se nuove case, come abbiamo veduto, non furono aperte nel 1880 sul vecchio continente, molto si fece per lo sviluppo di quelle che già esistevano; Don Bosco ne diede relazione ai Cooperatori nel suo resoconto annuale del gennaio 1881. In Francia, la colonia agricola della Navarre ebbe ampliati i locali; fu di molto ingrandito l'orfanotrofio di Nizza Marittima; venne aggiunto all'oratorio di Marsiglia un nuovo fabbricato, che permise di triplicare il numero degli allievi. In Italia, a Vallecrosia, terminati gli edifizi per le scuole maschili e femminili e per l'abitazione dei maestri e delle maestre, e progrediti i lavori per la chiesa annessa; a Torino continuati i lavori nella chiesa di San Giovanni Evangelista e nell'unito ospizio; alla Spezia danneggiato gravemente da un uragano l'edifizio in costruzione per le scuole e la chiesa ma ripigliati tosto i lavori; messa mano alla gigantesca impresa del Sacro Cuore a Roma. [670] Ma perchè, nonostante le arti messe purtroppo in campo dall'avversario d'ogni bene, non gli venisse a mancar il favore della Suprema Autorità, senza il quale sarebbero caduti invano tanti suoi sforzi, nell'agosto del 1880 aveva inviato un'accurata relazione sulle cose d'America e d'Europa al Cardinale Protettore, come a colui che per la natura del suo ufficio e per la grande benevolenza verso la Congregazione poteva più di qualsiasi altro giovare a Don Bosco nei suoi rapporti con la Santa Sede.

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Credo che all'E. V. come protettore ed amico dell'umile nostra Congregazione non tornerà discaro un ragguaglio sullo stato di alcune delle nostre case che paiono degne di particolare attenzione in America ed in Europa.

                Le nostre Missioni dell'Uruguay e della Patagonia camminano con grande consolazione. Ma il Governo che aveva promesso notabili sussidi per fondare colonie, edificare chiese, scuole, ospizi e così progredire in mezzo ai selvaggi, ora a motivo delle discordie civili non può mantenere le fatte promesse e ci abbandona a noi stessi con gravi passività da estinguere. Ho già però dato le necessarie disposizioni, affinchè almeno le somme di maggior premura siano pagate.

                Più complicate sono le cose in Buenos Aires capitale della Repubblica Argentina. Scuole, ospizi, case di educazione tanto maschili quanto femminili, dovettero sciogliersi e disperdersi per mettere in salvo l'onore e la vita degli allievi, dei religiosi e delle religiose. Sventuratamente questi istituti si trovavano nei siti dove succedettero le ostilità dei belligeranti. Il danno materiale deve essere rilevante, ma il fatto più doloroso fu la morte del Sac. Francesco Bodratto, Superiore delle nostre Missioni in America. Abbattuto dalle incessanti fatiche, fu costretto di porsi a letto al principio dei moti rivoluzionari. Il dolore di non poter provvedere ai crescenti bisogni gli accrebbe il male; le fucilate, le cannonate che rombavano giorno e notte sopra e intorno alla sua abitazione, contribuirono a estinguere una vita preziosa che un dispaccio telegrafico annunziava mandato ultimo respiro al quattro del corrente agosto. Con altro telegramma all'Arcivescovo di quella capitale ho scritto che provveda interinalmente nella persona del Sac. Giacomo Costamagna, assai stimato per la sua predicazione, e che fu il primo a trascorrere le Pampas fino al di là del Rio Negro e cominciare le Missioni della parte Patagonica. Appena avrò ricevuto le lettere che attendo, darò prontamente comunicazione dei fatti particolari alla E. V. e si verrà alla nomina definitiva del novello Superiore. Anzi [671] a questo fine e per altri motivi un nostro Sacerdote è in viaggio per l'Europa per venirci a fare esatta esposizione dello stato delle cose personalmente.

                Passando ora alle case di Europa, ho il piacere di poterle dire che finora i nostri istituti in Francia non ebbero alcun sintomo di futuro disturbo. A Marsiglia si lavora alacremente per la casa di noviziato e pel seminario della Patagonia. Nutro fiducia che pel fine di ottobre sarà in grati parte ultimata ed abitata. Già otto allievi sono ammessi, nell'antico edifizio ed hanno già cominciato regolarmente gli studi classici. Molti altri fanno dimanda di essere ricevuti.

                La chiesa annessa all'istituto di Nizza al Mare volge al termine e sarà inaugurata al divin culto nel prossimo novembre.

                Con maggior energia progrediscono i lavori per le scuole e per la chiesa di Vallecrosia presso Ventimiglia. Al prossimo febbraio speriamo di poter abitare questi novelli locali. Le scuole e la chiesa protestante continuano ad essere deserte, perchè la scolaresca frequenta esclusivamente le nostre scuole e la nostra chiesa. Sebbene, a dir vero, non siano che un meschino magazzino adattato a questo bisogno.

                Con pari ardore si lavora per la chiesa e istituto di S. Gio. Evangelista accanto al tempio e scuole protestanti di Torino. Nel prossimo novembre sarà trasferito l'oratorio dei fanciulli, e nel giugno 1881 tutta la chiesa potrà essere funzionata.

                Ma a qual punto si trova la nostra impresa nella piccola Ginevra ossia nella Spezia? Non si è perduto tempo e si faticò un poco a sormontare le difficoltà che moltiplicarsi ad ogni momento. Ciò nulla di meno furono sventate le insidie, che solamente l'immoralità e l'empietà protestante sa praticare. Al giorno di S. Lorenzo fecesi l'atto legale di acquisto del terreno, su cui è progettata la costruzione delle scuole, della chiesa e della casa pei nostri maestri. Desideravamo che quest'atto cotanto sospirato venisse effettuato un po' prima per farlo servire come un mazzetto di fiori da presentare alla E. V. nel suo onomastico; ma un nuovo ostacolo sopraggiunse e pareva minacciare tutta la pratica. Ciò nulla di meno, la sera di quel giorno siamo riusciti in Torino a stipulare l'atto notarile che ci rendeva padroni di 1500 metri di area fabbricabile, sborsandone il prezzo in contanti. Il relativo disegno è ultimato e da martedì 17 corrente sta sul luogo l'economo della Congregazione per dare opera in guisa che nel prossimo marzo possiamo trasferire colà le nostre tende. Non so se sarà possibile in sì breve tempo compiere tanto lavoro, ma necessità non ha legge e speriamo nel Signore di poterci riuscire.

                Per le spese occorrenti in Marsiglia, in Nizza Mare, in Vallecrosia e in Torino ho fiducia di andare avanti senza difficoltà. Non così è della Spezia in cui non si può sperare nessun sussidio materiale. Finora la nostra beneficenza in quella città è stata la inesauribile carità del S. Padre. In un foglietto a parte esprimo un mio pensiero, che prego [672] V. E. a voler leggere e comunicare a Stia Santità; se alla illuminata di Lei sapienza sembrerà cotesto conveniente.

                La supplico infine a far gradire al sullodato Santo Pontefice i deboli sforzi che fanno i Salesiani pel bene di S. Chiesa, invocando l'apostolica benedizione sopra di tutti, ma specialmente sopra i nostri Missionari di America.

                Mentre poi ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante preghiere della E. V. ho l'alto onore di potermi professare con somma venerazione e con profonda gratitudine

                Della E. V. Rev.ma

 

                Dalla Casa di Nizza Monferrato, 20 agosto 1880.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dinanzi a tanta mole di opere sulle spalle di lui privato era ben naturale che Don Bosco si domandasse: “Al compimento di grandi imprese a gloria di Dio e a sollievo della umanità sofferente, la prima difficoltà che suol frapporsi è la deficienza di mezzi. Come provvedere a tanti ragazzi ricoverati, come sostenere tante opere già cominciate? Ove prendere vitto, vestito, per tanti maestri e allievi?” A così serie interrogazioni rispondeva: “La Divina Provvidenza ha tesori inesausti. Nel passato essa non ci mancò mai; doseremo dubitare per l'avvenire? No certamente. Facciamo tutti quel poco che possiamo, e Dio supplirà a quello che manca. Mentre poi mettiamo confidenza illimitata nella bontà del Signore, noli ricusiamo la nostra cooperazione. Ciascuno rifletta un momento sul precetto del Salvatore quando disse: Date e vi sarà ricambiato con abbondante misura. E altrove: Date il superfluo in elemosina. Del superfluo ne hanno tutti, e parecchi vi sono che ne hanno molto[477]”.

                A questi appelli che Don Bosco rinnoverà sempre più frequenti e sempre più incalzanti a misura che aumenteranno le sue opere, risponderà ognora pronta e generosa la carità de' suoi Cooperatori.

 

 

CAPO XXIX. Predizioni, intuizione di coscienze, guarigioni, caso di bilocazione.

 

                NON sono molti i Santi Fondatori, nella cui vita i doni straordinari abbondino come in quella di Don Bosco, massime negli ultimi suoi anni, quando in lui il soprannaturale si manifestava con sempre maggior frequenza. Alle cose già narrate secondo l'occasione in questo volume, alcune poche ce ne rimangono, le quali esporremo qui nell'ultimo capo.

                Quante volte il Beato Don Bosco svelò il futuro, predicendo morte o lunga vita o altri eventi in nessun modo previdibili per umana congettura! Tre predizioni della data di morte cadono con molta probabilità nell'anno 1880. Il signor Tommaso Buffa, Ispettore delle Ferrovie e ottimo padre di famiglia, un figlio del quale, fattosi Salesiano, morì chierico in concetto di santità, discorreva un giorno con Don Bosco degli anni di vita che loro potevano ancor restare, e gli disse: - Io me n'andrò prima di lei. - Don Bosco gli rispose: - No, lei faccia conto di dover morire otto anni dopo la mia morte. - Infatti mancò ai vivi nel 1806, lasciando fra le sue carte un biglietto, nel quale i figli del defunto lessero del colloquio e della profezia[478]. [674] Il padre Giovanni Maria Gazza, Filippino torinese, a Soli 24 anni di età giaceva infermo di una malattia assai grave. La famiglia desiderò che Don Bosco andasse a benedirlo. Andò egli ben volentieri a compiere quell'opera di carità; ma benedetto che l'ebbe e dettegli soavi parole di conforto, nel licenziarsi dai parenti di lui annunziò senza ambagi che il loro caro sarebbe morto ai 27 di novembre. La sorella che era fra i presenti e aveva udito, attestò a Don Filippo Rinaldi la profezia e il suo pieno avveramento[479].

                Un'altra predizione egualmente funerea, ma espressa in termini che lì per lì nascondevano il vero, è quella che egli fece alla baronessa Jocteau. Questa signora, che aveva messo un figlio nel collegio di Valsalice al tempo della direzione di Don Francesia, ne condusse al Beato un secondo più piccolo, perchè lo benedicesse. Il poverino era malaticcio e rattrappito da far pietà. La madre supplicava in ginocchio il Servo di Dio, che, cosa davvero molto insolita per lui, lo prese, lo sollevò, se lo fece sedere sopra un ginocchio e disse con aspetto amorevole: - Oh sì, sì, lo benedirò ben volentieri. Prima però rivolse al fanciulletto alcune parole di vita eterna e del paradiso, e quindi amorevolmente gli soggiunse: - L'anno tale, nel giorno e all'ora tale tu starai meglio. Infine lo benedisse. La madre venne via piangendo di consolazione ma in quel tal giorno e in quella tal ora precisa, il figlio morì. La Baronessa, delusa così nelle sue speranze, restò molto male, a segno che per un tempo non venne più a visitare Don Bosco. Potè poi il canonico Anfossi, che soleva narrare il fatto, ravviarle alquanto le idee. Essendosi ella sfogata con lui, quegli bellamente le spiegò che il meglio di Don Bosco era il paradiso e le fece vedere come la sicurezza che il suo figlio per le preghiere di Don Bosco fosse in braccio a Dio, le dovesse tornare di grande conforto. Allora la Baronessa, come se le cadesse dagli occhi una benda, comprese e ringraziò il Signore. [675] Ed ora una predizione di lunga vita. Nel monastero delle Sacramentine di Bassano del Grappa morì ai 20 di giugno 1931 la monaca Madre Maria Ausiliatrice di San Giuseppe, la quale, benchè fosse di complessione gracile, era stata ammessa al noviziato di Torino nel 1880, unicamente perchè Don Bosco, consultato dalla giovane, le aveva detto che avrebbe potuto reggere all'osservanza monastica. Il medesimo Don Bosco le aveva dato una medaglia recante da un lato l'effigie di Maria Ausiliatrice e dall'altro quella di San Giuseppe; onde parve ben singolare che le Superiore, ignare di ciò, le imponessero proprio quel nome monastico. Ma v'ha di più. Il Beato le aveva anche fatto questa predizione: - Passeran molti anni, e un'Abbadessa e alcune religiose del Veneto si riuniranno con le Sacramentine; allora lei sarà mandata colà, vi sarà eletta superiora, e quello sarà il luogo della sua santificazione per andare poi in paradiso all'età che avrò anch'io alla mia morte. - La religiosa difatti fu mandata nel 1901 a fondare il monastero di Bassano del Grappa nel Veneto, senza che mai avesse svelato ad alcuno la profezia di Don Bosco. Quindi nel 1916 fu ivi eletta e dopo anche rieletta superiora. Edificata per molti anni quella comunità, cadde gravemente inferma; si rimise tuttavia tanto da poter sperare che avrebbe festeggiato il suo giubileo d'oro di professione religiosa. Se non che, avendo chiesto a che età fosse morto Don Bosco, restò sopra pensiero: tutto si era avverato fino a quel punto il predettole: non poteva dunque mancare l'avveramento anche dell'ultima parte. Infatti passò a miglior vita nell'anno settantaduesimo, come Don Bosco[480].

                Con un'altra Suora vi fu profezia e scrutazione del cuore. Suor Brambilla, Figlia della Carità, vestito l'abito religioso il 4 settembre 1880 in Torino, fu destinata all'orfanotrofio femminile di Sassari. Partì per la Sardegna in compagnia [676] di due consorelle anziane. In una memoria da lei dettata e a noi trasmessa, narrò così la partenza: “Partimmo l'II settembre 1880. Preso posto nello scompartimento del treno assegnatoci, non misi il mio bagaglio (che portava il mio nome) in alto, come fecero le mie compagne, ma lo aggiustai sotto il sedile, in modo che non si vedesse. Pochi minuti dopo salirono sul treno un signore e un sacerdote, e presero posto proprio dirimpetto a noi. Si percorse un bel tratto in silenzio, ma giunti alla prima fermata - Asti - tanti signori si avvicinarono allo sportello aperto e tutti lietamente salutarono il buon sacerdote, dicendogli: Cereia, Don Bosc, e gli porgevano la mano, ripetendo il saluto. Fatta ardita, fissai allora il santo prete e capii che era proprio il Don Bosco che tanto bene faceva ai giovanetti, e che quei signori erano stati certo suoi alunni. Grande fu la mia gioia nel vederlo, perchè già mi ero fissa in capo l'idea ch'egli fosse un Santo. Però in vista del grande ascendente che egli aveva sui giovani, me l'era immaginato alto della persona, tarchiato, di aspetto imponente... mentre era un prete per nulla straordinario, e rilevai pure (tutto tra me e me) che le sue orecchie erano alquanto grandi”.

                Ripreso il viaggio, improvvisamente Don Bosco si volse al compagno e gli disse: - Una volta mi saltò il ticchio di farmi fotografare; ma quando il fotografo mi, consegnò le sei piccole copie, ne osservai una e meravigliato esclamai: Oh! credevo di essere... - E qui ripetè per filo e per segno quanto era passato per la mente della suora, compresa la grandezza delle orecchie. La poverina arrossì. Egli, forse per distrarla, le domandò sorridente: - Suorina, dove va?

                - In Sardegna.

                - E in Sardegna che cosa farà?

                - Sono destinata a un orfanotrofio femminile.

                - Ma se invece dovesse occuparsi di ragazzini? Oh!

                - Non le piacerebbe?

                - No. [677]

                - Eppure con i birichini sì può far tanto bene.

                Una delle suore interruppe il dialogo, dicendo: - Don Bosco, mandi laggiù i suoi preti. Ne avrebbero davvero del bene da fare!

                - Per ora, rispose egli, scotendo un pochino il capo, non sembra che la Sardegna sia per noi. Vedremo!...

                Intanto giunsero a Sampierdarena. Don Bosco scese, salutò col suo cereia i compagni di viaggio e volgendosi alla suorina, le disse: -Suor Brambilla, lavori tanto per i ragazzetti.

                Arrivate le suore a Livorno, trovarono presso le loro consorelle una lettera per esse. La destinataria vi riceveva l'incarico di comunicare a Suor Brambilla che non più all'orfanotrofio femminile, ma all'Ospizio maschile doveva andare. Comprese poi sul posto il perchè del consiglio datole da Don Bosco nel salutarla. Era una casa poverissima con cinquanta ragazzetti orfani da curare e istruire; di cinque suore addette al loro servizio due in sei mesi erano andate a ricevere il premio dei loro sacrifizi. Essa quindi dovette dividere quel cumulo di lavoro con le superstiti e cinquanta anni dopo a gloria del novello Beato ci raccontava a voce e per iscritto il prezioso incontro.

                Di una profezia fatta da Don Bosco nel 1880 si risvegliò il ricordo nel 1932 tra i confratelli di Marsiglia. Circondavano un tempo l'oratorio di San Leone case e terreni altrui, che nessuno prevedeva se e quando sarebbero mai diventati tutti proprietà dei Salesiani o meglio della Società Beaujour: nessuno, all'infuori di Don Bosco. Dirimpetto all'angolo nord-est della casa numero 60 in Rue des Princes, cioè ben lontano dall'edifizio primitivo, gettava tranquillamente la sua acqua una bella fontana. Un giorno Don Bosco, passando per di là col direttore Don Bologna e col coadiutore Nasi, si fermò qualche istante a guardare quella fontana e poi disse: - Col tempo l'oratorio giungerà fin, qui a questa fontana. - I due ridissero ad altri il vaticinio; ma poi di [678] anni ne passarono tanti, che più nessuno ormai vi pensava. Per via di successivi acquisti dal 1891 al 1923 gl'immobili anzidetti vennero in possesso dell'oratorio, senza che però s'arrivasse alla vaticinata fontana. Finalmente il 24 maggio 1932 ecco che quel limite fu raggiunto. Don Bologna e Nasi erano morti da un bel po'; ma vivevano altri che da essi avevano udita la cosa, e primo fra tutti il coadiutore Carlo Fleuret, il quale si ricordò molto bene d'aver inteso dal suo confratello Nasi le parole proferite da Don Bosco in quella memoranda occasione.

                Del dono di leggere nei cuori, omesse testimonianze di genere comune, riferiremo lui fatto solo più caratteristico. Nel 1880 un giovane, tolto da un certo collegio Garibaldi, dove s'impartiva un'educazione niente cristiana, e messo contro stia voglia nell'Oratorio, andò a confessarsi da Don Bosco, ma con sì mala disposizione, elle era risoluto di non manifestare le cose più essenziali. Il Beato senza lasciargli nemmeno aprir bocca gli sciorinò là uno dopo l'altro tutti i peccati da lui commessi. Del che atterrito il giovane fuggì via senz'aspettare l'assoluzione, per la quale tornò in seguito, com'ebbe riacquistata la calma e formato il proposito di far le cose a dovere. Ben presto egli cambiò vita, sicchè pochi anni dopo fu accettato novizio a San Benigno, dove raccontò minutamente il fatto al grande moralista Don Luigi Piscetta. Da questo interrogato se si trattasse veramente di cose occulte e se prima non le avesse palesate mai ad alcuno, rispose che erano peccati commessi da solo a solo, lontano dall'Oratorio e non mai detti ad anima viva.

                Appartengono pure a questo tempo due casi di guarigione, che hanno dello straordinario. Il signor Giovanni Bisio, negoziante di Torino, era conosciutissimo nell'oratorio, perchè di ritorno dal servizio militare nel 1864 vi aveva passato sette anni dopo il 1864 e figura fra i testi citati nei processi apostolici. Egli nel 1895 depose che quindici anni innanzi, avendo la moglie inferma di grave affezione cardiaca e spedita [679] dai medici, le aveva espresso il desiderio che ricevesse una benedizione da Don Bosco. Essa ne fu ben contenta. Don Bosco la vide, le fece coraggio e l'assicurò che non sarebbe morta. Infatti campò ancora circa tre lustri con istupore dei sanitari che l'avevano curata.

                Un'altra benedizione di Don Bosco arrestò un'atrofia parziale nel coadiutore Luigi Tabasso, quando questi era ancora giovane artigiano. Entrato ragazzo nell'Oratorio di Torino, vi appariva sempre infermiccio: la causa stava in ciò, che la sua persona cresceva solo dalla parte destra e non anche dalla sinistra, onde da questo lato il braccio, la mano, la gamba rimanevano più piccoli e più corti, e la stessa inferiorità si ravvisava nel resto del corpo. Per effetto di tale anormalità pativa un'oppressione al cuore, che gli toglieva il respiro; altri spasimi gli causavano sofferenze nel volto. Parecchi valenti medici torinesi Studiarono il fenomeno. Il dottor Concato, professore universitario, trattenne il giovane all'Ospedale durante il giugno del 1880, facendolo oggetto di osservazioni dinanzi a' suoi allievi. La diagnosi del male non presentava difficoltà: ma a trovarvi rimedio la scienza non riusciva. Sottentrò allora la fede. Una domenica il povero sofferente andò a trovare Don Bosco nella sua camera, gli narrò il suo triste stato e gli chiese la benedizione. Il Beato, fattolo inginocchiare e recitata con lui una preghiera, lo benedisse, ed ecco che nell'alzarsi parve al giovane di sentirsi levare improvvisamente un peso dal cuore, e alla guancia sinistra non provava più alcuna dolorosa sensazione. In pochi giorni le forze aumentarono e il braccio sinistro gli crebbe come l'altro: nella faccia gli restò una fossetta come se gli si fosse estratto un osso, e la lingua si mantenne più sottile e un po' torta a sinistra. Ogni malessere però se n'era andato, Don Bosco, appena visto l'effetto della benedizione, gli aveva proibito di parlare della cosa, raccomandandogli invece di ringraziare la Beata Vergine. Due anni da poi il medesimo, fattosi male alla gamba [680] destra, pregò Don Bosco di rinnovargli la benedizione, sperandone il medesimo beneficio. Lo benedisse il Beato, ponendo per altro la condizione che il guarire gli fosse utile alla salvezza dell'anima; se no, il male gli durasse. E il male lo accompagnò fino al termine de' suoi giorni[481].

                Il signor Agostino Calcagno di Arenzano fu uno dei primi Cooperatori Salesiani, e che Cooperatore! Ogni volta che sapeva d'una conferenza di Don Bosco in Torino o in qualsiasi città della sua Liguria, vi si recava, portando seco offerte da lui raccolte, e conducendo persone inferme. Nel 1881, andato alla conferenza tenuta durante la novena di Maria Ausiliatrice, consegnò al Servo di Dio cinque offerte. Il Beato le mise in fila sul tavolo senza saperne menomamente la provenienza e poi indicando col dito, disse: Queste tre otterranno la grazia e queste due no. - Non era peranco terminata la novena, che le tre persone inferme guarirono, e una di esse vive tuttora mentre scriviamo (1933) ed ha raggiunto la bella età di novant'anni; le altre due morirono[482].

                Un caso di bilocazione che avremmo dovuto narrare nel volume precedente, fu messo allora da parte, perchè la documentazione non ci pareva adeguata all'importanza del fatto. Una signora, scrivendo a Don Rua nel 1891 e riferendosi a cosa, di cui altra volta gli aveva scritto, ne faceva un'esposizione molto sommaria, com'è costume quando si tratta solo di richiamare all'altrui memoria avvenimenti già conosciuti in tutti i loro particolari. Oggi anche buon numero di quei particolari ci sono esposti da persona ben informata, cioè dalla figlia maggiore di detta signora. Avendo noi avuto la fortuna di scoprire dopo molte ricerche dov'essa viveva, si è potuto da lei ottenere una particolareggiata relazione [681], che completa abbastanza la lettera della madre. Accertata omai la santità dell'Uomo, non crediamo di dover passare sotto silenzio un prodigio, che nella vita dei Santi non è nuovo e che, come vedremo a suo tempo sulla scorta di documenti  irrefragabili, non è unico nella vita stessa del nostro Beato.

                Il 14 ottobre 1878 Don Bosco era certamente a Torino. Quel giorno nella casa della signora Adele Clèment a Saint-Rambert d'Albon, dipartimento della Dróme, entrò un prete sconosciuto, che parlava francese nè volle mai dire il proprio nome, ma alle reiterate insistenze rispose: - Di qui ad alcuni anni il mio nome sarà stampato nei libri e quei libri vi capiteranno tra mano. Allora saprete chi sono io.

                L'aveva condotto in casa il marito della signora, negoziante di olio e carbone. Se ne tornava egli da Chanas, paesello distante mezzo chilometro da Saint-Rambert, dove aveva carrettato un carico della sua merce, quando di botto, vide un prete che camminava a grande stento. Avutone compassione, gli si avvicinò e gli disse: - Signor curato, lei mi ha l'aria di essere molto stanco.

                - Oh, sì, brav'uomo, gli rispose il prete; ho fatto un lungo viaggio.

                - Signor curato, io le offrirei ben volentieri di accomodarsi qui sopra, se il veicolo non fosse com'è; ma su d'una carretta simile non oso.

                - Oh, voi mi fate un gran piacere. Io accetto: non ne posso proprio più.

                Ciò detto, aiutato da colui, montò. Dimostrava un'età fra i trenta e i quarant'anni, e aveva una bella presenza. Una particolarità, alla quale lì per lì quell'uomo non aveva badato, ma di cui si rese ben conto in seguito, si fu che, quantunque il prete seduto sul fondo della carretta sporgesse in alto dalle bande con tutta la testa e col suo bravo tricorno, pure nessuno, anche passando vicino, aveva fatto il menomo segno di accorgersene. [682]

                Giunti alla casa, il signor Clément gli diede la mano e l'aiutò a discendere; poi corse dalla moglie per avvertirla che aveva condotto un prete stanchissimo e bisognoso di ristoro. La signora, donna caritatevole e pia, andò subito a offrirgli di pranzare con loro. Egli accettò e durante la refezione ascoltò amorevolmente il racconto delle sue disgrazie, la più dolorosa delle quali era quella di un figlio diventatole per un malore improvviso cieco, sordo e muto. La poverina non sapeva darsi pace; aveva pregato tutti i Santi, ma nulla veniva a lenire la sua pena. Il prete le disse:

                - Pregate, buona signora, e sarete esaudita.

                - Vuol dire, signor curato?... Vada a vederlo!

                Il marito durante il pasto gli versava da bere tavola accanto alla bottiglia del vino c'era un boccale di cotto, come costumavasi allora, per l'acqua, bianco e cerchiato d'argento. Il prete disse: - Conservate questo boccale per mio ricordo. - Così fecero, come attesta la figlia, allora piccina, la quale soggiunge: “Mio padre, l'anno prima di morire, mi disse: - Questo boccale non deve restare nelle mani de' tuoi fratelli. Io lo darò a te e tu lo serberai. É una reliquia di quel santo prete”.

                Verso la fine del desinare il signor Clément uscì per abbeverar i cavalli, dovendo tosto ripartire. In quel mentre il prete si alzò da sedere e disse alla padrona: - Buona signora, una voce mi chiama, e bisogna che io parta.

                - Aspetti, signor curato, gli rispose la donna. Il mio marito ritorna subito e la condurrà in vettura a vedere mio figlio.

                - Una voce mi chiama, ripetè egli, e bisogna che io parta.

                E partì.

                La signora si precipitò dal marito, attaccarono in fretta e gli volarono dietro, sicuri di raggiungerlo presto; ma più non lo videro e credettero che fosse andato fuor di strada. Qual non fu invece il loro stupore, quando, arrivati dalla [683] balia del piccolo, questa disse loro che era venuto un prete e aveva guarito il figlio! La balia abitava a Coinaud, villaggio distante tre chilometri da Saint-Rambert, e dai calcoli fatti risultò che il momento in cui il prete era entrato là coincideva con quello in cui era uscito da casa Clément.

                Quella brava gente almanaccava da sette anni per indovinare chi fosse l'essere misterioso, quando una delle persone che avevano visto il prete a guarire il bimbo e ne ricordava benissimo la fisonomia, si recò dai coniugi Clèment con un libro che parlava di Don Bosco e ne portava il ritratto. - Ecco, disse, il prete che vi ha guarito il figlio! -Nessun dubbio, era desso, lo riconobbero all'istante entrambi.

                Il 10 aprile 1888 la signora, guarita prodigiosamente da un'infermità per intercessione, com'ella credette, di Don Bosco, spedì una relazione del fatto a Don Rua; ma che sorte abbia avuto la sua lettera, noi non lo sappiamo. E non lo dovette sapere nemmeno la donna, perchè tornò a scrivergli il 13 aprile 1891, stimolata quasi da rimorso, come se non facesse abbastanza per render noto il portento al successore di Don Bosco. Gli diceva fra l'altro: “Vivono ancora testimoni, che si possono interrogare: parecchi sono in grado di darle informazioni. Non ne chiegga però al curato di Saint-Rambert, perchè alla santità di Don Bosco egli non crede. Io fo di tutto per aiutare l'opera di Don Bosco, ma egli ha raccomandato di non introdurre qui opere straordinarie, e dice che son tutte chimere, e che di buone opere ne abbiamo già abbastanza in Francia... Se io dovessi raccontarle tutte le noie avute da questo prete di Saint-Rambert e i segni della miracolosa protezione accordatami da Dio e da Maria Ausiliatrice per intercessione di Don Bosco, dovrei scrivere un volume. Incarichi Lei un buon sacerdote che esamini il fatto e interroghi i testimoni. Sia, per esempio, il parroco di Breuil in quel di Bois-d'Oingt presso Lione o il parroco di Diemaze presso Vienne”, [684] Questa lettera ebbe risposta? I nostri archivi tacciono. La figlia dei signori Clément, di cui ci pervenne una lunga lettera con la data del 18 aprile 1932, vive a Lione (136 avenue de Saxe), moglie del signor Durand. Sua madre morì nel 1914, suo padre nel 1925; il fratello del miracolo campò fino al 1928. Gli venne allora un tumore al cervello. I medici ne pronosticavano una morte straziante; invece si spense placidamente, cosa che fu ritenuta una nuova grazia del Beato Don Bosco[483].

                Mirabilis Deus in Sanctis suis! Ma da siffatte meraviglie divine i Santi pigliavano motivo per maggiormente umiliarsi. Don Bosco era persuaso che se il Signore avesse trovato uno strumento più debole e più inetto di lui, quello e non lui avrebbe scelto per le sue opere. Quand'egli esprimeva questo concetto, e lo espresse più volte, coloro che lo ascoltavano gli leggevano nel volto e nell'accento la sincerità dell'anima. Non meno sincera apparve sul tramonto dei suoi giorni l'accorata compunzione, con cui disse: - Quanti prodigi ha operato il Signore in mezzo a noi! Ma quanti più ne avrebbe compiuti se Don Bosco avesse avuto più fede! - Onde scongiurava i suoi, che non commettessero giammai l'ingratitudine di attribuire anche in minima parte a se stessi anzichè a Dio il bene che la Provvidenza si degnerebbe fare per loro mezzo nel mondo.

 

 

APPENDICE DI DOCUMENTI

 

[687]

 

1.

Convenzione per il servizio parrocchiale a Marsiglia.

 

Entre l'abbé Bosco Fondateur et Supérieur Général de la Congrégation de St-François-de-Sales à Turin d'une part, et la Société anonyme de la maison Beaujour à Marseille d'autre part, il a été réglé:

 

ART. I.

Voulant exprimer sa reconnaissance à la Société Beaujour pour le généreux concours qu'Elle lui a fourni dans l'Etablissement à Marseille d'une maison de sa Congrégation, l'abbé Bosco charge à perpétuité les membres de sa Congrégation établie à Marseille de fournir a l'Église paroissiale de Saint-Joseph (intra muros) tel nombre de prêtres auxiliaires que M. le Curé de la çlite paroisse le desirera et tant qu'il sera compatible aux attributions de prêtres de l'Oratoire moyennant. un traitement de cent francs par mois pour chaque prêtre.

 

ART. II.

L'abbé Bosco veut que ces prêtres remplissent toutes les fonctions de la paroisse que M. le Curé leur imposera et que l'usage impose ordinairement à Marseille aux prêtres sacristains ou auxiliaires.

 

ART. III.

L'abbé Bosco impose en outre aux membres de sa Congrégation établie à Marseille, de fournir les enfants qui sont nécessaires au service de l'autel et à l'exécution de la musique sacrée dans l'église paroissiale de St-Joseph. M. le Curé fixera lui même le nombre des enfants qui lui est nécessaire, eu regard au nombre de ceux qui composent la Maîtrise.

 

ART. IV.

Les enfants formant la Maîtrise de St-Joseph, seront formés aux cérémonies par un père de l'Oratoire et ne paraîtront jamais à l'église pour une fonction quelconque sans être sous la surveillance et responsabilité d'un prêtre de l'Oratoire. [688]

 

ART. V.

Le costume dont on revêt les enfants qui servent à l'autel ou participent à toute autre fonction sainte et ce qu'est nécessaire pour l'école de chant aussi que son entretient, est et demeure à la charge de l'Église de Saint-Joseph.

 

ART. VI.

Un Maître de Chapelle choisi per l'abbé Bosco d'accord avec M. le Curé et payé par la fabrique de Saint-Joseph, donnera des leçon de Musique et de Plain-chant aux enfants de la Maîtrise qui seront particulièrement désignés pour faire. partie de l'école de chant. Ces classes de Musique et de Plain-chant auront lieu tous les jours et seront surveillées par un Père de l'Oratoire.

 

ART. VII.

Les enfants composant la Maîtrise devront se rendre à St-Joseph à toute réquisition de Monsieur le Curé.

 

ART. VIII.

Tout les enfants de la Maîtrise suivront le Catéchisme de la Paroisse où ils se rendront toujours accompagnés et surveillés. par un Père de l'Oratoire.

 

ART. IX.

La première Communion des enfants de la Maîtrise sera faite à St-Joseph.

 

2.

Convenzione per St-Cyr e la Navarre.

 

Monsieur Pierre Ernest Dominique Biver agissant au nom et pour le compte de la Société anonyme de la maison Beaujour dont le siège est à Marseille, rue Beaujour N. 9, en vertu des pouvoir qui lui ont été donnés par une délibération du Conseil d'Administration de la Société du 27 Janvier 1879.

D'une part.

 

Don Bosco prêtre, demeurant à Turin (Italie) agissant en son propre et privé nom, qu'au nom et pour le compte de M. l'abbé Jacques Vincent Directur de l'Orphelinat de St-Isidore demeurant à St-Cyr (Var) avec promesse de ratification par ce dernier dans la huitaine de ce jour.

Il a été arrêté ce qui suit:

D'autre. part. [689]

 

ART. I.

La Société de la maison Beaujour, constituée au Capital de douze mille francs, représenté par vingt-quatre actions de cinq cents francs chacune, aux termes de l'acte reçu par M. Siffrein Blanc et son Collègue, notaires à Marseille, le 13 Janvier 1877 élèvera ce capital à la somme de cent vingt mille francs par la création de deux cent seize actions nouvelles de pareille valeur de cinq cents francs.

 

ART. II.

Contre la remise de cent de ces nouvelles actions antérieurement libérées, il sera fait apport à la Société par M. l'abbé Vincent des immeubles qu'il possède dans le département du Var; tant à la Craud'Hyères que dans la commune de St-Cyr, tels que ces immeubles se trouvent et comportent avec leurs attenances et dépendances sans rien excepter ni réserver.

 

ART. III.

Les immeubles dont il est parlé dans l'article précédent seront garantis par M. Vincent franc de dettes à l'exception d'une somme de cinquante huit mille franc due à divers créanciers hypothécaires inscrits et chirographaires et que la Société prendra à sa charge et sera tenue de payer savoir huit mille francs aussitôt après que l'apport aura été vérifié et accepté, ainsi qu'il est prescrit par les articles 4 et 3o de la loi du 25 Juillet 1867 et le reste au fur et à mesure de l'exigibilité, et au plus tôt à partir des six mois qui suivront.

 

ART. IV.

Les cent seize actions formant le complément des deux cent seize nouvelles, seront émises contre espèces au pair de leur valeur nominal de cinq cents francs dont un quart devra être versé au moment de la souscription et le surplus conformément aux appels qui seront faits par le Conseil d'Administration de la manière indiquée dans l'art. 6 des statuts.

Dans la souscription qui sera ouverte à cet effet les anciens actionnaires seront admis par préférence chacun en proportion du nombre d'actions anciennes qu'il possède, mais à la charge par eux d'user de leur droit à peine de déchéance dans la huitaine de l'avis qui leur sera donné au nom du Conseil d'Administration par lettre recoinmandée.

 

ART. V.

Dès que la Société sera devenue propriétaire définitive des immeubles apportés par M. l'abbé Vincent elle les donnera à bail à Dom Bosco ainsi que celui qu'elle possède à Marseille, rue Beaujour N. 9 le tout pour une durée de quinze ans, moyennant le prix du loyer annuel 44 - CERIA. Memorie biografiche. Vol. XIV. [690] de deux mille francs payable terme à chaque fin d'année avec facilité pour D. Bosco de renouveler le présent bail pour une égale période de quinze ans en prévenant la Société Beaujour trois ans avant l'expiration de la première période et en outre aux conditions suivantes d'or et déjà acceptées par D. Bosco, savoir:

1° Qu'il donnera à ces immeubles une destination conforme à celle déterminée par l'article I-er des statuts de la Société et non aucune autre et notamment qu'il donnera gratuitement l'enseignenient scolaire et professionnel aux enfants qui fréquenteront à la maison Beaujour les classes du jour ou du soir.

La présente clause évaluée pour la perception des droits d'enregistrement à un revenu annuel de quatre mille francs (4000).

2° Qu'il supportera les contributions et charges de toute autre nature tant foncières que locataires dont ils pourront être grevés.

3° Qu'il fera à ses frais pendant toute la durée du bail les réparations de toute nature dont ils auront besoin sans exception de celles que la loi ou l'usage mettraient à la charge du propriétaire.

4° Qu'il lui sera facultatif d'y faire également à ses frais tous changements à sa convenance pourvu qu'ils ne soient pas susceptibles de nuire à leur solidité ainsi que toutes constructions nouvelles, mais,

à la charge de les laisser à sa sortie à la Société à laquelle elles profiteront sans indemnité.

La présente clause évaluée pour la perception des droits à un revenu annuel de deux mille francs (2000).

 

ART. VI.

En rapportant la ratification de M. l'abbé Vincent D. Bosco sera tenu d'y joindre les titres de propriété dont l'examen devra être fait par la Commission chargée de verifier l'apport. Les actions attribuées à M. l'abbé Vincent ne lui seront délivrées qu'après les justifications hypothécaires d'usage.

 

ART. VII.

Il est réservé à l'Assemblée Générale de la Société de faire aux statuts actuels telles modifications qu'elle jugera convenables, et dès maintenant il est expressément convenu que sur les bénéfices à réaliser il sera prélevé seulement et payé aux actionnaires l'intérêt à quatre pour cent l'an du capital versé, et que tout le surplus sera attribué aux fonds de réserve pour être partagé entré tous les associés lors de la dissolution de la Société.

 

ART. VIII.

Pour l'exécution des présents accords les parties font élection de domicile à Marseille savoir M. Biver pour la Société de la maison Beaujour au siège social indiqué ci dessus et D. Bosco tant pour lui [691] même que pour M. l'abbé Vincent dans la maison Beaujour rue Beaujour N. 9.

Fait et signé à deux originaire à Marseille le 28 Janvier 1879, lu et approuvé. [3].

 

Cinque lettere di Don Bosco a Don Rua da Marsiglia.

 

A.

 

                   Carissimo D. Rua,

 

                I) Grandi imprese abbiamo tra mano e grandi preghiere occorrono affinchè tutto riesca bene.

                2) Manda a vedere il palazzo di S. Benigno e disponi le cose in modo che possa essere abitabile il mese di Maggio.

                3) Abbi cura della sanità di Marchisio M.tro e del caro Remondino[484] io pregherò ogni giorno per loro nella S. Messa. Non mancherò di pregare per tutti quelli che mi raccomandi e che Dio chiamò testè alla vita eterna.

                4) Qui a Marsiglia avvi assoluto bisogno di un capo sarto e di una persona di servizio per coltivare un piccolo orticello e per altri lavori di questo genere. Se non si possono avere dillo prontamente e si studierà il modo di provvedere, certamente con gravi sacrifizi.

                5) Riguardo ai 2000 franchi dell'Economato ho scritto una lettera premurosa al sig. Economo. Procura di passare dal sig. commendator Alasia, pregandolo da parte mia a dire che cosa si possa fare per ottenere quanto strettamente ci occorre[485].

                6) La mia sanità in generale è assai buona. L'occhio sinistro non ha peggiorato, il destro guadagnò alquanto. In questo momento leggo le parole Le Citoyen, cosa che in due mesi mi tornò assolutamente impossibile.

                7) Sia d'ogni cosa benedetto il Signore; e ringrazia da parte mia tutti i nostri cari giovani per le preghiere che hanno fatto per me. Dio li benedica tutti e li conservi nella sua santa grazia.

                8) L'affare di D. Picchiottino sia intieramente rimesso al conte Cays, il quale conosce assai bene la volontà del testatore.

                9) Mi occuperò del P. Mella, ma non so come si potrà aggiustare. [692]

                10) Per la festa di S. Francesco non mi potrò trovare, perciò fartela solenne quanto potete: ringraziate da parte mia il cav. Catlinetti[486] e al mio ritorno spero di poterli ossequiare e far loro un piccolo regalo che alla pietà di lui e di sua moglie sarà gradito.

                11) Abbiamo da sistemare la radunanza di S. Francesco[487]. Io proporrei di trovarci ad Alassio oppure a S. Pier d'Arena. Si potrebbe scegliere il giorno 3 febbraio. Potresti venire con D. Durando e qualcuno che giudichi ad hoc. Dimmi il tuo parere sulla convenienza, sul luogo e sul tempo. Andrei io stesso a Torino, ma [ciò] interromperebbe i miei progetti. D. Ronchail ti scriverà altre cose. Saluta tutti i confratelli ed i giovani da parte mia e credimi sempre

                [Marsiglia, II Gennaio 1879].

 Tuo affez.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

B.

 

                Carissimo, D. Rua

 

                I) Se vedi il sig. Scanagatti[488] ringrazialo da parte mia, e digli che ogni giorno noli manco mai di pregare per lui nella santa Messa.

                2) Riguardo al monumento pel sempre caro D. Bardessono[489] ci prenderemo parte molto volentieri, ma non come membro del comitato. A te manca il tempo e ci sono anche altri motivi particolari[490]. Sarei contento che si prendesse la biografia dell'Ateneo[491], si impastasse secondo il nostro spirito, e si ponesse nel Bollettino[492]. Pare che si meriti un tale riguardo.

                3) Se puoi visita o manda a visitare, se sono ancora in vita, i [693] miei cari Tonello[493] e l'antico amico Ferrero[494]. Di tutto buon grado mando loro una speciale benedizione raccomandandoli nella santa Messa.

                4) Al mio sempre caro D. Remondini mando di tutto cuore la benedizione di Maria Ausiliatrice; fagli coraggio e, procura che niente gli manchi.

                5) Prepariamo adunque le cose per Alassio nel giorno 3 febbraio. Per le case di Francia e di Bordigliera non occorre darne avviso. Ciò farò nel mio cammino.

                6) Dalla lettera al conte Cays e a D. Ghivarello avrai le notizie ivi contenute.

                7) Il danaro del Sig. Sigismondi fu dato nella somma di franchi 200 (duecento) al Sig. D. Emilio Ruggieri[495] per messe che egli ha fatto celebrare a nostro conto. Franchi 50 (cinquanta), all'avvocato Leonori per ispese fatte per noi ai Vescovi e Regolari. Di ogni cosa sono inteso con D. Rocca[496].

                8) Riguardo al professore Nuc (?) omnia probate, quod bonum est tenete.

                9) L'avvocato Carlo Rossi qualora desideri allontanarsi dalla Congregazione si inviti almeno ad indennizzare la casa per quanto si è fatto per lui.

                10) In quanto alla mia salute è alquanto migliorata. Sia ringraziato il Signore e siano pure ringraziati i cari nostri giovani elle tanto pregarono per me.

                11) Le cose nostre qui vanno assai bene e forse nel ricevere questa lettera le nostre cose saranno conchiuse. Ne avrai tosto comunicazione. Sono di molta importanza morale, materiale e religiosa.

                Havvi grande bisogno di preghiere. Se i giovani vogliono farmi una cosa la più cara facciano un triduo di Comunioni e di preghiere secondo la mia intenzione e pel buon esito degli attuali nostri affari. Assicurali da parte mia che al mio arrivo oltre il pregare per loro voglio farli stare molto allegri con un solenne festino che si estenda in modo particolare alla cucina e al refettorio.

                12) Il curato di S. Giuseppe è sempre nostro amico e protettore. Gradì molto i vostri saluti e ne li ritorna di buon cuore. La grazia di nostro Signor G. C. sia sempre con noi e ci aiuti tutti a perseverare [694] nel suo santo servizio sino alla fine della nostra vita mortale. Ainsi soit-il.

                Abbimi sempre in G. C.

 

                Marsiglia, 21 Gennaio 1878.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. L'altro ieri domenica, i giovani della Navarra hanno cantato la messa della S.ta Infanzia ed il Tantum Ergo di Dogliani a Solliès-Pont paese poco distante dall'Ospizio e si fecero onore, si fece una questua che produsse 110 f. Così le glorie dell'Oratorio si vanno estendendo in Francia.

                D. Bosco manda speciali saluti a Valentini portinaio, a Gedda della Sa ginnasiale, ed al suo amico Cottini[497].

                Scriveremo quanto prima.

Aff.mo in G. C.

Sac. G. RONCHAIL.

 

C.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                I) Per una serie di cose dobbiamo differire la nostra conferenza dal tre e portarla al giorno sei. Ciò ti serva di regola per dare gli apportuni avvisi.

                2) É venuto Nasi e spero che sarà a suo posto.

                3) Martedì prossimo speriamo partire per St-Cyr, che sarà pure nostro mercè 60.000 fr. che saranno pagati dai nostri benefattori.

                4) Qui compriamo per noi, ma senza che spendiamo e facciamo pendenze a carico della Congregaz.[498].

                5) Dopo St-Cyr andremo a Tolone, Solliès-Pont, Navarra e poi a Nizza.

                Dio ci benedica tutti e prega per me che ti sono in G. C.

                Marsiglia, 24 Gennaio 1879.

A ff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

 

D.

 

                Carissimo D. Rua,

 

                Ti acchiudo una lettera da presentare da parte mia ai Sig. Catlinetti. Procura di fare la parte mia facendo che qualchuno con [695] qualche graziosa composizione li inviti a prendere l'Oratorio in benevola protezione.

                Oggi alle due si decideranno grandi affari per noi. Tutto è preparato in nostro favore, speriamo che le cose saranno tutte conchiuse secondo i santi voleri del Signore. Dimani debbo arrecarmi ad Aix col Sig. Curato di S. Giuseppe per un affare di rilievo. Dopo dimani se non surgono altri gravi affari, partirò alla volta di Saint-Cyr et Navarre. Le nostre imprese qui procedono in modo favoloso; direbbe il mondo, ma noi diciamo in modo prodigioso. Sia sempre lodata ed esaltata la bontà del Signore. Saluterai D. Lago Macckierna e Buzzetti. Fa un cordialissimo saluto a tutti quelli della nostra casa. Pregate per me che vi sarò sempre in Gesù Cristo.

                Marsiglia, 27 Gennaio 1879.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Sono sei giorni che non ricevo più nulla da Torino.

 

F.

 

 

                Carissimo D. Rua,

 

                I) Se la malattia di D. Remondini va peggiorando, si ammetta pure ai voti perpetui. Salutalo da parte mia ed assicuralo che prego per lui.

                2) Mi rincresce la morte di Tonelli, ma ringraziamo il Signore che tale morte fu preziosa al suo cospetto.

                3) Nessuna difficoltà che Anzini se ne vada, ma almeno pensi prima ad indennizzare le molte spese che la Congregazione fece per lui[499].

                4) Per tutte le cose da farsi o da stabilirsi tratteremo al giorno 6 del prossimo febbraio ad Alassio.

                5) Fa pure scrivere a D. Picchiottino pel P. Mella se non hai ancora scritto [Si continua a Nizza].

                2 Febbraio.

                6) Passa o manda a prendere da parte mia delle notizie di Don Vallauri e di sua sorella Teresa. Salutali da parte mia e se occorre loro qualche cosa per Roma prendine memoria e me la comunicherai ad Alassio. Idem alla marchesa Fassati facendole ossequio da parte mia, assicurandola delle nostre preghiere la pregherai pure a dirti a quale punto si trovi la traduzione (edizione 2a) del Giovane Provveduto. In Francia è molto cercato e molto letto[500]. Sarà pure bene che ti dia un regolare frontispizio per la stampa a parte dei Fondamenti della Cattolica Religione. [696]

                7) Manda pregare il marchese Giovanni Scarampi per la traduzione. dell'opuscolo Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni, ecc.

                8) Le cose di Marsiglia furono tutte ultimate nel senso più favorevole. Ho visitato St-Cyr e Navarre. Di tutto ci parleremo al giorno 6. Puoi comunicare a tutti gli amici che presentemente abbiamo oltre a mille giornate di terreno tutte adattate per carciofi[501].

                9) Da Torino conduci chi meglio giudichi; converrà però che vi sia D. Barberis ed il conte Cays, a meno che ne siano impediti. Venendo porta teco alcune copie dell'Opera di Maria Ausiliatrice. Sarà bene anche propagare di più il Regolamento della casa e delle deliberazioni capitolari. Da' gli avvisi opportuni pel giorno della conferenza. Io con D. Ronchail e D. Cagliero ci troveremo à notre place mercoledì a sera.

                10) Pei lavori da farsi riguardo alle scuole concreteremo giovedì prossimo. Qui abbiamo giornate stupende; è il nostro aprile di Torino. Grazie a Dio buona salute in tutte le nostre case, meno una suora a Navarra ed un'altra qui in Nizza che sono piuttosto in serio pericolo.

                11) A D. Lazzero elle ho letto con piacere la sua lettera; attendo i suoi miracoli.

                12) Portami delle notizie di Ghione e di Ghiglione[502] e salutali da parte mia.

                A D. Savio elle vi è un campo vastissimo per lui: prepari meliga e trifoglio.

                Fa un saluto ai cari nostri giovani compresi gli ascritti e Giulio Augusto. Dio ci benedica tutti e, credimi sempre in G. Cristo

 

                Marsiglia, 27 Gennaio 1879.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Di' a D. Berto elle sono affatto privo delle nostre notizie.

                Un Pater ed ave per gli amanuensi[503].

 

4

 

Certificato medico di guarigione miracolosa.

 

                Je soussigné D'Espiney, docteur en médecine à Hyères (Var), certifie ce qui suit:

                Madame la Vicomtesse de Villeneuve Flayore était atteinte, depuis le 27 aoút 1870, d'accès de fièvre intermittente dont je n'ai jamais pu la guérir tout à fait. Les médicaments les plus variés, l'hydrothé [697] rapie, les eaux de Vals et enfin divers déplacements avaient, à plusieurs reprises, suspendu et éloigné les accès, sans jamais les anéantir complètement.

                Au mois d'octobre 1876 Madame de Villeneuve se blessa et fut atteinte, consécutivement, d'une péritonite fort grave, que vinrent compliquer encore les accès de fièvre habituels. Sa vie fut sérieusement menacée et, si le retablissement eut lieu; cependant Madame de Villeneuve resta languissante. Une lésion organique devint la cause de divers troubles de la sante, et les accès de fièvre ne tardèrent pas à produire uni engorgement du foie et de la rate, avec anémie prononcée.

                La persistance de cet état me donnant de réelles inquiétudes pour l'avenir, je déclarai qu'un changement d'air prolongé devenait encore necessaire, et Madame de Villeneuve partit pour Nice le 21 janvier 1879. Mais ce séjour ne parut pas d'abord lui être favorable, et elle fut atteinte, à son arrivée, d'accès de fièvre répétés et intenses.

                Telle était la situation lorsque, à la suite d'une visite faite le 3 février 11879 au B. P. Don Bosco, Madame de Villeneuve m'écrivit qu'elle était radicalement guérie; qu'elle pouvait faire à pied et sans fatigue les plus longues marches, que son appétit était devenu d'une exigence remarquable, qu'il n'était plus question de fièvre, et que le gonflement du foie et de la rate avait sans doute disparu; car la taille avait repris toute son apparence première.

                Le 5 mai 1877, je me suis assuré que les assertions de Madame de Villeneuve étaient parfaitement fondées, qu'on ne trouvait pas de trace de sa maladie passée et qu'elle paraissait complètement guérie. En foi de quoi, je suis heureux de délivrer la présente attestation.

                Hyères, le 15 Mai 1879.

DESPINEY

Docteur.

5.

Lettera del signor Rostand a Don Bosco.

 

                Vous voulez bien me louer, dans des termes que je n'accepte point, de tout ce que j'ai pu faire pour l'oeuvre que nous avions entreprise, dans laquelle je n'avais été qu'un très modeste et très inconscient instrument de la providence, et dont le souffle inspirateur est du à notre vénérable curé de St-Joseph, secondé par le concours des hommes dévoués qui nous entourent.

                Mais c'est vous, mon père, qui nous êtes venu comme le véritable envoyé de la divine providence. Avec votre grande expérience des choses de Dieu, vous nous avez apporté la solution du problème depuis si longtemps soumis aux méditations, des hommes de bien. [698] Ceux-ci en effet, au milieu du trouble que nous traversons, se demandent sans cesse et avec anxiété par quels moyens on pourra sauver notre société en péril.

                Eh! quel moyen plus efficace d'assurer le royaume de Dieu sur la terre que celui de propager la lumière évangélique.

                Vous avez voulu, et nous ne saurions trop vous en louer, créer à Marseille une maison de communauté pour votre ordre. Si vous donnez à l'oeuvre de la rue Beaujour, soit à l'oratoire de St-Léon, toute l'expansion dont elle est susceptible, nous ne doutons point qu'il sortira de vos fécondes mains des bataillons de jeunes hommes pour grossir l'armée du Seigneur.

                Vos soldats, mon père, seront tout ces jeunes ouvriers auxquels on ne voudrait donner que les premières notions de la science, et qui, sortant à l'avenir, comme on le prétend, d'une école sans Dieu, iraient grossir les rangs des pires ennemis dé la société.

                Placés au contraire sous le joug d'une éducation chrétienne, retenus par l'attrait d'une science relative, satisfaits dans leurs intérêts par l'éducation professionelle, ils formeront un jour la grande armée du bien contre fe mal.

                Vous devez donc croire que nous serons heureux de seconder les généreuses inspirations dé votre zèle, en vous aidant a préparer' les éléments d'un triple bien:

                1) la création d'un noviciat de Salésiens destinés à établir des oeuvres de jeunesse en France: noviciat où vous formerez des prêtres, de clercs, des laïques qui iront porter sur le sol de notre infortunée patrie les idées fécondes en bien dont la providence vous fait l'apôtre.

                2) l'oeuvre des étudiants où vous favoriserez les vocations ecclésiastiques. Cette ceuvre est d'autant plus importante de nos jours que les intelligences matérialisées par les intérêts de la terre ne comprennent presque plus rien aux grandes choses de l'éternité. Aussi compte-t-on à peine de loin en loin quelques rares vocations pour le sacerdoce.

                3) enfin l' oeuvre des ouvriers où, en donnant une éducation professionelle, vous ferez avant tout des hommes et des chrétiens. Ce sera une pacifique, mais efficace protestation contre les habitudes du temps présent, où l'on ne cesse d'exalter les droits du peuple, sans lui rappeler ses devoirs.

                Dans un pays généreux comme la France, l'idée qui vous guide fera un rapide chemin, et pénétré de cette conviction, j'ose vous assurer, mon père, que chacun s'empressera ici et au loin, de vous donner dans la mesure de ses forces, le concours le plus dévoué.

                Veuillez agréer l'assurance de ma considération la plus respectueuse et la plus dévouée.

                Marseille, le 12 Février 1879.

                JULES ROSTAND. [699]

 

6.

 

Venuta improvvise dell'Arcivescovo nell'Oratorio.

 

                Amatissimo Padre Rev.mo D. Bosco,

 

                Ieri un avvenimento inaspettato ha onorato il nostro Oratorio, ma ha dato luogo a mille congetture. Essendovi la recita del dramma di San Pancrazio, fra i varii inviti, uno era stato anche mandato al segretario di Mons. Arcivescovo il Can. Chiuso. Ieri mattina un servo di S; E. Rev.ma arriva in portieria, ed informatosi dell'ora precisa dell'incominciamento del teatro aggiunse che Mons. Arcivescovo intendeva d'intervenirvi e che sarebbe arrivato all'ora indicata. Non le ridirò i mille commenti che furono fatti in mille sensi a questo non sperato annunzio. Alle I ½ la musica dell'Oratorio stava pronta per onorarne l'arrivo: ma molti essendo già arrivati, e le due ore essendo passate la musica dovette salire nel luogo del Teatro, per trattenere il pubblico. Alle 2 ½ arrivò Mons. Arcivescovo, e sebbene più non vi fosse. la musica ci erano a riceverlo D. Lazzero, D. Branda, Mons. Belasio, alcuni altri preti dell'Oratorio, ed anche il suo umilissimo figlio, Accompagnandolo fin sopra gli si potè spiegare, come l'assenza della musica al suo primo ricevimento in casa era dovuta alla necessità di farla trovar sopra, sia per trattenere il numeroso uditorio, sia poi anche per esser pronta a tosto dar principio al suo ingresso. Infatti S. E. fu ricevuta nella sala con uno scoppio di applausi e coll'intonazione di una sinfonia di onore. Questa terminata, un giovane dal proscenio lesse con molto garbo un ringraziamento a Mons. dando con breve proemio ragguaglio del programma della sera. S. E. ne rimase assai soddisfatto ed espresse la sua soddisfazione a' suoi vicini, sul bel modo di recitare di quel giovanetto.

                A destra di Mons. Gastaldi sedeva Mons. Scotton, a sinistra Monsignor Belasio, di qua e di là varii preti, il suo Segretario, il nostro Don Lazzero, D. Sala, ed io pure che mi trovai accanto a Mons. Belasio. S. E. Rev.ma parve assai soddisfatto di tutto, e varie volte espresse questo suo sentimento, sia con ripetuti applausi, sia con parole di approvazione e congratulamenti. La serata si passò con generale contento, e S. E. rimasta sino al termine lo espresse apertamente col sig. D. Lazzero, ed a noi che gli facemmo corona ed accompagnamento fino alla vettura. Non vi furono inconvenienti di sorta e se qualcuno avea potuto temere che non tutto potesse andare a genio di S. Ecc. dovette completamente essere rassicurato dall'interessamento costantemente favorevole che vi dimostrò. Un incidente di cui fui testimonio mi corrobora in questo pensiero. Dopo del primo atto, Mons. Belasio dovette uscire per disporre la sua partenza (che ha avuto luogo questa mattina) per l'Italia Meridionale. Ebbi l'onore di prender il suo posto [700] alla sinistra di S. Ecc. in un tempo d'aspetto fra un atto ed un altro potei sentire come il Rev. D. Scotton a destra di Mons., parlando dei vantaggi e degli inconvenienti dei Drammi sacri, uscì fuori dicendo che nel suo paese non si permettono così facilmente queste scene, rappresentanti i confessori della fede, sul riflesso che invece di accrescerne la stima, non siano messi troppo al livello degli umani difetti, ben conosciuti negli attori che li hanno da rappresentare. Io non prendeva parte al discorso; ma avendolo inteso, temevo che queste parole dello Scotton, non scottassero troppo ove Monsignore non avesse abbastanza gradita questa rappresentazione. Ebbi la soddisfazione di osservare che Sua E. non rispondendo alla indiretta critica, lasciò cadere il discorso quasi parendo non approvare la conclusione.

                E ciò che mi confortò ancora nelle mie interpretazioni si fu che in molte occasioni, che non mancarono, Egli si mostrò soddisfatto degli attori con incominciare Egli stesso gli applausi che erano poi seguitati dall'Uditorio.

                Eccole in succinto il resoconto di questa giornata, che ai tanti invitati che vi accorsero, e che videro Monsignore al nostro Oratorio, se da principio cagionò sorpresa, finì per riescire di soddisfazione e di contento.

                Voglia, carissimo Padre, ricordarsi de' suoi figli, pregare per tutti noi e mandarci la sua santa benedizione, ed in modo particolare a chi più ne abbisogna, cioè al suo

               

                Torino, 21 Febbraio 1879.

Umilissimo e Aff.mo Figlio

D. CARLO CAYS.

 

7.

 

Il Prefetto di Torino raccomanda un orfano.

 

                                R. PRETURA

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                                Sezione 5a - N° 688.

 

                Prego la S. V. Ill.ma di voler prendere in considerazione il miserabile stato di una famiglia, che rimase senza genitori e non può aver mezzi di sussistenza, essendo il maggiore di tutti dell'età di anni 22 e appena ne dimostra 14. tanto è poco sviluppato. Trattasi della famiglia lasciata dall'ora defunto Giuseppe Maestro, già abitante in via Santa Chiara N. 36. Vi hanno dieci persone di entrambi i sessi, ed è indispensabile che qualcheduno sia ritirato dagli Istituti carità che si trovano in questa città e sarei lieto che uno potesse [701] ritirarlo la S. V., come spero che faranno altri Istituti a cui rivolsi le mie preghiere.

                Raccomando caldamente questa disgraziata famiglia alla S. V. Ill.ma e le sarò grato di un celino di riscontro in proposito.

                Torino, 10 Gennaio 1879.

 

Per il Prefetto

T. DE Amicis.

 

Istituto D. Bosco, Torino.

 

8.

 

 

Lettera a Don Bosco sull'affare delle scuole.

 

                Ill.mo e Rev.mo mio sognor D. Bosco,

 

                Col passo con cui discesi da Via di Tor dei Specchi, profittando dell'ora ancor burocratica mi avviai tosto al ministero dell'istruzione pubblica, ove fatte le occorrenti indagini, mi risultò come la direzione 3a e 4a delle scuole secondarie avesse in data 4 febbraio scritto al provveditorato di Torino, richiamando l'osservazione della legge, in merito ai ragguagli ricevuti sul conto delle scuole ginnasiali dell'Oratorio di San Francesco di Sales, ma senza provocare veruna insistente misura.

                E risultommi pure come la pratica non sia punto d'iniziativa del Ministero, sibbene delle autorità locali, Provveditorato, cioè, e Deputazione provinciale che direttamente invocano provvedimenti Ministeriali.

                Chi è, competente in Piazza Minerva, in scala subordinata, è precisamente l'arcigno com. Barberis.

                Se la S. V. crede o desidera che io possa presentarmi in suo nome al medesimo, non ci frapporrò il menomo indugio. Però considerata la rigidezza di quest'uomo contro cui s'infrangerebbe tutta la nullità mia, non già per schernirmi dal rendere servizio alla R. V. ma unicamente per tema di non approdare che male, mi permetterei di credere molto più opportuno che la R. V. si recasse direttamente a riverire questo suo condiscepolo, pregandolo a fissarle un momento d'udienza.

                Tentata l'aria che soffia in piazza Minerva, ove poi le occorresse qualche manovra a Palazzo Braschi, potrei avere qualche aderenza coll'attuale Capo di Gabinetto del Depretis, il comm. Celesia di Vegliasco, cugino al Tommaso Celesia consigliere di Stato con cui sono in ottima relazione.

                Stasera stessa comincierò l'abbozzo promessole, e con una prece sua mi mandi la R. V. sicura ispirazione, che tanta me ne fa d'uopo [702] Non mi dimentichi con l’insistente D. Mazza di S. Venanzio e mi abbia la R. V. perfettamente ai suoi cenni per ogni e qualunque servizio di cui mi stimi capace

                Roma, addì 10 Marzo 1879 (Albergo Senato).

 

L'obbligatissimo suo

FIORE FERDINANDO.

 

9.

 

Due relazioni al Cardinal Nina.

 

A.

 

Sforzi contro le mene dei protestanti.

 

                   Eminenza Rev.ma,

 

                Appena nel 1848 i protestanti per legge furono fatti liberi di propagare i loro errori, succedette nelle principali città e nei paesi d'Italia una vera invasione di emissari evangelici, i quali con offerte di bibbie falsificate, con libri pestiferi, conferenze, scuole gratuite ed ospizi di beneficenza adoprarono tutti i modi per istrappare dal cuore dei cattolici la fede di Cristo. Molti si opposero alla invadente eresia, e la nascente Congregazione Salesiana, secondando i pensieri del sommo Pontefice Pio IX, si diede tosto colla stampa, colla diffusione dei buoni libri, con catechismi, predicazione, con Oratori festivi e Ospizi di carità a mettere quell'argine che nella sua pochezza le tornava possibile. Pertanto sebbene questa Pia Società abbia per iscopo generale la propagazione delle massime Cattoliche tra i fedeli Cristiani, tuttavia ella si adoperò sempre con sollecitudine speciale a liberare dalle insidie protestantiche la classe più bisognosa, quale si è la povera gioventù. A tale uopo essa aprì diverse case nei luoghi di maggior bisogno.

                Nella città di Torino sotto al titolo di Oratorio di S. Luigi si attuarono le scuole diurne e serali pei fanciulli abbandonati, Oratorio festivo con Catechismi, prediche e giardino di ricreazione. Ciò si fece per allontanare i giovanetti dai protestanti che là vicino hanno tempio, ospizio, scuole ed ospedale.

