Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XVI, Ed. 1935, 724 p.

 

 

Prefazione  2

CAPO I 5

Nel gennaio del 1883: stato della Congregazione e sogno di Don Alasonatti; Cooperatori e conferenze; preparativi per il viaggio in Francia. 5

CAPO II. 14

A Nizza, a Marsiglia, a Lione e in altre minori città vicine. 14

CAPO III. 29

La morte di monsignor Gastaldi. Sguardo retrospettivo. 29

CAPO IV. 38

A Parigi: accoglienze. 38

CAPO V   47

A Parigi: udienze. 47

CAPO VI. 59

A Parigi: visite. 59

CAPO VII. 80

A Parigi: conferenze. 80

CAPO VIII. 91

Da Parigi verso il nord e verso l'est. 91

CAPO IX. 98

Sette mesi di Don Bosco nell'Oratorio: feste e fatti. 98

CAPO X. 111

Visita illustre e visita storica: un Cardinale francese e un futuro Papa. 111

CAPO XI. 115

S. Giovanni Bosco e il Conte di Chambord. 115

CAPO XII. 124

Il nuovo Arcivescovo di Torino. 124

CAPO XIII. 128

E Salesiani entrano nel Brasile. Vicariato e Prefettura Apostolica In Patagonia. Grande sogno missionario. 128

CAPO XIV. 141

In alcune case d'Italia. Vicende della casa di Faenza. Proposta per Boston. 141

CAPO XV. 145

Pensieri e lettere di Don Bosco. 145

APPENDICE DI DOCUMENTI 156

DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI 231

TRE PREDICHE DI DON BOSCO.. 231

 

 

 

Prefazione

 

                Il viaggio di S. Giovanni Bosco a Parigi fu nel corso della sua vita un avvenimento di prim'ordine; quindi è che, per darvi tutto il conveniente risalto, questo volume XVI non andrà oltre il 1883. Nella capitale della Francia Don Bosco diede infinite udienze a ogni qualità di persone; fece visite senza numero a famiglie private, a comunità religiose, a chiese; parlò più volte da pergami a folle immense; riscosse per le vie e sulle piazze frenetiche ovazioni popolari. Nessuno avrebbe mai immaginato che in pieno secolo decimonono la cittadinanza parigina si potesse commuovere a tal segno sotto il lascino della santità; tanto più che vedeva dinanzi a sè un povero prete, umile di natali, dimesso della persona, sfornito di eloquenza, mal pratico della lingua, italiano di origine. Parrà di leggere scene della Leggenda Aurea, cose di un tempo in cui per la Cristianità intera un uomo in fama di santo, da qualunque parte venisse, suscitava le più vaste ed entusiastiche dimostrazioni; eppure in quello che qui si narra, nulla vi è che non sia debitamente documentato. E pensare che il tanto che si dirà non è tutto! Molto purtroppo si sottrae ormai per sempre alle nostre ricerche; giacchè d'allora in poi nessuno intraprese tempestivamente indagini metodiche per assicurare alla storia tutta la messe possibile di particolari che in quattro mesi di peregrinazioni sul suolo francese fiorirono intorno al nostro Santo; spigolature tardive ci hanno ancora procurato un insieme di notizie, [6] che ci fanno intravedere e rimpiangere la gran quantità di altre disperse senza speranza dal turbine del tempo[1]. Non sono poche tuttavia quelle confluite cinquant'anni fa nei nostri archivi per via di lettere, di giornali e di opuscoli, che ci hanno messi in grado di tessere una narrazione abbastanza ampia e sicura.

                A Parigi sopravvivono tuttora tenaci rimembranze, le quali sono prova evidente che nella grande metropoli il passaggio di Don Bosco non sollevò soltanto una fiammata momentanea di ammirazione popolare; il che per altro sarebbe già stato un fenomeno di non lieve importanza. Nella città cosmopolita una novità dev'essere ben singolare, perchè attiri anche per brev'ora l'attenzione del pubblico. Che diremo dunque di una novità che lasciò dietro di sè tracce così profonde e durevoli nella memoria di coloro che ne furono testimoni? È un fatto che anche al presente si ricevono lettere, in cui vengono riferiti episodi ignorati, e che s'incontrano tuttodì persone ecclesiastiche e laiche, nobili e borghesi, le quali con freschezza di ricordi e con sincero trasporlo rifanno il racconto di quel lontano avvenimento nella parte loro nota. Sono cose che muovono a esclamare: Oh davvero in memoria aeterna erit iustus!

                L'andata di Don Bosco a Parigi si può ben dire provvidenziale sotto più di un aspetto. A molti apportò il benefizio della salute corporale; a moltissimi luce di consiglio nei dubbi, cristiana fortezza nei casi avversi della vita o spirituale mutamento di condotta. A lui piovvero inoltre nelle mani copiosi soccorsi pecuniari, che gli permisero di spingere innanzi i rallentati lavori per l'erezione della chiesa del Sacro Cuore in Roma, di consolidare le suo opere in Francia e fuori e di aprirsi la via a una fondazione parigina. E delle sue opere in genere, attraverso la stampa quotidiana e per il tramite delle molteplici corrispondenze private, si propagò in tale congiuntura l'eco fin nelle più remote parti del mondo civile; la qual [7] pubblicità veniva in sostanza ad agevolare la sua missione, non ristretta a poche nazioni europee, ma destinata a varcare le frontiere di tutti gli Stati del vecchio e del nuovo continente.

                Un mese e mezzo era appena trascorso dal suo ritorno in Italia, che un episodio clamoroso richiamò di bel nuovo su Don Bosco l'attenzione della Francia e per rimbalzo quella del mondo: la vicenda del Conte di Chambord. Si svolse essa rapida e in terra austriaca; ma fu in sommo grado avvenimento francese. La stampa internazionale se ne impossessò, contribuendo non poco ad aumentare la rinomanza del Servo di Dio. Il fatto è ben documentato, sicchè noi abbiamo potuto dedicarvi un intero capo che sarà letto non senza interesse.

                Anche prescindendo da sei lunghi capi aggirantisi unicamente intorno al viaggio di Don Bosco in Francia, la Francia la capolino un po' dappertutto nel seguito del volume. Nondimeno le cose francesi non assorbirono completamente nel 1883 l'attività del nostro Santo; poichè egli attese pure in quell'anno a imprese di grande rilievo. Tali furono l'invio di suoi figli nell'impero del Brasile e le pratiche, coronale finalmente da lieto successo, per addivenire da parte della Santa Sede alla sistemazione canonica delle Missioni Salesiane nell'estremo sud dell'America meridionale. Nè mancarono altre faccende minori delle quali pure, secondo il consueto, questo volume renderà fedelmente conto.

 

***

 

                E ne renderà conto senza discostarsi nè punto nè poco dal metodo finora tenuto. A mostrare che la via prescelta è buona ecco venire dopo altre e altre un'approvazione del massimo peso. Il Cardinale Schúster, Arcivescovo di Milano ed eminente studioso, dopo aver letto il volume precedente scriveva[2]: È un monumento unico nel suo genere, perchè, senza pretese bibliografiche, [8] l'autore ci dà più che il ritratto che è qualche cosa di statico, la cinematografia di Don Bosco, così come egli veramente la visse e vi si santificò”. Questo appunto è stato fin da principio l'intendimento nostro.

                E, a Dio piacendo, verrà pure a suo tempo, entro debita cornice, il ritratto vero e proprio, che nel modo più aderente alla realtà storica fissi la gigantesca figura del nostro Eroe. Quanto alle pretese bibliografiche” non potevamo averne, sia perchè qui si lavora su documenti d'archivio e di prima mano, sia perchè dalla lussureggiante fioritura di Vite non vengono alla luce reali contributi biografici, attingendosi generalmente ad un'unica fonte, a Don Lemoyne[3]. Le biografie contemporanee a Don Bosco sono sempre dar noi segnalate, ma piuttosto come fatti che come fonti, derivando esse dai Cinque lustri dell'Oratorio, opera di Don Bonetti, che uscì prima a puntate sui Bollettini italiano e francese e che Don Lemoyne in rem suam derivavit nei nove suoi volumi delle Memorie Biografiche, come si appropriò a tempo e luogo varie monografie di Don Francesia, quali Le passeggiate di Don Bosco e Due mesi con Don Bosco a Roma: tutti elementi però che sono anteriori al 1875, donde noi abbiamo preso le mosse. Soltanto monsignor Salotti nella sua biografia del Santo ha portato novità di impressioni e di particolari derivata dall'ultima fase dei Processi Apostolici, della quale egli fu pars magna e di cui la morte impedì a Don Lemoyne di potersi valere. Anche Don Giraudi, nella sua nota Monografia[4] arreca qualche contingente di aggiunte e rettifiche; ma queste, non appartengono agli anni, a cui si estende il periodo a noi affidato. Dati nuovi su Don Bosco scrittore viene Don Caviglia accumulando nell'edizione critica delle opere; anche questo però è materiale che andrà a integrare le Memorie Biografiche precedenti. In locali pubblicazioncelle d'occasione o nella stampa periodica spuntano talora [9] qua e là notizie di detti o fatti non ancora conosciuti; naturalmente ne facciamo tesoro o nel testo o nell'appendice, secondo il tempo a cui si riferiscono.

 

***

 

                La generale intonazione francese di questo volume ci ha consigliato di chiuderlo con due notevolissimi epistolari, che non potrebbero trovare luogo più acconcio. Sono cinquantasette lettere a madamigella Louvet e settantasei ai conti Colle, tutte, meno una, scritte in lingua francese. A ben vero che in due capi del volume quindicesimo abbiamo messo largamente a partito questa doppia corrispondenza; ma quella lettura avrà fatto nascere, non ne dubitiamo, il desiderio di gustare direttamente e interamente gli originali. Ecco dunque presentarsi l'occasione propizia per appagare un sì ragionevole volo.

                Qui per altro si affacciava una difficoltà. Don Bosco che conosceva il francese più per pratica che non per grammatica e oltre a questo soleva scrivere currenti calamo in mezzo alla ressa incessante degli affari, incappa con frequenza in licenze ortografiche, lessicali e sintattiche. Altre anormalità mettono nel suo stile una nota di candore che si accorda simpaticamente con la santa semplicità del suo animo. Come fare dunque? Era meglio nella stampa introdurre ritocchi o riprodurre come stavano gli originali? Si è giudicato più conforme ai buoni procedimenti non curare considerazioni estranee e pubblicare testualmente gli autografi, che sono tutti in nostro potere. Nella recentissima pubblicazione della corrispondenza epistolare di Napoleone I con Maria Luisa durante la prima campagna contro gli Alleati, non vediamo come anche il grande Imperatore andasse soggetto a non infrequenti distrazioni dello stesso genere? Del resto, come il difettoso parlare di Don Bosco non offendeva la proverbiale delicatezza delle orecchie parigine, così il suo scrivere negletto non farà arricciar le nari agli intelligenti lettori. Certo è che quel susseguirsi di licenze formali non faceva nè [10] caldo nè freddo ai destinatari, avvinti dall'incanto delle idee e dei sentimenti, tanto nello e preciso vi traluceva sempre il pensiero, segnato bene della interna stampa. La santità che suppliva alle manchevolezze oratorie, riparava qui a usura i difetti letterari.

                Nell'appendice di questo come di volumi anteriori figureranno altre lettere del Santo scritte in francese, ma con poche o punte irregolarità. Una così insolita correttezza è dovuta alla penna di coloro che le trascrissero per inviarne copia a Torino. Mancandoci ogni possibilità di confronti, si è fatto di necessità virtù, dando il testo modificato, anzichè per simili alterazioni accidentali defraudare di quei documenti i lettori delle Memorie Biografiche.

                E senza dubbio non è piccolo diletto poter comunicare così a lungo e per via così immediata con l'anima di un Don Bosco. Quello che, mentre scriveva, gli passava per la mente, tutto gli balzò tale quale sulla carta, sicchè noi con sicurezza e senza lavorio di riflessione, attraverso la sua cristallina dicitura, gli penetriamo nell'intimo, deliziandoci in una visione che rasserena lo spirito e lo innalza al disopra delle caducità umane.

 

***

 

                Ancora un'osservazione. Nei capitoli che narrano il viaggio in Francia, s'incontreranno riflessioni e impressioni più volte ripetute, perchè causate da circostanze analoghe; provengono però da ambienti e da persone che non ebbero nulla da fare fra loro. Si è creduto di poter allargar la mano nel riferirer tanti apprezzamenti sostanzialmente simili, perchè da tale omogeneità di giudizi fra tanta disparità di giudicanti sembra scaturire una documentazione più imponente circa le qualità eccezionali che rifulsero in un Uomo così straordinario.

                Per tornare alla Francia, conviene pur dire che in quella nazione conoscere Don Bosco e comprendere la portata della sua missione fu una cosa sola. Prove non ne sono mancate [11] nei volumi antecedenti; ma in questo abbondano. Tale comprensione accompagnò poi lo svolgersi della sua opera, nè accenna a venir meno oggi, come ne fan lede le più recenti pubblicazioni. Nel periodo delle feste per la canonizzazione un autorevole e diffuso periodico d'oltralpi[5] gli dedicava un solido studio, nel quale, fra i nove Santi glorificati durante l'anno giubilare della Redenzione, S. Giovanni Bosco era giudicato meritevole di considerazione speciale, offrendoci egli in se stesso, più che non gli altri otto, un modello più adatto alle condizioni e alle esigenze dell'odierno apostolato. E le ragioni condensate nel giro di non molte pagine apparivano delle più convincenti che si potessero desiderare, nè in complesso erano sfuggite agli osservatori francesi contemporanei del Santo. Questo carattere di attualità, che, come i Francesi dicono, lo fa essere à la page, aggiunge alle sue Memorie Biografiche una potente attrattiva.

 

                Torino, 1934.

 

 

CAPO I

Nel gennaio del 1883: stato della Congregazione e sogno di Don Alasonatti; Cooperatori e conferenze; preparativi per il viaggio in Francia.

 

                   Dal 1880[6] al 1883 la statistica della Congregazione segna il normale accrescimento di un Istituto, che, una volta raggiunto il suo assetto definitivo interno, procede con passo franco e regolare verso il suo avvenire, traendo a sè anno per anno una somma di nuovi elementi superiore al quantitativo delle perdite inevitabili, cagionate da morti e da defezioni. Un computo sul catalogo di quest'anno dà i seguenti risultati:

 

                   Professi perpetui . . . . . 484

                   Professi triennali . . . . .   36

                   Ascritti . . . . . . . . . . . . . 173

                   Aspiranti . . . . . . . . . . . .190

                                (Sacerdoti 184).

 

                In confronto con quelli del 1880 i professi triennali sono qui meno della metà; ma rammentino i lettori come negli [14] esercizi dell'anno innanzi Don Bosco affermasse risolutamente il suo pensiero di voler ridurre ai minimi termini i voti temporanei[7].

                Nel quadro del Capitolo Superiore riscontriamo dal 1882 tre novità. Don Sala ha preso il posto di Don Ghivarello come Economo Generale; Don Bonetti è Consigliere in luogo di Don Sala; Don Barberis figura quale membro effettivo del Capitolo Superiore, col titolo di Maestro dei Novizi.

                Alle quattro Ispettorie del 1880 se ne sono aggiunte due, perchè la francese fu distaccata dalla ligure e l'americana venne sdoppiata con le nuove denominazioni di Ispettoria argentina e Ispettoria d'Uruguay e Brasile, come diremo in seguito. La romana continuava a chiamarsi così convenzionalmente, attesochè abbracciava con le case di Magliano, Roma e Faenza anche quelle di Randazzo e Utrera: ne aveva, come prima, la reggenza Don Durando.

                Degli ascritti la gran maggioranza proveniva sempre dall'Oratorio, donde gli alunni dell'ultima classe per due terzi almeno filavano senz'altro a S. Benigno; ma Don Bosco da buon pescatore di vocazioni non si lasciava sfuggire occasione di gettar l'amo anche nei collegi. Da Lanzo gli scolari di Don Borio gli avevano scritto col loro insegnante nelle feste natalizie; egli, rispondendo, ricorse a uno de' suoi piccoli stratagemmi per far riflettere i più grandicelli sul loro avvenire.

 

                             Mio caro D. Borio,

 

                La lettera tua e quella di parecchi tuoi allievi mi portarono grande consolazione. So che le loro espressioni si possono dire provenienti da tutti i loro compagni; e tu ringrazierai tutta la cara tua scolaresca da parte mia. Dirai loro che io li amo tutti in G. C., che ogni mattino mi ricordo di loro nella Santa Messa; ma che essi vogliano pregare anche per me, specialmente con qualche fervorosa comunione.

                Voglio però proporre un indovinello promettendo un premio ed anche premii a chi battesse nel segno. S. S. S. S. S. Chi ha la chiave [15] di questi cinque S. e li pratica, egli ha fondata speranza di avere il paradiso terrestre in questo mondo e il paradiso celeste nell'altro.

                Fa da parte mia un cordialissimo saluto a' tuoi allievi, a tutti raccomando di stare molto allegri, ma allegri nel Signore. Tu poi in particolar modo abbi cura della tua sanità; saluta il Sig. Direttore, dà una efficace benedizione alla tosse di D. Mellano, ed abbimi sempre in G. C.

                Torino, 16 Gen. 83.

Tuo aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dell'indovinello nessuno presentò la soluzione; Don Borio ci disse che le cinque enigmatiche lettere volevano significare: Sano Sapiente Santo Sacerdote Salesiano

                Avvisi importanti per il buon andamento della Congregazione Don Bosco ricevette a mezzo gennaio da Don Alasonatti in sogno: epurazione dei soci, lavoro e sorveglianza da parte dei superiori con i giovani, frequenza dei sacramenti[8]. Riferiamo il racconto esattamente da un suo autografo[9].

                La notte del 17 al 18 gennaio 1883 ho sognato di uscire dal refettorio con altri preti della Congregazione. Quando ne fui sulla porta mi accorsi che accanto a me usciva un prete sconosciuto, ma che mirandolo bene conobbi essere D. Provera nostro antico confratello. Era un po' più alto di statura che non fosse quando viveva mortale. Vestito in nuovo con faccia florida e ridente, mandando una specie di chiarore scintillante dimostrava voler passare oltre.

                 - D. Provera, gli dissi, sei veramente D. Provera?

                 - Sì che sono D. Provera, - rispose. Ma qui la sua faccia divenne così bella e luminosa che a grande fatica ci potevo fissare sopra lo sguardo.

                 - Se tu sei veramente D. Provera, non fuggirmi; aspetta un momento. Ma fammi il piacere, non lasciarmi l'ombra tua nelle mani e tu scomparire, ma lasciami parlare.

                 - Sì, sì! Parli pure che io l'ascolterò. [16]

                 - Sei salvo?

                - Sì che sono salvo; sono salvo per la misericordia del Signore.

                - Che cosa godi nell'altra vita?

                 - Tutto quello che il cuore può immaginare, e la mente è capace di capire, l'occhio di vedere, la lingua di esprimere. - Ciò detto, fece un atto con cui indicava voler partire e la sua mano che stretta teneva colla mia, mi diveniva quasi insensibile.

                 - No, gli dissi, non partire, ma parlami e dimmi qualche cosa a mio riguardo.

                 - Ella continui a lavorare. Molte cose l'attendono.

                 - Ancora per molto tempo?

                 - Non tanto. Ma lavori con tutti gli sforzi possibili come se dovesse vivere sempre, ma... ma sempre ben preparato.

                 - E pei confratelli della Congregazione?

                 - Ai fratelli della nostra Congregazione comandi e raccomandi il fervore.

                 - Come fare per ottenerlo?

                 - Ce lo dice il capo supremo dei maestri. Prenda un falcetto bene arrotinato e faccia da buon vignaiuolo, tagli i tralci secchi od inutili per la vite. Allora essa diverrà vigorosa e farà copiosi frutti e quello che importa assai, frutterà per molto tempo.

                 - Ma ai nostri confratelli che debbo dire?

                 - Ai miei amici, disse con voce più forte, ai miei confratelli dica che sta preparato un gran premio, ma che Dio lo dà solamente a quelli che saranno perseveranti nelle battaglie del Signore.

              - Pei nostri giovani che cosa mi raccomandi?

              - Pei nostri giovani si deve impiegare lavoro e sorveglianza.

              - Ed altro?

              - Altro Sorveglianza e lavoro, lavoro e sorveglianza.

             - Che cosa dovranno praticare i nostri giovani per assicurarsi la loro eterna salvezza?

                 - Si cibino sovente del cibo dei forti e facciano dei proponimenti fermi in confessione.

                 - Dimmi qualche cosa che debbano fare di preferenza in questo mondo.

                In quel momento un vivissimo splendore investì tutta la sua persona ed io dovetti abbassare gli occhi, perchè lo sguardo si trovava in violenza, come chi fissa la luce elettrica, ma di gran lunga più viva di quella che talvolta vediamo noi. In quel momento egli si mise a parlare con voce simile a chi canta: - Gloria a Dio Padre, gloria a Dio Figlio, Gloria a Dio Spirito Santo. A Dio che era, è, e sarà il giudice dei vivi e dei morti.

                Io voleva ancora parlare, ma l'altro con voce la più bella e sonora che si possa immaginare si pose solennemente ad intonare: Laudate Dominum omnes gentes, etc. Un coro di mille e mille voci provenienti [17] dai portici e dalla scala risposero, o meglio si unirono a lui a cantare: Quoniam confirmata est, etc. fino a tutto il Gloria.

                Più volte ho fatto uno sforzo per aprire gli occhi e vedere chi cantava, ma tutto inutilmente perchè l'intensità e la vivezza della luce rendeva inutile ogni facoltà visiva.

                Finalmente si cantò: Amen.

                Finito il canto ogni cosa tornò nello stato normale; ma di D. Provera nulla più vidi, che l'ombra sua, che pure tosto disparve.

                Mi recai allora sotto i portici dove erano i preti, i chierici, i giovani Ho chiesto se avevano veduto D. Provera. Mi risposero tutti di no. Interrogai pure se avevano udito cantare e mi venne eziandio risposto di no.

                A tali risposte rimasi mortificato e dissi: - Ciò che ho udito da D. Provera e il canto che si fece echeggiare è un sogno. Venitelo pertanto ad ascoltare e lo esporrò. - Io l'ho raccontato come sopra. D. Rua e D. Cagliero ed altri preti mi fecero molte domande cui ho dato la dovuta risposta.

                Ma il mio stomaco era così stanco che a stento potendo respirare mi svegliai. In quel momento suonarono i quarti delle ore e poi le due dopo mezzanotte.

 

                Anche il corpo ausiliare della Congregazione, il pio sodalizio dei Cooperatori e delle Cooperatrici progrediva in numero e compattezza. È di questo tempo una scheda poligrafata che si spediva ai decurioni parrocchiali e ai direttori diocesani, perchè vi registrassero nomi e offerte di associati, mandando poi il tutto all'Oratorio[10]; ai direttori diocesani s'impartivano inoltre speciali istruzioni per mezzo di una circolare a parte[11]. Per i Decurioni si univano diciassette Norme Generali, in attesa che si componesse un manuale apposito[12]. Il Bollettino, perfezionandosi gradatamente, diveniva ognor più l'organo efficace dell'Associazione mediante i suoi comunicati, le sue relazioni di conferenze salesiane che si tenevano già in molti centri grandi e piccoli, le sue necrologie di Cooperatori insigni, i suoi elenchi mensili di Cooperatori defunti. Nella solita circolare del mese di gennaio si parla di quasi cinquecento Cooperatori passati a miglior vita durante [18] il solo 1882[13]. A tenere i più ragguardevoli di essi affezionati all'Opera giovava assai la consuetudine che aveva Don Bosco di accostarli personalmente ne' suoi viaggi. Per questo nella seconda metà di gennaio scriveva frettolosamente a Don Belmonte, direttore della casa di Sampierdarena, che gliene facesse trovare colà al suo passaggio il maggior numero possibile.

 

                               Car.mo D. Belmonte,

 

                Se a Dio piace io partirò da Torino il 31 corrente alle 9 ½ mattino e sarò a Genova verso le 2 pom. Mi fermerò fino al lunedì p. mattino.

                Se credi si può darne avviso alla Sig. Migone e suoi figli: Sig. Giuseppe Podestà Cataldi, Carolina Cataldi; Casa Dufour, Marchese Montezemolo;

                Un certo Giuseppe buon coop. che ha perduto sua moglie due anni sono; Sig. Lucia Cataldi; Isabella Aquarone. I decurioni Salesiani. Quel signore che l'anno scorso ha largito alla casa di S. Pierdarena da quattro a 6 m. lire. Pregare da parte mia il Sig. Rusca che voglia accettare da priore della festa di S. Francesco di Sales. Essa può farsi il 4 febbraio, se non disturba le cose vostre.

                Se hai qualcheduno altro da prevenire tu puoi farlo dicendo a tutti di preparare danaro per pagare i nostri pouf.

                Alla Signora Ghiglini scriverò io stesso la lettera che porterai o manderai.

                Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il numero dei Cooperatori aumentava grandemente anche nei paesi di lingua italiana soggetti all'Austria; il che importava una spesa rilevante per la spedizione del Bollettino. Don Bosco pensò di esimersene. A tal fine stese una supplica da spedirsi dopo la sua partenza all'imperiale Ministro del commercio, al quale chiedeva per il periodico la franchigia postale nei dominii austriaci di lingua italiana. [19]

 

                               Eccellenza,

 

                Sebbene l'ossequiosissimo scrivente non appartenga a questa Rispettabile Nazione Austro - Ungarica, pure si fa coraggioso di ricorrere alla Eccellenza Vostra per ottenere un favore che non riguarda  lui personalmente, ma sì al bene della civile società.

                Da oltre quarant'anni egli si è consacrato alla educazione morale e civile della gioventù, specialmente povera ed abbandonata, aprendo Case, Istituti e Collegi in varie città d'Italia, Spagna, e dell'America del Sud. Al presente arrivano al numero di circa centocinquanta, educando alla religione e alla civile società oltre a cento e quarantamila fra ragazzi e ragazze. I giovanetti sono diretti da una Pia Società sotto il titolo di San Francesco di Sales, composta di uomini e di Sacerdoti licenziati in varii generi di studi, tutti dipendenti dallo scrivente; mentre le ragazze sono dirette ed istruite da una Congregazione di donne col nome di Figlie di Maria Ausiliatrice.

                Le spese, che giornalmente occorrono pel vitto, alloggio, vestito ed istruzione, sono enormi, ed il sottoscritto, privo per sè di mezzi, va avanti colla pubblica carità.

                A tale scopo istituì fra le buone persone secolari, una Pia Società che si chiama dei Cooperatori Salesiani, la quale, approvata dal Papa Pio IX, e benedetta dall'attuale Pontefice, ha per fine di venire in aiuto con mezzi morali e pecuniari alle numerose opere di Civile e Religiosa utilità.

                A questi si manda ogni mese un periodico che si chiama Bollettino Salesiano, il quale alieno affatto da ogni colore politico ha per oggetto di esporre ai Soci quanto viene operato negli Istituti da lui fondati, e di eccitarli a promuovere il buon costume fra il popolo e specialmente fra la gioventù. Si stampa in Italiano, Francese e Spagnuolo[14]; si fa dovere d'inviarne una raccolta stampata in Italiano, perchè la possa esaminare. A un periodico simile agli Annali della Propagazione della Fede, e della S. Infanzia.

                Siccome non pochi sono i giovani del Tirolo raccolti ed educati nei suoi Istituti, si è fatto un nucleo di Cooperatori Salesiani Tirolesi, Triestini e Dalmati, ai quali ogni mese si manda il Bollettino. Le spese di posta che il sottoscritto per la spedizione deve sostenere, sono gravi, e naturalmente queste sono in danno di tanti poveri fanciulli abbandonati.

                Egli è perciò che si f a ardito di ricorrere alla Eccellenza Vostra, supplicandola si compiaccia di concedere per alto favore la Franchigia Postale ai suddetti periodici che vengono spediti in codesto Impero. [20]

                In tal caso si spedirebbero a Trento per ferrata a persona privata, da cui sarebbero consegnati a quest'Ufficio Postale imprimendovi col timbro: Direzione del Bollettino Salesiano di Torino o qualunque altra indicazione che l'Eccell. Vostra suggerirà.

                Lo scrivente confida, che avuto riguardo ai giovani poveri, sudditi Austriaci, educati negli Istituti Salesiani al fine eminentemente caritatevole della Pia Associazione, vorrà l'Ecc. Vostra concedere quanto domanda, mentre anticipatamente ne rende i più vivi ringraziamenti, e le prega da Dio ogni felicità.

 

                Torino, il febbraio 1883.

Sac. Giov. Bosco.

 

                La supplica non fu inviata direttamente al Ministro, ma per il tramite del Vicario Apostolico Castrense, al quale Don Bosco la raccomandava con una lettera da noi non rinvenuta. Il Prelato s'informò prima confidenzialmente presso il Ministero, se la cosa era possibile, e n'ebbe in risposta che le leggi non permettevano di accordare franchigie a giornali e periodici stranieri. Nel partecipare questa comunicazione egli con molta cortesia suggeriva a Don Bosco di rivolgersi per il medesimo oggetto all'Ambasciata Austriaca in Italia e per la stessa via ottenere che membri della Corte Imperiale si degnassero permettere di venir aggregati all'Associazione dei Cooperatori. Si sai ebbe così potuto mandar loro il Bollettino e facilitare la concessione del favore. Come si vede, questo Prelato austriaco guardava con benevolenza l'introduzione del periodico religioso italiano[15].

                Le conferenze dei Cooperatori prima e dopo S. Francesco di Sales furono molte nel 1883; il Bollettino di marzo dava notizia di dodici, ma assicurando che ve n'erano state assai più. A Torino parlò Don Bosco il 25 gennaio nella chiesa di S. Giovanni Evangelista; per la stia conferenza abbiamo trovato i seguenti appunti, scritti da lui stesso in un quaderno[16]. [21]

 

25 - 1 - 83

 

                               Conf. tenuta nella Ch. di S. Giov. Evang.

 

                Si dà breve ragguaglio dello stato delle cose raccomandate ai coop. nell'anno 1882 e di quelle proposte ai medesimi per l'anno 1883.

                Siccome di queste cose si è già dato cenno nella lettera pubblicata nel Bollettino pel buon capo d'anno ai coop., così qui a modo di conferenza si darà spiegazione a vari quesiti che per iscritto o personalmente furono fatti dai nostri coop. o dai loro amici.

1° Si domanda che voglia dire cooperatore, e se questa sia una associazione esclusiva.

                Questa associazione ha per iscopo di unire i buoni cristiani a fare del bene alla civile società, e promuovere il buon costume specialmente in favore della pericolante gioventù.

                Vi sono tanti mezzi e tanti modi, ma ci limitiamo a occuparci della gioventù in pericolo secondo il nostro regolamento.

                Questa associazione è approvata dal S. Padre che ne è capo e che l'arrichì di molte indulgenze.

2° L'associazione dei coop. non è contraria a quella dei terziarii di S. Francesco d'Assisi?

                L'associazione dei coop. non solo non è contraria a quella dei terziari, ma ne è il compimento. Lo stesso Pontefice Pio IX, rispondendo a questo dubbio: - Il mondo, disse, è materiale e perciò dobbiamo fargli vedere cose materiali - , quali in primo aspetto si presentano quelle dei cooperatori. I terziari di S. Francesco d'Assisi hanno per fine principale di santificarsi colla pratica della pietà e i coop. hanno per base la pratica della carità. Ma e gli uni e gli altri sono diretti alla maggior gloria di Dio e al bene delle anime. Perciò tutti i terziari possono associarsi ai cooperatori salesiani, come ogni cooperatore si può ascrivere fra i terziari o francescani o domenicani e così approfittare di due sorgenti di grazie, di benedizioni e di sante indulgenze.

3° Può ascriversi una intiera famiglia, una comunità religiosa, una casa di educazione, un collegio ed anche una parocchia?

                Il padre o la madre o chi ne fa le veci possono ascriversi o semplicemente rappresentare la loro famiglia. P. e. si scriva il nome di uno con tutta la sua famiglia, colla sua comunità o il direttore cogli allievi del suo collegio. Ma è necessario che ciascuno compia le condizioni di cooperatore e nel corso dell'anno, faccia almeno qualcheduna delle opere di carità indicate dal regolamento, per esempio etc. La medesima norma si dovrà seguire nelle comunità, nei collegi o case di educazione, di parocchie e similia.

4° I cooperatori non saranno sospetti in fatto di politica?

                Non certamente. La missione del cooperatore è di promuovere il buon costume, è d'impedire il furto, diminuire i tagliaborse e diminuire [22] il numero grande di coloro che abbandonati sulla piazza o nelle vie vanno miseramente a finire in un carcere.

                Qualunque governo pertanto, qualunque età e condizione non può a meno che desiderare una associazione d'uomini che guidati dal solo spirito di carità si prestano a compiere tali opere.

5° Che cosa deve dirsi delle tante eredità che si dicono ogni giorno lasciate a D. Bosco?

                Io lo debbo veramente qui dichiarare che ogni giorno qualche giornale annuncia qualche pingue eredità. Ma fatta accurata dimanda intorno al nome, cognome, paese del benemerito testatore, non si seppe mai indicare. Qualche modesta eredità ci fu lasciata, ma con tali e tanti pesi e questioni che per lo più si dovette ad ogni cosa rinunziare.

                Sono pochi giorni elle un cooperatore mi annunziò una vistosa eredità, mi accennava fin anche una cospicua somma di monete d'oro che attendevano soltanto D. Bosco o qualche suo incaricato elle l'andasse a ritirare.

                Malgrado il cattivo tempo e il lungo viaggio ho tosto mandato due persone fide ad eseguire tale commissione. Ma che? Trovarono un testamento ben fatto, ed ogni cosa secondo la legge. Venuti poi in cerca della cospicua somma, non era possibile rinvenirla. Dopo le più minute ed accurate indagini in una cassa collocata in un nascondiglio fu trovato il gran tesoro, ed era di un franco e sessanta centesimi.

                Da questo voi potete argomentare di altri vistosi lasciti fatti a D. - Bosco.

6° Ma pure D. Bosco è ricco.

                Per farvi urla idea delle grandi ricchezze di D. Bosco bisogna elle notiate elle però in tutte le nostre case non vi è un soldo di reddito e che le imposte delle nostre case con qualche striscia di orto accanto ammontano ad oltre di trentatre mila lire.

                Sono parimenti certe le spese di costruzione, di riparazione, di mobilio, di abiti e di vitto pel numero di fanciulli che la divina Provvidenza ogni giorno ci manda.

                Sono però obbligato di correggere qualche espressione. Perciò se io son povero quando lui considero come solo, divento assai ricco quando considero la Provvidenza divina che ogni giorno e possiamo dire ad ogni momento ci viene in aiuto. Io sono assai ricco della vostra carità, o benemeriti cooperatori, di quella carità industriosa, che mettendo quasi per base di non voler che la destra sappia quello che fa la sinistra, in tanti modi e misure mi venite in aiuto. Oh se qui mi fosse permesso di alzare il velo da tante industriose opere di carità che molti di voi andate facendo lungo l'anno, sarebbero cose da scriversi fra le azioni dei fedeli cristiani de' primi secoli.

                Tacerò i nomi e i luoghi e accennerò soltanto alcuni fatti. Vi sono di quelli che trovano modo di fare economia lavorando incessantemente in cose di carità, come sarebbe cucire abiti, rappezzare quelli [23] che sono guasti, fare calze, camicie; di poi lo portano dicendo: Questo è per vestire i poverelli di Gesù. - E altri limitano fino la qualità o la quantità del vitto, del vestito, dei tappeti; ritardano la rinnovazione e talvolta dismettono l'uso della vettura e ciò fanno, dicono essi, per avere un po' più di danaro per dare da mangiare ai poveri affamati e dar da bere agli assetati. Conosco persone agiate e di assai civile condizione, che in lunghi viaggi vanno coi più poveri, negano a se stessi comparse di onore, di piacere; si negano l'andata ad un onesto trattenimento; fan diminuzione di persone di servizio, facendo, per dir così, il servitore a se stessi, ad unico fine di avere qualche soldo di più a largire in opere di carità[17]. A taluni poi il tempo di villeggiatura è opportuno per preparare o riparare oggetti di vestiario pei poveri fanciulli.

                Non è gran tempo che una persona entrata in una delle nostre case vide che un notabile numero dei ragazzi erano vestiti leggermente da estate. Ne fu commossa, e saputo che la mancanza di mezzi era quella che impediva di fare le necessarie provviste, diede opera essa stessa e prima che fosse passato il giorno, non senza grave suo sacrifizio, fece fornire degli abiti necessari quei poverelli di G. C.

                Un ricco signore, di cui pure debbo tacere il nome, seppe altra casa stentare di pane, mentre il panettiere lo rifiutava per un grave debito che si era già contratto col medesimo. Non avendo in quel momento danaro disponibile, non ebbe difficoltà a disfarsi di alcuni titoli di valore, pagare il debito, e mettere così il prestinaio in grado di continuare a dar da mangiare agli affamati.

                Io non continuo più in questa esposizione che sarebbe ancora lunga assai, ma non posso a meno di benedire Iddio, benedire la s. cattolica religione che infonde tanta fede nel cuore de' suoi figli, che infonde tanta carità in chi la professa. Sì, io ringrazio etc.

 

                L'Unità Cattolica del I° febbraio, riassuntone brevemente il discorso e descrivendo l'impressione prodotta dalle sue parole, osservava che gli uditori erano rimasti convinti di tre cose: che Don Bosco non era solo un amico un padre, ma anche un eloquente avvocato della gioventù; che, se avesse avuto mezzi corrispondenti allo zelo e all'energia dell'animo, avrebbe mutato faccia al mondo; che il prestare aiuto alle istituzioni di lui era fare opera non solamente cattolica, ma filantropica e sociale. [24]

                Dopo la conferenza accadde questo episodietto, che Don Borgatello amava di raccontare. Don Bosco, recandosi dalla sacrestia all'ufficio del Rettore della chiesa, trovò nell'andito un gruppo di nobili signore che lo aspettavano per riverirlo. Egli si fermò a parlare loro con molta affabilità. Don Borgatello, che era presente, si stupiva in cuor suo al vedere come il Santo usasse tanta dimestichezza con persone d'altro sesso. Ruminava ancora questo pensiero, quando il Servo di Dio, licenziatosi da quelle Cooperatrici, si volse a lui e gli disse all'orecchio: - Vedi, non bisogna far consistere la santità nell'esteriore.

                Ignorassero o no essere stato sempre Don Bosco il martello dei protestanti a Torino e altrove, alcuni Cooperatori, animati dallo spirito della loro Associazione e sbigottiti per quello che il protestantesimo di oltr'Alpi veniva perpetrando in Italia, gli fecero pervenire uno specchietto, nel quale con un colpo d'occhio egli poteva vedere l'attività della nefasta propaganda[18]. In capo al foglio si leggeva: “Veda Don Bosco che fecero finora i protestanti in Italia! Che dobbiamo fare noi in vista di tanto male?”. Scorrendo quel foglio, ei dovette vie maggiormente compiacersi d'aver mandato ad effetto un'opportunissima idea: la ristampa allora allora ultimata di un suo vecchio lavoro. Nelle Letture Cattoliche del 1853 aveva pubblicato in sei fascicoli un'apologia della Chiesa contro i novatori della Riforma, intitolando l'operetta Il cattolico istruito. Ripresa dunque in mano quella trattazione, aggiunse, corresse e riunì le varie parti in un sol volume, che intitolò Il cattolico nel secolo. “Piccolo di mole”, fu detto il libro dalla Civiltà Cattolica, “ma tutto succo e sostanza di dottrina cattolica”[19]. Infatti ebbe l'onore di parecchie edizioni ed è tuttora ricercato.

                Egli considerava poi sempre le sue Letture Cattoliche come un ottimo riparo, in mezzo al popolo, contro l'accanita propaganda [25] anticattolica; perciò ora che all'ombra della chiesa di S. Giovanni si veniva creando un nuovo centro di attività religiosa nella città, voleva che la pubblicazione mensile si diffondesse di là il più largamente possibile all'intorno. Questo fu il movente della letterina che scrisse l'8 gennaio a Don Marenco, rettore della chiesa.

 

                Carissimo D. Marenco,

 

                Ho detto a Barale[20] di unirsi teco a curare le Lett. Catt. e la loro diffusione. Egli promise di cuore e mi scrive la lettera che ti unisco.

                Venendo all'Oratorio parlerai con lui e stabilirete anche con D. Bonetti il piano di battaglia.

                Dio bendica te, le tue opere e la tua famiglia.

                Pregate per me.

 

                Torino, 8 - 83.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                Prima di lasciare l'Oratorio diè un altro attestato solenne del suo zelo per la conservazione della fede. Dicemmo già dell'empio e spudorato periodico che usciva a Torino, portando per titolo il nome adorabile del Salvatore[21]. Le cose erano arrivate agli estremi. Gli strilloni lo urlavano per le strade; grossi annunzi tappezzavano i muri; mani sacrileghe scrivevano in molti luoghi con neri caratteri sulle lastre dei portici quel nome adorabile quasi per costringere la gente a calpestarlo. Certi malviventi stavano a osservare le persone religiose e vedendole far atto di ribrezzo e girar largo, sghignazzavano. Il Procuratore del Re, pregato di porre termine allo scandalo, si trincerava dietro la legge sulla libertà della stampa[22]. Alcuni coraggiosi giovanotti con un preparato chimico scancellavano di buon mattino quel sacrosanto nome dai pavimenti,  [26] benchè scritto con vernici che penetravano nella pietra. Lo sdegno dei buoni era al colmo; eppure nessuna protesta partiva dall'autorità ecclesiastica. Benchè i giornali cattolici gridassero, sembrava che s'ignorasse quanto accadeva in città. Era tempo di muoversi.

                Don Bosco diede allora ordine a Don Bonetti di alzare la voce nel Bollettino, letto in Italia anche da tanti che non leggevano l'Unità Cattolica. Quell'anima ardente scrisse un lungo e vivace articolo, intitolato Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re, chiudendolo con una calda professione di fede e di amore. L'articolo piacque tanto a Don Bosco, che ingiunse all'autore di ridurlo tosto in forma di opuscoletto e spanderlo gratuitamente tra il popolo torinese. L'ordine, col permesso dell'autorità ecclesiastica, venne puntualmente eseguito dopo la partenza del Servo di Dio: per mezzo della Società degli Operai Cattolici ben centomila esemplari ne furono diffusi in una sola domenica di febbraio dalle porte di tutte le chiese di Torino[23].

                Dell'articolo comparso sul Bollettino di febbrario il fogliaccio blasfemo si vendicò a suo modo. Nel numero dell'II pubblicò una declamazione piena di malignità contro Don Bosco, che diffamava presso i lettori come abbindolatore di persone facoltose, denunziandolo al Governo quale violatore delle leggi e gran nemico della patria[24].

                Ma il già fatto non bastava. Don Bosco, volendo che il grido di Gesù nostro Dio e nostro Re fosse ripetuto per tutta l'Italia specialmente nell'occasione delle feste di Pasqua, aveva avuto una geniale idea: far servire l'opuscolo per biglietto pasquale. Bisognava dunque ristamparlo sotto nuova forma. Prima portava il Visto della Curia di Genova, perchè stampato a Sampierdarena; ora, occorrendo un'altra licenza, per far presto si decise di ottenerla dai revisori torinesi. La si ottenne con una gherminella, chè per le vie normali sarebbe [27] stato impossibile[25]. L'affare del biglietto pasquale fece poi nascere un putiferio, la cui conseguenza fu che sotto questa forma l'opuscolo si potè spedire solamente fuori dell'archidiocesi, sebbene anche qui molti parroci ne avessero fatto richiesta. L'infernale fogliaccio ne profittò per fucinare un'altra prosa intitolata Don Bosco, l'Arcivescovo e Soci; ma è roba così triviale, che non vogliamo imbrattarne le nostre pagine. Il serpe aveva avuta ben pesta la coda.

                Di questo movimento Don Bosco impartì le istruzioni, ma non vide che l'inizio, essendosi il tutto svolto mentr'egli faceva il suo giro in Francia. In quel viaggio si era prefisso uno scopo ben determinato: chiedere la carità per la chiesa del Sacro Cuore a Roma. Stanco degl'indugi frappostigli, aveva risoluto di dare un vigoroso impulso ai lavori. Ma occorrevano danari molti. “Ci mandi quattrini, gli si scriveva ancora il giorno stesso della sua partenza, che sine quibus la Chiesa resterà in eterno al cornicione”[26]. Il buon Padre sentiva bene che le forze gli s'illanguidivano; ma l'amore al Papa, che gliene aveva affidato l'incarico, lo stimolava ad agire con tutta la sua energia, intraprendendo un viaggio sì faticoso. Di tutto ciò troviamo la dichiarazione esplicita in una lettera del 30 gennaio al Cardinale Vicario. “Dimani mattina, gli scrive, a Dio piacendo, parto per Genova e quindi farò una visita alle case della Liguria. Vado di casa in casa fino a Marsiglia e di là, se la sanità e i pubblici avvenimenti lo permetteranno, farò una gita fino a Lione ed a Parigi questuando pel Sacro Cuore e raccomandando il denaro di S. Pietro. Ma mi raccomando quanto so e posso alla E. V. perchè si adoperi per togliere di mezzo gl'imbarazzi che impediscono il nostro lavoro. Io lo desidero tanto e sono pronto anche a sacrifizi poco ragionevoli, purchè si possano continuare i lavori purtroppo sospesi”. Con questi “sacrifizi poco [28] ragionevoli” alludeva, come si narrò nel volume precedente, a migliaia di lire da buttar via per isbarazzarsi del vecchio contratto e delle relative camorre.

                Un itinerario francese egli se l'era già abbozzato così all'ingrosso fin dal principio di dicembre dell'anno innanzi. “Se la Francia sarà tranquilla, aveva scritto a una generosa benefattrice[27], partirò il 20 gennaio prossimo per Genova, Nizza, Alpi Marittime, Cannes, Tolone, Marsiglia, Valenza, Lione, in modo da essere a Parigi verso la fine di marzo”.

                Il dubbio sulla tranquillità della Francia gli veniva ispirato dai torbidi che avevano tenuto in agitazione il paese specialmente dal 9 agosto al 9 novembre, dalla chiusura cioè alla riapertura delle Camere, quando il Governo della Repubblica si era trovato alle prese con violenze di socialisti e con dinamitardi attentati di anarchici. Appunto in principio di novembre l'impressione di quei disordini gli aveva fatto scrivere all'abate Guiol, che si pregasse molto, perchè l'uragano sarebbe stato circoscritto, ma, dove passasse, avrebbe fatto strage[28]. Una seconda lettera però due settimane dopo era andata a calmare le apprensioni dei pericoli segnalati nella precedente; egli infatti prometteva allora con asseveranza una protezione speciale della Madonna per tutti coloro che si occupassero degli interessi di Maria Ausiliatrice[29]. Permanevano tuttavia anche più tardi cause d'inquietudine, data l'attività dei partiti che dividevano i cittadini: i napoleonici anelavano al ristabilimento dell'impero, orleanisti e legittimisti erano ansiosi di rialzare la bianca bandiera dei gigli d'oro, gli stessi repubblicani si accanivano gli uni contro gli altri e sotto sotto manovravano i comunisti nemici giurati d'ogni governo. In gennaio poi, allorchè Don Bosco si apparecchiava al viaggio, il processo di Lione contro gli anarchici autori dei recenti vandalismi e l'istruttoria contro il [29] principe Girolamo Bonaparte, arrestato a Parigi sotto l'imputazione di tentativo per cangiare la forma di Governo, tenevano variamente sospesi gli animi, dando luogo a minacciose manifestazioni.

                E primo avviso formale del suo prossimo viaggio fu dato da lui al direttore della casa di Nizza.

 

                               Carissimo D. Ronchail,

 

                Fra le cose da farsi metti anche una nota regolare dei cooperatori che fanno capo a Nizza. Ciò è per evitare che non si mandi diploma a coloro che già sono cooperatori come avviene tutti i giorni e poi anche per fare un centro solo.

                Al giorno trenta di questo mese farò vela verso Nizza: ma il giorno e l'ora ti sarà precisata. Fa un cordialissimo saluto ai nostri confratelli, allievi ed amici fra cui il caro Baron Héraud, Rembeau e D. Vincenti.

                Dio ci benedica tutti; prepara il da farsi, e credimi sempre in G. C.

 

                Torino, 14 - 1883.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                P.S. Ricevo ora tua lettera. Faremo modo di fermarci un giorno a Mentone ed a Monaco. Prepara.

 

                Otto giorni appresso ne scrisse ai conti Colle. “Rinunzierò, diceva, a visitare altri luoghi per potermi trattenere più a lungo con loro, ma tutto a nostro bell'agio”.

                Prima di lasciare l'Italia il suo pensiero si rivolse a Firenze, dove si costruiva la nuova casa: una parola che animasse la contessa Uguccioni ad aiutare direttamente e indirettamente l'impresa era quanto di più pratico egli potesse fare in quel momento a vantaggio dell'impresa.

 

                               Nostra buona Mamma in G. C.,

 

                Prima di partire per la Francia voglio assicurarla che io prego ogni giorno per Lei, o nostra Mamma benemerita. Dopo dimani faremo S. Fran.co di Sales ed io mi faccio impegno di celebrare la S.ta Messa a Maria SS. Aus. secondo la sua intenzione.

                So che fa quello che può per la nostra casa cominciata. Continui: Dio ci aiutò e ci aiuterà. [30]

                Le benedizioni del cielo discendano copiose sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. La prego di voler a tutti presentare i miei rispettosi omaggi. Io mi raccomando alle preghiere di tutti e di Lei in particolare, di cui sino aff.mo

 

                Torino, 27 - 83.

come figlio in G. C.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Mancavano due giorni alla partenza, quando, informandone il barone Carlo Ricci des Ferres, lo invitava a recarsi da lui, dovendo parlargli di qualche affare.

 

                               Ca.mo Sig. Barone,

 

                Se nella giornata di dimani (30) può passare un momento all'Oratorio, le parlerei volentieri dei nostri affari. Dimani o meglio dopo dimani (31) partirò per Genova, quindi verso la Francia.

                Dio la benedica, o sempre caro Sig. Barone; se Egli vuole concedere spine sopra la terra, le prepari almeno qualche consolazione e le assicuri dei fiori da godersi un giorno collasù in Paradiso. Amen.

                Voglia anche pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 29 gennaio 1883.

Umile Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Nel corso del mese gli erano giunte tre lettere da Parigi. Per procacciarsi ivi un ricovero tranquillo aveva pregato il parroco di Nostra Signora delle Vittorie, che volesse dargli ospitalità nella sua canonica; ma quegli con grande rammarico gli rispose di non potergli accordare il chiesto favore e gliene enumerava i motivi[30]. Al conte di Richemont aveva espresso in una sua lettera dell'anno precedente l'intenzione di visitarlo a Parigi sul principio del 1883; il conte, venuto il gennaio, si affrettò a manifestargli il suo vivo gradimento e la cordiale attesa di tutta la famiglia. É della fine dello stesso mese una lettera del celebre scienziato l'abate Moigno, del quale facemmo già menzione, entusiasta cooperatore [31] salesiano, risulta da essa elle egli era stato di recente all'Oratorio di Torino. L'affettuosa venerazione per Don Bosco che trabocca nel suo scritto, ci consiglia di far conoscere ai lettori questo documento[31].

                Al Servo di Dio non parve bene assentarsi per tanto tempo da Torino senza prendere commiato dall'Arcivescovo e riceverne la benedizione. Dopo la nota Concordia era questo da parte sua anche un bell'atto di sincerità, in tutto e per tutto conforme ai sentimenti, con cui aveva adempiute le condizioni poste dal Papa. Si recò dunque per tale scopo al palazzo arcivescovile; ma non potè ottenere udienza. Nel ritornare a casa disse a chi l'aveva accompagnato: - Monsignore non mi ha voluto parlare ora che io lo cercava. Ben presto egli cercherà me e non mi troverà, perchè non ci sarò. - Parole profetiche, il cui avveramento nessuno avrebbe allora immaginato così vicino[32], come presto vedremo.

                La mattina del 31 Don Bosco stette tranquillamente a confessare secondo il consueto. Don Berto ci fa sapere che, confessatosi anche lui, ne ricevette questo consiglio: - Guarda di fare un sacrifizio totale della tua vita al Signore e di voler lavorare fino all'ultimo respiro per la sua gloria, sopportando con pazienza le avversità e contrarietà nel ben operare, come [32] questa fosse l'ultima confessione di tua vita. - Riferendo queste parole da un taccuino di Don Berto, Don Lemoyne scrive: “Ecco il pensiero di Don Bosco continuo”. Subito dopo aver celebrato la Messa nella sua camera, consegnò al medesimo Don Berto, come da parte della Madonna, il seguente fioretto scritto di propria mano: “Chi vuol lavorare con frutto, deve tenere la carità nel cuore e praticare la pazienza coll'opera”.

                Di lì a poco partì per Genova, accompagnato da Don Durando e da Don De Barruel.

                A Don Bosco i preparativi personali per i suoi lunghi viaggi non davano gran che da pensare: se n'andava cosi com'era. In camera soleva tenere il puro necessario. Le tante sue benefattrici gareggiavano nel regalargli calze, fazzoletti, , camicie, maglie e altri oggetti di vestiario; ma ogni cosa egli consegnava tosto a Don Berto, perchè portasse al guardarobiere per uso di chiunque ne abbisognasse. Don Berto tentava bene di mettere da parte un po' di quella roba per lui; ma egli non voleva e accorgendosene: - No, no, gli andava ripetendo, manda via tutto; tutto resti in comune. Se tu conservi qui, la Provvidenza non manda più nulla. Tienlo bene a mente: quanto più tu dai alla casa e non conservi nulla per noi, tanto più ne arriva.

                Così ci spieghiamo come avvenisse che nell'imminenza di viaggi si trovasse privo d'indumenti anche indispensabili; del che gioiva per amore di povertà. Un giorno, già sul punto di mettersi in cammino, aveva i calzoni in tale stato, che, non essendovi tempo di fare diversamente, Don Rua si tolse in fretta i suoi e glieli diede. Un'altra volta in simile circostanza Don Lemoyne gli vide sotto la veste un panciotto così malandato da far pietà; onde si spogliò del proprio e lo fece indossare a lui. Entrambi i fatti accaddero, mentre si era nella sua stanza per dargli l'addio.

                Nell'intraprendere viaggi di qualche durata una cosa che con l'avanzare dell'età gli recava sempre maggior pena, era [33] il dover allontanarsi dal suo caro Oratorio, divenuto quasi una parte della sua anima. Quanto fosse il suo affetto per l'Oratorio si poteva arguire da certe proposizioni che gli cadevano dalle labbra ogniqualvolta vi si volessero fare novità; qualsiasi cambiamento gli costava uno strappo al cuore. Divisandosi di sostituire con un nuovo organo l'organo stravecchio e logoro nella chiesa di S. Francesco: - No, diceva egli; fatelo accomodare, ma non si tolga. Accompagnò per anni e anni i canti dei nostri giovani! - Una volta, guardando giù dalla sua loggetta e posando l'occhio sull'edifizio diagonale che divideva in due l’odierno cortile degli studenti, disse a Don Lemoyne: - Vedi quella fabbrica? Tosto o tardi sparirà, sarà demolita, e a me costò tanti sudori innalzarla!

                 - Possibile che si voglia atterrare quello che Don Bosco ha costrutto? - osservò il suo interlocutore.

                 - Eppure sarà così. O per ragione di estetica o per ordinar meglio i locali o per dividere altramente i cortili, quei muri quand'io non ci sarò più, spariranno.

                Già prima durante una sua assenza Don Savio, per edificare il coro di Maria Ausiliatrice, il che si fece parecchi anni dopo l'erezione della chiesa, aveva gettato giù lo storico gelso, sul quale erasi rifugiato il giovane Reviglio. Don Bosco al ritorno, appena s'avvide essere stata abbattuta quella pianta, esclamò: - Il non più vederla mi cagiona una pena come per la morte di un fratello.

                Sono tutte espressioni che ci dimostrano quanto teneramente amasse e quindi con quanto rincrescimento si rassegnasse a lasciare per tempo notevole un luogo così benedetto dalla Madonna e teatro di tante vicende e di tante grazie.

 

 

CAPO II.

A Nizza, a Marsiglia, a Lione e in altre minori città vicine.

 

                CINQUE anni precisi prima che lasciasse la terra, Don Bosco diede cominciamento al suo storico viaggio di quattro mesi nella Francia, dal 31 gennaio al 31 maggio. Premesso un breve giro di due  settimane per le case della riviera ligure, percorse abbastanza lentamente la Francia meridionale da Nizza a Lione, donde si avanzò alla volta di Parigi, suo principale obiettivo. Nella metropoli francese si fermò dal 18 aprile al 25 maggio, facendo di là una puntarella a Lilla e un'altra ad Amiens, e visitando nel ritorno Digione e Dóle. Noi destineremo questo capo alla prima parte della lunga peregrinazione, lamentando che vi debbano spesseggiare purtroppo le lacune, dovute a smarrimenti di corrispondenze.

                Dimorato qualche giorno a Sampierdarena, passò a Varazze, come appare da una letterina indirizzata al Direttore di Marsiglia.

 

                               Carissimo D. Bologna,

 

                Va bene quanto mi scrivi. Tu puoi dire alla Sig. Abatucci che io mi troverò il dopo mezzogiorno del 13 al Torrione, ossia Ventimiglia. Al 14 vado a Menthon, dove mi fermerò una mezza giornata. In qualunque sito si trovi questa Signora la vedrò assai volentieri. L'assicurerai [35] però che io prego per Lei e per tutte le sue buone intenzioni. Unisco un bigliettino per la Signora George Borelli pel motivo elle mi hai indicato. Godo molto che la famiglia sia in buona salute; dirai a D. Albera che prepari visite e danari; io gli porterò un sacco di complimenti di tanti suoi amici.

                Dio ci benedica tutti e credimi sempre in G. C.

 

                Varazze, 5 febbraio 1883.

aff.mo amico.

Sac. Giov. Bosco.

 

                Da Varazze proseguì per Alassio, dove tenne in collegio una piccola conferenza ai Cooperatori. Fin dal principio del viaggio appariva tanto stanco, che non potè celebrare la Messa della comunità, ma la disse privatamente. Si era già messo l'amitto, quando lo studente Amilcare Bertolucci, che doveva servire all'altare, con tutta confidenza lo pregò di confessarlo. Il Direttore gli diede sulla voce, ma Don Bosco: - Sì, sì, - gli disse. E tosto si levò l'amitto, lo ripose e s'assise. Finita la confessione gli disse: - Sta' allegro, che ci rivedremo. - Si rividero difatti due anni dopo a S. Benigno, e Don Bosco si rammentò subito da sè della parola dettagli. Il giovane era là per farsi Salesiano. Multa tulit fecitque puer per seguire la sua vocazione; ma nella lotta con i suoi Don Bosco lo assistette, ottenendogli con le sue preghiere di riportare una difficilissima vittoria. Oggi Don Bertolucci conduce de sette anni una vita di sofferenze e di preghiera, afflitto da una terribile forma di artritismo. Fatte alcune visite a S. Remo, il Santo partì il 13 per Vallecrosia. Altro fino a questo punto del viaggio non ci è dato sapere.

                A Vallecrosia per falso zelo di gente male informata nubi sinistre erano sorte a offuscare i buoni rapporti fra il Vescovo di Ventimiglia e il Direttore della casa. Agli occhi di Monsignore si faceva apparire che l'opera dei Salesiani venisse scapitando di fronte all'attività dei Valdesi. Il Vescovo, accettato senza benefizio d'inventario quanto gli si riferiva, ne aveva scritto, rammaricandosi, a Don Bosco, il quale di tutto rese avvisato Don Cibrario. Questi non penò guari a scagionare [36] sè e i suoi confratelli delle gratuite accuse, provenienti da qualche lingua viperina, avvezza a sparlare dei Salesiani[33]. Don Bosco, volendo di presenza rimettere le cose a posto, si diè premura di recarsi con Don Durando dal Vescovo, col quale s'intrattenne fino a tarda sera.

                Un lieto e inaspettato incontro gli accadde nel ritorno. Essendosi cercata indarno una carrozza, bisognò rassegnarsi a rifare il cammino a piedi. Durante il giorno era piovuto molto, sicchè alla crescente oscurità si univa il fango della strada a rendere malagevole l'andare. Quando con la sua vista debole il Servo di Dio non iscorgeva più dove mettere i piedi, ecco farglisi innanzi un suo vecchio amico, il famoso Grigio, che non rivedeva da trent'anni. La buona bestia gli si avvicinò festosamente, e poi si mosse precedendolo di mezzo metro, tanto da essere veduto fra le tenebre. Il cane andava a passo lento e uniforme, in modo che lo potesse seguire chi stentava a camminare, e aveva cura di fargli evitare le pozzanghere, girandovi attorno. Giunto vicino a casa, disparve.

                Don Durando, che badava a sfangarsela per conto proprio, asserì sempre di non aver veduto nulla; ma Don Bosco narrò più volte il fatto. Un giorno lo raccontò anche a Marsiglia in casa Olive durante il pranzo[34]. La signora gli domandò: Ma come va che questo cane avrebbe ormai tanti anni più che non ne possa avere la vita ordinaria dei cani? - Don Bosco le rispose sorridendo: - Sarà stato un figlio o un nipote di quello là. - In altra occasione fu interrogato, che forma avesse. - Era un cane, - diss'egli con tutta naturalezza[35]. [37]

                Perchè la casa di Vallecrosia fosse veramente in grado di tener testa ai protestanti, che disponevano di mezzi ingenti, occorrevano ancora forti spese. In simili necessità Don Bosco soleva ricorrere a lotterie. Ne concertò una col Direttore; poi da Marsiglia gli fece spedire il testo di una circolare da mettere in istampa e inviare ai principali signori della regione [38] ligure per chiederne l'appoggio con l'invio di doni[36]. Trattandosi di opera benefica, si riteneva sicura l'autorizzazione prefettizia, voluta dalla legge; venne al contrario un veto formale, che obbligò a sospendere ogni cosa.

                Nel pomeriggio del 14 febbraio si doveva partire per Mentone; ma la lentezza della carrozza fece perdere il treno che andava in Francia; la conseguenza fu che col treno successivo s'arrivò quando mancava poco alla mezzanotte. Ve l'aveva invitato un lord inglese, forse una sua conoscenza di Cannes, ma a quell'ora, non sapendosi dov'egli abitava, errarono parecchio prima d'imbattersi in chi ne indicasse la dimora. Finalmente trovarono il luogo e Don Bosco potè prendere un po' di riposo, del quale sentiva estremo bisogno La dimane celebrò nella cappella di un vicino istituto. Cercò pure del signor Saint - Genest, il rinomato scrittore del Figaro[37]; ma inutilmente, perchè egli era partito da Mentone pochi giorni avanti.

                Quando giunse a Nizza, quei confratelli che lo temevano alquanto incomodato, furono lietissimi di vederlo in condizioni di salute soddisfacenti. Dio benediceva il suo viaggio; infatti generosi oblatori rispondevano al suo desiderio di trovare mezzi con cui sostenere, ingrandire e moltiplicare le sue opere di bene. Uno solo gli offerse con che pagare il più grosso debito che gravava sulla casa di Nizza. Anche le conferenze tenute nella solita chiesa della Madonna e nel Patronage ebbero discreto esito. Il Pensiero, giornale italiano del luogo, dandone relazione, scriveva: “Nulla è più semplice, nulla più naturale della parola di Don Bosco; l'uomo che è tutto carità, parlando vi accende della sua medesima passione”.

                Un giorno gli si presentò una signorina e gli raccontò una miracolosa storia. Sordomuta dalla nascita, l'anno innanzi i suoi genitori l'avevano condotta a Don Bosco, perchè la benedicesse. Don Bosco, datale la benedizione, aveva poi [39] prescritto ai parenti alcune preghiere da recitarsi per un determinato tempo. Fatte le preghiere fino al termine fissato, la sordomuta udiva e parlava a perfezione: la sua stessa presenza ne faceva fede. - Ora, conchiuse con scioltezza di loquela, io sono grandemente in debito con Maria Ausiliatrice e domando in che modo vi possa soddisfare. - È facile imaginare qual fosse la risposta[38].

                Uno spiacevole incidente atterrì per un istante il direttore Don Ronchail e il barone Héraud; ma fortunatamente fu assai più la paura che il danno. Nel pomeriggio del 24 febbraio Don Bosco uscì in compagnia degli anzidetti per andar a visitare monsignor Balain, Vescovo di Nizza, e poscia a vedere un terreno che si aveva intenzione di offrire gratuitamente, posto il caso che, come sembrava, il Governo procedesse all'esproprio dell'immobile di Piazza d'Armi nell'intendimento di costruirvi una caserma. Don Bosco volle fare il tragitto interamente a piedi e arrivato al torrente Paglione, invece di proseguire fino al ponte Garibaldi, preferì abbreviare d'un buon tratto la strada, traversando l'alveo della corrente. Aveva fatto così in senso inverso sette anni prima, e precisamente il 24 febbraio, allorchè era a venuto a comperare la villa Gautier; desiderava dunque commemorare quell'anniversario. Il letto, come suole riscontrarsi nei torrenti, era larghissimo, mentre il corso dell'acqua era in proporzione assai povero; pure acqua ce n'era e in tre punti bisognava camminare su passerelle lunghette. Con brio giovanile Don Bosco, ricordando a' suoi compagni di essere stato già valente acrobata, vi si avviò senz'aiuto del Direttore e del Barone, che uno davanti e l'altro appresso gli volevano dare la mano. Per le due prime tavole e fin quasi all'estremità della terza tutto andò benone; ma in capo a questa gli fallì il piede destro e cadde nell'acqua. Oh pover préive! gridarono esterrefatte parecchie lavandaie piemontesi là sotto. Fu un brutto momento per Don Ronchail, [40] che sapeva in che stato Don Bosco avesse le gambe. Per buona sorte si alzò subito in piedi, sicchè senza gran difficoltà lo trassero a riva, mentr'egli salutava il suo pastrano che, tenuto da lui sulle spalle, gli era caduto continuando a navigare per proprio conto e navigò un dugento metri. Tutto intriso e grondante acqua, fu fatto montare in una carrozza, che lo ricondusse rapidamente a casa. Non trovandosi con che cambiargli i vestiti, della qual povertà domestica egli si rallegrò assai, il Direttore lo fece mettere a letto. Dopo tutto da quell'avventura ebbe vantaggio, perchè potè prendersi tranquillamente alcune ore di riposo; gli amici poi, udito che Don Bosco erasi dovuto coricare, perchè in tutta la casa non si trovò di che cambiargli i panni addosso, fecero a gara per provvedere.

                Sulle prime in casa non si seppe nulla dell'incidente; solo, a quanti interrogavano, si rispondeva che Don Bosco si sentiva un po'stanco; ma il dì appresso, nel pranzo solenne dinanzi a una ventina d'invitati, egli raccontò per filo e per segno la sua caduta nel Paglione e il bagno forzato. Quel buon umore poi del barone Héraud ne immaginò una delle sue. Mise in giro una fotografia col panorama di Nizza, sii cui aveva disegnato un monumento nel posto della caduta e sotto il monumento aveva scritto un'epigrafe che diceva:

                24 FEBBBAIO 1883 - DON BOSCO SALVATO DALLE ACQUE - DEL PAGLIONE - UN AMICO DEVOTO E GIUBILANTE[39].

                In un momento di libertà, volle visitare la cucina, tenuta dalle Suore. Mentr'egli osservava qua e là, suor Caterina Cei, movendo una pentola n'ebbe il modestino un po' macchiato di brodo. Allora il Servo di Dio, dicendole che tale macchierella rendeva impresentabile il modestino, sebbene fosse candido, soggiunse: - Così l'anima che in morte avesse anche solo una macchiolina, non sarebbe ammessa nella gloria del Cielo, ma dovrebbe purificarsi nel Purgatorio. - Lo accompagnava [41] il Direttore e discorrevano delle angustie finanziarie della casa. Don Ronchail disse che era costretto a disturbare sovente i benefattori, i quali talvolta ne parevano stanchi e glielo facevano anche capire. Don Bosco gli rispose nel suo bel piemontese: - Fatti furbo. I danari siano per i tuoi figli e le mortificazioni tientele per te.

                Fu da lui a Nizza una signora Mariangela Laroche di Vallières nella diocesi di Limoges, solita a passare col marito l'inverno sulla Costa Azzurra e incontratasi già altre volte con Don Bosco. Quel giorno aveva una spina nel cuore. Sostenevano essi nel loro villaggio una scuola libera tenuta da suore ed ecco arrivare un giornale del dipartimento con la notizia che la superiora veniva accusata d'aver scagliato fulmini contro il matrimonio civile. Reato imperdonabile in quel periodo di guerra a oltranza contro le scuole dei religiosi. Si annunziava già un ricorso al Procuratore della Repubblica da parte del Consiglio municipale, invocante la chiusura immediata della scuola cattolica. La signora dunque veniva a sfogarsi con Don Bosco e a chiedere consiglio. Don Bosco, che doveva partire in giornata ed era in faccende, le diede udienza. Ascoltatala con tutta calma e raccoltosi alcuni istanti, le disse in tono risoluto: - La scuola non sarà chiusa. - Ripetè la frase ancora un paio di volte e in fine soggiunse: - Ma bisogna partire...

                 - Siamo in pieno inverno, osservò la signora. Nei nostri paesi c'è la neve e per la nostra salute sarebbe imprudenza esporci ai rigori di quella temperatura. Il viaggio finirebbe male.

                 - Bisogna partire, ripetè Don Bosco in tono imperativo che non ammetteva replica.

                Dinanzi a tanta risolutezza, marito e moglie piegarono il capo e intrapresero il lungo viaggio. Arrivarono in paese sulla mezzanotte. Il rumore della carrozza svegliò gente. I buoni si rallegrarono della loro presenza per la difesa delle oppresse; gli altri non sapevano più che fare. I denunziatori [42] sconcertati si adunarono prima del giorno e decisero di ritirare la denunzia. Avevano sperato, che mancando gli unici atti a parare il colpo, la loro manovra non avrebbe incontrato ostacolo; invece vi fu vittoria senza combattimento. “Bastò obbedire a Don Bosco e arrivare in tempo, scrisse la signora. Dio aveva dato avveramento alla profezia del suo fedel servo”.

                Colei che era stata così docile alla parola di Don Bosco, aveva già avuto in antecedenza una prova lampante della santità di lui. Da tre anni portava il broncio alla suocera a motivo di torti da quella fatti al suo figlio e proprio marito. Non la visitava più, non le scriveva più, aveva tagliato tutti i ponti. Il suo direttore spirituale, ogni cosa ben ponderata, trovava non esserci odio e giudicava meglio lasciar correre. Intanto però la suocera a lungo andare avrebbe voluto fare la pace; quindi mise in mezzo varie persone, ma senza pro. Un bel giorno prese la penna e scrisse alla nuora, doni andandole perdono dei dispiaceri causatile; ma l'altra tenne duro.

                Il dissidio era a questo punto, quando la signora venne a Nizza e inteso esservi Don Bosco, gli fece visita. Diversamente da altre volte, egli la ricevette con una fredda sostenutezza e fin dalle prime le disse: - Figliuola, lei non è a posto[40]. - Se già il contegno l'aveva allarmata, queste parole la sconvolsero, tanto più che Don Bosco glie le ripeteva di tratto in tratto. Lo pregò di spiegarsi. Egli le rispose di andare davanti a Gesù Sacramentato e pregarlo che la illuminasse. Essendo l'ora tarda, non rivide nella giornata il Servo di Dio. La mattina seguente dopo la Messa ascoltò una predica; l'argomento era: carità e perdono delle offese. Tosto si fece in lei la luce e la prese un senso di sgomento per essere stata tre anni senza mai esaminare a fondo la propria coscienza. Si gettò ai piedi d'un confessore e tornata di lì a poco da Don Bosco, questi, appena la vide, senza lasciarle aprir bocca: - Oh figliuola, esclamò, oggi lei è a posto. [43]

                Ha perdonato generosamente e nella sua lettera ha versato tutto il suo cuore. Dio è contento di lei. - Infatti subito dopo essersi confessata aveva scritto con effusione d'affetto alla suocera[41].

                Da Nizza andò a Cannes. Su quell'andata, durante la quale il treno fece varie fermate, Don De Barruel informava: “Dappertutto dove è noto il passaggio di Don Bosco vi è tino slancio tale verso di lui, che, essendosi una volta trovato presente il padre Manin, antico missionario e scrittore della vita del celebre e venerabile curato d'Ars, diceva: Ce sont les mêmes scènes qui à Ars, et je m'y croirais encore [sono le stesse scene di Ars e mi par quasi di trovarmici ancora]”[42].

                Stette a Cannes alcuni giorni. Gli dava ospitalità il marchese di La Croix Laval. Un giorno la Marchesa, mostrandogli i suoi nipotini, gli disse: - Vorrei, Padre, che di questi ragazzi parecchi si facessero preti. - Ed egli: - Signora Marchesa, uno solo si farà. - La profezia si avverò nella persona dell'abate di Saint Trivier, incardinato alla diocesi di Digione.

                Il 2 marzo fece colazione da un signore di 85 anni, al quale l'aveva condotto l'affezionato Cooperatore monsignor Guigou, cappellano in un'importante casa di salute. Tutti i suoi familiari desideravano ardentemente che il vegliardo ritornasse alle pratiche religiose. La presenza di Don Bosco produsse nella famiglia una grande impressione, nè fu senza salutare effetto anche sull'animo di quell'uomo, come si vide nel luglio seguente. Poichè, tornato a Gérardmer, suo paese nativo e travagliato dalle sofferenze, invece di dare in ismanie, si determinò a riconciliarsi con Dio, dopo di che la sua salute parve migliorare; impossibilitato per altro a uscire, volle ricevere in casa la santa comunione. Inoltre, siccome da giovane [44] non era stato cresimato e si trovava di passaggio colà monsignor Turinaz, novello Vescovo di Nancy, sua diocesi, gli porse umile preghiera di amministrargli quel sacramento. La gioia de' suoi era al colmo[43].

                Molte persone dovette, come sempre, accostare in quel soggiorno popolato di doviziosi forestieri, parecchie comunità dovette visitare; ma ce ne mancano i documenti[44]. Don Ronchail narrava una scena che vivamente colpì lui e quanti ne furono testimoni, Mancavano cinque minuti alla partenza dei treno e Don Bosco stava per salire, quando due ufficiali superiori, forse colonnelli o generali, gli si avvicinarono salutandolo con il massimo rispetto e piegarono dinanzi a lui il ginocchio pregandolo di benedirli; il che egli fece con la più grande bontà e semplicità.

                Partito da Cannes, sostò a Fréjus per ossequiare il Vescovo. Quel Prelato gli chiese alcune medaglie di Maria Ausiliatrice, che voleva mandare a una nobile signorina di Parigi, sua figlioccia, gravemente inferma, anzi in pericolo di vita. L'ammalata, ricevuta una medaglia e messala al collo, cominciò una novena, a metà della quale era guarita. Giunto poi Don Bosco a Parigi, mentre distribuiva medaglie alla gente affollataglisi intorno, anche la figlioccia di Monsignore gli si appressò e glie ne domandò una. Egli che non l'aveva mai veduta, la guardò e le disse: - A lei no, perchè l'ebbe già dal Vescovo di Fréjus, suo padrino[45].

                Il Vescovo aveva disposto che egli, volendo, potesse parlare al popolo nella cattedrale. Dopo il discorso un signore della città per nome Fabre, padre dell'attuale sindaco [1934] gli si presentò in sacrestia per raccomandare alle sue preghiere la propria moglie, molto ammalata e in procinto di perdere la vista. Il santo benedisse un oggetto di divozione appartenente [45] all'inferma e poi soggiunse: - Le dica che non morrà cieca. - Infatti cessò di vivere in età avanzata, conservando sempre il vedere. Patì forti dolori d'occhi; specialisti della Facoltà di Montpellier consigliarono l'intervento chirurgico; ma essa non volle mai saperne, ripetendo sempre:  - Don Bosco mi assicurò che non sarei morta cieca.

                Parecchie signore si fecero allora zelatrici delle opere salesiane; una zitella fra le altre fu per molti anni così attiva in raccogliere sottoscrizioni e indumenti a pio degli orfanelli di Don Bosco, che un sempliciotto della città, incontrandola per via, soleva salutarla dicendo: - Buon giorno, signora Don Bosco.

                La sera del 6 lo troviamo alla Navarre[46]. Accolto con grida di gioia da quei giovanetti, entrò nella nuova casa. I lavori intrapresi da men di un anno erano stati eseguiti con tanta celerità che all'edifizio non mancava più se non la benedizione di Don Bosco Subito all'ingresso si svolse in suo onore una cordiale accademiola, terminata la quale, egli disse: - Quando un padre ritorna dopo lunga assenza in mezzo a' suoi figli, ognuno di essi gli dice: Buon giorno, padre; buon giorno, papà. E questo dice già tutto. Voi avete voluto fare di più. Ebbene io mi rallegro con voi: nella musica dall'anno scorso avete progredito. Amo credere che abbiate fatto altrettanto nella bontà e nel sapere. Continuate a crescere in grazia e in buona salute davanti a Dio e davanti agli uomini e... procurate di aver sempre buon appetito.

                Nel pomeriggio del 7 benedisse solennemente il novello edifizio; quindi compiè un'altra cerimonia. La cappella usata fino allora non bastava più al cresciuto numero dei giovani. In previsione appunto di tale insufficienza nel maggio del 1882 egli aveva prospettato al conte Colle la necessità di provvedere sollecitamente a questo bisogno e il Conte gli [46] aveva promesso a tal uopo un'offerta di ventimila franchi; onde fu deliberata senz'altro l'erezione di una chiesa decorosa e capace. Al suo passaggio pertanto i preparativi erano ultimati, sicchè egli potè già benedire la pietra angolare. Faceva un tempaccio quel giorno; tuttavia i più insigni benefattori della casa intervennero alla doppia funzione[47].

                L'8 marzo, dopo la Messa, fra le lacrime e gli evviva de' suoi cari figli il buon Padre si rimetteva in via per Hyères[48] e Tolone. A Tolone fu per alcuni giorni ospite desideratissimo dei conti Colle, ai quali narrò delle tre ore di ferrovia passate in conversazione con il loro figlio Luigi morto da due anni[49].

                Un bel numero d'incontri ebbe Don Bosco nella sua vita con fondatori e fondatrici di Congregazioni religiose. A Tolone incontrò un giovane che divenne il padre Felice Rougier, tuttora vivente nel Messico, dove ha fondato la Congregazione dello Spirito Santo. Nel 1878 a diciott'anni egli era novizio dei Maristi a Lione; ma una piaga al polso destro, ribelle ad ogni cura, lo costrinse a ritornare in famiglia. Cinque anni dopo tutto il braccio non era più che pelle e ossa. La madre, che venerava molto Don Bosco, lo presentò al Santo in Tolone, pregandolo di benedirglielo e di ottenergli la guarigione, affinchè potesse farsi prete. Il giovane gli s'inginocchiò davanti. Don Bosco, presogli il capo fra le mani e fatta breve preghiera, gli diede la benedizione. L'effetto fu immediato, perchè i dolori cessarono, la piaga si chiuse e il braccio in breve non presentò più alcuna anomalia. In memoria del prodigio S. Giovanni Bosco è onorato dal padre Rugier e da' suoi figli come Patrono speciale della Congregazione. [47]

                La sera del 16 marzo grande festa nell’oratorio di S. Leone a Marsiglia per l'arrivo di Don Bosco[50]. Ma delle cose fatte colà una minima parte solamente conosciamo; narreremo quel poco.

                Una notizia generale si legge nella già citata circolare di Don Rua agli Ispettori: “Circa la metà del corrente mese arrivò a Marsiglia, donde ci scrivono che Don Bosco è tutto occupato dai forestieri; in ogni tempo si vedono entrare nella casa vetture con ammalati più o meno disperati, che vengono a ricevere la sua benedizione in cui hanno una fiducia illimitata”. Tutto questo andirivieni però non lo occupava talmente da non lasciargli portate il pensiero anche ad affari lontani. Pensava alla chiesa del Sacro Cuore, scopo precipuo del suo viaggio; pensava alle Missioni. A Lione gli sarebbe tornato utile un documento della Segreteria di Stato, che equivalesse a un riconoscimento positivo delle Missioni salesiane da parte della Santa Sede. Per l'una e per l'altra cosa scriveva da Marsiglia al Procuratore.

 

                               Carissimo D. Dalmazzo,

 

                lo faccio quel elle posso; ma bisogna che tu e D. Savio vi adoperiate a cercar danaro.

                Per tua norma furono spediti: Frac. 3000 da Cannes per mezzo di D. Ronchail. Questa somma è estranea a quella che per isbaglio era stata diretta a Mons. Macchi.

                Altri franc. 2000 furono inviati da Hyères.

                Questa settimana non riceverai altra somma. Farò di più quando sarò partito di qui; perchè si tratta di pagare forti debiti per le case nostre.

                Sarebbe sommamente vantaggioso se Mons. Jacobini giudicasse di farci uno scritto qualunque in cui dicesse:

I° Col beneplacito e sotto gli ordini del S. Padre Pio IX furono cominciate le missioni dell'Uruguai e della Patagonia.

2° Che in questo momento si tratta alla Sacra Congregazione di Propaganda di dividere la Patagonia in tre Vicariati secondo il desiderio del S. Padre.

3° Queste Missioni sono raccomandate alla pia Opera della [48] Propagazione della fede affinchè siano prese in benevola protezione.

                Fatevi coraggio: danaro non manca in Roma. Scriverò appena fuori di questi tafferugli.

                Quaerite et invenietis.

                Dio ci benedica tutti.

 

                Marsiglia, 19 marzo 1883.

Aff.mo amico

Sac.Bosco Giov.

 

                Il 29 fu giornata dei Cooperatori[51]. Dopo la Messa Don Bosco benedisse una bella statua di Maria Ausiliatrice, dono di una pia famiglia marsigliese e destinata alla cappella dell'oratorio. Compiuto il sacro rito, egli si rallegrò con i divoti astanti della fede che vedeva in Marsiglia non solo fra poveri, ma anche fra la nobiltà; non solo di donne, ma anche di uomini; ne lodò la frequenza ai sacramenti; esortò a perseveranza e a confidenza in Maria Ausiliatrice. Alla riunione pomeridiana presiedette il Vescovo; gli ultimi arrivati non trovarono più posto nemmeno nelle adiacenze della cappella. Don Bosco, premesso un esordio di opportunità, fece un resoconto sullo stato delle case salesiane in Francia, seguendo l'ordine da lui tenuto nel visitarle. Parlò naturalmente in francese. L'abate Mendre che, creato parroco di S. Trofimo, non potè più compilare la sua relazione, dopo l'adunanza, parlando con Don Albera del discorso di Don Bosco, gli disse: - L'eloquenza di Don Bosco non è quella degli altri. Sì, parla diversamente dagli altri, ma piace sempre. - Cominciò dunque a dire di Nizza.

 

                A Nizza trovai fatta di nuovo urta casa per le suore addette all'Istituto, un locale acconcio a impiantarvi alcuni laboratorii di più e una cappella per le funzioni religiose. Quelle fabbriche permisero di portare il numero dei giovani da cento a duecento. Cento giovani di più che apprendono un mestiere, ricevono i principii delle lettere e delle scienze e imparano a conoscere e amare Dio è cosa molto consolante. [49]

                Da Nizza passai alla Navarra presso Tolone. Quivi, come sapete, abbiamo raccolto orfanelli abbandonati della campagna; è una colonia agricola che ha già dati buoni frutti e si prepara a darne di migliori. L'anno scorso esisteva appena una vecchia casupola che minacciava rovina. Occorreva un pronto riparo. I mezzi mancavano; tuttavia si confidò in Dio e si benedisse la prima pietra di un nuovo e ampio fabbricato, capace di oltre centocinquanta giovani. Oggi è finito e chi, al pari di me, abbia visto l'anno passato quello che vi era e vegga adesso quello che vi è, non può non rimanere stupito e non ringraziare il Signore che ci abbia così visibilmente protetti.

                Fra le case fuori di Marsiglia mi resta a parlare di St - Cyr. I pericoli e le seduzioni, a cui stanno esposti i giovani delle campagne sono, direi quasi, maggiori per le povere orfanelle. D'ordinario per guadagnarsi da vivere debbono andare nelle città e adattarsi a ogni mestiere, a ogni servizio. Da una parte la mancanza di educazione e di religione, dall'altra lo scandalo, la corruzione, la malizia fanno strage. Chi può contare tutte le vittime? Chi può dire quante di queste creature ritornano ancora alle loro case quali erano partite? Voi vedete che urge opporsi a tanti pericoli di pervertimento. Era dunque necessario pensare alle orfanelle della campagna, ed anche a questo si è provveduto. Eccovi la casa di St - Cyr aperta a questo scopo. Una quarantina di fanciulle sono ivi mantenute, istruite, educate; lavorano la terra, ricevono l'istruzione intellettuale, religiosa e morale; imparano ciò che è conforme al loro sesso e alla loro condizione, e così si preparano all'avvenire.

                Ma questa casa, lo dico con rincrescimento, per essere troppo discosta dai centri popolati, è poco conosciuta e non gode di quella carità che sostiene e fa fiorire quelle di Nizza, di Navarra e di Marsiglia. Si vorrebbe raddoppiare e magari triplicare il numero delle ricoverate, ma al presente i mezzi mancano. Non ci manca però la speranza di poter cominciare fra poco un nuovo edifizio anche là. Avendo bandita la guerra all'inferno, non ci lasceremo vincere in operosità dai figli delle tenebre.

                Del nostro oratorio di Marsiglia non occorrono molte parole; vedete anche voi quanto si è fatto. Finita questa cappella, comperato il terreno per un terzo fabbricato, siamo stati costretti a tirar su un nuovo tratto di casa per toglierei dalla vista di chi ci sta d'intorno. La fabbrica sarà quanto prima abitabile e si potrà così portare il numero dei giovani da trecento, quanti sono oggi, a quattrocento e più Per tutto questo, si capisce, ci sono voluti denari e in mancanza di danari far debiti. Sapete qual ne è l'ammontare in questa parte? Centomila franchi! Eccovi il primo saluto fattomi dai superiori della casa! Mi si presenta una nota da saldare, che ne comprende una serie di altri minori per poco meno di duecentomila franchi! Ora si tratta di venire al concreto, di soddisfare cioè ai creditori, che non si contentano [50] di parole; bisogna cercar i mezzi. Qualcuno proporrà la preghiera; ma le preghiere non bastano, con le preghiere bisogna unire le opere. E non solo i creditori, ma neanche i nostri giovani si contentano di preghiere. Essi mangiano pane, ne mangiano molto e per quanto si faccia e si dica perchè smettano quest'abitudine, non ne vogliono sapere nemmeno per un giorno solo. Non pretendono leccornie, no; ma pane e minestra a sazietà, ecco il vitto che pretendono e che noi dobbiamo somministrare.

                Si domanderà: - Dunque come si ha da fare a estinguere una così grossa partita? - A Torino è stata condotta a termine, non è gran tempo, una bellissima chiesa, che ad opera finita costò poco meno di un milione. Orbene sapete quanto denaro si aveva in tasca al cominciamento dei lavori? Otto soldi. Quella settimana si era in pena sul come pagare gli operai, quando il Superiore vien chiamato al letto di una signora inferma, la quale, non sperando più sollievo da umani rimedi, intendeva riporre tutta la sua confidenza in Dio e nell'intercessione di Maria Ausiliatrice. - Certo, le rispondeva il sacerdote, Maria l'aiuterà; ma è necessario che anche lei faccia quello che può dal canto suo. Anzitutto preghi e preghi di cuore, recitando per una novena tre Pater, Ave e Gloria ogni giorno con una Salve Regina.

                 - Ah, questo lo farò ben volentieri e con la maggior divozione.

                 - Ma non è sufficiente, aggiunse il Superiore. Lei deve fare qualche opera in onore della Madonna e mi deve aiutare nell'opera che ho cominciata (e le disse quale). Non so proprio dove dare il capo per pagare gli operai sabato prossimo, e lei dovrebbe incaricarsi di soddisfarli per me.

                 - Anche questo prometto di fare; la Madonna mi conceda la grazia di potere per sabato muovermi da questo letto. Ma quanto ci vorrà?

                 - Per questa settimana occorrono mille lire.

                 - Ebbene, ritorni sabato e le avrà.

                Il Superiore nel giorno stabilito torna dopo mezzodì alla casa dell'ammalata; bussa alla porta e alla cameriera corsa ad aprire domanda notizie della padrona. - Oh, Padre! É bell'e guarita. Si è alzata e non contenta di passeggiare nella stanza è uscita per andare alla chiesa.

                 - Sia lode a Dio, esclamò il sacerdote. Ma non ha lasciato nulla da consegnarmi?

                In quella entra la signora, racconta la guarigione, offre la somma promessa e continua ad aiutare la santa impresa fino a che non fu condotta a compimento.

                Ecco, signori, uno dei molti fatti, che diedero vita al santuario di Maria Ausiliatrice in Torino. Del milione speso ben ottocentomila [51] lire possiamo dirle offerte per grazie ricevute ad intercessione della Madre di Dio, Quello che fu a Torino, spero che si abbia a rinnovare in Marsiglia per l'oratorio di S. Leone.

 

                Fatti i ringraziamenti a chi di ragione, disse dei progressi recentemente compiuti in varie parti e conchiuse con il date et dabitur vobis[52]. Di qui prese lo spunto Monsignor Vescovo. Animati i Cooperatori a cooperare con Don Bosco, strumento della divina Provvidenza, e stimolati tutti i presenti a operare il bene con l'esempio e con le limosine, se n'uscì con una graziosa storiella. - Nell'Africa settentrionale, disse in sentenza, c'era un convento che non possedeva nulla, eppure con la carità dei fedeli manteneva i suoi religiosi e buon numero di poveri; ma col tempo le limosine diminuirono a segno che si versava in gravi strettezze. Il superiore impensierito, non sapendo come tirare innanzi, andò a trovare un suo collega, esso pure capo di comunità, e gli espose le sue condizioni. Quegli, com'ebbe compreso dalle sue parole che colà per tema di ridursi al verde si erano prima diminuite gradatamente e poi soppresse del tutto le limosine ai poverelli, trovò subito la spiegazione dell'accaduto. In quella casa vivevano due sorelle una di nome Date e l'altra di nome Dabitur; cacciata via sorella Date, se n'era andata con lei anche sorella Dabitur, lasciando i religiosi nella miseria. - Gli uditori sorrisero e trassero la morale che beneficare il prossimo è ricevere da Dio ogni sorta di benedizioni.

                Le somme raccolte da Don Bosco nelle due settimane che passò a Marsiglia, servirono per apportare all'oratorio di S. Leone un sollievo momentaneo e insufficiente. Com'ei riconobbe, la città attraversava allora un periodo di disagio [52] finanziario, che non permetteva le larghezze dei tempi normali. In vista di queste condizioni moderò alquanto il suo appello alla carità, riservandosi di cercare anche altrove i necessari sussidi. Contemporaneamente gli erano pervenute proposte concrete e lusinghiere da Lilla e da Barcellona. Raffrontando le due cose, l'abate Guiol ne cavava argomento per incoraggiare le signore del comitato marsigliese. “La Provvidenza, diss'egli[53], si manifesta ognora, visibilmente in favore dell'opera di Don Bosco e conferma con la continuità della sua protezione la parola di Pio IX: - Don Bosco è un apostolo, e io ho in lui la massima fiducia. - Infatti nelle sue case e fra la mobile popolazione ivi da lui radunata domina un sensibile influsso, che è irradiazione della santità di lui. I ragazzi dell'oratorio S. Leone con il loro contegno pio e raccolto sono una vela predicazione e spesse volte nelle solenni cerimonie della parrocchia ha riguadagnate alla casa simpatie di persone che se n'erano alienate. La bontà dei giovani ha fatto apprezzare l'eccellenza dell'opera ed è stata un buon richiamo più efficace di tutte le spiegazioni e raccomandazioni”.

                Un episodietto della venerazione che circondava Don Bosco a Marsiglia, accadde nel seminario. Un ricco signore e gran benefattore della casa desiderava procurare al suo figlio chierico l'improvvisata di una visita da parte di Don Bosco. Don Bosco acconsenti a lasciarvisi condurre. In seminario chiesero del Rettore; venne loro risposto che non c'era. Chiesero del vicerettore, e questi comparve e con urbanità, ma con sussiego domandò che cosa volessero da lui.

                 - La licenza di poter vedere il giovane Olive, rispose il padre.

                 - Non si può. I seminaristi sono a scuola.

                 - Ma questo è un caso eccezionale, osservò Don Bosco. [53] Si tratta di un forestiero suo amico, che non può ritornare una seconda volta.

                 - Mi rincresce che Ella si trovi in tale circostanza. É un caso, nel quale il solo Rettore potrebbe fare un'eccezione. Io non mi prenderò certamente simile arbitrio.

                 - Eppure ci deve accordare questo favore, replicò Don Bosco. Io sono certissimo che avrà l'approvazione del suo superiore.

                 - Perdoni, ma io non entro nelle intenzioni del superiore. Io ho la regola e basta.

                La tenzone si protrasse fra la gentile insistenza da una parte e il rifiuto cortese dall'altra, finchè il padre del chierico, perduta la pazienza, vi pose termine, dicendo stizzito al vicerettore:

                 - Ma sa lei con chi parla?

                 - Lo vedo: parlo con un sacerdote, che suppongo persona di merito, non foss'altro, perchè è in sua compagnia. Ma questa non è una ragione, che mi autorizzi a trasgredire la regola.

                 - Questi è Don Bosco! gli gridò il signor Olive.

                 - Questi è Don Bosco? - esclamò il degno sacerdote. E ciò detto, cadde in ginocchio e ripetendo: - Don Bosco! Don Bosco! - gli baciava con trasporto le mani. Poi volò a sonare la campana, gridando: - Don Bosco! Don Bosco!

                A quel suono, a quelle voci corsero fuori dalle aule professori e alunni, gridando essi pure: - Don Bosco! Don Bosco! - Si precipitarono per le scale, gli si strinsero intorno e gli afferravano le mani per baciargliele. Fu una scena di commovente entusiasmo.

                Nel frattempo rientrava il Rettore, che, fatti ritirare i chierici in una sala, vi condusse Don Bosco, pregandolo di dir loro una parola. Tutti si aspettavano chi sa che cosa; ma Don Bosco con tutta semplicità prese a interrogarli:

                 - Quanti diaconi siete?

                 - Tanti.

                 - Quanti suddiaconi? [54]

                 - Tanti.

                 - Ebbene, ascoltate una grande verità. Voi tutti un giorno che non è molto lontano, sarete preti; ora non dimenticate mai quello che sto per dirvi. Un prete o in paradiso o nell'inferno non va mai solo: vanno sempre con lui in gran numero anime o salvate col suo santo ministero e col suo buon esempio o perdute con la sua negligenza nell'adempimento dei propri doveri e col suo malo esempio. Ricordatevelo bene. - Confortò quindi il suo asserto con fatti della storia ecclesiastica.

                In un'ora di suprema angoscia per la famiglia Olive la parola di Don Bosco aveva apportato un raggio di conforto. Nella così detta campagna contro i Krumiri in Algeria[54], due figli del signor Olive facevano parte delle truppe di operazione. La madre ne scrisse a Don Bosco, il quale rispose che nessuno dei due sarebbe morto in quella guerra. Ma, essendo scoppiata fra i soldati una grande mortalità, uno di essi, colpito da tifoidea, soccombette. La madre tornò a scrivere, ricordando a Don Bosco la sua profezia. Egli rispose d'aver visitato allora i campi di battaglia ed esaminando i cadaveri, non aver visto i suoi figli; aver egli detto che non sarebbero morti in guerra. Riguardo poi al secondo, assalito dallo stesso male, assicurò che, quand'egli venisse a Marsiglia e fosse a pranzo dalla famiglia Olive, quel figlio sarebbe il re della festa, sedendo al posto d'onore E così fu, asserisce Don Lemoyne, che udì il racconto dal padre[55].

                Questa famiglia Olive non ha che vedere con l'altra omonima, da cui ci venne il nostro Don Lodovico, morto nel 1919 missionario della Cina. Pare che egli, giovane di sedici [55] anni, avesse appunto nel 1883 il suo primo incontro con Don Bosco. Allora fu che una zelante Cooperatrice mise gli Olive in relazione col Servo di Dio, il quale accettò da essi un invito a pranzo. La numerosa figliuolanza, tredici fra maschi e femmine, attrasse subito la sua attenzione. Dopo il pranzo li volle passare tutti in rassegna, dicendo a ciascuno la sua paroletta. Arrivato il turno di Lodovico, lo fissò con uno sguardo penetrante e poi, rivolto alla madre, disse: Questo sarà per Don Bosco. - Era il beniamino della mamma; pure quella donna profondamente cristiana ne farà nel 1886 un'offerta al Signore per le mani del santo suo Servo[56].

                Il nome di monsieur Olive diventò popolare nell'Oratorio per una sua fantasia. Nel 1883, venuto a Valdocco e festeggiato come si costumava fare all'arrivo d'insigni benefattori, discese dopo il pranzo fra i giovani nel cortile e disse che in un giorno, che Don Bosco avrebbe fissato, voleva far loro mangiare mezzo pollastro per ciascuno. Partito lui, nel giorno sospirato bisognò andare in cerca di cinquecento polli. A Porta Palazzo, gran mercato generale di Torino, i venditori di piazza esponevano di buonora qua e là, appesi a stanghe, lunghe file di quei poveri volatili uccisi e spennacchiati la sera antecedente; sull'alba poi i fornitori degli alberghi si affrettavano per i primi a farne acquisto. Ma quella mattina con loro sorpresa non ne trovavano più da nessuna parte e ad ogni banco si sentivano ripetere: - Li ha portati via tutti Don Bosco. - Infatti il famoso Rossi, cuoco della casa, che conosceva l'usanza dei compratori, ne aveva per tempissimo fatta universale incetta. Si udivano commenti facili a immaginarsi, nacquero anche alterchi di clienti assidui con i loro favoriti; ma tant'era, quella volta il pollame di Porta Palazzo bolliva nelle pentole dell'Oratorio.

                Diremo ancora di tre fatti, che ebbero dello straordinario [56] quantunque il primo appartenga al 1882[57]. Alla vigilia della conferenza Don Bosco rivide nella casa di Marsiglia due persone, che venivano a ringraziare ben di cuore Maria Ausiliatrice. L'II febbraio dell'anno antecedente una donna gli aveva presentato un suo figlio affetto da un male, secondo i medici, incurabile: una pustola maligna gli affliggeva l'occhio sinistro, nè c'era altro rimedio che l'estrazione del bulbo. Don Bosco, raccomandata alla madre e al figlio grande fiducia in Maria Ausiliatrice, aveva impartito all'infermo la benedizione della Madonna, e la grazia non erasi fatta aspettare; poichè non passarono tre giorni, che l'occhio ritornava nel suo stato normale e per la solennità dell'Ascensione anche ogni debolezza dell'organo visivo era cessata. Coi ringraziamenti alla Madonna rimisero a Don Bosco la loro discreta offerta.

                Il secondo fatto s'iniziò nel giorno stesso della conferenza. In un telegramma del 29 aprile da Berna la contessa di Aure annunziava a Don Bosco che il suo consorte, colto da polmonite con complicazione alla meninge, soffriva acerbi dolori; ricorreva perciò alle preghiere di lui e de' suoi buoni giovanetti per ottenere all'infermo un po' di sollievo. La mattina dopo un nuovo telegramma ne annunziava le condizioni disperate e con più vive istanze chiedeva preghiere. Don Bosco fece immantinente pregare con questa intenzione. Passò quel giorno, spuntò il terzo ed ecco un ultimo telegramma concepito in questi semplici termini: Il est sauf [è salvo].La prodigiosa guarigione durevolmente si mantenne.

                Il terzo fatto si connette con l'andata di Don Bosco ad Avignone. I signori Almaric avevano colà una figlia da più di tre mesi ammalata e da qualche giorno anche spedita dai medici. I genitori si recarono in gran fretta a Marsiglia per supplicare Don Bosco che volesse andare a vederla e a darle la sua benedizione. Egli, che aveva già stabilito di fermarsi [57] ad Avignone, promise che li avrebbe accontentati. Con questa consolazione in cuore i desolati parenti fecero prontamente ritorno a casa loro.

                Una lettera alla signorina Clara Louvet, che si può vedere nell'Appendice ultima, sconcerterebbe tutta questa cronologia del viaggio, se non si ammettesse un errore nella data: “Marsiglia, 2 marzo”. Il 2 marzo, secondochè ivi si legge, Don Bosco sarebbe stato già a Marsiglia. Ora dal verbale del Comitato delle signore risulta in modo da escludere qualsiasi dubbio che egli a Marsiglia non fu prima del 16. È quindi da ritenere che dopo il 2 manchi una cifra, forse un altro 2[58]. L'itinerario abbozzato in detta lettera ebbe poi nel decorso del viaggio i suoi ritocchi.

                Partì dunque da Marsiglia il lunedì sera 2 aprile col segretario Don De Barruel. Per felice combinazione poterono prendere il direttissimo, che senza nessuna fermata li portò in due ore alla storica città dei Papi. La voce del suo arrivo aveva fatto accorrere alla stazione una folla numerosa, che lo aspettava all'uscita; ma per sottrarlo all'assalto di tanta moltitudine fu condotto segretamente fuori attraverso il caffè vicino e là montò in una vettura che infilò la via di gran carriera. La gente, accortasi di ciò, si diede a inseguirlo. “Era una cosa da ridere, scrive Don De Barruel, ma insieme consolante il vedere una così originale manifestazione di entusiasmo e di affettuosa venerazione”[59].

                In città Don Bosco discese dal signor Michele Bent, che teneva un gran negozio di arredi e oggetti sacri. Il magazzino benchè assai lungo, era tutto gremito di persone, che si stringevano [58] alle pareti per far ala al suo passaggio e riceverne la benedizione[60]. In quell'invasione di gente regnava però una tranquillità raccolta e silenziosa, che era indizio di una venerazione, della quale Don Bosco solo non si dava per inteso. Il signor Bent lo seguiva dappertutto per fargli riparo, vedendolo alquanto debole; perciò, il Santo lo chiamava suo angelo custode, come chiamava suo chierichetto, enfant de chœur, il figlio di lui, perchè gli serviva la Messa. Ma, non ostante queste cautele, gli tagliuzzarono tutta la veste per farne reliquie. Accortosi di quel lavorìo clandestino, disse bonariamente: - Mi si taglia la sottana; fosse almeno per darmene una nuova! - Difatti il suo ospite mandò il figlio Guglielmo a procurargliene una nuova, che fu pronta poco prima che venisse l'ora della partenza.

                La mattina appresso celebrò dalle dame del Sacro Cuore, una delle quali era sorella del suo segretario. Finita la Messa si vide letteralmente assediato da signore, che tutte volevano una benedizione individuale e una paroletta particolare. Cedendo poi alle istanze dell'Arciprete, accettò di parlare alle quattro pomeridiane nella chiesa primaziale di S. Agricola, dove nel 1371 il Papa Gregorio XI istituì il culto pubblico e liturgico di S. Giuseppe.

                La chiesa, che è vastissima, si riempì di fedeli, “come pocanzi nel dì della Pasqua, che non è dir poco”, osservava un giornale[61]. Un altro giornale riportava[62] una corrispondenza da Avignone, in cui si leggeva: “Ammiravamo non solo l'affluenza dei pii fedeli, che accorrevano a implorare un consiglio, una benedizione, un ricordo, ma anche l'amabile semplicità, l'umiltà sorridente e l'abnegazione del sant'uomo,  [59] che accoglieva e benediceva tutti, poveri, piccoli, infermi, come avrebbe fatto un Francesco di Sales, un Vincenzo de' Paoli, un venerabile curato d'Ars”. E della conferenza il medesimo foglio riferiva: “Dinanzi al suo immenso uditorio Don Bosco non potè non lodare la città dei Papi, fedele alle tradizioni del passato e profondamente cattolica, aggiungendo che in quel momento avrebbe voluto avere l'eloquenza dei più illustri oratori francesi, dei Fénelon, dei Bossuet, dei Dupanloup. Quindi cominciò a fare la storia degli Oratorii salesiani, scusandosi con singolare delicatezza di dover parlare della propria persona non per orgoglio, disse, ma per narrare semplicemente quello che si è fatto. É difficile descrivere quanto si prendesse gusto ad ascoltare quella sua parola a un tempo così ingenua, così apostolica e d'una sì mirabile lucidità; l'accento italiano e talvolta locuzioni straniere erano ben lungi dal guastare quel discorso”.

                Nella medesima chiesa tornò a dire la Messa il giorno dopo e ad ascoltarla venne pure la figlia dei signori Almaric. Andato a visitarla il dì innanzi, l'aveva trovata in pessime condizioni. Affetta da tisi polmonare, da tre mesi non lasciava più il letto: i medici le davano ancora al massimo quindici giorni di vita. Don Bosco, dopochè l'ebbe confortata, ordinò alla famiglia di fare la solita novena, promettendo di pregare anche lui e dicendo che l'ammalata sarebbe guarita, se tale fosse la volontà di Dio. I parenti avrebbero voluto che ella stessa domandasse espressamente a Don Bosco la guarigione; ma la buona figliuola, giovanetta di sedici anni, s'indusse a chiedergli soltanto di poter assistere alla sua Messa la mattina seguente. Don Bosco l'assicurò che vi sarebbe andata.

                Tutti di casa si prepararono per quella cerimonia. Rividero la sera il Servo di Dio, il quale confermò quanto aveva detto, aggiungendo che l'inferma avrebbe potuto anche ricevere la comunione tuttavia consigliò che per prudenza verso le tre o le quattro le somministrassero qualche ristoro: aver egli facoltà di autorizzare a ciò. Ma verso le sette, quand'era [60] tempo di andare, la poverina non si sentiva affatto di alzarsi. S'avviarono gli altri. Giunti in chiesa, ne fecero avvertito Don Bosco, il quale prontamente rispose: Si, si, elle viendra. Cosa sorprendente! Mentre il Santo proferiva quelle parole, l'ammalata disse improvvisamente alla sorella, sua assidua infermiera: - Credo di poter andare a Messa. - Infatti si levò, fu vestita in fretta, scese la scala e partì con la sorella in carrozza. Al loro entrare si produsse nella chiesa un movimento di stupore. La Messa era appena cominciata. L'inferma seguì senza fatica il santo sacrifizio, si comunicò, e rincasata stette in piedi parecchie ore, tanto che la condussero in vettura a fare una passeggiata. La guarigione non venne; tuttavia il miglioramento durò tanto da permettere di portarla in campagna. Là il 24 maggio con tutti i suoi ascoltò nuovamente la Messa e si comunicò senza sforzo nella parrocchia distante tre chilometri dalla proprietà. Alla sacra mensa si accostò pure il padre, notaio di Avignone, dopo molti anni che non faceva più pasqua, e questa fu considerata come una seconda grazia.

                Ben tosto ne succedette una terza. Nel 1883 la solennità di Maria Ausiliatrice fu trasferita per ragioni liturgiche al 5 di giugno. Orbene venne a quei signori l'idea di portare per tal giorno la loro ammalata a Torino. Il dottore consultato si oppose recisamente. Scrissero a Don Bosco, pregandolo di esprimere il suo parere. Don Bosco telegrafò di venire senza timore. L'accompagnarono sua madre, sua sorella e il cognato. - Poverina! non la ricondurranno a casa viva - disse il medico a un cugino dell'inferma. Invece il viaggio andò benissimo. Don Bosco li accolse con grande bontà e li invitò al pranzo della festa. Fecero naturalmente tutte le loro divozioni, presero parte al banchetto fra una corona numerosa d'invitati e sempre in compagnia della giovane; infine partirono con una dolce fiducia in cuore. Ma il 23 maggio del 1884 Maria Ausiliatrice chiamò la sua divota al paradiso. Aveva potuto ricevere tutti i sacramenti ed era spirata invocando [61] Don Bosco. “Se Don Bosco non potè fare il miracolo desiderato, scriveva la vecchia sorella molti anni dopo[63], ci ottenne tuttavia importantissime grazie”.

                Nella sacrestia della parrocchia, fermatosi a fissare in volto un chierichetto, gli aveva detto: - Tu sarai prete. - E prete fu ed è il canonico Aurouze.

                Avvicinandosi l'ora della partenza, non fu facile impresa sottrarre Don Bosco all'onda di popolo che si riversava nella sacrestia.

                 - É un'inondazione, gli si disse.

                 - Un motivo di più per andarcene! rispose.

                Ci vollero venti minuti per passare dalla chiesa alla canonica, distante pochi passi. La gente lo aspettava accalcata sul sacrato; ma egli uscì per una porta laterale e in carrozza fu rapidamente alla stazione. “Ecco qual è anche oggi l'ascendente esercitato sulle folle dalla virtù e dalla santità”, conchiudeva il citato corrispondente avignonese.

                Don Bosco era diretto a Valenza. Entusiasticamente accolto dalla popolazione, fu ospite del signor du Boys. Il giorno 6 gran concorso alla sua Messa in S. Apollinare. Disse brevi parole la sera nella cappella delle suore Trinitarie. Dopo le otto fece ritorno a casa, attraversando un giardino delle religiose di S. Marta, che vi avevano improvvisato una graziosa illuminazione con lampioncini alla veneziana e ve lo attendevano inginocchiate con le loro ragazze per riceverne la benedizione. Da Valenza scrisse al conte Colle: “Nonostante la mia buona volontà di scriverle, non mi è riuscito di farlo fino a ora [ ... ]. Porto sempre in me il dolce ricordo delle sue gentilezze, attenzioni e limosine prodigatemi largamente e spesse volte e in modo speciale durante i giorni che ho avuto l'onore e la consolazione di passare con la S. V. a Tolone. Ella capisce bene, signor Conte, che le cose scritte qui a Lei [62] intendo dirle anche alla signora Contessa, che in questo momento noi possiamo veramente chiamare caritatevole madre dei Salesiani”.

                Proseguì per Lione, sua terza grande tappa, dove l'Éclair con un articolo di buona penna aveva suscitato un'ansiosa aspettazione del suo arrivo[64]. L’articolo esordiva e si chiudeva così: “Di qui a pochi giorni la città di Lione avrà la fortuna di possedere Don Bosco. Senza dubbio la sede dei Primati delle Gallie, centro di tante opere meravigliose, rivedrà con gioia il dolce e santo prete, che l'Italia intera da gran tempo venera come una delle sue più belle e soprattutto delle sue più pure glorie, e che la Francia, sempre ammiratrice delle opere grandi e degli uomini eletti dalla Provvidenza a strumenti della sua misericordia, comincia ad amare e a benedire. [ ... ]. Fra breve la cittadinanza lionese ascolterà la voce del santo prete, una voce che non si può ascoltare senza provare, anche non volendo, una folte emozione; Don Bosco parlerà delle sue opere con quella sublime semplicità che forma l'incanto della sua parola e che fa vibrale le intime fibre dei cuori e rivolgerà un caldo appello alla generosità sì grande e sì conosciuta dei fedeli lionesi. Anime caritatevoli; voi udirete con gioia un tale appello e sarete felici, ne siam certi, di contribuire con le vostre larghe limosine al sostegno e alla diffusione delle opere salesiane, opere di sacrifizi e di amore, cristiane e patriottiche per eccellenza. Farete vedere così al buon sacerdote Don Bosco, che egli troverà sempre in questa bella terra di Francia sinceri e veli amici e voi avrete ben meritato di Dio e della Patria”.

                Si trattenne a Lione dieci giorni, dal 6 al 16 aprile. Segni di straordinaria venerazione lo accompagnarono dal principio alla fine, ovunque andasse. Non era padrone di entrare o di uscire senza che gli si dovesse aprire il passo a viva forza, tanta folla gli si serrava intorno; nè tutti si contentavano di [63] vederlo, ma non pochi tentavano di arrivare a toccarlo e a parlargli.

                Non gli fu per altro concesso di parlare in chiese pubbliche della città. Il cardinale Caverot diede soverchia importanza a una lettera di monsignor Gastaldi, il quale, saputo del viaggio di Don Bosco in Francia e del suo scopo, gli aveva scritto cose atte a indisporlo contro il Servo di Dio. Il Cardinale di Parigi al contrario, l'eminentissimo Guibert, che ricevette comunicazioni dello stesso genere, non avrà tanti scrupoli; Anzi lo metterà a conoscenza della lettera, e mostrandosene indignato, gli agevolerà il modo di tenere conferenze in una delle prime chiese parigine[65].

                Anche questa volta monsignor Guiol, fratello dei parroco di S. Giuseppe a Marsiglia e Rettore dell'Università Cattolica, gli aperse la sua ospitale abitazione. A Monsignore ricorrevano ragguardevoli personaggi, pregandolo di ottener loro la grazia che Don Bosco ne accettasse gl'inviti a pranzo, mentre innumerevoli altri stancavano la pazienza di Don De Barruel, perchè li facesse ricevere in particolari udienze.

                Sopra un'altura di Lione sorge il popolarissimo santuario della Madonna di Fourvière. Là Don Bosco nel pomeriggio della domenica 8 aprile potè parlare ai fedeli. La chiesa e la piazza rigurgitavano di gente, Nel presbiterio lo attendevano fra gli altri il benedettino Don Pothier, rinomato studioso delle melodie gregoriane, e il Superiore Generale dei Sulpiziani. Presso il limitare della chiesa benedisse una povera mendicante così paralizzata da far pietà. L'effetto della benedizione non si produsse sul posto, ma nella sua misera dimora; si seppe infatti da Suore della Carità che essa aveva gettate via le grucce e ricuperato l'uso delle gambe e delle braccia[66]. Alla fine della funzione fu mestieri che Don Bosco si affacciasse alla finestra del Rettore e di lassù desse la benedizione, se si volle che la moltitudine cominciasse a diradarsi. [64] A Fourvière, la mattina del 15 aprile, festa del Patrocinio di S. Giuseppe, visitò le religiose del Cenacolo, che hanno per iscopo di procurare alle signore ogni miglior comodità di fare corsi di esercizi spirituali. Vi giunse verso le undici. Per lasciar tempo alla comunità di radunarsi, la Superiora lo condusse nell'infermeria dalla madre De Fraix, gravemente ammalata. Si aspettava da lui un miracolo; ma egli la benedisse e la incoraggiò, dicendole che quella benedizione l'avrebbe accompagnata fino alla morte. Uscendo poi disse alla Superiora che l'inferma era ben preparata per andare in paradiso. Disceso quindi nella sala, dove lo attendevano tutte le suore, fece loro un'esortazioncella a osservare fedelmente le regole e formare così delle sante per il Cielo; infine le benedisse. Andò pure a benedire un gruppo di esercitande, una delle quali, afflitta da sordità, gli si raccomandò, perchè le ottenesse la grazia della guarigione. Egli le rispose che avesse fiducia nella Beata Vergine e la pregasse fervorosamente ogni giorno fino al 15 agosto.

                Dimorava nella casa la confondatrice della Congregazione, madre Teresa Couderc, della quale a Roma è stata introdotta la causa. Anch'essa era inferma e Don Bosco le portò la sua benedizione[67]. Le sue figlie se ne ripromettevano qualche mirabile effetto; ma la santa religiosa, parlando di quella visita, diceva: - Dopo la visita mi son sentita più spossata di prima. Io non aveva domandato la guarigione, ma pregato il Signore che mi concedesse tutte le grazie annesse alla benedizione di quel santo uomo. Oh, sì, egli è davvero un santo, ripeteva con pieno convincimento. La Superiora, scrivendo di tale incontro, osservava: “Nulla di più incantevole che vedere quei due santi raccomandarsi vicendevolmente alle preghiere l'uno dell'altro”.

                Per il martedì la sua Messa era annunziata nella chiesa di S. Francesco di Sales. Vi fu il solito affollamento. Dopo,  [65] perchè la calca non lo opprimesse, sì dovettero barricare le porte della sacrestia.

                Il giorno II, accogliendo un affettuoso e pressante invito, andò a pranzo nella villeggiatura dei seminaristi, che eransi ivi adunati in numero di circa dugento insieme con i loro superiori e varie altre persone di riguardo. Quanta cordialità da parte del Rettore, dei professori e dei chierici! Pranzarono tutti assieme in una vasta sala. Verso la fine, pregatone con vive istanze, indirizzò agli alunni del santuario alcune parole di consiglio e d'incoraggiamento, ascoltate con religiosa attenzione e salutate da entusiastici applausi.

                Esisteva in Lione un Patronage detto di Notre - Dame de la Guillotière, in seno al quale zelanti sacerdoti e laici, ispirandosi al programma salesiano, lavoravano da parecchi mesi a rassodare un'opera nuova sotto la denominazione di Oeuvre des ateliers d'apprendissage. Naturalmente i promotori pensavano che una visita di Don Bosco fosse un'alta consacrazione dell'impresa, nè Don Bosco poteva dispensarsi dal mostrare tutta la sua simpatia per un'istituzione così rispondente alla sua propria missione.

                L'abate Boisard, ideatole di quella fondazione, non che direttore del Patronage, prima di mettervi mano, aveva passato nel 1882 un mese all'Oratorio. Avrebbe voluto farsi salesiano; ma, consigliato da Don Bosco stesso, erasene ritornato in patria per fare da sè. Spirito minuzioso, non sapeva concepire una scuola professionale senza tutti i perfezionamenti della tecnica contemporanea, menti e Don Bosco amava cominciar a fare con i mezzi di cui disponeva per poi condurre passo passo le sue opere alla voluta perfezione. - Ho visitato i suoi laboratori, aveva detto nei primi giorni al Servo di Dio, ma mi sembra che tecnicamente siano un po' difettosi. Ha ragione, gli rispose Don Bosco. Noti tuttavia che noi non abbiamo operai esterni e che i nostri confratelli non sono ancora del tutto formati. Lei che può far meglio, ci si provi a Lione. - Ci si provò il buon sacerdote, ma i suoi laboratori [66] vegetavano, mentre quelli di Don Bosco vigoreggiarono, procedendo di progresso in progresso. Don Bosco metteva la perfezione al punto d'arrivo, l'altro invece la voleva già al punto di partenza.

                Due cose però l'avevano colpito nel visitare l'Oratorio: la pratica del metodo preventivo e lo spirito di pietà. Ne tornò illuminato e incoraggiato, tanto che il 15 ottobre seguente inaugurò il primo laboratorio con dodici artigianelli. Nel pubblico ricevimento fatto a Don Bosco egli narrò la storia della sua recente creazione e: - Siamo appena agli inizi, conchiuse; ma l'opera crescerà, perchè l'organizzazione e il suo carattere sono quali io vidi in pieno rigoglio a Torino. Da semplice discepolo io ho detto che cosa è quest'opera di Lione; che cosa poi debba essere e che cosa sarà con la grazia di Dio e con il favore dei Lionesi, ce lo insegnerà ora il Maestro.

                Don Bosco dans un langage pittoresque[68] e, come dice un testimonio vivente, en méchant petit français, stimolò tutti a concorrere nello sviluppo di un'opera, che egli considerava come posta in certa guisa sotto il suo patronato; svolse quindi due concetti: uno, religioso, che i fanciulli sono la delizia di Dio, e l'altro, sociale, che, se cattiva è la gioventù, cattiva sarà la società. Tratte da entrambi questi princìpi le conseguenze pratiche, domandò: - Sapete voi dove stia la salvezza della società? - E dopo qualche istante di pausa ripigliò: - La salvezza della società è, o signori, nelle vostre tasche. Questi fanciulli raccolti dal Patronage e quelli mantenuti dall’Oeuvre des ateliers attendono i vostri soccorsi. Se voi adesso vi tirate indietro, se lasciate che questi ragazzi diventino vittime delle teorie comunistiche, i benefizi che oggi rifiutate loro, verranno a domandarveli un giorno, non più col cappello in mano, ma mettendovi il coltello alla gola e forse insieme con la roba vostra vorranno pure la vostra vita.  [67]

                Le sue ultime parole furono: - La carità dei Lionesi, che si estende fino alle opere di Torino, non potrà venir meno per quelle di Lione. Possa io partire di qui con la speranza che un'opera così ben cominciata continuerà a progredire e che non le mancherà giammai nè la protezione dei buoni nè la benedizione di Dio. - Ad un giornalista spiegò poscia in un breve colloquio di chi intendesse parlare nominando i buoni. - Sono opere queste, disse, che non solo i cattolici debbono sostenere viribus unitis, ma anche tutti gli uomini, cui stia a cuore la moralità dell'infanzia. Gli umanitari bisogna che se ne interessino non meno dei cristiani. É lì l'unico mezzo per preparare un miglior avvenire alla società.

                Non era stato facile strappare al Cardinale Arcivescovo l'autorizzazione per quell'adunanza. - Non ce ne sarà che per loro, aveva detto con una punta d'ironia, persuaso che Don Bosco e i suoi tirassero l'acqua unicamente al loro mulino. Ma infine cedette alle insistenze di chi lo pregava, facendosi promettere che non l'avrebbero lasciato parlare se non in favore dell'opera. Infatti Don Bosco raccomandò con energiche espressioni ai presenti i bisogni dell'istituto, fino a dire: - Se voi non sostenete quest'opera, ne pagherete il fio. Opere come questa sono necessarie all'equilibrio della società. - La questua fruttò 850 franchi, che andarono all'amministrazione.

                Interrogato, non è molto, l'ora canonico Roisard sull'impressione lasciata in lui da Don Bosco, rispose: - Due impressioni, una ai bontà e semplicità, l'altra di calma inalterabile; Egli non mostrava mai di aver fretta. Nel mese che fui a Torino, ho avuto sempre davanti agli occhi lo spettacolo di un uomo tutto calma, che fa le cose adagio e come se ignorasse l'esistenza di altri all'infuori di chi parla con lui.

                Più che tutto lo tratteneva a Lione il desiderio di poter perorare un'altra volta la causa delle sue Missioni dinanzi al Consiglio Centrale delle due note Opere, Propagazione [68] della Fede e Santa Infanzia. Ottenuta l'udienza, dimostrò a quei signori del Consiglio l'urgente necessità di provvedete mezzi, con cui far progredire alacremente le Missioni patagoniche. Se la pia Opera non lo soccorresse, trovarsi egli in grande imbarazzo e per non ritirarsi da quel campo evangelico dover ricorrete a qualche espediente. Essere sua ferma volontà di andare avanti a qualunque costo. Aver egli quindi pensato di fondare centri in Francia, che raccogliessero limosine a questo scopo; ma non esservisi ancora risolto, perchè sarebbe creare un dualismo, cosa a lui sommamente increscevole. Come non iscorgere infatti la convenienza e l'utilità di un centro solo per tutte le Missioni estere, al quale affluissero le limosine per la propagazione della fede? L'Opera di Lione essere troppo venerabile e benefica per farle un contrapposto, stornando forse da lei una parte delle oblazioni. Tuttavia, se l'Opera stessa non si affrettava a soccorrerlo, quale altro partito rimanergli se non istituite commissioni in Francia, in Italia e altrove per aver soccorsi? Esserci di mezzo l'onor suo come capo di Congregazione religiosa, l'onore del Sommo Pontefice che gli aveva voluto affidare quelle Missioni, e soprattutto la salute delle anime, che per allora non avrebbero potuto ricevere soccorso da altri. Non intendere egli però di precipitare le risoluzioni; avrebbe maturato le cose, avrebbe aspettato ancora un po' di tempo. Qualora fosse costretto a quell'estremo ripiego, non avrebbe certamente fatto sapete al pubblico, se l'Opera l'avesse o no aiutato; ma avrebbe dovuto annunziare a tutto il mondo di non possedere altri mezzi per andare avanti fuorchè i propri, affatto esigui e insufficienti e già esauriti da tante opere diverse. Pensasse dunque il Consiglio di Lione al da farsi e trovasse modo di assegnare anche alle sue Missioni una parte non inadeguata di limosine. Alla fin fine la Missione della Patagonia avere gli stessi diritti alla carità evangelica che tutte le altre Missioni. L'intero Consiglio approvò il ragionamento di Don Bosco e decise di prendere la cosa in seria considerazione. [69]

                In un'altra assemblea lionese ebbe Don Bosco la parola. Ne' suoi colloqui col venerando monsignor Desgrands, presidente della Società Geografica, questi non capiva in sè dallo stupore, udendolo ragionare con tanta sicurezza e con tanti particolari della Patagonia; onde gli propose di ripetere le medesime cose ai membri della Società in una prossima seduta. Don Bosco, nonostante la difficoltà che provava a esporre tali cose in francese, accettò e fu fissato per la conferenza il sabato 14 aprile.

                Il nome del “venerabile taumaturgo”[69] e la curiosità di sentire che cosa egli avrebbe detto intorno a una contrada ancora molto avvolta nel mistero[70], attrassero in gran numero soci e studiosi. Non fu una conferenza, disse la stampa, ma una causerie, una conversazione, originale, amena, spiritosa, istruttiva; il suo fare a un tempo serio, fine e festevole diedero alla tornata un'impronta simpaticissima. Avevano tutti dinanzi la carta geografica della Patagonia, e Don Bosco descriveva minutamente fauna, flora, geologia, miniere, laghi, fiumi, abitanti, con meraviglia degli ascoltatori, che ora abbassavano gli occhi sulla carta, ora li alzavano a guardare lui stupefatti. Finita che ebbe la sua esposizione, gli domandarono dove avesse pescato tante belle notizie; egli si limitò a rispondere che quanto aveva detto, era pura verità. Crediamo che la Società abbia voluto controllare le affermazioni di Don Bosco; poichè aspettò fino al 1886, come vedremo, per dar prova di essere nella convinzione che egli non aveva giocato di fantasia, e la prova fu decretargli e far coniare appositamente per lui una medaglia d'oro con la motivazione aver egli ben meritato della Società Geografica, come narreremo a suo luogo.

                Di privati incontri ci rimangono poche e incomplete notizie. Visitò una famiglia nobile, in cui la signora, quand'egli stava per licenziarsi, lo pregò di benedire la sua domestica,  [70] giovane diciottenne, da lei presa in un orfanotrofio. - Ne ha bisogno, poverina! esclamò la padrona. È orfana.

                 - Pregherò per la vostra infelice madre, disse invece Don Bosco dopo averla benedetta.

                 - Sua madre?... Ma dunque non sei orfana, come dici? chiese di scatto la signora.

                Messa così alle strette, la ragazza confessò che sua madre era viva, ma che la cosa si teneva segreta, perchè disgraziatamente essa aveva abbandonato i figli per condurre una mala vita[71].

                Fra i Cooperatori lionesi spiccava per il suo affetto a Don Bosco il conte di Jouffrey. Quando e come egli contraesse la familiarità che lo legava al Servo di Dio, non sappiamo; certo è che nel 1883 Don Bosco lo chiamava già: mon ami Gustave. Nei dieci giorni della sua dimora colà il Conte mise a disposizione di lui coupé e cocchiere, che a tutte le ore del giorno lo andavano a rilevare per portarlo dovunque volesse. Una mattina si veniva da dir Messa sulla tomba di S. Potino, vescovo di Lione e capo dei così detti Martiri Lionesi. Per la strada serpeggiante della collina molta gente faceva ressa intorno alla vettura, che quindi procedeva a stento. Don Bosco, volgendosi a destra e a sinistra, ascoltava, rispondeva, benediva; ma intanto si andava a passo di lumaca. L'automedonte, che non aveva la pazienza di Don Bosco, proruppe a un certo punto in un'imprecazione rimasta celebre: - Meglio portare il diavolo che condurre un santo!

                Una carrozza e un cavallo che avevano trainato Don Bosco non dovevano fare una fine ingloriosa. La bestia, lasciata morire di vecchiezza, ebbe l'onore della sepoltura in una tenuta del Conte; il veicolo invece esiste tuttora, conservato come una reliquia e mostrato a quanti entrano in quella casa ospitale[72].

                La madre del signor Jouffrey era ammalata; eppure non [71] domandò mai a Don Bosco la guarigione, ma offriva le sue sofferenze al Signore per la salvezza delle anime e sembrava che la Madonna la volesse esaudire, non liberandola dal male perchè potesse esercitare quell'uffizio espiatorio e impetratorio. Tanto risulta da una bella lettera inviatale nel giorno seguente dal Santo per mezzo del suo Gustavo, che, venuto a visitarlo in Torino, gli fece per qualche giorno servizio di anticamera[73].

                L'abate Gourgont, parroco di S. Francesco, accompagnò Don Bosco da una signora in gravissime condizioni di salute. La sua perdita sarebbe stata tanto più dolorosa, perchè lasciava orfani tre figliuoletti. Entrando nella camera dell'inferma, egli disse: - Questa infermità non è mortale. - Le diede quindi la benedizione e le ordinò di recitare ogni giorno la Salve Regina fino al 15 agosto. Orbene, proprio in quel tempo essa fu dai medici dichiarata fuori di pericolo. Mentre poi partiva, trovò tutta la famiglia con altri parenti schierata nell'atrio del palazzo per ricevere la sua benedizione. Due nutrici portavano in braccio due bambini, uno dei quali, per nome Andrea, nipote dell'ammalata, aveva appena cinque mesi. Don Bosco, quand'era già sulla soglia della porta e stava per uscire, tornò indietro e accennando al piccino disse: - Sarà un gran servo di Dio e della Chiesa. - Egli è monsignor Andrea Jullien dei Sulpiziani, Uditore di Rota a Roma e Consultore di parecchie Congregazioni Romane.

Un giorno, andato a dire la Messa non sappiamo in quale chiesetta, ebbe un incontro che gli richiamò alla memoria una scena avvenuta a Cannes qualche anno prima. Nell'entrare in sacrestia si vide venire innanzi un giovanetto vestito da chierico, tutto festoso e mostrante di conoscerlo. - Chi sei? gli domandò.

                 - Je suis votre petit Jean.

                 - Mais quel Jean? [72]

                 - Votre Jean, Jean Courtois. Non si ricorda più quando mi portarono ammalato alla stazione di Cannes?

                 - Ah!... Ora mi ricordo.

                Comparvero tosto anche il padre e la madre, venuti a riverirlo e piangenti di consolazione.

                Un anno, essendo egli a Nizza, i genitori di questo fanciullo gli avevano scritto più volte che andasse a Cannes per visitarlo, perchè da lungo tempo giaceva a letto senza poter più fare un passo. Ma allora Don Bosco rispose che non poteva fermarsi a Cannes. Quelli non si diedero per vinti. Informatisi del giorno e dell'ora in cui sarebbe passato, presero quattro uomini e fecero portare il ragazzo sul lettuccio alla stazione accompagnandovelo. Qui lottarono col capostazione che non voleva lasciarli entrare; ma finalmente il letto fu introdotto e posato a un metro dalle rotaie. Appena giunto il treno, corsero da uno scompartimento all'altro chiedendo: - C'è Don Bosco? c'è Don Bosco? - Il Servo di Dio che non sapeva niente e se ne stava raccolto in un canto, sentendosi chiamare: - Sì, sono qui, Don Bosco! disse affacciandosi.

                 - Oh caro padre, bisogna che discenda un momentino.

                 - Ma io ho il biglietto fino a Marsiglia e non si può discendere.

                 - Un momentino solo! Non si ricorda più di mio figlio, del quale le ho scritto a Nizza? Venga a benedirlo.

                Insomma lo condussero dinanzi all'ammalato. Egli non sapeva che farsi. Dopo un istante di esitazione si avvicinò al lettuccio e domandò al ragazzo: - Chi sei tu? Come ti chiami?

                 - Je suis Jean. Bénissez - moi, mon Père, rispose con voce fioca.

                Don Bosco fece il segno della croce, recitò con lui una preghiera e gli diede la benedizione. Intanto il treno era già per  partire.

                 - Donnez - moi quelque conseil, domandò il fanciullo [73]

                E Don Bosco, rivoltosi a lui: - Che fai qui? gli rispose Che vergogna farti portare così! Alzati!

                Proferì queste ultime parole affrettandosi a raggiungere il suo posto, perchè il treno fischiava. Prima che si sedesse, vide il giovanetto fare otto o dieci passi per andarlo a salutare, e poi non vide più nulla. Lo rivedeva allora in quella sacrestia di Lione.

                Il ragazzo era stato e sembra che continuasse a stare sempre bene. Il 10 dicembre 1885 Don Bosco ricevette una lettera, in cui fra l'altro si raccomandava alle sue preghiere un giovanetto chiamato Jean Courtois di Cannes. In tale circostanza il Santo, ricordato l'episodio, lo narrò a Don Lemoyne, che ce ne ha serbato memoria.

                Alcune particolarità, specialmente circa le disposizioni d'animo che la presenza di Don Bosco suscitava a Lione in chiunque lo avvicinasse, noi le apprendiamo da lettere scrittegli in quei giorni o dopo la sua partenza e scampate dal naufragio di tante altre carte consimili. Ecco quanto da esse ci vien fatto di rilevare.

                Il conte di Montravel briga col segretario per venire ammesso alla presenza di Don Bosco nella certezza che de bric ou de brac arriverà a strappare da lui una benedizione, la quale gli guarisca una nipotina. La signora Crozier, che il 10 aprile ha avuto Don Bosco a pranzo in casa sua, n'è ancora incantata quattro giorni dopo e si affligge per il timore di non poterlo rivedere prima che parta da Lione; perciò gli presenta sette sue intenzioni, secondo le quali vorrebbe ch'ei pregasse, ravvivando nell'esporgliele tanti piccoli ricordi di coserelle occorse fra lui e le persone mentovate.

                Il giorno 14 Don Bosco era stato a celebrare nella cappella di certe suore, dove i coniugi Paturle avevano portata una loro figlia alquanto rachitica e ricevuta dalle sue mani la santa comunione, ma senza poterglisi presentare, come sarebbe stato loro vivo desiderio. Il dì appresso lo scongiuravano [74] d'impetrare dal Signore la sanità alla loro piccina e un miglior andamento dei loro affari commerciali.

                La signora De Guestu, avendogli fatto giungere per mezzo di monsignor Guiol un invito a pranzo, teme di non essere esaudita; perciò scongiura lui direttamente, che voglia accordare alla sua famiglia una tanta consolazione, per la quale da più giorni prega Dio come per una grazia segnalata.

                La superiora delle suore di S. Giuseppe di Cluny, che non potè appagare la sua ardente brama di vederlo a Lione, gli scrive a Parigi, raccomandando alle sue orazioni le proprie consorelle e le loro educande e confidandogli che le une e le altre le sono causa di fastidi. Ha inoltre in casa una religiosa gravemente inferma; la sua perdita sarebbe un lutto e un danno; voglia Don Bosco raccomandarla al Signore e insieme sollecitare per lei e per tutte le grazia di una fedele corrispondenza al dono della loro vocazione. La lettera spira da capo a fondo la più grande confidenza e fiducia nella santità del Servo di Dio.

                Popolani e aristocratici s'incontrano promiscuamente in questa corrispondenza. Ecco una Goudin che gli rimette un'offerta di trentasei franchi, frutto di una colletta, e gode rammentando di avergli scritto a Lione e d'aver ricevuta risposta. Ed ecco il conte di Montessus che, avendo letto il libro del D'Espiney, gli esprime il convincimento che Dio col mandare in Francia il grande educatore della gioventù moderna, ha voluto mostrare ai padri di famiglia francesi come, a dispetto della guerra mossa contro la scuola cristiana, Egli non li abbandoni. Una signora Dupont, testimone delle guarigioni ottenute per le preghiere di Don Bosco in Lione, si raccomanda, piena di fede, a lui, perchè impetri a una sua nipotina l'uso delle gambe. E non ometteremo la lettera di una vecchia cameriera, che il 23 aprile gli scriveva: “Io sono soltanto una povera fantesca, vecchia già di 79 anni e sto ancora in servizio. Tuttavia mi sento così impressionata dalle sue opere e dal bene che lei fa, che la prego, Padre mio, di accettare cento franchi [75] de' miei risparmi. In cambio le domando di pregare per me, affinchè il Signore mi conceda la grazia di una buona morte. Le raccomando pure la mia famiglia: ho dieci nipotini orfani”[74].

                Venuto il giorno della partenza Don Bosco scrisse a Don Albera:

 

                               Caro D. Albera,

 

                Partiamo per Parigi, ma colla fermata di un giorno a Moulins.

                Riceverai dal Sig. Diuros di Avignone fr. 5 mila di cui metà per voi, metà per S. Isidoro o S - Cyr.

                Nostro indirizzo a Parigi: Contessa de Combaut avenue de Messine 34.

                Continuate pregare. Affari vanno bene. Salutate e ringraziate amici e benefattori. Dio vi benedica tutti.

 

                Lione, 16 aprile 1883

 

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                PS. Ricevendo domani datene tosto comunicazione per norma.

 

                A Moulins doveva fermarsi pochissimo; tuttavia diede un'altra volta sue nuove al conte Colle, promettendogli che il segretario gliene avrebbe date altre più abbondanti.

                In quelle poche ore trovò pure il tempo per recarsi ad ossequiare il Vescovo monsignor de Dreux Brézé. Ora presentatosi al palazzo, in quel suo vestire così dimesso e con quel suo francese tanto poco corretto, svegliò qualche diffidenza nel portiere, che gli fece notare non essere ancora sonata l'ora in cui il Vescovo riceveva; aver egli rigorosa consegna in punto di udienze; tornare quindi inutile il suo insistere per vederlo. Il Vescovo aveva abitudini rigidamente aristocratiche, conformi in tutto alle sue origini. La dolcezza però e l'umiltà di Don Bosco nel reiterare la sua richiesta indussero il portiere a tentare; ma il segretario di Monsignore fu ancor più irremovibile nel rifiutarsi a portare l'ambasciata. Nondimeno, [76] udita dal portiere la descrizione del prete straniero, gli disse di condurglielo nell'ufficio.

                Il giovane segretario vescovile rimase subito colpito dall'aria di santità che spirava dalla sua persona; sentendolo poi parlare in quel suo francese alla buona, s'accorse di avere dinanzi a sè un ecclesiastico di rara bontà. - Ebbene, gli disse, è una cosa che mi costa; pure vo da Monsignore a domandargli se la vuol ricevere.

S'incamminava un po' trepidante verso l'appartamento del Prelato, quando s'avvide d'aver commesso una dimenticanza: distratto dall'impressione ricevuta, non aveva chiesto allo sconosciuto quale fosse il suo nome e la sua qualità. Appena udì rispondere “Don Bosco”, gli s'inginocchiò davanti, piegandolo di benedirlo e benedicendo egli stesso il Cielo di un incontro ch'ei considerava insigne favore.

                 - Monsignore, ripigliò tosto, sarà ben lieto di riceverla. Attenda un momento, vado ad avvertirlo: per lei non c'è ora di udienza, ne sto io mallevadore.

                Infatti a quel nome il Vescovo: - Oh! disse tosto al segretario, fatelo salire immediatamente.

                Che cosa passasse fra Monsignore e Don Bosco, nessuno potrebbe dirlo; ma il segretario che anche da vecchio amava ripetere il racconto di quel ricevimento fuori d'orario, soleva aggiungere che il Vescovo n'era rimasto profondamente impressionato e che ne parlava con viva soddisfazione, stimando gran fortuna l'aver avuto per alcuni istanti presso di sè colui che tutti consideravano come santo.

                Da Moulins Don Bosco, dopo breve dimora andò a Turlon sur - Allier, villaggetto dei dintorni, dirigendosi al castello del luogo, abitato allora dalla contessa di Riberolles e dalla figlia marchesa di Poterat, rimasta vedova dopo il suo recente matrimonio. Le due ricche e caritatevoli signore, ammiratrici e benefattrici di Don Bosco, lo aspettavano quale angelo consolatore nel loro domestico lutto; la di Poterat inoltre [77] soffriva di un'infermità duratale tutta la vita[75]. Egli vi si fermò fino al 18, celebrando nell'oratorio privato del castello. L'altare, sul quale offerse il divin sacrifizio, fu dal presente proprietario, signor D'Alès, fratello del dotto gesuita di questo nome, donato al monastero delle Carmelitane di Moulins, che lo collocarono nella loro cappella, dedicandolo a S. Teresa del Bambino Gesù e riguardandolo come preziosa reliquia del Santo[76].

 

 

CAPO III.

La morte di monsignor Gastaldi. Sguardo retrospettivo.

 

                IL 25 marzo 1883, giorno dell'Alleluia, le campane di Torino mutarono improvvisamente i loro lieti concenti pasquali in lugubri rintocchi. Quella mattina mentre in duomo clero e popolo aspettavano l'Arcivescovo per la Messa pontificale, una voce commossa aveva dato dall'altare il luttuoso annunzio: - Monsignore è morto.

                Monsignore durante la Settimana Santa aveva compiute tutte le sacre funzioni nella cattedrale. Il sabato sera, chi sa per quale misterioso presagio, era andato a prendere commiato dalla Madonna dei Torinesi nel santuario della Consolata, dicendo mentre saliva in vettura: - Andiamo a trovare la nostra cara Madre, andiamo a metterci sotto il suo manto. Sotto il manto di Maria è consolante vivere e morire. - Rimasto ivi mezz'ora in preghiera, uscì all'aperto, sentendosi venir meno. Era il sintomo della sua prossima fine.

                La mattina di Pasqua i segretari, che dovevano accompagnarlo alla metropolitana, vedendo che tardava oltre l'usato ad aprire la porta, entrarono per un altro ingresso nella sua stanza e lo trovarono steso a terra senza parola e agonizzante. Il canonico Chiuso gli amministrò subito l'Estrema Unzione. [79]

                Poco dopo il medico dichiarava il caso disperato. Giunse frattanto il suo confessore ordinario, padre Carpignano preposito dei Filippini, che gli recitò le preghiere dell'agonia e gl'impartì la benedizione papale. Verso le dieci Monsignore mandava l'ultimo respiro.

La salma dell'estinto, esposta nella chiesa dell'Arcivescovado, fu visitata da gran moltitudine di fedeli e il mercoledì venne accompagnata con splendida pompa funebre all'estrema dimora. Tutta la stampa cittadina d'ogni colore s'inchinò riverente al suo feretro.

                Monsignor Gastaldi era nato a Torino nell'anno stesso di Don Bosco, da padre giureconsulto. Avendo sortito ingegno e memoria felice, primeggiò sempre fra i suoi condiscepoli. Avviatosi allo stato ecclesiastico, si laureò a ventun anni in teologia presso la Regia Università di Torino; a ventitrè vi fu aggregato alla facoltà teologica. Furono d'allora in poi sue occupazioni predilette coltivare lo studio dell'ebraico, insegnare la teologia morale, predicare nelle varie diocesi del Piemonte e approfondire la conoscenza della filosofia rosminiana. Nel 1841 diede alle stampe una difesa delle dottrine di Antonio Rosmini contro un pseudo Eusebio Cristiano, sceso in campo a impugnarle con istraordinaria violenza. Nel 1845 e 46 pubblicò due lavori teologici d'altri autori, cioè l'ultimo volume della teologia morale del Dettori e il compendio della teologia morale dell'Alasia, con sue annotazioni per i riferimenti al Codice civile albertino[77].

                Fatto canonico della collegiata alla Santissima Trinità nel periodo delle agitazioni quarantottesche, fondò Il Conciliatore, periodico milanese clerico - liberale, in cui propugnò con ardore le idee svolte dal Roveretano nelle Cinque Piaghe, prima che il libro fosse messo all'Indice[78]. Nel 1850 si affigliò [80] all'Istituto rosminiano della Carità, e dopo alcuni mesi di noviziato a Stresa, dove imparò bene l'inglese, fu mandato nell'Inghilterra come missionario e professore di teologia nei collegi della Congregazione.

                Dalle isole britanniche fece ritorno a Torino nel 1862, lasciando l'Istituto della Carità e assumendo l'uffizio di canonico a S. Lorenzo. Ripigliò allora il ministero della predicazione, per il quale era molto ricercato. Sono di questo tempo le quattro operette da lui scritte per consiglio di Don Bosco, che le fece entrare nella collana delle Letture Cattoliche: una vita del Curato d'Ars, una biografia del torinese teologo Vola, memorie storiche sui Martiri torinesi della Legione Tebea e una trattazione popolare sulla potestà del Papa.

                Nel Concistoro del 27 marzo 1867 Pio IX lo preconizzò Vescovo di Saluzzo. Nei quattro anni che resse quella diocesi, predicò moltissimo, visitò tutte le parrocchie, organizzò caritatevoli istituzioni e curò personalmente la formazione dei giovani chierici. Quanto nel 1870, stimolato da Don Bosco, si sia distinto al Concilio Vaticano, è ampiamente descritto nel nono volume di Don Lemoyne.

                Nel 1871 succedette a monsignor Riccardi di  Netro nella cattedra di S. Massimo, sulla quale si assise il 26 novembre. Qui la sua operosità crebbe d'assai. Stettero in cima a' suoi pensieri la disciplina e cultura del clero e l'educazione e istruzione dei seminaristi. Tenne tre sinodi diocesani. Della parola di Dio fu banditore instancabile. Le sue pastorali, solide per il contenuto e agili nella forma, si leggono tuttora con profitto. Il popolo ne ammirava lo zelo fervido e disinteressato, e ne pianse sinceramente la fulminea dipartita.