                Parimenti nella Diocesi di Sarzana e nella città di Spezia fu eretto l'ospizio di S. Paolo fondato dalla carità del Sommo Pontefice Pio IX, ed ora sostenuto dalla generosità del nostro santo Padre Leone XIII, che elargisce un sussidio di lire 500 mensili. Questo Istituto, diretto ad allontanare i giovanetti dalle scuole protestantiche, che a poca distanza sono attivate, giunse a richiamare oltre a 200, che abbandonando i maestri dell'errore, frequentano ora le scuole della verità. Inoltre nella medesima città circa mille fedeli adulti intervengono alla Chiesa eretta provvisoriamente nell'edifizio appigionato. [703]

                Nella Diocesi di Ventimiglia e nel paese detto di Vallecrosia si trova la casa di Maria Ausiliatrice. Quivi in locale preso a pigione avvi chiesa pubblica, le scuole elementari con 4 suore maestre per le fanciulle e 4 Salesiani pei fanciulli, e si vive questuando la carità quotidiana. I protestanti ivi presso tengono aperte le loro scuole, tempio ed ospizio: ma fortunatamente le loro classi divennero diserte per difetto di allievi. Per gli adulti poi fu provveduto mediante un locale stato ridotto provvisoriamente ad uso di Chiesa.

                Col medesimo scopo di salvare i giovanetti dall'irreligione, fu aperto l'Ospizio di S. Leone in Marsiglia, stabilita la Colonia di S. Cyr e quella di Navarra presso Tolone, l'Ospizio di S. Pietro in Nizza Marittima, l'Ospizio di S. Vincenzo in S. Pierdarena, e l'Oratorio di Santa Croce in Lucca.

                Collo stesso fine si lavora nell'America Meridionale, specialmente cogli Ospizi di Montevideo e di Buenos Aires.

                Dio benedisse i deboli sforzi dei poveri Salesiani, che con grande loro consolazione ogni anno vedono migliaia di fanciulli ed anche adulti allontanati dal pericolo di cadere nell'errore, mentre parecchi altri sono tolti dalle sette, e ricondotti in grembo alla Santa Chiesa Cattolica. Per sostenere queste opere non si ha alcun reddito è si vive di carità quotidiana. Al presente però in Torino, nella Spezia, in Ventimiglia, si dovrebbero fabbricare Chiese ed Ospizi per continuare ad assicurare il bene incominciato. A questo fine si invoca la bontà dell'E. V. affinchè materialmente e moralmente ci presti coll'opera e col consiglio quegli aiuti che negli attuali calamitosi tempi sono possibili.

                Pieno di fiducia nella protezione della E. V. e nella carità inesauribile del Santo Padre ho l'alto onore di potermi professare

                Della E. V. Rev.ma

 

                Roma, 12 Marzo 1879.

 

Umile. supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

 

B.

 

I bisogni delle Missioni.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Lo stato attuale delle nostre missioni permette che quanto prima si possano avanzare tra gli Indi e gli stessi Patagoni, e così mandare ad effetto il gran pensiero di Pio IX, cioè per mezzo dei fanciulli farsi strada alla propagazione della fede tra i selvaggi. Sorgente copiosa di vocazioni alle Missioni straniere è l'Opera di Maria Ausiliatrice, altamente commendata da Pio IX ed eretta in Sampierdarena città della Liguria. [704] La Santità di N. S. Leone XIII, che Dio lungamente conservi, si compiacque di chiedere all'umile nostra Congregazione, dei Missionari da spedire a Mons. Angelo di Pietro incaricato dalla S. Sede di riordinare la gerarchia cattolica nelle vaste regioni del Paraguay. Furono promessi dieci religiosi e dieci suore di Maria Ausiliatrice che saranno pronti a partire sul terminare dell'anno corrente, affine di pervenire alla loro destinazione.

                Per sostenere il Collegio di Torino e quello di Sampierdarena che somministrarono i soggetti già inviati nelle missioni ed altri che saranno quanto prima spediti nel Paraguay, come pure per sostenere i due Collegi di Villa Colon e di S. Nicolas, s'invoca l'aiuto della Santa Sede.

                Si chiedono umilmente:

                I) Arredi sacri ed altri oggetti di Chiesa come sono: Graduali, antifonarii, messali e simili

                2) Libri francesi, spagnuoli, latini, italiani, che possano servire ai missionarii.

                3) Sussidio in danaro per provvedere a Maestri di Lingua, e fare il necessario corredo e somministrare quanto occorre pei viaggi tanto per mare quanto per terra, fino ai siti dalla Divina Provvidenza destinati pel loro. campo evangelico.

                Fatta così l'esposizione delle cose che si riferiscono alle missioni di America, si rimette ogni cosa nelle mani dell’Eminenza Vostra supplicandola a venirci in aiuto con quei mezzi che pei fini sopra mentovati si potessero disporre.

                Mi permetta intanto l'alto onore di poterle baciare la Sacra Porpora e professarmi colla massima venerazione

                Di V. E. Rev.ma

                Roma, 12 Marzo 1879] Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

10.

 

Suppliche al Papa.

 

                D. Bosco presentò le seguenti suppliche per le Missioni Estere, per favori spirituali e per onorificenze.

 

 

A.

 

Per le Missioni.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Prostrato umilmente ai piedi della Santità Vostra espongo con tutto il rispetto come da molti anni sotto il nome di Oratorio di San [705] Francesco di Sales in Torino siasi aperto un Ospizio o Seminario dove si coltivano a preparano Evangelici Operai per le Missioni estere. Di fatti un numero notabile dei nostri allievi trovasi ora nella China, nell'Australia, nell'Africa, e in numero di oltre a cento nella stessa America Meridionale.

                Questo Istituto che presentemente contiene oltre a 500 allievi, si è finora sostenuto colla carità dei fedeli, e nei casi eccezionali coll'aiuto del Sommo Pontefice.

                Ora la mancanza dei beni materiali cagiona gravi difficoltà per continuare nel fine proposto di somministrare individui per le Missioni estere, e perciò mi fo ardito di supplicare V. S. a voler dire una parola in favore del Pio Istituto presso alla direzione dell'Opera Pia della Propagazione della Fede di Lione e dell'altra Opera pia detta della S. Infanzia, affinchè ci vengano in aiuto con qualche caritatevole sussidio. In questa guisa si potranno viemeglio continuare gli studi, le vocazioni, sostenere altre case aperte col medesimo fine, di formare missionari all'Estero, di cui si sente cotanto grave il bisogno. Case sussidiarie al Seminario di Torino sono l'Ospizio di S, Vincenzo de' Paoli nella città di Sampierdarena, il Patronato di S. Pietro in Nizza di Mare quello di S. Giuseppe presso Fréjus, quello di S. Cyr vicino a Tolone e finalmente l'Oratorio di S. Leone nella città di Marsiglia. Questi Istituti portano nomi che non esprimono i fini che noi accenniamo, ma ognuno può immaginare il motivo che consiglia ad usare tali denominazioni.

                Questa è l'opera che umilio a V. S. supplicandola a volerla benedire e favorire in quel modo che nella sua alta ed illuminata sapienza giudica opportuno.

                Colla massima venerazione e col più profondo figliale ossequio ed attaccamento mi protesto.

                Di V. S.

                Roma, 20 Marzo 1879]

Umilissimo ed obbligatissimo figlio

Sac. Gio. Bosco.

 

 

B.

 

Per i confessori salesioni.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sacerdote Giovanni Bosco Rettor Maggiore della Pia Società di S. Francesco di Sales prostrato ai piedi di Vostra Santità, rispettosamente chiede alcuni favori spirituali, di cui generalmente godono le altre Congregazioni Ecclesiastiche. I favori sono:

                I) I sacerdoti Salesiani già approvati in qualche diocesi per [706] ascoltare le confessioni dei fedeli, per sola deputazione del loro Superiore possano ascoltare eziandio le confessioni degli allievi ed altri abitanti della Casa Salesiana in cui si trovano:

                2) I medesimi sacerdoti nel corso per mare o per terra, nei luoghi di Missione, specialmente quando si trovano in paesi semibarbari possano liberamente confessare i fedeli, che fossero abbastanza istruiti per ricevere il Sacramento della Penitenza.

                (S. Pio V Bolla Ad immarcescibilem. Benedetto XIV pei Pii Operai, Breve 24 Maggio 1751. Clemente XIV, Breve Supremi Apostolatus pei Passionisti).

                Questi favori gioverebbero assai pel bisogno frequente che muove i sacerdoti Salesiani a recarsi da una casa in un'altra, per la penuria dei Sacerdoti e pei molti allievi, cui si dovrebbe prestare il sacro ministero. Più rilevanti motivi richieggono di poter confessare per viaggio e nelle Missioni estere in cui si ebbe più volte urgenza di fare uso di questa medesima facoltà data personalmente dal Sommo Pontefice Pio IX di f. M.

                Roma, 7 Marzo 1879.

 

Sac. Gio. Bosco

Umile supplicante.

 

 

C.

 

Per estensione d'indulgenze.

 

                   Beatissimo Padre,

 

                Il Sacerdote Giovanni Bosco Rettor Maggiore della Pia Società Salesiana umilmente prostrato ai piedi di Vostra Santità, espone come il Pontefice Pio IX di f. M. in data 9 maggio 1876 concedeva ai Cooperatori Salesiani varie indulgenze e favori spirituali. Ora in vista del gran bene che da questa benevola concessione ne provenne a tutti i Cooperatori Salesiani, specialmente per la frequenza dei Santi Sacramenti della Confessione e Comunione, supplica col massimo rispetto la Santità Vostra, affinchè con un tratto di alta clemenza si degni di estendere gli stessi tesori spirituali alle persone e giovanetti raccolti nei nostri Ospizi, Collegi, Oratorii e Convitti. É questo un grande benefizio che spera di ottenere da Vostra Santità a maggior gloria di Dio e a vantaggio spirituale dei giovanetti, che la Divina Misericordia volle indirizzare ai Salesiani, per essere tolti dai pericoli morali mercè una cristiana educazione.

                Roma, 7 Marzo 1879.

 

Sac. Gio. Bosco

Umile supplicante. [707]

 

D.

Rinnovazione di privilegi.

 

                Beatissime Pater,

 

                Ioannes Bosco sacerdos salesianae congregationis Rector Maior ad Pedes Sanctitatis Tuae provolutus humillime exposuit:

                Sub die 21 Aprilis 1876 Summus Pontifex Pius Papa IX f. r. concedere dignabatur sequentes favores et privilegia, quibus congregationum ecclesiasticarum socii generatim gaudent:

                I) Superiores alicuius domus Congregationis omnia munia parochialia exercere possint erga omnes habitatores domus. Hinc omnes Salesiani presbyteri ad audiendas sacraméntales confessiones jam in aliqua dioecesi approbati, sola superioris deputatione huiusmodi habitatores aliosque de familia audire valeant. Iidem confessarii socios secum iter habentes absolvere possint etiam extra dioecesim, in qua extat domus, praecipue cum ad exteras missiones proficiscuntur.

                2) Habita ratione temporum; et magnae penuriae sacerdotum, praecipue eorum qui ad exteras missiones mittendi essent, clerici salesiani dummodo necessariis praediti sint requisitis, extra tempora a sacris canonibus statuta, ordines tum minores tum maiores accipere possint, servatis servandis etiam quoad interstitia quorum dispensatio semper ad episcopum ordinantem spectabit.

                Haec privilegia cum concessa sint ad tempus, quod lapsurum est die vigesima prima proximi Aprilis anni currentis, humiliter et enixe pro utilitate eiusdem salesianae congregationis et praecipue domorum quae extra Italiam et in americanis regionibus adapertae sunt, expostulat ut hi favores et haec privilegia confirmentur et extendantur in perpetuum etc.

                Romae, die septima Martii 1879.

JOANNES BOSCO Sacerdos.

 

E.

 

Richiesta di onorificenze.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Giovanni Bosco umilmente prostrato ha l'alto onore di segnalare alla clemenza sovrana di V. B. alcuni ricchi, fervorosi cattolici, i quali aiutarono efficacemente ad aprire varii istituti per la Congregazione Salesiana, ed ora aiutano a sostenerli.

                L'umile scrivente, non sapendo come dimostrare la sua gratitudine verso di questi insigni benefattori, prega V. B. a degnarsi di concedere ai medesimi quella onorificenza che alla S. V, fosse più benevisa. [708] Se ne scrivono qui i nomi:

                I) Nobil sig. Giulio Rostand presidente di molte opere pie, insigne Benefattore dell'Oratorio di S. Leone in Marsiglia ed alcuni suoi amici, offrirono ottantamila franchi affinchè i Salesiani potessero avere due Colonie agricole per la, povera gioventù in vicinanza di Tolone. Si chiederebbe umilmente la decorazione di Commendatore di S. Gregorio il Grande.

                2) Sig. Teologo Clemente Guiol Curato di S. Giuseppe in Marsiglia. È persona molto stimata pel suo zelo nel predicare, confessare e promuovere opere di beneficenza. Per sua cura si fondarono varie Case Salesiane in Francia, e spese centosessantamila lire per la Casa Beaujour dove è l'ospizio di S. Leone destinato a poveri fanciulli. Si chiederebbe l'onorificenza di Capellano o di Cameriere segreto di S. Santità.

                3) Conte Barone Amato Héraud di Nizza. Esso da molti anni è promotore e cassiere del danaro di S. Pietro in quella città. É ricco fervoroso cattolico e si può chiamare fondatore e sostenitore della casa detta Patronato di S. Pietro, dove presentemente sono raccolti oltre a centoventi poveri ragazzi. Si chiede l'onorifica qualità di Cavaliere di Spada e Cappa.

                4) Signor Benedetto Pelà nobile e ricco cattolico della città di Este Veneto. Esso offerì ai Salesiani un collegio da lui comperato in quella città. Per le sue opere di Carità Esso è chiamato il padre dei poveri. Si chiede pel medesimo la Croce di Cavaliere di qualsiasi ordine.

                10 Marzo 1879.

 

Umile supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

II.

 

Concessione di indulgenze.

 

LEO PP. XIII.

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

 

                Quae ad religionem fidelium augendam, animarumque salutem procurandam maxime faciunt, ea cum a Nobis expostulantur libenti animo concedimus. Iam vero cum supplicatum Nobis fuerit ut Christifideles Piarum Domorum Congregationis Oratorii S. Francisci Salesii sacris indulgentiarum muneribus ditare dignaremur, Nos hisce supplicationibus in Domino benigne obsecundare voluimus. Quare de Omnipotentis Dei misericordia, ac BB. Petri et Pauli Apostolorum ius auctoritate confisi omnibus, et singulis Christifidelibus Hospitiis, et Collegiis, Oratoriisque dictae Congregationis quoquo inodo addictis [709] in cuiuslibet eorum mortis articulo, si vere poenitentes, et confessi, ac S. Communione refecti, vel quatenus id facere nequiverint, saltem contriti nomen Iesu ore si potuerint, sin minus corde devote invocaverint, et mortem tamquam peccati stipendium de manu Domini patienti animo susceperint, Plenariam; eisdemque vere etiam poenitentibus, et confessis, ac S. Communione-refectis, qui Ecclesiam, vel Oratorium respectivae Piae Domus in festivitatibus Nativitatis D. N. I Ch. et Conceptionis B. M. V., I., diebus festis S. Iosephi eiusdem Deiparae Immaculatae Sponsi, Sanctorum Apostolorum Petri, et Paoli, et S. Francisci Salesii, et in Dominica Resurrectionis a primis vesperis usque ad occasum solis dierum huiusmodi singulis annis devote visitaverint, ibique pro Christianorum Principum concordia, haeresum extirpatione, peccatorum conversione, ac S. Matris Ecclesiae exaltatione pias ad Deiun preces effuderint, quo die praedictorum id egerint, Plenariam similiter omnium peccatorum suorum Indulgentiam, et remissionem misericorditer in Domino concedimos. Insuper memoratis Christifidelibus, qui cum Exercitia Spiritualia in sois Congregationis Domibus habebuntur, Sacris Concionibús saltem ultra medietatem temporis quo perduraverint, interfuerint, et postremo eorumdem Exercitiorum die vere similiter poenitentes, et confessi, ac S. Communione refecti respectivae Dómus, Ecclesiam, seu Oràtorium devote visitaverint, ibique, ut sopra dictum est, oraverint, ` Plenariam etiam omnium peccatorum suorum Indulgentiam, et remissionem misericorditer in Domino elargimur. Denique Christifidelibus quoque supradictis corde saltem contritis quoties piam precationem Maria; Auxilium Christianorum, ora pro nobis devote recitaverint, tercentos dies: quoties vero Sacrae Meditationi corde pariter contriti vacaverint, centum dies de iniunctis eis, seu alias quomodolibet debitis poenitentiis in forma Ecelesiae consueta, relaxamus. Ouas omnes, ac singulas Indulgentias, peccatorum remissiones, ac poenitentiarum relaxationes etiam Animabus Fideliúm in Purgatorio detentis per modum suffragii applicari posse elargimur. In contrariúm facientibus non obstantibus quibuscumque. Praesentibus perpetuís futuris temporibus valituris. Volumus autem ut praesentium Litterarum transumptis, seu exemplis etiam impressis manu alicuius Notarii publici subscriptis, et sigillo Personae in Ecclesiastica Dignitate eonstitutae praemunitis, eadem prorsus adhibeatur fides, quae adhiberetur ipsis praesentibus si forent exhibitae, vel ostensae.

 

                Datum Roma apud S. Petrum sub Annulo Piscatoris,

                die XXII Aprilis MDCCCLXXIX, Pontificatus

                Nostri Anno secundo.

 

Pro Domino Card. CARATA DE TRAETTO

D. IACOBINI Substitutus. [710]

 

12.

Lettera di Don Bosco al  Superiore Generale  della Gran Certosa di Grenoble.

 

                Père Révérendissime,

 

                L'heure présente est pour l'Église une heure de persécution et d'épreuve. Mais, comme moi, vous avez remarqué que c'est surtout à ces moments qu'il plaît à Dieu de répandre ses grâces les plus précieusessur sa sainte épouse.

                Jamais les Chrétiens n'ont été plus fervent qu'au temps des Catacombes, et c'est là qu'ils ont préparé la fécondité des OEuvres de l'avenir.

                Ces réflexions m'inspirent une grande confiance au milieu des graves difficultés du temps présent, et j'espère que la Divine Providence, en ramenant, par la tribolation, les âmes à vivre plus chrétiennement leur inspirera un plus généreux dévouement pour la sainte cause de l'Église.

                C'est pour ce motif que bien loin de nous decourager dans la pratique du zèle, il faut nous mettre en mesure de seconder l'action de la grâce de Dieu dans les âmes en cherchant à les atteindre et à les sauver.

                Il a plu à Dieu de nous appeler en France pour y fonder des Œuvres de jeunesse, et nos efforts ont été par sa grâce couronnés d'un consolant succès.

                Nous allons commencer, à Marseille, un Noviciat pour la France. Le Saint Père veut qu'à cette CEuvre importante nous joignions la fondation d'un Séminaire pour les Missions de l'Amérique de Sud que Sa Sainteté a confiées à Notre Institut.

                Sa Sainteté m'a particulièrement chargé de faire connaître ce désir, afin d'inviter les personnes pieuses à seconder de tout leur pouvoir cette fondation nouvelle. '

                Ne voudrez-vous pas, Père Révérendissime, compter cette oeuvre au nombre de celles que votre charité soutient et nous accorder une part dans les riches et abondantes aumônes que chaque année vous distribuez dans l'Église Catholique?

                La grandeur du but, la volonté expresse du Très-Saint Père, seront, je me plais à le croire, ma meilleure excuse pour justifier la hardiesse de ma demande et inclineront votre coeur charitable à l'accueillir avec sa bienveillance habituelle.

                Dans cet espoir, j'ai l'honneur d'être avec un religieux dévoument, Père Révérendissime,

 

Votre très-humble serviteur en N. S.

Abbé JEAN Bosco. [711]

 

13.

 

Onorificenze pontificie.

 

                Rev.mo Sig.re,

 

                Le vive premure deposte dalla S. V. Ill.ma al trono Pontificio in favore dei signori Héraud, Rostand, e Pelà, vennero coronate di felice successo, dappoichè il S. Padre si degnò di annoverare il primo tra i Camerieri Segreti di Spada e Cappa, il secondo tra i Commendatori dell'Ordine di S. Gregorio Magno ed il terzo tra i Cavalieri di S. Silvestro. Mentre mi gode l'animo di rimetterle qui acclusi i relativi Brevi e corrispondente Biglietto di nomina, mi duole d'altro lato comunicarle che non egual sorte ebbero le sue raccomandazioni in favore del Teologo Clemente Guiol, sul quale il S. Padre per speciali ragioni non crede prendere alcuna disposizione.

                Nel porgere ch'Ella farà ai candidati il documento della Sovrana benevolenza a loro riguardo, non tralascierà di fare ad essi notare che ad ulteriore tratto di patema amorevolezza volle Sua Santità esonerarli da qualunque tassa di Cancelleria.

                Son certo che tornerà a Lei cara siffatta comunicazione, e nel renderle grazie delle notizie che Ella mi ha riferite col suo foglio del 22 corrente sulla incominciata spedizione dei Salesiani nel Paraguay, che spero sia dal Signore benedetta, Le confermo i sensi della perfetta stima.

                Di V. S. Ill.ma

 

                Roma, 25 Luglio 1879.

 

Aff.mo per servirla

L. Card. NINA.

 

14.

 

Il Card. Alimonda a Don Bosco.

 

                Stimat.mo D. Giovanni,

 

 

                Ringrazio caldamente la S. V. R. degli augurii che mi manda per mezzo del chiar.mo mons. Scotton.

                Veramente ho bisogno che la S. V. colle sue calde orazioni a Maria Ausiliatrice, m'impetri che nella novella dignità, che mi si conferisce, non si abbia a dolere dell'opera mia la Chiesa di G. C.

                Offra i miei ringraziamenti anche a mons. Scotton al quale dica non poter io trovarmi in Roma per il pellegrinaggio dei predicatori italiani.

                Gradisca, mio ven.mo D. Giovanni, l'assicurazione della mia sincera stima e mi creda

                Albenga, 15 Aprile 1879.

Tutto suo in G. C.

+ GAETANO Vescovo. [712]

 

15.

 

Avvisi di Don Bosco in confessione.

 

                Avvisi dati da D. Bosco in confessione 4 giugno 1879, terzo giorno degli esercizi spirituali a Torino. - Ricordati di adempiere tutti i tuoi doveri d'assistenza, di studio e dì scuola. In quanto ai denari non so che con una disubbidienza si possa ancora andare alla comunione. Se incontrassi dispiaceri, abbili come penitenza dei tuoi peccati, e sopportali pazientemente per amore di Gesù Cristo. Per penitenza le allegrezze della Beata Vergine.

                12 giugno festa del Corpus Domini. - Raccomandati a Maria affinchè ti ottenga dal suo Divin Figlio di sempre pregare colla dovuta attenzione. Del resto ricordati sovente di Gesù Sacramentato del quale oggi celebriamo appunto la festa. Sta tranquillo. Per penitenza il Pange Lingua.

                21 giugno 1879. Vigilia della nostra festa di S. Luigi. - Rinnova l'accusa di tutti i peccati della vita passata e fa un atto di contrizione. Per penitenza Un Pater Ave e Gloria. Prega anche per me.

                17 luglio 1879 ultimo giorno delle quarant'ore. - Se anche dopo dieci o dodici giorni che ti sei confessato ti trovi ancora in istato di poter fare la SS. Comunione, va' pure a farla senza scrupolo. Intanto in questo giorno domanda a Gesù in Sacramento che ti conceda sempre buona sanità, ma promettigli che questa sanità l'userai sempre a maggior gloria di Dio, facendo in tutto e per tutto la sua santissima volontà. Per penitenza tre Salve Regina. Vattene in pace.

                9 agosto 1879. Ricordati che siamo nella novena dell'Assunzione di Maria Vergine in cielo. Pensa adunque in questi giorni a Maria e a metterti sotto la sua protezione; e considera che sei non solamente sotto la protezione di una madre di misericordia, ma di una potentissima e misericordiosissima regina. Maria colla sua Assunzione al cielo fu coronata dal suo Divin Figliuolo Regina del cielo e della terra; e sublimata sopra tutti i santi. Pensa adunque quanto Maria possa venire in nostro soccorso. Confida in lei e vedrai che otterrai fervore ed attenzione in tutte le tue pratiche di pietà. Per penitenza tre Salve Regina con la giaculatoria. Regina Angelorum, ora pro nobis. Vattene in pace e stammi allegro.

                Settembre 1879. Agli esercizi di Lanzo Don Bosco mi diede i seguenti avvisi: -Pensa al passato: procura di ascoltar bene la parola di Dio; e di prendere delle buone risoluzioni che ti siano poi di guida per tutto il tempo avvenire.

                8 novembre 1879. Comincia appunto oggi il mese dell'Immacolata Concezione e siamo al principio dell'anno scolastico. Mettiti di buon animo a voler cominciare proprio bene questo nuovo anno ponendo [713] tutte le tue azioni sotto la protezione di Maria Immacolata e vedrai che Ella ti sarà sicuramente di sostegno e d'aiuto in tutti i tuoi bisogni. Dirai una volta sola il Deprofundis per i poveri morti. Vattene in pace, che Dio ti benedica.

                30 novembre 1879. - Siamo alla novella dell'Immacolata Concezione. Guarda di metterti con impegno per far bene questa novella. Fa pure la comunione tutti i giorni e prega Maria Immacolata affinchè ti sia di sostegno in tutte le tue azioni. Per penitenza di' tre volte la giaculatoria. Maria sine labe originali concepta, ora pro nobis. Va in pace, che Dio ti benedica.

                14 maggio 1880. Hai fatto bene a ricordare tutti i peccati della vita passata. Intanto pensa che ci avviciniamo alla novella di Maria Ausiliatrice. Mettiti sotto la sua protezione, procura in questa novella di onorarla e di farla onorare dai tuoi giovani; ed essa ti aiuterà in modo particolare a vincere tutte le tentazioni. Per, penitenza di' una volta sola l'Ave Maria con tre volte la giaculatoria: Mater purissima, ora pro nobis. Va in pace che Dio ti benedica.

                22 luglio 1880. Siamo alla festa di S. Maria Maddalena. Ricordati che essa fu una gran peccatrice; ma si convertì una volta sola e dopo d'allora continuò nelle prese risoluzioni. Prega Santa Maria Maddalena che ti ottenga una tal grazia da Dio. Per penitenza un Pater ed Ave alla medesima Santa. Fatto l'atto di contrizione rinnovando l'accusa dei peccati della vita passata e specialmente di quelli... Va' in pace che Dio ti benedica.

                8 agosto 1880. Si avvicinava il tempo degli esercizi. D. Bosco mi chiamò il mio nome e poi disse: - Va' che ci conosciamo; io pregherò assai per te, affinchè possa far belle questi santi esercizii; farò insomma quanto so e posso per farti del bene. Tu prega e procura di far bene le tue cose e preparati a far la confessione annuale. Ricordati però di non venire tanto alle particolarità, ma di solamente le cose più importanti. Vattene in pace elle Dio ti benedica.

                13 agosto 1880. Ultimo giorno degli esercizi spirituali a S. Benigno: -Rinnova l'accusa di tutti i peccati della vita passata e sta tranquillo; guarda però di mettere meglio in pratica i proponimenti che fai. Vattene in pace.

                3 settembre 1880. Tre giorni dopo gli esercizi fatti a S. Benigno, D. Bosco diceva ad un sacerdote: - Pensa che il sacerdote non va mai solo in paradiso, nè mai solo all'inferno.

                27 agosto 1881. Incominciavano gli esercizi spirituali a S. Benigno, e D. Bosco mi disse: - Sta' tranquillo e d'ora innanzi farai uno studio particolare per osservare esattamente e scrupolosamente anche le più minute nostre regole, perchè sono quelle che ci devono condurre in paradiso.

                11 settembre 1882. Agli esercizi di San Benigno D. Bosco mi disse: - Ora rinnova l'accusa su tutti i tuoi peccati confessati e non confessati [714] per dimenticanza; prendi delle risoluzioni a questo fine e se conoscerai ancora delle mancanze, o dei doveri non eseguiti, riconosci il tuo male, e fa' un fermo proponimento di cercare ogni mezzo per correggerti dei tuoi soliti difetti.

                II novembre 1883. Dopo l'ordinazione sacerdotale: - Guarda: ora che hai raggiunto il tuo scopo, non pensare che a una cosa sola. Pensa all'unico ed ultimo tuo fine, che è di prepararti a fare una buona morte. Ricordati adunque di metterlo in pratica fin d'ora, e non aspettare che la morte improvvisamente ti colga.

 

16.

 

Testimonianza sul sogno per il mal d'occhi.

 

                Cher Monsieur,

 

                J'ai lu sur le Bulletin Salésien que vous priez ceux qui ont eu quelque rapport avec le vénérable Don Bosco de vous rapporter quelque fait particulier que le concerne.

                J'ai eu le bonheur de connaître votre vénéré fondateur quand il était encore à S. Francesco d'Assisi avec Don Cafasso; toutes les fois que je passais à Turin j'allais lui faire visite où vous demeurez actuellement.

                Il me racconta un jour qu'il avait été quelque temps presque aveugle, il ne pouvait plus lire. Une nuit il rêva qu'il était près d'une table sur laquelle il y avait une bouteille en cristal environnée d'une guirlande de verdure, au fond de laquelle il y avait deux doigts d'une liqueur verte. Il demanda à l'homme qui était à côté de la table, à quoi servait cette ,liqueur. Cet individu lui répondait: - Pour guérir du mal des yeux. - Alors il le pria de lui dire comment 0n la faisait. Celui-ci lui dit: - Il faut prendre de la chicorée et la presser pour en extraire le jus qu'elle renferme. - Parmi ses religieux il y en avait un qui avait servi dans une pharmacie; il lui ordonna de lui faire ce jus qui le guérit.

                Je vous rapporte le fait tel quel me l'à racconté le Vénérable Don Bosco. Je possède une lettre autographe qu'il a eu la bonté de m'adresser. J é vous en enverrai une copie exacte quand je serai de retour à Aoste.

                Veuillez, cher Monsieur, agréer mes affectueux hommages et croyez-moi toujours.

 

Votre tout dévoué serviteur

J. B. GAI[504]. [715]

 

17.

 

I pellegrini francesi till'Oroforio.

A.

 

                Il Sig. Bouillon scriveva da Bordeaux a D. Bosco il 23 giugno 1880. Permettez-moi, Mon Révérend Père, de vous témoigner ma vive et profonde gratitude d'avoir daigné m'admettre au nombre de vos chers coopérateurs et de m'avoir ainsi procuré le moyen de gagner si facilment de nombreuses indulgences qui, j'en ai le ferme espoir; contribueront puissamment au salut de mon âme.

                J'ai eu, mon Révérend Père, le bonheur de vous voir, l'an dernier, au mois de mai, en' compagnie des Pèlerins Français qui revenaient de Rome sous la conduite du R. P. Picard. Je n'ai point oublié l'accueil si fraternel et si touchant qui nous fut fait dans votre maison bénie de Turin, et je conserve le plus doux souvenir de cette délicieuse so:rée que nous passâmes au milieu de vos chers enfants et des leurs bien-aimés Protecteurs.

                Je ne saurais trop remercier le bon Dieu de m'avoir procuré la faveur de jouir, pendant quelques heureux'moments, de la présence de son éminent serviteur, qui fait de si belles choses pour sa gloire et qui marche sur les traces de notre grand Saint Vincent de Paul.

                Mais, tout en partageant la bonne fortune des visiteurs, je n'en restai pas moins inconnu de vous, comme la pluspart d'entre eux et -je ne laissai ni mon nom, ni mon adresse; aussi je suis porté à croire que je dois le privilège, de Coopérateur Salésien, dont vous voulez bien m'honorer, à quelque personne amie, dont je voudrais bien connaître le nom, pour lui manifester à elle aussi toute ma reconnaissance.

                Je vous adresse, Mon Révérend Père, une somme de 12 f. en un mandat sur la poste... J'aurais voulu pouvoir donner davantage, mais les temps malheureux que nous traversons obligent les Catholiques de France à de continuels sacrifices en faveur des ceuvres de notre cher pays, si nombreuses et si nécessaires».

 

B.

 

                Mon Révérend Père,

 

                Vous avez eu la bonté de m'inscrire au nombre de vos coopérateurs Salésiens et de m'envoyer un diplôme, le 11 í juin dernier. Je viens vous en témoigner toute ma reconnaissance.

                Pèlerin de Rome j'ai vu avec admiration toutes les magnifiques oeuvres que le bon Dieu a opérées par vous; je me sens très honoré d'être admis parmi les coopérateurs Salésiens; je tâcherai de correspondre à votre désir, en offrant à Dieu me misérables prières et mon [716] faible concours pour vos oeuvres et toutes celles qui se rapportent à la préservation et à la conservation de la jeunesse catholique, que j'aime beaucoup.....

                Veuillez me faire savoir si je puis envoyer mon offrande pour vos oeuvres à l'une de vos maisons de France: et à quelle? Ou si je dois l'envoyer à Turin par mandat-postal: ce serait plus economique en France etc. etc.

                Lille, 9 juillet 1880.

                Abbé CORDONNIER prêtre

                Vicaire à S.te Catherine.

 

C.

                Mon Père,

                Je ne sais si vous avez garde le souvenir du pèlerinage français à Rome en mai 1879. Nous nous étions arrêtés à Turin; c'est là que je vous ai vu et que j'ai recommandé à vos prières un patronage de petits garçons auquel j'attachais beaucoup d'importance. Depuis ce moment le bon Dieu a semblé le favoriser. Un jeune prêtre l'abbé Lespars en a pris la direction, et dernièrement il l'a recommandé, lui aussi, à vos prières. L'oeuvre prend son essor..... St-Florent-St-Hilaire près Saumur (Maine-et-Loire) 28 mai 1883.

V.tesse de LAFRÉGEOLIÈRE

née de Beauregard.

 

18.

Lettera della signora Susanna a Don Rua.

 

                Stimatissimo Sig.. D. Michele Rua

                carissimo come un prediletto nipote,

 

                Ho ricevuto i 20 biglietti della loro lotteria e due numeri del Bollettino di questo mese. Ciò mi fa supporre che avrà ricevuto la mia letaera e consegnata l'acclusa al carissimo D. Bosco portentoso benefico.

                Le accludo un vaglia di franchi 20 importo. dei 20 primi biglietti mandati.

                Temo aver commesso uno sbaglio nel mandarle- quella coperta messa al fondo del cesto degli aranci. Nel caso non le possa servire e le sia d'imbarazzo me la rimandi ben involta in una carta, porto assegnato, e penserò rimborsarla. Mi compatisca e mi perdoni il disturbo.

                Faccia grazie di umiliare i miei: rispetti al prelodato D. Bosco, gradirli V. S. e parteciparli al degno Lazzero. Facciano la carità di pregare per me che ne ho gran bisogno; e mi creda di V. S. pregiatissima

               

Dev.ma, obbli.ma serva

SUSANNA PRATO V. SAETTONE. [719]

 

20.

Circolare ai Francesi per la lotteria.

 

                Monsieur,

 

                Le soussigné a l'honneur de vous annoncer qu'ayant ouvert, au commencement de l'année une petite loterie de tableaux de prix et autres objets semblables à bénéfice de l'Oratoire de St-François de Sales à Turin, il est arrivé que plusieurs dés bienfaiteurs en payant la valeur des billets ont voulu doubler le bénéfice en retournant les billets déjà payés; en outre plusieurs autres objets ayant été offerts pendant le cours de la loterie, on a été à même d'augmenter le nombre des billets, en raison des valeurs adjointes. Le nombre ainsi accru, le Soussigné a pensé d'en destiner le nouveau profit au pauvres enfants accueillis dans les Oratoires et Maison de Nice, de Marseille, de la Navarre près Toulon et de St-Cyr qui dépendant également des prêtres Salésiens ont aussi le droit à ressentir les avantages de la dite loterie. Le produit des billets augmentés de la sorte, sera exclusivement réservé au profit des pauvres enfants français qui se trouvent dans les dites Maisons.

                Il se flatte que cette Loterie trouvera en France la même faveur qu'a obtenue en Italie. Dans cet espoir, il a l'honneur de vous expédier les billets ci inclus, au nombre de... afin que vous veuillez les accepter, soit pour votre compte soit pour les faire connaître et distribuer aux personnes de votre connaissance, amis et protecteurs de cette pauvre jeunesse. S'il vous en reste de trop sans issue, vous pourrez librement les renvoyer à la fin de... à l'adresse de M....

                Turin, ce 12 Juin 1879.

 

21.

La Casa Reale d'Italia

e i Conti di Parigi per la lotteria.

 

A.

 

                Essendosi le LL. MM. il Re e la Regina compiaciute di accettare N. Soo biglietti della Lotteria che sarà data in questa città a favore dei giovanetti ricoverati in codesto Oratorio di S. Francesco di Sales, il Sottoscritto nel partecipare quest'atto di Sovrana Munificenza prega cotesta Onorevole Direzione ad inviare a quest'ufficio persona incaricata a ritirare i rimanenti 300 biglietti di detta Lotteria ed [720] esigere le lire Cinquecento importo di altrettanti biglietti stati accettati dalle Maestà Loro.

Con perfetta osservanza Torino, 15 Marzo 1879.

Il Direttore

C. CRODARA VISCONTI. B.

 

B.

                Mon Révérend' Père,

 

                Monsieur le Comte de Chambord porte, il est vrai, un grand intérêt à toutes les oeuvres de St-François de Sales, et rien de ce qui y touche ne peut Lui être indifférent.

                Mais vous n'ignorez pas, Mon Révérend Père, quels sont les besoins de ces oeuvres en France et combien sont nombreuses les demandes de cette nature adressées chaque jour à Monseigneur.

                Monsieur le Comte de Chambord regrette de ne pouvoir venir en aide à votre Oratoire de St-François de Sales à Turin, il Lui faudrait des ressources moins limitées que celles dont il dispose et que notre malheureux pays absorbe entièrement.

                Je suis donc'chargé de vous exprimer les regrets de Monseigneur et de vous retourner les cent billets de Loterie joints à votre lettre en . vous priant, Mon Révérend Père, d'agréer l'assurance de ma considération respectueuse et distinguée.

                Goritz, 5 Avril 1879.

 

C.te C. CHEVIGAZ.

 

                Mon Révérend Père,

               

                Je joins à la lettre que je vous écrivai hier de la part de Monsieur le Comte de Chambord les cent billets que vous destiniez à Madame lai Comtesse de Chambord.

                Je ne vous redirai pas les regrets de notre Auguste Princesse si connue par sa charité et son dévouement à toutes les bonnes oeuvres. Elle aussi voudrait aider votre fondation de Turin, mais elle doit partager avec Monseigneur la sollicitude pour la France et c'est là le motif qui l'empêche de vous venir en aide aujourd'hui,

                Veuillez agréer, Mon Révérend Père, l'assurance de mes sentiments et de ma considération bien distingués

 

                Goritz, 6 Avril 1879.

C.te A. de CHEVIGAZ. [721]

 

D.

 

                Molto Rev. Signore,

 

                Sua A. R. il conte di Chambord mi affida l'onorevole incarico di trasmetterle 500 fr. per coadiuvare alle tante opere buone di cui V. S. Reverendissima è zelantissimo promotore. Non avendo potuto lo scorso anno accettare i biglietti della lotteria che Ella gli aveva proposto, intende questa volta di dimostrarle la stima e venerazione che ha per Lei e si raccomanda caldamente alle sue sante preghiere.

                Mi creda colla massima stima.

                Gorizia, 17 Dicembre 1879. Piazza Grande 275.

 

D. V. S. Rev.ma.

COSTANZO FRIGERIO S. I.

 

22.

 

Consegna dei decreto di chiusura dei ginnasio.

 

                Unito alla presente verrà rimesso per copia alla S. V. Ill.ma il Decreto Ministeriale di chiusura del Ginnasio privato annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Per ordine avuto dal Ministero della pubblica istruzione, debbo poi dichiararle che la chiusura del Ginnasio deve aver luogo non più tardi del giorno 30 di questo mese: nel frattempo Ella potrà far dare gli esami finali di promozione.

                La S. V. sarà compiacente di lasciar ricevuta del suddetto decreto alla persona che consegnerà questa mia lettera.

                Torino, 2o-6-79.

 

Il Prefetto Presidente

MINGHELLI VAINI.

 

                23 giugno. Consegnata la presente ed il decreto annesso a Don Giovanni BOSCO Oggi 23 andante alle ore 10 ant.

 

ALESSANDRO POTENZA

Funzionario di P. S.

 

                Dichiaro io sottoscritto d'aver ricevuto dal signor Potenza Alessandro funzionario di pubblica sicurezza la nota prefettizia 20 andante N. 156 e l'annesso decreto del Ministro della Istruzione pubblica, col quale viene dichiarato chiuso il Ginnasio privato, ossia le scuole Secondarie esistenti nell'Ospizio di S. Francesco di Sales in questa città a far tempo dall'andante.

                Torino, 23 Giugno 1879.

 

Sac. Gio. Bosco. [722]

 

23.

 

Lettera per il ministro Coppino.

 

                Eccellenza,

 

                Per mezzo del sig. Prefetto di questa provincia nel 23 del corrente giugno ho ricevuto il decreto di chiusura delle scuole Ginnasiali aperte a favore dei poveri giovanetti di questo ospizio pel 30 stesso mese.

                Nel breve spazio di tempo che si riduce a quattro giorni feriali, non è possibile di dargli esecuzione, attesa la eccezion e, condizione, la spesa e la distanza degli allievi dalla patria.

                Intanto la prego di permettermi di prendere la protezione di quei poverelli ed osservi che i motivi su cui si appoggia questo decreto mi paiono totalmente privi di fondamento legale. Si appoggia all'articolo 246 mentre io ho i miei insegnanti coi loro titoli legali, dei quali fu fatta regolare consegna al sig. Regio Provveditore, 15 novembre anno passato 1878. Questo medesimo decreto non accenna ad alcuno dei motivi espressi nell'articolo 247 che espone le gravi cagioni che possono autorizzare il sig. Ministro a chiudere un Istituto: ciò è per cause gravi in cui sia impegnata la conservazione dell'ordine morale e la tutela dei principii che governano l'ordine sociale pubblico dello stato e la salute degli allievi.

                Sul fatto poi cui si fonda il Consiglio scolastico di questa provincia, dico che non havvi alcuna legge che proibisca un professore titolare che possa farsi supplire in caso di bisogno, tanto più come nel nostro, quando i supplenti hanno titoli equipollenti, ed hanno più volte presentato i loro allievi con ottimo successo ai pubblici esami. Ogni cosa è meglio spiegata nell'unito allegato dagli schiarimenti. Ciò posto io prego la E. V. di voler annullare gli effetti legali del mentovato decreto o almeno farmi dare cenno di riscontro che mi serva di norma a fare ulteriori incombenze, per non danneggiare l'avvenire dei poveri figli del popolo che la Divina Provvidenza mi volle affidare.

                Ho l'onore di professarmi

                Di V. E.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

24.

 

L'Unità Cattolica” in difesa di Don Bosco.

 

L'ultima gloriosa impresa del Ministro,

ossia le scuole di D. Bosco ed il Ministro Coppino.

 

                Prima di abbandonare il potere, Michele Coppino, Ministro sopra la Pubblica Istruzione, compiva una gloriosa impresa degna proprio di lui! Fin dal maggio passato egli avea steso un decreto che ordinava [723] la chiusura delle scuole, che il benemerito sacerdote D. Bosco tiene aperte nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, a vantaggio in ispecie dei giovani poveri. Di poi il Coppino, presso a cadere, fece intimare quel decreto a D. Bosco medesimo, 'recando al suo cuore un dolore vivissimo coll'obbligarlo a licenziare e gettare sul lastrico nientemeno che trecento poveri giovani in parte affidatigli dallo stesso Governo.

                Il pretesto del decreto è che in una visita repentina, fatta alle scuole dell'Oratorio, non si trovarono ad insegnarvi i maestri patentati, la cui nota era stata trasmessa al ministro dell'istruzione pubblica; ma questa mancanza fortuita non poteva dare, nel caso nostro, nessuna ragione legale per ordinare la chiusura delle scuole. Imperocchè negli istituti privati non v'è nessun obbligo di attenersi all'orario del Governo, e il non essersi trovato nelle scuole di D. Bosco, in un'ora determinata, i professori patentati, non significa che que' professori non ci fossero andati prima ad insegnarvi o non vi andassero più tardi. Sicchè, anche in faccia alla legge, il decreto del Coppino è arbitrario e dispotico.

                Nondimeno, D. Bosco, che vuole esercitare il suo apostolato di carità, e non muovere guerra al Governo, si dispone ad eseguire il decreto, riserbandosi il diritto, che gli compete, di far valere le sue ragioni contro siffatto abuso di potere. E frattanto il buon sacerdote studia il modo di obbedire alle intimazioni del Ministero, e nello stesso tempo di non essere crudele contro tanta povera gioventù; e, se non può darle più oltre l'insegnamento, vuole proseguire almeno a somministrarle un po' di pane. É vorranno metterlo in prigione per ciò? E son questi i tempi di libertà?

                Or qui notate democrazia dei liberali che ci governano! D. Bosco ha in. Torino due specie di scuole: quella pei poveri nell'Oratorio, e quella per le persone agiate in un celebre Collegio-convitto posto nell'amenissima valle dei Salici. Tanto il Collegio-convitto quanto le scuole dell'Oratorio s'ebbero la visita repentina; ma nel Convitto si trovò il massimo ordine, così nell'insegnamento come nella disciplina, e i professori che sono tra i più valenti della città nostra, nell'atto della visita erano tutti al loro posto. Di che ne viene che alle persone agiate non si potè recare dal Ministero nessun disturbo, e tutti i fulmini del, ministro Coppino andarono invece a colpire i giovani poveri!

                Ma ben saprà D. Bosco, nella sua industriosa carità, provvedere anche ai bisogni ed alla coltura intellettuale di questi ultimi, giacchè egli non ha più vivo desiderio che quello di promuovere gli incrementi della scienza, e ne dava testè uno splendido esempio, inaugurando sabato passato, 5 luglio, nel Collegio-convitto di Valsalice, uno stupendo Museo d'ornitologia, che è forse il più ricco di quanti si trovino nei Collegi d'Italia pubblici e privati. Un senatore del Regno, l'onorevole [724] Giovanni Siotto-Pintòr, fu chiamato a presiedere a questa inaugurazione, e noi pure fummo lieti di assistervi Que' bravi giovani si raccolsero tutti nella sala del Museo, e il loro direttore, che è l'egregio Salesiano Francesco Dalmazzo, dottore in belle lettere, con bene acconcie parole, espose l'oggetto dell'adunanza, e come ogni maniera di scienza contribuisse ad innalzare l'uomo al Creatore, e Carlo Linneo scrivesse sulla porta del suo gabinetto: Innocui vivite, numen adest!

                Prese di poi a parlare l'onorevole senatore Giovanni Siotto-Pintòr. e quantunque una fitta di capo gli impedisse di allargarsi nel discorso come egli desiderava, tuttavia gli uscirono di bocca e più dal cuore nobilissime parole, che vennero accolte con fragorosissimi applausi: “Chiunque, così egli, accusa generalmente il clero di osteggiare la libertà e la scienza, mentisce sapendo di mentire”. Può darsi qualche eccezione, “ma la parte più nobile del clero vuole la libertà del bene, e solo nega la licenza del misfare, di calpestare la morale e bestemmiare Iddio”. E proseguiva mostrando come “il cristianesimo, che ha mutato la faccia del mondo, sia l'educatore, e l'istitutore per eccellenza, onde Tertulliano scrisse che ogni uomo è naturalmente cristiano. Che lo sequestrino dalla società, e staremo a vedere, esclamava l'onorevole senatore, che ne sarà di questa più eletta creatura di Dio!”.

                Trovava nella solennità che celebravasi in quel punto la prova che il clero non osteggia, ma promuove la scienza. “Da quando in qua, chiedeva, l'apertura d'un ricco Museo è opera intesa a propagare l'ignoranza?” E accennando a D. Bosco, soggiungeva: “Dove e come e quando troveranno. i nostri avversari uomo benefico che valga quello cui abbiamo in cuore, uomo che ha generato spiritualmente quarantamila figliuoli, e che ben possiamo pleno ore chiamare l'uomo dei due mondi?”.

                E, scusandosi di non potersi dilungare di vantaggio per la sua condizione di salute, l'illustre senatore finiva “sperando che Dio ci adduca tempi migliori, ne' quali, riconciliati col sommo Gerarca i Principi sovrani, possiamo in coro cantare quelle consolanti parole: - La verità è spuntata dalla terra, la giustizia mirolla dal cielo; la giustizia e la pace si sono date il bacio: Veritas de terra orta est, iustitia de coelo prospexit, iustitia et pax osculatae sunt”.

                Così D. Bosco nobilmente si vendicava dell'insulto fattogli da un ministro del regno d'Italia e per giunta da un piemontese! E quando questi, che dovrebbe promuovere l'istruzione pubblica, obbligavalo invece a chiudere le scuole col pretesto che non avesse osservata abbastanza la legge, D. Bosco faceva assai più di quello che la legge impone ed apriva nel suo Collegio-Convitto quel Museo che abbiam detto, Museo che verrà poi di mano in mano ancora arricchendosi, massime col concorso dei missionari salesiani, i quali continueranno le nobili tradizioni dei missionari cattolici, che, mentre affrontarono [725] ogni travaglio e pericolo per guadagnar anime a Gesù Cristo, nello stesso tempo accrescevano il patrimonio della scienza, arrecando immensi vantaggi alle arti, all'agricoltura ed al sapere.

 

25.

 

Don Bertello al Provveditore Rho.

 

(Unità Cattolica, 27 luglio 1879).

 

Ill.mo signor Direttore,

 

                Eccomi qui a fare alcune altre osservazioni sull'articolo del signor Provveditore agli studi. - Dalle precedenti mie lettere mi pare che risulti chiaramente questo: I° che quello di Don Bosco non entra nell'ordine degli Istituti privati, come vorrebbe il signor Provveditore, e non va soggetto alle leggi di quelli; 2° che, quando anche si volesse chiamare Istituto privato, le prove recate dal signor Provveditore non dimostrano niente affatto che quell'Istituto mancasse di professori approvati, come reca il decreto ministeriale, e fosse perciò meritamente chiuso.

                Ora vengo alle accuse elle fa il signor Provveditore alla persona stessa del signor Don Bosco. Egli dice in un luogo: Il sacerdote Bosco non si diede premura di obbedire a chi, per dovere, lo richiamava all'osservanza della legge. E chiude il suo articolo affermando che l'Autorità scolastica trovò nel sacerdote Bosco una incredibile ostinazione ed un'assoluta mancanza di rispetto verso la legge e verso chi deve farla eseguire.

                Queste parole, fatte stampare a termini di legge da un reggio Provveditore sopra il più ragguardevole ed il più diffuso dei giornali torinesi, quando fossero rivolte contro un maestrucolo delle Alpi, farebbero senza dubbio pensare al più tristo, al più villano di quanti professano la scienza in questa misera Italia. Ma che sarà quando si dicano di un sacerdote, del capo di un numeroso Istituto, e questo capo si chiami Don Bosco? Io credo che i più di quei che leggono l'Unità Cattolica avranno mandato un fremito di indignazione e buttato là il foglio.

                Ma anche uno di quelli che gongolano a sentir  e qualche male dei sacerdoti, e massime dei migliori, un mangiapreti insomma, solo che leggesse con attenzione il giornale, ed avesse fior di senno, dovea dire che il Provveditore correva le poste. E questo è ciò che io mi propongo di mostrare brevemente. Le parole sopra recate soli tutte conseguenze dedotte da ciò che è discorso nell'articolo del Provveditore. - Vediamo dunque se derivino legittimamente dalle premesse.

                Dice il signor Rho: Giova sapere che fino dall'anno 1876-77 si pubblicò e si mandò da questo Consiglio scolastico provinciale a tutti i direttori [726] di Istituti privati, e perciò anche al suddetto sacerdote Bosco, un avviso a stampa, in cui venivano invitati ad uniformarsi al disposto della legge, particolarmente riguardo ai requisiti voluti nei professori e maestri per poter attendere all'insegnamento. E poichè il sacerdote Bosco rispondeva al suddetto invito mandando un elenco di sei giovani chierici sprovvisti di titoli legali, che si dicevano applicati alle classi del ginnasio, gli si dichiarava che per il principio dell'anno scolastico 1877-78 doveva provvedersi d'insegnanti muniti di regolare diploma, se voleva continuare a tener aperto il suo Istituto. - Il sacerdote Bosco non si diede premura di obbedire a chi, per dovere, lo richiamava all'osservanza della legge,- lasciò trascorrere l'anno scolastico 1876 e 1877 senza far motto... Fermiamoci qui. Don Bosco riceve un avviso a stampa in cui è invitato, ad uniformarsi al disposto della legge riguardo ai requisiti voluti nei professori, ed egli risponde mandando un elenco di sei giovani chierici. Signor Provveditore, se all'appello dell'autorità scolastica Don Bosco rispose mandando un elenco di giovani chierici, mostrò con questo di darsi qualche premura di obbedire. Non ha dato l'elenco de' suoi veri professori? Sì. - Disse, mentendo, che quelli fossero muniti di titoli legali? No. - Dunque ov'è la sua colpa o il poco rispetto alle leggi? -Doveva dare un elenco di professori approvati, secondo il disposto della legge. -Piano Egli credeva di essere perfettamente d'accordo colla legge, perchè teneva il suo Istituto per un Ospizio di beneficenza. in secondo luogo, egli dava l'elenco dei professori di cui si era servito negli anni passati, ed un avviso a stampa non era indizio sufficiente che fossero mutate a suo riguardo le disposizioni dei superiori; ed infine egli sottoponeva l'elenco de' suoi professori al giudizio dell'autorità competente. Può darsi più rispettoso ossequio alle leggi ed a chi deve farle osservare?

                 Dopo questo gli si dichiarava che per il principio dell'anno scolastico 1877-78 doveva provvedersi d'insegnanti muniti di regolare diploma... Il sacerdote Bosco... lasciò trascorrere tutto l'anno scolastico 1876 e 1877 senza far motto. -E a chi doveva far motto, ed a che pro? Se le autorità scolastiche gli avevano concesso di starsene in pace per quell'anno, e pensare solamente a provvedersi di professori per l'anno vegnente, era bisogno ch'egli facesse motto ad alcuno? Troppo fuor di proposito adunque afferma il signor Provveditore elle D. Bosco non si desso premura di obbedire a chi per dovere lo richiamava all'osservanza della legge. ---- Continua il signor Rho: poco prima della riapertura delle scuole per l'anno 1877-78 Don Bosco chiese direttamente al Ministero dell'Istruzione pubblica di essere autorizzato almeno per un triennio a valersi dell'opera d'insegnanti sforniti del regolare diploma. Questa domanda... mostra come egli cerchi di sottrarsi alla legge comune, e di ottenere un Privilegio, che Per certo non è conforme alle nostre istituzioni liberali di concedere a chicchessia. - E che? Crede egli il signor Rho che sia delitto o mancanza di rispetto alle leggi, se alcuno, pur [727] mostrandosi disposto ad ubbidire in ogni caso, domandi alla legittima autorità, cioè a chi ha cura di interpretare le leggi e di applicarle, che veda se mai una legge potesse applicarsi in un modo piuttosto che in un altro, e questo non per suo privato interesse, ma per pubblico bene, e per salvezza di centinaia, d'innocenti abbandonati? E che dovrà dirsi nel caso che la legge fosse stata per anni ed anni intesa a quel modo? Non potrà giustamente sospettarsi che il contrario fosse inconsideratezza od arbitrio, piuttosto che legge? Ed il signor D. Bosco avrebbe mancato di rispetto alla legge cercando, non coi soprusi o cogli inganni, ma per la via lecita dei richiami e delle preghiere, di sottrarsi alle avventate od arbitrarie applicazioni di quella?

                Ebbe Perciò (Don Bosco) in risposta che il Governo non poteva fare eccezioni alla legge e che questo solo era causa che la sua domanda non poteva essere esaudita. Ciò non ostante, continuò il Don Bosco a tenere i maestri non abilitati all'insegnamento; e l'autorità scolastica locale, che avrebbe potuto e forse dovuto fino da quell'istante promuovere la chiusura di quell'Istituto, trovandosi ad anno scolastico incominciato, si contentò di invitare per la seconda volta il direttore a mettersi in regola colla legge almeno per l'anno scolastico successivo, cioè per il 1878-79.

                Certo, se in tutta questa storia vi ha alcuna cosa che possa offendere l'occhio di un uomo poco pratico, gli è quel che si dice in questo ultimo passo. Don Bosco, avuta una risposta del Ministero che non gli concede di servirsi di maestri sforniti del regolare diploma, continua a tenere gli stessi maestri non abilitati all'insegnamento. - Perchè? La risposta è semplicissima: perché non ne aveva degli altri. - Se li provvedesse. - Non poteva per allora, e all'impossibile niuno è tenuto. - Chiudesse le sue scuole. - Adagio. Le scuole erano state legittimamente aperte per 3o anni, e finora non si era fatto nessun decreto di chiusura, e qual è quel moralista che volesse obbligare D. Bosco a un passo di quella natura? - E con questo finisce la storia dei delitti di D. Bosco esposta dal signor Provveditore; chè quel che segue o fu già esaminato nella lettera precedente o non ha che fare col nostro proposito. - Or dove sono i fatti, coi quali D. Bosco abbia dimostrato una incredibile ostinazione ed un'assoluta mancanza di rispetto verso la legge e verso chi deve farla eseguire?

                Qui avrei finito il mio cómpito. Ma uscendo un tantino dai limiti, che mi sono proposto, credo opportuno riferire un fatto che dimostra .insieme e quanta fosse l'ostinazione di Don Bosco in obbedire alle leggi e la longanimità delle autorità scolastiche verso di lui. Dopo la visita fatta dal Provveditore alle scuole dell'Oratorio di San Francesco di Sales, per ordine del Consiglio scolastico fu scritta una lettera a Don Bosco, in cui si minacciava gravemente se non provvedeva che l'insegnamento nelle sue scuole fosse dato dai professori approvati. Don Bosco rispose con una supplica al Presidente del Consiglio scolastico, in cui dichiarava essere impossibile che i suoi professori dessero [728] l'insegnamento nel tempo voluto dal Provveditore, e supplicava che si contentasse di lasciarli insegnare nelle ore più confacenti alle altre loro occupazioni. Che se si voleva imporgli un orario, gli si concedesse di valersi almeno per due anni di professori sforniti di titoli legali, e conchiudeva la supplica con queste parole: “Supplico pertanto la S. V. Ill.ma, come padre dei poveri figli del popolo, a volere interporre i suoi buoni uffizi sia presso il Consiglio scolastico della provincia di Torino, e sia, se occorre, anche presso il signor ministro della pubblica istruzione, affinchè, non a me, ma a questi miei giovani ricoverati, sia concesso lo spazio di tempo implorato. Spero di ottenere il favore che imploro, ma se ciò non potessi conseguire, per non danneggiare l'avvenire de' miei poveri giovani e gettarli in mezzo ad una strada, mi sottoporrei al grave sacrifizio di modificare l'amministrazione dell'Istituto, affinchè ogni professore possa trovarsi nella propria classe a quell'orario che si volesse prescrivere”. Questa supplica non ebbe altra risposta che il decreto di chiusura.

                Queste poche osservazioni ho creduto bene di fare a difesa del mio benefattore e della Casa ove fui allevato. Se l'affetto mi fece alcuna volta usare parole alquanto aspre, si creda che io non intendo dare altra forza al mio scritto, da quella in fuori che hanno le ragioni in esso contenute.

 

Suo devotissimo servitore

Sac. BERTELLO GIUSEPPE

Dott. in filosofia ed in teologia.

 

26.

 

Replica di Don Bertello al Provveditore Rho.

 

(Unità Cattolica, 3 agosto 1879)

 

                Ill.mo signor Direttore,

 

                Il regio Provveditore agli studi con un lungo articolo, pubblicato nel n° 178 dell’Unità Cattolica, si sforza di rispondere alle mie osservazioni sopra la giustificazione che egli volle fare del decreto ministeriale, che chiude le scuole di D. Bosco. Benchè ogni lettore accorto possa di leggieri avvedersi che il Provveditore o frantese le mie parole, o le travisò, o nella loro parte sostanziale le lasciò senza risposta, io credo tuttavia opportuno, dare alcuni schiarimenti, e per compiere quello che dissi nelle altre lettere, e per rispondere ad alcune inezie che, forse in mancanza di buone ragioni, volle oppormi il signor Provveditore. Spero che quella cortesia, la quale fece sì che le mie lettere precedenti fossero stampate nell'Unità Cattolica, e lette benevolmente da' suoi associati, vorrà ancora dar luogo a questa.

                Dice il Provveditore di essere costretto a rispondere una seconda volta a chi ha voluto assumere… la difesa delle scuole di Don Bosco contro [729] il decreto ministeriale, che ne ha ordinata la chiusura. Di chi si parla qui? Vedendo che nella sua risposta il signor Provveditore non discorre quasi d'altro che delle mie lettere, ho diritto a credermi compreso in questo chi, e allora dirò al signor Provveditore che non mi scambii le carte in mano.

                Io protesto al principio della prima lettera di “non prendere a fare un'intiera confutazione del decreto di chiusura e dei motivi sopra cui si appoggia”; ma di “restringermi ad alcune osservazioni sulla difesa che ne fa il signor provveditore Rho”; e credo non essermi dilungato da questo proposito. Ora, se il signor Rho muta lo scopo del mio discorso, fa: I° che le ragioni da me allegate possano parere insufficienti al bisogno; 2° che resti pregiudicata da me la causa del signor Don Bosco, che io protesto di voler lasciare alle sue difese.

                Dice che io stesso confesso d'aver usato parole aspre per abbondanza di affetto verso il mio benefattore, quasi che l'affetto Per una persona autorizzi ad usare un linguaggio sconveniente verso di un'altra. Si noti che io usai una proposizione condizionale, perchè aveva ed ho i miei bravi dubbi se le parole da me usate avessero dell'aspro, considerando a chi erano rivolte ed in che occasione; ma il signor Provveditore mi fa confessare la cosa semplicemente. Inoltre io dissi: Se l'affetto mi fece alcuna volta usar Parole alquanto aspre; ed il signor Provveditore, mettendo le parole in corsivo, perchè paressero mie, e così riuscisse più efficace la confessione, tacque le parole alcuna volta ed alquanto, che, a mio credere, hanno il loro senso.

                Io credo che l'affetto giusto e ragionevole possa benissimo scusare certe espressioni un po' risentite, purchè non si vada all'insulto od alla calunnia. Quando il signor Provveditore non la pensasse così, tal sia di lui. Se poi io abbia usato un linguaggio sconveniente, lo lasci dire da altri, o almeno si degni di provarlo. Un pubblico ufficiale che lancia gravi accuse contro un uomo venerando e benemerito fondandosi sopra falsi supposti o pretesti ridicoli, si reca poi a male che io, dopo mostrati i suoi torti, accenni un tantino delle conseguenze che se ne potrebbero inferire! - Il signor Rho dice di lasciare in disparte certe considerazioni che lo porterebbero a conchiudere, ecc. E poi rimprovera a me le reticenze! Fuori queste considerazioni, che le possiamo vedere e discutere.

                Il signor Provveditore dice che si contenterà di rettificare talune affermazioni e certi fatti che lo riguardano, e che il sacerdote Bertello si è permesso di esporre molto inesattamente per non dir peggio. Le affermazioni si respingono facilmente colle negazioni: quanto ai fatti, io son contento di accettare le rettificazioni del signor Provveditore, se quelle non saranno storpiature; ma nelle mie lettere c'era altro, a cui non bada il signor Rho; e proprio su questo io voglio richiamar la sua attenzione. La prima lettera del sacerdote Bertello nulla contiene di notevole... e via più che di galoppo. Davvero che io non credeva [730] di essermi così affaticato invano; e parecchie persone di giudizio, che lessero quella lettera, pensarono di averci trovato dentro alcune cose buone ed a proposito; ed ecco il signor Provveditore spacciarsene col dire: nulla contiene di notevole. Torniamoci su un momento. Io diceva: parmi di poter ridurre a tre punti le difese del signor Rho: - quello di Don Bosco è un Istituto d'istruzione privata, non già una casa d'istruzione paterna (queste parole sono del Rho): questo Istituto mancava nel passato anno scolastico di professori debitamente approvati; a Don Bosco conviene la taccia, ecc. - Il I° punto formava l'argomento della prima lettera. Ora, perchè quella lettera possa dirsi non contenere nulla di notevole, bisogna o che l'affermazione sopra detta sia cosa di nessun momento nell'articolo del signor Provveditore, o che le osservazioni che io ci feci sopra non meritino considerazione alcuna.

                Vediamo prima questo secondo membro della divisione. Io partiva in due l'affermazione del signor Provveditore: I° L'Istituto di D. Bosco non è casa d'istruzione paterna; 2° è istituto privato. Contro la prima parte io adduceva due ragioni: I° ben considerata la natura delle cose, l'istituto di D. Bosco può collocarsi nell'ordine degl'istituti paterni; 2° per trent'anni quelli che ressero l'istruzione in Piemonte lo riguardarono per tale, e gli applicarono le leggi degl'istituti paterni. Contro la seconda parte io osservava: io che la ragione, addotta dal signor Provveditore a confermarla, non reggeva; 2° che a formare un istituto privato si richiedono, secondo la legge Casati, certe formalità, che il signor Don Bosco non ha mai compiuto rispetto all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Se queste ragioni siano di nessun peso, e non meritino una parola di risposta, io lo lascio giudicare ad ogni persona, che sia fornita di buon senso. Sarà forse vero quell'altro che la detta affermazione non conti nulla nell'articolo del signor Provveditore? Ma allora perchè stamparla e ripeterla più volte e sudar tanto per darne una dimostrazione? Del resto, se non ha importanza per lui, ne ha tanto più per me.

                Io, fondato sopra le ragioni addotte, ritengo che quella di Don Bosco sia una casa d'istruzione paterna e discorro così: Questa casa, secondo la legge, deve essere prosciolta da ogni vincolo d'ispezione per parte dello Stato (art. 2,51); e perciò: I° il signor Rho ha violato il domicilio di D. Bosco quando si presentò come regio Provveditore a visitarne le scuole; 2° quando egli ed i suoi colleghi si misero a tribolare D. Bosco per cagione delle sue scuole, mancarono gravemente contro le leggi; 3° non può applicarsi alle scuole di D. Bosco il decreto ministeriale che chiude un ginnasio privato; 4° D. Bosco, che il signor Provveditore vuol dipingere come un ribelle, fu invece vittima di ingiuste vessazioni.

                Io sfido il signor Provveditore a levare un pelo da queste conclusioni. Ed una lettera ove si contengono o svolte od in germe queste [731] conclusioni, come può dire il signor Rho, che non contenga nulla di notevole, se non fosse che gli mancavano le forze a combatterla, e credette più sicuro partito scivolare sulla cosa con un affettato disprezzo? Inoltre da tutto il filo del discorso appare essere questo il primo punto della mia difesa, ed in più luoghi dichiarai di passare al secondo punto solo per un dato non concesso che quello di Don Bosco fosse Istituto privato. E che logica è questa che comincia la confutazione da un dato non concesso, senza badare a quello che l'avversario pone a fondamento della sua tesi? Si aggiunga che il ragionamento del signor Provveditore è tessuto in questo modo: “gli Istituti privati debbono avere i professori muniti di regolare diploma: quello di Don Bosco è un Istituto privato, dunque, ecc.; ma non li ha, ecc.” É chiaro che, posta la legge nella premessa maggiore, la forza dell’argomentazione dipende dalla verità del fatto enunciato nella minore. Ora non è ridersi dell'avversario e dei lettori il saltarla di piè pari, e correre difilato alla conclusione?

                E come si può spiegare questo che il signor Provveditore nel primo articolo si sforzi tanto di provare che quello di Don Bosco è Istituto privato, e nel secondo dica non contenersi nulla di notevole in quella lettera, che la sua proposizione riduce al niente? Ma non è vero che la prima lettera non contenga nulla di notevole. Bisogna eccettuare una assai peregrina classificazione d'Istituti d'istruzione secondaria che lo porta (il sacerdote Bertello) a dichiarare nullo l'Istituto di Don Bosco, a cui, è addetto. La nostra legislazione scolastica distingue gli Istituti d'istruzione secondaria in pubblici, privati e paterni; gli Istituti nulli sono una creazione del sacerdote Bertello. Credo che il signor Provveditore abbia male intese le mie parole.

                Gli Istituti nulli non sono una creazione del sacerdote Bertello, ma come si dice nulla una scrittura, perchè priva di valore legale; nullo, un contratto, perchè non fatto secondo le leggi, così Istituto nullo è quello che per la sua natura, o per mancanza di qualche formalità necessaria, non potesse entrare nell'ordine degli Istituti contemplati dalla legge; e si dice nullo perchè privo di valor legale, e dalla legge riguardato come non fatto. - Ciò posto, io discorreva così: - Il signor Provveditore non vuole che quella di Don Bosco sia scuola paterna, che sia Istituto privato io non lo posso concedere; altra maniera di Istituti legali non c'è, dunque è Istituto nullo, ed una scuola di contrabbando aperta senza alcuna approvazione del Governo. Si poteva dire cosa più chiara?

                Signor Direttore, questa lettera è già lunga; mi permetta di finirla qui e rispondere un'altra volta all'accusa che mi fa il signor Provveditore di aver esposto molto inesattamente o peggio alcuni fatti che lo riguardano.

 

Sac. BERTELLO GIUSEPPE

Dott. in filosofia ed in teologia. [732]

 

27.

 

Don Rua alla Gazzeffa Piemontese”

 

nella chiusura delle scuole.

 

                   Sig. Direttore,

 

                La Gazzetta Piemontese del 3 corrente agosto contiene un articolo intitolato: Chiusura delle scuole di Don Bosco, che non posso lasciare senza risposta.

                La S. V. ha posto la questione sotto il suo semplice aspetto domandando: Esiste una legge su cui sia basata la chiusura? e se, com'è vero, questa legge esiste, l'Autorità scolastica, nel provocarne l'adempimento, ha esorbitato dai limiti di essa? ha mancato all'ufficio suo?

                Mi permetta ch'io risponda alla sua interrogazione:

                La legge vigente prescrive siccome condizione di esistenza per uno stabilimento privato d'istruzione secondaria, che i diversi insegnamenti siano affidati a professori legalmente abilitati.

                Nell'Ospizio Salesiano i professori legalmente abilitati ci sono, ed hanno insegnato. Perchè dunque fu chiuso? Perchè essi non hanno sempre insegnato personalmente, ma ogni qualvolta furono costretti dalla necessità, si fecero surrogare in iscuola da altri insegnanti di loro fiducia non titolari, come si è sempre fatto in tutti gli Istituti del Regno. Qui adunque l'Autorità scolastica ha esorbitato dai limiti della legge, perchè questa non determina la misura e la durata degli insegnamenti, e non impone nessun orario scolastico.

                Non è quindi veto, come la S. V. può scorgere elle Don Bosco pretenda un trattamento ex-lege, e sia contravvenuto alla condizione della legge, elle richiede (mi servo delle sue parole) in chi deve insegnare l'attitudine dimostrata di saper impartire l'affidatogli insegnamento.

                Io ho supposto il caso più sfavorevole a questo Ospizio, che cioè sia esso uno di quegli Istituti privati i quali cadono sotto l'articolo 246 della legge, mentre nei 30 e più anni di sua esistenza fu sempre considerato quale Opera di carità, ricovero di poveri ed abbandonati fanciulli ed Istituto paterno, epperciò prosciolto da ogni sindacato governativo in virtù degli articoli 251, 252 della vigente legge, da tutte le Autorità scolastiche, prima che il sig. cav. G. Rho venisse provveditore a Torino, oltre di che Don Bosco fu accusato, processato e condannato senza essere invitato a fare le sue difese secondo le leggi.

                La cortesia della S. V. Ill.ma mi affida che vorrà pubblicare nel suo giornale questa mia risposta, senza che io sia costretto ad invocare [733] la legge, mentre, ringraziandola anticipatamente, mi dichiaro coi sensi di perfetta stima Di V. S. Preg.ma

                Torino, 4 agosto 1879.

 

Obbl.mo servitore

Sac. RUA MICHELE

Vice-Rett. dell'Istituto.

 

28.

 

Natura dell'Ospizio di Don Bosco.

 

(Il Risorgimento, 10 agosto 1878).

 

 

                Da più giorni in diversi giornali si parla della chiusura dell'Ospizio di D. Bosco per difetto di maestri patentati. Ognuno va discutendo sulla legalità di tale misura, in base alla legge, la quale distinguendo l'istruzione secondaria in pubblica, paterna, privata e di carità, prescrive per le due prime maestri patentati con facoltà di farsi supplire da maestri anche non patentati, lasciando libere da ogni vincolo le seconde. Ma in nessun giornale si vide finora sufficientemente indicata la vera natura dell'ospizio di cui trattasi per potersi fare un giusto criterio sulla illegalità della chiusura e sulla gravità di sue conseguenze.

                Scopo primario dell'ospizio di D. Bosco in sua origine era un ricovero di poveri fanciulli abbandonati per educarne il morale, dar loro la primaria istruzione e far loro apprendere una professione, un mestiere, per restituirsi, fatti adulti, alla società morigerati, utili a sè ed alla società stessa.

                Quest'ospizio per i grandi suoi vantaggi incontrò ben presto l'aggradimento del pubblico per modo che molti parenti, Municipii, governo, società di ferrovie si fecero a presentare a D. Bosco grandissimo numero di fanciulli, non più soltanto di assoluta povertà, ma anche di quelli che erano in grado di pagare una pensione proporzionata alle proprie forze, perchè ivi attendessero non solo a mestieri ma anche a professioni letterarie.

                In questo straordinario sviluppo dell'ospizio ravvisò D. Bosco essere necessario dividere gli allievi in due classi, cioè, in poveri artigiani ed in studenti paganti. Per questi furono istituiti collegi appositi, come quelli di Lanzo, Varazze, Alassio e molti altri; i quali compresi ragionevolmente nel novero di Istituti privati, furono e sono forniti tutti di professori patentati. Gli artigiani ed artisti poveri, ora nel ragguardevole numero di 860 furono ritenuti nell'ospizio originario del Valdocco di Torino, il quale continuò così a conservare la sua natura di patema carità. E siccome fra sì grande numero di poveri giovani vi sono sempre molti che spiegano un'attitudine ed inclinazioni non comuni per lo studio, così si credette paterno dovere di procurar loro il mezzo di poter fruire di tale loro attitudine coll'impartire [734] anche in questo ospizio l'insegnamento, ginnasiale per provvedere ancora con questo mezzo di buoni allievi compositori la tipografia da molti anni aperta nell'ospizio; ma con questo non si credette mai nè da Don Bosco nè dall'autorità scolastica cambiata la natura dell'ospizio.

                Infatti tutti i ministeri passati sì di destra che di sinistra continuarono a considerare l'ospizio quale opera di paterna carità, favorendolo la Casa Reale ed il governo in ogni modo possibile di appoggio e di sussidii.

                Fu soltanto durante il ministero Coppino ed il provveditorato Rho elle si volle cambiare modo di giudicarlo; si volle considerare come un Istituto di speculazione privata subordinato perciò al disposto della legge riguardo ai professori patentati.

                Si cercò a tutta prima da D. Bosco di far comprendere l'equivoco, ma vedendo l'insistenza dell'autorità scolastica a volere, non ostante tutte le addotte ragioni, l'applicazione rigorosa della legge anche in questo ospizio di paterna carità, D. Bosco dico, seguendo la sua massima di urtare il meno possibile, tanto più con un governo di cui si ricorda dei tanti benefizi ricevuti in passato, annuì a provvedere i richiesti professori titolari per pura deferenza all'autorità, quantunque dalla legge non obbligato.

                Ma se è facile trovare professori patentati provvedendoli di largo stipendio per collegi governativi o comunali, è assai difficile trovare professori patentati, che vogliano e possano prestare la loro opera assidua gratis in un ospizio di paterna carità, dove tutto si fa gratis per mancanza di mezzi proprii e per non togliere dalla bocca dei poveri l'elemosina per essi raccolta.

                Ciò non ostante riuscì D. Bosco a trovarne ben cinque di questi benemeriti, i quali accettarono la cura e la responsabilità di quelle scuole ginnasiali in tempi ed orari loro permessi dalle molte altre occupazioni e coll'aiuto di buoni supplenti di loro scelta in loro assenza, e diede di questi nota all'autorità scolastica.

                Lusingavasi D. Bosco elle l'autorità scolastica sarebbesi con ciò acquietata in considerazione dell'ossequio tosto prestato a' suoi voleri, in considerazione dell'ambiguità di giusta applicazione della legge stante la diversa interpretazione di tutti i ministeri precedenti: in considerazione alla buona accoglienza che incontra la propagazione di questi ospizi di paterna carità non solo in Italia, ma ancora in Francia ed in America, per cui pareva non dover esservi ragione a elle il proprio governo avesse a convertire la continuata protezione. Se ne stava perciò D. Bosco tranquillo.

                Ma tutte queste considerazioni non ebbero agli occhi dell'attuale autorità scolastica di Torino alcun valore. Essa credette di maggiore vantaggio sociale un draconiano giudicio dell'ospizio, una pari interpretazione di legge, ed una pari applicazione. [735] Perciò mandò a riconoscere se detti cinque professori patentati facevano scuola continua personalmente, e sembrandole avere scoperto che non la facevano che a rari intervalli ed il più delle volte col mezzo dei supplenti, non credette l'ospizio di D. Bosco meritevole dei benevoli riguardi usati a molte altre scuole; -ordinò la chiusura dell'ospizio e l'espulsione degli allievi senza preoccuparsi menomamente delle gravi conseguenze, senza sentire nel suo paterno cuore alcun rimorso di avere con ciò decretata la rovina di 300 poveri giovani e la disgrazia di altrettante famiglie, e forse di migliaia d'altre che per l'avvenire avrebbero potuto fruire di tale benefizio.

                Questa disposizione dell'autorità scolastica ha molta analogia colla strage degli innocenti comandata da Erode, il quale per colpire Cristo fece morire migliaia di fanciulli suoi coetanei; colla sola differenza che allora trattossi di morte, ora, per i tempi più miti, di sola rovina di carriera.

                Se questo sia un provvido atto di buon governo ispirato dal solo rispetto alla legge ed all'interesse pubblico, si lascia al lettore il giudicarlo.

                Non ostante però tali atti non avvi a disperare del progresso umanitario di questo Istituto. Il nuovo ministero, succeduto al testè caduto, sperasi ispirato a migliori principi e che da esso libertà, rispetto alla legge, promozione del bere sociale siano intesi in atti e non in parole, stando bene in guardia da ogni influenza partigiana, da chiunque essa parta, per cui quanto di male seppe fare uno, tanto di bene possa e voglia saper fare l'altro.

 

Segue la firma.

 

29.

 

Il Figaro” sulla chiusura delle scuole di Don Bosco.

 

                Lettre de Turin.

 

                M. Jules Ferry, qui cherche la célébrité dans la persécution odieuse faite aux écoles congréganistes, a trouvé ici des imitateurs. Ce sont M. Coppino, Ministre de l'Instruction Publique et son inspirateur M. G. Rho, pourvoyeur scolastique à Turin, docteur en théologie et belles-lettres.

                Il est bon, avant de faire connaître l'acte d'iniquité que ces messieurs s'efforcent de commettre, de dire un peu ce qu'ils sont.

                M. Coppino est le fils d'un pauvre savetier d'Alba, en Piémont. Il n'y a pas de déshonneur à cela. Enfant, il travailla aux côtés de son père  jusqu'au jour où un respectable prêtre de sa ville natale, aujourd'hui évêque, s'intéressant au petit bonhomme, le prit sous sa protection, lui fit donner des leçons, et le plaça plus tard au séminaire. Ses études terminées, ne se sentant aucun goût pour la carrière ecclésiastique, [736] Coppino se jeta dans le tumulte de la révolution italienne, qui était à son aurore: puis, le célèbre latiniste, professeur Vallauri, lui procura une place de professeur dans une ville de province. Il n'y resta  pas longtemps et vint à Turin, où il fit peu à peu son chemin. Et dire que, sans la charité d'un prêtre, le jeune Coppino continuerait probablement à ressemeler les vieilles chaussures et n'aurait jamais songé à persécuter le clergé.

                Quant à M. G. Rho, lui aussi, est un prêtre manqué. Fils d'un notaire, il fut élevé dans un séminaire du diocèse de Turin. C'est un ambitieux, et naturellement un démocrate des plus ardents. C'est sous ses inspirations que M. Coppino a décrété la fermeture des écoles secondaires fondées par Don Bosco, et destinées plus particulièrement à l'instruction des orphelins et des enfants pauvres et abandonnés. Pour vos lecteurs qui connaissent l'abbé Roussel et qui patronnent son oeuvre de charité, voici l'histoire de Don Bosco:

                Il y a quelque quarante ans, un simple prêtre, poussé par la bonté de son coeur et son immense charité, recueillit dans sa pauvre petite maison du faubourg de Valdocco, héritage paternel, quelques orphelins, quelques enfants abandonnés par leurs parents. Il voulut les soustraire à la misère, à la faim, à la débauche, au crime.

                N'ayant point de fortune personnelle, Don Bosco travailla et mendia pour nourrir, loger et vêtir ces misérables enfants dont il avait fait sa famille.

                Le nombre de ces enfants s'accrut .de jour en jour. La charité publique s'émut, les nouvelles doctrines n'étaient pas encore à l'ordre du jour, et bientôt chacun vint en aide à ce nouveau Saint-Vincent de Paul. Don Bosco ne s'en tint pas là.

                Il parcourut l'Italie en apôtre de la Charité. Sa parole émut. Il eut des imitateur et aujourd'hui le pauvre prêtre a pour récompense de sa vie de dévouement d'être le directeur suprême de quarante maison de charité. Plus de quarante mille enfants pauvres y sont instruits dans la religion, dans les sciences, et dans les arts-et-métiers. Ces maisons dépensent en moyenne 30.000 francs par jour, et c'est encore la charité catholique qui apporte à Don Bosco ou à ses représentants, des sommes aussi énormes. De plus, Don Bosco a dépensé plus d'un million pour les bâtiments de ses hospices et pour la construction de la magnifique église consacrée à la Vierge qu'il fait élever dans son établissement central de Turin, ainsi que pour celles qu'il a fait construire.

                Les raisons alléguées pour motiver le décret de fermeture des écoles sont d'une puérilité qui touche à l'absurde.

                M. Coppino et son inspirateur, le docteur G. Rho, ont prétendu d'abord que les maîtres, chargés par Don Bosco, de l'éducation des enfants,-n'avaient pas le diplôme de capacité exigé par l'Etat. Immédiatement Don Bosco s'attacha quatre professeur de la faculté. [737] Cette soumission ne faisait pas l'affaire des ennemis de Don Bosco. Le docteur G. Rho prétendit avoir inspecté l'école et n'avoir trouvé que des suppléants non diplômés.

                Ainsi, pour ce personnage, il n'est plus permis à un professeur de faire faire sa classe par un suppléant. C'est, comme vous dites en France, le comble de la niaiserie et de la mauvaise foi.

                Ainsi, voilà M. Coppino, qui a connu dans son enfance les angoisses de la misère et qui doit tout à un membre du clergé; M. Rho, qui a acquis par des prêtres la science qui l'a fait ce qu'il est aujourd'hui, et ces deux hommes n'ont qu'un but, la ruine des écoles de l'institut charitable, fondé par Don Bosco.

                Ils veulent, de gaîté de coeur, que ce vénérable prêtre jette sur le pavé, plus de trois cent enfants privés de tout appui. Et, parmi ces enfants, il y en a au moins soixante qui lui sont confiés par le gouvernement.

                Don Bosco s'est adressé au roi Humbert, lui rappelant les traditions de l'ancienne et catholique maison de Savoie. Sa Majesté a fait, renvoyer, en la recommandant, la requête de Don Bosco au ministère de l'instruction publique.

                M. Coppino sentait qu'il allait quitter lé ministère, et il osa déclarer que tout en acceptant la recommandation royale, il ne croyait pas pouvoir se dispenser d'appliquer la loi!

                Une polémique sérieuse s'est engagée sur cette affaire dans lés feuilles catholiques italiennes. Il ne faut pas oublier que d'après la loi Casati, un institut privé ne peut être fermé que pour des motifs très graves contre la morale. Or l'institut du docteur Bosco n'a jamais été considéré, depuis qu'il existe, que comme un établissement de bienfaisance. Ses écoles sont gratuites.

                L'affaire en est là, on espère que la décret Coppino sera rapporté. Quant à Don Bosco, il est calme: la foi ne l'abandonne pas. Apôtre de la Charité il a confiance en cette divine Providence qui lui a tonjours permis de secourir et d'élever les pauvres petits enfants.

E. PRINCIPI.

 

30.

 

Lettere dell'Allievo a Don Durando.

 

A.

 

                MINISTERO DELL'ISTRUZIONE

 

                Carissimo Amico,

 

                Ho ricevuto la lettera del nostro Pelazza e la carissima tua. lo credo miglior partito, che la vostra questione sia portata al Consiglio di Stato, ed il Signor Viale me ne parlò oggi nel medesimo senso. Sarei altresì d'avviso, che il nostro D. Bosco proponesse alla decisione [738] di esso Consiglio la sua questione divisa in due parti, dimandando: I° l'annullamento del. Decreto Coppiniano siccome illegale; 2° il riconoscimento dell'istituto salesiano quale opera di carità. Nel distendere la prima parte della questione potrebbe addurre le ragioni principali riferite nei varii articoli pubblicati sui giornali in sua difesa.

                Intanto a preparare il terreno giova che si mandi un esemplare del mio opuscolo ai singoli membri del Consiglio di Stato registrati nell'elenco che qui ti inchiude, trasmessomi dal Sig. Viale. Ti prego di mandarmene altresì a me una mezza dozzina di copie. Mi pervennero già numerosissimi biglietti e lettere di ringraziamento da Provveditori, Prefetti, Arcivescovi e Vescovi (fra cui il Cardinale di Pietro) che lo hanno ricevuto. Quanto ai Deputati e Senatori meglio è differire la spedizione quando si riapriranno le due Camere del Parlamento.

                Ritornato che fui da Torino a Roma, lui fu consegnata la tua lettera scrittami allora, ma non mi venne consegnato il tuo Dizionario, perchè il porta lettere o spedizioniere che sia, avendo inteso da questo portinaio che io era fuori di Torino, non volle rimetterlo a lui, ma se lo riportò via.

                Io continuo a lottare col Daneo e con questi Provveditori centrali, compreso il papà Barberis (come lo chiama il Perez). Venerdì scorso il Ministro li invitava a solenne adunanza per sentire il loro parere intorno al nostro Regolamento di Licenza Liceale, e cedendo alle opposizioni del Barberis e del Denicotti, lasciava cadere i due articoli più radicali, cioè il 7° che dà facoltà agli alunni privati di presentarsi all'esame di Licenza presso qualunque pubblico Liceo; ed il 9° che li proscioglie dall'obbligo della licenza Ginnasiale. Io ho scritto subito una lettera al Ministro offrendogli le mie dimissioni, dacchè i principali miei articoli, non erano più sostenuti da lui. Egli mandò a pregarmi che mi recassi da lui. Rifiutai. Allora venne egli stesso in persona nella mia camera a Torre de' Specchi sabato scorso, 18 corrente, dichiarandomi che avrebbe mantenuti que' articoli; e li mantenne diffatti nella revisione definitiva del Regolamento fatto in casa sua. E i giornali continuano a stampare (poveri illusi) che i Provveditori centrali hanno fatto subire al Regolamento sostanziale modificazione!

                Salutami tutti di cuore e credimi

 

                Roma, 25 Ottobre 1879.

 

tutto tuo

GIUS. ALLIEVO.

 

B.

 

                MINISTERO DELL'ISTRUZIONE

 

                Caro Durando,

 

                Credo ti sarà stata rimessa la mia lettera di ieri l'altro. Rovistando nella farragine dei Regolamenti e Decreti per compiere il mio lavoro sulla riforma del Consiglio Superiore addossatomi dal Ministro, trovai [739] che il Consiglio scolastico provinciale quale venne istituito e funziona oggidì, giusta il regol. 21 novem. 1867 approvato col regio Decreto 22 sett. 1867, ed il reg. 3 nov. 1877, è illegale, perchè contrario all'articolo 39 della vigente legge Casati, la quale esclude dal Consiglio il Prefetto ed altri membri attuali e ne dà la presidenza al Provveditore. Il M. Coppino nel promulgare il Regolamento del 1867 si accorse che era contrario alla legge Casati. Tanto è che il Decreto reale 22 settembre 1867 da lui controfirmato, chiudeva con quest'articolo: Il presente Decreto sarà sottoposto all'approvazione del Parlamento per essere convertito in Legge, Invece non fu mai convertito in Legge, e rimane tuttora semplice Decreto reale; eppure fu. fatto eseguire e si eseguisce tuttora come se fosse una legge!!!

                Questa osservazione può giovare assai al nostro D. Bosco per la sua causa, e la presenterà al Consiglio di Stato. Egli può invocare la legge contro il Consiglio Scolastico di Torino per annullarne siccome illegali le deliberazioni, segnatamente perchè il Prefetto non deve ingerirsi in esso Consiglio.

                Addio in fretta e salute a tutti. Ti prego di far recapitare la qui inclusa e mi ripeto

 

                Roma, 27, Ottobre 1879.

 

Tutto tuo

G. ALLIEVO.

 

31.

 

L'Oratorio ospizio di beneficenza.

 

 

L'Oratorio di S. Francesco di Sales non è un Ginnasio privato.

 

                La denominazione di Ginnasio privato, data inesattamente all'Ospizio di S. Francesco di Sales in questi ultimi giorni, cagionò danno e non leggeri disturbi ai giovanetti in esso ricoverati.

                A fine di dare all'Autorità scolastica ed alle altre Autorità dello Stato una giusta idea della natura e dello scopo di questo Istituto gioverà certamente un ragguaglio storico, da cui apparisca quali siano stati i suoi rapporti colle pubbliche Autorità, e come dalle medesime sia stato costantemente riconosciuto opera di carità da' suoi primordii fino al presente.

 

Primordii e scopo di questo Oratorio.

               

                É da premettere come nel frequentare le carceri di questa città lo scrivente potè assicurarsi, che un gran numero dì fanciulli scontavano la pena di delitti ai quali piuttosto l'abbandono e l'inconsideratezza, che non la malizia li aveva trascinati. Si potè pure convincere [740] che tali giovanetti, se all'epoca della loro liberazione incontravano un animo benevolo che li avesse sorretti, non ricadevano più negli espiati delitti; e molti pericolanti, per lo più forestieri, mercè assistenza paterna, coli molta facilità potevano tenersi lontani dal mal fare.

                Con questo fine nel 1841 ho cominciato l'opera degli Oratorii, ossia dei giardini di ricreazione, dove specialmente nei giorni festivi si radunano fanciulli poveri ed abbandonati. In essi sono trattenuti .nella ginnastica, nella declamazione, musica, nel teatrino, ed in altri trastulli di amena ricreazione. L'istruzione elementare, lo studio della religione e le regole di buona creanza fanno eziandio parte di quei trattenimenti.

                Nel 1846 si cominciarono le scuole serali, che furono visitate da una deputazione di Consiglieri municipali. Se ne mostrarono altamente soddisfatti, e, fattane relazione in pieno Consiglio, fu decretato lui dono di mille franchi con annuo sussidio di franchi 300 per le scuole serali, sussidio elle si continuò fino al 1877.

                Venne pure una Commissione da parte dell'Opera della Mendicità Istruita, che in segno di gradimento largì eziandio un premio di fr. 1000.

                Tra i giovanetti elle frequentavano gli Oratorii se ne incontravano alcuni talmente poveri ed abbandonati, che loro forse sarebbe tornata inutile ogni sollecitudine, se non venivano raccolti in qualche Ospizio, ove alloggiati, vestiti, nutriti fossero avviati a qualche arte o mestiere. Così nel 1847 cominciò il così detto Ospizio ovvero Oratorio di S. Francesco di Sales. In esso ogni sera gli allievi hanno scuola elementare, di musica vocale od istrumentale, disegno, sistema metrico, aritmetica coli altri studi adattati ai loro mestieri.

                Lungo il giorno erano occupati nei mestieri di falegname, di calzolaio, di sarto, ferraio, legatore da libri, tipografo, compositore, fonditore di caratteri, stereotipista, calcografia, nella pittura, fotografia, ecc.

                Alcuni poi, perchè forniti di svegliato ingegno, o perchè appartenenti a famiglie decadute, solevansi destinare al corso tecnico, al francese ed anche ad alcuni anni di studio classico. Con questo mezzo provvedevansi allievi compositori nella tipografia dell'Istituto, assistenti nell'Ospizio, mentre non pochi si davano alla carriera militare, o allo studio letterario, secondochè loro pareva nel più breve lasso di tempo poter giungere à guadagnarsi onesto sostentamento. In siffatta maniera si poterono secondare le propensioni de' nostri giovani, e organizzare un sistema educativo conveniente ad un Istituto, che in breve tempo giunse a raccogliere ben 900 giovanetti, elle tanti appunto al presente sono gli allievi del nostro Ospizio.

                Fin qui l'Oratorio di S. Francesco di Sales fu considerato quale Ospizio di carità a benefizio di poveri ed abbandonati fanciulli. L'Autorità scolastica aiutavalo moralmente e materialmente. [741]

 

Il Senato del Regno e il Ministro dell'Interno.

 

                Il novello modo di raccogliere ed educare i figli della più bisognosa, e possiam dire, della più pericolante porzione della società, traeva gente da varie parti.

                Il Sindaco di Torino, cav. Bellono, il Prefetto, parecchi Deputati e Senatori venivano con piacere a farei visita passando delle ore nei laboratorii, nelle scuole, e perfino in ricreazione coi fanciulli.

                Un giorno venne il conte Sclopis col march. Ignazio Pallavicini e col conte Luigi Collegno, tutti Senatori del Regno. Visitarono l'Ospizio, le scuole, il Giardino di ricreazione e le radunanze festive. Ammirarono specialmente la sollecitudine con cui si cercava collocamento presso ad un buon padrone a tutti quei giovanetti che fossero privi di lavoro, ed avessero raggiunta l'età di appigliarsi ad un mestiere.

                Nella loro partenza dissero voler riferire ogni cosa al Senato, affinchè ne facesse calda raccomandazione al Governo, e lo impegnasse a favorire una istituzione che ha per fine, essi dicevano, di diminuire il numero dei discoli e di quelli che vanno a popolare le carceri.

                Di fatto nella tornata I marzo 1850 la Camera dei Senatori diede una splendida testimonianza all'Opera degli Oratorii. La Commissione di Senatori, che si recò tra noi, raccomandò vivamente al Governo l'Opera degli Oratorii, affinchè la favorisse, l'appoggiasse con mezzi morali e materiali; come istituzione veramente utile ai nostri tempi, eminentemente umanitaria e cristiana.

                Si può vedere l'esposizione di tale visita negli atti del Senato, come nell'Appendice n. I.

                Il Governo, e sopratutto il Ministero dell'Interno, prese allora in alta considerazione la raccomandazione dei Senatori, e cooperò anche con mezzi materiali allo sviluppo dell'Ospizio.

                I ministri Rattazzi, Cavour, Farini, Lanza, Peruzzi, Ricasoli, Nicotera giudicarono questo Istituto quasi opera loro, inviandoci qui ogni genere di ragazzi abbandonati. Quando poi aveva luogo qualche trattenimento di ginnastica, distribuzione di premii, teatrino, o concerti musicali, que' benemeriti signori si professavano lieti di poter intervenire quali padri in mezzo ai proprii figli. Più d'una volta avvenne che il Prefetto della Provincia e il Sindaco di Torino accompagnavano il Ministro dell'Interno ed anche i Principi di Casa Reale a prendere parte alle nostre feste di famiglia. Alcune lettere dell'Appendice n. 2 fanno testimonianza dell'asserto, e palesano il giudizio che quei personaggi facevano di questo Istituto.

 

Il Municipio di Torino.

 

                Il Municipio di Torino ha sempre considerato l'Opera degli Oratorii come Istituzione di beneficenza. La incoraggiò con premii, la [742] favorì con mezzi materiali e indirizzovvi assai di frequente dei fanciulli pericolanti.

                Nel 1854 quando il coléra-morbus invase i nostri paesi, il Sindaco di Torino raccolse in apposito locale i fanciulli fatti orfani dal morbo micidiale, e ne affidò la cura e la direzione allo scrivente. Una cinquantina dei più abbandonati furono dal medesimo Sindaco inviati a questo Ospizio, dove vennero educati, istruiti e avviati ad un'arte o mestiere. Si veda l'Appendice n. 3.

                Altri fanciulli pure colpiti dalla stessa sventura in numero di 20 vennero qua indirizzati dal Prefetto di Ancona; parecchi da Sassari, da Napoli; e nove da Tortorigi in Sicilia e da altri paesi d'Italia.

 

Le scuole dell'Oratorio di S. Francesco di Sales

e l'Autorità scolastica.

 

                Per lo spazio di oltre a 35 anni le nostre scuole primarie, tecniche e secondarie tanto per gli interni quanto per gli esterni, furono sempre oggetto di benevolenza per parte dell'Autorità scolastica.

                La legge Buoncompagni del 1848 considerò questo Ospizio come ricovero di poveri giovani, Istituto di arti e mestieri, e ci lasciò totalmente sotto al Ministero dell'Interno. (V. Legge Buoncompagni, Art. 3).

                Lo stesso dicasi della legge Lanza nel 1857. Quel Ministro non solo lasciò le nostre scuole libere nella scelta dei maestri, ma le sussidiò più volte, e con lettera del 29 aprile del 1857 diede mi premio di L. 1000, assicurando il suo appoggio e tutti i mezzi che da lui dipendevano, affinchè, questo Istituto avesse il suo maggiore sviluppo.

                La legge Casati nel 1859 lasciò pure le nostre scuole nella loro autonomia; e l'Autorità scolastica continuò coll'opera personale e anche con sussidii pecuniarii ad appoggiare questo Istituto, il quale prosegui a godere del libero esercizio riguardo ai maestri.

                Nel 1865 il R. Provveditore degli studi, ignaro del carattere, della natura tutta speciale del “medesimo, voleva considerarlo quale ,ginnasio privato, e quindi obbligato ad avere professori, patentati; ma una lettera del Ministro dell'Interno ed un'altra del Sindaco di Torino, indirizzate al sig. Ministro della Pubblica Istruzione, dichiararono essere questa un'Opera di beneficenza in tutto il rigore della parola; e notarono che l'obbligazione di porre maestri patentati e perciò stipendiati in classe ne sarebbe la rovina, non avendosi un soldo nel suo bilancio preventivo. Pago di quella asserzione il sig. Ministro ed il R. Provveditore non fecero più parola sulla legalità dei nostri insegnanti. Si veda la lettera dell'Appendice n. 4.

                In tutto questo tempo (1841-1877) i Ministri della Pubblica Istruzione ci hanno costantemente inviati poveri fanciulli; ed i RR. Provveditori godevano di potersi recare eglino stessi nelle classi a porgere [743] norme didattiche ai maestri e dare lezioni ai medesimi allievi. Tutti questi superiori scolastici hanno sempre promosso il nostro insegnamento, nè mai pensarono a sottoporlo alla legge comune per ragione che:

                I° É un Ospizio di carità; vive di beneficenza quotidiana; non compromette gli interessi nè pubblici nè privati di alcuno. Anzi ridonda a vantaggio del medesimo Governo, il quale spesso non saprebbe come provvedere a certi fanciulli, che non sono discoli, ma sono abbandonati ed in evidente pericolo di divenire tali.

                2° Questi giovanetti per lo più sono raccolti gratuitamente, se si eccettuano le limosine de' benefattori che li raccomandano. Così furono soliti di fare i nostri benefattori e gli stessi Ministri dello Stato. (V. Appendice n. 5).

                3° Gli allievi ricevono l'istruzione totalmente gratuita; e per lo più loro si devono eziandio somministrare. gratuitamente libri, carta e simili oggetti di cancelleria.

                4° I maestri poi con zelo, e con abnegazione degna di alto encomio compiono i loro particolari doveri, e trovano tempo a fare gratuitamente le lezioni ai loro allievi.

                5° La felice riuscita degli allievi nei pubblici esami, e la luminosa carriera, che parecchi di essi percorrono nelle, lettere, nella filosofia, nelle varie facoltà universitarie, nella milizia e nel commercio sono chiaro argomento che l'istruzione data dagli insegnanti appaga la comune aspettazione.

 

Errore di fatto.

 

                Quanto si è fin qui esposto pare dimostri chiaramente che l'Oratorio di S. Francesco di Sales è un Ricovero, un Ospizio di carità, ove fra i mezzi educativi avvi eziandio gratuitamente lo studio secondario, tecnico e professionale. Così giudicarono e praticarono tutti i Ministri della Pubblica Istruzione, e i RR. Provveditori per oltre a 35 anni. Soltanto nel 1878 il sig. Provveditore agli studi di Torino, non bene informato dello scopo e della natura di questo Istituto, volle denominarlo Ginnasio privato annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales, e quindi assoggettarlo alla Legge che dirige i Ginnasii Privati. Di qui nacque la sua dimanda di professori patentati, di poi l'obbligo ai medesimi di trovarsi in classe ad un orario determinato; e in fine la chiusura dell'Istituto, e la dispersione degli allievi.

                É questo un errore di fatto, perciocchè il Ginnasio annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales non è altrimenti mai esistito, e niuno sa indicare il luogo di sua esistenza. Tutti poi conoscono e sanno qualificare questo Oratorio come Opera di carità, a cui sono annessi altri Oratorii di beneficenza, dove tra allievi interni ed esterni, tra quei de' giorni festivi e dei feriali, tra quei che frequentano le scuole [744] diurne e quelli che accorrono alle serali, si adunano più migliaia di poveri fanciulli per essere educati al sapere, alla moralità, al lavoro.

 

Supplica.

 

                Esposto quanto sopra, io non intendo di movere accusa di sorta o lamento contro di alcuno: solamente desidero di tutelare l'avvenire de' miei allievi; e perciò supplico umilmente S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione a voler tuttora considerate questo Istituto quale Ospizio di carità, in cui il Direttore, sostiene veramente le veci di padre in conformità della legge Casati, art. 251-252;

                Concedere che lo scrivente sotto la sua responsabilità e vigilanza possa gratuitamente istruire o far dare l'istruzione dei corsi elementari e tecnici secondo l'art. 356;

                Che possa continuare l'insegnamento di quelle parti di corso secondario, che si ravviserà confacente per la tipografia, pel commercio, per la milizia o per altra carriera, che possa tornare vantaggiosa ai poveri giovani di questo Istituto;

                Che si possano questi di nuovo liberamente raccogliere, tórre dai pericoli, e terminare quella educazione, che valga a dar loro un mezzo con cui giungere quanto prima a guadagnarsi onestamente il pane della vita.

 

32.

 

Ricorso di Don Bosco al Re Umberto I.

 

                Maestà.

 

                Confidato in quella paterna bontà, che vi fa sollecito per ogni cosa, che si appartenga al bene dei vostri sudditi, e nella particolare benevolenza, che dimostraste in più occasioni verso i poveri giovanetti ricoverati nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, e valendosi del diritto, che gli accorda l'art. 9° n. 4 della legge sul Consiglio di Stato 20 marzo 1865, il sacerdote Bosco fa umile ricorso a V M. per un affare, in cui sono implicate le sorti di migliaia di ragazzi abbandonati, e non lievi interessi della religione, della moralità e della patria.

                É noto a V. M. come un decreto del Ministero di Pubblica Istruzione in data 16 maggio 1879 (V, Allegato A) ordinava la chiusura delle scuole secondarie, che da trentacinque anni si facevano a benefizio dei poveri giovanetti ricoverati nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Per cagione di questo decreto dovettero essere chiuse le scuole prima del termine dell'anno scolastico, e dispersi gli allievi, con quanto loro danno e con quanto dolore lo immagini V, M, [745] Or bene questo decreto non si fonda nè sopra la verità dei fatti, nè sopra una retta applicazione delle leggi.

                Permetta V. M. che come direttore dell'Istituto ed obbligato per dovere di carità ad usare ogni mezzo consentito dalle leggi per salvare dall'estrema rovina questi poveri fanciulli, il sacerdote Bosco si faccia ad esporle alcune osservazioni in proposito, invocando nel medesimo tempo quella giustizia, che la saggezza di V. M. ed il suo cuore paterno. Le detteranno.

 

Parte prima.

 

                A fine di dare a V. M. una giusta idea della natura e dello scopo di questo Istituto gioverà certamente un ragguaglio storico, da cui apparisca quali siano stati i suoi rapporti colle pubbliche autorità, e come dalle medesime sia stato costantemente riconosciuto opera di Carità da' suoi primordi sino al presente.

                Fin dall'anno 1841 il sacerdote Bosco, aiutato dalla carità dei privati e dai sussidi del Governo, va raccogliendo giovani abbandonati e li ricovera in casa sua per salvarli dai pericoli dell'indigenza e dalla corruzione delle pubbliche strade. Provvede loro il vitto ed il vestito, e come buon Padre si adopera a dar loro una cristiana educazione. Non bastando egli solo a tanta impresa cerca di associarsi altri, che animati dalla medesima carità l'aiutino. A questo fa imparare un mestiere, a quello un altro. E poichè ai nostri tempi è divenuta necessità il saper leggere, scrivere e far di conto, egli, mettendo a profitto i ritagli di tempo avanzati al lavoro, provvede a' suoi figliuoli adottivi una conveniente istruzione. Alcuni poi, perchè forniti di svegliato ingegno, o perchè appartenenti a famiglie decadute, soglionsi destinare al corso tecnico, al francese ed anche ad alcuni anni di studio classico. Con questo mezzo si provvedono allievi compositori nella Tipografia dell'Istituto, assistenti nell'Ospizio, mentre non pochi si dànno alla carriera militare, o allo studio letterario, secondo che loro pare nel più breve lasso di tempo poter giungere a guadagnarsi onesto sostentamento. In siffatta maniera si poterono secondare le propensioni de' nostri giovani, e organizzare un sistema educativo conveniente ad un Istituto, elle in breve tempo giunse a raccogliere ben novecento giovanetti, elle tanti appunto al presente sono gli allievi del nostro Ospizio.

                Sin qui l'Oratorio di S. Francesco di Sales fu considerato quale ospizio di carità a benefizio dei poveri ed abbandonati fanciulli. L'Autorità Scolastica lo aiutò moralmente e materialmente.

                Il novello modo di raccogliere ed educare i figli della più bisognosa, e, possiamo dire, della più pericolante porzione della Società, trasse gente da varie parti.

                Il Sindaco di Torino, Cav. Bellono, il Prefetto, parecchi Deputati [746] e Senatori venivano con piacere a farci visita passando delle ore nei laboratorii, nelle scuole, e perfino in ricreazione coi fanciulli.

                Un giorno venne il conte Sclopis col marchese Ignazio Pallavicini e col conte Luigi Collegno, tutti Senatori del Regno. Visitarono l'Ospizio, le scuole, il giardino di ricreazione e le radunanze festive.

                Nella loro partenza dissero voler riferire ogni cosa al Senato, affinchè ne facesse calda raccomandazione al Governo, e lo impegnasse a favorire una istituzione elle ha per fine, essi dicevano, di diminuire il numero dei discoli e di quelli che vanno a popolare le carceri.

                Difatto nella tornata 10 marzo 1850 la Camera dei Senatori diede una splendida testimonianza a questa istituzione. La commissione di Senatori, che si recò tra noi, raccomandò vivamente al Governo l'opera degli Oratorii affinchè la favorisse, l'appoggiasse con mezzi morali e materiali, come istituzione veramente utile ai nostri tempi, eminentemente umanitaria e cristiana.

                Si può vedere l'esposizione di tale visita negli atti del Senato, come nell'Appendice n. I, dell'Opuscolo l'Oratorio di S. Francesco di Sales. Allegato F.

                Il Governo e sopratutto il Ministero dell'Interno prese allora in alta considerazione la raccomandazione dei Senatori, e cooperò anche con mezzi materiali allo sviluppo dell'Ospizio.

                I ministri Rattazzi, Cavour, Farini, Lanza, Peruzzi, Ricasoli, Nicotera, giudicarono questo Istituto quale opera loro, inviandoci qui ogni genere di ragazzi abbandonati. Quando poi aveva luogo qualche trattenimento di ginnastica, distribuzione di premi, teatrino, o concerti musicali, quei benemeriti Signori si professavano lieti di poter intervenire quali Padri in mezzo ai Proprii figli. Più d'una volta avvenne che il Prefetto della Provincia e il Sindaco di Torino accompagnavano il ministro dell'Interno ed anche i Principi di Casa Reale a prendere parte alle nostre feste di famiglia. Alcune lettere dell'Appendice n. 2, del precitato opuscolo fanno testimonianza dell'asserto, e palesano il giudizio che quel personaggi facevano di questo Istituto.

                Il Municipio di Torino ha sempre considerato l'opera degli Oratorii come istituzione di beneficenza. La incoraggiò coli premi, la favorì con mezzi materiali e indirizzovvi assai di frequente dei, fanciulli pericolanti.

                Nel 1854 quando il Cholera morbus invase i nostri paesi, il Sindaco di Torino raccolse in apposito locale i fanciulli fatti orfani dal morbo micidiale, e ne affidò la cura e la direzione allo scrivente. Una cinquantina dei più abbandonati furono dal medesimo Sindaco inviati quest'Ospizio, dove vennero educati, istruiti e avviati ad un'arte  mestiere. Si veda l'Appendice n. 3 del citato opuscolo.

                Altri fanciulli pure colpiti dalla stessa sventura in numero di 20 vennero qua indirizzati dal Prefetto di Ancona: parecchi da Sassari, da Napoli e nove da Tortorigi in Sicilia e da altri paesi d'Italia. [747] Assai benevolo concetto mostrò sempre avere di questo Istituto la R. Famiglia. Più volte i nostri amati Sovrani Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, avendo inteso che l'Istituto versava in grandi strettezze, lo soccorsero con offerte degne di loro reale munificenza; e quest'ultimo in certe occasioni, con segno di veramente paterna benevolenza, rallegrò coi frutti delle sue caccie la mensa dei nostri poveri giovanetti. I Principi poi, oltre le ricche offerte di danaro e di tutti gli attrezzi di ginnastica, elle avevano servito a loro nel Real Castello di Moncalieri, si degnarono talvolta di onorare quest'Oratorio assistendo alle rappresentazioni teatrali, che davano i giovani per loro spasso e divertimento.

                Noi ci ricordiamo sempre con gratitudine i soccorsi che V. M. si degnò d'inviarci più volte ed il suo nome sta scritto fra i più insigni benefattori di questo Istituto.

                Nè meno favorevoli furono le relazioni di questo Istituto colle Autorità Scolastiche.

                La legge Boncompagni del 1848 considerò questo Ospizio come ricovero di poveri giovani, e lo lasciò totalmente sotto al Ministero dell'Interno. (V. Legge Boncompagni art. 3).

                Lo stesso dicasi della legge Lanza nel 1857. Quel Ministro non solo lasciò le nostre scuole libere nella scelta dei Maestri, ma le sussidiò più volte, e con lettera del 29 aprile del 1857 diede un premio di lire 1000 assicurando il suo appoggio e tutti i mezzi che da lui dipendevano, affinchè questo istituto avesse il suo maggior sviluppo.

                La legge Casati nel 1859 lasciò pure le nostre scuole nella loro autonomia; e l'Autorità scolastica continuò coll'opera personale e anche con sussidii pecuniarii ad appoggiare questo istituto, il quale proseguì a godere del libero esercizio riguardo ai maestri.

                Nel 1865 il R. Provveditore degli studi, ignaro del carattere, della natura tutta speciale del medesimo, voleva considerarlo quale ginnasio privato, e quindi obbligarlo ad avere professori patentati; ma una lettera del Ministro dell'Interno ed un'altra del Sindaco di Torino indirizzate al sig. Ministro della Pubblica Istruzione, dichiararono esser questa un'opera di beneficenza in tutto il rigore della parola; e notarono che l'obbligazione di porre maestri patentati e perciò stipendiati in classe, ne sarebbe la rovina, non avendosi un soldo sul bilancio preventivo. Pago di quella asserzione il sig. Ministro ed il R. Provveditore non fecero più parola sulla legalità dei nostri insegnanti. Si veda la lettera nell'Appendice n. 4, dell'Opuscolo citato.

                In tutto questo tempo (1841-1877) i Ministri della Pubblica Istruzione ci hanno costantemente inviati poveri fanciulli; ed il RR. Provveditori godevano di potersi recare eglino stessi nelle classi a porgere norme didattiche ai maestri e dare lezioni ai medesimi allievi. Tutti questi Superiori scolastici hanno sempre promosso il nostro insegnamento [748], nè mai pensarono a sottoporlo alla legge comune. Solamente nell'anno scolastico 1877-78, il Sig. Provveditore ordinò di porre in classe insegnanti titolati sotto pena di non permettere l'insegnamento ginnasiale. Tale esigenza cagionava non leggero disturbo e spesa.

                Tuttavia considerando che questo sarebbe stato un infortunio per tanti figli del popolo, e desideroso d'altro canto di obbedire, non alla legge, che ciò non comandava, ma all'Autorità che così esigeva, vennero scelti cinque professori patentati, cui furono affidati i diversi insegnamenti voluti dalla legge. Non sembrò pago di questo il Sig. Provveditore, il quale in due ispezioni fatte improvvisamente all'Istituto dichiarò che per la pulizia, igiene, disciplina e moralità, non si lanciava niente a desiderare, ma notò che nel tempo della sua ispezione mancavano dalla scuola alcuni professori titolati e che le loro classi erano tenute da Supplenti. Per questo solo fatto il Consiglio scolastico provinciale, dietro relazione del Provveditore, propose la chiusura delle scuole Salesiane, ed il Ministero approvando la proposta emanò il decreto di chiusura il 16 maggio 1879, che ritardò a comunicare a D. Bosco fino al 23 giugno. Vedi Allegato A2.

                Ricevuto questo decreto il Sacerdote Bosco, si rivolgeva al Ministero facendogli osservare che quel decreto non aveva fondamento legale, sia perchè essendo il suo un Istituto di beneficenza, non era tenuto a porre nelle classi professori titolati, sia perchè, come si richiede negli istituti privati, i diversi insegnamenti erano affidati a professori patentati, i quali, quando siano impediti dal far lezione, possono farsi supplire da altri insegnanti; sia ancora perchè non vi era nessuna delle gravi cagioni indicate dell'articolo 242 della legge per la chiusura di un istituto.

                Quella lettera fu lasciata senza risposta. Allora si ricorse a V. M. che con patema ed ammirabile bontà mandava al Ministro di Pubblica Istruzione il fatto ricorso (V. Allegato B). Il Ministero rispose ripetendo le parole del decreto di chiusura, come consta da lettera scritta al Ministro della Casa Reale in Torino, di cui il Sacerdote Bosco non potè avere copia.

                Sottentrato un novello Ministero, D. Bosco rinnovò più volte la dimanda perchè fosse rivocato il decreto. Ma invano. (Vedi Allegati C1 e C2).

                Dalla fatta esposizione risulta:

                I° Che l'Oratorio Salesiano è un ospizio di beneficenza;

                2° Che per tale fu tenuto sempre dalle Autorità del Regno;

                3° Che le sue scuole ne formano parte integrante, come quelle che son destinate alla educazione dei giovanetti in esso ricoverati;

                4° Che pel corso di 30 e più anni, sotto gli occhi delle Autorità, e col loro favore ed aiuto il Sac. Bosco potè dare l'istruzione necessaria ai suoi giovanetti senza che mai si pretendessero da lui professori titolati; [749]

                5° Che solamente dal 1877 in qua le Autorità scolastiche si misero nell'impegno d'esigere dalle scuole salesiane i Professori titolati, e credendo di non averli trovati nell'anno passato ne ordinarono la chiusura.

                Sopra questo ultimo fatto mi sia lecito aggiungere alcune osservazioni. E’ certo essere le scuole Salesiane un'opera di beneficenza. Ora è giusto e ragionevole che si esigano per esse professori titolati? No: per le seguenti ragioni:

                I° Lo stipendio necessario a provvedere i professori titolati è tutto sottratto alla beneficenza, ed il Governo che li esige viene con questo a colpire di una tassa gravissima i poveri giovani abbandonati;

                2° Negli istituti privati si chiedono i titoli legali per assicurare la buona riuscita in giovani, che, qualora non vi fossero istituti privati, avrebbero agio di frequentare le scuole pubbliche e godere il benefizio di una soda istruzione. Ma ciò non accade nelle scuole di D. Bosco, i cui allievi, se non vi fossero quelle, non avrebbero modo di frequentarne altre. Qui il Governo, a cui incombe il dovere di promuovere l'istruzione, non ha da scegliere fra il poco ed il molto; ma tra il poco (nel caso che fosse poca l'istruzione data dai professori non titolati) è il niente, e mi pare che non debba restare dubbioso nella scelta. (Vedi Allievo, pag. 2 1, 22 dell'opuscolo: La Legge Casati, ecc. AIlegato G.)

                3° Un'altra grave differenza corre tra gli ospizj di beneficenza e gli istituti privati, ed è che questi, esigendo dagli allievi una regolare pensione, debbono dar loro certe guarentigie d'idoneità, ed il Governo le deve assicurare. Ma ciò male a proposito si esigerebbe da un'opera di beneficenza, ove ogni cosa è data gratuitamente. Qui il Governo non ha da assicurare la quantità o la forma dell'istruzione, ma solamente la qualità in ciò che si riferisce alla moralità od alle patrie istituzioni (Vedi Allievo opusc. cit. pag, 27), per il che non son necessari i titoli legali di abilitazione all'insegnamento.

                4° Il Professor Allievo a pag. 23 del citato opuscolo fa al nostro proposito l'osservazione seguente: L'art. 356 della legge suona in tal modo:

                Le persone che insegnano a titolo gratuito nelle scuole festive pei fanciulli poveri, o nelle scuole elementari per gli adulti od in quelle dove si fanno corsi speciali tecnici per gli artieri, sono dispensate dal far constare la loro idoneità.

                Le parole dell'art. da me poste in corsivo accennano all'insegnamento secondario tecnico, sebbene il Capo, a cui esso si riferisce, appartenga, al titolo V. della legge, che riguarda la istruzione elementare. Ma siccome in questo stesso titolo è compreso il capo degli articoli riguardanti le scuole normali, che non appartengono di sicuro all'istruzione elementare, perciò se non sono richiesti i titoli legali [750] a chi insegni a titolo gratuito in iscuole tecniche, che costituiscono il primo grado dell'insegnamento secondario tecnico, ragion vuole che fruisca della stessa concessione chi insegna a titolo gratuito in iscuole ginnasiali che formano il primo grado dell'insegnamento secondario classico.

                5° Le scuole Salesiane, che coll'approvazione di tutte le Autorità godettero per più di 3o anni la facoltà di sussistere e prosperare senza i professori titolati, pare che abbiano acquistato un diritto di prescrizione, che non deve loro esser tolto, se non vengano meno allo scopo della loro fondazione, ed allo spirito che le informava. Il che ha tanto più forza in questi ultimi tempi che le istituzioni patrie e lo spirito nazionale tendono ad ogni maniera d'onesta libertà.

                6° Il decreto del Ministero di Pubblica Istruzione, di cui è qui unita la copia, dice: (V. Allegato A) il ginnasio privato annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino tenuto dal Sacerdote Bosco è chiuso. Da queste parole apparisce che l'Autorità scolastica credette di trovare nelle scuole dell'Oratorio Salesiano un ginnasio privato annesso al medesimo; che le riguardò come uno di quegli istituti, che la legge comprende sotto questo nome, ne richiese le medesime condizioni e parendole di non averle trovate, ne ordinò la chiusura.

                Ma questo è un grave errore di fatto. All'Oratorio Salesiano non fu mai annesso un ginnasio privato; ma vi furono delle scuole destinate all'educazione dei poveri giovani in esso ricoverati, le quali ne facevano parte integrante, a quella guisa che un padre non si dice annettere un ginnasio privato alla sua famiglia, quando insegna o fa insegnare a' suoi figli gli elementi delle lettere e delle scienze.

                Il che si fa più chiaro pei seguenti fatti:

                A- Nell'art. 247 della legge Casati sono prescritte le formalità che deve compiere chiunque voglia aprire legalmente un ginnasio. Ma le scuole Salesiane esistevano già prima di detta legge, la quale non avendo nulla disposto a lor riguardo, s'intende che, le lasciava nella lor primiera condizione; e le Autorità scolastiche non pensarono mai a richiedere dal Sac. Bosco tali formalità, riconoscendo essere ben altra la natura del suo Istituto.

                B. L'articolo 246 della legge dice ancora che gli insegnamenti (nei ginnasi privati) debbono essere dati in conformità del programma in cui sarà annunziata al pubblico l'apertura dello Stabilimento. Dal che apparisce, che aprendosi un ginnasio privato la Direzione deve farne conoscere al pubblico il programma d'insegnamento per norma dei genitori. Ora il Sac. Bosco non ha mai annunziato al pubblico il programma d'insegnamento da seguirsi nelle scuole del suo istituto; ma i giovani raccomandati accettava a patto che si lasciasse a lui, come a buon padre, la facoltà di far loro apprendere quel mestiere o quella scienza, che fosse più confacente all'indole ed all'ingegno di ciascuno, e meglio provvedesse al suo avvenire. Il che mostra il suo [751] essere un ricovero di giovani abbandonati, ove si provvede a ciascuno, secondo i bisogni e le possibilità, e noli già un istituto privato, col quale i parenti pattuiscono l'istruzione da dare ai figliuoli, e la esigono conforme a un determinato programma.

                Dunque l'Autorità scolastica ponendo le scuole di D. Bosco nell'ordine dei ginnasi privati, come apparisce dal decreto, ed applicando loro le leggi di quelli, prese un grave abbaglio circa la natura di esse, e poichè il decreto di chiusura è conseguenza di questo abbaglio, ne consegue che non possa essere fondato sulla legge.

                Le cose fin qui discorse dimostrano che l'Oratorio Salesiano di Torino e per la sua natura, e per le sue passate relazioni colle diverse Autorità dello Stato deve ritenersi quale un ospizio di cristiana beneficenza, e come tale pel corso di trent'anni e più lasciato sussistere senza bisogno di professori patentati.

 

Parte seconda.

 

                Ma anche dato e non concesso che l'Ospizio Salesiano sia da considerarsi quale ginnasio privato contemplato dalla legge, il decreto di chiusura è pur sempre illegale.

                I° La Legge Casati a guarentigia del libero insegnamento sancisce che un istituto privato, in cui le diverse materie sono affidate ad insegnanti patentati, non possa essere chiuso, se non per gravi cagioni, che offendano, o la morale, o le patrie istituzioni, o l'igiene. Ora all'Autorità scolastica locale non venne fatto di scoprire nè di addurre neppur una delle tre ragioni di chiusura indicate dalla legge. Mancavano forse gli insegnanti titolati? No; perchè li riconosce il decreto med.° ministeriale dichiarante che “D. Bosco mandò una lista di insegnanti abilitati, mentre in realtà si serviva di non abilitati”. Segno evidente che l'Ospizio aveva i suoi maestri legalmente approvati. Perchè adunque fu chiuso? Perchè essi non hanno sempre insegnato personalmente, ma ogniqualvolta furono costretti dalla necessità si fecero surrogare in iscuola da altri insegnanti non titolari di loro fiducia, come si è sempre fatto in tutti gli istituti anche governativi. Ciò posto, la legge non determina quanti mesi dell'anno debba durare l'insegnamento in un istituto privato, quante lezioni alla settimana vanno consacrate, quante ore al giorno. Ella non vincola a nessun orario scolastico il capo di un collegio privato, e gli articoli 258-259, che determinano la durata dell'anno scolastico, i giorni d'insegnamento, il numero delle lezioni settimanali, riguardano i ginnasi ed i licei pubblici; tanto è, che vi si legge: “nel caso, in cui si chieda loro (ai professori) un più gran numero di ore, si fa luogo ad un'indennità”. Parole che certo noli vanno riferite ad insegnanti privati. La quale libertà a più forte ragione si deve concedere ai maestri dell'Oratorio Salesiano, dove l'anno scolastico dura due mesi [752] più che negli altri istituti. Nessun diritto adunque aveva il Provveditore di esigere che nei giorni e nelle ore della sua visita i professori titolati dell'Oratorio fossero presenti a far lezione, ed egli ingannò sostanzialmente la legge, la quale in quella loro assenza non trova una cagione di chiusura delle scuole, e però D. Bosco non ha ingannato nessuno: i professori legalmente abilitati, di cui mandò la lista, hanno davvero essi medesimi insegnato, non quanto, nè quando pretese l'Autorità scolastica locale, ma quanto e quando hanno potuto e dovuto per obbedire alla legge, e provvedere all'istruzione dei giovanetti (e le statistiche degli esami soli lì a farne prova) (V. Allegato D).

                2° Giova altresì avvertire elle la legge vuole affidati a professori patentati gli insegnamenti di uno stabilimento privato, i quali perciò riposano sulla risponsabilità dei medesimi a guarentigia della pubblica fede, sicchè niente vieta che un insegnante titolato si faccia all'uopo surrogare in iscuola da un supplente non legale che goda la sua fiducia[505].

                3° A tenor della legge 22 giugno 1857, non abrogata dalla legge Casati, l'Autorità scolastica prima di ordinare la chiusura di un istituto privato deve sentire le difese del suo Direttore (Vedi l'opuscolo dell'Allievo, pag. 24); ma l'Istituto Salesiano fu processato, condannato e chiuso senza elle mai il Sac.Bosco fosse chiamato a dire le proprie ragioni.

                4° Il Ministero aveva decretato la chiusura del ginnasio privato; e siccome un ginnasio è luogo dove s'insegna, così legalmente è chiuso quando vi è cessato l'insegnamento, come cessava di fatto il 30 giugno nelle Scuole Salesiane. Ma il Prefetto volle colpire in quel ginnasio anche il pio ospizio ordinando lo sfratto a tutti gli alunni e figli del popolo, che vi attendevano pacificamente agli studi (V. Allegato E1 E2). Nessuna legge, nessuna autorità superiore può strappare dal seno di un ospizio di carità tanti poveri figli per gettarli sul lastrico od alla mala ventura.

                5° Un'ultima ragione assai potente, che basterebbe essa sola a togliere ogni valore legale alla deliberazione di chiusura proposta da questo Consiglio scolastico provinciale, è la seguente:

                I Consigli scolastici provinciali, quali funzionano oggidì e come vennero costituiti giusta il reale decreto 22 settembre 1867, sono privi di ogni fondamento legale, perchè contrario all'art. 39 della vigente legge Casati, la quale esclude dal consiglio il Prefetto ed altri membri, che presentemente ne fanno parte. Infatti il citato decreto reale si chiudeva con questo articolo: “il presente decreto sarà sottoposto all'approvazione del Parlamento per essere convertito in legge”. Ciò significa che l'Autore medesimo del decreto vedeva esser esso contrario alla legge, e che per essere eseguito si doveva derogare alla [753] legge stessa. Ora sta di fatto che quel decreto non fu mai convertito in legge, eppure fu fatto eseguire e si eseguisce tuttora. Di qui consegue che ogni deliberazione del Consiglio scolastico, e però anche quella relativa alla chiusura dell'Ospizio Salesiano, non ha valore legale, perchè emanato da un'Autorità non riconosciuta dalla legge. Riepilogando ora quanto fu discorso fin qui, risultano chiari i punti seguenti:

                I° Che l'Oratorio di S. Francesco di Sales è un Ospizio di beneficenza;

                2° Che le sue scuole non sono altrimenti un ginnasio privato annesso al medesimo, come dice il decreto di chiusura, ma scuole destinate a completare l'educazione dei poveri giovani in esso ricoverati, e ne formano parte integrante. Perciò il giudizio, che ne recarono testè il Consiglio scolastico di Torino ed il Ministero di Pubblica Istruzione non può essere che erroneo, come quello che si fonda sopra un falso supposto;

                3° Che il detto Oratorio come opera di beneficenza non cade sotto la legge che governa gli istituti privati, e non si possono ragionevolmente richiedere per le sue scuole. i professori titolati;

                4° Che tale è il concetto, in che lo ebbero per trenta e più anni le Autorità scolastiche del Regno, le quali perciò non pensarono mai ad imporgli una sì gravosa condizione;

                5° Che l'attuale R. Provveditore di Torino, esigendo dall'Oratorio Salesiano i professori titolati, mostrò di non conoscerne la natura o di ignorare lo spirito delle nostre libere istituzioni, e fece oltraggio a quelli, che per trenta e più anni lo precedettero nel governo della pubblica istruzione;

                6° Che dato e non concesso che le scuole di D. Bosco fossero un ginnasio privato, quale è contemplato dalla legge, il decreto di chiusura è pur sempre illegale, perchè mancano tutte le ragioni richieste dalla legge per la chiusura di un ginnasio privato;

                7° Che il giudizio, col quale il Ministro ne ordinava la chiusura, è privo delle debite forme, ed i motivi sopra cui si appoggia, mancano al tutto di verità;

                8° Che il Consiglio scolastico provinciale è oggidì costituito in forma illegale, e perciò ogni sua deliberazione è irrita e nulla.

                Per la qual cosa il Sac. Bosco, spinto dal dovete che ha di proteggere con tutti i mezzi dalla legge consentiti i poveri giovanetti, che la Provvidenza gli ha affidati, e fatto animoso dalla bontà e sollecitudine, colla quale V. M. attende al bene dello Stato e massime dei figli del popolo, ardisce supplicare V. M. che usando del suo potere sovrano voglia:

                I° Riconoscere la illegalità del citato decreto e liberare il suo istituto da grave e non meritata sciagura, rivocandone le disposizioni; [754]

                2° Dichiarare l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino Ospizio di beneficenza, concedendo al suo direttore la facoltà di dare e far dare sotto la sua vigilanza e responsabilità quella istruzione elementare, tecnica e letteraria, che reputerà necessaria pei bisogni dei giovanetti in esso ricoverati, senza l'obbligo dei professori titolati.

                La giustizia delle cose domandate, l'utilità grande che ne può derivare ai privati ed alla civile società fanno sperare che V. M. potrà seguire la paterna bontà del suo cuore, e consolare una numerosa schiera di poveri fanciulli, che da cinque mesi versano in angosciosa incertezza del loro avvenire.

                Di V. M.

                Torino, 13 Novembre 1879.

 

Umile supplicante

Sac. Gio. Bosco.

 

33.

 

Lettera Ministeriale che accompagnava l'incartamento

relativo aliti pratica di Don Bosco al Consiglio di Stato.

 

                A. S. E. il Presidente del Consiglio di Stato.

 

                Il sacerdote Bosco Giovanili ricorre alla Maestà del Re contro il Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 16 maggio 1879 che ordinò la chiusura del Ginnasio annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Fu chiuso il ginnasio perchè in contravvenzione alla legge scolastica che impone l'obbligo della patente per gli insegnanti nelle scuole private.