                Don Bosco, avvertito della sua morte, prescrisse da Parigi che si celebrasse in Maria Ausiliatrice un solenne ufficio funebre con invito ai parenti. Di questi, pochissimi intervennero; mancò perfino la contessina Mazé, nipote dell'Arcivescovo e rimasta sempre devota a Don Bosco. Parve si credesse da loro che i Salesiani considerassero la fine di Monsignore [81] come il proprio trionfo, o forse mal sopportavano che così potessero giudicare altri. La verità è che i Salesiani osservarono il più perfetto riserbo. Ne è prova anche La Stella Consolatrice, che nel suo numero del 7 aprile uscì con un'ampia necrologia, di cui la direzione aveva rimesse le bozze a Don Bonetti, perchè vedesse e modificasse a suo talento; ma egli non si permise ombra di critica.

                Dopo questi nostri cenni biografici i lettori che ci hanno finora seguiti, ignorando le origini del dissidio durato dieci anni fra monsignor Gastaldi e Don Bosco, debbono sentirsi più che mai desiderosi di conoscere le cause che lo determinarono. Tutto questo sarà partitamente narrato nel volume decimo non ancora apparso; intanto però è una vera necessità esporre qui per sommi capi come e perchè la vertenza sorse, non sarà poi senza vantaggio il richiamare per sommi capi la condotta tenuta da Don Bosco di fronte alla diuturna opposizione.

                Due cose sono storicamente certe che come per Saluzzo così per Torino la nomina di monsignor Gastaldi fu proposta e caldeggiata da Don Bosco, e che monsignor Gastaldi era di ciò informatissimo. Nella mente di Don Bosco la presenza di monsignor Gastaldi a Torino rappresentava un provvidenziale ausilio. Erano amicissimi. Egli l'aveva messo a parte de' suoi segreti. Allorchè bisognava avviare le pratiche per l'approvazione delle Regole, il favore dell'Arcivescovo, pensava Don Bosco, gli sarebbe tornato di gran giovamento a condurre felicemente la nave in porto. Non la pensava così invece monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, che avrebbe preferito monsignor Colli, Vescovo di Alessandria; non la pensava così nemmeno Pio IX, che non gliene fece mistero, come abbiamo già avuto occasione di ricordare.

                E purtroppo le rosee speranze non tardarono a scolorirsi. Nella sua prima omelia l'Arcivescovo battè sull'idea che la propria elezione era stata un tratto inaspettato della Provvidenza, al quale non aveva contribuito favore umano di sorta. [82] In queste parole coloro che lo conoscevano a fondo intravidero subito l'intenzione di escludere qualsiasi intervento da parte di Don Bosco. Il fatto è che nei discorsi familiari si spiegava senz'ambagi, ripetendo di non dover nulla a Don Bosco, ma essere lo Spirito Santo che l'aveva posto a capo dell'archidiocesi torinese. Insinuazioni di malevoli dovevano aver agito sull'animo suo tanto sensibile in fatto d'autorità. Per altro le relazioni con Don Bosco si mantennero buone durante i primi mesi.

                Sintomi di freddezza principiarono a manifestarsi nell'aprile del 1872, allorchè trattossi di presentare alcuni salesiani alle sacre Ordinazioni. Dopo vi fu un tiremmolla fino al 24 ottobre, quando giunse a Don Bosco una lettera dell'Arcivescovo che cominciava così: “V. S. conosce da lunga esperienza quanto io sia affezionato alla Congregazione fondata da lei, la quale avendo io veduta venir come dal grano di senapa, non mancai di promoverla, secondo che le circostanze me ne diedero il potere, perchè io la giudicavo come la giudico opera ispirata da Dio: ed Ella sa ancora la protezione che come Vescovo di Saluzzo io diedi a questa Congregazione affine di ottenerle l'assistenza e la sanzione della Santa Sede Apostolica: ed ora che la Provvidenza ci ha posto sulla cattedra arcivescovile di Torino, sono ben lieto di proseguire ad assisterla, acciò possa riuscire ad ottenere dal Vicario di Gesù Cristo una piena approvazione”. É facile immaginare con quale sospensione d'animo Don Bosco abbia letto questo prolisso e compassato esordio. Enunziata quindi la tesi che “il bene deve farsi bene” e dichiarato che per ottenere questo scopo avrebbe saputo anche “ripugnare alle affezioni del cuore”, l'Arcivescovo veniva al concreto.

                Un rescritto della Congregazione dei Vescovi e Regolari in data 9 marzo 1869 accordava a Don Bosco la facoltà di rilasciare le dimissorie agli ordinandi che fossero entrati nell'Oratorio prima dei quattordici anni. Monsignore per accertarsi dell'ingresso dei candidati nella casa di Don Bosco prima [83 ] di quell'età e per conoscere la loro preparazione esigeva da lui l'esecuzione di quanto segue: “Tutti gli alunni aggregati alla sua Congregazione, i quali desiderano di ricevere la tonsura oppure gli Ordini minori o maggiori, si presentino personalmente da me, almeno 40 giorni prima del giorno dell'Ordinazione e porgano un attestato sottoscritto da V. S. o da chi la rappresenta, in cui sia indicato il nome e cognome dell'alunno, il nome di suo padre, il luogo della nascita e la diocesi in cui nacque ed a cui appartiene per qualche ragione, l'età precisa che ha, in che anno entrò nell'Oratorio di San Francesco di Sales, fondato da V. S., ed in quanti anni attese allo studio della latinità e delle belle lettere, quanti allo studio della Teologia, ed in qual luogo abbia atteso a tali studi, ed in che anno e in qual giorno abbia emesso i voti triennali o li abbia rinnovati. Quindi ognuno di questi alunni si presenti a subire l'esame almeno di due trattati intieri di Teologia, i quali per ogni nuova ordinazione siano sempre diversi, e su tutto ciò che riguarda l'Ordine da riceversi, vale a dire per la Tonsura ed i quattro minori, tutto ciò che la Teologia insegna di essi, per il Suddiaconato, quanto riguarda questo Ordine e il celibato ecclesiastico, le ore canoniche e il titolo ecclesiastico. Pel diaconato quanto spetta a questo Ordine, e inoltre il sacrificio della S. Messa”.

                Il Servo di Dio piegò il capo; ma la sera dell'8 novembre Monsignore respinse una nota di ordinandi presentatagli da Don Cagliero e minacciò di scrivere a Roma contro lo spirito che dominava fra i Salesiani.

                Questa notizia trafisse il cuore a Don Bosco, che la notte seguente non potè chiudere occhio. La dimane scrisse all'Arcivescovo. Ecco la parte sostanziale della sua lettera.

 

                Appena la S. V. fu eletta Arcivescovo di Torino trovandoci in sua casa Ella con bontà mi domandava come la nostra Congregazione si trovasse, colle persone in autorità e specialmente col clero. Risposi non esistere urto con alcuno; soltanto due ecclesiastici, di cui dissi il nome, forse con buon fine ci avevan cagionato molti disturbi e dispiaceri. [84] Ella tosto soggiungeva: - Stia tranquillo, il potere di costoro è secondario e la loro autorità sarà temperata da quella dell'Arcivescovo; ed una delle cose che faremo sarà di condurre a termine l'approvazione della Congregazione Salesiana.

                Le cose camminarono in questo modo fino ad aprile circa, quando ho cominciato a travedere qualche ruggine, di poi la combinazione dell'ordinazione e di poi il rifiuto, di poi l'esame degli ordinandi, di poi la lettera in cui erano prescritte diverse norme da praticarsi. A ciò tutto si accondiscese senza riflesso, sebbene in niun altra diocesi tal cosa venisse richiesta. Ieri finalmente non so per qual ragione fu rifiutata la nota delle ordinazioni con minaccia di scrivere a Roma contro allo spirito tra noi dominante. Può darsi che chi fece la commissione non abbia usato il dovuto riguardo nel parlare, ma questi è un individuo che doveva avvisarsi ed anche correggersi secondo il merito o demerito, ma sembrami che ciò non possa rappresentare lo spirito della Congregazione.

                Esposte queste cose, io la prego quanto so e posso di scrivere o dire o far dire quello che osserva biasimevole tra noi, affinchè noi sappiamo come regolarci ed in quali limiti tenerci. Più volte ho condotto il discorso su questo punto, ma Ella non venne mai a cose determinate. Ora la prego di voler osservare: I° che lo scrivere a Roma sarebbe dare materia ai nemici del bene di decantare le dissensioni tra il povero D. Bosco e il suo Arcivescovo, sarebbe cosa rovinosa alla nascente nostra Congregazione che cammina in mezzo ad ostacoli uno più grave dell'altro; io sarei richiesto a dare conto e schiarimenti, quindi dispiaceri, disturbi e forse anche scandali; nemmeno sarebbe vantaggiosa per V. E. perchè io sono persuaso che la gloria di lei vada in molte cose collegata colla nostra Congregazione; 2° che noi abbiamo sempre lavorato nella diocesi e per la diocesi di Torino senza mai dimandare nè impieghi nè stipendio; che noi abbiamo avuto e tuttora abbiamo in lei una persona della più grande venerazione; 3° che, mi permetta l'ardita espressione, continuando così con altri Ella giungerà al punto di essere temuto da molti, amato da pochi...

 

                L'antica confidenza aveva guidato la penna di Don Bosco. L'immediata risposta di Monsignore rincarò la dose. Lamentava egli la mancanza di regolare noviziato, alla quale attribuiva il fatto che i membri della Congregazione, pochissimi eccettuati, fossero privi di essenziali virtù religiose e specialmente di umiltà; si dichiarava inoltre nemico di troppe esenzioni dei religiosi dall'autorità vescovile. La lettera non mitigava le pene di Don Bosco; tuttavia ne fu contento, perchè così era venuto in chiaro di alcune ragioni che gli [85] spiegavano il nuovo contegno di Monsignore a suo riguardo. Replicò il 23 novembre, parlandogli anzitutto del noviziato e riferendogli un dialogo avuto con Pio IX pressochè alla vigilia dell'approvazione generale. Il Papa gli aveva domandato: - Sarà possibile una Congregazione in tempi, in luoghi, fra persone che ne vogliono la soppressione? Come avere una casa di studio e di noviziato?

                 - Io, rispose Don Bosco, non intendo di fondare un Ordine religioso, dove si possano accogliere penitenti o convertiti che abbiano bisogno di essere formati al buon costume ed alla pietà; ma la mia intenzione si è di raccogliere giovanetti ed anche ad  ulti di moralità assicurata, moralità provata per più anni, prima di essere accolti nella nostra Congregazione.

                 - Corre ottenere ciò?

                 - Come finora ho ottenuto e spero di continuar a ottenere. Noi ci limitiamo a giovani educati, istruiti nelle nostre case: giovani già scelti quasi sempre dai parroci che, vedendoli ordinariamente risplendere di virtù fra la marra e la zappa, li raccomandano alle nostre case. Due terzi di questi inviati sono restituiti alle loro famiglie. I ritenuti sono per quattro, cinque od anche sette anni esercitati nello studio e nella pietà, e di essi, pochi soltanto sono ammessi alla prova anche dopo questo lungo tirocinio. Per esempio, quest'anno centoventi compierono la retorica nelle nostre case; di questi, centodieci entrarono nel chiericato, ma venti soltanto rimasero nella Congregazione, gli altri sono stati indirizzati ai rispettivi Ordinali diocesani. Gli ammessi alla prova debbono fare due anni a Torino, dove ogni giorno han lettura: spirituale, meditazione, visita al Santissimo Sacramento, esame di coscienza, ed ogni sera un breve sermoncino fatto da me, raramente da altri, e ciò a tutti in comune. Due volte per settimana si fa una conferenza espressamente per gli aspiranti, una volta per tutti quelli della Società.

                 - Dio vi benedica, figliuol mio, gli disse allora il Papa, mettete in pratica le cose nel modo che mi accennate, e la [86] vostra Congregazione otterrà il suo scopo. Trovando poi difficoltà, fatemele sapere e studieremo il modo di superarle.

                Dopo queste spiegazioni venne il Decretum laudis. Dunque, secondo il concetto di Don Bosco, Pio IX la vedeva come lui: il noviziato, se non c'era di nome, c'era di fatto.

                Quanto al secondo appunto, scriveva: “Io farei umile e rispettosa preghiera alla E. V. di volermi indicare non in genere ma nominatamente tali individui (privi di umiltà e di virtù religiose) e poi, l'assicuro, sarebbero severamente corretti ed una volta sola. Perciocchè tal cosa sarebbe un nascondiglio da svelarsi; nascondiglio ignoto a me fino al giorno d'oggi, nascondiglio ignoto alla E. V. fino al mese di aprile dell'anno corrente. Fino a quell'epoca Ella vide, udì, lesse, e possiamo dire, amministrò quanto di più importante di questa casa. Fino a quel tempo sia cogli scritti, sia colla voce pubblica e privata ha sempre proclamata questa casa come arca di salvezza per la gioventù, dove si apprende la vera pietà e simili”.

                Fin qui tutto era proceduto, se non nella forma cordiale d'altri tempi, almeno per via privata e nell'attesa di un colloquio, in cui Don Bosco sperava che si sarebbe trovato modo d'intendersi; ma alcuni atti di Monsignore tramutarono in conflitto quello che poteva e doveva rimanere uno scambio d'idee fra loro due.

                Nel 1873 Don Bosco stava in procinto di avviare le pratiche per l'approvazione definitiva; perciò aveva bisogno di assicurarsi l'appoggio di molti Vescovi, e in primo luogo del suo Ordinario. Questi preparò la sua commendatizia piena di elogi, ma con speciali raccomandazioni per il noviziato, per l'ammissione agli Ordini e per l'esenzione canonica. Poi scrisse ai Vescovi piemontesi e ad altri, invitandoli a fare, se richiesti, le loro commendatizie, formulando quattro voti: I° Che nessun membro della Congregazione potesse accedere alle Ordinazioni prima della professione perpetua; 2° che le regole riguardanti il noviziato fossero tali da formare buoni religiosi,  [87] come avveniva dai Gesuiti; 3° che tutti gli ordinandi sostenessero in Curia gli esami; 4° che gli Ordinari diocesani avessero il diritto di visitare chiese e oratorii della Congregazione. Don Bosco, visto il tenore della commendatizia e informato confidenzialmente del passo di Monsignore presso l'Episcopato subalpino e ligure, dichiarò che per allora lasciava le cose com'erano nè avrebbe presentata a Roma la domanda. L'Arcivescovo però, sapendo che a Roma si conosceva l'intenzione di lui e prevedendo che di quel mutamento si sarebbe ricercato il perchè, trasmise la sua commendatizia al cardinale Caterini, prefetto del Concilio, accompagnandola con una lettera, nella quale oltre alle cose anzidette segnalava la necessità che “gli studi filosofici e teologici ed altri fossero assai più sodi e seri”.

                Questo accadeva nell'aprile del 1873, nel qual mese nacquero altri disgustosi incidenti sempre a motivo delle Ordinazioni. Il 20 dello stesso mese Monsignore al cardinale Bizzarri, prefetto dei Vescovi e Regolari, indirizzò uno scritto, in cui si diffondeva a esporre otto suoi desiderata. Peccato che il suo zelo non fosse assistito da miglior comprensione dell'Istituto di Don Bosco e da maggiore esattezza d'informazioni! Don Bosco ebbe notizia del documento l'anno dopo mentre si trovava a Roma; abbozzò quindi in risposta un promemoria, che messo in forma, fu consegnato il 30 marzo ai Cardinali della Commissione per l'approvazione delle Regole. É bene porre in questo luogo siffatto memoriale.

 

                Si deve premettere che Mons. Gastaldi attualmente Arcivescovo di Torino fino al 10 Febbraio 1873 si professò costantemente caldo promotore ed indefesso collaboratore dell'Istituto Salesiano. In quel tempo (10 febbraio 1873) con parole di vivo incoraggiamento inviava il Sac. Bosco a Roma munito di una commendatizia latina in cui dichiarava aver conosciuto il dito di Dio nella esistenza e conservazione di questo istituto, e fa eccessivi elogi del gran bene che ha fatto e fa questo istituto encomiando a cielo il povero fondatore.

                In una lettera poi scritta il 20 aprile anno stesso per contraddire a quanto aveva asserito nella prima [88]

                I° Le regole, ivi dice, non furono mai approvate da suoi antecessori.

                R. Nei documenti presentati alla Congregazione dei Vescovi e Regolari avvi il decreto di Mons. Fransoni (il 31 marzo 1852) con cui è approvato l'istituto degli Oratorii, si costituisce capo il sac. Bosco e se gli concede tutte le facoltà necessarie od opportune pel buon andamento del medesimo.

                2° Non fu chiesta mai alcuna approvazione all'Arcivescovo Riccardi nè a Lui.

                R. Quando un istituto è approvato da un Ordinario Diocesano non si sa se debba ad ogni nuovo vescovo avere novella approvazione; tuttavia è di fatto che il Sac. Bosco dirigeva una supplica a Mons. Riccardi con cui chiedeva la conferma di quanto sopra. Egli rispondeva come più volte di poi rispose Mons. Gastaldi, che quando un istituto è approvato dalla S. Sede non ha più bisogno dell'approvazione diocesana.

                Volendo poi cooperare alla stabilità di questo istituto, di moto proprio con apposito decreto confermò tutti i privilegi e le facoltà concesse dai suoi Antecessori, e ne aggiunse parecchi nuovi e fra gli altri i diritti parrocchiali (Decr. 25 dicembre 1872).

                3° Il Noviziato di due anni, occupazione esclusivamente ascetica.

                R. Questo poteva praticarsi in altri tempi, ma non più ne' nostri

                paesi presentemente; che anzi si distruggerebbe l'Istituto Salesiano,

                perciocchè l'autorità civile avvedendosi dell'esistenza di un noviziato,

                lo scioglierebbe sull'istante disperdendone i novizii. Inoltre questo Noviziato non potrebbe accomodarsi alle Costituzioni Salesiane che hanno per base la vita attiva dei Socii, riserbando di ascetica soltanto le pratiche necessarie a formare e conservare lo spirito di un buon Ecclesiastico: nemmeno tale noviziato farebbe per noi, giacchè i novizii non potrebbero mettere in pratica le Costituzioni secondo lo scopo della Congregazione.

                4° Sono già usciti dei professi che diedero lagnanze ecc.

                R. Finora un solo uscì ed è il Padre Federico Oreglia, Egli apparteneva alla nostra Congregazione come Laico e ne uscì per entrare nella Compagnia di Gesù e percorrere la carriera degli studi come entrò difatti ed ora lavora lodevolmente nel sacro Ministero.

                5° Questa Congregazione reca non piccolo disturbo alla disciplina Ecclesiastica della Diocesi.

                R. Assersione gratuita. - L'Ordinario di Torino finora non può addurre un solo fatto in proposito.

                6° Troppo sovente alcuni dopo i voti ricevono gli Ordini sacri titulo mensae communis e poi escono ecc.

                R. Assersione gratuita. - Niuno di costoro finora uscì dalla Salesiana Congr. [89]

                7° Un suo diocesano di Saluzzo, appena ordinato in questa Congr. uscì ecc.

                R. Non ombra di fondamento. Il sacerdote cui si allude anche in altre lettere successive e che si vorrebbe addurre per esempio non appartenne mai alla Congr. Salesiana. Fu ordinato da Mons. Gastaldi con regolare titolo Ecclesiastico e fu ordinato senza Commendatizia e contro il parere del Sac. Bosco cui era stato inviato dal suo Ordinario e nella cui casa aveva caritatevolmente fatto gli studi.

                8° Chierici dimessi dal Seminario, accettati nella Congr. Salesiana, inviati in altra casa e diocesi, colà ordinati vennero di poi in diocesi.

                R. Nissunissimo di questi fatti, e qualora succedessero in avvenire è sempre facoltativo all'Ordinario di riceverli o rifiutarli in sua diocesi siccome può fare di qualunque individuo che esca da altro istituto religioso.

                9° É poi bene di notare che se si ammettessero le condizioni apposte, la Congregazione Salesiana priva di mezzi materiali com'è dovrebbe chiudere le sue case, sospendere i suoi catechismi, perchè non avrebbe più nè catechisti, nè maestri, anzi cadendo come ente morale sotto l'occhio dell'autorità civile sarebbero immediatamente dispersi i socii, quindi finita la Società.

                10° Si noti eziandio che l'attuale Arcivescovo non ha mai mosso la minima lagnanza nè fatto osservazione ai Socii o al Superiore della Società Salesiana. Anzi quando Egli voleva segnalare un chierico, di scienza e di speciale virtù soleva sempre additare gli allievi Salesiani.

                11° Ciò che si asserisce nella lettera 20 aprile 1873 è stato ripetuto con frasi diverse in tre altre segrete lettere posteriori, alla stessa Congr. di Vescovi e regolari; ma sempre alludendo a fatti vaghi che non hanno che fare coi membri della Società Salesiana.

                12° A rettificazione di quella lettera e ad onore della verità si crede cosa veramente opportuna che questo promemoria debba unirsi alla medesima.

 

Sac. Giov. Bosco.

 

                Ora torniamo all'aprile 1873. Quei tali incidenti per le Ordinazioni ebbero un epilogo inaspettato. In maggio il teologo Chiuso a nome di Monsignore avvertì Don Bosco che nessun membro della Congregazione potrebbe più venir ammesso agli Ordini, finchè egli non attestasse che certi due ex - seminaristi torinesi non erano più in case salesiane e non promettesse di non più ricevere nè quelli nè altri ex - seminaristi di Torino senza il consenso per iscritto della Curia [90] arcivescovile. Era un crescendo di contrarietà che dava molto da pensare a Don Bosco. Di quel passo dove si sarebbe andati a finire? e come sperare l'approvazione delle Regole con un ostacolo così grave in casa? Per non dare all'ultima comunicazione una risposta precipitata, si appartò nel collegio di Borgo S. Martino, dove fece tre giorni di ritiro spirituale; poi, come dovesse presentarsi al tribunale di Dio, manifestò così a Monsignore il suo pensiero.

 

                ….Ella mi fa dire che non ammetterà più alcun nostro chierico alle sacre ordinazioni, se non sono allontanati dalle nostre case il chierico B*, che da due settimane non è più tra noi, ed il chierico R*.

                Più una formale promessa di non più ricevere in alcuna casa della nostra Congregazione alcuno che abbia appartenuto al Clero Torinese.

                Non dandomi alcuna ragione io credo poterle fare alcuni riflessi.

                Se questi chierici sono stati espulsi dal Seminario, che importa che vadano a rifugiarsi in qualche casa per riflettere sopra la loro sorte, o per prepararsi a qualche esame, apprendere qualche mestiere con cui potersi guadagnare in qualche modo un tozzo di pane? Dovranno dunque questi chierici, perchè hanno perduta la loro vocazione, andare profughi e darsi in preda ad un tristo avvenire?

                Sembrami meglio aiutarli a collocarsi in qualche sito, dove possano fare e provvedere ai casi loro. Così hanno fatto e fanno tuttora i vescovi, coi quali siamo in relazione. Forse potrà dirsi elle domandino permesso; e così resta sciolta ogni difficoltà. Si può rispondere che l'obbligo di chiedere permesso è un grave peso per loro e per la Congregazione, o casa cui fanno richiesta; condizione che non essendo stata apposta nella sua approvazione, il superiore non è autorizzato di aggiungerla. Tanto più che questo permesso fu chiesto più volte, e finora non si è ottenuto. Ella in questi casi deve piuttosto considerare che se a questi chierici così espulsi dal seminario, si dice elle per ordine dell'Arcivescovo non possono riceversi in alcuna casa, oppure ricevuti debbono cacciarsi, Ella, sembrami, si fa altrettanti avversarii quanti sono gli amici o parenti di essi.

                Tanto più che alcuni di essi avrebbero già fatto un corso di studio, e taluno già cominciato ad imparare un mestiere.

                Questa dichiarazione, elle credo non esser autorizzato a fare, porrebbe un muro di divisione tra la Congregazione Salesiana e il Clero di cotesta Diocesi, pel cui bene è specialmente consacrata, e da oltre a trent'anni lavora.

                Se per altro a questo riguardo ci fosse qualche prescrizione della Chiesa, elle io ignoro, io mi sottometterci prontamente e totalmente.

                Pei chierici poi tutti, presentatisi per l'ordinazione osservo che [91] Ella deve rifiutarla se in essi trova demeriti; ma se ne sono degni, si vorrà forse per rappresaglia, e per motivi affatto estranei ai medesimi, rimandarli, privando così la Congregazione, la Chiesa, e la sua stessa diocesi di Sacerdoti, di cui si ha tanta penuria?

                Parmi che questa Congregazione, che senza interesse di sorta lavora per cotesta Diocesi, e elle dal 1848 a questo tempo ha somministrato non meno di due terzi del Clero diocesano, si meriti qualche riguardo. Tanto più che se qualche chierico od anche ecclesiastico viene nell'Oratorio non fa altro che cangiare dimora, ma lavorerebbe sempre nella diocesi e per la diocesi di Torino.

                Di fatto nelle tre volte che V. E. non giudicò di ammettere alcuni nostri chierici all'ordinazione, Ella non fece altro elle diminuire il numero dei Sacerdoti che lavorano in cotesta diocesi.

                Ciò posto io vorrei che V. E. fosse vivamente persuasa che Ella ed io abbiamo chi ci sta attorno, ed in modo subdolo vorrebbeci carpire di che pubblicare e dire: l'Arcivescovo l'ha anche rotta col povero don Bosco. A quest'uopo Ella sa elle ho fatto, ed anche pochi giorni sono, non piccoli sacrifizi per impedire la pubblicità di certi articoli infamanti.

                Desidero ancora che Ella sia informata come certe note, chiuse nei gabinetti del governo per opera di taluno, si fanno correre per Torino. Da queste note consta elle se il canonico Gastaldi fu vescovo di Saluzzo, lo fu a proposta di D. Bosco. Se il vescovo divenne Arcivescovo di Torino è pure sulla proposta di D. Bosco. Si ha fino memoria delle difficoltà che a questo capo si dovettero superare. Quivi pure sono notate le ragioni per cui io parteggiava per Lei, tra le altre il gran bene che avea fatto alla nostra casa, alla nostra Congregazione.

                Comunemente si sa il bene grande che possiamo farci l'un l'altro con un comune accordo, ed i malevoli godrebbero grandemente delle nostre scissure.

                Ora V. E. dirà: ma che cosa vuole D. Bosco?

                Piena sommissione, pieno accordo col mio superiore ecclesiastico.

                Non altro dimando se non quello elle più volte disse il S. Padre, e che più volte V. E. ha ripetuto quando era vescovo di Saluzzo; cioè: Nei tempi difficili in cui ci troviamo una Congregazione nascente ha bisogno di tutta la indulgenza compatibile coll'autorità degli ordinarii, e quando nascessero difficoltà aiutarla coll'opera e col consiglio per quanto loro è possibile. - Ho scritto questa lettera col solo desiderio di dirle ciò che può tornare di norma ad ambidue ed utile per la gloria di Dio; tuttavia se mai mi fosse sfuggita qualche parola inopportuna, io dimando umile scusa...

 

                Ma purtroppo il riguadagnare l'animo dell'Arcivescovo era diventato per sempre impossibile; bisognava ormai battere vie diverse e abbandonata la libertà dello stile epistolare, [92] attenersi al rigore della corrispondenza burocratica. Perciò, trascorse due settimane dall'invio della precedente, soddisfece in forma ufficiale alla doppia ingiunzione intimatagli dalla Curia.

 

29 maggio 1873.

 

                Il sottoscritto sempre lieto di poter secondare i desiderii di S. E. Rev.ma l'Arcivescovo nostro di Torino di buon grado dichiara:

                I° Che non riceverà mai nelle case della Congregazione Salesiana come chierico alcuno allievo che abbia appartenuto ai chierici Seminaristi di questa nostra archidiocesi; eccetto che fossero già stati accolti nelle case di detta Congregazione prima dei 14 anni, secondo il decreto Pontificio io Marzo 1870; oppure chiedessero di venirvi per imparare qualche arte o mestiere.

                2° Che tale è la pratica seguita finora; e non si farà alcuna eccezione di sorta senza il permesso o consenso della Curia Arcivescovile.

                3° Persuaso eziando di interpretare fedelmente i voleri della prelodata S. E. Rev.ma intende che questa dichiarazione sia fatta colle riserve e limiti prescritti dai Sacri Canoni stabiliti per tutelare la libertà delle vocazioni religiose.

                4° Occorrendo ulteriori schiarimenti saranno dati colla massima prestezza ad un semplice celino del superiore ecclesiastico, i cui consigli saranno sempre un tesoro per, lo scrivente

 

Sac. Giov. Bosco.

 

                Neppure questa dichiarazione bastò. La clausula che voleva salvi i sacri canoni nelle par ti tutelanti la libertà delle vocazioni religiose, dispiacque a Monsignore, il quale perciò respinse tutto. Era dunque la guerra guerreggiata.

                Noi ci arrestiamo qui, essendo sufficiente il già detto per chiarire l'origine delle divergenze, di cui i lettori han potuto seguire lo sviluppo negli ultimi volumi; un'esposizione più particolareggiata e più documentata sarà fatta nel volume anteriore, che non ha veduto ancora la luce. Il 2 luglio 1873, caduto il discorso sull'insanabile dissidio, Don Bosco dal fondo della sua calma disse: - Anche questo passerà. Da principio questa lotta mi faceva pena, non sapendone il perchè; ma ora il Papa mi ha fatto un programma sul modo di regolarmi. Io lascio fare e non dico nulla. [93]

                In noi che bramiamo di conoscere a pieno la vita del nostro Santo, è legittima oggi la curiosità di saper e quali siano state le cause che produssero un sì totale rivolgimento nei rapporti fra due uomini posti tanto in alto sul candelabro nella casa di Dio. Orbene abbiamo in proposito un cumulo di testimonianze rese durante i processi apostolici da autorevoli contemporanei, che avevano veduto con i propri occhi le cose e udito anche i giudizi di altri non più viventi al tempo delle loro deposizioni. Nulla di meglio pertanto che spremere da simili attestazioni il succo e porgerlo ai lettori concentrato e limpido che nulla nasconda.

                Anzitutto è generale nei testi il convincimento che della deplorabile tortura non si possa addossale a Don Bosco veruna colpa. Su questo punto daremo la parola unicamente alla contessina Mazé de la Roche, nipote di Monsignore e devota non meno a lui che al Servo di Dio[79]. Interrogata dai giudici se fosse da supporre o da ritenere che Don Bosco avesse dato motivo alle controversie, rispose: “lo sono pienamente convinta che il Venerabile non abbia dato causa ai detti dissensi, poiché sempre lo conobbi contrario a qualsiasi litigio e animato per evitarli anche con sacrifizio. Anzi aggiungo che in tutti i discorsi tenuti con mia madre e con me su tale proposito si vedeva quanto intensamente pativa di tutte queste prove”.

                Tenendo dunque conto delle cause allegate dai testi e riducendole per chiarezza ad alcuni capi essenziali, troviamo che alcune provennero dal carattere e dalla mentalità dell'uomo, altre dall'ambiente domestico e curiale.

                Quanto al temperamento sortito da natura, in una necrologia comparsa subito dopo la morte e ispirata alla massima deferenza verso la memoria del defunto[80] si accenna al suo “fare rigido” e si aggiunge che durante la missione inglese egli “non indolcì il suo carattere in paese in cui si doveva cercare [94] con arti di dolcezza di ricondurre all'abbandonato ovile quei popoli”. Che realmente egli si mostrasse impulsivo, impetuoso, facile ad accendersi e a usare parole brusche, era cosa nota lippis et tonsoribus. Simili eccessi erano effetto di grande nervosità ed anche di assalti epatici, a cui andava soggetto. Trasportato pertanto da questo naturale, accadeva, come dicono i testi, che talora trascendesse e poi temesse di compromettere la sua dignità ricredendosi. Qui dunque è da ricercare primieramente uno dei fattori di quanto avvenne.

                Un altro fattore va ricercato nelle sue disposizioni di spirito. Egli doveva la stia formazione intellettuale all'Università di Torino da lui frequentata quando vi spirava ancora il soffio del giansenismo e del gallicanismo; donde la sua poca simpatia per la morale di S. Alfonso e l'esagerato concetto della giurisdizione episcopale. La prima cosa faceva sì che nell'esigere il mantenimento della disciplina ecclesiastica desse in eccessive o storce o non serene esigenze e ricorresse talora a mezzi incredibili, ma veri; la seconda lo rendeva autoritativo, intromettente, intollerante di chiunque, pur rispettandone la dignità, non potesse mostrarsi ligio a tutte le sue vedute. Ond'è che, per nulla incaricato da Roma, voleva immischiarsi nella vita interna della Congregazione Salesiana, già approvata dalla Santa Sede, pretendendo che vi si facesse a modo suo. L'autonomia anzi della Società Salesiana gli fu un pruno negli occhi fin dagli esordi del suo episcopato torinese. “Io ho una diocesi piantata dentro alla mia diocesi, scriveva il 26 agosto 1877 alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; D. Bosco diminuisce e assale l'autorità dell'Arcivescovo di Torino e introduce lo scisma nel Clero”.

                Sotto l'azione continua di questi molteplici fattori non era umanamente sperabile che gli urti una volta cominciati, si potessero di leggeri arrestare o attutire. Lo asserì con buona cognizione di causa monsignor Re, vescovo di Alba[81]. “A [95] spiegare la durata di quegli attriti, disse, fra due persone animate entrambe da rette intenzioni, stimo opportuno ricordare che l'Arcivescovo, insieme con molte buone qualità, aveva pure un'idea un po' esagerata della propria autorità e della propria scienza, oltre ad un carattere pronto, per cui talora precipitava nelle sue decisioni e difficilmente poi si induceva a recedere dalle medesime per timore di menomare il prestigio della sua autorità”.

                Anche le simpatie filosofiche diedero forma alla sua mentalità e determinarono in lui speciali atteggiamenti. Egli si professava rosminiano convinto e agiva di conseguenza[82]. In quegli anni la questione rosminiana era di quelle che si dicono roventi; fra cattolici si combatteva pro e contro con vero accanimento. Orbene l'avversione del Gastaldi per Don Bosco e per la Congregazione si acuì quando vide che non solo le Regole imponevano ai Soci S. Tommaso per maestro nei loro studi, ma che inoltre nella scuola si adottavano esclusivamente testi conformi all'interpretazione tradizionale dell'Aquinate.

                Qui sorge spontanea una domanda. Se questo era il carattere, questa la mentalità dell'uomo, fu solo Don Bosco a sperimentarne gli effetti? No; altri pure ne subirono la loro parte, sebbene a Don Bosco ne sia toccata una porzione maggiore. É noto infatti che per divergenze d'idee sul campo della teologia morale Monsignore diede lo sfratto al grande moralista Don Bertagna, poi Vescovo ausiliare del cardinale Alimonda; rimosse dalla direzione del Convitto Ecclesiastico il teologo Boetti, poi Vicario Generale dello stesso Eminentissimo, e ritirò al teologo Richelmy, poi Cardinale Arcivescovo di Torino, la nomina alla cattedra del Bertagna; allontanò dall'insegnamento il teologo Re, poi Vescovo d'Alba, e il teologo [96] Castrale, poi Vescovo e Vicario Generale del Richelmy. Un po' men noto è che per la questione rosminiana sbandì dall'archidiocesi il valoroso pubblicista Don Tinetti, diocesano d'Ivrea, divenuto poi direttore dell'Unità Cattolica, di cui prima era redattore; se la prese col teologo Margotti, che per liberarsi da tante noie cedette al fratello Stefano la proprietà del giornale; scrisse perfino una lettera assai risentita al padre Beckis, Generale dei Gesuiti[83]. Per questioni canoniche poi intimò a' suoi preti sospensioni senza numero, e per motivi discutibili sollevò molte cause dinanzi alle Congregazioni Romane; tanto che nei processi Don Rua dice di sapere che una volta il cardinale Oreglia, dovendosi recare nel nativo Piemonte, ricevette da Pio IX l'incarico di raccomandargli che trattasse più amorevolmente il suo Clero[84].

                Ponevamo fra le cause anche l'ambiente. Le insinuazioni appassionate, parziali e purtroppo anche maligne di alcuni che sedevano alla sua mensa o esercitavano uffici in Curia, ne rinfocolavano quotidianamente gli sdegni. La Mazé nelle sue deposizioni leggeva di tratto in tratto appunti da lei presi secondo le circostanze in un suo diario. Così dopo un rifiuto di udienza toccato a Don Bosco essa aveva scritto: “Quanto si amavano una volta! Perchè cambiò così lo zio Monsignore? Ah, chi ha fatto il tristo uffizio di suscitare tale discordia, dovrà certo averne un gran rimorso. Perchè dunque non si disdice di quanto asserì e che non ha ombra di vero?”. E dinanzi ai giudici commentava: “Invitata ben sovente a mensa da mio zio Arcivescovo, udivo il di lui segretario avere sovente frizzi e sarcasmi diretti a quei di Valdocco, oppure - Son quei di laggiù! -”. Riguardo ai curiali, basti far menzione dell'avvocato fiscale, definito da un Principe della Chiesa “l'istrumento degno del suo principale”[85].

                Non taceremo di alcune probabili concause, che possono [97] arrecare qualche attenuamento nel giudizio da pronunziare sui fatti esposti. Fin dalla sua venuta a Torino Monsignore forse temette il formarsi dell'opinione che, essendo stato chiamato a reggere l'archidiocesi per opera di Don Bosco, egli si lasciasse guidare da lui nel suo governo. Dovette fors'anche temere che Don Bosco cercasse di attirare alla sua nascente Congregazione molti giovani studenti e molta beneficenza a scapito dei seminari diocesani. Certe imposizioni finalmente poterono trarre origine anche dal non essere allora su vari punti così ben determinata come al presente la legislazione canonica.

                Il cardinale Cagliero, data la conoscenza elle aveva delle cose, riassunse quasi senz'accorgersi in poche parole tutte le cause principali del conflitto, allorchè nei Processi conchiuse una sua deposizione dicendo[86]: “Le divergenze nacquero, a parer mio, da piccole gelosie e temuti o presunti abusi contro l'autorità diocesana, cosa troppo facile tra una Congregazione che nasce e l'Ordinario che la vede, a malincuore, dichiarata esente dalla sua giurisdizione, specie se egli ha un carattere pronto e forte, una salute spesso cagionevole, ed un entourage di consiglieri animosi e piccini da cui si lasci influenzare”.

                Il Signore che permise quei dieci anni di tribolazione, sembra che abbia voluto anche premunire in tempo il suo Servo; poichè non appena cominciarono le dissensioni, gli mandò un sogno misterioso, della cui piena intelligenza doveva fornirglisi la chiave dal complesso degli avvenimenti. Parve a Don Bosco che piovesse a catinelle e che ciononastante urgenti affari lo costringessero a uscire in città. Giunto presso l'Arcivescovado vede (cosa strana!) monsignor Gastaldi vestito con tutta la pompa degli abiti pontificali uscire dal suo palazzo. S'affretta a raggiungerlo ed: - Eccellenza, gli dice, osservi con che tempaccio si mette per via; non vede che fuori non c'è anima viva? Mi ascolti, rientri in casa. [98]

                 - Non ispetta a voi venirmi a consigliare; io andrò per i fatti miei e voi andatevene per i vostri, rispose bruscamente l'Arcivescovo, ributtandolo da sè.

                Intanto, fatti pochi passi, egli sdrucciolò e cadde nel pantano, guastandosi i paramenti, che rimasero insozzati e brutti. Don Bosco tornò a ripetergli per ben cinque volte, che avesse riguardo alla sua dignità, che si ritirasse, che... Ma tutto indarno: preghiere e scongiuri non valsero a nulla. Nel seguitare dunque ostinatamente la sua strada, ricadde una seconda e terza e quarta e quinta volta. Alzatosi l'ultima volta, era irriconoscibile: la sua persona faceva una cosa sola col loto che tutto lo avvolgeva. Stramazzò finalmente, ancora una volta e poi non si alzò più.

                Avvezzo per lunga esperienza a ravvisare nei sogni simboliche rappresentazioni di eventi futuri, è da credere che dopo questo il Servo di Dio guardasse con infinita compassione all'incalzarsi delle moleste vicende e, pur paventando la catastrofe finale, pigliasse animo a non iscostarsi punto dalla sua linea di condotta, che diremo ora quale fu.

                Per prima cosa si asteneva con ogni cura dal dare in pascolo alla maldicenza gl'incidenti che capitavano abbastanza di frequente. Senza motivi seri non ne faceva motto: i processi parlano chiaro. La Mazé, testimoniando per sè e per la madre, disse: “Ci metteva a conoscenza di queste cose penose, unicamente perchè, bene informate, potessimo trovar modo di prestare i nostri caritatevoli uffizi, onde dissipare gli equivoci insorti a me non risulta e sono anzi convinta che il Venerabile non facesse confidenze intorno a questo argomento con altre persone estranee, e quando ne parlava con noi, diceva: - Ne parlo a loro, perchè so con chi parlo e perchè so che loro non possono fare che buoni uffizi”.

                In secondo luogo dominava se stesso in modo da non iscompagnare mai l'afflizione dalla rassegnazione. E in certi casi la pazienza gli costava cara. Alla Mazé una volta riferì un rifiuto di udienza. La Contessina segnò nel diario queste sue [99] impressioni e le parole da lui proferite: “Oh com'era rassegnato! ma come era afflitto il suo cuore! Mi sentii commuovere al sommo udendo dalla sua bocca queste parole: - Si ha bensì tutta la volontà di essere forti, di farsi coraggio nelle avversità; ma a forza di accumulare disgusti su disgusti il povero stomaco si risente e si rompe. - Mai vidi in vita mia Don Bosco cambiare di fisonomia; ma questa volta alternativamente, mentre parlava, diveniva pallido e poi infiammato in volto”.[

                I testi sono unanimi nell'affermare di non aver mai colto nel suo linguaggio il menomo indizio di risentimento per tante contrarietà: Don Anfossi, che bazzicava negli ambienti del clero cittadino e vi attingeva notizie su quanto accadeva, venendo a conoscere le pene di Don Bosco, andò più volte da lui per consolarlo; ma dalle sue maniere costantemente soavi ben s'avvedeva non aver egli bisogno delle altrui condoglianze, saper anzi infondere nel suo consolatore sentimenti di pace e di fiducia in Dio.

                Anche a Don Anfossi, che aveva tante conoscenze nel mondo ecclesiastico, era utile far note certe particolarità, affinchè all'occasione mettesse le cose a posto. Una volta dunque gli narrò d'essere stato chiamato a palazzo, dove in un buon abboccamento sembravagli essersi appianate tutte le difficoltà; tant'è vero che l'Arcivescovo lo aveva invitato a benedire i familiari da lui fatti entrare. Ma li ebbe appena licenziati, che, quasi ricredendosi, riaffermò la colpevolezza di Don Bosco. Questi, sempre in calma, si studiava di persuaderlo in contrario, ma senza pro; chè Monsignore, dicendogli duramente: - Se ne vada! - gli voltò le spalle e Don Bosco afflitto fu dal suo segretario preso per un braccio e condotto fuori della sala. Dopo questo racconto il Servo di Dio esclamò: - Com'è possibile trattare seriamente e con risultato con un uomo che muta pensiero con tanta facilità?

                Ecco perchè di sì penose vicende Don Bosco si preoccupava: se ne preoccupava per gravi affari riguardanti alla Congregazione, [100] non per la sua persona. Un giorno disse al medesimo Don Anfossi: - Se non si trattasse anche della Congregazione, io, per evitare questi urti, preferirei andarmene a Roma o in altra città; ma sembra essere volontà di Dio, che la Congregazione ponga qui le radici.

                Si rammaricava non meno, perchè simili fastidi gl'impedivano di fare tutto il bene che avrebbe voluto. Con qualche suo confidente diceva: - Il demonio ha previsto il bene grande che si sarebbe potuto compiere, se monsignor Gastaldi avesse continuato a proteggerci; ma lo spirito del male seminò la zizzania. L'Arcivescovo s'informa di tutte le cose nostre e ci mette ogni sorta d'impacci; ma anche questo passerà. Noi andremo avanti tacendo e non intraprendendo mai nulla contro di lui. Mi rincresce solamente del tempo che ci fa perdere, che potremmo impiegare tutto per il bene delle anime.

                Un altro punto sul quale i testi vanno d'accordo è nell'affermare, che, nonostante le opposizioni qualificate per sistematiche da un autorevolissimo Prelato romano[87], Don Bosco non tralasciò di amare, rispettare e nella misura del possibile aiutare l'Arcivescovo. Depose la Mazé: “Il Venerabile, semprechè ebbe a trattare cose di questo argomento, ci accennava appena il necessario, tanto che alcune volte non comprendevamo dove mirasse ed eravamo costrette a interrogarlo. Ma egli in tutto ci parlava di Monsignor Arcivescovo con tanto rispetto e carità, che ne restavamo edificate”.

                Nè solamente i testi parlarono così, ma così scrissero anche altri che dinanzi al tribunale ecclesiastico non comparvero. É prezioso quello che scrisse il padre Felice Giordano, superiore degli Oblati di Maria Vergine a Nizza Mare[88]. “Essendo io di passaggio in Torino, narrava egli, ed usando insieme con certa apertura con l'Arcivescovo per esserne stato antichissimo condiscepolo, fui messo alquanto al corrente della [101] nata differenza. Orbene, io posso dire che non mai più che allora rimasi colpito di meraviglia, a vedermi tanta calma inalterata nell'amico Don Bosco. Difatto per un successivo colloquio che ebbi con Don Bosco in Valdocco, io ne tornai edificato siffattamente, che prima di ripartire per Nizza, scrissi una lunghissima lettera all'Arcivescovo, dove io gli riferiva in proposito tutte le felici impressioni che ne aveva riportato”.

                Lettere di questo genere, esortanti Monsignore a lasciar tranquillo Don Bosco, ne furono scritte non poche. Il teologo Franchetti ne possiede gli originali. In una dell'agosto 1873 monsignor De Gaudenzi, Vescovo di Vigevano, gli rendeva questa testimonianza: “Son certo che il sig. Don Bosco è disposto a tutto, anzichè mancare di ossequio e di riverenza al suo Arcivescovo, che so quanto tu veneri e stimi”.

                La riprova che egli camminava per le vie della rettitudine si ha nei doni soprannaturali non cessati mai di rifulgere in lui durante il periodo delle sue maggiori tribolazioni. Per questo è preziosa una stia risposta. Allorchè con la venuta del cardinale Alimonda a Torino un'iride di pace prese a brillare sull'Oratorio, Don Albera volle un giorno conoscere quale fosse il pensiero di Don Bosco sopra il frequente intervento della Madonna nel corso della sua vita e delle sue opere. Egli, udita la domanda, si fermò un istante a riflettere e poi rispose: - Tutti erano contro Don Bosco; bisognava bene che la Madonna lo aiutasse.

                Conchiuderemo anche noi la nostra esposizione come conchiuse il cardinale Cagliero un'ampia sua deposizione[89]: “In conclusione ritengo che non senza divino consiglio il Venerabile Don Bosco in colui che sperava sarebbe stato il suo più fido e forte protettore, ebbe invece, a perfezione della sua santità, un oppositore, e proprio nel periodo più glorioso e più fecondo del suo apostolato. Questa croce che il Signore [102] gli mise sulle spalle, gli faceva perdere gran parte del suo preziosissimo tempo non in altro che in una umile e doverosa difesa; eppure non gli cavò mai un lamento dal cuore, un motto di impazienza, di stizza o di giusto risentimento. La sopportò fortemente, serenamente, umilmente, senza perdere una sola volta la pace interiore, senza che lo distogliesse dal lavorare continuamente per il rassodamento e l'espansione dell'opera sua, con quella giocondità di spirito, con quella intima inalterata unione con Dio, che è la caratteristica dei Santi”.

 

 

CAPO IV.

A Parigi: accoglienze.

 

                A Parigi Don Bosco non arrivò nè sconosciuto nè inatteso. Le pratiche durate a lungo con l'abate Roussel per rilevare la stia opera di Auteuil ne avevano fatto circolare il nome nelle sfere ecclesiastiche e laiche per via di coloro che si occupavano d'istituzioni benefiche, tanto numerose nella grande metropoli. Nei sermons de charité l'attività del prete torinese a vantaggio della gioventù povera e abbandonata veniva citata a stimolo e a modello, tanto più che anche sul suolo francese le sue fondazioni richiamavano sempre più largamente l'attenzione dei buoni cittadini e della stampa cattolica. Inoltre i contatti di lui con la colonia parigina che soleva svernare a Nizza e lungo la Costa Azzurra, gli avevano procurato preziose conoscenze, svegliando in molti con i sentimenti d'ammirazione per le sue virtù e per le sue imprese il desiderio di vederlo nella capitale. Per mezzo di questi signori poi penetrò ivi e si sparse nelle famiglie aristocratiche il libro del nizzardo dottore D'Espiney, che senza pretese e in forma briosa narrava gli episodi più salienti della sua vita, destando nei lettori la curiosità di conoscere da vicino un uomo così singolare. Perciò, quando si seppe che egli stava veramente per giungere, vari [104] nobili parigini gareggiarono nell'offrirgli la loro ospitalità e diffusero la lieta notizia in ampia cerchia di parenti e conoscenti. Nessuno per altro avrebbe potuto mai presagire nè immaginare il millesimo di quello che avvenne e la cui narrazione richiederà da noi una parte notevole di questo volume[90].

                Era il mercoledì 18 aprile, quando, verso le sei della sera, Don Bosco, accompagnato da Don De Barruel, scese alla stazione di Lione. Una vettura che lo aspettava, lo condusse, percorrendo i boulevards, al corso Messina e si arrestò al portone del palazzo De Comband. La Contessa, gentildonna matura d'anni e ottima cristiana, era felicissima d'avergli fatto gradire la stia ospitalità. Noi avemmo già occasione di nominarla, quando si parlava del futuro monsignor Malan e della sua straordinaria vocazione[91]. Possedendo essa una villeggiatura nelle vicinanze della Navarre, aveva visto colà il Servo di Dio nel suo recente passaggio e preso con lui gli accordi per la prossima andata a Parigi. Mise ivi a sua disposizione un appartamento separato affatto dal resto della casa deputando a servirlo persone adatte e nulla trascurando perchè egli si sentisse interamente a suo agio.

                Presto si doveva toccare con mano quanto fosse stata accorta la scelta del segretario. Don De Barruel, francese autentico, discendente da nobile famiglia del Delfinato, aveva prima studiato giurisprudenza ed era stato capo di gabinetto in una Prefettura durante la presidenza del maresciallo MacMahon. Da giovanetto nel piccolo seminario aperto da monsignor [105] Dupanloup a Chapelle Saint - Mesmin presso Orléans, aveva avuto a condiscepolo monsignor Camillo Siciliano Di Rende, allora Nunzio Apostolico a Parigi. Uomo colto e navigato, fu una vera provvidenza per Don Bosco in quel gran mondo.

                Parigi si commosse alla venuta di Don Bosco. Questa frase dice tutto. Le maggiori città non si sogliono commuovere tanto facilmente per la presenza di ospiti anche molto illustri; Parigi poi alle novità di questo genere è forse la città più indifferente che esista. Oggi le fa riscontro solamente Roma. Personaggi di gran rinomanza nell'arte, nella scienza, nella politica, e autorità di prim'ordine nella gerarchia sociale vi passano e ripassano del continuo, attirandosi al più al più una momentanea attenzione. Ab assuetis non fit passio. Invece, appena corse la voce che c'era Don Bosco a Parigi, vi si determinò un movimento incessante e travolgente verso la sua persona: dovunque si sapesse che egli si trovava, si voleva vederlo, ascoltarlo, avvicinarlo, toccargli le vesti. Fu un'ovazione generale e quotidiana, non preparata in alcun modo nè organizzata, ma improvvisa, spontanea, addirittura stupefacente.

                E sì che il suo esteriore non presentava agli occhi del pubblico nulla di ciò che domina le masse. 1 giornali ne mettevano in rilievo la statura mediocre, l'andare tentennante, la vista stentata, il tono della voce lento e fievole, l'accento straniero e il fraseggiare più straniero ancora, l'estrema semplicità del tratto; ma ne rilevavano pure la bontà squisita, la dolcezza inalterabile, la pazienza eroica, notando come l'aureola di taumaturgo che ne circondava il nome, lo lasciasse modesto modesto, quale poteva apparire l'ultimo de' suoi figli, i non profani però scoprivano bene il segreto di sì potente attrattiva: era la santità quella che, nonostante tutte le tentate deformazioni dell'anima popolare, esercitava pur sempre anche in una Parigi il suo fascino perenne.

                Il movimento che dicevamo cominciò subito il giorno dopo [106] del suo arrivo. Quella mattina, celebrata la Messa dalle Carmelitane, Don Bosco si recò premurosamente all'Arcivescovado: gli premeva di rendere omaggio all'angelo della diocesi. Non vide l'Arcivescovo, che era fuori ad amministrare la cresima; ne visitò per altro il Coadiutore monsignor Richard, da cui ebbe le migliori accoglienze. In giornata però volle tornare; allora il cardinale Guibert lo trattenne in lungo e cordiale colloquio. Rientrato in casa, trovò già un centinaio di persone che domandavano di vederlo.

                Quest'affluenza, indice di quello che sarebbe diventato da mane a sera il suo palazzo nei giorni successivi, spaventò la De Combaud, che corse tosto ai ripari. Non lungi dalla chiesa della Maddalena, in via Ville l'Evèque, nel palazzo De Sénislhac, albergava una comunità che esteriormente non aveva apparenze monacali, ma che formava una famiglia religiosa femminile, le cui aggregate appartenevano all'aristocrazia e si chiamavano Signorine, non suore[92]. Erano le Oblate del Sacro Cuore di Montluçon. fondate da Luisa Teresa De Montaignac De Chauvance, per la quale è stato iniziato il processo di beatificazione. A capo della comunità anzidetta stava una Sénislhac. A lei si rivolse la De Combaud. Come facilmente si prevedeva e come realmente fu, Don Bosco, celebrando or qua or là dove l'avrebbero invitato, non sarebbe mai stato tanto presto di ritorno prima del mezzodì; onde la fiumana dei visitatori sarebbe stata più esorbitante nelle ore pomeridiane. Si convenne dunque di fare a metà; egli ogni pomeriggio alle due sarebbe andato in casa Sénislhac e là avrebbe atteso alle udienze serali. A tale scopo fu destinato [107] un ampio e comodo appartamento nel primo piano. Vi si ascendeva per lo scalone nobile. Una stanza d'ingresso dava adito a una saletta, donde si passava in una sala grande rischiarata da tre finestre di fronte. Di qui si entrava in un'anticamera, nella quale si apriva la porta della biblioteca: in questa Don Bosco avrebbe ricevuto.

                Giova presentare fin da principio l'orario delle giornate parigine di Don Bosco. Si alzava alle cinque, faceva orazione e attendeva allo spoglio della corrispondenza recatagli con l'ultima posta della sera innanzi: un monte di lettere che cresceva ogni dì più. Quindi si portava a celebrare in cappelle o chiese, dove fosse aspettato, e poi ivi stesso accoglieva visitatori e continuava ad accoglierne dalla De Combaud, finchè fosse tempo di andare a colazione da alcuno di coloro che quotidianamente lo tempestavano d'inviti. Alle due cercava di essere in casa Sénislhac per le udienze serali, durandola non meno di sei ore e ritornando al palazzo De Combaud ordinariamente verso le dieci. Qui si tratteneva un pochino con i suoi ospiti; indi, ritiratosi nella sua camera col segretario, esaminava se le lettere della giornata erano state ben classificate per le risposte. Finalmente, fatta la sua orazione, si coricava verso la mezzanotte.

                Alla sera del 20 la Sénislhac e le sue compagne poterono farsi un'idea di quanto doveva succedere nei giorni successivi. Alle due la loro dimora era già letteralmente invasa: persone d'ogni ceto chiedevano di vedere Don Bosco. Le religiose, volendo che la prima benedizione del Servo di Dio nella loro casa fosse per esse, si raccolsero intorno a lui nella biblioteca subito al suo entrare. Si riteneva per fermo che il segretario avrebbe provveduto da sè a introdurre i visitatori; ma egli, consegnato loro Don Bosco, se l'era svignata, avendo altro da fare. Povere donne, in che impiccio si trovarono! La prima cosa fu difendere Don Bosco da un'irruzione; perciò la signorina Jacquier si piantò sulla porta che dalla biblioteca dava nella sala grande, e la signorina Bethford montò la guardia [108] a un'altra porta che dalla biblioteca metteva sul pianerottolo della scala e che doveva restar chiusa. Si accedeva a Don Bosco per la porta interna. Qui la guardiana manovrava energicamente per dare il passo secondo l'ordine di precedenza. Gremivano il salone signori e signore della migliore società; fra gli altri la principessa di Trapani con la figlia e con alcune dame si lamentava da due ore che non venisse mai il suo turno, anzi che non le riuscisse nemmeno di aprirsi un varco per arrivar a perorare la sua causa dinanzi all'improvvisata ostiaria. Finalmente uno scambio di biglietti servì a indicarle e a farle schiudere una porticina fuori degli occhi del pubblico, il che le permise di giungere a Don Bosco. Ne uscì lietissima, profondendosi in ringraziamenti alle sue liberatrici.

                Dopo sei ore il salone era ancora pieno, perchè quanti sgombravano, tanti ne pigliavano il posto. Alla fine Don Bosco si affacciò per dare una benedizione generale. In quell'attimo successe un pigia pigia contro di lui da far temere per la sua incolumità. Il lungo attendere rende nervosi. Si gridava: Padre, mio figlio ha il tifo... Padre, ho un tumore... Padre, ho un figlio che mi fa disperare... Ho questo, ho quello... Certuni, armati di forbici, profittavano della calca per tagliuzzargli la sottana e procacciarsene reliquie. Quand'egli uscì, le sue guardiane erano là in piedi da otto ore.

                Ma l'esperienza aveva loro insegnato qualche cosa. Il giorno dopo, rinnovatosi lo stesso concorso, quanti entravano nella sala, erano obbligati a scrivere il proprio nome sopra un foglietto recante un numero e con quello avanzarsi ordinatamente per l'udienza. Il provvedimento, avendo dato buoni risultati, fu mantenuto anche in seguito. Alle signorine però prestarono mano la contessa De Caulaincourt, la contessa D'Andigné e altre illustri dame parigine, sobbarcandosi con vera abnegazione a quell'arduo ufficio di mantenere un po' in ordine e arginare una folla, che riempiva sale, scalone e cortile, aspettando impaziente, ma ferma per ore e ore.

                Don Bosco a Parigi non era più padrone di sè. Una sera,  [109] bisognandogli trattar un affare con un signore della città ed essendo bloccato dalla parte anteriore il palazzo del viale Messina, sguizzò via per un'uscita postica. Non aveva detto ad anima viva dove sarebbe andato; eppure, trapelata la cosa forse per indiscrezione del cocchiere, la carrozza non era ancora giunta a destinazione, che già l'affollamento sbarrava il cammino. Egli entrò, ma nell'atrio lo stringevano da ogni lato; certuni financo s'inginocchiavano là per confessarsi. Il Santo, soffocato dalla calca, chiamò in aiuto Don De Barruel e: - Di' a tutta questa gente, gli raccomandava, che si ritiri nell'anticamera e passino uno alla volta.

                 - Sì, rispose il segretario. Ma poi, perdutosi di coraggio, finì con l'andarsi a sedere sopra una panca, come smemorato.

                 - Ma Don De Barruel, invocava inutilmente Don Bosco, fa' quello che ti dico!

                Chi sa come si sarebbe liberato, se non sopraggiungeva il marchese di Franqueville, che lo fece passare in una stanza attigua, dicendogli che aspettasse un momento; poi chiuse la porta, lo raggiunse per un altro ingresso e segretamente lo condusse a pranzo in casa sua, mentre tutti aspettavano, persuasi che egli stesse sempre là entro. Giunsero al palazzo che sonavano le venti; ma ecco sul portone un'altra vettura che li attendeva. Una famiglia, in cui un figlioletto era moribondo, mandava a pregare Don Bosco di una sua visita, foss'anche per un minuto solo[93]. Don Bosco andò. Finalmente alle ventitrè si misero a tavola; ma egli non prese che un po' di zuppa.

                Il 3 maggio, dopo la conferenza a Santa Clotilde, si accinse a dare udienza nella retrosacrestia, standosene in piedi sopra la predella; ma la processione non finiva mai. A un certo punto disse al marchese di Franqueville là vicino: - É impossibile contentare tutti. Come si fa a resistere? Non reggo più dalla [110] stanchezza. Ascolterò da ognuno soltanto una parola. Facciamo questo patto. - Il Marchese andò a proporre e a imporre la condizione, e vigilava perchè nessuno la violasse. Così nello sfilare della folla, i passanti gli dicevano la loro necessità: - Preghi per me... Ho la madre ammalata che le si raccomanda ... Mi benedica... Mi dia una medaglia... Ho un figlio sviato ... Dica alla Madonna che mi faccia andar bene gli affari. - In questo modo ne passava una quarantina al minuto, ricevendo tutti una medaglia di Maria Ausiliatrice.

                La sfilata durava già da due ore, quando il Servo di Dio disse al Marchese: - Guardi un po' quanti ce ne sono ancora. - Il Marchese guardò e gli rispose: - Ce ne sono ancora cinquecento. - Gli fu portato un caffè, che sorbì senza sospendere l'operazione. Dopo un'altra oretta: - Signor Marchese, domandò nuovamente, quanti ne rimangono? - Il Marchese si riaffacciò e poi gli disse: - Saranno un migliaio.

                Don Bosco non ne poteva più e bisognava troncare. Venne il parroco a scambiare due parole; indi il Marchese per una porta là presso lo fece passare nella, canonica e dalla canonica partire. Quando la moltitudine accalcata fuori s'accorse che non c'era più, invase la casa del parroco, chiedendo clamorosamente dove fosse Don Bosco. Uditane la partenza, stava per nascere un subbuglio, quando una voce gridò che era andato dal signor Baudon, via tale, numero tale. Questo signor Baudon era il presidente generale delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli. Non tutti avevano inteso bene l'indirizzo; altri, venuti da estremi opposti di Parigi, ignoravano l'abitazione; onde un interrogare tumultuoso i passanti e un agglomerarsi di curiosi che raddoppiava l'assembramento, e poi un correre all'impazzata, facendosi a chi giungesse prima.

                Di lì a poco un'onda di popolo si gettava sulla casa del signor Baudon di Rozembau e forzandone l'entrata, irrompeva nel portico e si spingeva su per le scale. Il padrone si fa alla finestra spaventato e domanda che c'è. [111]

                 - Vogliamo vedere Don Bosco.

                 - Don Bosco non c'è.

                 - Don Bosco c'è. Han detto che è qui da lei.

                 - Si, lo aspetto. Avrò il piacere di averlo a colazione con me, ma non è ancora venuto.

                In quella, ecco apparire il Servo di Dio. Come Dio volle, si sbrigò anche da quell'assediamento, salì, entrò nel salotto ed ebbe finalmente un po' di respiro.

                Un pomeriggio tardò alquanto all'appuntamento in casa Sénislhac. Dalla chiesa della Maddalena, che ne distava dugento metri, tutto quel tratto di via era così ingombro di gente da rendervisi impossibile la circolazione. Gli fu forza scendere di carrozza e farsi largo a piedi. Vestiva alla francese con rabat e fascia. Nessuno lo conosceva. A un dato momento, portato dalla folla, si trovò sequestrato nel vano di una porta e venne spinto entro un cortile, donde ebbe un bel da fare per uscire e riprendere il cammino. Arrivato alla mèta e raggiunta la scala, tentava di andar su; ma non c'era verso di fare un gradino.

                 - Lasciatemi passare, diceva amorevolmente.

                 - No, gli rispondevano. Io ho il numero quindici, io il venti.

                 - Ebbene, ripigliò dopo un poco, se non volete che io passi, lasciate almeno che mi vada a riposare su quel gradino.

                 - No, no, siamo noi i primi e lei è un intruso.

                 - Ma sappiate, buoni signori, che se non vado io, voi non potrete parlare con Don Bosco, perchè Don Bosco sono io.

                Gli risero in faccia e tutt'intorno si levò un coro di voci a dargli del farseur [burlone].

                Pazienza, non c'era che fare! Dovette tornarsene indietro, e per questo non incontrò resistenza. Liberatosi di là, andò a visitare una famiglia, che lo aspettava da lunga pezza, perchè vi benedicesse un infermo. Se non fosse stato di quel contrattempo, non avrebbe potuto consolare quel poveretto. [112]

                La Sénislhac, che con la casa piena di gente l'aveva atteso invano, rimase male, quando ne conobbe il motivo; perciò ricorse al braccio secolare. In seguito alcune guardie municipali si mettevano di sentinella dentro e fuori, anche perchè non fosse ostruito il passaggio agl'inquilini dei vari appartamenti, che non sapevano più come entrare o uscire.

                La stampa della capitale non si disinteressò dell'ospite italiano. Il Figaro, l'Univers, la Gazette de France, il Clairon, la Liberté, il Pèlerin, la France illustrée dell'abate Roussel e altri fogli non si contentarono di dargli il ben venuto, ma lanciarono grandi articoli, chiamandolo l'“Uomo di Dio”, il “Taumaturgo del secolo XIX”, il “S. Vincenzo de' Paoli italiano”. Alla capitale fecero eco le province. A Parigi i corrispondenti gli davano la caccia dappertutto. Noi a tempo e luogo terremo conto di quello che si scrisse; intanto tradurremo qui da due articoli i passi che descrivono l'entusiasmo generale dei Parigini per Don Bosco, omettendo i cenni biografici, attinti dal libro del D'Espiney e destinati a illuminare il pubblico sull'uomo del giorno. Il primo articolo, comparso sull'Univers del 5 maggio e dovuto alla penna dell'Aubineau, un veterano della stampa e acuto osservatore, conteneva questi tratti.

 

                Parigi è sorpresa al vedere il movimento determinatosi nel suo seno intorno a un umile prete della diocesi di Torino, che non ha nulla di attraente agli occhi del mondo. É di famiglia oscura ed ha un esteriore modesto. La sua voce in pubblici numerosi non arriva a farsi udire. Ha vacillante il passo e debole la vista. Perchè le folle gli corrono dietro?... L'unica preoccupazione della capitale in questo momento non è di vedere e di avvicinare Don Bosco?

                 - Dov'è?...

                 - Che cosa fa?...

                Quindici giorni addietro se ne conosceva appena il nome, proferito qualche volta nelle conferenze di carità. Si conoscevano all'ingrosso le opere, che quel nome richiamava: opere giovanili, che si occupano di ragazzi abbandonati e che si moltiplicano e si estendono da più parti. Anche un libriccino, letto non senza sorridere, aveva messo gente divota a conoscenza di queste mirabili fondazioni, dei loro sviluppi e dei loro frutti. Di più non se ne sapeva. Oggi quindi molti sono [113] stupiti del rumore improvviso destato da un nome, che pocanzi avevano appena udito pronunziare.

                E il plauso dei Parigini è quasi unanime, e l'attrattiva irresistibile che agita le folle ha già in sè del prodigioso. In questo vi è una risposta incosciente, se si vuole, ma diretta ed energica contro le proclamazioni di ateismo che da ogni parte si pretendono fare in nome del popolo. Tanti omaggi sono indirizzati all'uomo di Dio: l'uomo della fede e della preghiera la folla vuol contemplare. Le maggiori chiese sono state troppo strette per contenere i fedeli elle vogliono ascoltare la Messa di Don Bosco, pregare con Don Bosco, ricevere la benedizione di Don Bosco. Altro a lui non chiedono.

                Le moltitudini viste, non è guari, intorno al curato d'Ars andavano a domandare un'assoluzione: al confessore si accorreva da ogni parte del mondo presso l'umile parrocchia sperduta tra i fanghi e gli stagni della Bresse. Neppure Don Bosco rifiuta di accogliere e di ascoltare i peccatori [...]; ma a Parigi, nel turbinio che lo trascina, la gente capisce che egli non avrebbe guari tempo di star a confessare, e tutto lo slancio che si manifesta intorno al dolce e semplice prete, ha per iscopo di ottenerne la benedizione e un po' di preghiera.

                Ognuno desidera che quella benedizione discenda sulla sua miseria personale o sopra un suo particolare dolore. Il buon prete ascolta tutti, s'interessa di tutti e invoca su tutti la protezione di Maria Santissima Ausiliatrice. Egli non bada a sè, ma si mette interamente a disposizione di quanti lo supplicano: è là per loro, per le loro pene, per le loro speranze: consola, benedice, incoraggia. In mezzo al tumulto che lo circonda, non se ne dà per inteso, ma sembra fare unicamente attenzione a chi gli parla: s'informa di tutti e a tutti raccomanda di aver coraggio.

                ... Io non l'ho veduto ne' suoi ospizi fra i preti, che, da lui formati, portano la fecondità sacerdotale nelle povere anime dei ricoverati; ma l'ho veduto in mezzo alle folle che, attratte dal suo nome, gli si gettano ai piedi, gli baciano le mani e si curvano a riceverne la benedizione. La bellezza di un tal trionfo sia nella modestia di colui che ne è l'oggetto. Si vede bene che non cerca niente per sè, ma riferisce tutto a Dio e alla Santa Vergine. Lui come lui è figlio di contadini, che a quindici anni guidava ancora l'aratro, e figlio di contadini si mantiene senz'aspirare a farsi valere. Va facendo il bene e sacrificandosi per tutti senza discernimento, per dir così, e senza predilezioni. Lo prendono, lo conducono, ed egli lascia fare.

                ... Il contegno della popolazione parigina è cosa che sorprende. I concorsi nelle chiese sono imponenti e la ressa intorno all'uomo di Dio riempie di meraviglia. Dappertutto, anche nelle case private dove va, la folla lo segue, lo precede, lo spia e lo assedia. E non soltanto i semplici fedeli ricorrono a lui. Ho avuto occasione di vederlo un istante in una sacrestia prima della Messa. Parato che fu, allorchè [114] con le mani giunte, con gli occhi bassi moveva per andar all'altare, molti preti gli si avvicinarono l'un dopo l'altro e gli sussurrarono all'orecchio le loro raccomandazioni. Che dire di Don Bosco all'altare? lo l'ho potuto osservare da presso e ne ho contemplato il raccoglimento e la pietà.

 

                Con la medesima data la Liberté cominciava così un lungo articolo: “A Parigi negli ambienti religiosi non si parla in questo momento che di Don Bosco, una specie di S. Vincenzo de' Paoli italiano”. Segue poi una descrizione di quello che il redattore vide presso la De Combaud.

 

                La sua abitazione è presa d'assalto; si affollano le chiese, dov'egli va; saputosi che deve parlare dal pulpito, ci vuole un servizio d'ordine per contenere la piena. Di gruppo in gruppo si sentono raccontare i suoi fatti straordinari e vi si ode ripetere: - Il padre... il santo. Il padre e il santo sono la medesima persona, Don Bosco.

                Abbiamo voluto vedere anche noi, non lo nascondiamo, un uomo, la cui vita benefica gli ha meritato simili attestati di venerazione. Siamo andati infatti con questo scopo in mente al viale Messina, dove in un magnifico palazzo privato Don Bosco gode l'ospitalità di una famiglia amica. Numerose carrozze stazionavano dinanzi alla porta. Nel cortile un viavai di visitatori. Dal portiere molte persone discutevano per farsi inscrivere. Nella vastissima sala d'ingresso, in cui si radunavano coloro che avevano ottenuto udienza entro la giornata, non c'era più una sedia vuota. Salito lo scalone, c'introdussero nella sala dove Don Bosco riceveva. Con tanta gente che aspettava, abbiamo avuto appena il tempo di salutarlo. A un ometto assai semplice, si direbbe quasi timido, che si esprime in francese con un leggero accento italiano.

 

                Don Bosco affidò il pubblicista a Don De Barruel, che lo condusse da Don Rua. Don Rua, “tipo caratteristico d'italiano”, scrive il giornalista, aveva le mani nella corrispondenza. Il visitatore osserva: “Non abbiamo mai viste tante lettere arrivate in un giorno. Formavano un gran mucchio sopra la scrivania, e sotto ve n'era una gran quantità di lacerate. Il prete faceva un segno su quelle che meritavano risposta e le univa a un mazzo che gli stava davanti. Quante lettere, quante lettere! E senza contare le assicurate”.

                Appunto per il disbrigo della corrispondenza, talora di [115] carattere delicato, Don Bosco sul finire di aprile[94] aveva chiamato Don Rua a Parigi. Don De Barruel, benchè aiutato volenterosamente da altri, non arrivava a cavarsela. Il 2 maggio Don Rua scriveva al Direttore dell'Oratorio: “Non puoi farti un'idea delle montagne di lettere che sono qui, in aspettativa di risposta: non tre, ma sei o sette segretari sarebbero necessari. Fortunatamente c'è anche un bravo religioso, che viene a prestar l'opera sua in nostro aiuto”. Anche l'istitutrice delle figlie della di Combaud e parecchie signorine Oblate, nei limiti del possibile, alleggerivano loro la fatica. Il portinaio sei volte al giorno saliva con una guantiera colma.

                Il giornalista della Liberté mosse a Don Rua una serie di domande per istrappargli notizie fresche da ammannire ai lettori; ma non potè spillare gran che. Don Rua non ismise il suo lavoro, ma disuggellava buste, scorreva con l'occhio gli scritti, annotava e riponeva o senz'altro cestinava, e intanto raccontava all'intervistatore episodi della vita di Don Bosco e particolarità delle sue fondazioni. Quando quegli chiese se fosse vero che Don Bosco guariva i malati, Don Rua e Don De Barruel sorrisero e il primo gli rispose: - Tutto quello che egli può fare, si è di pregar Dio per essi[95].

                Un documento vivo e rilevante, perchè uscito dalla penna di persona colta e sotto l'impressione immediata dei fatti, nè destinato alla pubblicità, ci è testimonio, che l'entusiasmo non infiammava solo il popolino o le teste piccole. Esso proviene dalla signora Claudius Lavergne, moglie di colui che suscitò in Francia l'arte dei vetri istoriati e scrittrice di bella rinomanza nella letteratura per la fanciullezza. Scriveva [116] dunque il 5 maggio a una cognata[96]: “Che meraviglia di secolo è il nostro, se si considera la fecondità della Chiesa! Vi è Don Bosco a Parigi e non puoi farti un'idea dello slancio dei Parigini per questo semplice prete. Non ha eloquenza nè imponenza di sorta, ma è di una semplicità e di un'umiltà degne di S. Vincenzo de' Paoli. Lo sorreggono nel camminare, perchè non ha più forze. Oggi deve andare a Lille. Al ritorno andrà dalle Dame di Sion, dove spero di fargli benedire i miei figli, piccoli e grandi. Se si prestasse fede alla voce pubblica, i suoi miracoli sarebbero senza numero; ma tu sai bene quanta sia la severità della Chiesa in questa materia, e non bisogna dar credito a tutto quello che si dice. Ma anche a levarne i nove decimi, ve ne resta ancora abbastanza per giustificare le entusiastiche accoglienze che qui gli si fanno. Quanto a me, ho la massima fiducia nelle sue preghiere e gliele domanderò per tutto quello che ho di più caro al mondo [ .... ]. É l'avvenimento della settimana e dalla venuta di Pio VII in poi non si è mai veduta a Parigi una folla simile intorno a un prete”.

                Perchè i lettori si facciano in qualche modo un'idea completa delle accoglienze ricevute da Don Bosco a Parigi, dobbiamo riferire ancora alcuni particolari dei più significativi.

                Non passò giorno che ragguardevoli signori non lo invitassero alla loro mensa, ed egli, imitando anche in questo l'esempio del Divin Maestro, accettava. A tavola poi tutti gli tenevano gli occhi addosso; anzi vi furono di coloro che non solamente gli assegnavano un posto ben cospicuo per osservarlo a loro agio, ma disponevano perfino specchi e vetrate in guisa da poterlo contemplare senza ch'egli se n'accorgesse. D'ordinario mangiava poco, il che faceva esclamare: - Che spirito di mortificazione! - Un giorno venne servito quel gelato che da noi chiamasi spumone. - Vedrete che non [117] ne piglierà, bisbigliarono fra loro alcuni commensali, o ne taglierà una fettina, per mortificarsi. - Egli invece, che aveva sentito tutto, tirò giù abbondantemente. - Ecco, si dissero allora i primi, fa così per essere creduto goloso. - Sappiamo da lui stesso l'episodio, che con tutta ingenuità soleva raccontare a' suoi figli, cavandone una bella morale. - Vedete, diceva, come vanno le cose di questo mondo. Se uno gode stima, tutto ciò che fa, si prende in buona parte; se al contrario passa per cattivo, succede tutto il rovescio. - Quanto a lui, c'era perfino chi dopo il banchetto beveva quasi con divozione le ultime gocce di vino rimaste in fondo al suo bicchiere, conservando poi il bicchiere stesso come reliquia.

                Molti gli presentavano oggetti sacri, perchè li benedicesse, e financo penne da scrivere. Certuni portavano penne nuove con preghiera di porgerle a lui affinchè le usasse, per poi riaverle e serbarle come reliquie.

                Qualunque cosa gli appartenesse, veniva acquistata anche a caro prezzo. Un giorno gli si presentò un signore pregandolo di apporre semplicemente la sua firma a cinquanta immagini sacre, ed egli lo fece. Due giorni dopo ecco il medesimo signore portargli duemila franchi, ricavati dalla vendita di quegli autografi. Talvolta poverelli venivano a supplicarlo di scrivere il suo nome su qualche immaginetta simile, che poi andavano a vendere per quaranta o cinquanta franchi. A titolo di elemosina, egli usava loro tale condiscendenza. Una signora, che aveva ottenuto un autografo di Don Bosco, scrisse a Don De Barruel che esso formava la sua gioia; ma un suo autografo sembrarle così prezioso da supplicare il segretario che facesse copiare da lui e rimettere a lei alcune altre righe che gli inviava per suo fratello, bramoso di possedere anch'esso un simile tesoro[97]. Alla brama di possedere suoi autografi aveva contribuito pure la notizia, che a Chambéry un infermo, postosi sul petto un'immagine di Maria Ausiliatrice, [118] sotto la quale Don Bosco aveva scritto il proprio nome, era guarito all'istante.

                Che dire poi delle medaglie? Ne distribuì un visibilio. Subito alla dimane dell'arrivo a Parigi comprese la necessità di averne una buona riserva; onde scrisse al provveditore dell'Oratorio:

 

                               Caro Rossi Giuseppe,

 

                  Dimmi a vapore.

                  I° Indirizzo per avere medaglie, immagini Maria Aus.

                  2° Se non si possono trovare qui a Parigi mandane da Torino. Avenue Messine 34.

                Buon giorno.

 

                19 aprile 1883.

Amico

Sac. Bosco.

 

                Un saluto a Garibaldi e a Rossi Marcello[98].

 

 

                Furono tante le medaglie distribuite, che la baronessa Reille, la quale erasi offerta a provvedergliele, ben lieta di mantenere la promessa, diceva: - Non avrei mai creduto di dover spendere una somma così rilevante.

                Nè possiamo tacere delle sue vesti. Non poche volte tornò a casa con la sottana a brandelli; un giorno anzi gli tagliarono da cima a fondo e si portarono via tutta la parte posteriore, sicché gli si fece tosto indossare il pastrano. E anche quel pastrano ebbe una storia, che vogliamo narrare.

                Un giorno Don Bosco fu invitato a visitate la marchesa [119] di Pollerat, che aveva una figlia inferma da dieci anni. Egli, entrando, intimò all'ammalata di aver fede in Maria Ausiliatrice e di alzarsi da letto, perchè era guarita. La giovane obbedì e si trovò perfettamente sana. Sua madre gli fece dopo un'offerta di diecimila franchi; indi si raccomandò a Don De Barruel, che le procurasse qualche oggetto di Don Bosco, disposta a pagarlo quant'ei volesse. Don De Barruel le propose il pastrano portato dal Servo di Dio, a patto che desse dugento franchi. La Marchesa gli mandò ben volentieri quella somma, richiedendo quanto le era stato promesso. Don De Barruel le rispose alcuni giorni dopo, dicendo che ormai non aveva più i dugento franchi e che non conveniva privare Don Bosco del pastrano, prima che ve ne fosse un altro da sostituirvi. La Signora gli mandò ancora dugento franchi; ma il pastrano era già stato portato via da altri dopo averlo pagato profumatamente. La buona Marchesa, udita la cosa, non si scompose, ma spedì nuovamente dugento franchi, perchè le si desse almeno il pastrano acquistato di fresco. Insomma, la faccenda andò tanto per le lunghe che, a conti fatti, la Marchesa per avere il sospirato indumento sborsò in cinque volte mille franchi.

                E il primo pastrano dov'era andato a finire? La contessa De Combaud gli aveva chiesto insistentemente che lo volesse cedere a lei.

                 - Ma non ne posso fare senza, le rispondeva sempre Don Bosco.

                 - Se ne provveda un altro!

                 - Come si fa?

                 - Quanto costerà?

                 - Ottanta franchi.

                 - Eccone cento! - E glieli diede all'istante.

                Il dì appresso la Signora venne tranquillamente a ritirarlo. Ma: - I cento franchi li ho spesi - le disse Don Bosco, che spediva il danaro or qua or là, mano a mano che aveva le somme proporzionate ai bisogni delle case francesi, della chiesa [120] di Roma o dell'Oratorio. La Contessa dunque, datigli altri cento franchi, ritornò alcuni giorni dopo per il famoso soprabito. Ma: - Che vuole? si sentì dire. Mi fu chiesta una somma e... - La Contessa, senza far motto, ricomparve da poi con altri cento franchi. Don Bosco rise: s'era da capo. A dirla in breve, la scena si rinnovò una diecina di volte e ogni volta furono cento franchi di elemosina. Al migliaio: - Ti pare che basti? - fece Don Bosco al segretario. - A me pare di sì rispose quegli. Venuta la Signora: - Ecco, le disse, io restar senza non posso e di andarne a comprare un altro non ho tempo. Voglia pensarci lei. - La Signora provvide e Don Bosco, avuto il nuovo, le cedette il vecchio.

                Tutti sapevano che Don Bosco era a Parigi per limosinare; quindi nessuno si meravigliava di tali scherzi. Appena arrivato, aveva scritto, fatto tradurre e riprodurre e distribuire la seguente memoria:

 

                Pezzi di costruzione a compiersi nella chiesa e orfanotrofio di Roma.

                Plafone e volta a forma di basilica  . . . . . . . fr. 50 mila

                Pavimento intiero. . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . fr. 40 mila

                Coperto . . . . . . . . . . . . . . . . .  .  . . . . . . .  fr. 25 mila

                Facciata . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  . . . . . . . fr. 45 mila

                Pietra da taglio per l'ospizio . . . .  . . . . . . .  fr. 25 mila

 

                I signori parigini trattavano con lui a cuore aperto, rivolgendogli domande che saprebbero di curiosità indiscreta, se non ci fosse noto, di quanta simpatia essi onorassero la sua persona; e questo offriva a lui l'occasione di dare belle risposte, che facevano poi il giro delle conversazioni. Così ci fu chi volle che spiegasse donde traesse i mezzi favolosi, di cui abbisognava per tener in piedi e mandare avanti le sue istituzioni. - Io ho una grande questuante, rispose, che mi procaccia il panìco da dare ai miei uccelli chiusi in gabbia. La mia grande questuante è Maria Ausiliatrice. - Altri lo richiese del perchè suggerisse l'elemosina come condizione per ottenere grazie [121] celesti, ed egli spiegò: - Per ringraziar il Signore di favori così segnalati e insperati conviene aggiungere alla preghiera, che è ringraziamento di parole, l'elemosina, ringraziamento di opere. Se un milionario guarito miracolosamente da malattia incurabile donasse a Dio nella persona dei poveri un semplice biglietto da mille, somma tanto inferiore a quella che esigerebbe da lui una celebrità medica, sarebbe una vera sconvenienza.

                Un signore non si peritò di domandargli che cosa propriamente fosse venuto a fare in Parigi. Gli rispose candidamente: - Non sa lei che cosa fa fare la fame al lupo? Lo fa uscire dalla tana e correre di qua e di là per cavarsi l'appetito. Ecco perchè io sono venuto a Parigi. Sono pieno di debiti per mantenere i miei orfanelli e non volendo nè morir io di fame nè lasciar patire i miei figli, sono passato dall'Italia in Francia e quindi a Parigi, dove so che ci sono tante persone caritatevoli e generose come lei, per domandare la carità. - Il curioso capì così bene il latino, che, partendo, lo pregò di gradire una bella limosina.

                Ai suoi interlocutori rispondeva con una modestia e semplicità incantevole. Il barone Reille, onoratissimo di avere alla sua mensa il Servo di Dio, invitò a fargli corona diversi personaggi, fra cui monsignor Di Rende, Nunzio Apostolico. Si svolgeva intorno a Don Bosco la più svariata conversazione, gustando i commensali della sua inesauribile piacevolezza, quando un signore del gran mondo parigino gli espresse con tutta sincerità questa osservazione: - Ella ha un ascendente straordinario sulle indoli cattive, e la storia del ladro convertito e la passeggiata dei corrigendi che non fuggono sono fatti che hanno del prodigioso.

                 - Oh, rispose argutamente Don Bosco, non sono poi mica sempre così fortunato. I primi vagabondi raccolti nei dintorni di Torino dormirono una notte sola nel mio ricovero e al mattino mi portarono via coperte e lenzuola. Per più anni non potei ricevere nessuno senz'avere presso di me [122] qualche persona, tante erano le minacce di morte; e tentativi di assassinio ve ne furono parecchi.

                 - E questo non bastava a scemarle l'affetto per la sua impresa?

                 - Oh no! Pensavo soltanto che erano poveri uomini venuti su con una cattiva direzione fin dalla loro fanciullezza. La società si occupa così poco dei diseredati!

                Gli astanti notarono come sulle sue labbra la carità avesse sempre l'ultima parola.

                Certi suoi tratti, come quello del pastrano, piacevano ai Parigini e facevano aprir loro la borsa; ma ve ne sono pure altri di varia specie.

                Una volta, al termine di un gran pranzo, una ragazzetta entrò nella sala per ricevere e dare un bacio a ogni invitato, domandando loro se avessero mangiato con buon appetito. Era figlia del padrone di casa. Nacque una certa curiosità di vedere come si sarebbe regolato Don Bosco. Egli, quando la fanciulla gli si presentò, trasse fuori una medaglia di Maria Ausiliatrice e: - Baciala, le disse, mettila al collo e ama molto la Madonna. - Quel gesto produsse un senso generale di profonda ammirazione[99].

                Giornali della capitale nei cenni biografici che davano di lui, toccarono anche della sua antica abilità nei giuochi di prestigio. Ora avvenne che, visitando un ricco signore, si sentì esprimere il desiderio di vedere qualche saggio della sua prestidigitazione.

                 - Ben volentieri, gli rispose con il più bel garbo Don Bosco, e anche subito, se non le dispiace.

                 - Sì, sì, faccia.

                 - Vorrebbe dirmi che ora è?

                L'altro portò la mano al taschino e se lo trovò vuoto. Don Bosco ridendo: - Ecco qui il suo orologio - gli disse; ma [123] non glielo restituiva. Dopo un po' il signore, stando il Servo di Dio per andarsene, gli ricordò l'orologio.

                 - Oh no! rispose Don Bosco. Non glielo restituisco, finchè lei non mi abbia dato per i miei giovani quel che vale.

                 - É un orologio che costa caro, sa.

                 - Veda lei.

                Quegli cavò di tasca cinquecento franchi e riebbe in cambio il suo orologio. I presenti ridevano; rideva anche il signore, mentre con la massima cordialità accompagnava Don Bosco fin sulla strada. Quegli evidentemente non ricordava d'aver lasciato l'orologio là vicino.

                Sotto il 25 aprile la diarista delle Oblate scriveva: “Don Bosco riceve molto danaro. La signorina Jacquier gli va a consegnare manate d'oro. Io, quando arriva, gli presento sempre uno smisurato pacco di lettere con dentro anche biglietti da mille; spesso a lui consegno soltanto quelle che mi si raccomanda di rimettergli direttamente e passo le altre a Don De Barruel, che, seduto nella nostra sala comune, fa lo spoglio della corrispondenza, raduna i biglietti di banca, risponde alle domande e alle proposte e via”. Financo a pittrice volle aiutare Don Bosco per mezzo della sua arte; poichè, fattone il ritratto, ne vendeva le copie a vantaggio dell'Opera salesiana.

                Di questo così aperto elemosinare del nostro Santo in Francia i giornali parlarono con rispetto. Essi certamente esagerarono nei loro calcoli; ma non è men vero che i Parigini largheggiassero assai volentieri con lui. Fu anche questa una luminosa testimonianza resa alla santità dell'uomo di Dio. Don Rua ricordava un episodio singolare. Una sera disse a Don Bosco: - Cattiva, giornata oggi! Non si é raccolto nulla. Non dir così! - gli rispose il Santo. Infatti aveva tutte le tasche piene di danari; e non vi erano stati tutti. Non sapendo più dove metterne, rimasto solo, si era sciolto uno degli straccalli e con quello legatosi in fondo una gamba dei calzoni, ne aveva fatto sacco per cacciarvi dentro quanto gli [124] veniva dato. Alla presenza dunque di Don Rua cominciò a tirar fuori e si trovò aver egli raccolto parecchie migliaia di franchi.

                Un particolar segno di considerazione gli venne dalla presidenza di un Congresso. Il 9 maggio s'inaugurò a Parigi il XII Congresso dei Cattolici francesi, che convennero numerosi nella sala Hertz. Sotto la presidenza onoraria di monsignor Richard ed effettiva del signor Chesnelong i più illustri rappresentanti della Francia cattolica studiavano i mezzi con cui porre argine all'invadente opera laicizzatrice del Governo massonico. Orbene Don Bosco ricevette formale invito a volervi presiedere un'adunanza. Grande onore invero, che egli tuttavia dovette declinare, perchè, essendo partito il 5 da Parigi per il nord, non poteva essere di ritorno prima della metà del mese[100].

                Innumerevoli furono coloro che si raccomandarono alle preghiere di Don Bosco durante il suo soggiorno a Parigi. Per soddisfare in qualche modo al desiderio di tanti, stabilì di fare dal 15 al 24 maggio la novena di Maria Ausiliatrice secondo le intenzioni dei richiedenti, invitando quanti volevano, a unirglisi con la recita di tre Pater Ave Gloria al Sacro Cuore di Gesù, tre Salve Regina a Maria Ausiliatrice e le invocazioni tre volte rispettivamente ripetute: Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis e Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Un comitato di nobili dame costituitosi a Parigi per la propaganda salesiana ne pubblicò financo l'annunzio sopra i giornali[101].

                Fra le lettere di condoglianza giunte a Torino dopo la morte di Don Bosco e potutesi conservare, ne abbiamo trovate alcune che confermano a cinque anni di distanza le sante simpatie suscitate da lui nel 1883 a Parigi. Madama Lachèze scriveva da Angers, il 4 febbraio 1888 a Don Rua: “Noi piangiamo amaramente la perdita del nostro Padre Don Bosco. [125]

                Avevamo avuto il bene di vederlo a Parigi in casa del Signor di Franqueville, considerando quello come un giorno avventurato della nostra vita. Avevo intenzione di mandargli cento franchi per le sue opere con la preghiera di ottenermi la guarigione della figlia da lungo tempo inferma. Ora il lacrimato Padre è in cielo, com'io non ne dubito, e pregherà per essa. Mandando a Lei questa piccola offerta, reverendo Padre, le domando molte preghiere. Abbiamo fatto dire una Messa, com'Ella raccomanda nella sua circolare ricevuta ieri sera, per il nostro buon Padre. Egli non ne ha bisogno; ma poichè questo era il suo desiderio, è sempre fargli cosa gradita l'eseguire quanto egli voleva”.

                Da Trouville - sur - mer il 6 febbraio la signora A. Mérigant al medesimo Don Rua: “Con dolore ho appreso la morte del loro santo fondatore. Si è tentati piuttosto d'invocarlo che di pregare per lui. Senza dubbio egli protegge di lassù la sua grande famiglia; tuttavia ci si stringe il cuore a pensare che non è più fra i suoi giovanetti! Ringrazio Dio d'aver disposto che io, benchè per piccolissima parte, sia nel numero delle cooperatrici. Ebbi la fortuna di vedere i due volte Don Bosco: la prima volta a Torino, dove, andando in pellegrinaggio a Roma, ammirai la grandiosa sua opera, e la seconda a Parigi. Qui avrei voluto parlargli; ma non mi fu possibile, tanta era la folla che lo attorniava. Ho una preghiera da farle, reverendo Padre: una mia sorella sta diventando cieca e noi ne domandiamo per intercessione di Don Bosco la guarigione. Vorrebbe Ella avere la bontà di mandarmi un oggetto a lui appartenuto, come un pezzo di pannolino o di abiti da lui usati?”.

                Tenerissime sono le espressioni della maestra Luisa Roy, una delle conquiste fatte da Don Bosco a Parigi. “Sabato scorso, scriveva da Vienna, , al confessionale il padre Freund mi annunziò la morte del veneratissimo Don Bosco, che i miei amici non ardivano comunicarmi. Ella sa che Don Bosco fu l'autore della mia conversione e quindi della pace, di cui [126] oggi gode la mia coscienza; perciò la sua perdita è per me una delle più dure. Non ho parole per significarle il mio profondo dolore. L'intero mese di gennaio vissi di speranza nella sua guarigione e con le mie allieve pregavo per lui. Rimandavo da un giorno all'altro lo scrivergli, attendendo il primo febbraio e molto a lui pensando. Ed ecco che Dio ce lo toglie! Mi sembra di aver perduto più che un padre e un amico; perchè le sue preghiere sole ebbero il dono di vincere tutte le mie incertezze e infondermi il coraggio di diventare quale ora mi sento. Domenica, leggendo la sua lettera di partecipazione, Reverendissimo Padre, ho preso in cuor mio l'impegno di fare tutto il possibile per la di Lei opera, che è opera di Lui. Non occorre dirle che prego per lui con tutto il fervore di cui sono capace, e le mie piccine fanno altrettanto [ ... ] La sua morte mi lascia come orfana; ma con la P. V. dico: Sia fatta la volontà di Dio”.

                Da Parigi il 9 febbraio la signorina A. Touzet, associandosi al comune dolore, scriveva: “Conobbi da vicino Don Bosco. Due volte, a Torino e a Parigi, potei accostare il San Vincenzo de' Paoli del nostro secolo, ricevendone consigli e lumi. Nonostante la certezza della felicità e della gloria che gode lassù, la sua morte ci lascia dolorosi rimpianti. - Il cielo è popolato di Santi, si diceva in mia presenza alla partecipazione della triste notizia, e noi ne abbiamo tanto bisogno sulla terra! Perchè Dio ci ha ripigliato quello così presto? - Ma noi non dobbiamo domandar ragione al Cielo e diciamo con Lei, Reverendo Padre: Dio infinitamente buono fa solamente quel che è conforme alla sua giustizia e bontà. Per secondare la volontà del nostro lacrimato Padre, noi preghiamo per lui, ma senza resistere a un altro sentimento che ci porta a pregarlo per noi”.

                Quanto era negli animi radicata la persuasione che Don Bosco fosse un gran santo!

                Termineremo queste citazioni con le affettuose parole di madama Lepage nata Delys - Rennes: “Io considero come una [127] grazia e una felicità nella mia vita l'aver potuto incontrare Don Bosco a Parigi. Il pensiero che egli volle pregare per me e per i miei e che mi continuerà la sua protezione, mi è dolcissimo conforto. Mi manterrò fedele alla stia memoria e affezionata alle sue opere, delle quali ha lasciato a Lei il governo”.

                Anche senza il molto elle ci rimane da dire; basta già il fin qui detto a non farei trovare nulla di esagerato in un giudizio espresso allora da quel grande amico di Don Bosco che era l'abate Guiol di Marsiglia. Mentre la sètta lavorava febbrilmente a scristianeggiare la Francia, ecco che nella visita del povero prete, così privo di esterno prestigio e per giunta straniero e parlante a stento la lingua del paese, quel buon amico ravvisava “un ernie provvidenziale di salvezza e di speranza”[102]. Nell'articolo citato sopra anche l'Aubineau finiva formando lieti pronostici sugli effetti della venuta di Don Bosco. “Solo quando ci avrà lasciati, scriveva, si conoscerà tutto il benefizio della sua visita. Molte speranze egli lascia dietro di sè. Ha visitato molti infermi; le novene da lui consigliate non sono ancora finite. Ha alleviato molte sofferenze spirituali; poichè le anime sono oggetto precipuo della sua carità, molte avendo bisogno di essere illuminate e molte essendo quelle turbate e traviate. Possano tutte aver ricevuto una scossa potente, e voglia Maria Ausiliatrice condurre a termine l'opera del suo servo”.

 

 

CAPO V

A Parigi: udienze.

 

                REGALI  furono dette le udienze di Don Bosco a Parigi, ma di una regalità ignota presso i sovrani, perchè prodigate a tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi e non per qualche giorno, ma fino alla vigilia della partenza[103]. Ne abbiamo parlato in genere, come di un indizio per giudicare delle accoglienze fatte a Don Bosco nella capitale francese; ora vedremo più distintamente come si svolgevano e diremo di casi speciali giunti a nostra conoscenza.

                Un piccolo diario della signorina Bethford ci fa assistere ai ricevimenti pomeridiani in casa Sénislhac. Per ottenere che ivi le cose procedessero a dovere, si richiedeva nelle due sentinelle che, come abbiamo detto, sorvegliavano gl'ingressi, un'oculatezza non disgiunta da energia, il che tornava oltremodo malagevole, quando, come per lo più avveniva, bisognasse contrastare il passo a persone aristocratiche, a uomini altolocati od a sacerdoti. Il 21 aprile si presentarono due preti, che avevano tutta la buona volontà di forzare la consegna, facendosi introdurre per la porta del pianerottolo invece di prendere anch'essi il loro bravo numero d'ordine. Uno, l'abate Sire di S. Sulpizio, agì diplomaticamente. Lo [129] accompagnava una signora, che si offerse alla guardiana di sostituirla nel suo ufficio; ma l'altra mangiò la foglia, e la ringraziò dell'interessata cortesia. Il secondo le comparve dinanzi con una virago inventrice di un fucile, che voleva far benedire a Don Bosco, entrando direttamente e immediatamente sotto l'egida dell'abate protettore; ma dovette andare per il numero e aspettare il suo turno.

                Ogni regola tuttavia ha le sue eccezioni e le due vigili custoditrici delle porte sapevano opportunamente accordarne. La diarista scrive sotto il medesimo giorno: “Aperta l'udienza la signorina Jacquier col duplicato della lista fatta sull'entrata chiama i numeri corrispondenti ai nomi. Io invece fo entrare per una porticina le persone che vengono con un biglietto di Don Bosco o con una parola di Don De Barruel per essere immediatamente introdotte. Fo entrare anche le persone inferme o raccomandateci da nostre amiche. Non è sempre cosa facile, perchè queste piccole manovre nella sala, appena se ne abbia sentore, sollevano veri tumulti, gridandosi alla trappola. Noi due apriamo talora un tantino le nostre porte per farei segni d'intelligenza, e questo fa sorridere il buon Don Bosco, che con pazienza inalterabile riceve tante noiose e tanti noiosi”.

                La sera del 21 si chiusero le udienze, quand'erano le nove. Persone di ben sessanta famiglie avevano avuto il loro colloquio particolare con Don Bosco. Rimaste sole con pochi che dovevano accompagnare “il santo”, le due signorine s'inginocchiarono di qua e di là del suo tavolino, domandandogli la benedizione. Benedettele, egli le salutò dicendo loro che erano i suoi due angeli custodi.

                Alle sei del mattino seguente, domenica, già arrivava gente a cercare Don Bosco. Non era quello il tempo; ma le religiose, che avrebbero voluto potersi intrattenere anch'esse qualche volta con lui, capirono che nella loro casa non ne avrebbero mai avuto la comodità. A procurar loro questa consolazione provvide la De Combaud, invitandole al suo palazzo [130] quante volte volessero nelle ore antemeridiane. Un giorno la Sénislhac, vedendo come le cose si facessero ogni dì più serie, pregò Don Bosco di chiamare alcuni uomini, che prestassero mano forte per il mantenimento dell'ordine; ma egli rispose che le donne sole avevano la pazienza necessaria. Ogni sera prima di allontanarsi invocava sulle religiose le benedizioni del cielo con qualche buona parola, che, avidamente ascoltata, faceva dimenticare alle tutrici del buon andamento la non poca stanchezza. Una volta, per esempio, disse con grande amabilità: - Pregherò S. Giobbe che dia loro la pazienza. Ben presto ne avranno abbastanza di Don Bosco nella loro casa!

                La sera del 23 dalla Sénislhac si faceva “laboratorio” per le chiese povere. Signore di riguardo venivano a lavorare d'ago intorno a sacri paramenti. Esse poterono avvicinare tutte insieme Don Bosco, che però rivolse loro pochissime parole e poi le benedisse. Il rumoreggiare esterno della folla gli fece andar via la voglia d'intrattenersi più a lungo.

                Quella sera venne pure una signora appartenente all'alta società e conosciutissima in Parigi, ma che non permise di essere nominata. Essa diceva d'aver ottenuto da Don Bosco la guarigione di una persona a lei carissima e di volermelo ringraziare. Con le parole di riconoscenza gli porse anche una vistosa offerta in danaro e il suo anello nuziale, gioiello di raro pregio, recante nel castone una perla della più bell'acqua, grossa come una nocciolina e circondata da otto brillanti. Don Bosco pensò tosto di metterlo in lotteria. Fattone motto alla De Combaud, la Contessa medesima si assunse l'incarico di organizzarla e l'istitutrice delle sue figlie si aggirò poi ogni sera per la sala dei visitatori a spacciare biglietti fra i gruppi aristocratici.

                Nel pomeriggio del 26 due carrozze di lusso attendevano nel, cortile l'uscita di Don Bosco. Una era del signor di Saint - Phalle, in casa del quale il Servo di Dio doveva andare a pranzo, e l'altra di un malato che abitava nei pressi della [131] stazione del nord. Don Bosco quella volta troncò alle otto. Il giovane di Saint - Phalle non vedeva il momento di condurlo nella sua famiglia, radunata già da sei ore per riceverlo; ma egli non diè punto segno di preoccuparsene, anzi con tutta calma gli disse che sarebbe andato da lui fra breve, dopo aver visitato quell'infermo.

                Poco prima che Don Bosco scendesse, trovavasi nella sala ad aspettare una piccola sordomuta, venuta dalla campagna dei dintorni di Parigi e accompagnata da due donne sue parenti. Le poverette si rammaricavano, perchè mancava poco alla partenza del treno. - Noi non siamo ricche, dicevano, e non possiamo fare due viaggi e sacrificare due giornate. Le guardiane intenerite le avevano fatte passare e le avevano viste pocanzi venir fuori raggianti di gioia, perchè Don Bosco aveva detto loro: - La fanciulla parlerà, quando i suoi due fratelli saranno entrati nell'Ordine domenicano.

                Ed ora ecco un saggio delle scene che succedevano. Poco dopo le due del 27 si presentò la marchesa di Bouillé munita di un biglietto, nel quale il curato della Maddalena pregava le signorine di ottenerle che Don Bosco facesse una visita a un fanciullo ammalato rispettivamente figlio e nipote di due dei Bouillé caduti nel 187o a Patay, mentre nel corpo dei zuavi difendevano la bandiera del Sacro Cuore. Nelle sanguinose giornate di Patay dal 2 al 4 dicembre gli ex - zuavi pontifici, comandati dal generale De Charette, compierono sotto quel vessillo prodigi di eroismo. Il biglietto era intriso di lagrime dell'afflitta signora. Il giovanetto ardeva dalla febbre tifoidea, che i medici non avevano più alcuna speranza di domare. La Bethford promise di fare il possibile presso Don Bosco; ma poi, rammentando il caso del di Phalle e dell'infermo, suggerì alla signora di mandare verso le cinque una persona della famiglia e una carrozza padronale per portai via le saint homme.

                Le udienze duravano da poco tempo, quando dal suo posto di guardia la signorina Bethford avvertì un diverbio concitato [132] a piè della scala, e di lì a poco ecco aprirsi il passo a furia di spintoni e giungere fino a lei una gran dama tutta sconvolta e disfacentesi in gemiti così strazianti da muovere a pietà la moltitudine stipata nell'anticamera. Era la duchessa Salviati, che aveva una figlia sedicenne in fin di vita. Essa voleva vedere Don De Barruel e ottenere a qualunque costo per suo mezzo una visita di Don Bosco. La Bethford non senza esitazione mandò a chiamare il segretario, che fu accolto da un violento scoppio di pianto e promise la visita.

                Partita la Salviati, le bisognava pensare alla dì Bouillé. Salì da Don De Barruel e gli presentò la supplica. Lo fece senza il timore che la prendeva in simili circostanze, perchè a una raccomandazione del curato della Maddalena si doveva fare di cappello. Ma Don De Barruel, udito appena di che si trattava, rispose con un no così reciso, che l'altra non ebbe più il coraggio di fiatare. Tuttavia confidava ancora nel suggerimento da lei dato a madama di Bouillé.

                Alle cinque e mezzo una carrozza si fermava nel cortile; indi venivano su il nonno materno del malato e il padre Argan gesuita e pregavano le Bethford de' suoi buoni uffici. Ma come fare a interrompere le udienze? Don Bosco, giunto in ritardo, riceveva da appena un'ora, e più di cento persone aspettavano da dopo mezzodì. Comunque si fosse, chiamò Don De Barruel. Questi là sul pianerottolo stava irremovibile come macigno dinanzi al povero vecchio che dalla disperazione si strappava i capelli e gridava: - Ho promesso alla madre del ragazzo di condurle Don Bosco, senza Don Bosco non posso tornare a casa. - La Sénislhac, tocca nel vivo del cuore e fatto nella sala un po' di passaggio al signor di Bouillé, spiegò ai presenti il caso, parlando con tanta eloquenza che a poco a poco la commozione guadagnò gli animi di tutti. Al nome che richiamava gli eroici ex - combattenti di Patay, nessuno ardì far valere diritti di precedenza, ma tutti s'inchinarono con rispetto al venerando vecchio, che entrò. Il vecchio e il religioso si gettarono alle ginocchia di Don Bosco,  [133] che da prima li consolò, promettendo che il fanciullo, benchè avesse già ricevuto gli ultimi sacramenti, non sarebbe morto. Ma nondimeno tanto dissero, che il Santo si recò al palazzo di Bouillé in via della Bienfaisance, ove, circondato dalla famiglia, il moribondo agonizzava. Don Bosco s'inginocchiò, pregò, poi disse: - Fra un'ora l'ammalato andrà meglio e comincerà presto la convalescenza. - Com'egli annunziò così avvenne.

                Tragicomica fu una scena del 28. Mentre la Bethford lottava per non essere spinta in là con pericolo di un'irruzione entro la biblioteca, verso le quattro, una gran dama vestita di nero e con un incedere che aveva stranamente del maschile, domandò di Don De Barruel. Questi stava di sopra, immerso nella corrispondenza e aveva dato ordine di non disturbarlo. La signorina rispose che non c'era. - E io so che è qui, ribattè con faccia tosta la sconosciuta. É al secondo piano e io vado su. - Il tono d'impertinenza, con cui aveva calcato la voce sulle ultime parole, diede alla gentile cerberessa il coraggio di rimbeccarla: - No, lei non andrà su, ma rispetterà la casa in cui si trova e gli ordini che le si dànno. - La fiera amazzone per tutta risposta si slanciò verso la scala che conduceva al piano superiore, mentre l'altra la afferrava per un braccio sforzandosi di trattenerla. Allora, attirata dal rumore, accorse la Sénislhac e significò a colei che in casa sua ella le interdiceva di metter piede negli appartamenti.

                 - Lei è madamigella Sénislhac? chiese la prepotente.

                 - Sì, signora.

                Ciò udito, la disdegnosa matrona si rabbonì, entrò in confidenza e disse quello che voleva comunicare a Don De Barruel: un invito a pranzo in casa sua per lui, per Don Bosco e per il padre Forbes la dimane. Era madama D'Arsc.

                Ogni sera si distribuivano ai visitatori programmi per la conferenza del 29 alla Maddalena. Quel giorno non vi furono udienze; arrivò alla Sénislhac solo una lettera di quattro pagine da parte del signor Sakakini, console generale dello [134] Scià di Persia, che chiedeva una visita di Don Bosco per la sua signora, inferma da più di due anni.

                Dopo il 30 le religiose avrebbero riavuto finalmente la loro quiete, perchè dovevano cominciare gli esercizi spirituali. La diarista scrive: “Nonostante la fortuna che abbiamo di servire Don Bosco, noi siamo così stanche da non poterne più. Ci siamo buscato un fortissimo mal di gola a forza di ripetere sempre la stessa cosa a gente che non voleva sentir ragioni, perchè irritata di dover attendere”.

                Don Bosco giunse tardi quel giorno. Lo attorniavano in tanti sulla strada, che per venire dalla canonica della Maddalena, cioè dal numero 2 al numero 27, impiegò un'ora e mezza. Si sentiva accasciato, e domandò da bere. La Jacquier gli preparò in fretta una, mescolanza di acqua tiepida e di malaga.

                Nell'attraversare il cortile gli era stato presentato un fanciullo infermo adagiato in una vettura. Egli lo guardò e disse: - Se Don Bosco fosse solo, farebbe camminare il ragazzo; ma vi è troppa gente. Camminerà il dì dell'Assunzione. Se sarà ancora a letto, scriverà a Don Bosco così: Lei, Don Bosco, non sa pregare.

                Furono ricevuti per primi due ecclesiastici, il padre Chauveau e l'abate Lebeurrier, che si misero in ginocchio devant le saint in atto di commovente umiltà. Anche quest'ultima osservazione è della diarista.

                Nel corso delle udienze si svolsero alcune delle solite scenette drammatiche. La Bethford, andata per una commissione dalla Jacquier, sentì un brusìo nella biblioteca; lo avverti anche Don De Barruel, che momentaneamente sostituiva la Bethford. Entrambi, sospettando di un'irruzione dalla parte dell'anticamera per una porta abitualmente chiusa, si affacciarono nel medesimo tempo alla biblioteca dai lati opposti. Non si erano ingannati: un gruppo di signore vi si era introdotto, forzando quell'entrata. Sordi alle loro supplicazioni, le fecero uscire all'istante; una però, gettatasi in ginocchio dinanzi a loro, li supplicava a mani giunte di lasciarla rimanere [135] e tanto insistette che l'ottenne. Poi Don De Barruel, prima di allontanarsi, diede ordine di stare ai numeri, eccettochè (proseguì ad alta voce, perchè tutti udissero) per la signora De Martimpré, la quale doveva essere ammessa subito.

                Or che avvenne? Appena egli fu via, una vecchia popolana gridò: - La signora De Martimpré! - E in così dire spingeva avanti una giovane scalza, cenciosa, con un bambino in braccio emaciato e morente. Il volto pallido della madre incorniciato in un fazzoletto di tela indiana e il suo sguardo accese da ansiosa brama impietosirono gli astanti, che, fattisi rispettosi dinanzi a tale personificazione della miseria, si strinsero in modo da lasciarla passare. Tosto la Bethford le aperse la porta; ma l'aveva appena richiusa, che spuntò la De Martimpré vera. La Bethford si lagnò dell'inganno con la vecchia, la quale però si scusava dicendo che aveva creduto di compiere un atto di carità, poichè quella sventurata era venuta in pellegrinaggio a piedi nudi fin dalla Bastiglia per far benedire il figlio al “santo”. Ed ecco là poveretta uscire ebbra di gioia: Don Bosco le aveva benedetto il suo malatino, promettendole ch'ei sarebbe vissuto.

                Quella fu veramente una sera di tempesta. Le brave ostiarie non ci si raccappezzavano più: dal cortile alla biblioteca non un palmo libero. Eppure, richiamando all'ordine, bisognava trattare in guanti gialli, perchè si aveva da fare con un pubblico eletto. Ma eletto o no, non c'era posto per tutti nell'anticamera e nella sala, sicchè tanti pezzi grossi dovevano stazionare sul pianerottolo e giù per la scala. Si videro allora sedute sui gradini, perchè prese da languore, le prime dame di Francia, come una di Rohan, una di Rozenbau, una Frencinet. Sul tardi madama di Curzon, conquistata una sedia presso la porta del pianerottolo, vi si mise a sedere per poter dire una parola a Don Bosco quando uscisse. Venuto il momento, la porta si apre ed ecco un precipitarsi da quella parte senza riguardi nè discrezione. La Bethford allarga le braccia per proteggere Don Bosco e la di Curzon; ma l'impeto la travolge. [136]

                Grida allora disperatamente, chiamando in aiuto il segretario. Questi si precipita e fa argine. Una signora, piuttostochè tirarsi indietro, si lascia rovesciare a terra. Il povero Don Bosco non poteva fare un passo; ma nel parapiglia la di Curzon si stimò felice d'aver ricevuto una buona benedizione mentre si aiutava la ruzzolata a rialzarsi: godeva anche d'aver udita dal Santo una buona parola. Nel cortile una Marchesa, che aspettava con la carrozza, aperse ella stessa lo sportello e invitò Don Bosco a salire, dicendogli che si facesse condurre dove voleva. Don Bosco le rispose: - La ringrazio. Le auguro cento carrozze per andare in paradiso.

                Gli esercizi delle religiose e l'andata di Don Bosco al nord pose termine a quel quotidiano battagliare. Dalla Sénislhac egli tornò per l'ultima volta il 21 maggio. Fu una sera abbastanza tranquilla. Nell'entrare, salutando la Bethford, le domandò se avesse recitato un Pater in onore di S. Giobbe per ottenere la pazienza. La signorina sorrise e gli presentò da benedire due pacchi contenenti ciascuno dodici dozzine di medaglie, uno per sè e l'altro per la sua commilitona. Ma Don Bosco le disse: - Don Bosco non ne ha più. Potrebbe prenderne di qui?

                 - Oh sì, Padre, ne prenda quante ne vuole, rispose posandogli i pacchi sul tavolino, perchè durante le udienze se ne servisse.

                 - Vedrà che ne resteranno ancora, l'assicurò egli.

                Ma la predizione non si avverò, poichè delle 288 medaglie alla fine non restarono più se non i due involti. Tuttavia le due religiose non ne rimasero senza; poichè c'era sempre un pacco che la Sénislhac aveva fatto benedire per tutte loro. Dal che la Bethford cavò questa ottima morale: “Così il sant'uomo aveva detto il vero e insieme dato a noi due una lezione, insegnandoci che ci deve bastare quello che si ha in comune e che le piccole riserve personali non contano nulla”.

                Fin qui abbiamo usufruito quasi esclusivamente del diario di casa Sénislhac; diremo ora di talune udienze speciali, accordate [137] in casa De Combaud o altrove. Si dava la caccia a Don Bosco un po' dappertutto; per questo uno degli spedienti usati dalla Bethford onde sfollare casa Sénislhac era far conoscere dove il Servo di Dio sarebbe poi andato a celebrare. Dalla De Combaud certuni si nascondevano nelle adiacenze della sua camera per aspettarlo al varco di buon mattino, allorchè usciva. Tal, cosa supponeva naturalmente la complicità della servitù nel favoreggiare i visitatori e la servitù ci aveva non men naturalmente il suo tornaconto. Infatti, partito Don Bosco da Parigi, un vecchio domestico che faceva sei vizio di anticamera, si presentò alla padrona e, come racconta oggi la sua figlia:

                 - Mi rincresce tanto, signora Contessa, le disse, ma io le domando licenza di andarmene.

                 - Andarvene voi? Vi hanno fatto qualche tolto? Volete un aumento di salario?

                 - No, no, signora Contessa. Tutti mi trattano bene qui e io non pretendo nulla. Soltanto debbo dirle che ormai ho fatto fortuna e non ho più bisogno di lavorare per vivere.

                Evidentemente, grazie alla generosità dei visitatori di Don Bosco, egli aveva avuto di che arrotondare ben bene i suoi risparmi[104].

                Se le pareti dei luoghi in cui Don Bosco dava le udienze potessero parlare, quante cose non avrebbero da raccontarci, che rimarranno per sempre sommerse nell'oblio! Ma anche di molte succedute ivi dinanzi a testimoni o attestate da chi ne era stato parte, il ricordo ormai si è dileguato con la scomparsa delle persone. Toccheremo dunque di alcune, delle quali fu possibile rinvenire le tracce.

                Si faceva un gran dire di miracoli operati da Don Bosco. Qualunque giudizio vi si voglia recare, è fuor di dubbio che certe udienze furono accompagnate o seguite da effetti sorprendenti, [138] come nel caso del benedettino Don Mocquereati, morto nel 1928. Ne abbiamo documentatissima notizia.

                Don Couturier, abate di Solesmes e successore immediato di Don Guéranger, dopo aver fatto pregare Don Bosco a Marsiglia di una visita alla sua badia, gli scrisse il 20 aprile a Parigi, sollecitandolo direttamente in nome suo e di tutti i padri. Uno di questi aveva necessità di vederlo, tanto che pregava il Superiore di mandarlo subito alla capitale, se la venuta di Don Bosco non fosse bene assicurata[105]. Don Bosco non potè promettere di andare, venne quindi il Benedettino. Era egli appunto il menzionato Don Mocquereau, discepolo e continuatore di Don Pothier nella restaurazione del canto gregoriano. Nel fiore della virilità eragli sopraggiunta una laringite ostinata, che lo rendeva pressochè afono, minacciando di mandare a vuoto le belle speranze in lui riposte per la direzione generale del canto sacro nella comunità e per l'opera della riforma. Nutriva egli una segreta fiducia, che la benedizione di Don Bosco lo dovesse liberare da quell'incomodo; ma anche una missione delicata si aggiungeva a questo suo scopo personale. Una pia donzella desiderava essere da lui raccomandata al Servo di Dio, perchè le ottenesse per sè e per una sua compagna dal Signore la grazia di superare gli ostacoli che le mettevano nell'impossibilità di abbracciare la vita monastica presso l'Ordine benedettino entro un dato termine. Recatosi pertanto a Parigi, il monaco si presentò verso le due pomeridiane al palazzo De Combaud e chiese al portiere di parlare alla Contessa.

                 - É per Don Bosco? lo interrogò bruscamente la moglie di costui.

                 - No. Voglio la signora Contessa; con lei ho da fare.

                 - Allora salga. Noi andiamo ad avvertirla.

                Il cameriere, sospettando che venisse per Don Bosco, gli fece qualche difficoltà; ma l'altro tenne duro e finalmente [139] entrò. La Contessa e sua figlia lo accolsero graziosamente. Udito il suo desiderio, gli risposero che Don Bosco poteva essere in casa Sénislhac; ma chi sapeva mai di certo dov'egli si trovasse? - Don Bosco è inafferrabile, continuò la signora. Parte alle sette del mattino e rientra dopo le undici della sera sfinito dalla fatica... Ma lasci fare. Giacchè lei ha una comunicazione veramente importante per lui, accomoderò io tutto. Venga domattina alle sette. Io gli darò una vettura a due soli posti. Monterà in sua compagnia e per una mezzoretta se la potrà discorrere con lui a suo bell'agio. É l'unico mezzo per afferrarlo. E poi di mattina ci sarà il vantaggio che egli è riposato, mentre alla sera ritorna stanco morto, sicchè non può più nè parlare nè ascoltare. Dunque a domani.

                Don Mocquerean fu più che puntuale: era già là alle sei e un quarto, Il portiere lo fece entrare nel suo stanzino, dov'egli stette in ansiosa attesa, tenendo d'occhio lo scalone; salire così di buon'ora dalla signora De Combaud non ardiva. Dopo un dieci minuti, durante i quali non cessò di raccomandarsi ai santi Angeli, ecco una signora, l'istitutrice domestica, venirlo a prendere per condurlo negli appartamenti della padrona di casa. Nell'andare fu suo primo pensiero di chiederle, se, conforme alla promessa, Don Bosco fosse stato avvertito la sera antecedente che egli lo doveva accompagnare in carrozza, - É rientrato a mezzanotte, gli rispose colei, e non è stato possibile prevenirmelo. - Queste parole lo turbarono a motivo del dubbio che Don Bosco o il segretario avessero accordato ad altri tale favore.

                Alle sette spuntarono nuovi pericoli. La dama di compagnia d'una Marchesa venne a dire che la sua signora mandava per Don Bosco la sua carrozza, volendo avere con ciò un ricordo dell'Uomo di Dio. Un quarto d'ora dopo sopraggiunse una Contessa e si mise a parlamentare ella pure per la carrozza, desiderando che questa le fosse santificata dalla presenza del novello S. Vincenzo de' Paoli. Il Benedettino allarmato innalzava più fervide le sue invocazioni all'Angelo Custode. [140]

                Nè tardò a essere esaudito. L'istitutrice che durante le discussioni per la faccenda delle carrozze si era dileguata, ricomparve trionfante e: - Padre, gli disse, è inteso con Don Bosco che ella prenderà posto con lui e col suo segretario nella carrozza della Contessa tale. É cosa promessa.

                Verso le otto meno un quarto la De Comband entrò nella sala ad annunziare che Don Bosco stava per lasciare la sua camera. Infatti pochi minuti dopo il monaco gli veniva presentato subito al suo affacciarsi. Gli si gettò incontanente ai piedi domandando la sua benedizione, che gli fu data con la formula consueta. Il Padre quindi gli rese grazie del favore di accoglierlo nella propria carrozza durante il tragitto.

                 - Bene, bene, rispose il Santo; partiamo.

                Don Mocquereau descrive così alla sorella la sua prima impressione: “Il povero Don Bosco è molto malandato, e il ritratto che tu conosci è ben diverso dalla realtà. Dimostra una settantina d'anni e cammina a grande stento. Sulle prime rimasi un po' sorpreso al vedere un santo così dimesso in tutta la persona. Lunga la barba, lunghi e spettinati i capelli e lasciati andare con gran disordine in ogni direzione. E poi abiti logori, il collo del pastrano verdastro, e via di seguito. Tale il suo esteriore. Quel primo istante fu dunque per me puramente naturale”.

                Sul punto d'incamminarsi, il segretario corse ad avvertirlo che vi era gente per lo scalone, ma che non vi si doveva fermare, essendosi già in ritardo. Invece, appena uscito, gli si parò dinanzi una signora e Don Bosco si fermò ad ascoltarla con vero interesse. Più a basso incontrò una ventina di persone, fra cui una giovane donna che gli disse: - Padre, mi guarisca. Su ventiquattro ore mi tocca passarne diciotto a letto.

                 - Si metta in ginocchio, le rispose egli.

                Quella s'inginocchiò sopra un gradino e Don Bosco, ritto accanto, recitò un Pater, Ave e Gloria e la benedisse. “In quell'atto, osserva Don Mocquereau, io vidi e sentii il santo”. [141]

                Sul gradino seguente una madre gli presentò due figli fra i quattordici e i sedici anni, che egli benedisse, posando e premendo forte la mano sul capo di entrambi. Più sotto una signora si accosta al monaco e gli dice: - Vedo che ella è con lui; voglia dunque pregarlo di accettare la mia carrozza. Io sono la Signora tale. - Naturalmente egli le rispose che non poteva far nulla. Insomma per discendere fino ai piedi della scala impiegò venti minuti, arrestato ad ogni gradino da supplicanti, uomini o donne.

                Qui il giovane Benedettino, con la mente sempre fissa al colloquio imminente, fece un balzo verso il cocchiere della carrozza già designata e gli sussurrò all'orecchio: - Sapete bene che si va in via la Chaise dalle dame del Cenacolo. Andate adagio adagio; quanto più tempo vi metterete, tanto maggiore sarà la mancia. - Così detto, si riavvicinò a Don Bosco, che stava ancora presso l'ultimo gradino, e facendogli riparo della persona, lo condusse alla carrozza e l'aiutò a salire. Avrebbe preferito essere da solo a solo; ma si rassegnò alla compagnia indispensabile del segretario, il quale però, indovinandone l'imbarazzo, si affrettò a dirgli cortesemente che pensava di non cagionargli incomodo, perchè era tenuto al più rigoroso segreto.

                Appena il cavallo lentamente si mosse, Don Mocquereau attaccò subito discorso, cominciando dal primo scopo del suo viaggio. Don Bosco lo ascoltava tenendo chiusi gli occhi e rispondendo con dei: Bien, bien. Alla fine gli disse: - Nella sacrestia della Retraite la benedirò e le darò una medaglia, e lei dirà poi ogni giorno tre Pater, Ave e Gloria con l'invocazione: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis.

                 - E domenica prossima, ripigliò quegli, dovrò provare a cantar la Messa?

                 - Sì, rispose fissandolo sorridente, provi, provi!

                Il padre passò tosto all'altro affare, consegnandogli una lettera della signorina; ma poichè egli stentava a leggere, Don Mocquereau gli domandò licenza di leggergliela lui, il che [142] fece con calore, scandendo le sillabe là dove si parlava della data voluta e degli ostacoli insormontabili, e aggiungendovi qualche commento. Terminata la lettura, il segretario che recitava l'ufficio, sospese e porse l'orecchio verso Don Bosco, guardandolo fiso. Il Santo con la massima tranquillità sorrise, ma senz'aprir bocca. Allora il monaco insistette per avere una risposta. Calmo calmo egli disse: - Aspetti, aspetti. Devo pregare, pregare il Signore. - Dopo un istante riprese: - Dica a quella persona: a chi darà, sarà dato. Bisogna che essa faccia prima molte opere di carità. - E dopo breve silenzio continuò: - Non è necessario che dia a Don Bosco. Vi sono tante altre opere, un mare magnum: orfani, missioni, eccetera. Essa dia e le sarà dato; e dica intanto le preghiere che deve dire lei. Le darò una medaglia da portarle. - Don Mocquereau era appunto latore di cinquantamila franchi per Don Bosco da parte della signorina.

                Erano trascorsi così da venticinque a trenta minuti per un tragitto di dieci o quindici. Trovarono via La Chaise ingombra di veicoli, legni pubblici e cocchi signorili. Una densa folla riempiva il cortile delle religiose. Allorchè Don Bosco smontò, fu un precipitarsi generale verso di lui: chi gli faceva toccar medaglie e corone, chi gli gridava da ogni parte per raccomandargli intenzioni o infermi. “Il povero Don Bosco, scriveva a sua sorella il monaco, attraversa con tutta tranquillità quella moltitudine, dà benedizioni a destra e a sinistra, tocca ammalati che incontra sul suo passaggio. Io e il segretario standogli ai fianchi, lo proteggiamo dalla calca. Si va avanti a stento e passo passo. Gli presentano una fanciullina muta: egli la tocca e prosegue. Altri si rammaricano, perchè non è arrivato a toccarli. In conclusione io non ho mai visto fede più straordinaria in una folla, e calma più completa in un uomo di Dio. Il Signore mi ha fatto anche questa grazia sì grande, d'assistere a uno spettacolo di tal genere”.

                Entrati finalmente nella sacrestia, Don Bosco lo fece inginocchiare davanti a una statuetta della Madonna e, stando [143] in piedi, recitò con lui il Pater e l'Ave, aggiungendovi alcune preci, quindi gli diede una larga benedizione “per la sanità del corpo e la santità dell'anima”, gli tenne alcuni istanti la destra posata sulla gola e si vestì per la Messa. Don Mocquereau vi assistette, partendo poi di là con una pace e contentezza grande nel cuore.

                Non gli scomparve totalmente il male, nè ebbe mai in seguito molta voce; tuttavia gliene rimase sempre tanta da bastargli per il lavoro affidatogli dalla Provvidenza. Difatti non solo fu quasi fino al termine della sua lunga vita maestro di cappella a Solesmes, ma si prodigò un po' dappertutto in riunioni e congressi, conducendo strenuamente la crociata in favore delle genuine melodie liturgiche. Furono appagati anche i voti delle due signorine che presero il velo e professarono la regola di S. Benedetto[106].

                Generalmente i fatti prodigiosi accadevano lungi dagli occhi del pubblico o venivano rimandati a un'occasione futura; talvolta per altro la pubblicità non mancò. Un giorno gli fu condotto un idropico mostruosamente gonfio; sembrava che non avesse più molto da vivere. Don Bosco, ricevutolo nella stanza delle udienze, lo benedisse, e l'effetto fu immediato: l'infermo si sgonfiò all'istante, restandogli sulla persona la pelle tutta raggrinzita da far l'impressione di un otre vuotato. La gente, che aveva visto portarlo dentro a braccia e lo vedeva uscire da sè, stentava a credere che fosse il medesimo individuo. - Eppure sono quel desso! - ripeteva colui, in preda allo stupore non meno di quelli che, sbarrandogli addosso gli occhi, lo interrogavano.

                Il caso di questo idropico ne richiama un altro, che mettiamo qui soltanto per l'identità del morbo. Ferdinando Bagouin, operaio, già zuavo pontificio e domiciliato a Sèvres,  [144] gemeva da gran tempo per quel triste malanno. Avendo tempo addietro inteso parlare di Don Bosco a Roma, gli aveva scritto a Torino, ma senza riceverne risposta; gli riscrisse allora a Parigi. Don Bosco gli fece rispondere che pregasse Maria Ausiliatrice e che il 3o aprile avrebbe assistito all'apertura del mese mariano nella sua parrocchia. Tre medici l'avevano abbandonato ormai al suo destino; eppure alle due pomeridiane del 30 ventre, stomaco, gambe improvvisamente gli si disenfiarono, sicchè alle sette il buon uomo era là in chiesa con la madre al pio esercizio. Dopo si credette in dovere di chiedere un'udienza per ringraziare. Il sacerdote che trasmise al segretario la domanda del miracolato, era già stato da Don Bosco; ma incalzato dalla fretta impostagli, non aveva potuto dirgli tutto quello che avrebbe desiderato. Profittando quindi dell'occasione, aggiungeva per conto suo: “Con scrupolosa fedeltà io mi attenni quel giorno alla pubblica raccomandazione di sbrigarsi in poche parole, cosicchè nel colloquio la discrezione mi fece tacere troppe cose. Sia ancora tanto cortese con me da rimettere al buon padre l'accluso biglietto, che suggello perchè contenente domande molto intime”[107]. Altro più non sappiamo, se non che in una lettera del 23 dicembre 1887 il medesimo Bagouin, raccomandandosi alle preghiere di Don Bosco per le angustie economiche della sua famiglia, gli diceva: “Salvi colui che la Santissima Vergine Ausiliatrice guarì già mediante le preghiere della S. V.”[108].

                Questo chiedere per iscritto le udienze era il ripiego comune di coloro, che non avevano il tempo o il coraggio di sottostare al supplizio di quelle tali attese. Possediamo un certo numero di lettere che hanno tale scopo. Così il conte di Villermont (23 aprile), lietissimo di essere stato fatto cooperatore e di aver parlato con Don Bosco, vorrebbe tornare da lui, per studiare [145] subito il modo di cooperare; il signor Bastard (26 aprile), direttore dell'ebdomadaria Gazette Illustrée e autore del libro Cinquante jours en Italie, in cui ha parlato di Don Bosco[109], ardisce ora sollecitare un'udienza per portargli personalmente un più rispettoso omaggio; con affetto di figlio, perchè cooperatore salesiano, l'abate Moigno (26 aprile) lo supplica di accordargli pochi minuti, tanto tempo che basti per una benedizione[110]; la signora Dufrasne (20 maggio) vorrebbe presentargli il marito, agitato da monomania religiosa, perchè lo benedica e gli ottenga dal Signore sanità di mente; una figlia (21 maggio) brama condurgli la madre paralizzata a ricevere la sua benedizione; la baronessa Racat De Roman (22 maggio) ha bisogno di consiglio e di una benedizione; la signora Franconie (22 maggio) prega umilmente di essere ammessa a ricevere la santa benedizione; la signora D'Ervan di Tours (22 maggio) è desolata perchè suo figlio ingegnere e ispettore ferroviario non farà più in tempo a vedere Don Bosco, mentre avrebbe tanto bisogno di una sua benedizione che lo riavvicinasse a Dio e lo richiamasse alle abbandonate pratiche religiose; la signora Loison di Lavantie (22 maggio) non si può dar pace per aver ricevuto con troppo ritardo il biglietto di udienza; la signora Pepin - Leballeur (22 maggio), a cui Don Bosco ha dato appuntamento presso il libraio Josse alle cinque e mezzo della sera, riceve all'ultimo momento dalla signora Josse l'avviso di non muoversi, perchè a impedire disordini deve chiudere la bottega, e n'è desolata; il sacerdote Baiville (23 maggio), recatosi più volte inutilmente dal medesimo libraio nella speranza d'incontrarvi Don Bosco, ridomanda il favore di un'udienza per la necessità che sente di una sua parola e della sua benedizione; la signora Hiendonne (24 maggio), avuto il biglietto dì udienza e fatte senza pro quattro ore di anticamera e senza pro tornata altre due volte, perduta ogni speranza, gli fa umile supplica di pregare l'Onnipotente che [146] pieghi la volontà di un padre egoista; la stessa sorte è toccata alla baronessa Des Graviers, che, tornata per parecchi giorni inutilmente in via Ville l'Evéque, secondo l'indicazione avuta da Don Bosco, gli promette un obolo di mille franchi, se rende la pace a un'anima sconvolta e lontana dai doveri religiosi; la duchessa d'Aremberg (23 maggio) è disposta a ritardare di qualche giorno la sua partenza da Parigi, pur di ottenere una brevissima udienza il dì appresso a qualunque ora e in qualunque luogo e intanto gli offre la sua ospitalità nel palazzo d'Aremberg, quando, come si spera, egli si recherà nel Belgio[111].

                Porremo termine a questa recensione, riportando quanto scrivevano due ragguardevoli signore. Una, la signora di Bouquet, il 22 maggio riferiva così al segretario del Santo: “Avevo ieri gran bisogno di vedere Don Bosco per raccomandargli un malato, del quale - avrei voluto parlargli un poco; anche una mia giovane nipote che m'accompagnava, avrebbe avuto vera necessità di domandargli un parere su cosa importante. Abbiamo aspettato tutto il giorno a casa di madamigella Sénislhac e proprio quando stavamo per inginocchiarci dinanzi a Don Bosco, egli dovette partire senza che io potessi far altro che rimettergli un involto con una piccola offerta e con la mia domanda di preghiere per l'infermo che mi dà tanto da pensare. Speravamo di vedere Don Bosco oggi dal signor Josse; ma alle sei non c'era ancora e ci è bisognato rincasare. Don Bosco però aveva avuto la bontà di ricordarmi e di parlare di una visita fattami da lui a Cannes, due anni or sono; i miei figli, che hanno avuto la fortuna di vederlo ultimamente, ne han parlato con lei in casa di madama De Madre. Io però non so come arrivare fino a lui e domando con viva istanza alla S. V. che me ne indichi i mezzi prima della sua partenza”. L'altra signora era la moglie del celebre finanziere Philippart. Raccomandatasi a Don Bosco per la liberazione [147] di persona cara da grave accusa, si rivolgeva al segretario perchè lo informasse dell'avvenuta liberazione, e lo supplicasse di continuare le preghiere, affinchè con favori temporali Dio concedesse alla sua famiglia anche grazie spirituali; intanto inviava un'offerta da deporre nelle mani del Servo di Dio e domandava una nuova udienza[112].

                Anche Vescovi scrivevano a Don Bosco lettere di raccomandazione, per ottenere da lui che ricevesse in particolari udienze persone che avevano necessità di parlargli. Così monsignor Ettore Chaulet d'Outremont, vescovo di Le Mans, gli raccomandava caldissimamente un suo diocesano[113].

                Tutta questa documentazione fa vedere che non si ricorreva soltanto al taumaturgo, ma anche, e forse più, al santo propriamente detto, all'uomo di Dio ricco di lumi celesti per indirizzare le anime alla salvezza. Al quale oggetto egli stesso senz'aspettare di esserne richiesto dispensava avvisi opportuni: più sovente era una paroletta sulla confessione. Nel mese di maggio una signora, facendosi largo tra la folla con tutta l'energia infusale dallo strazio del cuore materno, giunse davanti a Don Bosco e nel colmo della desolazione gli raccontò come suo figlio, addetto alla contabilità in un ufficio governativo, fosse stato con altri arrestato per sospetto e tradotto in carcere; doversi trattare nel prossimo giugno la sua causa, per il buon esito della quale a lui caldamente si raccomandava.

                 - Ma, signora, che cosa ci posso fare io? le disse Don Bosco.

                 - Lei può liberare mio figlio, solo che lo voglia.

                 - Ma io non sono mica l'onnipotenza di Dio.

                 - Sì, sì, lei può quello che vuole. La prego, la scongiuro...

                 - Se fossi in Italia, avrei persone di mia conoscenza, a cui raccomandar l'affare; ma qui io non conosco nessuno.

                 - Deh! abbia pietà di una povera madre. [148]       - Ebbene si rivolga al Signore e tutti i giorni faccia fino al tal tempo questa e quest’altra preghiera.

                 - Sì, sì, farò.

                 - E io pregherò per loro.

                 - Ah sì! ci ottenga la grazia che quel figlio esca libero e assolto

                 - Ma una preghiera non basta: ci vuole qualche cosa di più.

                 - Dica, dica!

                 - Una buona confessione e una buona comunione.

                 - Ebbene, da trent'anni non mi confesso più, ma le prometto di fare questo e qualunque altra cosa ella sia per consigliarmi.

                 - Una cosa ancora: in avvenire sia praticante.

                 - Sarò, lo prometto.

                 - Se è così, stia di buon animo e confidi nel Signore.

                Così parlando il Santo prese alcune medaglie e dandogliene una le disse: - Questa è per lei. - Indi, porgendogliene un'altra: - Questa è per suo figlio. - Una terza gliene donò, ma senza dir nulla.

                Quel silenzio colpì la signora: un pensiero misterioso le fece sentire come a Don Bosco niente fosse celato. Le parve che egli conoscesse il numero delle persone che componevano la sua famiglia e che perciò le desse tre medaglie. In casa erano soltanto, essa il figlio e il marito, e quest'ultimo pure da molti anni non si accostava più ai sacramenti. Con tali pensieri fece ritorno: la speranza le allargava il cuore.

                Rientrata, chiamò subito il marito, gli descrisse la visita, gli parlò delle preghiere e della confessione e poi gli diede la medaglia, dicendo: - Questa è per te. Non me l'ha detto, ma è per te, Don Bosco è un santo; ha conosciuto che ne avevi bisogno. - E tanto disse che il marito esclamò: - Ebbene, andrò anch'io a fare il mio dovere, andrò anch'io a confessarmi e a comunicarmi. - Difatti andò.

                La signora non capiva in sè dall'entusiasmo per quell'abboccamento [149] con Don Bosco, di cui decantava, la santità apud amicas et vicinas. E Dio la benedisse. Nel giorno fissato per il termine delle preghiere, suo figlio comparve in tribunale e mentre altri suoi compagni furono condannati, egli venne assolto e restituito in libertà. Tutt'e tre poi, non contenti di ringraziare Dio a Parigi, si recarono a Torino il 20 giugno quasi per sciogliere un voto, ma certo per rendere grazie nel santuario di Maria Ausiliatrice.

                Un tale, garbatissimo signore, venne a domandargli un consiglio; ma Don Bosco gli troncò la parola in bocca, dicendogli a bruciapelo: - Vada a far pasqua. - L'altro, che toccava già il limitare della vecchiaia, alquanto sconcertato da simile interruzione, voleva finir di esprimere il suo pensiero; ma Don Bosco con voce dolce e insinuante gli ripetè: - Vada a far pasqua. - Quegli rifece il tentativo di continuare il discorso, e Don Bosco da capo, ma con accento imperioso e tenero a un tempo: - Vada, vada a far pasqua. - L'interlocutore, un po' piccato, mostrava di assumere un contegno freddamente cortese, ostinandosi a dire tutto quello che voleva, senza che Don Bosco cessasse di ricantargli il suo ritornello, accompagnandolo però con uno sguardo e con un sorriso tali, che finalmente la magica parola penetrò in quel cuore. Di botto, commosso fino alle lacrime, dichiarò di scorgere nel monito di Don Bosco un tratto della Provvidenza, che veniva a riannodare una lunga catena di grazie interrotta da molti e molti anni. Senza indugio, il dì appresso si accostò con tutta la sua famiglia ai santi sacramenti.

                Chi sa poi quante confessioni ascoltò Don Bosco stesso durante le infinite udienze? Un signore, che aveva condotto la sua sorella a Parigi, andò con lei a visitare Don Bosco e, non sappiamo perchè, volle confessarsi, benchè la sorella fosse ivi presente. Finito che egli ebbe, anche la sorella si gettò ai piedi di Don Bosco per confessarsi e faceva l'accusa a voce alta. Il Santo cercò inutilmente d'interromperla, dicendole che la Chiesa non permetteva alle donne di confessarsi [150] in quel luogo e che non avrebbe potuto darle l'assoluzione. Ma essa, gridando ancor più forte: - Dio le ha dato, rispose, la potestà di rimettere i peccati in qualunque luogo di questo mondo. - Don Bosco insistette; ma gli fu impossibile persuaderla. Entrarono poi persone della casa, che la indussero a tacere.

                Uomini di Dio ricorrevano a Don Bosco per consiglio, nella certezza che egli avesse per questo lumi soprannaturali. Uno fu l'abate Dehon. Questo piissimo sacerdote della diocesi di Soisson si sentiva fin dal 1877 ispirato a fondare una Congregazione di preti che avesse per iscopo di risarcire il Sacro Cuore di Gesù con un triplice apostolato, cioè fra il clero secolare, in mezzo al popolo e nelle Missioni. Aveva già maturo in mente il suo disegno, quando intese che Don Bosco era a Parigi. Per conoscere meglio i divini voleri, lo andò a trovare, gli espose i propri divisamenti e lo pregò di dirgliene il suo pensiero. Don Bosco gli rispose in tono sicuro e rassicurante: - La sua è certamente opera di Dio. - Appresso il Santo confermò quel suo giudizio parlandone con il segretario, che, avuta poi l'occasione di riferirne all'abate, lo rese doppiamente lieto. Egli è il fondatore della fiorente Congregazione dei Prétres du Sacré Coeur de Jèsus[114].

                Per analogo motivo fu da lui Don Efrem, priore della Trappa di Tamié in Savoia. Fatta sua la proposta di monsignor de Laplace, vicario apostolico di Pechino, egli aveva in animo di fondare un monastero di Cisterciensi nella Cina, intitolandolo a Maria Consolatrice. Prima però di mettere mano decisamente all'opera, volle consultare il nostro Santo. Don Bosco, udito il disegno, benedisse l'impresa e lodò pure l'idea di chiamare quella lontanissima Trappa Notre Dame de la Consolation. Nell'anno stesso Don Efrem s'imbarcò per la Cina, dove presso la linea ferroviaria che va da Pechino verso il Nord - est, in piena montagna, costrusse il suo convento. [151]

                La fondazione attraversò dure prove, massime durante la sollevazione dei Boxers nel 1900; ma giunse a tale floridezza che potè far sorgere una seconda Trappa sotto il titolo di Notre - Dame de la Liesse lungo la ferrovia che unisce Pechino ad Han - Keu. Le due Trappe contano oggi (1935) 18 sacerdoti europei, 12 sacerdoti indigeni e 88 conversi pure cinesi. Anzi da Notre - Dame de la Consolation nel 1897 partì il monaco Don Bernardo per andar a fondare in Giappone la Trappa di Notre - Dame du Phare[115].

                E chi sa quanti per mezzo di Don Bosco riebbero il dono della fede? Un cotale, ricevuto in udienza, esordì ex abrupto dicendo: - Signor abate, io non credo a' suoi miracoli.

                 - Io non ho mai detto, rispose Don Bosco, nè insinuato che fo miracoli.

                 - Eppure tutti dicono che lei fa miracoli.

                 - Ebbene tutti si sbagliano. Una cosa sola io posso fare: pregar il Signore che nella sua misericordia voglia benedire le persone che si raccomandano alle nostre preghiere e spesso il Signore, vedendo la fede, le promesse di una buona vita e le opere buone, si degna di esaudirci e di consolare gli afflitti.

                 - Se è così, non trovo difficoltà a credere; ma deve sapere che da quarant'anni io non mi confesso più, perchè non credo alla confessione.