                Il Ricorrente sostiene che il Ginnasio è un'Opera pia, e in ogni modo che illegalmente fu chiuso, non sussistendo il motivo addotto, cioè che i Professori fossero privi dì patente;

                Non è esatto il dire che il Ginnasio sia un'opera pia, ma si dica piuttosto che è mantenuto da una Associazione di beneficenza, il che non gli toglie il carattere di privato. Quanto alla affermazione che i Professori sono sforniti di patente, essa nasconde un equivoco, come si può vedere dai rapporti del Provveditore agli studi di Torino.

                Oltre al ricorso e ai documenti in esso citati, si manda due verbali del Consiglio scolastico e due relazioni del Provveditore agli studii di Torino e il parere del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione. E ora nella questione trattata nel ricorso attendo il parere dell'Eccellentissimo Consiglio di Stato

                Roma, addì 24 Dicembre 1879,

 

p. Il Ministro

FRUMELLI. [755]

 

34.

 

Relazione del provveditore Rho al Ministero.

 

 

                Il Ginnasio annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales in questa Città, numeroso sempre di più che trecento alunni, è diviso come i ginnasi governativi in cinque classi, nelle quali si insegnano le materie, si seguono i programmi e si adoperano i libri di testo che sono prescritti, o raccomandati dalla legge e dalle vigenti istruzioni ministeriali

                In detto istituto non sono ammessi alunni esterni. - I giovani in esso ricoverati appartengono generalmente a famiglie povere o poco agiate e pagano la modica pensione di lire 24 mensili. Se non può pagare la famiglia dell'alunno, si procura che paghi la pensione per. intiero, od almeno in parte, qualche congiunto o qualche suo benefattore. Pochissimi, al dire di persone di fede, che sono state in detto istituto, sono gli alunni che possono ottenere di esservi tenuti gratuitamente.

                I migliori alunni della quinta classe del Ginnasio si presentano annualmente in numero di venti o trenta agli esami di Licenza in uno dei ginnasi governativi dì questa Città e generalmente vi fanno buona prova. Questi, unitamente a qualche altro loro compagno, vestono poi l'abito ecclesiastico, e passano al corso triennale di filosofia (che non si è mai voluto sottoporre alla vigilanza dell'autorità scolastica) e quindi a quello di teologia, che si tengono nello stesso Oratorio di S. Francesco di Sales e finiscono per ascriversi all'ordine dei preti Salesiani istituito dal D. Bosco e riconosciuto dalla Santa Sede.

                Questi preti Salesiani poi, se hanno discreto ingegno, trovano modo di farsi ascrivere come studenti all'Università e conseguono la laurea di lettere o per lo meno il diploma di abilitazione allo insegnamento ginnasiale inferiore; gli altri si contentano di presentarsi agli esami di patente per l'insegnamento elementare. In questo modo il D. Bosco si procura un buon numero di maestri legalmente abilitati all'insegnamento, che destina agli Istituti da lui mantenuti in Italia e fuori.

                Se non che, essendo questi in troppo gran numero, perchè il D. Bosco possa fornirli tutti d'insegnanti debitamente approvati, avviene sovente che egli debba valersi dell'opera di insegnanti sprovvisti di titoli legali e che, incontrando perciò qualche opposizione nell'autorità scolastica, si permetta di ricorrere a sotterfugi e gherminelle che gli fanno grave torto agli occhi delle persone, che nella sincera osservanza delle patrie leggi ripongono il primo dovere di chi attende all'educazione della gioventù.

                Da tutto ciò panni si possa dedurre che il Ginnasio annesso all'Oratorio di S. Francesco di Sales vuolsi considerare, più che altro, [756] come un vivaio, da cui il Sac. Bosco, istitutore di un ordine religioso, trae i suoi seguaci, parecchi dei quali vengono da lui inviati all'istruzione dei giovani nei numerosi suoi Istituti.

                Non è dubbio adunque che il suddetto ginnasio non abbia per iscopo di procurare un certo qual bene a parecchi giovani, traendoli dalla bassa condizione in cui si trovano per farne dei preti regolari, che intraprendono poi generalmente la carriera dello insegnamento sotto la immediata direzione del superiore da cui dipendono; ma non è meno vero che i due terzi per lo meno degli alunni del suddetto Istituto, o interrompendo a metà il corso dei loro i studii, o non entrando, dopo di averlo compiuto, nell'ordine dei Salesiani, sì riversano nella società privi di mezzi di fortuna, non più atti ai lavori manuali, cui vennero tolti da fanciulli, e non abbastanza istruiti per poter intraprendere una carriera civile. Per costoro quello di Don Bosco è, a parer mio, tutt'altro che istituto di beneficenza.

                Parmi d'aver con la presente fornite all'E. V. intorno all'Istituto del Sac. Giov. Bosco tutte le notizie che si richiedono, perchè il Consiglio di Stato possa conoscerne l'indole ed il carattere, e perchè si possa definire irrevocabilmente se esso debba continuare ad essere riguardato quale Istituto indipendente dall'autorità scolastica, od almeno non tenuto all'osservanza della legge in ciò che riguarda le scuole in esso esistenti e gli insegnanti che vi sono addetti.

                Torino, 7 aprile 1880.

 

Il Provv. agli studi

G. RHO

 

35.

 

Stato materiale della Pia Società Salesiana

 

nel marzo 1879.

 

Ispettoria Piemontese.

 

                Casa madre detta Oratorio di S. Francesco di Sales. Sotto a questo nome si intende:

                I. La Chiesa di Maria Ausiliatrice dove havvi frequenza di più migliaia di persone, che intervengono per assistere ai catechismi, udire la santa Messa, ascoltar le prediche, accostarsi ai Santi Sacramenti ed a simili altre pratiche di pietà.

                2. Ginnasio con tutte le cinque classi secondarie.

                3. Studentato pei chierici.

                4. Casa di noviziato.

                5. Casa e laboratorio di artigianelli, dove sono esercitati i principali mestieri della civile società. [757]

                6. Chiesa dedicata a S. Francesco di Sales, con giardino per la ricreazione festiva, destinato ai giovani esterni della città di Torino.

                7. Scuole diurne e serali pei ragazzi più poveri ed abbandonati della città di Torino.

                8. Nella parte opposta della città havvi Chiesa e giardino di ricreazione sotto il titolo di S. Luigi, dove i ragazzi intervengono per tutte le sacre funzioni, e religiosa istruzione; ivi si sta costruendo una Chiesa monumentale in onore di Pio IX, con Ospizio annesso.

                9. Annesso a quest'Oratorio sono le scuole diurne pei fanciulli più poveri ed abbandonati. Quest'Oratorio e queste scuole hanno per iscopo di allontanare i giovani dai protestanti, che hanno là vicino tempio, ospizio, scuole ed ospedale.

                10. Oratorio, Chiesa, giardino di ricreazione sotto al titolo di S. Giuseppe nella Parrocchia di S. Pietro e Paolo.

                11. É pure confidata al sacro ministero dei Salesiani il laboratorio di S. Giuseppe destinato a raccogliere le zitelle, che hanno bisogno di lavoro e di assistenza particolare.

                12. Hanno pure cura dell'Istituto, detto famiglia di S. Pietro, che ha per iscopo di ricevere le traviate che escono dalle carceri, desiderose di avviarsi al lavoro ed alla vita cristiana.

                13. Il medesimo servizio religioso prestano all'Istituto detto del Buon Pastore, destinato a preservare dalla rovina le fanciulle pericolanti, ed accogliere le penitenti che cercano un asilo sicuro alla moralità.

                14. Vicino a Torino havvi il Collegio Valsalice destinato ai giovanetti di signorile condizione. Havvi quivi tutto il corso elementare, ginnasiale e liceale.

                15. Presso al medesimo Collegio vi è la Cappellanìa a favore dei Fratelli invalidi delle scuole cristiane.

                16. Fuori di Torino poco lungi dalla città di Caselle havvi Oratorio e Cappellanìa a benefizio del pubblico, con iscuola pei fanciulli. Qui pure vengono a passare il tempo estivo i novizi della Congregazione.

                17. Vicino a Lanzo nel paese di Mathi havvi una fabbrica di carta, dove sono sempre occupati i giovanetti a lavorare, e fabbricano la carta per la nostra Tipografia dell'Istituto di Torino, di S. Pierdarena, di Nizza, di Montevideo e di Buenos-Ayres.

                18. In Lanzo Collegio di S. Filippo Neri con 250 allievi interni ed altrettanti esterni, e con una chiesa pubblica. Havvi tutto il corso elementare e ginnasiale,

                19. Presso a questo medesimo paese è affidata ai Salesiani la Cappellanìa sotto il titolo di S. Croce.

                20. Nella diocesi di Ivrea, nel paese di S. Benigno havvi un vasto edifizio, in cui è stabilito uno studentato pei chierici e pei preti della Congregazione. Si funziona una Chiesa pubblica annessa all'Istituto e si amministra l'istruzione scolastica ai giovanetti del paese. [758]

                21. Nella diocesi di Casale, nel paese detto Borgo S. Martino, havvi il piccolo Seminario o Collegio di S. Carlo, in cui si amministra l'istruzione elementare e secondaria oltre a 200 giovanetti.

                22. Si amministra pure l'istruzione primaria e secondaria a tutti i fanciulli di quella popolazione.

                23. In Mornese, diocesi di Acqui, si esercitano le pubbliche scuole a favore della gioventù di quel paese.

                24. Nella diocesi di Mondovì, nel paese di Trinità, havvi un Istituto sotto al titolo di Maria Immacolata, in cui vi è pubblica Chiesa, Oratorio e giardino festivo di ricreazione, scuole serali e diurne.

 

Ispettoria ligure.

 

                La casa Ispettoriale di questa Provincia è nella città di Alassio, diocesi di Albenga.

                Qui esiste:

                25. Pubblica chiesa sotto il titolo di Maria SS. degli Angeli, funzionata a benefizio della gioventù e degli adulti della città.

                26. Collegio in cui vi sono oltre a 200 allievi interni e oltre a 400 esterni. Si fanno tutte le scuole primarie, secondarie e tecniche.

                27. Annessa al Collegio di Alassio è l'amministrazione delle pubbliche scuole del paese di Laigueglia.

                Si può notare che il dottore Francesco Cerruti Direttore di questo Collegio venne dall'Ordinario della Diocesi costituito Direttore spirituale generale di tutti gli Istituti religiosi femminili della Diocesi stessa.

                28.Nella diocesi di Ventimiglia, nel paese di Valle Crosia, si trova la casa di Maria Ausiliatrice. Quivi havvi pubblica Chiesa e le scuole primarie fondate appositamente per allontanare la gioventù dai protestanti, che a poca distanza tengono aperte le loro scuole, tempio ed ospizio.

                29. Nella diocesi di Savona, nella città di Varazze il Collegio di S. Giovanni Battista in cui è amministrata l'istruzione elementare, tecnica e ginnasiale a circa 150 giovanetti convittori.

                30. Identica istruzione si somministra a circa 500 giovani esterni.

                31. In pubblica Chiesa nella medesima città si raccolgono i giovinetti nel maggior numero che si può per l'Istruzione religiosa e per la frequenza dei Santi Sacramenti.

                32. Nella diocesi di Genova, nella città di Sampierdarena, havvi l'Ospizio detto di S. Vincenzo de' Paoli con pubblica Chiesa, a cui intervengono più migliaia di fedeli ad ascoltare la Santa Messa, frequentare le Confessioni, prendere parte alle prediche ad al Catechismo.

                33. É qui il Collegio detto dei figli di Maria SS. Ausiliatrice per gli adulti, che aspirano allo stato ecclesiastico. Sono in numero di circa 200.

                34. Qui pure sono gli Artigianelli coi rispettivi laboratorii. [759]

                35. Sonvi le scuole serali e diurne tanto pei giovanetti interni quanto per gli esterni.

                36. L'Arcivescovo della Diocesi affidò ai Salesiani la Chiesa Parrocchiale succursale detta di N. S. delle Grazie.

                37. Nella diocesi di Sarzana, nella città di Spezia esiste l'Ospizio di S. Paolo. Qui vi è pubblica Chiesa per tutti i fedeli, scuole diurne, serali e semi-convitto. Queste scuole hanno per iscopo principale di allontanare i giovanetti dalle scuole protestanti, che sono attivate a poca distanza dall'Ospizio.

                Questo Istituto fu fondato a richiesta e colla carità del sommo Pontefice Pio IX, di felice memoria, ed è sostenuto dalla liberalità di sua Santità Leone XIII, felicemente regnante.

                38. Nella Diocesi e città di Lucca havvi Ospizio, Chiesa pubblica, Oratorio e giardino festivo pei fanciulli di quella città.

 

Ispettoria romana.

 

                39. In Magliano, capitale della Sabina, i Salesiani amministrano e dirigono il Piccolo e Grande Seminario, insegnandola scienza primaria e secondaria compresa la filosofia e la teologia. A queste scuole interviene la scolaresca della città. Quivi pure havvi un convitto pei giovani di civile condizione.

                40. Nella diocesi e nella città di Albano si tengono le pubbliche scuole ginnasiali, municipali e pel piccolo Seminario.

                41. É pure qui amministrata una Chiesa pubblica a benefizio dei fedeli.

                42. Nella città di Ariccia sono amministrate le scuole elementari della città, e si funziona una pubblica Chiesa a vantaggio dei giovanetti e degli adulti.

                43. Un professore di belle lettere presta l'insegnamento scolastico nel Seminario di Montefiascone.

 

Appendice all'ispettoria piemontese.

 

                44. Nella diocesi di Padova, e nella città di Este, havvi un Collegio-convitto sotto il titolo di Collegio Manfredini, in cui si impartisce ai giovanetti l'istruzione primaria e secondaria.

 

Appendice all'Ispettoria ligure per le case di Francia.

 

                45. La Congregazione cominciò ad estendersi in Francia nel 1875. La prima casa fu stabilita nella diocesi e città di Nizza, col titolo di Patronage de S. Pierre; dove sono raccolti 120 fanciulli destinati alle arti e mestieri, ed alcuni applicati allo studio per lo stato ecclesiastico.

                46. In altra parte della medesima città, trovasi Oratorio e giardino [760] festivo dove si raccolgono circa cento poveri fanciulli per le pratiche religiose e per trattenimenti domenicali.

                47. Nella diocesi di Fréjus, nella regione detta La Navarre, avvi colonia agricola, in cui parecchi giovanetti sono applicati alla coltivazione della terra, ed altri allo studio, come aspiranti allo stato ecclesiastico.

                48. In Saint-Cyr, poco lontano da Toulon, altro stabilimento agricolo, in cui un notabile numero di fanciulli sono assistiti ed avviati ai lavori della campagna.

                49. Nella diocesi, e nella città di Marsiglia, vi è l'Oratoire de St-Léon; qui sono raccolti parecchi abbandonati fanciulli applicati in mestieri diversi.

                50. Ivi pure interviene la così detta Maîtrise della parrocchia di S. Giuseppe, per la scuola letteraria, scuola di musica e di cerimonie. L'oggetto principale è coltivare le vocazioni alla carriera ecclesiastica.

 

Ispettoria americana.

 

                Col consiglio e coll'aiuto materiale del caritatevole Pio IX, si trattò della spedizione di Salesiani in America., Il sommo Pontefice proponeva tre fini: I. Di andare prendere cura degli adulti e specialmente dei giovanetti italiani, che in gran numero sono dispersi nell'America meridionale; 2. Aprire delle case in vicinanza ai selvaggi perchè servissero di piccolo Seminario e ricovero pei più poveri ed abbandonati; 3. Con questo mezzo farsi strada alla propagazione del Vangelo fra gli Indi-Pampas e Patagoni. La prima partenza fu nel 1875. Desiderosi i Salesiani di cooperare alle pie intenzioni del S. Padre in numero di io si recarono a Roma per ricevere la benedizione e la missione dal Vicario di Gesù Cristo, e il 14 del novembre di quell'anno partirono da Genova, e giunsero il 14 del seguente mese in Buenos-Ayres, capitale della Repubblica Argentina. Attualmente i Salesiani in America sono oltre a 100, che si occupano come segue:

                51. Nella diocesi e città di Buenos-Ayres, casa ispettoriale, nella parrocchia testè eretta detta S. Carlos en Almagro, di circa sei mila anime.

                52. Ospizio di Pio Nono, di cui circa 150 fanciulli apprendono arti e mestieri.

                53. Scuole pubbliche, Oratorio e trattenimenti festivi per gli esterni.

                54. Noviziato e studentato della Congregazione.

                55. Parrocchia così detta della Boca dedicata a S. Giovanni Evangelista di circa 27 mila abitanti quasi tutti italiani.

                56. Pubbliche scuole pei poveri fanciulli.

                57. Hanno cura della Chiesa detta Mater Misericordiae o de los Italianos. Questa Chiesa è specialmente destinata agli adulti ed ai [761] fanciulli italiani, che qui numerosi intervengono per le pratiche religiose da tutti i quartieri della città e dei paesi vicini.

                58. Nella città di 8. Nicolas de los Arroyos a poca distanza dai selvaggi avvi un Collegio o piccolo Seminario per le Missioni da cui già si ottennero parecchie vocazioni.

                59. Chiesa pubblica a favore degli adulti di quella città.

                60. Si amministra pure la parrocchia di Ramallo che è un villaggio di circa 4000 anime. A questa parrocchia sogliono raccogliersi gli abitanti dei vari casolari della numerosa colonia, a fine di assistere alle pratiche religiose almeno nei giorni festivi, e specialmente per l'amministrazione del battesimo e celebrazione del Sacramento del matrimonio.

 

Repubblica dell'Uruguay.

 

                61. Collegio Pio di Villa Colori e Seminario per le Missioni. Questo Collegio è pure considerato come piccolo Seminario diocesano e pareggiato all'Università dello Stato.

                62. Ivi pure avvi pubblica Chiesa a benefizio della popolazione vicina.

                63. In Montevideo, capitale della Repubblica, Oratorio con le scuole pei fanciulli poveri e pericolanti.

                64. Nella città di Las Piedras si regge la parrocchia di sei mila anime, con pubbliche scuole ed Oratorio festivo.

 

Case di cui i Salesiani

andranno quanto prima a prendere la direzione.

 

                Un Collegio nella diocesi e città di Milano, nella parrocchia dell'Incoronata.

                Un Ospizio, Oratorio con giardino per la ricreazione festiva nella diocesi e città di Cremona.

                Ospizio ed Oratorio nella città di Luogo sotto la diocesi di Faenza.

                Ugualmente nella città di Brindisi, nella città di Catania e di Randazzo in Sicilia.

                In Chalonge presso Annecy, in Parigi-Auteuil, in S. Domingo, nel Brasile e nel Paraguay, ecc.

 

OSSERVAZIONI.

 

                Si osserva in generale:

                I. Le case della Congregazione sono di proprietà dei membri della medesima; esistono alcuni debiti, ma si hanno stabili in vendita di valore sufficiente a pagarli.

                2. I giovanetti che hanno educazione cristiana, artistica o letteraria nelle case Salesiane sono circa 40.000 Di essi circa 300 entrano ogni anno nella carriera ecclesiastica. Quando gli allievi hanno deliberato [762] della loro vocazione la maggior parte fa ritorno alla propria diocesi, altri abbracciano lo stato religioso, ed alcuni si consacrano alle missioni estere. Dopo la definitiva approvazione della Santa Sede le vocazioni crebbero in modo consolantissimo. Quando la Congregazione fu dalla S. Sede approvata (3 aprile 1874), i Salesiani erano in numero di 250; presentemente oltrepassano in totale i 700, e le opere loro affidate, che erano in numero di 17, crebbero fino a 64.

 

Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

                Allorchè fu presentato il Catalogo della nostra Pia Società era anche notato l'Istituto di M. Ausiliatrice, fondato in Mornese diocesi di Acqui nel 1873. Suo scopo si è di esercitare opere di carità a favore delle povere ragazze, come i Salesiani fanno pei poveri fanciulli. Quest'umile Istituto, che allora aveva una sola casa, grazie alla divina Bontà ebbe pure un nobile incremento, come segue:

                I. In Mornese casa professa, casa di Noviziato e delle Postulanti.

                2. Nello stesso paese tengono Educatorio per le povere ragazze, le pubbliche scuole colla congregazione festiva per le adulte.

                3. In Nizza Monferrato, nella casa detta Madonna delle Grazie, tengono l'Educatorio interno, scuole e laboratorii per le esterne, studentato per le suore.

                4. Nella diocesi e città di Torino Istituto di San Carlo, dove hanno le scuole feriali per le povere ragazze, con oratorio, scuole festive e congregazione per le adulte.

                5. Annessa alla medesima casa si trova lo studendato per le Suore che si preparano al pubblico esame da maestre.

                6. In Chieri hanno educatorio, e scuole femminili per le esterne sotto la protezione di S. Teresa.

                7. Nella stessa città è aperto Oratorio e scuole festive per le adulte, ove intervengono più di 4oo.

                8. In Lanzo Torinese hanno cura della cucina e della biancheria del Collegio Salesiano di S. Filippo Neri.

                9. Nella diocesi e città di Biella fanno la cucina ed hanno cura della biancheria del Seminario Vescovile.

                10. Nella diocesi di Casale in Borgo S. Martino prestano il servizio della cucina, della biancheria, del vestiario, e fanno la congregazione festiva per le giovani più grandicelle del paese.

                11. In Lu tengono asilo, scuola e laboratorio per povere ragazze, scuola e congregazione festiva per le più grandicelle.

                12. In Quargnento, diocesi di Alessandria, hanno la direzione dell'asilo infantile, e tengono la congregazione e scuola festiva per le più adulte.

                13. In S. Pierdarena, diocesi di Genova, hanno cura della biancheria, degli abiti, della cucina dell'Ospizio di S.Vincenzo, e tengono la congregazione festiva per le fanciulle più grandicelle. [763]

                14. Lo stesso servizio prestano nel Collegio di Alassio, diocesi di Albenga.

                15. Nella diocesi di Ventimiglia, in Valle Crosia, fanno scuola con laboratorio, e tengono congregazione festiva per le adulte per allontanarle dai protestanti, che in quelle parti hanno aperto scuole ed ospizio allettandole con premii e promesse a recarvisi.

                16. Nella diocesi e città di Nizza Marittima prestano servizio per gli abiti e biancheria del Patronato di S. Pietro.

                17. Nella diocesi di Fréjus nella regione Navarre hanno cura della biancheria, degli abiti, della cucina pei giovani della colonia agricola ivi stabilita.

                18. A S. Cyr lo stesso servizio che alla Navarre.

 

Case d'America.

 

                19. Nella diocesi di Montevideo le Suore hanno testè aperto nella parrocchia di Las Piedras pubbliche scuole per le povere fanciulle.

                20. A Villa Colon hanno scuola, laboratorii nei giorni feriali, e congregazione festiva per povere ragazze.

                21. Nella città e diocesi di Buenos-Ayres aprirono poco fa una scuola, e laboratorio con congregazione festiva per le fanciulle povere ed abbandonate.

 

OSSERVAZIONI.

 

                Le Case che abitano le Suore sono tutte della Congregazione, ma in capo a qualche Salesiano. Per la parte morale lo spirito di pietà e la regolare osservanza sono assai soddisfacenti; avvi perciò motivo di ringraziare la misericordia del Signore. Per la parte materiale hanno alcuni debiti, ma hanno i mezzi assicurati per pagarli alle loro scadenze. Come si rileva da quanto sopra venne esposto, l'Istituto di Maria Ausiliatrice che nel 1874 non aveva che una sola casa, ora ne ha 21, e le Suore poi da 10 a 15 che allora erano crebbero oltre a trecento, e sonvi moltissime domande di ammissione, mentre da varie parti si fanno pure calde istanze di aprire nuove case o di prendere l'amministrazione di opere già avviate, ma bisognose di sostegno.

 

36.

 

Testimonianza in favore di Don Bonetti.

 

                Ill.mo e M. Rev.do mio Affezion.mo,

 

                Permetta l'affezionatissima V. S. Ill.ma e Molto Rev.da che con tutta semplicità e sempre col cuore alla mano le diriga queste linee. Sono per esternarle il gaudio che colle persone dabbene e religiose partecipo al vedere che Iddio ha finalmente esaudite le nostre preghiere, ha ispirato e mosso la di lei Sig.a a mandare [764] pure tra noi dei tanto benemeriti suoi discepoli Operai che lavorano in questa vigna del Signore, Oli! quanto ne avevamo bisogno. Quantunque non sieno che pochi mesi, pure già ne vediamo manifestarsi li frutti, li quali abbiamo tutto fondamento a giudicare, che col tempo moltiplicheranno mediante il provvido Oratorio stabilito nella nostra Città per l'educazione religiosa delle figlie. Con tutto l'impegno preso da buoni e zelanti Ecclesiastici non poterono mai ottenere qualche stabile risultato. Li mezzi loro non erano sufficienti. Non potevano superare le difficoltà che il demonio, ossia li mondani loro frapponevano. Ci volevano mezzi straordinarii, e questi si possono solamente trovare in un ordine religioso che Iddio si degnò fondare per di lei mezzo. Sì, ne dobbiamo rendere grazie al Signore.

                Ma che mai! Ella ben sa che quanto più cerchiamo la gloria dì Dio e la salute delle anime, tanto più accanita guerra dobbiamo aspettarci che ci venga mossa, ed alle volte anche da chi dovremmo giudicare ben l'opposto. Io non aveva la fortuna di conoscere quel buon Salesiano che si compiace mandare ogni settimana a dirigere l'Oratorio, D. Bonetti, ma il zelo, la chiarezza e semplicità di sue istruzioni, di cui sentiva parlare, il bene elle vedeva crescere in quelle figlie avventurate, che frequentano l'Oratorio, mi resero desideroso di farne conoscenza, e trattarlo, il che quando mi riuscì, mi fu molto di soddisfazione e fiducia, che sia proprio il ben adattato ad istruire e correggere lì cattivi costumi di tante figlie ignoranti e di riprovevole condotta.

                Non ci privi facilmente di quest'ottimo soggetto, gli assegni l'Apostolato di Chieri. Iddio speriamo ci assisterà e illuminerà e tutto andrà a gloria di S. Divina Maestà e salute delle anime.

                Queste poche linee le indirizzai ad espansione del mio cuore per pregarla a continuare la buon'opera incominciata, ed accettare questa piccola offerta, che qual Cooperatore Salesiano mi faccio dovere inviarle con, istanza che, mentre elle affettuosamente la saluto, nelle sue preghiere sempre si ricordi del suo

                Chieri, 12 febbraio 1879.

 

Affeziona.mo Servo e amico

Canonico CALOSSO FRANCESCO M.

 

                P. S. La piccola somma fu da me depositata in fr. 50 presso la Sig. Braja Carlotta nella Casa di Chieri.

 

37.

 

Lettera del padre Mortara a Don Bosco.

 

                   Molto Reverendo Padre,

 

                Ella si rammenterà forse ancora del povero Mortara. Questi non ha mai dimenticato il giorno fortunatissimo, in cui egli ebbe l'onore di fare la sua conoscenza a San Pietro in Vincoli a Roma, e di servirle [765] la Santa Messa. Io non ricordo l'anno, ma so che era già consacrato a Dio nello stato religioso, in cui mi sento sì felice. Se finora non le ho scritto, egli è stato perchè veruna favorevole occasione non mi si è offerta. Presentemente oso scriverle per domandarle un favore, che spero ottenere dalla sua carità.

                Da sei anni in qua, in conseguenza de' miei studi teologici che ho amato sempre col più vivo ardore, la mia salute si è molto indebolita. Dopo avere adoperato molti rimedi che non sono stati inutili, i miei venerabili Superiori vorrebbero farmi passare qualche tempo in Italia, per accelerare il mio totale ristabilimento, tanto più che le mie forze hanno da qualche tempo scemato al punto da obbligarmi a nutrirmi esclusivamente di latte, e a star spesso coricato. t inutile aggiungere che in tale stato non solo la predicazione, già per lo passato intrapresa, ma qualsivoglia altra seria occupazione mi è assolutamente impossibile.

                Ora però la leva è un grave ostacolo alla mia venuta in Italia. Obbligato ad espatriare dopo l'invasione di Roma nel 1870, per mettere in salvo la mia libertà di coscienza, e la fede, io mi trovai assente allorchè uscì il mio nome dai registri della coscrizione. In conseguenza al presente io sono considerato come renitente, e correrei pericolo, mettendo il piede in Italia, di subire la prigione e quindi il servizio. Giudichi qual condizione per un Religioso e Sacerdote. Supplicare il Re per la grazia, ovvero venire incognito sott'altro nome: questo secondo mezzo è sempre periglioso. Resta il primo. Ora io so che il Re e la Regina d'Italia hanno molta confidenza in Lei, a motivo certo delle sue rare qualità ed esemplari virtù. Oserei pregarla d'interessarsi presso il Re a tale intento, che certo nulla le rifiuterà, se Sua Maestà può in ciò qualche cosa. I miei venerabili Superiori mi esortano assai ad indirizzarmi alla P. V. M. R. Dunque la supplico istantemente, mi faccia questo favore, di cui io le sarò sempre infinitamente riconoscente. In caso che le sue tentative non riuscissero, che pensa Ella del venire in Italia incognito? Lo crede Ella prudente, possibile, e in tal caso potrebbe Ella aiutarmi o darmi qualche utile ragguaglio? Spero, anzi sono certo che la sua carità sì generosa non mi abbandonerà in così urgente necessità. Se per altro io desidero venire in Italia, egli è principalmente per far del bene alla mia povera famiglia, la cui conversione Ella sa quanto mi stia a cuore. D'altra parte Dio sa quanto io soffra nel vedermi privato, a motivo delle mie infermità, della dolce consolazione di adoperarmi nel santo ministero pel bene delle anime.

                Al presente mi trovo a Marsiglia per prendere dei bagni di mare che mi fanno molto bene. La prevengo che io sono qui incognito, e se Ella degna rispondermi, come lo spero, e l'aspetto colla più grande impazienza, la prego di far l'indirizzo come segue: - Monsieur l'Abbé Pie, chez les Frères de Saint-Jean-de-Dieu, Saint-Louis, près Marseille [766] (Banlieue). - Ella sa che le cose politiche vanno molto male qui in Francia, e l'inferno si scatena contro i Religiosi, e l'ordine a cui ho il bene di appartenere perderà forse presto due case. Speriamo nella divina Provvidenza.

                Non so se abbia fatto bene l'indirizzo. Siccome Ella è molto conosciuta a Torino, spero che la mia lettera le arriverà.

                Non potrei dirle abbastanza quanto desidererei rivederla. Avrei molte cose a dirle, e molti consigli a dimandarle per la mia povera coscienza. Io non dimenticherò mai quella visione, di cui Ella mi fece parte qualche tempo fa. Ella vide sul mio capo una nube oscura, e sopra di essa due angeli che tenevano sospesa una corona di rose. Nelle mie molte tribolazioni e contrarietà, seguite sempre da qualche consolazione spirituale, e specialmente: riflettendo al gran bisogno che io ho della santa umiltà, il mio sguardo si è portato e si porta naturalmente a questa visione, nella quale io venero la parola divina. Oh! quante cose avrei a dirle su di ciò! Spero che, venendo in Italia, avrò l'onore di vederla e parlarle a lungo.

                Non potendo personalmente, oso venirle ad offrire i miei più distinti omaggi in fotografia. Ella vedrà a mio lato la mia povera madre, di cui raccomando la conversione alle sue fervorose preghiere.

                Mi perdoni, la prego, la prolissità della presente. Ciò le addimostrerà la confidenza che io ho in Lei. M rimetto in tutto alla P. V. M. R. ed ai suoi ottimi consigli, mi raccomando caldamente alle sue preghiere, e coi sentimenti della più alta stima, e della più rispettosa devozione ho l'onore d'essere

                D. P. V. M. R.

                Marseille, 10 Ottobre 1880.

 

Umil.mo ed Obbed.mo Servo in G. Cristo

P. D. Pio M.a MORTARA

Canonico Reg. Lat.

 

                P. S. Nell'indirizzarsi al Re, prego d'insistere specialmente sul mio cattivo stato di salute, che mi renderebbe inabile al servizio e sull'essere io partito d'Italia prima assai dell'estrazione. Mi perdoni la libertà di questo Postscriptum.

 

38.

 

Due indirizzi dei Missionari al Papa.

 

A.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Nella faustissima occorrenza, o Beatissimo Padre, del Vostro Onomastico, in cui tutti i Cattolici vanno a gara per attestare alla Santità Vostra l'ossequio della fede, l'affetto della pietà figliale e [767] l'inalterabile attaccamento alla Sede di Pietro, permettete che noi Vostri Missionarii Salesiani da queste remote terre dell'America, dalle sponde del Plata, dal centro del deserto, veniamo ai piedi della. Santità Vostra per venerare il Supremo Gerarca della Chiesa con quello stesso affetto, riverenza ed ammirazione che la Regina dell'Austro venne ai piedi del grande Salomone.

                Sì, noi ne ammiriamo in Voi la stessa sapienza, ne proclamiamo la stessa grandezza, la stessa potenza. E quel grande Patriarca San Gioachino, di cui Voi glorioso ne portate il nome, dall'alto dei cieli ove siede costituito quasi Pater Regis, conservi ad multos annos incolume la Vostra Veneranda Canizie al bene della Chiesa, al conforto dei buoni, al trionfo della giustizia, alla propagazione di quella fede, che Dio pietoso affidò al Vostro zelo, alla Vostra carità.

                Noi già sperimentammo la efficacia della Vostra Benedizione che con effusione di cuore e di paterno affetto ci mandaste. Per quella Vostra Benedizione noi fummo avvalorati nelle nostre ardue imprese, protetti nei pericoli e benedetti nel raccolto di ubertosissimi frutti di misericordia e di grazia.

                Sì, consolatevi anche Voi, Santissimo Padre, chè le nostre deboli fatiche confortate dalla Vostra Apostolica Benedizione sono accette al trono di Dio e molti accorrono alle nostre chiese, ai nostri confessionali, alle nostre istruzioni e catechismi, alle nostre scuole ed ai nostri oratorii.

                Nelle città, nei paesi, nelle colonie e nello stesso deserto con vera sete della parola divina ascoltano la voce del Missionario popoli civili e selvaggi.

                In questi ultimi mesi, con immenso giubilo del nostro cuore, tre nostri confratelli riuscirono a penetrare tra i selvaggi del Pampas, intendersi coi Cacichi Manuel Grande ed Eripaylà per istruire le loro tribù nelle verità della nostra S. Religione. Attraversato il deserto poterono giungere sani e salvi alle sponde del Rio Negro prime terre della Patagonia.

                E quivi istruire e battezzare un grande numero di adulti, di padri di famiglia ed un maggior numero di bambini In questo nostro primo sperimento verso la Patagonia, abbiamo amministrato il battesimo a circa cinquecento Indi, che con noi, B. P., si prostrano ai Vostri piedi per implorare la prima volta la benedizione del loro Padre Spirituale, del Vicario di Gesù Cristo.

                A fine poi di secondare il vivo desiderio dei novelli credenti e facilitar la loro eterna salvezza, abbiamo dato parola di pregare V. S. che ci venga in aiuto e ci autorizzi a stabilire una casa centrale in Patagonia sulla foce del Rio Negro.

                Per realizzare poi un Vostro desiderio, o Beatissimo Padre, che per noi è comando, alcuni di noi già si portarono al Paraguay, ed altri stanno preparati per la partenza. Ma sempre e dappertutto [768] rileviamo una grande mancanza di operai evangelici, ed abbiamo sommo ed urgente bisogno che dall'Europa ci venga aiuto, non tanto per sollevarci dall'immenso lavoro, che abbiamo, sibbene per estendere maggiormente il Regno di Gesù Cristo.

                A tal fine, o Beatissimo Padre, imploriamo con maggior ardore la Vostra Apostolica Benedizione e la imploriamo in occasione così propizia per noi e per la Chiesa, del Vostro giorno onomastico.

                Questa Benedizione, ne siamo certi, come benefica rugiada celeste, ci rinvigorirà il nostro spirito, ci infonderà un novello ardore e forze nelle nostre peregrinazioni apostoliche e sarà feconda di sante vocazioni per le Missioni che a noi si uniranno per conservare la fede di Cristo, in queste terre Australi e per propagarla in mezzo a migliaia e migliaia di selvaggi, che incessantemente sospirano evangelici operai.

                Beatissimo Padre, i Missionari Salesiani vogliono essere umili e ciechi istrumenti nelle Vostre Santissime mani. La nostra stessa Congregazione vogliamo sia consacrata ai Vostri santissimi fini! perciò nella Vostra sapienza, prudenza e bontà consigliate, ordinate, comandate e noi dalla Vostra Paterna Benedizione fortificati, dalle soavi parole avvalorati, voleremo anche disposti a dare la vita, per compiere i Vostri santi voleri, che sono quelli di Dio e della nostra SS. Religione, di cui siete pietra fondamentale, Dottore Supremo, Maestro infallibile.

                A nome di tutti i Salesiani dell'America del Sud ho l'incomparabile onore e l'ineffabile consolazione di potermi prostrate ai piedi della S. V.

                Buenos Aires, 6 Luglio 1879.

Um.mo aff.mo figliuolo

Sac. FRANCESCO BODRATO  Superiore.

 

B.

 

                Beatissimo Padre,

 

                In questi giorni di universali felicitazioni e cordiali augurii pel Buon capo d'anno, noi Missionarii Salesiani dell'America del Sud sentiamo un imperioso bisogno di esternare alla Santità Vostra i sentimenti del nostro cuore. Essi sono sentimenti di profondo ossequio che noi poveri operai di Gesù Cristo abbiamo in verso all'Augusto Capo della fede cattolica, della quale siamo gli ultimi ed infimi banditori: son sentimenti di devoti ed affezionatissimi figli in verso al Padre comune ed al Pastore di tutto il gregge cattolico: sono sentimenti di gratitudine sentita e profondamente scolpita nei nostri cuori per la benevolenza e carità generosa, che la S. V. ha finora usato in  verso alla nostra umile Congregazione. Oh! sì. Voglia il cielo esaudire le nostre preghiere ed il Signore Iddio conservi ad multos annos la preziosa e veneranda canizie della Santità Vostra al bene [769] della Chiesa, al trionfo della giustizia ed alla propagazione della nostra fede, che Dio pietoso affidò al vostro zelo ed alla vostra carità.

                Questi sentimenti e questi desideri dobbiamo esprimervi più che ogni altro noi missionarii Salesiani, i quali abbiamo sperimentato e continuamente sperimentiamo gli ubertosi e salutari frutti dell'Apostolica Vostra Benedizione. Essa più volte ci venne impartita dalla magnanimità del Vostro gran Cuore e più specialmente nella occasione faustissima del Vostro Onomastico, benedicendo alla prosperità ed incremento delle nostre missioni in  queste terre Australi. Ah! Non è a dire di quale gaudio e conforto sia stata per noi la lettera ripiena di paterno affetto, che la S. V. degnavasi mandarci per mezzo dell'Eminentissimo Vostro segretario di Stato e nostro validissimo protettore. Le Vostre parole, santissimo Padre, furono per noi e per i nostri un dolce stimolo a lavorare con maggior zelo nella vigna del Signore, e un potente invito a vincere i non pochi ostacoli, che parevano ritardare la gloria di Dio e la salvezza di tante anime, che invocavano il nostro aiuto spirituale nei deserti della Patagonia e dei Pampas. Ed è con sommo nostro giubilo che ora possiamo dire che i Vostri voti sono al fine compiuti. Un nuovo e vastissimo campo Apostolico si è aperto alle nostre sollecitudini ed alla fede cattolica. Alle sponde del Plata si aggiunsero le sponde del Rio Negro, che segna i limiti tra la Patagonia ed i Pampas.

                Una casa centrale è definitivamente stabilita in Patagones, e malgrado la strettezza dei mezzi e scarsezza di personale in cui ci troviamo, pure trattandosi di provvedere alla salvezza di tante migliaia di anime che altrimenti rimarrebbero prive del beneficio della Santa Fede, non badando a' sacrifizi e disagi, partirono già otto dei nostri missionarii, cui tenevano dietro le nostre suore Figlie di Maria SS. Ausiliatrice. Essi sono andati per aprire due ospizii con scuole e laboratorii, l'uno per i ragazzi e l'altro per le ragazze di quei selvaggi luoghi ed a percorrere le due sponde del Rio Negro, a confermare nella fede gli Indii ultimamente raccolti in colonie e battezzati nel primo nostro viaggio di esplorazione, a catechizzare ed instruire nella fede le altre tribù infedeli sparse in quei vasti deserti, ed a gettare i primi semi della civiltà cristiana in quei poveri selvaggi.

                Per questo fine, Santissimo Padre, noi vivamente imploriamo la Vostra Apostolica Benedizione, affinchè sia coronata di felice esito questa ardimentosa impresa, e come già in passato, questa Vostra Apostolica Benedizione sarà, qual celeste rugiada, feconda di ubertosi frutti, e darà alla Chiesa, di cui siete Pietra fondamentale tanti nuovi figli, e condurrà al santo Ovile di Gesù, di cui siete degno Vicario, tante povere anime, che ancora non conoscono la voce del Divino Pastore.

                Ci fu pure di grande consolazione l'avere per mezzo dei nostri cari superiori, ricevuto copia dell'Ammirabile Vostra Enciclica Aeterni [770] Patris. Noi, secondo un articolo delle nostre Costituzioni, che regola i nostri studi, già avevamo per maestro il grande S. Tommaso. Ora però che abbiamo conosciuto tale prezioso documento sarà nostro impegno a maggiormente modellare i nostri studii filosofici e teologici su questo grande Modello e Maestro.

                Santissimo Padre, come in altre circostanze così in questa i missionarii Salesiani dell'America del Sud umiliano ai piedi della S. V. l'attestato del loro figliale affetto ed inalterabile attaccamento alla Sede di Pietro. La nostra debole parola, la nostra volontà, le nostre vite intendiamo siano a voi offerte per l'adempimento dei Vostri santi voleri, che sono quelli di Dio e della Religione SS., di cui siete Supremo Moderatore, Duce e Pastore per la salvezza di tutto il mondo.

                A nome quindi di tutti i Missionari Salesiani: miei cari confratelli, ho l'incomparabile onore e l'ineffabile consolazione di potermi professare

                Della Santità Vostra

                Buenos Ayres, 27 Novembre 1879.

 

Umilissimo ed affezionatissimo figliuolo

Sac. FRANCESCO BODRATO Superiore.

 

39.

 

Risposte della S. Infanzia e Propagazione della Fede.

 

A.

 

                ŒUVRE DE LA S.te-ENFANCE

                Conseil Central et bureau

                Rue du Bac, 97] Mon Très-Révérend Père,

 

                La lettre que vous m'avez fait l'honneur de m'écrire en date de 17 de ce mois et celle de' Mgr, l'Archevêque de Buenos-Aires que vous voulez bien me communiquer, contiennent des renseignements d'un immense intérêt sur la Mission de Patagonie, que vous venez d'accepter. Veuillez croire que l'OEuvre de la Sainte-Enfance sera très-heureuse de pouvoir contribuer un jour au progrès et au développement de la sainte entreprise qui vient de vous être confiée. Laissez-moi ajouter que votre Mission m'est personnellement d'autant plus chère, que je connais mieux les admirables effets de votre charité à l'égards de ces milliers d'enfants délaissés que vous avez recueillis dans le Nord de l'Italie. Aussi vous pouvez compter sur ma plus vive sympathie. Toutefois le Conseil Central de la S.te-Enfance observe dans. les répartitions [771] de ses allocations certaines règles qu'il a dû exposer et qu'il suit avec fidélité. Nous ne contribuons pas à fonder une Mission

                nouvelle; c'est un des buts speciaux de la Propagation de la Foi. - Nos allocations sont exclusivement destinées au -baptême, au rachat et à l'éducation des enfants infidèles, et nous n'inscriverons pas une Mission naissante-parmi celles que l'Œuvre subventionne, qu'autant qu'elle possède déjà des r Établissements qui remplissent les trois buts qui viennent d'être indiqués.

                Nous maintenons, en règle générale, toutes les allocations accordées à titre ordinaire, et pour pouvoir subventionner des fondations nouvelles, il faut que les ressources de la S.te-Enfance reçoivent un accroissement. Or, avec les entraves apportées des divers côtés par le Pouvoir Civil à l'OEuvre de la S.te Enfance, aurons-nous cette année une augmentation ou une diminution de recettes? c'est le secret de Dieu.

                Enfin, les allocations ne sont votées que dans, une réunion du Conseil qui a lieu, chaque année, vers la fin de Mai.

                L'exposé de ces Règles, mon Très-Révérend Père, vous dira qu'à notre grande regret, nous ne pouvons actuellement rien faire pour la fondation de votre très-importante Mission en Patagonie.

                S'il vous était possible de nous faire arriver avant la mi-avril prochaine un tableau conforme au modèle ci-joint, indiquant le nombre d'établissement fondés dans la nouvelle mission qui vous est dévolue par vos pieux missionnaires, en vue de réaliser les trois objets déjà indiqués, je m'empresserais d'entretenir le Conseil de cette communication, et il statuerait sur ce que les ressources de l'OEuvre lui permettraient de faire.

                Je vous supplie, mon Très-Révérend Père, de continuer d'être vous même et par vos zélés missionnaires, l'Apôtre de la S.te-Enfance dans l'Italie Septentrionale. L'Italie se montre généreuse, mais nous attendons d'elle davantage encore; que je serais heureux de pouvoir consacrer quelques centaines de mille franc aux Missions du japon, de la Mongolie, de l'Afrique Équatoriale et de la Patagonie! Ce sont les efforts de votre charité pour notre OEuvre, qui réaliseront ce miracle, et je suis heureux de pouvoir vous dire que chaque chef de série recueillant _12 cotisations de 12 sous chacune, a l'assurance de faire baptiser un petit infidèle à l'article de la mort, et ainsi d'envoyer un ange au ciel. Avec quel bonheur j'ai entendu au Congrès d'Angers la lecture du Rapport de Mr. Ernest Harmel sur vos admirables OEuvres.

                Veuillez agréer, mon Très-Révérend Père, l'assurance de mon profond et religieux rescpect en N. S.

                Paris, le 30 Septembre 1879.

Le Directeur Général

Signé: H. Du FOUGERAIS. [772]

 

B.

                Très-Révérend Père,

 

                La lettre que vous nous avez écrite sous la date du 17 septembre dernier a été de la part des deux Conseils Centraux de l'Œuvre de la Propagation de la foi, soit ici, soit à Paris, l'objet d'un consciencieux et très sympathique examen.

                Nous nous sommes réjouis comme vous le, dites, Très-Révérend Père, de voir le règne de N. S. s'étendre et les Missionnaires d'une Congrégation aussi zélée que celle des Salésiens se dévouer à l'Évan-gelisation des peuples de la Patagonie, qui sont restés jusqu'ici dans les ténèbres de l'infidélitè.

                Quant à la participation de notre OEuvre aux frais indispensables de cette sainte entreprise, nous regrettons, Très-Révérend Père, d'être obligés de vous faire une réponse negative, jusqu'à ce que la Mission, sur laquelle vous appelez notre attention, ait été établie par le Saint-Père d'une manière distincte, et que S. E. le Cardinal Préfet de la Propagande nous ait informés d'une manière officielle de cet établissement, en nous faisant connaître en outre celui que le Souverain Pontife aura désigné pour en être le Supérieur.

                Jusque là, et dans les termes actuels la mission de Mg.r l'Archevêque de la ville de Buenos-Aires a la juridiction spirituelle de la Patagonie, et fait partie de son diocèse et se trouve, par conséquent, dans un état catholique, c'est-a-dire en dehors de ceux que les aumônes de notre OEuvre son applicables.

                Nous ne sommes donc pas surpris de n'avoir reçu, à cet égard, aucune lettre de S. E. le Cardinal Préfét de la Propagande qui connaît, les règles tracées à notre OEuvre per le Saint-Siège.

                Il nous reste à vous exprimer les voeux que nous formons pour que le gouvernement catholique de Buenos-Aires accomplisse, de la manière la plus large, les promesses qu'il a faites relativement à la Mission de Patagonie, et à vous offrir l'hommage des sentiments de respect avec lesquels nous avons l'honneur d'être

                De Votre Révérence

 

                Lyon, le 7 Octobre 1879.

les très humbles et obéissant serviteur

pour le Conseil G.al de Lyon: le Président

B. DESGARIEL

 

                Le secrétaire du Conseil

J.QUE MEYNIL s. [773]

 

40.

 

Lettera di Don Rua al Vescovo di Acireale.

 

                Ecc.za Rev.ma,

 

                Il nostro caro D. Bosco ha già comunicato a voce la risposta da farsi a V. E. Rev.ma ai due ottimi ecclesiastici da Lei spediti per trattar l'affare del Seminario; tuttavia crederebbe mancare al suo dovere, se non inviasse eziandio una lettera in risposta alla venerata Sua ed al relativo telegramma[506]. Dà pertanto a me l'onorevole incarico di fare le sue veci nell'ambito cómpito.

                Il prelodato D. Bosco rimase molto dolente di non aver potuto fin di quest'anno concertare l'apertura del Seminario d'Acireale. Ma dice il proverbio che quod differtur non aufertur, e ciò che non fu possibile nel 1881 spera che potrà essere possibile nel 1882: non perdiamoci di coraggio.

                Appunto con tale speranza mi lascia di dirLe fin d'ora che nel caso desiderabile che si possa assumere realmente dai Salesiani la direzione ed amministrazione del Seminario, base della Convenzione a farsi sarà il Capitolato fatto pel Seminario di Magliano, salvo l'onorario da retribuirsi al personale, che stante la maggior distanza ed il maggior numero di classi dovrà essere in Acireale portato alla somma che venne indicata di presenza ai suoi due messi. Con tale base e tale onorario si potrà concertare una convenzione stabile, invariabile eziandio nel caso previdibile che si debba aumentare il personale Salesiano, come dovrà tosto avvenire nel secondo o terzo anno dopo l'apertura del Seminario.

                Del resto malgrado il dispiacere da noi provato di non poter fin d'ora aderire alle sue calde istanze, dobbiamo dirLe che avemmo un grandissimo compenso al nostro dolore nella cara conoscenza fatta de' due insigni personaggi, Can.co Mendola e D. La Spina.

                Ci conoscevamo già prima, ma quella era una conoscenza superficiale; ora invece avendo avuto a praticar seco loro alcuni giorni, li abbiamo trovati compitissimi sotto ogni rapporto, vuoi per la pietà, vuoi per la scienza, vuoi pel garbo e disinvoltura nel trattar gli affari. Fu nostra voce unanime che sarebbero entrambi eccellenti Direttori di Collegio o Rettori di Seminario. Ben sappiamo che il Sig. Can.co Mendola ha un uffizio delicatissimo nella Diocesi e che difficilmente potrebbe sobbarcarsi a tale incarico; resta però il rev.mo La Spina, che farebbe pur esso ottimamente alla testa di un seminario. Se Don Bosco avesse da dare un consiglio veramente da amico a V. E. Rev.ma [774] vorrebbe esortarla. a fare tale scelta fin di quest'anno e dandogli in aiuto qualche altro giovane sacerdote con alcuni chierici assennati cominciar tosto a diramare i programmi pel Seminario, pubblicandone l'apertura pel prossimo ottobre o novembre. Siam persuasi che la cosa riuscirebbe a meraviglia e che non occorrerebbe più infastidirsi per aspettazione più o meno lunga dei Salesiani.

                Sarà assai facile la riuscita cominciando dalle classi elementari oppure dalle prime ginnasiali. Come Seminario, non occorreranno neppur maestri o professori patentati, il che pure agevolerà grandemente l'impresa.

                Gradisca, Eccellenza, i nostri rispettosi omaggi, coi quali D. Bosco implora sopra di sè e suoi figli la pastorale Sua Benedizione e lo scrivente reputasi ad onore di professarsi con profonda venerazione

                Torino, 20 Luglio 1881.

 

Umil.mo Ubb.mo Servo

Sac. RUA MICHELE.

 

                P. S. Voglia, di grazia, pregare il Padrone della Messe a conservarci il personale già reclutato e mandarcene del nuovo, che non accada più come quest'anno che abbiam perduto quattro buoni sacerdoti, tutti soggetti di grande importanza per le case nostre. In caso contrario ci troveremmo nella necessità di chiudere, anzichè aprir case.

 

41.

 

Ultime corrispondenze per la casa di Cremona.

 

A.

 

Lettera di Don Durando a Mons. Bonomelli.

 

                Eccellenza Reverendissima,

 

                Le nostre cose pare non siano per volgere in meglio e la nostra dimora costì diventa sempre più difficile. Per non metterci in pericolo di recar danno alle altre istituzioni cattoliche di cotesta città col voler insistere per la riapertura delle scuole di S. Lorenzo, crediamo utile e conveniente il ritirarci affatto e rimettere subito ogni cosa nelle mani della benemerita commissione. É cosa certamente rincrescevole abbandonare sì presto una città in cui speravamo poter fare qualche beneficio alla povera gioventù; ma è troppo palese la volontà del Signore, costì per ora non possiamo più continuare. I cattivi trionfano, i buoni presi da timore restano scoraggiati, e noi resteremmo costi senza alcun appoggio. Di più ci troviamo in grande scarsezza di personale, e perciò saranno di aiuto alle altre case i maestri delle scuole di S. Lorenzo. Noi ringraziamo l'E. V. di tutta la [775] benevolenza che sempre ci ha dimostrato, e vogliamo che il disgustoso fatto non la scemi per nulla, come non scema in noi la venerazione, la stima e l'affezione per la E. V. Rev.ma. Gradisca gli ossequi di D. Bosco, preghi per noi e mi creda sempre Di V. E. Rev.ma

                Torino, 27 Giugno 1882.

 

Dev.mo servo

L. DURANDO.

 

 

B.

 

Lettera di Don Bruna a Mons. Bonomelli.

 

                Eccellenza Reverendissima,

 

                Chiamati dai nostri Superiori, siamo oltremodo dolenti di dover partire senza poterle attestare personalmente la viva nostra riconoscenza pei tanti tratti di paterna benevolenza, che ci diede durante la nostra breve dimora in questa città. Certamente la protezione da V. E. prestata all'opera nostra meritava ben altro esito ed un più consolante risultato; ma dacchè non abbiamo potuto corrispondere alle sante sue mire, si assicuri almeno che mai non si cancelleranno dall'animo nostro i tanti segni che ci diede dell'esimia sua bontà, e nelle meschine nostre orazioni ricorderemo ogni giorno chi ci amava con affetto di padre e ci beneficava con tanta generosità.

                Accolga l'attestato della nostra ossequiosa osservanza e figliale devozione, mentre prostrati ai suoi piedi imploriamo la sua benedizione.

                Cremona, I° Luglio 1882.

I Soci Salesiani

Sac. BRUNA DOMENICO Direttore.

 

 

C.

 

Lettera di Mons. Bonomelli a Don Durando.

 

                M. R.do Signore,

 

                Ebbi la sua del 27 di giugno e La ringrazio di nuovo. Siamo stati sfortunati: mi esprimerò meglio: Iddio nella sua bontà e giustizia ha permesso ciò che tutti deploriamo e ciò che pure a pensarci mi trafigge il cuore. Tante spese, tante speranze, e tutto perduto e quel che è peggio tagliata quasi al tutto la via da proseguire o riparare in qualche modo. I buoni sono scoraggiati e i tristi imbaldanziti, tutti diffidenti dopo la prova infelice. Sia fatta la volontà di Dio anche in ciò come in ogni altra cosa!

                Io ringrazio V. S. e il D. Bosco di tutto ciò che hanno fatto per questa città, e Iddio tenga conto a tutti del nostro buon volere. Con vera stima sono

di V. S.

                Cremona, 8-7-82.                              

 + GEREMIA Vescovo. [776]

 

42.

 

Lettera di Don Cays al Comm. Dupraz.

 

                Ill.mo Signor Commendatore,

 

                Prima di rispondere alla preziosissima su  a del 4 corrente il Rev. Don Bosco ha creduto bene di radunare il Capitolo ed a questo sottoporre l'intricata questione. Due punti si presentano essenzialmente importanti: I° La difficoltà della posizione dì quelli che avranno la responsabilità di una casa, in cui vi sarebbe una scuola diretta da persona da essi indipendente. 2° La strettezza dei limiti finanziarii, che obbligherebbe la Casa Madre a gravi sacrifizi.

                Colle suscettibilità che si sono suscitate il Direttore della casa è ridotto alla condizione di semplice testimonio, che non potrebbe forse neanche mettere il piede nelle scuole, nè avvicinarsi ai giovani nel tempo di ricreazione, dovendosi limitare a parlar loro nella cappella, come potrebbe fare un sacerdote qualsiasi invitato a tener loro qualche discorso di religione, a dir loro la santa Messa, a udirne le confessioni, e non di più. L'apertura di un oratorio festivo, che è ciò per cui D. Bosco desiderava solamente incominciare, è divenuta assai problematica, in vista dell'ultimo considerando[507] che ha dato luogo alla conferma dell'opposizione prefettizia alla scuola libera, che l'abbé Vincent si proponeva di aprire. Una nuova scuola libera, quando fosse nelle medesime condizioni di quella che ha svegliato tante gelosie, le farebbe forse rinnovare, e comprometterebbe e l'oratorio e l'insegnamento del catechismo e fin anche l'esistenza di un futuro pensionato e della casa. t, quindi necessario premunirsi ben bene delle volute facoltà e non allargar troppo la nostra sfera d'azione, limitandola fors'anche ai soli bisognosi ed aver l'occhio a noti dare il minimo pretesto alle autorità scolastiche. Anche per l'oratorio festivo conviene prevedere tutte le difficoltà, per quindi stabilire un modus vivendi sia rispetto al nuovo istitutore sia al pubblico, conte alle civili autorità.

                Venendo alla seconda questione, egli è evidente che con un nuovo istitutore anche di limitate pretensioni, la spesa annua non sarebbe mai minore di L. 3000. Si tratta dunque per la Congregazione di un sacrificio annuo di L. 1500 a 2000. Le previsioni sopra l’appoggio di un pensionato sono anche assai problematiche; egli è certo che allo stato delle cose non si potrà facilmente ottenere il necessario permesso, almeno per quest'anno. Se questo avesse a protrarsi per qualche anno ancora, il sacrificio che dovrebbe fare la Casa Madre [777] farebbesi superiore alle proprie forze, massime che le dànno molto a pensare le altre quattro o cinque case di Francia, che sono anch'esse pure passive.

                Nonostante tutte queste difficoltà, il Capitolo, avuto particolarmente riguardo ai grandi sacrifizi che Ella ha già fatto, e volendo secondare per quanto può le zelanti intenzioni di un benefattore nostro così insigne, sarebbesi disposto a tentare la prova per un anno, pel quale sopperirebbe alla deficienza finanziaria, coll'aggiunta di I,. 1500, quando non si richiedesse un personale maggiore del presente, cioè del maestro istitutore, del secondo maestro, del sacerdote e del cuoco; intanto si potrebbero studiare tutti quei mezzi che per un altr'anno ci potrebbero condurre ad ottenere un bilancio capace di sostentarci senza il sacrificio accennato.

                Sistemata la questione finanziaria, resta a scegliere quella del modus di esistenza dei nostri membri almeno per quest'anno. La scelta di un istitutore non è così facile, non avendosi costì (= qui) per ora il soggetto disponibile. Se col tempo si avrà, per ora non esiste. Io non ho ancora avuto risposta alla lettera scritta a Parigi[508]; e quando il progetto andasse fallito da questa parte, bisognerebbe andare in cerca di un altro. Si richiede però elle le condizioni a farglisi siano chiare e precise e non troppo gravi per la casa; converrà trovar modo di eliminare quelle pretese elle potessero uscire dalla sfera dell'ordinario bilancio. Si stipuli pure l'alimento a carico della casa, ma nei limiti delle nostre usanze; e riguardo al vestiario non pare conveniente di prendercene l'incarico, essendo troppo facile che ne nascano malcontenti; come pure è necessario provvedere alla evenienza di qualche improvviso capriccio di lasciarci prima di tempo, che possa poi metterci nell'imbarazzo avanti il termine pattuito.

                Appena riceverò lettera da Parigi, io glie ne scriverò; intanto Ella può dal suo canto fare quelle ricerche elle crederà conveniente. Trovato che siasi l'individuo in questione, pensi poi Ella, sig. Commendatore, al da farsi per ottenergli le facoltà volute.

                Come Le dissi prima di partire, io mi fermerò costì (=qui) fino a dopo il 20 corrente; di modo che spero d'essere di ritorno a Challonges circa il 23 0 il 24. Se però ci fosse bisogno di me, voglia scrivermene o a Torino all'Oratorio via Cottolengo N. 32 ovvero a Casellette Ufficio postale di Alpignano. La prego di riverire distintamente [778] l'ottima Madame Dupraz e salutare l'abbé Vincent e Taulaigo, ed Ella voglia credermi

                Torino, 10 Gennaio 1880.

Aff.mo servitore

D. CARLO CAYS Di GILETTA.

 

43.

 

Lettera di Don Bosco al Conte Cays.

 

                Car.mo Sig. Conte,

 

                Non è tanto facile rispondere alla car.ma sua lettera perchè da una parte desidero vivamente secondare lo spirito di carità del Signor Commendatore Dupraz, dall'altra parte si presentano delle difficoltà non tanto leggere. In questo momento di agitazione in tutta la Francia, l'opposizione si rivolge specialmente contro le Congregazioni religiose e nel nostro caso la S. V. dovrebbe rimanersi inoperoso sia nell'insegnamento scolastico o religioso, sia nel sorvegliare o dirigere cose relative alla scolaresca. Si aggiunge che il Governo troverà sempre qualche appiglio per disturbarci. Un mio pensiero sottometto a Lei ed al car.mo Com.re. Non sarebbe meglio cedere per ora alla forza dell'autorità e affidare l'insegnamento scolastico al solo Prof. Ronchail? Si lascierebbe libero di vivere da sè e godrebbe lo stipendio che avrebbero goduto i Salesiani. Per un altro anno si spera che le cose saranno più calme e noi, facendo casa nuova, e meglio provvisti di personale, faremmo le incombenze che possono essere necessarie per adempire le obbligazioni della legge e nel tempo stesso liberarci dalle pubbliche molestie.

                Avrei inviato Hoff , ma l'Ispettore accademico di Marsiglia dice che difficilmente può ottenere il duplicato del suo brevetto perchè ha insegnato qualche tempo nell'Alsazia sotto i Prussiani.

                Del resto io la prego di presentate questi pensieri al Sig. Com.re assicurandolo che quanto ella concluderà con lui sarà da me approvato. Desidero soltanto che studiamo tutti i modi che i disturbi di Challonges non vengano a danneggiare le altre case di Francia, che finora sono tranquille e che un solo fatto potrebbe produrre un eco funesto nelle altre case che ora sosteniamo con tanti sacrifizi personali e pecuniarii a fine di fare un po' di bene.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Dio benedica lei, i signori Dupraz e raccomandandomi di cuore alle loro preghiere mi professo nei SS. CC. di G. e di M.

                Marsiglia, 4 Febbraio 1880.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [779]

 

44.

 

Discorso del sig. Giuseppe Vagliasindi

nel Consiglio Municipale di Randazzo.

 

                Signori! sin dallo aprile dello scorso anno questo Municipio, come ognuno di Voi oggi conosce, iniziava trattative col Sig. Don Giovanni Bosco per lo impianto in questo Comune delle scuole tecniche e ginnasiali accompagnato dall'altro pur esso importante, di un convitto collegio nel vasto e bel fabbricato degli ex PP. Basiliani, da noi chiesto, ottenuto e destinato a tale scopo sin da più di dieci anni. Oggi lo affare può dirsi quasi realizzato, e di giorno in giorno si attende un rappresentante del detto Don Bosco per stipulare le condizioni che regolar devono gli interessi, ed il modus vivendi fra costui e la municipale rappresentanza.

                Piccole difficoltà sorsero dapprima nella opinione pubblica del nostro Comune sulla possibilità o meno del pareggio di dette scuole. Ma quando si fu certi, che l'aver provvisto sufficientemente alla istruzione primaria tanto maschile che femminile, ed il presentare professori muniti di regolare patente per la istruzione secondaria, erano sicuri titoli a poterlo ottenere dal Governo, allora quelle difficoltà, quei dubbi mutaronsi tosto nel più ardente e vivo desiderio di vedere subito impiantata l'opera grande e benefica.

                Ed oggi questo ardente e vivo desiderio è nel cuore di tutti i nostri cittadini, i quali nell'attuazione del nostro progetto vedono assicurata la istruzione dei propri figli, migliorata la loro condizione morale.

                Ed in vero qual grave dispiacere, quale impressione dolorosa non abbiamo noi provato e non proviamo tuttora nel vedere tanti giovanetti usciti dalle scuole elementari perire miseramente in fatto d'istruzione perchè non abilitati dalla finanza di loro famiglia a potere continuare i loro studi nel capo Provincia od in qualche altro lontano luogo provvisto di una istruzione secondaria?

                Signori, il fatto che il Municipio vuol compire il progetto ch'esso è sul punto di attuare riuscirà di immenso vantaggio ai nostri cittadini, di positiva e grande utilità al miglioramento della pubblica istruzione.

                Di ciò nessuno dubita, ed inutilmente sprecherebbe il suo tempo chi volesse oggi farne dimostrazione a Voi che ne siete pienamente convinti.

                C'è però qualche cosa avvenuta che minaccia la riuscita del nostro progetto. [780] In vista dei grandi vantaggi che lo affare presentava, dovendo noi nello scorso settembre passare alla nomina dei maestri elementari, abbiamo limitato (e di ciò i nominandi aveano convenuto col Sindaco), abbiamo limitato, io diceva, ad un anno la durata della detta nomina, dappoichè condizione ed immensamente economica del progetto del contratto si è quella, che da parte del Sig. Don Bosco, a principiare sin dall'anno scolastico 1879-1880, oltre, ed insieme all'impresa dello insegnamento secondario classico e tecnico, si dovrà pure assumer quella dell'insegnamento elementare completo, ed esteso a termine di legge.