                 - Male, molto male! Non ho tempo ora di entrare in discussione, perchè ottocento persone almeno sono fuori ad attendere l'udienza; quindi mi limito a poche osservazioni da buon amico. Supponga di trovarsi alla fine de' suoi giorni, nè vi sia più alcun rimedio, e il medico e i parenti e lei stesso vedano che le resta tutt'al più un'ora di vita. In quell'Istante entra per caso Don Bosco e le dice: - Signore, lei sta per presentarsi a Dio; ha ancora tempo a tornargli in grazia confessandosi. Giungendo a questo punto, tutte le persone assennate, molti uomini dotti, e perfino molti increduli si sono riconciliati [152] con Dio, e ben pochi ricusarono di farlo e per lo più gente viziosa. Se lei non aggiusta le partite dell'anima sua, sarà eternamente infelice; se le aggiusta, Dio è così buono che le dà ancora il bacio di pace ". E potrei aggiungere: "Quello che dico, è vero, è di fede; ma quand'anche fosse solo dubbio, la semplice ragione e prudenza umana direbbero che, trattandosi di una disgrazia eterna, bisogna prendere la via più sicura per evitarla; così facciamo nelle cose della vita, benchè solo temporanee e passeggiere. Posto pure che di là non ci sia nulla o che Dio non le domandi conto della vita, poco le costa il confessarsi, il pentirsi, il domandar perdono al Signore; invece qual guadagno farebbe non dandosene pensiero, qualora dovesse andar incontro al giudizio divino, come credono tutti i buoni cattolici? - . Mi dica un po': se si trovasse agli estremi e Don Bosco le parlasse così, che farebbe? Se non vuole rispondere subito, le lascio il tempo di riflettere e verrà a farmi la, risposta un'altra volta.

                 - No, rispose il miscredente, cogitabondo e visibilmente commosso, non voglio farle attendere la mia risposta. Lei mi parla schietto, e schietto voglio essere anch'io con lei. Rispondo che prenderei la via più sicura, confessandomi.

                 - Bene; ma perchè non farlo fin d'ora che è sano e robusto e quindi in tempo utile?

                 - Capirà, il praticare è cosa difficile.

                 - Non è vero che sia difficile. Ma ancorchè fosse, un uomo di senno e di cuore com'è lei, dovrebbe passarci sopra, guardando all'eternità.

                 - Lei dice bene. Se vuol avere la bontà di ascoltarmi, son disposto a fare senz'altro la mia confessione.

                 - Mi rincresce, non posso, c'è una gran turba di gente che aspetta fuori; ma la indirizzo io da un buon prete mio conoscente e amico, che le userà sicuramente la massima amorevolezza.

                Scrisse quindi un biglietto per il curato della Maddalena e glielo diede. Tre giorni dopo quel signore assistette alla Messa [153] di Don Bosco e vi fece la santa comunione. Venutolo nuovamente a trovare, non finiva di ringraziarlo per averlo ricondotto a Dio. - Ero venuto da lei per discutere, gli disse; ma lei mi ha santamente messo nella rete senza discussioni Non dimenticherò mai il colloquio con lei avuto.

                Due visite, una più singolare dell'altra, ricevette Don Bosco in due giorni diversi a tarda sera; entrambe hanno dell'incredibile e del misterioso.

                Gli si presentò una sera un personaggio dall'aspetto molto distinto, che gli domandò: - A lei Don Bosco?

                 - Sì, rispose Don Bosco. In che posso servirla?

                 - Avrei gran desiderio di fare la sua conoscenza.

                 - Il piacere sarà tutto mio nel fare la conoscenza stia. Ma lei chi è?

                 - Ha sentito parlare di Paolo Bert?

                 - Oh sì. Molto si è parlato di lui in questi giorni.

                Perdurava infatti l'agitazione pro e contro un suo libro, imposto alle scuole primarie e intitolato Manuel civique. I cattolici lo combattevano a spada tratta. Messo all'Indice, ventisette Vescovi francesi pubblicarono pastorali per proibirne la lettura, alcuni anzi giunsero a rifiutare i sacramenti agl'insegnanti e ai ragazzi che se ne servissero[116]. Vi s'insegnava che Dio è un essere che non si capisce, la religione un pregiudizio dei tempi e una superstizione sfruttata a proprio profitto dai preti, l'ateismo un diritto dell'uomo, la fede nel soprannaturale non conciliabile con la libertà e col progresso dello spirito umano, e via di questo passo. L'autore, già Ministro della Pubblica Istruzione nel 1881 e 82, era uno dei maggiori corifei dell'anticleralismo gambettiano; quindi il governo massonico lo sosteneva, deferendo ai tribunali Vescovi e parroci, come rei di disobbedienza all'autorità dello Stato. Quattrocento di questi ultimi, omessa ogni forma di giudizio, senza esame, istruzione, processo, difesa, sentenza furono [154] colpiti su semplici denunzie. Giovanetti di famiglie cattoliche ai quali i genitori avevano tolto di mano il manuale, veni - vano per tempo indefinito sospesi dalle lezioni, e poi dopo una settimana senz'altro preavviso i loro parenti ricevevano l'intimazione di comparire dinanzi alla Commissione scolastica, come responsabili dell'assenza dei figli dalla scuola ed erano condannati a venticinque franchi di ammenda con minaccia del correzionale.

                Udito che Don Bosco era informato: - Ebbene, disse quel signore, questo Paolo Bert sono io.

                 - Lei, signore? Ma in che cosa la potrà servire il povero Don Bosco?

                - Che ne dice del mio libro?

                Don Bosco fissò alquanto l'interlocutore e poi gravemente gli rispose: - lo non posso dirle altro se non che fu proibito.

                 - E io vengo a lei perchè mi dica che cosa in questo libro si contenga di male.

                 - Ma io non l'ho mai letto.

                 - Ebbene, eccolo qui, lo legga, scriva in margine le correzioni ed io le prometto di tenerne conto in una ristampa.

                 - Ma lei dice da senno o per ischerzo?

                 - Dico da senno. Lo posso far ristampare in quarantott’ore

                 - Mi lasci il libro e vedrò il da farsi.

                 - Una cosa però le raccomando: nessuno sappia di questa mia visita. Tale notizia solleverebbe odiosi commenti nella stampa e nella Camera.

                 - Stia tranquillo, non si commetteranno indiscrezioni.

                Paolo Bert strinse la mano a Don Bosco e uscì. Don Bosco rimise il libro al parroco della Maddalena, perchè, essendo egli occupato da mane a sera in continue udienze, non lo poteva leggere. Il parroco, vista l'importanza dell'opera, si accinse con premura all'improba fatica, sicchè in pochi giorni il libro fu pieno di cancellature e di correzioni. L'autore, ritornato ben presto a intrattenersi con Don Bosco, riebbe il [155] suo libro e mantenne la parola, sebbene fino a un certo segno. Quando sul principio di giugno il Duca di Broglie sollevò la questione del Manuale ateo innanzi al Senato, il Ministro della Pubblica Istruzione, signor Ferry, riconobbe che Paolo Bert “si era censurato da se stesso”, avendo nella nuova edizione introdotto tali correzioni, da non potervisi più trovare nulla che contravvenisse alle disposizioni della legge sull'insegnamento. In realtà le varianti erano degne di nota. Restavano però intatti i capitoli esaltanti la rivoluzione francese, le sue conquiste, le sue opere, le sue accuse contro i Re, contro la nobiltà, contro gli antichi regimi e specialmente contro il clero. Il nome di Dio non vi era più bestemmiato; ma quante calunnie contro i suoi ministri e contro le cose sacre! Per altro il famigerato autore con la sua revisione aveva difatto giustificato le condanne dell'Autorità ecclesiastica[117].

                Chiunque per poco sia a conoscenza delle idee di. Paolo Bel t sopra la laicità dell'insegnamento, sarà cascato dalle nuvole nell'apprendere quanto abbiamo narrato di lui. Su queste cose il segreto si mantenne probabilmente fino al 1886, quando il Bert morì senza i sacramenti, non già perchè egli li avesse rifiutati, ma per inframmettenze, dicono, di coloro che lo attorniavano. Allora dunque potè sembrare utile, per diminuire lo scandalo, il far palese quanto era passato fra il defunto e Don Bosco. Ma riguardo al fatto in sè, conviene tener presente che Paolo Bert, oltrechè uomo politico e di parte, era anche scienziato di grido. Professore di fisiologia alla Sorbona e poi al Muséum, aveva dalla cattedra e con gli scritti contribuito moltissimo al progresso della sua scienza; inoltre si occupava passionatamente, sebbene razionalisticamente, dei problemi pedagogici. Noi perciò non saremmo alieni dal credere che curiosità scientifica l'avesse spinto a cercare Don Bosco e che la questione del manuale altro non fosse da prima che un semplice pretesto per entrare con lui in uno scambio d'idee e aver [156] agio di studiare l'uomo; quello che in seguito avvenne, sta a dimostrare una volta di più quanta fosse la sovrumana efficacia della parola di Don Bosco.

                Più difficile a diradare fu l'ombra di mistero che avvolgeva la seconda delle due udienze, quella cioè di Victor Hugo, che, quando la si conobbe, fece il giro della stampa e passò anche in lavori apologetici. Certe circostanze che accompagnavano la primitiva narrazione, la facevano apparire alquanto inverosimile; oltre a questo, alcune asserzioni della signora Juana Richard Lesclide, vedova del già segretario particolare di Victor Hugo, se vere, avrebbero scalzato ogni base di credibilità al racconto. Ma ultimamente una testimonianza di prim'ordine è venuta a sgombrare il terreno dai dubbi sulla storicità della cosa, fornendo in pari tempo qualche notizia inedita, utile all'accertamento del fatto. L'avvocato Boullay, membro allora del consiglio amministrativo dell'opera di Auteuil[118] e testimonio oculare di quello che narreremo, ci è mallevadore sicuro del vero.

                Un abboccamento avvenne senza dubbio a Auteuil il 20 maggio nell'orfanotrofio dell'abate Roussel. Due volte Don Bosco andò, come vedremo, a visitare quella casa. Allorchè l'abate seppe che egli sarebbe tornato una seconda volta invitò anche il suo amico Boullay a riceverne la benedizione insieme con le sue bambine. L'avvocato arrivò verso le quattro e mezzo pomeridiane e trovò il cortile della casa molto affollato. Nell'avviarsi verso l'appartamento del Direttore, lo vide uscire in compagnia di un vegliardo, piuttosto bassotto di statura e con la barba bianca e folta, il quale si allontanò per un viale solitario. Indovinò subito chi poteva essere; ma la cosa gli parve tanto fuori del credibile, che sentì il bisogno di interrogarne l'abate.

                 - Ma colui che ella accompagnava or ora, gli chiese, è Victor Hugo? [157]

                 - Sì, ma zitto, non dica niente a nessuno. Voleva parlare con Don Bosco ed è venuto a trovarlo segretamente in casa mia. Ve l'ha attirato l'attività filantropica di questo apostolo della gioventù.

                Pochi minuti dopo l'avvocato Boullay fu introdotto da Don Bosco, che benedisse lui e le sue piccine. Quindi, fatti i complimenti di circostanza e rotto il ghiaccio, quegli si fece animo a dirgli: - Ella, Padre, ha parlato pocanzi con un pezzo grosso.

                 - Chi glie l'ha detto?

                 - L'abate Roussel.

                 - Quand'è così, io posso dirle che sì, ho parlato con Victor Hugo. Mi ha fatto professione di fede spiritualista; ma io credo che, se si tiene indietro, tutto dipenda dal rispetto umano. Il suo entourage, com'egli stesso mi ha lasciato capire, è ostile a qualsiasi idea religiosa... Eh, ormai è vecchio!... Non bisogna abusare della grazia di Dio. L'ho detto anche a lui...

                Una circostanza concorre a spiegarci la ragione della visita di Victor Hugo a Don Bosco. Il suo spirito aveva ricevuto una scossa tremenda. L'II maggio dopo lunga e straziante malattia, era morta Giulia Drouent, la compagna della sua vita. Nello stato di prostrazione morale causatogli da quella perdita dovette sentire il bisogno di avvicinare il prete di cui tutta Parigi diceva meraviglie. Anche la curiosità di vedere un uomo così misterioso avrà contribuito a spingerlo verso di lui. A noto infatti quanto potesse sulla sua immaginazione di poeta tutto quello che sapeva di arcano; si occupava anzi curiosamente di occultismo.

                Fino alla morte dello scrittore Don Bosco non diede pubblicità a quell'incontro; ma la pagana empietà dei funerali, con cui si pretese d'inscenare un'apoteosi del defunto, mosse il Servo di Dio a far conoscere i sentimenti da lui manifestatigli. Fra il maggio pertanto e il giugno del 1885 riferì la conversazione a Don Viglietti e a Don Lemoyne. Il primo la mise [158] in iscritto sotto dettato[119]; poi Don Lemoyne ne ritoccò lievemente la forma, sostituendo il voi francese al lei italiano della prima redazione e introducendo qualche frasetta insignificante. Ma quel che più importa, si è che Don Bosco rilesse, come ne fanno fede tre correzioncelle, che sono sicuramente di sua mano; sembra suo anche un segno di richiamo per un'aggiunta marginale, in cui si ravvisa il carattere di Don Lemoyne. Forse Don Bosco, fatta sull'originale la crocetta che gli era consueta, cedette a Don Lemoyne la penna e dettò la nota, secondochè è lecito arguire dall'identità dell'inchiostro; poichè Don Viglietti scrisse in nero e Don Bosco segnò in bleu, del qual colore appunto sono le dieci mezze righe del largo margine. Circa l'esattezza dei dialogo potrebbe dar luogo a riserve la distanza del tempo, essendo allora trascorsi già due anni dall'incontro; ma è noto che la memoria servì egregiamente Don Bosco fino all'estremo della vita. Ecco il documento in tutta la sua integrità[120].

 

                Due anni or sono mentre io dimorava a Parigi ho avuta la visita di un Personaggio da me ignorato affatto. Dopo aver aspettata l'udienza circa tre ore, alle undici di sera fu ricevuto in mia camera. La sua prima parola fu: - Non ispaventatevi, oh Signore, io sono un incredulo, e perciò non credo ad alcun miracolo, che taluni van raccontando di voi.

                Risposi: - Io ignoro e non voglio sapere, con chi io abbia l'onore di parlare. V'assicuro che io non cerco nè posso farvi credere ciò che voi non volete. Nè intendo parlarvi di religione, di cui voi non volete udire cosa alcuna. Ditemi soltanto: Nel corso della vostra vita siete voi sempre stato con tali pensieri in cuore?

                 - Nella prima mia età io credeva come credevano i miei parenti ed amici; ma appena potei riflettere sopra le mie idee e ragionare, ho messa la religione in disparte e mi son posto a vivere da filosofo.

                 - Che cosa intendete voi di dire con questa frase: Vivere da filosofo? [159]

                 - Tenere una vita felice, ma non mai badare al soprannaturale nè alla vita futura, con cui i preti sogliono spaventare la gente semplice e di poca elevatezza.

                 - E Voi che cosa ammettete della vita futura?

                 - Non perdete il tempo a parlarmi di questo. Della vita futura io parlerò quando mi troverò nel futuro.

                 - Conosco che voi celiate, ma giacchè mi portate sull'argomento, abbiate la bontà d'ascoltarmi. In futuro può ben darsi che veniate ammalato?

                 - Oh sì! Tanto più nella mia età che la sento travagliata da molti incomodi.

                 - E questi incomodi non può darsi che vi portino in pericolo di vita?

                 - Questo può darsi perchè io non posso esentarmi dal destino che suole colpire ogni mortale.

                 - E quando vi troverete in grave pericolo della vita, quando vi troverete al momento di passare dal tempo all'eternità ......

                 - Allora mi farò coraggio per essere filosofo e non badare al sovrannaturale.

                 - E che cosa v'impedisce[121] di pensare almeno in quel momento alla nostra immortalità, all'anima vostra ed alla religione?

                 - Niente lo impedisce; ma è un segno di debolezza che io non voglio dare perchè diventerei ridicolo in faccia degli[122] amici.

                 - Ma in quel momento voi sarete in fine di vita; e costa niente il provvedere a voi stesso e alla pace della vostra coscienza.

                 - Capisco quello che voi volete dire, ma non mi sento di abbassarmi a questo punto.

                 - Ma in quel punto che cosa voi potete ancora aspettarvi? La vita presente sta per finire, della vita eterna non volete che vi facciano parola. Che cosa sarà adunque di voi?

                Egli abbassò il capo, taceva e meditava. In questo stato di cose lo ripigliai:

                 - Voi dovete pensare al grande avvenire: avrete ancora qualche istante di vita; se voi ne approfitterete, se vi servirete della religione e della misericordia del Signore, voi sarete salvo, e salvo per sempre; diversamente voi morrete, ma morrete da incredulo, da reprobo, e tutto sarà per sempre perduto per voi. Vi dirò le cose più chiare ancora; che per voi non vi è più altro da sperare che il nulla [giacchè tale è la vostra opinione], od[123] un supplizio eterno che vi aspetta, [secondo la mia credenza e quella di tutto il mondo]. [160]

                 - Voi mi tenete un discorso, che non è filosofico, non è teologico, ma un discorso da amico, che io non voglio respingere. Dico che fra i miei amici si attende a discutere di filosofia, ma non si viene mai al gran punto: o l'eternità infelice, o il nulla aspetta. Io voglio che questo punto sia ben studiato e poi se lo permettete ritornerò a farvi un'altra visita.

                Dopo altri discorsi, mi strinse la mano e partendo mi lasciò un biglietto di visita sopra cui ho notate queste parole: VICTOR HUGHES[124] .

                Tornò la seconda sera alla stessa ora e preso Don Bosco per mano e tenendolo [stretto] gli disse: - Io non sono quel personaggio che [voi forse avete creduto: fu uno scherzo il mio], ho fatto uno sforzo per rappresentare [la parte del]l'incredulo. Io sono Victor Ugo (sic) e vi prego a voler essere mio buon amico. Io credo nel soprannaturale, credo in Dio e spero di morire nelle mani di un prete Cattolico che raccomandi lo spirito mio al Creatore[125].

 

                Questa seconda visita fu appunto quella, di cui ci ha parlato il signor Boullay. In che giorno avvenisse la prima, non lo sapremo  forse mai; abbiamo però un racconto di Don Bosco, che conferma la realtà della cosa. Lo fece ad Alassio, nell'andare dal refettorio in camera dopo la cena, presenti parecchi sacerdoti salesiani e Don Bartolomeo Fascie, ora Consigliere scolastico generale della Congregazione, allora laico e professore nel liceo. Una sera Don Bosco a Parigi, essendo rimasto fino alle undici presso una famiglia, rincasò stanchissimo. Ma ahimè! c'era gente che lo aspettava. Egli avviatosi al suo appartamento, si sforzava di persuadere quei signori che cascava dal sonno; ma parlava a sordi. Scambiate di passata con i singoli alcune parole, quando pareva tutto finito ed aperse la porta della sua stanza, ecco avanzarsi da un angolo remoto un'ombra: era un vegliardo che si cacciò dentro dietro di lui e gli si sedette a fianco sul divano. Si discorse, si ragionò, si discusse, finchè, stanco morto, il Santo cominciò a sonnecchiare. [161]

                L'importuno ogni tanto lo tirava per la manica, ripetendogli: - Ascolti, ascolti! - Ma Don Bosco, piegando il capo, glielo appoggiò sull'omero senza più dar segno d'intendere. Colui non ardì scuoterlo, ma stette fermo in quella posizione e s'addormentò egli pure. All'improvviso, che è che non è, piegandosi dal lato opposto, perdette l'equilibrio e si abbandonò sul bracciuolo, e Don Bosco, perduto il sostegno, si ripiegò su di lui. Pardon, monsieur!... Pardon, monsieur! si dicevano poi a vicenda, stropicciandosi gli occhi. Quell'incidente persuase il brav'uomo che anche per Don Bosco la notte era fatta per dormire. - Chi era quel tale? - domandò a Don Bosco uno degli ascoltatori. Don Bosco, volgendosi all'interrogante e con aria d'indifferenza gli rispose: - Un certo Vittor Ugo.

                Che in casa De Combaud non fosse avvertita la presenza del poeta, non deve sorprendere alcuno. L'appartamento di Don Bosco era isolato dal rimanente del palazzo: l'ora tarda e la complicità del servo fecero il resto; sicchè il celebre scrittore potè, come certo desiderava, passare inosservato. La mentovata signora Richard, riguardo al biglietto di visita, afferma che Victor Hugo non ne usò mai; per altro, se la sua asserzione è vera, poteva ben essere un cartoncino col nome manoscritto.

                Il D'Epiney fu il primo che diede pubblicità al colloquio, riproducendolo parzialmente nella decima edizione del suo Dom Bosco. Di là ne riportò alcuni frammenti il padre Ragey, inquadrandoli in numerosi versi del poeta, che gli sembravano armonizzare con quelli nel concetto[126]. Molto più tardi se ne occuparono le Etudes di Parigi, che, procuratosi dall'Oratorio il testo autentico, lo tradussero e commentarono[127], risolvendo possibili obbiezioni, compresa quella della grafia Hughes, nel biglietto di visita. “Come spiegare siffatta bizzarria [162] ortografica? si chiede l'articolista. Come mai Don Bosco, che corresse tre errorucci, lasciò sussistere quello?”, E risponde: “Noi crediamo che ne abbia egli stesso la responsabilità. Ed ecco come. Avendo pronunziato sempre Victor Ugo all'italiana e volendo ora dettarlo nella sua forma francese, qual era nel biglietto, accenta all'italiana la prima sillaba e fa del g duro un gh italiano, donde viene fuori Hughes”. Potrebbe anche essere che Don Bosco credesse Hughes traduzione del nostro Ugo, e che quindi così realmente dettasse.

                Un altro enigma è l'ora assegnata qui sopra alla seconda udienza, ora del tutto inverosimile, visto anche il segreto di cui Victor Hugo volle circondate quelle sue andate, il che consigliava di non portarsi due volte nel medesimo luogo. Sarà un lapsus memoriae di Don Bosco? sarà un malinteso del segretario, a cui Don Bosco non badò, perchè limitatosi solo a leggere il dialogo? Non potendosi affatto mettere in dubbio la testimonianza dell'avvocato Boullay, qui è incorso certamente un errore, a chiunque sia imputabile.

                Che l'intervista sia rimasta senza effetto, non si potrebbe asserire. É opinione fondata che  il poeta in seguito moltiplicava professioni di fede teista; ma si sa pure che attorno a lui si cercava di rintuzzare ogni sua manifestazione di tal natura. Questo avveniva specialmente quando si levava da tavola. Ma non appena apriva la bocca per esprimere somiglianti pensieri, il suo genero Lockroy, israelita, il cui vero nome era Simon, quello che poi diventò Ministro della Marina, gli dava tosto sulla voce e: - Su via, diceva, ecco che il vecchio comincia a vaneggiare. - Fu convinzione di molti che  nell'ultima infermità il cardinale Guibert, anzichè mandare il suo segretario a tastare il terreno, avrebbe ottenuto assai più andandovi in persona; ma sembra che egli stesse poco Lene di salute. Il segretario si vide messo in bel modo alla porta; non così il malato avrebbe agito con lui, ma, lusingato dall'onore, di parola in parola si sarebbe forse lasciato rimorchiare più in là del suo nudo teismo. Ma questi [163] sono arcani della grazia, che non è dato all'uomo di scandagliare. Quanto al colloquio con Don Bosco, siamo d'accordo con un periodico francese, nel quale, mentre rivediamo le bozze di questo capo, ci avviene di leggere che “ognuno è rimasto nelle sue posizioni e il moralista laico non ha fatto predica, il prete ha conservato la sua dignità e il Santo non ha piegato le ginocchia dinanzi al filosofo”[128].

                Quanti stati d'animo, quanti casi di coscienza dovettero essere sottoposti all'esame e al giudizio di Don Bosco durante il suo soggiorno a Parigi! Quanti matrimoni solamente civili non fece legalizzare di fronte alla Chiesa e quanti imbrogli di vario genere non accomodò specialmente fra persone appartenenti alle classi più elevate e più colte della società parigina! - Per il bene delle anime, affermò egli qualche volta, dovetti occuparmi di moltissimi fatti, un centinaio dei quali erano di tale importanza, che per ogni singolo di essi sarebbe valsa la spesa d'intraprendere un viaggio fino a Parigi.

 

 

CAPO VI.

A Parigi: visite.

 

                COME i pomeriggi si destinavano alle udienze, così le ore mattutine erano riserbate alle visite; non però in modo esclusivo, chè in tanta varietà di casi la regola doveva necessariamente patire eccezioni. Nel presente capo ci proponiamo di seguire passo passo il nostro Santo, quando si reca a visitare chiese, comunità e famiglie, procedendo in una prima parte, per dir così, col calendario alla mano e rimandando alla fine alcuni gruppi di notizie, che altrimenti intralcerebbero l'esposizione cronologica dei fatti o che si sottraggono finora agli accertamenti propri della cronografia.

                Don Bosco celebrò la sua prima messa a Parigi dalle Carmelitane, che avevano il convento, il terzo a Parigi, sul corso Messina, non lungi dal palazzo della sua dimora. Andarono ad assistervi le Oblate di via Ville l'Evéque, com'è notato nel diario della Bethford. Visitata poi e benedetta la comunità, manifestò il desiderio di essere in unione di preghiere con quelle religiose, le quali poco avanti alla sua partenza da Parigi gli concessero con tutte le formalità l'affiliazione spirituale dei Salesiani al loro Ordine, inviandogliene regolare diploma[129]. [165]

                La mattina del 21 aprile celebrò presso le Domenicane della Croce in via Charonne. Dopo la Messa c'era gente che gli voleva parlare ed egli cominciò a ricevere. Il tempo passava senza che Don Bosco se ne desse per inteso; ma Don De Barruel, avvicinandosi il mezzodì, si piantò sulla soglia della porta e non lasciava più entrare nessuno. Fu una protesta generale, a cui il segretario non badò, e fattosi da presso a Don Bosco: - Bisogna andare, gli disse. Sono le undici passate; c'è ancora una visita da fare e poi ci attendono per le dodici a Auteuil. - Il Monde del 13 maggio narrava: “Don Bosco col suo bel sorriso così amabile e delicato e col suo accento così insinuante e dolce: - Bene! - rispose. Quindi, ergendosi un po' sul seggiolone e con un gesto di commovente bontà facendo un lungo cenno d'invito a parecchie signore rimaste là addolorate: - Avanti, signore, disse. E l'udienza continuò per non terminare se non quando ognuna di quelle ebbe una benedizione speciale, una parola, un conforto. A che ora sarà arrivato Don Bosco a Auteuil? Dio lo sa... Ma se ivi fu dimenticata l'ora, la carità la portò su nell'eternità celeste. Il caritatevole sacerdote non licenzia, non respinge, non sollecita nessuno di quanti a lui ricorrono per un sollievo nelle loro pene. La sua anima, che è tutta di Dio, tutta appartiene a chiunque gli si rivolga”.

                La rottura delle trattative per l'opera di Auteuil[130] non aveva raffreddato la benevolenza dell'abate Roussel verso Don Bosco. I due uomini si erano conosciuti a Roma sotto gli auspici di Pio IX nel 1876. Il Papa, passando dinanzi all'abate, aveva detto: - Ecco il Don Bosco francese, che ho veduto ieri. - Alla distanza di sette anni l'abate Roussel, rievocando questo ricordo[131], manifestava la grande consolazione da lui provata allora nel vedere “quel santo prete”, col quale l'aveva messo in rapporto il Santo Padre medesimo. Era quindi naturale che, udito del suo arrivo a Parigi, bramasse [166] d'incontrarlo. Fu delicato pensiero di Don Bosco il prevenirlo, notificandogli la sua imminente visita la mattina del sabato 21 aprile. Giunse sul mezzogiorno, stette là a colazione e visitò la casa. Scriveva l'abate nel citato suo periodico: “Con lui sempre così vivo, benevolo e amabile parlatore, abbiamo potuto discorrere lungamente del comune nostro scopo”. Sparsasi intanto nelle vicinanze la voce che Don Bosco si trovava a Auteuil, gli amici dell'abate convennero numerosi per vederlo, facendolo segno a molte dimostrazioni di simpatia. L'abate non nascose che avrebbe voluto fargli un ricevimento più solenne, se dalla ristrettezza del tempo non ne fosse stato impedito; ma Don Bosco, accomiatandosi, gli lasciò chiaramente intendere che prima di abbandonar Parigi aveva in animo di ritornare.

                Le Dame del Sacro Cuore, che avevano la casa al Boulevard degli Invalidi, poterono ottenere che per il 22 egli andasse a celebrare nell'ampia cappella del loro convitto. Il numero di coloro che stimarono gran privilegio l'essere ammessi ad ascoltare con le educande la sua Messa, fu tale, che la santa comunione durò un'ora intera. Visitate le religiose e le allieve, e ricevute le persone desiderose di consultarlo, fece altre visite, a fine di contentale quanti più potesse dei tanti che l'avevano pregato di quella grazia.

                Per mezzodì aveva promesso di andar a passare un paio d'ore con gli Assunzionisti in via Francesco I. Questa congregazione, fondata nel 1847 a Nimes dal padre D'Alzon, dirige collegi, organizza pellegrinaggi nazionali, tiene Missioni in Oriente dai Balcani al Mar Morto e dà vita a un'opera grandiosa per la buona stampa. L'Assunzionista padre Bailly redigeva allora il Pèlerin, diffuso periodichetto che fu l'araldo di Don Bosco in Francia; infatti fin dal suo primo anno di vita, nel 1877, descrisse entusiasticamente le opere del Servo di Dio, riproducendone anche le sembianze, e poi tornava a parlare di lui ogni volta che gruppi di pellegrini francesi, venendo da Roma, visitavano il santuario di Maria Ausiliatrice, [167] l'Oratorio e Don Bosco, accompagnati per lo più dal padre Picard, secondo Superiore generale. Reciproco pertanto era il desiderio di trovarsi almen qualche istante insieme nella capitale. “Giunto a Parigi, scriveva il Pèlerin del 12 maggio, una delle prime visite fatte dal santo uomo fu per il povero Pèlerin, perchè egli ama i poveri, e mangiò col Pèlerin nel tempo pasquale, come già Nostro Signore con i suoi discepoli, e pose ivi le mani su parecchi infermi, che ora vengono migliorando”. Detto poi dell'impressione prodotta dalla presenza di Don Bosco a Parigi, osservava: “Il sentimento che scuote l'indifferenza parigina al passaggio di un prete, di un religioso, di un santo, a sì breve intervallo dalle espulsioni, e che quasi a titolo di riscatto le fa buttare tesori nelle sue mani, è certamente un fatto soprannaturale di prim'ordine, e noi crediamo che Don Bosco, benchè vecchio, male in gambe, sempre sorretto da un braccio amico, con la vista quasi spenta, senza leggere giornali di sorta, rechi alla Francia nientemeno che la soluzione della questione operaia”.

                Uno degl'infermi, a cui il Pèlerin alludeva, era lo stesso padre Picard, al quale Don Bosco promise che avrebbe pregato per la sua guarigione. Guarì infatti e campò ancora vent'anni.

                A mensa non si ragionò quasi d'altro che di cose salesiane, e il tutto comparve sotto forma d'intervista nel Pèlerin del 12 maggio. La massima parte della conversione si aggirò intorno alle origini e allo sviluppo dell'Opera di Don Bosco; ma verso la fine il discorso cadde sul suo metodo educativo. Taluno gli espresse il dubbio che i suoi artigiani, usciti dal nido ed entrati negli opifici o nelle caserme, non potessero non vacillare. Don Bosco rispose: - Quasi tutti continuano a confessarsi nelle nostre case. A Torino, il sabato sera e la domenica mattina, ne vengono molti. Nell'esercito italiano poi si sa benissimo che i provenienti dai nostri laboratori sono praticanti; infatti li chiamano i Bosco. Se ne trovano in tutti i gradi della milizia. [168]

                 - Ma in che consiste dunque la formazione che si dà a questi giovani?

                 - La formazione consiste in due cose: dolcezza in tutto e la cappella sempre aperta, con ogni facilità di frequentare la confessione e la comunione.

                 - Sono molte le comunioni?

                 - Moltissime. Ogni giorno artigiani e studenti hanno la Messa, avanti e durante la quale possono confessarsi. E ci vanno assai, e la frequente comunione è quella che poi fa tutto.

                 - Per altro, vi saranno castighi.

                 - Nessuna forma speciale di repressione; è vero però che talvolta si espelle qualcuno dalla casa. Ma invece dei castighi abbiamo l'assistenza e i giuochi. Le mancanze derivano in gran parte da difetto di sorveglianza; vigilando, si previene sufficientemente il male e non c'è bisogno di reprimere. Ogni laboratorio ha il suo capo; inoltre da una cattedra chiusa con vetri un chierico bada alla condotta, al buono spirito, alla pietà e segnala quelli che meritano di passare fra gli studenti. Ogni nuovo venuto si affida a uno degli anziani, che io guida, lo istrada, lo protegge, lo consiglia. Riguardo ai giuochi, è da ritenere che il giovane deve stare contento, e perciò bisogna svagarlo con giuochi. A tale effetto noi non si trascura nulla: anzitutto la musica, e poi gli esercizi fisici. Quando il giovane è stanco di giocare, finisce spesso con l'andarsene a pregare in cappella, che trova sempre aperta.

                L'articolista conchiudeva con la seguente osservazione: “Noi abbiamo veduto questo sistema in azione. A Torino gli studenti formano un grosso collegio, in cui non si conoscono file[132], ma da un luogo all'altro si va a mo' di famiglia. Ogni gruppo circonda un insegnante, senza chiasso, senza [169] irritazioni, senza contrasti. Abbiamo ammirato le facce serene di quei ragazzi, nè ci potemmo trattener dall'esclamare: Qui c'è il dito di Dio”.

                Della stessa visita si occupò anche il Monde del 17 maggio, riferendo di quella conversazione conviviale una particolarità delicata, ma istruttiva. Un Assunzionista domandò a Don Bosco, a quale funesta influenza si dovesse attribuire il difetto di perseveranza che si lamentava nella più parte dei giovani educati così cristianamente dallo zelo indefesso dei Fratelli, essere infatti cosa nota che quegli ex - alunni, divenuti grandi, trascuravano generalmente le pratiche religiose. Don Bosco rispose così: - Questo grave inconveniente proviene da ciò, che in Francia i giovani noti vengono abbastanza a contatto col prete e quindi non si confessano abbastanza di frequente. Le anime giovanili nel periodo della loro formazione han bisogno di sperimentare i benefici effetti che derivano dalla dolcezza sacerdotale, Vivendo sotto questo influsso fin dalla tenera età, si rammentano poi più tardi della pace goduta dopo le sacramentali assoluzioni e qualora si abbandonino agli umani traviamenti, sanno sempre ricorrere per aiuto agli amici della loro infanzia. Ecco perchè in Italia i figli del popolo perseverano generalmente più che non in Francia.

                Don Bosco era capitato dagli Assunzionisti in un momento assai opportuno. Ventilavano essi allora il disegno di lanciare un grande quotidiano cattolico, tale che potesse raggiungere la massima diffusione in tutte le parti della Francia. L'ardita iniziativa non incontrava l'approvazione di parecchi; onde l'ideatore padre Bailly e il superiore padre Picard titubavano indecisi. Orbene la parola di Don Bosco, che in opere di simil genere era l'uomo degli ardimenti, incoraggiò i Padri ad affrontare l'impresa. Egli chiese se avessero i capitali e gli scrittori; e udito che si: - Ebbene, disse, andate avanti! - Tanta efficacia ebbero i suoi incitamenti, che ai 16 di giugno uscì il primo numero di quella [170] Croix, che  conta già mezzo secolo di vita rigogliosa e assai feconda di bene[133].

                E poichè siamo su questo tenia dei giornali, aggiungeremo che Don Bosco volle dedicare un po' del suo tempo parigino anche alla famiglia di colui che era stato il principe dei giornalisti cattolici e che tante battaglie aveva ingaggiate e sostenute dalle colonne dell'Univers contro tutti i nemici della Chiesa. Intendiamo parlare di Luigi Veuillot, mancato ai vivi il 7 aprile precedente. Don Bosco recò ai desolati congiunti la parola del conforto cristiano. La sua visita apportò un balsamo soave specialmente alla sorella Elisa, che con Luigi aveva diviso la vita di fede e di operosa carità. Cinquant'anni da quel giorno, che  non sappiamo precisare qual fosse, il nipote Francesco, che piccino ricevette allora la benedizione del Servo di Dio e che sente ancora sulla fronte il tocco di quella mano “cliargée des graces divines”, godeva di annunziare un prossimo ritorno di Don Bosco a Parigi, cinto dell'aureola dei Santi, per prendere possesso d'una chiesa che s'innalza ivi al suo nome[134].

                Per la mattina del 23 aprile toccò alla famiglia della contessa De Rites il piacere di ascoltare la Messa celebrata da Don Bosco nell'oratorio domestico, al sobborgo di S. Germano. Gli si fece usare un calice, del quale erasi servito Pio IX l'8 dicembre 1855, primo anniversario dalla definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione. Lo assisteva all'altare l'abate Sire di S. Sulpizio, il cui nome si collega con un ricordo monumentale dello storico avvenimento. Egli fu che fece [171] tradurre la bolla Ineffabilis in quattrocento fra lingue e dialetti, formandone centodieci volumi, i quali, chiusi in un prezioso cofano, offerse l'II febbraio 1877 a Pio IX. Il magnifico dono era stato già ammirato da Don Bosco nella sala dell'Immacolata Concezione in Vaticano e gli tornò ben gradito quell'incontro con l'ideatore[135].

                Alla nobile famiglia si unirono nella cappella circa cinquanta persone dell'aristocrazia parigina. Nel momento dell'offertorio il figlio della signora di Poulpiquet, ex - zuavo pontificio, fece una colletta, raccogliendo per il celebrante una bella somma. I più dei presenti ricevettero la santa comunione dalle mani del Santo, che dopo consentì di dare udienza agl'intervenuti.

                Spetta probabilmente all'abate Sire il merito di aver procurato a Don Bosco la possibilità di fare una visita delle più importanti sia per se stessa che per i suoi effetti: la visita al gran seminario di S. Sulpizio. Sono pochi i seminari che abbiano una storia così gloriosa come quello di S. Sulpizio. Diretto da un'associazione di preti fondata a Parigi dal venerabile Olier nel 1642, divenne ben presto e si mantenne fino ai giorni nostri vivaio fecondo d'illustri e dotti prelati e di ecclesiastici insigni per pietà e zelo in servizio della Chiesa. L'abate Bieil, Direttore dell'istituto e tenace delle consuetudini, aveva obbedito allo scrupolo di chiedere istruzioni circa le modalità del ricevimento che avrebbe dovuto fate a Don Bosco e circa gli onori da rendergli. Non è Vescovo, diceva, non è prelato... Come fare dunque? - Il cardinale Guibelt gli rispose: - Ricevetelo con tutti gli onori possibili. Non si farà mai troppo per i suoi meriti.

                Don Bosco vi si recò la sera del 23 aprile; ma si fece aspettare molto, e questo cagionò ritardi nell'ora della lettura spirituale, della cena e del riposo, un fatto addirittura [172] inaudito in quell'inviolato sacrario della consuetudine[136]. Avanzatosi con aria di serena modestia e montato sur una predella, rivolse ai futuri sacerdoti un discorsino sviluppando il concetto contenuto nell'elogio evangelico di S. Giovanni Battista: Erat lucerna ardens et lucens. Spiegò loro come il prete debba vivere una vita ardentemente interiore per poter illuminare intorno a sè gli altri, e ripetè il suo aforisma che un prete non va mai solo nè in paradiso nè all'inferno[137]. L'abate Clément, Direttore della scuola Fénelon, scriveva di quel sermoncino di Don Bosco[138]: “Quello che specialmente ricordo è l'ardore infiammato della sua parola, massime quando mostrava la necessità della confidenza in Dio. Allora lo sguardo gli brillava sotto le rughe della fronte, e gli si rinvigoriva la voce, benchè l'avesse un po' stanca e gutturale[139]. Quando discese dalla predella, i miei compagni gli si strinsero attorno, anzi addosso, desiderosi di toccarlo, di baciargli la mano. Ne vedo ancora uno tagliargli con le forbici un lembo, credo, della fascia[140], e un altro portargli via un pezzetto di tessuto paonazzo strappato forse dalla fodera del cappello. In quella ressa Don Bosco aveva per ognuno un sorriso che ancora rivedo radioso, [173] e si voltava di qua e di là con bontà straordinaria e con tutta bonomia”.

                L'impressione lasciata in quei chierici non si dileguò mai più dalla loro mente e valse non poco ad alimentare quella corrente di simpatia per Don Bosco, che perdura tuttora nel clero francese. Fra i seminaristi colà presenti vi erano i personaggi che rispondono ai nomi di Bourne, cardinale arcivescovo di Westminster; De Guébriant, arcivescovo di Marcianopoli e superiore dei Missionari di Rue du Bac; Gibergues, morto vescovo di Valenza; Neveux, vescovo ausiliare di Reims; Ternier, vescovo di Tarantasia; Vigouroux e Mourret, vere illustrazioni delle scienze sacre; e altri ottimi ecclesiastici. Rievocando quella sera memorabile, il cardinale Bourne scriveva: “Un ricordo carissimo al mio cuore, una segnalata grazia della mia gioventù è l'aver avvicinato Don Bosco. Io era studente nel seminario di S. Sulpizio a Parigi, quand'egli giunse in quella capitale. Avevo già inteso parlare delle opere mirabili da lui create e di certe singolari particolarità della sua vita. Rammento come se fosse oggi la trepida impazienza, con cui i seminaristi aspettavano la visita di quell'uomo, considerato già dall'opinione pubblica come un santo. Sembrava in cattivo stato di salute, camminava barcollando e parlava, lo ricordo bene, un francese piuttosto stentato e difettoso. Tuttavia l'impressione prodotta in noi tutti fu straordinaria. Quella volta non ebbi agio di rivolgergli la parola privatamente; ma nel 1885, l'anno dopo la mia ordinazione, vivamente interessato e attratto dalle opere della Congregazione salesiana, feci una breve visita all'Oratorio di Torino ed ebbi la grande soddisfazione di parlare col Beato e di sedere alla sua destra durante una refezione, a cui m'invitò. Nel 1887, a sua istanza, prestai la mia modesta cooperazione ai primi membri della Società da lui inviati a Battersea nel novembre di quell'anno. Dopo d'allora sono stato sempre nei rapporti più affettuosi e più intimi con i suoi figli non solo nell'Inghilterra, ma dovunque io li abbia incontrati [174] per il mondo. Don Bosco è andato a ricevere la ricompensa celeste sul principiare del 1888, dal qual tempo l'ho costantemente onorato e invocato come un santo”[141].

                L'entusiasmo dei seminaristi di S. Sulpizio ebbe la sua ripercussione nel piccolo seminario di St. Nicolas du Chardonnet in via Pontoise. Tre settimane dopo il segretario di Don Bosco ricevette una lettera scritta a nome di quei superiori e alunni, che  cominciava così: “La tanto profonda impressione da noi provata alla vista e alla parola del rev. padre Don Bosco in S. Sulpizio, non ci si è scancellata più dalla memoria, anzi vi rimarrà lungamente scolpita fra le più belle e confortanti della nostra vita. Ora noi abbiamo un gran desiderio di farne godere il benefizio anche ai giovani che Dio ci ha affidati e nei quali ha deposto i germi della vocazione sacerdotale. Pare a noi che questa vocazione si rafforzerebbe e si svilupperebbe maggiormente, se Don Bosco avesse la bontà di venir qui a indirizzare alcune parole. La benedizione di un santo non è una grazia speciale di Dio e un pegno della sua valida protezione?”. S'invocavano quindi i buoni uffici del segretario, Vi s'interpose inoltre una zelante cooperatrice per nome Mollie[142], che il 16 maggio ne parlò al Servo di Dio. Don Bosco che per i giovani avrebbe fatto qualunque sacrifizio, volle contentare quegli alunni, forse il 22 maggio, uscendo dalla casa delle suore di Sion.

                Anche le suore della Visitazione del secondo monastero di Parigi in via Vaugirard furono fra le comunità religiose, che per le prime si affrettarono ad accaparrarsi una Messa di Don [175] Bosco. Egli andò a celebrai e nel loro monastero la mattina del 24 aprile. Fin dalle sette la cappella cominciò ad affollarsi di persone distinte e divote, che nonostante il disagio causato dal numero e il fastidio della lunga attesa vi si mantennero in edificante raccoglimento. Don Bosco fece il suo ingresso soltanto alle nove: le continue sorprese gl'impedivano di osservare qualsiasi orario. Camminava appoggiato al braccio di Don De Barruel, passando fra quel pubblico aristocratico, che stentava a fargli ala. Tutti gli occhi lo seguivano con un'espressione di riverenza e di preghiera. Nella mistica quiete di quel sacello, allorchè il celebrante ascese l'altare, si sentivano quasi i cuori degli astanti palpitare col suo durante il divino Sacrifizio. Al vangelo si voltò verso l'assemblea e con parole di grande semplicità mostrò a quella ricca gente, come vera ricchezza ve ne sia una sola, il timor di Dio. Un bell'episodio gli offerse l'esempio che edifica. Un giovane di doviziosa famiglia era stato condotto a Roma dal padre per presentarlo al Pontefice Pio IX. Giunto al cospetto del Vicario di Gesù Cristo, il buon genitore domandò una speciale benedizione per il suo Luigi, affinchè Dio lo conservasse all'affetto de' suoi. Il Santo Padre posò un istante sul giovanetto quel suo sguardo così dolce e paterno, e poi, raccoltosi in se stesso e alzati gli occhi al cielo, gli disse: - Luigi, sii sempre un buon cristiano. - Indi posandogli la mano sopra la spalla: - Luigi, proseguì, con accento grave e spiccato, sii ricco...

                 - Beatissimo Padre, l'interruppe il genitore, noi non domandiamo beni di fortuna. Dio ce ne ha dati...

                Ma il Papa senza scomporsi ripigliò e terminò la frase cominciata: - Luigi, sii ricco delle vere ricchezze, possiedi sempre il timor di Dio. - I presenti non indovinarono certo chi fossero quel padre e quel figlio, nei quali a noi è facile ravvisare il conte Colle e il suo diletto Luigi.

                Per la comunione, non senza difficoltà gli adunati si succedettero alla sacra mensa. Finita la Messa, si mossero tutti verso la piccola sacrestia, che fu presto gremita e dove i pochi [176] riusciti a penetrarvi si prostrarono ai piedi dell'uomo di Dio, implorandone la benedizione. Altri avrebbero voluto sottentrare ai primi, ma il segretario invocò per lui la libertà di fare il ringraziamento. Gli si obbedì; pur tuttavia, quanti poterono assieparsi là entro, postisi in ginocchio, formarono intorno a lui orante un cerchio, silenziosi e attenti. “Veder pregare Don Bosco, osservava un giornale accennando alla. Messa della Visitazione[143], è come sentire la celeste rugiada refrigerarci il cuore”.

                Dopo il ringraziamento, quei signori gli sfilarono tutti davanti, lieti di una benedizione, di uno sguardo, di una parola. Infine egli portò la consolazione della sua visita alla comunità; poichè il cardinale Guibert gli aveva concessa la facoltà di varcare la clausura. Dovette però entrarvi per una porta segreta; chè altrimenti ad attraversare la cappella non sarebbe bastata un'ora. Fece alle religiose riunite un'esortazione sulla fedeltà alla Regola; poscia gli venne presentata l'ex - superiora, madre Maria Kotzka Le Pan De Ligny, che aveva già superata la settantina ed era molto sofferente. Le suore, a lei affezionatissime, domandarono a Don Bosco che le prolungasse la vita. A sì ingenua richiesta egli sorrise e, raccoltosi un istante in se stesso, rispose: - Non è certamente suo desiderio, Madre, di restar ancora molto tempo su questa terra; pure le bisognerà vivere ancora un poco quaggiù e partirà quando le sue figlie le daranno licenza di partire.

                 - Oh, dissero le religiose, la nostra Madre vedrà partire prima tutte noi per l'eternità; perchè non le daremo mai il permesso di morire.

                Eppure nove anni dopo glielo dovettero dare. Le sofferenze della Madre erano cresciute a tal segno, che per lei vivere più non era che patire; onde non reggendo più il cuore delle figlie alla vista di sì prolungato martirio, pregarono il Signore [177] che a sè la volesse chiamare, e il Signore esaudì la loro preghiera[144].

                Egli passò quindi a visitare le educande nel collegio annesso al monastero. Al vedere quelle buone giovani il Servo di Dio, dice la Visitandina che ci ha fornite queste notizie, si fece subito tutto allegro. Le esortò all'adempimento dei doveri cristiani, cominciando il suo discorsetto con questo preambolo: - Figliuole, ricordatevi che vi è un Dio solo, che vi è un solo paradiso in cielo, che vi è una sola vita sulla terra e che vi è un'anima sola. - Il segretario ne affrettò la partenza, perchè sani e infermi in gran numero rumoreggiavano fuori e sembrava che si volessero sfondare le porte.

                Il ricordo di Don Bosco è tuttora vivo in quella casa. Poco dopo un'ex - allieva, divenuta novizia dell'Ordine a Torino, Cecilia Roussel, acquistò e fece benedire da lui una statua di Maria Ausiliatrice che mandò al convento, dove le religiose e le convittrici la circondano ancor oggi di doppia orazione.

                Un gentiluomo che meritava e ottenne il dì seguente l'onore di una visita, era il visconte di Damas, il quale con cristiano coraggio e santa perseveranza spese la vita nella nobile missione di riaccendere nel popolo francese la fede mediante i pii pellegrinaggi. La sua carrozza, mandata al corso Messina, gli portò al palazzo Don Bosco la mattina del 25 aprile verso le otto e mezzo. Il signore, a piè della gradinata che dava nel cortile, accolse con grande riverenza l'ospite venerato, che, sorretto dal suo braccio, fece lentamente i gradini e sul terrazzino che si stendeva - dinanzi all'atrio, ricevette l'omaggio dell'intera famiglia. Scambiate cordiali parole di saluto, fu condotto nell'oratorio privato, dove tutti quelli di casa e pochissimi intimi presero posto dietro di lui durante il suo apparecchio alla celebrazione della Messa. [178]

                “É impossibile, dice il Monde del 19 giugno, ritrarre la pace profonda, il celestiale raccoglimento della grande e nobile famiglia, allorchè il venerando sacerdote, rivestito dei sacri paramenti, si appressò all'altare e la sua benedetta voce fe' udire le preci perpetuamente innalzate dalla Chiesa alla Maestà dell'Eterno”. Il santo Sacrifizio si compiè così in mezzo al più religioso silenzio. Gli astanti quasi tutti ricevettero dalle sue mani il pane eucaristico.

                Fatto ch'egli ebbe il ringraziamento, lo accompagnarono nella sala, dove una corona di fanciulli gli porse un grazioso benvenuto. La dolcezza delle sue maniere ne guadagnò subito la confidenza. Rivolte loro acconce parole e benedettili, s'intrattenne con i grandi. Il citato giornale scriveva: “Bisogna aver assistito a simili riunioni intorno a Don Bosco per farsi un'idea della calma, del rispetto, della dignità che vi regnano. La parola misurata e armoniosa dell'amabile sacerdote, alla quale l'accento italiano conferisce dolcissimo fascino, la modestia e la giustezza de' suoi pensieri, tutto insomma esala un profumo di sovrumana grandezza che rapisce quanti ascoltano”. Ricevutane in ginocchio la benedizione, lo invitarono a una refezione intima; poi il Visconte, mettendosi agli ordini dell'ospite amato, lo fece montare in carrozza e gli sedette a fianco per tutto il tempo che Don Bosco impiegò a visitare infermi, bisognosi de' suoi conforti spirituali.

                A una santa inferma egli portò in quel giorno la sua benedizione: alla madre Maria di Gesù, fondatrice delle Piccole Suore dell'Assunzione per l'assistenza degli ammalati poveri a domicilio. Le amiche della casa non lasciarono nulla d'intentato per procurare alla comunità il favore di una sì preziosa visita. La Congregazione, fondata nel 1842 a Saint - Servan di Bretagna, si trapiantò sette anni dopo a Parigi e nel 1870 fu stabilita la casa madre a Grenelle, sobborgo della capitale. Là si recò Don Bosco, ben contento di benedire un'opera, che si occupava esclusivamente di poveri. Ascoltò con interessamento benevolo i particolari che gli si diedero sulla missione [179] esercitata dalle Suore e promise che avrebbe pregato per il suo sviluppo. La Madre, benchè stesse assai male, volle essere presente. Vi era anche il padre Pernet, assunzionista, che aveva dato all'istituto la sua forma definitiva e continuava a governarne lo spirito. Questi disse a Don Bosco: - Buon Padre, preghi in modo specialissimo per questa cara Madre, affinchè il Signore le lidoni la salute e noi abbiamo il bene di conservarla ancora a vantaggio di tutta la famiglia.

                 - Pregherò secondo tutte le vostre intenzioni, rispos'egli sorridendo, e domanderò per questa buona Madre che viva quanto Matusalem, cioè novecento sessantanove anni...

                 - Oh Padre! esclamò con ispavento la Madre.

                 - Ebbene, riprese Don Bosco fra il serio e il faceto, togliamo la Prima cifra; se poi leviamo ancora alcuni anni, rimarrà cinquantanove.

                 - Ma Padre! ribattè sorpresa la Madre.

                 - Accetti, accetti.

                 - Accetto, rispos'ella.

                 - Per conto mio, le domando una cosa sola, che preghi perchè Don Bosco si salvi l'anima.

                 - E che viva tanti anni quanti io, continuò l'altra.

                 - Oh, se io vivessi quanto Matusalem, metterei sossopra il mondo intiero... Ma lei, Madre, se vivesse quanto quel patriarca, che progresso vedrebbe nella sua famiglia! E poi, in paradiso, tutte le sue figlie con tutte le anime da loro salvate le faranno attorno magnifica corona. E io, rivedendola in paradiso con tutta la sua famiglia, domanderò al Signore che mi metta un po' lontano con la mia, in un altro angolo del cielo, perchè con tutti i miei birichini tanto chiassosi si disturberebbe da noi la loro quiete...

                Sul punto di ritirarsi, Don Bosco benedisse la comunità e conchiuse: - Buone Suore, io domanderò per tutte voi pietà, fervore e perseveranza nella pratica esatta della regola. - Partendo, non disse addio, ma lasciò sperare che, ritornato da Lilla, dove stava per recarsi, sarebbe andato nuovamente [180] a Grenelle e ben volentieri vi avrebbe anche celebrato la Messa.

                Il dialoghetto surriferito parve alla maggior parte delle Suore un puro scherzo; non così a parecchie altre e specialmente alla Madre. Poco dopo la baronessa Reille, ricevuta da Don Bosco, gli domandò se c'era speranza di guarigione per la fondatrice. Egli si guardò bene dal togliere ogni speranza; infatti: - Sì, rispose, ma si preghi... Dal I° maggio fino al 30 giugno si recitino ogni giorno tre Salve Regina, tre Pater e tre Ave.

                Don Bosco fu realmente una seconda volta a Grenelle il 20 maggio[145] e vi celebrò. L'andò a prendere in carrozza il padre Pernet dal palazzo di madama di Saint - Seine al boulevard Saint - Germain; così egli potè restare una mezz'ora con lui da solo a solo durante il tragitto. Vedendolo però affranto dalla fatica, non osava parlargli. Tuttavia, presa confidenza, gli espose la natura dell'opera, il còmpito della Piccola Suora, il suo scopo. Don Bosco ascoltava, ascoltava. Finito che ebbe di esporre, il padre Pernet gli domandò: Mi dica, Padre, che cosa pensa lei della nostra opera?... Viene da Dio?... - Il Santo, raccoltosi un istante: - Sì, gli rispose con accento di convinzione, quest'opera è da Dio... Farà gran bene nella Chiesa. Continuate. - Il padre Pernet si sentì talmente consolato e rassicurato, che non gli mosse altre interrogazioni, sebbene avesse prima stabilito di chiedergli varie cose che personalmente lo riguardavano; il timore di stancarlo troppo lo trattenne.

                La Messa, fissata per le otto, cominciò alle nove. La Madre, che orinai teneva il letto, si fece trasportare a braccia in cappella, accomodandosi distesa dietro l'altare, unico posto libero [181] dalla folla, che dalle sei e mezzo aveva invaso il convento. C'erano molti ammalati e vi furono molte comunioni. La Madre, non potendo prolungare di più il digiuno, venne comunicata da Don Bosco prima del santo Sacrifizio. Dopo la Messa, il padre Pernet lo pregò di darle una benedizione speciale. Egli recitò con lei l'Ave e la Salve Regina e poi l'Oremus; infine le disse: - Io le auguro sanità e santità. Sua via è la croce e la sofferenza... Voglia soltanto la volontà di Dio.

                Le Suore dovettero cedere il posto ai forestieri per le udienze, che durarono fin dopo mezzodì. Fra gli altri si presentarono due campagnole della Vandea, che avevano fatto più di dugentocinquanta chilometri per vedere Don Bosco e parlargli. Giunte a Parigi la sera del giorno innanzi, erano andate dal segretario del Santo, che le aveva indirizzate a Grenelle. Stettero là dalle sei del mattino alle tre del pomeriggio senza gustare cibo o bevanda. Introdotte alle tre, uscirono raggianti in volto.

                Don Bosco prese ivi la refezione di mezzogiorno con Don Rua e i segretari, col padre Picard, con l'abate Le Rebours, curato della Maddalena, con un Vicario Generale di Sua Eminenza e con altri[146]. Doveva sentirsi molto stanco, poichè sul più bello s'addormentò. Allora il padre Picard fe' segno ai commensali di tacere per non destarlo..

                Svegliatosi poi e terminata la refezione, il Servo di Dio visitò la Madre nella sua stanza. Il padre Pernet gli si gettò ai piedi supplicandolo di ottenere la guarigione dell'inferma. Don Bosco si trattenne dieci minuti presso il suo capezzale e le disse: - Lei è troppo utile alla sua Congregazione per andar ora in paradiso. - E al Padre: - Preghi, faccia pregare fino al 16 luglio, festa del Carmine. Io pure pregherò e farò pregare i miei Salesiani e i miei giovani. - Don Bosco fu quindi condotto nell'infermeria a benedire le suore ammalate. Accomiatandosi, fu pregato di dare un'ultima benedizione [182] alla comunità. Scrive la suora Emmanuella Maria: “Aveva nella fisionomia un'espressione particolare; sembrava che un raggio soprannaturale gliela illuminasse. Ci parlò delle consolazioni di quel giorno e aggiunse alcune parole sulla frequente comunione, in cui si trova luce, forza, santità. Poi ci diede la sua benedizione. Nell'uscire, come già al mattino nell'entrare, era difficile difenderlo dalla folla, che voleva avvicinarlo e toccarne le vesti”. Il padre Picard rimase, e vedendo le Suore molto impressionate, raccontò loro tante cose di Don Bosco, e fra l'altro un episodio successo quella mattina. Quando arrivava, pareva che Don Bosco non ci vedesse affatto; ma all'improvviso, adocchiato in mezzo alla gente un giovane dall'aria distinta da lui non mai veduto, gli fece segno di avvicinarsi. - Che cosa fa lei a Parigi? gli domandò.

                 - Vado all'Università Cattolica e frequento il corso di diritto, rispose quegli.

                 - Mi faccia vedere quel libro.

                Era il libro da Messa. Don Bosco, stringendogli forte la mano, gli disse: - Presto sarà dei nostri. - Dopo la Messa, rivedendolo nel coro, l'invitò a seguirlo e gli ripetè: - La aspetto presto a Torino. - Si seppe dappoi essere quegli il figlio di una delle così dette Dames Servantes des Pauvres, associazione di signore che dedicavano qualche ora del giorno ad aiutare le Piccole Suore nell'assistenza dei malati poveri a domicilio. Sua madre aveva chiesto e ottenuto il permesso di condurlo seco alla Messa di Don Bosco; ma non avrebbe mai preveduto quello che avvenne; essendo però molto pia, non fece la menoma opposizione.

                Due altri episodi ci sono attestati da colei che ne fu la protagonista. Una giovane diciottenne desiderava di farsi religiosa, ma non si sapeva decidere sulla scelta della Congregazione. Pensando che Don Bosco la potesse consigliare, tanto brigò che per mezzo del padre Bailly, suo confessore, ottenne il 25 aprile un'udienza, nella quale espose le sue incertezze. [183]

                Il detto Padre propendeva per le Piccole Suore; ma queste a lei non piacevano o, secondo la sua    espressione, le parevano insignificanti. C'erano le Figlie della Carità; ma per loro provava un senso di ripulsione, perchè gliele avevano dipinte come disciplinate alla militare, senza vita di famiglia, con superiore poco accessibili. Don Bosco, uditi questi suoi riflessi, stette un momentino a pensare e poi senza la menoma esitazione le disse: - Si faccia suora di S. Vincenzo. - Alcuni anni dopo la giovane ne seguì il consiglio e col nome di suor Elisabetta è, mentre scriviamo, da quarantacinque anni religiosa di quell'Istituto.

                Incoraggiata da sì buona accoglienza, volle il 20 maggio fare un nuovo tentativo. Aveva essa un'amica e coetanea sordomuta dalla nascita. Non avrebbe potuto Don Bosco guarirla? Con parecchie compagne ritornò dalle Assunzioniste nel giorno della seconda visita, menando seco la disgraziata, e tutte in gruppo riuscirono ad avvicinale il Santo ed a presentargliela, supplicandolo di ottenerle udito e favella. Don Bosco le ascoltò benevolmente, riflettè un tantino e poi suggerì la solita novella a Maria Ausiliatrice. Orbene, quando la novella volgeva al termine, ecco che la sordomuta un giorno prese a ripetere i suoni, che intorno a lei si producevano; dunque udiva. E non andò molto, che, aiutata dalle amiche, incominciò anche a parlate.

                Suor Elisabetta, interrogata sull'impressione che  la vista di Don Bosco faceva, rispose: - Impressione di bontà paterna. Era di tutti e per tutti, sebbene fosse già di salute malferma e mal si reggesse in piedi, Quando gli si faceva una domanda, premetteva sempre una pausa alla risposta, come se attingesse dall'alto il consiglio che si attendeva dalle sue labbra.

                Il Santo, come si disse, non aveva voluto gettare nello sconforto la comunità; ma ad un signore amico delle Suore e presente quel giorno a Grenelle, che, trovatosi un momento a quattr'occhi con lui, l'aveva pregato di domandare a Dio [184] la guarigione della Madre, egli, chiusi gli occhi e facendo col capo un gesto negativo, aveva risposto chiaramente: No. L'opera è di Dio e sussisterà senza di essa. - La madre Maria di Gesù volò al cielo il 18 settembre. Era nata il 7 novembre 1824; le mancava dunque poco più d'un mese e mezzo a compiere i cinquantanove anni.

Ripigliamo il filo secondo l'ordine cronologico. Il giovedì 26 aprile Don Bosco celebrò nell'orfanotrofio della Presentazione, fondato dal canonico Pelgé a Passy, sobborgo di Parigi, in via Nicolò. Lo assistette all'altare il fondatore stesso della casa. Nella cappellina tutta candore e oro uno sciame di bimbe dai tre ai quattro anni occupava lo spazio più vicino al celebrante; venivano dopo la grandicelle, che fecero udire canti angelici. Molte le comunioni. Finite le numerose udienze, Don Bosco trovò il cortile ancora affollato da una moltitudine di gente accorsa per aspettare il suo passaggio, presentargli ammalati e chiedergli la benedizione.

                Il 27 disse la Messa dalle dame della Retraite o del Cenacolo, in via La Chaise. Alle sette cominciò ad affluire gente per assistervi; essendo tutte persone di riguardo, segnavano prima di entrare il proprio nome sopra un registro. Nel coro prese posto la famiglia De Cessac, secondo la cui intenzione Don Bosco avrebbe offerto il divin Sacrificio. Riempita la cappella, i sopravvenienti si rassegnarono a starsene nel vasto parlatorio: nell'una o nell'altro circa quattrocento signori e signore poterono trovar luogo. Fra i presenti vi erano ammalati d'ogni fatta. Il Santo arrivò alle otto e mezzo e poco dopo salì all'altare. Letto il Vangelo, parlò della sua Opera. Distribuì a molti la comunione fra il massimo ordine e raccoglimento, nonostante la gran ressa. Il padre predicatore degli esercizi[147], visto tutto quel mondo e giudicando impossibile fare la sua predica, pensò meglio di andarsene. Finita la Messa, si rinnovò lo spettacolo, evangelico delle [185] moltitudini imploranti, che stringevano da ogni parte il Redentore: chi voleva toccarne le vesti, che chiedergli una benedizione, chi ottenere una grazia. Molti riuscirono ad avvicinarlo, ma tanti no. Le predilezioni di Don Bosco sembrava che fossero per gl'infermi e per i giovani, i quali benediceva con atteggiamento particolare. Verso mezzogiorno i sacerdoti che non si staccarono mai dal suo fianco, lo liberarono dalla calca e lo condussero dalle religiose, radunate per aspettarlo. Là si sedette in mezzo a loro alcuni minuti: ne aveva veramente bisogno! Detta qualche buona parola, le benedisse e prima di uscire diede a ciascuna la solita medaglia. Dalla soglia della porta invocò una volta ancora sulla comunità la benedizione di Maria Santissima. La cronaca della casa nota: “Ci lasciò verso l'una, edificatissime della sua umiltà, della sua calma e della sua pace in mezzo alla folla che dappertutto lo circonda e lo segue. Si sente che egli vive in un mondo superiore e che quaggiù, s'irradia da lui soltanto la sua carità”.

                Nello stesso giorno visitò le Dame del Calvario, che tenevano in via De Lourmel un ricovero per affetti da lupus, la malattia che ulcera irrimediabilmente e orribilmente deturpa il viso umano. Quelle dame sono vedove, unite in associazione libera e laicale, senza voti e senza abito particolare, viventi in seno alle loro famiglie. Da tutti i punti di Parigi le aggregate accorrevano alla casa di salute per prestare ai malati i loro caritatevoli servizi. Con la sua visita Don Bosco volle rendere onore alla virtù delle generose infermiere.

                Nel giorno 28 vi fu Messa e conferenza alla Madonna delle Vittorie; ma ne parleremo nel capo seguente.

                Una chiesa di Parigi aveva per Don Bosco un'attrattiva più forte di altre: la chiesa di S. Tommaso da Villanova. Pregando fervorosamente dinanzi a un'immagine della Madonna ivi oggi venerata, il giovane studente Francesco di Sales erasi come per incanto sentito libero dall'incubo della tentazione, che lo spingeva a disperare della sua eterna salvezza[148]. [186]

                Una prova che lo condusse là il ricordo del nostr o santo Patrono, è nelle due righe fatte da lui seguire al propr io nome sul registro delle Messe: Abbé Jean Bosco, supérieur de la Pieuse Société SalAtenne, recommande à SI François de Sales toutes ses aeuvres, dont St Francois est le patron.

                Egli celebrò in quella chiesa la domenica 29 aprile. Molto prima delle otto non c'era più posto nel tempio. Dori Bosco rivolse anche alcune parole ai fedeli sui meriti della carità e sul fine delle proprie opere. Quando veniva via, due ragazzetti, cacciatisi dentro e lottato di mani e di piedi fra le gambe della gente per inoltrarsi, sgusciarono proprio dinanzi a lui e stettero là un minuto a contemplarlo sorridenti; poi a un cenno del Santo gli presero uno la destra e l'altro la sinistra, sempre guardandolo e ridendo a qualche sua paroletta, mentr'egli procedeva lento senza, punto sbarazzarsi da quelle strette infantili, ma lasciandoli padroni delle sue mani. Ascoltava intanto e rispondeva a quello che gli si diceva dai circostanti, nè i due piccolini si staccarono finchè non vennero i genitori a prenderli. La graziosa scenetta fu notata e commentata dai giornali.

                La chiesa di S. Tommaso da Villanova si trovava a breve distanza da una comunità di Suore che si denominavano pure dal Santo spagnuolo. Don Bosco andò a far loro una visita prima di partire. Vive tuttora nella comunità il ricordo di due intuizioni di coscienze. Incontrando la Maestra delle Novizie, le disse: - Non domandi di essere sostituita. - Ora quella religiosa ruminava appunto di farsi esonerare da quell'ufficio, ma non ne aveva fatto parola ad anima viva. Quando poi era dinanzi a tutte le suore adunate, domandò improvvisamente: - Ma qui manca una suora! - Difatti una stava [187] fuori, occupata intorno ai forestieri, e proprio a lei il Santo aveva qualche cosa da dire, e gliela disse, quando la vide. - Ella ha gravi pene interne; ma non se ne sgomenti, nè le prenda in cattivo senso: è una prova voluta da Dio. Era una suora di carattere gioviale e allegro, nè alcuno avrebbe mai supposto le spine che nascondeva nel segreto del suo cuore.

                Giunto sulla piazza, carrozze padronali e cittadini vi facevano tale ingombro, che non era possibile attraversarla. Una vettura lo portò a piazza S. Sulpizio; ma questa volta si diresse verso la parrocchia. Accanto a questa c'è una chiesa che ha una storia. Dedicata all'Assunzione, vien detta dei Tedeschi, perchè nei secoli decimosettimo e decimottavo vi si riunivano per le funzioni domenicali le serve assai numerose in quel quartiere nobile e provenienti in gran parte dalla Svizzera tedesca. Qui aveva pregato il Papa Pio VII nel 1804, allorchè si recò a Parigi per incoronare l'imperatore Napoleone. Ivi sul principio del medesimo secolo monsignor di Frayssinous aveva per il primo dopo la rivoluzione, aperto un corso di conferenze apologetiche sui punti fondamentali della fede cristiana, conferenze che in seguito fecero concepire il proposito di allargare il campo a siffatto insegnamento religioso, trasferendolo sul massimo pulpito parigino nella cattedrale di Notre - Dame durante la quaresima; la quale alta predicazione dura tuttora. In seguito, nella storica chiesa era sottentrata un'altra opera, che vi fioriva al tempo della visita di Don Bosco: i catechismi di perseveranza per signorine della buona società. Vi attendevano i vicini seminaristi dei corsi superiori.

                La visita era stata annunziata per le dieci e mezzo; ma Don Bosco si fece aspettare un'ora. Per occupare quel tempo l'abate Sire, che aveva la direzione dell'opera, lesse nella biografia del D'Espiney alcune cose attraenti sulla vita del Santo: la storia del Grigio, l'episodio del manicomio, il suo modo di cominciare e di sostenere le fondazioni e parecchi miracoli [188] da lui operati. Quella lettura mise nei presenti  una vera smania di vedere Don Bosco.

                Alle frequentatrici del catechismo si erano mescolate molte persone estranee, stipandosi in ogni angolo e arrampicandosi anche su per la scaletta del pulpito. Il rumore di una carrozza arrestatasi dinanzi alla porta elettrizzò la folla. Essendosi intonata proprio allora una lode, tutti all'istante ammutolirono. “I Santi si sentono da lontano, scrive una diarista che noi seguiamo[149]; Don Bosco non era ancora entrato, che già si provava la sensazione della presenza di un essere straordinario”.

                Il Direttore gli presentò le allieve, dicendogli tutta la loro contentezza di riceverlo in quella chiesa visitata già da tanti illustri personaggi e financo dal Papa Pio VII. Don Bosco rispose con poche parole e con la lentezza di chi traduce il suo pensiero in una lingua diversa dalla propria, non che, come nota la diarista, con l'accento proprio degli Italiani[150]. La sua voce quella mattina si udiva abbastanza. - Io non sono che un povero prete, disse. Sono ben contento anch'io di trovarmi in questa chiesa di S. Sulpizio, dove regna sempre la fedeltà a tutte le tradizioni della fede e pietà cristiana; son contento di sapere che anche il Papa Pio VII, di sì augusta memoria, è venuto a visitarla. Questo ricordo mi fa piacere, perchè Pio VII è il salesianissimo per eccellenza. Io desidero che voi conserviate sempre la fede che così vi anima, e che perseveriate nella fedeltà alla Chiesa cattolica. É un augurio che faccio non solo a voi, ma ai vostri parenti e amici, affinchè tutti possiate formare un cuor solo e un'anima sola, secondo la parola del Signore. Vi auguro specialmente [189] di conservare sempre la vera ricchezza, l'unica ricchezza, la ricchezza delle ricchezze[151], la sola ricchezza desiderabile e da doversi acquistare e conservare con tutti i mezzi possibili, il timor di Dio, senza del quale non si gode l'amicizia di Dio, ma con il quale voi godrete la sua    amicizia qui nel tempo per continuare poi a goderla nell'eternità. Ora, se avete in tasca medaglie, corone, crocifissi o altri oggetti di divozione, basta che li teniate in mano, perchè, in virtù di una speciale concessione pontificia, mentre io darò la benedizione, restino indulgenziati. A questa benedizione sono annessi trecento giorni d'indulgenza. - Don Bosco chiamava Pio VII salesianissimo, perchè questo Pontefice aveva introdotto nella Chiesa il culto di Maria Ausiliatrice. Dopo diede una benedizione particolare ai piccini presentatigli dalle mamme.

                La moltitudine, piena di riverenza, non si disperse, finchè egli non fu scomparso. La diarista così lo descrive: “Don Bosco ha ancora i capelli neri. É di statura ordinaria. Porta un po' curva la schiena ed ha faccia lunga e magra. Cammina lento lento, perchè le fatiche l'hanno assai indebolito; inoltre ci vede pochissimo. Come fa bene il contatto di un Santo! Dopo quella visita di Don Bosco, a me sembrava di sentirmi come trasformata”.

                A mezzodì tenne l'invito della contessa Grocheslska in via Prony. La buona signora aveva sospirato tanto quella fortuna! Fino dal 24 aprile aveva scritto al segretario: “Noi consideriamo come uno dei giorni più belli di nostra vita quello, in cui riceveremo sotto il nostro tetto un ospite così eminente come Don Bosco. Preghiamo che nulla intervenga a privarci di tanto onore; abbiamo già provveduto per avere la carne più delicata e tenera che vi sia”.

                Dobbiamo a questa principessa una notizia, da lei portata in Polonia e raccolta da persone degne di fede. Una nobilissima signorina francese viveva in grandi angustie di [190] spirito, perchè le sembrava di sentirsi chiamata allo stato religioso, ma non riusciva a distinguere chiaramente se fosse o no la voce di Dio. Volle chiedere consiglio a Don Bosco. Attendeva da più ore per essere ricevuta, quand'egli, senz'averla udita, entrando dalla sua stanza nell'anticamera, si fermò a guardarla e senza lasciarle aprir bocca le disse: No, no, lei non sarà suora. Sposerà un nobile polacco e avrà molti figli. - Infatti ne ebbe dodici.

                Della conferenza serale e della Messa del 30 seguente alla Maddalena sarà detto nel prossimo capo; ora diremo del io maggio, nel quale giorno visitò le Benedettine del Santissimo Sacramento, dette del tempio, in via Monsieur[152].

                Appena udito dell’arrivo di Don Bosco a Parigi, quelle religiose erano state prese da un desiderio ardente di vederlo; cose poi che sentivano dire di lui, ne acuivano ogni di più la brama. Come fare però a ottenere una sua visita? A Parigi esse non conoscevano nessuno, che le potesse aiutare; conoscevano però il dottore D'Espiney di Nizza e a lui ricorsero. Il dottore scrisse due volte alla contessa De Combaud; scrisse ripetutamente la Superiora a Don Bosco, a cui fece parlare anche da un Benedettino; la figlioccia del D'Espiney, che abitava a Parigi, non risparmiò tentativi per riuscire nell'intento[153]. Ma non si approdava a nulla, perchè Don De Barruel, col proposito di diminuire a Don Bosco disagi e fatiche, si opponeva risolutamente. S'arrivò così al io maggio, quando Don De Barruel dovette sospendere momentaneamente il suo servizio di anticamera, perchè colto da indisposizione, e lasciare il posto al suo aiutante volontario, un religioso della casa di Nazaret, il quale soleva essere più arrendevole. La figlioccia del Dottore, saputolo, approfittò dell'occasione e fu fortunata, poichè il sostituto le promise di condurre Don Bosco dalle Benedettine. Egli infatti eseguì tanto bene la sua parte, che Don Bosco stesso, incontrata la signorina [191] mentre entrava dai Lazzaristi per tenervi la conferenza, le disse: - Stasera, uscendo di qui, andrò a visitare un'ammalata e poi sarò dalle Benedettine.

                Trapelata la notizia, cominciò subito l'invasione della casa, sicchè a mala pena le monache poterono salvare la clausura. Aspettarono Don Bosco dalle quattro alle sette, e poi, perduta ogni speranza, andarono in refettorio per la cena, ritardata già di un'ora; ma non passò più d'un quarto che si corse ad annunziar loro il sospirato arrivo. Circostanze impreviste avevano trattenuto Don Bosco sì a lungo che erasi da lui rinunziato a quella visita, tanto più che Don De Barruel aveva ripreso il suo uffizio e per le sette si aspettava il Servo di Dio a pranzo nella nobile famiglia De Fougerais sul corso Villars. Don De Barruel dunque ordinò al cocchiere: - Corso Villars. - Ma il suo aiutante, che aveva pure accompagnato Don Bosco, memore della sua promessa, disse al cocchiere sottovoce: - Via Monsieur, numero 20. - Questo fu l'ordine eseguito. Don Bosco, persuaso che si andasse al corso Villars, si stupì allorchè, entrata la carrozza nel coltile, si vide venire incontro soltanto religiose.

                 - Dove sono? domandò.

                 - Dalle Benedettine.

                 - Dalle Benedettine?!... - Poi, come se nulla fosse, proseguì: - Me ne hanno parlato; eccomi qua.

                Don De Barruel, contrariato, disse alla Superiora: - Alle sette dev'essere dai De Fougerais. Ci conduca in fretta dove sta radunata la comunità. Egli darà la benedizione dalla porta e poi via subito. - E all'ingresso della sala, raccomandava a Don Bosco di benedirle di là e tornare indietro. Ma Don Bosco, vista la comunità riunita, gli si volse sorridendo e gli rispose: - Va bene. - E senz'altro s'andò a sedere sul seggiolone per lui preparato. Una delle Madri gli tolse dalle mani il cappello per riporlo ed egli: - Non me lo cambi, veh! - le raccomandò.

                Allora il buon Padre prese la parola e disse prima che gli [192] sembrava di essere con le suore di Maria Ausiliatrice, il cui abito somigliava al loro. Parlò quindi della divozione alla Santissima Vergine ed al Sacro Cuore. Alla fine del fervido discorsetto, durato circa un quarto d'ora, disse con un tono impressionante e facendo con la mano e col dito un gesto espressivo: - La vostra Congregazione, la vostra comunità, questa, questa comunità qui, crescerà e formerà la consolazione del Signore e la gioia degli Angeli. Questa, questa comunità qui! - Pronunziando le quali parole, puntava l'indice verso il pavimento e accentuava la frase: Cette communité ici, com'egli si esprimeva, cette maison ici. Per ben intendere tutta la forza della sua frase, bisogna sapere che pocanzi l'avevano interrogato sulle sorti di un ramo di quella famiglia benedettina trapiantato a Lourdes. Calcando su quel ripetuto ici, mostrò di non aver nulla da rispondere sull'altra comunità. La presente superiora è persuasa dell'avveramento di questa promessa o profezia; infatti ancora oggi la casa alberga più di cento religiose e da un trentennio è nel cuore di Parigi un focolare di fede per tante anime smarrite e di pietà per tante altre desiderose di condurre nell'alta società una vita divota. Alla famiglia di Lourdes non toccò egual sorte.

                La Superiora lo pregò di benedire le inferme, al che egli con bontà annuì. Durante quella benedizione il suo volto parve alle monache trasfigurato. Benedisse anche molte medaglie preparate appositamente. Una giovane professa che aveva fastidiose e dolorose enfiature alle gambe a mo' di pustole, domandò in cuor suo con fede la guarigione per i meriti di Don Bosco. La sua fiducia non fu delusa; poichè, tolte le bende che la fasciavano, tutte le pustole erano scomparse, nè mai più le ritornarono, benchè il medico affermasse che le sarebbero ogni inverno ritornate.

                Mentre stava per lasciale la comunità, una donna si precipitò entro la clausura e, gettatasi a' suoi piedi, parlava parlava; alla fine Don Bosco le disse: - Prendete, dategli [193] questa medaglia, e guarirà. - Furono le uniche parole intese dalla superiora, la quale era intenta ad altro: profittando del momento, gli aveva tagliato un pezzettino di veste; poi con disinvoltura lo pregò di dare anche a lei una medaglia, ed ei gliene diede tre.

                La Madre gli presentò quindi le alunne di un collegino tenuto dalle suore, e specialmente una nipote del dottore D'Espiney, Gabriella Noirol. Don Bosco le benedisse tutte, augurando loro che diventassero tante Sante Terese; ma con misteriosa ansietà fermò lo sguardo sulla Gabriellina. Parecchie signore notarono la cosa e pronosticarono che ciò fosse perchè la giovanetta non dovesse più vivere a lungo. Infatti morì poco tempo dopo.

                In un altro fatto vi fu del prodigio. Una giovane desiderava farsi religiosa, ma, essendo tocca nei polmoni, non osava sperare tanta grazia. Le meraviglie che si contavano di Don Bosco, la invogliarono a fare di tutto per riceverne la benedizione. Un giorno, assistendo alla sua Messa forse nella chiesa di S. Sulpizio, disperava ormai di poter ricevere dalle sue mani la santa comunione a motivo della gran folla, quando improvvisamente vide la mano di Don Bosco protendersi dalla fila dei comunicandi fino a una terza fila, in cui ella si trovava, e dare a lei le sacre specie. Ritenne quello come un segno che il Signore le avrebbe concessa sufficiente salute da poter abbracciare la vita religiosa. Infatti entrò dalle Benedettine, come oblata perchè non giudicata in grado di sottostare a tutte le austerità della regola, fu di grande aiuto alla comunità con l'accompagnamento del canto gregoriano e per sette anni, fino al 1890 quando morì, edificò le consorelle con il suo fervore e con la sua grande obbedienza[154]. [194]

                Fuori della clausura, nel cortile esterno del monastero Don Bosco si trovò di fronte una moltitudine d'infelici che gridavano pietà e lo supplicavano della guarigione per sè o per altri. Egli andando non faceva che  ripetere: - Abbiate fede!... Pregate Maria Ausiliatrice. - Ad alcuni diceva: - Voi guarirete. - Si rinnovava quasi lo spettacolo descritto negli Atti degli Apostoli sul passaggio di S. Pietro. Una delle relazioni da noi seguita reca da ultimo questa chiusa: “Non potremmo terminare la relazione di questa visita del celebre taumaturgo senza accennare a più persone che, essendogli raccomandate perchè ottenesse loro diverse grazie spirituali, come lumi, soluzioni di dubbi, liberazione da tentazioni, furono esaudite, com'ebbero a riconoscere e a verificare sacerdoti pii e degni di fede”.

                La mattina del 2 maggio fu dedicata alle religiose del Sacro Cuore di Conflans. Dai primi giorni del suo arrivo a Parigi egli stesso aveva fatto sapere che avrebbe detto volentieri la Messa in una delle loro tre case. Scelta poi quella situata al Boulevard des Invalides 31, contigua alla casa madre, il segretario pose la condizione che vi assistessero solamente le religiose, le allieve e poche divote del Sacro Cuore, nè si desse alcuna pubblicità alla sua venuta. Ma nonostante tutte le cautele un mondo di gente si addensò sul Boulevard e vi affluirono carrozze in gran numero, sicchè la cappella si riempì di persone. Egli comunicò per quaranta minuti e interrogato dopo se non si sentisse troppo stanco, rispose: - Questa casa è piena di Dio: ecco il pensiero che mi sosteneva. Tale idea gli si era affacciata alla mente, quando, angustiato dal timore che dovessero mancare le particole e aperto il tabernacolo, vi aveva trovato un'altra pisside ricolma.

                Finita la Messa, le religiose delle tre comunità, le novizie e le educande lo aspettavano ansiose di udirlo. Andò prima dalle religiose. - Padre, gli disse il segretario arcivescovile che lo accompagnava, qui c'è la casa religiosa.

                 - Dunque, rispose, non è il caso che si parli di conversione, [195] ma di santificazione... C'est ici que l'on achète... Si dice così? domandò al segretario dell'Arcivescovo.

                 - É meglio dire on acquiert.

                 - Qui si acquista il vero calore, voglio dire l'amor di Dio, e non solo per sè, ma per portarlo altrove e farne partecipi le anime. Ne abbiamo la sorgente nel Santissimo Sacramento. Propagate questa divozione, che tutte le racchiude: la divozione al Sacro Cuore di Gesù. Abbiate sempre dinanzi alla vostra mente il pensiero dell'amore di Dio nella santa Eucarestia.

Raccontato quindi l'episodio di Luigi Colle e Pio IX, continuò: - Ma voi forse vorrete sapere chi sia colui che vi parla. É un povero prete italiano che ha una famiglia ancor più numerosa della vostra. Ho bisogno che preghiate per me, perchè ai miei poveri orfanelli occorrono tre cose: una casa che li ricoveri, la necessaria istruzione e il pane. Pregate anche per i nostri Missionari che sono nella Patagonia fra i selvaggi. Éun immenso territorio coperto di tenebre, le tenebre dell'idolatria, ed è un grandissimo miracolo del Signore il convertire un popolo alla verità. Ci vogliono per questo molte preghiere, molto lavoro e molto tempo. Il tempo è di Dio, il lavoro dei Missionari, la preghiera di voi tutte. Pregate dunque che Dio tocchi i cuori e aumenti il numero dei cristiani e dei divoti di Maria. Dal canto mio pregherò e farò pregare, affinchè voi diventiate ancor più sante e ci possiamo poi ritrovare in cielo.

                 - Padre, disse il segretario arcivescovile, vi sono case del Sacro Cuore anche in America, come nel Cile e altrove.

                                - Bene, benissimo! Ne sono proprio contento. Ne avete anche nel Brasile?... Ve n'è somma necessità. Per un territorio vasto come dodici volte la Francia vi sono pochissimi preti... Oh, sì, ve n'è estrema, estrema necessità.

Ciò detto, si raccolse e fatta recitare un'Avemaria, benedisse tutte le persone della casa e le loro famiglie. Andando dalla sala, trovò una scolaretta idiota, messa là perchè la [196] benedicesse. Egli si fermò, dimostrandole molta attenzione e bontà. - Recitate ogni giorno, le disse, fino alla festa dei Santi un Pater e un'Ave e siate molto obbediente. - Indi la benedisse adagio adagio e con affetto.

                Alla porta della sala stavano raggruppate le novizie, che avevano potuto udire le sue parole. Gliene furono presentate due, una delle quali raccomandò alle sue preghiere la madre e l'altra il padre. Questi, lontano da Dio, era furente, perchè la figlia si voleva far religiosa. Don Bosco le guardò con tenerezza e promise di pregare; poi disse alla seconda che suo padre si sarebbe ravveduto e avrebbe fatto una buona morte, come avvenne alcuni anni dopo. Alla prima, sorridendo paternamente, disse che la sua povera mamma era una buona e santa anima tutta di Dio, nonostante il suo passeggiero malcontento e che non avrebbe tardato a farle una visita e sarebbe amica del convento fino alla morte. Anche queste predizioni si avverarono.

                Passò finalmente dalle educande, riunite in altra sala vicina. “Tutta la persona di Don Bosco, si legge nel diario della casa, riflette santità; nonostante lo spiccatissimo accento italiano e la voce affievolita dall'età, non abbiamo perduto sillaba di quello che ha detto”. Anzitutto manifestò la sua contentezza di vederle così numerose. - Sono sempre lieto, soggiunse, di osservare che le case del Sacro Cuore hanno dappertutto tante allieve quante ne possono contenere. Dieu en soit bèni É sempre una grande soddisfazione per me il vedere come Iddio si sia scelto tante pianticelle, delle quali si servirà un giorno per fare gran bene nel mondo. - Benchè contento di parlar loro, non intendeva di fare nè un'istruzione nè una predica, avendone esse abbastanza dalle loro maestre e dai sacerdoti di quella santa casa; credeva tuttavia che due parole sarebbero opportune come ricordo della sua visita. E ripetè un detto di S. Filippo Neri, il grande apostolo di Roma e l'amico della gioventù, com'egli lo chiamò, il detto da lui rivolto ai giovani: - Datemi un giovane che a me ceda [197] solo due dita della testa, e io ne farò un gran santo. - Commentò quindi così queste parole: - Io dirò a voi la stessa cosa, o figliuole: datemi l'obbedienza e vi farò grandi sante; poichè le due dita di testa indicavano l'obbedienza. Quando uno rinunzia alla propria volontà, si possono fare di lui grandi cose. A voi non dico dunque di predicare molto, di pregare molto e di mangiar poco, ma dirò soltanto che prestiate obbedienza alla vostra madre superiora. Sono certo che in questa casa molte figlie si sono già santificate per mezzo dell'obbedienza e prego il Signore che conceda alle vostre madri la gioia di vederne ancora molte e molte altre santificarsi nello stesso modo. - Prima di allontanarsi, diede a ciascuna una medaglia di Maria Ausiliatrice.

                Lasciò Confians alle undici e mezzo, preso d'assalto fino all'ultimo istante da persone che gli volevano dire o domandare qualche cosa. Dalla carrozza, volgendosi alle superiore, disse loro: - Quanto vi ringrazio di aver avuto tanta pazienza e tanta bontà!

                Le impressioni sono così descritte nel diario della casa madre[155]: “Quello che ci ha maggiormente colpite in Don Bosco è la sua semplicità. Sembra non accorgersi dell'interessamento, che suscita intorno a sè, poichè si mostra sempre calmo, facendo ogni cosa adagio, come se non avesse altra occupazione. Ha un aspetto semplicissimo senza nulla che possa destare entusiasmo, se si eccettua la sua santità [ ….. ]. Da tutta la sua persona spira umiltà”.

                Il 4 maggio andò a dir Messa dalle Dame del Rifugio, la cui casa veniva detta del Buon Pastore, situata in via Denfert - Rocheieau; ne avevano la direzione le suore di S. Tommaso da Villanova. Era una provvida istituzione, avente per iscopo di aprire un asilo a giovinette che versassero in pericoli morali. La De Combaud ci teneva che vi si recasse, perchè, essendo molto amica della casa, desiderava da lui la guarigione [198] della superiora, Madre Courtel, gravemente inferma per mal di cuore. Il Santo invece che avrebbe preferito farne a meno, rispondeva alle sue insistenze: - Non mi ci costringa! Tanto, non avrei buone nuove da dare. - Finalmente si arrese, ma a condizione che, dovendo celebrare in una chiesa pubblica, vi fosse gente per una colletta. Vi s'invitarono le dame patronesse, che presero posto davanti alla balaustra. Era il primo venerdì del mese e tutte fecero la comunione. Don Rua assisteva il Servo di Dio.

                La Superiora per secondare l'affetto delle sue figlie si lasciò trasportare nel refettorio della comunità, diviso dalla chiesa soltanto per una parete, sicchè, tenendo la porta aperta, potè ascoltare la Messa. Verso quella porta, attraverso la chiesa, fu condotto Don Bosco dopo il ringraziamento. Giunto sulla soglia e viste tutte le suore riunite intorno alla Madre, disse: Requiescat in pace. Al che con accento di edificante rassegnazione l'inferma rispose: Fiat voluntas tua. Tutte compresero quel latino e scoppiarono in singhiozzi.

                Fatta una leggera refezione, il Santo passò dalle educande, che trovò pure in lacrime, perchè la notizia vi era già arrivata. Si assise sopra un seggiolone rialzato da predella e disse per prima cosa: - Figliuole, non c'è da piangere. Quando la corona è pronta, non bisogna ritenere più sulla terra i santi. - Indi proseguì: - Il Signore vuol bene a questa casa. Vi si fanno buone comunioni; buono è anche lo spirito. Ora l'importante è che non le si cambi destinazione, - Benedettele e sceso nel cortile, gli sfilarono davanti una a una le signore, ricevendo da lui una medaglia di Maria Ausiliatrice e rimettendo a Don Rua mazzettini di biglietti.

La suora che dava recentemente queste notizie, narrò anche di una grazia caro ma singolare che credette d'aver ricevuta in quel giorno. Era allora convittrice e aveva quattordici anni. Sua madre la voleva ritirare, ma essa non si sapeva risolvere a venir via, e pensando che la probabile visita di Don Bosco avrebbe risolta la questione, pregò di [199] pazientare un otto giorni. Frattanto si raccomandava al Signore, che le desse qualche segno per conoscere i suoi voleri. Viene Don Bosco, la giovinetta riceve dalle sue mani la santa comunione e nota che egli nel porgerle la particola le fa un sorriso. - Sarà un sorriso di bontà che fa a tutte, pensò fra sè e sè. Poi quando nella sala, avviandosi verso la predella, passava in mezzo alle due file delle allieve schierate, . Don Bosco, arrivatole vicino, sostò un attimo e le fece di nuovo, e a lei sola, un sorriso con intenzione. Le compagne, un tantino ingelosite, volevano sapere perchè a lei sola avesse sorriso così. La fanciulla diceva d'ignorarlo; viceversa ravvisò in quell'atto la risposta desiderata, che cioè non dovesse lasciare quel luogo. Difatti non se ne allontanò più, ma si fece ivi stesso religiosa e vive tuttodì.

                Un caso strano occorse a Don Bosco alcuni istanti dopo. Andato alla carrozza, trovò che non era più la, medesima di prima e che presso la carrozza stavano alcuni signori, i quali molto cortesi, ma non meno risoluti, ve lo fecero salire e lo condussero nella casa d'un di loro. Qui fra un mondo di cortesie si sforzavano di strappargli predizioni su prossimi avvenimenti pubblici; egli però si tenne fermo a replicare ch'era venuto a Parigi per fondare un'opera, non per fare della politica. Coloro lasciavano intendere di essere monarchici; ma non è improbabile che fosse un giuoco della polizia per iscoprire, se avesse recondite intenzioni.

                Due lettere sfuggite alla distruzione ci tramandano il ricordo della visita a quelle suore. La prima fu scritta il dì appresso da una signora, per rinnovargli la preghiera di recarsi a benedire un suo infermo; ne l'aveva già supplicato con un biglietto consegnatogli al Rifugio dopo la Messa[156]. La seconda è più importante. Una suora, dandogli in dicembre la notizia che Madre Courtel è molta, gli dice essersi avverata una predizione di lui a proprio riguardo. Il santo le aveva raccomandato [200] di accettare volentieri le spine. Quali spine? si era allora domandato la religiosa, che viveva nella massima tranquillità di spirito. Ma da otto mesi gemeva sotto il peso di una croce, la quale non le lasciava alcun dubbio che Don Bosco nel parlarle a quel modo avesse avuto lumi speciali dall'alto[157].

                Il 5 partì per Lille, donde fu di ritorno il 16: di questo viaggio narreremo nel capo ottavo. Quelle due settimane di assenza non intiepidirono punto il fervore dei Parigini verso la sua persona.

                La promessa di una seconda visita a Auteuil gli era stata suggerita da un sentimento di squisita cortesia. L'altra volta, accortosi che l'abate Roussel rimaneva un po' scontento per non avergli potuto fare nel suo istituto un'accoglienza solenne a motivo dell'improvvisa venuta, pensò levarlo di pena, significandogli spontaneamente essere suo desiderio di rivederlo là nella sua casa. Vi tornò difatti il 20 maggio. Era un bel pomeriggio domenicale. Molti amici dell'opera ve l'attendevano per fargli onore e non pochi anche per parlargli. Finite le udienze, fu condotto in cappella, dove trovò riuniti i giovani e tenne loro un sermoncino. “Con un accento italiano abbastanza spiccato, scriveva la France illustrée del 26 maggio, ma che non toglieva fascino alla sua parola”, ragionò del timor di Dio, ripetendo da ultimo l'episodio del conte Colle e di suo figlio. I giovani lo ascoltarono con raccoglimento e attenzione. Dopo l'abate Roussel pregò il “buon padre”, ed egli lo fece “con evangelica premura e semplicità”, di recitare insieme con essi cinque Pater e Ave, per ottener loro i tesori preziosi della divina grazia e per attirare sui benefattori e maestri gli aiuti speciali, di cui abbisognavano per continuare con frutto la loro caritatevole missione. Fuori di chiesa tutti lo circondarono, perchè li benedicesse.

                La generosità dell'abate si vide nel suo mostrarsi oltremodo lieto di potergli rimettere gran numero di lettere e [201] una discreta quantità di offerte a lui pervenute con preghiera di consegnarle a Don Bosco; anzi i ricoverati stessi, e ciò non fu senza ispirazione altamente educativa del Direttore, raggranellarono fra loro una sommetta per pagargli, dicevano, la vettura. Ma spiccò ancor meglio per un altro verso la magnanimità dell'abate Roussel. Taluni de' suoi amici gli avevano manifestato la loro inquietudine in vedere che tante oblazioni venissero stornate a danno della povera gioventù francese, chiedendogli se la cosa non preoccupasse anche lui. “Niente affatto, rispose egli a tutti nel suo giornale. Dio che dà l'alimento a tutti gli uccelli del mondo, non cesserà di stendere la sua mano sulla nostra casa e noi davvero saremmo ben ingrati, se dubitassimo della sua protezione e del suo aiuto”. Si diede financo il caso di una grand'mère anonima, buona donna del resto e generosa, ma eccessivamente impressionabile, che sfogò con l'abate per lettera il proprio malumore a quel proposito unendo per lui un biglietto da cento. Poichè ignorava chi fosse la scrivente, il Roussel così le rispose dalle colonne della France illustrée: “Noi abbiamo il cuore tranquillo e siamo certi che Don Bosco, venendo nella nostra casa, vi ha portato soltanto una benedizione di più”. Riprodotta quindi la lettera della grand' mère[158], chiudeva l'articolo citando la massima di S. Vincenzo de' Paoli che, chi ha bisogno per sè, cominci a dare agli altri.

                Due lettere ci tramandano l'eco di una visita fatta la mattina del 21 maggio all'asilo Matilde per le Incurabili, sul corso Roul a Neuilly[159]. Nella prima una signora Giraldon scriveva a Don Bosco: “Ieri nella Casa delle Incurabili ho avuto l'onore di richiamare per un istante la sua attenzione sul mio figlio. Ella me l'ha benedetto, anzi ha voluto fermarsi [202] e posargli le mani sulla testa. Oh, la sua benedizione lo accompagni per tutta la vita e lo preservi da ogni male!”. Più commovente ancora è la seconda, scrittagli da una povera ricoverata, Maria Eugenia Lair, che gli diceva: “Il suo tempo, lo so, è tutto consacrato a Dio e alle anime; quindi io procurerò di non abusarne, spiegando in poche parole lo scopo di questa mia. Da trent'anni vivo in questa casa delle giovani incurabili, dov'ella ha avuto la bontà di venire lunedì scorso a offrire il santo sacrifizio e a dirci alcune parole; nel nostro stato di debolezza e d'infermità fu questa per noi tutte una grande consolazione. Ne abbiamo già ringraziato Dio e la Madonna Addolorata, nostra cara Madre celeste, ed ora ne ringraziamo anche Lei, reverendo Padre”.

                Ma anche di tre fatti notevoli ci è stato comunicato il ricordo da cinque buone donne parigine, ricoverate da giovanette in quell'albergo del dolore e poi ritornate in salute: sono una mezza guarigione, un'intuizione di coscienza e un salutare diniego.

                Celebrata la Messa nella cappella strapiena di gente, Don Bosco fece il giro di una corsia, in cui adagiate su poltrone e allineate, stavano le inferme più gravi, impotenti a muoversi. Una di esse, tale Berta Marnot, versava in pessime condizioni, travagliata fra l'altro da vomiti continui per effetto di un'ulcere allo stomaco, sicchè la meschina non si poteva comunicare. Don Bosco, passandole davanti, le disse parole di conforto e le promise di fare per lei speciali preghiere. Ebbene, da quest'istante i conati di vomito cessarono, nè mai più tornarono a darle molestia. Rimase inchiodata è vero, sul suo giaciglio, perchè un male alle gambe la condannava all'immobilità; ma almeno potè godere un po' di quiete e ricevere sovente, finchè visse, la santa Eucarestia.

                Nel reparto comune delle ammalate, quando il Servo di Dio lo percorse, ne mancava una, che erasi sottratta a bella posta, e n'aveva ben donde. Priva di padre e di madre, non si sapeva neppure che nome avesse, sicchè aveva dovuto imporgliene [203] uno la superiora, chiamandola Giovanna Rayon. L'amputazione d'una gamba la obbligava a camminare con le grucce; il che tuttavia non le impediva di condurre una vita moralmente deplorevole; poichè badava a divertirsi frequentando nei giorni di uscita cattive compagnie. Ora avvenne che il Santo, scendendo la gradinata che dal cortile interno metteva sulla pubblica via, s'imbattesse proprio in lei. Di botto si fermò, la fissò in volto e le disse a bruciapelo: - Voi siete molto ammalata, molto ammalata, molto ammalata. - Sembra che l'infelice sia stata sorda alla voce della grazia, che in quel momento batteva alla porta del suo cuore. Uscita dall'asilo, chiuse miseramente i suoi giorni all'ospedale.

                Una giovinetta di quattordici anni, per nome Luigina Philippe, aveva tutt'e due le gambe paralizzate. Mentre il Santo le passava davanti, fece uno sforzo straordinario per sollevarsi e gli disse: - Oh, se volesse guarirmi!

                 - No, figlia mia, no. É meglio che stiate qui. Il Signore vuole che stiate qui. Ci state tanto bene!

                La citata religiosa del Santissimo Redentore, che allora frequentava la casa e che ci fece conoscere quell'incontro, interrogata come là si spiegasse il rifiuto di Don Bosco, rispose: - Noi tutte credemmo che egli non volle fare il miracolo, perchè la fanciulla era troppo avvenente e avrebbe per questo potuto correre gravi pericoli vivendo in mezzo al mondo. Così ci dicevamo fra noi.

                Per la venuta di Don Bosco erano state preparate là entro alquante giovani inferme alla prima comunione; dopo la quale a ognuna di loro le dame patronesse distribuirono un ritratto del Santo, quello che lo presenta inginocchiato ai piedi della Vergine Ausiliatrice. Le cinque nostre informatrici erano del numero.

                La sera dello stesso giorno fece una visita che levò a - rumore tutto un quartiere. In via Sèvres teneva la sua bottega un umile libraio per nome Josse, noto già da parecchi anni a [204] Don Bosco, che l'aveva incontrato a Cannes. L'Univers del 5 giugno accenna a grazie particolari e specialmente a una guarigione, che nel cuore dei coniugi Josse aveva accesa una fiamma di riconoscenza inestinguibile. La questua per la conferenza di S. Sulpizio, di cui diremo, era stata organizzata dalla signora. Il Santo, impedito allora di ringraziare, come avrebbe voluto, le brave collettrici, andò a compiere presso di lei quell'atto di bontà. La riunione era fissata per le due e doveva essere intima; invece, avutosi sentore della cosa, alle dodici cominciò l'assedio della libreria, sicchè fu forza serrare la bottega. Nella via si venne agglomerando tanta gente, che la circolazione vi si fece impossibile. La folla inondò il cortile, gli ambienti aperti, le scale, tutti gli angoli accessibili. Sonarono le tre, le quattro, le cinque, e Don Bosco non compariva; ma la gente non si moveva. Sopraggiunta l'ora, nella quale gli operai smettevano il lavoro, vi si riversarono anch'essi da più par ti a ingrossare la piena.

                Dopo le sei ecco la vettura che manovrava come poteva per rompere la calca. Sull'entrata del cortile si propone a Don Bosco che per mandare in pace tanta moltitudine sarebbe stato opportuno rivolgerle alcune parole e darle la benedizione. Egli dal montatoio della carrozza arringò brevemente i cinque o seicento che occupavano il recinto. Lo ascoltarono in perfetto silenzio e con sentimento di pietà. Gli uomini stavano a capo scoperto; poi alla benedizione uomini e donne piegarono i ginocchi e ripetutamente si segnarono. Il succitato giornale commentava: “Si sa quanta impressione facciano simili prostrazioni di tutto un popolo dinanzi a fragili e in apparenza meschini rappresentanti della potenza e misericordia divina. Nessuno di coloro che furono testimoni della benedizione di Don Bosco alla folla addensata nel cortile del numero 31 in via Sèvres, dimenticherà mai più tale spettacolo. Tutta quella massa, chi in abito da lavoro e chi in ricchi abbigliamenti, uomini, ragazzi, grandi dame, operai, operaie formavano l'insieme d'un popolo [205] cristiano, che faceva un atto di fede in Dio e di rispetto e venerazione alla santità”.

                Mentr'egli metteva piede in casa, una signora Bonté, amica della famiglia, si fece prontamente innanzi, chiedendogli una benedizione per due figli presenti e per altri dimoranti in collegio. Don Bosco disse che li benediceva tutti insieme con A loro padre. Indi posò la mano sul capo del più piccolo, soggiungendo: - Questo è per il Signore. - Desiderosa com'era che alcuno dei figli si facesse prete, la donna interpretò in quel senso le parole di Don Bosco e: - Anche tutti, padre mio, rispose, se Dio vuole. - Ma Don Bosco, rivolgendo a lei uno sguardo di tanta dolcezza, che dopo cinquant'anni le pare ancora di vederlo: - No, ripigliò, basta uno. - Passarono pochi mesi e quel giovanetto pieno di vita e di salute ammalò per un accidente improvviso e dopo otto giorni di malattia morì. Si comprese allora che volessero significare e la frase misteriosa e quello sguardo di tanta commiserazione.

                La benedizione generale impartita da Don Bosco prima di entrare, non era valsa a diradare la folla, che, com'egli fu dentro, rimase là ad attenderlo. Quivi, non essendoci tempo di parlare con ognuno, ascoltò con grande calma le cose che gli si dissero a gara dagli uni e dagli altri, rispondendo poi in comune e dicendo che portava seco tutte le loro intenzioni: si unissero anch'essi di cuore alle preghiere ch'egli avrebbe innalzate a Maria Ausiliatrice. Benedetti i convenuti e sceso per tornare alla vettura, trovò che l'assembramento non era affatto diminuito. Vederlo e precipitarsi verso di lui fu un punto solo. Chi gli afferrava le mani per baciarle, chi gli faceva toccare oggetti di divozione. Se si volle liberarlo e lasciarlo partire, bisognò che un signore alto, vigoroso e risoluto lo precedesse sgombrandogli il passo, mentre due altri volenterosi lo proteggevano ai lati e un quarto gli faceva argine alle spalle. Montato che fu in vettura, questa non poteva procedere senza pericolo di arrotare la gente; onde alcuni [206] operai la fiancheggiarono, spingendola avanti con cautela. Fatto così un po' di strada, prima una, poi cento voci risonarono: - Don Bosco, la santa benedizione! - Don Bosco fece fermare; poi, commosso fino alle lacrime, si alzò da sedere e: - Sì, sì, rispose, benedico voi e benedico la Francia. - Un prorompere di evviva con alzar di braccia e agitare di fazzoletti, di berretti, di cappelli salutò le sue parole e fu il segnale della fine.

                Quattro visite conosciamo del 22 maggio, e con sufficienti notizie. Disse la Messa nel monastero des Oiseaux. Portavano questa poetica denominazione la comunità e l'educandato, che la Congregazione di Notre - Dame, fondata da San Pietro Fourier, aveva a Parigi nell'angolo che via Sèvres fa con il boulevard degli Invalidi. La notizia, portata in casa la sera antecedente, mise in gran festa religiose e allieve, anelanti di vedere un santo. Si comprende bene come la cosa non potesse rimanere nascosta; quindi una calca di gente ammassatasi all'ingresso del cortile d'onore tentò d'irrompere dietro la carrozza, sicchè con gran fatica si riuscì a chiudere i battenti del portone. Don Bosco, ricusato in bel modo di riposarsi nel parlatorio, entrò subito nella sacrestia accompagnato dalla Superiora, alla quale domandò quali intenzioni desiderava che fossero da lui presentate a Dio nella celebrazione della santa Messa.

                La parte della chiesa destinata al pubblico non aveva più un posto libero, mentre fuori numerose carrozze padronali ingombravano per lungo tratto la via. Era presente anche il padre Labrosse, provinciale dei Gesuiti. Vi furono molte comunioni. Dopo la Messa il Servo di Dio, avanzatosi verso le educande, fece loro una paterna esortazione, animandole a vivere nel timor di Dio, a evitare tutto quello che potesse dispiacergli e specialmente ad amarlo. - Amate Dio, disse, nella preghiera, nelle cose difficili e nel ricevere i sacramenti. - Presa quindi una tazza di caffè e latte, andò a dire una parola anche alle alunne esterne, che erano un buon [207] centinaio. - Voi, raccomandò loro, non dovete conoscere se non due strade, la strada della scuola e la strada della casa paterna.

                Dappertutto gli tenevano dietro molte ragguardevoli persone, sicchè la Superiora che avrebbe voluto parlargli un po' confidenzialmente, non potè farlo, essendovi sempre chi veniva a interrompere. Un'allieva zoppettina, fattasi coraggio, gli andò a domandare che le raddrizzasse un piede, storto fin dall'infanzia; ma il Santo la esortò ad amare Iddio sopra tutte le cose. Aveva dato benedizioni in ogni parte, fuorchè nell'infermeria, dove l'ora tarda non gli permise di salire. - Benedico le inferme, - disse alla Superiora avviandosi verso l'uscita. La buona Madre gli accennò a una sua intenzione che le stava sommamente a cuore. Sul punto di montare in carrozza egli l'assicurò promettendole che avrebbe pregato per quella e per tutte le altre sue intenzioni, ma lo disse in maniera così viva e cordiale, che la religiosa ne tornò raggiante di gioia.

                Nella cronaca della casa si legge: “La sua bontà straordinaria e la sua semplicità, vero contrassegno della santità, produssero in noi grandissima impressione. Egli sembrava indifferente alle più calorose dimostrazioni di venerazione”. Un'ex - allieva ricorda tuttora che le educande, radunate nella sala di ricevimento, ascoltarono dopo la Messa alcune sue parole e che poi tutte, comprese di ammirazione per la santità di lui, cercavano di avvicinarglisi per fargli toccare oggetti divoti[160]. Un'altra non può dimenticare la celestiale espressione, con cui pronunziava le due parole Bon Dieu. “Del resto, soggiunge, tutta la sua persona era una predica per la semplicità e l'umiltà, che ne traspariva. Io era allora giovanissima, eppure non ho scordato più quella sua impronta di santità”[161].

                Dal conservatorio monastico passò al nobile collegio Stanislas [208] dei Marianisti. Tutto il personale dirigente si trovò a riceverlo. L'ordinamento generale aveva intonazione militare, tanto che una sezione, degli allievi gli presentò le armi; e formò intorno a lui un picchetto d'onore. Vi s'impartiva però una soda istruzione religiosa; nella cappella del collegio Stanislas aveva inaugurato il Lacordaire quelle conferenze, che portò di lì a poco sul pulpito di Notre - Dame, elevando il tono alla nota predicazione quadragesimale, in cui oratori di prim'ordine svolsero e svolgono magistralmente i temi più ardui ed elevati della dottrina cattolica. Don Bosco parlò come si conveniva a gioventù di tal fatta, associando armonicamente religione e patria. Benedetta infine l'adunanza, espresse la sua ammirazione per il contegno, l'ordine, la disciplina e la bonne renommée del magnifico istituto. Come ebbe finito di parlare, due allievi gli presentarono il frutto di una colletta dei convittori per le sue opere[162].

                Uscito di là, andò a visitare il convitto tenuto dalle religiose della Madonna di Sion, fondate dal celebre israelita convertito Alfonso Ratisbonne; ma non c'è notizia nè di cose fatte nè di cose dette.

                La quarta visita si può quasi considerare come storica. Ricorreva nel 1883 il cinquantenario della Società di S. Vincenzo de' Paoli, per la cui diffusione Don Bosco erasi adoperato molto a Torino e in altre città d'Italia. Orbene, il Consiglio Centrale residente a Parigi, fosse o no a conoscenza di questo suo zelo, avrebbe gradito una sua visita. Don Bosco, avvertitone, vi andò la sera del 22 maggio, quando i membri stavano adunati in ordinaria seduta. Vu accolto con tutti gli onori e a invito del presidente pronunziò un breve discorso. Vecchio socio delle Conferenze, mise in rilievo i vantaggi [209] che derivano alle opere di beneficenza dalla mutua collaborazione fra la Società Vincenziana e il clero parrocchiale. Disse quindi delle proprie fondazioni, sorte dal nulla e salite a grande floridezza. Comunicò essere scopo della sua venuta a Parigi preparare il terreno per l'apertura di una casa a pro della gioventù povera e abbandonata. Tratteggiò da ultimo il suo metodo educativo, mirante a guadagnare il cuore dei giovani e a ottenere mediante l'affetto da essi portato ai loro maestri, che stiano buoni e facciano il proprio dovere. Il Consiglio, resegli sentite grazie, lo pregò di accettare l'offerta di mille franchi. Don Bosco ringraziò a sua volta e facendo uso di una facoltà personale concessagli dal Santo Padre, diede ai presenti la papale benedizione, estensibile ai loro confratelli, alle loro famiglie e alle loro opere. In onor suo la seduta fu chiusa; dopo di che egli passò nell'ufficio presidenziale per ricevere i soci, che desideravano parlargli a parte[163].

                Appressandosi il giorno della partenza, urgeva dare esecuzione a un impegno preso già da un mese. Ricorderanno i lettori come Don Bosco, ricevuto in dono un prezioso anello, ideasse una lotteria. La si fece la sera del 23 nel palazzo del signor Faucher, fratello della De Combaud. Fu un convegno dei più aristocratici, al quale parteciparono molte nobili gentildonne parigine. La famiglia Faucher e la Contessa facevano gli onori di casa. Don Bosco vi entrò umile e tranquillo, salutato con signorile cordialità dall'eletta adunanza. Egli stesso fu pregato di estrarre il numero vincitore. La sorte favorì una ricca dama spagnuola, che aveva fatto acquisto di dugento biglietti e che graziosamente rimise il gioiello in mano a Don Bosco. Prima di allontanarsi dalla brillante riunione, egli disse che presto sarebbe ripartito per Torino, dove le esigenze delle sue opere imperiosamente lo chiamavano; ma che lasciava il cuore nella grande capitale francese,  [210] in cui tante prove gli si erano date di fede, di pietà cristiana e di sacrifizio. Ringraziati con ogni gentilezza i suoi ospiti, benedisse i presenti, che dopo gli si misero attorno, parlandogli con tutta familiarità, mentr'egli si avviava lentamente all'uscita. Questo incontro gli tornò opportunissimo per prendere decoroso commiato da quella nobiltà parigina, che l'aveva colmato di riguardi e di benefizi.

                Un invito, a cui non poteva resistere, venne a Don Bosco da Versailles per il tramite dei conti De Masin, oriundi dai Masino piemontesi: i padri Eudisti lo volevano nel loro collegio il 24, festa del Corpus Domini, a distribuire le prime comunioni. Un contrattempo, la perdita del treno, gl'impedì purtroppo di arrivare per la Messa della comunità; celebrò invece quella del ringraziamento, come si usa in Francia[164]. I più cospicui personaggi della città convennero ivi, bramosi di vederlo. Spiccava fra gli altri la veneranda figura del grande apologista cattolico Augusto Nicolas, il quale edificò tutti, ponendosi in ginocchio davanti al Santo. Era poi bastata la notizia della sua venuta, perchè da Versailles gli piovessero a Parigi lettere di persone, che lo pregavano di portarsi a benedire infermi. Così il conte de Nicolay, fattagli la storia dei malanni che affliggevano i suoi cari, ne implorava il benefico intervento; ma, passando a parlare di sè, usava queste sante espressioni: “Mi raccomando alle sue speciali preghiere, bisognandomi grandemente che Dio mi doni la sua grazia e i suoi lumi a guidare il piccolo gregge, di cui mi ha affidata la custodia, per le vie della salvezza, e che mi faccia progredire nel distacco da me stesso, nell'amore suo e nella carità verso il prossimo”. La contessa De la Rédoyère avrebbe voluto, che nel ritornare a Parigi si fermasse alla stazione intermedia di St - Cloud per benedirle una figlia ammalata; ma Don Bosco le fece rispondere che gli spiaceva di non poterla soddisfare nel suo desiderio. Una vedova Levasseur, [211] venuta apposta da Lisieux, ascoltò la sua Messa, gli offerse mille franchi e gli chiese la guarigione da un suo mal d'occhi; n'ebbe parole di speranza.

                I De Masin per mezzo di amici ottennero che Don Bosco accettasse di fare il dèjeuner presso i loro. Vi era anche il vescovo monsignor Goux. Durante la refezione si lasciava con amabile semplicità interrogate da chiunque volesse. Gli si domandò, per esempio, che cosa vi fosse di vero su quanto si raccontava del famoso cane, ed, egli con la massima naturalezza narrò i fatti, attribuendoli alla bontà di Maria Ausiliatrice. Pregato di benedire una bambina da più anni immobilizzata per una malattia al midollo spinale, la benedisse e raccomandò di fare una novena a Maria Ausiliatrice. La fanciulla poco dopo potè camminare; ma l'anno seguente il crup le tolse la vita, senza che per la sua morte nella famiglia diminuisse la venerazione verso il Santo, come lo chiamavano. - La benedizione, dicevano essi, ha servito ad aprirle le porte del cielo.

                Levatosi da mensa, entrò in una sala per ricevere le persone affollate alla porta di casa. Fu uno sfilare interminabile di sani e d'infermi, parte di Versailles, parte venuti da fuori.

                Una famiglia amica di Don Bosco e delle Agostiniane ospitaliere di Versailles fece sì che il Santo visitasse la loro casa di S. Mattino. Vi giunse aspettatissimo non solo dalle religiose, dalle signore con esse dimoranti e dalle loro inferme, ma anche da una moltitudine di persone della città, che gremivano il chiostro dalla porta d'ingresso fino a quella della chiesa. Vi erano pure malati, ansiosi di ricevere la sua benedizione. Apertosi faticosamente un varco, entrò nella chiesa e fattosi presso all'altare, salì sulla predella e disse: - Benchè il tempo stringa, vi voglio dire due parole. Godo di parlare a buoni cristiani in questo giorno, che è quello della festa di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia e quello ancora della festa di Maria Ausiliatrice, Regina del [212] Cielo. Maria, Ausiliatrice dei genitori! Maria Ausiliatrice dei figli! Maria, Ausiliatrice degli amici! Maria, Ausiliatrice degli accusati, Ausiliatrice degli afflitti, Ausiliatrice degli eretici, Ausiliatrice dei scismatici, Ausiliatrice dei poveri peccatori, insomma Ausiliatrice di tutti, perchè questa buona Madre vuole tutti convertire. Ma per essere a Lei cari bisogna onorarne il Figlio, e vi indico ora alcuni mezzi per farlo. Per essere a lei cari bisogna accostarsi con frequenza ai sacramenti, ricevere il più sovente possibile la santa Comunione e non potendola ricevere, fare la comunione spirituale; poi ascoltare la santa Messa, far visite a Gesù sacramentato, assistere alla benedizione, compier opere di carità in onore di Nostro Signore Gesù Cristo, perchè al Signore piace che si pratichi la carità.

                 - Io non mi dimenticherò di pregare per voi, e voi dal canto vostro pregate per me, povero prete, per i miei Missionari, per i miei orfanelli, per tutte le mie opere. Io pregherò Dio che benedica questa casa, dove tante opere di carità si fanno; pregherò per le religiose, pregherò per tutte le persone che qui dimorano, perchè tutte siano buone cristiane. Pregherò per tutti voi Maria Ausiliatrice, perchè questa buona Madre è contenta d'intercedere per noi tutti, e spero che ci ottenga di andarla a trovare in Cielo. Per grazia speciale del Santo Padre io ho facoltà di dare una larghissima benedizione a voi tutti che siete qui radunati. Questa benedizione sarà non solo per voi, ma per i vostri parenti, per i vostri amici, per i vostri infermi, poichè vi sono molti che soffrono; andrà pure a tutti gli oggetti di pietà che avete in tasca.

                Allora Don Bosco, appoggiando ambe le braccia sul petto e abbassando gli occhi, preferì una lunga formola di benedizione, che terminò con un gran segno di croce.

                Una commozione vivissima s'impadronì dell'uditorio, tocco non solamente dall'ammirabile semplicità del suo dire, ma dall'effluvio di religiosità che emanava da tutta la sua persona. Quando volle ritirarsi, dovette faticare un bel po' [213] per rompere la folla. Chi voleva fargli una preghiera particolare, chi chiedergli una benedizione, chi porgergli una elemosina, ognuno poi bramava di baciargli la mano o la veste. Era una scena di fervido entusiasmo che chi ne fu testimonio, si dichiarava impotente a descrivere. Potè alla fine mettersi in carrozza, lasciando tutta quella gente sotto l'impressione d'aver accostato e ascoltato un Santo[165].

                Di un'inferma da lui benedetta si sa che cominciò subito a sentirsi meglio, tanto da potersi alzare, prender cibo, dormire, cose tutte che da otto mesi non le riusciva più di fare.

                La perdita del treno causò un altro inconveniente più grave del primo; ma per una visita di Don Bosco si stimò che valesse la pena passar sopra a qualsiasi disturbo. Poco distante da Versailles vi è la scuola speciale militare di Saint - Cyr, destinata a fornire ufficiali per le diverse armi. Gli allievi che, appartenendo in massima parte a nobili famiglie, tante cose avevano intese su Don Bosco dai loro parenti, lo volevano vedere a ogni costo. Per mezzo di una ragguardevole persona lo pregarono che si degnasse di far loro una visita. Egli si scusò, allegando ragioni d'impossibilità; ma quando vide una deputazione degli allievi presentarsi a lui e insistere nei modi più cordiali, accondiscese. Fissò il giorno e l'ora: il 24 maggio alle nove del mattino. Cosi press'a poco sarebbe avvenuto, se non fosse stato del treno. Quel mattino dunque i mille giovani lo aspettavano con impazienza; ma le are passavano e Don Bosco non si vedeva; sonarono le dodici, e nulla. - Eppure ha promesso, e verrà. - si ripetevano l'un l'altro, nè si stancarono di attendere. Finalmente alle due eccolo entrare. Le udienze, le visite, l'orario della ferrovia non gli avevano permesso di sbrigarsi prima. Accolto con vivi applausi, s'avanzò sorridente in mezzo ai baldi giovani, finchè invitato pronunziò brevi parole con la familiarità, con cui avrebbe parlato ai ragazzi dell'Oratorio. Quando graziosamente [214] li salutava e faceva per ritirarsi, gli chiesero a una voce la benedizione[166].

                Nel 1883 il 24 maggio cadeva nell'ottava della Pentecoste; perciò la festa di Maria Ausiliatrice si dovette posticipare. Sotto quella data del 24 la Semaine religieuse di Nizza nel suo numero del 9 giugno pubblicò una poesia su Don Bosco e le sue Opere[167], la quale cominciava con questa pittura del Santo: “Bontà, semplicità, dolcezza inalterabile, voi gli brillate in fronte come raggio divino e, mirabile riflesso della sua santità, ne precedete i passi, rischiarandogli il sentiero. A noi egli viene da parte di Dio. Non ha attrattive che ci lusinghino gli occhi, ma tutti ci attrae con quel suo luminoso candore e con quelle sue angeliche virtù, che ci fanno imparadisare. Con lui si respirano pure aure di calma e di pace; poichè ha un cuore così buono, che è un incanto quando consola, e l'anima alleviata ne accoglie con vivo ardore i soavi insegnamenti. Semplice ha il parlare, ben sapendo che la parola va al cuore, semprechè sia da Dio benedetta, e su I capo gli splende la divina aureola dell'umiltà, abbellita dall'amore”.

                Con la data medesimamente del 24 gli pervenne da una signora parigina una lettera, che per più riguardi merita di essere conosciuta. Si voleva una sua visita a Montmaltre; checchè si dicesse dalla scrivente, quell'andata assumeva nel pensiero dei promotori un carattere essenzialmente dimostrativo. É necessario per i non Francesi premettere qualche notizia storica.

                La collina che domina Parigi da nord, sacra in antico al culto di Malte e di Mercurio, cambiò poi nome e patroni [215] allorchè i protomartiri delle Gallie con a capo S. Dionigi, primo Vescovo di Lutezia dei Parisii, la santificarono con il loro sangue; il Mons Martis o Mons Mercurii divenne così Mons Martyrum. Nel corso dei secoli fu quel luogo teatro di tanti e tali avvenimenti religiosi e nazionali, che venne considerato come il cuore della Francia, ed i Parigini lo salutarono come la culla della loro fede. Dopo i disastri del 1870 sorse nei cattolici l'idea che bisognasse disarmare l'ira divina con un grande atto di espiazione, di penitenza e di consacrazione solenne dell'intera nazione al Sacro Cuore di Gesù. L'idea si propagò ben presto, prendendo corpo nel disegno di erigere un sontuoso tempio al Divin Cuore. E dove erigerlo se non là, dove palpitavano, per dir così, le più sacre memorie della Francia storica? L'idea così concretata penetrò anche nell'Assemblea nazionale, che con apposita legge del 23 luglio 1873 riconobbe opera di pubblica utilità l'erezione di un santuario al Sacro Cuore di Gesù[168].

                Si pose mano sollecitamente ai preparativi, che dovevano essere adeguati alla grandiosità dell'impresa; ma solo il A giugno 1875 si potè collocare la prima pietra. Le fondazioni richiesero cinque anni di lavoro. La basilica era coperta il 3 agosto 1914 e consacrata il 19 ottobre 1919.

                Ma il nemico del bene non istava inoperoso. A misura che le ciclopiche mura poggiavano in alto e la pietà francese si polarizzava verso quel possente centro di vita cristiana, irradiandosi poi in ogni angolo del paese, la mala politica, iniziata dopo la caduta di Mac - Mahon, si veniva allarmando, perchè riguardava quel monumento come una sfida audace della reazione. La lotta si protrasse or sorda or palese fino allo scoppio della guerra europea, quando la suprema legge della salvezza pubblica impose silenzio agli odi insani. Orbene l'anno 1883 cadeva nel periodo, in cui la strapotenza dei radicali moltiplicava gli sforzi per piegare la legislazione dello [216] Stato verso il laicismo totale, e Montinaltre li metteva in orgasmo.

                Ciò posto, si comprenderà meglio il valore documentario della lettera, che è del tenore seguente: “Dal primo giorno della sua dimora a Parigi mio marito e io, avendo sentito parlare di Lei, delle sue opere e del suo amore alla gioventù, abbiamo avuto un desiderio solo, quello di vederla e di ricevere la sua santa benedizione. Mossa dalla convinzione che santa è la sua vita e nobile lo scopo della sua missione, io ho dato volentieri in tutte le chiese, dove s'è fatta per Lei la questua, e non solo ho assistito a tutte le sue Messe, ma ho potuto anche ricevere tre volte dalle sue mani la santa comunione. La vidi l'ultima volta in casa della contessa di Gontant - Biron e le potei parlare nel suo salotto e domandarle di gradire che mio marito e io facessimo parte dei cooperatori salesiani. Ma dopo l'ultima comunione un pensiero mi agita siffattamente, che non mi posso trattenere dal manifestarglielo. Per quanto questa mia le possa parere singolare, io sono persuasa che Ella, Padre, essendo così ripieno dello spirito di Dio e vedendo nelle coscienze, mi perdonerà se Le scrivo. Ella sa che non si deve mai respingere un'ispirazione fondata su princìpi di fede e di amore divino. Tutti Le hanno già domandato, e io lo so, di recarsi al Sacro Cuore di Montmartre, ma ha risposto sempre di no, non volendo, diceva (e me l'ha riferito sabato Don De Barruel), dar motivo a credere che sia una manifestazione, la qual cosa tornerebbe più nociva che utile all'erezione di un monumento, a cui il presente nostro governo si mostra ostile. Non saprei quanto la politica o gli umani riguardi possano influire sopra un'anima come la sua; ma di una cosa sono certa, Padre, che Ella è in dovere di salire domani a Montmartre, non per attirar gente, chè la folla già troppo La assorbe, ma da semplice prete, senz'avvertire chicchessia; deve andarvi a ringraziare il Sacro Cuore di Gesù che Le abbia concesse tante grazie e a portargli un'offerta, non foss'altro che una pietra per la chiesa, in riconoscenza [217] di quanto Le ha prodigato da qualche tempo con sì grande entusiasmo Parigi. A nome di tutti i Comitati cattolici e di tutte le anime ferventi, di cui ho il bene di farmi eco, noi veniamo a supplicarla di salire a Montmartre per pregare e ringraziare il Sacro Cuore di Gesù, pregando pure per noi tutti. La santa benedizione che dall'alto della cripta di S. Dionigi martire Ella darà a Parigi, da cui ha ricevuto sì calorose accoglienze, apporterà, ne siamo certi, benefizio alla città e ridonerà alla Francia quei sentimenti di fede, di onore e di carità, che adesso sembra mettere in dimenticanza”.

                Se mai Don Bosco avesse avuto intenzione di fare quella visita, dopo la lettura di questo scritto la prudenza ne l'avrebbe probabilmente sconsigliato; per fortuna la partenza era imminente ed egli non poteva più disporre a piacer suo del tempo. Questo valse a scusarlo.

                Tante altre visite furono desiderate, indarno a Parigi e fuori; vediamo di alcune.

                Viveva sempre nella capitale francese l'ex - re di Napoli Francesco 11; anzi abitava non lungi da via Ville l'Evéque. Egli conosceva e stimava Don Bosco[169] e si sarebbe aspettato ch'ei si recasse da lui; ma, non vedendolo venire, se ne lagnò con madama di Champeau. Questa signora s'incaricò di render noto al Santo il desiderio e il dispiacere dell'ex - sovrano e avrà fatto senza dubbio la parte sua; ma non sappiamo quale sia stato l'effetto. Certo è che la visita non vi fu.

                Il Vescovo di Evreux, monsignor Francesco Grolleau, per mezzo del conte De Maistre suo diocesano, fece sapere al Servo di Dio che egli aveva gran bisogno di vederlo; lo pregava perciò di una visita in nome non solo della carità di Gesù Cristo, ma anche dei sentimenti di fede e di deferenza da lui professati verso i Pastori della Chiesa[170]. Il conte di Waziers, deponendo ai piedi del Santo l'espressione de' suoi omaggi, gli [218] scriveva quanto la sua famiglia sarebbe lieta di ricevere una sua visita e gli adduceva una serie di motivi per indurvelo[171]; il signor Maujouan du Gasset lo voleva a Nantes, une des villes le plus catholiques de la Bretagne et de la France, dov'erano già molti amici dell'Opera di lui[172]; il doyen di S. Giacomo a Douai metteva a sua disposizione la propria chiesa e canonica[173]; una signora di origine russa con una curiosa lettera scritta da S. Remo, dove aveva conosciuto Don Bosco, gli rimise un invito di andare a Pau[174]; le Figlie della Croce ripeterono tre volte la supplica, perchè andasse a consolare la superiora inferma e a vedere le loro necessità spirituali[175]; la contessa di Medu chiedeva a Don di Barruel una visita di Don Bosco al convitto delle suore del Sacro Cuore in via Piepus. Tutti questi e tanti altri simili desideri rimasero inesauditi per l'impossibilità di trovare il tempo.

                Vi sono poi domande di visite, che non sappiamo se siano state esaudite o no. Provengono esse da comunità e da famiglie ed hanno, come le precedenti, un valore a motivo delle manifestazioni che le accompagnano, utili sempre a valutare il concetto, in cui Don Bosco era universalmente tenuto. Così le religiose di Maria Liberatrice vorrebbero che Don Bosco si recasse a celebrare da loro una Messa, dopo la quale farebbero una colletta per le sue opere (via Calais, 23 aprile); la superiora delle Serve di Maria lo prega di andar a benedire la sua comunità (via Douguay - Touin, 24 aprile); la superiora dell'Abbaye aux Bois, per ottenere che vada a celebrare nella cappella dell'educandato, gli scrive che là si venera la Madonna dell'Aiuto, tutt'uno con Maria Ausiliatrice (via Sèvres, 24 aprile); nel convento di S. Clotilde le religiose lo aspettano per l'ultima sua refezione prima che parta per Torino e le loro anime si preparano a ricevere degnamente un tanto favore [219] (via Neuilly, 5 maggio); la duchessa di Reggio lo scongiura di andarle a benedire alcuni infermi.

                Molti noti pretendono tanto, ma si contentano di essere assicurati che egli prega secondo intenzioni da essi manifestategli. “Ella può guarirmi il figlio, gli scrive una madre; Maria Ausiliatrice a Lei non ricusa nulla”. Un'altra, avuta da Don Bosco la promessa che pregherà secondochè essa desidera, vuol sapere se le sia lecito chiedere a Dio che le conceda una grazia per le preghiere di lui, “non vorrei, dice, valermi così delle sue preghiere senza esservi autorizzata, ma, così pregando credo che sarei esaudita”[176]. Una signora, animata dal pensiero che sua sorella Paola Dewarin Lorthiois ha ottenuto per intercessione di Don Bosco una grazia domandata insistentemente per quattro anni, gli chiede di ottenere pure a lei la grazia medesima, cioè che possa aver famiglia. Monsignor Richard, coadiutore dell'Arcivescovo di Parigi e suo futuro successore, lo prega vivamente di celebrare una Messa per un padre di famiglia infermo a Nantes, e celebrata che fu la Messa, gl'invia un'elemosina di cento franchi; l'una e l'altra volta si raccomanda caldamente alle sante orazioni del Servo di Dio[177]. Il signor di Chizeray sa molto bene che a Don Bosco fioccano domande di preghiere; tuttavia una domanda aggiunge anche lui per sè e per la famiglia, sicuro com'è dell'efficacia che hanno presso Dio le intercessioni del “santo sacerdote”

                Quanta fiducia si aveva nell'efficacia delle preghiere di Don Bosco! Una signorina, dopo altri inutili tentativi, era riuscita finalmente ad avvicinarlo, mentr'egli usciva da S. Sulpizio, e posandogli la mano sul braccio gli aveva raccomandato l'avvenire di suo fratello. Questo giovane studiava a Saint - Cyr nella scuola militare e doveva dare importanti esami; per questo si voleva che il Santo pregasse. Ma dopo madre e figlia si domandavano: - Avrà egli udito la raccomandazione? Se [220] l'ha udita, non occorre altro; ma se non l'avesse udita? Per maggior sicurezza, la madre gliene scrisse a Torino, ansiosa e piena di fede[178].

                Durante la prima metà di maggio si combatteva in Francia una fiera lotta elettorale, in cui i partiti estremi guadagnavano terreno. Nel sedicesimo collegio di Parigi il signor Calla era in ballottaggio con un arrabbiato anticlericale. Il secondo scrutinio doveva aver luogo ai 20 del mese. La moglie del candidato raccomandò in termini profondamente cristiani a Don Bosco il buon esito della votazione. La vittoria arrise al di lei marito e Don Bosco ne apprese la notizia dai giornali poco dopo il suo arrivo a Torino. L'Unità Cattolica che la riferiva, diceva pure dell'opinione dei buoni che bisognasse ringraziare Don Bosco di quel risultato, perchè sarebbe stato impossibile ottenerlo senza una grazia di Maria Ausiliatrice dovuta alle sue preghiere[179].

                Dobbiamo ancora dire qui in ultimo di visite fatte, ma senza che se ne conoscano i particolari, e di altre visite, delle quali siamo sufficientemente informati, ma senza che siansene potute accertare le date.

                Nella chiesa di S. Ignazio in via Madrid e nella parrocchiale di Santa Margherita, dove si venerava un'immagine di Maria Ausiliatrice, possiamo dire soltanto che andò. In via dell'Università visitò il 18 maggio una famiglia Gautier; ma sappiamo soltanto che la signora, mentr'egli entrava in casa, gli consegnò un biglietto, in cui diceva: “Dal fondo dell'anima La ringraziamo del suo ingresso nella nostra casa e La supplichiamo che come favore speciale di questa visita ci ottenga la grazia di conoscere la volontà di Dio per il matrimonio del nostro buon figliuolo e quella di sottometterci in tutte le cose ai voleri della Provvidenza”. In via Jacob c'era un istituto normale cattolico fondato dalla damigella Désir e avente lo scopo di formare insegnanti cristiane per fanciulle di nobile [221] lignaggio. Pregato dalle istitutrici di andarvi a dare la sua benedizione, soddisfece al loro desiderio poco dopo il 20 maggio. La mattina del 25 celebrò nella chiesa di S. Tommaso d'Aquino: ce ne fa fede una madre, che dalla sua “bontà inesauribile” sospira la consolazione di essere da lui ricevuta ivi quel venerdì dopo la Messa nella sacrestia. “Ho, dice, una figlia molto ammalata e ripongo tanta fiducia nelle di Lei preghiere, che ho tentato tutte le vie immaginabili per arrivare fino a Lei senza riuscirvi. La prego in ginocchio che mi dia tale speranza per posdomani mattina e Le serberò eterna riconoscenza”.

                Non abbiamo la data precisa della visita fatta alla scuola di Santa Genoveffa in via Lhomond. Era un gran collegio con insegnanti Gesuiti, che vi tenevano, come diremmo noi, un liceo classico per preparare la gioventù specialmente alle scuole militari. Dopo l'espulsione i Gesuiti avevano ceduto il posto a preti secolari, fra cui l'abate Odelin, che vi faceva da cappellano; per altro Jules Ferry, presidente dei ministri, aveva autorizzato due celebrità, i padri Cosson e Joubelt, a rimanere, affinchè l'istituto non si spopolasse.

                Il cappellano Odelin, che partecipò al ricevimento e ne serba tuttora vivo il ricordo, lo crede avvenuto in maggio[180]. Don Bosco trovò gli alunni radunati nel parlatorio. Avendo dinanzi a sè giovani di famiglie doviziose, disse loro della contentezza che ci procura l'occuparci dei derelitti e li esortò a compiere sempre i doveri ad essi imposti dalla loro condizione sociale, serbando intatta la fede dei loro padri e dei loro maestri. Quando li salutava per prendere commiato, il figlio di un generale dell'Impero, a cui la balbuzie poteva inceppare la carriera, gli si gettò ai piedi come a un santo e con un accento che il cappellano dice indimenticabile: Padre, esclamò, io ho fede in lei. La prego, mi guarisca!

                Ma: - Figlio, risposegli Don Bosco, abbiate fede in Dio,  [222] pregatelo, ed egli vi guarirà. - Una vera scena evangelica, che ci lascia però col desiderio insoddisfatto di sapere quale fosse la fine.

                Di là monsignor Odelin lo condusse a visitare l'Istituto Cattolico. Durante il tragitto di dieci minuti in carrozza Don Bosco esaltava l'importanza dell'insegnamento superiore, massime per i sacerdoti, e fece questo riflesso: - Nulla vi è di più penoso per un prete che aver da fare con una coscienza imbrogliata. - Molti studenti ecclesiastici e laici circondarono familiarmente il “santo di Torino”. Peccato che il nostro Monsignore se ne sia tornato subito a via Lohmond, lasciando là Don Bosco con il segretario!

                Senza data di giorno e di mese è un'altra visita, che fu seguita da un grande prodigio. In via Sèvres c'è la chiesa del Gesù, poco distante dal luogo dove fu la libreria Josse: ivi celebrò Don Bosco. Mentre usciva, gli si parò dinanzi una povera inferma adagiata sur una poltrona a rotelle. Ve l'aveva condotta di sua mano un uomo, che gode oggi fama universale nel mondo dei dotti, lo storico della Bastiglia, Funk - Brentano, dell'Istituto di Francia. Egli stesso ha raccontato recentemente il fatto[181].

                La signora Gérard da molti anni passava le sue giornate inchiodata e immobile sopra una poltrona a sdraio. La madre dello storico, che, pur vedendola così da tanto tempo, ne provava sempre viva compassione, donna qual era di fede e di pietà, udito dei miracoli che attribuivansi a Don Bosco, pensò a quella meschina. Ma come arrivare fino a lui? Un bel giorno i vicini le vennero a dire che Don Bosco la mattina seguente avrebbe celebrato nella non lontana chiesa del Gesù. Era giunto il momento di tentare. Mandò senz'altro il figlio a noleggiare un fauteuil roulant; poi gli disse di accomodarvi sopra l'ammalata e di spingere quel veicolo fin dove si trovava Don Bosco. [223]

                Il giovane studioso, che frequentava la scuola di paleografia, lasciati da parte i codici medievali, si accinse all'opera buona. Con delicate precauzioni e con l'aiuto di amici calò al piano terreno la paziente, la quale egli non sa ora ben dire di che male patisse, la collocò sul seggiolone rotabile e adagio adagio mise questo in moto, come fanno le bambinaie per i pubblici passeggi con le carrozzine dei bimbi. Aspettarono alla porta della chiesa il termine della funzione. Finalmente ecco Don Bosco venir fuori e accostarsi alla Gérard, che in poche parole gli fece la storia della sua infermità e gli manifestò tutta la sua speranza. Il Servo di Dio, recitata insieme con lei una preghiera, le diede la benedizione. Allora levarsi a sedere, balzare in piedi, mettersi a camminare fu per la donna un istante solo. Stentò a equilibrarsi sui primi passi; ma poi, fuor di sè dalla gioia, se ne ritornò quasi correndo a casa.

                Don Bosco era già andato via e il Brentano stava ancora là trasecolato accanto al veicolo vuoto, finchè si decise anche lui a rifare il cammino per cui era venuto, riconducendo quell'arnese a sua madre. La guarigione fu completa e duratura. Per lungo tempo egli rivide ogni mattina la sua miracolata avviarsi al Gayne - Petit, gran negozio di novità, nel quale colei aveva trovato impiego.

                Con la pura e semplice indicazione del giorno della settimana è una corrispondenza della contessa Riant. Il Conte da più anni viveva fra letto e lettuccio. Don Bosco lo visitò e lo benedisse, e quegli dopo la benedizione potè cominciare ad alzarsi e a camminare; perfettamente non guarì, ma gli fu possibile per tutto il restante della sua vita occuparsi in opere di beneficenza e negli studi. Aveva promesso mille franchi al mese per un anno, se venisse a star meglio; la grazia gli parve così evidente, che si credette in obbligo di osservare la data parola. Inviandogli la seconda rata, la Contessa raccomandò a Don Bosco un figlio cadutole infermo; il Santo le fece rispondere ringraziando e infondendole [224] nuova speranza nella potente intercessione di Maria Ausiliatrice[182].

                Da giornali e da lettere ci è dato arguire che in queste visite a case private la sua benedizione operò tanti altri prodigi, dei quali torna impossibile determinare il numero e precisare la qualità. Umiltà e prudenza esigevano riserbi; pur tuttavia di alcuni, benchè senza esatti elementi cronologici o topografici, non si può negare la realtà. Così una lettera scritta da Quimper a Don Rua l'8 ottobre 1894 accenna a una signora che, benedetta da Don Bosco a Parigi, guarì da un male fisico e da patemi morali. In seguito il Santo le aveva fatto sperare una conversione che allora si presentava assai difficile; e la sua previsione si avverò undici anni dopo. La Contessa d'Eu, figlia di Don Pedro, imperatore del Brasile, aveva infermo un figlio, presunto erede del trono. Fatto invitare Don Bosco a recarsi in casa sua, fu esaudita e il malato prese subito a migliorare; ma il miglioramento non progredì fino alla guarigione. Infatti nel mese di agosto il cappellano della famiglia, scrivendo a Don Rua per chiedere preghiere a nome della madre, descriverà lo stato del principe come tutt'altro che confortante. Una lettera di Don Bosco alla Contessa l'assicurerà delle preghiere sue e de' Suoi[183]. Al principe risanato Don Bosco mandò più tardi qualche scritto e seppe dal suo precettore che la madre, tornata a Rio Janeiro, aveva parlato in suo favore al Sovrano. Tanto essa che il suo sposo si tennero onorati di venire inscritti fra i primi Cooperatori del Brasile.

                Più portentoso è il fatto seguente. Una sera Don Bosco venne chiamato a benedire un giovanetto infermo, che aveva da dodici a tredici anni. Egli rispose che sarebbe andato a benedirlo, ma con una condizione. - Quale? gli chiesero i parenti.

                 - Che domani venga a servirmi la Messa. [225]

                - Impossibile! esclamarono quelli a coro. È ammalato da tanto tempo è di una malattia così grave!

                - Se vogliono che io vada, bisogna che mi diano parola. - Se lei lo dice, noi le diamo parola.

                Nella casa dell'infermo si trovavano parecchie distinte persone, fra cui una signora di Bogotá, capitale della Colombia; si chiamava Ortega ed era figlia d'un medico. Avvicinatosi all'ammalato, Don Bosco gli disse: - Mi han chiamato, perchè ti venissi a benedire; ma io non volevo venire, se non a patto che tu domani venga a servirmi la Messa nella tal chiesa (e gliela indicò). Se dunque tu mi prometti questo, io ti benedirò.

                 - Come ho da fare, se da tanto tempo sono in questo stato?

                 - Abbi fede, che la Madonna ti potrà certamente dare la forza di venire.

                 - Ebbene, glielo prometto.

                 - Così va bene. Ora facciamo una breve preghiera e poi io ti benedirò.