                Il risparmio, che potrà egli ottenere nella promiscuità del personale insegnante, senza offendere per nulla le disposizioni di legge, e la bontà dell'insegnamento, metterà il Comune nella fortunata posizione di poter bastare ad una spesa la quale altrimenti operando si eleverebbe tant'alto che le forze finanziarie del Comune dovrebbero rinunziare a raggiungerla.

                Furono queste adunque le potentissime ragioni per le quali da noi si limitava ad un anno la durata della nomina dei maestri elementari. L'Onorevole Consiglio Provinciale Scolastico, cui non sono state rassegnate le ragioni di una tale limitazione, ha dichiarato intanto di voler approvare la nomina con la condizione di allungarsi a sei anni la sua durata giusta il disposto della legge.

                1 Una tale condizione ovechè dovesse imprescindibilmente avere esecuzione renderebbe del tutto impossibile dal lato finanziario l'attuazione del progetto di questo Municipio, soffocherebbe le speranze concepite dalla intera nostra cittadinanza, annienterebbe il miglioramento della istruzione pubblica di questo Comune.

                Si è perciò, o signori, che io quest'oggi, lasciando per ora da parte la questione legale, se il Consiglio Scolastico Provinciale possa o pur no aggiungere condizioni in mi deliberato del Consiglio Comunale, Vi propongo di rivolgere a quell'Onorevole Corpo in nome nostro, e dei nostri amministrati la preghiera di voler togliere ogni ostacolo da parte sua all'attuazione di un'idea relativamente grande ed immensamente poi vantaggiosa agl'interessi della pubblica istruzione.

                La nostra deliberazione, quale uscì dal Consiglio fu accettata dai maestri elementari, quando in virtù di essa furono immessi e si immettevano nell'esercizio delle loro funzioni, e continuamente vi perduravano. Il Sindaco pria che avvenisse la loro nomina, aveva seco loro contrattato pel solo anno scolastico 1878-1879. Di grande e pubblico bene infine sono le ragioni che hanno determinato il Consiglio a nominare per un anno: ed il Consiglio Provinciale Scolastico, cui certo sta a cuore il progresso e il miglioramento della pubblica istruzione, che tanto bene, ed egregiamente governa la pubblica istruzione della Provincia, esaudirà certamente il voto di questo [781] Consiglio, della nostra cittadinanza, e quel che più vale, dello interesse della pubblica istruzione, approvando incondizionatamente il deliberato consigliare di nomina del 16 settembre 1878[509].

 

45.

 

Estratto della convenzione

per il collegio di Randazzo.

 

                2° Il Sig. Bosco D. Giovanni provvederà i Maestri in numero sufficiente per gli insegnamenti sopra indicati, i quali dovranno essere approvati dalle Autorità scolastiche a termine dei vigenti Regolamenti.

                3° L'istruzione sarà data secondo le discipline e a tenore dei programmi stabiliti dal Governo per le pubbliche scuole. Il corso tecnico sarà fatto secondo il progetto governativo di fusione dei due corsi tecnico e ginnasiale: cioè, aritmetica, sistema metrico, geografia, lingua italiana, storia, siano gli stessi come nel corso ginnasiale, dimodochè saranno esaurite contemporaneamente le materie anche del corso tecnico nel corso ginnasiale.

                4° Per completare quello che è più essenziale nel corso tecnico vi saranno inoltre lezioni di francese e di disegno, dimodochè nel quinquennio classico siano pure esaurite le materie spettanti a questi rami del corso tecnico, in guisa che gli alunni sia del ginnasio che del tecnico vengano abilitati a subire l'esame per essere ammessi ai corsi superiori.

                5° Tutte le spese del suppellettile pel Convitto saranno a carico del Sac. Bosco; il Municipio per altro, come proprietario e in conformità al prescritto dell'articolo 1604 del Codice Italiano, si obbliga: I. A tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edifizio e dei locali annessi. 2. A provvedere e mantenere tanto nelle scuole elementari che ginnasiali la suppellettile e le altre cose necessarie, delle quali conserverà la proprietà.

                6° In correspettivo delle superiori assunte obbligazioni del Sac. Bosco, il Municipio si obbliga di pagare al medesimo, od a chi per esso, l'annua somma di lire novemila. [782]

                7° Il Municipio si obbliga inoltre di corrispondere allo stesso Sac. Bosco un premio di lire duemila per anni cinque per le spese sì di primo impianto che successivo mantenimento del Convitto.

 

46.

 

Lettera di Mons. Guarino, arcivescovo di Messina,

a Don Rua.

 

                Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                Le sono obbligatissimo per avermi dato la dolce consolazione di abbracciare i suoi cari figliuoli. Ne aveva grande desiderio, e Dio benedetto mi ha esaudito. Prego nostro Signore a volerla rimeritare.

                Arrivarono qui felicemente ieri mattina. Il viaggio fu piuttosto felice, sebbene non adusati al mare avessero sofferto qualche poco, ma non al punto del vomito. Fui fortunato di offerire l'alloggio nel mio quasi distrutto seminario, ed essi ebbero la bontà di accomodarsi.

                Quanto benedico l'opera sua, veneratissimo Padre! Che Iddio la prosperi e dilati un Istituto tanto bello, e che così bene risponde all'esigenza dei tempi!

                Appresi che avrò la grande consolazione di vederla qui quando da Brindisi verrà Ella ad onorare queste contrade. Non mi neghi una grazia: la supplico a venire direttamente in questo Episcopio per darmi il bene di ospitarla nel passaggio, da qui andrà in ferrovia sino a Piedimonte Etneo, e da lì a Randazzo in vettura. Ecco tutto. Ma, ben inteso, in Messina dovrà riposare a suo miglior comodo.

                Le sarei poi oltremodo obbligato se volesse avvertirmi del giorno dell'arrivo in Reggio con antecedenza, per venire di persona ad incontrarla fin lì e condurla meco in Messina.

                Ha conchiuso la pregiatissima sua del 17 corrente con una parola, che non ho potuto capire: “Da mia parte non tarderò di compiere ogni mia relativa obbligazione”. Per l'amor di Dio, R.mo Padre, quale obbligazione?

                Gradisca, la prego, la mia intima riconoscenza pel bene che mi ha concesso: si degni aver memoria di me miserabile nelle tue orazioni, e permetta che le baci di cuore le mani nel dichiararmi con ogni rispetto

                Della S. V. Ill.ma e Rev.ma

 

                Messina, 24 Ottobre 1879.

 

U.mo Obbl.mo Ser.e.

+ GIUSEPPE  GUARINO

Arciv.o di Messina, [783]

 

47.

 

Circolare di Don Bosco per le Letture Cattoliche.

 

                Ill.mo e M. R. Signore,

 

                Alla vista del gran danno che reca in mezzo al popolo cristiano la cattiva lettura, il sottoscritto si adoperò di porvi qualche argine mediante la diffusione di libretti, che si stampano a modico prezzo in Torino col titolo di Letture Cattoliche.

                Ma affinchè i suoi sforzi non tornino inutili, di buon cuore egli si raccomanda a tutti coloro che amano la nostra Santa Religione e il bene delle anime, che è pur quello della civile società.

                Per la qual cosa raccomanda alla S. V. M. R. il Programma delle mentovate Letture, pregandola unitamente che voglia dargli quella maggior pubblicità che le sarà possibile per accrescere ognor più il numero degli associati e quello dei lettori. Che questi opuscoletti siano di grande utilità al popolo cristiano, la S. V. può vederlo dall'elogio che si degnò di farne il grande pontefice Pio IX di santa memoria, non che dalle testimonianze, possiamo dire, di tutto l'Episcopato italiano.

                L'esperienza di oltre ventisette anni ne è pure una prova solenne.

                Pertanto nella speranza che la S. V. voglia prendere in benevola considerazione questa domanda, ne rende i più sentiti ringraziamenti pregandole dal Signore ogni bene, mentre con tutto rispetto e gratitudine si professa

                Di V. S. M. R.

Obbl. Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

48.

 

Circolare per trovar coadiutori.

 

 

                Molto Reverendo Signore,

 

                Malgrado la tristezza dei tempi si trovano ancora fra la gioventù anime privilegiate che, data occasione; desiderano di abbandonare il mondo per assicurare più facilmente la salvezza dell'anima propria.

                A tal fine il sottoscritto si rivolge a V. S., perchè, se mai taluno de' Suoi figli spirituali dimostrasse tale inclinazione, disposto a quella vita di sacrificio, quale si conviene ad un religioso, lo inviti a far dimanda per entrare nella Pia Società Salesiana, fondata dal Sig. Don Bosco Giovanni.

                Simili giovani però devono essere di una condotta antecedente assai buona, sani di mente e di corpo, disposti ad occuparsi in qualunque [784] lavoro; per es. nella campagna, nell'orto, in cucina, in panetteria, tener refettori, far la pulizia della casa; e se sono abbastanza istruiti saranno messi negli uffici in qualità di Segretari. Quando poi fossero addestrati in un'arte o mestiere di quei che esercitiamo nei nostri Istituti, potrebbero continuare la loro arte nei rispettivi laboratori. L'età loro dovrebbe essere dai 20 compiuti ai 35 anni circa.

                Nella dimanda, oltre all'attestato di buona condotta del Parroco, dovranno unire la fede di nascita e di stato libero.

                Se potrà trovare qualcuno nel senso come sopra, faciliterà la salvezza di quell'anima, procurerà un vantaggio alla nostra Pia Società, ed Ella ne avrà gran merito innanzi a Dio.

                Il sottoscritto La ringrazia anticipatamente, e coi sensi di alta stima e profondo rispetto gode professarsi

                Di V. S. M. R.

 

Obbli.mo Servo

 

49.

 

Circolare per una novena a Maria Ausiliatrice.

 

                ORATORIO

                di San Francesco di Sales

                Torino: via Cottolengo, 32.

 

                               Signor

 

                In risposta alla ricevuta sua lettera... godo assicurarla che io prego ben di cuore coi miei orfanelli per la S. V. e che secondo tutte le sue intenzioni comincieremo una novena di preghiere e di comunioni il...

                Voglia V. S. unirsi alle nostre pie pratiche I° recitando ogni di 3 Pater, Ave, Gloria e Salve Regina, colle giaculatorie; Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis. Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. 2° Frequentando la SS. Comunione, sorgente di tutte le grazie. 3° Facendo qualche opera di carità.

                Io raccomando i nostri poveri giovanetti alla generosa carità della S. V. Nostro Signore G. C., disse: Date e vi sarà dato, io Lo prego a ricompensare largamente tutto quanto V. S. potrà fare per essi che sono molto bisognosi.

                Abbiamo intanto piena fiducia che le nostre preghiere saranno esaudite nel modo più conveniente al bene dell'anima.

                Dio la benedica e la SS. Vergine tutti ci consoli colla sua materna protezione.   

                Con particolare stima e rispetto sono di V. S.

 

Umilissimo Servo

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Si prega di scrivere sempre chiaro il nome, cognome e indirizzo di ogni lettera. [785]

 

50.

Comitato delle Signore marsiglies:

 verbale della prima sedata.

 

                Le Comité de l'oratoire Saint-Léon s'est réuni au presbytère, sous la présidence de Monsieur le Curé de Saint-Joseph [...].

                Après avoir invoqué les lumières du Saint-Esprit et la protection de la Sainte Vierge sur cette première réunion, Monsieur le Curé a rappelé, en quelques mots, le but et l'origine de l'oeuvre de Don Bosco: l'extension considérable qu'elle a prise, et qui prouve une intervention divine: les besoins du temps auxquels elle repond d'une manière providentielle. C'est la seule couvre, qui atteigne la jeunesse dans toute les positions, qui ne laisse pas de lacune dans les soins qu'elle lui donne, et seconde toutes les aptitudes. Elle se présente à nous, appuyée des encouragements et de la bénédiction du Saint-Père, qui a autorisé l'établissement d'un Noviciat à Marseille; Elle a été bénie par Monseigneur l'Évêque, et a, pour augmenter encore la sympathie et exciter le zèle, la certitude, que fondée par mi saint, soutenue par ses prières, elle est l'oeuvre de Dieu.

                Monsieur le Curé félicite ces dames, d'avoir répondu à l'appel qui leur a été fait: il espère que leur présence est une preuve du concours, qu'elles voudront bien apporter à l'organisation de l'oeuvre, et il les remercie de leur bienveillant patronage.

                La grande force et la grande ressource de Don Bosco est sa foi en la divine providence. La prière, pour le succès de l'entreprise, est le premier moyen indiqué et recommandé, mais après la prière, il faut songer aux moyens pratiques de procurer des ressources à l'oratoire •                Saint-Léon. Rien n'est décidé encore, et ces séances préparatoires ont pour but d'étudier les meilleurs moyens d'y parvenir. On pense, que l'oeuvre de Don Bosco pourrait prendre sa place parmi les autres oeuvres, et recueillir des souscriptions annuelles. Il avait été question de fixer un chiffre unique, mais l'impression qui domine est celle de né rien déterminer, de ne point mettre de bornes, d'atteindre les chiffres élevés du Comité Catholique, si c'était possible, mais de laisser une entière liberté à chacun, et de tout accepter. La liste des souscripteurs de la Société de la Bienfaisance, qui est la plus considérable, contient douze cents noms et peut donner d'utiles indigations.

                M.r le Curé pense, que l'on pourrait adopter, comme on l'a fait à St-Jean-de-Dieu, le système des lits, pour lesquels on peut se réunir par souscriptions collectives. Il serait peut-être bon aussi de populariser l'oeuvre par le moyen de dizaines, différentes de celles de la Propagation de la Foi, pour ne pas le confondre, mais qui la mettrait [786] ainsi à la portée de tous: on a, sans l'arrêter, parlé d'une quotisation de trois francs par ansa C'est un peu la pensée de Don Bosco, qui, dans ses coopérateurs, voudrait établir des décurions et des centurions. Ces différents moyens apportent chacun leur utilité pratique, mais demandent des auxiliaires pour être employés. Le Comité des Messieur est limité comme nombre, à cause de la loi; celui des Dames peut me pas l'être, et M.r le Curé demande, à ce qu'il soit augmenté, autant que possible; chacune de ces dames offre d'en parler à quelques personnes et espère des adhésions. Monsieur le Curé propose au comité de choisir une sécretaire; on nomme M.me Rocca, et la séance est levée, après la récitation du Sub tuum. La prochaine réunion est fixée à jeudi 11 mars à 11 heures.

 

51.

Scioglimento dai voti.

 

                Ad maiorem Dei gloriam lucrumque animarum testamur admodum Reverendum Matthaeum Grochowski quatuor circiter annos in Salesiano Asceterio Taurini commorasse. Hoc tempore nostrani humilem Congregationem votis perpetuis simplicibus professus est, studio operaram dedit, et ad presbyteratum promotus fuit.

                Nunc vero genitricis suae egestatem sublevandi gratia, emissorum votorum relaxationem instanter postulantî eius votis obsecundare violentes, atque auctoritate a nostris constitutionibus concessa utentes, petitam dispensationem per demissionem in Domino concedimus.

                Quapropter eumdem Sacerdotem Matthaemn Grochowski Episcopo Lublinensi, Ordinario originis, remittimus, adnotantes, iuxta Ecclesiae praescriptiones, eum suspensum esse, donec episcopum acceptatorem invenerit, qui eidem titulum ecclesiasticum constituerit. Adnotamus insuper postulatorem Theologiam dogmaticam, nondum complevisse et de casibus moralibus nullum examen dedisse.

                Hisce positis deelaramus D. Matthaeum Grochowski toto tempore quo remansit apud nos, semper se gessisse, quoad mores, pietatem atque ad spiritum ecclesiasticum, quemadmodum decet cos qui in sortem Domini sunt vocati. Propterea humillime eumdem Sacerdotera Ordinario suo in Domino commendamus, ut ei benevolentiam et adiutorium praebeat, rogantes Deum, ut omnibus eius benefactoribus reddat mercedem magnam nimis.

                Datum Romae, die XV martii MDCCCLXXX.

Sac. JOANNES Bosco.

                Superior Generalis Societatis S. Francisci Salesii. [787]

 

52.

 

Supplica di Don Bosco a Leone XIII per indulgenze.

 

                Beatissimo Padre,

 

                Il Sac. Gio. Bosco, Superiore della Pia Società Salesiana, prostrato ai piedi di V. B. umilmente implora alcuni favori spirituali, che a lui sembrano molto efficaci a promuovere lo spirito di fede e di pietà tra i popoli cristiani. Questi favori sarebbero, che tutti i fedeli Cristiani, i quali nelle feste di Nostro Signore, in quella della Beata Vergine Maria sotto il titolo di Auxilium Christianorum e nelle altre feste dell'Augusta Madre di Dio, dei Santi Apostoli, di tutti i Santi, di San Giuseppe e del suo Patrocinio, di S. Gioachino, di S. Anna e di San Luigi Gonzaga, premessa la Sacramentale Confessione e Comunione, visiteranno qualche Chiesa od Oratorio della Congregazione  Salesiana, possano lucrare indulgenza plenaria, purchè alzino a Dio speciali preghiere pei bisogni di S. Madre Chiesa, secondo l'intenzione del Sommo Pontefice. Altra indulgenza pei giovanetti raccolti nelle case, collegi, ospizi in quel giorno del mese in cui faranno l'esercizio della buona morte, cioè, premessa una particolare preparazione, s'accosteranno ai Santi Sacramenti della Confessione e Comunione, con altre pratiche di pietà e preghiere pei bisogni della Chiesa e per le anime del Purgatorio.

                Questi favori spirituali dalla clemenza di V. B. furono già quasi tutti concessi per ogni fedele Cristiano ad tempus, ai soci ed ai Cooperatori Salesiani definitivamente; ora si fa umile preghiera, affinchè siano estesi a tutti i fedeli cristiani in perpetuo.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

53.

 

Due memorie per onorificenze pontificie.

 

A.

 

Per Don Ceccarelli.

 

                I° Il teologo Avv. Pietro Ceccarelli, Missionario Apostolico nella Repubblica Argentina, zelante parroco e Vicario Foraneo della città di S. Nicolas de los Arroyos, impiegò incessanti cure, a nome del suo Arcivescovo Mons. Aneyros e del Presidente di quella Repubblica, e si adoperò con gravi sacrifizii pecuniarii e personali, affinchè i Salesiani potessero recarsi e stabilirsi nell'America del Sud.

                Sua Santità Pio IX mostrò il gradimento del suo operato creandolo Suo Cappellano d'onore. Sua Santità il Regnante Leone XIII, [788] che Dio lungamente conservi, si degnava confermare il segno di benevolenza pontificia conferendogli il titolo di Cameriere Segreto d'onore.

                Il 5 corrente aprile rimetteva la pratica all'E. Sig. Card. Alimonda, perchè ne riferisse e facesse compiere le dovute formalità.

 

                Roma, 10 Aprile 1880.

 

 

                Dato copia al Card. Alimonda il 10 aprile 1880.

 

 

B.

 

Per Don Migone.

 

                Il Sacerdote D. Paolo Francesco Migone del fu Bartolomeo, Dottore in ambe leggi, è nato in Genova nel 1844, Presentemente frequenta con regolarità il secondo anno di corso in Diritto Canonico nel Seminario di S. Apollinare.

                Appartiene alla ricca e cattolica famiglia Migone di Genova, che fa molte opere di carità. Non potendo i Salesiani avere un terreno per fabbricare chiesa, casa e scuole in Valle Crosia per fare argine ai Protestanti, egli D. Francesco, regalò una superficie di 2500 metri, dove sono già cominciati e progrediscono i lavori di costruzione. 11 valore del terreno è di fr. 15000.

                Oggi stesso (10 aprile) tutta la famiglia venne ad assicurare di venire in aiuto pecuniario, affinchè i lavori possano continuarsi nella località sopra indicata.

                S. S. il 5 corrente mese degnavasi promettere di farlo Cameriere Segreto d'onore, rimettendo la pratica nelle mani dell'Emo. Sig. Card. Gaetano Alimonda, affinchè riferisca alla stessa S. S.

 

                Roma, 10 Aprile 1880.

 

Sac. Giov. Bosco.

 

54.

 

Circolare per Conferenza dei Cooperatori a Lucca.

 

                ORATORIO S. CROCE

                                Lucca.

 

                Ai Signori Cooperatori

                ed alle Signore Cooperatrici di Lucca.

 

                Con grande mia consolazione posso partecipare alla S. V che nel giorno 29 di questo mese alle ore 5 pom. nella Chiesa della Croce avrà luogo, col consenso di S. Ecc. R.ma Mons. Arcivescovo, la nostra Conferenza in conformità dell'articolo 4 del Cap. VI del nostro Regolamento. [789] L'Eccellentissimo e Reverendissimo Mons. Arcivescovo nostro, impedito dalla Sacra Visita Pastorale, non può presiedere la pia adunanza, ma la benedice di cuore, e benedice in questa occasione le opere dai Sigg. Cooperatori promosse.

                Prego umilmente la S. V. a volere onorare questa riunione colla sua presenza. Persuaso del favore, coi giovanetti dell'Oratorio Le prego da Dio ogni più eletta consolazione.

                Coi sensi di una vera considerazione permetta che abbia l'onore di potermi professare

                D. S. V.

 

Lucca, 25 Aprile 1880

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI MARENCO.

 

 

 

Ordine della Funzione.

 

                I° La conferenza comincierà colla lettura di un Capitolo della vita di S. Francesco di Sales, cui terrà dietro il canto di un Mottetto.

                2° Il Sac. Giov. Bosco, Superiore della Congregazione nostra, esporrà lo stato delle Opere raccomandate alla carità dei Cooperatori Salesiani.

                3° Preghiere per i Cooperatori e Cooperatrici defunti.

                4° Tantum Ergo in musica e Benedizione col SS. Sacramento.

 

                N. B. Tutti quelli che intervengono alla Conferenza potranno lucrare Indulgenza Plenaria secondo il Regolamento.

                La questua, che si farà andrà a benefizio del nostro Oratorio.

                Ognuno può eziandio condurre seco quelle persone di sua conoscenza che avessero desiderio di ascriversi alla Pia Unione.

 

55.

 

Circolare di Don Bosco per la casa della Spezia.

 

                Agli amanti del bene della Religione e della Civile Società.

                L'educazione religiosa della gioventù è divenuta una necessità sentita da tutti gli uomini onesti. Ma i poveri figli del popolo, quelli che mancano di mezzi e dell'assistenza dei genitori, meritano particolare attenzione. Senza morale istruzione, senza un'arte od un mestiere questi giovanetti corrono gravissimo rischio di diventare lui pubblico flagello, e quindi abitatori delle carceri.

                Questo bisogno è ovunque grave, ma in modo speciale nella Spezia. Questa città, che in pochi anni portò il numero degli abitanti da quattro a trenta mila, versa in deficenza assoluta di Chiese, di scuole, e di Ospizii.

                Coll'aiuto materiale e morale del caritatevole Pio IX, coll'approvazione del Vescovo della Diocesi e col consenso del Parroco del luogo [790] fin dal 1877 si prese a pigione un locale nel centro di quella popolazione. Ivi si raccolsero tosto oltre 300 giovanetti, cui tuttora è gratuitamente impartita l'istruzione scientifica e religiosa; mentre in una sala ridotta a Chiesa intervengono più centinaia di adulti desiderosi di compiere i loro doveri. Ma questi edifizi, pigionati a fr. 2200 annui, per motivi che non occorre accennare, divennero inservibili; e perciò, mercè l'aiuto di un benemerito concittatino, si comperò apposito terreno in altro quartiere della stessa città: si preparò un disegno e si diè tosto principio ad una chiesa, che deve servire pei fanciulli e per gli adulti; ad un giardino per la ricreazione festiva, ad un edifizio che, oltre all'abitazione dei maestri e degli assistenti, abbia sale per le scuole gratuite giornaliere, serali e domenicali, con un Ospizio capace di raccogliere i fanciulli più poveri ed abbandonati.

                I lavori progrediscono alacremente, i muri superano l'altezza di cinque metri e si spera di potere nel I° marzo 1881 trasferirci nella novella abitazione. Coi mezzi somministrati dal caritatevole Sommo Pontefice Leone XIII e da alcuni pii oblatori si poterono finora far progredire i lavori; ma ora che ci troviamo al momento in cui aumentano le spese, ci vengono a mancare i mezzi per continuarli. Per non lasciare incompleta una impresa, da cui dipende un lieto o tristo avvenire di tanti giovanetti, si fa umile ricorso a tutti coloro che amano il bene della religione e della civile Società, supplicandoli a venirci in soccorso con danaro o con materiale da costruzione per una sola volta o con oblazioni ripartite secondo che la carità suggerirà al cuore di ciascheduno

                Il Sommo Pontefice benedice l'opera e gli oblatori, ne dà Egli stesso luminoso esempio; il Vescovo loda lo scopo, la raccomanda e ci aiuta. A Lui speriamo si aggiungeranno altri e poi altri benefattori.

                É stabilito che, terminata questa Chiesa, vi si faranno ogni giorno speciali preghiere pei benefattori, affinchè le celesti benedizioni siano assai copiose sulla terra ed ancora più copiose siano quelle che Dio largirà a suo tempo nella patria de' beati

 

D. Bosco.

 

56.

 

Prima Conferenza salesiana a S. Pier d'Arena.

 

 

                La conferenza ebbe principio colla lettura del Capo XIV della vita di S. Francesco di Sales scritta dal Galizia, dove si parla della sua carità verso il prossimo. Terminata la lettura, i giovanetti dell'Ospizio cantarono in musica il mottetto Tota pulchra es Maria, che suscitò in tutto l'uditorio dolci sentimenti di divozione verso l'Augusta Regina del Cielo. [791] Cessato il canto, D. Bosco prese la parola e tenne un discorso di circa un'ora, ascoltato colla massima attenzione. In esso dopo avere annunziato la benedizione pastorale che Mons. Arcivescovo impartiva di cuore a tutta la pia Adunanza, egli narrò l'origine dei Cooperatori e delle Cooperatrici; il modo con cui cooperavano fin da principio; il felice risultato che mediante l'opera loro si ottenne nei giardini di ricreazione, negli Oratorii festivi e nell'Ospizio di S. Francesco di Sales, e poi in questo di S. Vincenzo de' Paoli, nei quali sono oggidì raccolti, mantenuti ed avviati ad una carriera onorata oltre a 1200 poveri giovanetti. Passò poscia a dire della Congregazione Salesiana approvata dalla Santa Sede, delle varie opere sue, dei collegi, ospizi, scuole, laboratorii, colonie agricole e delle Chiese da lei amministrate. Espone come, per estendere il bene della buona educazione anche tra le ragazze, si fondasse l'Istituto delle Suore di Maria Ausiliatrice, aventi per iscopo di fare per le fanciulle quello che i Salesiani si studiano di ottenere a pro dei giovinetti.- Parlò dell'Opera di Maria Ausiliatrice per coltivare la vocazione allo stato ecclesiastico nei giovani adulti. Accennò alle Missioni di America e della selvaggia Patagonia, dove poc'anzi coi Salesiani si portarono eziandio le dette Suore, le prime che mettono piede in quelle lontanissime terre, dacchè il mondo esiste. Di parecchie altre cose egli toccò, già pubblicate nei primi numeri del Bollettino e che ad evitare ripetizioni crediamo qui di passare sotto silenzio.

                Mostrato così il molto bene che coll'aiuto di Dio e coll'appoggio dei Cooperatori e delle Cooperatrici si potè finora ottenere; toccato eziandio del grande lavoro che si ha tuttora tra mano ed il moltissimo che da molte parti viene offerto, D. Bosco fece poscia rilevare quanto sia oggidì necessario il concorso dei Cooperatori e delle Cooperatrici. Essi non possono certamente unirsi coi Salesiani e seguirli in tutte le loro mosse; ma stando pur nelle loro famiglie e disimpegnando i proprii uffizi possono nondimeno giovarli e colla preghiera e coi soccorsi materiali.

                Primieramente la preghiera è una potente cooperazione. Il Regolamento raccomanda la recita quotidiana di un Pater ed Ave in onore di San Francesco di Sales secondo l'intenzione del Sommo Pontefice. Ciascuno lo reciti, e vi annetta pur quella d'invocare sopra i Salesiani tutte quelle grazie e benedizioni, di elle abbisognano nell'esercizio dei vari loro ministeri.

                Ma la preghiera non basta, ed è pur necessario di cooperare colla mano, cioè colla limosina secondo le proprie forze. La Congregazione Salesiana conta oggidì oltre a cento case, tra cui un buon numero di Ospizi di carità, dove sono ricoverati migliaia di poveri giovanetti orfani od abbandonati, ai quali è da provvedere vitto e vestito, finchè non abbiano imparata un'arte od intrapresa una carriera, che loro permetta di guadagnarsi il pane della vita. La Congregazione ha [792] migliaia di giovanetti avviati allo stato ecclesiastico, destinati a provvedere di sacerdoti le diocesi che ne son prive, e le estere Missioni che li invocano con voci commoventi. A questi giovani, la maggior parte poveri, occorrono libri per lo studio, occorrono danari per riscattarli dal servizio militare, occorrono fondi per costituire patrimoni ecclesiastici. La Congregazione Salesiana ha scuole, ha chiese in via di costruzione, aventi lo scopo di strappare dalle mani dei protestanti e giovanetti e adulti, tratti nell'inganno da lusinghe, da promesse e da premi. La Congregazione ha libri da diffondere in mezzo al popolo cristiano per istruirlo nelle verità cattoliche e per impedire che cresca nell'ignoranza o si abbeveri alle fonti avvelenate dei fogli dell'eresia, della corruzione e dell'empietà. Come ognun vede, tutte queste opere che formano lo scopo principale della Congregazione Salesiana, richieggono aiuti materiali per sostenersi, promuoversi e propagarsi.

                E qui D. Bosco fece notare che il fare in un modo o in un altro la carità per sopperire ai bisogni spirituali o temporali del prossimo non è solo un consiglio, come alcuni si credono, ma è un comando del Signore, il quale disse chiaramente in tono imperativo: Quod superest, date eleemosynam; quello che vi è di superfluo, datelo in limosina. Nè si dica: lo non fo limosina, perchè nulla mi rimane di superfluo. Un buon cristiano e una buona cristiana troverà sempre del superfluo in casa o nei mobili o negli abiti o nei pranzi o nelle comparse o nelle partite e viaggi di piacere, e via dicendo. Chi poi non ha propriamente nulla da offrire nè in danaro nè in altro equivalente, può ben pregare per le persone caritatevoli, perchè Dio le benedica e conceda loro la grazia di poter continuare le opere buone; può pregare per quelli che possono fare limosina e non la fanno, pregare cioè che il Signore li illumini e faccia loro vedere che al di là essi non porteranno niente di quanto posseggono su questa terra; faccia loro vedere che Egli quaggiù ha con essi largheggiato di beni di fortuna, affinchè fossero in grado di sacrificare una parte alla sua gloria ed a sollievo degli indigenti, e così meritarsi poscia da Lui le vere ricchezze del Cielo; pregarlo che tocchi loro il cuore, perchè si muovano a compassione di tanti miserabili che periscono di anima e di corpo, e si accendano di desiderio di venir loro in aiuto, e così salvarli dalla rovina. Può altresì parlare con altri delle Opere Salesiane già intraprese e da intraprendersi, e così invogliare parenti, amici, conoscenti e facoltosi a sovvenirle. In questa guisa qualunque individuo può divenire buon Cooperatore e rendersi altamente benemerito della religione e della società.

                Le parole di D. Bosco accompagnate dalla grazia di Dio scesero come pioggia benefica nel cuore di tutti i congregati, i quali in quella sera medesima diedero una non dubbia prova della loro carità facendo una copiosa limosina. [793] Finito il discorso, i giovanetti dell'Ospizio cantarono il mottetto Sit nomen Domini benedictum, poscia il Tantum Ergo, e D. Bosco impartì la benedizione col SS. Sacramento.

                Terminata la funzione di Chiesa, i Cooperatori e le Cooperatrici entrarono nell'Istituto ed assistettero a vari concerti di musica istrumentale, eseguiti maestralmente dai giovani artigiani. In sul far della sera ognuno partiva, confessando di aver passato alcune ore della più grata soddisfazione.

 

                (Bollettino Salesiano, giugno 1880).

 

57.

 

Parole di Don Bosco

ai pellegrini francesi nell'Oraforio.

 

                Don Bosco s'est levé pour parler à son tour, recommandant qu'on ne fît pas attention à ses paroles plus ou moins correctes, puisqu'il avait à parler dans une langue qui n'était pas la sienne, mais aux sentiments qu'elles exprimaient; c'est son coeur qui devait parler. Il a loué tout d'abord les Pèlerins pour leur noble entreprise, abandonnant leur pays, leur famille, leur affaires; allant à-Rome pour faire, à la face du monde, un acte de foi, protester de leur attachement à la Religion et à son Chef. « Vivent les Français », a-t-il ajouté; ils sont vraiment incomparables quand il s'agit d'accomplir de ces actes de foi et de devoument qui ne sont surpassés ni même égalés, nulle part. je suis heureux de me trouver avec vous, ce soir, parce que moi aussi je suis français, non seulement en vous imitant dans vos pèlerinages, mais encore par les oeuvres salésiennes que nous avons établies dans votre pays, oeuvres qui vont chaque jour prenant une plus grande extension. A ce propos, laissez-moi vous faire une invitation, celle de me prêter l'appui de vos prières et de votre charité, en vous associant à la Pieuse Union des Coopérateurs, dont le but, vous le savez, est de retirer du danger tant de jeunes enfants abandonnés qui, privés d'éducation, ne pourraient que servir à peupler les prisons 0u les maisons de correction.-Dans les maisons que nous avons fondées, ces pauvres enfants sont exercés à des travaux en rapport avec leur âge et leur sexe; ils reçoivent encore cette instruction qui doit en faire des bons chrétiens et d'honnêtes citoyens. Comme vous le voyez, nous avons grand besoin que vous nous aidiez pour la bonne réussite d'oeuvres destinées, je crois, à opérer le plus grand bien parmi la jeunesse. En y contribuant, vous participerez aux trésors spirituels vraiment extraordinaires qui nous ont été concédés par, le Souverain Pontife, et votre titre de Coopérateurs [794] vous donne droit non seulement aux faveurs spirituels si nombreux qui y sont attachés, mais encore à tous ces avantages temporels qu'offrent nos maisons lesquelles, par suite de votre coopération, deviennent, pour ainsi dire, vôtres. Bien des demandes d'établissements Salésiens m'ont été faites en Espagne, en Portugal, en Afrique et en Amérique, mais avant tout mes soins se porteront sur la France que j'aime d'un amour tout -particulier.

                «J'aurais bien voulu avoir un plus grand palais à vous offrir pour vous recevoir dignement, mais vous serez indulgents, et vous vous contenterez de notre.bon vouloir. J'espère que nous nous reverrons encore sur cette terre où notre vie n'est autre qu'un long pèlerinage; mais si cette satisfaction nous est refusée, nous nous retrouverons là haut, au Ciel, notre véritable patrie, et ce sera pour ne plus nous séparer jamais ».

(Bulletin Salésien, juin 1880).

 

58.

 

Directoribus aliisque Superioribus.

 

Cujusque domus Salesianae in D. S. P.

 

                Mense Septembris imper elapso Generale Cap Capitulum in Nostro Collegio apud Lanceum habitum fuit, in quo plura ad Nostrae Congregationis utilitatem statuta fuerunt. Sed antequam hujusmodi Decreta typis mandari sociisque nostris communicari queant, cum tempus et labor non levis adhuc requiratur, bonum visum est nonnulla hic in antecessum adnotare, quae magis magisque ad praxim necessaria censentur et quorum observantiam summopere in Domino commendamus. Sunt nempe:

                1. Deliberationes, quae jam in priori Capitulo Generali ratae fuerunt, legantur, et praecipue quae ad mores atque ad oeconomiam spectant, ad mentem revocentur.

                2. Directores maximam impendant diligentiam ut quisque Socius animum suum libere et commode singulis mensibus aperiat. Itidem Exercitium Bonae Mortis statuto die omnes una simul colletti vel etiam separatim, quisque peragere studeat, eodemque die legatur unum ex Capitulis Nostrarum Constitutionum, vel Epistola sancti Vincentii a Paulo, quae easdem Constitutiones praecedit.

                3. Multae et graves rationes suadent, ut nemo nisi ex medici praecepto ad aquas balnearias accedat.

                4. Obedientia inter nos sit de facto erga Superiores, quoad Constitutiones, quoad officia unicuique commisa. Clare explicentur Sancti Pauli Apostoli verba: Obedite praepositis vestris etc. Hinc nemo ex ea domo, ubi a suis superioribus positus est, ne paullisper quidem [795] discedat absque Superioris consensu, et rationabili causa intercedente.

                Itidem nemo apud se pecuniam retineat, neque eroget, nisi ex causa et mensura quas el Superior constituit.

                5. Satagant Superiores ut omnino claudatur omnium malorum officina, qualis est feriarum tempus apud parentes aut amicos transigere.

                6. Unusquisque seipsum praebeat exemplum bonorum operum, et ab omni specie scandali peraccurate fugam apprehendat.

                7. Patientia, caritas et mansuetudo nostra resplendeant in opere et sermone, adeo ut adimpleantur in nobis verba Christi: Vos estis sal terrae, vos estis lux mundi.

                8. Mensé Februario et Martio Cuusque anni unusquisque Socius ad Rectorem Majorem Epistolam scribat, in qua valetudinis et vocationis suae statum fidenter exponat, ut animi sui quieti et utilitati consulere possit. Hujusmodi Epistolam cum sit ad Superiorem inscripta, nemo neque legere, neque adaperire audeat.

                Filii mei in Christo carissimi, maneamus in vocatione qua vocavit nos Dominus, et satagamus, ut per bona opera vocationem et electio-nera nostram certiorem faciamus.

                Nani, quod Deus avertat, si nos posuerimus manum ad aratrum et respexerimus retro apti non erimus regno Dei.

                Singuli Diretores omnibus, suae domus socii hanc Nostrani Epistolam legant, explicent et de singulis articulis supra adnotatis saepius àd cos breviter sermonem habeant.

                Gratia Domini Nostri Jesu Christi sit semper nobiscum. Amen.

 

                Datum Augustae Taurinorum, Prima die novendialis Solemn. Immaculatae B. V. Conceptionis 1880.

 

JOANNES BOSCO Sacerdos.

 

59.

 

Lettera di Mons. Gastaldi al Card. Bartolini.

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Presento a V. Em. i Libri, in cui sono contenute le narrazioni di prodigi che si pretendono operati in Torino nella chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, od operati altrove per la intercessione di Maria SS. invocata sotto il titolo suddetto nella detta chiesa, ed intorno ai quali io scrissi già al S. Padre, e poi anche a V. Eminenza, la quale gentilmente mi assicurò per lettera, che, ricevuti i Libri, avrebbe procurato un diligente esame di questo delicato ed importantissimo affare.

                Il primo di questi Libri col n. 269 stampato in Torino nel 1877 ha in fine queste parole: Con permesso dell'Autorità ecclesiastica. Questo [796] permesso consisteva tutto nell'avere il Padre Saraceno della Congregazione di S. Filippo, che esaminò il libro, dichiarato, elle esso non trovava alcun impedimento alla stampa. Ma nè l'Arcivescovo, nè il Vicario Generale, nè alcuno degli Ufficiali della Curia aveva colla sua sottoscrizione licenziato il libro alla stampa.

                Il secondo col numero 293 comparisce come stampato in Sanpierdarena ed ha infine le parole: Con licenza dell'Autorità ecclesiastica.

                Il terzo col n. 317 comparisce come stampato in Sanpierdarena nel 1879 ed ha il permesso alla stampa del Vicario Generale di Genova.

                In tutti tre questi libri è stampata la Protesta in conformità coi decreti di Urbano VIII.

                Questi libri a migliaia e migliaia di copie si sono diffusi e si diffondono per il Piemonte.

                Io ripetutamente invitai per lettera R. Bosco a presentarmi i documenti che dimostrano la verità, almeno di alcune delle dette narrazioni: egli rispose una volta solo in modo vago, ma non corrispose mai alla mia domanda. La mia Curia è disposta a esaminare questi fatti secondo le regole canoniche, siccome si fece nei tempi passati in varie occasioni: ma oggidì l'esame è rifiutato dai narratori dei detti prodigi.

                Ora, che senza il menomo concorso dell'Autorità della S. Sede, o dell'Autorità ecclesiastica del luogo dove si dicono avvenuti questi fatti proprio nei giorni presenti, questi si pubblichino ai quattro venti da Sacerdoti sforniti affatto di ogni autorità a cosa sì importante, sembrami una pubblica violazione delle regole stabilite dal Sacro Concilio di Trento, un esporre la fede agli scherni degli increduli, e una pubblica offesa all'Autorità arcivescovile.

                E incominciando da quest'ultima, avendo l'Arcivescovo dichiarato ai Salesiani, che esso non darebbe il suo assenso alla pubblicazione di narrazioni di grazie prodigiose operate presentemente nella sua diocesi, senza prima averle esaminate e trovate autentiche: ed avendo lo stesso Arcivescovo pubblicato nel Calendario liturgico i decreti del Concilio di Trento e le prescrizioni di Benedetto XIV a questo riguardo, che i Sacerdoti diocesani, quali sono i Salesiani addetti alla Chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino, facciano stampare altrove narrazioni tali, e le diffondano nella Diocesi di Torino, è una pubblica opposizione che essi fanno all'Arcivescovo, ed un pessimo esempio che essi danno a tutti i diocesani, ecclesiastici e laici: e ciò specialmente in cosa sì grave, elle il Concilio di Trento ha raccomandato all'Autorità diocesana. Poi, che diranno gli increduli di cui oggidì cresce continuamente il numero, al vedere diffusa con tanta leggerezza la narrazione di tante grazie prodigiose; e la gente crederle sì facilmente, e trarre in gran folla alla chiesa di Maria Ausiliatrice, e portarvi in tanta abbondanza danaro e doni preziosi? Diranno quel che dicono appunto, e che pubblicano nei loro giornali e nei loro [797] libri: che cioè il volgo ha sempre bevuto grosso: e che se in mezzo a tanta luce di progresso la Chiesa lascia spargere la notizia di grazie miracolose, e senza il menomo esame, a chiunque il voglia e vi abbia interesse, peggio ancora deve essersi fatto nei tempi antichi; e che perciò non vi ha fondamento da poter credere ragionevolmente all'esistenza dei miracoli.

                Finalmente o queste grazie portentose sono vere, o sono false; se sono false o mancanti di prove sufficienti, è un inganno solennissimo ed un insulto alla religione il pubblicarle: o sono vere e dimostrabili, e allora vengano esaminate, e non si pubblichino prima dell'esito dell'esame. Se si rifiuta l'esame, come finora i Salesiani lo rifiutarono all'Arcivescovo, benchè da esso invitati, è cosa evidente che l'Arcivescovo pel gravissimo obbligo che esso ha di vegliare sugli interessi della Fede, dovrà avvertire i suoi Diocesani e specialmente il suo Clero, di guardarsi dall'inganno.

                Io pertanto mi riferisco alla lettera che scrissi al S. Padre, e che fu trasmessa alla S. C. dei Riti, a cui V. Em. presiede sì meritamente e prego la S. C. a provvedere secondo la sua sapienza a questo grave affare.

                Baciandole la Sacra Porpora, sono colla massima osservanza, di V. Eminenza reverendissima

 

                Torino, 26 Giugno 1880.

 

umil.mo ossequent.mo servitore

+ LORENZO Arcivescovo di Torino.

 

60.

 

La S. Congregazione dei Riti per i libretti delle grazie

attribuite all'intercessione a Maria Ausiliatrice.

 

                R.me Domine,

 

                A R.mo Archiepiscopo Taurinensi huic Sacrae Rituum Congregationi exibita nuper fuerunt quaedam opuscula, per typos cura Congregationis, cui praees, evulgata citra ecclesiasticae auctoritatis approbationem, in quibus varia enarrantur prodigia intercessioni attributa Deiparae sub titulo Auxilium Christianorum, quae in Ecclésia tuae Congregationis in ista Civitate Taurinensi magna populi pietate colitur.

                Porro infrascriptus Cardinalis eidem Sacrae Rituum Congregationi Praefectus quo in evulgatione similitun prodigiorum tuta habeatur norma ad tramitem ecclesiasticarum legum expressa, opportunum censuit R. P. D. Sanctae fidei promotori committere ut votum Pro veritate, seu Instructionem in re exaret, quam hisce litteris adnexam reperies. [798] Quapropter ad mentem huiusmodi Instructionis curabis ut nova editio fiat praedictorum opuscolorum prorsus subjicienda sanctioni R.mi tui Archiepiscopi, quemadmodum in similibus negociis tibi in posterum agendum erit.

                Et ut diu bene valeas ex animo adprecor

                Romae, die 16 Julii 1880.

 

                Tui studiosus

D. Cardinalis BARTOLINIUS

S. R. C. Praefectus

                Praeposito Generali         Plac. Ralli S. R. C. Secre.

                Congregationis Salesianae.                 R.moDomino

 

61.

 

Lettera di Don Cagliero al Card. Nina.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Il fatto che diede motivo alla lettera dell'Em. Vostra del 23 dello scorso giugno avvenne in tempo che il Sig. D. Bosco era assente da Torino da parecchi mesi. E come l'offerta di casa e terreno, di cui è parola nella veneratissima sua, fu da sua Eccell. Rev.ma Mons. Arciv. di Torino fatta a me sottoscritto e per me alla Congreg. Salesiana, così io, più che ogni altro, sono in grado di dare alla Em. Vostra, nostro Benevolo Protettore, quegli schiarimenti che sono del caso.

                Il 22 marzo passato S. Ecc. Rev.ma Monsignor Arcivescovo mi inviava una lettera colla quale offriva l'uso di una Casa ed il frutto di L. 6000 a me e per me alla Congreg. Salesiana, a patto di tenere aperto l'Oratorio festivo e due scuole gratuite quotidiane pei ragazzi della Parrocchia del S. Cuore di Gesù.

                Nel mentre che mandava copia della lettera di S. Ecc. Rev.ma al Signor Don Bosco, allora in Roma, e ne attendeva la risposta, fui personalmente da Monsignore a ringraziarlo dell'offerta, ed a prendere schiarimenti sul progetto e visitare il locale in discorso.

                Esaminata ogni cosa e tenuto calcolo che la stessa offerta era già stata fatta ad altre corporazioni religiose, che non l'avevano accettata, e che la Congreg. Salesiana, già mancante di personale, non era in grado di aprire una nuova Casa con solo lire 300 annue, quali risultano dall'offerta di L. 6000, conclusi col Sig. Don Rua, pur esso interessato nel progetto di Mons., che la Congreg. non era nella possibilità di sobbarcarsi gli oneri risultanti dal progetto.

                Intanto giungeva da Roma la risposta del Sig. D. Bosco, in cui mi diceva che il progetto di S. Ecc., per altro commendevolissimo, poteva convenire ai RR. Padri Cappuccini, cui era affidata la cura Parrocchiale della Chiesa del Sacro Cuore. [799] Fui allora la seconda volta da Mons. Arciv. ad esporgli le mie osservazioni, colla risposta del Sig. D. Bosco. Desiderando però di secondare il pensiero di S. Ecc., dissi:

                I° Che saremmo stati disposti ad aprire l'Oratorio festivo, contando per poco il sacrifizio della lontananza di circa 5 chilometri, che sono dalla nostra Casa di Valdocco alla Chiesa del S. Cuore; col mandare ogni domenica il necessario personale a questo scopo. Cosa che già i Salesiani fanno per gli Oratorii di S. Luigi e S. Giuseppe, il primo poco distante, il secondo assai presso alla Parrocchia del S. Cuore.

                2° Avremmo potuto accettare le scuole non appena avessimo aperta la nuova Chiesa di San Giovanni Evangelista in prossimità della Casa e terreno offerto a questo scopo; perchè di lì due maestri avrebbero potuto con facilità portarsi mattino e sera a tenervi le scuole desiderate dall'Arc. Mons. trovando giuste le mie osservazioni convenne meco che la Congreg. Salesiana non avrebbe potuto tener aperta una Casa con sole 3oo annue, disse di sospendere per allora le trattative ed aspetterebbe fino all'apertura della Chiesa e Casa di San Giovanni Evangelista, i cui lavori vanno avvicinandosi al loro termine.

                Intanto giunto D. Bosco dalla visita alle case nostre della Liguria, venne da Mons. Arcivescovo invitato a recarsi presso di Lui. Il nostro Superiore in quel tempo era tenuto in camera da un incomodo di salute, e perciò mandò in sua vece Don Rua a farne le scuse e a rappresentarlo in quello che poteva. Si noti che D. Rua nella Congregazione dopo D. Bosco tiene la prima autorità. E saputo da S. Ecc. che l'oggetto della lettera d'invito per un appuntamento col Sig. D. Bosco era quello stesso delle scuole da aprirsi presso alla Chiesa del S. Cuore, rispose che D. Bosco ed il suo Capitolo non potevano essere pel momento di parere diverso del mio espresso nelle due Conferenze tenute a questo riguardo.

                Ma io, il Sig. D. Bosco, il Sig. D. Rua e quanti furono a cognizione del progetto di Mons. Arciv. eravamo lungi le mille miglia dal pur sospettare la gravità estrinseca di questa offerta è tanto meno dal prevederne le spiacevoli conseguenze che se ne sarebbero dedotte a nostro carico. E ciò massimamente dopo la determinante negativa data allo stesso progetto in questione da altre Congregazioni, come sopra si disse, mentre da noi gli fu soltanto chiesta una dilazione.

                La Em. Vostra dalla esposizione genuina e semplice del fatto saprà fare gli apprezzamenti che saranno del caso.

                Si degni darmi la sua santa benedizione e permettermi l'alto onore di professare

                Della E. V. Rev.ma

 

                Torino, 10 Luglio 1880.

Suo Umil.mo servitore

Sac. Gio. CAGLIERO. [800]

 

62.

 

Lettera di Monsignor Gastaldi a Don Bosco.

 

                Reverend.mo Signore,

 

                Nel dì 12 del corrente mese verso le 4 pomeridiane io insieme con il mio cerimoniere, uno dei segretarii della mia Curia ed il Vicario foraneo di Volpiano ed il signor Enrico Gedda, visitai il collegio che V. S. ha in San Benigno Canavese. Fumino cordialmente ricevuti prima dal Prefetto poi dal Rettore, il quale ci accompagnò per ogni parte gentilmente, e rispettosamente ci fece vedere quanto poteva interessarci di esaminare ed osservare, e ci stette sempre a fianchi infine a che rientrammo nelle carrozze; e non uscimmo dall'edifizio prima di essere stati generosamente rinfrescati. Entrammo nelle officine; e quivi è dove reputo mio dovere di fare osservazioni. In quella dei falegnami tutti si mossero a compiere gli atti di ossequio, che in tutta la cristianità i fedeli prestano ai Vescovi, qualunque essi sieno, rispettando in essi la pienezza del Sacerdozio compresa nel carattere vescovile; i due giovanetti, che erano intenti all'ufficio di fabbro ferraio, si mostrarono meno rispettosi; però uno di essi mi baciò la mano; ed amendue soddisfecero al nostro desiderio di vedere traforata sull'istante una grossa lamina di ferro da una certa macchinetta che colpì la mia immaginazione. Ma nelle officine di legatori sarti e calzolai, eccettuato il giovane vestito da chierico che li sorvegliava, che si alzò e venne a baciarmi la mano, degli altri neppur uno si mosse. tutti rimasero immobili il loro posto; e neppure fecero atto alcuno di religione quando uscendo da queste officine, io mai non fallii di impartire a quanti erano in ciascuna di esse la mia benedizione.

                Io non dubito che questa sia stata una inavvertenza, una mancanza di riflessione per parte del Rettore, o del Chierico che invigila quei luoghi; come pure sono certo, fu una irriflessione quella dei varii chierici, che essendo nel cortile, mentre noi passavamo, fuggirono via in fretta: ma giudico mio dovere avvertire la S. V. acciò faccia conoscere a tutte le persone di sua dipendenza la eccellenza divina del carattere episcopale, e il dovere gravissimo che loro corre, siccome a tutti indistintamente i fedeli, di rendergli sempre tutto l'ossequio che gli è dovuto, essendo esso il carattere del nostro divin Redentore Gesù Cristo, il quale si conserva visibile su questa terra nella persona dei Vescovi; siccome quelli che lo rappresentano nella pienezza del Sacerdozio.

                Augurandole toto corde ogni bene da Dio Ottimo Massimo, sono con tutta la dovuta stima

                Di V. S. Reverend.ma

 

                Torino, li 22 Ottobre 1880.

 

Devot.mo Affezionat.mo nel Signore

+ LORENZO Arciv. [801]

 

63.

 

Lettera di mons. Gastaldi a mons. Belasio.

 

                Ill.mo reverend.mo Monsignore,

 

                Ripensando su quanto V. S. mi disse ieri, la assicuro elle sarebbe la mia consolazione vivissima e dolcissima il vedere D. Bosco e i suoi Salesiani affezionati e riverenti a questa Autorità Arcivescovile di cui sono, benchè senza merito alcuno, insignito al pari almeno delle altre Congregazioni religiose. Ma disgraziatamente la cosa non è così; chè lo spirito di autonomia e indipendenza di cui breve tempo fa si diede una cattiva prova a Chieri, si frappone alla buona intelligenza che dovrebbe ovunque esistere tra il Vescovo e i Sacerdoti esistenti nella sua Diocesi, i quali tutti e secolari e regolari elle si chiamino, debbono essere tutti coadiutori del Vescovo; e non disturbatori, debbono coadiuvarlo non a loro capriccio, ed arbitrio contro la sua direzione, ma in pieno ossequio ed in perfetta sottomessione alla sua autorità. In caso contrario mentre essi edificano coli una mano, distruggono coll'altra; traggono per un lato anime a Dio, e per altro lato disseminano la discordia e lo scisma. Stamane ho ordinato due Salesiani Sacerdoti e ho detto loro colle parole della Chiesa: Filii dilectissimi quos ad nostrum audiutorium fratrum nostrorum arbitrium consecrandos elegit... sint provvidi cooperatores ordinis nostri: e mi veniva da piangere, pensando ai disturbi gravissimi, che D. Bosco ed i suoi mi hanno arrecato ed arrecano, e colle loro parole e coi libelli infamatorii che hanno sparso per tutta Italia, e ai disturbi, che fra breve mi arrecheranno questi stessi, a cui stamane ho imposto le mie mani e le mani dei quali ho consecrato. Ci pensino: I gemiti e le lagrime di un Vescovo non sono da disprezzare!!

                Per lo che se V. S. e tutti i personaggi che si interessano in questa materia vorranno fare buon uffizio con D. Bosco ed i suoi Salesiani, e indurli a rendere all'Arcivescovo di Torino, nella cui diocesi hanno finora la sede principale, e la culla, e il quale col danaro, colla penna e coll'opera ha cooperato efficacemente alla loro fondazione, a rendere, dico, quanto ordina la legge divina, la osservanza della quale è di tanta importanza per la gloria di Dio, e il bene essere della Chiesa, mi renderanno un servigio graditissimo, di cui sarò loro riconoscente. Monsign. di Casale specialmente potrebbe forse indurre D. Bosco a cangiare sistema, e a diportarsi coll'Arciv. di Torino, che tanto ha operato per la sua Congregazione, secondo il dovere elle gli corre e a dare su questo punto a tutti i suoi ed a tutta la Diocesi Torinese la edificazione che è in obbligo di dare.

                Io sono disposto a dimenticare affatto quello che è stato, e non [802] chiedo altro elle il dovuto rispetto all'Autorità diocesana e la dovuta conformità ai Canoni della Chiesa.

                Auguro di cuore e voci e polmoni e stomaco a V. S. acciò possa proseguire a lavorare con gran lena nella vigna del Signore, mentre con la massima stima sono

 

affez.mo in Gesù Cristo

+ LORENZO Arcivescovo.

 

64.

 

Buoni frutti della Pia Unione dei Cooperatori.

 

                Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                Poco tempo fa scriveva alla bontà vostra di annoverare fra i cooperatori alcune figlie del mio paese. La mia domanda venne accolta favorevolmente, ricevetti i diplomi.

                Pochi giorni fa abbiamo già sperimentati gli effetti di questa pia unione che ha per vincolo la santa carità. Qui la fede sembrava morta eppure va risvegliandosi a gran passi per volere di Dio e per opera dei cooperatori.

                Il fatto seguente lo prova. Al 7 p.p. di questo mese ci portammo al nostro Santuario d'Oropa per la consueta processione che si fa ogni anno. Ma se negli anni passati vi regnava alquanto d'indifferenza ed incompostezza per ciò che riguarda i santi Sacramenti e l'ordine delle sante funzioni, in quest'anno, ringraziando il buon Dio, non fu così. Io che ne fui testimonio oculare, non potei trattenere le lagrime. Cosa veramente ammirabile! Al mattino le cooperatrici figlie di Maria colle altre consorelle si accostarono ai santi Sacramenti ed un altro maggior numero le seguiva. Quindi si fece la nostra processione con ordine con compostezza e con divozione.

                Io ringrazio la Provvidenza elle abbia ispirato alla S. V. Rev.ma l'Istituzione dell'Unione Salesiana, che apporta alla società ed alle famiglie un bene che non ha misura e fine.

                Pel passato non si raccolse mai un centesimo d'offerta pel suo Pio Istituto; ma ora per mezzo delle cooperatrici, si darà principio col giorno di domani consacrato a Maria Assunta in cielo, a fare qualche colletta.

                Le invio mille ringraziamenti per parte delle cooperatrici le quali si protestano di voler essere fedeli e pregare il Signore che conceda a Lei lunghissimi anni di vita...

 

                Cerrione, 14 Agosto 1880.

 

MATTEI D. VIRGINIO

Maestro e Vice-parroco. [803]

 

65.

 

Lavori da eseguirsi nella Chiese di S. Giovanni Evangelista.

 

                I.- Due mosaici di Venezia rappresentante uno il

 

Divin Salvatore, l'altro l'apoteosi di S. Giovanni

 

Evangelista, lire 1550 cadauno.

 

Totale . . . . . . . . . . . ……………………….L.               

 3100 -

2.- 15 porte interne per la Chiesa e Sacristia in stile

 

      romanico L. 150 cadauna . . . . . . . . . . . .        „

 2250 -

3.- Altre 3 porte esterne, cioè per le due sacrestie ed

 

      entrata in via Pio V. L. 300 cadauna . . . .       „  

 900 -

4.- 5 Confessionali, L. 350 cadauno, ed un pulpito

 

      fatto ad uso di cattedra, L. 500, tutto da eseguirsi in stile

 

        . . . . . . . . . . . . . . . . . .                                „

 2250  -

5. - Pavimento in n'armo nero e bianco con fascie, croci, e

 

       mosaico tra l'intercolonnio L. 8500.

 

       Presbiterio in mosaico L. 1500. In tutto        „

 10000 -

6. - Doppio e grandioso altar maggiore in marmi esteri

 

       e di Carrara a prezzo già ridotto . . . . . . .       „

 5000 -

7. - Balaustra che chiude il Presbiterio e gira tutto

 

       attorno fra l'intercolonnio dell'apside               „

 3000 -

8. - Due altari laterali in marmo al prezzo di L. 2500

 

       cadauno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .         „

 5000 -

9. - Le due icone pei suddetti altari laterali, l'una

 

       rappresentante l'Immacolata Concezione, l'altra San

 

      Giuseppe patrono della Chiesa, prezzo di L. 800

 

      cadauna . . . . . . . . . . . . .                                „

 1600 -

10. - Il Cav. Bertini di Milano dipinse 5 finestre circolari

 

        rappresentanti ciascuna un apostolo:

 

        S. Giovanni Evangelista, S. Giacomo,

 

        S. Andrea, S. Pietro, e S. Paolo: prezzo

 

        ridotto di L. 500 cadauna . . . . . . . . . . . . .  „ 

 2500 -

11. - Due grandiosi affreschi nel presbiterio rappresentanti

 

        due fatti storici della vita di S. Giovanni Evangelista;

 

        prezzo di cadauno cirrca L. 2500 . .  . . . . . „  

 5000 -

12. - Altri 7 dipinti su basso fondo in forma circolare

 

         rappresentanti i sette Angioli delle sette Chiese

 

         dell'Apocalisse; prezzo di circa L. 350 cadauna . . . . .

 

          . . . . . . . . . . . . . .                                      „ 

 1450 -

13. - Decorazione generale della Chiesa ideata dal Sig.

 

        Conte Mella, studiata e dipinta ad olio dal Prof. Costa

 

        di Vercelli che la eseguirà per                      „

 15000 –

[804]

14. - 5 Campane con inceppatura in ghisa e ferro. La

 

      maggiore del diametro di centimetri i 151/2 L. 2500; la

 

      seconda di diam. 103, L. 2000; la terza di diam. 92,

 

      L. 1500; la quarta di diam. 86, L. 1200; la quinta diam.

 

      76Y2 L. 800. In tutto . . . . . . . . . . . . . . .  L.     

 8000 -

15. - Venticinque finestre con vetri a colori secondo il

 

      disegno Mella a L. 130 cadauna . .  . . . . .  .”   

 3250 -

16. - Grandiosa statua di Pio IX, in marmo statuario, di metri

 

      2,35 di altezza, oltre il piedestallo, da eseguirsi da un

 

      distinto scultore di Milano. . . . . . . . . . . .  . „    

 8000 -

 

 

           Totale delle spese . . . . . . . . . . L.             

 76 200 -

 

Sac. Gio. Bosco

 

                Ipse edificavit domum nomini meo... Misericordiam meam non auferam ab eo et stabiliam thronum regni eius in sempiternum.

 

                Io non toglierò, dice Iddio, la mia misericordia a chi edificherà una casa al mio nome; e gli stabilirò un trono nel regno sempiterno.

 

66.

 

Supplica per la facoltà dell'oratorio privato.

 

                Beatissimo Padre,

 

                L'umile figlia di Santa Chiesa, Maddalena Adelaide Nicolle Noilly, colla massima venerazione si prostra ai piedi di Vostra Santità, esponendo quanto segue:

                Essa trovasi all'età di 79 anni affetta da paralisia alle gambe e da varie altre infermità che le rendono impossibile recarsi alle chiese pubbliche. Perciò supplica la Santità Vostra che a suo grande conforto si degni di concedere per sè, per sua figlia vedova Prat-Noilly e agli altri di sua famiglia la facoltà dell'Oratorio privato nel suo Castello di Fleurie, diocesi di Lione. In ogni cosa saranno osservate le prescrizioni de' sacri canoni colla dovuta dipendenza dell'Ordinario Arcivescovo della diocesi, che dà il suo pieno consenso che sia inoltrata la presente domanda.

                Che della grazia etc.

                Il sottoscritto aggiunge la debole sua preghiera in favore della supplicante, essendo essa una fervorosa cattolica, insigne benefattrice delle case Salesiane di Francia e generosa oblatrice del danaro di S. Pietro.

 

                Torino, 9 Luglio 1880.

 

Sac. Gio. Bosco. [805]

 

67.

 

Riconoscimento civile della parrocchia dei S Cuore.

 

UMBERTO I.

per grazia di Dio e per volontà della nazione

RE d'ITALIA.

 

                Visto il Decreto emanato dall'Eminentissimo Cardinal Vicario in data 2 febbraio 1879, col quale è stata eretta canonicamente in Roma una nuova Parrocchia nel novello quartiere Castro Pretorio sotto il titolo del Sacro Cuore di Gesù, con ismembramento di quella contigua di S. Bernardo alle Terme, stabilendosi che la nuova Parrocchia abbia la sua sede in una Chiesa da costituirsi;

                Visto il pubblico istrumento rogato Ciccolini del 14 maggio detto anno, con cui si è acquistata, per il prezzo già pagato di L. 37.500 l'area per la costruzione della nuova Chiesa parrocchiale;

                Visto l'istanza del Sacerdote Francesco Manfra, deputato dalla Curia alla cura delle anime della nuova Parrocchia, perchè si impartisca il R.o Assenso per il riconoscimento civile della Parrocchia stessa; istanza alla quale ha fatto adesione anche il titolare della Parrocchia di S. Bernardo alle Terme, da cui va distaccato il territorio della nuova Parrocchia;

                Visto l'art. 16 della legge 13 maggio 1871 e la legge 5 giugno 1850;

                Sentito il Consiglio di Stato;

                Sulla proposta del nostro Guardasigilli Ministro Segretario di Stato per gli affari di Grazia e Giustizia e dei Culti;

                Abbiamo decretato e decretiamo

 

ARTICOLO I.

 

                É concesso il Nostro Regio Assenso alla erezione della nuova Parrocchia del Castro Pretorio in Roma sotto il titolo del Sacro Cuore di Gesù, con ismembramento di quella contigua di S. Bernardo alle Terme, giusta il menzionato Decreto di erezione canonica emanato dalla Curia in data 2 febbraio 1879.

 

ARTICOLO IL

 

                A autorizzata la nuova Parrocchia anzidetta ad accettare lo acquisto dell'area per la costruzione della nuova Chiesa parrocchiale fatto col citato rogito Ciccolini del 14 maggio detto anno.

                Il predetto Nostro Ministro Guardasigilli è incaricato della esecuzione del presente Decreto.

 

                Dato a Roma addì 28 Marzo 1880.

 

Firmato UMBERTO

Contrassegnato VILLA. [806]

 

68.

 

Decreto di nomina del primo parroco del Sacro Cuore.

 

RAPHAËL TITULI S. CRUCIS IN JERUSALEM

S. R. ECCLESIAE PRESB. CARDINALIS

MONACO LA VALLETTA

SS.mi D.ni N.ri PAPAE VICARIUS GENFRALIS

ROMANAEQUE CURIAE EIUSQUE DISTRICTUS IUDEX ORDINARIUS.