                Don Bosco lo benedisse e la mattina appresso, quand'egli arrivò alla chiesa indicata, il fanciullo già lo stava aspettando, perfettamente ristabilito. Questo fu uno dei fatti che destarono tanto entusiasmo a Parigi, anzi, scritto dalla signora colombiana ai suoi parenti di Bogotá, servì ad eccitare quel vivo desiderio che poco dopo si manifestò colà di avere i figli di Don Bosco. Don Rua, che rese questa testimonianza, soggiunse: “Io lo intesi tosto a raccontare in Parigi, dove mi trovavo, occupato continuamente a sbrigare la copiosa corrispondenza di Don Bosco, coadiuvato da quattro altri segretari che lavoravano con mirabile alacrità”[184].

                Ancora un ultimo fatto, testificato da Don Giuseppe Bologna. A Courtrai nel Belgio il signor De Bien si rammaricava che un suo figliuoletto fosse sempre malaticcio fin dalla [226] nascita; il povero piccino aveva il corpo coperto di pustole, sicchè era una pietà a vederlo. Suo padre, avendo saputo quello che Don Bosco operava a Parigi, gli scrisse per raccomandarlo; il Santo rispose che facesse una novena a Maria Ausiliatrice e sperasse. Al nono giorno, mentre tutta la famiglia se ne stava a tavola, il fanciullo fu preso da furiosa dissenteria, - Ci nuotava dentro! - soleva dire il padre. Ma dopo egli era sano come un pesce.

                Una visita del 18 maggio abbiamo riservata per la fine di questo capo. La principessa Margherita d'Orléans, sorella del conte di Parigi Luigi Filippo Alberto e seconda moglie del principe Ladislao Czartoryski, invitò il servo di Dio a celebrare la Messa nel suo palazzo Lambert[185]. Informatone tosto il fratello, che era assente, questi le rispose di pregare Don Bosco che ritardasse la sua visita tanti giorni quanti ce ne volevano, perchè egli pure avesse tempo di trovarcisi. Arrivato il Principe, Don Bosco andò. Sette Principi lo attendevano; tutti, compreso il Conte di Parigi, si comunicarono; poi ne ricevettero la benedizione e ne, ascoltarono riverentemente la parola. Gli avevano servito la Messa il principe Czartoryski e il suo figlio Augusto. Questi, fattosi tre anni dopo salesiano, disse a Don Lemoyne che gli Orléans a Parigi fecero a Don Bosco un tal ricevimento ufficiale, quale non avevano forse mai fatto neppure a Principi; e sì che, come osservava Don Augusto, la casa d'Orléans ci tiene alle sue regali costumanze. A sì manifesti segni di fede e pietà alludeva Don Bosco, quando nel partire da Parigi disse a chi lo accompagnava: - In Francia, se a capo della nazione vi [227] fossero uomini come questi, la religione vi avrebbe il suo posto d'onore.

                Risale a quel tempo il destarsi della vocazione religiosa nel principe Augusto Czartoryski; l'incontro con Don Bosco nel palazzo Lambert, ordinaria dimora parigina della famiglia, fu decisivo. Anche il principe padre aveva desiderio di accogliere Don Bosco nella sua casa, mosso da un pensiero patriottico: egli mirava ad attirare l'attenzione del grande apostolo torinese sull'infelice Polonia nella speranza che avrebbe inviato i suoi figli lassù e dovunque fossero colonie polacche nel mondo. É noto come i Polacchi, per sottrarsi al giogo degli oppressori che avevano smembrato il loro paese, si disperdessero fra nazioni ospitali, dando origine a una diaspora non dissimile da quella degli Ebrei. Il figlio Augusto, incitato da una forza misteriosa, sollecitava il proprio genitore a far venire in tempo il Servo di Dio, prima che fosse troppo vicina la sua partenza da Parigi. Nel segreto dell'anima il giovane signore sentiva già da qualche anno una voce indistinta che lo chiamava ad una vita di maggior unione con Dio e allora gli sembrava di presagire confusamente l'appressarsi del momento in cui doveva trovare chi gli avrebbe fatto da guida nell’ardua decisione.

                Le prime parole del Santo lo colpirono. Vedendoselo venire incontro, Don Bosco lo salutò dicendogli: - Già da lungo tempo io desiderava di fare la sua conoscenza. - Dopo la Messa non sapeva più staccarsi dal suo fianco; - lo fissava in volto, ne osservava gli atti, ne beveva avidamente le parole. Nulla si disse allora di vocazione; ma il Principe fu talmente conquiso dalle maniere di Don Bosco, che aperse con lui una filiale corrispondenza epistolare, inviandogli frequenti elemosine. Il primo autografo pervenutoci del Santo al futuro Don Augusto è appunto un bigliettino di ringraziamento, che reca la data del 4 ottobre 1883. É scritto in francese e dice così: “Con ringraziamento profondissimo ho ricevuto la somma di lire mille che la S. V. ha voluto inviare per i nostri [228] orfanelli. Io e i nostri giovani pregheremo e faremo la santa Comunione secondo le intenzioni del Signor Principe per implorare su di lei grazie e benedizioni”. Noi lo ritroveremo altre volte presso Don Bosco nel corso della nostra storia, prima che venga il giorno del suo ingresso come aspirante nella Congregazione Salesiana[186].

                Le cose che abbiamo narrate fin qui e le altre che ci restano a narrare, sembrerebbero avvenute in pieno medioevo; invece accaddero nel cuore di Parigi, nel gran focolare del moderno laicismo. Segno evidente che il male non vi soffocava nemmeno allora il bene. Don Bosco non giudicò mai la capitale francese alla maniera di certi scrittori e non scrittori, che la additano con una specie di voluttà all'abborrimento dei buoni, come città di perdizione. Nel 1884 il sulpiziano abate Mourret, incontratosi col Servo di Dio a Roma e condotta la conversazione sul suo viaggio a Parigi, lo udì esclamare: Ah Parigi, Parigi! Che profondi ricordi mi ha lasciati! Che buona popolazione! E che cuori![187]. - Sembra potersi dire che Parigi è la città dei contrasti. Il bene c'è e non inferiore al male; soltanto, come la sua natura comporta, fa meno chiasso e quindi meno si fa conoscere. La visita di Don Bosco fu un'occasione che mise straordinariamente in luce il lato migliore della grande metropoli.

 

 

CAPO VII.

A Parigi: conferenze.

 

                CHIAMIAMO qui conferenze, secondo un uso italiano ormai corrente, quelli che in Francia si dicono sermons de charité, cioè discorsi familiari, nei quali si fa appello alla carità dell'uditorio, esponendo la natura, lo stato e i bisogni di un'opera benefica. Da parecchi pulpiti parigini Don Bosco parlò così a numerose udienze, adoperando un linguaggio semplice e disadorno, ma schietto e cordiale, che faceva breccia ed eccitava la commozione. Sulle conferenze di Don Bosco a Parigi il padre Felice Giordano, degli Oblati di Maria Vergine, riferiva da Nizza Marittima alcune osservazioni di un signore francese, le quali vengono molto a proposito per ispianarci la strada alle cose da narrare[188]. - Noi a Parigi, diceva quegli, facciamo ormai orecchio da mercante ai predicatori di grido; per iscuoterci da siffatta apatia ci vuole Don Bosco che venga a trovarci. Viene Don Bosco, la voce del suo arrivo si diffonde ed ecco l'alta società a muoversi: tutti lo vogliono vedere e ascoltare. Montato in pergamo, non presenta proprio nessuna di quelle doti personali, che subito avvincono il pubblico: vestito povero, volto bonario, un fare dimesso, parola negletta formano tutto il suo corredo oratorio. Eppure non uno che [230] zittisca, anzi tutti lo ascoltano in rispettoso silenzio. Fa la storia de' suoi oratorii, de' suoi collegi, delle sue missioni, inserendovi massime ed episodi, che sono uditi con piacere. Parla sempre adagio e con calma, sicchè tutti possono tenergli dietro. Nè alcuno prende scandalo dell'accento straniero e del fraseggiare punto castigato. Il suo è un predicar al cuore, e il cuore lo ascolta, non l'orecchio; infatti scorrono lacrime di commozione sui volti e dopo non si parla d'altro a casa. Basta insomma che Don Bosco apra la bocca, perchè egli sia l'uomo più riverito e obbedito. - Riportati questi concetti del gentiluomo francese, il religioso li spiega dicendo che questi sono fatti i quali si leggono solamente nelle vite dei Santi, perchè, essendo essi pieni di Dio, non già l'uomo parla in loro, ma Iddio.

                La sua prima conferenza fu a Notre - Dame des Victoires. La Madonna delle Vittorie è a Parigi quello che il santuario della Consolata a Torino; un suo recente storico asserisce che non meno (11 seimila persone visitano ogni giorno quella chiesa. Gli ex - voto ne coprono letteralmente le pareti fin su alle volte e continuano anche nella sacrestia[189]. Ha ivi sede l'Arciconfraternita di Maria Refugium Peccatorum.

                Appunto la Messa ebdomadaria per la conversione dei peccatori Don Bosco andò a celebrare la mattina del sabato 28 aprile. Lo accompagnavano all'altare il curato della parrocchia e l'abate Sire. Mai, a detta dei frequentatori, si era veduto per quella Messa un concorso come allora. La si celebrava alle nove; ma alle sette non vi capiva più nessuno. Lo spettacolo di tanta moltitudine traeva dalle labbra dei fedeli soliti a intervenir e ogni sabato, espressioni di stupore ed anche di lamento per non potervi entrare una donnetta fu udita rispondere a chi ne faceva le meraviglie. É la Messa di peccatori celebrata oggi da un santo. [231]

                Don Bosco parlò dopo il Vangelo. Il testo della sua allocuzione non ci è stato trasmesso; i giornali si contentarono di dire che esaltò la carità ed espose lo scopo delle sue opere. Mentre distribuiva la comunione, gli accadde cosa già da noi narrata[190]: la subita apparizione di Luigi Colle. Tal vista lo distrasse: balaustra, fedeli, sacerdoti, tutto si ecclissò a' suoi occhi, ed egli stava là fermo con il pollice e l'indice in atto di prendere dalla pisside la particola, ma senza mai levarne la mano. Gli astanti non vedevano nulla, nè s'accorsero del colloquio interno, che avveniva in quei momenti e che noi riferimmo; onde i preti della parrocchia, credendolo molto affaticato, andarono essi a comunicare, mentre altri gli si avvicinarono e lo ricondussero all'altare. Quando rientrò in sè, si trovò dinanzi al messale.

                Dopo la Messa un malinteso causò una scena un po' rumorosa. Il parroco, temendo che l'impeto della folla travolgesse Don Bosco, voleva sequestrarlo nella sacrestia; ma una signora, immaginatasi che in quel tentativo entrasse della gelosia per la popolarità del Santo, si avanzò con passo marziale, prese Don Bosco per un braccio, lo tirò indietro e lo fece appressare alla gente, sfogando la sua disapprovazione come per una mancanza di riguardo commessa verso di lui. Il parroco, mortificato, virtuosamente non fiatò, anche per rispetto alla persona che gl'infliggeva tale umiliazione. Era madama di. Cessac, nobilissima signora, già dama di corte dell'imperatrice Eugenia. Suo marito nel tempo dell'impero aveva occupato altissime cariche. Essa stimava tanto Don Bosco, che gli confidava ogni suo segreto; e sembra che abbia ricevuto da lui molte lettere di direzione spirituale. Così si dice; ma noi finora non ne conosciamo neppur una. A Parigi, per assistere alle Messe del Santo, si sottoponeva al doppio sacrifizio di anticipare il suo levarsi e di aspettare a volte per ore e ore. Teneva poi continuamente la propria carrozza a [232] sua disposizione. Gentildonna assai colta e d'animo virile, trattava regalmente anche con personaggi cospicui; per Don Bosco invece dimenticava ogni etichetta. Anche i figli di Don Bosco, quando furono a Ménilmontant, potevano andare da lei in qualunque momento; con loro si mostrò sempre generosa di elemosine e di protezione.

                La folla non riempiva soltanto la chiesa, ma ingombrava anche la piazza dei Petits Pères[191], sulla quale si apre la porta maggiore; allorchè Don Bosco uscì, la circolazione vi era ancora interrotta[192].

                I moltissimi, a cui era stato precluso l'ingresso alla Madonna delle Vittorie, si assicurarono un posto il giorno seguente alla Maddalena, Questa chiesa, notevolmente più vasta, è la più aristocratica di Parigi. Predicatori di cartello sogliono montarvi in pergamo. Don Bosco non avrebbe forse ardito parlare da sì alto luogo, se l'Arcivescovo medesimo non ve l'avesse indotto. Nell'udienza concessagli al suo arrivo il Cardinale, accomiatandolo, spontaneamente gli disse di fare una questua per le sue opere alla Maddalena e di premettervi un suo discorso. Don Bosco sulle prime tentò di schermirsi dal parlare dinanzi a un uditorio così scelto, allegando la sua imperizia nell'uso della lingua francese. Ma: - No, no, gli rispose Sua Eminenza. Parli, parli! Parigi crederà più a lei che non ad altri. - Era veramente un'attenzione assai delicata che lo commosse, tanto che, corrispondendogli con pari delicatezza, si astenne sempre a Parigi dal questuare in pubblico per la sua chiesa del Sacro Cuore a Roma. Tre opere principali assorbivano allora le sollecitudini finanziarie del cardinale Guibert: il tempio di Montmartre, l'organizzazione delle scuole libere e l'Istituto cattolico. Laonde l'offerta di una questua in una delle chiese più ricche della capitale si [233] doveva considerare come segno di alto favore, di un favore così segnalato che forse era senza esempio.

                I giornali del 28 annunziarono la conferenza con larghi ragguagli sulla vita e sulle opere del conferenziere[193]. Alle tre pomeridiane doveva cominciare la conferenza; ma fin dall'una la moltitudine attendeva compatta e non composta soltanto di popolani. La sorte toccata il dì innanzi a quelli dell'ultima ora, rimasti inesorabilmente fuori della porta, aveva insegnato come bisognava fare per procacciarsi dentro un posto pur che si fosse. Prevedendosi un concorso esorbitante, si erano portati via tutti gl'ingombri mobili non strettamente necessari. Gli uomini riempivano anche il coro, occupando pure i gradini e la predella dell'altare. Sudarono un bel po' coloro che fecero largo al Servo di Dio in mezzo alla calca. Fra gli altri un signore dall'alta e nerboruta persona gli si offerse per quel servizio fin dall'ingresso. Don Bosco scendeva dalla carrozza, quando colui gli porse il braccio per sorreggerlo e difenderlo dalla folla che l'opprimeva. Il Santo, credendolo un francese, fece atto di ringraziarlo; ma quegli in schietto piemontese lo interrogò come stesse. Don Bosco lo guardò con grata sorpresa, ma senza conoscere chi fosse.

                 - Non mi riconosce? gli disse l'altro. Eppure ci vediamo ogni tanto.

                 - In questo momento, rispose Don Bosco, ho la testa stanca... Non saprei...

                 - Sono torinese... Buscaglione!

                 - Ah, ora sì che ci sono!

                Il commendatore Buscaglione era professore nell’Università di Roma, direttore dell'agenzia Stefani, console di Spagna e Grande Oriente della Massoneria torinese, ma voleva molto bene a Don Bosco e nell'insegnamento cercava di rispettare la coscienza dei giovani. Caduto ammalato a Napoli [234] e assistito da suore, poche ore prima di spirare fece chiamare il prete. Le sue relazioni con Don Bosco gli avevano fatto del bene.

                Fiancheggiato dunque, preceduto e spalleggiato da un gruppo di ardimentosi, moveva a stento i passi verso il pulpito, mentre, quanti potevano, gli afferravano le mani per baciargliele. Finalmente eccolo lassù salutare con lieve inchino del capo l'uditorio, sedersi e misurare con lo sguardo tutto quel mondo di gente che lo stava rimirando. Con quelle forze così logore, con quell'esperienza così rudimentale della lingua, uno straniero, un italiano che non fosse Don Bosco si sarebbe sentito mancar l'animo dinanzi a un pubblico tanto numeroso ed eletto e, messe insieme quattro frasi alla meglio per raccomandare l'elemosina, avrebbe cercato di liberarsi presto da una situazione così imbarazzante. Egli al contrario, senza perdere un ette della sua calma abituale e con l'umiltà di chi per amor del prossimo mette in non cale qualsiasi figura gli tocchi fare al cospetto de' suoi simili, tenne un discorso relativamente lungo. La sua esile voce non giungeva certamente lontano; eppure non fu avvertito il menomo segno di protesta o di malcontento, com'è naturale che avvenga in simili casi. Egli parlava adagio adagio, spiccando sì bene le parole, che senza difficoltà si poteva scrivere quanto diceva. Difatti un redattore della realista Gazette de France e qualche altro stenografarono agevolmente tutto quello che disse[194]. Qui lo traduciamo in italiano, chiudendo fra parentesi quadre alcuni periodi omessi dalla Semaine Catholique di Parigi, che pure lo riprodusse.

 

                               Signori,

 

                Sono profondamente commosso alla vista di sì numeroso uditorio e non so come rispondere a questa premura. É per me una consolazione [235] indicibile il parlare a un'assemblea così notevole di buoni cattolici. Della gioventù noi dobbiamo intrattenerci.

                Secondo la parola di uno dei vostri più illustri prelati, monsignor Dupanloup, la società sarà buona, se voi darete una buona educazione alla gioventù; se voi la lascerete andar dietro all'impulso del male, la società sarà pervertita. Quando mi si parla della gioventù, diceva un santo prete, io non voglio che mi si facciano progetti, ma voglio vedere i risultati ottenuti. Ebbene io vi esporrò con semplicità quello che la divina Provvidenza ci ha permesso di fare per la gioventù; i vostri cuori ne saranno inteneriti.

                Voi v'interesserete dei nostri poveri orfani abbandonati. Non solamente noi vogliamo allontanare, allevare, istruire tutti quelli che  abbiamo già raccolti, ma ne vogliamo salvare molti altri. Prima di spiegarvi le nostre opere, v'indicherò come penso di soddisfare al mio debito di riconoscenza verso di voi.

                Per ispeciale favore del Santo Padre, io posso dare a tutti quanti siete radunati alla destra di Dio, per voi e per le vostre famiglie, una benedizione, a cui è annessa l'indulgenza plenaria. Domani io dirò la Messa secondo l'intenzione di tutti coloro che prestano il loro concorso alle nostre opere, e specialmente per le nostre caritatevoli questuanti, per il signor curato e per il clero della parrocchia. Supplicherò Iddio di concedere a voi tutti le sue benedizioni più particolari. Dio vi consoli, vi colmi de' suoi favori e mi aiuti oggi a esprimermi degnamente dinanzi a voi.

                La prima cosa che  si domanda a un uomo che  parla di grandi disegni, è che mostri l'intento della sua opera, il suo scopo. Ciò che gli si domanda dopo, è che indichi il risultato ottenuto. Rispondo alla doppia domanda, spiegando il fine generale dell'opera nostra.

                Parlando della gioventù, io non intendo quella allevata con tante cure nelle famiglie agiate, in collegi od in istituti; ma parlo solamente dei fanciulli abbandonati, dei vagabondi che girano per le vie, per le piazze, per le strade. Parlo solo di questi esseri derelitti, che tosto o tardi diventano il flagello della società e finiscono con andar a popolare le prigioni.

                A Torino, frequentando le carceri per esercitare il mio sacro ministero, constatai la necessità della mia opera. Fra i carcerati trovavo una folla di giovani, nati da genitori mestissimi. Era evidente elle, se quei ragazzi avessero ricevuto una buona educazione, non si sarebbero mai abbandonati al male. Orbene io pensai che se, usciti dal carcere, si lasciavano ancora in balìa di sè, neri potevano noti fare cattiva fine, mentre, occupandosi di loro, radunandoli la domenica, vi era forse ancora modo di ritrarli dal vizio.

                Per ottenere un buon risultato, quando si è senza mezzi, bisogna mettersi all'opera con la più intera fiducia nel Signore! Così abbiamo cominciato l'opera del nostro oratorio festivo; accanto ai nostri giovani [236] scarcerati radunavamo ben tosto tutti i vagabondi. Si giunse a provvedere una casa capace di ricoverarne molti e in capo a un certo tempo si potè cingere di un muro il cortile.

                Allora con l'aiuto di giovani ricchi della città ci si occupò di quei poveri orfani, insegnando loro la musica ed esercitandoli nella corsa, nella ginnastica, nella declamazione in accademie letterarie, e poi dopo la colazione e la merenda si procurarono loro molti onesti divertimenti. I primi frutti ottenuti mi portarono a riconoscere che l'opera veniva da Dio.

                Quando ci fu possibile avere una cappella, vennero alcuni preti ad ascoltare le confessioni dei nostri orfani, e mentre gli uni di questi si divertivano con i collaboratori dell'opera, gli altri si confessavano e comunicavano. All'ora stabilita un colpo di campanello metteva fine ai giuochi e tutti insieme si assisteva ai divini uffizi. In tal maniera il tempo era interamente occupato dalla prima ora del mattino fino a mezzogiorno. A questo punto ognuno ripigliava la sua libertà, ma alle due ci si riuniva di nuovo e il tempo si divideva ancora fra l'assistenza al catechismo, i vespri, la benedizione e la ricreazione.

                I giovani ricchi che si dedicavano alla nostra opera, consacravano gran parte del loro tempo a trovar lavoro per i nostri orfani. Andavano dai padroni, dagli industriali e dai negozianti e ne collocavano un gran numero.

                Tosto ci vennero in aiuto le signore, che s'adoperarono a procurare abiti per i nostri poveri ragazzi.

                [La nostra opera otteneva allora il doppio vantaggio di preservare dal male i vagabondi da noi raccolti e di riabilitare e rassodare dopo la caduta i giovani rimessi in libertà, fuori del carcere]. Fra i vagabondi raccolti a Torino se ne trovavano di quelli molto grandi e molto ignoranti. In breve, quando nell'oratorio si vedevano a contatto con giovanetti già da noi istruiti, si vergognavano della loro ignoranza. Dio ci suggerì l'idea di fare per loro scuole a parte e la sera avemmo spesso la consolazione di radunare da 150 a 2oo giovanotti, che poi arrivavano a domandarci da se stessi di confessarsi e comunicarsi. [Avevamo così la fortuna di salvarli proprio sull'orlo dell'abisso]. Poco dopo dovemmo stabilire scuole diurne.

                Nelle mie corse per la città, incontrando un giovane senza mezzi di sussistenza, gli facevo questa domanda:

                 - Vuoi lavorare?

                 - Si, mi rispondeva, ma non so dove andare.

                 - Te lo indicherò io.

                 - Non mi riceveranno, perchè sono troppo mal vestito.

                 - Vieni con me, ti si vestirà.

                E tutti mi seguivano con piacere. Ecco tutta la storia della fondazione dei nostri oratori, chiamati ospizi od orfanotrofi.

                In seguito intravedemmo la necessità di dare onesti lavoratori [237] alle campagne e in Italia, in Francia e più particolarmente nella Spagna e nell'America organizzammo orfanotrofi agricoli.

                La buona riuscita dei nostri sforzi per i giovani c'indusse a tentare le medesime opere per le giovani e mercè la fondazione della Congregazione delle Suore di Maria Ausiliatrice potemmo riuscirvi.

                La storia delle nostre opere sarebbe troppo lunga; mi limiterò ora a rispondere alla domanda che dentro di voi mi fate. Il risultato ottenuto è consolante? Oh sì, posso rispondere! I nostri ospizi si sono moltiplicati dappertutto, in Italia, in Francia, in Ispagna, ma più specialmente nell'America. Per parlarvi solo di ciò che riguarda la Francia, vi dirò che noi possediamo a Nizza un ospizio di 230 ragazzi. Alla Navarre, nel distretto della Crau, i 120 giovani che si trovano nell'ospizio si occupano nei lavori della terra. A Saint - Cyr, fra Tolone e Marsiglia, abbiamo un vasto orfanotrofio di fanciulle povere e abbandonate. Oltre la chiesa e la scuola, dove stanno tutte insieme, quelle giovani attendono ai diversi lavori proprii della loro condizione. Di giorno lavorano nell'orticoltura, la sera fanno cucito. A Marsiglia il nostro ospizio maschile contiene 300 convittori, e più di 150 giovani ricevuti come esterni sollecitano l'ammissione. [Il posto manca purtroppo, benchè abbiamo costruito vasti edifizi. Per questo lato abbiamo debiti rilevantissimi, che bisogna pagare. Ci si verrà in aiuto, perchè abbiamo lavorato solo per la gloria di Dio, per il bene della società e per la salvezza delle anime].

                A misura che le nostre case si sono andate sviluppando, noi abbiamo costatato da una parte che molti nostri orfani avevano specialissime attitudini agli studi liberali e dall'altra ci siamo veduti nella necessità di aumentare in proporzioni notevoli il numero dei nostri catechisti, dei nostri insegnanti, dei nostri assistenti. [Grazie a Dio abbiamo potuto creare un'opera nuova, che ha conciliati i nostri bisogni con l'interesse personale dei nostri giovani e con l'interesse sociale; e così abbiamo nella nostra casa organizzato corsi superiori d'insegnamento]. In breve abbiamo formato un discreto numero di maestri e d'assistenti per le prime classi.

                Dio ha benedetto la perseveranza dei nostri sforzi e oggi abbiamo dato alla Chiesa e alle nostre opere un numero immenso di sacerdoti che con tutto lo zelo desiderabile dirigono le nostre case. Quanto a quei nostri giovani che non sono chiamati dalla loro vocazione al sacerdozio, ne abbiamo continuata l'educazione secondo le loro attitudini.

                La nostra opera continua oggi, ma già da tempo sia in Italia e in America che in Francia i nostri giovani orfanelli occupano i posti più distinti nelle università e nelle accademie. Hanno trovato da noi, cattedre ordinarie di lettere, di scienze, di diritto, di medicina. In tutte le professioni liberali dov'essi figurano, i giovani da noi allevati si onorano dell'educazione ricevuta. [238] oggi il numero delle case da noi fondate e dirette raggiunge la cifra enorme di cento sessantaquattro. Più di: 150.000 mila giovani vi sono ricevuti e ogni anno il movimento di chi entra e di chi esce varia da 34 a 40.000 Tutti gli anni abbiamo la consolazione di aver cooperato alla salvezza di queste anime, da noi messe in grado di servir Dio, la religione, la patria, la famiglia, la società.

                [Grazie ai giovani da noi allevati e che ci fanno da missionari, le nostre opere pigliano uno sviluppo ogni dì maggiore in Francia, in Italia, in Ispagna, nel Brasile, nella Repubblica Argentina e fin nelle contrade selvagge della Patagonia].

                Se ogni giorno ci allarghiamo, ci troviamo pure ogni giorno alle prese con maggiori difficoltà per procurarci danaro, Finora abbiamo potuto mantenere tutti questi ragazzi. Come ci siamo riusciti? Ecco il gran mistero, che vi debbo palesare. Povero, senza mezzi di sussistenza, come ho potuto io fondare e sostenere queste opere? É il segreto della misericordiosa bontà di Dio. [Egli si è compiaciuto di favorire la mia opera, perchè il bene della società e della Chiesa risiede nella buona educazione della gioventù]. La Santa Vergine è stata per noi realmente Ausiliatrice, perchè a lei dobbiamo i buoni risultati delle nostre fatiche ed essa è che ci ha procurato i mezzi per fabbricare case e chiese. [Noi siamo andati avanti unicamente con la sua protezione; essa benedice chi si occupa della gioventù]

                Ringrazio di tutto cuore voi tutti, che  mi avete ascoltato con tanta attenzione e carità. Ringrazio Maria Ausiliatrice di ogni soccorso da lei datoci. In premio della vostra carità per gli orfani, essa proteggerà i vostri interessi, le vostre famiglie e sarà guida e sostegno dei vostri figli. [Io la prego d'essere sempre nostra madre e di mostrarsi nell'ora della morte nostra alta protettrice]. Sia essa la nostra forza quaggiù, nell'attesa di poterla lodare e benedire nel cielo.

 

                La Semaine Catholique, riportate le parole di Don Bosco, vi fece seguire questo suo commento: “Un'allocuzione così semplice ha affascinato il picciol numero dei privilegiati che la poterono udire; ma l'aria di santità che spirava dall'esteriore del caritatevole sacerdote bastò a infondere nell'intero uditorio un senso di profonda venerazione”. E l'Aubineau nel suo opuscolo: “Sarebbe difficile ascoltare discorso più semplice e a un tempo più efficace. Don Bosco ha rivelato insiememente se stesso, la sua, vita e la sua opera. Chiede per i suoi giovani ed enumera le ragioni che debbono muovere ogni fedele a venirgli in aiuto. Salvando le anime, egli promuove il bene della società ed ha promesse eterne e temporali [239] per quanti lo vogliano aiutare. Porta dappertutto la benedizione del Papa, ma bisogna convenire che porta anche la benedizione di Dio. All'arte di domandare Don Bosco sa unire l'arte di ringraziare; nè si è limitato a ringraziamenti dall'alto del pergamo per quanti gli prestavano il loro concorso, ma disse pure alle signore questuanti che la Vergine Ausiliatrice è la Provveditrice titolare di tutti gli ospizi salesiani e che esse questuando come avevano fatto per la gioventù povera e abbandonata, erano state le coadiutrici della Madre di Dio. Don Bosco è tutto per la sua opera: quanto dice, quanto fa, ha di mira i suoi orfanelli. Altro tema da svolgere non ha, ma ogni cosa lo richiama a quei poveri giovani da vestire, da mantenere, da salvare. Per la salvezza de' suoi orfani abbondano i miracoli nelle mani di Don Bosco, e non è da stupire delle condizioni da lui poste per le diverse grazie che gli si vogliono far ottenere da Dio. Tutto dipende dal sollevare gli orfani e dal cooperare con Gesù Cristo alla salvezza di, quelle anime riscattate col suo Sangue. Far fruttificare il Sangue di Gesù Cristo è l'oggetto della collaborazione domandata da Don Bosco a tutti quanti hanno bisogno per sè delle virtù benefiche, le quali procedono dalla veste del Signore”.

                Anche l'ottimo Clairon di Parigi in un articolo del Meurville intitolato “Un Taumaturgo nel 1883” faceva queste osservazioni: “Don Bosco ha predicato ieri alla Maddalena, e la chiesa era gremita come se si trattasse di ascoltare il più grande oratore. Alle due pomeridiane bisognò chiudere le porte ai nuovi arrivanti, perchè gli uditori si pigiavano già fin sui gradini dell'altar maggiore intentique ora tenebant. Eppure Don Bosco non è un oratore. Parla con difficoltà il francese e la sua voce non possiede la sonorità che scuote le masse, nè il timbro argentino che carezza le orecchie, nè gli accenti che soggiogano i cuori. Ha gesto sobrio e lento, sguardo velato e senza lampi; tutto il suo esteriore spira dolcezza, semplicità e umiltà cristiana. Con questo scarso bagaglio oratorio egli affrontò il pubblico parigino così scettico, così [240] sensibile al fascino della parola, che per lui tutte le belle doti dell'ingegno si riassumono nell'eloquenza, e un bel parlatore è a' suoi occhi tutto quello ch'ei voglia essere: uomo di Stato, generale, finanziere e all'occorrenza tutto questo insieme [ ….. ]. Si udiva a stento, si capiva appena, ma la sua idea si era impadronita della moltitudine e - la grandezza della sua opera sfolgorava luminosa nel tempio, formando come un'aureola intorno alla fronte di colui, che con niente aveva compiute cose tali”[195].

                Dopo la conferenza, mentr'egli si avviava dal pulpito alla sacrestia, fu un vero spettacolo di fede: tutti di mano in mano inchinarsi per ricevei ne la benedizione, le madri presentargli i figli perchè li benedicesse, molti fargli benedire oggetti religiosi o cercare di toccargli l'abito. I personaggi più ragguardevoli, e non erano pochi, lo aspettavano nella sacrestia, sperando di ottenere qualche minuto di udienza. “Il buon Padre, scriveva la Semaine Catholique, con la calma e la semplicità dei Santi, che a Dio riferiscono gli attestati di rispetto e di fiducia, a cui son fatti segno, riceveva in una cameretta”. Il redattore del periodico potè essere ammesso a leggergli alcuni passi della conferenza da lui stenografati, ma non con sicurezza afferrati. “L'affabilità di lui, continua egli nell'articolo che è suo, avvince talmente che, pensando ai tanti che stavano fuori in attesa, ci siam dovuti far violenza per istrapparci al fascino della conversazione di quell'uomo, così grande per le sue opere e nondimeno così affettuoso, così affabile, così pieno di compassione verso lo sconosciuto, che gli aveva lasciato intravedere una sua pena intima e senza conforto su questa terra”.

                I nove decimi degli uditori erano usciti dal tempio facendo voti di poter almeno leggere le cose che non avevano potuto intendere; al loro desiderio soddisfecero largamente i giornali, attingendo soprattutto alla Gazette de France. [241]

                Le questuanti encomiate da Don Bosco appartenevano alla prima nobiltà parigina[196]. Collocatesi presso tutte le uscite della chiesa, raccolsero quindicimila franchi.

                Alla Maddalena Don Bosco ebbe un uditore già illustre, ma che doveva illustrarsi ognor più fino ai giorni nostri, il futuro cardinale Pietro Gasparri, allora professore assai riputato di diritto canonico nell'Istituto Cattolico parigino. Egli era là per una missione, a cui sembrava il più indicato, specialmente perchè italiano: per incarico del Rettore monsignor D'Hulst doveva cogliere Don Bosco nella sacrestia dopo la conferenza e condurlo in via Assas a un pranzo, che un gruppo di professori dava in suo onore. Il vecchio Cardinale, onusto ormai di tanta gloria, gioiva a cinquant'anni di distanza, riandando il fatto e descrivendo la difficoltà dell'impresa. La folla, diceva egli, assediava Don Bosco da ogni parte. Chi gli chiedeva una benedizione o un ricordo nelle sue preghiere, chi gli domandava una medaglia, chi gli metteva in mano un’offerta. La calca era superiore a ogni immaginazione. Il povero Don Bosco, sballottato in tutti i sensi, indulgeva con inalterabile buona grazia a tutte quelle pie indiscrezioni.

                L'inviato dovette pazientare a lungo per fare il suo colpo; ma potè strappare il Santo alla piena dei blasonati d'ambo i sessi, che lo tenevano prigioniero, e spingerlo sopra una democraticissima carrozzella di piazza. Non s'andò direttamente all'Istituto, perchè prima Don Bosco doveva visitare un fanciullo infermo. A mensa allietò i convitati con il suo dolce conversare. - Con il suo francese comme ci comme ça, disse Sua Eminenza, in un colloquio al quale assisteva anche chi ora scrive, si faceva capire ottimamente. - Appresso vi fu un ricevimento nell'aula magna con tutti i professori e quasi tutti gli allievi. Pregato di parlare, lo fece con grande semplicità, narrando l'origine della sua opera e le difficoltà [242] incontrate e vinte. Tutti pendevano dal suo labbro. Quando il vocabolo non gli veniva, si piegava da un lato e interrogava un vicino: - Come si dice questo in francese? - Udito il termine, lo ripeteva. C'ètait délicieux, concluse il Cardinale; le succès fut très grand[197].

                Nella sera stessa portò una grande consolazione in una nobile famiglia. Madama Du Plessis aveva una nipotina di appena ventisei mesi presa da una ipertosse con pericolose complicazioni, che facevano pronosticare ai medici una triste fine. La nonna, per mezzo della De Combaud, aveva ottenuto da Don Bosco la promessa di una visita all'inferma. Andò ella medesima a prenderlo con la sua carrozza, accompagnato dal segretario. Nel palazzo trovò i genitori della piccola inferma immersi nel pianto. Da poco avevano perduto anche un figlio. Il Santo condotto al letto della piccina, fece una breve preghiera; poi invitò a pregare anche i parenti e gli astanti. Mentre si pregava, egli di botto si arrestò e voltosi al signor Du Plessis: - Non basta, disse, che preghino gli altri; bisogna che preghi anche il padre. - Finalmente mise al collo della bambina una medaglia di Maria Ausiliatrice, dicendo: - Non è grave come credono. - Partito ch'ei fu, la bambina era dichiarata fuori di pericolo, ed è la vivente contessa Carla Du Reau de la Gaignormière, che ha ereditato dalla sua famiglia una grande divozione al Servo di Dio[198].

                Il 3o aprile, adempiendo la sua promessa, celebrò alla [243] Maddalena per le signore della questua e per tutti i benefattori delle sue opere. Volendo usare un riguardo alla qualità delle persone che vi dovevano assistere, fissò la Messa alle nove e mezzo e dopo impartì la benedizione con l'indulgenza plenaria. Brevi parole volle dire dall'altare sulla carità; ma soltanto i più vicini ebbero la sorte di udirle. Nulla ripeteremo del concorso, che fu anche allora come al solito; narreremo invece un fatto avvenuto poco prima che il Servo di Dio giungesse alla chiesa[199].

                Quella mattina era andato a prendere Don Bosco sul corso Messina l'abate De Bonnefoy, vicecurato di S. Rocco e poi Vescovo di La Rochelle, che predicava un triduo alla Maddalena ed erasi obbligato a condurre il Santo da un'ammalata. Si trattava di etisia all'ultimo stadio; in una crisi di poc'anzi l'inferma aveva ricevuto gli estremi Sacramenti, nè sembrava dover tardare molto la fine. Il pio abate insinuò nella madre e nella figlia etica la speranza, che dalla benedizione di Don Bosco potesse venire la salute. Il Servo di Dio, appressatosi al letto, domandò alla giovane:

                 - Avete fede?

                 - Sì, padre, rispose per la moribonda la madre, noi abbiamo pienamente fede.

                 - Se avete fede, guarirete, perchè la fede può trasportare le montagne. Direte dunque ogni giorno un Pater, Ave e Gloria in onore del Cuore misericordioso di Gesù e una Salve Regina perchè Maria Ausiliatrice vi prenda sotto la sua protezione. Farete così fino alla festa dell'Assunzione.

                 - Padre, ripigliò con vivacità la signora un po' delusa nella sua aspettazione a motivo del lungo termine prescritto alla preghiera, e se lei prendesse per mano la mia figlia e la guarisse subito?

                 - Mi lasci dire, le rispose Don Bosco un po' severamente [244] e facendo un gesto negativo col capo... Io pregherò per voi, farò pregare anche i miei giovani ed ora, celebrando la Messa alla Maddalena, vi ricorderò in modo speciale.. Addio, figliuola.

                Così dicendo, uscì dalla stanza e nell'andarsene avvertì la madre che lo accompagnava: - Non dimentichi la mia grande famiglia. - La signora però lo aveva già prevenuto, consegnando nascostamente all'abate De Bonnefoy una busta con un biglietto di banca dentro e con una soprascritta invocante la grazia della guarigione; ma l'atto era sfuggito au Pieux italien. Sull'ultimo gradino della scala Don Bosco la pregò di risalire, salutandola con un dolce augurio: - La pace di Dio sia sopra di lei e sopra della sua casa.

                La malattia continuava il suo corso; la povera sedicenne si dibatteva sempre fra la vita e la morte. Una magrezza spaventosa la ridusse letteralmente uno scheletro. Fino al 15 agosto fu un succedersi di alti e bassi. La mattina della solennità la madre e un suo figlio stavano per recarsi alla Messa, quando un grido echeggiò per tutta la casa. L'inferma, pochi minuti prima assopita, gridava con voce forte e allegra; - Mamma, mamma, sono guarita! - Corre la madre e la vede rosea e gaia che si veste da sè, gesticolando e cantando. Non crede ai propri occhi; ma tosto vede altro ancora. Senza toccar cibo, senz'appoggio di sorta, senz'aiuto di nessun genere la figlia s'incammina alla chiesa, si confessa e fa la comunione fra lo stupore di quanti conoscevano il suo stato. La guarigione fu tanto reale, perfetta e duratura, che nel 1898 madama Margherita (così la si chiamava di nome; non ne conosciamo il cognome) era madre di tre bambini, sani e robusti.

                Un altro Comitato di nobili dame con biglietti d'invito[200] annunziava Messa e conferenza di Don Bosco per le nove del I° maggio nella chiesa di S. Sulpizio; ma quand'egli giunse, erano già scoccate le dieci. La fitta moltitudine che aveva [245] pazientato tanto, pazientò ancora al veder comparire invece di lui sul pulpito il curato per avvertire che la grande stanchezza impediva a Don Bosco di tenere la conferenza e che per lo stesso motivo non avrebbe potuto dare a tutti la santa Comunione. Egli però al Vangelo si voltò e volle fare almeno un fervorino. La sua voce arrivava alla minima parte del numeroso uditorio; tutti per altro, scrive l'Aubineau[201], “contemplavano l'uomo di Dio, la cui persona aveva un'eloquenza fatta di semplicità, di modestia, di umiltà, di abbandono in Dio e di proprio oblio; il che tutto s'irradiava da lui, aureolandone le modeste sembianze”. La Gazette de France nel numero straordinario già citato riferì le brevissime parole da lui pronunziate e[202] che noi qui riportiamo tradotte.

 

                Con grande mia consolazione veggo questa moltitudine di buoni cattolici, formati così bene in questa parrocchia alla pratica della religione. La religione è l'unico solido conforto fra le miserie e le afflizioni di questa vita; essa sola ci assicura inoltre la felicità dopo la morte. Continuate a esserle fedeli e perciò comunicatevi sovente. Perseverate nelle vostre tradizioni di generosa carità per tutte le opere buone. La più importante è la cristiana educazione della gioventù. Cominciate dalle vostre proprie famiglie: allevate bene i figliuoli. Date buoni consigli a quanti potete conoscere. Se presso di voi si trova qualche orfano, prendetevene una cura particolarissima, insegnategli a servir Dio, aiutatelo a evitare le tentazioni del vizio. Mi dispiace di non potervi esporre l'opera, in favore della quale io vengo a chiedervi limosine. Essa consiste nel raccogliere fanciulli orfani e vagabondi per farne buoni cittadini e buoni cristiani. Con la grazia di Dio e mercè la protezione della Santa Vergine noi abbiamo potuto raccogliere e allevare centinaia di migliaia di questi fanciulli poveri e abbandonati. Le vostre limosine mi serviranno per continuare e sviluppare quest'opera buona. Così voi vi otterrete le benedizioni di Dio. Quando entrerete in cielo, Egli vi mostrerà le anime, che anche voi avrete contribuito a farvi entrare. Allora proverete la verità di quelle parole: Animam salvasti, , tuam praedestinasti; chi salva un'anima assicura la propria salvezza. [246]

                L'accenno all'efficacia dell'opera parrocchiale non gli venne fatto per mero complimento; poichè egli sapeva quanto la parrocchia di S. Sulpizio fosse rinomata per il suo spirito di fede e di pietà, che  le ha meritato il titolo di regina delle parrocchie.

                Sei preti andarono subito in giro per la questua. La comunione durò solo mezz'ora, perchè alcuni sacerdoti lo aiutarono. Faceva pena il vederlo scendere dall'altare e avviarsi alla sacrestia fra parecchi che facevano a gara per sorreggerlo. Un vecchio venerando, inginocchiato sul suo passaggio, gli prese la mano e gliela portò sul capo de' suoi due figli, quasi pegno di celeste benedizione.

                A mezzogiorno gli accessi alla sacrestia erano ancora assediati dalla gente; non pochi aspettavano che uscisse per presentargli ammalati. La sua vettura, quand'essa finalmente si mosse per portarlo dalla signora Vendryès, fu circondata da tanti, che doveva avanzarsi con gran lentezza; qua e là gruppi di persone s'inginocchiavano per esser e da lui benedette. Un giornale religioso[203], informando di queste dimostrazioni i suoi lettori vicini e lontani, scriveva: “Questo personaggio straordinario, il cui nome risuona sulle labbra di tutti e del quale i pubblici fogli raccontano meraviglie, che  si direbbero cose da leggenda, è un uomo di statura media, con fisionomia veneranda, ma semplice, con un andare malsicuro, con un corpo debole; lo giudicheremmo esausto di forze, se il nostro sguardo non fosse rapito dalla vista di quella testa vigorosa e asciutta, di quegli occhi brillanti e profondi, nei quali si legge la calma, l'energia, la fede. Non è eloquente, ha voce fioca e pochi lo sentono; ma nella sua persona egli riflette la santità e lo spirito caritatevole di Nostro Signore Gesù Cristo. Il suo motto è: Tutto di Dio, tutto da Dio, tutto per Dio. Tutta l'energia dell'anima e tutta la forza del suo essere sono da lui consacrate al servizio di Dio e del prossimo”. [247]

                Lungo la via Sèvres, una delle arterie più aristocratiche di Parigi, spesseggiano chiese, case religiose, istituti educativi, opere cattoliche; aveva sua sede in essa presso i Lazzaristi anche il Patronato degli orfanotrofi, il cui scopo era di favorire e sviluppare gli Enti destinati ad accogliere poveri orfanelli di campagna per farne buoni cristiani e utili agricoltori od orticoltori. L'opera non ricoverava, ma collocava in orfanotrofi adatti i fanciulli e distribuiva sussidi annuali a direttori di ospizi agricoli, che fossero organizzati in modo soddisfacente, soprattutto quando si trattasse di fondazioni recenti e di tipo rurale. Le entrate erano costituite da lasciti e doni di benefattori, da collette e dal prodotto di un'annua questua. Il marchese di Gonvello, promotore zelante e generoso dell'opera, aveva stabilito che i suoi aderenti che si dedicavano così all'adozione dell'infanzia, potessero ascoltare il prete che tutta la sua vita consacrava alla redenzione della gioventù abbandonata; procurò dunque che si tenesse una solenne riunione presieduta da Don Bosco.

                A S. Lazzaro gl'invitati ebbero il vantaggio di trovarsi come in famiglia, al riparo dagli affollamenti, che solevano prodursi intorno a Don Bosco nei luoghi aperti al pubblico; poterono quindi vederlo e udirlo tutti a loro bell'agio. L'adunanza fu aperta verso le due e mezzo del I° maggio. Don Bosco, seduto nel fondo della sala, aveva a destra il Comitato delle dame patronesse con a capo la Duchessa di Reggio e a sinistra il Comitato dei membri fondatori, fra i quali monsignor Du Fougerais, presidente dell'opera e direttore della Santa Infanzia. Gli astanti gustarono tutti grandemente le parole del Santo. Fu notato che le nobili dame tenevano in mano per consegnarli a lui foglietti scritti a matita o a penna e contenenti i loro desiderata, richieste cioè di preghiere per guarigioni, per conforti, per grazie spirituali, per mille cose. Egli parlò così[204]: [248]

 

                               Monsignore, Signori,

 

                Ciò che costituisce la bontà di questa riunione è il suo collegarsi alla grande opera, che oggi mi porge occasione d'indirizzarvi qualche parola. Io non so come conciliare le due cose: la nostra opera è opera di povertà e di miseria e qui mi sembra che tutto sia ricchezza e abbondanza. É vero non di meno che per condurre a buon termine un'opera sì bella e grande due cose si richiedono: da una parte la ricchezza che dà e la carità che largheggia, e dall'altra la povertà che riceve con riconoscenza questa carità.

                Ebbene, ecco appunto quello che oggidì trovo a profusione e da ogni parte nella grande città di Parigi. Lo vedo qui in questo momento e specialmente in lei, Monsignore, che già tante volte ha dato prova della sua bontà e carità nella città della sua diocesi. Ma ha fatto ancora di più: ha voluto onorare talvolta con la sua presenza la città di Torino. Questo è, mi permetta di dirglielo, un favore, del quale noi serberemo sempre il più profondo e caro ricordo.

                Ed ora che cosa vi può dire di più un povero prete come me, che si sa appena esprimere e far capire nella vostra lingua francese? Altro non può fare che darvi la sua benedizione. Il Signore Onnipotente vi conceda il coraggio necessario per affrontare le battaglie della vita e vi dia il coraggio di confessare e difendere dappertutto e sempre la verità; ve lo doni specialmente in questo momento, nel quale abbiamo tanto bisogno di cattolici e buoni cattolici! Nell'ora presente non con le armi guerriere nè con la violenza nè con mezzi simili deve il buon cattolico difendere la religione; quello che bisogna fare è sforzarsi con il buon esempio e con la pratica di tutte le virtù per conciliare tutti i cuori a questa religione, alla quale abbiamo la fortuna di appartenere.

                Sotto questo aspetto io rivolgo tutti i miei ringraziamenti a Monsignore, che accorda la sua amorevole carità alla nostra grande opera e l'accorda in maniera specialissima alle opere agricole. Intendo parlare di Saint - Cyr presso Tolone; poi di Marsiglia, dove esiste una gran casa per artigiani della maìtrise e per studenti poveri; della Navarre, dedicata interamente ai fanciulli poveri della campagna; di Nizza infine, dove si ricevono poveri giovani di piazza e di strada, tutti quelli pericolanti e che, se non trovano una mano soccorrevole che li raccolga, sono destinati a diventare in brevissimo tempo il flagello della società. Sono quelli che riempiranno le prigioni e che diverran presto non più solamente infelici, ma purtroppo, lo ripeto, il flagello della società in generale e della famiglia in particolare.

                Ecco quali sono le opere che la vostra società protegge e che Monsignore nella sua bontà dirige.

                Ebbene Monsignore, Dio nella sua divina clemenza la benedica, le conceda lunghi giorni felici, le conceda di consacrarli alla protezione [249] delle opere cattoliche, a opere di pace e di concordia: le permetta Egli di vedere ciò che più ardentemente desidera, cioè, il quotidiano moltiplicarsi di tutte le opere giovanili, opere che sono l'onore della Francia e di tutti i Francesi. Dio protegga questa bella e nobile Francia! Egli la salvi, le doni la pubblica pace e tranquillità e conceda a noi, Monsignore, di veder lei nel giorno estremo portato sulle ali degli angeli dalla terra al paradiso. Grazie alla divina protezione del Signore tutte queste opere di carità da lei ora intraprese siano come una semenza di bene, semenza che fruttificherà ogni dì più e formerà in terra la gloria della Francia e di tutti i buoni cattolici.

 

                Com'egli ebbe finito, monsignor Presidente con parole che gli sgorgavano dal cuore, espose lo scopo dell'opera a favore degli orfanotrofi agricoli, lodò la generosità dei dirigenti e mostrò la dura necessità della lotta che la Chiesa doveva sostenere contro l'empietà per difendere le anime dei fanciulli. Da ultimo invitò Don Bosco a benedire l'assemblea. Il Santo prontamente acconsentì, ma innanzi tutto riprese a dire: Prima di darvi la benedizione vi domando il permesso di dirvi ancora una parola. In questo momento io conosco ancor meglio, se è possibile, la grandezza dell'opera, della quale voi siete i patroni e i protettori e della quale io ebbi già più volte occasione di avvantaggiarmi. Oggi poi mi trovo nella circostanza di poter raccomandare maggiormente le sorti di quest'opera rigeneratrice, opera che è già al presente e sarà ancor più in avvenire una fortuna per la società. La vostra opera è ben nota al nostro Santissimo Padre. L'ultima volta che ebbi il grande onore di vederlo, m'incaricò di darvi o piuttosto di trasmettervi la sua particolare benedizione, e di assicurarvi che nella Messa vi raccomanderà sempre a Dio. Io dunque secondo l'intenzione del Santo Padre vi dò ora la santa benedizione. - Tutta l'assemblea era commossa. Mentr'egli parlava, si vedevano sulle guance a molti scorrer lacrime. “Don Bosco, scriveva l'organo mensile dell'opera[205], parla con un po' di stento la nostra lingua francese; ma vi è nel suo dire [250] un'intensità di carità e di fede, che va al cuore”. Anche il Figaro del 2 maggio, dando notizia del trattenimento, ne prese motivo per parlare del soggiorno di Don Bosco a Parigi e lo fece in termini simpatici, rappresentando il Servo di Dio nel suo aspetto semplice e modesto, sans affèterie, sans pompe, sans phrases.

                In quella casa madre della Missione un religioso di sessantatrè anni, il padre Duhlleux, era quasi agli estremi. Suo fratello, confidando nel potere soprannaturale di Don Bosco, glielo condusse nell'infermeria.

                 - Vorrei vivere per vedere la prosperità della Congregazione, disse con un filo di voce l'infermo.

                 - La potrà vedere da altro luogo, gli rispose il Santo, che però seppe condire la sua    risposta con parole di conforto e con la sua benedizione.

                Il malato cessò di vivere il giorno appresso[206].

                Dimorava presso i Lazzaristi un prelato assai popolare in tutta la Francia, monsignor Freppel, vescovo di Angers e deputato del Finisterre. Venendo a Parigi quand'era aperto il Parlamento, soleva allora prendere alloggio nella casa dei Figli di S. Vincenzo. Egli desiderava vivamente di avere un incontro con Don Bosco. Il Santo, saputo questo, andò a visitarlo e stette con lui in privato colloquio per circa mezz'ora[207]. L'impressione riportata da Monsignore dovette essere eccellente, se l'anno dopo, come vedremo, fece di lui uno splendido elogio nella Camera dei Deputati.

                In un'altra chiesa, singolarmente cara ai cattolici francesi e alla nobiltà parigina, portò Don Bosco la sua desiderata parola: nella chiesa di S. Clotilde, della Santa che con le sue virtù indusse il re dei Fianchi Clodoveo, suo marito, a farsi cristiano. Vi parlò la mattina del 3 maggio, festa dell'Ascensione, [251] dopo avervi celebrata la Messa. Non disse quasi niente di nuovo, ma ripetè sostanzialmente le cose dette alla Maddalena. Tanti accorsero ad ascoltarlo, che c'era quasi da soffocare. Vi furono molti che fecero la comunione. Abbondante fu la questua. Quello che avvenne dopo, è stato già descritto[208]; si narrò pure altrove d'una apparizione di Luigi Colle[209].

                Passato l'intermezzo di Lilla, dal 5 al 16 maggio, subito il giorno dopo che tornò alla capitale, tenne conferenza nella vasta chiesa di S Agostino dinanzi a un uditorio serrato e divoto. Fin verso il termine ragionò della sua opera, come aveva fatto precedentemente; ma nella chiusa manifestò i suoi disegni per Parigi dicendo:

 

                Spero che le pie signore e i signori di questa grande e così caritatevole città di Parigi ci verranno in aiuto per stabilire qui una casa di questo genere. É una cosa che s'invoca da ogni parte. C'è modo di stabilire anche a Parigi una casa come quelle di Marsiglia, di Nizza, di Torino. Io credo che si potrà stabilirne qui una che sarà in grado di soddisfare a tutti i bisogni. Non chiedo per ora grandi mezzi; adesso desidero solo di essere aiutato per far acquisto di un terreno e fabbricare una casa, che ricovererà questi poveri ragazzi.

                É un'opera grande, o piuttosto un'opera piccola, perchè desidero che sia un'opera semplice e che non faccia rumore. Tutti i vagabondi, in un certo momento, sono a carico dell'autorità, e da piccoli ladri che già sono, non tardano a diventar grandi.

                Si spera che la città di Parigi, venuta tante volte in aiuto alle nostre opere, benchè stabilite lontano di qui, questa volta ci darà soccorso per fondare uno stabilimento, in cui raccogliere i giovani, che dì e notte arrecano molestie alle persone da bene.

                il Signore ricompenserà largamente quanto voi farete, e la società ve ne sarà grata. Inoltre i giovani che per le nostre cure saranno col vostro aiuto salvati, vi benediranno. Presentandoci a Dio per essere giudicati, queste anime diranno: - Sono i nostri benefattori, che impiegarono tempo e denaro per salvare le nostre anime; se siamo salvi, lo dobbiamo a loro. Ebbene, ora, o grande Iddio, usate la misericordia da voi promessa nel Vangelo. Poichè essi aiutaron noi a salvarci, siano eglino pure salvi. [252]

                Mentre i giornali davan notizia di questa conferenza[210], il Figaro del 18 pubblicava un lungo e serio articolo, che il già a noi noto Saint - Genest, di passaggio per Torino, aveva inviato di là il 14 e che terminava così: “Il vero modo di onorare Don Bosco in Francia non è di acclamarlo per le vie nè di tagliargli brandelli del vestito, ma di fare come lui”[211]. Già però il Petit Moniteur aveva scritto: “Don Bosco ha dischiuso dinanzi ai nostri occhi orizzonti nuovi ed ha guadagnato alla sua opera il fior fiore di Parigi. Per merito suo, l'apostolato della carità conta ormai in mezzo a noi nobili e valorosi fautori”[212].

                Drammatica riuscì inaspettatamente la conferenza nel 21 nella chiesa di S. Pietro, detta del Gros - Caillu, per solito molto frequentata dall'aristocrazia parigina e per quell'occasione stipatissima. Don Bosco giunse alle sei pomeridiane. Era così spossato, che a mala pena si reggeva in piedi. In tali condizioni come avrebbe potuto fare una conferenza? Ma in luogo di lui altri la fece.

                Reduce dall'Africa, si trovava da pochi giorni a Parigi il cardinale Lavigerie, arcivescovo della risolta Chiesa di Cartagine e fondatore dei Padri Bianchi. Conosceva Don Bosco da lunga data. Saputolo a Parigi, lo cercò in più parti, finchè, scoperto dov'era, là si diresse e per la porta maggiore e nella severa maestà della porpora romana entrò improvvisamente in chiesa, mentre si dava principio a una preghiera, preludio alla parlata del Santo. Fu un'apparizione. Il Porporato montò senz'altro in pulpito. Popolare in tutta la Francia, [253] popolarissimo a Parigi, veniva di fatto a rendergli l'omaggio della sua popolarità. Quello che disse è un modello di opportunità e di accorgimento.

 

                Dal momento che seppi, fratelli miei, la presenza a Parigi del Vincenzo de' Paoli italiano, io ho avuto un sol desiderio, quello d'incontrarmi con lui in una nostra chiesa e di raccomandare le sue opere alla carità dei cattolici. Queste opere io le vidi cominciare a Torino, poi dilatarsi, penetrare in Francia e divenire vincolo scambievole di beneficenza e di pace fra i cattolici delle nostre due nazioni.

                Voi compierete quest'opera di ravvicinamento, carissimi fratelli, venendo in aiuto a quest'umile e santo prete. Bisogna che, rientrando in patria, egli possa dire che la Francia è sempre fedele alla sua grande missione, che essa protegge tutti coloro che soffrono, senza distinzione di schiatta.

                Io abito una terra, dove il Vincenzo de' Paoli francese visse già per due anni ridotto in schiavitù. Oggi per la Tunisia c'è bisogno di un S. Vincenzo de' Paoli novello. Vi sia condotto non con violenza, ma dall'amore. E questo S. Vincenzo de' Paoli siete voi, carissimo Padre; poichè con la vostra famiglia religiosa, mezzo italiana e mezzo francese, voi meglio d'ogni altro compierete l'opera necessaria

                Là, del resto, c'è il posto assegnato per voi, Finora sono italiane le famiglie che  popolano quasi sole, il gran paese deserto, posto ormai sotto la generosa protezione della Francia. A quelle famiglie io voglio bene, essendone il pastore, e vorrei loro mostrarlo col sollevarne tutte le miserie. Ora troppo spesso voi Italiani che espatriate, soccombete anzi tempo, come accade nelle colonie. Ci bisognerebbe poter raccogliere gli orfani ed anche tutti i fanciulli privi di necessario sostegno.

                Padre degli orfani d'Italia, venite: io fo appello al vostro cuore, che ha già risposto alla voce dell'Europa e dell'America; ecco l'Africa che gli presenta i suoi figli abbandonati, tendendogli le braccia. La vostra carità è tanto grande da poterli accogliere. Questi fanciulli sono in massima parte della vostra Italia. Inviate loro i vostri figli, che con voce armoniosa parleranno ad essi insiememente della terra loro e della nostra. Li ameremo insieme, insegnando loro a benedire il nome di Dio e quel della Francia.

                Fratelli, date largamente a questo santo prete; voi darete in pari tempo alle missioni d'Africa, perchè Don Bosco andrà loro in soccorso.

                Non si saprebbe dire se gli astanti, con tutta la loro ammirazione per l'eminente Prelato, fossero proprio contenti di udire lui invece di Don Bosco, testimoni oculari affermano che tutti gli sguardi non si staccarono mai interamente dal [254] Santo, che raccolto e modesto se ne stava seduto in faccia al pulpito; anche quando udiva il panegirico della sua persona, egli non si scompose menomamente Dopo si alzò, fece alcuni passi verso il mezzo della balaustra, inchinò il Cardinale e, accennato con la mano di voler parlare, disse così[213]:

 

                Io mi trovo in vero imbarazzo e in mia grande confusione. Dovrei poter rispondere in modo conveniente al signor Cardinale; ma per questo mi occorrerebbe la sua eloquenza, e io non so parlare. Tuttavia bisogna bene che io parli a Sua Eminenza e che lo ringrazi di tutti gli elogi fatti a me e alle mie opere. Debbo dire anzitutto che delle cose dette intorno alla mia persona molte non sono vere. Egli le ha guardate attraverso la bontà del suo cuore e, voi lo sapete, quando si esaminano piccoli oggetti col microscopio, questi prendono subito grandi proporzioni e sembrano immensi.

                Ringrazio tuttavia Sua Eminenza delle sue cortesie. Il Signor Cardinale è stato sempre per la famiglia salesiana un padre, un benefattore e un amico. Quindi la nostra riconoscenza è illimitata e se noi potremo fare qualche cosa per le opere grandiose di Sua Eminenza, lo faremo.

                lo sono nelle sue mani, Eminenza, per compiere in Africa tutto quello che la Provvidenza divina domanderà da me. Sì, Eminenza, sì, stia pur persuaso che, se noi possiamo fare qualche cosa in Africa, tutta la famiglia salesiana è con me a disposizione dell'Eminenza Vostra. Manderò colà i miei figli, ne manderò d'Italiani e di Francesi.

                Fratelli, voi sapete che noi viviamo di elemosine e che le nostre opere si sostengono per mezzo della carità; in questo momento, per mezzo della carità francese, della carità parigina. Io ho già visto che la Francia è sempre la grande nazione cattolica, pronta sempre e generosa ad aiutare le opere di beneficenza; quindi noi siamo pieni di riconoscenza del concorso che avete già prestato e che presterete ancora ai nostri ospizi di carità.

 

                Il biografo del Cardinale scrive[214]: “Furono poche parole semplicissime, pronunciate con voce debole e in povera lingua. Ben pochi le poterono afferrare; ma tutti, o quasi, avevano le lacrime agli occhi. Ben raramente si vide un contrasto quale presentarono in quel giorno quei due uomini e quelle due parolate”. [255]

                Dopo la cerimonia, il grosso del pubblico sfollò; ma le dame presero dalla parte della sacrestia, bramose di vedere Don Bosco da vicino e di essere da lui benedette in particolare. Don Bosco però alle loro insistenze rispondeva con segni di diniego. Finalmente con tutta umiltà disse: - lo non posso dare la mia benedizione qui davanti a Sua Eminenza; non sarebbe secondo l'ordine, non sarebbe rispettoso. Il Primate d'Africa, accortosi del suo imbarazzo, in bella maniera si ritirò.

                Drammaticamente per altro verso finì pure una conferenza, tenuta senza dubbio fra il 22 e il 25 maggio; ma in quale chiesa o meglio cappella, chi registrò il fatto, non ebbe cura di notarlo. Don Bosco parlava di Maria Ausiliatrice e ripeteva cosa da lui detta e ridetta già le tante volte: non essere egli l'autore delle meraviglie attribuitegli, bensì a Maria Ausiliatrice doversene saper grado; essa, come aveva dato origine, così continuar a dare incremento ad un'opera suscitata per il bene della gioventù; essere la Madonna che otteneva le grazie e ottenerne un numero incalcolabile. Mentr'egli così diceva, un signore si alzò e domandò la parola; indi narrò d'un povero padre di famiglia che aveva la moglie da più anni gravemente inferma d'idropisia e un figlio agli estremi e già munito dell'Olio Santo. Descrisse lo strazio di quel padre, poi la sua speranza nell'efficacia della benedizione di Don Bosco, infine la gioia di lui quando si vide moglie e figlio risanati e li accompagnò in chiesa ad ascoltare la Messa. - Sì, protestò egli, tanta grazia si deve attribuire alla Madonna, ma per le preghiere di Don Bosco. - Il Santo ascoltava intenerito; intensamente commosso era l'uditorio. Ma la commozione arrivò al colmo, quando colui, rompendo in lagrime, fino allora frenate a stento, esclamò: - Sapete chi è questo marito, questo padre fortunato? Sono io, Portalis. - Antonio Lefèvre - Portalis era ex - deputato del Parlamento Nazionale. Don Bosco non aggiunse più parola; ma, lasciato a mezzo il suo discorso, si ritirò. A dir vero, non occorreva [256] aggiungere altro: quel signore aveva parlato più che a sufficienza[215].

                Ormai quello che si poteva dire intorno alla dimora di Don Bosco a Parigi, l'abbiamo detto tutto. Accolto trionfalmente in ogni dove, egli spese le sue giornate nel ricevere un'infinità di persone, nel fare visite numerose e nel tenere parecchie pubbliche conferenze. Pare quasi incredibile che il tempo gli sia bastato a tanto; ma un'altra cosa ci sorprende ancor più, ed è che a tanto gli siano bastate le forze. Che poi, nonostante la scarsa resistenza fisica, una così continua e così prolungata tensione d'animo non gli abbia neppure un istante scemata l'abituale tranquillità dello spirito, è indizio d'un sì eroico dominio di sè, che ha veramente del sovrumano. Anche questo va messo fra i suoi miracoli parigini.

                Partì da Parigi il sabato 26 maggio verso le nove del mattino, non il 25, come si asserisce altrove[216]. Per evitare contrattempi non aveva fatto conoscere l'ora della partenza; giunto poi alla stazione, lasciando che il segretario pigliasse i biglietti, attraversò subito le, sale e andò difilato al treno. Senonchè alcuni viaggiatori che aspettavano una corsa seguente, lo riconobbero e la voce corse, di modo che davanti al suo scompartimento si formò un crocchio di persone, che ben tosto attirò l'attenzione generale. Forse a nessuno il nome di Don Bosco sonava interamente nuovo; per altro, la vista di quel prete così alla buona e così corteggiato incuriosì anche gl'impiegati della ferrovia. - Don Bosco, l'operatore di miracoli! - si rispondeva senza più a chi interrogava. Quando il treno si mosse, i saluti furono calorosi, ed egli con la sua bonarietà e grazia si affacciò a ringraziare nei presenti anche tutti i loro concittadini. Il Servo di Dio lasciava nell'immensa capitale larga eredità di affetto, ma portava anche in cuore i più graditi e indelebili ricordi. [257]

                Per buon tratto di via stette in silenzioso raccoglimento. Anche Don Rua e Don De Barruel tacevano, immersi in un'onda di sentimenti, che li rendevano cogitabondi. Quante cose viste e quante udite! che laboriose giornate! come il loro buon Padre era stato onorato da ogni ceto di persone quali prodigi aveva operati per suo mezzo Maria Ausiliatrice! Finalmente la parola di Don Bosco li riscosse per dir loro: - Cosa singolare! Ricordi, Don Rua, la strada che conduce da Buttigliera a Murialdo? Là a destra vi è una collina e sulla collina una casetta e dalla casetta alla strada si stende giù per il declivio un prato. Quella misera casuccia era l'abitazione mia e di mia madre; in quel prato io ragazzo menava due vacche al pascolo. Se tutti quei signori sapessero che han portato così in trionfo un povero contadino dei Becchi, eh ?... Scherzi della Provvidenza!

                Si venne quindi a parlare dei due opuscoli scritti uno dall'Aubineau e l'altro dall'ex - magistrato anonimo, che si vendevano a profitto dell’Opera e che erano ricercatissimi, come pure i suoi ritratti. Don Bosco ascoltava senz'aprir bocca nè fate alcun segno, da cui si potesse capire che cosa pensava, infine con aria d'infantile umiltà esclamò: - Quam parva sapientia regitur mundus! Se il mondo potesse vedere chi sono io!... Ma quanto è grande la bontà e provvidenza del Signore! Dio è che ha fatto tutto questo nella sua infinita misericordia.

                Checchè gli facesse pensare e dire la sua umiltà, egli a Parigi aveva riportato un vero e grandioso trionfo. L'anno dopo se ne udì ancora una risonanza nel Parlamento francese. Monsignor Freppel, che, come vedemmo, ne era stato testimonio oculare, in un discorso gravissimo da lui pronunziato alla Camera il 2 febbraio 1884 sulla questione operaia, uscì in queste espressioni: “Il solo Vincenzo de' Paoli ha fatto più per la soluzione delle questioni operaie che tutti gli scrittori del secolo di Luigi XIV. Ed in questo momento in Italia un religioso, Don Bosco, che avete visto a Parigi, si adopera alla [258] soluzione della questione operaia meglio di tutti gli oratori del Parlamento italiano”[217].

                Ci fu chi volle tirare il conto delle somme raccolte da Don Bosco nella metropoli francese; ma crediamo che tentativi di simil genere siano fatica sprecata. É molto probabile, per non dire certo, che neppure Don Bosco sapesse anche solo approssimativamente quanto danaro fosse passato per le sue mani. Quasi ogni sera il fratello della contessa De Combaud, banchiere, spediva in varie direzioni i frutti della carità parigina, consegnatigli da Don Bosco senza pigliarne nota. Questi uomini della Provvidenza, che non tesoreggiano per la terra, ma per il cielo, impiegano issofatto i mezzi somministrati loro quotidianamente dalla generosità altrui, nè perdono tempo a fare calcoli. Il mondo ha in essi cieca fiducia e li soccorre tranquillamente, non sognando nemmeno di esigere che redigano bilanci, com'è doveroso fare in cose di ordinaria amministrazione. Ministri in grande della carità, operano sotto il controllo dell'occhio divino, e come in chi dà, la sinistra non deve sapere quello che fa la destra, bastando che non lo ignori Colui che vede nel segreto, così questi straordinari canali della beneficenza distribuiscono senza interruzione le loro acque, lasciando a Dio la cura di misurarne il quanto.

                Nella storia della Congregazione il soggiorno di Don Bosco a Parigi segna un momento di sommo rilievo. Nella metropoli intellettuale d'Europa si può dire che Don Bosco e la sua Opera fecero allora la propria presentazione al mondo, a quel mondo che doveva essere il campo della loro attività, e la presentazione riuscì imponente e simpatica. Da quel punto cominciò intorno al Fondatore dei Salesiani il fiorire di una multilingue letteratura, che ne diffuse la conoscenza presso gli uomini della dottrina, dell'autorità e della ricchezza, aprendo a' suoi figli le vie del bene in tutte le parti della terra.

 

 

CAPO VIII.

Da Parigi verso il nord e verso l'est.

 

                IL crescente ateismo di Stato e il progredire del socialismo facevano sì che per tutta la Francia gli ecclesiastici più illuminati e i migliori cattolici sentissero imperioso il bisogno di correre ai ripari, cominciando con dar vita o incremento a opere giovanili di carattere popolare, a quelle specialmente che mirassero alla formazione professionale dei ragazzi poveri e abbandonati, facile preda dei partiti sovversivi, che nelle scuole e nelle officine instillavano loro l'avversione, anzi l'odio contro la Chiesa e la civile società. L'esempio di Don Bosco non poteva quindi affacciarsi in un momento più opportuno; onde da varie parti gli pervenivano pressanti inviti, perchè si recasse sui luoghi, dove si voleva mettere mano o dare sviluppo a istituzioni non dissimili dalle sue, desiderando gli uni affidare a lui imprese di tal genere, altri profittare de' suoi suggerimenti e consigli. Ma purtroppo le sue condizioni fisiche non gli permettevano di prolungare soverchiamente gli strapazzi del viaggiare; urgeva inoltre la sua presenza in Italia. Per altro si spinse verso il nord fino a Lilla, trattenendosi poi nel ritorno anche ad Amiens; in seguito, ripresa la via di Torino, visitò Digione e si soffermò a Dóle. Soltanto però a Lilla preparò il terreno a una prossima fondazione, mentre nelle rimanenti città incontrate lungo il cammino le soste procuravano alle sue affrante membra [260] un po' di riposo e gli porgevano l'occasione di avvicinare e conoscere tanti buoni Cooperatori.

                Giunse a Lilla sul mezzodì del 5 maggio e alloggiò in casa del barone di Montigny. Con questo nobile signore l'aveva messo in relazione il comune amico avvocato Ernesto Michel di Nizza, il quale caldeggiava l'apertura di una casa salesiana in quel gran centro industriale, così minacciato dalla propaganda marxista[218]. La fondazione fu fatta, come si vedrà, nel 1884 con l'assumere la direzione del già esistente orfanotrofio di S. Gabriele.

                La notizia della sua venuta, lanciata dai giornali parigini parecchi giorni prima del tempo, svegliò nella città una grande aspettazione, sicchè, quando si seppe che arrivava, molta gente andò a incontrarlo. L'entusiasmo crebbe, allorchè corse la voce che quella sera stessa, recatosi al capezzale di un'inferma, le aveva con la sua benedizione apportato un sensibile miglioramento.

                Si diede a Don Bosco il benvenuto con un ricevimento in suo onore nell'orfanotrofio di S. Gabriele. Il pio istituto non aveva mai visto le sue sale così rigurgitanti di cittadini; un paio d'ore prima del tempo stabilito era cominciato l'accorrere per la conquista del posto. “L'illustre religioso, scriveva la Vraie France, si avanza in mezzo alla folla che lo stringe da ogni parte, e va ad assidersi in una poltrona un po' più elevata delle altre, mentre tutti gli sguardi si appuntato su di lui con ardente e pia curiosità. Non sarebbe possibile cogliere nella sua fisionomia o nel suo atteggiamento il minimo indizio di affettata modestia o di interna compiacenza. Sembra indifferente a quello che lo circonda e assorto più in alto col pensiero. Collocato là nel suo vero posto, quasi anello di congiunzione tra i favoriti e i diseredati dalla fortuna, egli pensa alla sua opera e non fa conto alcuno di sè”. [261]

                I giovanetti cantarono un inno, composto di versi senari in quattro ottave. Nelle due prime strofette si paragonava il passaggio di Don Bosco in Francia a quello di Gesù attraverso le città della Giudea, fra stuoli di madri che gli presentavano i loro figliuolini da benedire. Nella terza la Francia invidiava all'Italia la sorte di possedere Don Bosco; si ringraziava però Iddio che in ogni parte della terra l'opera di Don Bosco facesse risplendere la potenza divina e la divina provvidenza. Nell'ultima la città di Lilla giubilava di averlo fra le sue mura, Lilla baluardo della Francia, Lilla felice di potersi fare eco dell'entusiasmo universale, gridando: Viva Don Bosco! Un indirizzo che gli fu letto subito dopo parafrasava i versi, con l'aggiunta di due concetti nuovi: essersi la Francia abbandonata a uno slancio di commozione e di riverenza dinanzi all'aureola di sacerdote e di apostolo che gli brillava in fronte, e considerarsi dai presenti come una grazia segnalata e uno dei ricordi più cari l'avere essi per un istante avuto un posto fra i suoi pensieri[219]. Seguì una relazione sul passato e sul presente dell'istituto, compilata dal Presidente del consiglio amministrativo, Infine prese la parola Don Bosco. Benchè strumento indegno e imperfetto, egli si metteva a disposizione di coloro, che al suo aiuto erano ricorsi. Si congratulò con i fondatori, benefattori e amministratori dell'orfanotrofio, e particolarmente colle Suore che ne avevano la cura, degne figlie di S. Vincenzo de' Paoli, il grande eroe e il perfetto modello della carità cristiana. - Ammiro, soggiunse, quanto qui si è fatto, nè io vengo a distruggere l'opera vostra, ma unicamente a migliorarla, se potrò, mercè la vostra cooperazione. - Terminò invocando la benedizione del Signore sui presenti e sulle loro famiglie.

                Anche per questo caso il citato giornale ripete in altri termini l'osservazione de' suoi confratelli. “Come l'esteriore, scrive, così la parola dell'apostolo non ha le qualità che sogliono [262] produrre una forte impressione sopra un uditorio e disporlo a lasciarsi persuadere. Voce poco spiegata, pronunzia difettosa, lingua scorretta e visibile assenza di qualsiasi tentativo per rendere meno sensibili questi svantaggi oratorii e per supplire con l'azione all'evidente insufficienza del dire. Eppure questo debole vegliardo trascina, dove passa, le moltitudini; quest'oratore, benchè cattivo parlatore e udito a stento, scuote e spinge ai più duri sacrifizi. Se altro di prodigioso non vi fosse nella vita di Don Bosco, non basterebbe questo miracolo, che quotidianamente si rinnova?”.

                Il dì appresso andò a parlare nella chiesa di S. Maurizio; ne informava largamente i suoi lettori il Pas - de - Calais - Arras nei due numeri del 7 e 8 maggio. Due categorie di persone, secondo il giornale, conoscevano Don Bosco prima che il suo nome riempisse, come avveniva allora, la Francia: i pellegrini di Roma, che erano stati entusiasti testimoni dell'azione di lui in Italia, e coloro che, andando a Nizza in cerca di salute, avevano avuto anche il gran conforto spirituale di respirare il profumo emanante dall'opera salesiana di quella città. Tutti costoro, fattisi in seguito apostoli dell'apostolo, venivano cambiando le sue travagliose peregrinazioni in ovazioni pie, volgendole pure a strumento di salute per tanti.

                Dopo questa osservazione preliminare il corrispondente faceva così la presentazione di Don Bosco: “Un prete attempato monta a gran fatica in pergamo, non senza esservi aiutato da altri; saluta modestamente gli uditori e, stando in piedi, chè a inginocchiarsi dura fatica, si raccoglie alcuni secondi con gli occhi chiusi; i suoi lineamenti scarni, che ci richiamano il curato d'Ars, nella preghiera si trasfigurano. Il predicatore comincia con voce nè alta nè bassa; ha l'accento straniero, ma si esprime in modo facilmente intelligibile; parla con semplicità, senza pretese di eloquenza, senza nemmeno animarsi, eccetto quando tratta di Dio, della religione e del salvare le anime. Quel prete, quel predicatore è D. Bosco”. [263]

                Le origini degli oratorii e degli ospizi, la fondazione delle due famiglie religiose, le Missioni d'America, la pia Unione dei Cooperatori, l'esortazione finale alla limosina furono, secondo il consueto, la trama del suo discorso. “Don Bosco, nota l'articolista, ha un modo tutto suo dì spronare alla carità: va diritto allo scopo senza fronzoli e senza giri di parole. Monete d'oro e d'argento riempirono dopo le borse presentate agl'intervenuti dalle signore questuanti. L'articolo si chiude così: “Ormai la voce pubblica fa di questo prete un uomo straordinario. Ieri a Lilla folle di gente gli si accalcavano intorno, impedendogli il passo; si voleva baciargli la mano, ottenerne la benedizione e sommessamente il popolo, che ha minor prudenza della Chiesa, ma che ben di rado si trova in contrasto con essa, ammirava le opere da lui compiute e insieme la profonda umiltà del loro autore [ ... ]. Alla nostra patria, dopo aver avuto l'onore di venerarlo e di benedirlo, rimarrà fra breve l'obbligo di sostenere le opere sorte per sua ispirazione e di tramandare alla storia il ricordo di un uomo che ama la Francia, perchè la Francia ama e pratica la santa virtù della carità”.

                Tutte le mattine, celebrata la Messa, dava le udienze nell'orfanotrofio di S. Gabriele, e là si veniva a prenderlo per accompagnarlo a visitare infermi ovvero a far colazione o pranzo presso famiglie ragguardevoli, che si disputavano l'onore di averlo seco a mensa. Questi inviti, presentati antecedentemente all'amministrazione dell'orfanotrofio, erano tanti, che bisognò compilarne un elenco. Allorchè gli si fece vedere la nota con l'indicazione dei luoghi, dove giorno per giorno sarebbe dovuto andare nelle ore dei pasti, egli lesse attentamente e poi disse a Don Rua: - Oh, guarda che orario! Mi sarei aspettato una nota così concepita: Oggi visita alle tali chiese, poi pellegrinaggio al tale santuario; dopo domani digiuno e ritiro; quindi conferenza spirituale. Ma invece ecco: pranzo, pranzo, pranzo! Sia benedetto Iddio. - Proferì queste parole non in tono austero, che non era nel suo [264] costume, ma con un'aria di semplicità rassegnata, che destò l'ilarità nei presenti.

                Non erano un riposo per lui tali conviti, che anzi lo stancavano non poco; tuttavia sapeva portarvi sempre la nota allegra, nulla essendo più contrario al suo spirito che il riuscire di peso in simili casi a' suoi commensali, Una volta il barone di Montigny gli aveva mesciuto vino di Frontignan. - Ma buono questo vino, ma proprio buono! esclamò Don Bosco, bevuto che l'ebbe. Ancora un gocciolo! - E in così dire porgeva il calice. Sulle prime a taluno dei convitati sonarono un po' strane quelle sue esclamazioni; ma non si tardò a comprendere che era un far onore al vino per rendere onore al padrone di casa ovvero, come anche si sospettò, una facezia per coprire la virtù. D'allora in poi il di Montigny cambiò nome al suo vino di Frontignano, chiamandolo vino di Don Bosco.

                Un banchetto solenne gli fu apprestato il 10 maggio dalla Direzione delle scuole cattoliche, di cui era fondatore e patrono il signor Jonglez De Ligne. Otto giorni innanzi questo fervente cattolico ne aveva scritto al segretario di Don Bosco. “Spero, diceva, che il santo Religioso potrà farei quest'onore. Sarà il più efficace incoraggiamento per la nostra opera delle scuole libere, che annovera undicimila fanciulli sottratti all'insegnamento ateo”. Verso la fine del pranzo venne in tavola una crema, sulla quale torreggiava, fatta di confetti, una bella statua di Maria Ausiliatrice, e tolta questa, comparve la chiesa di Valdocco. Regnava fra i commensali la più schietta allegria. Ragionandosi delle accoglienze ricevute da Don Bosco a Parigi, qualcuno gli disse che per tanti trionfi egli aveva ben ragione di andare orgoglioso. Ma Don Bosco taceva. Allora un altro lo interrogò: - Orsù, ce lo dica: che cosa ne pensa? - Con bonaria e tiri po' comica serietà rispose: - Eh, sto pensando, se mi convenga o no essere orgoglioso. - L'inattesa risposta provocò uno scatto di buon umore. [265]

                L'opera della scuola libera aveva il suo inno, che si cantava in occasione di questue o di pubbliche adunanze. Fu eseguito anche allora da un coro di giovanetti. Era un carme di battaglia. Il ritornello d'intonazione marziale esprimeva bene l'ardore dei nuovi crociati, scesi in campo per difendere i diritti di Dio contro i laicizzatori della scuola. In nome dei dirigenti brindò il signor Paolo Tailliez, augurando che la presenza del “santo Religioso” comunicasse ai membri dell'associazione una scintilla dell'ardore che tutto lo infiammava per la gloria di Gesù, per la salvezza delle anime e specialmente per la cristiana rigenerazione della gioventù più bisognosa. Un altro signore, che quattro anni prima aveva visitato l'Oratorio, parlò in nome di tutti gli associati, chiedendo al “S. Vincenzo de' Paoli italiano” quale fosse il segreto che tanto bene gli faceva operare. Notevole per più d'un motivo fu questo passo: “I nostri amici di Parigi ci scrivono che Ella viene a noi come la colomba dell'Arca per annunziare al nostro povero paese la fine del diluvio rivoluzionario; infatti noi abbiamo rilevato che il suo ingresso a Lilla coincideva con la festa di S. Pio V, il Papa della vittoria di Lepanto, il glorioso servitore di Colei che Ella onora di culto speciale sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani. Al ramo d'olivo Ella unisce il giglio della Vergine Immacolata. Plauso a Lei, reverendissimo Padre, su questa terra di Francia, dove i gigli fiorirono gloriosamente per otto secoli. Ci lasci sperare che la sua visita sia presagio della loro rifioritura, perchè la nostra patria non vuol cessare di chiamarsi il regno di Maria”.

                Era naturale che di fronte all'ateismo ufficiale riandassero con nostalgico pensiero il passato monarchico quelli che sotto la terza repubblica si rammaricavano di vedere spezzarsi uno dopo l'altro tutti i legami d'un tempo fra religione e patria; ma Don Bosco in ogni circostanza si guardò bene dal proferire parola che anche lontanamente avesse sapore politico. Gli fu da ultimo offerta una medaglia dell'opera [266] recante nel retto la croce e nel verso il giglio dello stemma cittadino[220].

                “Con il cuore pieno di riconoscenza” la signora Niel ringraziava per lettera Don Bosco dell'onore e della consolazione procurata alla sua famiglia, accettando l'invito per il mezzogiorno del venerdì II a Roubaix, città situata a poco più di dieci chilometri da Lilla. Anche il marito, che aveva assistito alla conferenza di S. Maurizio, stimava quella visita “un insigne favore”.

                Una lauta imbandigione gli fu allestita da un signore, del quale le nostre fonti tacciono il casato. L'occhio di Don Bosco guardava alla splendidezza degli apparati e alla preziosità delle vivande; che cosa intanto gli passasse per la mente, lo rivelò verso la fine, quando, colto il momento propizio, disse all'anfitrione: - Desidererei, signore, cavarmi una curiosità. Dacchè ci siamo seduti a mensa, non me ne sono ancora potuto liberare.

                 - Dica, dica, rispose quegli.

                 - Ma forse la mia domanda sarà troppo indiscreta.

                 - Parli, parli pure liberamente.

                 - Vorrei sapere quanto sia costato questo pranzo.

                 - Se solamente questa è la sua curiosità, io ne la posso appagare all'istante.

                Ciò detto, fece chiamare il cuoco e ne lo interrogò. Il cuoco, andato a consultare il libro delle provviste, tornò con la risposta: dalla cucina era uscita roba per dodicimila e cinquecento franchi.

                 - Ora che lo sa, è contento? gli chiese il signore.

                 - Sì e no. Dodicimila e cinquecento franchi per onorare il povero Don Bosco sono davvero una spesa troppo forte. Se i miei giovani sapessero che Don Bosco fa spendere tanto per sè in un pranzo, resterebbero sbalorditi. Non sarebbe [267] stato meglio, direbbero, che si fossero dati a lui quei danari per provvedere a noi pagnotte?

                 - Oh, si può fare benissimo l'una e l'altra cosa! - esclamò il suo interlocutore, che quanto era ricco, altrettanto amava mostrarsi magnifico e munifico. Infatti, prima che i commensali si levassero da tavola, un giovinetto si accostò con molta grazia a Don Bosco e, dicendogli un complimento, gli presentò sopra un bel piattino una busta chiusa. Allorchè Don Bosco l'aperse, vi trovò tanti biglietti di banca per il valore di dodicimila e cinquecento franchi.

                Di parecchi fatti straordinari, oltre a quello già accennato in principio, ci è stato trasmesso il ricordo. Il primo fu sulla persona di madama Philippal De Roubaix. La signora aveva gli arti inferiori così irrigiditi, che ogni passo le costava acute sofferenze. Condotta nella chiesa, dove il Santo si trovava e portata fino a lui, ne ricevette la benedizione e una medaglia; dopo di che istantaneamente guarì nè ebbe mai più a patire disturbi di quel genere.

                Il signor Giacomo Thery aveva un figliuoletto rachitico, impotente a camminare e quasi anche a muoversi. I genitori lo avvicinarono a Don Bosco, il quale gli passò leggermente la mano sulle braccia e sulle gambe. A quel tocco il fanciullo prese vigore e liberato dal male crebbe vegeto e sano.

                Più strepitoso fu un altro prodigio. Un'orfanella di Airesur - Lys era ridotta a così mal termine dalla scrofolosi, che non le si poteva nemmeno far fare la prima comunione; aveva poi una gamba così contorta che stentava a reggersi in piedi. La damigella Clara Louvet, venuta a Lilla per vedere Don Bosco, gli rimise una lettera dell'abate Engrand[221], che raccomandava alle sue preghiere la povera creatura. Era un sabato sera; Don Bosco intascò la lettera per leggerla quando potesse. Ora avvenne che nelle prime ore della notte dal lunedì al martedì l'inferma fu assalita da atroci spasimi; [268] quindi placidamente si addormentò e verso il mattino svegliandosi gridò a una sua zia: - Zia, sono guarita! - Infatti le ulceri erano chiuse e le gambe agili, tanto che andò in persona dall'abate a dargli la lieta notizia. Nel 1891, allorchè fu spedita all'Oratorio la relazione del prodigioso fatto, essa era cresciuta normalmente e godeva ottima salute.

                Abitava di fronte all'orfanotrofio di S. Gabriele un signor Cordonnier, ricco negoziante di vino. Da qualche tempo egli vagheggiava un partito di matrimonio, ma non aveva ancora fatto palese a chicchessia la propria intenzione. Volle, come tanti altri, far visita a Don Bosco per porgergli i suoi omaggi, offrirgli i suoi servigi e, se glie ne veniva il destro, chiedergli consigli intorno al suo avvenire. Presentatosi dunque a lui, non ebbe il tempo di aprir bocca, che il Santo, appena lo vide, gli disse - Sì, sì, prenda, prenda pure colei che desidera.

                Presso le Bernardine di Esquermes, sobborgo di Lilla, suor Maria Clotilde sul suo letto di dolori aveva a otto mesi di distanza ricevuti due volte gli estremi sacramenti, allorchè venne al suo capezzale Don Bosco. L'aveva condotto la Superiora nell'infermeria, dicendogli semplicemente: - Don Bosco, abbiamo qui una figliuola già sacramentata in dicembre, che non riesce ancora nè ad alzarsi nè a reggersi in piedi. Non potrebbe Lei farla star meglio? Sarebbe un bel ricordo della sua visita al monastero. - Don Bosco guardò l'inferma, poi abbassò il capo dire minuti, come se fosse in preghiera, e rialzandolo disse chiaramente: - Vivrà... e a lungo... e così potrà essere utile alla comunità... - Quindi con aria sorridente aggiunse: - Fino a cent'anni, se farà bisogno. - Questa uscita diede motivo a credere che tutto avesse detto per facezia. Invece non sembra che egli intendesse faceziare. Promessa di guarigione non c'era stata, ma di lunga vita; infatti la religiosa non guarì, ma vive tuttora (1934) con la sua bella età di ottantadue anni, offrendo quotidianamente al Signore le proprie sofferenze per il bene della comunità, alla quale in [269] questo modo è utile davvero, come aveva detto Don Bosco. Per altro in anni addietro le sopraggiungevano pure miglioramenti periodici, che le permettevano anche di lavorare nell'educandato.

                La comunità si trova oggi a Ollignies nel Belgio, trasferitasi ivi trent'anni fa per la legge di soppressione. Allora si trattava appunto di aprire là una casa succursale. La suora incaricata dell'apertura trovavasi a Lilla, quando passò Don Bosco, e gli raccomandò la sua impresa. - Sotto che titolo, chiese egli, onorerete la Madonna nel nuovo monastero? - La Superiora, rimasta un momento a pensare, rispose: - Sotto quello di Madonna del Bosco, perchè... - Don Bosco, non lasciandola finire: - Chiamatela piuttosto Madonna Ausiliatrice, disse. Ella gusta tanto di prestarci aiuto! La proposta piacque; perciò da allora nel monastero di Ollignies la Madonna è onorata sotto quella invocazione.

                Nella visita che fece al Ricovero femminile delle Cinque Piaghe la Superiora gli disse: - Oh Don Bosco, lei che fa miracoli, ottenga che quante muoiono qui dentro, vadano tutte salve. - Oh! Madre!... - si limitò a risponderle il Santo. E l'altra riprese: - Abbiamo in casa una veneranda ottuagenaria che sta in agonia. Venga a benedirla e a mandarla in paradiso. - Don Bosco la pregò di condurlo da lei. Quando le fu vicino, la osservò un istante, poi si raccolse in preghiera e dopo le diede la benedizione; quindi, voltoso alla Superiora: - Ecco, Madre, le disse, siete già esaudita. - Infatti la buona vecchia, appena benedetta, aveva placidissimamente resa l'anima a Dio.

                Non ometteremo un episodietto avvenuto presso le religiose del Sacro Cuore. Gli fu presentata un'allieva, Germana D., che apparteneva a una famiglia di ventidue figli. Essendo piccolina di statura, temeva che questo le fosse d'impedimento a farsi religiosa; perciò, passando dinanzi al Servo di Dio, ebbe il coraggio di dirgli: - Padre, vorrebbe pregare affinchè io cresca? [270]

                 - Figlia, rispose il Santo, crescerete... ma altrove.

                Poco tempo dopo la giovane volava colà, dove tutti raggiungeranno la statura perfetta.

                Fra le presenti vi era un'ex - allieva che si sentiva chiamata ad abbracciare la vita delle sue maestre e sarebbe dovuta entrare nel noviziato l'8 giugno, suo ventunesimo compleanno ed età canonica; ma, attratta dalle dolcezze domestiche, pensava di ritardare ancora. Don Bosco, dopo un discorsetto, mentre passava in mezzo alle uditrici ricevendo le offerte presentategli e ringraziando ogni volta con un penetrante: Dieu vous le rende, allorchè giunse a quella, si fermò e dandole un'occhiata profonda, le domandò: - Ebbene, quando si parte? - Non ci volle altro: era la voce di Dio: l'8 giugno entrò a Conflans fra le novizie.

                Grazioso il caso dei signori di Montigny, ricordato ancora presso le medesime religiose. Sposatisi in età avanzata, avevano avuto due figlie, che verso il 1875 misero in educazione dalle religiose del Sacro Cuore; ma la gracile fibra delle bambine era causa di angustie continue ai poveri genitori. Infatti la più grande, Maria Teresa, morì di quindici anni e l'altra, Amelia, la seguì diciotto mesi dopo, vittime entrambe del mal sottile. La dimora dei due coniugi divenne la casa del lutto e della mestizia. Amici comuni agevolarono in Nizza un incontro con Don Bosco, che versò in quei cuori il balsamo del conforto, esortandoli a beneficare la gioventù povera e abbandonata. Poi a Lilla, dopo aver goduto della loro ospitalità, sussurrò nel momento della partenza una parola singolare. - Bisogna, disse, preparare una culla.

                Quella voce, divulgatasi a poco a poco, giunse pure all'orecchio di monsignor Alfredo Duquesnay, arcivescovo di Cambrai, sotto la cui giurisdizione era la città di Lilla, non ancora sede vescovile. - Se la creatura viene al mondo, diss'egli, voglio esserne io il padrino. - Non passò un anno che i due buoni signori carezzavano un bimbo, erede sospirato del loro nome e delle loro sostanze. Monsignore mantenne la parola. L'arciprete [271] di S. Maurizio, che  doveva battezzare il neonato, trovatosi di fronte a un tale padrino, lo pregò di indicargli come gli bisognasse comportarsi dinanzi al suo Arcivescovo in quella sacra cerimonia. - Faccia come se io fossi un diocesano qualunque, - gli rispose bonariamente Monsignore. Cosi al battezzato fu col nome del padre imposto anche quello dell'Arcivescovo. Il testimonio che ci riferisce questi particolari, vide nel 1897 la madre che, rimasta vedova, non aveva altro conforto al mondo che quel figlio del miracolo, come generalmente lo chiamavano[222].

                Un'ultima meraviglia ci è descritta da colui medesimo che ricevette la grazia, un giovane suddiacono gesuita per nome Giuseppe Crimont. Egli assistette due volte Don Bosco all'altare, mentre celebrava la Messa. La prima volta fu il 6 maggio nella cappella delle dame della Retraite, dinanzi a un pubblico sì numeroso, che per andare dalla sacrestia all'altare, ci volle un buon quarto d'ora, perchè ad ogni passo un nuovo gruppo di persone accerchiava il Servo di Dio. “Che Messa! esclama il suddiacono d'allora. Era la Messa di un santo: la sua faccia risplendeva di luce soprannaturale”. Nuovamente il giovane religioso fu presso di lui durante il divin sacrifizio nella chiesa dell'Adorazione, così detta perchè vi sta continuamente esposto il Santissimo Sacramento. La stessa folla, lo stesso entusiasmo, la stessa divozione che nel giorno antecedente, e per il giovane religioso la stessa impressione di santità. Questi era disposto a seguirlo dovunque gli fosse concesso, pur di potergli parlare per domandargli un favore. Il momento buono giunse appena il Santo rientrò nella sacrestia. Udito il suo desiderio, Don Bosco gli chiese che cosa volesse. - Ho poca salute, rispose. Vorrei avere tanta forza che mi bastasse per poter essere mandato nelle Missioni. La mia aspirazione è di diventare missionario.

                 - Figlio mio, gli disse amorevolmente Don Bosco, questa [272] grazia la riceverete. Ogni giorno, nel ringraziamento dopo la Messa, io pregherò per questo scopo.

                Cosa mirabile! Il figlio di S. Ignazio, che da tempo andava inutilmente in cerca di salute, ricuperò così presto e così bene le forze, che di lì a poco fu inviato come insegnante nel collegio di Saint Servais a Liegi e l'anno appresso passò a Saint Hélier, il grande scolasticato francese della Compagnia, per proseguirvi gli studi e prepararsi al presbiterato. Si parlava molto in quegli anni delle Missioni gesuitiche alle Montagne Rocciose e al futuro levita sembrava di sentire internamente una voce, che gli indicasse là sotto il freddo polo il campo del suo apostolato. Divenuto sacerdote, ricevette l'obbedienza per le Missioni dell'India, ma nel 1894 i Superiori lo trasferirono nell'Alaska, dove nel 1916 fu dalla Santa Sede nominato Vicario Apostolico.

                Spigoliamo poche altre notiziole da alcune lettere. Il 9 maggio celebrò nel monastero del Sacro Cuore, e le religiose collocarono sotto la tovaglia dell'altare uno scritto che conteneva le loro particolari intenzioni; il 12 fu a celebrare dalle Carmelitane, per contentare le quali dopo consentì di scrivere qualche parola e la sua firma sotto certe immagini presentategli; il 13 disse la Messa nella chiesa di S. Stefano. Pare che visitasse anche il monastero del Buon Pastore, il convento delle Suore Francescane e le religiose della Madonna del Buon Soccorso.

                Una donzella per nome Giuseppina Pierson, consultatolo intorno alla sua vocazione, n'ebbe in risposta: Le bon Dieu vous appelle. Tuttavia a una sua lettera fece in seguito rispondere, che si attenesse a quanto le aveva già detto, ma regolandosi conforme al consiglio del suo confessore. Una signorina Delarue lo ringrazia delle sue preghiere, che hanno avuto il salutare effetto di una pacificazione domestica, della quale sembravano perdute tutte le umane speranze. L'Arcivescovo di Cambrai gli si dice riconoscente della visita fatta a quella città, come anche dell'aver egli accettato l'orfanotrofio [273] di S. Gabriele; lo supplica inoltre di andar a benedire una benemerita signora di Lilla, molto inferma. “Vada, caro Padre, a benedirla, insiste il Vescovo, come il Signore benedisse la suocera di S. Pietro, e la sua benedizione abbia il medesimo effetto”[223]. In una lettera, scritta da una signora di Lilla a Don Rua dopo la morte del Santo, si vede che spirituali benefizi le sue visite arrecassero alle persone inferme. Che soave ricordo de' suoi consigli e incoraggiamenti! Quanta pazienza e rassegnazione infusale a sopportare una malattia che durava da tredici anni! Qual fedele e generoso attaccamento alle opere di Colui, che pure non le aveva ottenuta la grazia della guarigione![224].

                Ripartito il A maggio per Parigi, fece nell'andare una fermata ad Amiens, dove c'era un bel nucleo di Cooperatori. Probabilmente fu ospite del visconte di Forceville, che l'aveva invitato[225] e che dopo gli rendette sentite grazie de la bonne visite[226]. Celebrò alle dieci nella cattedrale. Benchè sia un chiesone, la folla riempiva tutta la navata di mezzo. Dopo il vangelo Don Bosco parlò dal pulpito. Questo era addossato a un grosso pilastro, ornato alla base da una colossale statua di S. Vincenzo de' Paoli, che è in atto di tendere una mano al cielo e di indicare con l'altra un bimbo che gli sta ai piedi; ma quella mattina gli uditori provavano l'illusione che con ambe le mani il Santo francese della carità volesse abbracciare il predicatore della carità italiano.

                Nel pomeriggio visitò un Patronage. Malati e sani non gli davano tregua; gli si paravano dinanzi tante madri attorniate dai loro figli e recanti il più piccolo in braccio: tutti ne imploravano la benedizione. Era una lotta di mani e di piedi per giungere a toccarlo. Una fiumana di gente lo seguì alla [274] stazione e quando fu in treno, dovette affacciarsi per benedire quella moltitudine, che aspettava in ginocchio tale, grazia. Un pubblicista, che aveva preso posto nel suo scompartimento, colpito da uno spettacolo così nuovo, gli fece un'offerta e volle essere inscritto fra i Cooperatori salesiani. Il corrispondente di un settimanale, accennando alla fama delle sue miracolose guarigioni, scrisse che i maggiori miracoli erano due: uno, l'affollarsi di tante persone avide di vedere e di udire un povero vecchio e l'altro il moltiplicarsi delle conversioni[227].

                Quanta fiducia anche qui si aveva nelle sue preghiere! Una signora De Franqueville, che domandava la guarigione di una sua figlia, si contentava che il segretario di Don Bosco le scrivesse solamente: “Don Bosco ha pregato” oppure “Don Bosco pregherà”; queste due parolette l'avrebbero resa “consolata e tranquilla”. Un'altra signora, dolente di non essersi trovata ad Amiens, quando vi passò Don Bosco, gli domandava una toute petite prière per sè, tribolata da pene interne, per il nonno ammalato, per un altro membro della famiglia bisognoso di conversione, per cinque figli, per il marito e per una sorella carmelitana; Don Bosco le fece rispondere che volentieri avrebbe pregato per lei e per i suoi e che le mandava la sua benedizione.

                Ad Amiens una giovane diciannovenne stava in una famiglia poco praticante e poco propensa a dare. Quel giorno si udì in casa che Don Bosco, venuto nella città, visitava le persone abbienti, chiedendo limosine per le opere salesiane e che certamente sarebbe andato anche là. Allora la padrona disse alla giovane che non gli si poteva dare nulla e che per non dover rispondere con un rifiuto essa non si sarebbe fatta vedere; parlasse lei sola a Don Bosco e facesse le scuse. Il Servo di Dio si presentò realmente col suo segretario. La giovane lo ricevette con tutto il rispetto possibile e gli fece [275] intendere nel miglior modo, che non c'era nulla da sperare là entro. Don Bosco la guardò e le disse: - Figliuola, voi avete lo spirito di prudenza; custoditelo, e Dio veglierà su di voi. Dovrete aspettare ancora a lungo, ma entrerete in una Congregazione che nasceva quando nasceste voi. Vi rivedrò. - Infatti la rivide parecchi giorni dopo in un'altra famiglia e indicandola a chi gli stava da presso, disse: - La conosco... Dio veglia su questa giovane. - Tredici lunghi anni essa dovette ancora attendere per poter seguire la sua vocazione; poichè solo nel 1896 entrò nelle Piccole Suore dell'Assunzione e non prima del 1900 apprese, leggendo la vita del padre Pernet uscita allora, che le origini della nuova Congregazione risalivano al maggio del 1864, mese e anno della sua nascita[228].

                Fermatosi, come abbiamo narrato, altri dieci giorni a Parigi, Don Bosco partì per Digione e vi si trattenne tre giorni, albergando nel sontuoso palazzo della marchesa di Saint - Seine in via Verrerie. Il domani del suo arrivo, domenica, andò a dir Messa dalle Carmelitane, che ne l'avevano pregato fin dal 13 aprile per mezzo del loro cappellano. Lo accompagnò Don Rua. Per prima cosa lo condussero nell'infermeria a visitare la Madre Priora, che stava assai male, e poi venne a lui tutta la comunità. “A cinquant'anni di distanza, ci scrive una di quelle monache, io veggo ancora Don Bosco calmo; raccolto, simile a uno che viva più in un altro mondo che non in questo”[229]. Una suora gli domandò in italiano se la Madre sarebbe guarita. - Riceverai a misura della tua fede, - le [276] rispose. Colei confessò in seguito che allora aveva poca tede nella guarigione. Passò quindi in cappella, che trovò stipata di gente. Al suo ingresso e durante la celebrazione si sarebbe sentito volare una mosca, tanto i presenti erano compresi dall'idea che assistevano alla Messa di un santo. Letto il vangelo, si voltò e disse fra l'altro: - Preghiamo molto per la reverenda Priora di questo Carmelo, affinchè Dio la conservi ancora qualche tempo alla sua comunità a cui è tuttora assai necessaria. - Madre Maria della Trinità non guarì, ma nondimeno visse fino al 4 novembre 1889[230].

                Nelle ore pomeridiane fece visita al collegio S. Ignazio, nel quale si festeggiavano le prime comunioni degli alunni. Il lunedì tenne conferenza alla Madonna della Buona Speranza. C'era tanta folla, che fu cantato tre volte il Magnificat nel tempo da lui impiegato per arrivare dalla porta della sacrestia alla scaletta del pulpito. La mattina del mercoledì celebrò a S. Michele e la sera visitò un orfanotrofio dell'abate Chanton in via S. Filiberto.

                A Digione la sua    presenza destò il medesimo interessamento e suscitò le medesime dimostrazioni che a Parigi e a Lilla. “Quest'uomo così umile all'aspetto, diceva una corrispondenza digionese del 29 maggio al Monde, così spossato dalle fatiche e dai viaggi, che sembra quasi privo di forze, risponde a tutte le domande, moltiplica le allocuzioni, sparge dovunque benedizioni e preghiere, s'interessa dei bisogni di quanti ne invocano l'appoggio presso Dio e contemporaneamente raccomanda alla carità cristiana le opere colossali da lui dirette. La gente gli corre dietro, smaniosa di vederlo e di toccarne le vesti, perchè sente emanare dalla sua persona il fascino della santità e ravvisa l'intervento soprannaturale nella fecondità del suo apostolato e nelle grazie straordinarie da lui ottenute”.

                La notizia ancora incerta e lontana del suo passaggio gli [277] aveva procurato lettere d'invito da cospicui cittadini[231]. Una lettera molto bella del marchese di Saint - Seine già il 10 aprile lo prega di visitare Digione e gli offre in termini cordialissimi l'ospitalità. Una viscontessa dello stesso nome il 28 aprile, ritenendone certa la venuta, gli chiede da parte di tutti i suoi l'onore di servirgli una refezione nel proprio palazzo, per l'ora che a lui tornerà più comoda; una contessa Max de Vesvrosse il I° maggio cerca di accaparrarsi una breve udienza; l'8 maggio un vicario della cattedrale con espressioni di edificante umiltà lo supplica di andar a benedire una sua opera giovanile; un suddiacono il 22 maggio gli scrive da Poiseul con gran calore e viva fiducia, dicendogli che si recherà da lui a Digione per condurgli il figlio di una ragguardevole Cooperatrice, affinchè lo benedica: egli pure dice di aver bisogno che Don Bosco gli ottenga sanità per poter proseguire nella sua vocazione[232].

                Lettere gli pervennero durante il suo soggiorno nella città. Il cappellano delle Orsoline a Monthard aveva incontrato Don Bosco che usciva dall'episcopio e gli si era inginocchiato ai piedi, chiedendogli la benedizione. Il Santo gli aveva amorevolmente risposto: Ab illo benedicaris, in cuius honore cremaberis, spiegando che egli non sarebbe martire della fede, ma della carità. Questa spiegazione l'aveva lasciato così pieno di contentezza, che dopo gli scrisse per raccomandarsi vivamente alle sue preghiere. Altri pure invocano benedizioni per infermi da guarire o peccatori da convertire; altri ringrazia della sua visita e manda offerte; altri gli raccomanda speciali intenzioni[233]. [278]

                Lettere di data posteriore al viaggio ed anche alla vita del Servo di Dio contengono ricordi della dimora digionese. Singolare quella di un impiegato. Aveva promesso a Don Bosco il dieci per cento su gli eventuali aumenti del suo stipendio. Conseguito dunque col nuovo anno un aumento di cento franchi mensili, spedisce nel gennaio del 1884 la prima rata, sempre memore e grato dell'incontro. Ma le rimembranze più commosse e più commoventi ricorrono nelle lettere di condoglianza, scritte a Don Rua nel febbraio del 1888. “É per me, scrive la marchesa di Saint - Seine, un ricordo assai dolce e che considero come un reale benefizio del cielo l'aver accolto sotto il nostro tetto quel vero S. Vincenzo de' Paoli”. Una signora Le Mire accenna alla guarigione della nuora, ottenutale dal “caro santo”; ma di questo fatto non abbiamo altra notizia[234].

                Una recente corrispondenza c'informa particolareggiatamente di un episodio accaduto a Digione e finora ignorato. Una sera Don Bosco andò a pranzo dal signor di Charentenay, ottimo cristiano, che per una soirée in suo onore aveva invitato parecchie signore e signorine, amiche delle sue figlie. Il Santo verso le nove e mezzo, desiderando ritirarsi, passò in mezzo a quelle persone che si alzarono e gli facevano ala nel salotto; il signor di Charentenay gli dava il braccio. Camminava a rilento e con isforzo. Una giovane per nome Enrichetta, De Broin, alquanto timida, se ne stava nascosta dietro le compagne, che attendevano in crocchio vicino alla porta. Don Bosco si avanzava senza dir nulla e senza fermarsi con nessuno; ma giunto là presso all'uscita, improvvisamente si arrestò e alzando il capo per vedere dietro le spalle delle altre, fissò quella signorina e le disse: - Figliuola, voi pensate alla vocazione. Va bene; pregate. - Quindi uscì, discese e andò alla carrozza.

                La damigella di Broin non aveva fatto parola con anima [279] viva delle inquietudini che la agitavano circa il suo avvenire; perciò allora confusa scomparve all'istante di là, senza che alcuno sapesse dove o come si fosse ecclissata. La mattina dopo, ancora in preda a commozione, rivelò il suo stato d'animo ad una confidente; il padre, accortosi del suo turbamento, non volle più che s'incontrasse con Don Bosco, ma senza dire il perchè la condusse in campagna. Afflitta per tale allontanamento, la di Broin scrisse a Don Bosco una lettera prima di partire, facendogliela recapitare a mezzo di una signora amica. Il Servo di Dio, come la lesse, accennò che  ricordava la scrivente e interrogato se vi fosse risposta, disse: - No; preghi. - La giovane professò più tardi fra le religiose del Cenacolo a Versailles.

                La benedizione di Don Bosco fu benefica anche per la sorella di questa religiosa. Trovatasi con lui a pranzo in casa di un amico della famiglia, aveva notato in lui la grande semplicità e la bontà del tratto, ma specialmente quello sguardo penetrante, che sembrava leggere i segreti dei cuori. Giovane e mondanetta, non aveva nessuna voglia di avvicinarlo; tuttavia dovette seguire il padre che la condusse a riceverne la benedizione. Stette però attenta a non alzare gli occhi, per non richiamare su di sè la sua attenzione, cosa che l'avrebbe messa in imbarazzo. Ma essa pure pochi anni dopo la sorella entrò al Cenacolo, considerando poi questa sua    vocazione come una grazia insigne, della quale, come scrive, si crede in obbligo di esprimere ogni giorno la propria riconoscenza a Don Bosco.

                Don Bosco lasciò Digione alle cinque pomeridiane del 29; lo aspettava a Dóle la famiglia De Maistre. Il Conte, suo vecchio amico e gran benefattore dell'Oratorio, gli fece con tutti i suoi un mondo di feste. Don Bosco però trascorse ivi soltanto la notte; poichè la mattina del 30, poco dopo celebrata la Messa, proseguì per. Torino. Portava seco quattro o cinque grossi pacchi di lettere non ancora disuggellate, che a Modane richiamarono l'attenzione dei doganieri, ma le spiegazioni [280] date furono cortesemente accolte e i pacchi passarono. Con un buon mese di lavoro e con l'aiuto di parecchi segretari fu poi dato corso a tutta quella corrispondenza; giacchè era costume di Don Bosco non lasciare mai senza qualche riscontro nessuna lettera, fosse anche insignificante o scritta da un ragazzetto[235]; anzi non trascurava di mandare un cenno di ricevuta nemmeno se si trattasse soltanto d'un semplice biglietto di visita.

                Nel corso di questa lunga narrazione non abbiamo tenuto conto delle notizie che si pubblicavano dai giornali italiani sul viaggio di Don Bosco in Francia, perchè non vi trovammo nulla di nuovo, non facendosi che ripetere sommariamente le informazioni provenienti dalla stampa francese[236]. Ci parve singolare soltanto una corrispondenza parigina all'anticlericale Secolo di Milano, quando annunziò la partenza del “taumaturgo”, come lo chiamava[237], mettendo in capo all'articolo il ritratto del Servo di Dio. Tra l'altro diceva che del suo viaggio Don Bosco avrebbe potuto scrivere come Cesare: Veni, vidi, vici. E soggiungeva. “Che forza di volontà possiede cotesto prete! Egli custodì le pecore fino all'età di quindici anni, e ordinato a 26 anni e incaricato di visitare le prigioni torinesi, gli venne il pensiero di raccogliere fanciulli abbandonati e pervertiti; senza un quattrino, deriso, perseguitato, [281] trionfò di tutto e di tutti. Sapete? Egli dirige attualmente centosessanta stabilimenti ad un bel circa, sparsi in Italia, in Francia, in Spagna, in America; nutrisce ed istruisce, più o meno, centocinquanta mila poveretti. Che socialista d'un prete!”. L'Unità Cattolica di Torino, una volta tanto, dava ragione al foglio milanese, con cui aveva quotidiane polemiche, dicendo potersi con tutta verità Don Bosco chiamare socialista, perchè di fatto era il salvatore della società. Anche queste facezie giornalistiche hanno il loro valore; ma meglio di tutti colse nel segno un giornale portoghese, il quale dimostrò che l'andata di Don Bosco a Parigi fu “un argomento di fede”[238].

 

 

CAPO IX.

Sette mesi di Don Bosco nell'Oratorio: feste e fatti.

 

                NELL'ORATORIO le notizie dei trionfi di Don Bosco a Parigi, comunicate

                dopo le orazioni della sera, entusiasmavano gli animi, ma quelle sulla sua salute mettevano alquanto in apprensione. Perciò si pregava molto per il suo felice ritorno. I giovani, accordatisi con loro superiori immediati, si obbligarono a fare durante la novena di Maria Ausiliatrice corone di comunioni, sottoscrivendosi ognuno col suo gruppo per quel dato numero che voleva.

                Ansiosamente aspettato, giunse la mattina del 31 maggio verso le nove. Con i giovani convennero a salutarlo vari signori della città; vi era pure il marchese D'Avila, buon cooperatore spagnuolo, che dimorò alcuni giorni nell'Oratorio. Soltanto chi ricorda la vita di quei tempi, sa la gioia, la festa, il tripudio che riempivano di esultanza tutta la casa in simili occasioni. Fra evviva, battimani e armonie musicali Don Bosco attraversò il cortile, avviandosi lentamente verso il portico, sulla cui arcata centrale campeggiava questa iscrizione: Caro Padre, la Francia li onora, Torino ti ama. Salito sopra una cattedra, Don Bosco, sorridendo e guardando il cappello che teneva in mano, disse: - Forse a voi sembrerà [283] che con questo cappello francese Don Bosco non sia più quello di una volta. Oh! non temete, miei cari, io sono sempre il medesimo, sempre il vostro affezionatissimo amico, sino a che Iddio mi lascerà un filo di vita. In Francia io vi ricordava ogni giorno; ogni giorno pregava per voi; riceveva col molto piacere le vostre lettere, le vostre notizie; ed ho pure sperimentato l'efficacia delle vostre preghiere. Ed ora, dopo quattro mesi di assenza, godo di ritrovarmi nuovamente con voi, che siete il mio gaudio e la mia corona. Io desidero che martedì prossimo, 5 giugno, facciamo una splendida festa in onore di Maria Ausiliatrice, la quale da buona Madre ci ha assistiti nel viaggio, ci ha ottenuto da Dio tante grazie e tanti favori anche per voi. Ho molte cose da dirvi, ma per ora basta; perchè intendo di andar a celebrare la santa Messa all'altare di Maria Ausiliatrice...

                Queste parole, proferite con paterno affetto, commossero tutti e a non pochi strapparono lacrime di tenerezza. La massa dei giovani lo seguì spontaneamente in chiesa. Dopo una notte passata assai incomodamente, benchè già debole di forze e nonostante l'ora avanzata, egli aveva voluto mantenersi in condizione da poter celebrare. Alla fine fu intonato l'inno del ringraziamento[239].

                La mentovata iscrizione era una semplice variante di un'altra dei 1867, che diceva: Roma ti onora, Torino ti ama. Si ripetè pertanto un fatto analogo: come questa aveva offeso i Romani, così quella dispiacque ai Francesi. E realmente non diceva il vero nè l'una nè l'altra; perchè, dovunque andasse, Don Bosco suscitava intorno a sè gare d'amore, e tale amore egli preferiva a tutti gli onori. Ma la colpa fu dell'apparatore, che credette di procurare una gran sorpresa facendo di testa sua ricomparire così modificata l'iscrizione del 1867; se l'avesse detto ai superiori, questi non gliene avrebbero dato il permesso. [284]

 

FESTA DI MARIA AUSILIATRICE.

 

                La sera dello stesso giorno Don Bosco tenne conferenza ai Cooperatori nella chiesa di S. Francesco, secondo l'avviso e l'invito mandato da Parigi il 25. Sacerdoti e laici riempirono il sacro luogo. Egli parlò per quasi un'ora. L'argomento fu che, viste le condizioni dei tempi, l'educazione morale della gioventù costituiva un'opera delle più importanti, a cui bisognasse mettere mano, Lodò gli sforzi già fatti dai cattolici di vari paesi per tale oggetto e segnalò i progressi raggiunti in questo campo dai Salesiani. Qui entrò a parlare del suo viaggio in Francia, mostrando quanto colà clero e laicato apprezzassero l'unione dei Cooperatori. Toccò infine dei mezzi di cooperazione. Non erano idee nuove per i Cooperatori torinesi; ma chi andava ad ascoltare Don Bosco, ci andava per udire lui, qualunque cosa fosse per dire, e non per sentire novità.

                La seconda conferenza, quella per le Cooperatrici, fu tenuta pure da lui, nella chiesa di Maria Ausiliatrice, la vigilia della festa. Dimostrò che Maria ama la gioventù e quindi ama e benefica quanti della gioventù si prendono cura Amare essa i piccoli per questi motivi: perchè è Madre, e le madri hanno maggior tenerezza per i figli ancor fanciulli che non per quelli già adulti; perchè i piccoli sono innocenti; perchè questi son più facili a essere sedotti e quindi più degni di compassione, di aiuto e di difesa; perchè le rappresentano più al vivo il suo Gesù, che passò l'infanzia, la fanciullezza e la gioventù sotto i suoi occhi. Di qui venire che Maria ami e favorisca le persone che attendono al benessere spirituale e corporale dei giovanetti, e ottenere loro da Dio grazie speciali. - Vedete, disse, questa chiesa. Pochi anni fa qui era un campo di meliga, di fagiuoli e di patate. Ci voleva una chiesa per radunare i giovanetti vicini e molti altri lontani. Orbene, perchè essa era destinata a vantaggio della gioventù [285] da istruire nel santo timore di Dio, Maria vi concorse in modo mirabile e la fece venire su, direi, a forza di miracoli operati a pro di coloro che vi portavano il proprio obolo. - Raccontati poi alcuni fatti prodigiosi che accaddero nel tempo della costruzione, proseguì: - Nè i favori di Maria cessarono al compimento della fabbrica; anzi continuano più di prima. Sono cose che fanno piangere di tenerezza. Ultimamente in Francia, dovunque io passava, mi si narravano guarigioni inaspettate, cessazioni di liti e di discordie, conversioni sospirate e tante altre grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice da persone che si erano fatte benefattrici della povera gioventù.

                La festa, ritardata per ragioni liturgiche e peparata con ogni cura, riuscì un'imponente e soave dimostrazione d'amor filiale a Maria Ausiliatrice. Quante preghiere! quante comunioni! quante Messe! Canti e cerimonie formavano ormai il gran fascino di questa solennità. Pontificò monsignor Sigismondo Brandolini, vescovo titolare di Orope e ausiliare di Cèneda. I numerosi forestieri, fra cui un'eletta di signori francesi, partirono edificati e pieni di ammirazione. Francesi erano il priore e la priora. Questa, madama Ferrand, parigina, benefattrice di Don Bosco; quello, uno scrittore cattolico, Alberto Du Boys lionese, ex - magistrato, che durante la sua dimora finì di maturare il disegno di un suo lavoro su Don Bosco e le sue opere[240]. Al pranzo Don Bosco per onorai e parecchi ospiti brindò in lingua francese: saluti e ringraziamenti a Monsignor Vescovo, lodi alla Francia cattolica, auguri ai priori, invito a levar un plauso al teologo Margotti, ivi presente, strenuo direttore dell'Unità Cattolica[241]. [286]

                Un tema di conversazione fu il viaggio a Parigi con le relative dimostrazioni che lo accompagnarono. Egli lasciava dire; ma la sua umiltà trovò bene la maniera di manifestarsi. Ad un commensale italiano suo confidente disse sottovoce ridendo: - Tante volte mi trovava imbrogliato come un pulcino nella stoppa.

                Il Vescovo si fermò quattro giorni nell'Oratorio. L'ultima sera, dando la buona notte agli artigiani, terminò così la sua parlata: - Col cuore commosso parto da voi, profondamente impressionato per quanto ho visto. Andrò nel Veneto e dappertutto parlerò di Don Bosco, del suo mirabile istituto, delle funzioni maestose a cui ho assistito, dei suoi pii giovinetti, e dirò: Non è vero che sia spenta la fede, che sia morta la pietà, che non vi siano più splendide funzioni, che il sentimento cattolico sia distrutto. No, risponderò, andate a Torino e l'istituto di Don Bosco vi dirà che il sacro culto è stupendo, che i canti v'imparadisano, che ottocento giovani praticano la pietà e la religione in un modo veramente edificante [ ….. ].

                Ah! quanto volentieri io starei con voi e vivrei della vostra vita!

                Le ultime parole non esprimevano soltanto un pio desiderio, come di lì a non molto si vide. - Questo Prelato, di famiglia comitale, non si liberò più dal ricordo affettuoso di Don Bosco, dell'Oratorio e della vita salesiana; onde nel mese di agosto, dopo matura riflessione, fece domanda di ritirarsi all'ombra del santuario di Maria Ausiliatrice. Aveva sessanta anni. Era pronto a deporre, venendo, ogni insegna vescovile, sì da non distinguersi in nulla dal resto della comunità e vivere da suddito di Don Bosco come qualunque altro. Pensava di poter ivi attendere al confessionale e a fare istruzioni religiose. Appena ottenuta dal Santo una parola di assenso, avrebbe presentata al Papa una supplica, corredandola con [287] un attestato medico e con una commendatizia del cardinale di Canossa, vescovo di Verona, una seconda ne sperava dal Patriarca di Venezia e ne chiedeva una terza a Don Bosco. Desiderava inoltre che il teologo Margotti scrivesse in suo favore a Prelati influenti di Roma. Il motivo di questa deliberazione era che il carico vescovile gli riusciva sempre più importabile[242].

                Don Bosco gli rispose:

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                Il pensiero generoso che muoverebbe la E. V. a ritirarsi dalla sede vescovile di Ceneda per venire ad esercitare il sacro Ministero coi poveri Salesiani, sarebbe un atto che altamente onora la E. V. già nota per tanti titoli e per tanti meriti. Io non oserei sperare tanto, ma se il Santo Padre dà il consenso a tale deliberazione, e se Ella potrà uniformarsi al nostro umile modo di vivere, la Congregazione Salesiana applaudirebbe alla di Lei venuta tra noi, specialmente in questo momento che tutti i membri di questa nascente Salesiana famiglia possono dirsi oppressi dal lavoro.

                Intanto io prego e fo pregare i nostri orfanelli affinchè Dio ci guidi e ci faccia conoscere quella via in cui potremo meglio promuovere la sua maggior gloria e il bene delle anime.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Conosciute le favorevoli disposizioni di Don Bosco, Monsignore inviò al Papa la supplica per il tramite del Patriarca, cui pregò di costituirsi suo avvocato presso il Santo Padre, cosa che l'Eminentissimo Porporato gli promise di fare; ma confidava pure nei “mezzi potenti” che Don Bosco aveva a Roma[243]. I suoi voti però andarono delusi. Egli era coadiutore con diritto di successione, la qual circostanza consigliò alla prudenza del Pontefice di mantenerlo nel suo posto. Succedette infatti nel marzo del 1885 a monsignor Cavriani. [288]

 

CONFERENZE VINCENZIANE, SOCIETÀ OPERAIA

DI NIZZA E SANTA INFANZIA.

 

                Torino fu una delle città d'Italia, in cui meglio attecchirono le conferenze di S. Vincenzo de' Paoli; perciò nel 1883 vi si festeggiò solennemente il primo cinquantenario della loro istituzione. Don Bosco, a cui risaliva in gran parte il merito di quella fioritura, non poteva essere dimenticato dai soci almeno nella chiusa dei festeggiamenti, giacchè la sua prolungata assenza non gli aveva permesso di partecipare ad altre manifestazioni. Le feste si chiusero il 10 giugno con funzioni religiose nella chiesa dei Santi Martiri, culla dell'opera, e con un banchetto sociale. Per questo i confratelli con a capo monsignor Pampirio vescovo di Alba, si radunarono nell'Oratorio, accolti da Don Bosco con la solennità dei grandi ricevimenti. “Quivi, scrisse allora un giornale cittadino[244], sedevano a desco fraterno, onorati dalla cara presenza del Venerando Superiore di quell'Istituto. Fu una vera agape cristiana condita di santa letizia, rallegrata da cordialità schietta e coronata dalle parole di Monsignore, di D. Bosco e di varii altri personaggi. Ed oh come fu bello il linguaggio palpitante della carità in quel luogo medesimo che della carità è monumento vivente e perenne!”. Quei signori uscirono dall'Oratorio non solo soddisfatti, ma ammirati, e pieni di commozione per la generosa accoglienza avuta.

                La domenica seguente venne all'Oratorio una deputazione dell'Unione Cattolica Operaia di Nizza Monferrato per consegnare a Don Bosco il diploma, che lo dichiarava membro onorario di quella società. Don Bosco gradì l'omaggio, dicendosi lieto di partecipare al bene che faceva una società già da lui variamente favorita e avente la sua sede in una città a lui tanto cara. [289]

                La sera dello stesso giorno, per far contento il parroco di Nichelino, comune poco distante da Torino, e per compiacere alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che vi tenevano l'asilo infantile, andò colà a predicare nella festa della Santa Infanzia. Dipinse al vivo lo stato compassionevole di tanti poveri bambini in paesi infedeli; descrisse gli sforzi dei Missionari per salvarli e battezzarli; narrò quello che Salesiani e Suore facevano per i piccoli Patagoni; esortò infine tutti i genitori a inscrivere i loro figliuolini e le loro figliuoline all'Opera della Santa Infanzia.

 

ONOMASTICO E NATALIZIO DI DON BOSCO.

 

                L'onomastico di Don Bosco non era più semplicemente una festa dell'Oratorio, ma aveva ormai assunto il carattere di una dimostrazione popolare all'uomo della carità. Scriveva infatti un settimanale torinese[245]: “Appena entrati in quella casa, restammo meravigliati a veder tanta moltitudine di persone. Uomini di lettere, poeti, comici, popolani, artisti, donne, ricchi, braccianti, giovani, vecchi, studenti e fabbri, preti e bottai, giornalisti e tipografi, nobili e pezzenti, era un mare di teste, era una calca che non lasciava muovere un dito, s'era pigiati come sardelle. E per vedere che cosa? D. Bosco. Tutta Torino era là a vedere quell'uomo popolare per eccellenza, tale che un democratico di tre cotte poco tempo fa diceva: - A Torino di veramente popolari sono due: Gianduia[246] e Don Bosco”. Noi, evitando ripetizioni, diremo appena tanto che basti per raccogliere preziose parole del festeggiato.

                Don Bosco parlò più volte; ma di due parlate solamente ci è pervenuto il tenore. La prima fu rivolta ai rappresentanti degli ex - allievi venuti, secondo il consueto, la mattina del 24 a presentargli auguri e doni. Gli offrirono la lignea corona [290] dorata, che pendette già sopra l'altare maggiore. Venne provveduta con spontanee oblazioni raccolte fra i primi giovani dell'Oratorio, allora sparsi in tante parti. Lesse a nome di tutti un affettuoso discorso e declamò anche una sua poesia Don Onorato Colletti, prevosto di Faule. Don Bosco, espressa la gioia che provava in quel momento al vedere i rappresentanti di numerosi suoi amatissimi figli e ringraziatili del bel regalo, continuò:

 

                É vero che l'oratore e poeta, parlando di Don Bosco, uscì in pie esagerazioni e fece uso della figura rettorica chiamata, iperbole; ma è questa una licenza perdonabile ai figliuoli, che nell'esprimere i loro sentimenti stanno più a quello che detta il cuore che non a quello che suggerisce la mente. Ricordate però sempre che Don Bosco non fu e non è altro che un misero strumento nelle mani di un artista abilissimo, di un artista sapientissimo ed onnipotente, che è Dio; a Dio pertanto ogni lode, onore e gloria.

                Del resto, ha detto bene il nostro Don Colletti, che l'Oratorio ha fatto finora grandi cose; e io vi aggiungo che con l'aiuto di Dio e con la protezione di Maria Ausiliatrice ne farà altre più grandi ancora. Oltre l'aiuto del Cielo, quello che  ci facilitò e ci faciliterà il fare del bene è la stessa natura della nostra opera. Lo scopo a cui miriamo torna beneviso a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi è qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce o che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata o pericolante, per sottrarla all'ozio, al mal fare, al disonore e forse anche alla prigione, ecco a che mira la nostra opera. Ora qual uomo assennato, quale autorità civile potrebbe impedircela?

                Ultimamente, come sapete, sono stato a Parigi e tenni discorso in varie chiese per perorare la causa delle nostre opere e, diciamolo francamente, per ricavare quattrini, con cui provvedere pane e minestra ai nostri giovani, che non perdono mai l'appetito. Ebbene, tra gli uditori ve n'erano di quelli venuti unicamente per conoscere le idee politiche di Don Bosco. Già, certuni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti, ad un partito; perciò vi furono benevole persone che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole caddero tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e Don Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all'altro dela Francia.

                No davvero, con la nostra opera noi non facciamo della politica. Noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino [291] fare del bene alla povera gioventù e salvare anime. Se si vuole, noi facciamo anche della politica; ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni Governo. La politica si definisce la scienza e l'arte di ben governare lo Stato. Ora l'opera dell'Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell'America, in tutti i paesi dove si è già stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa, tende a diminuire i discoli e i vagabondi, a scemare il numero dei piccoli malfattori e dei ladroncelli, a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare buoni cittadini, che  lungi dal recare fastidi alle pubbliche autorità saranno loro di appoggio per mantenere nella società l'ordine, la tranquillità e la pace. Questa è la nostra politica; di questa soltanto ci siamo occupati finora e di questa ci occuperemo in avvenire.

                Ed è appunto questo metodo che ha permesso a Don Bosco di fare del bene prima a voi e dopo a tanti altri giovani di ogni età e paese. E poi a che pro entrare in politica? Con tutti i nostri sforzi che cosa potremmo noi ottenere? Nient'altro che  di renderci forse impossibile di proseguire la nostra opera di carità. Le cose politiche di oggidì si possono riguardare come una macchina a vapore che corre veloce sulla via ferrata, trascinandosi dietro un convoglio fors'anche al precipizio e alla rovina. Volete voi mettervi in mezzo ai binari per fermarla? Ne sareste schiacciati. Volete gridare per atterrirla? Ma non sente, e vi squarcereste inutilmente la gola. Che fare adunque? Schierarsi di qua e di là, lasciarla passare finchè o si fermi da sè o la fermi Iddio con la sua mano onnipotente.

                Certo nel mondo vi devono essere anche di quelli che s'interessino delle cose politiche, per dare consigli, per segnalare pericoli o per altro; ma questo còmpito non è per noi poveretti. A noi la religione e la prudenza dicono invece: - Vivete da buoni cristiani, occupatevi della morale educazione della vostra figliuolanza, istruite bene nel catechismo i fanciulli dei vostri collegi e delle vostre parrocchie, ecco tutto. - Questa, ripeto, è la condotta di Don Bosco, il quale è sì poco politico, che non legge nemmeno un giornale; questa sia pure la vostra condotta, miei cari figliuoli...

 

                Alla festa del 24 tennero dietro i due inviti agli ex - allievi laici e a quelli ecclesiastici, rispettivamente per la domenica 15 e per il giovedì 19 luglio. Con i primi Don Bosco non si potè trovare, perchè era, come vedremo, a Frohsdorf dal Conte di Chambord, ma vi si fece sostituire da Don Cagliero. Invece per il secondo convegno tornò giusto in tempo. All'agape fraterna come appariva lieto di vedersi circondato da tanti sacerdoti, che si consideravano ancor sempre suoi [292] figli! In capo alla tavola spiccavano appunto le parole del Salmo: Filii lui sicut novellae olivarum in circuitu mensae tuae. Egli non si tenne dal palesare la sua contentezza, bisbigliando all'orecchio del teologo Reviglio: - Questi sacerdoti sono la pupilla de' miei occhi. - Alle frutta fece la seconda delle parlate a noi note. Dopo un esordio di circostanza e dopo aver detto e dimostrato come l'aiuto di Dio e di Maria Santissima non fosse mai mancato all'Oratorio e alle altre opere salesiane, ripetè un'osservazione che gli abbiamo già udito fare altrove.

 

                Da qualche tempo si va dicendo ed anche pubblicando sui giornali che Don Bosco fa dei miracoli. Questo è un errore. Don Bosco non ha mai preteso e non ha mai detto di fare miracoli, e nessuno dei suoi figli deve concorrere a propagare questa falsa idea. Diciamo chiaramente come stanno le cose: Don Bosco prega e fa pregare i suoi giovani per le persone che si raccomandano per ottenere questa o quell'altra grazia, e Iddio nella sua infinita bontà il più delle volte concede le grazie domandate, talora anche straordinarie e miracolose. Ma Don Bosco c'entra così poco che spesso le grazie si ottengono senza che egli ne sappia niente.

                Maria Ausiliatrice è la taumaturga, è l'operatrice delle grazie e dei miracoli per l'alto potere che ha ricevuto dal suo divin Figliuolo. Ella conosce che Don Bosco ha bisogno di quattrini per dare da mangiare a tanti poveri giovanetti che gli pesano sulle spalle; conosce che è povero e che senza soccorsi materiali non può tirare avanti le opere intraprese a vantaggio della religione e della società, e quindi che cosa fa Maria? Da buona madre va alla cerca, e va da ammalati e dice loro: - Vuoi guarire? Ebbene fa' la carità a quei poveri giovani, da' una mano a quelle opere, e io farò a te la carità della guarigione. - Vede in quella casa regnare la desolazione per causa di un figlio scapestrato e dice al padre e alla madre: - Vuoi che questo disgraziato si ritiri dalla mala via? Ebbene tu dal tuo canto aiuta a togliere dal pericolo dell’anima e del corpo tanti altri poveri figli abbandonati, e io richiamerò a più savi consigli il tuo figliuolo. - Insomma per non andare troppo per le lunghe Maria Ausiliatrice in mille maniere consola quelli che aiutano l'Oratorio, e a noi non resta altro da fare che di non renderci indegni della sua protezione.

                E se Maria aiuta i figliuoli dell'Oratorio, aiuta anche voi, che lo foste un giorno e godete di esserlo ancora. Vivete sempre da buoni sacerdoti, come vi ha insegnato e vi ha inculcato questo vostro vecchio amico; zelate la salute delle anime che si vanno miseramente a perdere; [293] prendetevi specialmente cura della gioventù dei vostri paesi, nella quale è la speranza della società; state uniti al Capo della Chiesa, al Vicario di Gesù Cristo. Vegliamoci sempre bene, preghiamo a vicenda gli uni per gli altri, e voi soprattutto pregate per il povero Don Bosco, che si avvicina ogni dì più alla morte, affinchè per la misericordia di Dio possiamo tutti salvarci e con noi salvare innumerevoli altri.

 

                Era verissimo che la Santa Vergine e non Don Bosco operava i miracoli; ma non era men vero che alle preghiere di Don Bosco la Santa Vergine si volgeva propizia come a nessun altro di cui si avesse notizia. Un settimanale francese[247] conchiudeva con queste parole un articolo intitolato Regina Caeli in lode di Maria Santissima: “Fra le grazie innumerabili ottenute in tutto il mondo cristiano per intercessione della Madonna le più segnalate sono forse negli ultimi tempi quelle accordate da Dio ad uno  de' suoi apostoli più favoriti, Don Bosco”.

                Dal 1875 in poi anche il natalizio di Don Bosco si venne celebrando con crescente solennità nel giorno dell'Assunzione, creduto da tutti erroneamente l'anniversario della sua nascita. Per la prima volta nel 1883 vi furono anche inviti diramati da Don Rua con una circolare, nella quale però faceva precedere la notificazione delle Quarantore e della festa di S. Luigi. Una lettera scritta dal Conte di Castagnetto per tale occasione[248] ci ridice quanta fosse la stima e l'affetto che Don Bosco godeva in Torino presso il ceto aristocratico. Assente dalla città, il noto gentiluomo attestava tuttavia a Don Rua d'aver preso ugualmente parte “al felice compleanno del venerato e caro amico” e poi soggiungeva: “Se in 68 anni egli ha saputo fare tesoro di tante preziose gemme che splenderanno nella sua corona in cielo, il frutto delle sue fatiche resterà in terra a santificare numerose anime nell'uno e nell'altro emisfero. Dio gli continui per lunghi anni le sue benedizioni, [294] a consolazione delle anime buone e per colmai e i voti di colui che riverente gli bacia la mano”.

                Sarà certo un oggetto meritevole di particolare studio il credito e l'affetto incontrati da Don Bosco presso le aristocrazie di tutti i paesi; gli elementi che già abbondano, si accresceranno ancora. In luglio era venuta a Torino Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II e regina del Portogallo, La sua prima dama d'onore si recò da Don Bosco per avere da lui un'immagine con qualche parola scritta di suo pugno. Ritornata presso la sovrana, gliela fece vedere, e quella le manifestò il desiderio di averne parimente una con autografo. Tornò per questo la dama il giorno dopo, 25 luglio, a Valdocco e fu appagata[249]. La medesima dama, facendo a Don Rua le condoglianze per la morte di Don Bosco, scriveva: “lo godo d'aver avuto la fortuna di conoscere personalmente questo Santo Padre nell'ultimo passaggio della nostra Regina Maria Pia per Torino. Io aveva l'onor e di accompagnale Stia Maestà e mi feci un dovere e mi procurai la gioia di visitai e colui che conoscevo per fama e che desideravo assai di vedere; e serberò sempre il ricordo dell'aria di bontà e di benevolenza con cui ricevette le mie visite”. Chiedeva infine un oggettino qualunque appartenuto al Servo di Dio e un altro per un sacerdote di sua conoscenza, che aveva avuto “in grande venerazione il venerato e tanto lacrimato Padre”[250].

 

UN ARBITRATO.

 

                Un segno di alta considerazione toccò improvvisamente a Don Bosco nell'estate del 1883 da parte di Leone XIII. Nel 1869 Giacinto Pietro Marietti, direttore della tipografia di Propaganda, aveva stipulato col padre Bernardino da Portogruaro, Ministro Generale dei Minori Osservanti, un contratto [295] privato per la ristampa delle opere complete di S. Bonaventura. L'edizione si sarebbe fatta in società: ognuna delle parti avrebbe avuto seicento copie. Sulle prime l'idea era semplicemente di allestire un'edizione più completa e meglio ordinata delle antiche; ma in seguito sottentrarono vedute più larghe, le quali richiedevano ampi studi preparatorii. Il Marietti consentì e si profferse a concorrere nelle spese per acquisto di libri, per trascrizioni di codici, per viaggi e simili. L'Ordine sostenne così per dieci anni l'onere di venti sacerdoti incaricati di visitare biblioteche e archivi in diverse nazioni d'Europa. Nel frattempo il Marietti erasi trasferito a Torino; d'altro canto i padri collaboratori sentivano la necessità di avere la tipografia vicina alla loro casa, sicchè potessero di persona sorvegliare la stampa. Questo divenne possibile dopo l'acquisto di una casa presso Firenze; giacchè anteriormente per effetto delle leggi di soppressione l'Ordine non possedeva una casa propria neppure a Roma. Allora fu volere unanime dei padri editori che l’edizione fosse portata in una tipografia vicina alla capitale toscana ovvero a Prato. Tanta mutazione di circostanze parve autorizzare a credere decaduto il vecchio contratto, onde il lavoro venire senza più affidato ad un altro tipografo.

                Il Marietti, inteso questo, montò sulle furie ed esigeva che o si stesse al contratto fatto o si indennizzasse lui nell'onore e nell'interesse, mediante una somma di lire ottantamila. Per l'onore, il Generale gli propose di accettare la ristampa del Breviario dell'Ordine, dal che tutti avrebbero veduto che non c'era rottura, e con un’ordinazione di quindicimila copie egli avrebbe potuto realizzare un bel guadagno. Quegli non volle saperne, ma scrisse al cardinale Bilio, penitenziere maggiore, per chiedergli la facoltà di citare il Generale davanti ai tribunali del regno. Sua Eminenza gli rispose che c'erano i tribunali ecclesiastici e che egli poteva ricorrere alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il Marietti negò fiducia nelle decisioni di questa Congregazione, perchè già in altra [296] causa gli aveva dato torto, e indirizzò parecchie lettere sconvenienti al Cardinale, che sdegnato più non gli rispose. L'altro non desistette, ma si rivolse al tribunale di commercio in Roma per rifazione di danni in ottantamila lire. Il tribunale, accettando le conclusioni dell'avvocato fiorentino Feri, si dichiarò incompetente. La causa fu dal Marietti ripresentata ivi al tribunale civile, che  pronunciò sentenza contro di lui, condannandolo inoltre a tutte le spese del giudizio.

                In tale estremità il Marietti presentò un ricorso al Santo Padre. Il Papa, conosciuto lo stato della questione, ingiunse al Generale d'intendersi con Don Bosco, affinchè si escogitasse un piano di accomodamento amichevole. Il Generale, che di ritorno dalla Francia si era fermato a Torino, comunicò a Don Bosco i voleri del Santo Padre. A tal uopo Don Bosco il I° luglio riceveva il seguente biglietto di visita: “P. LUCCA ANTONIO TURBIGLIO curato di S. Tomaso, Torino. Trovasi di passaggio a Torino, il Rev. Padre Bernardino da Portogruaro Ministro Generale dei Francescani, il quale desidera di riverire il Rev. Don Bosco. Potrebbe trovarlo domani mattina all'Oratorio? A qual ora? - I° luglio 1883”. Don Bosco fece rispondere: “Dalle 10 antimeridiane alle 12”.

                Don Bosco, udito il desiderio del Papa, si accinse immediatamente allo studio della controversia. Non gli fu difficile, ottenere l'assentimento del Marietti che, uomo devoto quanto altri mai alla Santa Sede, si dichiarò pronto a fare come il Papa voleva. Così grazie all'intensa attività con cui era solito attendere al disbrigo delle sue faccende, in poco più di dieci giorni potè formulare le condizioni definitive dell'accordo. É un documento che nella sua semplicità rivela tutta la finezza, diremo così, diplomatica e insieme tutta la cristiana carità del Servo di Dio.

 

Accomodamento amichevole.

 

                A fine di secondare le buone intenzioni del Rev.mo P. Bernardino Ministro Gen. dell'Ordine Francescano e quelle del Sig. Cav. Tip. [297] Pontif. Arciv. Giacinto Pietro Marietti, ho di buon grado accettato di arbitrare sopra un contratto tra loro conchiuso intorno alla stampa delle opere di S. Bonaventura.

                Per farmi chiara idea della vertenza ho giudicato bene leggere quanto fu stampato e scritto in proposito; ho pure ascoltato le ragioni di persone probe ed anche i riflessi di ambedue le parti.

                Mi sono pertanto persuaso che  tale vertenza deve assolutamente essere aggiustata amichevolmente fuori dei tribunali. Perciò: Il Sig. Marietti come insigne benefattore dell'Ordine Francescano, e come oblatore del pezzo di terreno su cui si sta ultimando la costruzione della chiesa di S. Antonio a favore dell'Ordine sopra lodato, desiste dalla indennità richiesta che i periti fecero ascendere ad ottanta mila lire, ma riduce la sua pretesa a quella offerta che il Rev.mo Padre generale giudicherà di fare per quella chiesa del suo Ordine, e che  il Cav. Marietti desidera di ognor più beneficare.

                Le spese poi di provviste, viaggi, copiature, di posta, interessi, che  tutto insieme formerebbe la somma di f. 9022,15 in favore del Cav. Marietti, sarebbe limitata a settemila lire.

 

Conclusione.

 

                In questo modo la questione vertente avanti i tribunali civili sulla cifra di ottantanove mila ventidue lire e quindici centesimi, sarebbe ridotta alla somma definitiva di f. 7000 che il Rev.mo P. Bernardino pagherebbe al Sig. Cav. Marietti; più quella offerta che  a suo beneplacito giudicherà di fare per ultimare la mentovata chiesa di S. Antonio.

                Dopo questo le parti faranno una dichiarazione in cui si promettono amicizia, benevolenza ed aiuto in tutto quello che loro è possibile per promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime.

                Questa pace e questo amichevole accomodamento tornerà eziandio di aggradimento al Santo Padre medesimo. Egli, quale padre pietoso, non può a meno che provare consolazione nel vedere due suoi figli, tutti e due segnalati per titoli, opere cattoliche ed ossequio alla Santa Sede, ritornare a quella concordia è a quella pace che ogni giorno è costantemente raccomandata dal Supremo Gerarca della. Chiesa.

               

                Torino, 13 luglio 1883

Sac. Gio. Bosco.

 

 

                Non dovette scegliere a caso la data del 14 per rimettere alle parti la sentenza arbitrale: poichè cade appunto in quel giorno la festa di S. Bonaventura.

                Il Marietti accettò a occhi chiusi questa proposta di accomodamento[251]; [298] anche il Generale dei Francescani ne rimase soddisfatto. É evidente che il Generale, obbligandosi a dare per l'erigenda chiesa, dava all'Ordine e non doveva rendere conto ad alcuno. Così quell'anno medesimo i Francescani di Quaracchi misero mano all'opera, dando in dieci volumi la magnifica edizione critica di Doctoris Seraphici S. Bonaventurae Opera omnia.

 

NEL TERREMOTO DI CASAMICCIOIA.

 

                La carità di Don Bosco ebbe presto una nuova occasione di manifestarsi nel campo, che era a lui più appropriato. Il 28 luglio un terribile movimento sismico scosse tutta l'isola d'Ischia, a nord del golfo di Napoli, e rase al suolo Casamicciola, vaga cittadina, che, situata alle falde del monte Epomeo, era una delle più importanti stazioni termali. L'Italia intera si commosse al disastro; i Vescovi fecero appello al cuore dei fedeli, perchè dessero aiuto a soccorrere i miseri superstiti. Anche monsignor Vogliotti, vicario capitolare dell'archidiocesi torinese, esortò ad allargar la mano per alleggerire le sventure di quegli isolani. Don Bosco, mosso a pietà specialmente dei disgraziati orfanelli, scrisse a Monsignore:

 

                               Rev.mo Mons. Vogliotti Vic. G. C.,

 

                Desideroso di corrispondere nella mia pochezza all'invito di V. S. Rev.ma in favore dei disgraziati di Casamicciola, io mi offro di ricevere per ora due giovanetti poveri che si trovino nella età di dodici a sedici anni.

                Essi dovranno certamente uniformarsi alla disciplina della casa e saranno qui nudriti e vestiti fino a tanto che, o colla scienza acquistata o con una professione imparata, siano in grado di guadagnarsi altrove il pane della vita. Io vorrei concorrere in più larga proporzione, [299] in sollievo di questo pubblico disastro, ma presentemente non posso fare di più. Voglia darci Iddio tempi più felici, tempi di pace e di prosperità.

                Prego la sua bontà a voler prevenire il caritatevole Sanfelice Arcivescovo di Napoli, per l'invio dei sopra citati orfanelli, in quel giorno che si giudicherà opportuno.

                Con profonda venerazione ho l'alto onore di potermi professare.

                Di V. S. Rev.ma

 

                Torino, 4 agosto 1883.

Aff.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Vicario Capitolare, notificata all'Arcivescovo di Napoli l'offerta di Don Bosco, rispose che monsignor Sanfelice ringraziava della generosità e che, presentandosi l'occasione, non avrebbe mancato di valersene.

                . Il 3 agosto una conversazione sulla catastrofe di Casamicciola portò Don Bosco a osservare che quello era un piccolo indizio dello sdegno di Dio. Ricordando poi come in antico là convenissero i buontemponi di Napoli e di Roma, recitò alcuni versi latini composti dal Boucheron, professore di eloquenza greca e latina nell'Università di Torino fino al 1838. Essendo ad Alessandria sprofondato il pavimento di una sala, mentre ivi ballavano i convitati a carte nozze ebree, il poeta introduceva a parlare le vittime, che terminavano dicendo: Laeti ludentes, damnata turba, in orcum trahimur. Don Bosco si fermò a commentare questa frase finale.

                Rifece poi il racconto di Plinio il giovane, che nel disastro di Pompei ed Ercolano potè con sommo pericolo mettere in salvo la madre e lodando il pio atto di amor filiale, disse: - Iddio lo avrà premiato e non solo in questa vita. I mezzi di salute in mano a lui sono infiniti.

                Elevandosi infine dai fenomeni tellurici, prese a ragionare degli spazi intersiderali, così smisurati, che la nostra mente ci si perde e confortando il suo dire con cifre sulle distanze delle stelle più vicine e più lontane a noi visibili, si lasciò andare ad una reminiscenza personale. - Quand'ero più [300] giovane, disse, il sabato sera mi fermava un po' sul balcone prima di ritirarmi in camera e contemplava la luna, i pianeti, la distanza degli uni dagli altri, poi di questi dalle stelle, poi il loro volume, poi l'immensità dell'universo. Mi sembrava così grande tutto questo e così divino che non potevo reggere a pensarvi e me ne correva (qui gli uditori stavano sospesi aspettando che cosa volesse dire)... me ne correva a mettermi sotto le lenzuola. - Con questa scappata improvvisa, che li fece ridere, smorzò l'ammirazione destata in loro dal suo caldo ed elevato parlare.

 

VIAGGIO A PISTOIA

 

                Nella prima metà di agosto dovette fare un viaggio a Pistoia. Un parente del signor Bufalmacchi era divenuto pazzo e si sperava che la benedizione di Don Bosco l'avrebbe guarito. Egli cercò tutti i mezzi per ischermirsi; ma alla fine, mosso da carità, credette bene di arrendersi. Pigliò per compagno Don Costamagna, arrivato allora allora dall'Argentina. Il viaggio fu ricco di episodi interessanti.

                Nell'andata, fra Parma e Bologna, si trovò nel carrozzone con un signore che aveva seco un chierichetto suo figlio. Questo signore pensava di mettere una sua figlia in educazione a Nizza Monferrato sotto la direzione delle Suore di Maria Ausiliatrice, perchè si abilitasse all'esame di licenza normale. Dopo i primi complimenti manifestò a Don Bosco, da lui non conosciuto, la propria determinazione. Il chierico intanto, che nella facciona larga e nei grandi occhi pareva la semplicità e la bonarietà in persona, leggicchiava l'Unità Cattolica. Di qui Don Costamagna tolse argomento per attaccare discorso, venendo a parlare dell'Oratorio e di Don Bosco e finendo con invitare il chierico a venire a Torino con Don Bosco. Il chierico fissò allora gli occhi nel sacerdote, che sedeva vicino a Don Costamagna e chiese: forse quello Don Bosco? [301]

                 - Sì, rispose Don Costamagna.

                 - Oh papà, esclamò il chierico rivolto a suo padre, quel prete con cui parlate è Don Bosco.

                 - Don Bosco?! ripetè il padre. E tosto si mise a ragionare con lui, mostrandosi assai lieto di tale incontro.

                A un certo punto Don Bosco domandò improvvisamente al chierico: - Vuol venire anche lei a Torino con Don Bosco?

                 - A fare che cosa?

                 - A stare con Don Bosco!

                 - E perchè?

                 - Perchè là potrebbe fare dei bene, lavorare, far scuola, assistere, e poi predicare, fare il catechismo.

                 - Ma io debbo continuare i miei studi in seminario.

                 - Anche a Torino avrà tutta la comodità di studiare. Sii, si decida, venga con Don Bosco, c'è posto anche per lei.

                 - Io non posso venire.

                 - Per qual motivo?

                 - Verrei volentieri, voglio bene a Don Bosco, ma voglio più bene a papà e non posso staccarmi da lui.

                Il padre ascoltava questo dialogo senza dir nulla e alquanto commosso. Il treno intanto si era fermato: Era un diretto. Quel signore scese per qualche occorrenza. Alcuni istanti dopo ecco giungere un lunghissimo treno merci e distendersi fra la stazione e il diretto, che tosto fischiò e si mise in moto. Il povero viaggiatore, avendo la strada tagliata, non fece in tempo a raggiungere il suo scompartimento. Il figlio chiamava: Papà, papà! - Ma era inutile. Allora Don Bosco gli disse: - Vede? Lei non voleva venire con Don Bosco, ed ecco che vi è costretto.

                Il giovane desolato ruppe in lacrime. - Là si calmi, gli disse Don Bosco. Alla prima stazione scenderà e aspetterà suo padre. Qui Don Costamagna gli telegraferà che lei lo aspetta e, venendo egli col treno seguente, saranno di nuovo insieme. - E così fu fatto.

                Passata Bologna, nella salita degli Appennini una rottura [302] arrestò la macchina nel mezzo di una galleria, obbligando ad aspettare fino alle undici pomeridiane il soccorso di un'altra locomotiva. Don Bosco era solo nello scompartimento con Don Costamagna e gli narrò, sfogando il suo povero cuore, quanto avesse sofferto nelle questioni con monsignor Gastaldi e la violenza che si era dovuta fare nell'obbedire all’ultimo accomodamento ordinato dal Papa[252]. - Anche il Papa, esclamò, sulle spalle del povero Don Bosco volle far gravare la sua mano! - Don Costamagna, narrando queste cose, diceva che egli sfogava il suo cuore nello stesso modo che avrebbero potuto fare S. Filippo Neri, S. Alfonso de' Liguori e S. Francesco di Sales.

                Quando il treno, ripreso il suo cammino, si fermò alla prima stazione, Don Bosco e gli altri scesero per respirare un po' liberamente. In quel mentre un signore francese ammiratore di Don Bosco, che però non aveva mai veduto, parlava di lui ad alta voce in un crocchio, dicendo che andava a Roma che nel ritorno sarebbe passato per Torino a fine di vederlo; a Parigi aver cercato invano d'incontrarlo. Don Costamagna che l'udiva gli disse: - Se desidera vedere Don Bosco, non deve andare tanto lontano: eccolo! - Quel signore si avvicinò a Don Bosco e come fuori di sè gli si gettò in ginocchio davanti senza badare alla gente che lo guardava, gli afferrò la mano, gliela baciava; la sua consolazione lo faceva andare in visibilio.

                Il Santo, arrivato a Pistoia e benedetto l'infermo, non istette là più del necessario, ma si affrettò al ritorno.

                Alla stazione di Piacenza salirono ti e individui: un chierico che, salutati i due preti, si sedette in un angolo del vagone; un notaio, che si mise dalla parte dov'era Don Bosco, volgendo cioè la faccia alla macchina; un commesso viaggiatore. Don Costamagna era di fronte a Don Bosco, sicchè le loro ginocchia si toccavano. Il commesso entrò con la sua borsa a tracolla, con la grossa valigia di cuoio in mano, le saccocce piene [303] di carte e giornali e con un largo cappellaccio in testa, sotto il quale splendevano due occhi che gli davano un aspetto strano. Salutò coloro che stavano già dentro, depose il suo bagaglio e quindi con maniera disinvolta estrasse un giornale e cominciò a parlare un linguaggio barbaro, mezzo francese e mezzo italiano, frammischiato ancora di vocaboli appartenenti ad altre lingue, - Signori, hanno udito la sorprendente notizia? Il Conte di Chambord è guarito. Qui il giornale racconta il fatto. Un giorno una ragazza si presentò al Conte e gli offerse un fiore. Da quell'istante il Conte fu risanato. P, una cosa meravigliosa, veramente meravigliosa.

                 - Ma scusi, signore, gli rispose il notaio, la cosa non è andata così.

                 - Ma come? La notizia è data per certa dai giornali. Chi l'ha guarito dunque?

                 - Don Bosco di Torino con la sua Madonna.

                Don Bosco urtò allora con le sue le ginocchia di Don Costamagna, facendogli un sorriso. Don Costamagna fece contemporaneamente la stessa mossa, come per dire che aspettava qualche bella scena. In quel momento il treno si rimise in moto. Si accese tosto una disputa fra il notaio e il commesso, che era un belga. Il fragore del carrozzone copriva in gran parte le loro voci; ma Don Costamagna stava con gli orecchi tesi per seguire come poteva il loro ragionamento. Dalle parole del notaio si rendeva manifesto che era persona cattolica e che aveva grande stima di Don Bosco; il belga invece appariva un incredulo. Infatti non solo negava che Don Bosco avesse potuto guarire il Conte, chiamandolo un impostore, un ciurmatore, ma diceva essere una superstizione credere a quei miracoli, a quelle guarigioni, di cui sovente si parlava. Fandonie, nient'altro che fandonie essere le cose che si narravano di Don Bosco. - Ma che cosa è poi la benedizione di un prete? Che cosa è un prete? Un uomo come un altro!

                Il notaio, che lo ribatteva con ragioni precise, qui ebbe buon giuoco. - Lei si contraddice, signore. Protesta di non [304] credere alla Madonna e poi crede a un mazzolino di fiori; non ha fede in Don Bosco, e poi il potere che nega a Don Bosco, lo accorda ad una ragazzina. Fra credere e credere, trovo più ragionevole la mia credenza che la sua.

                Intanto il treno, rallentata la corsa, si avvicinava a una stazione. La disputa era cessata. Tutti tacevano. Don Costamagna domandò a Don Bosco il permesso di entrare nella questione. - Fa pure! - gli rispose.

                Allora Don Costamagna, rivolto al notaio: - A quel che pare, disse, lei ama molto Don Bosco.

                 - Oh sì! Lo amo e lo stimo grandemente. È un uomo che ha fatto tanto bene alla povera gioventù.

                 - Lo conosce?

                 - Personalmente no. Ma lo conosco per quello che la fama predica di lui. Ho letto i suoi libri ed ho visto le sue case di Francia e specialmente quella di Nizza Marittima.

                 - Sono ben contento che ella apprezzi tanto Don Bosco, eppure le dico che non sa ancora tutto quello che Don Bosco si merita. Veda, io ho fatto tremila leghe di viaggio, vengo dall'America e solamente per vedere Don Bosco.

                 - Dall'America?

                 - Certo; io sono uno de' suoi figli; entrai ne' suoi istituti fin da piccolino. Avevo perduto mio padre. Egli mi ha fatto da padre con tutte le cure possibili sia per il mantenimento che per l'istruzione e l'educazione.

                - É stata una grande fortuna per lei!

                - E questa fortuna fu divisa con me da moltissimi altri. In ogni città d'Italia si può dire che c'è qualcuno beneficato da lui quand'era fanciullo, ed egli continua sempre a fare del bene alla gioventù.

                 - Don Bosco è davvero un grande e santo uomo.

                 - Lei dunque non l'ha mai visto?

                 - Mai.

                 - Desidererebbe vederlo?

                 - Ma sì, certamente e con tutto piacere. [305]

                 - Lei dunque dice di volere un gran bene a Don Bosco? - Chi non vorrebbe bene a quell'uomo? Le assicuro che ebbi sempre per lui la massima venerazione.

                 - Ebbene, io sono quasi tentato di farglielo vedere Don Bosco.

                 - Potrà farmi vedere il suo ritratto.

                 - Oh no, non il suo ritratto, ma lui in persona.

                - Allora bisognerebbe che mi conducesse a Torino; ma in questi momenti i miei affari me lo impedirebbero. Eppure ci andrei tanto volentieri!

                 - Non voglio condurla a Torino per vedere Don Bosco.

                 - E come dunque?

                Don Bosco tranquillo con un sorriso appena percettibile seguiva il dialogo. Il chierico e il faccendiere belga non perdevano sillaba. Don Costamagna a questo punto disse al notaio: - Ecco qui Don Bosco.

                A queste parole i tre viaggiatori, come spinti da una molla, balzarono contemporaneamente in piedi e caddero in ginocchio. Il Belga con le mani giunte diceva: - Pardon! Oh buon Dio! Quale sorpresa! Mi perdoni le mie incaute parole! - Era una scena commovente. Don Bosco diceva: - É nulla, nulla; non sono offeso; si alzino. - Dette quindi alcune parole di complimento, volendo lasciar loro una sua memoria, cavò fuori alcune medaglie di Maria Ausiliatrice e ne diede una a ciascuno.

                 - Grazie, grazie! esclamava il Belga. Oh io voglio bene, sa, alla Madonna. Veda. - E trasse di sotto al vestito una medaglia che portava appesa al collo. - Me l'ha regalata mia madre quand'ero fanciullo. Sempre l'ho portata in dosso. Essa mi ha liberato da tanti pericoli e specialmente in una tempesta orribile durante un viaggio nelle Indie. Si fece naufragio, fummo gettati sulle coste indiane, io rimasi a lungo fuori dei sensi, ma potei essere condotto in salvo. Là senza soccorsi rimanemmo tre giorni in paese infestato dalle tigri, dalle quali ci difendevamo la notte accendendo grandi [306] fuochi. Finalmente una nave c'imbarcò e ci portò alla nostra destinazione. Ma lei, Don Bosco, è vero che ha tanti collegi e tanti giovani da mantenere?

                Don Bosco gli dipinse con poche parole la grandezza della sua opera.

                 - Ma lei dunque dev'essere ben ricco, deve possedere milioni!

                 - Io non posseggo nulla.

                 - Ma com'è possibile senz'aver nulla mantenere tanti ospizi?

                 - La Madonna è che li mantiene.

                 - Mi perdoni, ma io non capisco. Non è possibile, sono pietose fantasie... Oggi, far supporre aiuti celesti... sono passati quei tempi, in cui... Ma basta: anch'io voglio concorrere per quel che posso ad aiutarla nelle sue opere. Prenda una piccola offerta. - Era una moneta d'oro da venti franchi.

                Don Bosco lo ringraziò e soggiunse sorridente: - Osservi bene, lei stesso dà la risposta alle obbiezioni fatte pocanzi. Come la Madonna ha mosso il suo cuore ad aiutarmi, così ne muove migliaia d'altri a venire in aiuto dei nostri giovanetti.

                Quando si separarono, il Belga volle scambiare con Don Bosco il biglietto di visita, promettendogli che passando per Torino, sarebbe venuto a trovarlo.

                Più piccante episodio accadde nell'ultima parte del viaggio. Ad Alessandria salirono nuovi viaggiatori in quello scompartimento. Uno di essi cominciò a parlar male di Don Bosco, dipingendolo a neri colori e dicendo che era un avaro e che ammucchiava danari con l'ingannare i gonzi.

                 - Scusi, fece Don Bosco, lei conosce Don Bosco?

                 - S'immagini, se lo conosco! Sono torinese e l'ho visto spesse volte.

                 - Eppure io non credo che Don Bosco abbia tutti quei danari che lei dice.

                 - Ma lo vuol dire a me? Don Bosco è furbo, vuol arricchire la famiglia e ha già comprato molte possessioni. [307]

                 - Io non so che a Castelnuovo egli abbia possedimenti.

                 - Sì, sì; i suoi fratelli son divenuti ricchi.

                 - Perdoni, ma Don Bosco aveva un fratello solo.

                 - O più o meno, il fatto sta, ed io lo so certamente, che il fratello di Don Bosco, mentre prima era povero contadino, ora ha carrozza e cavalli.

                 - Ed io le dico che il fratello di Don Bosco è morto da più di vent'anni.

                 - Sia come si vuole, ma non potrà negare quello che io conosco benissimo.

                 - Ebbene, se vuole cavarsi la curiosità, vada a Castelnuovo e vedrà che Don Bosco ha due soli nipoti, i quali coltivano un poderetto e nulla più.

                - Ma dunque lei mi vuol dare del mentitore?

                - Io non le dò del mentitore; dico solamente che quanto lei afferma, non è secondo verità.

                Così si questionò per un pezzo. I viaggiatori si mostravano propensi a credere vero quello che il prete diceva. Quand'ecco a Felizzano affacciarsi allo scompartimento il barone Cova, che, visto Don Bosco: - Oh Don Bosco - esclamò salutandolo e facendo per intrattenersi familiarmente con lui. I viaggiatori diedero in una risata e quel tale tutto confuso balbettava parole di scusa. Don Bosco sorridendo gli rispose: - Desidererei darle un consiglio, e sarebbe di non parlare mai male di nessuno o almeno guardar prima bene chi le sta vicino. Potrebbe darsi che quello stesso con cui parliamo, sia proprio colui del quale laceriamo la fama. Il meglio però si è parlar sempre bene di tutti e, non potendo parlar bene, tacere.

 

NEL PERIODO DEGLI ESERCIZI.

 

                Dall'agosto all'ottobre correva il periodo degli esercizi spirituali, a cui Don Bosco faceva sempre di tutto per presiedere; ma il viaggio di Pistoia gli tolse la possibilità di trovarsi, [308] come aveva stabilito, nella casa di Nizza Monferrato per la muta delle signore, diede perciò a Don Cagliero l'incarico di sostituirlo.

 

                               Car.mo Don Cagliero,

 

                Desidero che almeno alcuni giorni siano passati a Nizza Monferrato. Ma una serie di telegrammi fanno che domani mattina debba partire alla volta di Firenze.

                Dirai però alle esercitande che mi rincresce; che  pregherò tanto per loro; che le benedico e che giovedì mattino celebrerò per loro la S. Messa. Mi raccomando alla carità delle loro preghiere. Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.

 

                Torino, 7 agosto 1883.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Che sia andato allora fino a Firenze, non risulta da nessun indizio. Essendo Pistoia sulla linea di Firenze, Don Bosco usò quell'espressione vagamente, perchè forse non credette opportuno dire quale fosse la vera meta del suo viaggio.

                Per gli esercizi degli ascritti a S. Benigno nella seconda metà di agosto si trovò presente. Di là spedì un telegramma di augurio al Papa nel giorno di S. Gioachino, suo onomastico. Gli fu risposto affettuosamente il 22 dal cardinale Jacobini, Segretario di Stato: “Don Bosco, S. Benigno Canavese. Graditissimo riuscì al Santo Padre telegramma. Sua Santità benedice lei e Salesiani riuniti costì spirituali esercizi”. Un accenno a quegli esercitandi si legge in una lettera alla baronessa Ricci.

 

                               Benemerita Sig. Baronessa Ricci Azelia Fassati,

 

                Di tutto buon grado mi terrò libero di celebrare la Santa Messa il 25 di questo mese secondo l'intenzione della Contessa de Maistre Francesca e per la serafica suora del Sacro Cuore. Come pure farò fare una novena di comunioni, di preghiere e di messe che termineranno col giorno della Natività di Maria all'intenzione di una monaca francescana. Ed altro? Un memento speciale nella santa Messa per Lei, sig. Baronessa, pel sig. Barone Carlo e particolarmente per Maman [309] affinchè Dio li conservi tutti ad multos annos in sanctitate et iustitia omnibus diebus vitae.

                lo sono qui con duecento giovani che fanno gli esercizi spirituali per esaminare la loro vocazione e quindi cominciare il loro noviziato. Ardono tutti del massimo desiderio di recarsi in Patagonia.

                Dio benedica Lei, sig. Azelia, e con Lei benedica tutta la famiglia del Pessione[253], e raccomandandomi alla carità delle loro preghiere ho la consolazione di potermi professare in N. S. G. C.

 

                S. Benigno Can., 22 agosto 1883.

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Durante questo corso di esercizi si presentò la prima volta a Don Bosco un sacerdote francese. Era della diocesi di Chartres e veniva a farsi salesiano proprio quando si avvicinava il tempo, nel quale sarebbe stato necessario avere un soggetto come lui da mettere a capo di un'opera in Parigi. Si chiamava Don Bellamy. Mentr'egli parlava col Santo, entrò Don Branda, direttore del collegio di Utrera, per chiedere la benedizione avanti di partire per la Spagna. Don Branda si era inginocchiato e Don Bosco, volto a Don Bellamy, disse: - Vede questo prete? Va nella Spagna, dov'è direttore - di una casa e Ispettore della provincia. Vuole ora che le dica che cosa sarà di lei?

                Don Bellamy, che non conosceva ancora i doni soprannaturali di Don Bosco, prese la domanda in scherzo e gli rispose ridendo: - Dica pure,

                 - A lei faremo fabbricare Salesiani.

                 - Che cosa intende dire?

                 - Sa come fanno i falegnami! Prendono un pezzo di legno e tagliano e squadrano e piallano e ne fabbricano un mobile. Così io darò a lei il legno e lei me lo lavorerà e così fabbricherà Salesiani. Vuol sapere ancora altro?

                 - Dica pure, replicò Don Bellamy, sempre come uno  che ascolta cosa di poca o niuna importanza. [310]

                 - La manderemo in missione al nord...

                 - Al nord?!

                 - Vuol sapere altro ancora?

                 - Basta, Don Bosco. - E così dicendo, gli indicava Don Branda, che stava sempre là in ginocchio, aspettando la benedizione.

                Benchè non ne facesse alcun conto, quelle parole rimasero impresse nella memoria di Don Bellamy, che cominciò a intendere la prima parte, allorchè da Parigi venne mandato maestro dei novizi a Marsiglia. Ma intanto pensava alla missione del nord, annunziatagli in secondo luogo. Era venuto a farsi salesiano con l'intenzione di andare missionario in Africa; ma, nominato da principio Direttore della casa di Parigi, cioè nel nord della Francia, non poteva capacitarsi che quella fosse una missione. Finalmente nel 1891, destinato a Oran nel nord dell'Africa, ritenne che così la frase interrotta di Don Bosco avrebbe dovuto avere il suo compimento.

                Egli non si fermò subito a S. Benigno, ma vi tornò tre settimane dopo, durante un nuovo corso di esercizi, conducendo seco un altro prete francese, desideroso pure di farsi salesiano. Presentando il primo a Don Barberis, il Servo di Dio gli disse:

                 - Ecco una pianta da trapiantare nel nostro giardino.

                Ma del secondo, quando fu da solo a solo con Don Bellamy gli disse: - Quell'altro non si fermerà con noi.

                Perchè? chiese Don - Bellamy un po' contrariato. È troppo incostante, gli rispose Don Bosco.

                A Don Bellamy parve azzardato quel giudizio, essendo il suo compagno a lui interamente conosciuto. Ma l'evento, provò la verità della predizione; infatti dopo sei mesi quegli abbandonò il noviziato.

                Al proprio Vescovo, che era monsignor Lodovico Eugenio Regnault, Don Bellamy non aveva manifestato lo scopo del suo viaggio in Italia. Ora, appena egli seppe che si voleva [311] fare salesiano, gli scrisse minacciando che, se non tornasse immediatamente nella diocesi, l'avrebbe sospeso a divinis. Don Bosco, quando ne fu avvisato, si trovava a Nizza Mare per gli esercizi dei confratelli francesi. Di là indirizzò al Vescovo di Chartres una sua letterina, in cui fra l'altro diceva, che avrebbe consigliato a Don Bellamy di obbedire al suo Vescovo, ritornando in diocesi per rimanervi fino a tanto che il Signore ispirasse al Vescovo stesso di permettergli che seguisse la propria vocazione. La lettera cominciava con Grandeur! Quelle parole sconcertarono il Vescovo, il quale, rispondendo a Don Bellaray, gli disse che dopo averle lette aveva passato la notte insonne e che al mattino, celebrando, aveva chiesto sull'affare i lumi dello Spirito Santo; intanto se ne rimanesse pure dov'era e procurasse di riuscire un buon salesiano.

                Ai suddetti esercizi degli ascritti partecipava anche un chierico del seminario di Magliano Sabino. Un giorno Don Bosco gli disse: - Sta' allegro, verrà da Magliano un altro chierico.

                 - Chi è? chi è? domandò ansiosamente il nuovo venuto.

                 - Indovina.

                 - Non saprei; me lo dica!

                 - Il cognome comincia per C e finisce in i.

                 - Non lo so indovinare; me lo dica!

                 - Verrà Corradini.

                Ruggero Corradini faceva allora la quarta ginnasiale nel convitto annesso al Seminario, nè aveva mai sentito la menoma propensione a farsi salesiano. Il chierico scrisse al direttore Don Daghero il dialoghetto avuto con Don Bosco; poi lo riferì oralmente al Corradini alcuni mesi appresso, poichè non perseverò e fece ritorno a Magliano. Quegli bruciava dalla voglia di sapere come mai Don Bosco fosse venuto a conoscenza del suo nome; ne interrogò qualche anno dopo il Santo medesimo, che erasi recato nel seminario, ma il Santo gli rispose: - Sapere come io conobbi che saresti [312] venuto su, non importa. Fa' così: se vorrai venire, quieta la mamma con qualche scusa e verrai a provare.

                Queste parole di Don Bosco non gli fecero nè caldo nè freddo, perchè neppur per sogno avrebbe voluto farsi salesiano; figlio unico di madre vedova, non pensava affatto di abbandonare la sua diocesi. Ma nel marzo del 1889 quel desiderio, che sembrava così remoto dalle sue aspirazioni, gli s'insinuò nell'animo e lo signoreggiò talmente, che, ordinato diacono, superò tutte le difficoltà dei parenti e dei superiori diocesani e partì per Torino. Mentre scriviamo, Don Corradini lavora nell'Ispettoria Romana.

 

Il COADIUTORE SALESIANO.

 

                Nel terzo Capitolo Generale, di cui diremo più avanti, si era stabilito che anche i coadiutori avessero il loro noviziato a parte. Questa deliberazione fu messa in atto con mirabile prestezza; poichè già nell'ottobre seguente ventidue ascritti artigiani cominciavano a S. Benigno la loro prova, segregati dagli altri della casa. Appena tutto fu all'ordine, Don Bosco, venuto a S. Benigno per la vestizione dei chierici, andò a vederli e, parlando a loro soli, delineò, come non aveva fatto mai in passato, la figura del coadiutore salesiano, quale egli la concepiva.

 

                Il vangelo di stamattina diceva: Nolite timere, pusillus grex, non temere, piccolo gregge[254]. Voi siete anche il pusillus grex, ma non vogliate temere, nolite timere, che crescerete.

                Sono molto contento che si sia cominciato un anno di prova per gli artigiani con regolarità. É questa la prima volta che vengo a San Benigno dacchè ci siete voi e sebbene sia venuto per la vestizione chiericale e non mi fermi che un giorno, non volli lasciarvi senza dire due parole a voi in particolare. Vi esporrò due pensieri.

                Il primo è manifestarvi qual è la mia idea del coadiutore salesiano. Non ebbi mai tempo e comodità di esporla bene. Voi adunque siete [313] radunati qui a imparte l'arte e ammaestrarvi nella religione e nella pietà. Perchè? Perchè io ho bisogno di aiutanti. Vi sono delle cose che i preti e i chierici non possono fare, e le farete voi. Io ho bisogno di poter prendere qualcuno di voi e mandarvi in una tipografia e dirvi: - Tu pensaci e falla andare avanti bene. - Mandarne un altro in una libreria e dirgli: - Tu dirigi, sicchè tutto riesca bene. - Mandarne uno in una casa e dirgli: - Tu avrai cura che quel laboratorio o quei laboratorii camminino con ordine e non manchi nulla; provvederai che i lavori riescano come devono riuscire. - Ho bisogno di avere in ogni casa qualcuno a cui si possano affidare le cose di maggiore confidenza, il maneggio di danaro, il contenzioso; chi rappresenti la casa all'esterno. Ho bisogno che vadano bene le cose di cucina, di porteria; che tutto si procuri a tempo, niente si sprechi, nessuno esca, ecc. Ho bisogno di persone a cui poter affidare queste incombenze. Voi dovete essere questi. In una parola voi non dovete essere chi lavora direttamente o fatica, ma bensì chi dirige. Voi dovete essere come padroni su gli altri operai, non come servi. Tutto però con regola e nei limiti necessari; ma tutto voi avete da fare alla direzione, come padroni voi stessi delle cose dei laboratori. Questa è l'idea del coadiutore salesiano. Io ho tanto bisogno di avere molti che mi vengano ad aiutare in questo modo! Sono perciò contento che abbiate abiti adattati e puliti; che abbiate letti e celle convenienti, perchè non dovete essere servi, ma padroni; non sudditi, ma superiori.

                Ora vi espongo il secondo pensiero. Dovendo venire così in aiuto in opere grandi e delicate, dovete procurarvi molte virtù, e dovendo presiedere ad altri, dovete prima di tutto dare buon esempio. Bisogna che dove si trova uno di voi, si sia certi che là vi sarà l'ordine, la moralità, il bene. Che se sal infatuatum fuerit...

                Conchiudiamo dunque come abbiamo cominciato. Nolite timere, pusillus grex. Non temete, che il numero crescerà; ma specialmente bisogna che si cresca in bontà ed energia. Allora sarete come leoni invincibili e potrete fare molto del bene. E poi, complacuit dare vobis regnum. Regno e non servitù, ma specialmente avrete il regno eterno.

 

                La tre volte ripetuta qualifica di “padroni” esprime come non si potrebbe meglio l'idea del coadiutore salesiano. Il coadiutore salesiano non è il fratello laico degli altri istituti religiosi, che si chiama fratello, ma, in realtà del fratello ha così poco come ben poco ha del servo chi complimentosamente si professa tale a voce o per iscritto. Il nostro coadiutore è parte viva della famiglia. Ora in una casa tutti i membri della famiglia sono detti comunemente i padroni e come tali si differenziano dai servi e dagli estranei. Il coadiutore salesiano [314] dunque affratellato con i preti e i chierici, sta al loro livello di fronte alle persone di servizio, agli alunni e agli ospiti, che sotto qualunque titolo convivano o collaborino nelle nostre case. Andrebbe lungi dal pensiero di Don Bosco chi supponesse che con quella denominazione egli attribuisse ai coadiutori uno stato di privilegio nella comunità; Don Bosco volle invece indicare la totale appartenenza loro alla famiglia, di cui fanno parte, e quindi il diritto che essi hanno a egual trattamento come i preti e i chierici, Il grado di considerazione che loro deriva da questa posizione, li porta naturalmente ad assumere atteggiamenti decorosi nei rapporti, con gli esterni, a curare l'esemplarità della condotta in casa, a sentirsi solidali con i confratelli e a mostrarsi fedeli nelle rispettive mansioni. Di modo che l'appellativo di “padroni”, anzichè inorgoglire, deve preoccupare seriamente ogni buon coadiutore, sol che rifletta al senso di responsabilità che quell'attributo suppone e impone.

 

CONFERENZA A CASALE MONFERRATO.

 

                Anche quest'anno Don Bosco tenne la conferenza ai Cooperatori di Casale. Vi si recò il 21 novembre da Borgo S. Martino, dov'era stato per la festa posticipata di S. Carlo, titolare del collegio. Quando venne il momento di montare in pulpito, il cerimoniere vescovile (poichè monsignor Ferré volle assistervi) fece intendere che Don Bosco doveva portarsi alla cattedra episcopale e ricevere prima la benedizione del Vescovo. Naturalmente il Servo di Dio si accinse tosto a obbedire e a fare come sempre aveva fatto in simili casi; ma Monsignore quasi di scatto disse al suo cerimoniere: - Don Bosco venire a farsi benedire da me? Non domandano a lui i Vescovi la benedizione? Nè permise che egli eseguisse quella cerimonia. A probabile però che il Vescovo volesse anche risparmiare a Don Bosco l'incomodo di fare un giro [315] per giungere a' suoi piedi e poi inginocchiarsi e alzarsi, movimenti disagevoli per lui a quell'età e con gli acciacchi che gli rendevano difficoltoso il camminare. Tutto questo vide, udì e riferì poi Don Caroglio, allora segretario vescovile e là presente.

                Il discorso, durato poco meno di un'ora, non uscì dalla traccia consueta: necessità di provvedere all'educazione della gioventù, attività dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in questo campo, e bisogno di aiuti. Piacque la fiducia che mostrò di avere nella divina Provvidenza e nella, carità dei Cooperatori. Osservò: - Forse taluno potrebbe dire: Ma con` tante opere - che ha tra mano, Don Bosco finirà con fare bancarotta! Nossignore, noi non faremo bancarotta. Non l'abbiamo fatta finora e non la faremo in avvenire. Ci è sempre garante la divina Provvidenza e la carità dei nostri Cooperatori.

 

IN FINE D'ANNO.

 

                La sera del 20  dicembre accadde nell'Oratorio i - in fatto prodigioso. Una donna di Cervignasco presso Saluzzo portò di peso nella camera di Don Bosco una sua figlia di nove anni. La piccina era paralitica dall'età di otto mesi e, secondochè diceva la madre, stentava a parlare e non poteva camminare. I medici, scriveva il parroco in una lettera consegnata dalla donna al Santo, affermavano che non c'era più altra speranza di guarigione se non nel mettere alla prova la benedizione di Don Bosco.

                Don Bosco fece posare la giovanetta sul sofà e vicino a lei la madre; quindi diede la benedizione all'inferma e poi la interrogò: - Come ti chiami?

                - Maria, rispose la bambina vispa, e pronta con grande stupore della madre, che sgranava tanto d'occhi allo scorgere in lei quella insolita energia.

                 - Fatti il segno della croce, continuò Don Bosco. [316]

                 - In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, Così sia.

                 - Noti, osservò la madre, che il braccio destro è meno ammalato del sinistro, perchè di questo non si può menomamente servire.

                 - Ebbene, replicò Don Bosco, muovi il braccio sinistro.

                La bambina oddedì.

                 - Ed ora, proseguì Don Bosco, sei buona a camminare?

                 - Ha le gambe morte! esclamò dolorosamente la madre. Vede? Sono un terzo più piccole del normale.

                 - Vi dico che sono gambe vive, ribattè Don Bosco. Su, scendi e mettiti a camminare.

                La bambina balzò in piedi e camminava. Don Bosco allora condusse subito madre e figlia alla porta, dicendo loro che tornassero al paese. Don Lemoyne, che, come soleva da qualche tempo, andava ogni sera a passare un'ora in intima conversazione con Don Bosco, lo trovò ancora tutto commosso dell'accaduto e quasi tremante.

                Avvicinandosi il santo Natale, Don Bosco per il tramite del Cardinale Protettore umiliò al Santo Padre le sue felicitazioni. Sua Eminenza il 24 gli rispose: “S. Padre ringrazia, manda copiosa benedizione. Auguri sinceri. Card. Nina”. Questi ripetuti segni di benevolenza da parte di Leone XIII non è a dire quanto consolassero il cuore di Don Bosco dopo le passate ambasce.

                Celebrate le feste natalizie, egli diede in casa la strenna, che precedentemente aveva spedita ai collegi. Consisteva essa in due avvisi, uno per gli alunni e l'altro per i Confratelli. Ai primi diceva: “Non rubare nè oggetti altrui, nè il tempo, nè l'innocenza, nè l'anima verbis et operibus”. Ai secondi: “Prima carità è quella usata all'anima propria”.

                In questo capo non è narrato tutto quello che Don Bosco fece e disse nell'Oratorio dal suo ritorno fino al termine dell'anno; altro si racconterà nei capi seguenti. Piace intanto leggere quali impressioni portavano seco dell'Oratorio e di [317] Don Bosco gli ospiti venuti da remote parti. Alle testimonianze già da noi recate ne aggiungeremo qui una nuova che comparve in un giornale romano[255]. Un corrispondente di Treviso scriveva: “Nessuno a questo mondo avrebbe certo potuto spiegarmi a parole la pace, la gioia paradisiaca, le sante ispirazioni che ci è dato godere in quel luogo pio. Oh Don Bosco, gloria d'Italia, permetti nella tua invidiabile modestia, che io proclami al mondo che tu sei un santo; poichè santo ti qualificano le tue opere sempre riuscite a bene da circa mezzo secolo; santo ti manifestano le tue doti e di mente e di cuore; santo ti dimostra la parola saggia, tranquilla, affascinante, sempre eguale, sempre istruttiva, sempre caritatevole”.

 

 

CAPO X.

Visita illustre e visita storica: un Cardinale francese e un futuro Papa.

 

                DAL 1875 dopo il Beraldi più nessun Cardinale aveva  visitato l’Oratorio, finchè nel 1883, ci venne l’eminentissimo Enrico De Bonnechore, Arcivescovo di Rouen. Oggi col viavai continuo di alti personaggi è difficile comprendere quanta e quale impressione producesse allora in tutti la presenza di un Principe della Chiesa nella casa di Don Bosco. Il 4 ottobre quel venerando Porporato, di ritorno da Roma, si volle fermare a Torino, perchè desiderava di vedere Don Bosco e l'Oratorio. Disgraziatamente Don Bosco era fuori con tutti i membri del suo Capitolo; poichè, mentre presiedeva in S. Benigno un corso d'esercizi spirituali, teneva adunanze con i suoi consiglieri per l'assetto delle case nel nuovo anno scolastico, nè bastava il tempo perchè, avvisato telegraficamente, accorresse per fare gli onori di casa all'eminente visitatore. Dall'Oratorio mancavano pure gli studenti, che dovevano tornare a giorni dalle loro vacanze. Tuttavia il prefetto e gli altri confratelli prepararono in breve un ricevimento decoroso; per il che non ebbero a fare se non quanto avevano veduto praticarsi più volte in casi analoghi. Giovò anche il trovarsi presente un giovane sacerdote salesiano di nazionalità francese. [319]

                Sua Eminenza consentì di salire al primo piano, dove s'intrattenne a conversai e con i nostri sacerdoti che lo accompagnavano, informandosi di cento cose con vivo interesse. Poi, affacciatosi dal ballatoio, disse agli artigiani radunati nel cortile sottostante: - Miei cari giovani, ero venuto con l'intenzione di visitare Don Bosco e discorrere con lui; ma i suoi doveri lo tengono lontano di qui. Non potendo salutare il padre, godo di vederlo rispecchiato nei figli. Vi benedico tutti con il massimo affetto e prego Dio che vi colmi delle sue grazie e dia prosperità a questa casa e alle opere salesiane.

                Per lasciarvi poi un ricordo del mio passaggio, vi dò una giornata di vacanza, rallegrata possibilmente da una gita. Così pure, poichè anche voi siete uomini e taluni potrebbero aver commesso qualche mancamento, io vi accordo amnistia completa, cancellando tutti i punti neri e condonando tutti i castighi. - I superiori prontamente assentirono e promisero di eseguire. Il Cardinale aggiunse ancora: - Metto però una condizione, o giovani, ed è che ognuno di voi dica secondo le mie intenzioni un Pater e un'Ave. - Acclamazioni e applausi accolsero le sue parole. Dall'alto egli benedisse i ragazzi; quindi scese, passò in mezzo a loro dando l'anello a baciare ed entrò nella chiesa. Uscendo disse che egli aveva in diocesi un antico santuario dedicato a Maria sotto il titolo di Auxilium Christianorum e che era una sorgente perenne di grazie spirituali e temporali. Appresso visitò la tipografia, installata da poco nei locali di recente costruzione. Vi si stampava la grammatica greca di Don Garino, della quale esaminò le bozze[256]; [320] pose anche molta attenzione al funzionamento delle macchine e al lavoro dei piccoli operai.

                Prima di lasciare la casa si compiacque d'indugiarsi ancora un poco nel parlatorio, continuando a chiedere informazioni su varie particolarità e mostrandosi da ultimo così soddisfatto, che gradì assai il diploma offertogli di Cooperatore Salesiano. Nell'atto di accomiatarsi promise che un'altra volta, ripassando per Torino, avrebbe preavvisato Don Bosco e raccomandò di dire a Don Bosco che egli pure, ritornando a Parigi, ne lo facesse avvertito. Ma il Cardinale aveva ottantatrè anni e il Servo di Dio non doveva più rivedere la capitale della Francia[257].

                In quell'autunno vi fu un'altra visita che non fece alcun rumore in casa, ma che doveva avere conseguenze di altissimo valore. Quella volta Don Bosco c'era. Si presentò a lui un giovane sacerdote, slanciato della persona, dalla fronte ampia, dall'aria riflessiva, ponderato nel parlare e riverente nei modi. Dopo una conversazione che non andò solamente in convenevoli, il Servo di Dio disse al suo visitatore: - Ora [321] lei, caro Don Achille, è padrone di casa. Mi rincresce di non poterlo accompagnare io, perchè sono molto occupato; non so neppure chi darle per guida, essendo anche tutti gli altri occupati. Lei vada, venga, veda tutto quello che vuole.

                Don Achille Ratti che faceva le sue prime prove alla biblioteca Ambrosiana di Milano sotto la scorta del dottissimo monsignor Ceriani, desiderava di conoscere specialmente come fosse organizzata la scuola tipografica dell'Oratorio e in generale come funzionassero le scuole professionali. La tipografia con i suoi annessi e connessi, come la fonderia dei caratteri e la legatoria, lo interessò moltissimo. Quando rivide Don Bosco nel refettorio, interrogato da lui che cosa avesse veduto di bello, rispose: Vidi mirabilia hodie.

                Era il tempo, in cui i Direttori della singole case si recavano alla casa madre per conferire con Don Bosco, esporgli le loro condizioni e i loro desiderata e riceverne consigli e conforti. Il Santo li riceveva alla buona là nel refettorio subito dopo il pranzo. Non appena l'ospite, che Don Bosco fermò a prendere il caffè, s'accorse che cominciavano tali udienze, mostrò premura di allontanarsi; ma Don Bosco: - No, no, gli disse, stia, stia pure. - Primo a entrare in colloquio fu un Direttore di Francia. Don Bosco stava in piedi, appoggiato alla tavola. Non erano tutte liete le cose che di mano in mano formavano l'argomento della conversazione; ma dall'aspetto di Don Bosco nessuno, come disse poi il suo ospite, avrebbe potuto indovinare, quando egli udisse buone o cattive notizie, tanta calma e serenità gli si leggevano sempre sul volto.

                Succedette al francese un Direttore italiano, proveniente dalla Sicilia. Era certamente Don Guidazio, che da quattro anni dirigeva il collegio di Randazzo, l'unico esistente allora nell'isola. Bersagliato non poco dalle autorità scolastiche per motivi settari, egli descriveva drammaticamente nel suo pittoresco linguaggio soprattutto le vessazioni di un provveditore agli studi. Don Bosco, ascoltata ogni cosa, prese a dargli opportuni suggerimenti sulla condotta da tenere. [322]

                E se tutto questo non bastasse, conchiuse, digli pure che Don Bosco ha le mani lunghe e che può arrivare fino a lui.

                Cosi Don Ratti, da buon osservatore, assisteva alla serie di quei rendiconti, fissando però la sua attenzione in special modo sul contegno di Don Bosco dinanzi a tanta varietà d'individui e di argomenti.

                Nè siffatta confidenza accordata a un ospite sconosciuto si limitò a quel caso; ma per tutti i due giorni che quegli rimase nell'Oratorio, Don Bosco lo ammise nell'intimità della famiglia, trattandolo come uno de' suoi e lasciandolo libero di girare per la casa a osservare l'andamento e a prendere contezza di tutto quello che gli piacesse. Il che non mancò di produrre in lui un senso tal quale di stupore. Due cose intanto sono certe: che un sì breve spazio di tempo fu sufficiente al suo occhio sagace per misurare la personalità di Don Bosco e la portata della sua missione, e che le parole allora udite e le impressioni riportate non si cancellarono più dalla mente del futuro Pontefice, come ne fanno fede. Le sue reiterate testimonianze tanto in private che in pubbliche udienze.

                Di parole udite non ne conosciamo molte, ma ne abbiamo a sufficienza per formare una bella collana. Don Ratti aveva un rammarico nel cuore: un giovane artigiano da lui raccomandato alcune settimane prima a Don Bosco, preso da nostalgia, se n'era fuggito dall'Oratorio. - Quanto mi rincresce, diss'egli, che il mio raccomandato mi abbia fatto fare una così brutta figura! C'è però la scusa che è un ragazzo poco intelligente. - Ma Don Bosco volle subito riabilitare il suo raccomandato e gli rispose sorridendo: - In quella circostanza diede la sua prima prova d'ingegno. Vedrà che nella vita saprà cavarsela e farsi strada. - La realtà confermò il pronostico; ma lì per lì Don Ratti non fece caso di quella ipotetica eventualità. Gli era piaciuta e l'aveva commosso la caritatevole prontezza delle sue prime parole e il gioviale commento, con cui tanto serenamente egli aveva messo il [323] suggello all'episodio, pigliando motivo dalla scappata stessa per non disperare di quel giovane[258].

                Amante della cultura, Don Ratti si rallegrava con Don Bosco del sapiente e ardimentoso sviluppo dato da lui all'arte tipografica nel suo Oratorio “mediante tutti i ritrovati più completi e moderni della meccanica”. Il “caro” Santo “con quella sorridente bonomia e con quell'arguzia che tutti notavano sempre in lui” gli rispose: - In queste cose Don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia del progresso. E intendeva dire che nelle opere di propaganda tipografica e libraria non la voleva cedere a nessuno. Queste invero, afferma oggi il Pontefice, “furon proprio le opere della sua predilezione” e formarono “il suo nobile orgoglio”[259].

                Confidò pure al suo gradito ospite, che in un primo tempo egli si era sentito sospingere verso il lavoro scientifico e letterario o, come il Papa si esprime, “nella direzione delle grandi comprensioni ideali”. L'incontro con un uomo di libri e di biblioteca gli aveva fatto dire ancor più esplicitamente che egli da prima “aveva un vasto piano di studi, un vasto piano anche di storiografia ecclesiastica; - ma poi, soggiungeva, ho visto che il Signore mi chiamava per altra via: mi mancava forse l'attrezzamento di spirito, d'intelligenza, di memoria -”. Ma è opinione di Pio XI che egli fosse una di quelle anime che “per qualunque via si fosse messa, avrebbe certamente lasciato grande traccia di sè”[260].

                Il Santo, che non si lasciava sfuggire occasione di parlare de' suoi Cooperatori, li chiamò in presenza di lui la sua longa manus, dicendo “con umile compiacenza”, ma come fa chi “vuol dare importanza ad altri” anzichè a se stesso, che grazie appunto alla “mirabile legione”dei Cooperatori egli [324] aveva “le mani abbastanza lunghe da poter arrivare a tutto”[261].

                Dalle sue labbra il Papa attinse pure allora quanto stesse in cima ai suoi pensieri e agli affetti del suo cuore la composizione del deplorato dissidio che divideva in Italia lo Stato dalla Chiesa. La questione romana in quei mesi era tornata, come suol dirsi, di attualità. Pullulavano articoli e opuscoli con proposte più o meno strampalate sul modo di risolverla o pieni di astiose polemiche. Anche dagli Stati Uniti il New York Herald aveva incaricato un suo corrispondente in Italia di visitare i più illustri personaggi delle due Rome, studiare la reciproca posizione del Quirinale e del Vaticano e riferire. Ne venne così una lunghissima corrispondenza riassunta subito su parecchi giornali italiani ed esteri. Al grosso dibattito aveva dato origine una lettera aperta di Emilio Rendu, già Ispettore generale delle Università francesi, all'onorevole Ruggero Bonghi sopra lo scottante argomento[262].

                Orbene Don Ratti vide in tale circostanza come Don Bosco vagheggiasse “non una conciliazione come che fosse, così come molti erano andati per molto tempo almanaccando, arruffando e confondendo, ma in modo tale che innanzi tutto si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime”[263]. Infatti lo udì deplorare certi avvenimenti, “deplorare tanta manomissione dei diritti della Chiesa e della Santa Sede, deplorare che quelli che allora reggevano le sorti del paese non fossero rifuggiti da cammini che non si potevano percorrere se non calpestando i più sacri diritti”; onde implorava “da Dio e dagli uomini qualche possibile rimedio a tanti guai, una qualche possibile sistemazione di [325] cose, sicchè tornasse a splendere col sole della giustizia la serenità della pace negli spiriti”[264]. Perciò nell'Enciclica Quinquagesimo ante anno del 23 dicembre 1929, enumerando le consolazioni arrecatagli dall'anno giubilare della sua sacerdotale consacrazione scriveva: “Durante quella visita alla basilica di S. Pietro [la visita del 2 giugno nella beatificazione di Don Bosco] ci veniva in niente come per una speciale provvidenza dell'Autore di tutti i beni fosse avvenuto che il primo a cui decretammo gli onori celesti dopo che  avevamo concluso il patto della desideratissima pace con il Regno d'Italia, fosse Giovanni Bosco, il quale deplorando fortemente i violati diritti della Sede Apostolica, più volte si era adoperato, perchè, reintegrati tali diritti, si componesse amichevolmente il dolorosissimo dissidio pel quale l'Italia era stata strappata al paterno amplesso”.

                Passando ora alle impressioni ricevute dal giovane levita in quell'unico incontro col Servo di Dio, dobbiamo riconoscere che dovettero essere delle più profonde, se a tanta distanza di tempo gliene torna così vivo e tenero il ricordo. “Sono ormai quarantasei anni, diceva nel 1929[265], e ci pale ieri, anzi oggi, di vederlo ancora così come allora lo abbiamo veduto e lo abbiamo ascoltato, sotto lo stesso tetto alla stessa mensa, ed avendo più volte la gioia di poterci trattenere lungamente con lui, pur nella ressa indescrivibile delle occupazioni”. Più che passeggera conoscenza, egli chiama antica amicizia la sua relazione con Don Bosco, amicizia che glielo fa rivivere nel cuore con tutta la letizia, la giocondità, l'edificazione della sua memoria 3[266]. Si compiace pertanto il Santo Padre di essere non solo fra gli ammiratori di Don Bosco, ma di essere stato “tra i suoi conoscitori personali, tra quelli che ebbero da lui stesso vivi e paterni segni di benevolenza e di paterna amicizia, come poteva esservi tra un [326] veterano glorioso del sacerdozio e dell'apostolato cattolico ed un giovane sacerdote”[267].

                Non basta. Nel 1922, dopo rievocata la “fortuna” di aver non pure passato con Don Bosco poche ore, ma di essergli stato ospite per due giorni “partecipando alla sua, mensa penitente più che povera e giovandosi soprattutto della sua ispirata parola”, aveva detto che godeva di sentirsi per questo in certo modo parte della sua grande famiglia[268]. E diciassette giorni dopo aveva ripetuto[269]: “Noi siamo con profonda compiacenza tra i più antichi amici personali del Venerabile Don Bosco. Lo abbiamo visto, questo vostro glorioso Padre e Benefattore, lo abbiamo visto con gli occhi nostri. Siamo stati cuore a cuore vicino a lui. É stato tra noi non breve e non volgare scambio di idee, di pensieri, di considerazioni. Lo abbiamo visto questo grande propugnatore dell'educazione cristiana, lo abbiamo osservato in quel modesto posto che egli si dava tra i suoi e che era pure un così eminente posto di comando, vasto come il mondo, e quanto vasto altrettanto benefico. Siamo perciò ammiratori entusiasti dell'opera di Don Bosco e siamo felici di averlo conosciuto e di aver potuto aiutare per divina grazia' col modestissimo nostro concorso l'opera sua”. Onde non è da stupire che nel discorso dell'II maggio 1930 salutasse i due giorni trascorsi con Don Bosco corre “giorni di gioia e di consolazione che solo può valutare chi ebbe quella divina ventura”.

                Che se poi dall'impressione generale scendiamo a impressioni particolari, troviamo che all'accorto osservatore nessuna sfuggì delle qualità caratteristiche nel nostro Santo. Sebbene infatti lo vedesse aggirarsi per casa “come l'ultimo venuto, come l'ultimo degli ospiti”, tuttavia al primo approccio egli [327] aveva ravvisato in lui una “figura di gran lunga dominante e trascinante, una figura completa”[270]. Ne notò “l'energia di lavoro, l'indomabile resistenza alla fatica, fatica quotidiana e di tutte le ore da mane a sera, da sera a mane, quando occorreva”[271]; “una vita di lavoro colossale che dava l'impressione dell'oppressione anche solo a vedere”[272]. Ne notò una delle più belle doti, vale a dire “l'esser presente a tutto”, benchè “affaccendato in una ressa continua, assillante di affanni, tra una folla di richieste e consultazioni” e intanto “avere lo spirito sempre altrove, dove la calma era sempre dominatrice e sempre sovrana”[273]; giacchè era una delle sue qualità più impressionanti “una calma somma, una padronanza del tempo da fargli ascoltare tutti quelli che a lui accorrevano, con tanta tranquillità come se non avesse null'altro da fare[274]. Nel che lo vide assistito da “una pazienza inalterabile, inesauribile” e da “vera e propria carità, sì da aver sempre egli un resto della propria persona, della mente, del cuore, per l'ultimo venuto e in qualunque ora fosse arrivato e dopo qualunque lavoro”[275].

                Ammirò poi in lui il “grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana, della Santa Sede Romana”[276]. Sì, questa “fedeltà generosa ed animosa a Gesù Cristo, alla sua santa Fede, alla santa Chiesa, alla Santa Sede fu il privilegio” esemplare che il Santo Padre potè “leggere e sentire nel suo cuore”, constatando “come al disopra di ogni gloria egli poneva quella di essere fedele servitore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario”[277].

                Altra “impressione ancor viva nell'anima” del Pontefice è ch'ei parve fin d'allora “un uomo invincibile, insuperabile,  [328] perchè fermamente, solidamente fondato in una fiducia piena, assoluta nella divina fedeltà”[278].

                Lo colpì inoltre l'avere scorto in Don Bosco un abito sacerdotale, che era frutto di una perfetta preparazione. Parlando agli alunni dei pontifici seminari romani maggiore e minore il 17 giugno 1932, dopo aver accennato alla duplice preparazione che essi dovevano premettere al sacerdozio, preparazione cioè morale ed intellettuale, arrecò l'esempio di Don Bosco dicendo: “Noi abbiamo potuto vedere molto da vicino il Beato, edificarci proprio in presenza dell'una e dell'altra preparazione e vedere tutto quello che non tutti ebbero il piacere di vedere anche tra i suoi figli. Giacchè la sua preparazione di santità, la preparazione di virtù, la preparazione di pietà, da tutti era vista, perchè era tutta la vita di Don Bosco: la sua vita di tutti i momenti era un'immolazione continua di carità, un continuo raccoglimento di preghiera; è questa l'impressione che si aveva più viva della sua conversazione: un uomo che era attento a tutto quello che accadeva dinanzi a lui. C'era gente che veniva da tutte le parti [ …..] ed egli in piedi, su due piedi, come se fosse cosa di un momento, sentiva tutto, afferrava tutto, rispondeva a tutto e sempre in alto raccoglimento. Si sarebbe detto che non attendeva a niente di quello che si diceva intorno a lui: si sarebbe detto che il suo pensiero era altrove, ed era veramente così; era altrove: era con Dio in spirito di unione. Ma poi eccolo a rispondere a tutti, e aveva la parola esatta per tutto e per se stesso, così proprio da meravigliale: prima infatti sorprendeva e poi meravigliava. Questa la vita di santità e di raccoglimento, di assiduità alla preghiera che il Beato menava nelle ore notturne e fra tutte le occupazioni continue e implacabili delle ore diurne. Ma sfuggì a molti quella che fu la preparazione della sua intelligenza, la preparazione della scienza, la preparazione dello studio, e sono moltissimi quelli [329] che non hanno l'idea di quello che Don Bosco diede e consacrò allo studio. Aveva studiato moltissimo, continuò per molto tempo a studiare vastissimamente”.

                Finalmente, nel rievocare con tanta insistenza quella fortunata congiuntura, un'impressione dominante del Santo Padre è che fosse là un tratto della “divina Bontà”[279] e una “mirabile disposizione di Dio”[280], cosicchè fra “le grazie più grandi della sua vita sacerdotale” egli non esita ad annoverare il suo “incontro” con Don Bosco[281]. Nulla dunque vieta di ritenere che l'indimenticabile incontro non sia stato meramente fortuito o dovuto a circostanze puramente umane, ma predisposto ne' suoi arcani consigli dalla Provvidenza divina. Degni di nota sono un tratto cortese e una cortese espressione usati con lui dal Servo di Dio, quando si separarono per non mai più rivedersi.

                Sul punto di prendere commiato, l'ospite voleva manifestare la propria soddisfazione anche col rimettere a Don Bosco una sua offerta; ma il Santo, cosa insolita, la ricusò dicendo: - Lei potrà essere utile in altro modo alla nostra Congregazione. - Non è nostro intendimento di attribuire a queste parole un significato che superi il valore di una squisita cortesia; nulla però ci vieta di conchiudere con un riflesso. Colui che aveva affidato all'umile sacerdote piemontese una missione di bene vasta quanto la Chiesa, guidò gli avvenimenti in guisa che quello de' suoi Vicari, a cui sarebbe toccato il cómpito di apporre a detta missione il suggello del supremo riconoscimento, scoprisse per tempo e valutasse da vicino i tesori di grazia versatigli dallo Spirito Santo in seno.

 

 

CAPO XI.

S. Giovanni Bosco e il Conte di Chambord.

 

                UN Re di Francia, Luigi XI, gravemente infermo, chiamava a sè dall'Italia S. Francesco di Paola nella speranza che la sua benedizione gli tenesse lontana la morte, ormai sicura; ira il Santo non si mosse, finchè il Papa Sisto IV non gliene fece un comando. Si recò egli allora al castello di Plessis nelle vicinanze di Tours e, se non risanò l'infermo, lo indusse tuttavia a incontrare cristianamente la sua fine, avvenuta il 13 agosto 1483. Erano trascorsi esattamente quattro secoli, quando si rinnovava quella visita di un santo sacerdote italiano ossia di Don Bosco, a un discendente di Luigi XI, salutato Re di Francia col nome di Enrico V, sebbene non salisse mai sul trono. Anche in tal caso la santità non potè restituire alla vita l'augusto infermo, ma valse a disporlo serenamente al gran passo.

                Enrico di Chambord era l'ultimo rampollo del principale ramo borbonico. Suo nonno Carlo X nel 1830, costretto a scendere dal trono, aveva abdicato ai suoi diritti sulla corona di Francia in favore del suo primogenito, Duca di Angouléme, che pure vi rinunziò in favore del nipote Conte di Chambord figlio di suo fratello, Duca di Berry. Nato nel 1820 alcuni mesi dopo l'assassinio del padre, si chiamò prima Conte di Bordeaux: ma poi, allorchè una sottoscrizione nazionale lo [331] mise in possesso del castello di Chambord nel dipartimento Loir - et - Cher, gli fu dato da' suoi fedeli quel titolo, che ritenne per tutta la vita.

                Nel 1846 sposò l'arciduchessa Maria Teresa d'Austria - Este, figlia del Duca di Modena Francesco IV e di Beatrice di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I; ma non ebbe figli. Nel 1873 parve prossima l'ora di ricuperare il trono degli avi: il suo partito, rafforzatosi per le debolezze della terza repubblica e per l'unione del ramo degli Orléans, avrebbe potuto dominare la situazione. Se non che il Principe, fermo nel respingere il tricolore, emblema della rivoluzione, e nel rivolere la bianca bandiera con i gigli d'oro, vessillo dell'antica monarchia francese, mandò a vuoto i tentativi di restaurazione monarchica.

                D'allora in poi visse esule a Frohsdorf, nel castello legatogli dalla Duchessa di Angouléme e situato nella Stiria a quaranta chilometri da Vienna, poco lungi dalla stazione ferroviaria di Wiener - Neustadt. Egli non abbandonò mai le sue aspirazioni di ridare alla Francia il suo storico regime, senza patteggiare con la rivoluzione. Ottimo cristiano nella sua vita privata, intendeva di continuare sul trono la serie dei re cristianissimi. Per lui, o sovranità cristiana o nulla. - Io non consentirò mai, diceva, a diventare il Re legittimo della rivoluzione.

                Nel 1883, quattro mesi prima che trapelassero nel pubblico notizie allarmanti sulla sua salute, Don Bosco ricevette da Gorizia, già soggiorno del nonno, una lettera da parte del Principe, nella quale gli si parlava di un incidente occorso a quest'ultimo e gli si raccomandava di fare speciali preghiere. “Meglio d'ogni altro, diceva il segretario, Ella sa quanto sia preziosa la salute di colui, nel quale dopo Dio riposano le speranze della Francia cattolica”[282]. [332]

                Qualunque fosse l'incidente ivi accennato (dicono che fosse un attacco di flebite[283], un morbo ben grave egli covava in seno. I giornali nulla seppero fino al I° luglio, quando un telegramma all'Union di Parigi lanciava improvvisamente la notizia, che le condizioni di Sua Altezza Reale destavano serie inquietudini. Nello stesso giorno entro lo spazio di cinque ore pervennero da diverse parti a Don Bosco tre telegrammi invocanti preghiere. Don Bosco fece rispondere con tre lettere, assicurando che si sarebbe pregato e che si principierebbe subito una novena. Un quarto telegramma, speditogli dal conte De Chalette, supplicava nel medesimo senso; anche a lui fu fatta per lettera l'identica promessa. Intorno alla natura del male i medici non andavano d'accordo: chi vedeva un tumore canceroso al piloro, chi un'infiammazione interna con ispessimento di tessuti alla base dello stomaco.

                Intanto i giornali recavano quotidianamente i bollettini medici, che erano letti con avidità per tutta la Francia. Principi e capi monarchici accorrevano a Frohsdolf, temendo prossima la catastrofe. I circoli legittimisti erano in orgasmo. Pacifiche dimostrazioni avvenivano in molte città; in tutte i fedeli assistevano numerosi a Messe celebrate per ottenere dal cielo la guarigione. Scrisse il Figaro del 4 luglio: “Coloro [333] che credevano spenta in Francia l'idea monarchica, si convincono adesso quanto fosse grande il loro errore”.

                A mezzogiorno del 4 Don Bosco ricevette dall'abate Curè, cappellano del castello, un dispaccio così concepito: “Monsignor Conte di Chambord desidera molto vederla. Prego partite immediatamente per Frohsdorf. Risposta pagata venti parole”. Don Bosco rispose che, giunto di fresco dalla Francia, stanco, infermo, non sentivasi d'intraprendere sì lungo viaggio; che intanto avrebbe pregato e fatto pregare i suoi giovani. Di una posteriore lettera, a cui rispose nello stesso senso, non conosciamo il contenuto.

                Aggravandosi ognor più il male, l'infermo ricevette con perfetta serenità gli ultimi sacramenti. Il Nunzio di Vienna gli portò personalmente la benedizione del Papa, rimanendo a lungo presso il suo capezzale. L'Unità Cattolica del 7 diceva: “Se v'ha principe che meritasse questo favore dal Papa, era certo il Conte di Chambord, il quale alla pratica d'una vita esemplarmente cristiana accoppia sempre il più tenero amore verso la Santa Sede e il Romano Pontefice”.

                Il Governo, sebbene ostentasse indifferenza, pure non era senza preoccupazioni. Specialmente l'andare e venire dei Principi d'Orléans lo metteva in sospetto; onde ne sorvegliava le mosse. Vi fu perfino una proposta di espellere gli Orléans dalla Francia, non appena facessero atti di pretendenti. Il castello di Frohsdorf aveva acquistato in pochi giorni una celebrità europea.

                Al letto dell'infermo consulti si succedevano a consulti, .e nel suo stato i miglioramenti si succedevano con i peggioramenti. Nel popolo francese cresceva a dismisura l'interessamento sulle sorti di lui. Nella notte sul 12 luglio le cose precipitarono a segno, che sembrava imminente il principio dell'agonia. In tanta trepidazione generale le speranze si rivolsero a Maria Ausiliatrice e si venne formando il convincimento che la Madonna, pregata da Don Bosco, avrebbe fatto il miracolo. Il Conte manifestò un'altra volta il desiderio [334] di vederlo. Subito il marchese di Foresta segretario telegrafò a Parigi, che s'inviasse senza indugio a Torino il conte Du Bourg con il mandato di condurre seco Don Bosco a Frohsdorf.

                Giuseppe Du Bourg di Tolosa apparteneva da vent'anni alla Maison du Roi, cioè al seguito immediato del Conte di Chambord, del quale godeva tutta la fiducia. Avendo sposato una figlia del conte Carlo de Maistre, amicissimo di Don Bosco, strinse ben presto relazione col Servo di Dio. Non vi era dunque nell'entourage del Principe persona più adatta, cui affidare il delicato incarico.

                Il Da Bourg, che tornava allora allora da Frohsdorf e anelava di rivedere la famiglia, interruppe senz'altro il viaggio e parti all'istante per Torino. Giunse verso le dieci antimeridiane del 13. Suo primo pensiero fu di cercare del barone Ricci des Ferres, suo cugino, perchè lo accompagnasse a Valdocco. Qui, appena annunziato, venne introdotto e accolto dal Santo con un sorriso di bontà, che gli allargò il cuore. Alle prime domande del Santo intorno alla propria famiglia, si fece a esporgli l'oggetto del suo viaggio e della sua visita. Un no pronto e risoluto fu la risposta; poi seguirono le spiegazioni. Il recente viaggio in Francia averlo grandemente spossato; dopo il ritorno essersi sentito male e non aver potuto attendere al disbrigo delle molte faccende; non poter ancora far uso liberamente delle gambe, che gli sembravano due macchine di gomma elastica inerti. - Del resto, soggiungeva, che cosa andrei io a fare in quel castello? Là non è luogo per Don Bosco. Per il Principe io posso unicamente pregare, e prego e faccio pregare tutta la mia Congregazione. Se il Signore vuol concedere al Principe la salute, lo farà; ma Don Bosco, ripeto, può soltanto pregare, e per questo non occorre certamente andar lontano da Torino.

                Il Du Bourg rimase costernato; eppure, o vivo o morto, era deciso di condurlo via. Cominciò dunque a osservare, che egli nel determinarsi a quel modo aveva esaminato un lato [335] solo della questione, il lato personale. - Non sarebbe da santo, disse, il farsi innanzi da sè e immischiarsi in cose che appassionano il pubblico. Ma nel caso nostro questo non c'entra; qui la deve muovere anzitutto un motivo di carità. É moribondo e chiama lei un principe, il capo di una casa che ha servito sempre la Chiesa, ed ella avrebbe il coraggio di negargli questo conforto? S. Francesco da Paola volò al capezzale del morente Luigi XI: la carità fece tacere ogni altra considerazione. - Poi passò a mostrargli come in Francia non gli si perdonerebbe quel rifiuto di andare da colui che tanti riguardavano qual legittimo sovrano.

                Don Bosco ascoltò riflettendo e taceva. Il barone Ricci che era sovente in vena di faceziare, ruppe quel silenzio dicendo: - Ecco fra breve Don Bosco alle prese con tutti i legittimisti della Francia.

                L'“eloquenza tolosana”[284] dell'inviato aveva vinto, anche il Ricci aveva colpito nel segno. - Eh! pazienza! esclamò Don Bosco, che per recarsi al letto di un povero uomo qualunque non si sarebbe certamente fatto pregare tanto. Indi con il suo dolce, calmo e amorevole sorriso continuò: - Da Frohsdorf mi giunsero telegrammi, e risposi con telegrammi; poi mi scrissero lettere, e risposi con lettere; adesso mi hanno mandato una persona, e rispondo con la mia persona. - La tranquillità e naturalezza con cui parlava, sembrarono al Du Bourg quelle di chi, ponderando le cose davanti a Dio, era pronto a cambiar parere senz'ombra di rammarico. - Sono a sua disposizione, soggiunse egli. Fissi l'ora della partenza e me la faccia sapere. - Proferì le ultime parole con un tentennar del capo, che il suo interlocutore interpretò come un segno di malaugurio, quasi volesse dire che egli colà non aveva proprio nulla da fare.

                Combinato che fu l'itinerario, gli si propose di partire quella sera stessa alle sette. Era venerdì; la domenica seguente [336] ci doveva essere nell'Oratorio l'annuale riunione degli ex - allievi laici, e Don Bosco non vi poteva mancare. Avrebbe dunque voluto rinviare di due giorni la partenza; ma alle argomentazioni del Du Bourg finì con ammettere che, date le circostanze del caso, quel rinvio era troppo lungo e poichè bisognava andare, tanto valeva partir subito. - Ebbene, partiamo stasera alle sette, conchiuse. Alle sei e mezzo io sarò pronto.

                Si pensi se il Du Bourg si trovò puntualmente all'Oratorio! Aveva già spedito un telegramma a Frohsdorf con la lieta notizia: lieta veramente per il Principe, che desiderava molto una visita del “santo uomo”[285]. Ecco la scena che egli ci descrive: “Alle sei e un quarto io mi presentai alla porta dei Salesiani. Mi condussero per un andirivieni di stretti corridoi in un'umile saletta. Don Bosco cenava là tranquillo tranquillo con Don Rua, che gli doveva fare compagnia nel viaggio. In piedi tutt'intorno stavano i primari sacerdoti della Congregazione e i capi d'ufficio, che l'uno dopo l'altro ricevevano le ultime istruzioni su gli affari in corso. Quelle figure ascetiche e intelligenti, la refezione molto frugale e non molto appetitosa, e la calma di Don Bosco che a tutto rispondeva con precisione, formavano un quadro impressionante”.

                Non c'era tempo da perdere. Il Du Bourg, temendo che si facesse tardi, pressava. Finalmente Don Bosco scese; ma che guaio inaspettato! Appena apparve nei cortili, ecco preti, chierici e giovani corrergli attorno per baciargli la mano ritardandone il passo. Poi, come sempre, visi trovavano signori e signore che desideravano di dire e di udire una parola, e Don Bosco a fermarsi pacatamente un istante qua, un istante là. Il povero Du Bourg aveva un'eccitazione di nervi che mai la maggiore; alla fine, attraversati i cortili, trascinò i due compagni di viaggio nella sua carrozzella, che, divorando la via,  [337] giunse alla stazione di Porta Nuova, quando mancavano appena sette minuti alla partenza. Di questi sette minuti quattro gli andarono nel prendere i biglietti; sperava che i tre rimanenti bastassero a svincolare il bagaglio e raggiungere il treno: ma al bagagliaio lo sportello gli si chiuse in faccia. Che fare? Dato l'addio alla valigia, si avventò nella sala d'aspetto, afferrò i due “santi uomini”, li cacciò dentro uno scompartimento di lusso, li seguì trafelato, e il treno partì. Per tutto questo Don Bosco non si scompose, anzi sorrideva. “Ha del prodigio, scrive il Du Bourg, questo vivere così sempre alla presenza di Dio. Tutti gl'incidenti della terra sfiorano appena senza toccare”.

                Don Bosco rise al vedersi in uno scompartimento tutto specchi e circondato di comodità. - Segnerò, disse, questo viaggio fra le avventure straordinarie occorsemi nella vita... Don Bosco viaggiare in carrozzoni così sontuosi! La cosa è abbastanza lepida; la racconterò a' miei giovani.

                Il più notevole incidente accadde a Mestre, l'importante nodo ferroviario non molto lontano da Venezia. 1 nostri viaggiatori sarebbero dovuti montare sull'espresso di Vienna; ma perdettero la coincidenza, perchè arrivati con circa un'ora di ritardo. Non ci fu altro rimedio che proseguire un'ora dopo con il treno omnibus, impiegando per giungere a Wiener - Neustadt ventiquattro ore invece di dodici e passando perciò due notti e un giorno in ferrovia.

                Don Bosco, già stanco prima di partire e ancor più stanco allora per non aver chiuso occhio tutta la notte: - Pazienza! esclamò sorridente. La Provvidenza vuole così. - Faceva un caldo soffocante. Nelle lunghe fermate non ci fu verso di far prendere un po' di cibo a Don Bosco; solo Don Rua un paio d'ore dopo il mezzodì “se la scialò, scrive il Du Bourg, con due uova al tegame”. Il movimento del treno disturbava a Don Bosco lo stomaco; perciò si teneva leggero al possibile. Nel frattempo egli esercitava le sue gambe passeggiando su e giù sotto l'atrio della stazione e portando le braccia conserte [338] dietro la schiena, come costumò negli ultimi anni della sua vita, per agevolare la respirazione.

                Nonostante la stanchezza egli si studiava di alleviare in treno la noia del Du Bourg con interessanti conversazioni. Pieno ancora delle impressioni riportate dalla Francia, molte cose raccontò di quel suo viaggio. Il buon Conte, riandando, quanto aveva udito, fa nel suo libro questa osservazione: “Come mai la corrente, così umana e superficiale, potè impadronirsi d'un pretino tanto modesto nel portamento e nell'aspetto, e che parlava una specie di charabia[286] francese, senza neppure la foga e l'enfasi solita degli Italiani? E tuttavia è un fatto innegabile, sebbene l'interessato non ne dicesse nulla. Io non intendo parlare della gente più o meno divota, che gli si precipitava dietro: ma l'entusiasmo, a cui era fatto segno, si estendeva a tutti. I giornali boulevardiers [più mondani], compreso il Figaro, narravano "mirabilia" intorno alle sue opere e a' suoi miracoli”.

                Del suo fascino irresistibile in ambienti mondani era prova il racconto di due pranzi offertigli dalla colonia russa e polacca dimorante a Parigi e da lui accettati, perchè utili al suo scopo. Nel primo di essi l'anfitrione, un principe russo, per mantenere una sua scommessa, imbandiva nel cuore dell'inverno ogni sorta di frutti estivi, come meloni, pesche, ciliege, uva, pere, fragole, e tutta roba fresca, non in conserva. Il pranzo costò migliaia di franchi, il quale sfoggio di prodigalità assurda fece strasecolare Don Bosco; ma, come ricordo della serata, egli ricevette in una busta un bel mazzo di biglietti da mille. Nel secondo pranzo un altro principe russo aveva scommesso di far servire bocconi scelti di tutte le selvaggine russe, e vi era renna e orso de la Mouche, diceva Don Bosco, indicando la città di Mosca col nome del noto insetto. Descrisse pure il ricevimento fattogli dai principi d'Orléans. Due volte la principessa Bianca d'Orléans aveva ripetuto inutilmente [339] l'invito, finchè la terza volta lasciò a lui la scelta del giorno. - Per carità accettai - diss'egli. Narrò anche prodigiosi episodi sull'intervento della Provvidenza nelle sue opere e gli fece il conto delle spese ingenti che occorrevano in un anno per la sola casa di Valdocco. Con questi conversati il tempo non sembrò troppo lungo.

                Quanto più si avvicinavano alla mèta, tanto peggiori notizie si leggevano nei giornali. Un telegramma del 13 diceva: “Notte agitata; breve svenimento a causa della debolezza, e delirio. L'agonia sembra incominciata”. E un altro del 14: “Lo stato di Chambord è peggiorato. Egli non aprì gli occhi da mezzodì, ed ebbe parecchie sincopi”. Temevano dunque di trovarlo morto.

                Verso le sei antemeridiane del 15 giunsero a Wiener - Neustadt, donde una carrozza del castello li portò in tre quarti d'ora a Frohsdorf. Qui, spolveratisi un tantino, Don Bosco andò a ossequiare l'infermo, poi con Don Rua fu accompagnato alla cappella per celebrare. Era domenica e onomastico del Principe. Molti della locale colonia francese aspettavano la Messa e fecero la comunione per ottener e la grazia; il Principe si era già comunicato per mano del padre Bole gesuita, suo confessore[287].

                Nel diario della malattia, compilato dalla moglie del De Monti e dal marito riportato nel suo volume, è così descritta l'impressione prodotta da Don Bosco in quella specie di corte[288]: “É un uomo bassotto, dallo sguardo intelligente, ma dall'aspetto di vecchio anzi tempo e logoro. Ha l'aria piuttosto impacciata e una grande semplicità”.

                Mentre Don Bosco celebrava, il Du Bourg, per contentare il Principe che voleva sentir parlare di lui, gli contò tanti episodi della sua vita, come la storia del cane grigio, miracoli [340] operati con la benedizione di Maria Ausiliatrice e prodigi dell'assistenza divina alle sue opere. Alla fine il Principe gli disse quasi impaziente: - Andate a chiamare quel santo uomo e conducetemelo qui.

                Il Servo di Dio stava ancora facendo il ringraziamento della Messa. Avvisato che Sua Altezza Reale lo attendeva, fe' cenno col capo d'aver inteso, ma continuava a pregare. Venne un cameriere ad avvertire che il Principe aspettava. Il Du Bourg allora gli si avvicinò e gli disse: - Non si può far aspettare così Monsignore. Chiama e bisogna andare. Fece nuovamente di sì col capo, ma non si moveva. “Tutto termina a questo mondo, scrive il Du Bourg, e anche il pregare di Don Bosco”. Si alza dunque adagio adagio, accetta un po' di ristoro e mentre prende una tazza di caffè e latte, ecco un altro messaggero venirgli a ripetere che Sua Altezza attende il visitatore. Il Da Bourg si affanna a spiegare al messo il ritardo, perchè il Principe ne sia informato; Don Bosco invece è là quieto e sereno. “E, gli aveva, nota il Du Bourg, la calma del cielo nell'anima, nel cuore, nello spirito e nelle abitudini”.

                Introdotto dall'augusto infermo, Don Bosco stette con lui in assai lungo colloquio. Parve persuaso ch'ei non sarebbe morto, e glielo disse con le parole evangeliche: Infirmitas haec non est ad mortem. A sì fausto annunzio il Principe si sentì rivivere; ma Don Bosco gli soggiunse tosto che invocasse con fervore Maria Ausiliatrice, chiamata pure Salus infirmorum e lo dispose a riceverne la benedizione. Ritiratosi il Servo di Dio, l'infermo con voce chiara e forte, quale da due settimane non si udiva più, chiamò il Da Bourg e: - Mio caro Du Bourg, gli disse vivacemente, ve l'avevo detto io. Sono guarito... Non ha voluto dichiararmelo, ma io l'ho capito..È un santo! Sono contento d'averlo veduto... Tutti quanti siamo qui, non arriviamo alla caviglia di Don Bosco. - E più tardi al cappellano: - Don Bosco dice che non è lui, ma l'altro. - E poichè l'abate non intendeva, ripigliò:  [341] Dice che i miracoli non li fa lui, ma il suo compagno. Anche, quello è un santo.

                La stragrande semplicità di Don Bosco spiccò nel suo primo incontro con la Contessa, verso la quale lo accompagnava il Du Bourg. - E chi siete voi? - le domandò in italiano. Ella sorrise e gli declinò senz'altro nomi e titoli, e aggiunse che sua madre era principessa di Savoia, ma del ramo primogenito.

                Il Principe, essendo il suo onomastico, permise che i familiari presenti a Frohsdorf entrassero per presentargli le loro felicitazioni. Essi avrebbero dovuto sfilare solamente dinanzi al letto per non affaticarlo; ma egli rivolgeva a ognuno una parola di saluto, cosa che da tempo non si sentiva più di fare.

                Don Bosco allora e qualche volta anche in seguito si aggirò per il magnifico parco, dove incontrava fanciulli e fanciulle, che capivano solo il tedesco; ma egli tanto s'ingegnò, che, mediante i ricordi degli studi giovanili e con l'interrogare benevole persone, mise insieme un piccolo frasario, con cui riusciva a farsi comprendere e a comunicar loro buoni pensieri sulla salvezza dell'anima.

                Verso sera, pregato dall'abate Curé, parlò nella cappella a un discreto numero di uditori francesi. Con la massima semplicità e con fare paterno esortò alla santa comunione, alla divozione della Madonna e alla fiducia nella preghiera. In ultimo promise che, quand'egli tornasse per ringraziare il Signore, vi sarebbe anche il Principe al canto del Te Deum. Al qual proposito la relazione dell'abate Curé ha questa osservazione: “A detta di lui, la guarigione avverrebbe, ma non tanto in fretta, perchè non la si attribuisca a lui, bensì all'efficacia delle preghiere che si fanno da tutte le parti”.

                Sull'imbrunire sedette a pranzo. Vi erano diciotto coperti[289] e si voleva festeggiare S. Enrico. Presiedeva la Contessa. [342]

                Regnava abbastanza l'allegria. Si era servito l'arrosto e versato il champagne nei bicchieri, quand'ecco fra lo stupore e la gioia di tutti affacciarsi alla sala il Principe, spinto dai domestici sur una poltrona a ruote. La consorte fuori di sè gli balzò accanto. La commozione strappava le lacrime. Era scarno e dimagrito; pur tuttavia con voce vibrata disse: Non ho voluto che si bevesse alla mia salute senza che ci fossi anch'io. - Proferite queste parole, domandò un bicchiere di champagne. Il De Charette si precipitò a porgerglielo. Con grazia squisita brindò alla salute della Contessa, dei presenti e di Don Bosco, accostò il bicchiere alle labbra e poi se lo fece portare in camera.

                Quando un comunicato dell'agenzia Havas annunziò che al pranzo di S. Enrico il Principe si era fatto trasportare nella sala del convito per far festa con gli invitati, molti credettero che fosse uno scherzo del telegrafo; anche la Croix [343] non osò pubblicare la stupefacente notizia, tanto minacciosi erano stati fino allora i bollettini medici. Ma l'esitazione è facile a spiegarsi: prima di quel giorno nessun telegramma aveva annunziato l'arrivo di Don Bosco.

                Di mano in mano che i particolari del miglioramento ricevevano conferma, le speranze degli amini si ravvivavano; un gran malumore invece entrò in corpo agli avversari politici. I loro giornali insinuarono che fosse tutto una commedia: commedia la malattia, commedia il miglioramento. A voler essere completi, si sarebbe dovuto aggiungere che era commedia anche il giudizio di medici fra i più valenti d'Europa, compreso il dottore Vulpian, celebrità mondiale. Questi, infatti, giunto a Frohsdolf nel pomeriggio del 15 ed esaminato ben bene l'infermo, firmò con due altri sanitari viennesi un bollettino, in cui si diceva: “Lo stato generale è relativamente soddisfacente”. Tanto soddisfacente che nel corso della giornata il Principe aveva parlato più volte e non per brevi istanti senza risentirne stanchezza, mentre prima rare parole gli uscivano a stento dalle labbra; e poi aveva sorbito a più riprese circa mezzo litro di latte, mentre nei dì innanzi un cucchiaino di liquido gli produceva spasimi di stomaco e vomiti convulsi.

                I nomi dunque del dottor Vulpian e di Don Bosco andavano accoppiati nella stampa quotidiana. Si era temuto che il dottore parigino facesse il ninfolo a incontrarsi con un prete; invece chiese egli stesso di venir presentato a Don Bosco, al quale disse che suo figlio, alunno dei Marianisti, aveva avuto la fortuna di vederlo nella visita fatta al collegio Stanislas.

                La mattina del 16, festa della Beata Vergine del Carmine, Don Bosco celebrò alle quattro nella camera del Conte, che insieme con la Contessa ricevette dalle sue mani la santa comunione. Il Servo di Dio, ogni volta che fu al capezzale dell'infermo, e non vi andò mai senza essere da lui chiamato, gli parlò sempre da sacerdote, non mai da cortigiano. Alle buone speranze faceva seguire il pensiero che la vita e la morte [344] sono nelle mani di Dio, Re dei re e Signore dei dominanti; doversi tutti, grandi e piccoli, conformare ai suoi imperscrutabili voleri. E il Conte, uomo di viva fede e di soda religione, assentiva pienamente e gli disse che, se la divina Provvidenza volesse disporre che egli potesse ancora quaggiù servire la Francia, non ricusava la fatica; ma che, qualora piacesse a Dio chiamarlo all'eternità, era in tutto e per tutto sottomesso ai decreti divini. Sì pii sentimenti del Conte e l'edificante virtù della Contessa lasciarono Don Bosco profondamente intenerito.

                La sera del 16 il Servo di Dio, licenziandosi, vide con sommo piacere che il miglioramento si accentuava sempre più. Si fece quindi promettere, che, se riacquistasse la salute primitiva, verrebbe a Torino per render grazie a Maria Ausiliatrice nel suo santuario, onorando pure d'una sua visita l'Oratorio, dove tanti giovani avevano pregato, pregavano e continuerebbero a pregare per lui. Il Conte abbracciò Don Bosco e teneramente lo baciò, ringraziandolo cordialmente della sua venuta.

                Durante la giornata il pensiero di Don Bosco era andato a Nizza Mare e all'ingegnere Vincenzo Levrot, perchè, avvicinandosi il suo onomastico, gli voleva anticipare di là i suoi auguri.

 

                               Mio caro Sig. Vincenzo Levrot,

 

                La carità che in tante guise adopera per le opere nostre mi obbliga anche di lontano a ricordarmi di Lei nel suo giorno onomastico.

                Pertanto nel giorno 20 di questo mese io dirò la S.ta Messa ed i nostri giovani faranno la loro Comunione per Lei e per tutta la sua famiglia.

                Questo debole concorso nelle comuni preghiere per Lei faremo tutti i giorni, affinchè le grazie del Signore discendano ognor più copiose sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia. Voglia anche pregare per me che con affezione e gratitudine grande le sarò sempre in G. C.

 

                Prosdorf (sic), 16 luglio 83.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [345]

                Don Bosco e Don Rua, accompagnati dal De Charette fino alla stazione di Wiener - Neustadt, partirono per Torino la mattina del 17, rientrando nell'Oratorio il 18 verso mezzogiorno. Il Principe aveva fatto rimettere loro un'elemosina di ventimila franchi.

                Seguendo i due bollettini medici, comunicati quotidianamente alla stampa, vediamo farsi strada un crescente ottimismo; quale fosse in proposito il pensiero di Don Bosco si rileva dalla seguente lettera, indirizzata subito dopo il suo ritorno al conte Eugenio De Maistre.

 

                               Mio caro Sig. Conte Eugenio,

 

                Giungo in questo momento da Frohsdorf e trovo la sua cara lettera. Di tutto buon grado dirò le sante Messe pel buon esito degli esami de' suoi figli e miei cari amici, e spero che riusciranno.

                A Frohsdorf ho trovato molti suoi amici che mi parlarono molto di Lei. Il Generale De Charette le offre tanti ossequi. Il conte di Chambord fino a ieri mattina, 17 del corrente, continua nella via del miglioramento.

                Dio la benedica, o sempre caro mio Sig. Eugenio, e con Lei benedica tutta la sua famiglia, ed assicurandola che ogni giorno mi fo dovere di raccomandare a Dio Lei e tutti i suoi figli, mi raccomando pure alla carità delle sante sue preghiere e mi professo di V. S. Car.ma

 

                Torino, 18 luglio 1883.

Obl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il mal compresso livore di certi giornali italiani cercò uno sfogo. Se si fossero contentati di sbizzarrirsi con le loro malignazioni politiche e con il solito volterianismo di moda, meno male; via il peggio è che  si tentò anche un colpo mancino contro Don Bosco. La mossa partì dalla Gazzetta del Popolo, la quale non si limitò a prenderlo in giro, come fece il Temps, qualificando per neopaganesimo il tanto pregare e dicendo che Don Bosco era diventato Presque un Dieu[290], ma al dileggio unì la calunnia. Nel numero del 20 luglio [346] sotto il titolo “Domandiamo il concorso della stampa” animarmi cinicamente ai lettori questo trafiletto: “A Don Bosco è capitato come all'astrologo della favola, che per la smania di guardale i pianeti (pianeti davvero) non vide il fosso in terra. Mentre egli era a Frohsdorf in occasione del secondo miracolo[291] che deve rendere il Conte di Chambord il più lepido dei pretendenti, l'autorità giudiziaria di Torino si è trovata nell'obbligo d'iniziare nel boschivo istituto un'istruttoria sul genere di quella recentemente fatta pel Seminario vescovile di Biella[292]. Vogliamo sperare che qui non trattisi che d'un falso allarme. Tuttavia siccome si aggiunge che a conferma dei fatti che sarebbero base dell'accusa, esistono gli effetti di una particolare malattia, vogliam pure sperare che in un senso o nell'altro si farà ampia luce. In questo intendimento sarebbe opportuno che la notizia dello spiacevolissimo incidente fosse tosto ricapitata al pellegrino (all'uopo anche per mezzo dei proprietari di Frohsdorf, il conte o la contessa), affinchè venga subito al riparo”.

                Per capire il senso di questa cauta e malvagia insinuazione bisogna sapere che da un'opera pia di Torino era ritornato a casa sua un giovane trovato poi infetto di certa malattia. Benchè non fosse possibile ignorare che il ragazzo non proveniva dall'Oratorio, si ardì per fine massonico introdurre questa asserzione nel rapporto all'ufficio d'igiene e ci volle tutta l'influenza del dottore Albertotti, medico dell'Oratorio, per far cancellare simile infamia; ma questi la venne a conoscere assai tempo dopo, sicchè la calunnia potè entrare liberamente, nel dominio della stampa e si dovettero pubblicare energiche smentite. [347]

                Una cinquantina di giornali si fecero eco della bassa menzogna per tutta la penisola ed anche in Sicilia. Don Lazzero, direttore dell'Oratorio, smentì per primo il fatto. Unico il Secolo di Milano fece orecchio di mercante, benchè gli si fosse spedita una seconda lettera raccomandata; soltanto venti giorni dopo pubblicò una tardiva e insufficiente rettifica. Don Bosco, sempre nemico delle liti, non permise di querelarlo; ma lasciò che Don Bonetti lo mettesse alla gogna sul Bollettino con un articolo intitolato I mentitori antichi e i mentitori moderni. L'articolo fu ristampato anche a parte sotto forma di opuscolo e vi si diede larghissima diffusione. L'autore confutava in pari tempo anche le false asserzioni dei giornali irreligiosi sulla malattia del Conte di Chambord.

                La Gazzetta del Popolo aveva riattaccato Don Bosco nel numero del 22, togliendo pretesto da un articolo dell'Unità Cattolica del 21, che si occupava del viaggio di Frohsdorf. Il giornale del Margotti accennava fra l'altro all'invito che Don Bosco aveva fatto al Principe di venire a Torino dopo la guarigione. A questa notizia la Gazzetta corse addirittura la cavallina. “Qui, scriveva, l'affare si complica, perchè, fin tanto che la commedia politica a benefizio del pretendente dei clericali al trono di Francia si recita in Austria, l'Italia può riderne e passare oltre con una crollatina di spalle. Ma quando si volesse tentarne la replica in una città italiana alla frontiera della Francia medesima, allora non soltanto i progressisti, non soltanto i repubblicani, ma anche i più moderati potrebbero aver voglia di gridare l'alto là ai comici sanfedisti”[293]. Vi rispose per le rime l'Unità del 29, che finiva rassicurando la Gazzetta con la promessa che se il Conte di Chambord venisse a Torino, sarebbe venuto a pregare, non a congiurare.

                A Frohsdorf Don Bosco aveva lasciato di sè la più gradita [348] impressione, come appare da un prezioso documento. Don Rua che si era affrettato a scrivere in nome di Don Bosco e suo alla Contessa, mandando anche lettere collettive degli artigiani e degli studenti, ne ricevette la seguente risposta in lingua italiana.

 

                               Molto reverendo Don Rua!

 

                La di Lei lettera mi andò dritta al cuore, la lessi subito al caro mio malato che ne fu commosso, ed ambedue noi ringraziamo Lei ed il caro nostro Don Bosco di ogni Loro parola. Fu una grande consolazione per mio marito e per me di ricevere la di Lui benedizione, ed il sapere quante anime pure ed innocenti pregano per la guarigione del mio tanto caro ed amato ammalato!

                Grazie a Dio, sebbene lentamente, pure si scorge ogni giorno un miglioramento progressivo, malgrado le piccole crisi che ancora vanno venendo, però sempre dileguandosi poi, e ridonando la speranza di una completa guarigione, che, come disse anche Don Bosco, colla pazienza si otterrà. Ringraziamo anche ambedue per le così espansive e care lettere scritteci dai figli dell'Oratorio di Don Bosco, dai giovani studenti ed artigiani; e mio marito m'incarica espressamente, ed appunto nel momento che  sto scrivendole, di pregare il caro Don Bosco di continuargli le Sue sante orazioni nelle quali confida tanto.

                La memoria di quei due giorni che Don Bosco con Lei, ottimo Don Rua, passava qui tra noi, ci rimarrà sempre carissima. Godo che  il loro viaggio siasi passato così felicemente; e non mi sorprende, perchè due anime buone e sante come Loro dovevan essere accompagnate in modo speciale dai Loro Angioli Custodi.

                E, qui finisco, rinnovando al caro Don Bosco ed a Lei le assicurazioni della nostra gratitudine e sincera affezione, colle quali mi dico di cuore,

 

                Frohsdorf, 29 luglio 1883

Sua obbligatissima MARIA TERESA.

Contessa di Chambord.

 

                Mio marito m'incarica di un affettuoso saluto speciale da parte sua per Lei.

 

                Sull'andamento della malattia il segretario Huet du Pavillon scriveva l'ultimo di luglio al medesimo Don Rua: “Dopo la loro partenza le condizioni di Sua Altezza sono sensibilmente, ma lentamente migliorate, e i medici cominciano a esprimere qualche speranza. Sembra dunque che il Signore [349] si sia lasciato muovere da tante buone preghiere e in particolare da quelle del venerabile e santo Don Bosco. Abbia la bontà di esprimergli tutta la nostra riconoscenza, prendendone anche lei la sua parte, perchè Ella pure ha pregato e prega ancora con tutto il fervore per ottenere che si compia il grande miracolo della guarigione del nostro augusto infermo [ ….. ]. Questa grazia, come ci ha detto il suo santo Superiore medesimo, non è personale per Monsignore, ma interessa grandemente la santa Chiesa e quindi la gloria di Dio”. Come si scorge anche di qui, i legittimisti francesi riguardavano le sorti della Chiesa in Francia strettamente, per non dire indissolubilmente legate a quelle della monarchia; la qual cosa fece sì che nell'attesa, mentre si auspicava la caduta della terza repubblica, non si usassero tutti i mezzi legali possibili per la difesa degl'interessi religiosi e si desse agio ai settari di estendere l'opera malefica. Questo confessano e deplorano oggi i più illuminati superstiti del legittimismo e questo in fondo era anche il pensiero di Don Bosco, come abbiamo visto a proposito delle dimissioni dei magistrati nel 1880.

                Le cose andavano di bene in meglio a Frohsdorf, tanto che la Croix nella sua giornaliera rubrica Maladie du Comte de Chambord dal numero del 25 a Maladie sostituì Santé e da quello del 31 Convalescence. Durante il rifiorire di sì liete speranze fu chiesta a Don Bosco per il Conte un'immagine di Maria Ausiliatrice con un suo autografo. Egli la mandò il 4 agosto scrivendovi a tergo questo invocazione alla Vergine assunta in cielo: “O Maria, in onore della vostra Assunzione al Cielo, recate una benedizione speciale al vostro figlio Enrico e alla sua caritatevole consorte e concedete loro buona salute e la perseveranza nella strada del Paradiso. Così sia”[294]. [350]

                Sul principio di agosto la soddisfazione dei medici fu tale, che non credettero più necessario continuar a pubblicare il loro bollettino. Il Principe infatti leggeva la corrispondenza, scherzava sulle notizie che di lui davano i giornali, si faceva portare per ore e ore nel parco e assisteva a partite di caccia. Appassionato cacciatore, il 4 agosto domandò un fucile e dalla sua poltrona con mano tremante se lo appostò al petto, prese di mira un cervo e lo colpì. I medici, saputo di questa bizzarria, che consideravano grave imprudenza, gli proibirono severamente di tornar giù altre volte. I medici avevano ragione: l'imprudenza fu davvero fatale. Una lettera del suo gentiluomo conte De Monti a Don Bosco diceva che la caccia era durata cinque ore e che mentre il Principe sparava, il calcio del fucile gli aveva dato un colpo allo stomaco. Quattro giorni dopo i bollettini ricomparvero con notizie di color oscuro. Don Bosco scrisse in quel torno alla Principessa:

 

                Signora Principessa,

 

                I giornali danno gravi notizie del Sig. Principe di Chambord e ciò mi affligge assai. In tutte le nostre case si prega senza interruzione. Io continuo a celebrare la Santa Messa per ottenere questa grazia sospirata: la compiuta guarigione del Sig. Conte di Chambord. Queste nostre preghiere, unite a tante altre che al medesimo fine si fanno quasi in tutta Europa, devono senza dubbio essere esaudite, ad eccezione che Dio nella sua infinita Sapienza vedesse meglio di chiamare l'augusto infermo a godere il premio della sua carità e delle altre sue virtù. In questo caso noi diremo umilmente: Così piacque a Dio, così fu fatto. Ma io sono persuaso che non siamo ancora giunti a questo momento. Mentre però preghiamo Dio per ottenere la guarigione del Signor Conte, non dimentichiamo di innalzare fervidi voti per Lei. Sig. Principessa, e per la conservazione della preziosa sua sanità.

                La grazia e la potenza di Nostro Signor Gesù Cristo regni sempre in tutta la sua famiglia, e si degni di aggiungere una preghiera pel povero scrivente che a sua gloria ha l'alto onore di potersi professare

                Di Vostra Altezza

 

                Torino, 14 agosto 1883

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [351]

                Questi conforti giunsero quanto mai opportuni, perchè i giorni del Conte di Chambord erano contati. Non fu più possibile sostenere la debolezza, sicchè la mattina del 24 egli rese l'anima a Dio. Ultimo discendente di S. Luigi Re di Francia, spirava proprio alla vigilia della festa del suo glorioso antenato.

                Nella sua dignità di proscritto Enrico V fu il rappresentante rispettato di un gran principio e di un'antica tradizione monarchica. Avrebbe potuto abbreviare l'esilio accettando condizioni che egli giudicava equivoche; ma preferì sopportarlo fino all'ultimo con vera grandezza morale, da principe che sapeva rendere dignitoso anche l'infortunio. Egli non regnò, ma contò di fatto fra quelli che portavano corona. Se mantenne inviolabili i suoi diritti dinastici, lo fece perchè li riguardava come inseparabili dalle tradizioni francesi e dagli interessi nazionali della sua patria; ma in mezzo secolo di esilio non lasciò mai trasparire il menomo pensiero di voler incoraggiai e lotte intestine, che potessero dar origine a guerra civile[295]. Ma quello che  più mobilitava le sue doti di principe era lo spirito eminentemente cattolico, da cui furono informati tutti gli atti della sua vita privata e pubblica. L'intera stampa repubblicana e radicale di Parigi, cosa che parrebbe incredibile in tanto accapigliarsi di partiti, rese omaggio al carattere del defunto.

                Era rimasta senza risposta la lettera del 14 agosto, indirizzata da Don Bosco alla Contessa. Il Servo di Dio lasciò passare un mese e mezzo e poi o scrisse o fece scrivere all'abate Curé, mettendo nella lettera parole di conforto per la vedova. La risposta di lei non si fece aspettare. Il tenore dello scritto è novella prova della santa impressione che Don Bosco aveva lasciata di sè a Frohsdorf e ci rivela inoltre i salutari effetti prodotti dalla sua visita sull'animo dell'infermo, al qual vantaggio spirituale Don Bosco certo mirò in primissimo luogo. [352]

 

                               Ottimo e Reverendo Don Bosco,

 

                Nella sua esimia bontà e carità sono certa che mi avrà perdonato di non avere mai risposto a quella sua così cara lettera scrittami il 14 agosto, mentre ancora palpitando assisteva al mio caro Angelo che ora è in Paradiso. Ma allora e dopo, per molto tempo, e sino adesso, non potei scrivere, prima perchè affranta dal dolore e dalle fatiche, poi presa io stessa da una delle mie forti crisi catarrali, da cui però ora vo rimettendomi coll'aiuto di Dio. Oggi poi lessi la lettera commoventissima che  Ella dettò per l'abbé Curé, ed in cui mi fa dire tante cose così care che l'assicuro mi andarono diritte al cuore, perchè sono le sue parole assolutamente l'eco dei miei proprii pensieri, di ciò che sento, e di ciò che  dico sempre. Oh! Sono così certa che il mio Angelo è in Paradiso. Egli morì come un santo con la quiete invidiabile di un patriarca, senza neppur contorcere un tratto della sua bella e cara fisionomia, e sempre pregando e unito a Dio che se lo prese certo in buon punto.

                Da che Ella lo lasciò, mai un lamento, mai un'impazienza, sempre offrendo a Dio i suoi dolori in unione della passione di N. S., G. C. e ringraziandolo di farlo patire in questo mondo ancora. Insomma fece una morte invidiabile e soffrendo accanto a lui, mi pareva dover morire con lui! E questo sentimento che Dio mi metteva in cuore e che era una quasi speranza che ciò fosse, mi aiutò ad aver la forza di far tutto sino in ultimo con un coraggio che solo il Signore poteva darmi! Al momento poi in cui Dio se lo prese e che mi lasciò quaggiù sola, oh Dio!!!... Ma Dio me lo aveva dato e conservato a mia immensa felicità e consolazione per 37 anni di Paradiso terrestre. Dio me lo tolse, che la sua S. Volontà sia fatta e benedetta! Che Dio ora m'aiuti ad essere tutta sua, ed a potere a suo tempo e quando a Dio piacerà e che  vedrà che anche per me è arrivato quel buon punto che è il solo essenziale, di poter raggiungere il mio caro Angelo per andare poi con lui a lodare eternamente Iddio. La ringrazio quanto mai so e posso per le sue orazioni per me e le mie deboli non le mancheranno e mi creda sempre sua riconoscentissima ed aff.ma

 

                Frohsdorf, il 14 ottobre 1883

 

MARIA TERESA.

 

                I sentimenti di venerazione per Don Bosco si mantennero vivi nella Contessa anche appresso, come ne fa fede una lettera del marzo 1885 secondochè appare da questa medesima lettera, è probabile che Don Bonetti, avendo visto lettere di lei al Santo, ne volesse pubblicare alcuna a edificazione [353] dei lettori il che saputo da Don Bosco medesimo, la Signora pregò di non farlo.

 

                               Reverendo e caro Don Bosco,

 

                La sua così ottima lettera del 13 febbraio avrebbe richiesta pronta risposta, ma la mia salute sempre un poco vacillante non mi permette sempre di finire tutte le cose la sera che mi propongo di fare la mattina, per cui solo ora posso prendere la penna per pregarla per carità di non mai fare stampare nulla di ciò che scrivo!... Tiro giù alla buona ed Ella mi capisce; ma le mie lettere non meritano dopo lette che d'essere buttate nel camino. Del resto le parlo ora a cuore aperto, giacchè so ch'Ella mi crede, e non stampa ciò che le scrivo; e le dirò che da che ho perduto il mio caro angelo di marito, l'unico mio desiderio è che non si parli più di me, come se già fossi sepolta con lui alla Castagnavizza qui vicina. Non desidero altro al mondo che di servire il Signore come e dove egli vuole, come posso e come devo, e tutto il resto mi è indifferentissimo. Ho poi una ragione di più per desiderare che nulla si dica di me, ed è che a questo mondo vi sono tanti pasticci, che voglio evitare di esservi mescolata, e per ottenere ciò non v'è che la via che ho imboccata io, appena il mio calo Enrico fu sepolto; cioè di ritirarmi completamente da tutto che  possa far parlare di me e dare occasione di venirmi d'attorno con cose che non mi riguardano più. Se sortissero fuori nei Bollettini Salesiani, tanto bene intenzionati da una parte, e intriganti dall'altra delle mie lettere, potrebbero risovvenirsi di me e venirmi di nuovo d'intorno per una o l'altra cosa di cui non tocca più a me ora di mescolarmi.

                Eccole aperto il mio cuore che sento che ella capirà benone.

                La sua cara scrittura la decifro benone e mi fa consolazione a vederla e non posso abbastanza ringraziarla delle preghiere che Ella e i suoi cari orfanelli fanno per me e che sento tanto mi sono così salutari! Pregandola di continuarmele le resto unita nel Cuore di Gesù e di Maria e mi dico con effusione, sua riconoscentissima

 

                Gorizia, il I° marzo 1885.

 

MARIA TERESA.

 

                Un giorno Don Bellamy interrogò Don Bosco, perchè avesse potuto affermare della malattia del Conte che non era ad mortem, mentr'egli poi morì. Tre volte gli ripetè la domanda, e solo alla terza ebbe risposta. Il Servo di Dio quasi seccato gli disse: - Dio gli aveva ridonata la sanità per la Francia e non per se stesso, nè per andare a caccia... Il suo posto era [354] in Francia. La Contessa lo rattenne sempre dall'andarvi perchè aveva timore che si rinnovassero gli orrori del 1793... L'idea del patibolo la spaventava. - Forse da queste parole è lecito inferire che anche Don Bosco, al pari di tanti altri luminari della Chiesa, non approvavano gli scrupoli del Principe sull'affare della bandiera, scrupoli dinastici in realtà più assai che religiosi. Il principio di Don Bosco in somiglianti casi era di appigliarsi a tutti i mezzi possibili, purchè non cattivi, per fare del bene[296].

 

 

CAPO XII.

Il nuovo Arcivescovo di Torino.

 

                TRE giorni prima che Don Bosco partisse per Frohsdorf giungeva per vie private al Margotti la notizia che a nuovo Arcivescovo di Torino il Papa aveva desti nato il cardinale Alimonda e nel numero dell'II luglio l'Unità Cattolica dava pubblicità alla cosa. Quella designazione produsse ottima impressione nella cittadinanza. Don Bonetti, scrivendo al cardinale Nina, non seppe contenere la propria esultanza e diceva[297]: “Non posso chiudere questo foglio senza dirle che la nomina dell'Em. Cardinale Alimonda ad Arcivescovo di Torino è da tutti riguardata come una grazia segnalatissima. Oh, come è buono il Signore; Oh, come bene conosce i bisogni delle singole chiese il nostro Santo Padre! É impossibile il non iscorgere in lui lo spirito di Dio. Ora abbiamo la più grande fiducia che sia per incominciare per questa archidiocesi un'era novella ed i salesiani vedono comparire anche per essi un'iride di tranquillità e di pace per lavorare con vie maggiore alacrità per Dio e per le anime”. Anche il nostro Santo al medesimo Cardinale scrisse[298]: “Non posso abbastanza esprimere l'entusiasmo con cui fu accolta la nomina del Card. Alimonda ad Arcivescovo di Torino. Farà [356] epoca nella storia di questa nostra Archidiocesi”. Egli aveva già incaricato il Procuratore di presentare all'Alimonda le felicitazioni a nome suo e di tutti i Salesiani; ma poi scrisse direttamente a Sua Eminenza che si trovava in cura a Castellammare di Stabia e n'ebbe in risposta coni ringraziamenti anche queste confortanti parole: “Vengo a Torino colla fiducia di essere aiutato da Dio per le preghiere delle anime buone! poichè non ho inteso che fare la divina volontà manifestatami dal S. Padre. Mi sono pure di conforto tante belle Istituzioni, tra le quali codesta sua Congregazione colle molteplici sue opere di Carità. Preghi Ella e faccia pregare molto per me la Vergine Ausiliatrice, che di grazie e prodigi con Lei non è mai avara. La riverisco, la abbraccio con paterno affetto e benedico a Lei, a' suoi Reverendi Confratelli, alla grande sua famiglia”[299].

                Da circa cent'anni la metropoli del Piemonte non aveva più avuto per Arcivescovo un Cardinale ed era certo un onore insigne per la gloriosa città avere un Porporato di tanta virtù e di sì bella rinomanza. Nato a Genova nel 1818, già Rettore del Seminario, canonico prevosto della Cattedrale genovese e Vescovo di Albenga, erasi acquistata una larga riputazione di predicatore dotto ed efficace. Otto volumi di conferenze intorno al Sovrannaturale e quattro di altre sui Problemi del secolo XIX gli avevano meritato un posto assai distinto fra i grandi apologisti cattolici. Era poi noto il suo spirito sereno e conciliativo, del quale più che mai si sentiva il bisogno per il bene delle anime in quegli anni di aspre competizioni politiche:. Tutto dunque faceva credere che la sua venuta dovesse essere accolta con giubilo dai fedeli e con rispetto dai liberali delle varie gradazioni.

                In occasione del suo onomastico Don Bosco volle dargli ancora una prova del proprio contento. Fece dunque legare con eleganza alcuni libri suoi, usciti da poco in nuova edizione, [357] e glieli mandò in omaggio, unendovi questa preghiera da lui composta per il santo Patrono dei Cardinale: “A San Gaetano. - S. Gaetano che avete operato tante meraviglie in vita e dopo morte, siate Protettore costante del vostro servo fedele Cardinale Alimonda; ottenetegli dal Signore buona salute, ma che venga presto tra noi dove il suo gregge ardentemente lo sospira, e si offre e si pone nelle sue mani per fare e dire tutto quello che Egli giudicherà della maggior gloria di Dio. - Preghiera di D. Bosco e di tutti i Salesiani. Torino, 7 agosto 1883”, Accompagnò il dono con questa letterina:

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Con queste poche parole e colla umile offerta di questi libri intendo di offerire gli omaggi rispettosi di tutta la Congregazione Salesiana, che umilmente e rispettosamente implora la sua santa benedizione.

 

                Torino, 7 agosto 1883.

Aff.mo Umil.mo obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Nel Concistoro del 9 agosto il Cardinale fu solennemente preconizzato Arcivescovo di Torino e postulò il pallio, che ricevette dalle mani del Santo Padre il mattino seguente. Il magno giornale milanese in un articolo sul Concistoro inveiva contro Don Margotti, descrivendolo come capo dell'opposizione all'autorità arcivescovile e non risparmiando neppure Don Bosco[300]. “Don Margotti (sono parole del giornale) lavora umanamente lui e fa lavorare Don Bosco per le cose divine. Dei volumi messi a stampa narrano i miracoli di Don Bosco, ultimo dei quali sarebbe la guarigione di Chambord”. Quante falsità in poche righe! Sfogliando tutte le annate dell'Unità Cattolica, non si troverebbe parola men che riverente verso i suoi Arcivescovi. Quello che segue sui miracoli merita la stessa fede, come del resto sanno benissimo [358] i lettori. L'articolo terminava così: “La diocesi di Torino presenta da più tempo l'immagine di un treno fuori rotaia. Bisogna rientrare nel binario ed assegnare a ciascuno il suo posto. Le illegittime usurpazioni dovrebbero finire per opera del nuovo arcivescovo. Lo spero, ma non lo credo. Già tutta la romorosa sollecitudine del Margotti e della sua curia per apparecchiare al nuovo pastore straordinarie accoglienze, e gl'indirizzi e le deputazioni e gl'inni delle gazzette rivelano che già si conta di avere l'Alimonda, natura dolcissima e poco atta a intendere le ipocrisie umane, nelle loro mani; il che sarebbe, se si verificasse, incalcolabile iattura”. La politica sotto colore di zelo religioso cominciava a intorbidare le acque.

                Per quello che riguarda i Salesiani, non fu senza significato il fatto che contemporaneamente all'elezione dell'Alimonda il Papa revocasse del tutto la sua disposizione dell'anno antecedente, la quale limitava a Don Bonetti l'accesso a Chieri, come abbiamo narrato nel quindicesimo volume. Vi era motivo di credere che all'atto sovrano non fosse stato estraneo il nuovo Arcivescovo, tant'è che Don Bonetti stimò doveroso rendergliene vive grazie, mettendosi interamente nelle sue mani. “La mia voce, scriveva[301], e la mia penna valgono poco, è vero, ma per quel poco che possono valere, io, sotto l'impulso del venerato mio D. Bosco, le adoprerò sempre per rendervi più facile l'esercizio del pastorale ministero”. Vedremo fra breve come ebbe presto l'occasione di passare dal detto al fatto. La risposta del Cardinale non poteva essere più affettuosa[302]. Scritta dalla mano del segretario, poichè l'Alimonda aveva difficoltà a maneggiare la penna e soleva dettare, porta in fine due righe autografe, che dicono così: “I miei saluti riverenti ed amorevoli all'ottimo suo Superiore D. Giov. Bosco”. [359]

                Il riapparire di Don Bonetti a Chieri, mentre rinnovava il ricordo del suo zelo, riattizzò i vecchi rancori. Non solamente si mormorò sottovoce, ma si aizzò anche la stampa. Naturalmente il vero bersaglio era sempre Don Bosco: Don Bosco e i suoi seguaci in Chieri, formicolaio di preti e di frati, aver cura delle beghine vecchie e giovani; farsi traffico di inesperte fanciulle per popolare conventi, le cui corporazioni, abolite per legge, dovevano essere anche di fatto abolite; principale imprenditore di tale impresa un istituto sorto alla chetichella, senza autorizzazione e quasi senza che manco le autorità se ne accorgessero, occupare quell'istituto una casa legata al medesimo in eredità da certo signore famoso per loiolesche imprese; ivi otto monache con la scusa dell'istruzione insinuare ad inesperte fanciulle il disamore alla famiglia per poi con le solite arti invogliarle e con promesse costringerle ad abbandonare le loro madri e indossare un velo che si sarebbero strappato un giorno imprecando alla loro sventura; molte essere già le vittime di quelle serve di Dio, ogni famiglia lamentare la partenza di qualche credula parente; col pretesto di subire un esame a Nizza essersene andata da poco e per sempre una giovinetta quindicenne in compagnia della badessa, lasciando nell'ansia l'avola e la madre, sole al mondo; di questi fattacci nessuno curarsi, ma esservi speranza che l'autorevole parola della stampa liberale scotesse dal loro letargo le competenti autorità[303]. Tutta questa tiritera mirava a colpire l'oratorio chierese e il convitto femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

                Non fu difficile rimbeccare, e con licenza di Don Bosco lo fece Don Bonetti, prima documentando e poi trionfalmente sfidando: “Don Bosco sfida qualunque persona di Chieri a provare il contrario”[304]. Più nessuno fiatò; ma non suol essere cosa facile dissipare i sospetti, che d'ordinario traggono origine da simili accuse a carico di persone e d'istituzioni religiose. [360]

                Noi per ora non aggiungeremo altro. Per Don Bonetti non c'era più nulla da temere, perchè ormai aveva le spalle al sicuro.

                Con la data del 7 ottobre il Cardinale, tenendo l'uso di far precedere la voce del Pastore alla sua comparsa nel gregge affidatogli, inviò ai Torinesi la sua prima lettera pastorale col titolo: Spettacolo divino della Chiesa Cattolica. Esponeva in essa le parole dell'Apostolo ai cristiani di Corinto: Spectaculum facti sumus mundo et Angelis et hominibus La Gazzetta del Popolo mosse al documento episcopale una critica malevola, maligna e sciocca, che provocò lo sdegno di Don Bonetti e gli fece venire l'idea di contrapporvi un opuscoletto tutto fuoco, intitolato: Un moscherino e un'Aquila. Ne furono diffuse gratuitamente più di centomila copie. Il Moscherino tentò una replica, chiamando “boschivo libercolo” l'opuscolo e “boschivo avvocato”l'autore, con ingiuriosa allusione a Don Bosco; ma in sostanza fece una pessima figura.

                Approssimandosi la venuta dell'Arcivescovo, il medesimo Don Bonetti ripubblicò il suo lavoretto in appendice a una breve monografia, nella quale dava una succinta notizia sulla vita e sulle opere dell'Eminentissimo Alimonda; anche di questa pubblicazione s'inondò Torino. Era una necessità sgombrare le menti degl'ignari dalle male prevenzioni che la setta andava disseminando contro la persona del novello Pastore.

                Un comitato di signori, costituitosi per preparare il solenne ingresso, disegnò di formare un Album, in cui raccogliere pensieri e firme di cittadini ragguardevoli per poi farlo convenientemente rilegare e presentarlo quale omaggio nel giorno della venuta. Ne fu trasmesso un foglio anche a Don Bosco, che vi scrisse queste parole: Maria sit sibi et omnibus Dioecesanis tuis auxilium in vita, levamen in angustiis et in periculis, subsidium in morte, gaudium in coelis. - Joannes Bosco Sacerdos, Rector Maior. [361]

                Ma la Massoneria lavorava a tutto potere per sollevare ostacoli alla pacifica entrata dell'Eminentissimo. La sua aperta devozione al Papa costituiva un crimine di lesa patria agli occhi dei politicanti e dei loro pedissequi in quegli anni di bilioso anticlericalismo.

                Il Cardinale, appena preconizzato, aveva scritto una bella lettera al Di Sambuy, sindaco di Torino, il quale ne diede comunicazione al Consiglio, notificando in pari tempo la già avvenuta concessione del regio Exequatur; tutto dunque lasciava credere che i rappresentanti della città avrebbero preso ufficialmente parte all'ingresso. Uscì allora un anonimo libello, destinato a scongiurare un tanto pericolo. S'intitolava Clericalismo a Torino ed era dedicato alla Giunta Municipale. La bile massonica stillava da ogni riga. Vi si versavano insulti a piene mani contro la sacra persona dell'Arcivescovo; e neppur lì Don Bosco veniva risparmiato. Contro di lui infatti si dava l'allarme con questa tirata: “Torino deve cessare di essere la città della rivoluzione, per diventare il centro del risorgimento religioso italiano; deve cessare d'essere la cittadella della rivoluzione, per diventare la città prediletta di Maria Ausiliatrice! Così predicano i clericali e non invano Con una abnegazione che sarebbe follia negare, con una tenacità di proposito che li onora, hanno seminato la città ed il contado di istituti educativi, di beneficenza, vivai di clericalismo. Don Bosco ha fra noi la sua    casa madre; quest'uomo prodigioso, degno d'ispirare una fra le più splendide pagine di Smiles, quest'uomo che dal nulla seppe riempire l'Italia, l'Europa della sua fama, questa incarnazione vivente della potenza formidabile del clericalismo, ha il suo quartiere generale nella nostra città. Qui forma i suoi preti, piegandoli all'obbedienza cieca, passiva, cretina, imbevendoli di pregiudizi, di caparbietà, d'intolleranza, per lanciarli domani nel nostro contado a divulgare il verbo del clericalismo”. A modo suo, chi si sveleniva così, mostrava minor incomprensione di Don Bosco che non certi altri,  [362]

                Anche in teatro echeggiò lo schermo. Al Gerbino, il 16 novembre, si dava un dramma ridotto dal francese; era contro i legittimisti[305]. Un attore disse: - In Italia di legittimisti non ve n'hanno che due: il Papa e Don Bosco. - Una voce dalla platea gridò: - E il Cardinale Alimonda. - Gli applausi scoppiarono in tutta la sala.

                Per le modalità dell'ingresso le cose si erano complicate. La questione stava in questi termini: se, entrando in Torino un Principe della Chiesa, che gentilmente aveva avvertito il Sindaco e il Municipio del suo arrivo nelle ore pomeridiane del 18 novembre, il primo Magistrato cittadino e la Giunta potessero andare a riceverlo alla stazione. I tre maggiori giornali del liberalismo piemontese più o meno settario dicevano di no; il Sindaco, la Giunta e il popolo rispondevano di sì. L'Alimonda, saputo di tale dissenso, deliberò di fare privatamente il suo ingresso. - Padre spirituale di tutti i Torinesi, disse, anche di quelli, se ve ne sono, che non mi accettano, io non intendo che il mio primo passo nella mia nuova patria sia argomento di discordie. Vengo portatore di pace, di tranquillità, di reciproco amore, e ben altro sacrifizio son disposto a fare a Torino che non sia l'onore d'un solenne ricevimento. - Ma il Sindaco, per la dignità della città, non volle arrendersi a imposizioni, non credendo che per essere liberali bisognasse essere incivili.

                Se non che l'Arcivescovo, scorgendo che un ricevimento solenne non sarebbe avvenuto senza pericolo di qualche discordia o dispiacere, il 15 novembre con una sua nobilissima lettera da Genova ringraziò delle onoranze che si erano preparate per lui e dichiarò di sottrarsi a qualunque officiale o pubblica dimostrazione. Perciò nel pomeriggio della domenica 18 si portò in forma privatissima alla Cattedrale, dove clero e popolo l'accolsero devoti, ed egli compiè quanto il sacro rito prescrive in simili circostanze. Gli schiamazzi di alunni [363] sfacciati tumultuanti, che avevano emesse grida al passaggio della carrozza chiusa, ebbero la riprovazione di tutti gli uomini un po' assennati e diedero la misura della miseria morale e civile di certi partiti.

                I buoni cittadini si fecero un dovere di rendere omaggio privatamente al Cardinale; uno dei primi a visitarlo fu Don Bosco. Il Bollettino del febbraio 1884, accennando a quella visita, accenna pure a “parole improntate della più squisita benevolenza” rivoltegli dall'Arcivescovo, ma non le riferisce. Sua Eminenza e Don Bosco s'incontrarono poi pubblicamente la prima volta nella chiesa di S. Giovanni Evangelista il 27 dicembre, festa dell'Apostolo. Il Cardinale celebrò la Messa delle otto e parlò prima di distribuire la santa comunione. Terminata quindi la cerimonia, visitò con Don Bosco i nuovi locali dell'oratorio festivo di S. Luigi, dove fece un discorsetto ai ragazzi.

                L'Eminentissimo, che aveva già scelto la tipografia dell'Oratorio per la stampa de' suoi scritti, non aveva ancora visitato nella sua qualità di Arcivescovo la casa di Don Bosco. Ora avvenne che questi ebbe bisogno di parlai - gli e divisava di recarsi in episcopio entro la mattinata del 15 gennaio; prima però di andarvi, mandò dal segretario arcivescovile a domandare se Sua Eminenza stesse in palazzo e se fosse in piacer suo di accordargli udienza. Il Cardinale, saputo ciò, fece venire a sè l'inviato e gli disse: - Riferite a Don Bosco che tra poco gli falò avere la risposta. - Quegli, tornato a casa, ebbe appena tempo di fare l'ambasciata, che una carrozza si fermava alla porta dell'Oratorio e ne scendeva l'Eminentissimo Porporato, il quale, a chi fu pronto a ossequiarlo, disse: - Per fare più presto, sono venuto io stesso a portale la risposta a Don Bosco. - Giunto verso le dieci e mezzo, s'intrattenne col Servo di Dio per più di un'ora.

                Quando il Cardinale entrava, tutto era silenzio; ma nel frattempo, a una parola d'ordine, i vari superiori dalle scuole [364] e dai laboratori condussero i giovani nel cortile, il maestro della banda vi mise in ordine i musici, i campanari corsero alle campane e altri imbandierarono la casa, sicchè, uscendo dalla camera di Don Bosco e affacciandosi al ballatoio, egli fu accolto dagli evviva e dagli applausi di tanti ragazzi, dal suono degli strumenti musicali e dal concerto delle campane. Non capiva in sè dalla sorpresa, al vedere come in sì poco tempo si fossero fatte tante cose, e avrebbe voluto parlare; ma, impeditone dalle scampanio, si limitò a dire: - Carissimi figli, vi ringrazio, vi benedico e mi raccomando alle vostre preghiere. - Dopo visitò la nuova tipografia e i laboratori annessi, ammirando le nuove macchine. Appresso, andando al santuario, trovò nella sacrestia una larga rappresentanza delle Figlie di Maria Ausiliatrice, venute dal vicino istituto a ossequiare il loro Pastore. Fatta infine una preghiera nella chiesa, ricevette nuove dimostrazioni da molta gente radunatasi sulla piazzetta. Risalendo in vettura, disse a Don Bosco che gli era stato sempre a fianco: - lo credeva di fare loro un'improvvisata, ed essi l'hanno fatta a me. Dio li benedica, come ne lo prego di cuore. - Fu una vera gioia in tutti e un vivo desiderio di rivederlo.

                Era opinione generale fra i Salesiani d'allora che il Santo Padre, nominando il nuovo Arcivescovo di Torino, avesse di proposito fatto cadere la scelta su d'un Prelato notoriamente amico di Don Bosco; di questo caritatevole divisamento del Papa avremo una prova sicura nelle parole che Leone XIII dirà a Don Bosco nell'udienza dei 1884; d'altra parte noi possiamo con tutta verità asserire che la bontà del cardinale Alimonda fu per Don Bosco un provvidenziale conforto negli ultimi quattro anni della sua vita. A mostrare i sentimenti dell'insigne Presule verso il nostro Padre nulla val meglio di queste righe ch'egli scrisse subito dopo aver ricevuto l'annunzio della morte di lui[306]. Diceva: “Il venerato e caro mio [365] Don Giovanni non ha voluto aspettarmi, perchè una volta ancora baciassi la sacra sua mano e mi raccomandassi alla sua intercessione appresso Dio!”. Il Signore dispose che anche in questo si avverasse per Don Bosco ciò che era stato predetto agli Apostoli[307]: Voi sarete in tristezza; ma la vostra tristezza si cangerà in gaudio.

 

 

CAPO XIII.

E Salesiani entrano nel Brasile. Vicariato e Prefettura Apostolica In Patagonia. Grande sogno missionario.

 

                LA storia della Congregazione registra in quest'anno due grandi avvenimenti: l'ingresso dei Salesiani nel Brasile e l'erezione di un Vicariato e di una Prefettura Apostolica nella Patagonia. Il primo segnò l'inizio - di uno sviluppo straordinario preso dall'opera di Don Bosco in quel paese sconfinato; l'altro coronò i lunghi sforzi di Don Bosco per arrivare a una definitiva circoscrizione ecclesiastica sulle terre evangelizzate e in attesa di evangelizzazione, dalle sponde del Rio Negro fino allo stretto di Magellano. E sembra veramente essere stato volere del Cielo che il 1883 fosse una data fatidica negli annali dell'indefessa attività missionaria che i figli di Don Bosco erano chiamati a svolgere nell'America meridionale, poichè è proprio in tale anno un sogno portentoso, che, dischiudendo a Don Bosco le porte dell'avvenire, gli faceva passare dinnanzi allo sguardo attonito il campo immenso di azione riserbato a' suoi figli da Cartagena a Puntarenas. Una fantasmagoria d'uomini e di cose da sbalordire; ma che non fosse illusione di dormiente, l'hanno dimostrato e lo vengono dimostrando i fatti.

                Da sei anni monsignor Lacerda, vescovo di Rio Janeiro,  [367] pregava e supplicava Don Bosco, che gli mandasse i Salesiani nella sua diocesi. Don Bosco prometteva e attendeva, finchè, venuto Don Lasagna in Italia, il Santo gli affidò l'incarico di procedere all'apertura della prima casa nel Brasile. Don Lasagna, che non una, ma almeno tre case avrebbe voluto vedere in quell'impero, allestì subito un drappello di sette da mandare a Nicteroy, nelle vicinanze della capitale brasilena; ma, scoppiata ivi la terribile febbre gialla, il Vescovo stesso, temendo che il contagio mietesse anche fra loro qualche vittima, consigliò di soprassedere. Cessato finalmente il pericolo, la balda schiera, scortata da Don Lasagna e diretta da Don Michele Borghino, salpò il 10 luglio da Montevideo per Rio Janeiro.

                La partenza fu preceduta dalla cerimonia del congedo nella chiesa di S. Rosa a Villa Colón. Vi assistettero molti Cooperatori e Cooperatrici della metropoli uruguaiana. La commozione di chi partiva e di chi restava si comunicò ai giovani e a tutti gli astanti. “Sapevamo di amarci, scrisse Don Giordano a Don Bosco[308], ma non credevamo che ci dovesse costar tanto la separazione”.

                Dopo quattro giorni di torbida navigazione approdarono a Rio Janeiro. Una pastorale del Vescovo, pubblicata anche dai giornali, annunziandone l'arrivo, li raccomandava caldamente alla carità dei diocesani e perorava in favore dell'erigendo ospizio. Se ne videro subito gli effetti; poichè, mentre i nemici dei bene prorompevano in escandescenze contro gl'intrusi, i buoni manifestavano con generose oblazioni le loro simpatie: si trovò perfino chi regalò una tipografia completa. Ma la casa era piccolina per lo scopo che s'intendeva di raggiungere.

                Là, come altrove, i nostri s'installarono accanto ai protestanti, il cui istituto maschile e femminile levava la fronte superba presso la loro umile dimora, quasi seppellendola [368] nella sua ombra. I nostri decisero di battezzare la casa Ospizio di Maria Ausiliatrice, nella fiduciosa aspettazione di poter innalzare alla Madonna sotto quel titolo una bella chiesa, donde la Madre di Dio proteggesse dall'eresia tante anime pericolanti. Chiamarono però subito i muratori per poter aprire sollecitamente un oratorio festivo a rifugio dei giovinetti più bisognosi di assistenza, perchè più insidiati.

                Uno dei benefizi arrecati dappertutto nell'America Meridionale dall'Opera di Don Bosco è stato ed è quello di opporre un argine all'invadenza protestantica. Per questo riguardo l'invio dei Salesiani nella Patagonia e allo stretto di Magellano fu veramente provvidenziale, perchè impedì che i Protestanti vi stabilissero il loro impero. Le grandi imprese nell'America del Sud andavano tutte a finire in mano agli Inglesi[309]. Costruzioni di ponti, di acquedotti, di strade, di ferrovie e perfino di città sono opere d'impresari inglesi, che sogliono chiamarvi ministri del proprio culto oppure fan loro buon viso, quando ci vanno senz'essere chiamati. Il possesso che l'Inghilterra aveva preso ufficialmente delle isole Maluine nel 1832, favoriva il movimento e la propaganda del protestantesimo anche sul continente. Nella Patagonia, quando vi giunsero i nostri, gli Anglicani lavoravano a tutto potere, seducendo i coloni.

                Don Lasagna e Don Borghino visitarono insieme l'imperatore Don Pedro II, che li accolse con amabilità somma. Pieni di benevolenza si mostrarono la principessa Isabella, erede presunta del trono, e il suo consorte Gastone d'Orléans, conte d'Eu, che avevano conosciuto Don Bosco a Parigi. Anche il presidente della provincia promise loro tutto il suo appoggio. Rallegrato da queste notizie, Don Bosco sei mesi dopo, nella conferenza di S. Francesco ai Cooperatori torinesi, raccontò con entusiasmo i primi passi dei Salesiani [369] nel Brasile, predicendo che assai numerosi sarebbero sorti gl'istituti salesiani in quell'immenso paese. Il che si avverò alla lettera. Nel 1933, festeggiandosi il cinquantesimo anniversario dell'avvenimento, erano già cinquanta i collegi o residenze dei Salesiani e cinquanta le opere dirette dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco ne previde più di dugento.

                Ad accendere il desiderio di avere nel Brasile e in altri Stati americani i figli di Don Bosco influì specialmente la fama delle accoglienze fatte al Santo dai Parigini. I giornali che ne diffusero l'eco anche in quelle remote parti, mossero alti personaggi ecclesiastici e laici a richiedere che  fosse trapiantata pure laggiù la provvida sua istituzione; onde Don Lasagna in settembre aveva tra mano venticinque domande di tal genere[310]. Uomo d'indole ardente e animato da grande zelo, avrebbe voluto da Don Bosco una legione di Salesiani; ma faceva fuoco e fiamme soprattutto per S. Paolo, capitale di un vastissimo Stato. Per esaudire le suppliche del vescovo monsignor Lino Diodato Rodriguez De Cavallo vi andò in persona, visitò parecchi luoghi nella città e nei dintorni e scelse quello che  gli parve il più opportuno. Lo accompagnavano ammiratori delle Opere salesiane, pronti a versare immediatamente i frutti dei loro sacrifizi e delle loro questue, purchè si volesse fare subito; ma egli dovette ricusare tali offerte, esortando alla pazienza e alla costanza e assicurando che si sarebbe adoperato con ardore per ottenere presto da Don Bosco i soggetti necessari.

                E a dettargli lettere infocate contribuì anche un episodio occorsogli durante il suddetto giro d'ispezione. Dall'alto di una collina gli furono additate capanne e casine, sulle quali dominava un campaniletto, che quasi timido s'innalzava al disopra delle abitazioni; avevano preso stanza colà da sette anni alcune centinaia di famiglie italiane condotte e abbandonate [370] in quelle terre da ingordi speculatori. Ciò inteso, Don Lasagna balzò dalla vettura e si avviò difilato alla casa più vicina. 1 coloni, appena corse la voce che c'era un prete italiano, si affollarono da ogni parte intorno a lui; poi un uomo si affrettò ad aprire la cappella, dove entrarono tutti. Don Lasagna fece loro un commovente discorsetto. È impossibile descrivere la gioia di quella buona gente, che viveva là senza prete, senza sacramenti e senza parola di Dio. Il loro stato lo intenerì. Distribuite quante immagini e medaglie aveva seco e fatte loro utili raccomandazioni, partì piangendo e promettendo di tornare fra non molto o di mandare chi si prendesse cura delle loro anime. I Salesiani, come vedremo, mantennero poi la parola.

                Anche i Vescovi di Pará e di Cuyabá continuavano a raccomandarsi con raddoppiate insistenze, perchè i Salesiani andassero nelle loro sterminate diocesi; quest'ultimo anzi si portò a Villa Colón da Don Lasagna con uno schema di convenzione, che fu mandato a Torino. Ma, essendosene discusso il 28 dicembre nel Capitolo Superiore, si concluse con un rinvio della deliberazione. - Ora noi, disse Don Bosco, abbiamo in vista le isole Maluine e stiamo cercando i mezzi per evangelizzarle; inoltre dobbiamo concentrare le nostre forze nel nuovo Provicariato e nella nuova Prefettura apostolica e non estenderci altrove. Roma vuole fatti e non parole. Da qui a qualche anno Roma vorrà vedere il risultato delle nostre fatiche nelle province che ci affida.

                Veniamo ora a dire della Patagonia e di nuovi provvedimenti, ai quali Don Bosco alludeva con la riferita sua osservazione.

                Quegli Indi, che durante la campagna del generale Roca non si erano nè sottomessi nè rifugiati nel Cile o allontanati verso il Sud, a poco a poco tornarono ad accostarsi fra loro, attratti come sempre dal valoroso cacico Namuncurá. Questo fiero difensore dell'indipendenza indigena aveva acquistato grande esperienza nelle guerre combattute contro [371] gli Argentini, aiutato in questo anche dall'innata astuzia e sagacia della sua razza, non che dal naturale ingegno. Egli avrebbe voluto intraprendere delle scorrerie per far preda e provvedere ai bisogni della sua    gente; ma vegliava il generale Villegas, lasciato da Roca a guardare la frontiera del Rio Negro. Sul finire del 1882 il Villegas, avuto sentore di qualche minaccia, aperse una nuova campagna, lanciando contro le tribù indipendenti gl'Indi già soggiogati e arrolati nell'esercito argentino. Nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio più di duemila fra uomini, donne e fanciulli caddero vivi nelle mani dei soldati, parte fatti prigionieri a viva forza, parte spontaneamente arresi; un centinaio rimasero morti negli assalti. Tutto questo tramestio rendeva impossibile l'avanzarsi dei Missionari nelle terre battute dalle truppe e difficilissima riusciva la loro opera a vantaggio dei prigioni. Tentavano bene di catechizzare questi ultimi; ma purtroppo bisognava anche lottare “con soldati corrottissimi e ufficiali più corrotti ancora”[311]. Siffatte notizie erano le più dolorose che Don Bosco potesse ricevere.

                Ma l'aiuto venne donde meno si pensava. Namuneurá, vedendosi ridotto all'impotenza e volendo por fine alle sofferenze de' suoi, decise d'intavolare trattative di pace. Mandò pertanto una delegazione composta di dodici capi, che si presentarono al Fortin Roca, chiedendo di parlamentare con le autorità militari. Se non che, non avendo ispirato fiducia, tornarono sconfortati al loro condottiero. Il gran cacico, che per un selvaggio era uomo di senno e non intendeva tenere più a lungo i suoi fedeli in condizioni di vita così dure e pericolose, concepì l'idea d'invocare la mediazione dei Missionari.

                Per buona sorte giungeva al Fortin Roca “un grande apostolo, una delle più grandi figure di missionario salesiano, vero padre dell'indio, con cui condivise la vita di stenti”[312],  [372] Don Domenico Milanesio. Fu il messo della Provvidenza. Nel momento del suo arrivo a Roca, ecco farglisi innanzi un gruppo di Indi a cavallo, scortanti uno  dei loro che appariva il più autorevole. Questi avanzatosi pregò il missionario di fermarsi e di ascoltarlo.

                 - Molto volentieri, gli rispose Don Milanesio. Donde siete e dove andate?

                 - Siamo della tribù di Namuncurá, nostro cacico. Egli si trova ora sulle Ande, dove si rifugiò con le famiglie i im aste fedeli. Egli ha deciso di pacificarsi col Governo Argentino e quindi ci ha mandati a trattare amichevolmente con le autorità militari per conchiudere la pace. É questa la ferma volontà del nostro capo. Non potendo comunicare col Governo, noi preghiamo te di fare da intermediario. Noi rispettiamo grandemente i ministri di Dio, perchè sempre ci hanno amati e protetti. Al tempo di Calfucurá, padre di Namuncitrá, la parola di un sacerdote bastò a impedire uno  sterminio dei nostri.

                Don Milanesio non poteva lasciarsi sfuggire una sì bella occasione. Essendo però la prima volta che si recava a Fortin Roca per esercitarvi il suo ministero, gli parve temerità assumersi senz'altro l'uffizio di mediatore fra le due parti che si erano mossa una guerra così ostinata e accanita; poi ignorava le vere ragioni per cui l'ambasciata precedente era stata respinta e quindi temeva di precipitare le cose e disgustare il comando col favorire un nemico forse poco sincero. Consigliò dunque al suo interlocutore di andar a dire che si presentasse Namuncurà stesso con i suoi nomini al Forte, dove si rendeva egli garante che sarebbe accolto onorevolmente dal generale. Venisse pure senza timore, che ci sarebbe stato lui a incontrarlo. L'inviato non si contentò di parole, ma volle uno scritto, e Don Milanesio scrisse al cacico nel senso anzidetto[313].

                L'ardimentoso guerriero, che fino a poco prima aveva [373] impugnato furiosamente la lancia in tante battaglie contro l'esercito regolare, letto il foglio, depose la sua fierezza, vinse i suoi naturali risentimenti e senza por tempo in mezzo si mise in marcia con numeroso seguito Si fece molto presto; poichè, passati appena venti giorni dacchè la lettera era stata scritta, egli compariva già agli avamposti di Fortin Roca. Con il ritorno dei suoi messaggeri e la sua venuta erano stati percorsi non meno di novecento chilometri.

                Namuncurà non ebbe a pentirsi del partito preso. Don Milanesio fu il suo fido mèntore e la pace venne conchiusa; anzi dopo alcuni anni di fedeltà il Governo Argentino gli assegnò il grado di colonnello con il soldo corrispondente e gli concesse in proprietà nove leghe di territorio per sè e per le famiglie della sua tribù. Un sì felice successo agevolò a Don Milanesio l'evangelizzazione di alcune tribù stanziate lungo le rive del Neuquén, mentre in altre parti operavano tranquillamente Don Beauvoir e il loro valoroso superiore Don Fagnano. Namuncurá medesimo, negli ultimi anni della sua vita, ricevette il battesimo dalle mani di Monsignor Cagliero, al quale affidò l'ultimo dei suoi figli per l'educazione. Questo giovane, chiamato Zeffirino, d'ingegno svegliato e di ottima indole[314], prometteva assai bene di sè. Volendo farsi prete, seguì Monsignore a Roma e passò a fare il ginnasio nel collegio salesiano di Frascati, dove prematuramente morì.

                Dal fin qui detto si vede che, quando i Salesiani si fissarono stabilmente nella Patagonia, il dominio dei selvaggi era finito. Còmpito dei Missionari fu di istruire e redimere i vinti e unire coi vincoli della carità cristiana i figli del deserto e le popolazioni civili. Nel 1883 vennero creati i governi territoriali, che provvedessero all'amministrazione della giustizia fra Argentini, stranieri e selvaggi. Questi poveri randagi parlavano i loro idiomi, che alcuni dei Missionari, come Don [374] Milanesio e Don Beauvoir, si sforzarono di apprendere per riuscire così più accetti e facilitare l'opera redentrice. I dialetti patagonici erano molti; ma a intenderli giovava assai l'apprendimento della lingua madre, parlata dagli Araucani, che occupavano la parte montagnosa e boscosa della Patagonia. Allora però tale studio presentava una doppia difficoltà, poichè quella lingua non aveva scrittura ed è di pronunzia fortemente gutturale e aspirata. Veniva per altro a taglio lo spagnuolo. Nel lungo volgere del tempo la lingua spagnuola erasi fatta strada in mezzo alle tribù degli Indi, sicchè vi circolava un numero di vocaboli e di frasi sufficiente per intendere e farsi intendere. Rimaneva a vincere la difficoltà delle distanze, al che soltanto l'abnegazione eroica degli operai evangelici potè arrivare. La superficie della Patagonia Argentina misura 850.000 chilometri quadrati ed ha oggi una popolazione vicina ai 900.000 mila abitanti, mentre allora non ne contava più di 35.000 Vi potrebbero vivere benissimo da trenta a quaranta milioni d'uomini, data l'ampiezza del territorio abitabile, non che la grande feracità del suolo e la ricchezza, che ogni giorno più si fa manifesta, del sottosuolo.

                Di progresso se n'era già fatto nell'evangelizzazione. 11 Superiore della Missione potè nel 1883 riferire a Roma essersi battezzati in quell'anno 500 Indi; i due collegi di Patagónes albergare 69 fanciulli e 93 fanciulle; in quattro anni i battesimi raggiungere la cifra di 5328 e le esplorazioni aver toccato le Cordigliere, percorrendo le sponde del Limay fino al lago Nauél - Huapí, e quelle del Neuquén fino al Norquin; essersi inoltre esplorati il Rio Colorado, il deserto di Balchela e tutto il Rio Negro su entrambe le sponde. Il che voleva dire tutta la Patagonia settentrionale per un'estensione di oltre 35.000 chilometri. Nessuna lode umana uguaglierà mai il merito di quei lavoratori evangelici, figli dell'Oratorio, che in sì picciol numero Don Bosco aveva lanciati in così inospite contrade alla pacifica conquista delle anime,  [375]

                Questa relazione produsse un effetto che Don Bosco da tanto tempo desiderava. Egli aveva presentato, come vedemmo, alla Santa Sede la proposta di erigere laggiù tre Vicariati Apostolici ovvero tre Prefetture. Nel 1881, quando il Vicario Generale di Buenos Aires monsignor Espinosa venne a Torino, gli aveva parlato de' suoi disegni, pregandolo di farsi suo interprete presso l'Arcivescovo e insistendo specialmente sulla Patagonia settentrionale. Questi si dichiarò dispostissimo a secondarlo. “Può assicurare Sua Santità, gli scriveva[315], che sarei contentissimo che Ella con i suoi Salesiani stabilissero questo Vicariato Apostolico in quelle remote regioni della Patagonia, stante che io, quantunque voglia, non posso per l'immensa distanza attendervi come desidererei”. L'Arcivescovo non esagerava davvero, parlando di questa impossibilità: la sua archidiocesi abbracciava un'estensione uguale a sette volte l'Italia.