 

                Dilecto nobis in Christo fil. D. Francisco Dalmazzo Taurinensis Dioecesis, Presbytero Piae Societatis a S. Francisco Salesio nuncuPatae, salutem in Domino, qui est vera salus. Vitae ac morum honestas, aliaque quibus commendaris probitatis argumenta efficiunt ut te favoribus prosequamur. Cum itaque in Essquiliis ac praecipue in ea Collis parte, quae Castrum Praetorium dicitur, templum in SSmi Cordis Jesu honorem exsurgat, illud, ne populus frequéntissimus ibidem constitutùs spiritualibus careret auxiliis, probante Summo Pontifice Leone XIII, dnobus Decretis a Nobis editis die 2 Februarii 1879, et die 15 Martii curr. ann. 1881, rite et canonice in novam Paioeciam iurisdictioni Nostrae immediate subiectam ereximus et constituimus, quam ab altera Paroecia S. Bernard1 ad Tbermas omnino distinctum declaravimus, prout en Confinium utriusque Paroeciae desçriptione, quae in Nostri Vicariatus Secretariae tabulario- asservatur, videre est. Ea propter cum per Conventionem mense Decembri an. 188o cum Supremo Moderatore praedictae Salesianáe Societatis a Nobis initam et a SS.mo D. D. PP. approbatam, disctinctis articulis de Parochi electione provisum sit et in praesentiarum idem Moderator Te R.dum D.num Franciscum Dalmazzo Taurinensis Dioecesis, eiusdem Societatis Presbyterum, ad id muneris elegerit, Nobisque rite praesentarit, Nos electione hanc et praesentatione ratam habentes et confirmantes, tè ad Sacrorum Canonum praescriptiones peracto examine idoneum habitum quoad scientiam ad animarum Curam exercendam in nova Ecclesia Parochiali ut praefertur adprobamus et deputamus tibique facultatem Sacramenta ibidem administrandi aliaque Parochialia munia obeundi ad annum hisce Nostri Literis in Domino' concedimos et impertimur, mandan- tes omnibus qui tibi in eadem Paroecia subiiciúntur, ut te uti pastorem habeant et-revereantur.

 

                Dat, Romae ea Aedibus Vicariatus, die 12 Julii 1881.

R. Card. Vicario

I. Can. FAVSTI Secretarius [807]

 

 

69.

 

Convenzione relativa alla Chiesa del S. Cuore in Roma.

 

                Ad unico fine di promuovere la maggior gloria di Dio ed il decoro di nostra Santa Cattolica Religione, la Congregazione Salesiana, rappresentata dal sottoscritto Superiore generale, assume l'incarico di proseguire e compiere a proprie spese la costruzione in Roma della Chiesa Parrocchiale al Castro Pretorio, da dedicarsi al Sacro Cuore di Gesù, in omaggio al glorioso Pontefice Pio Nono di sempre cara memoria, con le seguenti condizioni:

                I° La Congregazione ultimerà la Fabbrica della Chiesa e Casa Parrocchiale secondo il progetto in via di esecuzione, riservandosi d'ampliarlo, occorrendo, e modificarlo d'accordo con l'Autorità Ecclesiastica diocesana rappresentata dall'E.mo e Rev.mo Sig. Cardinal Vicario, e sotto la direzione tecnica dall'architetto Sig. Conte Francesco Vespignani rispettando i Contratti già conclusi in tutto il loro valore giuridico.

                2. Tosto che i lavori della Chiesa e Casa parrocchiale saranno bene avviati, potrà porre mano all'edificazione di un Ospizio per fanciulli poveri e di un Oratorio festivo per i giovanetti della Parrocchia.

                3. L'area dell'Ospizio, dell'Oratorio e di qualunque altro edifizio la Congregazione volesse aggiungere per proprio conto, resterà o sarà acquistata a nome del Sacerdote D. Giovanni Bosco, o di chi per esso; ma qualunque ulteriore acquisto d'area, se occorrerà, per l'ingrandimento della Chiesa e Casa parrocchiale sarà fatto con le necessarie formalità a favore dell'ente giuridico della Parrocchia; di guisa che il suolo, la Chiesa, e la Casa parrocchiale appartengano all'ente giuridico.

                4. La Casa parrocchiale sarà costruita in modo da poter essere abitata separatamente dai prossimi edifizi.

                5. La lodata Autorità Ecclesiastica come sopra rappresentata continuerà a proteggere e favorire la pia impresa, le metterà a disposizione del sottoscritto il terreno ed i muri dell'incominciato edifizio

nello stato in cui si trovano. Il danaro a tal uopo raccolto per cura dell'E.mo Signor Cardinal Vicario, o di altri, sarà interamente impiegato nella costruzione della Chiesa e Casa parrocchiale.

                6. Resterà in facoltà della Congregazione, e per essa del Sottoscritto, di continuare in proprio nome la questua in quei luoghi e presso quelle persone, cui la prudenza suggerirà di ricorrere.

                7. Nè l'Autorità Ecclesiastica, nè la Persona dell'E.mo Signor Cardinal Vicario rimarranno esposte a qualsiasi impegno per gli acquisti di terreno fatti e da farsi e per i lavori eseguiti e da eseguirsi; dovendosi qualunque obbligo, comprensivamente al pagamento delle pubbliche imposte, intendersi assunto dalla Congregazione. [808]

                8. Accadendo per qualsiasi evento, o motivo; purchè, questo non sia per impedimento di forza maggiore, che la Congregazione (quod Deus avertat) in un tempo congruo da non oltrepassare i sei anni da oggi, non portasse a compimento la fabbricazione della Chiesa in modo che possa essere aperta al Divin Culto, essa resterà nello stato in cui si troverà a libera disposizione dell'Autorità Ecclesiastica, senza che nè la medesima, nè la persona che la rappresenta, restino obbligate per qualunque impegno contratto dalla Congregazione, o debbano darle compenso alcuno. La medesima cosa si ha da intendere della Casa Parrocchiale se non sarà compiuta nel nono anno. Si ha però viva fiducia nella Divina Provvidenza che nello spazio di tre anni saranno compiuti i lavori e la Chiesa verrà inaugurata al Divin Culto.

                9. Terminato il Tempio e la Casa Parrocchiale, la Congregazione provvederà all'esercizio del Culto religioso ed a tutte le relative spese, come altresì alla manutenzione dell'edifizio, ai miglioramenti e restauri, anche sostanziali e straordinarii, ed insomma a qualunque spesa sebbene degna di speciale menzione.

                10. Provvederà pure alla scelta, destinazione e mantenimento dei Sacri Ministri; di guisa che da principio siano addetti alla Chiesa non meno di tre Sacerdoti, ed in seguito quanti ne occorreranno pei ministeri ecclesiastici e pel decoro della Chiesa. Alla Parrocchia ed al Parroco da nominarsi come all'Art. 12, apparterranno i proventi parrocchiali determinati dagli Statuti del Clero Romano, e dalle legittime consuetudini del luogo. Il Parroco adopererà tuttavia i mezzi legittimi, che d'accordo con l'autorità Ecclesiastica si crederanno opportuni, per provvedere di congrua la nuova Parrocchia. Non riuscendosi nello scopo, la Congregazione Salesiana potrà rivolgersi alla condiscendenza del Santo Padre.

                11. Resta inteso di per sè che l'obbligo di sostenere ogni cura e spesa spetterà alla Congregazione, anche per le altre pie Opere, elle assumerà, come l'Ospizio pei fanciulli poveri, e l'Oratorio festivo pei giovanetti della Parrocchia, cui si farà il catechismo, la scuola serale e, se farà di mestieri, anche diurna, come si pratica nelle Case della Congregazione aperte con identico scopo: con dichiarazione che l'Ospizio, l'Oratorio, e le Scuole dovranno considerarsi come Istituti Speciali della Congregazione totalmente distinti dalla Parrocchia: ed i relativi stabili come proprietà individuali del Sacerdote D. Giovanni Bosco, o di chi per esso, per tutti gli effetti civili:

                12. Il Parroco sarà prescelto tra i Religiosi della Congregazione, ed a presentazione del Superiore generale di essa sarà sottoposto al consueto esame d'idoneità, e quindi sostenutone la prova con esito favorevole, verrà nominato dall'autorità Ecclesiastica. Le presentazioni per altro, successive alla prima, dovranno possibilmente farsi in persona, di uno dei Sacerdoti, elle per qualche tempo avrà esercitato [809] il Sacro Ministero nella Chiesa, in modo d'aver acquistato conoscenza pratica dei costumi romani.

                13. In mancanza di lui soggetto idoneo al Ministero Parrocchiale tra i Religiosi della Congregazione, cesserà in essa l'esercizio di tutti i diritti ed obblighi relativi alla Parrocchia, cui liberamente provvederà l'autorità ecclesiastica nel modo elle crederà opportuno. La Congregazione avrà però sempre il diritto di servirsi della Chiesa per le preghiere in comune degli alunni dell'Ospizio annesso, e per le funzioni ecclesiastiche, cui intendessero intervenire; con facoltà d'intelligenza col rappresentante della Parrocchia, della scelta delle ore convenienti per le prediche ed istruzioni più adatte all'intelligenza e al bene spirituale degli alunni. La pia Società Salesiana dalla disposizione anzidetta dell'autorità Ecclesiastica, sulla provvisoria amministrazione della Parrocchia, avrà il termine di sei mesi per la presentazione di un soggetto idoneo, il qual termine, a dimanda della Congregazione, potrà essere prorogato di altri sei mesi. Decorso inutilmente il termine, l'autorità Ecclesiastica potrà deputare alla Parrocchia un Vicario od Economo temporaneo, l'ufficio del quale cesserà, con previa disposizione dell'autorità anzidetta, quando la Congregazione Salesiana tornerà ad avere il soggetto idoneo al ministero Parrocchiale, rientrando in tutti i suoi diritti, come se la nomina di un estraneo non fosse avvenuta.

                14. La Congregazione Salesiana ed il Parroco prescelto tra i suoi Religiosi dipenderanno dall'autorità Ecclesiastica in quel modo, che ne dipendono gli altri Istituti di Ordini regolari in Roma; ed i Parrochi delle Chiese loro 'affidate. Correlativamente la pia Società di S. Francesco di Sales, verso l'autorità Ecclesiastica, anche rispetto alla Parrocchia, godrà dei diritti, privilegi e facoltà di cui godono gli Ordini regolari allorchè viene fondata una Parrocchia in loro favore: salve sempre le speciali disposizioni dei presenti articoli.

                15. Il Rettore generale della Pia Società Salesiana, con l'unanime approvazione del suo capitolo superiore, di tutto buon grado munisce del bollo della Congregazione i tre fogli contenenti i presenti articoli, ed accettandoli pienamente appone ai medesimi la sua firma; pregando l'Eminenza Rev.ma del Sig.r Card. Vicario di rassegnarli al Santo Padre, affinchè si degni approvare e benedire quanto in essi si propone, che diverrà obbligatorio soltanto dopo la Suprema Sanzione della Santità Sua.

 

                Torino, 11 dicembre 1880.

 

(Firmato dall'orig.) Sac. GIOVANNI Bosco

                 Rettor Maggiore della pia Società di S. Francesco

                di Sales.

                Ex Audentia SS.mi, Die 18 Decembris 1880, SS.mus

                D. N.

 

                D. Leo divina Providentia PP. XIII omnia, quae suprascriptis quindecim articulis Continentur rata habuit et confirmavit, atque executioni [810] mandari jussit, demptis verbis “se non sarà compiuta nel nono anno” quae leguntur sub n. 8. Contrariis quibuscumque non obstantibus.

 

R. Card. Vicartus.

 

                Testor Ego Subscriptus almae Urbis Tribunalis Vicariatus Secretarius hoc testimonium Authographo suo in hac Secreteria adservato in omnibus esse conforme. Dat ex Secreteria Vicariatus die 29 decembris 1880.

 

I. Can. FAUSTI.

L. S.

 

70.

 

Attacchi dei Petit Provencal”

contro l'Oratorio di San Leone.

 

                Il 16 novembre: “I Padri Salesiani della via Beaujour non furono dispersi e ciò a buon diritto è causa di stupore nel pubblico. Noi abbiamo, infatti, a più riprese, segnalata la singolare condotta di questi Padri, tutti stranieri, la cui riconoscenza verso il paese che li ospita, si traduce sopra tutto nella persistenza elle mettono nell'insegnare a un centinaio di fanciulli, riuniti intorno ad essi, l'odio alle istituzioni che li governarlo. Quando verrà dunque la volta per i Padri Salesiani? Perchè esitiamo nell'intimar loro, senza più discutere, un decreto d'espulsione, che i loro maneggi giustificano anche troppo? É una misura elle non si esiterebbe a prendere contro stranieri laici, i quali, sfidassero sfacciatamente come costoro la legge francese. Vi ha una specie di tolleranza ben vergognosa e elle dovrebbe al più presto avere un termine”.

                Il 18: “1 Salesiani - Riceviamo giornalmente reclami contro i Padri Salesiani della via Beaujour: questa confraternita, com'è noto, quasi esclusivamente composta di stranieri, non è ancora stata colpita dai decreti d'espulsione. I buoni Padri, che sono in numero di sette, hanno del resto l'aria così poco inquieta elle fanno tranquillamente edificare una tettoia annessa alla loro casa, credendo senza dubbio che saranno lasciati in pace.

                Forse perchè il signor vescovo Robert è a capo di questa Congregazione si usa tanta longanimità a suo riguardo?”.

                Le Petit Marseillais del 18 annunziava nella Cronaca locale: “É durata già a lungo la questione sulla dispersione della Comunità non autorizzata dei Padri Salesiani di via Beaujour. Fu ordinata un'inchiesta amministrativa sommaria e senza formalità dall'Autorità Prefettizia su questa Congregazione, i cui membri sono tutti di origine italiana. Questa inchiesta oggi è terminata e l'amministrazione sembra che abbia rinunziato a sciogliere la comunità minacciata, [811] perchè quei religiosi allevano ed istruiscono un gran numero d'orfani e di ragazzi poveri appartenenti tutti alla colonia italiana”.

                Le Petit Provençal del 19: “I Salesiani. - Noi non ci siamo ingannati ieri annunziando che con tutta probabilità i Salesiani della via Beaujour non sarebbero stati molestati. Infatti un'inchiesta amministrativa venne or ora eseguita, in seguito alla quale fu deciso, che questi Padri, istruendo un certo numero di fanciulli e rendendosi in questo modo utili, non potevano essere espulsi. E dove andiamo? Appunto perchè questi clericali stranieri istruiscono la gioventù - e si sa in qual maniera  si dovrebbero espellere e presto! Vogliamo credere che si riformerà questa prima decisione assolutamente antipatica alla cittadinanza.

                Il 21: “Ancora i Salesiani. - Sulla testimonianza di una informazione, della quale un nostro confratello del mattino si era fatto il primo interprete, si credette generalmente che la Congregazione dei Salesiani non sarebbe stata sciolta. Ebbene, noi crediamo che non sarà così, e che la legge sarà certamente applicata a costoro come fu a tutti gli altri. Si è cercato di impietosire la popolazione riguardo a questi buoni ed eccellenti Padri, che allevano gratuitamente poveri fanciulli italiani, che sono poveri ecc. ecc. Ciò in parte è falso. Venne realmente fatta un'inchiesta amministrativa. I religiosi sono in numero di venti, dei quali undici sono Padri e nove coadiutori. I ragazzi non sono già accolti presso di loro gratuitamente, ma pagano una pensione relativamente assai forte e sono allevati nel clericalismo più puro. Aggiungiamo ancora che gli allievi non appartengono mica alla colonia italiana, ma sono tutti francesi. Si comprende perciò che la causa è, giudicata: la legge deve essere applicata in tutto il suo rigore, e lo sarà”.

                Il 24: ““Sempre i Salesiani. - Veniamo a sapere che i Salesiani della via Beaujour, profittando dell'impunità momentanea della quale godono, fanno circolare liste nelle famiglie clericali di Marsiglia, a fine di raccogliere proteste contro la loro prossima espulsione. Essi di più hanno ricominciate le loro questue nella città in disprezzo della legge sulla mendicità, e ciò non li impedisce di scacciare in un modo indegno i fanciulli francesi, i cui parenti non possono pagare la pensione. Il fondatore della Società, il celebre D. Bosco, deve prossimamente venire nella nostra città e ci regalerà senza dubbio una novella edizione di quei miracoli che ci hanno tanto esilarati l'anno scorso. Ancora una volta: Quando finirà questa commedia?”.

                Il 26: “A proposito dei Salesiani. - Si sa che noi non abbiamo l'abitudine d'immischiarci troppo in ciò che riguarda la gente clericale, ma tuttavia in una nostra chiesa accadono fatti che riguardano così da presso i famosi Padri Salesiani, da non essere possibile lasciarli inosservati. Dunque, dimandiamo noi, perchè la Cantoria di S. Giuseppe è diretta da un italiano ex-Padre clarista, attualmente Padre [812] Salesiano, e perchè un altro Padre Salesiano - naturalmente italiano è organista nella stessa chiesa? Se questa è la maniera di espellere le Congregazioni non autorizzate, lasciandole acquistare ogni giorno maggior importanza, bisognerà confessare che è un po' troppo e che si dovrebbe più tosto sbarazzarci di tutta questa razza di gente vestita di nero”.

 

71.

 

Lettera dell'Abate Mendre a Don Bosco.

 

                Très Révérend et Très Aimé Père Don Bosco,

 

                Je saisis avec empressement l'occasion que la Divine Providence me fournit de vous écrire. Sur l'ordre de Monsieur le chanoine Guiol je vous adresse la lettre que Don Bologne doit remettre ce soir à Monsieur le Consul général d'Italie à Marseille. Monsieur le Cure a pensé qu'il fallait vous faire parvenir immédiatement ce travail qui peut avoir une grande importance. Après une audience accordée par Monsieur le Consul à Don Bologne et pour répondre à un désir exprimé par Monsieur le Consul lui-même, nous avons dû rédiger cette justification. Le diable jaloux de nos succès, continue à fous susciter des adversaires dans les journaux. Nous avons pensé qu'il était bon de confier à l'autorité un mémoire destine à nous défendre contre les attaques principales de nos calomniateurs. Je remercie la Divine Providence qui m'a confié lé soin de ce travail, comme je remercie Notre Seigneur Ami des Enfants, de tout ce que je puis faire, en faveur de Notre Cher Oratoire de Saint-Léon.

                Après vous avoir fait part plusieurs fois des difficultés de notre couvre naissante, je suis heureux de pouvoir Vous dire, Mon Bien Aimé Père, que la situation me paraît actuellement meilleure. Nos Enfants travaillent avec ardeur et j'ait pu constater que tous les professeurs rivalisent de zèle et de dévoument. Nos exercices mensuels de la Bonne. Mort produiront, je l'espère, d'heureux résultats et je remplirai cette année, dans des meilleures conditions, la fonction que Vous avez damné me confier de Confesseur extraordinaire. L'entente la plus complète existe avec Don Bologne et nous pouvons espérer que Dieu bénira au moins la bonne volonté qui nous 'anime. Laissez-moi ajouter que déjà les fidèles de St. Joseph s'aperçoivent du talent de l'abbé Grosso. Les Enfants sont bien formés au chant `et nous aurons certainement . bientôt des résultats capables- de contenter même les plus difficiles.

                Vous m'avez défendu, Mon Bien Aimé Père, de Vous dire que je me recommandais à vos prières, car vous faire une pareille demande, c'était faire injure à votre coeur: laissez-mai seulement ajouter [813] que je compte tous les jours davantage sur cette part quotidienne que vous me donnez dans vos suffrages. 1 Daignez me bénir, bénissez aussi tous ceux qui me sont chers, les travaux de mon Ministère et croyez-moi toujours, Mon Bien Aimé Père

                Marseille, Rue des Princes 26 ce 23 Novembre 1880.

 

Votre fils en Notre Seigneur

L. MENDRE prétre.

 

72.

 

Lettera del Console Strambio a, Don Bosco.

 

                Carissimo Don Giovanni,

 

                Ogni pericolo credo sia scongiurato pel tuo Oratorio di S. Leone e che anzi si cominci ad apprezzarlo come un'Opera altamente morale e profittevole alle classi derelitte.

                Anche la mia povera cappella italiana venne provvisoriamente salvata. Cantiamo dunque l’Alleluia!

                Sento con piacere che al principio dell'anno nuovo verrai a Marsiglia e spero che ci vedremo sovente[510].

                Passando per Nizza guarda di prendere in tua compagnia il Barone Héraud e farlo venire qua, onde possiamo rinnovare la nostra conoscenza. Egli è nipote di una mia zia e vale la pena che ci trattiamo un po' più amichevolmente. Egli d'altronde avrà caro di visitare il tuo stabilimento di Beaujour.

                Ti auguro che tu possa compiere la tua missione in questo mondo e che tu vada poi, il più tardi possibile, a godere il premio elle ti aspetta nell'altro.

                Mia moglie e figlia ti offrono i loro ossequii.

                Io mi riconfermo

 

                Marsiglia, li 26 Dicembre 1880.

Tuo vecchio e buon amico

A. STRAMBIO.

 

73.

 

Osservazioni di Don Giuseppe Vespignani

sulle cause degl'incrementi del Collegio San Carlo.

 

                Sopra la fondazione di Sali Carlo è da notarsi che fu particolarmente benedetta dal Signore con fatti provvidenziali marcatissimi, dai [814] quali si può desumere che fu aggradevole a sua Divina Maestà. Quantunque non possiamo noi scandagliare i decreti divini, possiamo dall'esperienza dedurre che il Signore e Maria SS. si compiacquero in questa fondazione: I° perchè si cercò solamente la gloria di Dio e la salute delle anime in tutto il processo della fondazione; 2° perchè si confidò in Dio e non negli uomini rispetto ai mezzi materiali e morali; 3° perchè si fece tutto con intera sommissione e conformità col volere del Rettor Maggiore e del Capitolo Superiore; 4° perchè non si tentò mai il Signore con imprese inutili o vane, ma può dirsi che la necessità ci guidava da un lato, e la povertà moderava dall'altro ogni passo; 5° perchè in modo particolare si fuggì dal grave errore (comunemente parlando) di far la casa prima di, avere chi la debba abitare: non vi fu parte dell'edifizio che non fosse già assediata da chi doveva ricoverarvisi; 6° perchè l'umano progresso nei laboratori e la vana scienza nelle scuole non posero mai piede, ma sempre s'intese che l'una e l'altra cosa erano mezzi per meglio infondere e stabilire la religione e la morale cristiana nei cuori; 7° perchè i SS. Sacramenti e la parola di Dio (cioè il suo regno) tennero il primo luogo nel piano di fondazione, e quindi è chiaro che il resto il Signore benignamente lo diede per giunta. Su questo proposito potrebbe formarsi un parallelo con un collegio di Buenos Aires, che doveva avere lo stesso fine che il nostro, ma che non appena nacque, perì, perchè sgraziatamente non aveva le suddette condizioni (senza che se ne abbia da incolpare il fondatore): fu questo il collegio di San Martin. Può aggiungersi che nella fondazione di San Carlo vi ebbe pure per pietra fondamentale una specie di oratorio festivo (il quale è un buon augurio di prosperità per le case che cominciano con questo primo nostro scopo); perchè i giovani della Cappella Italiana erano in parte frutto di quell'oratorio: questo poi seguitò negli esterni di questa stessa scuola e parrocchia di San Carlo. (Da una memoria dattilografata).

 

74.

 

Verbale finale

del primo Capitolo Generale delle Suore.

 

                L'anno del Signore 1880 il giorno 29 agosto, festa diocesana del Sacro Cuore di Maria, nella Chiesa Salesiana di N. S. delle Grazie in Nizza Monferrato, radunavasi il Capitolo Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, unitamente a tutte le Direttrici delle singole Case dipendenti da questo Istituto, per procedere all'elezione del nuovo Capitolo Superiore e della Superiora Generale, scadute d'uffizio, essendo compiti i sei anni prescritti dal Regolamento per la durata [815] degli uffizi. Col consenso del Superior Maggiore, Sac. Giov. Bosco, invocati i lumi dello Spirito Santo, il Rev. Sig. D, Giovanni Cagliero Direttore dell'Istituto, Catechista della Congregazione Salesiana, assistito dal Rev. Sig. D, Giovanni Lemoyne Direttore locale, dichiarava con analogo discorso essere in nome di Dio e col consenso del Superior Maggiore aperta la seduta. Dalla prima votazione erano destinate allo scrutinio delle schede: Suor Rosalia Pestarino Direttrice del Convitto di Chieri e Suor Catterina Daghero Direttrice della Casa di St.-Cyr presso Tolone in Francia. Le Suore presenti, che avevano diritto a dare il voto erano diciotto. Secondo le Regole si procedette a doppia successiva votazione, la prima per eleggere la Superiora Generale, la seconda per nominare i membri del Capitolo Superiore. I risultati furono i seguenti:

                Ebbe pieni voti assoluti e quindi fu rieletta Superiora Generale:

 

Suor MARIA MAZZARELLO.

 

A maggioranza di voti furono scelte le seguenti Suore:

 

Vicaria:                 Suor CATTERINA DAGHERO.

Economa:            Suor GIOVANNA FERETTINO.

Ia Assistente:       Suor EMILIA MOSCA.

2a Assistente:      Suor ENRICHETTA SORBONE.

 

                Proclamate le elette al cospetto di tutta la Comunità che aveva assistito alla solenne funzione e bruciate le schede, in intonato il Te Deum e quindi sciolta la radunanza.

                Ora perchè questa elezione abbia, pieno effetto e le uffiziali scelte dall'Istituto possano entrare in carica e adempiere i loro uffizi si porge umile preghiera al Superior Maggiore Sac. Giovanili Bosco, acciocchè fatte le osservazioni che crederà del caso, si degni colla sua firma approvare e confermare l'operato delle Suore di Maria Ausiliatrice.

                Visto approvo quanto è contenuto nel verbale sopra descritto e confermo la elezione della Madre Superiora e delle Suore componenti il Capitolo Superiore dell'Istituto di Maria SS. Ausiliatrice, e prego Dio che in tutte infonda lo spirito di carità e di fervore, affinchè questa nostra umile Congregazione cresca in numero, si dilati in altri e poi altri più remoti paesi della terra, dove le Figlie di Maria Ausiliatrice guadagnando molte anime a Dio, salvino se stesse e possano un giorno colle anime da loro salvate trovarsi tutte nel regno dei Cieli per lodare e benedire Iddio per tutti i secoli.

 

                Torino, I Settembre 1880.

 

firma autentica:

Sac. Giov. BOSCO Rettore.

 

816] 75.

 

Lettera di Don Cagliero a Don Rua dalla Sicilia.

 

                Caro Don Rua,

 

                Sono finalmente disceso dai monti Etnei e mi trovo vagando pei piani di Catania, Siracusa e Noto.

Bronte e Randazzo ebbero da me il saluto di congedo, e di qui li vedo avvolti e travolti colle nebbie vulcaniche di Mongibello. L'una e l'altra Casa hanno un avvenire sorridente, se Dio ci aiuta.

                Presentemente sono alle prese con Acireale, Catania, Siracusa e Noto: luoghi tutti che sospirano i Salesiani più che non gli Ebrei sospiravano la manna.

                Qui abbiamo un credito che mi intimorisce. Siamo per questi prelati un ideale bellissimo, e desiderati quali salvatori della Sicilia; quindi preghiere, insistenze, promesse da tutti e dappertutto, perchè veniamo o venghiamo, come dicono qui, a fare un poco di bene alla gioventù negletta o mal diretta. Trovo dunque una accoglienza straordinaria, perchè preceduto dal nostro Bollettino, dai nostri libri e da una certa fama elle diventa fame di vederci e più ancora di averci e presto in queste sicule contrade.

                A tutti mostro la nostra buona volontà, unita ad un desiderio di compiacerli; ma chiamo sempre tempo e paglia per dare maturità alle nespole Salesiane: chè invero molte sono non solo verdi, ma agre ed anche acerbe troppo.

                Taglio corto nei viaggi e nelle fermate; ma dal 2 novembre che lasciai i freschi dell'Etna pei caldi di Pachino sono di già scorsi 6 giorni per trovarmi ospite di Mons. Blandini in Noto e tra mille progetti utili e belli.

                Domani 8 corrente se riesco ad espugnare il cuore di questo prelato riparto per Siracusa, donde Mons. Arcivescovo mi attende, secondo la data promessa, almeno per un giorno.

                In Acireale rivedrò Don Guidazio; salto a Caltanisetta e corro a Messina; me la sbrigo breviter e parto per Napoli-Roma-Firenze, dove avrò un colloquio coli certo Marchese di Noto; vedrò i confratelli di Lucca, di Este, acciò abbia a godermi il biglietto di circolazione, come pure quelli di Magliano, trovandomi nel loro cammino. Ma per tutte queste tappe si richiede tempo, ed io vorrei già trovarmi a casa... me meschin, come farò? E davvero che sono ridotto alle angustie di Crispino!

                A metà del mese sarò in Roma. Scrivimi gli ordini di Doli Bosco, se ve ne saranno degli urgenti. Qui la faccio da Giovanni e preparo la via a Don Bosco, il quale se prima era aspettato, adesso è aspettatissimo [817]; e dò per certa a tutti la sua venuta qui pel venturo inverno dell'81-82

                Di salute sto bene. quantunque alla fame siami succeduta la sete, a causa dei frequenti scirocchi, che percorrono la Sicilia del mezzogiorno: Vale.

                Bacia la mano al Papà e salutami D. Durando per iscarico di questi prelati.

 

                Noto, 7 Novembre 1880.

 

  Tuo affez.mo

D. CAGLIERO.

 

76.

 

Lettera della signora Astori a Don Bosco

per la fondazione di Mogliano Veneto,

 

                Molto Reverendo Signore,

 

                Una innocente mala intelligenza esposta da mio cugino Ebenkofler al Rev. Prof.re Durando, supplicato di fare le dovute scuse a mio nome, fe' giacere lì suggellata la veneratissima Sua lettera, giunta sino dall'undici corrente a casa mia, quand'io mi stava parecchie miglia lontana: e mi ritardò la gioia che provai nello scorrerla finalmente, qui tra la mesta solitudine di questa villa, presso alla tomba di mio marito. Voglia colla bontà, che L'è tutta propria, scusare dunque, se prima non vide riscontro ed aggradire i più vivi sensi di gratitudine, coi quali me Le professo riconoscentissima e per la caritatevole gentilezza delle sue espressioni e per lo sgravarmi che Ella fa d'un pensiero ben grande sulla riuscita di un'impresa molto difficile tra le mie povere mani. Posta dunque nelle Sue benedette, io vivo d'ora innanzi tranquilla che tale impresa tornerà a vera gloria di Dio, dal quale tutto il buono deriva sì in noi, che fuori di noi: ed a vantaggio del prossimo in un bisogno tra' principali. Accetto dunque senz'altro le condizioni sotto le quali V. Signoria mi dichiara di assumersi la responsabilità della erezione della nuova fabbrica in Mogliano Veneto e per conseguenza della fondazione d'una colonia ,agricola da parte sua in quella e per maggior chiarezza ripeto:

                I° Io mi obbligo di donare con istromento legale il terreno all'uopo, cioè quello che appositamente acquistai dal Signor Dorè per campi trevigiani... pagati a prezzo di favore in lire undicimilacinquecento.

                2° M'obbligo di somministrare la somma d'italiane lire centocinquantamila da versarsi mano in mano che mi verranno richieste. [818] Dal canto Suo, Rev.mo Don Bosco, Ella s'impegna dunque d'innalzare la fabbrica in discorso secondo il disegno già presentato dall'ingegnere Saccardo: e conseguentemente devo intendere alla erezione o fondazione ivi della colonia agricola da Lei diretta e da me desiderata.

                Quando null'altro Ell'abbia a soggiungere io nel più breve termine possibile notificherò il giorno fissato per istendere l'istrumento di cessione del terreno e sarò ben felice di accogliere Don Bosco tra le mie mura: dolente solo di non potere certo, malgrado della migliore mia volontà, ricambiare adeguatamente l'ospitalità ricevuta. Godo assai del suo ben essere: prego il Signore a conservarglielo sempre pel bene di tutti: anch'io non posso lagnarmi. Accolga di cuore le proteste della mia gratitudine, colla preghiera di tenermi raccomandata nelle sue sante orazioni: voglia degnarsi di ricordarmi a tutti: e baciandole devotamente la sacra mano godo segnarmi

 

Mogliano Veneto, 19 Ottobre 1880] di V.S. Rev.m

Umil.ma Obbli.ma Serva

ELISABETTA BELLAVITE V.a ASTORI.

 

77.

 

Convenzione per Mogliano Veneto.

 

                CONVENZIONE tra Ill,ma Sig.ra Elisabetta Astori-Bellavite ed il Sacerdote Giovanni Bosco, intorno alla fondazione di una Colonia Agricola.

La Sig.ra Elisabetta Astori-Bellavite dal canto suo:

                I° Offre e cede con istrumento legale al Sac. Giov. Bosco, o chi per esso, il terreno necessario a tale fondazione, cioè il terreno che appositamente acquistò dal Sig. Dorè per campi trevigiani 7½ circa pagati a prezzo di favore in lire undicimila e cinquecento.

                2° Si obbliga di somministrare la somma di italiane lire centocinquanta mila da versarsi al Sac. Gio. Bosco od a chi sarà da lui delegato di mano in mano che le verranno richieste.

                Da parte sua il Sac. Gio. Bosco s'impegna:

                I° D'innalzare il fabbricato necessario all'uopo secondo il disegno già presentato dal Sig. Ingegnere Saccardo.

                2° Di fondare ivi una Colonia Agricola, e provvedervi il personale necessario per la Direzione ed Amministrazione.

                In segno di piena approvazione le parti si firmano

 

(Seguono le firme). [819]

 

78.

 

Giuseppe Sarto

 

Canonico Primicerio della Chiesa Cattedrale di Treviso

Vacante la sede vescovile Vicario Generale Capitolare.

 

                Vista l'istanza presentata dalla Nobile Signora Elisabetta Bellavite, vedova Astori, colla quale dichiara di essere venuta nella determinazione di fondare a tutte sue spese nel Comune di Mogliano-Veneto in questa diocesi uno di quegli Oratorii Salesiani, dei quali è istitutore l'illustre e benemerito Sacerdote Torinese Don Giovanni Bosco, - considerato il fine santissimo, per cui sono istituiti tali Oratorii, qual è quello di educare i figli del popolo alla religione ed al cristiano lavoro, - considerato il beneficio singolare, che sta per conseguire quella Parrocchia da tale fondazione, - considerato finalmente il frutto copioso, che ritrarrà questa diocesi, mentre molti potranno prendere esempio come dalla pia fondatrice così dai fanciulli, che vi saranno educati; a condizione che sieno salvi i diritti Parrocchiali, e riconosciuta specialmente riguardo ai Sacerdoti, l'autorità dell'Ordinario, per quanto mi compete concedo per la predetta fondazione la più ampia facoltà e licenza e porto il mio pienissimo assenso, encomiando un'altra volta la pietà della nobile fondatrice e pregandole dal Signore le migliori grazie per la generosa donazione.

                Tanti ecc.

 

                Dalla Curia Capitolare di Treviso, li 24 Marzo 1880.

 

C. GIUSEPPE SARTO Vic. G.Ie Cap.

D. ANTONIO BIASETTO Cancell. Cap.

 

79.

 

Alcune lettere scritte da Don Bosco nel 1879.

 

1. Attestazione al Ministero in favore del Barone Nasi.

 

                A maggior gloria di Dio e ad onore della verità il sottoscritto di tutto buon grado dichiara che il nobil signor Barone Antonio Nasi gode fama di buon cristiano, di onesto cittadino, appartiene ad una delle più rispettabili famiglie patrizie torinesi, membro di parecchie associazioni di beneficenza.

                Egli si adoperò più volte e tuttavia si adopera pel bene morale e civile degli Oratorii maschili festivi di questa città destinati a raccogliere, trattenere, ed ístruire nella religione i giovanetti poveri ed abbandonati. É segretario presidente di un comitato di beneficenza che [820] ha per iscopo di raccogliere mezzi materiali in soccorso dei più poveri fanciulli della nostra istituzione. Elargì un pregiato gabinetto di fisica e chimica per facilitare tale studio ai poveri fanciulli di questa casa.

                Per questi e molti altri titoli gli professa viva riconoscenza ed è lieto di fame pubblica dichiarazione di cui egli può valersene ovunque giudichi opportuno.

 

                Torino, 5 Luglio 1879.

Sac. Gio. Bosco. [

 

 

2. A Don Biagio Rumiano, canonico di Susa.

 

                Car.mo D. Rumiano,

 

                Tu sei sempre un grande amico di D. Bosco. Dio ti benedica e ti rimeriti della carità che mi fai. Che non possiamo vederci almeno qualche volta? Ciò dipende da te. Quanto piacere mi recherebbe la tua visita!

                Continua a pregare per questo poverello. Ogni bene a te e alla tua santa sorella ed abbimi sempre in G. C.

 

                Torino, 27-7-1879-

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

3. Ad un sacerdote.

 

                Carissimo Sig. D. Briata,

 

                Il tratto di campo Evangelico fissato al suo zelo è delineato, ed è il collegio di Valsalice. Venga presto tanto che può: il Direttore l'attende, la sua camera è preparata. Se passa qui all'Oratorio ci parleremo prima; non potendo, vada pure direttamente a Valsalice, dove noi possiamo vederci e parlarci a piacimento.

                La prego di fare i più rispettosi saluti al Sig.  e di pregare anche per me, che ho il bel piacere di La in G. C.

 

                Torino, 17 Ottobre 1879-      

Afl.mo amico e confratello

Sac. Gio. Bosco.

 

4. All'avvocato Golvano[511].

 

                Car.mo Sig. Avvocato,

 

                Non per bussare alla porta del caritatevole suo cuore, ma soltanto per darle un segno della mia gratitudine.

                Mentre pertanto le fo cordialissimi augurii di buone feste e di [821] buon Capo d'anno, al giorno del Santo Natale sarà celebrata una santa Messa, i nostri giovani faranno la loro comunione con particolari preghiere in onore di Gesù. Bambino secondo la pia di Lei intenzione.

                Pregheremo tutti perchè Dio conservi lei, la Signora Moglie con tutta la crescente sua famiglia in buona salute. Abbia lunghi anni di vita felice e sempre consolato dalla corona e dal gaudio della sua figliuolanza; ma che possa tutta un giorno vederla raccolta intorno a sè nella patria dei beati. Amen.

                Dio la benedica e preghi anche per questo. Poverello, che le sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 22-12-1879.

 

Obbli.mo servo ed amico

Sac. Gio. Bosco. [822]

 

 

DOCUMENTI INEDITI ANTERIORI.

 

I.

 

Lettera di Don Bosco al Card. Viale.

 

                Il cardinal Viale era Arcivescovo di Bologna. Nel giugno dei 1859 Don Bosco fece ristampare da Paravia la sua Storia d'Italia con parecchie aggiunte, fra cui una biografia del card. Mezzolanti bolognese, morto nel 1849; il card. Viale, pregatone da lui, glie ne aveva inviate notizie all'uopo. (LEMOYNE, M. B., vol. VI, pag. 151). In questa lettera, finora inedita, il Servo di Dio lo ringrazia. Notevole nel poscritto il cenno dell'ingresso di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III in Torino dopo la pace di Villafranca. I due Sovrani, venendo da Milano, scesero a Porta Susa e si diressero al palazzo Reale per Via della Cernaia e Contrada Nuova, oggi via Roma. É probabile che Don Bosco si trovasse nel palazzo del conte Provana di Collegno, il primo che s'incontra su quel percorso dopo la chiesa di S. Giuseppe, movendo verso Piazza S. Carlo.

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Approfitto della congiuntura che il Marchese Fassati, persona eminentemente cattolica[512], per ringraziare V. E. Reverend.ma della bontà usatami coll'inviarmi le opportune notizie intorno al Cardinale Mezzofanti. E poichè queste fecero parte di una storia di Italia testè stampata, prego V. E. a volerne gradire copia come omaggio della mia più sincera gratitudine. Voglia il Signor Iddio dare a V. E. lumi, sanità e forza affinchè in questi difficili momenti possa promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime: questo dimando io unito alle preghiere de' miei poveri giovani. Mentre le bacio il lembo [823] della Sacra porpora invoco la santa sua benedizione professandomi con pienezza di stima Di V. E. R.ma

 

                Torino, 15 Luglio 1859.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                P. S. Alla metà di questa lettera, ore 5 ½ pom., sono assordato dagli evviva fatti a Napoleone e al nostro Re che fanno la loro entrata e passano sotto alla finestra di questa camera.

 

II.

 

Tre lettere al Conte Cibrario.

 

                Il conte Luigi Cibrario, senatore del regno e primo segretario di Sua Maestà pel Gran Magistero dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, mantenne con Don Bosco per venticinque anni relazioni di cordiale amicizia. Morì nel 1870. Come storico, la sua opera di maggior valore è Origine e progressi della Monarchia di Savoia. Gli originali di queste lettere son presso la famiglia.

 

A.

                Eccellenza,

 

                Per non recare troppo grave disturbo a V. E. le dico qui per iscritto quanto voleva esporle verbalmente.

Da molto tempo Ella benefica li poveri giovani di nostra casa e non abbiamo mai avuto il desiderato onore di averla fra noi. Ora le fo rispettosa preghiera invitandola a farei questo favore per giorno di domani mattina dalle 9 alle 11 mattino o come le riesce più comodo coll'assistere alle promozioni e distribuzione de' premi de' nostri poveri giovanetti. Passerò di nuovo quest'oggi per avere una semplice parola di risposta che spero affermativa.

                In ogni modo m'è sempre grato di poter augurare ogni bene dal Cielo sovra di Lei e sopra tutta la venerata di Lei famiglia mentre ho l'alto onore di potermi professare

di V. E.

 

                Torino, 29 Luglio 1863.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Gio.

 

B.

 

                Eccellenza,

 

                Ieri ho avuto una udienza la più benevola dal Santo Padre e secondo la promessa non ho mancato di parlare di Lei e dimandare [824] sopra la sua famiglia la sua santa benedizione. Accondiscese con grande espansione di cuore e nel passare per Firenze spero di poterle poi dire le parole testuali.

                Il Sig. Conte Joannini mi disse che V. F. mi tiene pronta una buona somma di danaro per pagare il pane pei nostri poveri giovanetti. Io la ringrazio di tutto cuore e prego Dio che la ricompensi della sua carità. Credeva di potere io stesso ricevere quella offerta in persona, ma da una lettera che ricevo da Torino scorgo che sono in grave impaccio i miei rappresentanti dello Stabilimento di Valdocco per alcuni pagamenti d'urgenza. Se però Ella si degnasse di versare questo danaro nelle mani del Segretario dell'arcivescovo di codesta capitale, aggiungerebbe così favori a favori. Questo sacerdote, D. Giustino Campolmi avrebbe mezzo di trasmettere prontamente ogni cosa a Torino. Dio la benedica, Sig. Conte, e la conservi a lunghi anni di vita felice coronata dalla gloria del cielo, mentre con la più profonda gratitudine ho l'onore di professarmi della E. V.

                Roma, 20 Gennaio 1869.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Partirò da Roma forse al giorno 8 del p. febbraio.

 

C.

                Eccellenza,

 

                Fra gli insigni benefattori di questa casa detta Oratorio di San Francesco di Sales mi gode l'animo di annoverare il Sig. Cima Giuseppe da 42 anni zelante impiegato governativo ed attualmente esattore delle contribuzioni dirette a Novi Ligure. Questo generoso signore impiegò le sue sollecitudini ed una parte delle sue sostanze a promuovere l'apertura e la continuazione di asili infantili, scuole serali, congregazioni di carità pei poveri. Ne' suoi doveri fu sempre fedele, laborioso, non risparmiando nè a fatiche nè a pericoli ove il bene del Governo e della umanità lo richiedessero, siccome lo attestano molti documenti, fra quali due si uniscono. Più volte sarebbe stato avanzato nella carriera degli impieghi, ma egli non potè accondiscendere per gravi e speciali motivi che lo costrinsero a rimanere in patria. Egli ebbe già più volte beneficati i poveri giovani che in numero di oltre a settanta sono accolti nella casa sopra mentovata. Ora viste le gravi strettezze in cui versano questi giovanetti si degnò di offrire la vistosa somma di fr. seimila da impiegarsi a provvedere oggetti di vestiario per l'imminente stagione invernale e per estinguere una passività contratta col panattiere che ci somministra il pane cotidiano.

                Per questi ed altri motivi che a fedele impiegato si addicono e che [825] certamente al Governo sono noti, oserei fare rispettosa ma calda preghiera all'E. V. onde lo voglia proporre a Sua Maestà per una decorazione Mauriziana. Questa pubblica onorificenza oltre ad incoraggiare questo ricco signore a continuare nelle sue opere di carità sarebbe eziandio in questo momento per me un importante sussidio ed un incoraggiamento a perseverare in quest'opera di pubblica beneficenza ed anche ad accogliere con singolare gradimento que' poveri ragazzi che V. E. nella nota sua bontà stimasse d'indirizzare a questa casa.

                Dio benedica Sua Maestà, l'Eccellenza Vostra e tutti quelli che in qualunque modo si adoperano pel bene della gioventù.

                Infine permetta che colla più sentita e durevole gratitudine abbia l'alto onore di potermi professare dell'E. V.

 

Umile servitore riconoscente

Sac. Bosco Gio.

(Senza data).

 

III.

 

Sei lettere alla contessa Barbò.

 

                Gli originali di queste sei lettere si conservano a Milano nell'archivio dei conte Muzio Luigi Albertoni, figlio della contessa Sofia Albertoni, nata contessa Bartò, figlia della contessa Luigia Barbò alla quale le lettere sono indirizzate.

 

A.

 

                Preg.ma Signora,

 

                La divina provvidenza ci manda ora le rose ora le spine per compagne della vita presente, e noi dobbiamo ricevere come dalle mani di un padre pietoso quanto egli manda. Ma un gran pensiero deve consolarci: quanto più saranno pungenti le spine nel tempo, tanto più saranno lusinghiere, belle ed odorifere le rose di gloria nell'eternità. Tuttavia dimandiamo e speriamo,

                Fissiamo qualche rimedio spirituale: per tutto il corso del mese di Giugno diciamo ogni giorno tre Pater, ave e gloria al santissimo cuore di Gesù, ed in onore del SS.mo Sacramento; tre Salve a Maria SS. colla giaculatoria Maria auxilium christianorum, ora pro nobis.

                Io darò ogni giorno nella santa messa la benedizione all'ammalata; i miei poveri giovinetti faranno ogni giorno speciali preghiere colla santa comunione. Abbiamo fede: Dio ci esaudirà ad eccezione che nella sua infinita sapienza egli prevegga essere di sua maggior gloria il cangiarsi quanto domandiamo pel corpo in cose vantaggiose all'anima.

                Ella mi dice di essere disposta di fare in mio favore quanto sarò [826] per dirle Grazie: preghi il Padre celeste, affinchè m'aiuti a salvarmi l'anima, affinchè predicando agli altri non mi accada la disgrazia di dimenticar me stesso. Che se ella nella sua condizione potesse fare qualche cosa materiale, io le raccomando semplicemente la costruzione di una chiesa qui iniziata alla gran Madre di Dio sotto il titolo di Maria Ausiliatrice.

                Gradirei di sapere qualche notizia della giovinetta malata dopo quindici giorni, perchè, dovendo fra non molto fare una gita a Milano, andrei a vederla.

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi, e la santa Vergine faccia discendere copiose benedizioni sopra di Lei, e sopra la sua famiglia. Amen.

                Di V. S. preg.ma

 

                Torino, 30 Maggio 66.

 

Dev.mo Servitore

Sac. Bosco  Gio.

 

                Alla preg.ma Signora

                La Sig. Luigia Barbò, Milano.

 

 

B.

 

 

                Preg.ma Signora,

 

                Sia sempre adorata l'amabile volontà del Signore. Dio diede i medici agli uomini e noi facciamo bene a seguirne i consigli. Per altro non mancherò di pregare per la sua figlia, affinchè Dio le ridoni l'antica sanità degli occhi, la conservi nel suo viaggio e la restituisca sana e salva nella casa paterna. Farò eziandio pregare i nostri poveri giovinetti per questo medesimo scopo.

                Ora che la ferrovia ha le sue corse regolari, dichiaro di fare una gita a Milano; perciò se avrà la bontà di dirmi l'epoca, in cui la Signora Duchessa Melzi si troverà a Milano, mi fa piacere, perchè avrei molte, caro di poter riverire questa santa e benemerita persona.

                La Santa Vergine ci benedica dal cielo, e ci aiuti tutti a camminare per la via del cielo. Amen.

                Con gratitudine mi professo

                Di V. S. preg.ma

 

                Torino, 26 Agosto 66.

 

Obblig.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                Alla Preg.ma Signora

                La Sig. Luigia Barbò

                Via Senato n. 12, Milano.

 

 

C.

 

                Illustrissima Sig. Contessa,

 

                Sono andato a Milano, ma non ho trovato V. S. Ill.ma in città; da Vaprio vi era troppa distanza dalla sua campagna. Nella settimana [827] prossima, o in quella dopo i Santi, dovrò fare altra gita a Milano; se ella trovasi in questa città andrò a sua casa, secondo l'indirizzo che si compiacque acchiudermi, altrimenti farò in modo di andare fino alla sua villeggiatura.

                Intanto non perdiamoci di speranza: Dio è potente, Dio è buono, perciò può e vuole favorirci nelle nostre domande, ad eccezione, che esse non siano secondo i suoi santi adorabili voleri. Noi in questa nostra casa continuiamo a fare speciali preghiere per lei, e specialmente per la signora Sofia. Le dica: la speranza in Dio non confonde mai, ogni spina del tempo è un tesoro per la eternità.

                Preghi per me e per questi giovinetti, ed augurando ogni bene dal cielo a tutta la sua famiglia mi professo con gratitudine

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 9 Ottobre 66.

Dev.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                All'Ill.ma Signora

                La Sig. Contessa Luigia Barbò

                Via del Senato 12, Milano.

 

D.

 

                Benemerita Signora Contessa,

 

                Ho ricevuto a suo tempo la sua lettera, e il denaro che m'ha inviato, e ne la ringrazio di ogni cosa. Solamente ho dovuto ritardare la risposta perchè sono stato oppresso dalle occupazioni ed alquanto di sanità cagionevole.

                Non ho mai mancato di pregare per Lei e per la sua figlia, e per tutta la sua famiglia, continuerò a fare altrettanto. Andando a Milano passerò certamente a farle visita.

                Dica a tutti quelli, che hanno concorso per la nostra Chiesa, che non abbiano alcun timore del colera. Andassero anche a servire ne' Lazzaretti purchè abbiano fede in Maria Ausiliatrice, non accadrà loro alcun male.

                Dio benedica Lei, le sue fatiche, e preghi per me, che le sono

 

                Torino, 3 Agosto 67.

 

Obbl.mo Servo

Sac. Bosco.

 

                Alla Nobile

                Signora Contessa Luigia Barbò nata nob. De Carli.

 

                Benemerita Sig.ra Contessa,

 

                Malgrado la mia volontà di fare una visita alla rispettabile di lei famiglia alla Rovella, temo molto che ne sia assolutamente impedito [828] per mancanza di tempo. Circa ai quindici di questo mese passerò a vederla a Milano, se è già di ritorno, altrimenti mi riserbo di poterla ossequiare più tardi.

                Si assicuri però, Sig. Contessa, che non ho mai mancato di pregare nella mia pochezza per v. Sg. e per tutta la sua famiglia, e ora farò un memento speciale per Lei e pel sig. di Lei marito nella santa messa.

                Mi farebbe cosa veramente cara, se avendone occasione saluterà da parte mia il R.mo Sig. Prevosto, che mi fu tanto cortese, quando fui alla sua parrocchia.

                Dio doni a Lei sanità stabile, e a tutta la sua famiglia lunghi anni di vita felice. Io mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere, e mi creda

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 3 Ottobre 68.

Obbl.mo Servitore

   Sac. G. Bosco.

 

F.

 

                Benemerita Sig. Contessa,

 

                Ho provato una grande consolazione nel ricevere oggi una sua lettera dalle mani del p. Canfari Barnabita. Carate, Rovella, contessa e conti Barbò, e la loro figlia Sofia richiamano alla memoria dei tempi assai felici, e cose gratissime. Ringrazio Lei, la Sig. Cusani, D. Enrico Colombo della carità che mi fanno. Dio li rimuneri tutti colle sue grazie e benedizioni.

                Iddio poi nella sua infinita misericordia benedica Lei, suo sig. marito, tutta la sua famiglia.

                Io ho sempre pregato per Lei, e per la sua famiglia, Ella si ricorda di pregare per questo poverello? É per inteso, che venendo a Torino ci favorisca una visita.

                Con gratitudine mi creda

 

                Torino, 14 Gennaio 1881.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Alla Nobile Donna

                Sig. Contessa Sofia Albertoni Barbò.

 

IV.

 

Quattro lettere di Don Bosco al march. Ignazio Pallavicini.

 

                Gli originali di queste lettere, trovati nel 1910 fra le carte di D. Gerolamo Campanella, priore della chiesa di Nostra Signora del Carmine a Genova, sono conservate dal costui nipote, ing. Emanuele Campanella di Alassio. A detto priore il Marchese erasi rivolto per consiglio dopo [829] aver ricevuto la prima di queste lettere con il foglio annesso, il cui contenuto l'aveva gettato in un mare di dubbi.

                L'illustre patrizio genovese nutriva profonda venerazione per il Servo di Dio. Nel 1850 fece parte della Commissione che per incarico del Senato visitò l'Oratorio (LEMOYNE, M. B., IV, 17); poco dopo svolse nel Senato una petizione di Don Bosco per ottenere qualche sussidio (ivi, pag. 42). In una gita autunnale per il Piemonte e la Liguria Don Bosco nell'ottobre del 1864 condusse una schiera di giovani a visitare la grandiosa Villa Pallavicini presso Pegli, ricevuto dal Marchese e dalla sua famiglia con sovrana cordialità (ivi, VII, pag. 755).

 

A.

 

                Eccellenza,

 

                Per tre volte avrei già dovuto mandarle il biglietto che le unisco, io il fo sebbene con qualche rincrescimento perchè è un metter la falce in una messe non mia. Ora mi è per la terza volta imposto ed io ubbidisco. Dia Ella quel peso che giudicherà; io prego Iddio che in tutto possa fare la santa volontà del Signore.

                Sembra che il cholera voglia farsi sentire in Genova; Ella e la sua famiglia stiano tranquilli, la Santa Vergine li proteggerà, abbiano solamente fiducia in Lei.

                Rinnovo qui gli atti della mia sentita gratitudine per la carità usata ai nostri poveri giovanetti[513], ed augurandole dal cielo lunghi anni di vita felice con pienezza di stima ho l'alto onore di potermi professare della E. V.

 

                Torino, 24 Agosto 1867[514].

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Giorno di Pasqua. - Visitazione di Maria SS.

                Festa della sua Assunzione.

 

                Di' al mio servo Ignazio che non tema di morire di morte improvvisa; viva più tranquillo di giorno e di notte.

                Frequenti o meglio si cibi più sovente delle Carni Santissime del Divin Figliuolo, promuova quanto può lo spirito di pace in famiglia, per modo che, cessando egli di vivere, non nascano i semi della discordia.

                Disponga delle cose temporali adesso per evitar le angustie se ritardasse al punto di morte, che si va a gran passi avvicinando.

                Incoraggisca tutti i suoi dipendenti alla pratica della Religione. [830]

 

B.

 

 

                Eccellenza,

 

                La grazia di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre con noi. Amen, Eccomi a parlare con V. E, come farei con mio fratello. Quanto le scrissi in agosto non è nè minaccevole nè di tempo instante; ma è tutto amorevole e preventivo. Ciò posto Ella deve portar il suo pensiero sopra tre cose: sè, suoi, cose sue.

                . Dia un'occhiata sui proponimenti fatti in confessione e non mantenuti; sui consigli avuti per evitar il male e praticare il bene, ma dimenticati. Anche un gran difetto nel dolore dei peccati. Ciò si potrà rimediare colla meditazione e coll'esame di coscienza alla sera o in altra ora a Lei più adattata.

                Al presente Dio vuole maggior pazienza nelle sue occupazioni specialmente in famiglia; più confidenza nella bontà del Signore; più tranquillità di spirito, nè mai avere timore che la morte la sorprenda dì notte od altro tempo inaspettata. Faccia uno sforzo per praticare la virtù della umiltà e fiducia nel Signore e non tema niente.

                Per futuro frequenti la confessione e comunione in modo da servire di modello a quanti la conoscono.

                Suoi. Vedere che i suoi dipendenti compiano ed abbiano tempo di compiere i loro doveri religiosi, disporre le cose che loro riguardano in guisa che nella morte e dopo morte abbiano motivo di benedire il loro padrone.

                In famiglia carità e benevolenza con tutti: ma non mai lasciar fuggire alcuna occasione per dare avvisi o consigli che possano servir di regola di vita e di buon esempio.

                Sue cose. Qui bisognerebbe scrivere molto. Lunedì debbo andare in Alessandria e di là forse una gita a Mombaruzzo, dove spero di scriver o parlarle con qualche tranquillità.

                Le cose che Dio vuole specialmente da Lei si è di promuovere per quanto può la venerazione a Gesù Sacramentato e la divozione verso la B. V, Maria.

                Dio ci aiuti a camminare per la via del cielo. Così sia. Con gratitudine mi professo

                Della E. V.

 

                Torino, 9-67.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. BOSCO.

 

C.

 

                Eccellenza,

 

                La delicatezza della materia contenuta nella mia lettera antecedente mi ha persuaso a tenermi nei limiti della più rigorosa brevità. Ora che vedo che nella bontà del suo cuore prese la cosa nel senso [831] del vero cristiano, di buon grado parlerei più a lungo ed in modo più particolare e pratico.

                Abbia dunque la bontà di dirmi se le lettere col suo indirizzo le pervengano direttamente senza che siano da altri vedute ed in tale caso io esporrei le cose per iscritto con preghiera di abbruciarlo appena letto, affinchè non vadano sotto agli occhi altrui.

                Qualora poi Ella giudicasse meglio che andassi a farle una visita o a Mombaruzzo, se ivi dimora ancora qualche tempo, oppure a Genova, io potrei andare in un giorno della prossima ventura settimana. Credo che avrei un motivo palliato nel desiderio che la sig. Marchesa ha espresso col prevosto di Fontanile di una mia visita costì. Siccome nel passato inverno aveva promesso, io sono pronto a fare come torna a Lei di maggior gradimento.

                Intanto si assicuri che ogni mattino non ho mancato nè mancherò di raccomandarlo al Signore Iddio che la conservi ad multos annos con felici giorni e colla benedizione del Cielo. Ogni bene venga sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. Amen.

                Preghi per la povera anima mia, e mi creda con profonda gratitudine

                Di V. E.

 

                Torino, 30 Ottobre 67.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

D.

 

                Eccellenza,

 

                Non per secondare l'usanza di questi giorni le scrivo questa lettera di felicitazioni, ma unicamente per assicurarla che noi sempre memori della carità usata non mancheremo di invocare sopra di Lei le benedizioni celesti affinchè Dio le conceda sanità e lunghi anni di vita felice.

                Per questo motivo noi intendiamo inaugurare l'anno novello con un servizio religioso, vale a dire il primo giorno dell'anno, dopo dimani, io celebrerò la santa Messa ed i nostri giovanetti faranno la loro comunione con alcune preghiere particolari secondo la pia di Lei intenzione.

                Intanto io le raccomando quanto so e posso a voler coll'esempio e colle parole promuovere la frequente comunione come sorgente di grandi benedizioni; e poi viva tranquillo, senza darsi affanno del suo avvenire. É vero che di mano in mano va avanzando la sua età, si manifesteranno alcuni incomodi nella sanità; ma ne abbia pazienza, nè se ne turbi, perchè non avranno gravi conseguenze. Riposi con certezza sopra queste ultime parole.

                La Santa Vergine Maria le ottenga da suo divin Figlio la grazia di passare tutto l'anno novello in pace e in sanità, e porti ogni benedizione celeste a Lei e a tutta la sua famiglia. Amen. [832] In fine raccomando me e li miei poveri giovanetti alla carità delle divote di Lei preghiere, mentre con profonda gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Della Eccellenza Vostra

 

                Torino, 3o Dicembre '67.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Corre per noi un'annata molto critica e fra le altre cose abbiamo ancora la metà dei nostri giovani vestiti da estate; se le sue opere di carità comportano di estendersi fino a noi; ci raccomandiamo caldamente.

 

V.

 

Nove lettere

alla marchesa Nina Durazzo-Pallavicini.

 

                Gli originali si conservano a Genova presso la Marchesa Teresa Pallavicini-Durazzo. La quinta è diretta al figlio della Marchesa.

 

A.

 

                Benemerita Signora,

 

                I giovanetti Tasso essendo troppo piccoli per la nostra casa li abbiamo per ora collocati con un nostro onesto e religioso maestro in una casa qui vicino. Intanto si proverà la loro attitudine allo studio. Il Chierico Bulchetti fa molto bene. Ieri sostenne in Seminario l'esame semestrale e ne riportò il voto optime et cum laude che è uno de' migliori voti e dimani lo scriverò al Vescovo a Vercelli.

                Il secondo è alquanto inferiore nello studio e nella pietà, ma poco per volta si spera di condurlo a buon termine.

                La ringrazio anche da parte dei nostri poveri giovani delle buone disposizioni che mostra per la nostra Lotteria; preghiamo Dio che le doni largo compenso.

                Nel corso della primavera spero di poter godere della carità ed ospitalità che Ella nella nota sua cortesia mi offre.

                Il Signore doni a Lei e a tutta la venerata di Lei famiglia sanità, grazia e coraggio cattolico; aggiunga la carità di pregare per me e per li miei giovanetti mentre con pienezza di stima mi professo

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, 2 Marzo '62.

 

Obbl.mo Servitore.

Sac. Bosco Gio. [833]

 

B.

 

 

                Benemerita Signora,

 

                Il Signore sia sempre in nostro aiuto.

                Eccole notati i premi vinti dai biglietti che ebbe la bontà di assumersi a favore della nostra Lotteria, credo che riceverà pure uno stampino di tutti i numeri estratti.

                Il Signore doni a Lei, ai venerati e pii di Lei genitori buona campagna, sanità e grazia di far molte cose a favore di, nostra santa cattolica religione. Lo stesso al caro Signor Giacomino, che vedrei tanto volentieri, qualora per qualche motivo venisse a Torino.

                Raccomando me ed i miei giovanetti alla carità delle loro preghiere, ed augurando a tutti ogni bene dal Cielo, ho l'onore di professarmi con pienezza di stima

                Di V. S. B.

 

                Torino; 21 Ottobre '62.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

                P. S. I due Bulchetti non sono ancor giunti dalle Vacanze.

 

C.

 

                Benemerita Signora Marchesa,

 

                La grazia di Nostro Sig. Gesù Cristo sia sempre con noi; amen. Volentieri apro questa casa ai giovanetti Bruno che nella sua carità Ella compiacquesi raccomandarmi; ma prima di poter dare una definitiva risposta avrei bisogno che Ella mi facesse spedire dal padre un certificato: I° di moralità, 2° di età, 3° classe percorsa. E ciò per vedere se essi possano entrare nelle nostre classi che abbracciano soltanto il latino ovvero il corso ginnasiale.

                Sè fossero orfani e poveri sarebbero accettati gratuitamente: ora, non essendo tali, potrebbesi anche unire due linee a piè dei citati certificati se il padre potrebbe pagare venti franchi mensili per caduno tra scuola e pensione.

                Signora Marchesa, io mi sono sempre ricordato di Lei nelle deboli mie preghiere, e non mancherò di invocare ogni giorno copiose benedizioni sopra di Lei, sopra i venerati di Lei genitori, sopra il caro Giacomino, che vedrei tanto volentieri, sopra il generoso di Lei marito.

                La Santa Vergine li conservi tutti suoi e sempre suoi. Amen.

                Aggiunga la carità di pregare per me e per li miei poveri giovanetti e gradisca che mi professi

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 24 Settembre '63.

 

Obbl.mo Servitore.

Sac. Bosco Gio. [834]

 

D.

 

                Ill.ma Sig.ra Marchesa,

 

                In una Lotteria che si sta iniziando per ultimare una Chiesa ad onore di Maria Ausiliatrice avrei molto caro che V. S. Ill.ma fosse eziandio notata nel catalogo delle promotrici. Sebbene io sappia che Ella si presta volentieri alle cose che riguardano al culto della Santa ed Augusta Madre di Dio, tuttavia ho giudicato di pregarla con questo foglio.

                Così se Ella non mi fa dire niente in contrario io la considero fin d'ora come promotrice dell'opera indicata. La prego, Signora Marchesa, di fare gradire gli omaggi del profondo mio rispetto al Sig. March. Ignazio, al Marchese e Marchesa Durazzo, e specialmente al Sig. Giacomino. Dio le doni, Sig.ra Marchesa, la pace del cuore, la Santa Vergine ottenga a tutti la grande grazia di perseverare nel bene.

                Mentre raccomando me e li miei poveri giovanetti alla carità delle sante sue preghiere ho l'alto onore di potermi con pienezza di stima  professare

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 24 Maggio 1865.

          Maria Auxilium Christianorum ora pro nobis,

 

Obbl.mo Servitore

 Sac. Bosco Gio.

 

E.

 

                Chiar.mo Signore,

 

                Ho ricevuto il dispaccio che partecipava la grave malattia di mamà ed ho subito messo una intenzione particolare negli esercizi di pietà fatti ieri; per giorni nove sarà ogni dì celebrata una messa all'altare di Maria A. con apposite preghiere. Ella si unisca nello spirito e speriamo nella bontà di Maria A.

                Se Mamà è abbastanza tranquilla, le ricordi la rinnovazione della promessa fatta a Retorbido quando era ammalata, promessa fatta e da compiersi se si fosse di nuovo levata di letto. Se però il male fosse tutt'ora grave non faccia parola di questo.