                La cosa era stata da Leone XIII rimessa allo studio di una Commissione cardinalizia, della quale fece parte anche l'Alimonda, come già abbiamo narrato. Ora alla vista di sì notevoli risultati si giudicò arrivato il momento di addivenire alla sistemazione invocata. A tal effetto il cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, richiese del suo parere definitivo il nostro Santo, invitandolo pure a indicargli il nome dei candidati che a lui sembrassero più adatti all'alto ufficio. Don Bosco rispose con questo scritto.

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                In ossequio ai santi pensieri più volte manifestati dal S. Padre e prendendo per base i sapienti progetti della E. V. Rev.ma ho esposto il povero mio parere sul modo con cui sembrami potersi dividere la Patagonia per condurne gli abitanti in grembo a Santa Madre Chiesa. ]La posizione Geografica e Storica di quella regione è stata un po' più diffusamente esposta nella carta Geografica e nella relazione che ebbi l'onore di presentare all'autorevole sacra Congregazione di Propaganda Fide. Qui mi terrò puramente a quelle cose che furono richieste dalla Emin. vostra. [376]

                I tre Vicariati della Patagonia. Pare che al presente possa bastare un solo vicariato Apostolico nella Patagonia Settentrionale ed una Prefettura Apostolica nella Patagonia Meridionale. La Patagonia Centrale non è ancora abbastanza esplorata e la parte alquanto conosciuta è quasi tutta nelle mani dei protestanti.

                Il Vicario Apostolico di Carmen potrebbe per ora occuparsi del Vicariato Centrale, portarsi tra i selvaggi che dimorano verso le Cordigliere e per mezzo di alcuni sacerdoti e di alcuni valenti catechisti provvedere al bisogno religioso dei pochi cattolici che, sebbene siano mescolati cogli eterodossi, si conservano fedeli alla Chiesa Cattolica e dimandano di essere aiutati. Alcune escursioni dai nostri missionari fatte colà ci persuadono del buon esito di tale pia impresa.

                Il Vicariato, la Prefettura della Patagonia meridionale racchiude maggiori difficoltà per la rigidezza del clima, per la distanza dei luoghi abitati e pei protestanti che  studiano d'introdurvisi. Ma in simili opere non ci si bada a difficoltà.

                Candidati proposti. 1 candidati proposti: D. Giovanni Cagliero, D. Costamagna Giacomo, D. Giuseppe Fagnano sono tre individui capaci di compiere la carica che  loro si giudicasse di affidare. Tutti laboriosi, robusti, predicatori, insensibili alle fatiche, di moralità a tutta prova. Tuttavia se Sua Santità giudicasse di scegliersi candidati più opportuni per la nostra Congregazione farei la seguente proposta:

* D. Giovanni Cagliero vic. ap. in Carmen, con giurisdizione sul vicariato centrale fino a che  questo vicariato possa provvedersi del desiderato Pastore... Il medesimo D. Cagliero conosce palmo per palmo quei paesi ed è in ottima relazione con tutti - i Vescovi della Repubblica Argentina, dell'Uraguay, del Paraguay, e dello stesso Chilì.

* D. Costamagna, secondo il mio parere, sarebbe pure un buon vicario Apostolico di Carmen come D. Cagliero. D. Fagnano pare assai adatto pel vicariato o prefettura della Patagonia Meridionale; di complessione erculea, non sa che cosa sia fatica o timore nelle imprese difficili.

                Questa prefettura potrebbe dipendere dal Vicariato di Carmen a meno che il Santo Padre giudicasse meglio di stabilire a dirittura un vicariato Apostolico.

                Ho qui esposto nel miglior modo a me possibile, quanto la E. V. ebbe la bontà di chiedermi sul progetto della Patagonia divisa in tre vicariati; se poi E, Ila crede che  io possa in qualche altra cosa servirla, tutti i Salesiani si reputano a somma gloria di potervisi prestare.

                Colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi professare.

                Della E. V. Rev.ma

 

                Torino, 29 luglio 1883

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [377]

 

                La ponenza fu sottoposta al giudizio dei Cardinali di Propaganda il 27 agosto e risoluta favorevolmente. Così venne deciso che si formassero di - le circoscrizioni ecclesiastiche, comprendenti una la Patagonia settentrionale e centrale con Don Cagliero provicario apostolico, l'altra la Patagonia meridionale e la Terra del Fuoco con prefetto apostolico Don Fagnano. La qualità di provicario escludeva il carattere vescovile; ma il titolo fu poi cambiato, come vedremo a suo tempo, nel 1884, differendosi però l'esecuzione fino a che Don Bosco fosse in grado di destinare almeno dodici Missionari, compresi i quattro già esistenti[316]. 1 Brevi di erezione del Vicariato e di nomina del provicario recano la data rispettivamente del 16 e del 20 novembre. Con data di poco anteriore il Cardinale Prefetto di Propaganda aveva emanato il decreto analogo per la Prefettura Apostolica[317].

                Mentre correvano queste pratiche, Don Cagliero visitava in Sicilia il collegio di Randazzo e le case delle Suore e non ne sapeva nulla; ne fu poi informato a Roma dal Procuratore generale nel ritorno.

                Alla bontà dell'opera sarebbe mancata l'inevitabile riprova, se il diavolo non ci avesse messo subito la coda. Le prime difficoltà spuntarono donde meno si sarebbe pensato. Monsignor Matera, Delegato Apostolico e Inviato Staordinario per le repubbliche dell'Argentina, Uruguay e Paraguay, udite da Don Costamagna le nuove disposizioni della Santa Sede per la Patagonia, gli disse che i Salesiani non avrebbero fatto colà nessun bene; che anzi invece di bene, avrebbero raccolto male; che in Patagonia non esistevano più Indi selvaggi; essere la regione occupata da un Governo assai poco religioso, nè esservi allora possibilità alcuna di penetrarvi senza il permesso del padrone, che era il Governo Argentino. Consigliava pertanto che si facessero le cose a modo e che, ritornando sui propri passi, i Salesiani seguissero le vie regolari, [378] rimettessero cioè il tutto nelle mani del Delegato Apostolico. Bisognava in primo luogo assumere informazioni, istruzioni e direzione, e ciò doversi aspettare da Roma, cioè dalla sacra Congregazione di Propaganda. Don Costamagna diè relazione di tutto a Torino[318].

                Quanto al Governo, il Delegato ignorava che dal medesimo erano stati allora allora richiesti a Don Costamagna alcuni Missionari per le isole Maluine e che Don Costamagna aveva annuito, promettendo di mandarli dopo l'arrivo di Don Cagliero, il quale doveva giungere presto con un nuovo rinforzo di personale. Così pure il generale Vallegas domandava un missionario stabile per Pringles. Che poi non vi fossero più selvaggi nella Patagonia, era più facile asserirlo che dimostrarlo.

                Di questo increscioso argomento si trattò nel Capitolo Superiore il 5 aprile 1884 e risulta dai verbali che Don Bosco, datasi lettura della lettera di Don Costamagna, parlò così: - Si mandi copia di questa lettera a monsignor Jacobini. Certamente le opposizioni sorgeranno contro l'istituzione del Vicariato in Patagonia. Tutti approvano un'opera buona e nessuno vuole o può fare; ma quando uno  fa e riesce, ecco la povera umanità degli altri risentirsi e voler attribuirsene in qualche modo il merito, goderne il frutto, e voler avere essa stessa fatto quella cosa, nella quale gli altri sono riusciti. Mia mamma diceva: Il cane dell'ortolano non mangia l'aglio, ma non vuole che nessuno lo porti via. La Repubblica Argentina non può offendersi della nomina del Provicario, perchè io ho già scritto all'Arcivescovo e al Presidente della Repubblica, perchè esaminassero il progetto.

                Abbiamo veduto or ora come la pensasse l'Arcivescovo di Buenos Aires. Al Presidente della Repubblica, che era il generale Roca, Don Bosco, mostrando d'aver già compreso [379] la delicatezza dei riguardi da usarsi con il Governo Argentino, aveva indirizzato la seguente lettera, in cui la semplicità del Santo e l'abilità dell'uomo d'affari si danno bellamente la mano.

 

                               Eccellentissimo Sig. Presidente della Repubblica Argentina,

 

                I deserti Pampas e la Patagonia che costarono già tante fatiche e sudori alla E. V., e che si compiaque di raccomandarne più volte l'evangelizzazione ai Missionarii Salesiani, sembra che  siano al punto di prendere regolare indirizzo sia quanto alla civilizzazione, sia quanto alla religione.

                Sono quattro anni che i nostri religiosi guidati dalla F. V. hanno tentato le prime loro prove in quelle vaste regioni, e presentemente hanno potuto già stabilirsi in più colonie sul Rio Negro facendo delle escursioni apostoliche fino al Rio Chubut ed al lago Nahuèl Huapì a poca distanza dalle Cordigliere.

                Riuscirono già a fondare Chiese, scuole, asili dell'uno e dell'altro sesso. Ma il numero ognor crescente di coloro che  vengono alla fede hanno obbligato il Sacerdote D. Giacomo Costamagna a venire in Europa in cerca di Evangelici operai. Egli di fatto potè preparare venti Missionari e dieci Suore che  il 12 del prossimo novembre partiranno alla volta della Repubblica Argentina. Io mi adopro con tutti i mezzi a me possibili perchè partano forniti del necessario corredo di vestiario, di arredi di Chiesa, ed anche dei principali oggetti di arti e mestieri; ma io avrei bisogno che la E. V. si degnasse di venirci in aiuto a pagare i passaggi sopra il battello della Società dei trasporti marittimi.

                La parte attiva che ha preso per la civilizzazione di que' selvaggi e i grandi sacrifici che il Governo Argentino ha fatto pel bene sociale dello Stato e nominatamente in favore degli istituti, scuole, orfanatrofii dei Salesiani mi fanno sperare il suo soccorso.

                Questa mia fiducia cresce tanto più in questi giorni in cui il Santo Padre avrebbe deliberato di stabilire la Gerarchia Ecclesiastica in quei vasti paesi come, a di lui nome, ho già avuto l'onore di significare alla E. V.[319] e come la medesima Santa Sede fra breve darà di ogni cosa comunicazione ufficiale.

                Il Signore Iddio benedica la E. V. e tutta la Repubblica Argentina, e la pace, la prosperità e le celesti benedizioni discendano copiose sopra i suoi Stati e sopra tutti gli abitanti di coteste regioni che la divina Provvidenza volle affidare alle solerti sue sollecitudini. [380]

                Mentre poi La ringrazio del gran bene che ha fatto e fa ai nostri religiosi, con profonda gratitudine reputo al più alto onore di potermi professare della E. V.

 

                Torino, 31 ottobre 1883

 

Obbligatissimo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Se e come il Presidente rispondesse, non ci consta. Quanto al rappresentante pontificio, per ispiegarci il suo atteggiamento, conviene sapere che  fra monsignor Matera e i Salesiani era nato uno screzio; e poichè, si voglia o non si voglia, la storia è maestra della vita, lo esporremo qui per sommi capi.

                Monsignore, avendo bisogno di un segretario particolare, pose gli occhi sul chierico Vacchina, lo richiese a' suoi superiori e l'ottenne. Se non che, obbligato a seguire Sua Eccellenza anche ai ricevimenti serali, in cui si dava convegno il gran mondo, quel chierico, giovane com'era, si sentiva così a disagio, che ne menava lamento col Prelato, dicendo non essere per lui quella vita piena di pericoli, nè essersi egli fatto religioso per bazzicare in tali ambienti. Ma alle sue rimostranze non si annetteva importanza; onde tempestava i superiori, perchè lo liberassero. Vedendo però come i superiori si trovassero negli impicci e non osassero disgustare monsignor Matera, un bel giorno se ne fuggì insalutato hospite e andò alla casa di Almagro. Il delegato, offeso, gli fece vietare dall'Arcivescovo la comunione per un mese.

                Don Costamagna gli presentò le scuse per iscritto; ma non ebbe risposta. Per questo silenzio, o si credesse l'affare liquidato o fosse un po' di timore, dopo il fatto più nessuno dei Salesiani visitò il Delegato nè per gli auguri pasquali e del capo d'anno, nè per complimentarlo nel suo onomastico. Monsignore, uomo sensibilissimo e assai impressionabile, mentre prima professava la massima stima dei Salesiani, d'allora in poi si raffreddò completamente con essi nè, incontrandoli, dava più alcun segno della passata benevolenza. Don Vespignani, [381] angustiato alla vista di tale contegno, ottenne dal superiore licenza di andarlo a visitare per manifestargli l'afflizione de' suoi confratelli, e gli parlò con tanta umiltà e cordialità che lo commosse, ma non lo potè smuovere. L'azione di Don Vacchina, disse egli, l'aveva ferito non solo nella sua persona, ma anche nella sua qualità di rappresentante della Santa Sede; essersi propalata a suo danno la notizia della cosa ed esservisi ricamati sopra commenti per lui disdicevoli; Don Lasagna, ragionandogli del caso a Montevideo, aver pigliato le difese del chierico; avergli bensì scritto subito Don Costamagna, ma quelli non essere affari da trattarsi per lettera; scuse volerci e in forma adeguata, non giustificazioni. Don Vespignani venne via con il rammarico di non essere riuscito a rabbonirlo[320]. L'errore iniziale era stato di non aver chiarito subito l'incidente a viva voce e con non dubbi segni di rispettoso ossequio alla dignità del personaggio; allora quindi se ne subivano le conseguenze, fra cui la più grave fu il suo atteggiamento negativo nella faccenda del Vicariato.

                Il 7 agosto era arrivato a Torino Don Costamagna per partecipare al terzo Capitolo generale. Egli portava a Don Bosco un'affettuosa lettera dell'Arcivescovo, che si diceva grato a Dio d'avergli mandato i Salesiani, i cui servigi erano così grandi nelle scuole, nei laboratori, nelle chiese e nelle Missioni. Lodava poi la vita edificante e lo zelo instancabile di Don Costamagna, invocava aiuti di nuovo personale e pregava Don Bosco di scrivergli più spesso, affinchè le sue lettere gli fossero “guida e norma sicura per il bene della famiglia salesiana”. Da ultimo si esprimeva in questi termini su d'una perdita dolorosa patita recentemente laggiù dalle Figlie di Maria Ausiliatrice: “Abbiamo avuto il dolore di perdere la Reverenda Madre, che era qui Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Suor Maddalena Martini, che quale un angelo [382] se ne volò al Cielo verso la solennità di S. Pietro. Ebbe la fortuna di fondare varie Case, e ultimamente quella di Moron, e di veder terminata e aperta la Casa principale con il grande Collegio e la Chiesa di Maria Ausiliatrice, benedetta il 7 di questo giugno. La morte di lei fu pianta, perchè la sua vita era stata una vera delizia per tutti. Ci conceda il Signore un buon numero di sante vergini post eam”.

                Altre lettere consegnò Don Costamagna a Don Bosco di Cooperatori e di Salesiani[321], che tutti lo supplicavano di rimandare l'Ispettore con molti compagni. Quando questi giunse in Italia, il Servo di Dio cominciava appunto i preparativi per una spedizione di Salesiani e di Suore nell'America del Sud. Ne diede poi l'annunzio ufficiale con una circolare del 24 ottobre, compilata da Don Bonetti, tradotta anche in francese e da lui sottoscritta. Venti fra preti, chierici e coadiutori e dodici Figlie di Maria Ausiliatrice erano pronti per la partenza. Il grosso delle spese si calcolava a cento mila lire, per le quali Don Bosco invocava la carità dei Cooperatori gli oblatori venivano ringraziati con una letterina italiana o francese, scritta da lui e litografata in modo da farla sembrare autografa[322].

                Egli volle con sè per una quindicina di giorni nell'Oratorio i designati alla spedizione, che, mentre godevano di essergli vicini, studiavano con ardore la lingua spagnuola. Il buon Padre ebbe anche la bontà non solo di procurare loro una gita a Pianezza, al santuario di S. Pancrazio, ma anche di accompagnarveli personalmente.

                La cerimonia dell'addio si svolse il 10 novembre. Don Costamagna, capo del drappello, tenne il discorso; Don Bosco diede la benedizione. La sera medesima i partenti si recarono a Sampierdarena, donde proseguirono per Marsiglia, accompagnati da Don Cagliero; egli rappresentava Don Bosco, a [383] cui quella volta la malferma salute impediva lo strapazzo del lungo viaggio. Delle sue condizioni erasi interessato il Papa, che, ricevendo il 5 novembre Don Cagliero, reduce dalla Sicilia e Don Costamagna andato a rendergli omaggio, aveva detto: - Bisogna raccomandargli che abbia cura della sua salute, che è troppo preziosa e troppo utile al bene e all'incremento della vostra Congregazione. - Ma il suo cuore paterno, commosso per la separazione, volle uno sfogo e con queste righe amorevolissime raggiunse Don Costamagna a Marsiglia.

 

                               Mio caro D. Costamagna,

 

                Voi siete partiti, ma mi avete veramente straziato il cuore. Mi soli fatto coraggio, ma ho sofferto e non fu possibile prendere sonno tutta la notte. Oggi sono più calmo. Dio sia benedetto.

                Qui ci sono delle immagini per i confratelli delle vostre o meglio della tua Ispettoria. Per quella di Don Lasagna sarà per un'altra volta. È unita una lettera pel Sig. Bergasse. Nascendo difficoltà, conta pure sopra di me senza riserbo.

                Farai un saluto a Madame Jacques, assicurandola che  la prima selvaggia che al vostro arrivo sarà battezzata in Patagonia, sarà chiamata Agata.

                Dio benedica te, o sempre caro Don Costamagna, e con te benedica e protegga tutti i tuoi e miei figli che ti accompagnano. Vi protegga Maria e vi conservi tutti per la via del cielo. Buon viaggio.

                Io sto qui con una vera moltitudine che  prega per voi. Amen.

 

                Torino, 12 novembre 188.3

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                N. B. Il sogno di Don Lemoyne deve essere corretto in alcune cose e lo vedrai.

 

                Di Don Costamagna non vogliamo passare sotto silenzio un piccolo aneddoto. Nel dì d'Ognissanti aveva cantato la Messa, presente Don Bosco, e la pronunzia del latino gli era venuta alla spagnuola, molto sensibile in dighnum et justum est. Dopo il Servo di Dio lo interrogò in che lingua avesse cantato la Messa.

                 - Secondo la pronunzia spagnuola. [384]  - E perchè?

                 - Romae cum sis, Romano vivito more[323].

                 - Oh no! La pronunzia romana ci vuole, quella del Papa. Dillo anche laggiù a tutti gli altri.

                Imbarcatisi sul Béarn la mattina del 14[324], approdarono felicemente alla capitale argentina la sera dell'8 dicembre. Il ricevimento è così descritto da un giornale cittadino[325]: “Verso sera un sempre crescente numero di persone si erano riunite sul molo di Estevarene e Rivadia per riceverlo [……]. Erano le 6, quando Don Costamagna discendeva dal Tramvay accompagnato da vari altri sacerdoti che con lui vengono a prendersi cura del culto e dell'insegnamento dei nostri giovani. Vistolo appena, tutti si precipitarono intorno a lui, parlandogli, stringendogli le mani, salutandolo con le parole franche, nobili, effusive e dolci, con ci - li si suole ricevere un

                amico del cuore dopo lunga assenza. Molti fra i più vicini lo abbracciarono, dando prova eloquente di quel che sia l'affetto che il Sacerdote di Cristo sa conquistarsi nel popolo. Molte lacrime di gioia strappò scena sì commovente. Il padre Costamagna  quindi s'incamminò, seguito dalla folla, verso la chiesa di S. Carlo, dov'eransi radunate molte altre persone, e profondamente commosso disse ai fedeli poche parole di ringraziamento, piene di soave unzione”.

                Il sogno, a cui alludeva Don Bosco nel poscritto della lettera a Don Costamagna, era una drammatica rappresentazione allegorica sull'avvenire delle Missioni Salesiane in tutta l'America del Sud: avvenire di una grandiosità epica, divinato già da coloro che nell'Opera di Don Bosco intuivano un qualche cosa che non era solamente umano. Un periodico francese[326], per esempio, in un articolo sulla propagazione [385] della fede scriveva: “La Patagonia, ancora barbara e idolatra, si mostra sola refrattaria alla civiltà cristiana; ma i figli di Don Bosco incominciano a seminare in quella terra selvaggia i granelli di senapa, che sotto l'influsso della rugiada celeste, diverrà un grande albero, i cui rami si stenderanno su tutto il paese”.

                Don Bosco raccontò questo sogno il 4 settembre nella seduta antemeridiana del Capitolo Generale. Don Lemoyne lo mise subito in carta e il Servo di Dio rivide da capo a fondo lo scritto, aggiungendo e modificando. Noi stamperemo in corsivo le parti che nell'originale rivelano la mano del Santo; chiuderemo invece fra parentesi quadre alcuni tratti, che Don Lemoyne introdusse posteriormente a mo' di chiose, mercè ulteriori spiegazioni dategli da Don Bosco.

                Era la notte che precedeva la festa di S. Rosa di Lima [30 agosto] ed io ho fatto un sogno.Miaccorgeva di dormire e nello stesso tempo mi sembrava di correre molto, a segno che mi sentiva stanco di correre, di parlare, di scrivere e di faticare nel disimpegno delle altre mie solite occupazioni. Mentre pensava se il mio fosse un sogno ovvero realtà, mi parve di entrare in una sala di trattenimento dove erano molte persone che stavano parlando di cose diverse.

                Un lungo discorso si aggirò intorno alla moltitudine dei selvaggi che nell'Australia, nelle Indie, nella China, nell'Africa e più particolarmente nell'America, in numero sterminato sono tuttora sepolti nell'ombra di morte.

                 - L'Europa, disse con serietà un ragionatore, la cristiana Europa, la grande maestra di civiltà e di Cattolicismo pare sia venuta apatica per le missioni estere. Pochi sono quelli che sono abbastanza arditi di affrontare lunghe navigazioni e sconosciuti paesi per salvare le anime di milioni di uomini che pur furono redente dal Figlio di Dio, da Cristo Gesù.

                Disse un altro: - Che quantità di idolatri vivono infelici fuori della Chiesa e lontani dalla conoscenza del Vangelo nella sola America! Gli uomini si pensano (ed i geografi s'ingannano) che le Cordigliere d'America siano come un muro che divide quella gran parte del mondo. Non è così. Quelle lunghissime catene di alte montagne fanno molti seni di mille e più chilometri in sola lunghezza. In essi vi sono selve non mai visitate, vi sono piante, animati, e poi si trovano pietre di cui colà si scarseggia. Carbon fossile, petrolio, piombo, rame, ferro argento ed oro stanno nascosti in quelle montagne, nei siti dove furono [386] collocati dalla mano onnipotente del Creatore a benefizio degli uomini. 0 Cordigliere, Cordigliere, quanto mai è ricco il vostro oriente!

                In quel momento mi sentii Preso da vivo desiderio di chiedere spiegazioni di più cose e di interrogare chi fossero quelle persone colà raccolte e in quale luogo io mi trovassi. Ma dissi fra me: - Prima di parlare bisogna che osservi qual gente sia questa! - E volsi curiosamente lo sguardo attorno. Se non che tutti quei personaggi mi erano sconosciuti. Essi intanto, come se in quel momento soltanto mi avessero veduto, mi invitarono a farmi innanzi e mi accolsero con bontà.

                Io chiesi allora: - Ditemi, di grazia! Siamo a Torino, a Londra, a Madrid, a Parigi? Ove siamo? E voi chi siete? Con chi ho il piacere di parlare? Ma tutti quei personaggi rispondevano vagamente sempre discorrendo delle missioni.

                In quel mentre si avvicinò a me un giovane in sui sedici anni, amabile per sovrumana bellezza e tutto raggiante di viva luce più chiara di quella del sole. Il suo vestito era intessuto con celestiale ricchezza e il suo capo era cinto di un berretto a foggia di corona, tempestato di brillantissime pietre preziose. Fissandomi con sguardo benevolo, mi dimostrava un interesse speciale. Il suo sorriso esprimeva un affetto di irresistibile attraenza. Mi chiamò per nome, mi prese per mano ed incominciò a parlarmi della Congregazione Salesiana.

                Io ero incantato al suono di quella voce. Ad un certo punto l'interruppi: - Con chi ho l'onore di parlare? Favoritemi il vostro nome? E quel giovane: - Non dubitate! Parlate pure con piena confidenza, che siete con un amico.

                Ma il vostro nome?

                Ve lo direi il mio nome, se ciò facesse di bisogno; ma non occorre, poichè mi dovete conoscere. - Così dicendo sorrideva.

                Fissai meglio quella fisionomia cinta di luce. Oh quanto era bella! E riconobbi allora in lui il figlio del Conte Fiorito Colle di Tolone, insigne benefattore della nostra Casa e specialmente delle nostre Missioni Americane. Questo giovinetto era morto poco tempo prima.

                 - Oh! voi? dissi io chiamandolo per nome. Luigi! E tutti costoro chi sono?

                 - Sono amici dei vostri Salesiani, ed io come amico vostro e dei Salesiani, a - nome di Dio, vorrei darvi un po' di lavoro.

                 - Vediamo di che si tratta. Quale è questo lavoro?

                 - Mettetevi qui a questa tavola e poi tirate giù questa corda.

                In mezzo a quella gran sala vi era un tavolo, sul quale stava aggomitolata una corda, e questa corda vidi che era segnata come il metro, con linee e numeri. Più tardi mi accorsi eziandio come quella sala fosse posta nell'America del Sud, proprio sulla linea dell' e come i numeri stampati sulla corda corrispondessero ai gradi geografici di latitudine. [387] Io presi adunque l'estremità di quella corda, la guardai e vidi che sul principio aveva segnato il numero zero.

                lo rideva.

                E quell'angelico giovinetto: - Non è tempo di ridere, mi disse. Osservate! che cosa sta scritto sopra la corda?

                Numero zero.

                Tirate un pocol

                Tirai alquanto la corda, ed ecco il numero I.

                 - Tirate ancora e fate un gran rotolo di quella corda.

                Tirai e venne fuori il numero 2, 3, 4, fino al 20.

                 - Basta? dissi io.

                 - No; più in su; più in sul Andate finchè troverete un nodo! rispose quel giovanetto.

                Tirai fino al numero 47, dove trovai un grosso nodo. Da questo punto la corda continuava ancora ma divisa in tante cordicelle che si sparpagliavano ad oriente, ad occidente, a mezzodì.

                 - Basta? replicai.

                 - Che numero è? interrogò quel giovane. È il numero 47. 47 Più 3 quanto fa? 50! E più 5? 55! Notate; cinquantacinque.

                E poi mi disse: - Tirate ancora.

                 - Sono alla fine! io risposi.

                 - Ora dunque voltatevi indietro e tirate la corda dall'altra parte. Tirai la fune dalla parte opposta, fino al numero I0.

                Quel giovane replicò: - Tirate ancora!

                 - C'è più niente !

                 - Come! C'è più niente? Osservate ancora! Che cosa c'è?

                 - C'è dell'acqua, risposi.

                Infatti in quell'istante si operava in me un fenomeno straordinario, quale non è possibile descrivere. Io mi trovava in quella stanza, tirava quella corda e nello stesso tempo svolgevasi sotto i miei occhi come un panorama di un paese immenso, che io dominava quasi a volo d'uccello e che stendevasi collo stendersi della corda.

                Dal primo zero al numero 55 era una terra sterminata che dopo uno stretto di mare, in fondo frastagliavasi in cento isole di cui una assai maggiore delle altre. A queste isole pareva alludessero le cordicelle sparpagliate che partivano dal gran nodo. Ogni cordicella faceva capo ad un'isola. Alcune di queste erano abitate da indigeni abbastanza numerosi; altre sterili, nude, rocciose, disabitate; altre tutte coperte di neve e ghiaccio. Ad occidente gruppi numerosi di isole, abitate da molti selvaggi. [388] [Pare che il nodo posto sul numero o grado 47 figurasse il luogo di partenza, il centro Salesiano, la missione principale donde i missionarii nostri si diramavano alle ìsole Malvine, alla Terra del fuoco e alle altre isole di quei paesi dell'America].

                Dalla parte opposta poi, cioè dallo zero al io continuava la stessa terra e finiva in quell'acqua da me vista per l'ultima cosa. Mi Parve essere quell'acqua il mare delle Antille, che vedeva allora in un modo così sorprendente, da non essere possibile che io spieghi a parole quel modo di vedere.

                Or dunque avendo io risposto: - C'è dell'acqua! - quel giovanetto rispose: - Ora mettete insieme 55 più io. A che cosa è eguale?

                Ed io: - Somma 65.

                 - Ora mettete tutto insieme e ne farete una corda sola.

                 - E poi?

                 - Da questa parte che cosa c'è? sul panorama.

                 - All'occidente vedo altissime montagne, e all'oriente c'è il mare!

                [Noto qui che allora io vedeva in compendio, come in miniatura tutto ciò che poi vidi, come dirò, nella sua reale grandezza ed estensione, e i gradi segnati dalla corda corrispondenti con esattezza ai gradi geografici di latituine, furon quelli che mi permisero dì ritenere a memoria per varii anni i successivi punti che visitai viaggiando nella seconda parte di questo stesso sogno].

                Il giovane mio amico proseguiva: - Or bene: queste montagne sono come una sponda, un confine. Fin qui, fin là è la messe offerta ai Salesiani. Sono migliaia e milioni di abitanti che attendono il vostro aiuto, attendono la fede.

                Queste montagne erano le Cordigliere dell'America del Sud e quel mare l'Oceano Atlantico.

                 - E come fare? io ripresi; come riusciremo a condurre tanti popoli all'ovile di Gesù Cristo?

                 - Come fare? Guardate!

                Ed ecco giungere Don Lago[327] il quale portava un canestro di fichi piccoli e verdi: e mi disse: - Prenda, Don Bosco!

                 - Che cosa mi porti? risposi io guardando ciò che conteneva il canestro.

                 - Mi hanno detto di portarli a lei.

                 - Ma questi fichi non sono buoni da mangiare; non sono maturi.

                Allora il mio giovane amico prese quel canestro, che era molto largo, ma aveva poco fondo e me lo presentava, dicendo: - Ecco il regalo che vi fo!

                 - E che cosa debbo fare di questi fichi?

                 - E mi accennava un punto [389]

                 - Questi fichi sono immaturi, ma appartengono al gran fico della vita. E voi cercate il modo di farli maturare.

                 - E come? Se fossero più grossi!... potrebbero farsi maturare colla paglia, come si usa cogli altri frutti; ma così piccoli... così verdi... È cosa impossibile.

                Anzi sappiate che per farli maturare, bisogna che facciate in modo che tutti questi fichi siano di nuovo attaccati alla pianta.

                Cosa incredibile! E come fare?

Guardate! - E prese uno di quei fichi e lo mise a bagno in un vasetto di sangue; poscia lo immerse in un altro vasetto pieno di acqua, e disse: - Col sudore e col sangue i selvaggi ritorneranno ad essere attaccati alla pianta e ad essere gradevoli al padrone della vita.

                Io pensava: Ma per ciò conseguire ci vuol tempo. E quindi ad alta voce esclamai: - Io non so più che cosa rispondere.

                Ma quel caro giovane, leggendo ne' miei pensieri, proseguì: Questo avvenimento sarà ottenuto prima che sia compiuta la seconda generazione.

                 - E quale sarà la seconda generazione?

                 - Questa presente non si conta. Sarà un'altra e poi un'altra.

                Io parlava confuso, imbrogliato e quasi balbettando nell'ascoltare i magnifici destini che son preparati per la nostra Congregazione, e domandai: - Ma ognuna di queste generazioni quanti anni comprende?

                 - Sessanta anni!

                 - E dopo?

                 - Volete vedere quello che sarà? Venite!

                E senza saper come, mi trovai ad una stazione di ferrovia. Quivi era radunata molta gente. Salimmo sul treno

                Io domandai ove fossimo. Quel giovane rispose: - Notate bene! Guardate! Noi andiamo in viaggio lungo le Cordigliere. Avete la strada aperta anche all'Oriente fino al mare. É un altro dono del Signore.

                 - E a Boston, dove ci attendono, quando andremo?

                 - Ogni cosa a suo tempo. - Così dicendo trasse fuori una carta ove in grande era rilevata la diocesi di Cartagena. [Era questo il punto di partenza].

                Mentre io guardava quella carta, la macchina mandò il fischio e il treno si mise in moto. Viaggiando, il mio amico parlava molto, ma io per il rumore del convoglio non poteva capirlo interamente. Tuttavia imparai cose bellissime e nuove sull'astronomia, sulla nautica, sulla meteorologia, sulla mineralogia, sulla fauna, sulla flora, sulla topografia di quelle contrade, che esso spiegavami con meravigliosa precisione. Condiva frattanto le sue parole con una contegnosa e nello stesso tempo con una tenera famigliarità, che dimostrava quanto mi amasse. Fin dal principio mi aveva preso per mano e mi tenne sempre così affettuosamente stretto fino alla fine del sogno. Io portava [390] talora l'altra mia mano libera sulla sua, ma questa sembrava sfuggire di sotto alla mia quasi svaporasse e la mia sinistra stringeva solamente la mia destra. Il giovinetto sorrideva al mio inutile tentativo.

                Io frattanto guardava dai finestrini del carrozzone e mi vedeva sfuggire innanzi svariate, ma stupende regioni. Boschi, montagne, pianure, fiumi lunghissimi e maestosi che io non credeva così grandi in regioni tanto distanti dalle foci. Per più di mille miglia abbiamo costeggiato il lembo di una foresta vergine, oggi giorno ancora inesplorata. Il mio sguardo acquistava una potenza visiva meravigliosa. Non aveva ostacoli per spingersi su quelle regioni. Non so spiegare come accadesse nei miei occhi questo sorprendente fenomeno. Io era come chi, sovra una collina, vedendo distesa ai suoi piedi una grande regione, se pone innanzi agli occhi a piccola distanza un listello anche stretto di carta, più nulla vede o ben poco: che se toglie quel listello o solo lo alza o abbassa alquanto, ecco che la sua vista può estendersi fino allo estremo orizzonte. Così successe a me per quella straordinaria intuizione acquisita; ma con questa differenza; di mano in mano che io fissavo un punto, e questo punto mi passava innanzi, era come un successivo alzarsi di singoli siparii ed io vedeva a sterminate incalcolabili distanze. Non solo vedea le Cordigliere eziandio quando ne era lontano, ma anche le catene di montagne, isolate in quei piani immensurabili, erano da me contemplate con ogni loro più piccolo accidente. [Quelle della Nuova Granata, di Venezuela, delle tre Guiane; quelle del Brasile, e della Bolivia, fino agli ultimi confini].

                Potei quindi verificare la giustezza di quelle frasi udite al principio del sogno nella gran sala posta sul grado zero. Io vedeva nelle viscere delle montagne e nelle profonde latebre delle pianure. Avea sott'occhio le ricchezze incomparabili di questi paesi che un giorno verranno scoperte. Vedeva miniere numerose di metalli preziosi, cave inesauribili di carbon fossile, depositi di petrolio così abbondanti quali mai finora si trovarono Li altri luoghi. Ma ciò non era tutto. Tra il grado 15 e il 20 vi era un seno assai largo e assai lungo che partiva da un punto ove formavasi un lago. Allora una voce disse ripetutamente: - Quando si verranno a scavare le minere nascoste in mezzo a questi monti, apparirà qui la terra promessa fluente latte e miele. Sarà una ricchezza inconcepibile.

                Ma ciò non era tutto. Quello che maggiormente mi sorprese fu il vedere in varii siti le Cordigliere che rientrando in se stesse formavano vallate, delle quali i presenti geografi neppur sospettano l'esistenza, immaginandosi che in quelle parti le falde delle montagne siano come una specie di muro diritto. In questi seni e in queste valli che talora si stendevano fino a mille chilometri, abitavano folte popolazioni non ancor venute a contatto cogli Europei, nazioni ancora pienamente sconosciute.

                Il convoglio intanto continuava a correre e va e va, e gira di qua [391] e gira di là, finalmente si fermò Quivi discese una gran parte di viaggiatori, che passava sotto le Cordigliere, andando verso occidente.

                [D. Bosco accennò la Bolivia. La stazione era forse La Paz ove una galleria aprendo passaggio al littorale del Pacifico può mettere in comunicazione il Brasile con Lima per mezzo di un'altra linea di via ferrata].

                Il treno di bel nuovo si rimise in moto, andando sempre avanti. Come nella prima parte del viaggio attraversavamo foreste, penetravamo in gallerie, passavamo sovra giganteschi viadotti, ci internavamo fra gole di montagne, costeggiavamo laghi e paludi su ponti, valicavamo fiumi larghi, correvamo in mezzo a praterie ed a pianure. Siamo passati sulle sponde dell'Uruguay. Mi pensava che fosse fiume di poco corso, ma invece è lunghissimo. In un punto vidi il fiume Paranà che si avvicinava all'Uruguay, come se andasse a portargli il tributo delle sue acque, ma invece dopo essere corso per un tratto quasi parallelamente, se ne allontanava facendo un largo gomito. Tutti e due questi fiumi erano larghissimi [Arguendo da questi pochi dati sembra che questa futura linea di ferrovia partendo da Ia - Paz, toccherà Santa - Cruz, passerà per l'unica apertura che è nei monti Cruz della Sierra ed è attraversata dal fiume Guapay; valicherà il fiume Parapiti nella provincia Chiquitos della Bolivia; taglierà l'estremo lembo nord della Repubblica del Paraguay; entrerà nella provincia di S. Paolo nel Brasile e di qui farà capo a Rio Janeiro. Da una stazione intermedia nella provincia di S. Paolo partirà forse la linea ferroviaria che passando tra il Rio Paranà e il Rio Uruguay congiungerà la capitale del Brasile colla Repubblica dell'Uruguay e colla Repubblica Argentina].

                E il treno andava sempre in giù, e gira da una parte e gira da un'altra, dopo un lungo spazio di tempo si fermò la seconda volta. Quivi molta altra gente scese dal convoglio e passava essa pure sotto le Cordigliere andando verso occidente. [Don Bosco indicò nella Repubblica Argentina la provincia di Mendoza. Quindi la stazione era forse Mendoza e quella galleria metteva a Santiago capitale della Repubblica del Chilì].

                Il treno riprese la sua corsa attraverso le Pampas e la Patagonia. I campi coltivati e le case sparse qua e là indicavano che la civiltà prendeva possesso di quei deserti.

                Sul principio della Patagonia passammo una diramazione del Rio Colorado ovvero del Rio Chubut [o forse del Rio Negro?]. Non poteva vedere la sua corrente da qual parte andasse, se verso le Cordigliere ovvero verso l'Atlantico. Cercava di sciogliere questo mio problema, ma non poteva orizzontarmi.

                Finalmente giungemmo allo stretto di Magellano, Io guardava. Scendemmo. Aveva innanzi Punt'Arenas. Il suolo per varie miglia era tutto ingombro di depositi di carbon fossile, di tavole, di travi,  [392] di legna, di mucchi immensi di metallo, parte greggio, parte lavorato. Lunghe file di vagoni per mercanzie stavano sui binarii.

                Il mio amico mi accennò a tutte queste cose. Allora domandai: - E adesso che cosa vuoi dire con questo?

                Mi rispose: - Ciò che adesso è in progetto, un giorno sarà realtà. Questi selvaggi in futuro saranno così docili da venire essi stessi per ricevere istruzione, religione, civiltà e commercio. Ciò che altrove desta meraviglia, qui sarà tale meraviglia da superare quanto ora reca stupore in tutti gli altri popoli.

                 - Ho visto abbastanza, io conclusi; ora conducetemi a vedere i miei Salesiani in Patagonia.

                Ritornammo alla stazione e risalimmo sul treno per ritornare. Dopo aver percorso un lunghissimo tratto di via, la macchina si fermò innanzi ad un borgo considerevole. [Posto forse sul grado 47 ove sul principio del sogno aveva visto quel grosso nodo della corda]. Alla stazione non vi era alcuno ad aspettarmi. Discesi dal vapore e trovai subito i Salesiani. Ivi erano molte case con abitanti in gran numero; più chiese, scuole, varii ospizi di giovanetti e adulti, artigiani e coltivatori, ed un educatorio di figlie che si occupavano in svariati lavori domestici. I nostri missionarii guidavano insieme giovinetti ed adulti.

                Io andai in mezzo a loro. Erano molti, ma io non li conosceva e fra loro non vi era alcuno degli antichi miei figli. Tutti mi guardavano stupiti, come se fossi persona nuova, ed io diceva loro: - Non mi conoscete? Non conoscete voi Don Bosco?

                 - Oh Don Bosco! Noi lo conosciamo di fama, ma l'abbiamo visto solamente nei ritratti! Di persona, no certo!

                 - E Don Fagnano, Don Costamagna, Don Lasagna, Don Milanesio, dove sono essi?

                 - Noi non li abbiamo conosciuti. Sono coloro che vennero qui una volta nei tempi passati: i primi Salesiani che arrivarono in questi paesi dall'Europa. Ma oramai scorsero tanti anni da che sono morti!

                A questa risposta io pensavo meravigliato: - Ma questo è un sogno ovvero una realtà? - E batteva le mani una contro dell'altra, mi toccava le braccia, e mi scuoteva, mentre realmente udiva il suono delle mie mani e sentiva me stesso e mi persuadeva di non essere addormentato.

                Questa visita fu cosa di un istante. Visto il meraviglioso progresso della Chiesa Cattolica, della nostra Congregazione e della civiltà in quelle regioni, io ringraziava la Divina Provvidenza che si fosse degnata di servirsi di me come istrumento della sua gloria e della salute di tante anime.

                Il giovinetto Colle frattanto mi fece segno, che era tempo di ritornare indietro: quindi, salutati i miei Salesiani, ritornammo alla stazione, ove il convoglio era pronto per la partenza. Risalimmo, fischiò la macchina, e via verso il nord. [393]

                Mi cagionò meraviglia una novità che mi cadde sotto gli occhi. Il territorio della Patagonia nella parte più vicina allo stretto di Magellano, tra le Cordigliere e il mare Atlantico, era meno largo di quello che si crede comunemente dai geografi.

                Il treno avanzavasi nella sua corsa velocissima e mi parve che percorresse le provincie, che ora sono già civilizzate nella Repubblica Argentina.

                Procedendo entrammo in una foresta vergine, larghissima, lunghissima, interminabile. Ad un certo punto la macchina si fermò e sotto gli occhi nostri apparve un doloroso spettacolo. Una turba grandissima di selvaggi stava radunata in uno spazio sgombro in mezzo alla foresta. I loro volti erano deformi e schifosi; le loro persone vestite, come sembrava, di pelli d'animali cucite insieme. Circondavano un uomo legato che stava seduto sopra una pietra. Esso era molto grasso; perchè i selvaggi aveanlo fatto a bello studio ingrassare. Quel poveretto era stato fatto prigioniero e sembrava appartenesse ad una nazione straniera dalla maggiore regolarità dei suoi lineamenti. Le turbe dei selvaggi lo interrogavano ed esso rispondeva narrando le varie avventure, che gli erano occorse nei suoi viaggi. A un tratto un selvaggio si alza e brandendo un grosso ferro che non era spada, ma però molto affilato, si slancia sul prigioniero e con un colpo solo gli tronca il capo. Tutti i viaggiatori del convoglio stavano agli sportelli e alle finestrine dei vagoni attenti e muti per l'orrore. Lo stesso Colle guardava e taceva. La vittima aveva mandato un grido straziante nell'atto che era colpita. Sul cadavere che giaceva in un lago di sangue si slanciarono allora quei cannibali e fattolo a pezzi, posero le carni ancora calde e palpitatiti sovra fuochi appositamente accesi e, fattele arrostire alquanto, così mezze crude le divorarono. Al grido di quel disgraziato la macchina si era messa in moto e a poco a poco riprese la sua vertiginosa velocità.

                Per lunghissime ore si avanzò sulle sponde di un fiume larghissimo. E ora il treno correva sulla sponda destra ed ora sulla sinistra di questo. Io non feci caso dal finestrino, su quali ponti facessimo questi frequenti tragitti. Intanto su quelle rive comparivano di tratto in tratto numerose tribù di selvaggi. Tutte le volte che vedevamo queste turbe il giovanetto Colle andava ripetendo: - Ecco la messe dei Salesiani! Ecco la messe dei Salesiani!

                Entrammo poscia in una regione piena di ani - inali feroci e di rettili velenosi, di forme strane ed orribili. Ne formicolavano le falde dei monti, i seni delle colline; i poggerelli da questi monti e da questi colli ombreggiati, le rive dei laghi, le sponde dei fiumi, le pianure, i declivi, le ripe. Gli uni sembravano cani che avessero le ali ed erano panciuti straordinariamente [gola, lussuria, superbia]. Gli altri erano rospi grossissimi che mangiavano rane. Si vedeano certi ripostigli pieni di animali, diversi di forma dai nostri. Queste tre specie d'animali [394] erano mischiate insieme e grugnivano sordamente come se volessero mordersi. Si vedeano pure tigri, iene, leoni, ma di forma diversa dalle specie dell'Asia e dell'Africa. Il mio compagno mi rivolse eziandio qui la parola e, accennandomi quelle belve, esclamò: - I Salesiani le mansueferanno.

                Il treno intanto avvicinavasi al luogo della prima partenza e ne eravamo poco lontani. Il giovane Colle trasse allora fuori una carta topografica di una bellezza stupenda e mi disse: - Volete vedere il viaggio che avete fatto? Le regioni da noi percorse?

                 - Volentieri! risposi io.

                Esso allora spiegò quella carta nella quale era disegnata con esattezza meravigliosa tutta l'America del Sud. Di più ancora, ivi era rappresentato tutto ciò che fu, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà in quelle regioni, ma senza confusione, anzi con una lucidezza tale che con un colpo d'occhio si vedea tutto. Io compresi subito ogni cosa, ma per la moltiplicità di quelle circostanze, simile chiarezza mi durò per brev'ora e adesso nella mia mente si è formata una piena confusione.

                Mentre io osservava quella carta aspettando che H giovanetto aggiungesse qualche spiegazione, essendo io tutto agitato per la sorpresa di ciò che avevo sott'occhi, mi sembrò che Quirino[328] suonasse l'Ave Maria dell'alba; ma, svegliatomi, mi accorsi che erano i tocchi delle campane della parrocchia di S. Benigno. Il sogno aveva durato tutta la notte.

                Don Bosco pose termine al suo racconto con queste parole: - Con la dolcezza di S. Francesco di Sales i Salesiani tireranno a Gesù Cristo le popolazioni dell'America. Sarà cosa difficilissima moralizzare i selvaggi; ma i loro figli obbediranno con tutta facilità alle parole dei Missionari e con essi si fonderanno colonie, la civiltà prenderà il posto della barbarie e così molti selvaggi verranno a far parte dell'ovile di Gesù Cristo.

                Quasi a conferma delle straordinarie previsioni, passati appena pochi giorni, da Costarica il Vescovo di S. José, monsignor Bernardo Augusto Thiel, dei Signori della Missione, scriveva una lettera a Don Bosco, chiedendo alcuni Missionari Salesiani. Orbene questa città si trova proprio sotto il grado io, menzionato nel sogno. Il Santo stesso, scrivendo al conte Colle l'II febbraio 1884 dirà: “Il viaggio fatto col nostro [395] caro Luigi si viene spiegando ogni giorno più. In questo momento sembra diventato il punto centrale degli affari. Molto si dice, si scrive, si pubblica per spiegare e attuare i nostri disegni”.

                Sempre in relazione con il sogno sulla Patagonia, Don Lemoyne raccolse dalle labbra di Don Bosco queste parole: - Quando si conosceranno le immense ricchezze che fanno preziosa la Patagonia, questo territorio avrà uno sviluppo di commercio straordinario. Nelle gole dei monti stan nascoste preziose miniere; nella catena delle Ande fra il grado 10° e il 200 vi sono miniere di piombo, di oro e di cose ancor più preziose dell'oro.

                Perchè si abbia un'idea del valore di questo sogno, faremo alcuni rilievi più notevoli. Don Bosco ci offre un complesso di dati positivi, dei quali egli non poteva aver avuto notizia nè da viaggiatori nè da geografi, non essendosi fatta esplorazione di sorta in quelle estreme latitudini nè a scopo turistico nè con finalità scientifiche. A questi elementi se ne aggiungono altri di natura profetica, riguardanti un avvenire più o meno remoto. Sorvolando su questi ultimi, ci limiteremo a quattro particolarità del primo genere; nel che ci soccorrono preziose informazioni favoriteci da Don De Agostini, il salesiano esploratore delle terre australi[329].

                Sia anzitutto la descrizione che Don Bosco fa delle Cordigliere. Da tutti si pensava che esse fossero come un muro divisorio, cioè una catena omogenea, la quale si estendesse da Nord a Sud per più di 30 gradi di latitudine, un cordone unico insomma per elevazione e corso. Invece le esplorazioni e gli studi compiuti da alcuni decenni han dimostrato che le Ande, come osserva giustamente Don Bosco, si trovano sezionate da numerose e profonde depressioni in forma di seni, valli e conche lacustri, e suddivise in gruppi o nodi di catene,  [396] le quali si volgono in opposte direzioni e si presentano affatto differenti fra loro per caratteri geologici e orografici, Siamo dunque agli antipodi della rappresentazione primitiva di una catena formante un'unità geografica. Nella descrizione di Don Bosco, che rappresenta la configurazione verticale delle Ande e gli accidenti modificanti la loro struttura orografica, si riscontra davvero un'impressionante esattezza. Neppure il più autorevole cultore di studi geografici avrebbe potuto in quel tempo lanciare un'affermazione tanto recisa e particolareggiata, com'egli fa; una sì chiara e precisa visione di quei luoghi è dovuta senza dubbio ad un potere che oltrepassa i limiti umani.

                Che allora s'ignorasse l'esistenza di tanti seni e valli estesissime, basta dare un'occhiata alle carte dell'epoca per esserne convinti. Nei canali patagonici, ad esempio, si erano pur fatte numerose spedizioni idrografiche, cominciando dai celebri viaggi delle navi inglesi Adventure e Reagle al comando di Parker King e di Vitz Roy fra il 1826 e il 1836 e venendo fino a quelli cileni di Simpson, Valverde, Rogera, Serrano dal 1874 al 1889; orbene, eccetto una piccola via seguita dai vapori di grande tonnellaggio, che da Potto Montt si recavano allo Stretto di Magellano attraverso un fitto labirinto di isole e di canali, quasi tutta la costa esterna ad occidente della Cordigliera patagonica era avvolta nel più profondo mistero. Un fatto strabiliante lo conferma. Il seno Baker, il più grande e il più esteso dei fiordi patagonici, le cui diramazioni continentali in profonde depressioni, valli e conche lacustri spezzano per più di quattrocento chilometri la Cordigliera patagonica fra i gradi 46 e 52 di latitudine Sud, non giunse a conoscenza del mondo se non nel 1898 dopo i viaggi di esplorazione compiuti dal celebre esploratore e geografo Giovanni Steffen, allorchè si erano iniziati rispettivamente dal Cile e dall'Argentina viaggi scientifici per determinare i confini della Cordigliera della Ande.

                In secondo luogo, Don Bosco descrive ferrovie fantastiche [397] dove allora regnava deserto e solitudine. Oggi le reti ferroviarie nelle repubbliche del Centro e Sud - America hanno raggiunto uno sviluppo prodigioso e attraversano già in molte parti la Cordigliera andina. Alcune linee furono costruite lungo la catena delle Ande e non è lontano il giorno, in cui, avverandosi il sogno del nostro Santo, queste linee uniranno il Nord dell'America allo Stretto di Magellano, attraversando l'intera Patagonia.

                In terzo luogo Don Bosco asserisce che straricche miniere di carbon fossile, di petrolio, di piombo e di metalli anche preziosi stanno nascoste nelle viscere di quelle montagne, poste ivi dalla mano onnipotente del Creatore a beneficio degli uomini. Chi non sa come d'anno in anno si vengono scoprendo sempre nuovi depositi di minerali in tutta la zona cordiglierana e lungo la costa dell'Atlantico? Particolare importanza ebbe la scoperta del petrolio a Comodoro Rivadavia nel Chubut, avvenuta il 13 novembre 1907, mentre la Direzione generale delle miniere procedeva ad una perforazione in cerca di acqua potabile. Esistono al presente in Comodoro Rivadavia novecento pozzi petroliferi. Altre sorgenti di petrolio furono scoperte negli anni successivi presso i contrafforti subandini di Salta e Jujuy e lungo il Neuquen, per citare soltanto l'Argentina. Esplorazioni e sondaggi continuano tuttora da un capo all'altro della Patagonia, dove compaiono tracce manifeste della presenza di questo ricco minerale. Potenti falde petrolifere si son fatte affiorare anche nella Bolivia, nel Brasile, nella Colombia e nel Venezuela. Importanti giacimenti di carbon fossile si sono trovati sotto la Cordigliera presso Epuyen nel Chubut e a Punta - Arenas. Il piombo forma oggi nell'Argentina la produzione metallica più rilevante con una estrazione di diecimila tonnellate all'anno.

                Finalmente dell'arcipelago fueghino Don Bosco dice: “Alcune di queste isole erano abitate da indigeni abbastanza numerosi; altre sterili, nude, rocciose, disabitate; altre tutte [398] coperte di neve e di ghiaccio. Ad occidente, gruppi numerosi di isole, abitate da molti selvaggi”. Chi ha letto il recente libro di Don De Agostini[330], ammira quanta verità risplenda in sì specificata descrizione. Sono proprio questi i tre aspetti del paesaggio fueghino: la zona pianeggiante e stepposa abitata dagli indigeni Ona; poi la zona cordiglierana insulare coperta di nevi perpetue e di ghiacciai immensi; quindi i gruppi numerosi di isole verso occidente, sterili, nude, rocciose, dove vivono gli Indi Alacaluf e Vagan. Anche qui si è costretti a ripetere che tanta precisione non era umanamente possibile se non ad una persona che avesse veduto con i propri occhi quel paesaggio così caratteristico e di così arduo accesso.

                Crediamo che questo breve saggio sia sufficiente á far comprendere l'importanza del sogno; ulteriori sviluppi delle Missioni salesiane e di opere civili renderanno sempre più evidente le realtà del suo contenuto.

 

 

CAPO XIV.

In alcune case d'Italia. Vicende della casa di Faenza. Proposta per Boston.

 

                IL 28 dicembre 1883 in una seduta del Capitolo Superiore, sotto la presidenza di Don Bosco, si propose di pubblicare sul Bollettino uno specchio delle domande, fatte da varie parti del mondo, di aprire nuove case: solo dal gennaio in qua il loro numero toccava le centocinquanta. Lo specchio non comparve; ma Don Bosco nella lettera annuale del 1884, tenendo conto anche di domande antecedenti, scrisse di duecento e più proposte per nuovi istituti da aprirsi non solo in Italia, in Francia e in varie parti d'Europa, ma anche nelle Indie, nella Cina, nel Giappone e nelle più lontane isole dell'Oceania. Avendo già detto dell'estero, diremo qui .alcune cose dell'Italia, che non han trovato luogo opportuno nei capi precedenti.

                Nessuna casa nuova fu aperta in Italia durante il 1881 ma quanti lavori erano in corso! Restauro della cartiera di Mathi, distrutta per lo scoppio della caldaia[331]; erezione di un nuovo edifizio nel paese medesimo; compimento della nuova tipografia e di parecchi laboratori al lato destro della [400] chiesa di Maria Ausiliatrice nell'Oratorio; incominciamento della fabbrica per l'ospizio di S. Giovanni Evangelista in Torino; ampliamento dell'ospizio di Firenze e delle scuole salesiane a La Spezia; prosecuzione della chiesa del Sacro Cuore e principio dell'ospizio annesso in Roma. Tutto questo era prova di vitalità; ma poichè nulla s'intraprendeva che non facesse capo a Don Bosco, si pensi qual mole di preoccupazioni gli derivasse anche solo da questo lato, specialmente per procacciare i mezzi.

                Le case esistenti in Italia erano ventidue, delle quali sedici regolari, cioè col numero voluto di soci, e sei succursali, che ne avevano soltanto da due a cinque.

 

                SICILIA.

 

                Durante il mese di ottobre Don Cagliero visitò i Salesiani e le Suore delle case sicule, predicando gli esercizi spirituali per gli uni a Randazzo, per le altre a Bronte e a Máscali. Vi trattò pure dello stabilimento di due nuove residenze per le Figlie di Maria Ausiliatrice, a Trecastagni cioè nella diocesi di Catania e a Cesarò in quella di Patti.

                Riguardo ai Salesiani, il visitatore scriveva a Don Rua[332]: “Vae soli, dice lo Spirito Santo, ed io dico lo stesso del Collegio di Randazzo, il quale ha assoluto bisogno di un compagno in questa terra vulcanica; e converrà rivolgere il pensiero non altrove, ma a questa necessità, affinchè i confratelli abbiano presto un ispettore locale, al quale potersi rivolgere”. Anche Don Bosco la pensava a questo modo. Infatti, discutendosi il 28 dicembre nel Capitolo Superiore sulla domanda per Agíra[333], egli opinò che fosse meglio aderire alla proposta dell'Arcivescovo di Catania, che tanto desiderava una casa salesiana. - Benchè manchi il personale, disse, e quantunque convenga limitarci ad una piccola abitazione, bisogna che vi [401] piantiamo dimora. È necessario avere in quella città anche una stanza sola, ove possano fermarsi i Salesiani che vanno alle altre case di Sicilia. Potrebbe fissarvi la sua dimora anche un nostro provveditore per non restare sempre in balia dei sensali. - Il desiderio di Don Bosco sarà largamente attuato nel 1885, con il provvidenziale oratorio di S. Filippo Neri in via Teatro Greco.

 

                FIRENZE, ESTE, ORATORIO.

 

                A Firenze quell'ottimo Direttor e, non volendo sospendere i lavori, metteva in croce Don Bosco con frequenti invocazioni dì aiuti pecuniari; giacchè dalla città quello che veniva era pochino pochino. Sembrava che tanti fossero più contenti di dare, se Don Bosco si facesse vedere o almeno scrivesse. Ora, non potendosi egli recare colà, spedì una ventina di lettere a determinate famiglie per raccomandare l'opera alla loro carità; due sole però risposero prontamente con l'invio di lire cento. Ma durante il suo viaggio, in Francia fece parte anche a Firenze delle offerte che andava ricevendo. Infatti il 9 aprile mandò da Valenza tremila lire; il 10 maggio da Parigi seimila e il 14 tremila cinquecento; da Digione tremila. In tutto dunque lire 15 - 500, che a quel tempo erano una bella provvidenza.

                Il Manfredini di Este perdette un generoso benefattore con la morte del cavaliere Pelà, preceduto nella tomba da due altri affezionati e disinteressati amici, noti anch'essi ai lettori, l'arciprete del duomo Don Zanderigo e il signor Antonio Venturini. Del primo scrive Don Tamietti nelle sue memorie: “11 27 gennaio 1883 si presentava a Dio anche l'ultimo, il più caro, operativo, amoroso nostro benefattore, il Cav. Benedetto Pelà, dopo breve malattia. Oh! se ei fu doloroso! Da ormai cinque anni eravamo soliti vederlo ogni giorno in mezzo a noi, coll'amore e colla premura di un padre, come colui che più non aveva altro pensiero che il Collegio e Don [402] Bosco. 1 nostri cuoi i s'intendevano tanto bene, le anime nostre erano strette a un desiderio solo ormai, come se fosse un Salesiano esso pure”. Oggi sulla facciata centrale del palazzo la lapide che ricorda le sue munificenze verso l'istituto, prospetta il busto marmoreo di Don Bosco, la quale vicinanza sembra simboleggiare la fusione delle loro anime, operatasi fin dal primo incontro.

                L'Oratorio assistette nel 1883 all'inaugurazione dell'edifizio eretto per la stamperia e le sue dipendenze. Con le sei macchine di prima, divenute insufficienti, presero a lavorare tre altre di nuovo modello. Torino non aveva alcuna tipografia così bene attrezzata, Oltre a questo ingrandimento, là dove al presente è il salone del teatro, si pose mano a costruire i laboratori dei fabbri - meccanici[334]. Potrebbe destar meraviglia il vedere come quella prima ala di fabbricato presenti un bel prospetto decorativo anche dal lato di ponente, che è tutto interno e dà sopra un cortile; ma la ragione è che allora si temeva forte che lì accanto dovesse passare una via già tracciata nel piano regolatore del Municipio. Senza questo il Santo non avrebbe mai tollerato un ornamento superfluo.

 

                FAENZA.

 

                La più tribolata delle case d'Italia fu nel 1883 quella di Faenza. Là dov'era confinata, l'opera non avrebbe mai potuto svilupparsi; bisognava dunque cercarle un luogo che fosse più adatto a una ragionevole espansione. Nel Borgo non si scorgeva possibilità alcuna di trovar questo luogo; inoltre il posto era troppo fuori di mano per le scuole, per l'oratorio e per tutto. Si aggiungevano le rivalità tradizionali fra Borghigiani e Faentini, le quali impedivano d'accorrervi ai figli di questi ultimi o.per antipatia ereditaria delle famiglie o per timore di risse fra ragazzi. Non rimaneva che volgere [403] gli occhi alla città, dove, quasi a consigliare tale scelta, sopravvenniva l'arrivo dei Protestanti, installatisi alla chetichella con una loro chiesa aperta al pubblico. Tante ragioni insieme determinarono finalmente il trasporto dei penati entro le mura. Ma prima di venire all'atto se ne dovettero passare delle brutte.

                Mentre le moltiplicate ricerche di un edifizio urbano fallivano una dopo l'altra, gli anticlericali faentini con ostilità occulte e palesi brigavano per isbandire i Salesiani anche dalla loro suburbana dimora. In febbraio il regio sottoprefetto chiedeva d'ufficio al sindaco di Faenza se fosse vero che nell'istituto detto dei Salesiani s'insegnassero il disegno e le materie stabilite dai programmi per le scuole elementari; e in caso affermativo, quanti e di che età fossero gli scolari; se i docenti, compreso quello che insegnava il disegno, fossero forniti dei titoli voluti dalla legge; in quali giorni ed ore s'impartisse l'insegnamento; se di tutto infine si fosse avvertita, per l'anno scolastico in corso e secondo le prescrizioni della legge, l'autorità scolastica governativa. In quegli anni infausti e in altri dappoi tali inquisizioni preludevano a misure vessatorie, mascherate di legalità; e nell'Italia centrale e meridionale, dove non s'era avvezzi a simili soprusi, i cattolici dinanzi a minacce di tal genere s'intimidivano. Ma i Salesiani, addestratisi già da tempo in Piemonte a siffatte lotte, non si lasciavano tanto facilmente soverchiare. Don Rinaldi con la massima sollecitudine e con il massimo sangue fi eddo i ispose al sindaco che nella casa dei Salesiani di Faenza non esistevano scuole, per le quali si richiedessero maestri patentati, sebbene quelli che vi si trovavano fossero realmente tali[335]. Non occorse altro per chiudere l'adito a ulteriori ingerenze da quella parte.

                Fallito questo colpo, scesero in campo i giornali così detti democratici. Nel numero del 7 aprile la Montagna, recente [404] foglio faentino che si stampava a Imola, denunziò “uno dei soliti covi clericali”, in cui si preparavano trecento nemici all'Italia in tanti ragazzetti adescati con ogni mezzo. Verso la fine dì giugno girava per i caffè e per le botteghe una sottoscrizione contro i Salesiani. Proprio allora il Secolo di Milano, molto letto a Faenza, portava il ritratto di Don Bosco e nelle lettere parigine la corrispondenza, di cui abbiamo parlato[336], sul viaggio trionfale di Don Bosco in Francia. Quell'elogio, in un giornale di quel colore, giungeva proprio opportuno e fu letto dalla maggior parte dei cittadini; ma tanti o non sapevano o fingevano di non sapere che i bersagliati Salesiani erano figli di Don Bosco.

                Poi partirono attacchi dalla provincia. Il Ravennate in tre articoli lanciava ripetutamente il grido di guerra contro le nostre scuole. Nel primo un corrispondente liberale, a cui l'affare della sottoscrizione non garbava punto, voleva libertà per tutti; ma in redazione si confezionò per l'articolo un cappello che ne soffocava l'onesto contenuto, invocandosi energia e, se occorresse, anche violenza contro i frati e le monache insegnanti, benchè patentati; essere questa una necessità, se s'intendeva di rendere l'educazione della gioventù conforme allo spirito dei tempi nuovi; per questo doversi attuare a ogni costo l'insegnamento laico. Nel secondo articolo si presentava ai lettori il testo della virulenta petizione che si andava sottoscrivendo per inviarla al Ministero e indurre il Governo a espellere i Salesiani da Faenza, stanziatisi colà “per fare propaganda clericale col pretesto d'istruire nelle lettere, nella musica, nelle arti e nei mestieri i figli del popolo”. Si trascorreva quindi alle minacce: “Parliamo in nome del popolo, sperando che le Autorità non vorranno contentarsi di credere che le nostre sieno voci isolate. Dove fossero considerate tali, noi, ordinati pacificamente nei limiti della legge, ci mostreremmo; anzi ci facciamo un dovere [405] civico di prevenirne le Autorità stesse fin d'ora, onde, se l'indignazione, che già si manifesta a vedere i nemici della patria assumere l'educazione e l'istruzione dei fanciulli, dovesse enerare in disordine, la responsabilità non ricada su coloro, che desiderano unicamente, il decoro e la tranquillità del paese”.

                Il terzo articolo mirava a ribattere le affermazioni liberali contenute nel primo, dicendo fra le altre cose: “La Democrazia Faentina non combatte nei Frati Salesiani la istruzione che danno ai fanciulli, ma la educazione ed i principii che loro infondono. La istruzione, che sarà benissimo in regola colla patente e colle tasse, è la bandiera colla quale questi frati mascherano la loro merce di contrabbando; e la merce di contrabbando è appunto la educazione tutta pretina e papale, colla quale soffocano in quei giovani cuori ogni sentimento generoso e patriottico, imbevendoli di dottrine clericali, avvezzandoli a considerare questa patria, frutto di tanti sacrifici, come un furto, e preparandoli a diventare, adulti, tanti soldati del potere temporale [.....]. E se è ammissibile che fuori d'Italia ci possano essere preti e frati che siano anche buoni patriotti, ciò è assolutamente impossibile - in Italia, e le eccezioni rarissime non possono provare il contrario; giacchè in Italia abbiamo la quistione del potere temporale del papa, per loro sempre aperta, e i preti e i frati, essendo assolutamente soggetti e dipendenti dal papa, devono inevitabilmente essere nemici dell'unità della patria e quindi della patria stessa”[337].

                Non si sarebbe potuto i rappresentare con termini di più cruda realtà l'insanabile dissidio, che le sette avevano aperto e continuamente inasprivano in Italia fra il potere religioso e il potere politico. Ma nel medesimo tempo da questa prosa così incisiva emergono luminosamente tre fatti: che il programma di Don Bosco era notoriamente cattolico in tutto il [406] senso della parola, che per questo doveva di necessità essere osteggiato con ogni mezzo dalla settarietà imperante, e che se, nonostante l'accanirsi degli avversali, egli riuscì a stendere su tutto il paese una rete d'istituzioni giovanili, che furono arca di salvezza per tanti e tanti, la storia sarà obbligata a riconoscergli il merito d'aver contribuito in misura incalcolabile a tenere in serbo il lievito di un miglior avvertire.

                Un altro giornale di Ravenna, il Sole dell'avvenire, giurava che, se i Salesiani non se n'andavano da sè, si sarebbe ricorso a mezzi ultraradicali per dar loro lo sfratto[338].

                In città gli animi erano divisi. I buoni, disarmati e non ancora rotti alle battaglie volute dai tempi, gemevano, ma o non ardivano o non sapevano agire. Le Autorità chiamavano ogni tanto il Direttore, gli domandavano spiegazioni e gli davano consigli di prudenza. Un giorno il tenente dei carabinieri lo avvertì che correva pericolo della vita e che si munisse di rivoltella. Va egli senza sbigottirsi continuava a far ricerche di un nuovo locale, sebbene non si venisse mai a capo di nulla.

                Per aizzare la feccia del popolo fu attaccato per la città un manifesto, in cui i Salesiani erano accusati al Governo di far risorgere il feroce antagonismo d'una volta fra Borghigialli e Faentini; se si voleva la pace, bisognava assolutamente metterli fuori dei piedi. Quella diatriba portava firme di scamiciati, noti nella città e un po' anche temuti. Le firme dell'indirizzo, che menzionavamo sopra, salirono, si disse, a duemila. La denunzia così corredata fu spedita prima alle Autorità di Ravenna e poi al Ministero.

                Queste persecuzioni, anzichè abbattere Don Rinaldi, lo animavano alla resistenza, bramoso com'era di far paghi i desideri dei buoni. Sul finire di agosto andò a Torino per gli esercizi e per il Capitolo Generale. Vide a S. Benigno Don Bosco ed ebbe con lui un colloquio di due ore. Udito di tutta [407] quella guerra, il Santo gli disse: Veramente son più sicuri e tranquilli i nostri Confratelli tra i Pampas. Non conviene però cedere, se ti senti, finchè non abbiano seriamente tentato qualche colpo, che Maria Santissima non permetterà.

                 - Ebbene, domandò il Direttore, quale sarebbe il consiglio di Don Bosco? come vorrebbe che si facesse?

                 - Riguardo alla Commissione, al Vescovo e a Don Taroni, dire che continuino. Anzi bisogna, e subito ed a qualunque costo, aprire l'istituto interno.

                Don Rinaldi, e fuori e in confessione, lo pregò di liberarlo da quel peso o almeno di dirgli una parola rassicurante. Va' avanti, gli rispose. Iddio farà anche un miracolo strepitoso per sostenerti nell'obbeddienza. - E dopo la confessione: - Continua, continua, continua. Dio ti benedirà. - Tali assicurazioni lo confermarono nel proponimento di resistenza a oltranza[339].

                I fatti diedero ragione a Don Bosco e più presto che non si sperasse. Il 9 settembre, tenendosi nel teatro di Faenza un grande comizio in favore del suffragio universale, tutto era stato predisposto per inscenare una clamorosa dimostrazione contro i Salesiani; ma un oratore nella foga del dire lanciò un villano insulto all'indirizzo del Re, chiamandolo colonnello austriaco. Tosto il delegato di pubblica sicurezza intimò lo scioglimento e da quel giorno le Autorità, difendendo se stesse, difesero anche, senza volerlo o saperlo, i Salesiani. Si avverarono così le parole di Don Bosco: i nemici tentarono un colpo, che la Madonna mandò a vuoto, e ai Salesiani tornò tanto di quiete che bastò a trovare finalmente in città il locale. Quanto ai mezzi per l'acquisto, Don Bosco aveva detto: - Spereremo nella Provvidenza che ce li dia; o se non ce li darà, la sforzeremo. - E al canonico Cavina aveva scritto[340]: “Ho con gran pena intese le cose, che rendono difficile l'opera diretta al bene della povera e pericolante [408] gioventù. Dovremo abbandonare il campo nelle mani del nemico? Non mai. Nei grandi pericoli bisogna raddoppiare gli sforzi ed i sacrifizi. Noi faremo volentieri quanto sta in noi, ma è pure mestieri che la S. V. e i suoi amici diano mano efficace per aprire qualche ospizio pei ragazzi poveri. Si studi e si faccia “. Si studiò, si fece, e i mezzi non mancarono.

 

                BOSTON.

 

                Ci resta ora a chiarire un punto del sogno. Don Bosco aveva chiesto a Luigi Colle quando i Salesiani sarebbero dovuti andare a Bastoni dov'erano attesi. Un parroco di Boston, monsignor Bouland, aveva ideato di fondare nella città un'opera che, sotto il titolo di NotreDame des Victoires, e sotto la forma di Confraternita, spiegasse un'azione intensa per la conversione dei protestanti, per il culto mariano, per l'onore della Chiesa Cattolica e per soccorrere il Papa. Gli associati si sarebbero a questo fine assunto l'obbligo di sborsare determinate somme individuali e altre si sarebbero raccolte dai loro decurioni. Centro dell'associazione doveva essere un collegio di preti missionari, esclusi però i religiosi: si volevano preti secolari, attivi, studiosi e pii, viventi in comune e dediti soprattutto alla predicazione e all'educazione della gioventù[341].

                Ma in pratica un'eletta di preti quali si desideravano, disposti a convivere come religiosi senz'essere tali, non fu trovata nè si sperava più di trovarla. Perciò gli amici parigini del parroco gli consigliarono di rivolgersi a Don Bosco e il celebre abate Moigno venne pregato di aprire le trattative. Egli spedì a Don Bosco una parte dei documenti pervenutigli dall'America, proponendosi di mandare a Torino anche, ove occorresse, una dama americana, di origine francese e dimorante [409] a Parigi, per nome Lafitte, calda fautrice dell'opera. Le carte giacquero a lungo sul tavolo del Santo, finchè a una seconda istanza dell'abate, egli dettò a Don Bonetti i termini della risposta, la quale Don De Barruel mise in francese. Noi ne conserviamo la minuta, che è del tenore seguente:

                Le gravi ed innumerevoli occupazioni e la mia assenza da Torino per parecchi giorni mi hanno impedito di tosto conoscere la veneratissima lettera della S. V. Rev.ma in data 13 scorso luglio e di leggere il progetto che vi andava unito. Questa ragione mi valga ad ottenere più facilmente perdono della mia tardanza a rispondere.

                Anzitutto io ringrazio la S. V. della stima che ha dei Salesiani raccomandando loro l'opera di Boston cotanto importante. Ella mostra propriamente di essere nostro Cooperatore, e spero che ci vorrà conservare la preziosa sua benevolenza.

                Nel tempo stesso debbo rispondere che i nostri impegni che ci siamo già assunti per l'impianto di opere molto importanti in Europa e nell'America dei Sud mi mettono nell'impossibilità di accettare subitamente l'Opera di Boston, che con tanta bontà Ella ci propone. Oltre a ciò il Santo Padre Leone XIII sta per creare un Vicariato e una o due Prefetture Apostoliche nella Patagonia e nella Terra del Fuoco, e questo atto pontificio obbliga la Congregazione Salesiana a rivolgere colà una parte delle forze, di cui dispone.

                Se la S. V. può darmi qualche mora di tempo, come sarebbe due o tre anni, io non rifiuto la mia cooperazione a tale impresa. In questo caso io avrei bisogno di meglio conoscere in quale condizione si troverebbero i Salesiani in Boston. Sarebbero essi in casa propria? avrebbero assicurati i mezzi di sussistenza? In quale cerchia dovrebbero esercitare il loro ministero? più particolarmente fra gli adulti o fra giovanetti abbandonati?

                Intanto se mai si trova ancora a Parigi la dama americana, di cui L S, V. mi parla nella sua lettera del 13 luglio, io la vedrei ben volentieri in Torino. Forse, parlandoci potrei in poche parole conoscere la natura dell'opera a cui sono invitato, e dare una risposta più definitiva. Se mai la medesima intende di fare, il viaggio di Torino, come V. S. mi fa sperare, sarei desideroso di sapere il giorno che arriverebbe, per trovarmi a casa.

                La signora Lafitte, che aveva già tentato inutilmente di avvicinare Don Bosco nella chiesa di S. Agostino a Parigi, venne a Valdocco in agosto, recando seco altri documenti e [410] una lettera dell'abate Moigno[342]. Il nucleo della questione stava nel vedere se all'associazione di Boston fosse possibile sostituire la pia unione dei Cooperatori salesiani; stabilito questo, Don Bosco avrebbe mandato laggiù alcuni suoi preti. Si discusse a lungo, ma senza risultato. - Ogni cosa a suo tempo - aveva risposto al Santo nel sogno l'amabile sua guida. Le quali parole insinuavano abbastanza chiaramente, che quel tempo non era ancor giunto.

 

 

CAPO XV.

Pensieri e lettere di Don Bosco.

 

                CORONEREMO l'esposizione delle notizie biografiche contenute in questo volume con un florilegio di pensieri espressi dal Santo durante il terzo Capitolo Generale e in qualche seduta del Capitolo Superiore e con un sertaretto di lettere che non abbiamo potuto distribuire lungo il corso della nostra narrazione.

                Per il terzo Capitolo Generale Don Bosco mandò il 20 giugno alle case gli scherni delle materie da discutere, affinchè i Direttori e ciascun membro dei capitoli locali avessero agio di fare le loro osservazioni e proposte, comunicandole poi in antecedenza al regolatore Don Bonetti. Queste materie si dividevano in otto capi. - I. Regolamento per gli esercizi spirituali. - IL Regolamento per gli Ascritti e per lo studio dei medesimi. III. Regolamento per le Parrocchie dirette e dirigende dai Salesiani. - IV. Cultura dei Confratelli Coadiutoi i. - V. Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle Case Salesiane e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani artigiani. - VI. Norme pel licenziamento dei Soci. - VII. Impianto e sviluppo degli Oratorii Festivi presso le Case Salesiane. - VIII. Revisione e modificazione del Regolamento delle Case.

                Il Capitolo fu tenuto nel collegio di Valsalice dalla sera [412] del io alla sera del 7 settembre. Vi presero parte trentacinque membri, compreso Don Bosco. Unico documento ci rimangono i verbali delle sedute compilati da Don Marenco; ma purtroppo sono assai deficienti e per giunta mutilati, poichè cominciano dal giorno 3[343]. Ne trarremo quel tanto che ci fa conoscere sulle varie questioni il pensiero di Don Bosco.

                Nel frammento superstite Don Bosco parla del Bollettino e dei Cooperatori, delle monografie, degli esercizi spirituali, del noviziato e della moralità. Nella seduta pomeridiana del 4 esortò i Capitolari a tener presente questo principio nelle loro deliberazioni: - Una delle cose che dobbiamo avere di mira si è che quanto qui si tratta deve servire di norma da oggi a dieci, a venti, a cento anni; perciò bisogna che facciamo come il pittore che dice: Aeternitati pingo [dipingo per l'eternità].

                Del Bollettino Don Bosco disse: - Altri sono i Cooperatori Salesiani, i quali sono i nostri benefattori; altri sono gli abbonati al Bollettino come a giornale. Il Bollettino altro non è che un mezzo per comunicare la conoscenza delle opere nostre e stringere i buoni cristiani con uno spirito e un fine solo. Quindi non dev'essere solamente considerato come un periodico per diffondere la verità e le notizie. Oggi le persone benefiche per motivi politici quasi non sanno più come impiegare la loro roba in opere pie; quindi il nostro scopo nel Bollettino è di far conoscere le nostre opere, affinchè, se Dio vuole, aiutino le opere salesiane. Ma dobbiamo dunque diffonderlo come un periodico pubblico. - Insegnò inoltre a difendere tale pubblicazione dalle accuse di coloro che la attribuissero a superbia o vanità. - Il Bollettino, disse, è scritto per noi e per i Cooperatori, i quali desiderano di conoscere perfettamente le nostre opere.

                Riguardo ai Cooperatori, fece due raccomandazioni: che si promovessero le due conferenze annue, nelle quali si facesse [413] la questua e si mandasse l'elemosina, e che si spiegasse bene lo scopo dei Cooperatori, che è aiutare i catechismi, diffondere la buona stampa, mandare ragazzi a buoni collegi. - A noi, osservò, non importa il ricevere cento lire di più o di meno, ma conseguire l'a gloria di Dio. Per questo, se i Governi non ci metteranno incaglio, il Bollettino diverrà una potenza, non già per se stesso, ma per le persone che riunirà. 1 Cooperatori, se conoscono bene il loro scopo, non solo ci aiutano, ma compiono largamente le opere che sono proprie dei Salesiani.

                Quanto ci tenesse Don Bosco alla compilazione delle monografie per i singoli collegi, volle manifestarlo anche in questo Capitolo, esortando i Direttori a occuparsene seriamente. Per l'anno dopo ingiunse a tutti di portare la monografia della propria casa e fece rilevare come si preparasse con tal mezzo un prezioso e ricco materiale per la storia.

                Si discusse sul Regolamento per gli esercizi spirituali: chi lo voleva diffuso, chi sintetico. Don Bosco alla fine manifestò il suo pensiero ed era che si preparasse un buon Regolamento; giacchè si facevano tanti sacrifizi per gli esercizi spirituali, doversi formulare delle norme, le quali conducessero a ricavare tutto quel frutto che s'intendeva ritrarne. Egli desiderava inoltre che vi si tenessero ogni volta alcune conferenze appositamente per i preti.

                Le idee che Don Bosco espresse sul noviziato dei chierici e dei coadiutori hanno quasi solo un valore storico. Perchè si comprendesse bene lo spirito delle Regole in ciò che riguardava il noviziato, ricordò: - Il Santo Padre Pio IX disse parecchie volte che nel formare i Salesiani si avesse in mira di renderli quali dovrebbe essere un sacerdote esemplare in mezzo al mondo. Perciò si richiedono gli esercizi di pietà conducenti a questo fine e nello stesso tempo è bene che gli ascritti abbiano i loro uffizi da disimpegnare, per vedere quali siano le loro attitudini e disposizioni. Bisognerà però fare in modo che non siano impedite le pratiche di pietà. - Rammentò pure come Pio IX consigliasse di non usare la parola noviziato, [414] ma di trarne un'altra, perchè il mondo era mal prevenuto contro quella denominazione. Quanto alla concessione fatta dal medesimo Pio IX che gli ascritti nell'anno di prova attendessero anche agli studi ed a qualche altra occupazione, comunicò che nella prima udienza concessagli da Leone XIII egli aveva esposto al nuovo Papa le concessioni del suo predecessore; al che il Papa aveva risposto che non intendeva di mutare nulla delle cose concesse; se mutazioni occorressero, si sarebbe provveduto. Avendo finalmente Don Albera rappresentato le difficoltà di far fare il noviziato in Italia agli aspiranti francesi, sia per la diversità di lingua e d'istruzione, sia specialmente per antipatia nazionale, Don Bosco, secondato dal Capitolo, dichiarò che si sarebbe aperto un noviziato nelle vicinanze di Marsiglia, non solo per i Salesiani, ma anche per le Figlie di Malia Ausiliatrice.

                Al noviziato dei coadiutori Don Bosco assegnò per base quello che si era già predicato fino allora, cioè renderli buoni cristiani, e disse: - Un ascritto, se metta in pratica le regole della casa e le regole generali della Congregazione, e adempia i suoi doveri religiosi, ne avrà a sufficienza. L'importante è trovare chi pensi seriamente a loro e li guidi e li aiuti.

                L'ultimo punto, sul quale Don Bosco disse cose utili a sapersi, è quello della moralità fra i soci salesiani. Dopo aver raccomandato che nessun estraneo venisse ammesso alla tavola comune (questo dovevasi intendere di ammissione abituale e non transitoria) e che quindi vi fosse un refettorio apposito, dove intervenisse qualcuno a tener compagnia, proseguì press'a poco in questo modo: - La Congregazione ha bisogno di essere purgata. La prima cosa è quella di chiudere la casa ogni donna. Nessuna donna dorma in casa; nessuna venga dormire in casa. Anche la lavanderia si cerchi che sia separata dalla casa. Questo si prenda in seria considerazione. In secondo luogo è da vedere che quanto si è stabilito per appartare le Suore, si eseguisca al più presto, perchè è di somma importanza... Per causa di relazioni pervenute a [415] Roma alcuni della Congregazione dei Vescovi e Regolari proposero una visita apostolica, che si sarebbe eseguita, se il Santo Padre non lo impediva. Una visita di questo genere avrebbe gettato una brutta macchia sulla nostra riputazione. Ciò fu causato dal fatto seguente. Alla Santa Sede fu deferita una cosa lubrica, che aveva del verosimile, ma che per fortuna non era vera. Un Salesiano, che frequentava i laboratorii delle Suore, avrebbe combinato con una di fuggire; ma per causa impreveduta il colpo non sarebbe riuscito. Ecco in sostanza il contenuto della relazione. Tutto questo fu scritto al cardinale Ferrieri, il quale propose al Santo Padre la visita accennata. - Avendo poi Don Cerruti proposto che si fissasse un tempo per eseguire i lavori necessari a ottenere l'isolamento delle Suore, Don Bosco rispose: - Vi dò il tempo di un anno a partire da questo giorno. Spirato l'anno, si farà una visita di ufficio, perchè si vegga se si è eseguito o si acceleri il compimento dell'esecuzione.

                Discutendosi di ordinamenti professionali e di vocazioni religiose per gli artigiani, si trattò dell'allontanare da noi i soggetti pericolosi. - Converrebbe fare, disse Don Bosco, come ho veduto che un tale faceva col grano. Una volta vedevo vagliare il grano e molte persone erano in questo occupate.

                 - Voglio imparare anch'io a vagliare il grano, dissi.

                 - Ebbene, mi si rispose, faccia così come facciamo noi.

                 - Vi era uno che teneva un sacco e versava il grano nel crivello. Scotendosi il crivello, cascavano di sotto tanta terra e tante pietruzze, che io credeva bell'e finita l'operazione. Ma quel grano si passava in un secondo crivello, ed ecco cadere altrettanto loglio. Allora credetti che bastasse; eppure no. Un terzo crivello scartò ancora materie eterogenee.

                 - Ma ora basterà, feci io; altrimenti è un perder tempo.

                 - No, veda, osservi bene. Questo frumento non è purgato; questi granelli che sembrano abbastanza buoni, se fa bene attenzione, scoprirà che sono guasti. Non si può vagliare col [416] solo crivello, ma bisogna aver pazienza e con le proprie mani levar via tutti questi granelli, che guasterebbero la futura messe.

                 - Ecco quello che bisogna fare per conservare la moralità... Ma non si prenda però la cosa troppo alla lettera: tutti debbono procurare questa purga secondo le proprie forze.

                Riferendosi poi nominatamente agli aspiranti per il sacerdozio, avvertì tutti in confidenza che non si accettasse mai per lo stato ecclesiastico nessuno che avesse avuto la disgrazia di andar in luoghi di mal affare.

                Nell'ultima seduta si dilungò a fare parecchie raccomandazioni, che riferiremo dai verbali, aggiustandone solo un tantino la forma.

                I° Bisogna che cerchiamo di conoscere e di adattarci ai nostri tempi, rispettare cioè gli uomini, e quindi delle Autorità, dove si può, parlar bene, e se non si può, tacere. Se c'è qualche buona ragione, la si faccia valere in privato. E quello che si dice delle Autorità civili, si dica assai più dell'Autorità ecclesiastica. Si cerchi di rispettarla e di farla rispettare; anche con sacrificio la si sostenga. Questi sacrifizi saranno col tempo e con la pazienza ricompensati da Dio.

                2° Finora potevamo portar alta la fronte in fatto di moralità. Ora per qualche imprudente ci hanno compromesso alquanto. Il nostro buon nome si ristabilisce; ma i Direttori, essendo i responsabili davanti al pubblico, facciano tutti i loro sforzi affinchè sia conservata la moralità. I mezzi sono le Regole e le Deliberazioni, le quali devono essere osservate da loro e dai loro dipendenti. Ma per questo è necessario che si conoscano. Pertanto nelle due conferenze mensili si procuri di farle conoscere. Non si richiedono conferenze dotte; basta che si leggano e poi si aggiunga una breve esortazione e spiegazione. Una delle cose fondamentali che dev'essere maggiormente inculcata, è la moralità. Se possiamo fare in modo che dopo cena si vada a riposo, è un gran guadagno per la [417] moralità. Quel tempo è il tempo dei complotti. Così, che vi - sia silenzio assoluto dalla sera al mattino, è un guadagno grande. Dicasi il medesimo delle relazioni epistolari con gli esterni. Ricordare ai Confratelli che, mancando contro la moralità, compromettono la casa e la Congregazione in faccia a Dio non solo ma anche in faccia al Inondo. In faccia a Dio si perde l'anima, in faccia al mondo l'onore.

                Nemo repente fit summus, nemo repente fit malus. Quindi badare ai princípi per impedire il male grande in seguito. Lo dice l'esperienza. Se taluno ha messo negli imbrogli il Direttore e la casa, cominciò a lasciare la meditazione, le pratiche di pietà; poi ci fu qualche giornale, qualche amicizia particolare. Disordini insomma!

                4° Quindi si ricordino i Direttori che sono responsabili della moralità propria, dei Confratelli e dei giovani. Questi sono piccoli e non parlano; ma trovandosi poi con i parenti, dicono e aumentano, se occorre, con detrimento della stima nostra e della gloria di Dio. Certi atti innocenti di affetto verso i giovanetti possono essere adoperati dal Superiore, ma non da altri, e solamente con il fine di avviarli al bene.

                5° Riguardo ai castighi, opportune ed importune si insista, perchè sia praticato il sistema preventivo. Avviene che alcuni danno schiaffi, fanno stare i giovani alla tavola di punizione per una settimana intera. Si ricordi che il maestro potrà bensì riprendere, rimproverare, ma non mai infliggere castighi corporali. Egli riferisca al Direttore, il quale metterà in pratica il sistema preventivo. Avviene spesso che i giovani sono meno colpevoli di quel che si crede, come lo dimostra l'esperienza. - Vi sono quelli che desiderano castigare? Il Direttore avvisi, ma giammai in pubblico, - mai in presenza dei giovani. A tu per tu è facilissimo ottenere che si pieghino alla volontà del Superiore e al sistema preventivo. Si avranno così parecchi vantaggi. a) Si avrà la confidenza dei giovani. b) Aumenteremo il numero delle vocazioni. c) Quando escano, si avranno amici; se no, dei nemici. d) Non diventeranno mai [418] peggiori, o daranno buon esempio o non lo daranno mai cattivo.

                6° Dai Superiori delle case non si pretenda di avere tutti i Confratelli perfetti. Facciano loro da padri, li aiutino, li avviino alla perfezione. Da principio Don Bosco poteva andar a visitare spesso le case e dirigere personalmente. Ora il Direttore stia alle Regole e non tratti mai bruscamente, dicendo, per esempio: O così o fuori. Usi carità e se c'è uno che non faccia per la casa, si scriva al Superiore Generale, che aggiusterà tutto.

                Qui Don Durando interpellò intorno al concorso nostro alle elezioni amministrative. Don Bosco rispose: - Ho sempre avuto per principio di astenermene. Ho considerato che utilità non ve n'è. Questa. è stata la norma seguita. In via ordinaria non si vada a votare. Se occorre ed estimato conveniente, si vada, ma in modo privatissimo. Nelle case dipendenti in qualche maniera da un municipio, non si vada mai.

                Conchiuse così: - Tornando alle vostre case, saluterete i Confratelli e tutti i giovanetti. Portate il pensiero che la gloria della Congregazione è con voi: tutto sta nelle vostre mani. L'aiuto di Dio non mancherà. Avete a Torino degli amici e un padre. Pregate per lui ed egli non si scorderà di voi nella Santa Messa.

                Si era già preparato e approvato il decreto, con cui si commetteva al Capitolo Superiore la facoltà di completare le deliberazioni nelle loro modalità e precisare altre cose non del tutto determinate; prima di andare in chiesa per il canto del Te Deum e la benedizione, vi si apposero le firme. Le deliberazioni furono poi pubblicate con quelle del quarto Capitolo Generale tenutosi nel 1886.

                Per conoscere le idee di Don Bosco una nuova fonte da qui innanzi ci si dischiude nei verbali del Capitolo Superiore. Sono contenuti in un ponderoso registro, dove il segretario scriveva volta per volta una succinta relazione delle sedute, ponendo una cura speciale in raccogliere, se non proprio [419] tutte le parole precise, almeno i concetti espressi dal Santo. Questi resoconti vanno dal 14 dicembre 1883 fin oltre la morte del Servo di Dio.

                Segretario del Capitolo Superiore e insieme segretario particolare di Don Bosco era Don Lemoyne. Fatto venire da Nizza Monferrato nell'autunno del 1883 e sostituito ivi nella direzione delle Suore da Don Bussi, prese definitivamente stanza nell’Oratorio, donde più non si allontanò fino al termine della sua vita. In qual conto l'avesse Don Bosco e di quanta confidenza lo onorasse, si può arguire da certe parole che gli disse nei primi giorni del novello ufficio.

                 - Per quanto tempo, gli chiese, pensi di restare presso Don Bosco nell'Oratorio?

                 - Fino alla fine dei secoli, rispose Don Lemoyne.

                 - Ebbene, ti affido la mia povera persona. Usami carità, specialmente nell'ascoltarmi. Io non avrò segreti per te, nè quelli del mio cuore, nè quelli della Congregazione. Quando verrà la mia ultima ora, ho bisogno di qualche amico intimo per dirgli la mia ultima parola in tutta confidenza.

                Le adunanze del Capitolo Superiore si tenevano ordinariamente nella camera di Don Bosco. Di due sole sedute è fatta menzione nei verbali per il 1883, ed in entrambe si leggono osservazioni del Santo, di alcune delle quali noi possiamo far tesoro.

                Il 14 dicembre si venne a parlare dell'erigere a parrocchia la nostra chiesa di Sampierdarena. Qui Don Bosco enumerò gl'inconvenienti che sorgono da una parrocchia annessa a un collegio di giovani: I° Questo porta lo squilibrio, anzi lo sconquasso nell'interno della casa, in cui affluisce ogni sorta di persone. 2° Le funzioni parrocchiali non sono compatibili con la presenza di giovani alunni. 3° Una fabriceria in certe circostanze può imporre ai giovani di sgombrare una data parte della chiesa, per esempio nella festa del Corpus Domini, e questo menoma i nostri diritti di proprietari. A Sampierdarena poi si aggiungeva che il locale precedentemente destinato [420] al personale della parrocchia era stato occupato dagli alunni cresciuti di numero e appunto il loro numero avrebbe ingombrato la chiesa, escludendone una parte della popolazione, sicchè per le loro funzioni si rendeva necessaria una cappella nuova. Ma il punto sostanziale stava in questo, che i giovani per tutte le esigenze della loro educazione, istruzione, disciplina, moralità, in una chiesa parrocchiale non dovevano prender parte alle pubbliche funzioni. Per allora dunque fu deciso di scrivere all'Arcivescovo di Genova che prima dell'elezione di quella parrocchia erano necessarie tre cose: un'abitazione per il parroco indipendente dal collegio, una chiesa nuova per gli alunni e una nuova casa per il loro numero sempre crescente.

                Nella seduta del 24 dicembre, avendo detto il Direttore dell'Oratorio Don Lazzero che per le molteplici occupazioni non aveva potuto ricevere il rendiconto dei coadiutori, Don Bosco trovò giusta questa ragione, ma soggiunse che l'abilità di un superiore consiste non solo nel fare, ma anche - nel saper e far fare agli altri. - Per esempio, diss'egli, la corrispondenza è cosa gravosa oltremodo. Se la si potesse sbrigare tutta personalmente, sarebbe ottima cosa; ma non si può. Don Lazzero si scelga un segretario fidato che legga le lettere e le postilli in fronte, indicando l'argomento del quale trattano. Ciò fatto, prenda le lettere postillate e le trasmetta ai vari uffici secondo il contenuto delle postille. Molte risposte possono essere fatte dal prefetto degli esterni, come quando si tratta di accettazioni, condono di pensioni e simili. A ciascuno la parte sua. Tutti siano d'accordo nell'aiutarsi a vicenda. Si studi il modo di diminuire il lavoro, badando che vi sia esattezza in tutto. Don Lazzero segua il consiglio che Ietro dava a Mosè[344].

                Nella medesima seduta Don Bosco entrò a parlare dell'economia nelle costruzioni riguardanti la chiesa di S. Giovanni [421] Evangelista, l'ospizio annesso e il nuovo edifizio eretto nell'Oratorio per la tipografia. Trovava troppo sfarzosi i becchi del gaz; notava che il gabinetto del direttore della tipografia pareva un bazar con le scansie di noce e portatendine alle finestre. - Chi, concludeva, darà ancora elemosine, vedendo questo sfarzo? Il marchese Fassati e il conte Giriodi al vedere nell'Oratorio una porta elegante esclamarono: lo non do più nulla; è roba da marchese! É vero che ciò dissero ridendo e continuarono a essere buoni amici; ma a me basta che l'abbiano detto, per sapermi regolare. - Dopo altre osservazioni continuò: - É necessario che si esaminino bene i lavori da fare prima di mettere mano all'opera e bisogna che si vada tutti d'accordo per non moltiplicare le spese. Certe fabbriche nostre, a detta di tutti, a forza di fare e disfare, costano il doppio di ciò che costerebbero a un privato. Perciò: I° Essendo sospesi i lavori di muratura alla casa di S. Giovanni per causa dell'inverno, si procuri che un perito provveda legnami, ferri, finestre e altro, acciocchè nella bella stagione non vi sia perdita di tempo e non s'impieghino tre anni a far ciò che altri eseguirebbero in un anno Solo. 2° I lavori si diano ad impresa e non si facciano ad economia, mettendo però sorveglianti capaci. 3° In via ordinaria, tolti ì casi dì necessità (per esempio, negli ultimi piani) io non permetterei i travi di ferro che sostengono i voltini, per impedire l'eccessiva sonorità dei locali. 4° Prima di cominciare lavori, si procuri che le persone dell'arte abbiano completamente studiati e approvati i progetti. - Don Bosco terminò raccomandando quattro cose: - I° Ricordiamoci che siamo poveri. 2° Prima di eseguire un lavoro, si studi bene il progetto. 3° I progetti studiati, prima di eseguirli, si presentino a Don Bosco e al Capitolo Superiore, altrimenti io non ne so più niente. 4° Si prendano in buona parte le critiche che possono venir fatte ai nostri lavori.

                Le lettere che dicevamo, sono ventiquattro delle quali otto in francese. [422]

 

I. Al coadiutore Giuseppe Rossi.

 

                Il signor Manati torinese, desideroso di ottenere la Croce di cavaliere, condonò un rilevante credito che aveva con l'oratorio per certe forniture, rilasciando regolali ricevute delle note relative, le quali furono presentate alla Segreteria dell'Ordine Mauriziano per documentare questo suo titolo di benemerenza. Il Correnti, Segretario generale dell'Ordine, sempre disposto a favorire Don Bosco, non fece opposizione; ma poi, essendo nate difficoltà che importarono una sospensione della pratica, quel signore minacciava di esigere il pagamento delle sue note. Il coadiutore Rossi, solito agente di Don Bosco in tanti affari, informò della cosa il Santo, che si trovava a Nizza Mare, e ne ricevette questa risposta.

 

                               Mio caro Rossi Giuseppe,

 

                Affinchè i nostri affari non vadano in mano di altri, scrivo io stesso è così restano segrete le nostre confidenze.

                Dirai al Sig. Manati che io ho compiuta la pratica: tutto era conchiuso. Aveva fatto la ricevuta che il danaro era stato difinitivamente condonato. Al Ministero, o meglio al Consiglio dell'Ordine Mauriziano si vollero notizie sul passato, e malgrado le assicurazioni del Commendatore Eccellenza Correnti, fu risposto non negativamente, ma che per ora è bene di sospendere ossia differire la pratica per non toccare cose non opportune. Presentemente se il Sig. Manati pretendesse il pagamento di note condonate, e di cui la ricevuta esiste nel mentovato Uffizio, egli non farebbe buona figura, ed io dovrei dire la cosa come è stata. Altronde quando io sia a Torino, parlerò io stesso con questo Signore, ed io sono persuaso che tanti passi e tante parole e carta impiegata per lui a Roma e Torino egli non vorrà che siano state invano.

                Qualora però egli pretendesse il ritorno del danaro condonato, piuttosto di venire a questioni di questo genere io sono pronto a dargli fin l'ultimo centesimo; ma questo farò appena sarò ritornato, cosa che non può essere tanto lontana.

                Abbi cura della tua sanità, prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

                Nizza Marittima, 17 febbraio 1883

Aff.mo amico.

Sac. Gio. Bosco. [423]

 

2. A Don Oreste Pariani.

 

                Questo generoso Cooperatore salesiano gli aveva spedito a Torino un'offerta per la chiesa del Sacro Cuore, allorchè Don Bosco si trovava già da un mese e mezzo in Francia. La sua lettera lo raggiunse a Marsiglia, donde gl'indirizzò questa bella risposta.

 

                               Car.mo Sig. O. Pariani,

 

                La sua lettera dopo un largo giro venne a raggiungermi in questa città, e mi è ben caro scegliere un momento per risponderle. Ho pertanto ricevuto la generosa offerta che V. S. e la caritatevole sua zia fanno per continuare i lavori della chiesa e dell'ospizio del Sacro Cuore di Gesù a Roma. Sia benedetto Iddio che loro inspirò opera così bella! Egli dice nel Vangelo: Date et dabitur vobis, et dabitur centuplum in mundo et vitam aeternam possidebitis. Ma V. S. ha già donato; dunque ora tocca a Dio dare a Lei ed alla Sig.ra zia larga ricompensa.

                Ella non fa secondo l'uso del mondo: Lasciare che altri facciano dopo di noi. È questo un laccio del nemico dell'anima per indurci a non fare. Quanti rimangono ingannati!

                Intanto ogni giorno nella S. Messa farò un memento particolare ed io intendo che ambidue partecipino delle preghiere e di tutte le opere buone che  fanno o saranno per fare i Salesiani. Ma quest'anno verranno a vedere la festa di Maria A.? Io lo spero e li attendo con gran piacere.

                Dio li benedica, e Maria li protegga, mentre loro con vera gratitudine mi professo

 

                Marsiglia, 22 marzo 1883.

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

3. Al barone Ricci.

 

                Il barone Feliciano Ricci des Ferres aveva in animo di legare a Don Bosco nel suo testamento la somma di ventimila lire per la nuova chiesa che si designava di costruire presso l'ospizio di Nizza Mare; ma poi, pensatoci meglio, stimò più opportuno dare in più volte durante la vita quello che si proponeva di lasciare dopo morte. Per trattare della cosa aveva [424] domandato a Don Bosco in che giorno e a che ora l'avrebbe potuto ricevere. Don Bosco gli rispose:

 

                               Car.mo Sig. Barone,

 

                La ringrazio della sua cara lettera. L'attendo con gran piacere qualunque momento possa venire. Ella non deve dimandare giorno ed ora. Venga e sarà tosto ricevuto.

                Delle altre cose tratteremo.

                Il Signore la benedica e la conservi e mi creda in G. C.

 

                Torino, I giugno 1883

Aff.mo Amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Otto giorni dopo, nel suo dì onomastico, il Barone portò metà della somma a Don Bosco, che gli rilasciò questo scritto a mo' di ricevuta.

 

                Il sottoscritto pieno di riconoscenza dichiara d'aver ricevuto dall'Ill.mo Sig. Barone Feliciano Ricci des Ferres la somma di L. 10.000 dico diecimila. Questa somma costituisce la metà dell'Offerta che il prelodato Sig. Barone intenderebbe legare al sottoscritto Sac. Giov. Bosco per aiutarlo nelle sue imprese, col desiderio che sia impiegata di preferenza nella fabbrica della progettata nuova Chiesa per la Pia Casa di S. Pietro in Nizza Mare. Il benefico Sig. Oblatore ben conoscendo quanto maggior pregio abbiano dinanzi a Dio le largizioni fatte in vita, comincia anticipare la suddetta somma riserbandosi di offerire le residue L. 10 m. se sarà ancora in vita quando si manderà ad effetto la sopracitata nuova Chiesa. Il sottoscritto rendendo le più vive grazie prega e fa pregare da suoi giovanetti il supremo Rimuneratore per l'insigne benefattore e ben volentieri s'incarica di celebrare dieci Messe pei bisogni spirituali e temporali del medesimo, e di quelli di sua famiglia, moglie, figli e nuore.

                In questo bel giorno di S. Feliciano onomastico del Sig. benemerito oblatore ed anniversario della Consacrazione della Chiesa di Maria Ausiliatrice in Valdocco da tutta la Società Salesiana e dai numerosi suoi allievi si fanno i più cordiali auguri di ogni eletta benedizione al nob. Sig. Barone Feliciano, e si porgono a Maria Ss. Ausiliatrice i più caldi voti perchè voglia colla sua potente intercessione confermare i loro sinceri auguri.

 

                Torino, il 9 giugno 1883.

Ob.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco. [425]

 

                Abbiamo in quest'altra lettera al medesimo una prova dell'inflessibilità di Don Bosco nel voler allontanati dall'Oratorio quei giovani, che con la loro cattiva condotta fossero di scandalo ai compagni.

 

                               Car.mo Sig. Barone,

 

                Ben volentieri accondiscenderei di riaccettare il giovane Verdi se non ci fosse l'unanime parere dei Superiori di questa casa che asseriscono non potersi più concedere.

                Colla sua condotta, così il voto confidenziale de’ suoi superiori, ha recato molto danno a' suoi compagni e potrebbe da un momento all'altro compromettere tutta la casa dell'Oratorio.

                Ella sa che questa casa è sempre aperta a' suoi raccomandati ed invece del Verdi ne mandi un altro e sarà tostamente ricevuto.

                Dio la benedica, o sempre caro Sig. Barone, e voglia pregare anche per me che le sarò sempre con affetto e gratitudine grande in G. C.

 

                Oratorio di S. Benigno, 2 ottobre 1883.

Aff.mo obl.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                Pur chiudendo al giovane le porte dell'Oratorio, per un riguardo al suo benefattore e nella speranza che la severa lezione producesse buoni effetti, consentì di provare se a Sampierdarena il suo raccomandato si sarebbe ravveduto. Comunicato questo al Barone, gli mosse un abile assalto perchè gli portasse le altre diecimila lire, di cui aveva bisogno per le spese della spedizione missionaria.

 

                               Car.mo Sig. Barone,

 

                La sua lettera mette me e Lei, caro Sig. Barone, nell'imbarazzo.

                Nella fiducia di fare a Lei cosa grata in via di fatto accetto il giovane Verdi per S. Pier d'Arena; e si scriverà in tale senso al medesimo con avvisi relativi.

                Ma adesso si cavi d'imbroglio come può. Io ho bisogno almeno di 10 mila lire per completare la spesa che mi occorre per la spedizione di 30 tra preti e catechisti per la Patagonia. E ciò deve effettuarsi al 12 del prossimo novembre.

                Come vedrà dai giornali, il Santo Padre ha diviso la Patagonia e le isole adiacenti in tre Vicariati apostolici. Ne affidò tutta la cura ai Salesiani, ma non un soldo. [426]

                Ora Lei inetta tutte le condizioni che nella sua carità giudica a proposito, purchè in questo caso eccezionale venga in aiuto della nostra spedizione che è pure venire in aiuto del S. Padre e della Propaganda Fide che a motivo dei tempi che traversiamo non sono in grado di venirmi minimamente in soccorso.

                Dio la benedica e le dia il centuplo di tutta la sua carità e mi abbia sempre con gratitudine e stima in N. S. G. C.

 

                Torino, II ottobre 1883

Obb.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

4. Alla signora Fava.

 

                Rimasta vedova nel 1880, la signora Annetta Fava Bertolotti non cessò di beneficare l'Oratorio. Per il suo onomastico Don Bosco le manda, non fiori (li preparano per lei gli Angeli in Paradiso), ma auguri, ringraziamenti e promessa di preghiere.

 

                               Benemerita Signora,

 

                S. Anna, pregate per noi.

                Godo del giorno 26 di questo mese, Sant'Anna vada a farle visita, ma le porti la sanità, la santità ed una compiuta e perfetta pace di spirito. E per la Damigella Maria? Che divenga forte, robusta, virtuosa, da essere di grande consolazione per la buona sua madre fino alla più tarda vecchiaia.

                Pertanto il nostro Iddio rimeriti largamente tutta la carità che ci ha usato in passato, ed oggi ancora, ed io studierò di esserle in modo particolare riconoscente, celebrando in quel giorno (26) la santa Messa a sua intenzione. Il bocchetto di fiori lo faranno gli angeli e glielo presenteranno quando farà la sua entrata al Paradiso.

                Voglia pregare anche per me e per questa nostra famiglia che aumenta ogni giorno e mi creda in G.C.

 

                Torino, 22 luglio 1883

Obb.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

5. Al cardinale Nina.

 

                Don Dalmazzo aveva dato a Don Bosco la notizia che il Cardinale Protettore pensava di fare una gita a Torino in [427] settembre. Il Santo, pieno di allegrezza, gli offerse con la più squisita cortesia la sua modesta ospitalità nell'Oratorio. Quella venuta però rimase un pio desiderio.

 

                               Eminenza Reverendissima,

 

                Il nostro Don Dalmazzo mi ha dato una notizia, che se è esatta, darebbe occasione a noi a fare una gran festa. La E. V. in settembre verrebbe in Torino: che consolazione, che musica, che banda tra noi!

                Posta la realtà delle cose, io avrei dimanda a farle. La F. V. si degnerebbe di accettare una camera qui nel nostro Oratorio, voglio dire in questa casa di Valdocco? Ciò ardentemente desidererebbero tutti i suoi figli Salesiani.

                Le altre cose sarebbero tutte regolate a di Lei gradimento.

                In questi giorni la E. V. si è dato molti disturbi per noi, specialmente per Don Bonetti che le professa la più profonda gratitudine.

                Presentemente alla Congregazione di Propaganda si tratta l'affare delle Missioni della Patagonia divisa in tre Vicariati Apostolici. Farò preparare una copia di tutto l'incarto e poi mi farò dovere di farlo pervenire a mani di V. E.

                Non posso abbastanza esprimere l'entusiasmo con cui fu accolta la nomina del Card. Alimonda ad Arcivescovo dì Torino. Farà epoca nella storia di questa nostra Archidiocesi.

                Ritorno al vagheggiato viaggio di V. E. a Torino per dirle che non si può scegliere clima migliore che in quella epoca. Non freddo, non caldo, ogni genere di frutta mature, comodità di amene passeggiate potranno servire a migliorare la cagionevole sua sanità. Insomma noi desideriamo ardentemente la sua venuta fra noi e faremo quanto sapremo per renderla gradevole ed utile anche per questa nostra città.

                Le scriverò di altre cose quanto prima.

                Intanto colla più profonda gratitudine ho l'alto onore di potermi a nome di tutti i Salesiani professare

                Della E. V. R.ma.

 

                Torino, 31 luglio 1883.

Obb.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

6. A Don Tallandini.

 

                Don Lodovico dei conti Tallandini, parroco di S. Maria della Pace a Bagnacavallo, città non molto lontana da Faenza, fu sempre amicissimo di Don Bosco e dei Salesiani. [428]

 

                               Car.mo Sig. D. Tallandini,

 

                Dio sia benedetto in tutte le cose. La Santa Vergine è veramente il nostro aiuto. Ringraziamola mille volte di tutto cuore.

                Ho ricevuto fr. 120 per varie sue pie intenzioni e specialmente per la esenzione maravigliosa del nipote dalla leva militare. Dio vi rimeriti. Ora a me. Ella conosce quanto si renda costà difficile il Sacro Ministero. Faccia quel che può. Dio è con noi. D. Rinaldi dirà quanto mi sembra opportuno. Ma coraggio e sacrifizi.

                La grazia del Signore sia sempre con Lei e con tutta la sua famiglia e mi creda in G. C.

                Torino, 17 settembre 1883.

 

Aff.mo amico in G.C.

Sac. Giov. Bosco.

 

7. Allo studente Francesco Margotti.

 

                Questa lettera è l'unico documento che ci riveli un'andata di Don Bosco a Nizza Mare dopo il 17 settembre; poichè fino a questo giorno esistono parecchie lettere datate da Torino. Da una lettera del Vescovo di Liegi, che i lettori troveranno nel volume seguente, datata l'8 settembre, si accenna alla futura presenza di Don Bosco a Nizza per il 15. Ne sarebbe ripartito il lunedì 24. Qui scrive a un nipote del teologo Margotti di S. Remo, alunno del collegio di Valsalice.

 

                               Mio caro Franceschino,

 

                Quante belle cose tu mi scrivi anche a nome della tua rispettabile famiglia! Ciò accresce il mio vivo rincrescimento di non poter aderire al grazioso invito che  mi fai e che  era tutto secondo il mio desiderio. Non posso fermarmi, passerò soltanto la sera di lunedì a San Remo di sera tardi. Pazienza. Ci rifaremo a Torino.

                Tu mi puoi rendere un importante servizio e te ne prego. Presentarti a papà e a mamà ed offrire loro i miei rispettosi ossequi ed assicurarli che  prego per loro e per la mia collettrice la Damigella Maddalena e per la famiglia che teco villeggia.

                Dio ti benedica, o caro Franceschino, e la Santa Vergine ti protegga in mezzo ai tanti pericoli che vai ad incontrare in mezzo al mondo. Prega anche per me che ti sarò sempre in G. C

 

                Nizza al Mare, 21 sett, 1883.

Aff.mo amico

Sac, Giov, Bosco. [429]

 

8. Al conte De Maistre.

 

                Se altri nelle loro necessità ricorrevano da ogni parte alle preghiere di Don Bosco, tanto più lo facevano coloro che, come i De Maistre, si stimavano fortunati di godere della sua intima familiarità.

 

                               Carissimo Sig. Conte Eugenio,

 

                Appena la S. V. Car.ma si compiaque darmi comunicazione della malattia della Sig. Contessa Francesca de Maistre, ho dato ordine immediatamente che tutte le nostre famiglie cominciassero particolari preghiere, Messe e Comunioni per ottenere la guarigione alla paziente inferma.

                Non so se Dio abbia ascoltate le nostre deboli preghiere, ma esse saranno ogni giorno continuate e speriamo nella sua grande bontà. La prego di far tenere l'unita immaginetta al Sig. C.te Francesco. Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e tutti li conservi in sanità ed in grazia sua.

                Voglia gradire i vivi nostri ringraziamenti per tutta la carità che ci fa, ed aggiunga anche quella di pregare per questo povero prete che le sarà sempre in G. C.

 

                S. Benigno Canavese, I ottobre 1883.

Aff.mo Servo ed Amico

Sac. Giov. Bosco.

 

9. Alla signora Magliano.

 

                Le scrive a Busca patria di Don Marco Nassò, che allora si trovava in paese per motivi di salute e che egli le raccomanda. Don Nassò era chierico professo da tre anni. Fu un salesiano molto stimato per ingegno, per valore scientifico e per virtù. Aveva fatto il ginnasio nell'Oratorio[345].

 

                Stimatissima Sig. Magliano,

 

                Con piacere ho ricevuto la sua bella lettera che mi dà di sue notizie; e benedico il Signore che siano buone.

                L'affare dell'Oratorio festivo resterebbe un po' complicato, perciò [430] ha fatto bene a differire le cose fino a che possiamo parlarci verbalmente a fine di trattare e conchiudere in modo stabile, per quanto si può avere di stabilità su questa misera terra.

                Se il chierico Massò non ha cose che lo trattengano in patria egli può venire a Torino, ma a sua comodità.

                Abbiamo qui a S. Benigno Don Costamagna che si unisce agli altri Salesiani per offrirle i loro omaggi ed assicurarla delle comuni loro preghiere. Dio la conservi in sanità e grazia sua e ce la mandi presto a Torino allegra e santa.

                Voglia anche pregare per questi suoi figli in Gesù Cristo a nome dei quali mi professo

 

                S. Benigno, 4 ottobre 1883.

                Fino a sabato.

Obb.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

10. A Don Lemoyne.

 

                Il conte Colle, udito del sogno sulle Missioni Salesiane, nel quale suo figlio era apparso a Don Bosco e gli aveva fatto da guida, pregò il Santo di mandargliene la narrazione, ma tradotta in francese. Gli fu portata in ottobre da Don Rua, recatosi dal Conte per ritirare danaro. Mentre pertanto il Servo di Dio sollecitava Don Lemoyne a ultimarne la redazione in italiano, scriveva con la medesima data al Conte: “Don Rua avrà con sè la storia americana. É stata scritta con tutti i particolari e non è breve, Don De Barruel procurerà di farne la traduzione; ma nel caso che egli non finisse in tempo, la terminerà Don Rua”.

 

                               Car.mo Don Lemoyne,

 

                Fammi il piacere di ultimare il sogno di America e poi mandarmelo tosto. Il Conte Colle ne è desideroso, ma lo vuole tradotto in Francese; il che procurerò di fare immediatamente.

                Mi sembra un secolo che non ti abbia veduto; e Don Berto etc. Dio ti benedica.

                Amami in G. C. e prega per me che  ti sarò sempre

 

                Torino, 15 ottobre 1883.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco. [431]

 

11. Alla marchesa Fassati.

 

                Alla famiglia Fassati, che villeggiava a Pessione, Don Bosco aveva promesso una visita; ma, impedito dalle briglie per la partenza dei Missionari, mandò in dono un bel fagiano, che era stato regalato a lui.

 

                               Ill.ma Signora Marchesa,

 

                Il tafferuglio della partenza dei nostri missionari per la Patagonia viene ad impedirmi assolutamente la mia progettata gita al Pessione. Pazienza, questo fagiano è più fortunato di me. Lo voglia gradire.

                Nella imminente novena dei Santi, non mancheremo di fare speciali preghiere per Lei, Signora Marchesa, per tutti i suoi vivi e defunti.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e voglia pregare anche per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

                Torino, 22 ottobre 1883.

Obb.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

12. A suor Filomena Medolago.

 

                É la vedova del conte Medolago Albani, nata De Maistre e fattasi suora, della quale abbiamo già fatto menzione altrove.

 

                Dio la benedica e l'aiuti a compiere l'opera della sua santificazione. Io la ringrazio di cuore e questa mia famiglia pregherà costantemente per Lei fino a che Ella si trovi con Gesù a godere dei beni che nè il mondo nè i nemici dell'anima nostra non ci possono più rapire. Preghiamo dunque ed aiutiamoci a salvare molte anime per assicurare la salvezza eterna della nostra.

                Maria sine labe concepta, ora pro nobis.

                Le benedizioni del cielo discendano copiose sopra di Lei e sopra tutta la sua comunità religiosa. Così sia.

 

                Torino, 30 nov. 1883.

Aff.mo in Gesù Cristo

Sac. Giov. Bosco. [432]

 

13. Alla contessa Uguccioni

 

                Di questa lettera alla contessa Gerolama Uguccioni abbiamo avuto copia con molte altre scritte anteriormente che pubblichiamo nell'Appendice dopo aver avuto agio di fare i debiti confronti con gli originali posseduti dagli eredi.

 

                               Mia Buona Mamma,

 

                Siamo alla Novena di Maria Imm., in cui tutta la nostra famiglia prega mattina e sera a sua intenzione in modo particolare per la sua figlia Sig.ra Emilia. Ella preghi e confidi. Il tempo mi stringe sempre, ma non dimentico mai di fare per lei, o mia buona Mamma, un memento particolare ogni mattina nella Santa Messa. Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia e se ne ha occasione presenti umili rispetti alla Sig. March. Nerli, e voglia pregare per questo poverello che le sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 3o nov. 83.

Obb.mo come figlio

Sac. Giov. Bosco.

 

14. Al Cavalier Comaschi.

 

                É l'ultima lettera, di cui abbiamo copia autenticata, questo grande amico milanese di Don Bosco[346].

 

                               Car.mo Sig. Cavaliere,

 

                Buone feste, o sempre caro Sig. Cavaliere, buone feste, buon fine e buon capo d'anno, a Lei, alla sua Signora, al caro Alfonso. Dio li benedica tutti e dia ad ognuno buona salute e la perseveranza nella via del paradiso.

                Voglia pregare anche per me e per questa mia aumentatissima famiglia, mentre con piacere grande ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 19 dic. 83.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco. [433]

 

15. Alla Madre Daghero.

 

                La Madre Caterina Daglielo, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, infastidita di certi pettegolezzi che correvano per le sacrestie di Nizza Monferrato sul conto delle Suore e della loro casa, ne scrisse a Don Bosco, nell'inviare al Santo gli anguri natalizi. Egli le rispose in modo da liberarla da ogni apprensione; sembra che la buona Superiora temesse anche d'aver dato a lui, senza punto saperlo, qualche motivo di malcontento che le rispose rassicurandola.

 

                Rev.da Signora Madre Generale,

 

                Ho ricevuto i vostri auguri e quelli delle altre vostre suore ed educande.

                Vi ringrazio di cuore e prego Dio che largamente vi rimeriti della carità che mi fate colle vostre preghiere.

                Non badate poi alle parole che taluno fa correre sulle case nostre. Sono cose vaghe, non intese, esposte con senso diverso. Perciò chi vuole qualche cosa, la dica e parli chiaro.

                Restate tranquilla; quando ho qualche cosa necessaria, non ve lo mando a dire, ma ve lo dico, o ve lo scrivo io stesso.

                Dio vi benedica e doni la perseveranza a voi, alle vostre suore ed a tutte le educande a voi affidate; e credetemi in G. C.

 

                Torino, 25 dicembre 1883.

Umile Servitore

Sac. Giov. Bosco Ret.

 

16. A Don Vincenzo Morbelli.

 

                Don Vincenzo Morbelli, prevosto di Castelnuovo Bormida nella diocesi di Acqui, aveva mandato a Don Bosco la somma di cinquemila lire per le spese di una delle colonne da erigersi nella chiesa del Sacro Cuore a Roma. Il Santo, anzichè con una lettera, gli manifestò tutto il suo gradimento in forma piacevole, per mezzo di un'epigrafe da lui composta, nella [434] quale magnificava la generosità dell'oblatore e spiegava il significato della sua oblazione.

 

A PERPETUO MONUMENTO

DELLA CATTOLICA RELIGIONE

AD OSSEQUIO PERENNE DEL SACRO CUORE DI GESU'

A MEMORIA DEL GRAN PONTEFICE

PIO IX

A DECORO DELLA DIOCESI D'ACQUI

PER EDIFICAZIONE DEI POSTERI

E SPECIALMENTE DEI SUOI AMATI PARROCCHIANI

A DECORO DELLA SUA FAMIGLIA

IL SAC. MORBELLI DON VINCENZO

PREVOSTO DI CASTELNUOVO BORMIDA

QUESTA COLONNA

ERIGE E CONSACRA L'ANNO 1883 DELL'ERA VOLGARE.

 

                La quarta colonna a destra di chi va verso l'altar maggiore porta incisa sulla sua base questa scritta: Don Vincenzo Morbelli parroco.

 

17. Lettere francesi.

 

                Fra le lettere scritte da Don Bosco in francese durante il 1883 ve n'è un gruppetto, di cui diamo qui un cenno, pubblicandone il testo in fondo al volume.

                In agosto, scrivendo alla contessa di Beaulaincourt Les Rosches, che dimorava ad Argentré nel circondario di Mayenne e gli aveva mandato mille franchi, accennava a una grazia da ottenere, ma che tardava a venire. Era una grazia spirituale. Il figlio primogenito della contessa militava nell'esercito coloniale e aveva perduto la fede. Preoccupata dei pericoli di anima e di corpo, ai quali egli stava esposto, la madre, Cooperatrice salesiana da qualche anno, lo raccomandava insistentemente alle preghiere di Don Bosco. “Il Signore ci [435] esaudirà senza dubbio, le dice nella lettera[347], ma secondochè egli vede essere per noi la grazia un bene. Il Signore è un padre potente e buonissimo; vorrebbe mai accordarci una grazia che fosse per noi una disgrazia?”. La grazia fu concessa nel 1886 nel qual anno il figlio, tornato dalle colonie e sposatosi davanti all'altare, prese a vivere da buon cristiano[348].

                In altra lettera Don Bosco ringrazia, benedice e raccomanda alla Madonna un negoziante di Aire[349].

                Abbiamo incontrato già più volte la signora Quisard Villeneuve, Cooperatrice lionese; di quest'anno ci restano da vedere cinque lettere a lei dirette, più una sesta per il figlio. É meraviglioso il fatto di queste famiglie francesi legate a Don Bosco da un'affezione e venerazione che maggiore non si potrebbe immaginare. Anche la Quisard lo sollecitava a recarsi dal conte di Chambord; ma egli le rispose: “In questo momento la salute - non mi permette di fare viaggi. Non sono propriamente ammalato, ma sono impedito d'uscire dalla camera”.

                La signora vagheggiava un pellegrinaggio a Torino con il marito e con la famiglia per pregare nel santuario di Maria Ausiliatrice e conferire col Servo di Dio su gl'interessi dell'anima. “Io, le scrisse Don Bosco, sarò ben lieto di rimanere qui il 5 e 6 agosto e di mettermi a sua disposizione per tutto quello che parrà bene a gloria di Dio e a vantaggio delle nostre anime”. Dopo quel viaggio passarono due mesi senza lettere. Il 23 ottobre, scrivendo alla madre e al figlio, chiamava quest'ultimo suo “piccolo amico” e “futuro salesiano”; poi soggiungeva: “Ho piena fiducia che con l'andare del tempo il suo signor marito vorrà ripetere la visita che ci ha voluto fare, rinnovandoci la consolazione di vedere una famiglia veramente cristiana che pratica in modo esemplare la religione cattolica”. [436]

                Per i Missionari la signora mandò 350 franchi e per Natale 1050. Ringraziandola della seconda offerta (per la precedente aveva ringraziato con la circolarina litografata): “É l'Angelo Custode, le diceva, che le ha suggerito di venirci in aiuto. Ci mancava proprio il necessario per vestire i nostri giovanetti in quest'inverno. Ella, caritatevole Signora, ha dato largamente e largamente certo darà a lei o meglio la ricompenserà il Signore […..]. La pace di Dio, la tranquillità, l'abbondanza, la carità, la sanità e la santità regnino sempre nella sua famiglia”[350].

 

                ERRATA - CORRIGE.

 

                Nel vol. XV, a pag. 16 in nota, bisogna leggere non suo figlio ma suo Giulio.

 

 

APPENDICE DI DOCUMENTI

 

I.

 

Dei castighi da infliggersi nelle Case Salesiane.

 

                               Miei cari figliuoli,

 

                Sovente e da varie parti mi arrivano ora domanda, ora anche preghiera, perchè io voglia dare alcune regole ai Direttori, ai Prefetti ed ai Maestri, che servano loro di norma nel difficile caso in cui si dovesse infliggere qualche castigo nelle nostre Case. Voi sapete in quali tempi viviamo, e con quanta facilità una piccola imprudenza potrebbe portare con sè gravissime conseguenze.

                Nel desiderio pertanto di secondare la vostra domanda, ed evitare a me ed a voi dispiaceri non indifferenti, e, meglio ancora, per ottenere il maggior bene possibile in quei giovinetti che la Divina Provvidenza affiderà alla nostra cura, vi mando alcuni precetti e consigli, che se voi procurerete, come io spero, di praticare, vi aiuteranno assai nella santa e difficile opera della educazione religiosa, morale e scientifica.

                In generale il sistema che noi dobbiamo adoperare è quello chiamato preventivo il quale consiste nel disporre in modo gli animi de' nostri allievi, che senza alcuna violenza esterna debbano piegarsi a fare il nostro volere. Con tale sistema io intendo di dirvi che mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e soli quelli della persuasione e carità.

                Che se l'umana natura, troppo inclinevole al male, ha talvolta bisogno di essere costretta dalla severità, credo bene di proporvi alcuni mezzi, i quali, io spero coll'aiuto di Dio ci condurranno a fine consolante. Anzitutto se vogliamo farei vedere amici del vero bene dei nostri allievi, ed obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre il tenero oggetto delle mie occupazioni, de' [440] miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione Salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo in modo di chi in questa si adatta per forza e per compiere un dovere.

                Io intendo di esporvi qui quali siano i veri motivi, che vi debbano indurre alla repressione, e quali siano i castighi da adottarsi e da chi applicarsi[351].

 

                I° Non punite mai se non dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi.

 

                Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! É certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia, castigare quelli che ci resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che  vi raccomando è quella che adoperava S. Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo faceva piangere, e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.

                Perciò io raccomando a tutti i Direttori, che prima debbano adoperare la correzione paterna verso i nostri cari figliuoli, e che  questa sia fatta in privato, o come si suol dire in camera charitatis. In pubblico non si sgridi mai direttamente, se non fosse per impedire lo scandalo, o per ripararlo qualora fosse già dato.

                Se dopo la prima ammonizione non si vede alcun profitto, se ne parli con un altro superiore che  abbia sul colpevole qualche influenza; e poi alla fine se ne parli col Signore. Io vorrei che il Salesiano fosse sempre come Mosè, che  si studia di placare il Signore giustamente indignato contro il suo popolo d'Israele. Io ho veduto che raramente giova un castigo improvviso e dato senza aver prima cercato altri mezzi. Niuna cosa, dice S. Gregorio, può forzare un cuore che è come una cittadella inespugnabile, e che fa d'uopo guadagnare con l'affetto e con la dolcezza. Siate fermi nel voler il bene, e nell'impedire il male, ma sempre dolci e prudenti; siate poi perseveranti ed amabili, e vedrete che Dio vi renderà padroni anche del cuore meno docile. Lo so, questa è perfezione, che si incontra non tanto di frequente nei maestri e negli assistenti, spesso, ancor giovani... Essi non vogliono pigliare i fanciulli, come converrebbe pigliarli: non farebbero che castigare materialmente, e non riescono a nulla, o lasciano andare tutto a male, o colpiscono a torto ed a ragione.

                É per questo motivo che sovente vediamo il male propagarsi, diffondersi il malcontento anche in quelli che sono i migliori, e che il [441] correttore è reso impotente a qualunque bene. Devo perciò anche qui portarvi di nuovo per esempio la mia propria esperienza. Ho sovente incontrato certi animi così caparbii, così restii ad ogni buona insinuazione, che non mi lasciavano più nessuna speranza di salute, e che ormai vedeva la necessità di prendere per loro misure severe, e che furono piegati solamente dalla carità. Alcuna volta a noi sembra che quel fanciullo non f accia profitto della nostra correzione, mentre invece sente nel suo cuore ottima disposizione per secondarci, e che noi manderemmo a male, con un malinteso rigore, e col pretendere che il colpevole faccia subito e grave emmenda del suo fallo. Vi dirò prima di tutto che egli forse non crede di aver tanto demeritato con quella mancanza che egli commise più per leggerezza che per malignità. Sovente chiamati a me alcuni di questi piccoli riottosi, trattati con benevolenza, e richiesti perchè si mostravano tanto indocili, ne ebbi per risposta, che lo facevano perchè erano presi di mira, come si suol dire, o perseguitati da questo o da quel superiore. Io poi informandomi dello stato delle cose con calma e senza preoccupazione, dovevo convincermi che la colpa diminuiva di assai, ed alcune volte scompariva quasi intieramente. Per la qual cosa devo dirlo con qualche dolore che nella poca sommissione di questi tali, noi medesimi avevamo sempre una parte di colpa. Vidi che sovente questi che esigevano dai loro allievi silenzio, castigo, esattezza ed ubbidienza pronta e cieca erano pur quelli che violavano le salutari ammonizioni che io ed altri superiori dovevamo fare; e dovetti convincermi che i maestri che nulla perdonano agli allievi, sogliono poi perdonare tutto a se stessi. Adunque se vogliamo saper comandare, guardiamo di saper prima ubbidire, e cerchiamo prima di farei amare che temere.

                Quando poi è necessaria la repressione, e devesi mutare sistema, giacchè sono certe indoli che è forza domare col rigore, bisogna saperlo fare in modo che non compaia alcun segno di passione. Ed ecco venire spontanea la raccomandazione seconda, che io intitolo così:

 

                2° Procurate di scegliere nelle correzioni il momento favorevole.

 

                Ogni cosa a suo tempo, disse lo Spirito Santo, ed io vi dico che occorrendo una di queste dolorose necessità, occorre pure una grande prudenza per saper cogliere il momento, in cui essa repressione sia salutare. Imperocchè le malattie dell'anima domandano di essere trattate almeno come quelle del corpo. Nulla è più pericoloso di un rimedio dato male a proposito o fuori di tempo. Un medico saggio aspetta che l'infermo sia in condizione di sostenerlo, ed a tal fine aspetta l'istante favorevole. E noi potremo conoscerlo solo dalla esperienza perfezionata dalla bontà del cuore. E prima di tutto aspettate che siate padroni di voi medesimi, non lasciate conoscere che voi operate [442] per umore o per furia, perchè allora perdereste la vostra autorità, ed il castigo diventerebbe pernicioso.

                Si ricorda dai profani il famoso detto dì Socrate ad uno schiavo, di cui non era contento: Se non fossi in collera ti batterei. Questi piccoli osservatori, che sono i nostri allievi, vedono per poca o leggiera che sia la commozione del vostro volto o del tono della voce, se è zelo del nostro dovere, o ardore della passione, che accese in noi quel fuoco. Allora non occorre di più per far perdere il frutto del castigo: essi, quantunque giovanetti, sentono che non vi è che la ragione che abbia diritto di correggerli. In secondo luogo non punite un ragazzo, nell'istante medesimo del suo fallo, per timore, che non potendo ancora confessare la sua colpa, vincere la passione, e sentire tutta l'importanza del castigo, non si inasprisca e non ne commetta di nuovi e di più gravi. Bisogna lasciargli il tempo per riflettere, per rientrare in se stesso, sentire tutto il suo torto ed insieme la giustizia e la necessità della punizione, e con ciò metterlo in grado di trarne profitto. Mi ha fatto sempre pensare la condotta che il Signore volle tenere con S. Paolo, quando questi era ancora spirans irae atque minarum contro i cristiani; e mi parve di vedere la regola lasciata anche a noi, quando incontriamo certi cuori ricalcitranti ai nostri voleri, Non subito il buon Gesù lo atterra: ma dopo un lungo viaggio, ma dopo aver potuto riflettere sulla sua missione: ma lontano da quanti avrebbero potuto dargli incoraggiamenti a perseverare nella risoluzione di perseguitare i cristiani. Là invece sulle porte di Damasco gli si manifesta in tutta la sua autorità e potenza, e con forza insieme e mansuetudine gli apre la mente, perchè conosca il suo errore. E fu appunto in quel momento che si cambiò l'indole di Saulo, e che da persecutore diventò apostolo delle genti e vaso di elezione. Su questo divino esempio io vorrei che si formassero i miei cari Salesiani, e che con la pazienza illuminata, e con la carità industriosa attendessero nel nome di Dio quel momento opportuno per correggere i loro allievi.

 

                3° Togliete ogni idea che possa far credere che si operi per passione.

 

                Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria, per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. E quanto più si fa con dispetto, tanto meno uno se ne accorge. Il cuore di padre, che noi dobbiamo avere, condanna questo modo di fare. Riguardiamo come nostri figli, quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l'aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù co' suoi Apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una [443] dimestichezza e famigliarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di cuore. Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in guisa che sembri soffocata affatto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione pel momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri, e farete una vera correzione.

                In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a Lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte nessun vantaggio a chi le merita. Ricordiamo il nostro Divin Redentore che perdonò a quella città, che non lo volle ricevere tra le sue mura, malgrado le insinuazioni pel suo decoro umiliato di quei due suoi zelanti Apostoli, che l'avrebbero veduto volentieri fulminarla per giusto castigo. Lo Spirito Santo ci raccomanda questa calma con quelle sublimi parole di Davide: Irascimini et nolite peccare. E se vediamo sovente riuscire inutile l'opera nostra, e non ricavare dalla nostra fatica che triboli e spine, credete, o miei cari, lo dobbiamo attribuire al difettoso sistema di disciplina. Non credo opportuno di dirvi in largo come Dio volle un giorno dare una solenne e pratica lezione al sito profeta Elia, che aveva un non so che di comune con alcuni di noi, nell'ardore per la causa di Dio, e nello zelo avventato per reprimere gli scandali che vedeva propagati nella casa d'Israele. I vostri superiori ve la potranno riferire in disteso, come si legge nel libro dei Re; io mi limito all'ultima espressione, che fa tanto al caso nostro, ed è: Non in commotione Dominus[352], e che S. Teresa interpretava: Niente li turbi.

                Il nostro caro e mansueto S. Francesco, voi lo sapete, aveva fatto una regola severa a se stesso, per cui la sua lingua non parlerebbe, quando il cuore fosse agitato. Soleva dire in fatto: “Temo di perdere in un quarto d'ora quella poca dolcezza che ho procurato dì accumulare in venti anni a stilla a stilla, come la rugiada, nel vaso del mio povero cuore. Un'ape impiega più mesi, a fare un po' di miele, che un uomo mangia in un boccone: e poi che serve parlare a chi non intende?”. Essendogli un giorno rimproverato d'aver trattato con soverchia dolcezza un giovinetto che erasi reso colpevole con sua madre di grave mancanza, egli disse: Questo giovane non era capace di profittare delle mie ammonizioni, poichè la cattiva disposizione del suo cuore lo aveva privato di ragione e di senno; un'aspra correzione non avrebbe servito a lui, e sarebbe stata a me di gran danno, facendomi fare come coloro che si annegano volendo salvare gli altri. Queste parole [444] del nostro ammirando Patrono, mite e sapiente educatore di cuori ve le ho volute sottolineare perchè richiamino meglio e più la vostra attenzione, ed anche voi ve le possiate più facilmente imprimere nella memoria.

                In certi casi può giovare parlando alla presenza del colpevole con altra persona della disgrazia di coloro che mancano dì ragione e di onore fino a farsi castigare; giova sospendere i segni ordinarii di confidenza e di amicizia fino a che non si vegga che egli ha bisogno di consolazione. Il Signore mi consolò più volte con questo semplice artifizio. La vergogna pubblica si riserbi come ultimo rimedio Alcune volta servitevi di altra persona autorevole che lo avvisi, e gli dica ciò che non potete, ma vorreste dirgli voi stessi: che lo guarisca della sua vergogna, lo disponga a tornare a voi: cercate colui col quale il ragazzo possa nella sua pena aprire più liberamente il suo cuore, come forse non osa fare con voi, dubitando o di non essere creduto, o nel suo orgoglio di non dover fare. Siano questi mezzi come i discepoli che Gesù soleva mandare innanzi a sè perchè gli preparassero la via.

                Si faccia vedere che non si vuole altra soggezione, che quella ragionevole e necessaria. Procurate di fare in modo, che egli si condanni da se medesimo, e non rimanga altro a fare, che mitigare la pena da lui accettata. Un'ultima raccomandazione mi resta a farvi, sempre su questo grave argomento. Quando voi avete ottenuto di guadagnare questo animo inflessibile, vi prego che non solo gli lasciate la speranza del vostro perdono, ma ancora quella che egli possa, con una buona condotta, cancellare la, macchia a sè fatta con i suoi mancamenti.

 

                4. Regolatevi in modo da lasciar la speranza al colpevole che possa essere perdonato.

 

                Bisogna evitare l'affanno ed il timore inspirato dalla correzione e mettere una parola di conforto. Dimenticare e far dimenticare i tristi giorni dei suoi errori, è arte suprema di buon educatore. Alla Maddalena il buon Gesù non si legge che abbia ricordati i suoi traviamenti; come pure con somma e paterna delicatezza fece confessare e purgarsi S. Pietro della sua debolezza. Anche il fanciullo vuol essere persuaso che il suo superiore ha buona speranza della sua emendazione; e così sentirsi di nuovo messo dalla sua mano caritatevole per la via della virtù. Si otterrà più con uno sguardo di carità, con una parola dì incoraggiamento che dia fiducia al suo cuore che con molti rimproveri, i quali non fanno che inquietare e comprimere il suo vigore. Io ho veduto vere conversioni con questo sistema, che in altro modo parevano assolutamente impossibili. So che alcuni dei miei più cari figliuoli non hanno rossore di palesare, che furono guadagnati così [445] alla nostra Congregazione e perciò a Dio. Tutti i giovanetti hanno i loro giorni pericolosi, e voi pure li aveste! E guai, se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero. Alcune volte il solo far credere che non si pensa che l'abbia fatto con malizia, basta per impedire che ricada nel medesimo fallo. Saranno colpevoli, ma desiderano che non si credano tali. Fortunati noi, se sapremo anche servirci di questo mezzo per educare questi poveri cuori! State sicuri, o miei cari figliuoli, che quest'arte, che sembra così facile e contraria a buon effetto, renderà utile il vostro ministero, e vi guadagnerà certi cuori, che furono e sarebbero per molto tempo, incapaci, non che di felice riuscita, ma di buona speranza.

 

                5. Quali castighi debbano adoperarsi e da chi.

 

                Ma non si dovranno usare mai i castighi? So, o miei cari, che il Signore volle paragonare se stesso ad una verga vigilante: virga vigilans, per rattenerci dal peccato, anche pel timore delle pene. Anche noi perciò possiamo e dobbiamo imitare parcamente e sapientemente la condotta che Dio volle tracciare a noi con questa efficace figura. Adoperiamo adunque questa verga, ma sappiamolo fare con intelligenza e carità, affinchè il nostro castigo sia di natura da rendere migliore.

                Ricordiamoci che la forza punisce il vizio, ma non guarisce il vizioso. Non si coltiva la pianta curandola con aspra violenza, e non si educa perciò la volontà gravandola con giogo soverchio. Eccovi una serie di castighi, che soli, io vorrei adoperati tra noi. Uno dei mezzi più efficaci di repressione morale, è lo sguardo malcontento, severo e tristo del superiore, che fa vedere al colpevole, per poco cuore che abbia, di essere in disgrazia, e che lo può provocare al pentimento ed alla emenda. Correzione privata e paterna. Non troppi rimproveri, e fargli sentire il dispiacere dei parenti, e la speranza della ricompensa. Alla lunga si sentirà costretto a mostrare gratitudine e perfino generosità. Ricadendo, non siamo corti a carità; si passi ad avvertimenti più serii e recisi; così si potrà con giustizia fargli conoscere la differenza della sua condotta, con quella che si tiene verso di lui, mostrandogli come egli ripaga tanta accondiscendenza, tante cure per salvarlo dal disonore e dalle punizioni. Non però espressioni umilianti; si mostri di avere buona speranza di lui, dichiarandoci pronti a dimenticare tutto dal momento che egli avrà dati segni di condotta migliore.

                Nelle mancanze più gravi si può venire ai seguenti castighi: pranzare in piedi al suo posto, ed a tavola a parte; pranzare diritto in mezzo al refettorio, e per ultimo alla porta del refettorio. Ma in tutti questi casi sia somministrato al colpevole tutto quello che è dato alla mensa dei compagni. Castigo grave è privarlo della ricreazione; ma [446] non metterlo mai al sole ed alle intemperie in modo che ne abbia da patire danno.

                Il non interrogarlo per un giorno nella scuola, può essere castigo grave, ma non si lasci di più. Intanto si provochi altrimenti a far penitenza della sua mancanza. Ora che vi dirò dei pensi? Un tal genere di punizione è per isventura troppo frequente. Ho voluto interrogare su questo proposito, quello che ne dissero i più celebri educatori. V'ha chi lo approva, chi lo biasima, come inutile e pericolosa cosa tanto al maestro, quanto al discepolo. Io lascio però a voi libertà di fare in questo, avvisandovi che per il maestro è pericolo grande di andare agli eccessi senza alcun giovamento, e che si dà all'alunno occasione di mormorare e di trovare molta pietà per l'apparente persecuzione del maestro. Il penso non riabilita nulla, ed è sempre una pena ed una vergogna. So che qualcuno dei nostri Confratelli soleva dar per pensi lo studio di qualche brano di poesia sacra o profana, e che con tal utile mezzo otteneva il fine della maggior attenzione a qualche profitto intellettuale. Allora si verificava che omnia cooperantur in bonum a quelli che cercano Dio solo, la sua gloria e la salute delle anime. Questo vostro confratello convertiva coi pensi; ciò lo credo una benedizione di Dio, e caso piuttosto unico che raro; ma riusciva perchè si faceva vedere caritatevole.

                Ma non si venga mai a far uso del così detto camerino di riflessione. Non c'è malanno, in cui non possano precipitare l'alunno la rabbia e l'avvilimento, che lo assalgono in una punizione di tal natura. Il demonio prende da questo castigo un impero violentissimo sopra di lui, e lo spinge a gravi follie, quasi per vendicarsi di colui che lo volle punire in quel modo[353].

                Nei castighi summentovati si ebbero soltanto di mira le mancanze contro alla disciplina del collegio; ma nei casi dolorosi che qualche allievo desse grave scandalo o commettesse offesa al Signore, allora [447] egli sia condotto immediatamente dal Superiore, il quale nella sua  prudenza prenderà quelle efficaci misure che  crederà opportune. Che se poi uno si rendesse sordo a tutti questi savi mezzi di emendazione e fosse di cattivo esempio e scandalo, allora costui dev'essere allontanato senza remissione, in guisa però che  per quanto è possibile si provveda al suo onore. Questo si ottiene col consigliare il giovane stesso a chiedere ai parenti che  lo tolgano, e consigliare direttamente i parenti a cambiar collegio, nella speranza che  altrove il loro figliuolo faccia meglio. Quest'atto di carità suol operare buon effetto in tutti i tempi, e lascia, anche in certe penose occasioni, una grata memoria nei parenti e negli alunni.

                Finalmente mi resta a dirvi ancora da chi deve partire l'ordine, il tempo ed il modo di castigare.

                Questi deve essere sempre il Direttore, senza però che egli abbia a comparire. É parte sua la correzione privata, perchè più facilmente può penetrare in certi cuori meno sensibili; parte sua la correzione generica ed anche pubblica; ed è anche parte sua l'applicazione del castigo, senza però che egli, per via ordinaria, la debba eseguire od intimare. Perciò nessuno vorrei che  si arbitrasse di castigare senza previo consiglio od approvazione del suo Direttore, il quale solo determina il tempo, il modo e la qualità del castigo. Nessuno si tolga da questa autorevole dipendenza, e non si cerchino pretesti per eludere la sua sorveglianza[354]. Non ci dev'essere scusa per far eccezioni da questa regola della massima importanza. Siamo obbedienti perciò a questa raccomandazione che io vi lascio, e Dio vi benedirà e vi consolerà per la vostra virtù.

                Ricordatevi che l'educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne dà in mano le chiavi. Procuriamo perciò in tutti i modi ed anche con questa umile e intera dipendenza d'impadronirci di questa fortezza chiusa sempre al rigore ed all'asprezza. Studiamoci di farei amare, di insinuare il sentimento del dovere e del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di Colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell'educazione della gioventù.

                Pregate per me, e credetemi sempre nel SS. Cuore di Gesù

 

                Giorno di S. Francesco, 1883.

Vostro Aff.mo Padre ed Amico

Sac. Gio. Bosco. [448]

 

2.

 

                La Pia Società dei Cooperatori Salesiani.

Diocesi di ................................ Decuria della Parrocchia di ................................

Decurione ................................................................................................................................

Vice Decurione .....................................................................................................................

 

 

N. P.

COGNOME  E NOME

TITOLO

DOMICILIO

Se riceve o no il Bollett.

OFFERTE

Pel Bollett.

Per le Op. Sal.

 

 

 

 

 

 

 

Offerte di persone anonirne.

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Offerte raccolte nella Conferenza di S. Frane. di Sales.

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Offerte Offerte raccolte nella Conferenza di Maria Ausiliatrice

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Riporto

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56

 

 

Da riportarsi

L.

 

 

 [Ppgg. 449 e parte di 450 continua con la tabella fino al no. 56]

 

 

 

OSSERVAZIONI

 

                1° Ogni decuria può comprendere dieci o più soci dipendenti dal relativo decurione.

                2° Le offerte si spediranno due o più volte all'anno al Sac. Giovanni Bosco in Torino, nominando particolarmente i singoli offerenti.

                3° Se ci fossero errori nella trascrizione degli indirizzi, si prega di darne nota al più presto alla Direzione del Bollettino per l'opportuna registrazione e correzione.

                4° Nello spedire le offerte, si prega di unire la presente scheda corretta e ne verrà rimandata una nuova.

........................ li......................... 188.......

 

                Il Decurione.

………………………………. [451]

 

3.

 

Circolare ai Direttori dei Cooperatori.

 

                                Molto Reverendo Signor Direttore,

 

                Ci facciamo dovere d'inviarle il libretto delle Nonne pei Decurioni dei Cooperatori Salesiani ultimamente impresse.

                Secondo quello che in esse è prescritto, il Direttore di una Casa Salesiana è pure il Direttore dei Cooperatori del luogo e anche dei dintorni dove non siasi ancora costituita regolare decuria o società.

                Egli quindi può inviare relativa circolare per invitarli alle conferenze prescritte.

                Crediamo che la S. V. M. R. terrà presso di sè l'elenco dei Cooperatori e Cooperatrici col loro preciso indirizzo. In caso contrario voglia avvisare la Direzione che quanto prima cercherà di farlo preparare e d'inviarglielo.

                Le inviamo pure per sua norma una scheda poligrafata, come siamo soliti spedire ai Decurioni delle Parrocchie, nella quale potrebbe registrare il nome dei Cooperatori e le offerte.

                Torniamo nuovamente a pregarla di spedirci circa una volta al mese, il nome e cognome dei Cooperatori, colla cifra indicante la somma offerta, affinchè si possa notare nel nostro registro. In caso contrario non potremmo mai sistemare la nostra amministrazione ed avere un registro esatto.

                Se credesse di farci delle osservazioni pel buon andamento della Pia Società o ci venisse in aiuto coi suoi consigli per costituire decurie o Decurioni nelle parrocchie vicine alla sua residenza ci farebbe cosa molto gradita.

                Le auguriamo dal Signore ogni bene e caldamente ci raccomandiamo alle sue preghiere.

 

LA DIREZIONE.

 

4.

 

Norme Generali pei Decurioni

della pia Unione dei Cooperatori Salesiani.

 

                Per soddisfare alle ripetute istanze di molti fra i nostri zelanti Cooperatori, abbiamo creduto conveniente di esporre per loro direzione alcune Norme generali, che potranno servire fino a tanto che si comporrà un apposito manuale. [452]

                I. I Decurioni, secondo il nostro Regolamento, sono Capi di dieci o più Cooperatori o Cooperatrici del luogo.

                IL Il Parroco è pregato di essere Decurione dei Cooperatori della propria Parrocchia.

                III. Qualora egli non possa esercitare quest'opera di carità, potrà anche a nome del sottoscritto pregare qualche Sacerdote od anche un buon secolare di sua fiducia, il quale ne faccia le veci e prenda il nome di Vice-Decurione.

                IV. Se in una Parrocchia si possono costituire parecchie Decurie, il Parroco ne sarà Capo o Direttore: essendone impedito, ne farà le veci un Sacerdote di sua fiducia col titolo di Vice-Direttore. - Nelle città Vescovili, dietro proposta del Rev.mo Mons. Vescovo, verrà scelto un membro del Capitolo, il quale presiederà a tutti i Decurioni e Cooperatori della città. - Dove esiste una Casa Salesiana, il Direttore di essa sarà pure il Capo dei Decurioni e Cooperatori di quel luogo.

                V. Ogni Decurione terrà registrato il nome, cognome e indirizzo di tutti i Cooperatori della sua Decuria, e si porrà in comunicazione col Sac. Giovanni Bosco, Superiore della Pia Associazione.

                VI. Se qualche Cooperatore cade ammalato, il Decurione, informatone, lo visiterà caritatevolmente e gli somministrerà tutti quegli aiuti, consigli ed assistenza, che al medesimo Decurione saranno compatibili. Avvenendone la morte, inviterà i Soci locali a pregare per l'anima di lui, e ne darà avviso alla Direzione in Torino, perchè sia inscritto tra i defunti, e si facciano per l'anima di lui le preghiere ed i suffragi prescritti dal nostro Regolamento.

                VII. É pure uffizio del Decurione fare conoscere la Pia Unione a quelle persone, le quali abbiano i requisiti necessarii per esservi ascritte[355].

                VIII. Quando trova qualche persona disposta ad entrare nella Pia Associazione, ne prenderà nome, cognome, indirizzo, e lo trasmetterà al Superiore per avere il relativo Diploma di aggregazione, e l'invio del Bollettino Salesiano. Tuttavia nei luoghi dove vi è il Capo o Direttore, [453] il Decurione prima di proporre una persona all'accettazione, ne parlerà col medesimo, o almeno gliene consegnerà nome e cognome, perchè lo scriva nell'elenco comune. La stessa consegna egli farà, quando sappia che taluno per altra via abbia ricevuto l'aggregazione.

                IX. Qualora si facessero in un pacco solo recapitare i Bollettini al suo indirizzo, egli avrà cura di farli pervenire al più presto a destinazione, o per sè o per mezzo del Vice-Decurione o di altra persona pia e fidata.

                X. Ogni anno terrà almeno una Conferenza nella Festa di San Francesco di Sales, e un'altra nella Festa di Maria SS. Ausiliatrice.

        XI. A seconda delle circostanze, il Decurione potrà anticipare o posticipare queste Conferenze, tenendole in tempo, ora e luogo, che siano per tornare di maggiore comodità ai Soci, di maggior vantaggio all'anima loro e al bene della Pia Associazione. Il modo dell'invito sarà o un avviso dal pergamo, o un apposito biglietto, od un avviso personale.

                XII. Il Decurione presiederà la Radunanza. I temi da trattarsi saranno il Suffragio dei Cooperatori defunti, le Missioni Salesiane Estere, la Necessità di bene educare la gioventù, il Modo di fare il Catechismo ecc., oppure si leggerà un brano della Storia dell'Oratorio o della Vita di S. Francesco di Sales.

                XIII. Nelle Conferenze egli avrà di mira d'informare i Soci allo zelo per la Religione e pel buon costume, al sacrifizio, alla carità, alla dolcezza, che sono le virtù caratteristiche, onde devono risplendere i Salesiani e i loro Cooperatori.

                XIV. A presiedere queste Conferenze potrà anche invitare un'altra persona autorevole, o costituita in dignità ecclesiastica, o qualche Sacerdote dell'Istituto Salesiano.

                XV. A ancora uffizio del Decurione notare in apposito Registro le offerte, che nelle Conferenze o in altre occasioni si fanno dalle persone caritatevoli a vantaggio delle Opere Salesiane, e inviarle al Superiore in Torino. Noterà l'occasione in cui furono raccolte le limosine, e, se le ebbe privatamente, tramanderà eziandio nome e cognome dell'oblatore.

                Per quanto spetta alle Conferenze, in quei luoghi ove le Decurie sono parecchie, l'uffizio del Decurione sarà devoluto al Capo o Direttore, e in sua mancanza al Vice-Direttore.

                XVI. Di mano in mano che aumenta il numero dei Cooperatori, il Capo o chi ne fa le veci proporrà al Superiore qualche zelante Cooperatore per la formale elezione a Decurione.

                XVII. Il Decurione e il Capo sono pregati di presentare al Superiore le loro osservazioni ed a fare quelle proposte, che crederanno riuscire utili al buon andamento dell'Opera.

 

Sac. Gio. Bosco. [454]

 

5.

 

Il Vicario Castrense austriaco a Don Bosco

 

                                Reverendissime Domine,

 

                Literas aestimatissimas sub die XVII Februarii h. a. ad me datas una cum libellis supplicibus pro gratuita ephemeridum Bollettino Salesiano transmissione ad Ministrum commercii directis, accepi et in Ministerio isto confidentialiter consilium exquisivi.

                Ast proli dolor! certior factus sum, quod juxta principia ad normam legum nostrarum extraneae ephemerides ipso privilegio non frui possint neque spes effulgeat concessionis.

                Haec Dignitati Vestrae pro notitia communicans, pro consilio adj ungere velim, quod solumodo via restat petitioni per legationem nostram in ista ditione fungentem, quae via simul de consilio esset quod membra Aulae Cesareac cooptari velint sodalitati laudatissimae.

                Ceterum festa Paschalia lubenter mihi occasionein praebent benedictionem pro prosperrimo sodalitatis de die in diem successu efflagitandi et unionem quoque opificum catholicam hujus loci propagatam vestris, Reverendissime Domine, suffragiis instantissime commendandi nec non me ipsum qui ex toto corde

                Vestrae fraternitati addictissimus persevero

                Vienna, 24 martii 1883.

Servus

ANTONIUS GRUSCHA

Apostolicus Vic. Castrensis.

 

6.

 

Gli Istituti protestanti in Italia.

 

                Non sarà inutile conoscere quali siano oggidì le condizioni della patria nostra, alla quale col pretesto dell'unità politica si vuole togliere l'unità religiosa. Le sei divisioni o denominazioni del protestantesimo in Italia hanno, almeno secondo la tabella di questo censimento:

 

Locali di culto..............................................................231

Ministri o predicatori....................................................282

Scuole elementari.........................................................280

Direttori o maestri delle suddette scuole........................154

Alunni delle dette scuole............................................9.387 [455]

Istituti d'Istruzione secondaria.........................................13

Professori di questi Istituti...............................................90

Alunni..........................................................................809

Scuole teologiche.............................................................2

Professori di queste scuole...............................................7

Alunni............................................................................25

Istituti di beneficenza........................................................3

Ricoverati in questi Istituti...............................................98

Ospedali..........................................................................8

 

                Avvertasi che i ministri o predicatori sono o non sono ministri, sono o non sono predicatori. secondo l'occorrenza! Così dice nelle sue annotazioni il quaderno del censimento dei Protestanti! Il quale anche è costretto a farei sapere che le scuole protestanti “lasciano molto a desiderare per ciò che riguarda l'ordinamento didattico e che l'utilità delle scuole diurne (protestanti) come mezzo di propaganda, è oggi messa in dubbio”.

                Le società bibliche che lavorano in Italia sono cinque.

                La Società Biblica Brittanica o forestiera ha in Italia un agente e 40 colportori; e ha venduti nel 1881 in tutto il regno 6619 bibbie, 19-135 copie del nuovo testamento e 44.409 porzioni di Bibbia.

                La Società Biblica di Scozia ha un agente e II colportori in Italia. Nel 1881 ha venduto 850 bibbie, 252 copie del nuovo testamento, 4.320 porzioni e 6.942 libri e trattati religiosi.

                La Società dei trattati religiosi ha un Comitato e un agente con tipografia propria a Firenze. Pubblica parecchi periodici illustrati: ha io depositi in Italia di Bibbie e trattati.

                La Società Biblica italiana, fondata in Roma nel 1870 ha fatto la ristampa del nuovo testamento in io mila copie ed una edizione della Bibbia per uso di famiglia.

                La Società di mutuo soccorso “poco numerosa e poco attiva” dice il Laura, fra gli evangelici di Napoli di Messina, di Spezia e di Orbetello.

                I giornali e periodici evangelici “che si pubblicano in Italia sono i i dei quali due veggono la luce a Roma, uno a Napoli, uno a Palermo, uno a Pomaretto nelle valli Valdesi, gli altri tutti a Firenze. 1 sopraddetti periodici, dice il quaderno del censimento, non contano lettori che tra gli evangelici delle varie denominazioni.

 

7-.

 

Il cattolico nel secolo.

 

                Il zelante sac. Don Giovanni Bosco, il quale non solo coll'azione ma anche cogli scritti si adopera infaticabilmente in pro delle anime, viene con questo libro, piccolo di mole ma tutto succo e sostanza di [456] dottrina cattolica in aiuto della gioventù sì maliziosamente insidiata nel tesoro più prezioso che possa aversi, che è quello della fede cattolica. Tutta l'operetta è volta appunto a questo, a raffermare cioè nei fondamenti della verità cattolica le tenere anime dei giovanetti che hanno la fortuna di possederla; e ciò fa con tre serie di trattenimenti, i quali, incominciando dall'esistenza di Dio, vengono a mano a mano esponendo e provando i fondamenti delle nostre credenze, sì negativamente colla confutazione degli errori professati dalle sètte di ogni genere, e sì positivamente colla dimostrazione diretta delle stesse verità. Consigliamo questo bel libro a tutti i giovani cattolici non solo per raffermarsi nella lor fede, ma anche per rispondere alle bestemmie che loro accadesse di ascoltare contro la nostra santa religione, in questi tempi di sì luttuoso imperversare di errori di qualsivoglia genere.

 

(Civ. Catt., serie XII, vol. III, p. 82).

 

8.

 

Protesta di Don Bonetti al Ministro Guardasigilli

contro un empio periodico.

 

                               Eccellenza,

 

                Una indegna provocazione e gravissima offesa ai sentimenti religiosi e morali della nostra cittadinanza si compie da alcuni mesi in Torino.

                Il nome adorabile del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo è assunto da un periodico sciagurato, è fatto ludibrio dagli spacciatori, è stampato eziandio a caratteri cubitali sul lastricato delle vie da obbligare il pubblico a calpestarlo. Pel contenuto che è un impasto di villanie e di bestemmie contro le cose e le persone più venerande, pel nome augusto che porta in fronte, cotale periodico è un insulto permanente alla Cattolica Religione, che lo Statuto fondamentale proclama unica religione dello Stato; è un insulto a 200 e più mila Torinesi, anzi ai 25 e più milioni d'Italiani che adorano Gesù, Cristo; è un insulto alla stessa Reale famiglia battezzata e credente in questo nome augustissimo.

                Nè basta; cotesta pubblicazione viola non solo il diritto che abbiamo di essere rispettati nella nostra fede, ma costituisce un pericolo evidente pei nostri figli, che sono la speranza delle nostre famiglie, pei nostri domestici di cui vogliamo la fedeltà, pei nostri soggetti di cui dovremo rendere conto a Dio: costituisce un pericolo d'immoralità ed irreligione per tutto il popolo, specialmente per la gioventù e per gli operai. [457] In vista di ciò e nella speranza che la autorità governativa vindice del comune diritto, se non ha creduto di potere per sua iniziativa far cessare lo scandalo, vorrà per altro far ragione ad una eletta di onorati cittadini, noi ricorriamo alla E. V., perchè l'oltraggio di cui siamo vittima, abbia un termine.

                Nutriamo fiducia che V. E. sia per soddisfare quanto prima a questi nostri voti; ma ove fossimo delusi nella nostra speranza, noi protestiamo fin d'ora altamente e per l'onore della Cattolica Torino faremo pubblica questa nostra protesta.

                Ci dichiariamo intanto della Eccellenza Vostra ecc.

 

9.

 

Lettera di Don Bonetti a mons. Boccali.

 

                               Eccellenza Rev.ma,

 

                La Ecc. V. Rev.ma saprà come da cinque mesi, in questa Torino, città del SS. Sacramento e della Santissima Sindone, un empio e spudorato giornale coll'assenso dell'autorità governativa, assunse per titolo il nome adorabile del nostro Divin Salvatore Gesù Cristo, ne assale la divinità, ne vilipende la religione e spande dappertutto lo scandalo.

                Il Bolettino Salesiano nel suo numero dello scadente febbraio pubblicò un articolo allo scopo di premunire i cooperatori e le cooperatrici colle loro famiglie, contro i satanici assalti alla fede cattolica; ma al mio venerato Superiore Don Bosco questo non bastò. Prima di mettersi in viaggio per la visita delle Case Salesiane di Francia, egli dava ordine all'umile sottoscritto, Redattore del periodico Salesiano, di ridurre il detto articolo in forma di libretto e spanderlo gratuitamente tra il popolo Torinese.]L'ordine, col permesso dell'autorità ecclesiastica, venne puntualmente eseguito e ben cento mila esemplari ne furono diffusi con alta soddisfazione di tutta la cittadinanza cattolica.

                Io son certo che a Sua Santità tornerà carissimo il conoscere questo atto di riparazione data in Torino al nostro amorosissimo Gesù e le cento mila copie del detto librettino sparse in tante famiglie. Le riusciranno quale un serto di umili ma pur soavissimi fiori pel V° anniversario di sua incoronazione.

                A nome pertanto del mio venerato Superiore Don Bosco, della Redazione del Bollettino Salesiano, prego rispettosamente la E. V. di gradire le due copie dell'accennato opuscoletto qui unitamente a Lei indirizzate e di avere la bontà di presentare le altre nelle auguste mani del Santo Padre, implorando sopra di noi l'Apostolica benedizione.

                Nella fiducia di questo favore e di un benigno compatimento del [458] disturbo che le arreco, colgo con trasporto di gioia questa propizia occasione, per raccomandarmi alle fervide sue preghiere, mentre invocandole dal Divin Salvatore le grazie più elette mi professo con alta stima e profonda venerazione

                Di V. E. Rev.ma

 

                Torino, 26 febbraio 1883.

Dev.mo Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. BONETTI.

Redattore del Bollettino Salesiano.

 

10.

 

Articolo di un periodico empio contro Don Bosco

 

don bosco e i conventi.

 

                Don Bosco non contento di trarre dalla sua molti giovinotti, le cui braccia servirebbero alla campagna, all'industria e le cui menti potrebbero rendere qualche servizio al paese, Don Bosco, non contento di allacciare alla sua società Salesiana tutte queste forze, che dovranno in un dato giorno riversarsi a profitto del Papa in danno dell'Italia, Don Bosco da alcun tempo in qua si è rivolto alle ragazze.

                Aperse anzitutto un monastero a Nizza Monferrato, aiutato in ciò da una contessa bigottona, che egli chiama la mamma de' suoi figliuol![356].

                Una contessa, la quale potendo invece fare del bene ai suoi parenti, abbindolata per bene dal Santo di Valdocco, che le promette un posticino vicino a San Rocco in paradiso e una icona negli altari, dà tutto il suo per la causa del furbo Don Giovanni.

                Per mezzo di costei Don Bosco oggi trova innanzi a sè aperte le case dell'aristocrazia bigotta, quella che, oltre ai magnanimi lombi, possiede ancora qualche cartella di rendita.

                In questo modo egli potè mettere in piedi un monastero anche a Torino. A giorni ne aprirà altri in Italia.

                E ciò avviene sotto gli occhi del Governo, sotto un Zanardelli che sa come le corporazioni religiose siano per legge abolite di fatto e di diritto.

                Con questo mezzo Don Bosco fa denari. Recluta le sue vittime nelle famiglie danarose. Conquista, come egli dice, una pecorella a Dio ed una dote ai fondi dei suo sodalizio.

                Conosco un povero padre che in tal modo oggi si trova a pochi passi dalla miseria e piange una povera figliuola morta senza la sua [459] benedizione, morta tisica colla disperazione nel cuore, morta senza baciare per l'ultima volta suo padre[357].

                Ritornerò su questo fatto e se sarà il caso dirò tutto l'animo mio.

                Non sarebbe però tempo che il Governo aprisse gli occhi e provvedesse?

 

ACATE.

 

II.

 

Come fu ottenuto un Visto dalla Curia Torinese.

 

                Si decise di ottenere la licenza dei Revisori di Torino. Non era cosa così liscia perchè in Curia le cose nostre erano mal viste. Si ricorse adunque all'astuzia. Il confr. laico Ghiglione si prese questo incarico. Con un libretto stampato a Sampierdarena si presentò in Curia al canonico Chiuso Vicario generale. Si spacciò per membro della Società Operaia Cattolica come lo era difatti, e come interessato nella vendita di quel libro. Il Canonico Chiuso lo accolse benevolmente. Ghiglione lo pregò a voler approvare quel libretto, perchè diceva premergli molto una seconda edizione e non averne più nessuna copia in Torino. Il Canonico diè uno sguardo a quelle pagine svogliatamente e disse a Ghiglione - Vedremo!

                 - Avrei però molta premura.

                 - Passate stasera !

                Ghiglione tornò alla sera. - Il Canonico sembrò annoiato. - Scusate! ho avuto da far molto quest'oggi. Non ho avuto tempo: ma lo esaminerò. Tornate domani all'ora tale.

                All'indomani Ghiglione ritornò all'ora fissata. Quei della Curia si affrettarono a rispondergli: - Il Signor Vicario non c'è. É andato al coro.

                 - Ma se mi assicurò che venissi a quest'ora e che mi avrebbe atteso.

                 - Non saprei che cosa dirvi. Il fatto si sta che ha detto che stamane egli non sarebbe più ritornato. Si sarà dimenticato dell'appuntamento che vi ha dato. Bisogna aver pazienza.

                 - Pazienza fino ad un certo punto. É la terza volta che vengo qui e mi tocca fare lunghissima strada. Di più ancor io ho i miei affari. Farebbero venir la tentazione di far a meno delle loro licenze.

                 - Là là, ritornate ancora una volta dopo pranzo e vedrete che il Vicario ci sarà.

                Ghiglione rifece la strada alla sera. Canonico Chiuso era nel suo gabinetto intrattenendosi col Prof. Don Anfossi. Ghiglione dovette [460] attendere. Finalmente fu introdotto. Il Canonico sembrava cercasse ancora pretesti.

                 - Ma io ho da fare; non ho tempo da perdere, sono artigiano e nessuno mi paga le giornate se vado attorno, esclamò Ghiglione. Se non vogliono approvarlo me lo dicano che lo farò stampare altrove.

                 - Va bene, va bene; rispose il Canonico. - E cercato il libretto in mezzo a quei fasci di carta, lo prese, lo sfogliò e alzandosi: Ecco: l'ho visto... si può stampare... ma quel titolo... Nostro Dio!... ho nulla a dire... Quel nostro Re! perchè questo titolo? Che cosa è, nostro Re?

                 - Scusi, rispose Ghiglione, Gesù Cristo non è nostro Re?

                 - Va bene... sì, sì... però se si potesse cambiare il titolo.

                 - Ma lo è o non lo è nostro Re? Mi scusi; io ho sempre sentito dire che lo è, lo diciamo tutti i giorni - Tu rex gloriae, Christe! Ed è anche nel Catechismo: “Credo in Gesù Cristo Signor nostro”. Il titolo di Signore non equivale a quello di Re? Poi, veda, ci è già il visto della Curia di Genova la quale non avrebbe approvato un errore. Questa approvazione mi basterebbe; potrei farlo stampare a Genova, ma per mia comodità desidero farlo stampare qui.

                 - Essendoci il visto della Curia di Genova, allora faccia pure.

                 - Eppoi veda: io ho già la stereotipia, dovendosi cambiar titolo dovrei rifonderla, e capisce bene che è una spesa di più.

                Il Canonico Chiuso firmò l'approvazione. A Ghiglione tardava di aver nelle mani quella firma e appena l'ebbe salutò e si avviò per uscire. In quell'istante il Canonico Chiuso ebbe un'improvvisa idea e: - Bravo giovane! esclamò chiamandolo.

                Ghiglione tornò indietro.

                 - Lei sarebbe di Don Bosco?

                 - Precisamente; per servirla, rispose Ghiglione. E senz'altro fatta una riverenza partì.

 

12.

 

Lettera del curato di N. D. des Victoires a Don Bosco.

 

                               Mon Vénéré père,

 

                Votre lettre m'a fait un grand plaisir en me montrant l'affection fraternelle que vous aviez pour moi, et aussi la confiance que vous avez que N. D. des Victoires et N. D. Auxiliatrice ne font qu'une, dans le cœur de laquelle nous pourrons confondre tous nos intérêts.

                Mais d'autre part, cette lettre me met dans un grand embarras; car je ne sais comment répondre à votre désir d'être chez moi à votre voyage du mois d'Avril. j'habite un presbytère excessivement restreint et je n'ai pas une chambre dont je puisse disposer, [461] C'est pour moi une véritable peine, car j'aurais été extrêmement heureux de vous posséder. Et puis encore, j'ai projeté depuis longtemps d'aller passer une partie du mois d'avril à N. D. de Lourdes, et je ne sais pas à quelle autre époque je pourrais réalizer mon projet.

                j'ai cerché mille manières de vous donner l'hospitalité que vous me demandez, et je ne trouve rien qui puisse me procurer cet avantage.

                Croyez, mon Vénéré Père, à mes regrets les plus vifs, et ne me retirez rien de votre bonne et sainte amitié à laquelle je réponds du fond du cœur, dans le plus grand dévouement en N. S.

 

L CHEVOYON

Curé de N. D. des Victoires.

 

                Je serai bien heureux de vous voir à Notre Sanctuaire, et vous pourrez venir y célébrer la sainte Messe tant que vous voudrez.

                Je vous recommande et en même temps toutes vos Ouvres au Cœur immaculé de N. D. des Victoires dont nous faisons la fête dimanche prochain.

 

13.

 

Lettera dell’abate Moigno a Don Bosco.

 

                               Mio reverendo e carissimo Padre,

 

                Io sono ben colpevole di non avervi dato mie notizie dal giorno in cui, ammesso nel numero dei vostri pii Salesiani, son divenuto vostro figlio spirituale. Ma dal mio ritorno in Francia dopo il mio passaggio per Torino, fui assorbito da lavori quasi superiori alle forze umane. Non ho lasciato un istante il tavolino del lavoro. Anzitutto ho dovuto compilare e far stampare il mio quinto volume Degli splendori della fede, Il miracolo al tribunale della scienza, i processi della beatificazione e della canonizzazione di S. Benedetto Giuseppe Labre, volume enorme del quale vi prego di gradire l'omaggio, che mi ha costato più di duemila franchi. Subito dopo ho cominciato la compilazione del sesto volume degli Splendori: Il miracolo al tribunale della storia, che ho premura di finire e di pubblicare appena avrò trovato i mezzi necessari per un miracolo che mi promette S. Giuseppe Benedetto Labre, che io domando ben grande e che voi vorrete domandare con me, voi che siete sì caro al buon Dio.

                Voi saprete con piacere che il lavoro di questi due volumi mettendo il vostro figlio spirituale in relazione continua con Benedetto Giuseppe e con tutti i santuarii miracolosi del mondo, è stato per lui sorgente di grandi grazie soprannaturali che sempre più santificano, di modo che in questo momento egli appartiene più al cielo che alla terra, del [462] che voi ringrazierete per lui Dio, la SS. Vergine, S. Giuseppe, S. Francesco di Sales, tutti i santi.

                Col tomo quinto degli Splendori della fede, vi mando i miei due ultimi opuscoli, i miei volumi 161 e 162.mo. Sono due cataloghi di fotografie sul vetro o quadri trasparenti, l'uno di duemila quattrocento quadri per l'insegnamento popolare illustrato di tutte le scienze, l'altro di mille quadri per l'insegnamento illustrato dei miei Splendori della fede, insegnamento che, secondo la mia profonda convinzione che Sua Santità Leone XIII s'è degnato di confermare, è il mezzo più efficace del ritorno alla fede, perchè esso è la più eloquente, la più irresistibile delle predicazioni.

                Reverendo Padre, Voi avete consacrata la vostra vita alla carità, ma alla carità con l'insegnamento e col lavoro intelligente; la vostra vita è stata interamente consacrata ad evangelizzare i poveri, pauperes evangelizantur, e Voi riconoscerete, spero, che le mie due collezioni di quadri non sono in realtà che il programma del vostro ammirabile apostolato. Sono invero due grandissime imprese l'organizzazione delle quali mi costò ben cara, più di quindici mila franchi: io le faccio vostre, le metto sotto il vostro patrocinio, vi domando istantemente di benedirle, colla certezza che da Voi benedette, prospereranno e produrranno frutti di salute. Vorrei esser ricco per dotare il vostro mirabile stabilimento delle mie due collezioni complete; quali meraviglie non fareste con esse! Ma ciò che io non posso fare oggi con Voi e per vostro mezzo, un giorno forse lo potrò fare. Fate fin d'ora una scelta dei quadri che maggiormente vi serviranno, mio buon Padre, ed io mi sforzerò di mandarveli. Il vostro ritratto, mio buon Padre, è uno dei più bei splendori della Fede.

                Ora che ho versato il mio cuore in quello del mio Padre, mi sento interamente felice. Nel finir questa mia mi permetta di confidarle una delle mie maggiori inquietudini. Per l'esito del mio apostolato degli Splendori della Fede, bisognerebbe che le mie vedute in progetto fossero autorizzate nelle chiese; ora i costumi della nostra Francia ecclesiastica sono tali che non otterrò questa autorizzazione che per una serie di miracoli che io vi prego istantemente di sollecitare con me. La Congregazione dei Riti consultata dal R. P. Torquato Armessino m'ha bensì risposto che non vedeva inconveniente di sorta in tali progetti, ma vi abbisognerà lungo tempo per vincere scrupoli tanto inveterati.

                Ma perdonatemi, Reverendo Padre, di questo troppo lungo scarabocchio. Come io abbia cominciato a scrivere nol saprei dire. Aveva appena finite le mie preghiere quando mi venne questa ispirazione, e non ho potuto resistervi. Un'ora dopo la mia lettera era terminata. Possa essa esservi gradita, essendo obbligo di coscienza per parte mia, e son disposto a ricevere non solo i vostri consigli, ma i vostri comandi, e ad eseguirli qualunque essi siano. Degnatevi, mio buon Padre, di raccomandare ai vostri salesiani, ai miei cari confratelli l'apostolato [463] dei miei Splendori della Fede. Eccomi ai piedi della vostra paternità coi sentimenti d'una venerazione senza limiti e domandandole la sua benedizione

 

umile figlio

Abate F. MOIGNO.

 

14.

 

Lettera di Don Cibrario a Don Bosco.

 

Bordighera Torrione, 23 gennaio 1883.

 

                               Rev.mo ed Amat.mo Padre,

 

                Pare a me che S. E. Mons. Vescovo prima di scrivere alla S. V. Rev.ma avrebbe dovuto prendere informazioni da noi sullo stato e sull'andamento delle cose nostre e non accettare subito, senza beneficio d'inventario, ciò che gli fu riferito. Noi gli avremmo detto nè più nè meno di quello che ora diciamo a Lei, Rev.mo Padre.

                Da informazioni prese mi consta che un ragazzo va a scuola dai Valdesi ed appartiene a famiglia da anni affigliata alla setta per interessi materiali. Sono in dubbio se ce ne vada un altro piccolino di famiglia più che protestante. Altri che io sappia non v'ha che frequenti quelle scuole. Delle ragazze ve n'ha da tre o quattro ed appartengono esse pure a famiglie protestanti.

                Nessun ragazzo del resto e nessuna ragazza appartenente a famiglia cattolica va a quelle scuole. Le nostre tanto maschili quanto femminili sono frequentate. Abbiamo 44 ragazzi inscritti e 66 ragazze. Di queste non ne abbiamo mai avute tante.

                Che poi le scuole valdesi siano superiori alle nostre è facile a comprendersi. Là gli alunni sono interni (una quindicina), i nostri esterni. £ ben si sa che cosa si può fare con ragazzi tutto il giorno dissipati e che se fanno qualche cosa non è che sotto gli occhi del maestro nella scuola...

                Ritornando alla lettera di Monsignore non posso a meno che attribuirne il contenuto a qualche lingua viperina che da qualche tempo va sparlando di noi. A una conseguenza della fermata di Letizia a Nizza. Che farci? Mundus totus in maligno Positus est.

                Il sig. Don Rua poi ci dà la consolante notizia che la S. V. sarà pure tra noi verso la metà del mese venturo. Sarà gran festa per tutti.

                Approfitto di questa occasione per rispondere al n. 4 della preziosa strenna che la S. V. Rev.ma ebbe la bontà d'inviarmi. La risposta è una sola per tutti. La salvezza dell'anima nostra è strettamente legata all'osservanza dei voti fatti; da essa dipende; per conseguenza siamo tutti pronti ed impegnati ad osservarli fino alla morte. Così speriamo colla grazia del Signore. Ecco l'aiuto, la cooperazione che noi tutti desideriamo e vogliamo prestarle affinchè salvi le nostre anime. [464] Rev.mo Padre, preghi per noi tutti che di tutto cuore le, auguriamo una lunga serie d'anni tutti felici, e preghi specialmente per me affinchè possa mettere in pratica la strenna.

                Ci benedica tutti. Di V. S. Rev.ma

 

Aff.mo Ubb.mo

Sac. NICOLAO CIBRARIO.

 

15.

 

Circolare per una Lotteria a Vallecrosia.

 

Torrione, 20 aprile 1883.

 

                Benemerito Signore,

 

                Nel vivo desiderio di provvedere all'educazione religiosa, morale ed intellettuale della gioventù di ambo i sessi in Vallecrosia o Torrione, tra Bordighera e Ventimiglia, s'intraprese la costruzione di locali adatti per iscuole gratuite. Mercè l'aiuto di Dio e la cooperazione di caritatevoli persone si sono condotte a termine e già sono aperte e frequentate. Ma trattasi ora di soddisfare alle rilevanti spese che per le medesime si dovettero fare e che rimangono tuttora in gran parte a pagare.

                Si fu per tale motivo che si iniziò una Lotteria di beneficenza, nella fiducia che trattandosi di un'opera altamente pia e caritatevole non verrà meno l'appoggio d'ogni persona dabbene. Non appena sarà raccolta la maggior quantità possibile di doni, coll'autorizzazione della Regia Prefettura, se ne farà la pubblica esposizione. Prego perciò umilmente la S. V. Benemerita a venirmi in aiuto in questa impresa coll'inviare all'indirizzo qui sotto indicato quei doni di cui nella sua carità potrà disporre, assicurandola che saranno ricevuti colla masssima riconoscenza.

                Il Signore ricco in misericordia voglia largamente rimunerarla del bene che farà alla povera gioventù di questa valle, mentre l'assicuro fin d'ora della più sentita gratitudine per parte mia e per parte dei giovanetti beneficati. Ogni giorno nella nostra cappella si faranno speciali preghiere onde implorare sui nostri benefattori le celesti benedizioni.

                Gradisca, Benemerito Signore, i sentimenti di profondo rispetto e di sincera riconoscenza con cui godo professarmi

                D. V. S. Benemerita

 

Obbligatissimo servo

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                N.B. I doni si possono spedire all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, oppure al Sac. Cibrario Nicolao a Torrione di Vallecrosia presso Bordighera. [465]

 

16.

 

Una pia visitatrice di Don Bosco a Nizza.

 

                Paris, 16 mai 1883. 92 Boulevard Haussmann. D. Bosco,

                J'ai eu l'honneur de vous voir à Nice chez les Dames Augustines 48 avenue de la Gare et au Patronage de S.t Pierre, Place d'armes. A cette dernière entrevue je vous ai exposé l'objet de mes voeux les plus ardents: la conversion de mon mari. Toutes mes prières au Seigneur et particulièrement au sacré-Cceur tendent à ce but.

                Vous m'avez promis vos prières et les prières de vos enfants. Je vous ai fait la promesse d'un don annuel pour vos patronages en cas de réussite. Vous m'avez fait observer qu'il ne fallait pas compter avec Dieu et qu'un don fait à l'avance lui serait agréable.

                Vous me fites, presque, la promesse, de venir chez moi pour causer avec mon mari; je devais en même temps vous remettre mon offrande.

                A votre premier voyage à Paris, j'étais retenue dans ma chambre par une bronchite; je ne pus ni vous voir, ni vous entendre.

                J'irai demain à S.t Augustin, mais j'irai seule!

                Puis-je espérer, Don Bosco, que vous me donnerez quelques moments? Il y a une heure où il faut prendre ses repas. Si vous vouliez venir déjeuner ou Biner, vous causeriez avec mon mari et le S. C. m'accordera peut-être la grâce que je sollicite depuis tant d'années!

MARIE MOURETTE.

17.

 

La dimora di Don Bosco a Cannes in una lattera da Parigi.

 

                               Mon Révérend Père,

                Je viens vous exprimer mes plus sincères regrets de ne pouvoir aller vous trouver pendant les quelques jours que vous passez à Paris. Ayant quitté Cannes trop tôt, le froid de Paris m'à donné une bronchite dont j'ai peine à me débarasser.

                J'aurais été heureuse de vous remettre moi-même ma modeste offrande pour vos admirables oeuvres auxquelles je voudrais pouvoir contribuer plus largement. Mes écoles catholiques de Belgique, dont vous avez eu la bonté de me permettre de vous entretenir à Cannes, m'occasionnent de grandes charges, mêlée assurément d'une douce satisfaction, puisqu'elles préservent tous ses chers enfants du poison des écoles sans Dieu. [466] En terminant, je vous demande, Mon Père, de me donner votre Bénédiction et de continuer de vous souvenir de moi dans vos saintes prières, comme vous me l'avez promis à Cannes.

                J'ai grand besoin souvent, que Dieu m'éclaire et me vienne en aide. Je recommande encore à vos bonnes prières l'âme de mon cher -mari dont vous avez bien voulu accepter une pieuse image en me promettant de vous souvenir de lui...

P.cesse de Montmorency-Luxembourg.

                Paris, ce 20 avril 1883.

 

18.

 

Una pia visitatrice di Don Bosco alla Navarre.

Flassans, 1 juin 1883.

                Très Révérend Père;

                Quand j'ai eu l'honneur de vous voir à la Navarre et que je vous ai parlé de la conversion de mon fils vous m'avez dit de faire une prière au Sacré Coeur jusq'au jour de sa fête, ce que j'ai fait. Je suis persuadée que vous avez prié pour la conversion de mon fils. Je crois que Dieu vous a exaucé, je vous envoie la somme de 200 f. pour le S. C. de Rome, le recommandant a vos prières tant pour le spirituel que pour le temporel, il est toujours en Tunisie. Moi aussi je me recommande à mon tour à vos prières.

                Je vous prie que mon nom et mon offrande ne soient connus que de vous seul.

                Mademoiselle Clémentine Tourtone me prie de vous dire qu'elle désire ardemment le jour heureux qu'elle ira à Turin pour aller se prosterner aux pieds de Marie Auxiliatrice et la remercier de toutes les grâces et faveurs qu'Elle lui aura accordées par vos prières.

MARIE ALBERT CLEMENTINE TOURTONE.

 

18.

 

Circolare ai Cooperatori di Marsiglia.

 

Marseille, le 22 mars 1883.

                M.

                Je suis heureux de vous annoncer que la Conférence des Coopérateurs Salésiens se tiendra, le Jeudi 29 mars, à l'Oratoire SaintLéon. [467]

                Sa Grandeur Monseigneur Robert Evêque de Marseille, notre insigne Bienfaiteur, veut venir présider notre réunion.

                Le même jour, on bénira solennellement une grande et belle statue de Notre Dame Auxiliatrice, par une famille de Marseille, comme témoignage de reconnaissance en souvenir d'une grâce extraordinaire obtenue par son intercession.

                Les aumônes que nos charitables Coopérateurs voudront bien faire à cette occasion sont destinées au payement. des dettes contractées pour les nouvelles constructions et les considérables agrandissements de l'Oratoire Saint-Léon et de l'Orphelinat de Saint-Cyr.

                Nous prions tous les jours pour que Dieu daigne récompenser largement tous ceux qui veulent bien s'intéresser à nos orphelins. Agréez, M., l'hommage de mon profond respect et de ma vive reconnaissance.

Abbé JEAN Bosco.

 

ORDRE DES EXERCICES.

 

                Matin, 29 mars.

                7 heures ½. Messe dite par Don Bosco. Communion générale. Bénédiction Solennelle de la Statue dé Notre Dame Auxiliatrice. Allocution de circonstance.

                Soir.

                3 heures. Cantique. Exposé de Don Bosco. Monseigneur l'Evêque daignera adresser quelques paroles. Salut sollennel. Prières pour les Cooperateurs défunts.

Avis.

                1° Les Coopérateurs peuvent conduire avec eux à nos réunions, ceux de leurs parents et amis qui, n'étant pas encore Coopérateurs, ont l'intention de se faire inscrire.

                2° Ceux qui ne pourraient s'y rendre sont priés de faire parvenir leur offrande. Les conditions financières tout exceptionnelles dans lesquelles se trouve notre Orphelinat, nous obligent à prier instamment nos Coopérateurs de vouloir bien recueillir, pour nous, l'offrande de leurs parents et de leurs amis. Nous leurs serons reconnaissants de vouloir bien remettre le fruit de leur charité au Supérieur de l'Oratoire Saint-Léon;

                3° Notre Saint-Père le Pape accorde une bénédiction spéciale et l'indulgence plénière à tous ceux qui assisteront à ces réunions. [468]

 

20.

 

Articolo dell'Eclair su Don Bosco.

 

                DON BOSCO.

                Dans quelques jours la ville de Lyon aura le bonheur de posséder Dom Bosco. Sans nul doute, la cité des Primats des Gaules, centre de tant d'oeuvres admirables, reverra avec joie le doux et saint prêtre que l'Italie entière vénère depuis longtemps comme une de ses plus belles et surtout de ses plus pures gloires, et que la France, toujours enthousiaste pour les grandes oeuvres et pour ceux que la Providence a choisis pour les instruments de sa miséricordie commence à aimer et à bénir.

                Depuis Saint Vincent de Paul on trouverait difficilement un homme qui ait obtenu parmi le peuple une plus grande popularité que Dom Bosco; à Turin, berceau de ses oeuvres, la population l'acclame comme son bienfaiteur et lui donne le nom bien doux de Père des Pauvres, Pater Pauperum; c'était un des noms du Christ. A Rome, le souverain Pontife Léon XIII, à l'exemple de son illustre et saint prédécesseur, a une paternelle affection pour Dom Bosco et apprécie hautement ses mérites; enfin, il n'est pas jusqu'aux lointaines plages du Brésil et de la Patagonie où le nom du pauvre prêtre turinais ne soit en bénédiction.

                Cette auréole populaire qui rayonne au front de Dom Bosco, cette considération et cet amour universel qui console les dernières années du vénérable vieillard sont la juste récompense et le digne couronnement d'une existence consacrée tout entière au soulagement des misères humaines, et en particulier à arracher les jeunes gens abandonnés à la corruption, à la débauche, au déshonneur et à l'infamie.

                Mais avant de voir l'épanouissement de ses oeuvres, Dom Bosco a du lutter longtemps, et bien souvent, dans sa longue et laborieuse carrière, il a éprouvé cette douleur cruelle aux âmes d'élite condamnées. parfois à rencontrer des difficultés et des oppositions là où elles ne devaient trouver qu'encouragement et faveur. Un volume ne suffirait pas à enregistrer tout ce qu'il a du endurer de tracas, de privations, de tortures. morales, depuis le jour, déjà bien loin, où, jeune prêtre, il réunit pour la première fois, dans la petite église de Saint-François d'Assise de Turin, les jeunes vagabonds qu'il avait rencontrés sur les places publiques de la capitale piémontaise.

                Depuis ce temps, l'oeuvre de Dom Bosco a fait du chemin; elle a marché avec une inconcevable rapidité. Dieu a fécondé les labeurs du saint prêtre et a multiplié les enfants de sa charité. L'humble refuge du Cottolengo est devenu le magnifique oratoire de SaintFrançois-de-Sales, la Maison Mère des oeuvres salésiennes; là, plus [469] de 15.000[358] enfants du peuple sont réunis sous un même toit et animés d'un même esprit; là, enfin, par son système préventif, Dom Bosco a réalisé un problème philosophique et social rêvé par tous les législateurs. Ce système, entièrement appuyé sur le raisonnement, la Religion et la Charité prévient plutôt la faute qu'il ne la réprime et il a produit dans tous les établissements salésiens de merveilleux résultats.

                La France a le bonheur, depuis huit ans, de posséder quelques maisons fondées par Dom Bosco. Le Patronage de Saint-Pierre, à Nice, et l'Oratoire de Saint-Léon, à Marseille, sont, malgré les temps troublés que nous traversons, en pleine prospérité. Dans le Var et dans les Bouches-du-Rhône' se trouvent deux établissements agricoles. Dans les Oratoires français, comme dans ceux d'Italie, la jeunesse reçoit, en même temps une éducation chrétienne, un habile apprentissage pour une profession qui lui permettra plus tard de gagner honorablement sa vie dans le monde et d'être utile à la société.

                Pour la fondation de ses maisons françaises, Dom Bosco a été puissamment secondé par les membres de sa Congrégation. Il a trouvé, en particulier, pour la propagation de ses ceuvres en France, un zélé collaborateur dans Dora Ronchail, un des ses fils de prédilection. Directeur, depuis sa fondation, du Patronage de Sain-Pierre à Nice, ce digne prêtre, aujourd'hui dans la force de l'âge, a réussi, en quelques années, à établir solidement dans notre pays l'oeuvre salésienne.

                Quelques mots sur le Patronage de Saint-Pierre, le premier établissement fondé par Dom Bosco en France, donneront au lecteur une idée de l'admirable institution des Oratoires salésiens. C'est un bien touchant spectacle que la vie de cette ruche qui se nomme le Patronage, doux abri qui protège plus de 20o enfants enlevés au vice et à la misère; plusieurs d'entre eux sont orphelins, ils ont retrouvé, dans Dom Ronchail, un père qui les guide dans le chemin de la vie et leur indique la voie du ciel. Le règlement fait une juste part du travail manuel et de l'étude. On se lève à cinq heures, on se couche a neuf. La première partie de la matinée est consacrée aus soins de propreté, chose nouvelle pour la plupart des nouveaux venus, et à l'assistance à là Messe. A huit heures, les ateliers sont en pleine activité et ne s'arrêtent jusqu'à six heures du soir, que pour le temps du repas et de la récréation. Le soir ont lieu les classes, où, en dehors de l'enseigisement religieux, on apprend aux enfants le français, la musique

                et les éléments des connaissances qui feront d'eux des ouvriers intelligents et honnêtes. En parcourant les ateliers du Patronage, on sent son coeur palpiter sous les plus émouvantes impressions et on éprouve une véritable jouissance, un vrai bonheur de se trouver au milieu de cette jeunesse, jetant des parfums d'innocence, de fraîcheur et de gaieté et grandissant sous l'égide paternelle des fils de Dom Bosco [470] l'abri des atteintes de la misère et du malheur. Les jeunes apprentis menuisiers, serruriers, cordonniers, tailleurs, typographes, relieurs ont tous bonne mine et sont contents et joyeux de leur sort. Hélas! sans Dom Bosco, sans la charité chrétienne, combien, parmi ces jeunes gens, si heureux aujourd'hui, croupiraient dans le vice pour tombés plus tard dans le vol, dans l'infamie et finir par le bagne. Vous donc qui aimez l'enfance et qui vous intéressez à juste titré aux redoutables problèmes de la question sociale, réfléchissez au grand péril social qui vous menace, et venez en aide à ceux qui le combattent et travaillent pour vous. Et vous; lecteurs, que allez pendant la saison des frimas vous réchauffer au beau soleil des plages méditerranéennes, n'oubliez pas de faire une visite au Patronage de Nice et de réchauffer votre coeur auprès des enfants de Dom Bosco; ils ont bien bon coeur ces petites et charmantes créatures du bon Dieu, ils sont sensibles au bonheur que vous pouvez leur procurer et, soyez-en certain, ils se montreront reconnaissants envers vous en levant chaque jour leurs mains innocentes vers leur Père céleste qui est aussi votre Père et en le priant de récompenser magnifiquement votre charité, selon la parole du Christ: Ce que vous ferez au plus petit d'entre les miens, c'est à moi-même que vous le ferez.

                Telle est la grande oeuvre de Dom Bosco.

                Sous peu, la population lyonnaise entendra la voix du saint prêtre, cette voix que l'on ne peut entendre sans trassaillir malgré soi; Dom Bosco parlera de ses couvres, avec cette sublime simplicité qui fait le charme de sa parole et qui touche si profondément les coeurs et fera un chalereux appel à la générosité si grande et si connue des fidèles lyonnais.

                Ames charitables, vous entendrez avec joie un pareil appel; vous serez heureuses, nous en sommes certain de contribuer par vos larges aumônes au soutien et à la diffusion des oeuvres salésiennes, couvres de dévouement et d'amour, chrétiennes et patriotiques par excellence. Vous prouverez de cette manière au bon abbé Dom Bosco qu'il trouvera toujours en ce beau pays de France de sincères et dé vrais amis, et vous aurez ainsi bien mérité de Dieu ed de la Patrie!

                (Eclair, 31 marzo 1883).

ABEL REYNAUD.

 

21.

 

Leffera di Don Bosco alla signora Juffrey di Lione.

 

                Madame,

                M.r Gustave me sert comme valet de chambre et dans un petit intervalle de son service j'ai la grande consolation de vous écrire quelques mots. [471] Dans notre maison, on a prié pour vous, Madame, mais la S.te Vierge semble que veuille vous exaucer: souffrir pour gagner des âmes à Dieu. Toutefois nos prières sont adressées à Dieu pour obtenir, une amélioration. -

                Que Dieu vous bénisse, ô charitable Madame, Dieu vous donne la patience et la persévérance dans le chemin du Paradis.

                Veuillez bien aussi prier pour moi qui avec la plus grande gratitude serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 13 juin 83.

obligé serviteur en J. Ch.

abbé J-. Bosco.

 

22.

 

Lettere Lionesi a Don Bosco.

 

A.

 

Lyon le 10 Avril 1883.

38 avenue de Noailles.

                Monsieur l'Abbé, [Don De Barruel].

                Je n'oublierai jamais votre complaisance à mon regard; je vous prie de vouloir bien me la continuer pour amener le résultat voulu: la guérison de ma pauvre petite fille. Madame de Montravel, ma petite et moi, nous serons 13 rue St. Hélène à deux heures moins quelques minutes. Veuillez plaider pour notre mise en présence de Dom Bosco.

                Nous avons la ferme assurance que de bric ou de brac, vous saurez bien nous faire pénétrer auprès de Dom Bosco qui désire, il me l'a dit hier, voir ma fille.

G.te de MONTRAVEL.

 

B.

 

Lyon, Samedi matin.

                Mon Révérend Père,

                J'étais si émotionnée mardi soir, que j'ai bien malprofité, du si grand honneur, que vous avez bien voulu me faire; à moi et à M. Crozier; et qui restera gravé, dans les annales de la famille! Le soir j'ai été trop généreuse pour mes invités, et n'ai guère osé m'approcher de vous. Je tiens cependant, si vous devez partir sans me revoir ce qui sera pour moi un grand chagrin, à vous demander de ne pas oublier dans vous prières en général, et près de Notre Dame Auxiliatrice en particulier. [472]

                1° Mon fils aîné Albert, qui a eu le grand bonheur de recevoir la communion de vos mains ce matin même; les suites d'une miénin-gite le rendent incapable de s'en tirer seul dans la vie.

                2° Mon Eugène, mon second fils, qui passera au mois de juin ses examens à l'École Polytechnique.

                3° Ma fille Berthe, votre petite quêteuse de mardi, qui aura, je l'espère, donné un simple mais bon signal dans ma famille.

                4° Et enfin votre petit voisin de table Henri éléve de philosophie chez les Pères Dominicains.

                5°. M. Crozier qui doit faire le grand voyage avec vous, j'espère dans beaucoup d'années d'ici.

                6° Ma pauvre chère mère malade, 'qui seule manquait à la réunion de mardi.

                7° Enfin moi et mon beau-frère; ces deux dernières personnes vous demandent de grâce, pur eux et leurs parents morts, une petite prière spéciale; et prieront bien souvent le bon Dieu de vous rendre, au centuple le plus petit de vos souvenirs.

                Je me permets de m'adresser à Monsieur de Barruel pour lui demander si vous repasserez à Lyon à votre retour de Paris; dans ce cas là, je vous demanderai au nom de toute la famille Crozier et de M.r Lajont, le Vicaire Général, une seconde visite comme celle de Mardi dernier. C'est en vous demandant votre bénédiction spéciale, mon Révérend Père, et en vous assurant de tous les meilleurs et plus respectueux sentiments que je termine cette lettre faite dans la crainte de ne pouvoir vous parler au dernier moment.

M.me ALICE CROZIER.

                Place Morand 19.

 

C.

 

Lyon, 15 Avril 1883.

                Révérend Père,

                Je suis le frère de Madame Mayel qui a eu à Fourvière le bonheur de recevoir votre visite. Elle vous a recommandé nos affaires commerciales, en ce moment fort inquiétantes.

                Mais en outre de cela, ma femme et moi, nous n'avons pu trouver le moyen comme c'était notre plus grand désir, de vous présenter notre dernière enfant, petite fille de onze ans dont le développement physique laisse beaucaup à désirer. Elle a eu des abcès au cou que nous craignons voir reparaître. C'est un sujet constant d'inquiétudes et de chagrin pour nous! Elle va faire sa première Communion cette année auprès de sa sueur religieuse du Sacré-Coeur de la Rue Boissac: hier matin samedi nous avons mené cette enfant à votre messe Rue [473]

                S.te Claire et nous avons eu le bonheur tous les deux de communier à son intention!

                Nous vous prions, mon Père, d'accepter pour vos oeuvres cette modeste offrande....

LS. PATURLE.

 

                15 Rue S. Dominique Lyon.

 

D.

 

                Mon Très Révérend Père,

                Je dois demain à deux heures me présenter chez vous pour avoir l'honneur de vous voir.

                Monseigneur Guiol, à qui j'ai parlé de mon désir et de celui de ma soeur, Madame Rey du Monchet, de vous avoir à dîner avec lui pendant votre séjour à Lyon m'a encouragé dans cette bonne pensée; nous demeurons à côté du Sacré-Coeur des Anglais; une voiture vos attendra au haut de la ficelle de S.t Just à l'heure que vous m'indiquerez.

                Je vous en supplie, mon Très Révérend Père, veuillez avoir la bonté de nous ménager cette consolation; nous nous intéressons à votre oeuvre, ainsi que ma sueur Madame Mignot de Guestu d'Annouay, avec qui vous avez été en correspondance.

                Je vous en supplie, réservez-nous le bonheur de vous avoir; Madame Mignot et mon saint curé de Satillieu, Monsieur de Salivus, feront le voyage exprès.

                Voilà bien des jours que je demande à Dieu le bonheur que je réclame dans cette lettre. J'espère, mon très Révérend Père, que vous nous donnerez la consolations de vous avoir.

                Veuillez, mon Très Révérend Père, recevoir l'expression de mon profond respect.

ANNA DE GUESTU.

                Dimanche 8 Avril.

                Villa Marie, chemin des Messues 2 Lyon.

 

E.

Lyon, 24 Avril 1883.

                Mon Très Révérend Père,

                Il y a quelques jours, votre passage à Lyon m'a donné un désir extrême de vous voir, ou tout au moins de recevoir votre précieuse bénédiction. N'ayant pu satisfaire mon desir, j'ose venir, mon Très Révérend Père, recommander à vos prières la Communauté que le bon Dieu m'a confiée et les enfants que nous élevons. Plusieurs de ces dernières me donnent des inquiétudes, et dans là Communauté j'ai plusieurs âmes aussi qui m'occasionnent du souci. [474]

                Outre cela, nous avons une Religieuse précieuse à tous égards, dont la santé est gravement menacée. Une opération subie en Janvier pour une maladie d'os, ne paraît pas donner les résultats qu'on en attendait, et j'en suis fort affligée, à cause de la perte que nous ferons, si le mal ne s'arrête pas.

                Veuillez, mon Très Révérend Père; la recommander spécialement à Notre Seigneur et solliciter pour elle et pour nous toutes la grâce de répondre bien fidèlement à toutes les faveurs de, notre vocation.

                Donnez-nous aussi votre paternelle bénédiction, et répandez-la spécialement sur-la pauvre âme qui se sent pressée de vous adresser ces quelques lignes.

                Veuillez agréer, mon Très Révérend Père, avec tous mes remer-ciements et mes excuses, l'expression de mes sentiments lés plus respectueux en Notre Seigneur.

S.r MARIE EMMANUEL

Sup. de Religieuses S.t Joseph de Cluny.

                21 Rue Deufèrt Rocherau.

 

F.

 

                Mon Rév. Père,

                Depuis que vous avez quitté Lyon j'ai recuilli avec l'aide de deux ou trois personnes la somme de trentesix francs; je vous l'envoie pour vos pauvres orphelins.

                A votre passage à Lyon, mon Révérend Père, j'ai pu me recommander à vous dans une lettre à laquelle vous avez répondu en me donnant votre bénédiction.

                Je vous supplie, mon Père, de continuer à prier pour moi et ma famille.

                Veuillez avoir la bonté de me faire parvenir quelques renseignement relatifs au Bulletin Salésien...

JEANNE Madmoiselle GAUDIN.

Lyon, 6 Juin 1883.

 

G.

 

Lyon 28 Mai. Boulevard des Brotteaux, 8.

                Monsieur l'Abbé D. Bosco,

                J'ai la ferme conviction que Dieu, en envoyant parmi nous l'éducateur par exellence de la jeunesse de notre époque, a voulu témoigner aux pères de famille chrétiens de notre malheureux pays, qu'il ne les abandonne pas dans les persécutions, qu'ils subissent pour l'exercice de leurs devoirs et de leurs droits.

                Appendice di documenti 475 Je n'ai pas l'honneur d'être connu de vous, Monsieur l'Abbé, mais bien que je ne me présente que comme un père, qui s'efforce de devenir bon chrétien; ce titre suffit à mon espérance de vous voir accueillir favorablement la demande que je viens vous faire d'une prière spéciale pour un de mes fils.

                J'ai lu la brochure ayant votre nom pour titre avec le plus grand intéret (je dirais avec admiration si je ne craignais de blesser votre modestie) et c'est sur cette lecture que je viens humblement vous prier de vouloir bien demander à Notre Dame Auxiliatrice, en pensant d votre grande oeuvre, qu'une découverte scientifique de mon fils soit complétée par un détail d'exécution qu'il ne retrouve plus.

                Notre jeune chrétien me prie d'ajouter que le comble de cette grâce* serait qu'elle lui fut accordée dans. ce mois de Marie ou dans celui du Sacré-Coeur, sur l'engagement formel, qu'il prend de ne pas oublier votre oeuvre...

Cte de MONTESSUS DE BALLORE. H.

 

H.

 

                Mon Révérend Père,

                J'ai beaucoup entendu parler des guérisons obtenues par vos bonnes prières lors de votre passage dans notre ville de Lyon, et, pleine de foi, je m'adresse à vous, mon Révérend Père, en ce moment où ma famille en a le plus grand besoin. J'espère que vous voudrez bien prier pour m'obtenir les grâces que je demande.

                J'ai une petite nièce âgée de 13 ans qui est déjà restée 6 mois sans marcher l'année dernière. Nous l'avons vouée à N. D. de Lourdes quoiqu'elle portât déjà le voeu, et qu'elle le fût autre fois à N. D. de Fourvières. Apres 6 mois de maladie, elle se remit à marcher. Cette année elle est de nouveau retombée et ne marche plus depuis les derniers jours de Novembre 1883. Pour que cette terrible maladie s'en aille entièrement et que la charmante et bonne fillette revienne à la santé, j'ai pensé que vos bonnes prières pouvaient seules nous obtenir ce miracle...

                Lyon, 10 janvier 1884.

MARIE Dupont.

I.

 

                Mon Révérend Père,

                Je ne suis qu'une pauvre domestique dejà vieille (79 ans), je suis encore en service, néanmoins je suis si touchée de vos oeuvres et du bien que vous faites, que je vous prié, mon Père, d'accepter cent [476] francs de mes économies; je vous demande à la place de prier pour que Dieu m'accorde la grâce d'une bonne mort; je vous recommande aussi ma famille; j'ai dix petits neveux orphelins.

                Lyon, 23 avril 1883.

Votre très humble servante

BENOITE DUMORAND.

 

222.

 

Diario dei ricevimenii in casa Sénislhac a Parigi.

 

EXTRAIT DU MEMORIAL DE LA MAISON DE PARIS.

1883.

(Récit de Mademoiselle Bethford).

 

                Mercredi 18 avril. Mademoiselle de Sénislhac, sachant que Don Bosco doit venir à Paris et descendre chez Madame de Combaud, a fait visite à cette dame pour la prier de lui ménager une audience. M.me de Combaud lui demande si nous donnerions asile à Don Bosco pour les audiences du milieu du jour, Mlle de Sénislhac accepte.

                Jeudi 19. Mlle de Sénislhac entend la Messe de Don Bosco chez les Carmélites, puis va avec l'une de ses compagnes lui rendre visite chez Mme de Combaud. Il se montre très bon et dit qu'il commencera ses réceptions, chez nous, rue de la Ville l'Évêque, aujourd'hui même de 4 à 6 H. Les autres jours ce sera de 3 à 6 H.

                Cet après midi plusieurs personnes sont venues... elles ont attendu en vain Don Bosco.

                Vendredi 20. A partir de 2 H., nous avons été assaillies par une foule de monde désirant voir Don Bosco. Nous ne nous attendions pas à cette affluence. Comme nous tenions à ce que la première bénédiction donnée dans la maison, par ce Saint, fût pour nous, nous nous sommes toutes réunies dans la bibliothèque au moment de son entrée. Je n'ai pu me défendre d'un prêtre, compatriote de Don Bosco; il s'est glissé malgré mes injonctions dans la Bibliothèque pour avoir avec nous, la première audience: mais il a été discret et n'a pas écouté ce que nous avons dit: du reste comme il ne comprenait pas le français nous ne pouvions redouter cet inconvénient. Nous comptions sur l'abbé de Barruel pour introduire les visiteurs. Point du tout, Mr de Barruel nous a confié Don Bosco et s'en est allé faire des visites disant qu'il reviendrait à 6 H.

                Mlle jacquier s'est innstallée à la porte de communication entre le salon et la bibliothèque c'est-à-dire à la porte d'introduction. Moi [477] je me suis établie à la porte de sortie de la Bibliothèque qui donne sur le pallier. Ainsi Don Bosco est bien gardé.

                La Comtesse Trappani, sa fille et leur suite étaient dans le salon confondues dans la foule, qui, du reste, était composée de l'élite de la société. Elle m'a fait passer sa carte. Je suis entrée dans la bibliothèque et je l'ai appelée, mais la barrière humaine a été infranchissable. Il y avait deux heures, au moins, que ces pauvres princesses étaient là à se lamenter. J'ai pu cependant les faire pénétrer chez Don Bosco par la petite porte. Elles se sont montrées très reconnaissantes.

                ... Il est 6 Heures, le salon est encore plein; plus de chaises, toutes sont occupées; j'écris à genoux.

                Quand, avant de partir, Don Bosco est entré dans le salon pour donner une bénédiction générale, quelle affreuse bousculade! On s'est rué sur lui. Les uns criaient: Mon Père, mon fils a la fièvre, ... mon père, j'ai une loupe... mon père, mon fils me fait du chagrin, les autres: j'ai ceci, j'ai cela etc. etc. Il y en avait aussi qui, armés de ciseaux, profitaient de la foule qui pressait le Saint, pour couper sa soutane et se faire des reliques. Nous avons été huit heures debout au moins.

                Samedi 21. Même affluence mais tout est organisé avec ordre. Ce n'est pas comme hier. Nous avons donné des Nos et obligé les personnes à inscrire leurs noms.

                La première audience a été accordée à la famille Le Conédic. La foule est également distinguée. On nous pose les questions les plus bizarres. « A quel ordre appartenez-vous? - A l'ordre des bons chrétiens, répond l'une de nous. - Quelles oeuvres faites-vous? - Celle de vous recevoir - Veuillez me dire quelle est la maison hospitalière dans laquelle je suis? - Vous êtes chez Mlle de Sénislhac, etc. - L'Abbé Sire de St-Sulpice a fait une longue pause, il avait, avec lui, une dame qui m'a proposé de me remplacer dans mon office. Je l'ai remerciée de son obligeance interessée.

                Un prêtre est venu avec sa philothée inventeresse d'un fusil perfectionné' qu'elle tenait à faire bénir à Don Bosco. Tous deux voulaient passer hors les rangs. Nous n'avons pas permis.

                Dès que l'audience est ouverte, Mlle jacquier, munie du double de la liste faite à l'entrée des personnes, appelle les Nos correspondants à leur nom. Pour moi, je fais entrer par une petite porte les personnes munies de cartes de Don Bosco ou d'un mot de Mr de Barruel sollicitant entrée immédiate. Je fais entrer aussi les personnes infirmes ou recommandées par nos amies. Ce n'est pas toujours facile, quand on s'en aperçoit au salon, ces petits tours soulèvent de vraies rumeurs. On crie à la souricière. Nous entr'ouvrons quelque fois chacune notre porte pour nous faire des signes d'intelligence. Cela fait sourire le bon Don Bosco qui reçoit, avec une patience inaltérable bien des ennuyés et bien des ennuyeux. [478]

                Ce soir, à la levée de l'audience, il était près de 9 Heures, 6o familles avaient eu leur entretien particulier. Etant restées seules avec les quelques personnes qui accompagnent le saint, nous nous sommes agenouillées de chaque côté de la table pour demander au Père sa bénédiction. Il nous a bénies et nous a dit que nous sommes ses deux anges gardiens.

                Dimanche 22. Depuis six heures du matin on réclame Don Bosco. C'est à n'y pas tenir? Madame de Combaud a été fort aimable; elle est venue et nous voyant sons une pareille presse, elle a compris qu'il ne nous serait pas possible, à nous mêmes, de voir Don Bosco à notre aise et elle a mis sa maison à notre disposition.

                Mr l'Abbé Sire a encore passé une partie de la journée à attendre son tour. Il observe tout et n'a cessé de se promener dans le salon, dans l'antichambre. Il m'a montré un splendide volume de la traduction du dogme de l'Immaculée Conception qui vient-d'être achevé et qu'il va expédier à Rome. C'est un magnifique travail d'enluminure; il y a des pages qui valent plusieurs milliers de francs. Le volume en question contient la traduction du Dogme dans les différentes idiones de l'Aunis; il est offert par la ville de la Rochelle. Une délicieuse page entr'autres représente deux paysans sur les bords de la Charente. L'un demande à l'autre quel dogme vient de proclamer Pie IX. Ce dogme est en latin: comment le connaître? L'autre, alors, raconte en patois le contenu de la bulle à son compatriote.

                Lundi 23. Mademoiselle de Sénilshac absente depuis le début des audiences rentre ce jour de Montluçon.

                Nous avons à la fois ouvroir et réception de Don Bosco. Grande complication. Mais Mlle de S. étant là tout se simplifie. La première audience est réservée pour les Dames de l'ouvroir. L'ouvroir se tient dans la 2-de chapelle. Ces Dames n'étant pas, toutes présentes à l'ar-' rivée du Saint, se réunissent à 5 H. seulement dans l'antichambre. Don Bosco leur dit quelques paroles très courtes et les bénit. Mme du Bonésic cherche à organiser les quêtentes pour le sermon de Don Bosco.

                Mardi 24. La première audience est donnée au personnel de la maison.             

                Une jeune veuve ayant remis à Don Bosco sa bague de fiançailles, d'un grand prise, il a eu la pensée de la mettre en loterie et c'est Mme de Combaud qui accepte l'organisation de cette loterie; l'Institutrice de ses filles vient tous les jours au salon pour placer des billets. Ce soir, Mlle de Sénislhac a demandé à Don Bosco en l'accompagnant d'inviter des messieurs à venir nous prêter main forte pour le maintien de l'ordre; il a répondu que les dames seules avaient le patience nécessaire.

                J'ai mis des livres sur la table du salon pour aider à passer le temps à ceux qui font des pauses de plusieurs heures. La Notice de Don [479] Bosco, que j'y avais mise comme étant le plus propre à interesser, a disparu. Nous avons loué 4o chaises les nôtres étant insuffisantes.

                Mercredi 2$. La foule augmente... Mlle de S. a demandé la Messe de Don Bosco à Don Barruel qui l'a promis, mais je redoute bien l'envahissement de la maison par les étrangers qui suivent Don Bosco, chaque matin, où il va célébrer.

                Don Bosco reçoit beaucoup d'argent; Mlle jacquier voit remettre des poignées d'or; moi je présente toujours a Don Bosco quand -il arrive un énorme paquet de lettres contenant des billets de banque. Souvent je ne donne à Don Bosco que les plis que l'on me recommande pour lui seul. Je donne les autres à Mr de Barruel qui, installé dans notre salle commune y dépouille le courrier, recueille les billets, répond aux demandes, propositions etc. etc.

                Toutes les fois que Don Bosco quitte la maison il appelle sur nous les bénédictions du Ciel d'une façon fort touchante: « Je prierai Saint job de vous donner la patience; vous en aurez bientôt assez d'avoir Don Bosco chez vous! ».

                Jeudi 26. Grande affluence! Le soir Don Bosco était attendu par deux équipages: l'un de Mr de St-Phalle chez lequel il devait dîner; l'autre d'une malade qui demeure près de la gare du Nord. Il était huit heures du soir lorsque Don Bosco finit l'audience. Le jeune de St-Phalle était impatient de l'emmener dans sa famille réunie depuis 6 Heures pour le recevoir, mais il ne parut pas s'en préoccuper et dit avec grand calme qu'il irait chez lui, dans un moment, après avoir visité le maJade.

                Une petite sourde muette venue de la campagne, des environs de Paris, attendait son tour avec deux femmes de sa parenté.-Les pauvres femmes se lamentaient voyant arriver l'heure du départ du chemin de fer. « Nous ne sommes pas assez riches, disaient-elles, pour faire deux voyages, sacrifier deux journées... ». Nous nous sommes laissées toucher et les avons fait passer. Elles sont sorties de la Bibliothèque enchantées. Don Bosco a dit que la jeune personne parlerait lorsque ses deux frères seraient Dominicains.

                On nous apporte grand nombre d'objets à faire bénir: chalepets, médailles, images, etc. Une dame auteur nous a fait présenter sa plume pour être bénite; d'autres nous ont apporté des plumes neuves pour servir à Don Bosco dans les signatures qu'il donne et leur servir de reliques; d'autres encore plus avisés, tandis que le saint est entouré parla foule, au moment de la bénédiction générale lui prennent les cheveux ou coupent des morceaux de sa soutane. Je distribue à la porte de sortie des bulletins Salésiens pour faire connaître l'oeuvre de Don Bosco. Que de petits « Bréviaires du Sacré Coeur » nous eussions pu placer ainsi; mais la grande délicatesse de Mlle de Sénislhac ne lui a pas permis de profiter de cette circonstance.

                Un libraire s'étant aperçu que l'on donnait pour tickets de simples [480] papiers blancs, nous a envoyé et nous envoie tous les jours un paquet de ses cartes; d'un côté est son adresse et les œuvres de Don Bosco dont il est dépositaire, de l'autre j'écris le jour d'audience et le No d'ordre. Personne n'a idée de la presse des gens, à z H. après midi, pour se précipiter à qui le I-er vers la bienheureuse table d'inscription. Au milieu de tant de dames empressées pour voir Don Bosco et qui invoquent pour arriver à leurs fins toutes les protections, titres et recommandations possibles, il y en a une masse qui sont poussée par la curiosité la plus inconsciente. Au moment d'entrer, il leur arrive de nous faire des questions telles que celles-ci: «Qu'est-ce qu'on dit? ... Comment parle-t-on à Don Bosco... quelles cures opère Don Bosco? ... Lui parle-t-on à genoux? etc. etc.

                Vendredi 27. Nous recevons aujourd'hui Monseigner Perraud. Peu avant son arrivée, Mme de Bouillé est venue munie d'une carte sur laquelle Mr le Curé de la Madeleine nous prie d'obtenir de Don Bosco qu'il .fasse une visite au petit fils des deux Bouillé morts à Patay en tenant le drapeau du Sacré Coeur. La carte était détrempée des larmes de la malheureuse dame qui m'a raconté que l'enfant était en proie à une fièvre typhoïde qui ne laissait plus d'espoir de guérison aux médecins. Elle me demanda de l'eau de Lourdes que je lui remis en lui promettant de faire le possible auprès de Don Bosco et me souvenant de ce qui est arrivé, hier, entre Mme de St-Phalle et une malade je lui dis qu'elle ferait bien, vers cinq heures, d'envoyer une personne de sa famille et un équipage pour emporter le saint homme. Les R. P. Godard et Lenoir ayant sollicité audience j'ai introduit le P. Lenoir; je n'ai pas pu en faire autant pour le P. Godard, Mr de Barruel a été terrible. Vers le milieu de l'audience, il est monté pour lire le courrier de Don Bosco; je l'ai laissé aller me proposant de ne pas tarder à lui présenter la supplique de Mme de Bouillé. J'étais à mon poste, lorsque mon attention est attirée par une conversation animée au bas de l'escalier. Bientôt une dame arriva jusqu'à moi toute bouleversée, poussant des gémissements lamentables qui appelaient la compassion de la foule pressée dans l'antichambre. C'était la Duchesse Salviati, dont la charmante fille, âgée de seize ans, entrait en agonie. Elle voulait arriver jursqu'à Mr de Barruel et obtenir.à tout prix la visite de Don Bosco. Après quelques hésitations, j'allai enfin chercher le secrétaire qui arriva pour être témoin d'une scène de larmes et promettre la visite sollicitée. Moi, sitôt après le départ de cette Dame je monte près de Mr de Barruel pour lui présenter la supplique en faveur des Bouillé et la carte de Mr le curé de la Madeleine. Il m'écouta à peine et refusa en termes qui ne laissaient pas la possibilité d'insister. Mais j'avais confiance que mon petit conseil serait suivi. En effet, à 5 H. 1/2, un équipage s'arrêta dans la cour; l'oncle du jeune malade accompagné du Père Argant vint à moi... Comment faire pour interrompre l'audience? Don Bosco est là depuis à peine [481] une heure et plus de cent personnes l'attendent depuis près de midi. Mr de Barruel présent sur le pallier était inflexible comme une roche devant l'infortuné vieillard qui s'arrachait les cheveux de désespoir et criait: «J'ai promis à la mère de l'enfant de lui ramener Don Bosco, je ne puis rentrer sans Don Bosco! ». Mlle de Sénislhac fut émue jusqu'au fond du coeur et frayant dans le salon un passage à M. de Bouillé elle explique le cas si éloquemment que l'émotion se gagne de proche en proche, au nom du héros de Patay, personne n'osa faire valoir ses droits d'entrée près de Don Bosco, on s'inclina avec respect, le vieillard entra; en quelques minutes, aidé du Rd Père Argant, il avait triomphé de Don Bosco et l'emmenait au grand galop près du petit mourant.

                Samedi 28. Cet après midi, la foule de Don Bosco a été terrible. La première audience a été pour Monseigneur de Fougerais.

                Tandis que j'avais toutes les peines du monde à garder mon poste et à empêcher les envahissements, vers 4 H. une dame vêtue de noir, mais aux allures singulièrement masculines m'a demandé Mr de Barruel; il était en haut, occupé à son courrier et j'avais ordre de ne pas le déranger. Je répondis négativement. « Je sais qu'il est ici, reprit avec aplomb l'inconnue, il est au 2d Etage, et je monterai». Le ton impertinent avec lequel elle appuya sur ces derniers mots me donna la hardiesse de lui répondre: «Vous ne monterez pas, vous respecterez la maison et les ordres que l'on vous y donne ». Elle s'élançait vers l'escalier et j'allais l'arrêter par le bras lorsque Mlle de Sénislhac, attirée par le bruit, arriva et lui signifia qu'étant chez elle, elle lui interdisait d'entrer dans les appartements. « Vous êtes Mlle de Sénislhac? » demanda l'impertinente. «Oui Madame ». Aussitôt elle se radoucit, entre en confidences, dit ce qu'elle voulait communiquer à Mr de Barruel; une invitation à dîner pour lui, pour Don Bosco et le P. Forbes, le lendemain chez elle. C'était Mme d'Arsc.

                Dimanche 29. Sermon à 3 H. par Don Bosco à la Madeleine. Tous ces jours ci, j'ai distribué à ses visiteurs des prospectus et listes de quêteuses. Nous n'avons pas audience aujourd'hui; demain sera la dernière. Le saint homme va partir pour Lille et nous allons entrer en retraite.

                Mlle de Sénislhac a reçu une lettre de Mr Sakakini, consul général du Shah de Perse en France. Cette lettre de quatre pages a pour but de demander une visite de Don Bosco pour Mme Sakakini malade depuis deux ans.

                Vendredi, il paraît que le Docteur Guillon a fait des plaintes parce qu'il y avait encombrement dans la rue et dans la cour. Il a été jusqu'à écrire à Mme de Lavau, propriétaire de la maison et a menacé le concierge de le faire chasser. Mais ce dernier ne s'est pas déconcerté et a déclaré que dans la multitude qui envahissait la rue et la cour, il reconnaissait tous les amis de ses maîtres et ne pouvait les chasser. [482] Lundi 30 avril. Malgré tout le bonheur que nous avons d'être au service de Don Bosco, nous sommes si fatiguées que nous n'en pouvons plus. Nous avons pris un très fort mal de gorge à répéter toujours la même chose a des gens qui n'entendent rien parce qu'ils sont enragés d'attendre.

                Le Rd Père Chauveau et l'Abbé Lebeurrier ont eu la ire audience. Tous deus se sont mis à genoux devant le saint avec une humilité bien touchante.

                Don Bosco est arrivé' tard, il était tellement entouré dans la rue que pour venir de chez Mr le Curé, c'est-à-dire du N° 8 au N° 27, il a mis une heure et demie! Aussi était-il extrêmement fatigué. Il a demandé à Mlle jacquier quelque chose pour boire. Elle lui a vite préparé un mélange d'eau tiède et de malaga.

                En traversant la cour, on lui présenta un petit enfant infirme couché dans une voiture. Il regarda l'infirme et dit: Si Don Bosco était seul il ferait marcher l'enfant, mais il y a là trop de monde; l'enfant marchera le jour-de l'Assomption; s'il est encore couché il écrira à Don Bosco: «Don Bosco, vous ne savez pas prier ». Les parents furent enchantés, et Mme de Lespérut témoin de cette petite scène nous l'a rapportée elle-même.

                Vers le milieu de l'audience, j'entendis un léger mouvement dans la Bibliothèque; j'étais allée faire une commission à Mlle jacquier, Mr de Barruel gardant la porte de sortie. Me doutant d'une invasion par la porte de l'antichambre, je me hâtai d'entrer par le porte de Mlle jacquier; Mr Barruel soupçonnant le même délit pénétra par ma porte brusquement et avec un air sévère. Nous ne nous étions trompés ni l'un ni l'autre: un groupe de dames s'était introduit par l'antichambre, nous les fîmes sortir non sans peine: l'une d'entre elles se jeta à genoux entre le secrétaire et moi, les mains jointes; elle supplia tant, qu'on la laissa.

                Pour me débarasser d'une masse d'importuns, j'ai la liste des églises et chapelles dans lesquelles Don Bosco doit célébrer la Messe et j'invite à y aller pour lui parler soi disant plus facilement.

                Mr de Barruel avant de remonter me donna un ordre formel de ne laisser entrer personne, en dehors des Nos, à l'exception toutefois, dit-il (de façon à être entendu de tous) de Mme de Martimpré qui entrera dès qu'elle se présentera. A peine était-il en haut de la rampe' qu'une femme du peuple crie: «Madame de Martimpré! » poussant en avant une jeune femme pieds nus, vêtue de haillons, tenant dans ses bras un enfant souffreteux, prêt à mourir. Le visage hâve de la mère, encadré d'un foulard d'indienne, son regard plein de désir et d'an- - xieté, rendait intéressante au dernier point cette malheureuse créature. Sur l'interpellation de la vieille, la foule respectueuse devant une telle incarnation de la misère se sépara en deux haies pour la laisser. passer. J'ouvris la porte, mais je venais de la refermer lorsque Mme [483] de Martimpré, la vraie, se présenta. Je me fâchai alors contre la vieille qui m'avait trompée; mais elle me dit de ne point regretter un acte de charité. «La pauvre femme qui est entrée, dit-elle, est venue ici en pélerinage, pieds nus, du fond de la Bastille pour faire bénir son enfant au Saint ». En même temps l'abbé de Barruel descendit et, entrant chez Don Bosco, donna une verte admonestation à la fausse Mme de Martimpré. Celle-ci avait ce que son ceeur désirait, Don Bosco avait béni l'enfant et promis qu'il vivrait; elle sortit ivre de joie.

                Mme Vauquelin étant arrivée, je comptais un peu sur elle pour l'ordre, mais elle a fait le contraire de ce que j'espérais. De son côté. Mlle de Sénilshac tout en menaçant des gens de police, ouvrait les bras la foule qui entrait et débordait indiscrètement partout. L'audience a été courte mais exterminante; encore fallait-il morigéner avec toute sorte de politesse, ce public d'élite, qui, ne trouvant pas de place au salon ou dans l'antichambre stationnait sur le-palier et sur les marches de l'escalier. J'ai vu ainsi assise à terre les premières dames de France: de Rohan, de Rozenbau, de Freycinet, etc. Vers le soir, Mme de Curzon venue pour la retraite, se glissa sur une chaise, près de la porte, pour voir Don Bosco quand il sortirait. A ce moment on se précipite impitoyablement sur le pallier. J'étendis les bras pour protéger Don Bosco et Mme de Curzon, mais je ne pus résister au flot; je poussai un cri désespéré appelant le secrétaire à mon secours; il vint et me prêta main forte contre ces dames dont l'une se laissa rouler à terre plutôt que de céder. Le pauvre Don Bosco ne puvait marcher mais Mme de Curzon reçut une bonne bénédiction tandis que la dame renversée se relevait. Ville eut aussi de bonnes paroles du Saint. Pour moi, j'avais mes intentions dans ma poche. Don Bosco me regarda assez longuement et me dit: « Vous visiterez ma table afin que si j'ai oublié quelque chose d'utile vous puissiez me le rendre ». Mr de Barruel et Mr l'Abbé Sire avaient soigneusement dépouillé le courrier, pourtant j'ai pensé que Don Bosco n'avait pas parlé-en vain; j'ai donc fait l'inventaire des papiers déchirés et j'ai trouvé 30 fr. que Mlle de Sénislhac va remettre à Don Bosco.

                La Marquise de R. dont la voiture était dans la cour l'offrit au saint religieux. Elle ouvrit elle-même la portière de l'équipage pour l'y faire monter et conduire où il voudrait. Il lui dit: «je vous remercie et je vous souhaite cent carosses pour aller en Paradis».

                Lundi 21 Mai. Don Bosco, de retour à Paris, est venu cet après midi. en entrant, il m'a demandé si j'avais bien récité un Pater en l'honneur de St-Job pour obtenir la patience nécessaire pendant la réception. J'ai souri, puis j'ai apporté une grosse de médaille pour Mlle jacquier et autant pour moi afin que le bon Père les bénisse; mais lui me dit: «Don Bosco n'a plus de médailles, peut-il en prendre [484] dans celles que vous lui présentez? « Oh oui, Père, répondis-je, puisez tout ce que vous voudrez». « Il vous en restera», m'a assuré le saint homme. Mais hélas, sa prédiction ne s'est pas réalisée: à la fin de l'audience, il ne restait des deux grosses que les enveloppes. Pourtant nous ne pouvons dire que nous sommes sans. médailles de Don Bosco; il. nous reste celle que Mlle de Sénilshac a fait bénir pour nous toutes. Ainsi le saint homme a dit vrai et nous a donné une leçon en nous montrant que le bien de toutes doit nous suffire; les petites réserves particulières ne valent rien.

                Vivement sollicitée par Mr et Mme de le Borde pour avoir sûrement un entretien avec Don Bosco, Mlle de Sénilshac a eu l'excellente pensée de leur conseiller d'aller chercher à Neuilly en voiture le bon Don Bosco et de nous le ramené; ainsi ils ne l'ont pas manqué. La première audience a été accordée à Mme Olgier de Boulogne. Mlle a été si reconnaissante qu'en sortant de la Bibliothèque, elle nous a- remis 40 frs pour nos oeuvres. Le salon était encore littéralement bondé. Parmi les patients, j'ai remarqué Mrs Balsan, de Rivière, de Puitré, d'Hulst, de Fitz J ames etc: Mme de Champeau a vu ces jours-ci le roi de Naples tout triste de l'oubli dans lequel Don Bosco l'a laissé, tandis qu'il demeure assez près d'ici: Hôtel Vouillemond. Mlle a chargé Mlle de Sénilshac d'exprimer le désir et la peine du Roi à Don Bosco. Mlle de Sursy de Versailles est venue également à l'audience.

                Jeudi 24 Mai. Ce soir, nous sommes toutes allées à 8 H. faire une visite à Don Bosco.

 

23.

 

Due inviti importanti faiti a Don Bosco in Parigi.

 

                Monsieur l'Abbé [Don De Barruel],

                Dans l'espoir que vous ne m'avez trop gardé rancune de mes importunités, je prends la liberté de venir vous rappeler mon désir d'être avisé de ce que le R. D. Bosco pourra accorder de sa présence aux séances du Congrès Catholique, que j'avais été chargé de solliciter.

                Sa présence serait bien désirée également aux fêtes du cinquantenaire de la Société de St. Vincent de Paul, ne fût-ce qu'à la dernière réunion du mardi 8, à 8 h. du soir au Cercle catholique rue du Luxemburg, 18.

                Permettez-moi aussi, je vous prie, de joindre à ma requête ce mémento de ma pauvre sueur et la nouvelle assurance de tous mes sentiments les plus destingués et les plus dévoués.

                Paris, ce 5 mai 1883.

                Votre reconnaissant

CH. DE CROZE. [485]

 

24.

 

L'abate di Solesmes a Don Bosco.

 

PAX,

                Mon Révérend Père,

                Je sais que plusieurs de nos Pères vous ont sollicité de venir jusqu'à Solesmes, entr'autres le Rév. Père Fabre, de Marseille. Il me dit que vous lui avez fait une quasi promesse et j'en ai été très heureux. Vous me permettrez, mon Révérend Père, d'y, joindre de nouvelles instances en mon nom et au nom de tous nos Pères.

                L'un d'eux a si grand besoin de vous voir qu'il me prie de l'envoyer à Paris immédiatement, si je ne puis lui donner l'assurance de votre visite. Vous me pardonnerez donc, Mon Révérend Père, si je vous prie de vouloir bien me faire donner une réponse par votre secrétaire.

                Je n'ai pas besoin de vous assurer que nous prions pour le succès de toutes vos oeuvres; mais combien nous vous serons reconnaissants si vous voulez bien prier et faire prier quelque fois vos petits enragés pour de pauvres Moines chassés de leurs cloîtres.

                Agréez, ecc.

                Solesmes, 20 avril 1880.

P. CHARLES COUTURIER

Abbé de Solesmes.

 

25.

 

Tre lettere dol benedettino Don Mocquereau.

 

A.

 

                Ma chère Mère[359],

                De retour de ma première course à Paris, je vous écris de suite, car je pense que vous êtes avide de nouvelles, vous et Mère Hildegarde. Je me suis rendu d'abord rue Monsieur. C'était sur le chemin de l'Avenue de Messine. Très bien reçu par la prieure qui m'a fait dîner: j'avais grand faim. Puis je pars pour l'avenue de Messine, 34, en voiture. J'arrive vers une heure et demie, deux heures. Je demande au concierge Madame la Comtesse de Combaud.

                - C'est pour Don Bosco? - interrompt la femme du concierge. [486]

                - Non, lui dis-je. C'est Madame la Comtesse que je demande. C'est à elle que j'ai affaire.

                - Alors, montez; nous allons l'avertir.

                Le valet qui vint m'ouvrir me fit encore plusieurs difficultés. Je tins ferme et enfin j'entrai.

                Madame de Combaud arriva immédiatement avec sa fille. Réception fort gracieuse. Toutefois, au premier moment, on voulut m'envoyer rue de la Ville-l'Évêque. Mais ces dames comprirent promptement que j'y perdrais mon temps. Don Bosco est introuvable. Il part. à 7 h. du matin et ne rentre qu'à 11h½ du soir, harassé de fatigue.

                Venez, me dit la mère, puisque vous avez vraiment une communication importante à lui faire, je m'en vais arranger cela. Demain matin, vendredi, il doit aller dire la messe assez loin d'ici. Venezdemain matin à ,7 heures, je lui donnerai une voiture à deux places seulement; vous monterez avec lui et pendant une demi-heure au moins vous pourrez =lui parler tout à votre aise. C'est le seul moyen de le joindre. Et puis, vous l'aurez le matin, c'est avantageux, car le soir il est mort de fatigue et ne peut rien dire, ni rien entendre. Dono à demain!...

                Je remerciai beaucoup ces dames et e partis.

P. ANDRÉ MOCQUEREAU.

B.

 

                Mon Révérendissime Père[360],

                Je vous écris de chez ma soeur, où je suis arrivé hier soir. Aussitôt arrivé à Paris, mercredi dernier, je me suis rendu chez Madame de Combaud, avenue de Messine, pour lui demander de vouloir bien me procurer un tour de faveur afin de voir Don Bosco.

                Cette dame me reçut très gracieusement et me dit combien c'était difficile d'approcher du saint homme. Cependant elle m'indiqua un excellent moyen. Elle m'autorisa à me présenter chez elle le lendemain matin à 7 heures.

                - Don Bosco, me dit-elle, va dire la messe assez loin d'ici. Vous monterez dans sa voiture et vous pourrez ainsi lui parler facilement. Ce qui, en effet, se passa ainsi. Pendant une demi-heure, j'ai pu lui parler tout à mon aise et lui exposer le but de mon voyage. - Je vous bénirai spécialement, me dit-il, tout à l'heure à la sacristie. Vous direz tous les jours trois Pater, trois Ave, trois Gloria Patri et invoquerez la Vierge Auxilium Christianorum. Je vous donnerai aussi une médaille.

                Puis il me donna des intentions pour la messe que je lui ai promise [487] et me dit aussi en souriant d'essayer de chanter la messe dimanche prochain.

                En arrivant à la sacristie de la maison religieuse où nous allions, il nie fit mettre à genoux devant une statuette de la Sainte Vierge et récita debout à côté de moi un Pater, un Ave, un Gloria et quelques oraisons. Puis il me mit la main sur la gorge et me renvoya en paix et très consolé de cette longue entrevue. J'attends maintenant avec grande confiance.

                Je lui ai parlé aussi de plusieurs autres affaires et en particulier du voyage à Solesmes. Je crois qu'il ne pourra pas facilement s'échapper. Le pauvre homme est harassé de fatigue. Sa journée commence à six heures du matin pour se terminer à onze heures et minuit. l'a foule le suit partout et son nom à Paris est dans toutes les bouches.

                Il me reste à vous remercier, mon Révérendissime Père, de la grande faveur que vous m'avez accordée. J'espère que ce voyage déterminera enfin ma guérison et que je pourrai me livrer avec plus de facilité à la pratique du chant grégorien.

                Veuillez...

                St-Michel-s-Orge (S. et O.).

P. ANDRÉ MOCQUEREAU.

 

C.

 

                Ma chère Sceur,

                Je suis à St-Michel. Avant de parler de St-Michel, parlons de Paris et de Don Bosco. Vous savez déjà que je devais voir Don Bosco pendant le trajet de la rue de Messine à la rue La Chaise où il devait dire la messe chez les Dames de la Retraite. Je suis arrivé à 6h.1/4 rue de Messine. Le portier me fait entrer dans sa loge, et j'attends en surveillant le grand escalier. Je n'osai pas à une heure si matinale me présenter et sonner chez Mme de Combaud.

                Après dix minutes d'attente et de perpetuelle recommandation aux bons Anges, j'entendis quelqu'un dans l'escalier, une dame vient à moi et me fait monter dans les appartements de Mme la Comtesse. Je devine dans mon introductrice Mlle de Pouan institutrice. Il est 6 h. Y2. Je demande a Mlle de Pouan si comme me l'a promis Mme de Combaud on a averti hier au soir Don Bosco que je dois monter ce matin dans sa voiture. - Il est rentré à minuit, me dit-elle, et nous n'avons pu le prévenir. - Je m'inquiète, craignant que de son côté, Don Bosco ou son secrétaire n'ait promis cette faveur à un autre que moi.

                A 7h. arrive une dame de compagnie de Mme la Marquise de..., qui envoie sa voiture, un coupé, afin que Don Bosco s'en serve pour aller rue La Chaise; cette marquise veut avoir ainsi un souvenir de [488] Don Bosco. A 7h. ¼ madame la vicomtesse de... arrive avec sa voiture pour transporter Don Bosco rue La Chaise, elle veut que son coupé soit sanctifié pa's la présence du nouveau Vincent de Paul. Pendant l'arrivée de toutes ces marquises et de tous ces coupés qui compromettent fort tous mes projets, je me recommandais vigoureusement à mon Ange Gardien, et je me consolais en pensant qu'en ce moment vous étiez avec notre maman à la messe de communion.

                Mlle de Pouan pendant toutes ces démarches avait disparu. Après quelques instants elle revint triomphante et me dit: - Mon Père, il est convenu avec Don Bosco que vous monterez dans la voiture de Mme la Comtesse de... avec lui et son secrétaire. C'est une chose promise. - En somme l'institutrice avait manoeuvré en ma faveur et j'étais sûr de voir Don Bosco. Merci aux bons Anges.

                Vers 8h. moins un quart Mme de Combaud entre au salon, m'annonçant que Don Bosco était sur le point de sortir de sa chambre. En effet après quelques minutes, je lui fus présenté au moment où il sortait. Je me jetai à ses pieds en lui demandant sa bénédiction qu'il me donna en prononçant la formule ordinaire. Je le remerciai de vouloir bien m'accueillir dans sa voiture pendant le petit trajet de ce. matin. - Bien, bien, me dit-il, partons.

                Le pauvre Don Bosco est bien cassé et son portrait que vous connaissez est bien loin de la réalité. Il porte au moins 70 ans; il marche fort difficilement. Au premier moment je fus un peu étonné de trouver un saint si ordinaire dans toute sa personne. Barbe longue, cheveux mal peignés et longs se dirigeant de tous côtés, avec grand désordre. De plus, habits bien râpés, le col de sa douillette est d'un vert passé etc. Voilà pour l'extérieur. Ce premier moment fut donc purement naturel chez moi.

                Avant de descendre le secrétaire vint lui dire qu'il y avait du monde dans l'escalier, mais qu'il ne devait pas s'arrêter parce que nous etions déjà en retard.

                Nous sortons donc; une dame l'arrête au premier étage; Don Bosco se laisse faire. Je m'arrête à quelques marches afin de ne pas le lâcher. Je le vois qu'il écoute avec un véritable intérêt cette pauvre dame. Il descend un peu plus bas et rencontre une vingtaine de personnes. Une dame, jeune femme, lui dit: - Mon Père, guerissez-moi, sur 24 h. je suis obligée de rester dixhuit sur le lit. - Mettez-vous à genoux, - dit Don Bosco. Elle se met à genoux sur une marche de l'escalier. Don Bosco à côté d'elle recite le Pater, l'Ave etc. et la bénit. Là j'ai vu, j'ai senti le saint.

                Une marche plus bas une mère lui présente ses deux fils, 14-16 ans; il les bénit en appuyant fortement sa main sur leurs têtes. Il descend un peu plus bas; une dame m'aborde et me dit: - Je vois que vous êtes avec lui. Veuillez donc lui dire qu'il monte dans ma voiture. Je suis Mme de... - Je réponds que je n'y puis rien. Bref il met 20 [489] minutes à descendre son escalier, accroché à chaque marche par quelques suppliants ou suppliantes.

                Un moment je cours en avant vers la voiture que nous devions prendre et je dis au cocher: - Vous savez que vous allez rue de La Chaise; allez très doucement, plus vous mettrez longtemps, plus votre pourboire sera fort. - Je reviens trouver Don Bosco qui est encore dans l'escalier. J'abrite. Nous montons. Impossible d'éviter le secrétaire qui me dit qu'il espère bien qu'il ne me gènera pas, car il est tenu au plus strict-secret. Ne pouvant le mettre de côté, nous montons tous les trois et nous partons petit train.

                Aussitôt j'exposai le but premier de mon voyage, mon état de santé. Don Bosco m'écoutait en fermant les yeux et repondait par quelques bien, bien. - Je vous bénirai, me dit-il, en arrivant à la, sacristie chez les Dames de la Retraite, je vous donnerai une médaille, puis vous direz tous les jours 3 Pater, 3 Ave, 3 Gloria et l'invocation Auxilium Christianorum. Quant aux messes que vous me promettez vous les direz aux intentions de la sacristie de notre maison de Turin.

                - Je lui dis aussi: - Mon Père, faudra-t-il essayer à chanter la messe dimanche prochain? - Oui, me dit-il en me regardant en souriant, oui, essayez, essayez.

                Je passai ensuite à l'affaire de... Je lui donnai la lettre et comme il avait quelques difficultés à la lire, je lui demandai la permission de la lui lire moi-même. Ce que je fis avec conviction, en appuyant sur la date et sur les obstacles insurmontables, et en commentant la lettre. Au mot de la fin, le secrétaire qui disait son bréviaire s'interrompit, dressa l'oreille et regarda Don Bosco. Le bon homme sourit très tranquillement et comme il ne disait rien, je le pressais; il me dit pacifiquement: - Attendez, attendez, il me faut prier, il me faut prier le bon Dieu. - J'attendis un instant, puis il reprit: - Dites à ...: à celui qui donnera il sera donné. Il faut qu'avant... elle fasse beaucoup d'oeuvres de charité. - Puis après un moment de silence: - Il n'est pas nécessaire qu'elle donne aux oeuvres de Don Bosco, il y en a bien d'autres, mare magnum, les orphelins, les missions, etc. etc. Qu'elle donne et il lui sera donné. Elle dira les mêmes prières que vous et je vous donnerai une médaille pour elle.

                Le temps me presse, il faut que je termine. Nous mîmes bien 25 à 30 minutes pour faire un parcours de l0 à 15 minutes.

                La Rue La Chaise était encombrée de fiacres et d'équipages. La foule remplissait la cour. Au moment où Don Bosco descend de voiture, on se précipite vers lui, on lui fait toucher des médailles, des chapelets, on crie de toutes parts vers lui pour lui recommander des intentions, des malades. Le pauvre Don Bosco traverse la foule avec une tranquillité parfaite, il bénit à gauche, à droite, touche les malades qui se trouvent sur son passage. Je suis à côté de lui, je le protège avec son secrétaire contre la foule. Avec peine nous avançons pas à [490] pas. Une petite fille muette lui est présentée, il la touche et passe.

                D'autres se désolent parce qu'il n'a pu les toucher. Enfin je n'ai jamais' vu foi plus -admirable du côté de la foule, et calme plus parfaite du' saint homme. Le bon Dieu m'a fait encore une grande grâce de voir un spectacle semblable.

                Enfin nous entrons à la sacristie. Don Bosco me fit agenouiller devant une Madonne. Debout à côté de moi il récita le Pater, l'Ave, quelques oraisons, me donna une large bénédiction e pour la santé du corps et la sainteté de l'âme », me posa sa main sur la gorge quelques instants et enfin s'habilla pour sa messe. J'y assistai.

                Mais je n'ai pas le temps de vous en parler. A demain peut-être si j'ai. le temps d'écrire. Suis-je guéri? non pour le moment. Demain comme il me l'a dit, je vais essayer de chanter la messe à St-Michel. J'ai grande confiance...

F. ANDRÉ MOCQUEREAU

 

26.

 

L'abate Moigno a Don Bosco.

 

                Mon Révérende Pèr,

                Permettez à l'un de vos enfants, de vos associés, de saluer votre bonne venue à Paris.

                Je serais bien heureux de vous voir; que vous seriez aimable si Vous m'en fournissiez l'occasion, en me donnant, rendez-vous quelque partl je ne vous demande que quelques minutes d'audience, le temps de recevoir votre bénédiction. Qui sait si votre coeur ne vous inspirerait pas de venir à S. Denis[361] au tombeau du grand apôtre de Paris, vénérer ses saintes et insignes reliques et saluer l'asil de la paix.

                Après avoir dit là Messe á l'autel de la Confession vous accepteriez le petit déjeuner de votre humble disciple.

                Je suis en union de vos SS. Sacrifices dans les sentiments du plus profond respect-

                26 avril 1883.

Votre humble confrère

l'Ab. F. MOIGNO.

 

27.

 

La Duchessa D'Aremberg a Don Bosco.

 

                La Duchesse d'Aremberg demande si le Révérend Père Don Bosco pourrait' lui accorder encore quelques minutes d'audience demain jeudi à l'heure et à l'endroit qu'il lui plairait d'indiquer. Elle se permet [491] de faire souvenir le Rév. Père que quand il viendrait en Belgique, il lui farait l'honneur de descendre chez elle à l'hôtel d'Aremberg selon la promesse qu'il lui a fait aujourd'hui.

Duchesse D'AREBERG

née Principesse D'AREMBERG.

 

                Adresse Hôtel de 1 'Europe jusqu'à 3 heures demain jeudi. Si j'avais le bonheur de causer avec le Révérend Don Bosco je remettrais mon  départ jusqu'à vendredi matin.

 

28.

 

La signora Philippart a Don Bosco.

 

                Madame Philippart remercie le révérend Père Don Bosco de la lettre qu'il a bien voulu lui adresser à Bruxelles chez. M Eug. Pécher. Elle est très heureuse de la neuvaine que l'on a commencée le 5 courant; elle s'y est unie et toute sa famille.

                Une grâce importante a été obtenue, car la mise en liberté a eu lieu le second jour de la neuvaine.

                Il y a des choses graves à décider et à-ultimer pour le bien spirituel et matériel de toute la famille. Ces choses doivent se décider pendant ce mois, aussi Madame Philippart supplie le révérend Père de vouloir bien faire continuer les prières. Elle voudrait aussi avoir la faveur de remettre au Révérend père Don Bosco lui-même l'offrande qu'elle destine pour les pauvres orphelins qu'il protège; elle le prie donc de vouloir lui indiquer le plus tôt possible le jour et l'heure et l'endroit où elle pourrait le voir.

                Paris, mercredi 13 mai

                rue Newton 4.

Mme PHILIPPART.

 

29.

 

Il Vescovo di Le Mans a Don Bosco.

 

                Mon Révérend Père,

                Monsieur Surmont qui vous remettra cette lettre, me demande une recommandation près de votre charité. Je resume tout ee que je pense sur M Surmont en vous disant que son âme me semble bien agréable au .bon Dieu. Vous jugerez facilement par là, mon Révérend Père, combien j'aime tendrement cet excellent diocésain, si dévoué aux intérêts de l'Eglise. Veuillez l'accueillir avec Votre bienveillance la [492] plus cordiale, et croyez que je garderais comme fait à moi-même tout ce que vous pourrez bien faire pour lui. ,

                je saisis avec empressement cette occasion, Mon Révérend Père, pour me recommander à vos prières et pour vous demander d'agréer l'assurance de mon tendre et respectueux dévouement.

                Le Mans, le 18 avril 1883.

en N. S.

HECTOR Ev. du Mans.

 

 

                Mon Révérend Père,

                J'ai grand besoin de vous voir et de recourir à vous. Ayant appris votre arrivée à Paris, je pars demain matin et j'espère que vous me pardonnerez l'indiscrétion de frapper à votre porte. Dans l'après midi je me presenterais chez vous et je serais bien reconnaissant si vous voulez bien me faire savoir à quel moment vous pourriez me recevoir.

                Mon Evêque veut bien me recommander à vous et je vous envoie sa lettre en même temps que celle-ci.

                Veuillez agréer, mon Révérend Père, l'hommage de mes sentiments filialement respectueux.

                Le Mans, 18 avril 1883.

A. SURMONT.

 

30.

 

Affiliazione dei Salesiani all'Ordine Carmelitano.

 

DECOR CARMELI

                Jésus, Marie, Joseph.

                Nous, Soeur Ignace Louise du Coeur de jésus, Prieure des Religieuses Carmélites du 3-me couvent de Paris, 23 Avenue de Messine. Etant assemblées en notre Chapitre, autorisées de Monsieur l'Abbé Le Rebours, Curé de la Madeleine, notre très-honoré Père Supérieur, de recevoir à participation ceux et celles qui nous en requerraient, et ayant regard au désir et à la piété du Révérendissime Père Don Bosco, et de sa Congrégation Salésienne, à l'affection qu'il porte à notre Monastère, et à la confiance qu'il témoigne avoir aux prières d'icelui, les avons rendus participants, de toutes les oraisons, communions, veilles, jeunes, abstinences, mortifications, solitude, silence, et autres exercices spirituels qui se font chaque jour, et qui s'y feront à perpétuité, avec la grâce de Dieu.

                Fait à Paris en notre dit Monastère le 21 mai 1883.

                Sr Marie des Anges Soeur Prieure.

                Sr Marie Louise, [493]

                Sr Emmanuel de la Réparation.

                Sr Anna Catherine du Coeur de jésus.

                Sr Joséphine du Saint Coeur de Marie.

                Sr Elizabeth de l'enfant jésus.

                Sr Béatrix de l'Im. Conception.

                Sr Eléonore de Saint Bernard.

                La Mère Thérèse de jésus.

                Sr Thérèse Philomène.

                La Mère Marie Henryette de Jésus.

                Sr Marie de Jésus.

                Sr Isabelle des Anges.

                Sr Louise de jésus Marie.

                Sr Thérèse de Saint jean de la Croix.

                Sr Marguerite de Saint Sacrement.

                Sr Magdaleine de Saint joseph.

                Sr Licinienne du Saint Esprit.

                Sr Anna Joachim de la Nativité.

                Sr Marie de la Présentation.

 

                De Notre Monastère de la Réparation et de la Sainte Face du Très-Saint Redempteur, des Carmélites de Paris, 23, Avenue de Messine.

 

                Mon très Révérend Père,

                La grâce de l'Esprit Saint remplisse votre âme.

                En reconnaissance de la bonté avec laquelle vous avez bien voulu venir célébrer le Saint'Sacrifice dans notre Chapelle et bénir la Communauté, nous sommes heureuses de vous offrir cette lettre d'affiliation, qui répond également au désir que vous avez exprimé d'être en union de prières avec notre petit Carmel. Ce serait un bonheur pour nous, mon Révérend Père, si vous voulez bien à votre tour, nous rendre participantes des saintes oeuvres et des prières de votre. fervente Congrégation, sur laquelle nous essayerons d'attirer de plus en plus lés bénédictions du Ciel par nos pauvres supplications. Dans l'expression de ces voeux, veuillez agréer, Mon Révérend Père, le religieux et profond respect avec lequel j'ai la grâce de me dire, aux pieds de jésus,

Votre indigne servante

Sr LOUISE DU COEUR DE JÉSUS

r. c. ind. Prieure.

 

                21 mai 1883.

 

                PS. Oserais-je vous demander un souvenir particulier devant le Bon Dieu pour la pauvre Prieure dont les besoins sont grands! [494]

 

31.

 

Luigi Veuillot e Don Bosco a Parigi.

 

                Parigi risuona in questi giorni del nome di due grandi uomini, che hanno eccitato l'ammirazione e l'entusiasmo: Luigi Veuillot che scomparve dal campo del combattimento, Don Bosco che poc'anzi non vi era conosciuto, due nomi che si sono mescolati sul labbro del popolo cattolico parigino e la ammirazione che hanno destato unanime, vivissima fu una protesta diretta ed energica contro le proclamazioni di ateismo che si pretendono fare in nome del popolo. Il laico soldato della penna, il Sacerdote apostolo della carità riscossero la ammirazione e gli omaggi. Vi hanno dei punti di contatto fra questi due uomini gloriosi nella chiesa, benefattori della società e quantunque sia stato diverso il campo in cui hanno combattuto e le armi della battaglia, pure è eguale la sorgente d'onde hanno attinta la vita, per cui sono grandi, il vigore della loro operosità. Poichè l'eco li ha associati, nella gloria, là nella Babilonia francese, ci si permetta di toccar rapidamente i punti di somiglianza fra questi due uomini eminenti.

                L'uno e l'altro sorgono da una famiglia oscura e di apparenze modeste, forniti di una intelligenza pronta e vigorosa, di un cuore magnanimo, di un carattere adamantino. Ma la loro grandezza si erige sopra la loro fede; non sono gli appoggi del mondo che vengono in loro sussidio, non la protezione dei potenti, non l'aiuto dei governi; eppure le loro opere sono così grandiose, che i governi d'Italia e di Francia non hanno saputo far nulla di somigliante e Napoleone III diede a Veuillot la grande testimonianza del suo timore; il Governo italiano che odia il Clero e la Chiesa rispetta gli istituti di Don Bosco, a quel modo che talora le belve feroci lambivano riverenti e rispettavano il martire offerto alle loro zanne ed ai loro artigli.

                A diversa la missione e il campo delle fatiche di questi due uomini suscitati dalla Provvidenza, ma lo spirito si armonizza mirabilmente, e conduce il loro lavoro ad uno stesso intento, salvare la società dalla Rivoluzione per ricondurla a Dio. L'Italiano è chiamato sul campo della carità pratica, a sottrarre le anime alla corruzione, a benedire, a confessare, a pascolare, a raccogliere nei collegi la gioventù, che lo stato e la società egoista abbandona sulla piazza preda dell'ignoranza, della miseria, del vizio. Don Bosco non ha la voce per parlare ad un grande uditorio, non è una figura maestosa, pure Parigi si è affollata attorno a lui, e il nome di Don Bosco corre sulle labbra di tutti: “Où est - il? que fait - il?”. E tutti corrono a lui, perchè vogliono la sua benedizione, vogliono udire la sua parola, vogliono raccomandarsi [495] alle sue preghiere. Che cosa è mai questa magica forza che raccoglie tanta ammirazione e sì splendidi omaggi? É la carità cristiana.

                Or questo stesso popolo, son pochi giorni, queste stesse labbra acclamavano Luigi Veuillot. Il francese era laico, era pensatore, era scrittore, era giornalista. “Aveva un'anima di sacerdote” scrisse uno de' suoi ammiratori; aveva una generosità illimitata, hanno attestato coloro che l'hanno provata; aveva un cuore semplice, ingenuo, dolce, angelico, confessano tutti coloro che lo hanno conosciuto; ma Dio lo aveva chiamato ad una missione specialissima per i nostri tempi. Egli fu chiamato a combattere nel campo delle intelligenze, a lottare contro la rivoluzione scienziata, a sottrarre le menti dalla schiavitù dell'errore. Il suo lavoro fu essenzialmente battagliero, appunto perchè eminentemente speculativo; fu aggressivo il suo combattimento, perchè la verità ha i diritti incontrastabili e non soggetti a nessuna collisione contro l'errore. Fu tanto più terribile per le speciali condizioni in cui egli trovò l'errore ed i partigiani delle false dottrine. Egli fu accusato come uomo iroso, fu denunciata l'amarezza dei colpi, con cui separava nettamente la verità dall'errore; ma chi non sa che nel terreno delle speculazioni e delle teorie, la verità Don conosce la carità, la verità è intransigente ossia è immacolata e candida come la sorgente divina da cui deriva?

                Gli accusatori passarono, i transigenti, i cattolici liberali, i dupanloupisti, tutti coloro che hanno amate le acque torbide sono passati. Parigi e la Francia rendono oggi omaggio all'anima grande e dolcissima di Luigi Veuillot, la quale ha eguagliata la carità e la dolcezza di Don Bosco. Quegli ha battuto il nemico perchè cedesse la preda, questi raccolse la preda abbandonata dal nemico: quegli additava le fonti avvelenate, questi ne ha sottratto gli assetati, onde non bevessero la morte; quegli dipinse i tradimenti dei corruttori, questi accolse tra le sue braccia la gioventù, che dai traditori sfuggiva. Ecco come la fierezza di Veuillot non è diversa dall'amorevolezza di Don Bosco, come l'uno e l'altro sono grandi perla loro fede e la loro carità. Quando Don Bosco fu chiamato a rendere testimonianza dei suoi principii fu intransigente come Veuillot egli ha respinto ii rosminianismo dalle sue scuole, ha subito le persecuzioni dei cattolici liberali, e davanti ai capi di questa sètta sul suo volto lampeggiò la nobile fierezza che era propria del giornalista francese. L'Osservatore Cattolico è fiero di poter dire, che nei momenti più terribili delle sue lotte, quando pareva abbandonato da tutti, il giornale di Don Bosco, e il giornale di Veuillot sorsero in sua difesa, e lo confortarono al buon combattimento.

                In questi due uomini adunque noi dobbiamo riscontrare il grande principio animatore delle loro opere e della loro grandezza. La fede pura, l'amore alla Chiesa, la intransigenza delle dottrine professate. Parigi ha acclamato a questo grande principio e a lui ha elevato i [496] suoi omaggi. I cattolici liberali passano, gli intransigenti sopravivono benedetti; la falsa carità, questo infame orpello discolora, la carità vera si riaccende. Il nostro coraggio si riaccende, perchè la nostra causa è santa.

(Osservatore Cattolico di Milano, 7-8 maggio 1883).

 

32.

Il Direttore di S. Sulpizio a Don Bosco.

Séminaire de S. Sulpice, le-ter Mati 1883.

                Mon très Révérend Père,

                Si je ne savais pas toutes les difficultés qu'il y a à pouvoir approcher de vous, je me serais empressé d'aller vous remercier de la visite que vous avez eu la bonté de faire lundi soir à notre Communauté. Votre présence, par la grâce de Dieu, nous a fait du bien à tous; j'espère que ce bien sera durable.

                J'ai l'honneur de vous envoyer avec l'expression de notre reconnaissance la somme de trois cent vingt francs pour vos oeuvres. La somme d'argent est petite, mais les coeurs qui vous l'envoient vous sont parfaitement dévoués.

                Permettez-moi, mon Révérend Père, de recommander encore une fois le Séminaire de St Sulpice à vos prières et de vous recommander spécialement son directeur qui aime à se dire

                Votre très humble et obbéissant serviteur

V. Bieel

Dir. du Sém. S. Sulp.

 

33.

Invito alle Assunzioniste.

(Lettera al segretario di Don Bosco).

                Mon Révérend Père,

                Je vous suis infiniment reconnaissante de la bonne nouvelle que vous me donnez en m'annonçant que le R. P. Dom Bosco dira la Messe dimanche 20 Mai à 8 heures chez les Petites Soeurs de l'Assomption.

                J'enverrai ma voiture pour le chercher a 7 heures 1/4 avenue de Messine.

                Comme dans votre réponse vous me dites que le dîner de midi [497]  chez les Pères de la Miséricorde n'est pas tout à fait fixé pour ce jour là, laissez-moi vous dire que le Père Pernet fondateur de la Congrégation des Petites Soeurs de l'Assomption et Madame la Supérieur Générale m'ont chargée de demander instamment à Dom Bosco d'accepter le dîner de midi au couvent.

                Ils inviteront à ce repas, si Dom -Bosco le touve bon, Monsieur l'Abbé Gindre, Vicaire Général titulaire, que vous avez vu chez-moi, et le Révérend Père Potetot, Supérieur. Général d'Oratoire qui, m'at-on dit, désire vivement avoir un entretien avec Doni Bosco.

                Veuillez agréer, mon Révérend Père, l'expression de mes sentiments respectueux.

SOULT. Bnne REILLE.

                10 Boulevard Latour-Maubourg.

 

33.

 

Perche il futuro Card. Bourne non si fece salesiano.

 

                Si diceva che il Card. Bourne, giovane sacerdote, si fosse voluto fare salesiano; mancavano però documenti o testimonianze autorevoli. Ora la prova è raggiunta.

 

                Nel corso della stampa di questo volume il salesiano Don Luigi Prieri ci comunicò la copia di una importante lettera scritta da Don Rua il 22 settembre 1908 al Bourne, ancora semplice Arcivescovo. Don Prieri stesso aveva tratta la copia dall'originale, quand'era fra i segretari di Don Rua. Il successore di S. Giovanni Bosco, dopo aver espresso i suoi rallegramenti per l'esito del Congresso Eucaristico di Londra, continuava:

 

                Ma l'occasione di questa lettera non può fare a meno di richiamare alla mia mente cose e fatti di tempi andati; fatti che certamente non si sono ancor cancellati dalla memoria dell'Eccellenza Vostra. Mi riferisco ai tempi in cui V. Eccellenza, giovane sacerdote, onorò di sua gradita visita l'Oratorio salesiano di Torino, ottenne un'udienza dal nostro Ven. Fondatore Don Bosco e gli fece formale domanda di essere accettato come Aspirante nella Congregazione da lui fondata. Ma il Venerabile La sconsigliò da questa risoluzione, e Le suggerì di ritornare in patria dicendo che il Signore non La voleva nella Congregazione Salesiana, ma che il campo preparato al suo zelo sarebbe stato in mezzo ai Suoi connazionali.

                I fatti hanno dato pienamente ragione al nostro Venerabile: il campo destinato dalla Provvidenza al suo zelo doveva essere l'Inghilterra; costì l'Eccellenza Vostra ha seminato e raccolto abbondanti frutti spirituali. non ultimi quelli del recente Congresso Eucaristico. [498]

 

34.

Visita di Don Bosco all'Opera dei catechismi in San Sulpizio.

 

                Une grande joie nous a été donnée. Don Bosco, le saint Prêtre que tout Paris acclame, est venu nous rendre visite.

                Nous entendons le sainte messe, puis. pour charmer notre attente, Monsieur le Chef nous lit les merveilles de la vie de Don Bosco, comment, à lui tout seul, et malgré les contradictions du monde, il fonda la grande famille salésienne. Plus de ioo.ooo enfants nourris, instruits, amenés à Jésus-Christ: quelle oeuvre! Et faut-il s'étonner si Dieu a favorisé du don des miracles un pareil serviteur? Le temps passe vite à écouter d'aussi touchantes anecdotes. Néanmoins l'impatience devoir le saint augmente d'autant plus que le moment est plus rapproché. La foule qui accompagne Don Bosco commence à envahir notre chapelle. Bientôt toutes les places sont prises, les couloirs même regorgent, et de pieux curieux vont jusqu'a s'asseoir sur les marches de la chaire. Les petits enfants sont en grand nombre. Pour ne point les laisser fouler, plusieurs de nous doivent en prendre sur leurs genoux. Les mères chrétiennes tiennent à faire bénir ces doux petits êtres qui seront un jour des hommes, par le bienfaiteur de tant de pauvres enfants.

                Enfin, à onze heures, Monsieur Sire, qui à été chercher Don Bosco, revient avec lui. Au milieu du plus profond silence, M le Directeur lui adresse un compliment que tous les coeurs ont proféré avant lui.

                «C'est une sainte et agréable chose pour moi, mes chers enfants, nous dit Don Bosco, dans son français un peu hésitant et prononcé avec le doux accent italien, c'est une sainte et agréable chose pour moi de me trouver au milieu de vous, dans cette chapelle pleine de souvenirs pieux, de venir ici, où la saint Pape Pie VII est lui-même venu. Je vous connais déjà depuis longtemps, car nous avons un même coeur et une même âme pour travailler à la gloire de Dieu. Aussi je prierai pour vous, je me souviendrai de vous à la sainte messe, mais aussi je me recommande à vous.» Laissez-moi vous donner un conseil. Restez, soyez partout de bonnes catholiques. Ayez la Crainte de Dieu, qui seule peut vous rendre heureuses en cette vie et après votre mort. Répandez-la autour de vous. Que Dieu vous fasse la grâce d'en pénétrer vos parents, vos amis, je dirai vos ennemis sortout et maintenant je vous bénis et en vous ceux qui vous sont chers, ainsi que les objets que vous présentez à cette intention. Je vous bénis pour que vous soyez l'honneur et la gloire de Saint-Sulpice, le soutien de l'Eglise ».

                Après la bénédiction générale, Don Bosco récite avec nous un Ave Maria, puis il bénit tout spécialement les petits enfants, et il [499] se retire, toujours entouré d'une foule immense, mais que le respect contient. Pour nous, nous bénirons Dieu qui a daigné nous manifester un de ses serviteurs.

                CLEMENCE BERRIAT-SAINT-PRIX

                Présidente

MARIE FELISSIS-ROLLIN

Secrétaire.

 

35.

Invito delle Benedettine a Don Bosco.

 

Bénédictines du S. Sacrement dites du temple 2o rue Monsieur.

                Mon Très Révérend Père,

                Monsieur, le Dr Despiney m'avait écrit que vous lui avez promis de venir nous honorer de votre visite et bénir sa nièce qui est élève de notre petit Pensionnat. Ce bon Dr nous avait même fait espérer que nous aurions le bonheur de vons voir dire la Ste Messe dans notre Chapelle.

                J'apprends par Mlle Gabrielle Allinsons, sa filleule, qu'il vous sera peut-être impossible de condescendre à nos désirs. Religieuses cloîtrées, il ne nous est pas possible, mon Révérend Père, de nous rendre près de vous; et cependant plusieurs malades attendaient avec un si grand désir et avec une impatience bien vive le bonheur de recevoir votre Bénédictinm; et une âme bien anxieuse et bien affligée la désirait aussi. C'est un grand sacrifice que Dieu nous impose. Mais si nous ne purrons recevoir votre visite, laissez-nous, mon Révérend Père, solliciter au moins le secours de vos bonnes prières et veuillez nous donner votre bénédiction. Oh! Priez, je vous en conjure, pour une affaire bien importante et bien pénible. Daignez agréer, mon Révérend Père, l'humble hommage de mon bien religieux respect en N. S.

Sr Ste SCHOLASTIQUE

Super. ind.

                Paris, 23 Avril 1883.

 

36.

Supplica per guarigione.

Paris, 5 mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                J'ai eu le bonheur d'assister à la Messe que vous avez dite hier quatre Mai chez les Dames du Refuge, rue Deufert, à Paris. Je me suis permis de vous remettre dans cette maison, un petit billet que [500] je vous avais écrit bien à la hâte, prévoyant ne pas pouvoir vous parler.

                Veuillez me permettre, vénéré Père, de vous renouveler ma demande et de rappeler mon cher malade à votre charitable souvenir. Il s'unit à moi et notre famille se joint à nous deux pour vous demander l'assistance de vos prières pour obtenir de l'infinie bonté de Dieu et de la Sainte Vierge la guérison d'une maladie dont il souffre .depuis plusieurs années.

                Le malade, je vous le disais dans mon billet, serait heureux d'être béni par vous, très vénéré Père; je vous prierais d'accueillir son désir en nous indiquant un jour et une heure pour se présenter près de vous. J'ai vu de mes yeux et j'ai aussi entendu dire combien vos instants et vos minutes sont comptés et je crains qu'on ne puisse pas espérer obtenir la faveur d'une rencontre particulière avec vous. S'il en était . ainsi et que cette lettre seule doive parler pour nous, nous vous supplions, très vénéré Père, de ne pas oublier notre cher malade dans vos prières et de lui obtenir de la Bonté Divine sa guérison tant désirée...

MARIE GAUDILLOT.

                Rue Oudinot I9 d Paris.

 

37.

Una suora del Buon Pastore a Don Bosco.

Maison du B. Pasteur 71 rue Deufert Rochereau

Paris, 29 X.bre 1883.

                Mon bon et Révérend Père,

                Le bon Dieu vient de rappeler à Lui Notre Vénérée Supérieure, Marie joseph Courtel; cette perte m'est profondément douloureuse, cependant je veux être résignée à la volonté du bon Dieu. Depuis io ans je secondais ma bonne Supérieure dans ses fonctions, je la vénérais comme une sainte et je l'aimais comme une mère: la séparation m'est bien douloureuse. Elle m'a bien priée sur son lit de mort de la recommander à vos prières .et à celles de votre Congrégation lorsqu'elle aurait quitté la terre. N. Vénérée Mère était du nombre des coopérateurs Salésiens et si elle eut vécu elle se serait toujours vivement intéréssée à votre Ouvre. Mon bon Père, je veux le faire pour Elle, car moi aussi vous m'avez fait l'honneur de m'admettre au nombre de vos Coopérateurs. Je me dévouerai pour vos oeuvres comme l'aurait fait Notre Vénérée Supérieure.

                Bon Père, à votre dernier voyage à Paris vous m'avez recommandé de, bien accepter les épines, ce qui me surprit, car alors je n'avais [501] point de peines; mais depuis 8 mois la croix ne me quitte pas et N. S. m'a envoyé des épines bien douloureuses: tout cela me tient plus près du bon Dieu, mais parfois le courage me manque, je crains de défaillir: ma santé en a été fortement ébranlée et chaque jour m'apporte une croix nouvelle; je dois souffrir, en expiation, je le sais, pour mes propres fautes, mais je n'en puis plus.

                Je vous en supplie, mon T. R. Père, veuillez m'écrire deux mots de consolation; je crains de défaillir.

                Je vous envoie ci-joint Io francs pour dire des messes pour le repos de l'âme de notre Vénérée Mère Supérieure.

                Veuillez ecc.

S. A. ROUSSEL.

Coopératrice Salésienne

Relig.se de St Thomas de Villeneuve.

 

38.

I tirnori di una buona vecchierella.

(All'abate Russel)

Paris, le 7 mai.

                Monsieur l'Abbé,

                On porte de tous côtés de l'argent a Don Bosco! sans rien ôter aux mérites de ce vénérable prêtre, je me demande pourquoi on ne pense pas d'abord à tant de malheureux enfants nos compatriotes et surtouf à votre excellente oeuvre qui accomplit en France ce que Don Bosco fait en Italie, ce qui par conséquent, devrait nous intéresser bien davantage. Pour moi j'aime infiniment mieux vous envoyer ce. dont j'aurais pu disposer en faveur de Don Bosco; c'est pourquoi vous trouverez sous ce pli un petit billet de cent francs que je vous prie d'accepter pour vos chers Orphelins. Je me raccomande a vos bonnes prières ainsi que mes enfants et mes petits-enfants.

Une grand-mère.

 

39.

Don Bosco al Consiglio Centrale della Società di S. Vincenzo de' Paoli.

(Dai verbali del 22 maggio I8$3)

                ... A ce moment le R. P. Don Bosco, dont on espérait la visite, entre au Conseil et nous fait l'honneur de prendre place au bureau. Sur l'invitation de M le Président il prononce une allocution fort touchante. [502] Ancien membre des Conférences de Saint Vincent de Paul, il fait ressortir tout le bien qui résulte pour les oeuvres de charité de l'union de la Société de Saint Vincent de Paul avec le clergé de nos paroisses. Il parle ensuite des fondations qu'il a faites, sans aucune ressource, et dont le succès est tout à fait exceptionnel. Il est venu à Paris pour établir une nouvelle maison pour les pauvres enfants abandonnés. Ce principe de l'éducation est de gagner le coeur des enfants et d'obtenir d'eux bonne conduite et travail par suite de l'affection qu'ils témoignent à leurs maîtres.

                Le Conseil prie le R. P. Don Bosco d'accepter r.ooo frs pour la nouvelle maison qu'il fonde à Paris. Le Révérend Père remercie et termine la séance à 5 h. 3/4.donnant au nom du Souverain Pontife - dont il a une autorisation spéciale - la bénédiction à leurs confrères, . à leurs familles et à leurs oeuvres.

                Après la séance  le R. P. Don Bosco se retire dans le cabinet du Conseil général pour recevoir. les confrères qui désireraient lui parler en particulier.

J. JOSSE.

 

40.

Don Bosco. Premier voyage à Paris: mai 1883.

 

                Bonté, simplicité, douceur inaltérable

                Vous brillez sur son front comme un rayon divin;

                Et de sa sainteté, reflet incomparable,

                Vous précédez ses pas, éclairant son chemin.

                Il vient auprès de nous, de la part de Dieu même

                N'ayant aucun attrait qui séduise nos yeux,

                Mais nous attirant tous, par sa candeur extrême

                Et les chastes vertus qui font rêver des Cieux!

                On respire avec lui dans la pure atmosphère

                pu calme et de la paix, car son coeur est si bon

                Qu'il charme en consolant, et l'âme plus légère

                Recueille avec ardeur sa suave leçon!

                Il parle simplement, sachant que la parole

                Arrive jusqu'aux coeurs, lorsque Dieu la bénit;

                Et sur sa tête luit la divine auréole

                De son humilité que l'amour embellit.

                Un jour, il a frémi pour la faible innocence

                Des pauvres orphelins, de l'enfant délaissé

                Sur les chemins errant; et plein de confiance

                Sur eux son doux regard tendrement s'est baissé! [503]

                Il a pris ces enfants, et devenant leur père,

                Il les a dirigés et conduits par la main;

                Et quand il ne pouvait soulager leur misère

                Il les quittait un jour pour demander leur pain!

                Depuis lors, des milliers de frêles créatures

                Sont par lui, retirées du vice ou de la mort.

                Et celui qui prodigue aux oiseaux leur pâture

                Sait les garder toujours et veiller sur leur sort!

                Il bénit à la fois les enfants et leur père;

                Nous en avons été bien souvent les témoins,

                Quand la sainte famille, à son amour si chère

                En appelait à Lui, confiante en ses soins!...

                Oh! quelle oeuvre admirable et divinement belle!

                Quand sa sainte folie étonne la raison,

                Tout le bien qu'elle a fait, ne semble encore pour elle,

                Qu'une gerbe d'épis près d'une ample moisson!

                Si du père adoré, la charité puissante

                A déjà soulagé tant de besoins pressants,

                Elle tressaille encore à des voix suppliantes,

                Aux bras levés vers lui par de faibles enfants.

                Avec quelle âme aimante, il sait alors nous peindre

                Ce cri des orphelins que l'on entend gémir,

                Qui sont là, dans la fange, et qu'il voudrait éntreindre

                De ses bras paternels prêt à les recueillir!

                Il a plaidé pour eux la plus noble des causes:

                De suite il a conquis d'un peuple tous les coeurs:

                Et la France, à genoux, a persemé de roses

                La route de ce saint qui passait en vainqueur!

                E mue, elle entendit son ardente prière,

                Dont les échos vibrants avaient franchi les monts,

                Et le cri de pitié qu'elle a dit tout entière

                D'un sympathique amour pour toujours lui répond!

                Il comptait bien trouver dans vos âmes, o Mères,

                Cet élan généreux, qu'on éveille toujours:

                Et vous avez été les anges tutélaires

                Dont il savait déjà l'inépuisable amour!

                Et c'est pourquoi son coeur, qui jamais ne se lasse,

                L'a porté jusqu'à vous pour demander encor;

                C'est pourquoi vous avez, baisant sa sainte trace,

                Tendu, jusque à lui, vos deux mains pleines d'or!

                Ah, vous avez donné, dans une sainte ivresse,

                A celui qui venait de la part de jésus,

                Tout ce qu'il demandait pour l'enfant en détresse;

                Mais il a le secret de vous rendre encor plus.

                Il demande toujours, mais donne avec largesse; [504]

                Il soulage et console et le corps et l'esprit,

                Il sait pleurer sur nous, sur nos saintes tristesses

                Et trouver, en son âme, un mot qui les guérit.

                Dans les trésors du Ciel il puise sans mesure;

                Ah! nous ne, pouvons plus compter tous ses bienfaits,

                Toutes ces guérisons surprenant la nature

                Et ces coeurs égarés, rachetés pour jamais!...

                Ce sont là quelques-uns. des prodiges sans nombre

                Que ce saint près de Dieu, nous obtient tous les jours:

                Qui ne les connaît pas?... nous vivons à leur ombre

                Et nos coeurs attendris les rediront toujours.

EGLANTINE.

                Nice 24 Mai fête de N. D. Auxiliatrice. (Publié par la Semaine Religieuse de Nice du 9 Juin 1883).

 

41.

Il Vescovo di Evreux a Don Bosco.

Evreux, le 14 avril 1883.

                Mon très Révérend Père,

                Monsieur le Comte,de Maistre qui vous remettra cette lettre, vous exprimera de ma part un désir, et il plaidera ma cause, après de vous avec toute l'ardeur, que lui inspirera son devouement pour son Évêque et avec toute la puissance que lui ispire la bienveillance dont vous l'honorez et dont il est si digne. Mais je veux vous adresser moi-même ma demande. -La voici.

                J'ai absolument besoin de vous voir, mon Révérend Père, pour vous entretenir d'une affaire qui intéresse grandement la gloire de Dieu, le bien de mon diocèse, et votre Congrégation. Si je n'étais obligé de partir demain pour commencer mes visites pastorales, je serais allé moi-même vous trouver à Paris pendant le séjour que vous y faites. Mais puis qu'il ne m'est pas possible d'aller à vous, je vous demande de venir à moi. Je serais de retour à Evreux le 26 de ce mois au soir, et dans Je lendemain je pourrais vous recevoir. Monsieur le Comte de Maistre vous dira combien le voyage de Paris à Evreux est court et facile. J'ai la confiance que vous voudrez bien ne pas nie refuser ce que j'ai sollicité de vous, je vous le demande au nom de la charité de Notre Seigneur et pour me procurer la vive satisfaction de vous connaître et de vous recevoir chez nous; mais j'ose vous le demander aussi comme Évêque, et au nom de ces sentiments de foi et de déférence que vous professez pour les Pasteurs de la Sainte [505] Eglise. Veuillez agréer, mon très Révérend Père, avec l'expression de ma reconnaissance, l'assurance de mes sentiments respectueux et très devoués en Notre Seigneur.

FRANÇOIS Ev. d'Evreux.

 

42.

Il conte di Waziers a Don Bosco.

                Mon Révérend Père,

                Très fiers de votre passage dans notre pauvre Paris nous serions trop heureux Si vous daigniez honorer notre demeure d'une de vos visites.

                Comme motif, qu'il me soit permis de vous-rappeler que depuis deux ans ma femme fait partie de votre Ouvre et qu'elle quête à vos intentions pour le dimanche 29 à la Madeleine.

                De mon côté, cousin germain du Cte de Pas, l'intérêt particulier que je porte aux oeuvres de propagande religieuse, serait peut-être un motif à faire valoir auprès de vous.

                Permettez-moi d'ajouter que vous trouverez en ma personne un ami de Votre cher M Michel, l'éminent voyageur.

                Votre moment sera le nôtre. Vous ne refuserez pas q. q. instants dans l'intérêt de nos âmes et de vos oeuvres.

                Permettez-moi, mon Révérend Père, de déposer à vos pieds l'expression de mon hommage.

                Le 23 Avril 1883.

Cte de WAZIERS.

                8 rue dé Varennes.

 

43.

Invito di Don Bosco a Nantes.

Nantes le 5 mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                Pardonnez-moi la liberté que je prends de vous écrire au milieu de vos nombreuses occupations. Je ne l'aurais sans doute pas osé, si je n'avais l'approbation de ma tante Mme Maujouan du Gasset superieure du Monastère de la Visitation de Nantes. St François de Sales, qui est le Fondateur de la Visitation et le Protecteur de vos oeuvres ne désapprouvera peut-être pas la démarche que je viens faire aujourd'hui auprès de vous.

                Je viens donc, Mon Révérend Père, vous prier très humblemeht de vouloir bien venir jusqu'à Nantes, si cela est possible, pour recueillir des offrandes en faveur de vos oeuvres. Vous savez que notre ville [506] est une des villes les plus catholiques de la Bretagne et de la France. Très attachée à l'Église, Nantes a envoyé autrefois à Pie IX bien des défenseurs, dont la Providence a permis que je fisse partie en 1870.

                Déjà, ici, un bon nombre de personnes aiment vos oeuvres, et je suis convaincu que beaucoup d'autres se joindraient à elles pour vous faire le plus généreux accueil. Je mets ma maison à votre disposition pour le temps que vous passerez dans notre ville, et je serai on ne peut plus heureux de vous recevoir chez moi. Ma maison se compose de mon épouse, de mes trois petits enfants, de moi et de deux domestiques. Je dois ajouter que Mme la Supérieure du Monastere de la Visitation de Nantes met sa chapelle à votre disposition. Si la prière que je vous fais ne dépasse pas les limites du possible, je vous serai éternellement reconnaissant d'avoir bien voulu accueillir ma demande.

                Veuillez agréer, mon Révérend Père, l'hommage de mon profond respect.

MAUJOUAN DU GASSET.

                Nantes, Rue Basse du Château Ne ter.

 

44.

Invito di Don Bosco a Douai.

Douai le 10 Mai 1883.

                Très vénéré Père.

                Désireux de procurer à mes chers Paroissiens les bénédictions résultant de votre présence et de la participation à votre grande et belle oeuvre, j'ai l'honneur de mettre à votre disposition l'église et le presbytère de Saint Jacques. Je serai estrêmement heureux et reconnaissant de vous y recevoir à votre premier jour libre. Ce ne sera pas vous faire sortir de votre itinéraire, puisque Douai se trouve nécessairement sur votre passage.

                Daignez agréer, mon très vénéré Père, avec mon bien rispectueux hommage, la prière que je vous fais de vous souvenir devant Dieu des ouailles et du curé de St Jacques

EDMOND GASPAR

doyen de St Jacques.

 

45.

Invito di Don Bosco a Pau.

                Mon très Révérend Père,

                Voici une lettre que je reçois de Pau que je m'empresse de vous envoyer. Vous y verrez le désir qu'on a de vous voir à Pau: c'est une bonne ville chrétienne et Royaliste. L'ombre d'Henri IV y plane encore. [507]

 

                Si vous y allez, je pense que vous feriez beaucoup de bien pour les pauvres du pays et puis aussi pour les vôtres. Je regrette de ne pouvoir rien faire, mais nous avons nos novices Dominicains qui ont bien besoin de nos secours. Personne ne les soulage et il souffrent beaucoup à Salamanque où ils se trouvent; ils sont tout à fait dépourvus de tout.

                Etant du Tiers Ordre de St Dominique, mon devoir est de leur donner le peu dont puis disposer, petit soulagement à leur pauvreté. J'ai passé le Carême à Pau et souvent j'ai parlé de votre si belle oeuvre; cette dame me disait qu'il serait bien si le R. P. Bosco vient à Pau; et entre nous nous avons décidé que vous y fondrez une maison. La personne qui m'écrit, par elle-même ne pourra rien faire, mais elle a beaucoup de connaissances et comme je vous dis, c'est une bonne ville; il y a encore des processions qui sortent et des frères.

                Je vous prie de me pardonner de vous importuner par ma lettre. Mais j'ai osé le faire et vous procurer à faire le bien que vous êtes si avide de faire. A Toulouse ils ont été bien mal intentionnés de n'avoir pas accepté; la maison de M l'Abbé julien aurait du vous être cédée; pour une nouvelle maison  je crois que cela serait bien difficile, vu la grande quantité d'oeuvres de Charité qui se trouve dans cette ville[362].

                Agréez ecc.

LEOCADIA ORLOFF.

                Villa St Dominique, S. Remo le 12 mai 1883.

 

46.

Le Figlie della Croce a Don Bosco.

A.

                Congrégation de la Croix. Paris.

Paris le 13 mai 1883.

                Mon révérend Père,

                je vous ai déjà écrit une lettre et vous avez eu la bonté de me repondre que vous ne pouviez venir visiter notre bonne Mère. S'il vous était possible de venir à présent quelle consolation n'apporteriez' vous pas à notre bien-aimée malade. Nous avons un si grand besoin de sa santé que vous aurez pitié de nous. J e vous en supplie de nouveau; venez. [508]

                Nous vous dirons notre situation et vous comprendrez notre importunité.

                Daignez agréer, bon et révérend Père, les hommages respectueux de toute la Communauté et en particulier ceux, de votre très humble servante

SR ST FRANÇOIS D'Assise

Fille de la Croix.

                rue du Cherche midi

 

30.

Congrégation de la Croix. Paris.

                138 rue du Cherche midi.

le 28 mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                Je vous ai supplié et je vous ai fait supplier par des personnes qui avaient le bonheur de vous approcher dé venir faire une visite à notre bonne Mère dangereusement malade; votre visite l'eût consolée. La chère malade est entièrement soumise à la volonté de Dieu, mais nous, ses filles, nous perdons en elle le soutien de la Communauté, car il n'y a parmi nous aucun sujet qui soit capable de diriger la maison après elle.

                J'avais espéré que vous vous seriez intéressé à notre douleur et que vous auriez demandé à Notre Dame Auxiliatrice la guérison de notre Mère, qu'Elle vous aurait sans doute accordée. Elle n'a encore que 65 ans. Nous avons fait la neuvaine à N. D. Auxiliatrice et nous la continuerons.

                Peut-être pensez-vous que nous sommes trop imparfaites pour obtenir une si grande faveur! Oh alors dites-le nous et chacune de nous fera ses efforts pour devenir meilleure. Oh! mon Père, laissez tomber sur les filles de la Croix une de ses précieuses faveurs que vous obtenez du ciel. Je m'adresse à vous comme la Chananéenne à jésus et j'espère recueillir quelques miettes.

                Les larmes m'innondent le visage, car aujourd'hui la fièvre dévore la S. Supérieure, sa faiblesse est estrême, depuis plusieurs semaines elle' ne peut rien prendre. Encore une fois, mon révérend Père, ayez pitié de nous, je vous en serai éternellement reconnaissante.

                Je suis avec un profond respect votre très humble servante.

SR ST FRANÇOIS D'ASSISE

Fille de la Croix. [509]

 

47.

La baronessa di Tavernost a Don Bosco.

Paris, 21 Mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                je suis la personne que vous avez vue en particulier samedi chez mad de Boexis, demandant guérison de maux de tête qui détruisent la volonté et la possibilité d'occupation et donnent l'épouvante de la folie.

                $mue et troublée, je n'ai pas tout dit.

                Je suis veuve et mère de 6 garçon: je viens d'être frappée par des revers de fortune et je suis menacée d'autres pertes qui pourraient m'enlever les moyens de garder auprès de moi mes fils qui ne sont pas mariés. Comme ce serait un malheur pour eux, j'en ai le coeur brisé: dans le moment de détresse est-il mal de prier pour obtenir un secours de fortune?

                Vous m'avez dit: Je prierai pour vous et pour toutes vos intentions. Est-il permis de dire au bon Dieu: Je vous demande par les prières de Dom Bosco un gain qui rétablisse ma fortune, promettant de faire la part des oeuvres de Dom Bosco? ,                 je ne veux pas user ainsi de vos prières sans y être autorisée et pourtant je crois que je serais exaucée:

                Dans tous les cas, mon Père, ne m'abbandonnez pas, ayez pitié de mon angoisse; priez pour ma guérison et pour le bien spirituel de mes six garçons. Je fais la neuvaine des 3 Pater et 3 Ave au SacréCoeur...

CLAIRE BNNE DE TAVERNOST.

 

48.

Monsignor Richard a Don Bosco e a Don De -Barruel.

A.

                Archevêché de Paris.

Paris le 13 mai 1883.

Saint jour de la Pentecôte.

                Mon Très Révérend Père,

                Une excellente famille de Nantes, ma ville natale, vient encore me demander de réclamer le secours de vos prières, pour un de ses membres très malade.