                Faccia coraggio al Signore March. Ignazio e gli dica che noi preghiamo pel suo perfetto ritorno in salute, e che la Santa Vergine l'attende a compiere altre ed altre opere che sono della maggior gloria di Dio.

                Domenica a sera o lunedì mattina sono per la via di Genova Alassio; se posso nell'andata, o al più tardi nel ritorno, calcolo di fare una breve fermata a Pegli.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 9-12-70.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [835]

 

                Benemerita Sig. Marchesa,

 

                Quest'autunno passato credevami poter ripassare da V. S. B. per parlarle del modo con cui la buona memoria del Sig. Suo Genitore aveva divisato di concorrere per istabilire un ricovero di poveri fanciulli nella città di Genova.

                Dio non volle e mi trattenne con una malattia a Varazze, da cui nella sua grande misericordia mi ha liberato.

                Ora non potendo di presenza esporle la volontà del compianto Signore le mando la lettera colla quale esprimeva come egli avrebbe concorso colla somma di L. 1000 annue appena impiantata la casa. La casa fu aperta col mese di ottobre scorso, lo spero, e mi raccomando di cuore ch'Ella sia per secondare i caritatevoli pensieri espressi in questa lettera. Chi porta questo piego è il Sacerdote Albera Paolo direttore dell'Ospizio di Marazzi. Esso trovasi in bisogno e se può soccorrerlo fa una carità a lui ed a molti ragazzi colà ricoverati.

                Siccome la lettera mentovata è l'ultima ch'io ho avuto il piacere di ricevere da quel venerato personaggio, così farebbe piacere se volesse a tutta sua comodità ritornarmela.

                Spero che la sua famiglia godrà buona salute che di tutto cuore ad ognuno desidero e pregando Iddio che la faccia Madre misericordiosa dei poveri in terra, lo prego assai più che la renda un giorno perfettamente beata in cielo.

                Mi raccomando alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con profonda gratitudine di V. S. B.

 

                Torino, 21-3-72.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

G.

 

                   Ill.ma Sig.a Marchesa,

 

                Sebbene dalla sua lettera io arguisca che Ella non propende a vendere la casa che è di sua proprietà e che io le segnava in Sampierdarena, tuttavia essendo persuaso che le sue richieste non saranno oltre al valore dello stabile io le farei alcune proposte.

                Se Ella è disposta di vendere quella casa che è a poca distanza da S. Gaetano quanto dimanderebbe con intorno un'area di circa cinquanta are di terreno, che desse adito alla via pubblica?

                Se la somma richiesta non eccede le mie forze, andrò e conchiuderemo.

                Avrei però bisogno che coll'acquisto si potesse rompere l'affittamento o almeno che questo non fosse di molto lunga durata. Ta somma da convenirsi sarebbe pagata nello atto dell'Istrumento. [836] Dio conceda ogni bene a Lei e a tutta la sua famiglia e mi ere con perfetta stima

                Della S. V. Ill.ma

 

                Torino, 4 Giugno 73.

 

Umil.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

H.

 

                Ill.ma Signora Marchesa,

 

                La sua lettera, o Signora Marchesa, conferma pur troppo le dolorose notizie che i giornali ogni giorno ci tramandano ognor più gravi. Ha fatto Ella un'opera la più santa venendo in soccorso alle vittime di quel terribile disastro della Spagna. Finora gli ospizi e le case nostre di Spagna non hanno sofferto. Maria ci continui la sua protezione.

                Ho scritto a D. Belmonte Direttore della casa di S.pierdarena. Esso parlerà col suo agente o meglio coll'agente di Lei in S. pierdarena, dopo si vedrà se sia possibile di fare qualche cosa per ingrandire l'attuale ricreatorio pei fanciulli pericolanti di quella città.

                Io godo assai che Ella, Sig. Marchesa, il Marchese suo Marito ed il sig. suo figlio e sig. Nuora godano buona salute. Dio li benedica tutti, e Maria A. li protegga e li guidi per la via del paradiso. Così sia.

                Voglia anche pregare per me e per la numerosa mia famiglia, mentre ho l'alto onore di professarmi in G. C.

 

                Torino, 7-83.

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

I.

 

Ill.ma Sig. March. Nina Durazzo Palavicino,

 

                Da qualche tempo sono state sospese le nostre famigliari relazioni; dal canto mio però non ho mai mancato di fare per Lei e per tutta la sua famiglia una speciale preghiera ogni giorno nella Santa Messa.

                Una cosa particolare ora mi invita a richiamare le nostre buone ed amichevoli relazioni. Ecco di che si tratta. La gioventù di S.pierdarena si trova in una deplorevole condizione. Questa condizione va ogni giorno peggiorando se non si pone qualche efficace rimedio.

                Qualche cosa si fa coll'Ospizio nostro di S. Vincenzo. Ma è poco in confronto del bisogno. Avremmo necessità di un terreno per trattenere ed impedire la rovina spirituale e materiale di tanti abbandonati fanciulli, e per quest'opera mi occorre che Ella, Sig. Marchesa, mi volesse vendere un pezzo di terreno da potersi unire al rimanente e così fare uno dei tanti utili giardini di ricreazione per la gioventù abbandonata. [837] Io farò tutto quello che posso, Ella mi venga in aiuto. Dio la benedica, o Signora Marchesa, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, si degni di pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

               

                Torino, 22 Decembre '84.

 

Umile Servitore

 Sac. Gio. Bosco.

 

VI.

 

Lettera di Don Bosco a Don Luigi Rocca[515].

 

                Car.mo Rocca Luigi,

 

                Credo che ieri abbi ricevuto la tonsura coi quattro minori, e chè per conseguenza in avvenire la tua parte sarà unicamente il Signore. Faxit Deus. Questo dimani dirò in modo particolare nella S. Messa.

                Mio caro Rocca, la messe è copiosa, preparati a lavorar molto; ma prima tu devi assolutamente fatti santo.

                Prega pel tuo in G. C.

 

                Roma, 14-3-75.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Saluta Trione e digli [che] se mi è possibile, gli scriverò.

 

VII.

 

Avvisi e Regole.

 

                Don Lemoyne ha raccolto da fonti che più non esistono, un bel numero di Avvisi e di Regole, come provenienti da Don Bosco. Erano molti coloro che prendevan nota di cose dette dal Beato Padre e che conservavano poi gelosamente in taccuini o quaderni, quando egli prendeva ancora parte molto attiva nella vita dell'Oratorio e predicava negli esercizi spirituali ai Confratelli. A parte le imperfezioni da attribuirsi ai raccoglitori, è certo che in queste norme tanto pratiche aleggia lo spirito di Don Bosco. Certe raccomandazioni giovano anche a far conoscere le condizioni dell'Oratorio, allorchè insieme coi giovani convivevano chierici, in origine appartenenti a chiusi seminari del Piemonte e poi aspiranti alla Congregazione nel tempo in cui questa non aveva ancora una forma vera e propria se non nella mente del Fondatore. Sono frammenti preziosi, che contribuiranno alla piena comprensione del sistema educativo di Don Bosco. [838]

 

A.

 

Avvisi dati in più volte da Don Bosco

per la direzione dei giovani ed ai confratelli prima del 1870.

 

PASSEGGIATE.

 

                I. Se le strade lo permettono i giovani camminino per tre o per quattro.

                2. Per quanto si può non abbandonare i sentieri e le strade.

                3. L'assistente non ha l'autorità di concedere licenza ai giovani di comperar frutta. Non si mandino mai i giovani a domandare tale licenza al Direttore. In certe circostanze straordinarie gli assistenti stessi interpellino il Direttore.

                4. Gli assistenti badino ai giovani. Non si formino un crocchio speciale attorno trascurando gli altri. - Non narrare esempi o fatti ameni ad alcuni mentre gli altri si allontanano. - Non si leggano libri. Voi studiate e il demonio studia anche lui. - Tenersi sempre i giovani così vicini da sorprendere i loro discorsi.

                5. Non si vada mai in case particolari, non si accetti frutta o vino. Teniamoci indipendenti e non obblighiamo i Superiori a dover poi fare concessioni dannose all'ordine generale per salvare l'onore dell'assistente in faccia ai parenti che lo invitarono.

 

REGOLE PER CATECHISMI DOMENICALI.

 

                I. Svolgere il catechismo piccolo.

                2. Non perdersi in dissertazioni o esempi. - Si tratta di istruire i giovani nella scienza della salute. - Il tempo del catechismo è breve; quindi si occupi tutto nello spiegare parola per parola le risposte. - Il muovere gli affetti tocca al predicatore. - Non lasciamoci prendere dalla piccola vanità di farei lodare perché diciamo belle cose. Il Signore ci domanderà conto se abbiamo istruiti i giovani e non se li abbiamo dilettati.

                3. Non distaccarci mai dal catechismo per far pompa di scienza teologica. Spiegarlo fedelmente alla lettera. I giovani non capiscono certe ragioni e o cadono nell'errore o si scandalizzano. Il catechismo piccolo non è, solo simbolo di fede, ma anche regola per operare. Quindi si ammettano puramente e semplicemente senza nulla aggiungere e senza nulla togliere le sue teorie. Per i giovani i1 catechismo piccolo deve essere come la Bibbia o S. Tommaso per i Teologi. É il compendio della scienza adattato alla loro età. Non vogliamoci credere più dotti e, più prudenti di quei santi Vescovi che lo compilarono. Per es. il catechismo dice che i peccati dubbi debbono essere confessati come dubbi e i certi come certi. 1 Teologi sostengono che i peccati dubbi non siamo obbligati a confessarli, ma i giovani sapranno cosa vuol dire peccato dubbio? No! Anzi metteranno fra i [839] dubbi certi peccati dei quali hanno più vergogna e quindi sacrilegi. E così via discorrendo.

                4. Se il catechista tiene un luogo alto da poter vedere tutti i giovani, stia seduto, ma se sta sullo stesso piano dei giovani rimanga in piedi.

 

REGOLE PER LO STUDIO.

 

                I. Stare attento ai libri che leggono i giovani e fare sovente la visita ai singoli posti ed esaminare i quaderni. Notare se qualcuno sul finire dello studio chiude e mette libri in tasca.

                2. Notare se vi è troppa relazione tra i giovani vicini e avvisare il consigliere scolastico perchè li muti di posto.

                3. Si esiga che tutti tengano le mani sul tavolino e si adduca la ragione di civiltà, contegno rispettoso, la proibizione di giuocare. Ma sempre prudenza e semplicità nel dare questo avviso.

                4. Non si permetta che escano contemporaneamente più giovani per le loro necessità e al solo capo [assistente] spetti il dare la licenza.

                5. Si impediscano assolutamente i biglietti. Non si ammettano pretesti o necessità di chiedere libri, quaderni, spiegazioni di lezione. Ciascuno deve essere fornito del necessario per studiare. Attenti ai biglietti sdolcinati che quasi sempre sono scritti e mandati nello studio. Trovatone qualcuno si consegni al Consigliere scolastico che punirà con severità. il delinquente come trasgressore del dovere di studiare. Attenzione a certi segni, a certi telegrafi e agli alfabeti convenzionali.

                6. Si è notato che tanti disordini morali incominciano da certe parole lette nel vocabolario. É questa l'arte colla quale un cattivo cerca di esplorare il cuore di un compagno e conoscerne le tendenze. Se uno manda ad un altro un vocabolario segnato, e talora col segno sovra una parola indifferente che precede la maliziosa, si osservi l'espressione di chi lo riceve. Se si può impedire questo male è ottenuta una grande vittoria.

                7. Tutti gli assistenti si facciano un dovere di manifestare ogni loro sospetto.

                8. Si osservino quelli che escono dallo studio in tempo delle confessioni.

 

AVVISI PEL TEATRO.

 

                I. D. Bosco non permette che i chierici entrino in scena negli oratorii e nei collegi.

                2. I giovani che recitano incominciano sempre a divenir superbi e a ricalcitrare contro le regole, quindi non lodarli mai, come se facessero meraviglie; e nemmanco per ridere. Un: Non c'è male! E basta.

                3. Non permettere e stare attenti che gli attori col pretesto del teatro non si assentino dalla Chiesa o dallo studio. Il maestro in certe circostanze sia indulgente se il compito scolastico non sarà [840] finito, ma prima verifichi se realmente il giovane non ebbe tempo di farlo.

                4. Il Capo del teatro non permetterà che gli attori vadano a studiare la parte in giardino o in camerata senza che vi sia assistente. É questo un tempo pericoloso.

                5. Finita la recita o le prove non si fermino a far crocchio, assolutamente non si permettano certe cene, non si somministri vino senza licenza. Chi fosse causa di questi disordini ne dovrà rendere conto a Dio.

 

RICREAZIONE .

 

                I. É obbligo di tutti i chierici e preti far ricreazione in mezzo ai giovani. Tengano essi animati i giuochi. Il Signore li compenserà della noia che proveranno.

                2. In ogni crocchio s'introduca destramente un chierico. Si tenga bene a mente elle facendosi in modo diverso i discorsi cattivi guasteranno i cuori, o almeno le mormorazioni contro il maestro, il compagno, l'assistente saranno all'ordine del giorno. Vinciamo quella ripugnanza che il demonio ci mette in cuore per impedire questo bene.

                3. Il tempo più pericoloso è il demonio meridiano, e la sera se i cortili sono senza lumi. I luoghi sono: gli angoli rimoti del cortile, i vani delle finestre, le ritirate o i crocchii che talora si fanno vicino a queste. Don Bosco non voleva assolutamente che vi fossero nelle ricreazioni banche per sedersi. Prudenza però nelle sorveglianze.

                4. Si tengano ben d'occhio i luoghi indicati, e coloro che vi si fermassero troppo riferendone al Direttore. Quando due passeggiano soli, attenti. Quando uno passa solitario la ricreazione, attentissimi; il Superiore sì avvicini, gli domandi come sta, se ha dispiaceri ecc. ecc.

 

DISPENSA.

 

                I. Gli oggetti di scuola sì diano con giudizio a ciaschedun allievo indistintamente. Anche le Letture Cattoliche si diano a tutti, eziandio a quelli che non hanno deposito. Così pure il Giovane Provveduto.

                2. A chi non deposita il proprio danaro, non si vendano libri, non giuocattoli, non immagini; non si mandino a legar libri se non quelli di scuola e che siano di estrema necessità. Non associazioni alla Biblioteca della gioventù senza licenza espressa dei parenti; non marche, non frutta. Tutti questi oggetti siano pagati con moneta corrente dal deposito fatto dal giovane.

                3. In quanto al Giovane Provveduto il Catechista lo firmi nella prima facciata ed esiga che sia conservato pulito, non stracciato e di quando in quando verifichi in quale stato si trova. Il Dispensiere, dato il primo Giovane Provveduto, non ne dia altro allo stesso alunno senza farlo sapere al Catechista. [841]

 

I MAESTRI.

 

                I. I maestri sono responsabili di tutto ciò che avviene nella scuola.

                2. Usino massima sorveglianza per impedire qualsiasi commercio fra interni ed esterni; prudenza somma nel distribuire i posti, solerzia grande nello scoprire i segreti degli alunni, onde impedire perfin l'ombra di qualunque specie d'immoralità.

                3. Insistere a tutta possa perchè i giovani si tengano puliti e fare in modo che il sudiciume sia bandito dalla scuola.

                4. Esigere che gli alunni facciano il compito assegnato e procurare che abbiano di che occupare il tempo dello studio.

                5. Il maestro procuri di non adirarsi mai quando è obbligato a punir l'inerzia o la baldanza di qualche alunno; farà in modo che l'allievo conosca voler egli castigare unicamente il vizio.

                6. Farà sempre tenere le mani sul banco.

                7. Non usi preferenze nemmanco coi più buoni. Principalmente fuori di scuola tratti tutti egualmente.

                8. Quando un giovane prima indolente o cattivo incomincia a farsi buono, e non riesce a far tutto il lavoro o a portare integra la lezione, si tolleri, si incoraggisca, si aiuti.

 

ALCUNE REGOLE GENERALI PER CONSERVARE LA MORALITÁ  FRA I GIOVANI.

 

                I. Qualunque cosa si venga a scoprire si dica al Direttore. Non è segreto che tenga, eccetto quello della confessione. perchè il Direttore come padre di famiglia ha diritto di sapere tutto ciò che riguarda i suoi figliuoli per poter adempire il suo ufficio. Tacere ciò che può recar danno alla comunità è rendersi complice e responsabile.

                Il Direttore saprà usare prudenza e non compromettere alcuno. Non si abbia mai timore di offendere o di dar disgusto palesando certe cose. Alcune volte si tacque per mesi e si mormorava perchè il Direttore non provvedeva.

                Nemmanco si temano rigorose misure, per colui del quale si fa rapporto. La nostra mira sia sempre la gloria di Dio e la salute delle anime.

                Si manifestino al Direttore anche i sospetti. Il Superiore può liberamente sospettare non del peccato, ma delle inclinazioni del giovane. Quindi è carità sospettare.

                Il Direttore domandi sovente informazioni ai maestri, assistenti e capi camerata, a chi accompagna a passeggio, a chi assiste in Chiesa, della condotta dei singoli giovani.

                2. In tempo di passeggiata non si permetta a nessun giovane di allontanarsi dai compagni; se qualche volta ci fosse licenza di comprare [842] frutta ecc. vada l'Assistente stesso accompagnato da tutti gli alunni. É nelle passeggiate che incominciano i discorsi cattivi. I giovani non siano mai lasciati soli nelle scuole, specialmente quando il maestro li ritenesse per far loro studiare la lezione.

                3. I chierici nelle cose riguardanti la moralità non interroghino mai i giovani, ma lascino al Direttore questa cura, tanto più che la loro mancanza di esperienza può essere cagione che impari la malizia chi ancora non la conosce.

 

SACRO MINISTERO.

 

                I. Non permettere mai che preti venuti in collegio e non appartenenti alla Congregazione, predichino, confessino, facciano sottoscrizioni pie o promuovano atti di devozione. Queste facoltà appartengono alla giurisdizione di D. Bosco. Se essi domandassero si faccia sapere che D. Bosco non vuole. D. Bosco prende sopra di sè la responsabilità di tale risposta. In quanto al confessare, questi Sacerdoti avventizii e non autorizzati dal Superiore, portano sempre disordini non conoscendo lo spirito della casa.

                2. Si abbia cura specialissima dei giovani che han da fare la prima Comunione, quindi:

                a) Per prima cosa un chierico faccia loro imparare il catechismo piccolo.

                b) Il Direttore impieghi per qualche settimana una mezz'ora al giorno, per es. in tempo di scuola di canto, nello spiegare l'importanza di questo grande avvenimento.

                c) Nel giorno stabilito si dia la Comunione celebrando una bella festicciuola.

                Tutti coloro che furono preparati bene mutarono sempre in meglio la loro condotta.

 

COSE VARIE.

 

                I. D. Bosco prescrive: il bacio della mano sia segno di rispetto al solo Direttore.

                2. Nell'accettazione dei giovani si esiga che siano consegnati i danari dati dai parenti per i loro minuti piaceri. Si dica che se gli alunni avran danari, noi non siamo più responsabili della loro condotta.

                3. All'entrare di un giovane nuovo il Direttore gli dia un cenno del perchè il Signore l'abbia condotto in questa sua casa.

                4. Nel principio dell'anno scolastico i maestri diano ai giovani la traccia di una lettera da scriversi poi ai parenti, esprimendo il loro affetto, domandando scusa delle mancanze fatte a casa, promettendo [843] farsi buoni e studiate. É questo un primo segno della buona educazione che incominciano a prendere.

                5. Quando i giovani di un collegio particolare ritornano a casa per le vacanze, si dia a ciascuno un programma con preghiera di comunicarlo a qualche suo conoscente. Circa ogni mese si faccia scrivere una lettera a casa.

                6. Nelle prime settimane dell'anno scolastico a tutta la comunità radunata si facciano leggere le regole essendo presenti tutti i Superiori.

 

ALCUNE OSSERVAZIONI PEI CONFRATELLI.

 

                I. Si consegnino al Prefetto i danari che la regola lascia in nostro uso per es. regalati dai parenti o ritirati dalla vendita delle pagine. Questi saranno a nostra disposizione per concessione di Don Bosco, ma non debbono servire a ghiottonerie fuori di proposito.

                2. Non compriamo libri senza averne prima avvertito il Direttore, esponendone il titolo. Non crediamoci troppo prudenti e padroni del danaro. Siamo poveri e anche questi oggetti appartengono alla Comunità, benchè D. Bosco ne lasci a noi l'uso.

                3. Parole di D. Bosco: Non si proibisce di prendere qualche volta un pomo, o una pesca in giardino, ma si vieta servirsene a piacimento. A il disordine che D. Bosco non vuole. É vergognoso veder certuni andar a mangiar frutta come se fossero morti di fame. Voglio che i prodotti del giardino siano utilizzati pel refettorio. Per questo motivo ho fatto cingere di siepe l'orto di Trofarello. E poi dobbiamo astenerci da questo abuso pel buon esempio delle persone di servizio. Una loro mancanza di questo genere è punita rigorosamente ed anche talora coll'espulsione. Tutte le sere si spiegano a questi le regole della Società e bisogna che il Prefetto possa proporre loro come modelli i chierici.

                4. Quando un chierico ha già un ufficio e glie ne viene dato un altro incompatibile col primo, avvisi chi di ragione e tolleri con carità le inavvertenze.

                5. Non accettar mai pranzi fuori di collegio, principalmente dai parenti dei giovani. L'esperienza insegna che ci si perde di stima e di decoro perchè vien notato ogni nostro. atto e il padron di casa osserva se sappiamo stare in società. E poi, anche quando non ci imbattiamo in altri imbrogli di discorsi poco prudenti, si vogliono da noi eccezioni alle regole, ribassi di pensione, ecc. Le inimicizie sono originate dalla troppa confidenza avuta prima. D. Rua convalescente, dopo mille inviti accettò due pranzi dai parenti dei giovani, quando era a Trofarello  e gli costarono due ribassi di pensione.

                6. Un chierico non dica mai una bugia. Chi non dice la verità al Superiore commette una gran mancanza, e un Direttore fu già [844] compromesso nel suo onore dando assicurazioni sulle parole di un chierico che aveva mentito.

                7. Le persone di casa sono nostri fratelli e non servi, principalmente per i voti che hanno emesso. Nessuno ha diritto di comandar loro eccetto il Superiore o chi è incaricato da esso. Come si rispetta il maestro in iscuola, così è da rispettarsi il cuoco in cucina, il giardiniere in giardino Se mancano di rispetto ai chierici se ne faccia rapporto al Superiore, ma senza far questioni. Nessuno faccia compere per mezzo di essi fuori di collegio senza licenza. Sarebbe dare scandalo e aprire un varco agli abusi.

 

B.

 

Regola generale per tutti

allo scopo che i giovani siano soddisfatti dei Collegio

e ne serbino grato memoria.

 

in omnibus te volo charitatem habere.

 

                I. Dell'Oratorio non se ne parli che in bene. Giammai teniamo discorso di certi disordini che accadono o anche inconvenienti di vitto, locale, assistenti, ecc.

                Dato il caso che i giovani ne fossero informati, rispondiamo che noi sappiamo nulla dì ciò che essi dicono. - L'Oratorio dobbiamo rispettarlo ed amarlo come la nostra madre e tenerne sempre celati i difetti. - I nostri maestri furono educati là - diranno i nostri giovani, e quindi ci disprezzeranno se ne parleremo con leggerezza. La nostra fama è legata a quella dell'Oratorio. - I nostri giovani racconteranno poi alle case loro ciò che noi abbiam detto. - Il parlar male dell'Oratorio fa sì che i giovani dei collegi particolari se ne formano un'idea scura ed ingrata e se i parenti vogliono mandarli a Torino piangono come se fosse un castigo. - Van là mal disposti e quindi un motivo della cattiva riuscita di tanti.

                Lo stesso si dica di tutti gli altri collegi della nostra Società.

                2. Non far mai confidenze ai giovani intorno alle cose della casa, quando si manifesta qualche inconveniente. - Non parlare dei difetti di qualche nostro confratello; difetti ne abbiamo tutti. In tutti i discorsi difendiamo ciò che si può difendere, scusiamo dal lato buono ciò che si può scusare, non manchiamo giammai di far notare le virtù dei nostri fratelli. Se si trattasse della nostra fama, allora sappiamo diventar eloquenti. - Non ascoltare o prender parte alle loro mormorazioni contro i Superiori. - Non ridere in pubblico delle inurbanità di alcuno, non provocare o ammettere accuse di qualche giovane contro qualche chierico, specialmente se sì trattasse di offese fatte a noi - Molto meno interrogare noi direttamente [845] volere che si parli, prometter segreto, o minacciar castigo. - Non servirsi dei giovani per certe piccole animosità o peggio per sorvegliare qualche compagno che temiamo ci voglia far qualche scherzo non voluto. Non rimproverare un compagno in pubblico; molto meno avvisare qualche alunno che stia lontano da qualche chierico perchè questo gli manifesta troppa affezione e molto meno poi per una qualche gelosia.

                Se un fratello manca, avvertitelo in privato e se non ne avete il coraggio, o temete offenderlo, ditelo al Direttore il quale adempirà con carità il suo ufficio. -Formiamo un cuor solo. - Parlar sempre con lode dei nostri compagni, perchè il biasimo di uno è biasimo di tutti.

                3. Non usar fra noi parole incivili o termini violenti; questo scandalizza i giovani ed è contro la carità. Il disprezzo cadrà sempre su chi insulta il compagno. Ancora adesso fuori di collegio i giovani parlano di certi termini usati da certuni in certe circostanze. A me toccò la brutta figura di sentirmi interrogare da certi parenti se fosse vero, ciò che avevan narrato i loro figli, di certe parole usate da chierici e sapean dirmi nome, cognome, patria di costoro. Con mezzi termini delusi la loro domanda, perchè la negativa assoluta sarebbe stata una vera bugia.

                Un altro giovane aveva preso un intercalare non cattivo, ma non usato da persone civili. Corpo! La madre lo sgridò e il giovane disse subito che l'aveva sentito da chierici, e la madre si lamentò di questo. Vedete come le minime parole sieno portate fuori.

                4. Non mettere le mani adosso, o battere per ridere i confratelli. Certe scene che si castigherebbero nei giovani dite voi se stanno bene fra chierici. Vedere davanti ai giovani i superiori che lottano e si provano a gettarsi per terra e si alzano tutti inzaccherati, che spettacolo! Peggio poi far questo con un po' di stizza. I giovani notano tutto. E poi non si dirà: Il tale fa così, ma sibbene: Nel collegio i Superiori fanno così.

                5. Inspirare confidenza nel Direttore. Quando un giovane irritato da un castigo dice: Andrò dal Direttore, non raddoppiare il castigo e anche maneggiar le mani: ma dirgli: Va pure; e il giovane non andrà o se andrà il torto sarà sempre suo. Nemanco dire: Non voglio che diciate a nessuno nemmanco al Direttore ciò che accade in iscuola o alle passeggiate.

                Non lamentarsi mai coi giovani se uno si trova offeso dalle disposizioni dei Superiori; parlarne invece al Direttore il quale procurerà di contentar tutti. Queste mormorazioni inaspriscono gli animi e i giovani se ne accorgono a certi saluti negati, a certe alzate di spalle, a certe risposte secche date al Superiore. E più d'una volta mi toccò arrossire e tacere. - Una volta elle si parlava del Direttore, rispose un chierico davanti a circa 20 giovani: Che importa a me del Direttore! - Quando un confratello sgrida un giovane non dica mai: Anche che i [846] Superiori non vogliano castigarti, te la farò veder io: piuttosto vado via di qui

                Mai prendere un giovane a fianco al Direttore per castigarlo anche che vi si sia rifugiato a posta, nè aggiungere parola offensiva all'autorità benchè sotto voce: Che m'importa del Direttore?

                Queste frasi dicono chiaramente ai giovani: O il Direttore è un imbecille incapace a far la sua parte, o il chierico è un insolente, e di qui non si scappa.

                Sia maestri, sia assistenti permettano al Direttore che usi del suo diritto di modificare un castigo o anche perdonarlo. Il Direttore si può supporre che almeno abbia tanto giudizio quanto un altro, e non si può supporre che faccia una cosa contraria all'autorità di un maestro. É interesse del Direttore che resti salva l'autorità de' suoi dipendenti; e quindi, se anche sembri esteriormente che uno possa restarne offeso, non è così. Un perdono concesso è sempre segno che il colpevole ha riconosciuto il suo errore, che il giovane ha promesso ripararlo, che gli fu imposta un'emenda onorevole, come domandar scusa, ecc. E poi in certe circostanze vi prego anche notare che alcune volte non si può agire altrimenti, se si considera elle la missione delicatissima del Direttore presenta tante spine e tante difficoltà, che non è cosa facile il superarle, se non seguendo l'ispirazione del Signore e il gran principio della salute delle anime.

                E anche doveste sacrificare a questo gran principio un po' del vostro onore, un po' della vostra autorità, vi sembrerebbe forse sacrificio troppo grande?

                E se bisognasse dare la vita, fareste qualche cosa più del vostro dovere?

                Adunque lasciate al Direttore la libertà di dirigere, chè ei non sia obbligato per vane suscettibilità a indietreggiare quando con qualche perdono o qualche dolce parola vedesse la possibilità di salvare una anima.

                6. Non parlar male o scherzare sulle cose che son care ai giovani, come sarebbe la patria, il vestito, gli amici quando non sono cattivi; non burlare la loro nobiltà se son nobili, nè la loro povertà se sono miserabili; il loro poco ingegno se son tardi nell'imparare; la fisonomia o difetti corporali; non permettere che i giovani prendano a zimbello i loro compagni. Guardarci noi dal fare lo stesso; non raccontare fatti che sian disonorevoli o al paese o alla famiglia di alcuni, nemmanco celiare sul nome di qualcheduno se avesse un significato ridicolo o ambiguo. - Niuno può immaginare come i giovani restino offesi da certe frasi e come nel cuore si ricordino per molto tempo di ciò che essi chiamano offesa. - I parenti poi restano irritati se venisse loro rapportato dai figliuoli qualche frizzo detto loro male a proposito. Il povero non è meno altero del ricco, anzi è più violento.

                Insomma trattiamo i giovani, come Gesù Cristo stesso tratteremmo [847], se fanciullo abitasse in questo collegio. - Trattiamoli con amore ed essi ci ameranno, trattiamoli con rispetto ed essi ci rispetteranno. - Bisogna che essi stessi ci riconoscano Superiori. Se noi vorremo umiliarli con parole per la ragione che siam Superiori, ci renderemo ridicoli.

                7. Non lodar mai nessun giovane in modo speciale; le lodi rovinano i più bei naturali. - Un che canta bene, un altro che reciti con disinvoltura, è subito lodato, corteggiato, tenuto prezioso: e quindi la rovina principale del nostro collegio in quanto all'ordine viene dal teatro. - L'Oratorio poi è una prova continua di questa verità. - Mi raccontava un giovane una volta dei più buoni: Incominciai ad essere cattivo e ad abbandonare i sacramenti da che salito in palco fui applaudito. - E alcuni chierici che attualmente sono fra i più esemplari della Società mi assicuravano che il teatro avrebbe lor fatto perdere la vocazione, se D. Bosco non avesse proibito le recite per circa un armo; e allora tolta - la lode rientrarono in sè. Mi disse qualcuno: Il tempo più disgraziato di mia vita si fu quando recitava all'Oratorio. Questo perchè gli attori, abbracciati e baciati perfino, quando riuscivan bene, non sapean più ove avessero la testa. - Di qui l'origine di molte amicizie particolari. - Guardarsi bene dal lodarli per doti corporali.

                I migliori delle scuole s'insuperbiscono se son lodati e certi ingegni piccoli si avviliscono e non potendo raggiungere i primi, odiano il maestro dicendo che non li cura troppo. A costoro piuttosto un po' d'elogio moderato. - E quando qualche chierico sente lodare un giovane dal maestro, queste lodi non le ripeta per non mostrargli maggior affezione per questo.

                8. Delle confidenze che fanno i Superiori, delle conferenze avvenute fra noi, silenzio assoluto cogli alunni, specialmente se si tratta di regole odiose o anche di rapporti o di giudizi dati intorno ad alcun giovane. Un chierico proporrà al Direttore una cosa giusta e che è opportuna: un altro avrà la confidenza di una disposizione da prendersi. La cosa si crede segreta e invece se ne parla tra i giovani come se fosse cosa che il Superiore deve mettere in esecuzione; e se si effettua il giovane dice: Il Superiore fa ciò che vogliono i chierici e son essi che fanno pressione: e quindi malumore contro il Superiore che non è capace a far giustizia.

                Non far sapere mai ai giovani i voti ottenuti agli esami prima della pubblicazione ufficiale. Regola sempre inculcata e mai osservata che disanima i nostri alunni e mette sempre nell'imbroglio il Direttore.

                Non parlar mai ai giovani e alle persone di casa di ciò che accade nelle scuole e nello studio. Se accade qualche disordine, ci penserà il Direttore; del resto i giovani di una classe debbono aver sempre buon concetto delle altre classi. [848] Non riportare ai giovani i nostri interessi materiali o scolastici, le nostre questioni.

                É cosa ridicola che un chierico vada a far confidenze ai giovani: lo crederanno loro eguale e non lo rispetteranno più.

                9. Non parlar male di altri collegi come se il nostro fosse l'ottimo e non vantare le nostre fatiche e il nostro disinteresse nel lavorare per i giovani.

                I giovani posson passare da questo collegio a quello di cui si parlò male, riportare i nostri detti, crearci quindi dei nemici. E poi quei giovani che vennero qui senza conoscere altri collegi non ci crederanno, e si domanderanno se al mondo siamo noi soli capaci ad educare la gioventù.

                Noi perdiamo immensamente se narriamo i nostri sudori. Basta che un maligno in collegio si metta a mormorare ed allora siam messi in burla.

                Sapete che cosa si disse di noi gli anni scorsi? Sì sì lavorano gratis! É alle nostre spalle che diventano maestri. Stanno qui perchè non sanno dove andare; se avessero un patrimonio, non starebbero con noi. Quando avranno le patenti, vedremo cosa faranno! Saranno parole di un sol maligno, ma uno castigato oggi, uno irritato domani incomincia ad essere del parere di costui, e a poco a poco la voce e gli schemi si moltiplicano. Tanto più quando noi siamo i primi a parlar loro di ciò che fecero certi chierici. Ci fabbrichiamo la croce colle nostre mani. Tacciamo noi: i giovani hanno occhi per vedere, mente per comprendere e capiranno benissimo se siamo mercenarii o se lavoriamo per loro amore. Noi stessi loderemo e stimeremo colui che sembra voler la lode?

                10. Giusta severità: non si tolleri risposte insolenti e infrazioni alle regole, principalmente dai grandi. La legge deve essere eguale per tutti, quindi certe mancanze sian sempre punite.

                I riguardi speciali usati verso i rettorici gli anni scorsi portarono amarissimi frutti. Il tollerare fece loro prender baldanza. Mormoravano apertamente alla presenza degli assistenti e perchè eran grandi non si facea rapporto. -Insultavano a chi loro non andava a genio, e si abbassava la testa. - Si sorprendevano in flagranti e si prometteva loro silenzio. - Sono grandi, si dicea per iscusarli. - E se un piccolo avesse fatto così, se la sarebbe passata buona? E non è questa un'ingiustizia? La troppa bontà fa sì che arrivati a un certo punto non si può più andare; allora si parla, si vorrebbe che il Direttore facesse, dicesse. -Ma tra l'alternativa di mandarli via o tollerare ancora qualche mese qual decisione si potrà prendere? Mandarli via! ma essi forse sono possessori di segreti più gelosi perchè qualcuno li confidò loro! Tollerare! ma i piccoli disubbidiscono, disprezzano imitando i grandi,  non vanno ai sacramenti perchè i grandi non vanno, stan male in chiesa perchè i grandi non vogliono saperne di divozione [849], -  diventan superbi, intrattabili perchè tali sono i grandi. - Che cosa si farà?

                Il maestro di rettorica faccia vedere al principio dell'anno ai suoi giovani il gran bene che potran fare a tutto il collegio colla buona condotta

                11. Non proteggere le scappate dei giovani, - non celarle per un amor proprio mal inteso, o paura di perderne la confidenza, o per la debolezza di perdere una popolarità.

                Guardarsi dal prender parte alle loro mancanze contro le regole con dare certi permessi, di merende, di bagni, con ricevere danaro che dovrebbe consegnarsi al prefetto, con certe compre senza licenza del direttore. In questo caso oltre la disubbidienza tutta la responsabilità del male che ne può avvenire peserà su chi vuol fare di  testa sua, e allora non il Direttore ma chi dà la licenza ne renderà conto al tribunal di Dio. Il chierico, il prete deve essere il primo a rispettare la regola e la ragione di essere Superiore non disobbliga niente affatto dalle regole non solo della Società, ma del collegio. Dicono i teologi che il legislatore è obbligato anche esso alla legge fatta da lui per ovviare lo scandalo che ne viene.

                Noi siamo obbligati per il voto di obbedienza, come spiegò tante volte D. Bosco.

                Noi dobbiamo essere la personificazione della regola, e cento bei discorsi senza l'esempio valgono nulla. Il giovane vedendo sottomesso chi è da più di lui, si sottometterà volentieri e non ascolteremmo certe ragioni: - Perchè son superiori fari come vogliono. - E non è la nostra volontà che noi Superiori dobbiamo fare, ma quella della regola. La regola è superiore a tutti: è la voce di Dio!

                12. Rispettare la fama degli alunni; -non mortificarli in pubblico con certe espressioni o termini disonorevoli; - non far capir loro che si sospetta, ma con prudenza sorvegliare senza che se ne accorgano; - non rimproverarli senza esser certi delle mancanze, quindi non creder subito ai rapporti, non agire d'impeto, ma esaminar la cosa a sangue freddo.

                Non raccontare ai giovani cose disonorevoli dei compagni per nessun motivo; - anche avessero tenuto una condotta immorale pel passato, non si ricordi, principalmente se hanno cambiato. - Se uno non potesse pagar pensione e avesse degli arretrati, non si manifesti. - Vidi giovani a piangere per questo motivo.

                Sorvegliamo come se tutti fossero cattivi, - ma facciamo in modo che si credano tutti che noi li stimiamo bravissimi.

                Quando un giovane è uscito di collegio, non parliamo più di esso, per quanto abbia tenuta cattiva condotta. - Sia per noi come se fosse morto. - Non vive oltre la tomba ira nemica!

                Anzi senza offender la regola e quando non vi è pericolo di scandalo, difendiamo sempre in faccia ai giovani un alunno accusato. [850] E anche quando è castigato procuriamo di compatirlo e di fargli. coraggio, mentre non lasceremo di fargli vedere il suo torto. Allora sì che i giovani ci ameranno. - E impediamo che il castigato sia schernito dagli altri. Si irrita e si ostina nel male chi è burlato.

       13. Castigare con giustizia e con carità: non far mai veder rabbia; altrimenti diranno che non è la regola, ma l'amor proprio offeso che si vuol vendicare. Per nessun motivo si batta alcun giovane. La legge punisce colla carcere o colla multa il maestro e l'assistente che dia un solo schiaffo allo scolare. - Un giovane cattivo può disonorare il collegio con una sola parola. Uno schiaffo costò a M. 100 lire di multa.

                Non minacciar mai un alunno di rimandarlo al fin dell'anno; questa minaccia scoraggia troppo e se il giovane non fosse promosso dirà sempre per scusarsi che fu una vendetta del maestro.

                I castighi della prigione, del silenzio, e del togliere la pietanza per qualche giorno sian rimessi al prefetto, al quale si farà rapporto della mancanza.

                Le trasgressioni o mancanze di obbedienza in camerata, in ricreazione o in chiesa spetta al prefetto punirle. Tocca al prefetto mantener la disciplina. Ne verran due vantaggi: che il chierico non castigando ma facendo rapporto, non vi sarà pericolo o che castighi ingiustamente o che la pena inflitta sia maggiore della mancanza: e che non avrà da temere odiosità facendo il rapporto a sangue freddo e anche qualche minuto dopo. Persuadetevi che la vostra autorità non avrà mai a scapitarne e il Direttore è risoluto che sia rispettata a qualunque costo. - Gli assistenti nelle scuole riferiscano le mancanze al maestro, ma non castighino di propria autorità.



[1] Lettera 114

[2] Osservatore Romano, 19 giugno 1932

[3] Atti del Capitolo Superiore, 22 giugno 1932

[4] Joann., IV, 37: Alius est qui seminat, et alius est qui metit. Ps., CXXV, 5: Qui seminant in lacrimis, in exsultatione metent.

[5] Hebr., XI, 34

[6] Cfr. vol. XIII, Pag. 711

[7] Ivi, pag. 607

[8] C'è una lettera a monsignor Agostino Negrotto, degli abbreviatori del parco maggiore a Roma, che porta la data del 3 gennaio 1879. Don Bosco certo per distrazione causata dall'abitudine scrisse Torino invece di Sampierdarena. In quel giorno erano partiti da Genova gli ultimi tre missionari e le dieci Figlie di Maria Ausiliatrice.

 

                               Carissimo e Rev.mo Monsignore,

 

                Ho ricevuto la sua cara lettera colla offerta ivi acchiusa pei nostri missionarii che già sono partiti alla volta dell'America.

                Ho ricevuto comunicazione della perdita della signora sua madre e ne provai rincrescimento: abbiamo fatto private e comuni preghiere in suffragio dell'anima di lei.

                Godo nell'animo mio del perseverante suo desiderio di entrare nell'umile salesiana congregazione. Circa la metà di febbraio spero di essere a Roma e ci parleremo di ogni cosa relativa.

                Intanto io la ringrazio di tutto cuore della continuazione di sua carità, e raccomando me e i nostri missionarii itineranti; con fraterna affezione mi professo ora e sempre in G. C.

                Torino, 3 Gennaio 1879.

Aff.mo amico

Sac. Gio, Bosco.

[9] Lettera a Don Rua, Nizza II gennaio 1879

[10] Lettere a Don Rua di Don Bologna (Marsiglia, 8 genn.), di Don Ronchail (ivi, 9), di Don Cagliero (Nizza, II).

[11] Il Huysmans nel suo noto profilo di Don Bosco; riferendo il fatto, è incorso in due errori, uno topografico e l'altro cronologico. lo dice avvenuto “dans la rue Beaujoúr ”, il che non è, e gli assegna la data del 29 gennaio, mentre quel giorno Don Bosco trovavasi a Saint-Cyr. La nostra narrazione si fonda su testimonianze di Don Bologna, raccolte da Don Lemoyne, e da altre di Don Cartier che era allora nella casa di Marsiglia: scritte queste ultime testualmente dal salesiano Don Rivière. Quanto alla data, noi riteniamo che sia da collocarsi fra il 10 e l’11  gennaio. I lettori potranno convincersene, ponendo ben mente alle citazioni che seguiranno nel testo

[12] Modo tutto piemontese, che può equivalere a “ orsù! ”

[13] VOI. XIII, Pag. 97. Rettifichiamo qui una inesattezza occorsaci nel luogo citato. I Fratelli del Sacro Cuore ivi menzionati non erano quelli dei Puy, ma formavano una Congregazione chiericale locale, detta (Euvre du Sacrè-Coeur de l'Enfant Jésus, fondata dall'abate Timon e, diventata pochi anni fa di diritto pontificio

[14] Lettera al sig. Rostand, in risposta a sua dell'8 settembre 1879. Ne possediamo la minuta, che rivela due mani diverse, perchè forse fu scritta sotto dettato. Ha modificazioni e aggiunte per mano di Don Rua e di Don Bosco. Firmò Don Bosco

[15] App., Doc. I.

[16] App., Doc. 2.

[17] Cfr. vol. XIII, pag. 744

[18] App., Doc. 3, A-B-C-D-E

[19] Giulio è lo scopatore altre volte menzionato. Questo nome gli suggerisce di aggiungervi per ischerzo l'altro di Augusto (cfr. vol. XIII. pag. 35).

[20] Cfr. vol. XIII, pag. 534

[21] Cfr. vol. XIII, pag. 218

[22] Per l'ab. Roussel, cfr. vol. XIII, pag. 737. S. Anna era la campagna venuta a Don Bosco dall'eredità del barone Bianco (Cfr. ivi, pag. 571). Per Don Fusconi, cfr. ivi, pag. 645

[23] Il signor Jean-Victor D'Ycard de Barbarin fu il primo cooperatore salesiano di Marsiglia e il primo benefattore dell'oratorio di San. Leone. Morì il 24 febbraio 1879. Don Bologna (3o aprile 1879) scrisse a Don Rua: “ M.r D'Yard de Barbarin, que vous connaissiez très bien est mort il y a quelques mois. Il a laissé une veuve bien digne de lui. Dans sa disgrace elle a resolu de continuer les bonnes oeuvres de soli mari, et surtout de prendre notre maison sous sa bienveillante protection. En parlant à Don Bosco vous lui direz qu'elle s'est engagée à être la seconde mère de notre maison d'accord avec Mad. Jacques qui en est la première. Les deux mères  sont cousines. Pour ne pas commencer à être seulement mère de nom. mais de fait, elle vient de nous envoyer une grande quantité d'outils de menuisier et de serrurier et d'autres que soli regretté mari tenait à sa campagne. Il y aura pour quelque millier de francs d'outils... Une forge avec tous le accessoirs, deux gros et jolis tours etc... Elle nous promet bien d'autres choses encore; elle est veuve, seule sans enfants... je désirerais que vous en informassiez Don Bosco... Cette dame vous connaît pour vos rélations avec soli mari... elle connaît aussi Don Bosco l'ayant vu ici avec son mari qui l'a vu par hasard, mais il en fut très charmé ”.

[24] Lettera di E. Vinson, dei Signori della Missione, a Don Rua, 6 febbraio 1888. E’ una lettera di condoglianza per la morte di Don Bosco. Vi si legge: “ Si un jour N. S. P. le Pape donne un Patron aux Œuvres de jeunesse aux Patronages, j'espère que tous Patronages, j'espère que tous les coopérateurs Salésiens demanderont que ce Patron soit Saint jean Bosco!!! ”.

[25] Lettera a Don Rua, Nizza, 16 gennaio 1879

[26] Lettera della signora J. Thomas a Don Rua, Toulon, 8 febbraio 1883

[27] Lettera composta e scritta da Don Rua e firmata da Don Bosco al canonico Guiol, Sampierdarena, 15 febbraio 1879

[28] Cfr. App,, Doc. 3, E.

[29] Lettera della contessa di Villeneuve al conte Cays, Nice, 6 juin 1879.

[30] App., DOC. 4

[31] Per queste conferenze ci sono di aiuto gli appunti che Don Barberis si prese sul posto

[32] Card. G. ALIMONDA, Il mio Episcopato. Vol. II, pag. 444. Torino, Tipografia Salesiana, 1886.

[33]Mio caro figlio, se mi ami, farai le cose che io tu comando. Le cose da me comandate sono le nostre Costituzioni. Mi rallegro che tu stia bene e che i tuoi giovani crescano nel sapere e nella pietà. Dio ti benedica. Prega per me”

[34] App., Doc. 5

[35] Sampierdarena, 16 febbraio 1879. La lettera fu redatta da Don Rua e firmata da Don Bosco

[36] Di qui innanzi fino al ritorno da Roma ci sarà scorta il laconico diario di Don Berto. Per Lucca abbiamo una relazione di Don Marenco a Don Rua

[37] Il Fedele, giornale cattolico di Lucca, n. 51 del 1879

[38] Don Berto fa questa descrizione: “ Ha un aspetto veramente nobile. un misto della più dignitosa gravità e dì una dolcezza ineffabile. Al solo mirarlo ti senti compreso da un religioso terrore e soggiogato in modo da quegli occhi lucenti e lagrimosi, che da una forza invisibile sei costretto a prostrarti dinanzi e confessare la tua nullità e a piangere l'iniquità dei mortali. Insomma, si mira in quel volto qualche cosa che non è umano. Si rivela al dì fuori la divinità che in quello si alberga. Ha in capo una magnifica e preziosissima corona d'oro. che lo rende invero il Rex tremendae maiestatis. Aggiungi a questo il volto ornai annerito dal fumo degli incensi e delle candele, che lo rende ancor più venerabile, e si avrà un'idea del portentoso Crocifisso che i Lucchesi fecero vedere a Don Bosco ”.

[39] Chierico ascritto, della nobile famiglia lucchese di quel nome

[40] Don Bonetti era rimasto a Sampierdarena

[41] Cfr. vol. XIII, pag. 711

[42] Lettera di Don Lazzero a Don Berto, Torino, 4 marzo 1879

[43] Lettera a Don Rua, 10 marzo 1879

[44] Lettere del conte Cays a Don Bosco, Torino, 21 febbraio 1879 (App., Doc. 6) e di Don Lazzero a Don Berto, Torino, 4 marzo 1879

[45] Oltre a questo Diario, ci soccorrono lettere di Don Bonetti e del medesimo Don Berto all'Oratorio

[46] Lettera del P. Raffaele del Cuore di Gesù, sacerdote Passionista, Spezia (Bugnato), I° dicembre 1924 (Bollettino Salesiano, febbraio 1925, pag. 36).

[47] Lettera a Don Rua, 10 marzo 1879

[48] Don Bonetti che pure vi assistette, la pone al 18 (Bollettino Salesiano, aprile 1879); ma il Diario di Don Berto non lascia luogo a dubbio

[49] Cfr. vol. XIII, pag. 654 sgg

[50] Tanto è lecito arguire dal modo suo di esprimersi il 16 aprile, narrando delle fallite trattative ai Superiori

[51] Il liberalesco Dovere del io maggio di quest'anno 1879 dirà che cosa fosse diventato l'Ospizio sotto la direzione e amministrazione laica. “ Nell'ospizio professionale maschile il mal costume imperversa e trascorre ad inaudite depravazioni. I furti notturni son frequenti, con grimaldelli e chiavi false. Di siffatti arnesi criminali or non ha guari si rinvennero tre sacchetti; prova evidentissima del tristo genere di tendenze ed occupazioni cui si danno quegli allievi. Ripetutamente in mezzo al refettorio e giù per le scale vennero lanciati i piatti col cibo che contenevano, come in atto di protesta. Questo genere di protesta si è manifestato perfino dentro i locali della Commissione, con relativo gettito, non certamente di coriandoli. E tutto ciò venne accompagnato da vandalici atti di porte e muraglie rotte, con deliberato proposito. Non basta. Per cinque giorni di seguito vi fu ribellione violenta, con sassaiuolata, e rottura di oltre una ventina di lastroni ”. E più sotto il giornale deplora che l'opera di un Lovatelli direttore sia riuscita “ a rovinare, screditare, minare un istituto così antico e rispettato ”

[52] App., Doc. 9, A e B

[53] App., Doc. 10, A-E.

[54] Ivi, Doc. I I.

[55] Lettera di Don Bonetti a Don Rua, Roma, 21 marzo 1879

[56] Cfr. vol. XIII, pag. 693

[57] Il cardinale Lorenzo Nina nacque a Recanati il 12 maggio 1812 e mori a Roma il 27 luglio 1885. Figlio di un notaio, studiò a Roma, dove fu ordinato nel 1845 ed esercitò per molti anni l'ufficio di procuratore causidico; fu poi sostituto segretario alla Congregazione del Concilio, decano del capitolo di Santa Maria Maggiore e canonico di San Pietro. Pio IX lo nominò Assessore del Santo Ufficio e Prefetto degli studi nel liceo di sant'Apollinare. Nel 1869 fu membro della Commissione preparatrice del Concilio Vaticano e il 12 marzo 1877 venne elevato alla dignità cardinalizia e nominato Prefetto dell'Economia di Propaganda e del denaro di San Pietro. Alla morte del cardinal Franchi (notte sul 10 agosto 1878), Leone XIII lo nominò Segretario di Stato. Nel 1880 fu sostituito dal cardinal Jacobini, assumendo soltanto la Prefettura dei Palazzi Apostolici.

[58] Nell'ora dell'Avemaria dall'alto del Campidoglio si ode un concerto di squille, che riempie l'aria di mistiche armonie e inonda l'anima di soave commozione

[59] Cfr. vol. XIII, pag. 464

[60] Nel Diario di Don Berto sotto la data di quel giorno si legge quanto segue: “Domenica IV di Quaresima (23 marzo) Messa a Torre de' Specchi. Vennero sette tra preti, chierici e laici di Albano e Ariccia a trovar D, Bosco e ci stettero anche a pranzo. Poi D. Bosco ritornò dal Segret. di Stato accompagnato da D. Rinaldi; e così pure andò da Mons. Bianchi [segretario ai Vescovi e Regolari]. Alla sera fu di nuovo dal Card. Segret. di Stato, il quale accettò di essere Protettore della Congregazione Salesiana e di fare quanto occorre; poi da Mons. Boccali portandogli una bottiglia del 1800 circa. Consegnò al Card. Segret. di Stato tre memorie: l'una delle Missioni d'America, l'altra delle Missioni d'Europa contro i protestanti; la terza, domanda di alcuni privilegi.

                “ Ritornato a casa, benedisse quei di Albano e di Ariccia e poi col Ch. Varvello si recò a pranzo verso le 8 dal Cav. Carosio Sottoprefetto di Roma. Doveva anche esservi il Cav. Gilardini referendario al Consiglio di Stato, ma non potè intervenirvi. Così il Cav. Carosio potè parlate più liberamente, essendo solo con D. Bosco, intorno al progetto d'impiantare una casa salesiana in Roma. Questo signore è Piemontese; forse delle parti di Ovada ”.

                Dice che “ ritornò dal Segretario di Stato ”, perchè c'era stato solo il giorno innanzi, dopo parecchie altre volte. Inviò il dono al Cardinale dopo la visita del mattino, per mezzo di un'ambasceria, valendosi di Don Rinaldi, perchè già noto a Sua Eminenza; a monsignor Boccali consegnò il dono di propria mano. Maniere usuali a Don Bosco per manifestare la sua riconoscenza. Qui volle dir grazie al Cardinale per aver accettato di essere Protettore e a Monsignore per l'udienza ottenutagli. Bottiglie di vino vecchio e generoso gli erano mandate da nobili famiglie torinesi per la sua salute; ma egli se ne serviva altrimenti.

[61] App., Doc. 12

[62] Da II Tim., IV, 5 e dall'Oremus della domenica III dopo la Pentecoste, con modificazioni. “ Tu intanto sopporta in tutto, compi opera di evangelista, adempi virilmente il tuo ministero, e il Signore ti darà volere e potere di passare per i beni temporali in modo da non perdere gli eterni ”.

[63] App., Doc. 7

[64] App., Doc. 8

[65] Rivista giudiziaria torinese, anno II. num. 10 (8 marzo 1879).

[66] Lettera a Don Rua, Roma, 10 marzo 1879

[67] L. MENDRE prêtre, Don Bosco Prêtre, Fondateur de la Congrégation des Salésiens. Notice sur son Œuvre. L'Oratoire de Saint-Lèon à Marseille et les Oratoires Salésiens fondés en France. Marseille, Typ. Marius Olive, 1879

[68] Allude scherzevolmente alle onorificenze da lui chieste per entrambi

[69] Enciclica Quod apostolici numeris, 28 dicembre 1878

[70] Sono cinquanta pagine in sedicesimo e su bella carta, che si leggono tuttora con vero diletto

[71] I Brevi per questa e le altre, onorificenze vennero solo in luglio (App., Doc. 13).

[72] Relazione del dottor Francesco Venturini, Este, 29 agosto 1931

[73] Il giovane cessò di vivere prima di agosto, come si rileva da questa lettera del Beato alla madre, nobile signora Sofia Bonola Mattei:

 

Stimabilissima Signora,

 

Ricordo tuttora con grande dolore la posizione affliggente in cui vidi e lasciai il suo figlio di sempre cara memoria. Ho pregato per lui malato e continuai dopo morto e spero che a quest'ora egli sia già stato accolto a godere la pace eterna del cielo.

Nè mancherò di fare speciali preci per Lei, pel Sig. Marito e per tutta la sua famiglia. Faccia Iddio che ne abbia le dolci consolazioni in vita e che la possa vedere un giorno tutta raccolta intorno a sè in paradiso.

Dio la benedica, e preghi per me che le sarò sempre in Gesú C.

Torino, 19-8-79.

Umile servitore

Sac. GIO. BOSCO.

P. S. Ricevuti f. 10  lotteria, f. 5 limosina di messa celebrata.

[74] Lettera a Don Bosco, Acireale, 9 marzo 1879

[75] LEMOYNE, M. B., vol I, pgg. 349-356; 454-5

[76] App., Doc. 14

[77] Alcuni mettevano in carta gli avvisi ricevuti e noi ne conserviamo parecchi saggi. Nell'Appendice (Doc. 15) si possono leggere le note di un chierico, del quale naturalmente non facciamo il nome.

[78] Di questo racconto abbiamo pure un'altra versione con qualche variante accidentale (App., Doc. 16)

[79] Fuori la Francia. Pensieri di GIOVANNI SIOTTO-PINTÒR, senatore del Regno. Torino, 1871

[80] Lettera al teologo Margotti in Unità Cattolica del 6 giugno 1879

[81] Bollettino Salesiano, giugno 1879

[82] App., Doc. 17

[83] BELASIO, Non abbiam paura! Abbiamo il miracolo dell'apostolato cattolico di XVIII secoli e le sue sempre nuove e più belle speranze. Fascicolo 322, agosto 1879.

[84] Bollettino Salesiano, luglio 1879

[85] Merita di essere conosciuta anche un'altra lettera della stessa, scritta a Don Rua nel mese antecedente (App., Doc. 18).

[86] Nell'Appendice (Doc. 19) riproduciamo la geniale trovata di un ragazzo che da sarto aveva ottenuto di passar libraio. Vi facciamo seguire una seconda fantasia che un altro giovane tracciò sulla carta l'anno seguente per la medesima occasione.

[87] Ricco piviale di velluto rosso offerto dagli ex-allievi, damasco per tappezzeria di chiesa dagli allievi presenti, stolone bianco con ricami in oro dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, ecc. ecc.

[88] Per questa pratica cfr. vol. XIII, pag. 540.

[89] Lettere di. Don Cagliero a Don Bosco, Acireale, 3 e 9 marzo 1879

[90] Lettera di Don Federico Mulattieri, Clavesana, 24 marzo 1879

[91] Elenco ufficiale dei membri della Commissione:

      I. Bosco D. Giovanni. Presidente.

      2. Cays conte D. Carlo dott. in ambe leggi. Segretario.

      3. Bonetti D. Giovanni prof. di lettere e di teologia. Esaminatore,

4. Cagliero D. Giovanni dott. e prof. di teologia. Esaminatore.

       5. Cerruti D. Francesco dott. in lettere, prof. di storia e di teologia, direttore del collegio convitto di Alassio. Esaminatore.

     6. Dalmazzo D. Francesco dott. in lettere, direttore del ginnasio e liceo di Valsalice. Esaminatore.

7. Durando D. Celestino prof. di lettere. Esaminatore.

     8. Francesia D. Gio. Batt. dott. in lettere, prof. di teologia, dirett. del collegio municipale di Varazze. Esaminatore.

     9. Rua D., Michele prof. di lettere e di ermeneutica biblica e di teologia, prefetto dell'Oratorio di san Francesco di Sales. Esaminatore.

 

Supplenti.

 

Qualora ne sia d'uopo suppliranno i seguenti esaminatori:

      Barberis D. Giulio dottore in teologia.

Bertello D. Giuseppe dott. in teologia, lettere e filosofia.

                Belmonte D. Domenico prof. di filosofia, direttore del collegio san Carlo in Borgo san Martino.

[92] Unità Cattolica, 17 agosto, 2 settembre, 6 ottobre 1877; 3 agosto 1878; 16 gennaio, 27 e 29 giugno 1879

[93] Di questo rifacimento il nostro Don Caviglia ha istituito un confronto minuto con la redazione primordiale in Don Bosco, Opere e scritti editi e inediti. Vol. II, Parte I: Le Vite dei Papi. Serie I: Da S. Pietro a S. Zeffirino, pag. II e seg. Notevole il fatto da lui riscontrato che qui sono soppresse tutte le citazioni derivate precedentemente da uno scritto del canonico Lorenzo Gastaldi.

[94] Vita di S. Pietro Principe degli Apostoli raccontata al popolo per il Sac. Bosco GIOVANNI. Seconda Edizione. Sampierdarena, Tip. S. Vincenzo de' Paoli, 1884. Ha la copertina delle Letture Cattoliche, ma senza numero di fascicolo.

[95] App., Doc. 20

[96] Boll. Sal., gennaio, febbraio, aprile, luglio, agosto 1879

[97] App., Doc. 21, A-D.

[98] Lettera del primo ufficiale Cova a Don Bosco, Torino, 12 marzo 1879

[99] Lettera del sig. J. Bellet, Parigi, 30 settembre 1879

[100] Lettera 18 giugno 1879

[101] Lettera, 20 giugno 1879

[102] App., Doc. 22

[103] App., Doc. 23.

[104] Lettera di Don Rua a Don Bosco, Torino, 28 giugno 1879

[105] Unità Cattolica martedì, 8 luglio (App., Doc. 24).

[106] Lettera di Coppino a Siottu-Pintòr, Roma, 10 luglio 1379.

[107] Il Baretti, n. 28, del 10 luglio 1879

[108] Unità Cattolica del 12 luglio 1879

[109] Lo Spettatore, Gazzetta di Lombardia, 12-13 e 14-15 luglio 1879

[110] Pecetto Torinese, 17 luglio 1879

[111] GIUSEPPE GIUSTI nel Gingillino

[112] Pecetto Torinese, 17 luglio 1879

[113] Pecetto Torinese, 24 luglio 1879

[114] Unità Cattolica, 16 luglio 1879

[115] Monsignor Genuardi, Vescovo di Acireale (cfr. sopra, pag. 138).

[116] Emporio Popolare, Corriere di Torino, 20 luglio 1879

[117] Telegramma di Don Durando a Don Bosco, Roma, 22 luglio 1879

[118] Doveva essere un biglietto di ossequio al nuovo Ministro

[119] Unità Cattolica, 22 luglio 1879

[120] Ivi, 24 e 25 luglio

[121] Ivi, 31 luglio. Prima della replica Don Bertello aveva mandato al giornale un terzo articolo per iscagionare Don Bosco da accuse personali mossegli dal Provveditore nella sua lettera al 'Margotti; lo riportiamo per intero nell'Appendice (DOC. 25).

[122] App., Doc. 26

[123] Fischietto, 26 luglio 1879, L'allora anticlericalissima Gazzetta del Popolo, nella quotidiana rubrica “ Sacco Nero ” difendeva a spada tratta il Provveditore. A scopo d'intimidire, un suo articolo (31 luglio) terminava così: “ Ci sorprende però la voce che gli articoli contro il Regio Provveditore sgocciolino dalla penna di qualche rugiadoso professore dei nostri Ginnasi stessi, e che alla resistenza opposta dal Don Bosco a piegarsi a quanto prescrive la legge, e a tutto questo grande armeggiamento clericale, non sia estraneo del tutto alcuno dei nostri pseudo-liberali. Procureremo di appurare la cosa e ritorneremo presto sull'argomento ”. La botta andava ai professori Perosino e Allievo. Anche la liberalissima Gazzetta Piemontese pigliò le parti del Provveditore, sostenendo l'illegalità delle scuole di Doli Bosco (3 agosto).

[124] App., Doc. 27

[125] App., Doc. 28

[126] App., Doc. 29. L'abate Paulin (lettera 4 agosto 1879) aveva già scritto da Auteuil al conte Cays: “ Nous avons été très péniblement affectés de la guerre déloyale qui vous est faite. Nous pensions que la France seule avait le privilège des injustices de cette sorte; niais il paraît qu'il y a des plagiaires de M. Jules Ferry en Italie. Espérons que cette crise que traverse l'Eglise en ce moment, ne sera pas, de longue durée et qu'un bon gouvernement mettra à la porte du pouvoir ces hommes, qui semblent n'être en place que pour opprimer les consciences et persécuter les catholiques. Le triomphe des méchants n'est jamais éternel; mais en attendant, il se fait du mal, beaucoup de mal, et c'est ce qui afflige toute âme honnête et bien pensante”. Più tardi dal primo monastero di Annecy la Superiora (lettera a Don Bosco, 4 settembre 1879), saputo a quali contraddizioni fosse fatto segno il Beato da parte del Governo, gli scrisse parole di cristiano conforto; Don Bosco incaricò il conte Cays di redigere la risposta, che egli firmò.

[127] Cfr. vol. XIII, pag. 546

[128] App., DOC. 30

[129] Cfr. Unità Cattolica, 16 dicembre 1 8 79, articolo “La tirannia dell'Insegnamento in Italia ed opportuni ricordi del professore Allievo ”.

[130] L'Oratorio di S. Francesco di Sales ospizio di beneficenza. Esposizione del Sac. GIOVANNI Bosco. Torino, Tip. Sal., 1879. Si può leggere nell'Appendice. (Doc. 31).

[131] Lettera a Don Rua, Roma, 19 novembre. 1879. Il Viale spiegò realmente uno zelo superiore ad ogni elogio. Si conoscono bene i suoi sentimenti da queste parole scritte a Don Bosco l'II dicembre: “ Se ha bisogno di altre istruzioni, non mi risparmii mai e poi mai per tutta la numerosa sua famiglia in qualunque luogo, e fosse anche per la Patagonia. La ricompensa l'aspetto da Dio, che mi guiderdonerà generosamente ”.

[132] Le scuote di beneficenza dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino davanti al Consiglio di Stato pel Sac. GIOVANNI Bosco. Torino, Tip. Sal, 1879. E' riprodotta in Appendice (Doc. 32).

[133] App., Doc. 33

[134] Lettera a Don Bosco, Cagliari, 29 Dicembre 1879. In altra del Gennaio 1880: “Scrivo oggi stesso caldamente al Consigliere di Stato De Filippo, affinchè affretti al più presto possibile la nota relazione e spero che quella lettera ci frutterà. Voglia Ella coi suoi continuare a pregare per me, affinchè col favore del Cielo possa nel prossimo Giugno sentire la Messa nella chiesa di S. Francesco di Sales, del quale avendo letto adagiatamente la miracolosa vita sono, a così dire, innamorato sino alle ciglia. Voterò in quella Messa di dedicarmi tutto agli interessi dello Istituto, e confido di non mancare al mio voto. Se altro posso fare, Ella me ne scriva, chè in nessuna occasione risparmierò tempo nè fatica ”. Infine gli chiede di serbargli “ un posticino nel suo ottimo cuore”.

[135] Lettera del Prefetto Minghelli Vaini a Don Bosco, 7 febbraio 1880

[136] App., Doc. 34

[137] Lettera del signor Viale (non datata) e di Don Dalmazzo a Don Bosco, 3 maggio 1880

[138] Lettera a Don Bosco, Roma, 27 luglio 1880

[139] Lettera, Torino, 24 luglio 1880

[140] Lettera, Torino, 15 luglio 1880

[141] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 29 novembre 1881

[142] Lettera a Don Piccollo, suo compaesano, Pecetto, 1889

[143] Cfr. L'Opinione. n. 224 del 18 agosto 1875

[144] Sebbene l'opuscolo sia stato spedito a tutte le case, pure oggi è diventato un cimelio d'archivio; quindi pubblichiamo per intera questa parte centrale nell'Appendice (Doc. 35)

[145] Lettera a Don Dalmazzo, Sampierdarena, 7 maggio 1880

[146] Al medesimo, Torino, 21 luglio 1880

[147] Cfr. vol. XIII, pag. 703

[148] Cfr. Unità Cattolica, 22 gennaio 1877 e numeri seguenti

[149] Copia per mano del segretario Don Berto, il quale scrive che la lettera è del febbraio

[150] Erano i canonici Cantore, Caselle, Mosso, Calosso e Savone

[151] App., Doc. 36

[152] Chieri, 6 marzo 1879

[153] Lettera di Don Rua a Don Bonetti, Torino, 22 marzo 1879

[154] Sono i privilegi concessi da Pio IX il 21 aprile 1876 (Cfr. App., Doc. i i -D) e dopo la morte di lui tolti con parecchi altri (cfr. vol. XIII, pagine 559 sgg.).

[155] Nota marginale del segretario Don Berto sopra una copia della lettera al cardinal Nina. Quell'“ esposizione ” era stata scritta da lui stesso, come soleva fare di tutti i documenti da presentarsi ad autorità ecclesiastiche o civili.

[156] Lettera, Roma, 19 giugno 1879

[157] Lettera, Roma, 26 giugno 1879

[158] Lettera, Roma, 7 ottobre 1879

[159] Lettera, Roma, 21 ottobre 1879

[160] Allude alla questione per la chiusura delle scuole

[161] Lettera a Don Bonetti, Roma, 31 luglio 1879

[162] Lettera all'avv. Leonori, 24 ottobre 1879

[163] Lettera, 24 ottobre 1879

[164] Lettera, Torino, 2 gennaio 1880

[165] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bonetti, Roma, 20 marzo 1880

[166] Lettera, 7 novembre 1880

[167] Lettera ai Cardinali del Concilio, Torino, 5 dicembre 1880

[168] Lettera dell'avv. Leonori a Don Bosco, 29 novembre 1889

[169] Lettera di Don Deppert a Don Dalmazzo, Torino, 18 dicembre 1880

[170] Lettera, 5 dicembre 1880

[171] Lettera di Doli Dalmazzo a Don Bosco, 21 dicembre 1880.

[172] Rispettive lettere all'Arcivescovo, Chieri, 9 e 13 dicembre 1880

[173] Lettera a suor Angelina Vallese, Nizza, 22 luglio 1879

[174] Suor Maddalena Martini, Ispettrice (cfr. vol. XIII, pgg. 215 e 793).

[175] Lettera, Buenos Aires, 19 agosto 1879

[176] Cfr. Bollettino Salesiano, gennaio 1879

[177] La Nuova Torino, n. 66 del 7 marzo 1879

[178] La Nuova Torino, n. 152 del I° giugno 1879

[179] In tutta questa narrazione noi utilizziamo specialmente due documenti: una lettera firmata dalla Bedarida (Unità Cattolica, n. 209 del 7 settembre 1879, e un'altra di Don Bonetti, destinata al Ministro dell'Interno. La copia che abbiamo della prima, coli la firma autentica dell'Ebrea, è d'altra mano; vi si legge questa dichiarazione sottoscritta da tre testimoni: “ I sottoscritti attestano che la Signorina Annetta Bedarida in loro presenza lesse e poi udì ancor a leggere questo scritto, e in seguito dichiarò che i sentimenti ivi contenuti sono i sentimenti del suo cuore, e perciò li approvò francamente e vi appose liberamente la propria firma ”. La lettera era stata redatta da altri, forse da Don Bonetti; ecco il perchè di questa dichiarazione. Il secondo documento è uno scritto del medesimo Don Bonetti, che parla in persona di Don Bosco e vi ha messo in alto questa nota: “ L'avv. Caucino la lesse e l'approvò. L'approva anche Don Bosco? Se sì, sottoscriva due fogli come. questi da mandarsi uno a Villa, l'altro a Varè ”. Varè era il Ministro Guardasigilli e Villa l'avvocato. Don Bosco vi scrisse accanto: Non expedit multis de causis. Abbiamo pure due altre relazioni manoscritte, una lunga di un avvocato De Gregori, e l'altra lunghissima di Don Bonetti; ma sono troppo enfatiche: contengono però qualche dato positivo attendibile.

[180] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 612 e seg. - PELCZAR, Pio IX e il suo Pontificato, vol. II pag. 195 e seg. Torino, Berruti, 1910. Il Mortara vive tuttora ed è padre Mortara, dei canonici regolari lateranensi. Il suo nome fu abusato spesse volte dai nemici della Chiesa, atteggiantisi a paladini della libertà di coscienza. Il 7 luglio 1879 alla camera francese il deputato Madiez de Montjau lo rievocò in un discorso contro i cattolici che invocavano la libertà a tutti concessa dalla legge. Il padre Mortara gli rispose per le rime con una lettera pubblicata sull'Univers e riprodotta dall'Unità Cattolica del 17 luglio. Diceva fra l'altro: o Io sono cattolico per principio e per convinzione, pronto a rispondere agli assalti ed a difendere a prezzo del mio sangue questa Chiesa che voi combattete, e vi dichiaro che le vostre, parole offendono profondamente il mio onore e la mia coscienza, e mi obbligano a protestare pubblicamente ”. Egli però non era un convertito. Battezzato all'età di due anni in articulo mortis dalla fantesca cristiana e ricuperata la salute, egli apparteneva alla Chiesa, che aveva il diritto e il dovere di dargli un'istruzione conforme al battesimo ricevuto. L'allarme che allora mise in subbuglio l'Europa e l'America, partì proprio dalla sinagoga di Alessandria della Paglia. Giornali ebrei, massoni, protestanti, e scismatici, rimasti indifferenti quando lo czar Nicola strappava a migliaia i bambini dalle madri cattoliche per allevarli nel suo scisma, urlarono rabbiosamente contro Pio IX, contro l'intolleranza della Chiesa romana e contro la violazione dei diritti paterni. Abbiamo in archivio una sua lettera del 1880 a Don Bosco, la quale basta da sola a dimostrare quanto egli gioisse in cuor suo di essere stato rigenerato alla grazia nelle acque battesimali e quanta. affezione nutrisse per il Beato (App., Doc. 37).

[181] Constò che la Bedarida non aveva del suo che quindici o venti mila lire. Non era davvero un gran che!

[182] Un'Ebrea monaca per forza. Storia del giorno. Torino, Ronchetti editore, Tip. Borgarelli, Via Montebello 22

[183] Gazzetta del Popolo del 13 e i S settembre. Gli altri giornali prendevano l'imbeccata dalla Gazzetta. Si segnalò fra tutti la Cronaca dei Tribunali.

[184] App., Doc. 38 A-B

[185] Lettera a Don Pozzan, amministratore del Bollettino, Nancy, 16 aprile 1880. Diceva l'abate: “ Je ne sollicite d'autre remboursement de mes débours que l'envoi d'une notice m'expliquant le mieux possible l’œuvre de Don Bosco que j'ai entendu grandement louer à Angers l'an dernier, au Congrès des Œuvres ouvrières Catholiques, œuvre dont je ne sais qu'une chose, c'est qu'elle existe, si merveilleuse que je voudrais bien la connaître ”. Egli rispondeva a una lettera di chi aveva chiesto a quella Curia l'Ordo diocesano, per avere gl'indirizzi dei preti, a cui spedire il Bulletin Salésien.

[186] App., Doc. 39

[187] Bollettino Salesiano, gennaio 1880

[188] Cfr. vol. XIII, pag. 784

[189] Lettera di monsignor Cretoni, prosostituto alla Segreteria di Stato, 10 settembre 1879

[190] Cfr. vol. XIII, pag. 777

[191] Cfr. vol. XIII, pag. 162

[192] Lettera a Don Bodrato, Patagònes, 16 giugno 1879

[193] La pubblicò tradotta il Bollettino Salesiano del novembre 1879. La medesima lettera, voltata in francese, è quella che fu spedita alle Opere della Santa Infanzia e della Propagazione della Fede insieme con le due suppliche di Don Bosco

[194] Quaderno con poche pagine di scritto, intitolato: Cronachetta Esercizi Lanzo 1879.

[195] Don Bonetti veniva allora pubblicando quei capitoli che poi, estratti e riuniti in un volume, diventarono i Cinque Lustri di Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

[196] Bollettino Salesiano, gennaio 1880

[197] Certificato redatto dal segretario generale dell'Arcivescovado Francesco Arrachez per la Curia di Buenos Aires, 5 novembre 1880

[198] Cronaca dei Tribunali, n. 42 del 18 ottobre 1879

[199] L. c., n. 43 del 25 ottobre 1879.

[200] N. 246 del 30 ottobre 1879

[201] Non voglio andare a Torino, perchè vogliono farmi andare in America

[202] S. PAOLO, I Cor., XIII, II: Quand'ero bambino, parlavo come bambino, pensavo come bambino, ragionavo come bambino; ma fatto uomo, ho cessato i costumi del bambino.

[203] Corriere di Torino, n. 272 del 2 novembre 1879

[204] Il Giustina sul declinare degli anni rinsavì. Per altro al suo professore Don Guidazio aveva portato sempre affettuosa stima. Di altri suoi superiori volentieri si ricordava; infatti, quando sapeva che monsignor Costamagna o monsignor Fagnano erano a Torino, li visitava. Gli chiuse gli occhi Don Lemoyne. E' vero che fu cremato ma la cosa accadde involontariamente, perchè egli non aveva badato a ritirare il suo nome dalla società di cremazione.

[205] Cronaca dei Tribunali, sabato, 10 luglio 1880

[206] Lettera di Don Lemoyne a Don Bosco, Nizza (senza data)

[207] I Cor., XVI, 9. Una porta grande e attiva mi è aperta, e molti sono miei avversari

[208] Cfr. sopra, pag. 106-8

[209] Il conte Ferdinando Tarabini, già Consigliere di Stato e Ministro del Duca di Modena, aveva conosciuto Don Bosco a Roma nel 1867 in casa del Conte Vimercati la sera del 13 Gennaio. Presso il Beato, scrive il Conte nel suo diario, “ era un continuo andirivieni di persone ”. D'allora in poi Don Bosco nelle sue fermate a Modena ricorreva con tutta confidenza all'ospitalità di lui, segno evidente che fra loro a Roma non vi era stata una semplice e indifferente conoscenza. Il nobile signore sì sentiva onoratissimo di accoglierlo, come appare dalle note del suddetto diario.

[210] Lettera a Don Bosco, Modena, 2 gennaio 1877

[211] Ecco i nomi di quei buoni giovani: Tomasi Giovanni Battista, Cannas Antonio, Scalas Giovanni, Matta Felice, Cossu Luigi

[212] Lettera, Genoni, 29 aprile 1879

[213] Verbale del 29 aprile 1879, con posteriori aggiunte

[214] Lettera, Isili, 13 dicembre 1882

[215] Lettera, Pisogne, 8 ottobre 1878

[216] Lettera della giunta, Pisogne, 15 novembre 1878

[217] Lettera, 2 gennaio 1879

[218] Lettera, Foligno, 20 maggio 1879

[219] Lettera, Acireale, 26 ottobre 1878

[220] Monsignore aveva precedentemente inviato a Don Bosco una minuta per la lettera al sindaco in questi sensi: “ All'occasione che alcuni Sacerdoti Salesiani per stabilire un Istituto d'istruzione in cotesto Circondario passarono per cotesta Città, furono avvertiti da molti padri famiglia ad annuire al loro vivo desiderio di stabilire in Acireale un loro Istituto; or io volendo secondare ai loro giusti desiderii, conoscendo anche che il Municipio ad un Collegio di simil fatta omai sciolto (l'ex-collegio S. Martino), accordava un sussidio annuo di lire 2000 fino alle scuole ginnasiali e che sarebbe disposto a innalzarlo fino a lire 4000, qualora si mettesse il Liceo, domando a cotesto Municipio se è pronto a soccorrermi col chiesto sussidio, assicurandolo che sarà mio interesse appagare, per l'anno scolastico 1880-81 con lo stabilimento dei Collegio, il desiderio che per l'istruzione ed educazione dei loro figli ci hanno manifestato cotesti padri famiglia ” (Lett., 28 maggio 1879).

[221] App., Doc. 40

[222] Essi erano latori di una lettera del Vescovo a Don Bosco, la quale nella prima riga recava queste parole: Charitas Christi urget te! Il Beato accanto al punto ammirativo scrisse: et D. Rua etc. e rimise la lettera a Don Rua, perchè la presentasse al Capitolo Superiore.

[223] Lettera, Catania, 22 maggio 1878

[224] Lettera a Don Bosco, Roma, 7 maggio 1879

[225] Cfr. sopra, pag. 74

[226] Per quante ricerche siansi fatte a Roma, non fu possibile rinvenire la lettera inviata al Principe. Il vedere come il nostro abbozzo sia tempestato di correzioni per mano del Beato, ci fa ritenere che esso contenga il testo definitivo

[227] Del contenuto di questo foglio non ci è rimasta traccia. Anche di questa lettera possediamo la minuta

[228] Cfr. vol. XIII, pag. 552 e sopra, pag. 178

[229] Cfr. vol XIII, pag. 692

[230] Lettera, Acireale, 3 marzo 1879. Cfr. anche Bollettino Salesiano, agosto 1879, pag. 7-8

[231] Dicevasi commenda l'usufrutto di un'abbazia concesso dal Papa a persona estranea, ecclesiastica o laica

[232] Cron. di Don Barberis, 18 aprile e 7 maggio 1879

[233] Lettera del sindaco a Don Bosco, I° marzo 1879

[234] Lettera a Don Barberis, Ivrea, 8 luglio 1879

[235] App., DOC. 41 (A-B-C).

[236] Bollettino francese, novembre 1879, pag. 4

[237] Annecy, 5 novembre 1877

[238] Lettera del segretario di Monsignore al comm. Dupraz, Annecy, 27 agosto 1879

[239] Lettera a Don Bosco, 13 novembre 1879

[240] La lettera che abbiamo nella minuta di Don Cays e in una copia del Dupraz a Don Durando, fu concertata con Don Bosco; perciò la pubblichiamo (App., Doc. 42)

[241] In fondo in fondo era questo il pensiero di Don Bosco fin dal principio dell'anno, come chiaramente si rileva da una sua lettera al conte Cays (App., Doc. 43).

[242] Caviamo i dati del fatto dal fascicolo della relativa corrispondenza, rinvenuto fra le carte del conte Cays

[243] Il convento delle Visitandine nella capitale del Piemonte fu fondato nel 1638 dalla santa Madre di Chantal in via della Consolata. La casa di cui parliamo, gli era situata di fronte, al n. 5

[244] Nella cappella del Sacro Cuore si leggeva la seguente iscrizione: Salesianorum ordo - Feliciano Ricci des Ferres - Dinaste pedemontano Adiuvame - Sacellum decoravit - Anno MDCCCLXXX - (la Congregazione Salesiana con l'aiuto del nobiluomo piemontese Feliciano Ricci des Ferres decorò questa cappella). Abbiamo detto “ si leggeva”, perchè oggi la chiesa più non esiste, essendo stata demolita nel 1910 dal municipio in seguito a espropriazione legale per far luogo all'edifizio della posta.

[245] Lettera del cav. Giuseppe Vagliasindi a Don Bosco, Randazzo, 16 ottobre 1884

[246] Lettera di Don Guidazio al Vagliasindi, Torino, settembre 1882 e di Don Durando, Torino, 24 ottobre 1884. In una solenne occasione dinanzi a monsignor Cagliero e ai principali signori randazzesi l'immaginoso Don Guidazio, riferendosi alle origini, salutò pubblicamente nel Vagliasindi il paraninfo del collegio.

[247] Il figlio Francesco tra le carte di famiglia rinvenne l'abbozzo autografo del padre

[248] Lettere di Don Fisauli al Vescovo, Randazzo, I° agosto 1878 e del Vescovo a Don Bosco, Acireale, 2 agosto 1878.

[249] Tanto parrebbe risultare da carte domestiche, di cui ci ha procurato visione il detto dottor Francesco Vagliasindi, figlio di Giuseppe

[250] Lettere dell'arciprete Fisauli, Raudazzo, 8 e 26 settembre 1878.

[251] Verbale del Consiglio comunale di Randazzo, 28 gennaio 1879. Per a sua importanza storica, poichè si trattava della presentazione dell'opera di Don Bosco in Sicilia, per la nobiltà del contenuto e per onorare la memoria dell'uomo benemerito che lo pronunziò, riferiamo integralmente il breve discorso in App., Doc. 44.

[252] Lettera a Don Bosco, Acireale, 9 marzo 1879

[253] App., Doc. 45

[254] Lettera a Don Durando, Randazzo, 31 maggio 1879. Non si è Potuto rintracciare la lettera di Don Bosco

[255] App., Doc. 46.

[256] Randazzo, 28 ottobre 1879

[257] Lettera a Don Rua, poco dopo il Natale del 1879

[258] Lettera citata

[259] Bollettino Salesiano, gennaio 1880, pag. 12

[260] Questo giovane era il prof. Giovanni Giannetti, che insegna nel regio Istituto Magistrale di Vercelli

[261] Cfr. vol. XIII, pag. 552

[262] Anno XVIII, Roma, 1888, pag. 87-88

[263] Attingiamo alla Cronichetta di Don Barberis, penultimo quaderno, che però ha solo dodici facciate scritte e di vario argomento

[264] Così scrive Don Berto in nota a una copia

[265] Chiudiamo fra parentesi quadre le modificazioni introdotte da Monsignor Vescovo nella copia inviatagli da Don Berto e conservata nei nostri archivi

[266] Cfr. sopra pag. 125

[267] Nel ritorno da Torino, come diremo qui sotto. Il 14 era lunedì; il 20, domenica, l'abate si trovava a Sampierdarena sulla via del ritorno.

[268] Cfr. vol. XIII, pag. 716

[269] Lettere di augurio, scrittegli in francese dai giovani damasceni già ricordati altrove

[270] Si riferiva a questa prossima visita il cortese biglietto seguente:

             Car.mo Sig. Curato,

 

      Nella sua lettera mi faceva sperare che nella seconda settimana di questo mese avremmo avuto la stia desiderata visita. Credo non sarà solo. Chiunque l'accompagni è atteso qui con noi. Qualcuno mi disse che forse ci sarà Madame Jacques; ne avrei gran piacere. Il sig. Martin col suo Victor promise pure di fare una passeggiata fino a Torino. Sarà con Lei? Se ci fa sapere l'ora del suo arrivo, l'andremo ad incontrare alla stazione. E l'abbé Mendre? Dio l'accompagni nel suo viaggio e preghi anche per me che Le sarò sempre in G. C.

Torino, 3 Luglio 79.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

[271] Il Citoyen nel n. 2982 presentò ai suoi lettori lo scritto vescovile, facendovi precedere un articolo in lode dell'oratorio di San Leone. TI Vescovo diceva:

Nous avons vu avec une vive satisfaction s'établir dans notre diocèse l'Œuvre des prêtres Salésiens de Don Bosco, sous le titre d'Oratoire Saint-Léon, bien convaincus qu'il est destiné à opérer un grand bien. Nous ne doutons pas que les âmes chrétiennes ne s'empressent de lui venir en aide: nous estimons qu'en secourant les orphelins de l'Oratoire Saint-Léon, elles feront un acte de charité fort agréable à Dieu.

Marseille, le 24 dicembre 1879.

+ Louis, Evèque de Marseille

[272] Cfr. vol. XIII, pag. 240

[273] In una sua memoria trasmessa a Don Ricaldone da suor Giuseppina Rinaldi, nipote di Don Rinaldi, Don Quartero dice: “ L'aneddoto è stampato nella Vita scritta da D. Lemoyne (vol. VI, pag. 1031), però con un errore grave di cronologia; poichè l'Autore lo presenta avvenuto nel 1861, quando io non era ancora nato, mentre avvenne nel 1879 ”.

[274] Don Cartier (lettera a Don Lemoyne, Nice, 12 ottobre 1907) scriveva “ Tali parole mi fecero grande impressione, mi furono sempre impresse nella mente e mi confortarono in tutte le lotte che dovetti sostenere a Nizza in questi ultimi anni ”

[275] Nell'Annuario pontificio La Gerarchia Cattolica per gli anni 1877-7879 compare come Procuratore Generale Don Michele Rua; dal 1880 vi sottentra Don Francesco Dalmazzo. Ma nel Catalogo dei Soci la nuova carica è indicata la prima volta col suo titolare soltanto dal 1884 in poi; Don Bosco, secondo un suo costume, prima di presentarlo come tale alla Congregazione, lo volle vedere all'opera

[276] Roma, 6 gennaio 1880

[277] App., Doc. 47

[278] App., Doc. 48

[279] App., Doc. 49

[280] LEMOYNE, Mem. biogr., vol. VIII, Pag. 358 e 496

[281] La fece parlando a Don Luigi Rocca, che ne riferì a Don Lemoyne. Frano presenti anche altri preti, fra cui Don Clemente Bretto, che l'attestò a chi scrive

[282] Lettere a Don Rua, Marsiglia, 30 gennaio e 17 febbraio 1880

[283] La lettera fu dettata a Don Albera, come si rileva dal carattere, e venne firmata da Don Bosco

[284] Lettera di Don Anacleto Ghione a Don Lemoyne, Ivrea, 30 agosto 1912

[285] Di questo fatto si parla più volte nei Processi. Il cardinal Cagliero lo attestò con particolari nuovi nel Processo informativo (Summarium, N. XVI, §62, pag. 744).

[286] Cfr. lettera della Superiora delle Visitandine Maria Gabriella Guiscard a Don Rua, Marsiglia, 25 gennaio 1888. Ivi è detto erroneamente che la suora morì a Saint-Cyr.

[287] Don Carlo Moro, cappellano presso le monache turchine della SS. Annunziata in Castelletto (lettera, Genova, 5 gennaio 1903). Al tempo del fatto egli dimorava a Nizza Mare; ma ne ebbe notizia poco dopo da persona degna di fede

[288] Oggi pensionato Giovanna d'Arco, diretto dalle medesime religiose in abito secolare

[289] Nel Summarium dei processi, dove si tratta dei miracoli operati da Don Bosco in vita, il Cardinale Cagliero assegna il fatto al 1881; ma, se non è errore di stampa, è certamente lapsus memoriae.

[290] Abita a 39 Rue Escat (già S.te-Philomène) e ha relazioni tipografiche coi Salesiani dell'oratorio San Leone

[291] Lettera 17 febbraio 1880

[292] Lettera di Don Ronchail a Don Rua, Marsiglia, 30 gennaio 1880

[293] Così scrive Don Berto in una nota che è nei nostri archivi

[294] Lettera del canonico Giacomo Gesnino a Don Lemoyne, Genova, 23 marzo 1891

[295] Lettera di Don Ghione a Don Lemoyne, Ivrea, 30 agosto 1912

[296] Di Saint-Cyr nella Cronaca delle Figlie di Maria Ausiliatrice è detto che Don Bosco vi andò in gennaio; ma questo non potè essere. Infatti da Marsiglia scriveva Don Cagliero a Don Rua il 5 febbraio: “Siamo giunti stamattina a Marsiglia di ritorno dalla Spagna. E mentre scendevamo dal nostro treno, Don Bosco con Don Ronchail montavano sull'altro per Toulon senza poterci nè vedere nè salutare Caramba!!!... Domani partiremo per Saint-Cyr e posdimani per la Navarra nella speranza dì vedere il papà, che deve ritornare a Marsiglia alla metà del corrente. Sentirò i suoi ordini ”. E il 12, dopo il ritorno a Marsiglia: “ A Saint-Cyr abbiamo trovato Don Bosco, che licenziò Don Ronchail e prese me per suo... auriga. Rossi seguitò il suo cammino ed arriverà tosto che lo vedrai. Visitammo la casa di Navarra e ritornammo a Marsiglia, dove siamo e di dove ti scrivo”.

[297] Lettera citata del 12 febbraio

[298] Cfr. vol. XIII, pag. 538

[299] L'Osservatore Cattolico di Milano pubblicò tradotti e qua e là un po' modificati nei numeri del 17 e 19 marzo i due articoli della Gazette du Midi. Anche il Citoyen di Marsiglia parlò più brevemente di questi fatti nel numero del 21 febbraio; l'articolo venne riprodotto nel Bulletin Salésien di marzo e tradotto per il Bollettino italiano dello stesso mese.

[300] Registriamo a titolo d'onore i nomi che compaiono in capo ai verbali delle singole sedute. Signore: B arthèlemy, Guez, J acques, Prat, Rostand, Rolland Gigandet, Rocca, Berthon, Cartairade, De Lombardon, Mortreuil, Rondel , Valette, Beau, Maurel, Bergasse, Maurin, Gondran. Signorine: Bonnet, Rostand, Férand, Guérin, De Maupoint, Étienne.

[301] Crediamo utile offrire ai lettori per saggio e per informazione il verbale della prima seduta, omesse le parti di mera formalità (App., Doc. 50).

[302] Nella Vita in due volumi (vol. II, pag. 5 18) questo fatto è assegnato al 1881. Ma nell'81 Don Cagliero si trattenne nella Spagna dalla metà di gennaio fin dopo la Pasqua, mentre Don Bosco era partito da Marsiglia verso il termine di febbraio.

[303] Summ. super virt., n. XVI, § 90, pag. 966

[304] Bulletin Salésiern, marzo 1880, pag. 12

[305] In mancanza di cavalli trottano gli asini

[306] Lo attesta suor Carolina Sorbone, che con altre consorelle fece nel 1880 il viaggio da Torino a Bronte in Sicilia

[307] Il Reg. VII, 15 e 13

[308] Lettera di Don Cagliero a Don Rua, Marsiglia, 12 febbraio 1880: e Passeremo a Ventimiglia, quindi ad Alassio e subito dopo a Sampierdarena ”.

[309] Lettera al conte Cays, Gavi, 15 marzo 1880.

[310] Cfr. sopra, pag. 380. Mons, Sallúa era assessore del Sant'Ufficio.

[311] App., Doc. 51

[312] Lettera di Don Berto a Don Rua, Roma, 14 aprile 1880.

[313] Intende la casa che era in via Beaujour

[314] Cfr. vol. XIII, pag. 240

[315] L'originale si conserva presso la famiglia del signor Ermenegildo Piccini a Pozzo di Codroipo

[316] Cfr. sopra, pag, 393

[317] EDUARDO SODERINI, Il Pontificato di Leone XIII. Vol, I, pag. 225. Mondadori, Milano, 1932

[318] Monsignor Antonio Izzo, Vescovo di Isernia e Venafro

[319] Lettera a Don Rua, Roma, 8 aprile 1880

[320] T. CHIAPPELLO, Il Beato D. Giovanni Bosco nella visione e nelle previsioni di quarant'anni fa. Federico e Ardia editori, Napoli, 1929, pag. 96.

[321] Lettera di monsignor Meo al novello Rettor Maggiore Don Pietro Ricaldone, Napoli, 19 giugno 1932

[322] Lettera a Don Bosco, Napoli, 16 aprile 1880

[323] Don Berto scrive: “ Ritornato Don Bosco da Napoli e udito raccontare il furto delle 6000 lire, alla sera andammo a dormire afflittissimi. Poi verso le ore tre o quattro del mattino del giorno 2 aprile io mi svegliai tutto spaventato dalle grida di Don Bosco. lo feci un po' di rumore credendo che fossero i ladri. D. Bosco sognava ”.

[324] App., Doc. 52

[325] Direttore dell'Osservatore Romano. Nell'esercito pontificio, esente era un grado che equivaleva a colonnello; sopravvive nel corpo delle Guardie nobili.

[326]   Ecco la traccia autografa del discorso:

             “ Conf. Coop. 5-4-80 Roma.

      I Coop. compiono ufficio. - Case fondate: Brindisi, Randazzo, Catania, Cremona. - Argine ai protestanti: Lecca, Spezia, S. Pier d'Arena, Vallecrosia, Nizza, Fréjus, Toulon, Marsiglia, ecc. - Ampliazione.

      America: Montevideo, Colón, Las Piedras, Buenos Aires, Rio Negro, Pampas, Patagonia. - 6 colonie.

      Numero case oltre a 100 - ragazzi oltre a 5o.ooo. - Suore di Maria Ausiliatrice, loro case in Europa ed America”.

Che cosa egli intendesse per “ Ampliazione ” si può vedere nel resoconto della Conferenza tenuta a Sampierdarena il 5 maggio (App., Doc. 55). Noli era che l'esplicazione analitica delle attività spiegate dalla Congregazione in vari campi.

[327] App., Doc. 53

[328] Cfr. sopra, pag. 457, in nota

[329] Giuseppe, figlio del fu Stefano, che abbiamo incontrato nei volumi precedenti, egli pure spedizioniere apostolico

[330] Per fare una rima burlesca, italianizza il sostantivo piemontese cogià che è il coricarsi

[331] Lettera di Don Berto a Don Rua, Roma, 14 aprile 1880

[332] Traduzione: “ Pertanto, miei cari figli, mio gaudio e mia corona, prendete tutti lo scudo della fede. per poter combattere contro le insidie del diavolo. Ma lo stesso Signore Gesù si è fatto per noi obbediente fino alla morte, affinchè noi pure con la pratica dell'obbedienza e della mortificazione possiamo entrare con liti e per i meriti suoi nella gloria del Padre nostro che è ne' cieli. Adunque lottate virilmente, per essere felicemente coronati. Fate una santa comunione secondo l'intenzione mia e io nel sacrificio della Messa mi ricorderò ogni giorno di voi. La grazia del Signor Nostro Gesù Cristo sia sempre con voi. Ti saluto e saluta ”.

[333] Cfr. sopra pag. 445

[334] Una volta, per esempio, alla Navarre si recò da Don Bosco, mentre il Servo di Dio stava a mensa con parecchi nobili invitati. Egli seppe nascondere così bene l'essere suo, che il buon uomo addetto al servizio si arrese alle sue preghiere di andare a chiedere per lui da Don Bosco un piatto di minestra. Don Bosco glie lo fece portare, e il Barone con la più disinvolta semplicità si sedette là fuori sopra una panca e mangiò. Finito che ebbe, entrò bellamente nella sala da pranzo, dove si diresse difilato a Don Bosco dicendo: - Sono venuto a ringraziarla della minestra che... - S'immagini il resto. La sua presenza ruppe le etichette, svegliò l'allegria nei commensali e con le sue piacevoli maniere accrebbe le simpatie di quei signori per Don Bosco.

[335]Incameratori ” per uomini del governo usurpatori o ladri dei beni della Chiesa, era termine allora molto in uso presso gli scrittori cattolici. Massime a Roma, l'arguzia di Don Bosco ha il suo sapore.

[336] Era allora Segretario di Propaganda per gli affari di rito orientale.

[337] Bollettino Salesiano, luglio 1908

[338] Lettera di Don Berto a Don Rua, Firenze, 24 aprile 1880

[339] App. Doc. 54

[340] Lettera di Don Borgatello a Don Lemoyne, Punta Arenas (Magallanes), 22 sett. 1905. Dopo continua così: “ D. Giov. Marenco si dovrà certamente ricordare di quanto Le scrissi sopra... Benchè siano passati varii anni, mi ricordo perfettamente come avessi sentito a raccontare queste cose da Don Bosco ieri solamente, tanto mi rimasero fisse nella mia mente. Ne faccia Ella quel che crede a gloria del nostro Buon Padre D. Bosco, sicurissimo che quanto Le dico è la pura verità ”.

[341] Fra il giugno e il luglio un sacerdote lucchese, poi parroco di San Leonardo in Borghi, Don Raffaele Cianetto, forse memore del caso qui sopra narrato, raccomandò a Don Bosco una giovane, che gli sembrava vessata dallo spirito maligno. Il Beato gli rispose:

 

Carissimo D. Cianetto,

 

I° Pregherò e farò di buon grado pregare per le Suore Domenicane, cui Dio affida la sua croce.

      2° Croce non piccola è quella che porta la giovine semiossessa. Dio la benedica e le venga in aiuto.

      3° Preghi per me che le sono in G.

Torino, 3-7-80.

 

 A ff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

[342] Nell'ottobre Don Bosco fece appello alla carità pubblica specialmente per poter costruire anche la chiesa (App., Doc. 55).

[343] Della conferenza, che fu la prima tenuta a Sampierdarena, c'è una relazione nel Bollettino di giugno su appunti forniti da Don Berto. Si può leggere in App., Doc. 56.

[344] L'“ altro favore ” si può ritenere che fosse l'onorificenza chiesta per il canonico Guiol; ma dalla Segreteria di Stato (lettera di monsignor Cretoni, 26 agosto 188o) fu risposto a Don Bosco in nome del Santo Padre con un non expedire.

[345] Una parte delle parole testuali dette da Don Bosco si legge nel Bulletin Satésien del giugno 1880. Le riportiamo in fondo (App. Doc. 57).

[346] Unità Cattolica, 30 maggio 1880

[347] Bollettino Salesiano, giugno 1880, pag. 6

[348] Lettera di Don Antonio Agnolutto a Don Lemoyne, Bagnarola (Udine), 10 marzo 1891

[349] Cinque giorni dopo, nella festa di San Pietro, Don Bosco spedì questo telegramma di omaggio al Papa: “ Beatissimo Padre. Roma. In questo giorno sacro al Principe degli Apostoli i Salesiani umilmente prostrati rendono omaggio al suo Successore nella persona di V. S. invocando Apostolica benedizione ”. Il cardinale Nina, Segretario di Stato, rispose: “ S. Padre gradendo pio omaggio resogli dai Salesiani con paterno affetto imparte loro implorata apostolica benedizione ”.

[350] Questa e la seguente parlata di Don Bosco, furono raccolte da Don Bonetti e pubblicate nel Bollettino Salesiano di settembre.

[351] É probabile che gli ex-allievi alludessero al disgraziato direttore della Cronaca dei Tribunali

[352] Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, Tavola VIII, C

[353] L'originale è di Don Rua con la firma di Don Bosco, che di suo pugno vi aggiunse questo poscritto: “ P. S. Dal nostro Catalogo di questo anno potrai conoscere quali sono i membri del Capitolo attuale ed anche quali siano i soci professi che possono essere candidati per essere eletti ”, La circolare fu mandata ai Direttori.

[354] App., Doc. 58.

[355] Deliberazioni del secondo Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo Torinese nel settembre 1880. Torino, Tip, Sal., 1882

[356] Cfr. vol. XI, pgg. 449-454

[357] Lo riproduciamo dalla minuta autografa dell'Arcivescovo, la quale si trova nelle mani del più volte menzionato teologo Franchetti di Torino. Da questo originale il segretario di Monsignore trasse la copia spedita a Roma. Le parole in corsivo sono quelle sottolineate nel manoscritto

[358] Manca il titolo nell'originale. Si deve alludere a La Città di rifugio per cura di Don Lemoyne; è del maggio 1880, Fascicolo 330 delle Letture Cattoliche.

[359] App., Doc. 59. Noi possediamo la lettera stessa inviata a Sua Eminenza. È scritta dal segretario. Dell'Arcivescovo porta soltanto la data in principio e la firma in fine. Fu protocollata dal sig. B. Natali col N.° 2993.

[360] Il primo chiedeva se l'apparizione di Maria Santissima a San Pietro Nolasco nel coro di Barcellona fosse autentica e se i libri che ne parlavano come di un miracolo si potessero pubblicare. Gli fu risposto che tale apparizione dalla Sacra Congregazione non era stata nè approvata nè riprovata, ma solo permessa come degna di fede puramente umana; nulla quindi impediva che nelle forme consuete si permettesse di parlarne in pubblico o per le stampe. Il Vescovo di Capua faceva analoga domanda sui miracoli di Lourdes e della Salette, e ne ricevette identica risposta

[361] App., Doc. 6o

[362] Acta S. Sedis, app. III, pag. 116

[363] Il padre Rostagno citava fra gli altri il caso del reverendo professor Corte rosminiano, che in difesa del suo corso di filosofia aveva stampato una serie di articoli velenosi contro il suo critico gesuita e contro tutta la Compagnia di Gesù, attingendo largamente alle Lettere Provinciali di Pascal e al suo annotatore, e poi aveva raccolto gli articoli in un volume senza l'approvazione ecclesiastica e senza che mai l'autorità ecclesiastica di Torino avesse fiatato in proposito

[364] Don Rua doveva recarsi a Marsiglia per gli esercizi spirituali dei Salesiani

[365] Lettera di Monsignor Gastaldi ai Cardinali del Concilio, Torino, 5 dicembre 1880

[366] App., Doc. 61

[367] App., Doc. 62

[368] App., DOC. 63

[369] Cfr. Bollettino Salesiano del luglio e dell'agosto 1880

[370] Per un altro caso, cfr. App., Doc. 64

[371] Salmi, XXI, 13

[372] MARC., X, 30

[373] Deut., XV,II

[374] Luc., XI, 41

[375] MATT., XXV, 34-46

[376] MATT., VII, 21

[377] JAC., 11, 20

[378] Luc., XVI, 9

[379] MATT., XXV, 40

[380] Lettera a Don Lemoyne, Santiago del Chile, 22 febbraio 1899.

[381] La lettera non ha data; ma è certo del 1880, essendo visibile il suo rapporto con l'elenco dei lavori, di cui diremo ora. Il B. della prima e dell'ultima riga vuol dire “ Benemerita ”.

[382] App., Doc. 65

[383] La sua casa era aperta sempre non solo a Don Bosco, ma anche a Salesiani di passaggio per la capitale lombarda. Abitava in via Cappuccio 18. Così nel 1882 il Beato gli scrisse.

Sig. Cavaliere,

Un nostro maestro è in via per Roma, dove récasi per insegnare. Egli devesi fermare una mezza giornata in Milano. Se Ella può dargli un angolo ove fermarsi, mi fa piacere. Spero che la sua famiglia sia tutta in buona salute, e prego Dio che tutti li benedica. Mi voglia credere nel Signore

S. Benigno Canavese, 5 Settembre 1882.

 

Obbl.mo Servitore ed amico

Sac. Gio. Bosco.

[384] Cfr. vol. XII, pgg. 240-I

[385] L'originale conservasi presso i conti Nasalli-Rocca di Piacenza

[386] Il quartiere così denominato appartiene all'antica regione dell'Esquilino, a levante della stazione di Termini. La denominazione derivò dal campo trincerato ivi stabilito dall'imperatore Tiberio per il corpo dei Pretoriani (Castrum Praetorium).

[387] Ne ricaviamo i particolari dalla copia di una corrispondenza fra il Cardinale di Malines e il Cardinale Vicario. Tale copia fu comunicata a Don Bosco nel 1880 dal padre Maresca

[388] Summarium super virtutibus, n. III, De operibus et fundationibus, §§ 65-66 (teste Don Francesco Cerruti)

[389] Cfr. vol. XIII, pag. 653. I fatti lo confermarono. Al pranzo che si diede nel giorno della consacrazione (14 maggio 1887), il parroco e procuratore Don Dalmazzo, levatosi a brindare, facendosi a esprimere riconoscenza verso i benefattori, mise in prima linea i Romani. Don Bosco, preso in mano il coltello e vibrati alcuni colpettini al bicchiere, lo arrestò nella foga del suo dire e in mezzo al generale silenzio gli rivolse con tutta calma le seguenti parole: - Questo non è vero. Va' pure avanti. - In quell'istante Don Bosco dovette ripensare agl'inauditi strapazzi de' suoi viaggi per limosinare le somme necessarie all'impresa. Uno dei commensali che rimase attonito alla franchezza del Beato e che ripetè sovente il racconto dell'episodio, fu monsignor Jara, già vescovo di Ancud nel Chile.

[390] É qui il luogo di ripetere quanto altrove abbiamo scritto della diffidenza con cui si guardava dai Romani ai così detti buzzurri, cioè ai Piemontesi. Il vedere Piemontesi preferiti in opera di tanto rilievo non poteva non suscitare gelosie; nè, dato lo stato degli animi, la cosa deve recar meraviglia. Difatti, propalatasi la notizia, una commissione di ecclesiastici si fece presentare da un Prelato al Cardinale Vicario per protestare contro l'umiliazione che si voleva infliggere al clero romano. Sua Eminenza, ascoltatili con amorevolezza, non si provò nemmeno. a contraddire, ma si limitò bonariamente a chiedere se si sentivano essi di addossarsi quel peso, soggiungendo che si era ancora in tempo. Si dichiararono pronti. Il Cardinale promise di soddisfare il loro desiderio. - Con Don Bosco la cosa è presto aggiustata, soggiunse. Combinerò col Santo Padre. Don Bosco non ha difficoltà di cedere l'impresa. - Allora queglino contenti gli dissero che avrebbero formato una commissione; ma intanto gli chiesero quanto ricevesse Don Bosco dalla Santa Sede per quella costruzione. - Nulla, - rispose Sua Eminenza, che poi fece loro in breve la distinta delle maggiori spese occorrenti e manifestò il suo convincimento che a Roma avrebbero potuto raccogliere ben poco. Fu una doccia fredda fredda, che smorzò in un attimo i bollenti spiriti.

[391] Il 22 dicembre 1880 in Una visita a Don Bosco il Marchese ebbe con lui un lungo colloquio, che riferì in Una sua memoria conservata nei nostri archivi

[392] Diario di Don Berto: “ 18 aprile, Domenica. A sera Don Bosco andò dal Card. Vicario a portare un promemoria da presentarsi al S. Padre intorno all'erezione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma ”.

[393] Summarium super viriutibus, n. VI, De heroica spe, § 149

[394] Lettera del Conte a Don Bosco, Bologna, I° giugno 1880.

[395] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 14 giugno 1880: “Seppi stamane dal P. Lodovico da Casoria, che m'incarica di salutarla, che piuttosto di lasciar che i Protestanti piantassero le tende presso la Chiesa del S. Cuore, avrebbe comprato egli ”. Don Dalmazzo avrebbe potuto aggiungere che il padre Lodovico era corso a Roma da Napoli la sera innanzi col padre Bonaventura suo primo successore, proprio per fare quella compera e che s'incontrarono su per le scale della Banca Tiberina mentre il nostro Procuratore ne discendeva dopo aver conchiuso l'affare. Si conoscevano, si fermarono, si salutarono, parlarono di Don Bosco, si fecero compagnia nel ritorno. Il santo figlio di San Francesco, contento che il pericolo fosse scongiurato, il giorno appresso riprese il treno per Napoli. (Cfr. articolo del padre Clemente Perniciaro, Superiore Generale dei Frati Bigi, in Momento, 29 marzo 1829).

[396] Lasciata intatta la larghezza della chiesa, ai 35 metri di lunghezza precedenti ne furono aggiunti II per due nuove arcate e 18 per un abside.

[397] App., Doc. 66

[398] Per tre brevi, di cui due per le dette signore e uno per il canonico Molinari, sborsò lire 360, con graziosa riduzione da lire 782 (Lett. di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 22 luglio 1880).

[399] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 10 luglio 1880

[400] App., Doc. 67

[401] App., Doc, 68

[402] App., Doc. 69

[403] Lettere di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 1, 4, 17 e 21 dicembre 1880

[404]Potrò pagare o debbo scappare a Torino o in America? Mi consigli e mi aiuti ” (Lett. 6 dicembre).

[405] Summarium super virtutibus, n. X, De heroica iustitia § 110 (teste Don Dalmazzo).

[406] L. c., n. VI, De heroica spe, § 135 (teste Don Dalmazzo).

[407] L. c., n. VI, De heroica spe, § 13 (teste Don Rua)

[408] Lettera di Don Bosco a Don Ronchail, Roma. 9 aprile 1880

[409] Lettera da Fiesole, 5 aprile 1880

[410] In una pubblicazione uscita quell'anno a Parigi con l'elenco delle Congregazioni da espellere (Mémoire pour la défense des Congrégations religeuses), non si faceva menzione alcuna di Salesiani.

[411] Procès verbaux del 5 agosto e del 2 settembre

[412] L. c., Séance du 2 1 octobre

[413] Cfr. Unità Cattolica, 18 luglio 1880. Altri centosessantacinque si dimisero durante la seconda fase delle esecuzioni (ivi, 13 novembre)

[414] Procès verbaux, 21 ottobre 1880. “ L’œuvre a éprouvé quelques traverses, suscité par la plus odieuse ingratitude. Deux jeunes gens, recueillis par elle, abbés de costumes, ont publié d'affreux articles, qui ont amené de fâcheux embarras, et causé de pénibles préoccupations au saint fondateur et président, qu'ils attaquaient indignement”.

[415] Procès verbaux, 11 novembre

[416] Diamo in Appendice (Doc. 70) un saggio dei furori giornalistici, riportando alcuni trafiletti di un foglio marsigliese. Gli amici di Don Bosco, facendo proprie in quei giorni le ansietà dei Salesiani si recavano con frequenza all'Oratorio. Il 12 novembre ci fu il conte Eduardo Mella, il quale, discorrendo dei casi di Francia, raccontò un interessante episodio di Carlo Alberto. Nel 1848, avvenuta in Piemonte la scandalosa cacciata dei Gesuiti, quattro di essi avevano trovato rifugio presso l'ingegnere Spezia, loro ex-allievo. Una sera si presentò alla sua porta un brigadiere dei carabinieri, che domandava di lui. L'ingegnere venne. - È lei l'ingegnere Spezia? - gli chiese il sottufficiale.

- Per servirla.

      - Posso essere sicuro che lei sia il signor Spezia?

- Non mentisco, dico la verità. Del resto entri in casa e domandi a chi le pare.

      Allora il brigadiere contento chiamò dentro alcuni uomini che aveva condotti seco; poi, tratta fuori una borsa e rivolto allo Spezia, gli disse: - Sua Maestà la ringrazia dell'ospitalità concessa ai padri Gesuiti e le manda queste quattromila lire per le spese occorrenti.

Conviene sapere che Carlo Alberto non avrebbe mai firmato una legge di espulsione dei Gesuiti; la legge del '48 non fu firmata da lui, ma dal principe Eugenio di Carignano, nella sua qualità di luogotenente. Da Alessandria il 10 settembre 1848 il Re scrisse a Pio IX: “ Vostra Santità avrà saputo quanto si è fatto presso noi contro la religione e contro gli Ordini religiosi, mentre io era lontano da Torino. Il mio cuore ne è straziato ”.

[417] App., Doc. 71

[418] Nel medesimo taccuino, che contiene soltanto brevissime note buttate giù allora a matita, vi è questo bel tratto del 2 novembre: “ Le reste du jour se passe dans la plus grande tranquillité. On régale les enfants, non moins que les maîtres. Se sont tous résignés comme de tendres agneaux; nous prîmes notre repas attendant avec résignation le coup qui devait, le lendemain, nous frapper et nous séparer de notre cher Supérieur et de nos enfants. Ce qui nous causait de l'ennui, c'était de voir tant de jeunes enfants, une fois dehors de la maison, exposés aux plus grands dangers de perdre éternellement leurs âmes ”.

[419] Certo sotto l'impressione di questo sogno, il 21 settembre, presiedendo il Capitolo Superiore adunato a Sampierdarena e leggendosi, le notizie di Francia sull'espulsione dei religiosi, a chi lo interrogava se i Salesiani sarebbero stati scacciati, rispose: - No, no, no!-

[420] Procès verbaux, 16 dicembre

[421] Procès verbaux, 18 novembre. Non è detto a chi la lettera fosse diretta

[422] L. c., 16 dicembre

[423] L. c., 18 novembre. Nella seduta del 2 dicembre si legge delle attese suore: “ L'époque de l'arrivée des sœurs de Marie Auxiliatrice n'est pas encore fixée, on prépare le local, qui leur est destiné et qui, rapproché de l'oratoire, rendra leur tâche plus facile. Formées à l'école de D. Bósco, elles apporteront un concours actif, intelligent et dévoué, et venant à Marseille pour coopérer à son couvre, elles se trouveront naturellement recommandées, d'une manière toute spéciale, à la bienveillance et à la sollicitude des dames du comité ”.

[424] Torino, 18 ottobre 1880

[425] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 27 novembre 1880

[426] App., Doc. 72

[427] Procès verbaux, 30 dicembre. La parola d'ordine è citata così in italiano nel verbale del 13 gennaio 1881. Neanche la lettera da cui è tolta, ci è pervenuta. E quella a cui si allude nella seduta del 30 dicembre

[428] Fece una relazione anche al Cardinale Nina Protettore, come rileviamo da un cenno di Sua Eminenza in una sua letterina del 13 maggio ai Beato

[429] Summarium, pag. 84

[430] MARTIN DE Moussy, Description gèographique et statistique de la Congregation Argentine, Paris, 1862. Carta X.

[431] Cfr. sopra, capo XI

[432] In Almanaque de la familia Católica, I° luglio 1902, Buenos Aires

[433] I due abitati, sorti proprio di fronte sulle sponde opposte del Rio Negro, avevano costituito fino al 1879 un solo centro, denominato Carmen de Patagónes. Da quell'anno in poi la parte posta stilla destra del fiume prese il nome dal fondatore Francesco Viedma, e l'altra si chiamò Patagónes. Viedma oggi è capitale della Gubernaciòn del Rio Negro, dipendente dall'Arcivescovo di Buenos Aires (i territori non costituiti in provincia o stati federali dipendono politicamente e amministrativamente dal Governo federale); Patagónes è ora città della provincia di Buenos Aires, diocesi di La Plata.

[434] Monsignor Duprat, nell'orazione funebre per il cardinale Cagliero, da lui letta nella metropolitana di Buenos Aires il 26 febbraio 1926.

[435] La spedizione era stabilita per il dicembre del 1879; ma fu ritardata, come abbiamo detto. Don Bosco suppone che siano partiti allora e che secondo i suoi calcoli siano arrivati il 2 gennaio; suppone inoltre che siano stati inviati subito colà tutti i Salesiani e tutte le suore designati. La medesima osservazione valga per questa lettera alla contessa Bosco-Riccardi di Torino.

 

Benemerita Signora Contessa,

 

Questa è maiuscola! lo che dovrei ringraziare, sono ringraziato. A propriamente bontà eccezionale. Ad ogni modo sia tutto a maggior gloria di Dio. Mille grazie per l'offerta che fa pei nostri Missionari. Essi partirono in numero di dodici da Buenos Aires alla volta della Patagonia il giorno 15 del passato Dicembre e pregheranno certamente per Lei e pel sempre caro ed amato Sig. Cav. Aleramo.

Dio li benedica ambedue e li conservi in buona salute e nella sua santa grazia tutto l'anno, anzi per molti anni ancora: almeno cento.

Spero poter loro fare una visita con Don Cagliero. Preghi per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

Torino, 3-80.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

[436] Se n'era avuto un saggio in aprile, quando il Beato stava a Roma. Monsignor Gastaldi l'8 di quel mese a Don Cagliero, che come Catechista generale badava agli ordinandi, aveva scritto: “ L'avverto che, quando il Vescovo Diocesano acconsente a che un religioso si rechi a ricevere le Ordinazioni fuori Diocesi, ha obbligo di sottoporlo all'esame prescritto dal Concilio, di Trento e dal Pontificale; e che è stata una mia mancanza di riflessione, quando a voce ho permesso a V. S di prendere dalla mia Curia l'attestato necessario per mandare alcuni Salesiani ad essere ordinati extra, benchè non li abbia prima sottoposti al detto esame ”. Allora, come ora (Cod. iur. can., 997, § i), l'Ordinario dell'ordinando poteva benissimo rimettere questo esame al Vescovo ordinante d'altra diocesi; era dunque troppo parlare di obbligo nel primo. É inverosimile che a un Arcivescovo così versato nel Diritto Canonico sfuggisse cosa tanto ovvia; è verosimile invece che persona poco benevola abbia dopo suggerito di sottoporre in Torino i candidati di Don Bosco all'esame, come se n'aveva il diritto, non l'obbligo.

[437] Lettera a Don Dalmazzo, Torino, 14 luglio 1880.

[438] Intende monsignor Agnozzi, allora segretario dei Vescovi e Regolari

[439] Cfr. vol. XIII, pag. 778-9

[440] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, senza data, ma in relazione ad altra di Don Bosco del 21 luglio, che riportiamo qui sopra nel testo: “Dall'Eminentissimo [Nina] intesi che Agnozzi e Ferrieri sono diventati due corpi in un'anima sola, e di qui le spiegazioni delle ire di Mons. Agnozzi coll'Avv.to Leonori, perchè questi buzzurri sono così cocciuti, così testardi, che credono di riformare le cose di Roma ”.

[441] La spiegazione fu questa: “ La questione di Don Bonetti è sempre al Concilio; mi sarò sbagliato nell'esprimermi, chè la lingua batte dove il dente duole ”. Lett., 15 luglio.

[442] La praposta della casa nella parrocchia del Sacro Cuore.

[443] Lettera di Don Dalmazzo a Don Bosco, Roma, 11 agosto 1880 (Questa lettera fa da poscritto ad altra sua del 5 da Teano).

[444] Per aver un'idea di quella lotta basti sapere che per terra due opposti corpi di truppa erano comandati da due fratelli, e sul Rio della Plata due fregate contrarie erano capitanate rispettivamente da padre e figlio

[445] Don Bosco, avendo ricevuto in ottobre da un sacerdote di nome Don Valzacchi un'offerta di cento lire per i Missionari, gli accennò nella risposta a queste sofferenze.

 

Carissimo in N. S. G. C.,

 

Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis. - Io la ringrazio a nome mio e de' miei figli che trovansi in Patagonia, i quali versano in vere strettezze. A motivo delle guerre il Governo non potè più recar loro alcun sussidio e dovettero vivere otto giorni a carne d'asino cruda, senza sale e senza pane. Fu proprio miracoloso il modo con cui ricevettero aiuto il nono giorno; erano al punto di cadere sfiniti di fame.

La Signoria vostra sia benedetta. Vengaci a vedere. Preghi per me e per gli operai evangelici tra selvaggi. La grazia di G. C. sia sempre con noi. Amen.

           Torino,  24 Ottobre 1880.                                                                                          Aff.mo amico   Sac. Gio. Bosco.

 

Il sanguinante asado con cuero [arrosto col cuoio] all'uso argentino era carne cruda per gl'Italiani. Non sappiamo d'onde egli abbia attinta la notizia della “carne d'asino ”.

[446] Lo scrive in una sua cronaca dattilografata della casa di San Carlo. In questo scritto egli enumera otto ragioni, per cui la fondazione di San Carlo fu benedetta da Dio; le pubblichiamo nell'Appendice (Doc. 73).

[447] Cfr. Bollettino Salesiano, ottobre 1880

[448] Purtroppo la biografia di Don Bodrato non fu scritta o non fu pubblicata. Alcune cose si possono leggere nelle prime edizioni del Manuale di Don Barberis. Nato a Mornese nel 1823 e venuto all'Oratorio nel 1864, fece la professione perpetua nel 1865 e fu ordinato sacerdote nel 1869 (cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 761, 787). Nel cognome noi manteniamo la grafia data dai nostri Annuari.

[449] Dimentica la casa e i parenti, pregando che di essi abbia cura il Signore

[450] Cfr. vol. XII, pag. 261

[451] Il primo era stato tenuto il 14 giugno 1874 per l'elezione del primo Capitolo Superiore. Allora avevano votato tutte le professe, sotto la presidenza di Don Bosco

[452] App., Doc. 74

[453] Cfr. sopra, capo XII. Dai registri di quell'orfanotrofio risulterebbe che le suore andarono colà nel 1878; ma è un errore. Nel '78 vi fu la richiesta e nel '79 visitarono il luogo Don Cagliero e Don Durando, come abbiamo narrato. Nella circolare del gennaio 1880 ai Cooperatori Don Bosco non avrebbe potuto scrivere: “ Di questi giorni un drappello di dette Suore si recherà a prendere la direzione di un orfanotrofio in Catania ”.

[454] Relazione manoscritta del Marchese, 24 aprile 1891

[455] Cfr. vol. XIII, pag. 921, in nota

[456] Lettera di Don Cagliero a Don Bosco, Randazzo, 27 ottobre 1880. Un'altra importante lettera da Noto a Don Rua si può leggere nell'Appendice (Doc. 75).

[457] Cfr. VOI. XIII, pgg. 200-3

[458] Relazione da lei scritta per esortazione di Don Rua (Borgomasino, 8 aprile 1888).

[459] Lettera di Don Dalmazzo q Don Bosco, Roma, 28 maggio 1880

[460] Lettera di Don Bosco a Don Dalmazzo, Torino, 8 giugno 1880

[461] Lettera di Monsignor Cretoni a Don Bosco, Roma, 27 agosto 1880. Da qualche tempo non scriveva più il cardinale Nina, perchè infermo a Grottaferrata; in settembre fu sostituito col cardinale Jacobini nella Segreteria di Stato.

[462] Cfr. vol. XIII, pag. 644.

[463] Lettera a Don Rua, Alassio, 20 ottobre 1878

[464] G. VESPIGNANI, Un anno alla scuola di Don Bosco, pgg. 98-100. Ben. Can., 1930

[465] Prevosto di Lugo. Morì nel settembre del 1880. In una lettera dell'11 maggio 1877 a Don Bosco, firmata da altri nove lughesi e scritta calligraficamente da Carlo Vespignani, egli si sottoscrive “decurione ”.

[466] Dopo il suo giro per le Marche e le Romagne nell'ottobre del 1878, Don Bretto mandò solo a Fermo 24 di questi diplomi. Don Bosco e i suoi profittavano di tutte le occasioni per far conoscere e moltiplicare i Cooperatori.

[467] É un'espressione che torna più volte alla penna di Don Bosco. Per “famiglia piccola ” intende quella di colui o di colei a cui scrive; per “ grande ”, la famiglia salesiana, della quale chi riceve la lettera è considerato membro o parte.

[468] Lettera, Torino, 15 luglio 1880

[469] Lettera dell'ingegnere Pietro Saccardo a Don Bosco, Venezia, 12 giugno 1879

[470] Lettera del Saccardo a Don Durando, Venezia, I° ottobre 1880

[471] Lettera di Don Rua, a firma di Don Bosco, Lanzo, 8 ottobre 1880

[472] App., Doc. 76

[473] Lettera, Venezia, 28 ottobre 1880

[474] App., Doc. 77

[475] Ivi, Doc. 78

[476] Cfr. vol. XI, pag. 323

[477] Lettera ai Cooperatori in Bollettino Salesiano, gennaio 1881

[478] Proc. ap., Summ. della Positio super virtutibus, n. XVII, § 7 (teste Don Rua).

[479] Autografo di Don Rinaldi, Torino, 26 febbraio 1918

[480] Dalla Cronaca del monastero delle Sacramentine di Torino, 20 giugno 1931

[481] Relazione del coadiutore Tabasso a Don Lemoyne, Nizza Marittima, 14 febbraio 1888. Cfr, Proc., l. c., n. XVII, § 51 (teste Don Lemoyne).

[482] Relazione scritta della nipote, signora Anselmo, levatrice, e del nipote Don Domenico Anselmo, missionario salesiano (Arenzano, 1933).

[483] Mentre questa segnatura sta per andare in macchina (I° giugno 1933), apprendiamo che la signora Durand è morta il 23 gennaio scorso. La figlia ha raccontato al nostro confratello Don Giovanni Siméon (Lett. La Mulatière, 30 maggio 1933) che sua madre “ à ses derniers moments, eut une fin presque sans souffrance, grâce qu'elle attribuait aussi au Bienheureux ”.

[484] Chierico professo il primo, sacerdote aspirante l'altro

[485] Il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti con Ministeriale dei 17 marzo 1875 aveva concesso a Don Bosco un sussidio di lire 2000 sui fondi del Regio Economato di Torino. Nel 1879, in seguito a proposta del commendator Alasia, di questo Regio Economato, lo stesso Ministero autorizzò il pagamento di eguale somma, La partecipazione gli fu comunicata solo il 21 agosto.

[486] Aveva accettato di fare da priore nella festa di S. Francesco di Sales

[487] Vuol dire le annuali conferenze dei direttori nell'occasione di quella festa

[488] Michele Scanagatti, vecchio amico dell'Oratorio. Cfr. LEMOYNE, M. B., III, pag. 50; IV, 430

[489] L'abate bon Massimiliano Bardessono, torinese, di nobile famiglia, eloquente predicatore, amato dai poveri, cooperatore molto zelante

[490] Essendo il defunto uno dei tanti preti in disgrazia dell'Ordinario, il partecipare a onoranze postume poteva essere da taluno interpretato come atto ostile a Sua Eccellenza. In un articolo dell'Unità Cattolica (19 gennaio 1879) fra coloro che ricevevano offerte per “onori funebri e monumento all'abate Bardessono ” si legge: “ Rua Don Michele, procuratore generale della Congregazione Salesiana”. Con questo titolo è designato nella Gerarchia Cattolica del 1879 (pag. 411)

[491] Periodico torinese di tinta rosminiana, fondato e diretto dal teologo Biginelli

[492] Boll. Sal., febbraio 1879, pag. 8, Cfr. anche marzo, pag. I I

[493] Il senatore Michelangelo Tonello, morto a Torino il 2 dicembre 1879. Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 531 e seg.

[494] Uno di quelli da Don Bosco in urla memoria autografa nominati fra i primi maestri dell'Oratorio

[495] Cappellano di casa Grazioli presso la chiesa del Gesù in Roma

[496] L'avvocato Leonori dalla Segreteria dei Brevi riceveva somme da spedire ad Alassio per un giovane Fraschetti, convittore in quel collegio; allora ne aveva prelevato quanto Don Bosco gli doveva per spese anticipate.

[497] Famiglio addetto, al refettorio. Don Ronchail potè aggiungere questo poscritto, perchè aveva scritto sotto dettato la seconda parte della lettera; la prima parte è d'altra mano

[498] Don Bosco acquistò allora per conto suo e con danaro di benefattori una casa attigua alla Maison Beaujour.

[499] Ciò egli fece largamente. Cfr. Vol. XI, pag. 346

[500] La Ia edizione francese era del 1876 (cfr. vol. XII, pag. 107)

[501] Detto per facezia, alla piemontese

[502] Chierico quello, coadiutore questo

[503] Nella seconda parte la scrittura è di Don Cagliero

[504] L'avvocato Giovanili Battista Gal, di Torgnon nella valle d'Aosta, uomo colto e ottimo cattolico, fu segretario particolare prima del ministro Gioberti e poi di Camillo Cavour. In seguito fu addetto al Ministero degli esteri, fino al 1870, quando, chiesto il suo riposo, faceva frequenti visite a Don Bosco. Nel 1841 frequentava il Convitto Ecclesiastico, dove gli si affezionò grandemente, durandogli amicissimo fino alla morte. A San Remo soleva passare l'inverno

[505] Vedi il commento che ne fa l'illustre professore Allievo nel suo Opuscolo, pag. 24.

[506] Chiedeva assicurazione per il 1882 e intanto Don Giovanni Rinaldi da Randazzo per l'amministrazione economica

[507] « Considérant qu'il ressort de ces faits que l'école libre de Challonges, constituirait si elle était tolérée dans le territoire Français un danger réel au point de vue des mœurs publiques... »

[508] Don Cays aveva proposto d'invitare l'abate Lepingle, che con Don Rua aveva conosciuto a Auteuil. “ Sicuramente, scrisse Don Rua al conte nella  sua del 4 dicembre, sarebbe molto a proposito; ma non so se esso, che era disposto ad unirsi a noi se andavamo a stabilirci a Parigi, lo sarà egualmente se trattasi di andare altrove. Come anche non saprei che impressione farà sull'ab. Roussel l'invitarlo ad abbandonare il suo stabilimento per recarsi in un altro. Tuttavia Ella ci pensi, e in Domino faccia come crederà meglio ”.

[509] Nonostante l'accettazione del deliberato, i maestri intentarono causa al Municipio, appoggiati dall'Ispettore scolastico e dal regio Provveditore, entrambi massoni. Il dibattito andò fino al Ministero, che se ne lavò le mani, consigliando ai maestri di adire le vie giudiziarie. Intentarono difatti lite al Comune; ma dovettero recedere, contentandosi dell'indennità offerta già loro dal Municipio. In tutta questa faccenda il Vagliasindi difese a spada tratta i Salesiani.

[510] I due amici non si rividero più, avendo il Console cessato improvvisamente di vivere verso la metà di gennaio del 1881

[511] Cfr. vol. XI, pag. 129

[512] Ci manca il verbo retto dal “ che ”; forse “ viene a Bologna ”

[513] Il Marchese aveva fatta nell'anno a Don Bosco una limosina di lire mille, come risulta da una lettera di lui al Priore del Carmine (10 settembre 1867).

[514] La lettera porta il bollo postale di Montemagno (Alessandria).

[515] Allora stava nel collegio di Alassio. (Negli ultimi anni della sua vita fu Economo Generale).




Copyright © 2010 Salesiani Don Bosco - INE