                C'est un père de famille veuf depuis un an et ayant quatre enfants. [510]

                Cette famille profondément Chrétienne, vous prie, mon très révérend Père, de demander du bon Dieu soit la guérison de son malade, si dans ses desseins de miséricorde le bon Dieu veut l'accorder, soit du moins une confiante résignation à la sainte volonté de Dieu, pour ce bon père de famille, qui ne peut se résoudre à laisser quatre enfants orphelins.

                S'il vous était possible, mon très révérend Père, de dire une messe pour ce pauvre malade, la famille vous en serait profondément reconnaissante. Je la connais particulièrement et je pattagerais la reconnaissance. Du moins que votre charité veuille bien mettre le malade dans son memento à la sainte Messe!

                Veuillez aussi, mon très révérend père, me donner quelque fois un souvenir dans vos prières et agréer l'assurance de mes respects dévoués en N. S.

FRANÇOIS ARCH. DE LARISSE

Coadjuteur de Paris.

 

B.

                Archevêché de Paris.

Paris, le 23 Mai 1883.

                L'Archevêque de Larisse a été prié de remettre au Très Révérend Père Dom Bosco ce billet de cent francs pour ses oeuvres. Il lui est offert avec une humble reconnaissance par la famille des Nouhes de Nantes en Bretagne qui a demandé par l'intermédiaire de l'Archevêque de Larisse à Dom Bosco de vouloir bien offrir le Saint Sacrifice de la Messe ou du moins avoir un souvenir dans son memento pour le père de cette excellente famille très dangereusement malade.

                L'Archevêque de Larisse se recommande lui même aux saintes prières de Dom Bosco et le prie d'agréer ses sentiments bien respectueux et dévoués en N. S.

FRANÇOIS

Arch. de Larisse.

 

49.

Una madre raccomanda alle preghiere di Don Bosco gli esami del figlio.

                Mon Révérend Père,

                C'est une pauvre veuve qui vient vous recommander les examens de St-Cyr, de son plus jeune fils.

                Ma fille aux jours de votre premier séjour à Paris, n'a pu que vous [511] approcher faiblement. A votre retour de Lille elle a fait, hélas, l'impossible, mais en vain pour vous revoir de plus près.

                Quand elle a eu le bonheur de poser sa main sur vos bras, vous sortiez de la cure de St Sulpice. Vous étiez soutenu par deux prêtres; elle a pu s'approcher et vous dire: - Mon Père, je vous recommande l'avenir d'un jeune homme. - Ce jeune homme c'est son frère, celui que je vous recommande aujourd'hui pour ses examens de St-Cyr. Ma fille espère que vous l'avez entendue: vous montiez en voiture et l'un des prêtres vous a donné son Rosaire pour le. toucher. Ma fille n'est pas sûre. Depuis ce moment ma fille me pousse à vous écrire... Langres, ter juin 1883.

HENRIETTE PETITJEAN.

 

50.

Per l'elezione di un Deputato a Parigi.

A.

Passy-Paris.

Samedi, 12 mai.

                Mon Révérend Père,

                Je viens recommander à vos bonnes prières le second tour de scrutin pour les élections legislatives qui doivent avoir lieu dimanche prochain 20 Mai par suite de ballottage dans le XVI arrondissement.

                Mon mari est de nouveau sur les rangs; mais sa candidature est bien combattue à cause de ses opinions cléricales. Tout en désirant le succès de notre cause, je me remets entièrement entre les mains de Dieu et je me soumets d'avance à ce qu'il décidera pour ne pas contrarier ses vues.

                Il nous reste l'arme de la prière qui obtient tout à qui sait bien prier.

                Laissez-moi espérer, mon bon Père, que vous voudrez bien joindre vos bonnes prières, si puissantes sur la coeur de Dieu, aux nôtres, afin que la balance penche de notre côté.

                Je vous demande en terminant votre sainte bénédiction pour toute ma famille, tout particulièrement pour mon mari, mes quatre enfants et mes chers morts.

                Veuillez me bénir aussi, mon bon Père et demander à Dieu les grâces dont j'ai besoin pour bien remplir ma tâche, que Dieu conserve surtout la piété. dans mes enfants, le plus grand des biens.

                Une mère de famille reconnaissante.

A. CALLA.

                8 rue des Marroniers. [512]

 

B.

                Corrispondenza particolare all'Unità Cattolica, Parigi, 2 giugno 1883 (Num. del 5 giugno):

                con grande soddisfazione che quest'oggi riprendo l'interrotta corrispondenza, interruzione indipendente dalla mia volontà, come pure non dipende dai radicali del 16° Circondario la felice elezione del deputato conservatore signor Calla. Pei rossi la disillusione è amara, e lo è molto più perche meno si attendeva. Come!. uri conservatore, un reazionario eletto nel centro stesso di Parigi, il nido  della Repubblica! È un sogno. E quasi quasi non vi si presta fede. Non leggeste i giornali repubblicani subito dopo l'elezione? Ancora oggi non rifiniscono di gridare allo scandalo, e non sanno consolarsi della disfatta. Come le oche capitoline; gridano che un nemico è penetrato nel sacro recinto della libertà, e che ad ogni costo bisogna cacciarlo. Quanto poi ai malaugurati che votarono pel Calla, La France non li risparmia, li dichiara ignoranti, li dice indegni dël nome di elettori, e considera il Calla quale deputato provvisorio. Altri giornali fanno eco al dispetto della France. Domandano un'inchiesta per schiarire lo strano fatto e sostengono doversi assolutamente invalidare l'elezione ».

 

51.

La Confessa Riant a Don De Barruel.

A.

                Monsieur l'Abbé,

                Le petit mot que vous m'avez écrit et que mon fils m'a remis ce matin me fait craindre que Dom Bosco ne puisse venir jusqu'à mon cher mari, dont la santé si délicate et si chancelante est la douleur de notre vie.

                Dans son état de santé il lui serait impossible d'attendre rue de la Ville-l'Évêque; et moi-même le commence demain une retraite avec mes 2 fils qui font jeudi prochain leur I-re Communion à la Madeleine.

                Mon mari a pensé, comme moi, que par lettre aussi bien que de vive voix, nous pourrions implorer les prières de Dom Bosco et voici les intentions que nous recommandons à ce grand serviteur de Dieu, le priant de les déposer avec nos promesses aux pieds de Marie Auxiliatrice.

                Si mon mari recouvre la santé, il s'engage à verser aux oeuvres de Don Bosco une somme de 1000 fr. par mois pendant un an et il vous envoie d'avance les premiers 1000 fr.

                Mais cette grâce temporelle n'est pas la seule qu'il demande. Désirant vivement la vente d'une grande propriété improductive, [513] vente qui permetterait le partage d'une succession qui n'a pu être liquidée depuis longtemps, il recommande cette vente aux prières de Dom Bosco s'engageant au cas où elle se ferait à:

                Consacrer aux oeuvres de Dom Bosco une somme de vingt mille francs et de plus à confier à D. Bosco un orphelinat de petits garçons apprentis jardiniers qu'il veut fonder en Italie à Rapallo Ligure où nous habitons une partie de l'année une villa achetée par nous du Marquis Serra.

                Pardon de cette longue lettre, Monsieur l'abbé, mais nous sommes très disposés à aider de toutes façons Dom Bosco, si Dieu veut bien entendre les prières qu'il lui adressera pour nous.

                Recevez, je vous prie. l'expression de mes sentiments les plus respectueux.

                51 Boulevard de Courcelles.

Comtesse RIANT. B.

 

B.

                Monsieur l'Abbé,

                Je vous prie de bien vouloir remettre à Dom Bosco la seconde somme mensuelle que mon mari a promise au révérend Père pour qu'il obtienne de Dieu sa guérison. Il va un peu mieux. Je demande de tout mon coeur à Dom Bosco de vouloir bien penser à nos intentions devant le bon Dieu. Je me permets de lui recommander d'une manière toute particulière dans ce momentmon petit garçon que le Révérend Père a bien voulu remarquer et qui est gravement malade d'une fièvre muqueuse qui peut d'un istant à l'autre devenir typhoïde.

                Veuillez, Monsieur l'Abbé, présenter à Dom Bosco l'expression des sentiments du plus profond respect et du plus entier dévouement de nostre ménage et recevez, je vous prie. Monsieur l'Abbé, avec tous mes remerciements, l'assurance de tout mon respect.

                51 Boulevard de Courcelles,

Comtesse RIANT.

 

52.

Per il presunto erede dell'Imperatore del Brasile.

A.

IL CAPPELLANO DELLA CONTESSA A DON RUA.

                Mon très Révérend Père,

                Son altesse Royale Madame la Comtesse d'Eu, fille unique de l'Empereur du Brésil, et belle fille de Monseigneur le Duc de Nemours que vous connaissez, désire tout particulièrement que votre St Fondateur Dom Bosco, lui envoie à Elle, à son père l'Empereur, à [514] Monseigneur le comte d'Eu, et à ses trois enfants une bénédition toute particulière. Elle désire et sollicite de tout son coeur une seconde faveur, à savoir que votre saint Fondateur commence une neuvaine le 15 Août de concert avec tous ses prêtres et ses nombreux enfants en faveur de son fils ainé le jeune prince don Pedro futur empereur du Brésil, dont la santé reste un peu à désirer et qui a un bras dont il peut d peine et bien difficilement se servir. Cette faiblesse du bras continue malgré tous les soins qui lui ont été prodigués. Ce qu'on n'a pu obtenir des médecins, des traitements, et des soins materiels, on espère l'obtenir du bon Dieu par les prières et surtout par la neuvaine qu'on me prie de solliciter par votre bienveillante entremise. La famille royale d'Orléans et la famille imperiale du Brésil et de nombreux amis s'associeront de tout coeur aux pières, messes et communions du St prêtre Dom Bosco et de toute sa famille Salésienne. Je sais par télégramme combien son Altesse Royale Madame la Comtesse d'Eu est heureuse de la faveur que nous espérons. Elle communiera le 15 août en s'unissant à Dom Bosco. Tâchez, bien cher Père, de faire écrire une lettre à son Altesse Royale par le St prêtre. Il saura mieux ce qu'il faudra écrire que nous!!! J'attends avec sa lettre une lettre de vous qui sera aussi destinée à Madame la Comtesse d'Eu dans laquelle je vous prie de lui expliquer en quoi consiste la neuvaine en question. Si vous voulez bien aussitôt la présente reçue vous occuper de cette affaire et m'envoyer un télégramme, vous me feriez un grand plaisir. Nous le ferions parvenir aussitôt au Brésil et nous pourrions télégraphier nous-même à son Altesse pour lui annoncer que ses désirs vont se réalizer.

                Voici mon adresse: l'Abbé Gouverd; 23 rue de Sèvres, Paris. Dimanche dernier, c'était la fête de son Altesse Madame la princesse Blanche. Toute la famille Royale se porte bien.

                Je me recommande aussi aux prières de la famille Salésienne. J'en ai bien grand besoin.

                N'oubliez pas aussi Mademoiselle Pierre de Canavare. Nous n'avons pas encore un grand changement dans ses idées. Vous savez ce que je veux dire.

                Veuillez agréer avec tous mes remerciements l'expression de mon profond respect et de mon entier dévouement.

                Paris, le 6 août 1883.

GOUVERD prêtre.

 

B.

DON BOSCO ALLA CONTESSA.

                Maddme la Comtesse,

                Monsieur l'abbé Gouverd m'a écrit une lettre qui me fait connaître que dans votre piété vous désirez un particulier exercice de prières [515] afin d'obtenir une grâce de la divine bonté. Bien volontiers nous unissons nos faibles supplications aux vôtres qui sans doute sont à Dieu beaucoup plus agréables. Avec cette intention nous à dater au 10 de ce mois nous avons commencé jusque à fin de ce mois:

                i° Tous les prêtres de la Congrégation Salésienne diront leurs Messes à votre intention;

                2° Nos enfants (150.000) prieront, feront des communions en Europe et en Amérique, particulièrement dans l'empire du Brésil, où a été fondé un de nos orphelinats à Nictéroy il y a quelques mois.

                Quoique nos prières soient fixées pour ce mois, toutefois nous continuerons tous les jours faire un souvenir spécial pour vous, pour votre famille et pour toute la famille impériale.

                Le bon Dieu fasse descendre ses grâces et ses bénédictions sur vous et vous aide dans la grande couvre de sauver vos âmes et. sauver les autres. Ainsi soit-il.

                Pardonnez-moi mon mauvais français et ma mauvaise écriture et permettez de moi dire en J. Ch.

                Turin, 19 août 1883.

Humble serviteur

abbé J. Bosco.

 

53.

Lettera sul soggiorno di Don Bosco a Parigi.

                Mon Révérend Père[363],

                Permettez-moi de vous dire que je ne suis pas une étrangère à Don Bosco. Mon père le Marquis de Thezan Saint-Geniez était Coopérateur Salésien, et profondément attaché à tout ce qui avait rapport aux couvres Salésiennes.

                Ma mère ayant hérité d'une partie de la propriété de ses parents, lé Général de Bremond d'Ars, propriété-que j'habite actuellement, auprès de la gare de Saintes et des ateliers 0ù l'on répare les Wagons et les machines de tout le réseau des Chemins de fer de l'État, mon père songea au point de vue moral, à les rendre utiles aux nombreux ouvriers qui y travaillent et surtout à leurs enfants, privés pour la plus part d'une éducation Chrétienne.

                Et aussitôt la pensée d'une Cité ouvrière placée sur la hauteur, en un endroit charmant, dominant la ville et ses clochers, ayant à ses pieds le Château de Cormier, lui parut d'autant plus facile que ce côté là était complètement privé de secours religieux.

                Il pensa à Don Bosco. [516]

                Or nous avions d'excellents parents, le Due et la Duchesse de I,evis Mirepois, chez lesquels mon père descendait, comme il faisait toujours lorsqu'il était de passage à Paris.

                De plus la Duchesse était née Mérode Westerloo et fille d'une Thezan dont elle possédait encore de grands biens malgré les horreurs de la funeste Révolution de 1789. Madame de Mérode avait confié à mon père ce qu'elle avait de plus cher; sa fille, mariée loin d'elle, la Belgique n'étant pas tout près de l'antique manoir des Levis, situé dans le midi de la France.

                Il se trouva donc à Paris lorsque Don Bosco y vint en 1883.

                Il ne put le voir qu'un seul instant dans la maison hospitalière où il était descendu.

                L'ayant demandé, sa présence ne se fit pas attendre, et comme s'il le connaissait déjà, il s'adressa directement à lui, au milieu du bruit et du mouvement qui l'entouraient. - Voyez, Monsieur le Marquis, voyez dans quel état ils m'ont mis?... Armés de longs ciseaux ils se sont attaqués à ma pauvre soutane, d'autres, plus entreprenants, avec un peigne ou une brosse s'en prenaient à ma tête...

                Pendant qu'il parlait, on venait le chercher en toute hâte, les uns pour lui parler, les autres simplement pour le voir: cela devenait intolérable.

                Mais au déhors c'était bien autre chose... Tous les malheureux estropiés étaient là, accrochés à leurs béquilles, parlant, gesticulant et implorant de toutes leurs forces le secours d'un Saint!...

                Au milieu d'eux, il y en avait un plus grand, plus fort que les autres, mais qui avait une tournure singulière. - Regardez-moi, disait-il, hier j'était hydropique et maintenant je ne le suis plus. - Et il criait de toutes ses forces: Vive Don Bosco!!!

                Mon père, très impressionné par tout ce qu'il venait d'entendre, n'eut que le temps de lui demander, quel jour et à quelle heure il pourrait le voir.

                Alors, le Saint Prêtre lui donna le numero et l'adresse de la maison où il dirait la messe le lendemain.

                Le jour suivant, il s'achemina vers le lieu indiqué par Don Bosco: Quel né fut pas son étonnement en pénétrant dans cette cour, de se trouver dans une demeure Princière!

                A sa demande de voir Don Bosco, il lui fut répondu qu'ils avaient l'ordre de ne recevoir personne. Mon père alors donna sa carte, sur laquelle était son nom et son adresse. L'ayant lue ils s'inclinèrent et le précédèrent dans un magnifique escalier qui le conduisit, après plusieurs étages, dans un endroit où se trouvaient les habitants de cette splendide habitation, tous plongés dans le plus profond recueillement.

                Alors la messe commença et quelle messe!... Comme l'on sentait la présence divine, plus près, dans ce quadre restreint! [517]

                Quand elle fut finie, ces dames se retirèrent ainsi que les autres membres de la famille et mon père resta seul avec le Saint Prêtre qui achevait son action de grâces.

                Il lui exposa aussitôt le but de sa visite. Don Bosco lui répondit qu'il était sollicité à la fois de deux endroits bien différents, dans le nord de la France et dans le midi, aux environs de Nice, des terrains avec des bâtiments tout construits étaient prêts à le recevoir.

                Il remit donc à plus tard l'offre qui lui était fait... Et depuis tout en est resté là...

Mse DU DRESNAY, née THEZAN.

                Saint-Geniez. Château du Cormier Saintes (Charente Inférieure).

                Le 25 mars 1934

 

54.

Un vicecurato di Notre-Dame des Victoires di Parigi a Don Bosco.

                Mon Révérend Père,

                Lorsque nous avons eu le bonheur de vous posséder à N. D. des Victoires, je n'ai pas pu vous confier deux ou trois recommandations importantes auxquelles j'attache le plus grand prix.

                Je viens donc, mon Révérend Père, les recommander à vos saintes prières et à celles de vos chers et fervents orphelins. C'est: 1° La conversion d'une personne qui m'est chère.

                2° La guérison d'une petite enfant rachitique, pour laquelle sa mère vient de faire les plus grands sacrifices sans succès.

                Enfin, mon Révérend Père, je vous demanderais aussi de prier pour que je sois delivré de névroses dont je suis affligé depuis assez longtemps, et qui me gênent beaucoup pour mon travail. J'ai souvent ma pauvre tête bien malade, et j'ai bien besoin de toute ma santé pour remplir ici toutes mes obligations qui sont très multiples.

                De mon côté, je vous promets de prier N. D. des Victoires de bénir vos oeuvres apostoliques et de vous conserver longtemps à la vénération et à l'affection de vos chers orphelins.

                Veuillez agréer, mon Révérend Père, l'expression de mes sentiments respectueux et dévoués en N. S.

                Paroisse de Notre-Dame des Victoires, Paris,24 mai 1883

N. VAN CAMELBECKE.

Vicaire à N.-D. des Victoires.

                Paris. [518]

 

55.

Un articolo dell' Univers.

(28 aprile 1883).

 

                Tandis que les entreprises et les victoires du mal débutent à grand- bruit et s'accomplissent avec rapidité, le bien se fait en silence et lentement. Les oeuvres qui viennent de Dieu ressemblent à cet arbre d'Afrique dont les parfums et l'ombrage assainissent la terre où il est planté, et, protégeant le travail de l'homme, permettent de fertiliser les marécages et les déserts où le laboureur ne pouvait naguère ouvrir un sillon sans faire jaillir des effluves empoisonnés. Cet arbre croît d'abord très lentement, et son feuillage pâle et nuancé s'élève à peine au-dessus des épis. Tout à coup, la cinquième année je crois, il grandit avec une vitesse merveilleuse et atteint rapidement les proportions des chênes de nos forêts de France.

                Il en a été ainsi pour les ordres religieux fondés autrefois, et, de nos jours, le même spectacle a été offert aux regards des anges et des hommes. A peu d'années de distance, vers 1840, un jeune prêtre rachetant à grand peine les ruines d'une abbaye; deux ouvrières bretonnes recueillant dans leur mansarde une vieille femme abandonnée; quelques jeunes Alsaciennes se dévouant à prier pour la conversion des juifs, à l'appel d'un miraculé, passèrent inaperçus et furent longtemps ignorés. Maintenant le monde entier connaît les Bénédictins de Solesmes, les religieuses et les prêtres de Sion, les Petites-Soeúrs des Pauvres, et bien d'autres oeuvras encore, qui, non moins inconnues d'abord que celles-là, ont grandi en traversant comme elles les épreuves successives de l'obscurité, du succès et des persécutions.

                Pourquoi ne sommes-nous pas plus attentifs à signaler les travaux de ces humbles serviteurs de Dieu, qui reportant à lui seul toute louange et toute gloire, préparent la rançon des nations châtiées par la justice divine? pourquoi nous laissons-nous étourdir et désespérer par le bruit d'un monde affolé?

                C'est pourtant une bien grande joie, un repos bien doux et bien salutaire, que de lire un récit semblable à celui que je vais analyser, récit court, vivant, d'une simplicité charmante, et que je lus tout d'une haleine, en me disant: je le relirai.

                Qui m'à envoyé cet hiver ce petit volume, où tant d'aimables et de merveilleuses choses sont si bien dites? Il vient de Nice[364]: il semblait m'apporter le parfum de ses roses, la sérénité de son ciel [519] et de ses flots d'azur. Je ne connais pas l'auteur. Chose rare et digne de louange, il ne dit pas un mot de lui-même. Ni phrases, ni pose. Il n'a songé qu'à son modèle. A Nice, tout le monde connaît ce dom Bosco dont il a finement et largement dessiné les traits. Cette pure et joyeuse figure, cette douce lumière brille depuis longtemps au nord de l'Italie, à Rome, en Amérique et dans le midi de notre France, mais à Paris, les brouillards n'ont encore laissé parvenir que bien peu de ses rayons. Essayez, en effet, de parler de dom Bosco, et cela en très bonne compagnie, et vous verrez. - Connaissez-vous dom Bosco? - Non. - Et vous? - Un peu. N'est-ce pas un prêtre de Turin ou de Rome, qui s'occupe de bonnes oeuvres, de patronages, je crois. On dit qu'il a été fou. - Je le croyais mort. Il vit? Ah! Tant mieux. - Sur cent personnes interrogées, quatre-vingt-dix vous répondront ainsi. Si dom Bosco était mort, d'un mot je vous dirais ce qu'il est.

                Mais il vit: ne le fâchons pas. C'est à grand'peine que l'auteur du petit livre que j'ai sous les yeux 'a pu recueillir quelques détails sur cet homme de Dieu. Dom Bosco fut d'abord berger, comme saint Vincent de Paul, et plus longtemps, car il garda les moutons jusqu'à quinze ans. Le récit de M d'Espiney commence alors que Dom Bosco fut ordonné prêtre, à l'âge de vingt-six ans. On voit clairement qu'il n'a parlé de lui-même à personne. Ses oeuvras l'ont seules fait connaître; mais quel arbre doit être celui qui a porté de tels fruits et dont la vigoureuse et sereine vieIllesse épanouit sans cesse de nouveaux prodiges de fertilité!

                Dès qu'il fut prêtre, dom Bosco se mit à la disposition de l'abbé Cafasso, directeur de l'institut ecclésiastique de Saint-François d'Assise à Turin. Il fut chargé par lui de visiter les prisons. Le jeune prêtre trouva parmi les détenus un grand nombre d'enfants. Ces petits malheureux, livrés dès leur bas âge aux plus mauvaises influences, abandonnés ou pervertis par leurs parents, se corrompaient encore davantage en prison et n'en sortaient que pour commettre de nouveaux méfaits.

                Dom Bosco dès lors ne songea plus qu'à venir au secours des innombrables enfants pauvres et abandonnés qui erraient dans les rues de la ville, et à les rassembler pour leur parler dé Dieu qu'ils ignoraient.

                Mais, pauvre et isolé comme il l'était, par où commencer l'apostolat où il se sentait appelé?

                Alors qu'il. priait et cherchait dans sa pensée comment il réaliserait son désir, la Providence lui envoya non pas un trésor, non pas un protecteur, mieux que cela: un orphelin, un vagabond qui, à quinze ans, ne savait pas même faire le signe de la croix.

                C'était le 8 décembre 1841, dans la sacristie de l'église où dom Bosco allait dire la messe, et revêtait déjà les ornements sacrés. Le petit Garelli entra, par hasard. Le sacristain lui enjoignit de servir [520] la messe à dom Bosco. L'enfant, absolument incapable de remplir cet office, refusa, et le sacristain croyant à une pure mauvaise volonté, se fâcha et le souffleta. Garelli se mit à crier et à pleurer. Dom Bosco vint à lui, le consola, et le pria d'assister sa messe. Ensuite il l'interrogea et constata son ignorance profonde. Il se mit dès lors à catéchiser Garelli chaque dimanche, dans la chapelle de l'institut de SaintFrançois d'Assise. Garelli amena ses camarades, pauvres enfants qui servaient les maçons. Ceux-ci en appelèrent d'autres. En trois mois, ils furent cent, rassemblés devant l'image du séraphique. pauvre d'Assise. Dom Bosco les mit sous la protection de Notre-Dame Auxiliatrice. Il les instruisait, leur apprenait à prier, à chanter en choeur. Du coup le premier oratoire de l'oeuvre était fondé. Cent enfants arrachés à l'ignorance, au vice, amenés aux pieds du Divin Maître, cela semblait beaucoup.

                En 1844 le temps que dom Bosco devait passer à l'Institut SaintFrançois d'Assise étant terminé, il entra comme directeur au petit hospice de Sainte-Philomène, et dut aussi s'occuper d'un refuge fondé par la marquise Julie de Barol, et que dirigeait un prêtre d'origine française, l'abbé Borel[365].

                Là, dom Bosco n'eut pour réunir ses chers enfants, arrivés au nombre de deux cents, qu'une chambre étroite, un corridor et un escalier où ils s'entassaient. En revanche, il trouva en l'abbé Borel un zèle et un dévouement égal au sien, et ils travaillèrent ensemble comme deux vieux compagnons.

                Mais ils ne pouvaient suffire aux confessions, et chaque jour de nouveaux enfants survenant réclamaient une place plus grande. Mgr l'archevêque Fransoni, qui approuvait l'oeuvre, obtint de la marquise de Barol, dans l'hospice même, deux chambres que dom Bosco transforma en une chapelle. L'une de ces chambres était ornée d'un portrait de saint François de Sales. Dom Bosco le choisit pour patron de son oeuvre, qui prit de là le nom d'oratoire salésien.

                Elle se développait: dés écoles du soir réunissaient les enfants. après leur journée de travail, et leur nombre atteignit bientôt trois cents. Mais l'ère des difficultés allait commencer. Mme de Barol, en juillet 1845, reprit le logis qu'elle avait prêté; dom Bosco réunit alors ses enfants dans une église abandonnée, puis dans une autre d'où le curé les renvoya, ne pouvant supporter .1e bruit qu'ils faisaient aux alentours. Dom Bosco, n'ayant plus d'abri, les emmena chaque dimanche à la campagne. Les pauvres enfants emportaient et mangeaient en plein air leur chétif repas. Mais l'hiver vint: que faire? Il loua trois chambres dans une maison située en face du lieu où devait s'élever, quelques années plus tard cette église de Marie-Auxiliatrice, qui lui a coûté un million. Bien loin de songer à bâtir, le pasteur et [521] le troupeau avaient grand'peine à n'être point chassés. Le clergé de Turin fut hostile à dom Bosco, et il dut subir ces piqûres d'abeilles que saint François estime bien plus cuisantes que celles des mouches, et le propriétaire de la maison Moretta lui donna congé. C'était au printemps de 1846.

                L'ancien berger ne pouvant avoir une maison, loua un pré près d'une église, et y conduisit ses enfants. Que de joyeux ébats, que de ferventes prières, que de chants, que de belles histoires contées par dom Bosco, charmèrent ces réunions du Valdocco! Mais, hélas! avant qu'il fut deux mois, le propriétaire du pré donna congé, parce que le piétinement des enfants détruisait jusq'aux racines de l'herbe.

                Où aller? Pour comble de malheur, dom Bosco fut destitué de ses fonctions de directeur de l'hospice. C'était presque son unique ressource. Plus d'abri, plus de pain. Ses amis, et l'abbé Borel lui-même lui conseillèrent de renoncer à son oeuvre, de congédier les enfants. La Providence elle-même, lui disait-on, vous indique clairement qu'elle ne veut pas de votre oeuvre.

                La Providence m'a envoyé ces enfants, dit dom Bosco, elle me fournira ce qui leur est nécessaire. Avec l'aide de Marie-Auxiliatrice je leur bâtirai une vaste maison, une chapelle, des ateliers où ils apprendront des métiers. J'aurai des cours, des jardins, et enfin des prêtres nombreux qui les instruiront et prendront un soin spécial de ceux d'entre eux qui auront la vocation religieuse».

                Et, avec la prescience que donne la foi parfaite, il décrivait minutieusement l'édifice qu'il voulait élever, précisait son plan, ses vastes proportions, comme s'il le voyait déjà, comme s'il possédait d'inépuisables trésors.

                On le crut fou. Le bruit s'en répandit dans toute la ville de Turin, et des ecclésiastiques firent une tentative pour l'enfermer par ruse dans une maison de santé. Dom Bosco déjoua leur complot avec la grâce et la bonne humeur qui ne l'abandonnaient jamais. Il ne faisait nul état de l'opinion ni de l'appui des hommes, et plaçait ailleurs toutes ses espérances.

                Cependant la Providence le laissait languir. Pour la dernière fois les enfants s'étaient réunis dans le pré du Valdocco. Ils ne savaient pas où leur père bien aimé les réunirait le dimanche suivant. Lui non plus. Le soleil déclinait, le jour allait finir. Dom Bosco priait, le coeur douloureusement oppressé.

                Un brave homme survint; il venait offrir à dom Bosco de lui louer tout près de là un hangar, au prix de 300 francs par an. Ce hangar était tellement surbaissé qu'il faudrait creuser le sol pour s'y tenir debout; mais enfin c'était un abri contre le soleil et la pluie du ciel, c'était une tente, et elle était posée au Valdocco, là où devait s'élever plus tard la vaste maison projetée.

                Avant le coucher du soleil, le marché fut conclu, et le dimanche [522] suivant, jour de Pâques, les offices furent célébrés joyeusement sous le hangar transformé en chapelle. On en avait creusé le sol, mais le toit était encore si peu élevé que l'archevêque, montant en chaire, le jour dé la confirmation, dut ôter sa mitre pour s'y tenir debout.

                Trois mois après, en juilliet 1846, dom Bosco, exténué de travail et de fatigues (car aux soins de son patronage s'ajoutaient encore bien d'autres bonnes oeuvres), dom Bosco tomba malade et fut bientôt à la dernière extrémité.

                L'abbé Borel le veillait; une nuit qui semblait devoir être la dernière, il dit au malade:

                - Dom Bosco, demandez donc à Dieu de vous guérir.

                - Il faut s'abandonner à sa sainte volonté, répondit dom Bosco. - Au nom de vos enfants, demandez à Dieu de vous guérir. Vous ne pouvez les laisser ainsi.

                - Oui, Seigneur, dit le malade, si c'est votre bon plaisir: faites que je guérisse. Non recuso laborem.

                - Il guérit, à l'immense joie des sept cents enfants de l'oratoire salésien. Mais il était si affaibli, si chancelant, que les médecins lui prescrivirent trois mois de-repos et l'air natal.

                Il s'en alla chez sa mère, à quelques lieues de Turin, dans ce petit domaine des Becchi où s'était écoulée son enfance. Sa bonne mère, veuve, l'y soigna, et dès qu'il, eut repris ses forces, bien loin de le détourner de l'œuvre qui avait failli lui coûter la vie, elle lui dit simplement:

                - J'irai demeurer avec toi, et tes enfants seront les miens.

                Et la mère et le fils s'acheminèrent un beau jour vers Turin, à pied, bien pauvres, mais si heureux! Ils allaient où Dieu les voulait, ils allaient où son irrésistible appel les conviait d'apporter, lui; sa jeunesse et ses forces reconquises, elle, sa tendresse et les soins maternels que pouvaient encore donner l'automne de sa vie.

                Aux portes de Turin ils rencontrèrent un ami, un auxiliaire de dom Bosco, l'abbé Vola. A la vue de dom Bosco, le bâton à la main, portant pour tout bagage son bréviaire sous le bras, et qui paraissait bien fatigué, il lui demanda où il allait ainsi?

                - Nous allons, .ma mère et moi, nous établir à l'oratoire.

                - Mais tu n'a pas de ressources, comment feras-tu pour vivre? - Je n'en sais rien,'la Providence y pourvoiera.

                Alors le bon abbé lui donna sa montre comme première mise de fonds.

                Dom Bosco prit la montre aussi cordialement qu'elle était offerte, et la vendit le lendemain pour acheter les choses indispensables à l'installation de sa mère. Cette sainte femme se fit la servante des enfants qu'il rassemblait. Elle voulut nourrir et habiller les plus pauvres d'entre eux, et, gagnées par son exemple, la vénérable mère de l'archevêque de Turin, Mme Fransoni, et bien d'autres femmes [523] chrétiennes des plus distinguées de la ville, se mirent à travailler de 'leurs mains pour vêtir cette foulé d'enfants déguenillés. La bonne mère de dom Bosco vendit sa vigne, et sacrifia tout ce qu'elle possédait, tout, jusqu'à ses présents de noces, soigneusement gardés jusque-là, pour souvenir aux dépenses de l'oeuvre de son fils. Personne, à son exemple, ne s'épargnait à l'oratoire du Valdocco. Dom Bosco, dans l'intervalle de ses fonctions de prêtre et d'instituteur, aidait sa mère aux gros ouvrages. On voyait cet homme, si éminent par intelligence et le savoir, puiser de l'eau, scier le bois, éplucher les légumes et faire la polenta, coudre même, quand il le fallait, pour couvrir les membres de quelque pauvre enfant qui lui arrivait nu et affamé. Toujours gai, toujours souriant, rien ne pouvait altéter son humeur gracieuse. Des amis, des secours inattendus lui vinrent: des ennemis aussi. Un jour, en 1848, un coup de fusil fut tiré sur lui, par la fenêtre -ouverte de la chapelle, pendant qu'il faisait le catéchisme aux enfants. La balle passa entre son bras et .sa poitrine et alla s'aplatir contre le mur. Les enfants s'élancèrent épouvantés vers lui. Impassible, il leur dit en souriant: « Si la sainte Vierge ne liai avait pas fait manquer la mesure, il m'attrapait; mais c'est un mauvais musicien ». Puis, considérant sa soutane trouée, il ajouta: « O pauvre soutane! je suis fâché de ce qui t'arrive,, car tu es mon unique vêtement ».

                En 1849, dom Bosco eut une grande joie. Quatre des enfants de l'oratoire prirent l'habit ecclésiastique. Ce,furent les premiers clercs de l'institut Saint-François de Sales.

                L'heure de la croissance rapide était venue pour l'arbre Salésien. L'oratoire du Valdocco prit une telle extension qu'il put contenir un millier de personnes, et sa chapelle, ses ateliers, ses salles, ses réfectoires et ses dépendances de toute sorte, réalisèrent le rêve qui avait fait, cinq ans, auparavant, taxer de folie le pauvre dom Bosco.

                Puis les oratoires se multiplièrent; d'abord l'Italie, puis la Provence, l'Espagne et l'Amérique appelèrent les prêtres salésiens, et cent quarante maisons les reçurent. Actuellement, dom Bosco y rassemble plus de cent mille enfants, qui tous y apprennent un état, y reçoivent l'instruction élémentaire, et dont beaucoup, distingués par leurs aptitudes, font des études complètes et choisissent des carrières libérales. Un grand nombre de prêtres aussi sortent chaque année de ces oratoires, et c'est parmi eux que dom Bosco recrute ses coopérateurs et les missionnaires qu'il envoie dans l'Amérique du Sud. Cent trente de ces prêtres sont en ce moment en Patagonie, où ils ont fondé sept colonies et baptisé plus de treize mille sauvages.

                Quant à l'église qu'il a bâtie à Turin en 1865 et dédiée à Notre Dame Auxiliatrice, elle est née d'une pensée de dom Bosco et d'une [524] bénédiction de Pie IX. Sa Sainteté encouragea dom Bosco à l'entreprendre, et lui donna cinq cents francs pour l'achat du terrain. Le terrain acheté, le plan fait, dom Bosco posa la première pierre et fit commencer les travaux. Il avait quarante centimes en caisse, pas un de plus. Au bout de quinze jours il devait mille francs aux terrassiers et n'avait rien.

                Alors commença la série des prodiges. Il faut les lire dans le recit simple, lucide et animé de M d'Espiney. Sur le million que coûta l'église, huit cent cinquante mille francs furent offerts par des malades guéris, des affigés secourus par Marie Auxiliatrice. Il n'y eut pas de quêtes, tout l'argent vint de dons volontaires, spontanés, mystérieux parfois, et presque toujours inattendus et arrivant au moment même où l'on avait absolument besoin d'eux.

                Enfin, ce dom Bosco, qui ne s'étonne de rien, et reporte à la Sainte Vierge tout l'honneur de ce qu'il fait, est une des plus merveilleuses personnalités de ce siècle. Toujours agissant, mais jamais affairé, il gouverne ses oratoires semés dans l'ancien et le nouveau monde, sans que sa mémoire défaille un instant. Il reçoit, en moyenne, cent lettres par jours, et cette besogne écrasante, cette incessante sollicitude lui laissent le charme de sa gaieté, la fraîcheur de sa mémoire. Il récite des chants entiers de Virgile et du Dante, comme il le faisait à vingt ans, et se complaît à diriger les harmonieux concerts de ses enfants. La musique est en grand honneur dans les oratoires salésiens. Rien n'y est négligé pour élever l'âme des enfants vers le beau, Chose merveilleuse et parfaitement vraie, nul d'entre-eux depuis que l'oeuvre existe, c'est-à-dire, depuis quarante ans, nul d'entre-eux encouru de condamnation judiciaire. Dom Bosco a ce qu'il avait souhaité lorsque, effrayé de rencontrer tant de jeunesse dans les prisons de Turin, il se promit de consacrer sa vie à préserver l'enfance du vice et de l'abandon.

                Je ferme à regret ce livre où j'aurais tant à puiser encore. Cher et aimable dom Bosco! son portrait nous le montre si simple, si affectueux, qu'il nous semble reconnaître en lui un ami d'autrefois. En lisant sa vie, on ne peut se le figurer autrement que la photographie ne le représente, avec ce bon sourire, cette tête fine, intelligente, énergique, ces mains vigoureuses, qui ne se reposent jamais que jointes pour la prière. Heureuse la mère qui à donné ce fils à l'Église!

                Mais ne le quittons pas sans citer un des traits qui peignent le mieux la candeur et la bonté de cette âme « colombine », comme disait saint François de Sales.

                C'était dans le temps où il s'occupait, parallèlement avec son oeuvre, des jeunes détenus de la prison de Turin. Il leur avait prêché une retraite, et après une communion presque générale qui la suivit, le bon père content de ces pauvres enfants, voulut leur donner un jour de plaisir. Il s'en alla trouver le directeur de la prison et lui demanda [525] naïvement la permission d'emmener tous ses pensionnaires passer une journée à la campagne.

                - Y pensez-vous, monsieur l'abbé? s'écria le directeur. Songez que je suis responsable de toute évasion. Vraiment, les soldats du roi ont bien autre chose à faire que de promener de tels garnements.

                - Qui vous parle de soldats, monsieur le directeur? Je les emmenerai et les ramènerai tout seul, et je vous réponds qu'il n'en manquera pas un.

                Le directeur, stupéfait, en référa, au ministre Ratazzi: dom Bosco agit de son côté... finalement la permission fut accordée.

                Dom Bosco sortit de la ville, emmenant les deux cent cinquante jeunes détenus. Ils allèrent à vingt kilomètres de Turin, au château de Stupinigi.

                Pas un désordre n'eut lieu; pas un fruit ne fut dérobé. Les enfants jouissaient avec délices du grand air et de la liberté. Au cours de la promenade, dom Bosco parut fatigué. Vite les jeunes gens déchargèrent l'âne qui portait les provisions et firent monter le bon père sur son dos. Leur unique souci fut dé ménager les forces de leur cher aumônier. Il les ramena sans encombre à Turin, et le directeur, aussi étonné que satisfait, constata que pas un prisonnier ne manquait à l'appel.

                Ceci, bien que surprenant, ne sort pas de l'ordre naturel, mais il est d'autres faits de la vie de dom Bosco qui semblent être tirés des légendes du treizième siècle. De même que le saint curé d'Ars attribuait à sainte Philomène les merveilles obtenues par ses prières, dom Bosco met au compte de Notre-Dame Auxiliatrice tout ce qu'opèrent ses , paroles et sa bénédiction.

                Si quaeris miracula, Mors, error, calamitas, Daemon, lepra, fugiunt Aegri surgunt sani...

                Il a cette foi qui transporte les montagnes...

                N'attendons pas pour saluer ce serviteur de Dieu que les peuples s'écrient: Le saint est mort! Propageons le livre excellent qui nous révèle son passage en ce monde. C'est à l'heure-où vient de se fermer la tombe d'un des plus vaillants défenseurs de l'Église[366] qu'il faut chercher dans de tels récits ce qui peut ranimer notre courage et affermir nos espérances.

                J. LAVERGNE. [526]

 

Discorso di Don Bosco alla Maddalena di Parigi.

(Dalla Gazette de France).

                Je suis profondément ému à la vue d'un auditoire si nombreux, et je ne sais comment répondre à cet empressement. C'est pour moi une consolation inexprimable que[367] de parler à une assemblée si considérable de bons catholiques. C'est de la jeunesse que nous allons nous entretenir. Suivant la parole de l'un de vos plus illustres prélats, Mgr Dupanloup[368] la société sera bonne si vous donnez une bonne éducation à la jeunesse: si vous la laissez aller à l'entraînement du mal, la société sera pervertie. Quand on me parle de la jeunesse, disait un saint prêtre, je ne veux pas qu'on m'entretienne de projets, je veux voir les résultats acquis. Je vous exposerai donc simplement ce que la divine Providence nous a permis de faire pour la jeunesse: vos coeurs en seront touchés. Vous vous intéresserez à nos pauvres orphelins abandonnés. Non seulement nous voulons nourrir, élever, instruire tous ceux que nous avons déjà recueillis, mais nous voulons en sauver beaucoup d'autres. Avant de vous expliquer nos oeuvres, je vais vous indiquer comment je compte vous payer ma dette de reconnaissance.

                Par une faveur spéciale du Saint-Père, je puis donner à vous tous qui êtes réunis à la droite de Dieu, pour vous et vos familles, une bénédiction à laquelle est attachée l'indulgence plénière. Demain je dirai la messe à l'intention de tous ceux qui prêtent leur concours à nos oeuvres, et spécialement pour nos charitables quêteuses, pour M le curé etpour le clergé de la paroisse. Je supplierai Dieu de vous accorder à tous ses bénédictions les plus particulières. Que le bon Dieu, vous console, vous comble de ses faveurs, et qu'il m'aide aujourd'hui à m'exprimer[369] dignement devant vous.

                La première chose que l'on demande a un homme qui parle de  grands projets, c'est de montrer la portée de son oeuvre, son but. Ce qu'on lui demande ensuite, c'est d'indiquer le résultat obtenu. Je vais répondre à cette double question en expliquant le but général de notre oeuvre.

                Quand je parle de la jeunesse, je n'entends pas celle'qui est élevée avec tant de soins dans les familles aisées, dans des collèges ou des institutions. Je ne parle que des enfants abandonnés, que des vagabonds errants dans les rues, sur les places et les grands chemins. [527]

                Je ne parle que de ces êtres délaissés qui, plus tôt ou plus tard, deviennent le fléau de la société et qui finissent par peupler les prisons.

                C'est à Turin, en fréquentant les prisons pour exercer mon saint ministère, que j'ai constaté la nécessité de mon oeuvre. Parmi les prisonniers, je trouvais une foule de jeunes gens, nés de `parents fort honnêtes. Il était évident que si ces enfants avaient reçu une bonne éducation, ils ne se seraient pas laissés aller au mal.

                Je pensai que si à leur sortie de prison on les laissait encore abandonnés à eux-mêmes, ils ne pouvaient que faire une mauvaise fin, tandis qu'en s'occupant d'eux, en les' réunissant le dimanche, il y avait peut-être encore moyen de les retirer du vice. Pour arriver à un résultat, quand on est sans ressource, il faut se mettre à l'oeuvre avec la plus entière confiance dans le bon Dieul C'est ainsi que nous avons commencé l'oeuvre de notre patronage du dimanche; à côté de nos jeunes libérés, nous réunissions bientôt tous les vagabonds. On parvint à se procurer une maison assez grande pour en recevoir beaucoup et, au bout d'un certain temps, on put entourer le jardin d'une muraille.

                Alors, avec l'aide des jeunes gens riches de la ville, on s'occupa de ces pauvres orphelins; on leur apprit la musique et on les exerça à la course, à la gymnastique, à la déclamation dans des séances littéraires; puis, après le déjeuner et le gouter, on leur procura une foule d'amusements honnêtes. Les premiers succès acquis me portèrent à reconnaître que l'oeuvre venait de Dieu.

                Quand il nous fut possible d'avoir une chapelle, des prêtres vinrent entendre les confessions de nos orphelins, et tandis que les uns s'amu- - saient avec les membres de l'oeuvre, les autres se confessaient et communiaient. A l'hèure fixée, un coup de cloche mettait fin aux jeux et, tous ensemble, on assistait aux offices. De cette façon le temps était absolument occupé depuis la première heure du jour jusqu'à midi. A ce moment chacun reprenait sa liberté, mais. à 2 heures on se réunissait de nouveau et le temps se partageait encore entre l'assistance au catéchisme, les vêpres, le salut et la récréation.

                Les jeunes gens riches, dévoués à notre oeuvré, consacraient une grande partie de leur temps à trouver du travail pour nos orphelins. Ils s'adressaient aux patrons, aux chefs d'industries et de magasins, et ils en plaçaient un grand nombre.

                Bientôt, les femmes dit monde nous vinrent en aide et elles s'occupèrent de procurer des vêtements à nos pauvres garçons.

                Notre oeuvre obtenait alors le double résultat de préserver du mal les vagabonds que nous recueillions, et de réhabiliter, de raffermir après leur chute les jeunes libérés, à leur sortie de prison. Parmi les vagabonds recueillis à Turin il s'en trouvait de très grands et de très ignorants. En peu de temps[370] quand ils se voyaient en contact, au  [528] patronage, avec de tout jeunes enfants que nous avions déjà instruits, ils devenaient honteux de leur complète ignorance. Dieu nous suggera la pensée de leur faire des classes particulières et le soir, nous eûmes souvent la consolation de réunir 150 à 200 grands jeunes gens. Ils en arrivaient bientôt à nous demander eux-mêmes à se confesser et à communier. Nous avions le bonheur de les sauver ainsi sur le bord même de l'abîme. Peu de temps après, nous dûmes établir des classes de jour.

                Dans mes courses à travers la ville, quand je rencontrais un jeune homme sans moyen d'existence, je lui posais cette question: - Veux-tu travailler? - Oui, me répondait-il, mais je ne sais où aller. - Je vais te l'indiquer, lui disais-je. - On ne me recevra pas, ajoutait-il, je suis trop mal habillé. - Viens avec moi, on t'habillera. - Et tous me suivaient ainsi avec plaisir. Voilà toute l'histoire de la fondation de nos patronages appelés refuges ou orphelinats.

                Dans la suite nous entrevîmes la nécessité de donner d'honnêtes travailleurs aux campagnes, en Italie, en France, plus particulièrement en Espagne et en Amérique nous organisâmes des orphelinats agricoles.

                La réussite de nos efforts pour les jeunes gens nous amena à tenter les mêmes oeuvres pour les jeunes filles: grâce à la fondation de l'ordre des soeurs de Notre-Dame Auxiliatrice, nous pûmes y parvenir.

                L'historique de nos oeuvres serait trop long, je vais maintenant me borner à répondre à la question que vous me posez intérieure, ment. Le résultat obtenu est-il consolant? Oh! oui, puis-je répondre! nos orphelinats se sont multipliés partout, en Italie, en France, en Espagne, mais plus particulièrement en Amérique. Pour ne vous parler que de ce qui regarde la France, je vous dirai que nous possédons à Nice un orphelinat de 230 garçons. A La Navarre, canton de la Cran, les 120 jeunes gens qui se trouvent à l'orphelinat, s'occupent aux travaux de la terre. A Saint-Cyr, entre Toulon et Marseille, nous avons un vaste orphelinat de jeunes filles pauvres et abandonnées. En dehors de la chapelle et de l'école où elles se trouvent réunies, ces jeunes filles se livrent aux divers travaux de leur condition. Dans la journée elles s'occupent du jardinage, le soir elles font de la couture. A Marseille notre orphelinat de garçons renferme 300 pensionnaires et plus de 150 jeunes gens, reçus comme externes, sollicitent leur admission. La place manque malheuresement, bien que nous ayons construit de vastes bâtiments. De ce côté, nous avons des dettes très considérables qu'il nous faut payer. On nous viendra en aide, car nous n'avons travaillé que pour la gloire de Dieu, pour le bien de la société et le salut des âmes.

                A mesure que nos maisons se sont développées, nous avons constaté d'une part que beaucoup de nos orphelins avaient des facultés toutes spéciales pour les études libérales; d'autre part, nous nous [529] sommes vus dans la nécessité d'augmenter, dans des proportions considérables, le nombre de nos catéchistes, de nos professeurs, de nos surveillants. Grâce à Dieu nous avons pu créer une oeuvre nonvelle qui a concilié nos besoins avec l'intérêt personnel de nos jeunes gens et l'intérêt social; et, nous avons organisé dans notre maison des cours supérieurs d'enseignement. Au bout de peu de temps nous avons formé un assez grand nombre de maîtres et de surveillants pour les premières classes.

                Dieu a béni la persistance de nos efforts et, aujourd'hui, nous avons donné à l'Eglise et à nos oeuvres un nombre immense de prêtres qui dirigent nos maison avec tout le zèle désirable. Quant à ceux de nos jeunes gens que leur vocation n'appelait pas au sacerdoce, nous avons poursuivi leur éducation selon leurs aptitudes.

                Notre oeuvre se continue aujourd'hui, mais depuis longtemps déjà aussi bien en Italie et en Amérique qu'en France, nos jeunes orphelins occupent les places les plus distinguées dans les universités et les académies. Ils ont trouvé chez nous un enseignement complet, lettres, sciences, droit, médecine. Dans toutes les professions libérales où ils se font remarquer, les jeunes gens que nous avons élevés s'honorent de l'éducation qu'ils -ont reçue.

                Aujourd'hui, le nombre des maisons que nous avons fondées et que nous dirigeons atteint le chiffre énorme de cent soixante-quatre. Plus de 150.000 enfants y sont reçus et, chaque année, le mouvement d'entrée et de sortie varie de 35 à 40.000. Chaque année, nous avons la consolation d'avoir coopéré au salut de ces âmes que nous avons mises à même de servir Dieu, la religion, la patrie, la famille, la société.

                Grâce aux jeunes gens que nous avons élevés et qui eux-mêmes nous servent de missionnaires, nos oeuvres prennent chaque jour un développement de plus en plus grand en France, en Italie, en Espagne, au Brésil, à la République Argentine et jusque dans les contrées saunages de la Patagonie. '

                Si nous nous étendons chaque jour, chaque jour aussi nous nous trouvons aux prises avec de plus grandes difficultés pour nous procurer de l'argent. Jusqu'ici nous avons pu nourrir tous ces enfants. Comment y sommes-nous arrivés? voilà le grand mystère, je dois en faire l'aveu. Pauvre, sans moyens d'existence, comment ai-je pu fonder et soutenir ces oeuvres? C'est là le secrète de la miséricordieuse bonté de Dieu. Il lui a plu de favoriser mon oeuvre parce que le bien de la société et de l'Eglise résident dans la bonne éducation de la jeunesse. La Sainte Vierge a été pour nous réellement Notre Dame auxiliare: c'est à elle que nous devons le succès de nos travaux; c'est elle qui nous a procuré le moyen de bâtir nos maisons et nos chapelles. Nous n'avons marché qu'avec sa protection: elle bénit ceux qui s'occupent de la jeunesse. [530]

                Je vous remercie de tout coeur, vous tous qui m'avez écouté avec tant d'attention et de charité. Je remercie Notre-Dame Auxiliatrice de tout le secours qu'elle nous a donné. En récompense de votre charité pour les orphelins, elle protègera vos intérêts, vos familles; elle sera le guide et le soutien de vos enfants. Je la prie d'être`"toujours notre mère, et de se montrer à l'heure de la mort notre suprême protectrice. Qu'elle soit notre force et notre espérance ici-bas, en attendant que nous puissions la louer et la bénir au ciel.

 

57.

Un Thaumaturge en 1883.

                (Clairon 30 april).

                Il n'était bruit dans Paris, ces jours-ci, que de cet humble prêtre qui nous vient d'Italie, précédé d'une réputation compromettante, celle d'un homme qui fait des miracles.

                Il a prêché hier à la Madeleine, et l'église était pleine comme s'il s'agissait d'entendre le plus grand orateur; dès deux heures de l'après midi, il a fallu fermer les portes aux nouveaux arrivants; on se pressait jusque sur les marches du maître-autel: intentique ora tenebant.

                Et pourtant, Don Bosco n'est point orateur il parle le français difficilement, et sa voix n'a point cette sonorité qui pénètre les foules, ce timbre d'or qui charme l'oreille, et ces accents qui captivent les coeurs.

                Son geste est sobre et lent; son regard, souvent voilé, n'a point d'éclairs, tout dans l'extérieur de cet homme respire la douceur, la simplicité, et la grandeur de l'humilité chrétienne.

                Et c'est avec ce simple bagage oratoire qu'il a abordé ce public parisien si sceptique, si sensible au charme de la parole, que pour lui tous les talents se résument dans l'éloquence, et qu'un beau diseur est à 'ses yeux tout ce qu'il prétend être: homme d'État, général, financier et au besoins tout cela à la fois.

                Don Bosco est monté en chaire à trois heures, il a parlé de son ceuvre,  raconté le développement de ses entreprises charitables, montré la nécessité de soutenir ses orphelinats où cent soixante mille enfants reçoivent gratuitement la nourriture du corps et celle de l'âme.

                On l'entendait mal, on le comprenait à peine, mais l'idée avait pris corps dans cette foule, la grandeur de l'oeuvre apparaissait rayonnante dans le temple de la charité, et faisait comme une auréole

                à celui qui avait accompli ces choses avec rien.  Et quant la quête commença, les pièces d'or tombèrent dru dans les aumônières de velours. [531]

                En quelques instants, il y eut plus de cent mille francs déposés à la sacristie, et ce n'était pas tout[371].

                Saint Vincent de Paul non plus n'était pas orateur et sa parole accomplissait de ces miracles.

                Mais non, je n'y veux point voir un miracle, car je sais combien l'on donne volontiers en France, et combien tout appel à la charité publique trouve un écho retentissant dans tous les coeurs.

 

* * *

 

                Don Bosco est le fils de pauvres paysans des environs de Turin. J'ai vu, tout enfant, la cascina, où il avait passé ses premières années; c'était une ferme assez vaste, bien tenue, où les longues charrettes en usage en Piémont, étaient ornées d'arabesques et de sculptures au couteau.

                Quand il y venait avec ses orphelins, les paysans des environs accouraient en foule et lui apportaient, qui un pain, qui un sac de farine de mais, chacun voulant contribuer au repas de ces joyeux enfants.

                Et cette petite armée s'en allait ainsi par les champs, sans provisions, assurée des seuls secours de la Providence.

                C'est ainsi que toute l'oeuvre de Don Bosco s'est accomplie, ne comptant pour rien les conseils de la sagesse humaine, attendant tout du lendemain, qui n'appartient qu'à Dieu, escomptant la Providence et ne se trompant jamais.

                Ce fut d'abord un gamin recueilli dans la rue, catéchisé et instruit; il en amena d'autres, auxquels le prêtre enseigna le travail et la prière. C'était en 1841, il n'était point encore question de loger ces enfants, de les nourrir, ni de les vêtir. Don Bosco, était alors aumônier d'un refuge fondé par la marquise de Barol, cette excellente et sainte femme qui avait recueilli chez elle Silvio Pellico au sortir de prison, et avait entouré de bien-être ses dernières années. C'était Silvio, le martyr, martyr de ses illusions! Et il le reconnaissait lui-même quelquefois.

                Cependant Don Bosco poursuivait son oeuvre d'apostolat; on trouvait son zèle excessif, incommode pour les voisins, on le pourchassait de partout. Il en était réduit à louer un pré pour évangéliser ses enfants, encore le propriétaire en était-il mécontent, jugeant que son herbe disparaissait jusqu'à la racine. Enfin, on trouva une grange, mais quelle grange! elle était si basse de plafond, que l'archevêque de Turin, y venant officier, n'y put tenir avec sa mitre.

                Aujourd'hui l'oeuvre de Don Bosco comprend plus de cent trente maisons et soutient cent soixante mille enfants. [532]

                Voilà le miracle!

                Quand ce prêtre, au début de son apostolat, parla de construire un vaste établissement capable de contenir un millier d'orphelins, avec une église, des ateliers, des classes, des dortoirs, on le crut fou. on voulut l'enfermer, il ferma la porte de la voiture sur ceux qui voulaient l'emmener par surprise, les envoya seuls aux petites-maisons, et sa folie, à lui, l'a conduit à faire l'oeuvre que je vous défie de ne pas reconnaître comme la plus extraordinaire de ce siècle.

                Et c'était certainement une folie, mais la plus belle de toutes, la folie de la charité.

                C'est par une folie semblable que le christianisme est entré dans le monde.

 

* * *

 

                Il faut entendre, en Italie, la légende des miracles de Don Bosco; le chapitre en est long. Ce sont des 'enfants guéris subitement, des prophéties accomplies, des événements surnaturels de toute sorte. je ne vous dirai pas toutes ces histoires.

                Tantôt c'est un chien de grande taille qui accompagne le missionnaire, tous les soirs pendant un mois, dans les faubourgs de Turin, l'avertit du danger, le défend, et disparaît sans qu'on puisse jamais savoir ni d'où il venait ni comment il a disparu; tantôt c'est un voleur menaçant Don Bosco de l'assassiner et le quittant après être tombé à ses genoux, etc.

                Victor-Emmanuel avait une certaine frayeur de Don Bosco, qui lui avait annoncé, dit-on, la mort de sa mère et de sa sainte femme. Il ne refusait jamais de le recevoir et se hâtait de lui donner les secours qu'il demandait pour éviter quelque prédiction plus personnelle. Pauvre Roi galant homme, on lui avait dit qu'il mourrait à Rome, il n'y, voulait jamais rester pour éviter cette mort, qui, un jour, le prit au débotté et ne le laissa plus s'échapper de la ville éternelle.

 

* * *

 

                Voulez-vous une des histoires les plus étranges de Don Bosco: il catéchisait les jeunes détenus, à Turin, et était parvenu à les faire confesser tous, au nombre de deux cent cinquante. Il va trouver le directeur de la prison et lui demande l'autorisation d'emmener tous ses prisonniers à la campagne.

                - Vous êtes fou, mon père!

                Et Don Bosco se rend aussitôt chez le ministre Rattazzi: Même demande; même réponse.

                Le prêtre insiste. On lui promet deux cents gendarmes; il les refuse et s'engage à ramener tous ces enfants, le soir, à la- prison. Rattazzi, stupéfait, consent enfin. [533]

                Et Don Bosco le fit comme il l'avait dit. Il conduisit les jeunes détenus à la villa royale de Stupinigi, et, le soir, à la prison, il n'en  manquait pas un seul à l'appel. Pas un seul d'entre eux n'avait commis le moindre dégât et ne s'était écarté de la route.

                Une autre fois, cet homme extraordinaire annonce à ses orphelins, réunis au nombre de huit cents, que, dans un mois, trois d'entre eux seront morts.

                Quelques amis lui demandent les noms, il les refuse, mais, sur leur demande, il les écrit sur un papier qu'il cachette, qu'on cachette et qu'on enferme dans une caisse soigneusement fermée et cachetée par plusieurs personnes.

                Un mois après, trois de ces enfants étaient morts; on ouvre le papier, les noms y étaient.

                On raconte tout cela et plus encore, on dit enfin que l'autre jour, à l'école de la rue de Madrid, on conduisit Don Bosco à l'infirmerie où un enfant était gravement malade; le prêtre le bénit et lui commanda de venir le lendemain servir sa messe. L'enfant se leva et servit la messe le lendemain.

                Certes le rôle de thaumaturge est difficile à porter, et de mauvais plaisants ajouteront que cela est d'autant plus difficile quand on s'appelle Bosco. Cette plaisanterie n'est ni bien méchante ni surtout bien difficile.

                On ne prête qu'aux riches, dit un vieux proverbe, et l'imagination populaire a beau jeu avec un homme qui a accompli un miracle plus grand que de ressusciter les morts, celui de faire vivre cent soixante mille vivants sans être assuré d'un seul jour dans l'avenir.

                Peu à peu, ses orphelinats se sont répandus dans les principales villes d'Italie, à Nice, en Provence, en Espagne, à Buenos-Ayres,  à Montevideo; l'oeuvre menace d'envahir le monde; il faut de l'argent, de l'argent toujours, de l'argent en très grande quantité. La responsabilité morale et matérielle est immense, et cet homme s'en va tranquiljement par les chemins, avec son sourire doux, son regard bienveillant et franc, un regard de magnétiseur; magnétisant les foules, convertissant les incrédules, recevant de toutes mains, toujours à temps, toujours ce qu'il faut, n'ayant jamais perdu une occasion de bien faire et d'obbliger les autres à en faire autant.

 

* * *

 

                Personne n'a mieux justifié que lui cette parole sublime de l'Evangile que la terre appartiendra à ceux qui sont doux. Beati mites. Les révolutions passent, les persécutions passent, laissez faire les violents et les habiles, toute leur force vient se briser sur cette douceur qui persiste et va droit à un but plus élevé que les appétits humains. C'est un choc qui briserait une armure et qui s'étoffe dans un duvet. [534]

                Laissez donc de côté la préoccupation des miracles, écartez les femmes qui se précipitent pour voir Don Bosco, lui parler, lui faire bénir un chapelet, lui faire toucher une médaille; ces engouements sont de tous les partis et s'appliquent souvent à de moins grandes personnalités; ce qu'il faut voir au-dessus de l'homme, c'est l'oeuvre et celle-ci est grande comme la question sociale elle-même.

                L'œuvre est française autant qu'italienne, puisqu'elle est chrétienne, elle est nôtre si nous savons la faire nôtre, elle doit être à la base de la société populaire comme la solidarité qu'on invoque aujourd'hui, après l'avoir chassée il y a cent ans bientôt.

                Prenez les enfants si vous voulez refaire la société, faites que tous les enfants aient un asile: c'est un devoir social; faites que cet asil soit moralisateur, c'est le devoir de la société chrétienne.

                Appelez l'oeuvre de Don Bosco à Paris, dans toutes les villes de France, et vous referez une génération ouvrière, active, intelligente, honnête, disposée à toutes les réformes saines et necessaires, et vous n'aurez plus besoin d'une loi pour les recidivistes.

                La question sociale n'est point si compliquée; c'est un peu de sécurité pour tous, et à ce point de vue nous sommes tous socialistes. Eh bien, je dis que voilà une oeuvre de solidarité, qui est le premier anneau de la chaîne, le plus indispensable, avec le rétablissement des tours.

                Après cela, il restera encore beaucoup à faire. mais il ne faut compter, pour cela, ni sur l'Etat, ni sur les passions populaires, il ne faut compter que sur cette grande force qui a élevé nos hôpitaux, nos hospices, nos églises et notre vieille société elle-même: la charité chrétienne.

MEURVILLE.

 

58.

Le questuanti alla Maddalena di Parigi.

 

                Nous sommes priés d'annoncer que Dom Bosco, fondateur de nombreux orphelinats en France et à l'étranger, parlera dimanche prochain, 29, à la Madeleine, à 3 heures. des progrès de ces oeuvres charitables et des résultats obtenus jusqu'à ce jour, plus spécialement dans le midi de la France.

                Sa Sainteté Léon XIII accorde une bénédiction particulière avec indulgence plénière aux personnes qui seront présentes à cette religieuse cérémonie.

                La quête est destinée spécialement aux Etablissements de France; elle sera faite par Mmes:

                Lá comtesse d'Andigné, 3, rue de La Chaise.

                La vicomtesse du Bouexic, 17, rue de Monceau. [535]

                La comtesse de Bouteville, 19, rue François Ier.

                Boisard, 61, rue de Saintonge.

                La comtesse de Candolle, 44, rue de Bellechasse.

                La vicomtesse des Cars, 24, Cours-la-Reine.

                La marquise de Calaincourt, 3, rue de La Chaise.

                De Combaud, 34, avenue de Messin.

                Là comtesse E. de Chabanne, 31, rue de Bellechasse.

                La vicomtesse de Damas, 173, rue de l'Université.

                Fitch, 15, rue de la Ville-l'Evêque.

                Céline Josse, 63, rue de la Victoire.

                Marie Josse, 31, rue de Sèvres.

                La comtesse de Louvois, 224, boulevard Saint-Germain.

                La marquise de Mac-Mahon, 102, rue de l'Université.

                Ch. Magnien, 17, rue Saint-Florentin.

                La comtesse de Maziei, 8, rue de Varennes.

                La comtesse de Mun, 61, avenue de l'Alma.

                La comtesse Lepelletier-d'Aunay, 8o, rue de l'Université.

                La duchesse de Reggio. 5o, rue de Bourgogne.

                La comtesse Riant. 51, boulevard de Courcelles.

                La comtesse M. de Vibraye, 13, rue Saint-Dominique.

 

59.

Invito per la conferenza a S. Sulpizio.

 

                Don Bosco, fondateur de nombreux orphelinats en France et à l'étranger, dira sa messe, mardi prochain I mai, à 9 heures à l'église Saint-Sulpice.

                Il vous entretiendra ensuite des progrès de ses oeuvres charitables et des résultats obtenus jusqu'à ce jour; plus spécialement dans le midi de la France.

                Vous êtes prié d'assister à cette réunion.

                Sa Sainteté. Léon XIII accorde une bénédiction particulière avec indulgence plénière aux personnes qui seront-présentes à cette religieuse cérémonie.

                La quête est destinée spécialement aux établissement de France: elle sera faite par:

                Madame

                                la vicomtesse de Guébriant, 12, rue de Varennes.

                                la marquise de Pallavicìno, 51, rue du Four-Saint-Germain

                                la comtesse de Saint Phalle, rue de la Béotie, 28.

                                la marquise de Wibraye, 56, rue de Varennes.

                De Villaret de joyeuse 3, rue de l'Université. [536]

                Mesdemoiselles

                                de Bantelle I, rue Volney.

                                Marie Boumard 15, rue Garancière.

                                Lucie Roussel, place de la Croix Rouge.

                                Mathilde Thirion, 47, rue de Rome.

                Monsieur Adolphe Josse, libraire-éditeur, 31, rue de Sèvres.

                De la part de M....

 

60.

Parole di Don Bosco nella Chiesa di S. Sulpizio.

 

                C'est avec une grande consolation que je vois cette foule de bons catholiques si bien formés dans cette paroisse à la pratique de la religion. -La religion, c'est la seule consolation solide au milieu des misères, des afflictions de cette vie; elle seule aussi nous assure le bonheur après la mort. Continuez à y être fidèles, et pour cela communier souvent.

                Persévérez dans vos traditions de charité généreuse pour toutes les bonnes oeuvres. La plus importante, c'est l'éducation chrétienne de la jeunesse. Commencez par vos propres familles: élevez bien les enfants. Donnez de bons conseils à tous ceux que vous pouvez connaître. S'il se trouve près de vous quelque orphelin, prenez-en un soin tout particulier, apprenez-lui à servir Dieu, aidez-le à éviter, les tentations du vice.

                Je regrette de ne pouvoir vous exposer l'oeuvre en faveur de laquelle je sollicite vos aumônes. Elle consiste à recueillir des orphelins, des vagabonds, pour les instruire, pour en faire de bons citoyens et de bons chrétiens.

                Avec la grâce de Dieu, par la protection de la Sainte Vierge, nous avons pu recueillir et élever par centaines de mille ces pauvres enfants abandonnés. Vos aumônes me serviront à continuer, à développer cette bonne oeuvre. Par là vous attirerez sur vous les bénédictions de Dieu: quand vous entrerez au ciel il vous montrera ces âmes que  vous aurez contribué à y faire entrer aussi. Vous vérifierez alors la vérité de cette parole: Animam salvasti; tuam pyaedestinasti: qui sauve une âme assure son propre salut.

 

61.

Don Bosco nella Chiesa di S. Sulpizio.

                Mardi I-er Mai.

                O mon Dieu! quelle grâce vous m'avez faite encore aujourd'hui! Marie, sans doute vous avez ménagé cette faveur à votre enfant, en ce ter jour de votre mois béni. Aujourd'hui, à Saint-Sulpice, nous avons eu la messe de Don Bosco; malgré la classe, Mlle Parnet m'a [537] non seulement permis, mais engagée à assister à cette belle cérémonie. Oh, mon Dieu comme vous êtes bons envers moi!...

                La messe était annoncée pour 9h.; un peu avant 8h. 1/2 j'arrivai dans la nef où je pus me placera mon endroit ordinaire; pensant que Don Bosco parlerait de la chaire, je n'avais pas cherché à me mettre plus près de l'autel.

                Neuve heures sonnent; tout le monde se lève; comme à l'arrivé de Don Bosco au cathéchisme[372], l'émotion s'empare de tous; je ne saurais dire ce qui se passa en moi en ce moment; il me semble que mon coeur ne battait plus tellement j'étais impressionnée, et cependant je me doutais que Don Bosco ne devait pas encore être là. En effet il n'était pas encore arrivé.

                Un enterrement, vers 9 h. 1/4 met encore tout le monde- en émoi; on crut qu'on allait chercher le Saint en procession; le même enterrement revenant vers 10 h. moins 1/4 causa la même émotion. Enfin vers 10 h. 5, le bruit de la canne du Suisse nous fit espérer que cette fois c'était lui. Avec émotion on suivit le son des coups de cette canne et l'on comprit que le cortège s'arrêtait précisément vers la sacristie. « C'est lui » se dit-on alors les uns aux autres; et l'on oublia les longs moments qu'il avait fallu attendre. Cependant Don Bosco ne paraissait pas encore à l'autel; quelques minutes après son arrivée, minutes qui me semblèrent si longues, M le Curé monta en chaire pour avertir que Don Bosco était très fatigué, qu'il ne parlerait pas du haut de la chaire comme on l'avait espéré. Sans doute cette disposition ne répondait pas à ce qu'on attendait, mais il fallait bien offrir ce sacrifice à Dieu en considérant l'épuisement très compréhensible d'une vie toute dépensée au service de Dieu et du. prochain. M le Curé nous a dit quelques mots des oeuvres de Don Bosco qui devait lui-même en parler de la balustrade du choeur. M le Curé nous avertit ensuite que Don Bosco épuisé par ses travaux, ne pourrait donner la Ste Communion à toutes les personnes qui désireraient la faire,,que des prêtres de la communauté continueraient de la distribuer lorsqu'il ne pourrait plus le faire lui-même, que de même il ne pourrait parcourir lui-même les rangs d'une si nombreuse assistance et que deux de la communauté feraient la quête en son nom.

                A peine M le Curé eut-il donné ses avis que les personnes qui étaient au milieu de la nef descendirent, poussant les autres, espérant entendre mieux; pour moi, sachant bien qu'il n'y avait pas à espérer d'entendre, je restai tranquillement à ma place, m'estimant encore très heureuse-de voir Don Bosco à l'autel.

                Le premier coup de sonnette de la messe nous annonce que Don Bosco est à l'autel; il y monte enfin soutenu à gauche par M Lemesle, à droite par M Viel; à genoux sur une chaise, à partir de ce moment. [538]

                J'ai pu presque tout le temps voir Don Bosco. Après l'évangile, soutenu par les mêmes Messieurs, il descendit à la balustrade où il parla pendant environ 10 minutes; par moment, le son de sa voix arrivait jusqu'à nous; en montant sur ma chaise, je pouvais le voir, il élevait fréquemment ses deux mains vers le ciel. Les Prêtres de St-Sulpice et les Prêtres étrangers à la paroisse étaient autour de lui dans le choeur. Après cette allocution, toujours soutenu par M Lemesle et M Viel Don Bosco remonta à l'autel pour continuer le St-Sacrifice.

                A, l'élévation, un silence extraordinaire pour une si grande multitude se fit, on n'entendit plus un seul bruit, on aurait cru vraiment qu'on était seul dans cette vaste église, et cependant elle était pleine comme aux jours de plus grandes fêtes. Pas une chaise ne restait dans les chapelles latérales, tous les passages étaient obstrués; dans la nef pas une chaise n'était libre, pas un coin n'était inoccupé. I$t toute cette foule était accourue d'après un simple avis affiché un jour d'avance sur les portes de l'Eglise. Oh! oui on admire les Saints et la Sainteté attire.

                Au moment de la communion Don Bosco récita tout haut (et ces paroles connues parvinrent jusqu'à moi) l'Indulgentiam et le Domine non sum dignus; puis il donna la communion à une centaine de personnes, environ trois fois la table de communion; pendant qu'il achevait sa messe, deux des prêtres de St-Sulpice continuèrent de distribuer la Ste-Communion. A 1 I- h. après avoir vu Don Bosco traverser le choeur pour commencer le 2e tour de la communion, j'ai été obligée de partir. La cérémonie a duré jusqu'à midi; beaucoup ont pu aller recevoir la bénédiction de Don Bosco et le voir à la sacristie. En sortant de l'église, Don Bosco est allé chez Mine Vendryès.

                Depuis cette faveur, je me sens bien mieux disposée; Don Bosco m'a promis de prier pour nous; est-ce déjà l'effet de ses prières? O mon Dieu, combien je vous suis reconnaissante d'avoir permis que j'entende quelques mots de la bouche de ce Saint et que j'assiste à sa messe! Merci, mille fois, o Dieu d'amour.

(Dal diario di una suona redentorista residente nel 1934 a Landser nell'Alsazia),

 

62.

Parlata di Don Bosco a S. Lazzaro.

                Monseigneur et Monsieur,

                Ce qui constitue la bonté[373] de cette réunion, c'est qu'elle se rattache à la grande oeuvre qui me fournit aujourd'hui l'occasion de vous adresser quelques paroles. [539]

                Je ne sais comment concilier les deux choses: notre oeuvre, c'est l'oeuvre de la pauvreté et de la misère, et il me semble qu'ici tout est richesse et abondance. Il est vrai que, pour mener à bonne fin une oeuvre si bonne et si grande, il faut deux choses; la richesse qui donne et la charité qui abandonne, d'une part; et d'autre part, la pauvreté qui reçoit cette charité avec reconnaissance.

                Eh bien! voilà ce que je trouve à profusion aujourd'hui, et de tous les côtés, dans cette grande ville de Paris. Je le vois ici, en ce moment, et surtout chez vous, Monseigneur, vous qui, tant de fois déjà, avez donné la preuve de votre bonté et de vostre charité dans votre ville diocésaine. Vous avez fait mieux encore. Vous avez bien voulu honorer quelquefois de votre présence la ville de Turin. C'est, permettez-moi de vous le dire, une faveur dont nous conserverons toujours le plus profond et le plus cher souvenir.

                Maintenant que peut vous dire de plus un pauvre prêtre comme moi, qui sait à peine s'exprimer et se faire comprendre dans votre langue française? Il ne peut rien autre chose que vous donner sa bénédiction. Que le Seigneur tout-puissant vous accorde le courage nécessaire pour affronter les combats de la vie; et qu'il vous donne le courage de confesser et de défendre la vérité partout et toujours; qu'il vous le donne surtout en ce moment, où nous avons tant besoin de catholiques et de bons catholiques! A l'heure actuelle, ce n'est ni par les armes de la guerre, ni par la violence, ni par des moyens semblables que le bon catholique doit défendre la religion; ce qu'il lui faut faire, c'est de s'efforcer, par le bon exemple, la pratique de toutes les vertus, de concilier tous les coeurs à cette religion à laquelle nous avons le bonheur d'appartenir.

                C'est à ce point de vue que j'adresse tous mes remercîments à Monseigneur, qui accorde sa bienveillante charité à notre grande oeuvre, et qui l'accorde d'une manière toute spéciale aux oeuvres agricoles; je veux parler de Saint-Cyr, tout près de Toulon; puis de Marseille, où existe une grande maison d'ouvriers de la maîtrise et de pauvres étudiants; de la Navarre, consacrée entièrement aux pauvres enfants de la campagne; de Nice, enfin où l'on reçoit les pauvres garçons de la place, ceux des routés, tous ceux qui sont en péril, et qui, s'ils ne trouvent une main secourable pour les recueillir, sont appelés à devenir, en très peu de temps, les fléaux de la société. Ce sont eux qui rempliront les prisons et qui deviendront bientôt non plus seulement des malheureux, mais, hélas! et je le repète, les fléaux de la société en général, et en particulier de la famille.

                Voilà quelles sont les couvres que protège nostre société et que dirige, dans sa bonté, Monseigneur.

                Eh bien! Monseigneur, que Dieu, dans sa divine mansuétude, vous bénisse, qu'il vous accorde de longs et heureux jours; qu'il vous permette de les consacrer à la protection des oeuvres catholiques, à [540] des oeuvres de paix et de concorde: qu'il vous donne de voir ce que vous désirez le plus ardemment, c'est-à-dire la multiplication, de jour en jour, de toutes les oeuvres de la jeunesse, oeuvres qui sont l'honneur de la France et de tous les Français! Que Dieu protège cette belle et noble France! Qu'il la sauve, qu'il lui accorde la paix et la tranquillité publiques, et qu'il nous accorde a nous, Monseigneur, de     vous voir, au dernier jour, porté par les anges de la terre jusqu'en paradis.

                Que, grâce à la divine protection du bon Dieu, toutes ces oeuvres de charité que vous faites maintenant, soient comme une semence de bonnes oeuvres, semences qui fructifieront chaque jour davantage et qui feront, sur la terre, la gloire de la France et de tous les bons catholiques.

               

63.

Nella sacrestia di S. Clotilde a Parigi.

                Mon Révérend Père,

                Je suis Mme Johannet, belle-soeur de Madame Beaulieu de Nice. Vous avez bien voulu me dire le jour de l'Ascension, dans la sacristie de Ste Clotilde, que vous voudriez bien répondre à ma demande, en m'accordant quelques instants d'audience.

                Je vous avais déjà écrit une première fois et j'ai attendu jusqu'à ce jour une réponse avant de vous récrire, parce que vous m'aviez fait espérer que j'en recevrais une.

                Je désire ardemment vous amener un petit neveu âgé de 12 ans fort malade, pour lequel je n'ai plus d'espoir qu'en vos prières. Je vous serai bien reconnaissante, mon Révérend Père, si vous pouvez m'indiquer un jour et une heure où je pourrai me présenter chez vous, ecc. ecc.

                17 rue Richer.

B. JOHANNET.

 

64.

Articolo di Saint-Genest net figaro

(num. dol 18 maggio 1883).

                J'ai voulu profiter de mon séjour à Turin pour visiter la maison de doni Bosco. Quand, l'année dernière, il était venu passer une journée à Menton, je le lui avais promis.

                Il ne m'était pas donné alors de connaître les proportions de celui que j'avais l'honneur de recevoir, mais la foule était moins ignorante. [541]

                Car à peine était-il arrivé-villa Imberti, que tout le monde attendait à la grille pour lui demander sa bénédiction.

                J'avoue qu'au premier abord, l'attitude, la physionomie du saint ne m'avaient pas frappé. Dom Bosco n'est pas l'homme du premier moment. Au début d'une conversation générale, tout le monde tient plus de place que lui.

                Comme il s'exprime difficilement en français, il reste dans la pénombre, puis peu à peu, des mots dits à voix basse. brillent comme des petites lueurs. Ces lueurs grandissent. Bientôt le silence se fait, on ne regarde plus, on n'entend plus que lui. Alors, quand on observe bien ce visage, on retrouve là le masque de l'homme créé par Dieu pour quelque chose.

                Ces êtres-là sont d'une race à part. Ils vivent dans le temps et dans l'espace, sans connaître rien des événements humains, sans être jamais troublés ni arrêtés par ce qui nous occupe chaque jour: Aussi sont-ils invariablement traités de fous; c'est le grand signe distinctif... Fous sublimes qui passent à travers la misérable espèce, douée de bon sens.

                Une fois, en Touraine, j'avais assisté à la rencontre de deux de ces hommes: le père Eymard et M Dupont, souvenir inoubliable pour moi.

                M Dupont avec sa belle tête de gentilhomme chrétien, disait quelques paroles sur son église, la cathédrale de Saint-Martin; puis il s'arrêtait, regardait dans le vide, ses lèvres remuaient à peine, et on voyait que la phrase se terminait par une muette prière.

                Le père Eymard l'écoutait avec ce regard profond, cet air de méditation intense, qui était le fond de sa physionomie. Puis, lentement, il prononçait quelques paroles sur son oeuvre, à lui, l'Adoration perpétuelle, après quoi ces deux hommes restaient silencieux en se tenant par la main.

                Je contemplais cette scène muette, sans bien démêler moi-même, ce que je ressentais. Habitué à la volubilité et au verbiage des gens du monde qui disent tant de paroles, sans penser à rien, j'étais profondément ému du spectacle de ces deux hommes qui pensaient à tant de choses, et qui ne disaient rien. '

                Puis après une longue méditation, ils s'étaient embrassés, avaient dit simplement « à Dieu e et chacun était parti, retournant à son oeuvre. .

                A les voir s'éloigner ainsi au milieu du mouvement quotidien qu'ils n'apercevaient même pas, je croyais voir deux navires solitaires, qui, après s'être rencontrés au milieu de l'Océan, reprenaient leur route vers un but lointain.

                Je l'ai dit: dom Bosco n'a pas la grande mine de ces chrétiens-là. Il se rapprocherait plutôt du curé d'Ars. Ce qui frappe chez lui, c'est la finesse du sourire, la malice du regard, avec un air de bonté souveraine [542] et de volonté indomptable. Mais il est bien de la même famille, car, ainsi qu'on va le voir, lui aussi est parfaitement fou et a toujours passé pour fou.

                L'heure que je prenais pour aller à Turin était à la fois la meilleure et la pire. La meilleure, car dom Bosco est une actualité parisienne aujourd'hui, la pire, car étant à Paris, il ne pouvait me recevoir à Turin.

                Du reste, quand on connaît le refuge d'Auteuil, l'oratoire de Valdocco n'a rien de frappant; c'est beaucoup plus grand, mais bien moins poétique. Ce qu'il y a de surprenant, ce n'est donc pas ce que vous voyez là, c'est ce que vous entendez dans la ville, dans le peuple, c'est la légende de dom Bosco.

                Chaque quartier a son histoire qui montre bien le caractère de l'homme. Par exemple, il faut entendre conter dans les faubourgs comment le pauvre Barthélemy Garelli a donné naissance à cette grande oeuvre.

                C'était un petit vagabond qui errait dans les rues de Turin... Par hasard il entre dans la sacristie au moment où dom Bosco revêtait les ornements sacrés.

                Précisément, le vieux sacristain cherchait un enfant de choeur pour dire la messe. Apercevant tout à coup cette tête de moineau qui passait à travers la porte, il trouve que ce petit est de bonne prise, l'attrape, et comme le petit résiste, lui applique quelques bonnes taloches.

                L'enfant pousse des cris perçants: dom Bosco intervient, rassure l'enfant, et s'aperçoit que s'il refuse de servir la messe, c'est qu'il né sait rien des choses de la religion.

                Le soir même, dom Bosco lui apprend à faire le signe de croix; le lendemain, il reçoit un de ses petits camarades... Et l'oeuvre est créée. Alors commence cette lutte héroïque entre dom Bosco et toutes les forces de la société et de la nature, coalisées contre lui, lutte que - M d'Espiney a si admirablement résumée dans son intéressant volume[374]. On croit assister à une féerie. Il semble que l'esprit du mal veuille décourager cet homme; car il a tout contre lui.

                D'abord, il installe son refuge dans sa propre chambre, pauvre petite cellule, qui peut bien contenir cinq personnes, une partie des enfants est dans l'escalier, le reste dans les corridors. Aussi, est-ce un bouleversement terrible dans la maison. Bientôt, tout le monde se plaint, il faut déguerpir et dom Bosco s'envole avec sa nichée.

                Une grande dame le recueille dans une espèce de pigeonnier, à l'hospice Sainte-Philomène. Don Bosco y fait son nid, appelle de nouveaux petits et commence ses fameuses écoles du soir. Déjà paraît [543] cette magie de parole, cette douceur, cette charité qui le font adorer du peuple. Mais à peine ces, écoles sont-elles organisées que les ennemis de dom Bosco, lui font enlever son pigeonnier.

                Un beau matin, les gens du quartier regardent, dom Bosco s'est envolé avec sa nuée de moineaux. Qu'est-il devenu? On le retrouve sur la place devant la chapelle Saint-Martin, plus vivace et plus confiant que jamais. «Mes enfants, dit-il gaîment, les choux ne peuvent faire grosse et belle tête que si on les transplante. C'est donc pour notre bien que nous sommes transplantés ici ».

                Et en effet il trouve tout pour le mieux; chaque jour il conduit son monde au catéchisme et comme il a désigné un groupe de chanteurs, son passage est signalé par des chants et des cantiques. Du plus loin qu'on l'entend, le peuple accourt: « Voilà dom Bosco! Voilà dom Bosco! ».

                Mais avec le succès, les difficultés augmentent. Comme trois cents enfants ne peuvent prendre leurs ébats sans déranger la paix du quartier, bientôt les voisins se plaignent, le syndic se fâche, il faut encore déguerpir.

                Là-dessus dom Bosco s'envole et va s'abattre près de l'église de Saint-Pierre-ès-Liens; mais à peine est-il posé là que le recteur se plaignant d'être troublé dans sa quiétude, il faut partir de nouveau.

                Cette fois, où aller? Bah, il reste le plein air. Le bon Dieu, pense dom Bosco, ne traitera pas plus mal les petits enfants qu'il ne traite les oiseaux.

                Il loue un pré, s'y installe et vit comme dans l'Evangile, alors que Notre Seigneur parcourait les bourgades de Judée suivi de-ses disciples et de la foule du peuple, n'ayant pour abri que la voûte étoilée.

                Tout se fait en plein air. Pour la confession, dom Bosco assis sur un tertre passe un de ses bras autour du cou du petit pénitent agenouillé. Faute de cloches, on réunit le jeune bataillon au moyen d'un tambour et d'une trompette sortis on ne sait d'où; après quoi, les enfants vont entendre la messe à l'église voisine, mangent comme ils peuvent et retournent dans leur pré du Val d'Occo.

                C'est une trop douce vie encore. Les propriétaires prétendent que le piétinement des enfants détruit. jusqu'aux racines de l'herbe et signifient leur renvoi. On y garderait un troupeau de moutons, on n'y supporte pas le pauvre troupeau de dom Bosco.

                En même temps, il perd sa position de directeur. Tout est contre lui. Ne tentez plus l'impossible, lui disent ses amis. La divine Providence vous indique clairement qu'elle ne veut plus votre OEuvre.

                «La divine Providence, s'écrie-t-il, m'a envoyé ces enfants, et je n'en repousserai jamais un seul, croyez-le bien. J'ai l'invincible certitude qu'elle viendra à mon secours, et puisqu'on ne veut pas me louer un local, j'en bâtirai un avec l'aide de Marie. Nous aurons de vastes bâtiments, capables de recevoir autant d'enfants qu'il en viendra. [544]

                Nous aurons des ateliers de tous genres, pour qu'ils apprennent un métier selon leur goût; nous aurons des cours et des jardins; enfin, nous aurons une belle chapelle et des prêtres nombreux».

                Il est décidément fou, disent les meilleurs. Il compromet le clergé! C'est une oeuvre qui n'est pas digne de l'Église. Il faut l'enfermer pour le traiter et le guérir.

                On prévient le directeur de la maison d'aliénés, en lui recomman-. dant d'agir avec douceur envers le pauvre malade.

                Deux ecclésiastiques se procurent une voiture bien fermée et vont trouver dom Bosco dans sa petite chambre.

                Ce qui est important, c'est de bien constater la folie:

                - M l'abbé, malgré tout, vous voulez donc construire un oratoire! Vous croyez que cela est possible?

                - Certainement, messieurs.

                - Eh bien, nous allons faire une petite promenade, et nous causerons pendant la route.

                - La voiture est à la porte. Montez, monsieur l'abbé.

                - Je n'en ferai rien, je sais trop le respect que je vous dois. Après vous, messieurs.

                Impatientés de ces façons, les deux ecclésiastiques montent les premiers. Mais, au lieu de les suivre, voilà que dom Bosco, prompt comme l'éclair, ferme la portière et s'écrie:

                - En route! à l'établissement!

                Le cocher, prévenu qu'il devait partir au premier signal, enlève ses chevaux d'un coup de fouet et arrive d'un trait dans la cour de la petite maison. Le portail se renferme et le directeur paraît, suivi de plusieurs infirmiers.

                - C'est une abomination, s'écrient les deux ecclésiastiques.

                - Là, là, calmez-vous, fait le directeur. On ne m'avait annoncé qu'un pensionnaire, mais j'ai de la place pour deux. Vous serez fort bien ici.

                - Misérable! insolent!

                - Peste, mais ce sont des fous furieux. Si vous n'êtes pas sages, on va vous faire donner une douche et mettre la camisole.

                Et là-dessus on les enferme, et sans l'intervention de l'aumônier, ils y seraient encore. Pendant ce temps, dom Bosco s'enfuit et court retrouver ses petits qui l'attendent.

                Que faire? Cette fois tout espoir semble perdu. On se réunit une  dernière fois dans le pré, c'est comme la station au jardin des Oliviers. « Mon Dieu! mon Dieu! s'écrie dom Bosco, la tête prosternée contre terre, que votre sainte volonté soit faite. Mais abandonnerezvous mes orphelins? Inspirez-moi ce que je dois faire».

                Tous les petits, à genoux autour de lui, sont là, les yeux au ciel, attendant avec confiance. A ce moment arrive un brave homme qui lui dit: « Ma foi, monsieur l'abbé, mon confrère Pinardi a bien un [545] hangar à vous donner, mais le toit est si bas que l'on ne peut se tenir debout sans baisser la tête, c'est comme ces baraques où les missionnaires vont prêcher les sauvages ».

                - Ça ne fait rien, 'dit dom Bosco, on creusera un peu le sol; quand Monseigneur viendra, il sera peut-être obligé d'ôter sa mître, mais mes enfants seront à l'abri.

                Et, en effet, au bout de quelques jours, sept cents enfants se pressent dans le hangar. Do m Bosco est sauvé. En vain ses ennemis veulent-ils renouveler leurs persécutions; en vain le vicaire municipal, marquis de Cavour, veut-il susciter contre lui une formidable opposition, dom Bosco a le roi pour lui; le soldat et le prêtre s'entendent et des offrandes royales arrivent avec cette suscription: «Aux petit drôles de dom Bosco».

                Dom Bosco comprend que l'heure de Dieu est venue; il se met en route et va trouver sa mère aux Becchi. « Ma mère, lui dit-il, voici l'oeuvre que j'ai entreprise; voulez-vous quitter votre toit, renoncer à votre vie paisible et venir partager mes, labeurs? ».

                - Partons, mon enfant, répond la vaillante femme.

                Et le 3novembre la mère et le fils se mettent en route à pied, le bâton à la main, l'un avec son bréviaire sous le bras„l'autre avec un gros panier de provisions.

                - Où vas-tu ainsi, mon pauvre Bosco? lui dit l'abbé Vola, qu'il rencontre en route. Comment pourras-tu te tirer d'affaire?

                - Je n'en sais rien, la Providence y pourvoira!

                - Tiens, je n'ai que ma montre, mais je veux au moins que tu la prennes.

                Alors commence, entre cette mère et ce fils, cette vie sublime, vie de lutte, de dévouement qui est restée populaire dans toute l'Italie. Pendant qu'elle fait la cuisine, c'est lui qui puise l'eau, scie le bois, allume le feu, confectionne la polenta, et s'il y a un pantalon à recoudre, il s'y met bravement.

                Il s'est procuré un fénil dans le voisinage de l'oratoire. Il fait mettre de la paille fraîche et quelques couvertures; quand les couvertures manquent, il y a des sacs. Quant au réfectoire. chacun s'assied comme il peut. Les uns dans la cour, sur une pierre, les autres sur les marches du perron.

                Comme il ne peut nourrir que cinquante enfants à la fois, il les reçoit par séries, comme les invités de Compiègne et de Fontainebleau. Le dimanche matin, on voit un petit bataillon sortir du hangar, se ranger devant la porte, pendant que le nouveau arrive; puis, après une courte prière, les uns s'envolent, et les autres les remplacent.

                Mais quand le soir, dom Bosco voit ses petits vagabonds, sans asile, son couur souffre trop. On a beau lui dire que, administrativement, c'est très bien organisé ainsi, il n'accepte pas cette règlementation-là. [546]

                Il lui reste quelques lopins de vignes de l'héritage paternel, il les vend. Sa mère fait venir elle-même tous ses présents de noces, son beau linge auquel elle tenait tant, ses derniers bijoux... tout est vendu, tout est donné.

                Bientôt, des centaines d'enfants sont logés, de nouveaux oratoires se créent, le nom de dom Bosco commence à courir à travers l'Italie, c'est lé moment psychologique. Il est célèbre et, par dessus tout, il est populaire.

                C'est l'époque des, légendes que le peuple aime tant à conter. Toutes ces histoires sont charmantes et expliquent bien la puissance de dom Bosco. Malheureusement il faudrait trop de colonnes de ce journal pour les dire.

                Un jour, par exemple, un jeune étudiant se fait administrer par lui.

                - Eh bien! François, cela te fait de la peine de quitter ce pauvre monde, lui dit Don Bosco; veux-tu encore rester avec nous ou partir?. - Eh! mon père, je ne sais trop, répond François, donnez-moi jusqu'à ce soir pour réfléchir.

                - Ma foi, pense-t-il après, j'ai été bien sot de n'avoir pas répondu que je voulais aller de suite au paradis; si dom Bosco me le promet, je suis sûr de mon affaire.

                - Eh bien! mon père, dit-il le soir, je suis décidé, faites-moi partir.

                - Il n'est plus temps, mon pauvre François, lui réplique dom Bosco, tu guériras, tu vivras encore quelque temps et prépare-toi à souffrir beaucoup.

                Et en effet, le pauvre étudiant a beaucoup souffert par la suite. Et de là le mot populaire: «Quand on veut aller au ciel il ne faut pas hésiter avec dom Bosco ».

                Une autre fois, touché des sentiments que lui montraient les pauvres petits détenus à qui il avait prêché une retraite, il s'en va trouver le directeur- de la prison et lui demande de les emmener à la campagne.

                Le directeur bondit de surprise: - Mais, monsieur l'abbé, pensezvous donc que les soldats du roi n'aient pas d'autre besogne que celle d'aller conduire de tels garnements?

                - Qui vous parle de soldats, monsieur le directeur? Je me charge de tout et il n'y aura aucune évasion.

                Chose singulière, le crédit de dom Bosco est tel, que le ministre , Raitazzi accorde la permission. Au jour indiqué, trois cent cinquante enfants sortent en bon ordre, guidés par dom Bosco, calme et souriant, qui les emmène à cinq lieues de Turin.

                La plus grande préoccupation de tous, c'est de ne pas faire de peine à padre Bosco. Quand ils le voient un peu fatigué, ils chargent sur leurs épaules les provisions que portait un âne attaché à la caravane, forcent dom Bosco à monter sur l'animal et le ramènent triomphalement [547] à la ville. Le soir, en rentrant, pas un enfant ne manquait à l'appel.

                Ce sont des légendes, répondront les sceptiques, cela a été arrangé... Soit, mais le fait éclatant, indéniable, c'est celui-ci:

                Il y a quarante ans, un pauvre prêtre, debout sur un tertre, disait à des petits orphelins: «Chantez, mes enfants, chantez les louanges du Seigneur, et dans cet endroit même, s'élèvera une belle église, où, plus tard vous viendrez reprendre ces cantiques... ». Pauvre fou! répondaient les sages!

                Aujourd'hui, à cette même plaêe s'élève l'église de Saint-François de Sales, qui contient plus de douze cents enfants. Autour de cet oratoire, d'autres s'élèvent, non seulement en Italie, mais dans l'Europe, dans le monde, chez les sauvages, chez les Patagons, à BuenosAyres, à Montevideo... Voilà ce qui n'est pas de la légende, voilà ce qui est indiscutable.

                Plus de cent cinquante mille enfants recueillis, plus de six mille prêtres sortis de ces maisons! Et cela sans subsides, rien que par des dons volontaires, comme l'OEuvre d'Auteuil. Telle est la réalité.

                Le fou avait dit: Je tenterai l'impossible! Il avait tout contre lui. Il avait les indifférents et les sceptiques, il avait les ennemis de l'Église; et hélas! des puissants de l'Église, pas un secours, pas un appui, et il a triomphé.

                Oh! puissance de la foi! Puissance plus forte que la raison, plus forte que l'entendement humain! Certes, des OEuvres comme celles de M de Lesseps prouvent déjà ce que peut la volonté, mais ce sont des OEuvres utiles, pratiques qui s'adressent à des intérêts!

                Pour se faire suivre, M. de Lesseps disait: « Venez, vos vaisseaux auront un passage plus rapide et les actionnaires auront d'énormes dividendes! ». Mais pour les oeuvres de Dieu, il n'y a pas d'intérêts, il n'y a pas de dividendes; tout ce que l'on peut dire, c'est: «Venez, venez vous sacrifier; venez donner votre argent ». Et ces fous trouvent des fous pour les suivre.

                Si l'oeuvre de Saint François de Sales me semble considérable, c'est parce qu'au milieu de l'athéisme actuel, elle fait bénir le nom de Dieu! C'est parce qu'elle montre comment on peut toujours reprendre de l'influence sur le peuple.

                Et la vraie manière en France d'honorer Don Bosco, ce n'est pas de l'acclamer à son passage et de couper des morceaux de sa robe, c'est de faire comme lui. L'Italie est beaucoup moins riche que la France, la France devrait faire au moins alitant que l'Italie.

                Nous avons bien un dom Bosco à Paris, mais d'abord il faudrait que sa maison fût -aussi grande que celle de Turin. Et il faudrait ensuite avoir des dom Boscos dans toutes les villes de France!

                SAINT-GENEST. [548]

 

65.

Lettera della madre di Saint-Genest a don Bosco.

Paris, 13 rue Mozart 26 Mai.

                Mon très Révérend Père,

                Comment vous remercier assez de la lettre dont vous avez bien voulu nous honorer, et du trésor qu'elle renferme! Une bénédiction du Saint Père arrivant à Saint-Genest, au moment on il entreprend une oeuvre bien autrement importante que celle dont il s'est occupé jusqu'ici, puisqu'il s'agit du rachat de tous les enfants de France que le gouvernement veut livrer aux athées. J'allais justement vous écrire, mon Révérend Père, et vous demander vos prières pour cette grande entreprise, lorsque votre bienheureuse missive nous est arrivée, comme d'un bon augure, juste la veille de la Fête de N. D. Auxiliatrice.

                Quand Saint-Genest écrit les articles que je vous envoie en partie, je mets sur le papier la médaille que vous lui avez donnée, afin qu'il soit inspiré d'en haut. Comme Thomas. nous avons manqué de foi et douté du succès, et voici que deux dons de cent mille francs nous sont arrivés! Nous espérons que de Paris le mouvement s'étendra à toute la France. Ce serait alors comme un reveil, un relèvement qui consolerait nôtre pays de tant de défaillances et d'humiliations! Donc, mon bon Père, priez et faites prier vos enfants pour les enfants de notre pauvre France, afin qu'il n'en reste pas un à la porte des Ecoles Chrétiennes.

                J'ai aussi une demande particulière à vous faire, une messe, si cela vous est possible, à l'intention d'un jeune écolier qui cause à sa mère toutes les angoisses imaginables, presque de terreurs, par un état physique et moral tout à fait extraordinaire.

                Sa mère qui n'était que ma nièce est devenue ma fille par la mort de ma pauvre soeur. Cet enfant me tient donc sensiblement au coeur, et je vous le recommande de toute mon âme avec supplication.

                Encore tous le remercîments de mon fils et le mien pour vous être ainsi souvenu de nous, et l'assurance, mon Révérend Père, de nos sentiments les plus respectueusement devoués et reconnaissants.

C. BUCHERUY.

                Mère de Saint-Genest. [549]

 

66.

Parole di don Bosco al Cardinale Lavigerie.

 

                Je me trouve dans une véritable embarras et une grande confusion: il me faudrait pouvoir répondre convenablement à Monseigneur le Cardinal; mais pour cela je devrais avoir son éloquence, et moi, je ne sais pas parler. Il faut bien cependant que je parle à Son Eminence, et que je le remercie de tous les eloges qu'elle a donnés a moi et- à mes oeuvres. Je dois dir d'abord que des choses qu'il a dites de ma personne, il y en a beaucoup qui ne sont pas vraies.

                Il les a `regardées à travers la bonté de son coeur et vous savez: quand on examine de petits objets avec un microscope, ils prennent aussitôt de grandes proportions, et paraissent immenses.

                Toutefois, je remercie Son Eminence de toutes ses bontés. Monseigneur le Cardinal a toujours été. pour la famille Salésienne, un père, un bienfaiteur et un ami.

                Aussi notre reconnaissance est sans bornes, et, si nous pouvons faire quelque chose pour les oeuvres considérables de son Eminence, nous le ferons.

                Je suis dans vos mains, Eminence, pour accomplir, en Afrique, tout ce que la divine Providence demandera de moi. Oui, Monseigneur, oui, soyez bien persuadé que, si nous pouvons faire quelque chose en Afrique, toute la famille salésienne et moi nous sommes à la disposition de Votre Eminence. J'y enverrai mes fils, des Italiens et des Français.

                Mès Frères, vous savez que nous vivons d'aumônes et que nos oeuvres se soutiennent par la charité; dans ce moment, par la charité française, la charité parisienne.

                J'ai déjà vu que la France est toujours la grande nation catholique, toujours prête et généreuse pour venir en aide aux oeuvres de bienfaisance; aussi nous sommes pleins de reconnaissance pour le concours que vous nous avez déjà donné et que vous donnerez encore à nos établissements de charité.

 

67.

L'ex-deputalo Léfèvre-Portalis a don Bosco.

3 Rue des Mathurins Paris 22 mai.

                Mon Révérend Père,

                Dieu vous a permis de faire le vendredi 18 mai un nouveau miracle en faveur de ma femme bien aimée. Elle a pu retrouver la force de sortir et est retournée à l'Église où elle n'avait pu se transporter [550] depuis trois ans. Elle semble désormais être entrée en pleine voie de guérison et suivra scrupuleusement toutes vos instructions.

                Elle espère que vous n'oublierez pas que vous aviez bien voulu manifester le désir de la revoir avant votre départ.

                Je vous bénis comme je vous révère pour le bienfait que nous tenons de vous et dont nous reportons la gloire à Dieu.

                Veuillez agréer, Mon Révérend Père, avec l'hommage de ma reconnaissance celui de ma pieuse vénération.

                ANTOINE LEFÊVRE -PORTALIS. Is. Ancien dépisté.

                P.S. J'ai eu l'honner de vous remettre la lettre de Mgr l'Archevêque de Cambrai que je vous avais annoncée[375].

 

68.

Inno e indirizzo a don Bosco nell'orfanotrofio di S. Gabriele.

 

A.

                I Couplet.

                Quand jésus parcourrait

                Les villes de Judée

                Une foule empressée

                Sur ses pas accourrait:

                C'étaient de tendres mères

                Offrantes à ses prières,

                A son coeur tout aimant

                Chacune son enfant.

 

                II Couplet.

                Comme le douce Sauveur

                Vous cherissez l'enfance,

                Lui prêchez l'innocence,

                Lui donnez votre coeur.

                Bénissez-nous, Bon Père,

                Comme autrefois jésus,

                Et que votre prière

                Garde en nous les vertus. [551]

               

                III Couplet.

                La France vous envie

                A l'heureuse Italie

                Et bénit ce grand Dieu

                Dont par vous en tout lieu

                Eclate la puissance

                Et dont la Providence

                Abrite par vos mains

                Deux cents mille Orphelins.

 

                IV Couplet.

                Après Lyon, Paris,

                Lille enfin vous possède,

                Lille qui ne leur cède

                Par la foi de ses fils;

                Lille la citadelle

                Qui sur l'ennemi veille

                De tous se fait l'echo,

                Eh viva Dom Bosco.

 

B.

                Très Révérend Père,

                S'il ne nous appartient pas de vous dire combien la cité de Lille est heureuse et fière de vous posséder dans ses murs; il nous est du moins permis de vous exprimer toute notre joie d'avoir les prémices de votre présence si longtemps attendue. Répondant au désir de ces hommes si profondément charitables, dont la paternelle sollicitude, rend visible à nos yeux la Providence de Dieu des orphelins, vous  êtes venu et nous acclamons en vous la vivante image de la bonté et de la puissance divine.

                Mais que sont les voix de quelques enfants auprès du concert unanime de louanges, auprès de transports spontanés qui partout éclatent sous vos pas?

                Laissons plutôt la parole à l'Italie l'heureux théatre de votre zèle, aux 150.000 Orphelins qui vous doivent le pain du corps et celui de l'âme plus necessaire encore, à la vaillante phalange de l000 prêtres que vous armez pour les intérêts de l'Eglise, à la France qui partout s'est levée emue et respectueuse devant l'auréole qui brille sur votre front de prêtre et d'Apôtre.

                On nous a dit, très Révérend Père, que le Sauveur chérissait les enfants d'une toute spéciale affection, qu'il aimait à les bénir sur les bras de leur mères; nos mères sont à nos côtés, c'est l'infinie tendresse [552] de Dieu, c'est la charité de Saint Vincent de Paul qui nous les ont données.

                Vous êtes le prêtre de jésus, comme lui vous donnez votre ceeur et votre vie aux enfants; sur nos mères et sur nous, sur toute cette assistence accourrue pour partager notre bonheur, appelez donc ces faveurs signalées par lesquelles le Ciel se plaît à répondre à votre bénédiction. Avoir été benis de vous, avoir un instant occupé votre pensée sera pour nous, très Révérend Père, une grâce précieuse et l'un de nos plus chers souvenirs.

                Orphelinat Saint-Gabriel le 5 mai 1883.

 

69.

Inno e due brindisi in un banchetto a Lilla.

A.

                Chant du Denier des Écoles Catholique de Lille déjà exécuté le Dimanche 22 Février 188o à l'Église Saint-Maurice.

 

                Refrain.

                Vaillants soldats du Denier de l'École,

                Marchons sans crainte et combattons sans peur,

                Car c'est de Dieu que nous vengeons l'honneur.

 

                I Couplet.

                Ils avaient dit: «Chassons Dieu de l'école.

                « A nos enfants n'enseignons plus sa loi!

                «Arrachons-leur catéchisme et symbole,

                «Et dans leurs coeurs déracinons la foi!

 

                II Couplet.

                Ils n'ont pas craint, fanfarons de blasphème,

                De décrocher du mur le Crucifix;

                De détrôner Celui qui dit lui-même:

                «Laissez venir près de Moi les petits!».

 

                III Couplet.

                Et nous chrétiens, d'un despotisme infame

                Nous subirions, tranquilles, les arrêts!

                De nos enfants qu'on nous ravisse l'âme!

                Plutôt mourir qu'y consentir jamais! [553]

 

                IV Couplet.

                Oui, Dieu le veut!

                Mendions sans relâche

                Pour l'humble école et l'asile pieux!

                Qu'aucun de nous n'abandonne la tâche:

                Il faut sauver la foi de nos aïeux!

 

                V Couplet.

                Et le Denier, si Dieu veut le permettre,

                Fera revivre en France notre foi:

                Il y fera rentrer le Christ en Maître:

                Il y fera régner le Christ en Roi!

 

B.

                Toast au Très Révérend Père Dom Bosco et à Mr jonglez de Ligne par Paul Tailliez, porté au nom des membres du Denier des Ecoles Catholiques:

 

                Messieurs et chers Camarades.

                Ja vous propose d'unir dans un même toast la santé de Monsieur le Président, et celle du vénéré prêtre à la réception duquel il a bien voulu nous associer.

                En votre nom à tous, je remercie Monsieur jonglez de Ligne, de nous avoir permis, à la faveur de cette charmante fête de famille, de venir rechauffer notre zèle auprès de ce foyer de dévouement et de générosité chrétienne qui est devant nous.

                Daigne ce saint Religieux nous communiquer une étincelle dé cette ardeur dont il est enflammé pour la gloire de Notre Seigneur jésusChrist, pour le salut des âmes, spécialement pour la régénération chrétienne de la jeunesse abandonnée.

                A son exemple, travaillons. Messieurs, avec une énergie nouvelle à préparer des refuges à tous ces enfants que menace la peste de l'enseignement athée. En présence de ce gouvernement qui fait servir toutes les forces de son administration à la corruption de l'enfance, et qui décidément dure trop, n'est-il pas indispensable que toutes nos activités se réunissent en un solide faisceau, prêt à opposer à la tyrannie toutes les résistances légitimes et toutes les luttes nécessaires?

                Ne nous laissons donc pas rebuter par les difficultés de l'entreprise. En nous montrant courageux et persévérants dans cette OEuvre sainte, nous fournirons le plus beau témoignage des sentiments d'admiration, de sympathique reconnaissance et de fidelité dont nous sommes animés envers notre cher et digne Président.

 

                Messieur, au R. P. Dom Bosco!

                A monsieur jonglez de Ligne! [554]

 

C.

Toast des Associés du Denier des Ecoles Catholiques de Lille.

                Très Révérend Père,

                Losqu'il y a quatre ans, vous aviez la bonté de me faire visiter à Turin vos établissements charitables, je n'aurais pas osé espérer que la divine Providence me réserverait l'honneur de vous recevoir au milieu des membres du denier des Ecoles catholiques de Lille.

                Cet honneur ne restera pas stérile. Chacune de vos paroles, mon Révérend Père, tombera dans nos coeurs comme une semence féconde. Beaucoup d'entre nous s'inquiètent en voyant grandir les dépenses de nos écoles libres qui recoivent plus de 12.000 enfants. Vous nous découvrirez, nous l'espérons, le secret merveilleux à l'aide duquel vous pouvez élever 150.000 enfants et entretenir 170 maisons.

                On nous trouvera peut-être présomptueux, mais il nous semble que nous sommes sur le voie du secret qui vous conduit au Coeur de Dieu et qui vous donne le Clef de ses inépuisables trésors. L'Œuvre Salésienne va aux plus pauvres, aux plus délaissés. C'est aussi pour les Ecoles les plus abandonnées que notre denier s'en va quêtant et mendiant partout. N'avons-nous pas nous aussi trouvé le chemin du Coeur de Dieu, puisqu'il daigne nous envoyer ce soir le Saint Vincent de Paul de l'Italie?

                La joie dilate nos coeurs et nos espérances au-delà du cercle de nos oeuvres, au-dol' même de l'enceinte de la ville de Lille. Nous arrivons à penser que Dieu a voulu montrer à la France entière dans vos paroles et dans vos oeuvres la vraie solution sociale, celle qui, à l'aide de l'enseignement religieux et de la douceur de Saint François . de Sales sauve la jeunesse en danger, vide, comme vous l'avez dit à Saint-Maurice, l'antichambre des prisons et supprime la race des voleurs et des communards.

                Nos amis de Paris nous écrivent que vous venez à nous comme la Colombe de l'Arche pour annoncer à notre pauvre pays la fin du déluge revolutionnaire: et en effet, nous avons tous remarqué avec  bonheur que vous êtes entré à Lille le jour même de la fête de Saint Pie V, le pape de la victoire de Lépante, le glorieux serviteur de celle que vous honorèz d'un culte spécial sous le titre de Secours des Chrétiens, Auxilium Christianorum.

                Au rameau d'olivier, vous ajoutez le lys de la Vierge Immaculée. Soyez acclamé, très Révérend Père, sur cette terre de France où les

                lys se sont épanouis glorieusement pendant 8 siècles. Laissez-nous espérer que votre visite présage leur renaissance parce que notre patrie ne veut pas cesser de s'appeler le royaume de Marie, regnum Mariae. [555] Comme embléme de nos espérances, permettez-nous, très Révérend Père, de vous offrir la médaille de notre denier; vous y verrez la croix, le signe vainqueur adopté par notre oeuvre; vous y verrez aussi le lys de blason de Lille qui s'honore d'être la cité de la Vierge Auxiliatrice.

                Daignez agréer cet hommage de notre reconnaissance. Puisse-t-il vous rappeler devant Dieu, qui n'a rien à vous refuser, notre ouvre du denier des Lcoles catholiques, notre bonne ville de Lille, et notre chère France.

 

70.

Leffera dell'Arcivescovo di Cambrai a don Bosco.

                Cher et vénéré D. Bosco,

                je tiens à vous remercier de la visite que vous avez faite a Lille et du service que vous nous rendez en prenant la direction de notre Orphelinat St Gabriel. Comptez sur mon appui le plus sincère.

                J'ai encore un service à vous demander; c'est d'aller au plus tôt chez une Dame que je respecte et affectionne, et qui est bien malade. Allez, mon cher Père la bénir, comme N. S. a béni la belle-mère de 'St Pierre, et que votre bénédiction ait le même succès.

                Je vous en remercie, bon Père, et vous prie de croire à ma vénération et à mon attachement

ALFRED Archevêque de Cambrai.

                En tournée pastorale, 18 mai 1883.

 

71.

Leffera a don Rua sulla dimora di don Bosco a Lilla.

                Mon révérend Père,

                C'est avec une peine vive que j'ai appris la mort du Vénéré Dom Bosco; j'en suis d'autant plus désolée, qu'il avait été 'd'une amabilité extrême pour moi, en l'état dans lequel je me trouve; puisque depuis treize ans je suis privée de l'usage de mes jambes.

                Lors de son passage à Lille ce très vénéré Père a été assez bon pour me combler de ses conseils et encouragements, et m'a assuré que jamais il ne cesserait de prier pour moi, jusqu'au jour 0ù il apprendrait ma guérison; aussi je vous avoue, mon Révérend Père, que depuis sa mort je me suis empressée de l'invoquer tout en priant pour lui, car si ses prières étaient puissantes sur terre, à combien plus forte raison le sont-elle là Haut où certainement le bon Dieu a dû lui donner [556] la place que méritaient ses oeuvres admirables. Et quoique le fondateur de notre Orphelinat St Gabriel ne soit plus, je ne cesserai pas de faire ce que j'ai commencé, c'est-a-dire aider autant que mes moyens me le permettent, le Révérend Don Bologne dans son oeuvre si digne d'éloges.

                Merci, mon Révérend Père, de m'avoir fait l'honneur de m'annoncer votre nomination. Je suis sûre à l'avancé de trouver dans vos charitables prières et celles de tous vos enfants, la patience et la résignation qui me sont si nécessaires.

                Da mon côté, soyez assuré, mon Révérend Père, que si les miennes peuvent vous être utiles, elles ne vous feront pas défaut, et je demanderai au Seigneur de continuer à repandre ses meilleures bénédictions sur les enfants spirituels de Dom Bosco et surtout de donner à son successeur la lumière et les grâces nécessaires pour porter le lourd fardeau qu'il lui impose.

                Daignez agréer, mon Révérend Père, l'hommage de mon profond respect.

MARIE LECROART.

                Lille, 13 febbraio 1888.

 

72.

Leffera a don Bosco da Amiens.

                Mon Révérend Père,

                Permettez-moi de venir vous remercier de la bonne visite que vous m'avez faite à votre passage à Amiens. Vous avez béni ma maison et toute ma famille. Déjà ma chère fille Madame de Châtillon ressent les effets de vos bonnes prières à notre Dame Auxiliatrice. Elle m'écrit qu'elle va mieux et espère pouvoir bientôt revenir à Amiens. De mon côté je veux redoubler d'ardeur pour notre Dame Auxiliatrice et pour vos nombreux orphelins. Je vous envoie une liste de nouveaux coopérateurs avec leur adresse afin que vous puissiez leur envoyer le Bulletin Salésien. Ils m'ont tous fait une offrande qu'ils renouvelleront tous les ans. Les petits livrets que vous m'avez envoyés sont épuisés et je vous serai obligé de m'en envoyer de nouveaux et en plus grand nombre: car je soutiens la propagande pour la coopération Salésienne, et elle n'est pas encore épuisée: tout le monde me demande de ces livrets afin de connaître les indulgences qui sont attachées à cette association. Je vous les demande avec la lettre d'admission que je remplirai. On me demande aussi des médailles de Notre Dame Auxiliatrice bénies par vous. Je serai bien heureux d'en avoir et de pouvoir en distribuer. J'ai une somme de trois cents francs à vous envoyer... Mais avant de vous envoyer cet argent par lettre chargée... [557] veuillez vous me dire si vous êtes à Turin... Je vous prie, mon Rév. Père, de demander encore à notre Dame Auxiliatrice la guérison complète de Madame de Châtillon ma fille. Je me mets à vos pieds en vous demandant pour moi et toute ma famille votre sainte bénédiction.

Vicomte de FORCEVILLE.

                Amiens rue du Gange 6 (Somme).

 

73.

Corrispondenza sulla visita di don Bosco ad Amiens:

(La Semaine Religieuse di Nizza, 27 maggio).

Paris, 17 mai 1883.

                Puisque c'est Nice qui a amené Don Bosco en France, il est bien naturel qu'elle apprenne avec satisfaction, le bon accueil que la France lui fait.

                Du sud au nord, les temoignages de respect, de vénération, et d'amour vont en augmentant. C'est bien vrai que, selon son habitude, le saint homme se fait tout à tous: il écoute le petit comme le grand, et bénit tout le monde avec la même effusion de coeur.

                A Lyon, on portait les malades et les paralytiques à la porte des maisons où il se rendait; afin qu'il les bénît. A Paris, on faisait le siège de la maison où il recevait, et on attendait souvent 7 à 8 heures pour voir arriver son tour et lui parler; c'était quelquefois minuit et on attendait encore. A Lille, j'ai vu les personnes attendre à sa porte de six heures du matin; mais les scènes qui m'ont paru les plus attendrissantes, sont celles auxquelles j'ai assisté hier à Amiens. A 10 heure il célébrait la messe dans la vaste Cathédrale, dans cette immense église qui occupe une surface de huit mille métres carrés, et dont la hauteur, du pavé à la voute, est de 43 mètres. La foule, émue et recueillie, se pressait dans la vaste nef, et, à l'évangile, elle écoutait la parole simple et naïve du serviteur de Dieu. La chaire était adossée à un des immenses piliers dont la base était ornée d'une statue colossale de Saint Vincent de Paul qui tendait une main vers le ciel, et de l'autre montrait un petit enfant qu'il avait à ses pieds; de ses deux mains, il semblait embrasser le prédicateur placé devant lui.

                Dans l'après midi, à l'OEuvre du Patronage, on lui présentait non seulement les malades, mais aussi les nombreuses familles. Les mamans arrivaient entourées de leurs nombreux petits enfants, et portant, le plus jeune dans leur bras; elles voulaient que l'homme de Dieu les touchât et les bénît, et Dom Bosco les bénissait, les touchait et leur donnait une médaille. La foule l'a suivi même à la gare, et il était déjà dans le vagon, lorsqu'elle s'est prosternée de nouveau pour [558] recevoir une dernière bénédiction. Les employeés de la gare, attendris eux-,,mêmes à la vue de ces scènes évangéliques, se sont prosternés avec émotion. Un représentant de la presse, qui s'est trouvé dans son compartiment, gagné à sa cause, lui a remis son offrande et s'est inscrit parmi les coopérateurs salésiens.

                On parle de miracles de guérison, de grâces obtenues; le plus beau  miracle c'est de voir les foules toujours avides de se presser auprès de ce pauvre vieillard, pour écouter sa parole simple, et recevoir sa bénédiction; ce sont surtout les conversions nombreuses que Dieu . opère par sa parole et sa bénédiction. Tantôt ce sont des époux, depuis longtemps séparés. qui retrouvent la paix; tantôt des pécheurs endurcis qui reviennent a Dieu; et c'est ainsi que Dieu sème les grâces sur les pas de son serviteur.

                Quel est le secret de tant de merveilles? Nous les trouvons dans l'évangile.

                «Si vous croyez, vous ferez les choses que j'ai faites et vous en ferez encore de plus grandes».

                «Tout ce que vous demanderez à mon Père en mon nom il vous l'accordera».

                Don Bosco est un homme qui croit à l'évangile, et tout ce qui est écrit dans l'évangile se vérifie pour lui.

                Qu'il daigne obtenir par ses prières la multiplication des hommes qui, comme lui, croient à l'évangile, et les nations catholiques se revèleront bientôt.

 

74.

Leffere a Don Bosco prima dei suo arrivo a Digione.

A.

Dijon le 10  avril.

                Mon Révérend Père,

                je ne puis résister à me faire l'interprète d'un groupe de personnes de la ville et des environs, qui désirent instamment vous voir et qui pensent avec une réelle tristesse que vous devez passer à Dijon sans vous y arrêter. Chacun a des prières à 'vous demander, des intérêts à vous recommander. Plusieurs prêtres de la ville désirent instamment vous voir, mais surtout l'un d'eux qui recueille aussi des garçons dans un orphelinat et qui désire plus que personne, si c'est possible, prendre vos conseils et vous demander une protection spéciale pour cette oeuvre qui trouve auprès dé vous tant de dévouement et dé sympathie.

                Je sais, mon très Révérend Père, que vos moments sont comptés, que vous ne pouvez répondre à toutes les demandes qui vous sont [559] adressées de tous côtés, mais nous avons dans nos murs Notre Dame de Bon Espoir et c'est entre ses mains que je place notre cause afin qu'elle vous la recommande et nous obtienne la faveur que nous sollicitons.

                Nous habitons tout à côté de son Eglise, notre excellent curé a un désir tant particulier de vous voir; oserai-je vous prier d'accepter l'hospitalité sous notre toit, mon Révérend Père? nous serons trop heureux de vous recevoir, de vous posséder, de vous demander de bénir nos 6 enfants. Un de mes b. frères qui habite ici, aussi vous en présenterait 8 dont une petite fille pour laquelle vous avez déjà bien voulu prier.

                C'est en implorant le secours de la Ste Vierge et ce de St joseph que j'ose vous adresser cette supplique, mon Révérend Père, au nom de personnes nombreuses qui prennent à vos oeuvres un très grand intérêt. Puissiez-vous nous répondre que vous vous rendez à notre, bien vif désir!

                Daignez bénir de loin, mon Révérend Père, tous mes enfants qui ont une vive impatience de vous voir et la plus humble de vos servantes.

St GRAY Marquise de Saint-Seine.

                Hôtel Saint-Seine Dijon.

 

B.

Dijon le 13 avril 1883.

                Mon Révérend Père,

                C'est au nom de la R. Mère Prieure et de toute sa communauté que l'Aumônier du Carmel de Dijon vient vous prier instamment d'avoir l'extrême bonté de vous arrêter seulement le temps de leur donner votre bénédiction, lors de votre passage dans notre ville. Vous leur ferez le plus grand plaisir et elles conserverbnt précieusement le souvenir de la faveur que vous voudrez bien leur accorder.

                Je suis, avec un très profond respect

                Votre très humble et très obéissant serviteur

LESOURD.

Chan. hon aumôn des Carmelites

 

C.

                Mon Révérend Père,

                Permettez-moi de solliciter au nom de tous les miens, l'honneur de vous offrira déjeuner ou à dîner, suivant votre convenance, lorsque vous passerez à Dijon le mois prochain. Je sais que ma b. soeur la Marquise de Saint-Seine, sera assez heureuse pour vous offrir l'hospitalité [560] et si je vous demande ici une faveur spéciale c'est afin de pouvoir vous présenter mes huit enfants dont l'une de mes filles dans un triste état de santé. Déjà, mon Révérend Père, je l'ai recommandée à vos prières; mais je tiens à ce que vous la voyez, et à ce que vous la benissiez ainsi que nous tous. Mon mari espère comme moi une réponse favorable et avec l'expression de notre profonde reconnaissance je vous prie, Mon Révérend Père, d'agréer celle de mes bien respectueux sentiments.

Vicomtesse MAURICE DE SAINT-SEINE.

                45 Rue Jeannin Dijon.

                Côte d'Or 28 avril 1883.

 

D.

                Dijon ce 1 mai 1883.

                Je viens d'apprendre que nous aurions l'honneur de vous posséder à Dijon et je viens vous supplier instamment de m'accorder quelques minutes d'entrevue avec vous pour des choses excessivement graves, dont je voudrais vous parler. Je sais que vous mirez bien peu de temps, et que bien des personnes sollicitent la même faveur, mais j'espère etc. etc.

Ctesse MAX DE VESVROSSE.

 

E.

Dijon ce 8 mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                J'apprends que vous daignerez vous arrêter à Dijon. Je suis un pauvre prêtre, bien misérable devant Dieu, mais chargé d'une oeuvre de jeunesse et qui pour cela ai bien besoin des bénédictions du bon Dieu pour mes enfants et pour moi. Je viens donc vous conjurer, si vous vous arrêtez à Dijon, et si vous y passez un dimanche, de bien vouloir venir bénir mes enfants à l'oeuvre. Je vous en serai éternellement reconnaissant... Vous aimez tant les enfants!... et moi je voudrais les aimer aussi!

                Si vous ne passez pas un Dimanche à Dijon, je vous prie, mon Père, de me faire indiquer une heure où je pourrai aller vous demander la bénédiction que vous ne refuserez pas à un pauvre prêtre qui n'a rien de bon, mais seulement son desir vrai et sincère d'arriver, coûte que coûte, à la Sainteté.

                Excusez-moi, mon Père et bénissez moi. Votre très humble serviteur

B. BIZOUARD.

Vicaire à la Cathédrale.

                rue Saint-Philibert 4o Dijon. [561]

 

F.

Poiseuil par Verizet.

(Saone-et Loire) le 22 Mai 1883.

                Vénéré et bien cher Père Dom Bosco,

                S'il plaît à Dieu, le bonheur me sera donné de vous revoir bientôt. Une mère de famille pieuse et charitable mais affligée me charge de conduire près de vous à Dijon lors de votre prochain passage dans cette ville, son fils aîné, afin que vous daigniez lui donner la bénédiction de Notre-Dame Auxiliatrice. Cette mère chrétienne qui implore par votre précieux intermédiaire, mon Vénéré Père, le secours de Marie Auxiliatrice, est Madame de la Vernette de Vallebreuse, coopératrice de votre oeuvre de la jeunesse et qui vous a aidé déjà par ses dons et sans doute aussi par ses prières.

                Ce cher enfant que j'ai mission de vous présenter a 16 ans, mais par suite d'une chute qu'il a faite tout petit, ses facultés intellectuelles ne se sont pas développées non plus que la raison.

                Tout est possible à Notre-Dame Auxiliatrice.

                Et moi votre pauvre enfant, votre fils spirituel, n'ai-je pas beaucoup à vous demander?

                Une maladie nerveuse a compromis mon avenir et ma vocation en me rendant impuissant devant les difficultés qu'elle centuple. Ah! je le sais bien, Vénéré et cher père Dom Bosco, si vous le voulez vous pouvez me dire; - Vous êtes guéri, revenez travailler à ma vigne - car tout est possible au serviteur de Marie Auxiliatrice.

                Agréez ecc. ecc.

L'Abbé HIPPOLYTE COGNET.

Sousdiacre.

 

75.

Lettere a Don Bosco durante il suo soggiorno a Digione.

A.

Montbard (Côt d'or)

27 Mai.

                Mon Révérend Père,

                Hier, au sortir de l'Évêché, j'ai eu le bonheur de recevoir votre bénédiction et d'entendre de votre bouche ces paroles que j'aimerai à lue rappeler: Ab illo benedicaris in cujus honore cremaberis. Paroles que vous avez daigné commenter en me disant que je serai non pas un martyr de la foi, mais un martyr de la Charité. [562] je suis heureux du choix que vous avez fait pour moi: il répond on ne peut mieux au désir que Dieu m'a mis au coeur depuis longtemps. Daignez, mon Révérend Père, m'obtenir par vos ferventes et saintes prières la paix de l'âme et la réalisation complète du Souhait que vous avez bien voulu faire pour moi et dont je suis trop heureuse de vous remercier.

                Merci également de la bénédiction spéciale que vous avez donnée à ma Communauté toute entière. Cette chère Communauté vous recommande devant Dieu ses intérêts spirituels et temporels en vous priant d'accepter sa modeste aumône.

                Permettez-moi de recommander à vos bonnes prières deux prêtres malheureux et coupables, tous les membres de ma famille et en particulier u un de mes frères qui nous désole par sa conduite...

S. TERRODE.

A umônier des Ursulines.

B.

28 Mai 1883.

                Très Révérend Père,

                Venant d'apprendre que vous êtes à Dijon pour quelques jours je viens recommander à vos prières l'âme d'un pauvre jeune homme qui se meurt. Je viens d'apprendre qu'il est gravement, malade. Ce n'est pas sa guérison qui je désire; il serait infirme, pauvre et pas heureux, mais c'est sa conversion, la grâce d'une mort chrétienne. Il est de ma famille. Malade dans un hôpital militaire a Batna petite ville en Algérie, je ne sais s'il a du secours religieux...

Mlle EMILIE ISNARD.

 

C.

Carmel de Dijon, ce 26 Mai 1883.

                Mon Très Révérend Père,

                C'est le coeur plein de joie et d'espérance que nous saluons votre arrivée dans notre Ville.

                Sa Grandeur Monseigneur l'Evêque nous a donné par écrit la. permission de faire entrer votre Révérence dans la clôture pour bénir  notre chère Malade. Nous terminons ce soir une neuvaine de prières a Notre-Dame Auxiliatrice, et nous avons confiance qu'Elle voudra bien nous exaucer et nous consoler par votre moyen.

                Nous espérons aussi que vous voudrez bien, mon Révérend Père, vous rendre à nos voeux et à ceux d'un grand nombre de fidèles en venant célébrer chez nous le saint sacrifice de la messe demain di [563] manche. Ce jour est moins favorable pour celles des paroisses qui reclameront aussi cette faveur.

                Monsieur notre Aumônier aura l'honneur de vous visiter pour prendre vos intentions pour l'heure du saint sacrifice.

Sr MARIE de Jésus.

R. c. indig.

 

D.

Monastère des Carmélites

Dijon ce 28 Mai 1883.

                Mon Révérend Père,

                Je fais effort pour vous écrire, car je tiens à vous exprimer moimême toute notre reconnaissance pour votre sainte visite d'hier. Elle nous a laissé une profonde impression de grâce et un grand désir de la saintété, seule chose désirable en ce monde.

                Je ne suis pas encore guérie; nous attendons avec confiance l'heure du Bon Dieu.

                Je n'avais jamais osé demander ma guérison, mais depuis que j'ai vu, Mon Révérend Père, que vous la demandiez j'ai été convaincue que telle était la volonté de Dieu.

                Nous voudrions avoir des tresors pour les donner à votre grand oeuvre, mais nous sommes les pauvres de Jésus-Christ. Recevez donc avec indulgence le 700 francs que nous mettons sous ce pli avec bonheur. C'est la première offrande que nous versons entre vos mains, mais ce ne sera pas la dernière.

                Monsieur l'Aumônier vous remettra, Mon Révérend Père, le 509 francs de 1a quête faite dans notre Chapelle hier.

                J'ai encore une grâce à vous demander. C'est un petit souvenir tous les jours devant le bon Dieu pour m'obtenir d'accomplir avant ma mort tous le deseins de miséricorde dont je me suis éloignée par mes péchés. En retour, malgré môn indignité tous les jours je demanderai à Dieu toute le gloire qu'il attend de son dévoué serviteur.

                Daignez me bénir, Mon Vénéré Père, et croire à tout mon profond respect en jésus et Marie.

                Votre très humble servante

Sr MARIE DE LA TRINITÈ.

R. C. Prieure indigne.

 

E.

Dijon lundi 28 Mai 1883.

                Le Père Prédicateur du mois de Marie de N. D. de Dijon remet son humble obole au Vénéré Dom Bosco pour ses oeuvres et recommande à ses prières et à celles de sa chère et grande famille: [564]

 

                L'important intention dont il lui a parlé hier (oeuvres sacerdotales réparatrices. Consécration Episcopale).

Les oeuvres de l'Oratoire de St Fhilippe de Néri dont il est chargé. Sa mère et sa soeur, cette dernière toujours malade, et vraie servante du bon Dieu.

                Son frère officier de marine et toute sa famille. - Les âmes qu'il dirige. - La Supérieure des Bénédictines de Ste Croix de Poitiers, toujours malade et bien utile à sa communauté et à de grandes OEuvres.

                La Princesse Czartoryska de Cracovie, bien éprouvée, et la première Communion de sa petite Fille.

                Plusieurs malades, pécheurs et pécheresses dont Dieu sait les noms.

                S. Em. Mgr le Cardinal-Archevêque de Rouen et Monseigneur l'Évêque de Grenoble pour une intention spéciale.

                Enfin lui-même, avec son ministère, ses oeuvres, sa santé, ses désirs spirituels pour la gloire de N. S. et de son Eglise, tels que le bon Dieu les connaît.

 

76.

Leffere sul passaggio di Don Bosco a Digione.

 

A.

                - Madama Ferdinand di Buyer scriveva a Don Bosco da Besançon il 10 Dicembre 1883:

                Je me recommande a vos bonnes prières. J'ai des difficultés de famille; mes pauvres enfants privés de leur père sont opprimés par leurs oncles et perdront peut-être une partie de leur fortune si on les oblige à une licitation. J'avais beaucoup insisté sur cela lorsque j'ai eu l'honneur de vous voir à Dijon. Je vous en prie, faites prier vos enfants pour cela...

 

B.

Malzeville le 5 janvier 1884.

                Vénérable Père,

                Fidèle à la promesse que j'ai faite à Notre-Dame Auxiliatrice de lui accorder 10 pour cent sur toute augmentation qui m'arriverait dans mes fonctions de Comptable, je vous envoie aujourd'hui la somme de 10 f. sur le premier mois de mes appointements que je viens de toucher depuis que j'ai quitté Dijon abandonnant une comptabilité qui me rapportait zoo f. par mois pour prendre une à Nancy qui me rapporte 300 par mois; soit une augmentation de 10o f. par mois sur laquelle augmentation je prélève 10 du % comme reconnaissance [565] à Notre-Dame Auxiliatrice. Par conséquent j'ai encore I-10 f. à verser dans votre Caisse d'ici la fin de l'année...

                Madame Lancelin remercie Notre-Dame Auxiliatrice du mieux qu'elle éprouve physiquement et moralement depuis qu'elle a vu à Dijon Notre Vénérable Père Dom Bosco. Comme reconnaissance elle envoie la somme de 5 f.... Autant qu'elle le pourra, elle enverra également cette somme tous les mois dans la pieuse pensée que NotreDame Auxiliatrice nous viendra en aide à tous deux...

R. LANCELIN.

5 Rue d'Essey à Malzeville près Nancy (Meurthe et Moselle)

 

C.

                Mon très Révérend Père,

                J'aurai voulu déjà venir vous dire la part bien profonde que nous prenons a votre douleur pour la perte que la chrétienté tout entière fait en perdant le saint Dom Bosco. Il était si utile sur la terre qu'il semblait qu'on pouvait espérer le conserver encore; mais la couronne était prête et Dieu était pressé de la lui donner. Il avait été si paternellement bon pour moi que je voudrais savoir vous dire quel souvenir filial je garde de lui. Je repasse dans mon coeur tout ce qu'il a bien voulu me dire. Et je sais que son oeuvre ne périra pas; il avait foi en vous, mon Révérend Père, qu'il savait assisté du Bon Dieu d'une façon toute particulière. C'est donc vers vous que se portent tous les coeurs qui ont aimé le saint que nous pleurons et j'ose vous rappeler le temps que vous avez passé à Dijon. C'est pour moi un souvenir bien doux, et que je regarde comme un véritable bienfait du ciel que celui d'avoir reçu, chez nous, sous notre toit, ce véritable St Vincent de Paul. Nous ne vous oublions pas, mon Révérend Père, et je vous supplie de nous considérer toujours comme véritables amis dévoués.

                Nous sommes heureux de penser que vous êtes le digne successeur de ce grand serviteur de Dieu et c'est en vous assurant de notre respect le plus profond et le plus dévoué que je me dis, mon Révérend Père,

Votre Servante

St Croix Mse de SAINT-SEINE.

 

                Dijon ce 10 février 1888.

 

D.

Dijon, 16 février 1888.

                Mon très Révérend Père,

                En m'adressant à vous permettez-moi d'invoquer le souvenir de notre vénéré Père Dom Bosco qui avait bien voulu obtenir de Dieu une grâce de guérison signalée en faveur de ma belle-fille Jeanne Le Mire. [566] Je conserverais toujours comme un des souvenirs les plus précieux de ma vie le bonheur et l'honneur d'être allée remercier ce cher saint à Turin et j'espère que mes enfants et petits-enfants iront prier auprès de son Tombeau.

                Excusez-moi, mon Père, de vous entretenir longuement. Je viens aujourd'hui demander vos prières et intéresser Dom Bosco en, faveur de ma petite nièce Thérèse Bernard qui avait eu le bonheur d'être presentée à D. Bosco qui avait été bien bon pour elle. Sa grand'mère, ma sueur vous adresse sa modeste offrande en faveur de la petite fille  pour obtenir un mariage chrétien pour elle. Je ne doute pas que le cher Intermédiaire entre Dieu et ses serviteurs ne conserve toute la commisération pour celles qui s'adressent à lui et toute sa puissance. pour obtenir ce qu'ils réclament; et dans ce cas Dom Bosco obtiendra ce que nous réclamons pour cette pauvre fille... V. LE Mi".

 

77.

Una grazia di Maria Ausiliatrice.

                Très Révérend Père,

                Je suis l'abbé Engrand, d'Aire, guéri tout recemment par notre Dame Auxiliatrice. J'avais promis si j'obtenais ma guérison, de consacrer aux oeuvres Salésiennes tous mes honoraires de messe. J'accomplis ma promesse, et je vous envoie cinquante francs pour commencer.

                Toute la ville d'Aire est dans l'admiration en voyant ma guérison. Tous ont la plus grande confiance en Notre Dame Auxiliatrice; un très grand nombre de personnes me chargent de les recommander. Cette confiance est devenue si grande à Aire, que j'espère que la sainte Vierge voudra bien nous accorder de nouvelles faveurs.

                J'ai l'honneur, mon révérend Père, de vous offrir mes respectueux hommages.

                Votre très humble serviteur en N. S.

Abbé ENGRAND.

(Bulletin Salésien. Juillet 1883).

 

78.

Lettera di Don Bosco alla signora Quisard.

                Charitable Madame Quisard,

                Dieu soit béni en toutes les choses. Il a bien voulu nous accorder la grâce d'une bonne préparation et d'une sainte communion de votre fille avec le très saint Sacrement de la confirmation. Dieu soit béni et mille fois remercié. [567]

                Comme action, de grâces vous nous avez envoyé 65o f. pour L'église et pour l'orphelinat du Sacré Coeur de Rome et pour. nos pauvres garçons. Pour vous remercier ils feront beaucoup de prières et dé communions à votre intention. Et moi je ne manquerai pas de faire tous les matins un souvenir pour vous dans la sainte messe afin que le bon Dieu exauce toutes vos demandes, mais particulièrement que le bon Dieu conserve vous et toute votre famille par le chemin du paradis. On obtiendra nos grâces avec la fréquente communion.

Que Dieu vous benisse et que la Sainte Vierge vous protège à jamais et veuillez bien aussi prier pour moi qui avec la plus grande gratitude je serai en J. Ch.

                Turin, 13 iuin 1883.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco.

                PS. Je vous attends nous faire une visite et entendre une messe que je serai heureux de dire pour vous dans l'Eglise de N. D. Auxiliatrice.

 

79.

Lettera del Vescovo Brandolini a Don Bosco.

                Rev.mo e Carissimo Padre,

                Omai due mesi e più trascorsero dacchè prendeva congedo da Voi, Caro Padre, dopo la vostra benedizione, e dopo una amabile dimora in codesto Istituto. Col vostro occhio penetrante Vi sarete accorto come Vi lasciava solo con la persona, chè accanto Vostro lasciava il mio cuore, il quale avrebbe sospirato in così vasto mare della carità Vostra, una goccia almeno aggiungere, e finire di battere i suoi pal-piti dalla schiera dei vostri Figliuoli circondato.

                Ridotto in sede, scriveva allora lettera di ringraziamento per Voi al Prof. Durando, che non so se gli sia pervenuta, e nulla più. Si; nulla più, perchè allora lasciava che si calmasse il mio spirito, chè nella quiete dell'anima Iddio si fa meglio intendere, e le conseguenti risoluzioni più sicure risultano.

                Ma in questo lasso di tempo, pertinace insiste l'antico mio sospiro di una Cella, e dopo aver ammirato nel Vostro Istituto la molteplice e sapiente Carità che in esso risplende, insiste in me il determinato desiderio di una Cella proprio coi Vostri Salesiani, dove, benchè vecchio, potrei ancora fare un po' di bene pei vostri cari giovani col Divino- aiuto. Questa idea fissa, resa oggi fredda dal serio riflesso, parmi che sia una celeste ispirazione.

                Sopra tale appoggio. eh! non bisogna più tardare, perchè l'età avanza a precipizio, ë perché il carico Vescovile più sempre mi riesce importabile. Quindi è che ho approntata una supplica al Vicario di [568] Cristo onde ottenere dalla sovrana benignità di tanto Padre la sospiratane liberazione.

                Essa viene corredata da un attestato medico, da una commendatizia dell'E.mo di Canossa, e spero anche da una seconda dell'E.mo Patriarca di Venezia. Che se ottenessi da Voi, Caro Padre, una terza commendatizia, accennante il mio sospiro di ricoverarmi fino alla morte nel vostro Istituto, mi sembrerebbe di avere nelle mani la grazia sovrana.

                Vi prego quindi di mandarmela, chè so quanto il Papa mette a calcolo le raccomandazioni della Paternità Vostra.

                Più; spedita che avrò, tale mia supplica al Vaticano, pregherei Voi, ed anche il teologo Margotti di scrivere ai Prelati influenti di Roma in mio favore, aflìnchè multiplicatis intercessoribus più presto sia esaudito. Dite al suddetto teologo che mi faccia questa carità, e riveritelo tanto per me. Ma raccomando ad entrambi silenzio fino ad affare compiuto.

                Se questo mio sogno dorato potrà attuarsi, Vi pregherei di accogliermi tra i vostri soggetti come qualunque altro. Deporrò qualunque insegna vescovile, e nulla di irregolare per mio conto si vedrebbe nella Comunità. Verrei con un domestico, che è quasi Salesiano, perchè se con l'età insorgessero acciacchi, non converrebbe dar noia alla Casa; poi con un giovane eletto che fu militare che convive con me e che studia per farsi prete e che io veggo in futùro ardente Missionario. Porse anche verrei col mio Segretario, se la vostra Profezia in lui si effettuasse[376]. E' bravo e buon sacerdote, scrittore ed oratore ottimo; franco nella lingua italiana, latina, ed abbastanza nella francese, che studia la tedesca e che ha attitudine varia, e che è focoso per la causa di Dio.

                In quanto a me non aspettatevi gran cose: io sono poco assai assai, potrò assistere alle Confessioni in codesto Santuario, fare qualche parenesi[377] ai vostri giovani, e basta.

                Io spero di essere stato compreso, ed intanto preghiamo il Signore e la Vergine Benedetta sotto il titolo di Auxilium Christianorum aflìnchè in noi si compia la divina volontà. Vi prego di un cenno di riscontro a mia quiete. Salutatemi i Professori, i Padri, e li Convittori, e supplicateli che preghino per me poveretto: Memento mei al Sacro Altare, e con pienezza di affetto, e con perfetta estimazione passo a segnarmi

                Ceneda, dal Castello Vescovile 9 agosto '83.

Tutto Vostro aff.mo in X.to

                SIGISMONDO Vescovo. [569]

 

80.

Una-dama della Regina del Porfogallo a Don Rua.

 

Lisbonne C. dos Gaetanos

52, le a février.

                Très Révérend Père,

                C'est sous le coup de la triste nouvelle que je viens de lire sur un de nos journaux qu'à hâte je prends la plume pour vous faire patvenir mes condoléances à vous, très Révérend Père, qui devez tant sentir la perte de Notre si vénéré et cher Dom Bosco, et à tous les Révérends Pères de votre Institut: croyez que je prends une vive part à votre douleur de coeur et de famille, puisque comme coopératrice j'ose me sentir unie à vous tous par des liens particuliers.

                Votre chagrin est grand et profond car cette perte paraît irréparable: cependant n'y a-t-il pas de l'égoïsme de notre part à regretter celui qui en ce moment doit jouir déjà du bonheur suprême des $lus? Il me semble que l'on doit se sentir bien plus porté à invoquer notre Vénérable Père qu'à prier pour le repos de son âme; qu'a été sa vie qu'une longue suite d'oeuvres méritantes pour le Ciel ?

                Je suis heureuse d'avoir eu le bonheur de connaître personellement ce Saint Prêtre, lors du dernier passage de notre Reine Marie Pie à Turin. J'avais l'honneur d'accompagner sa Majesté, et je me fis un devoir et une fête de rendre visite à celui que je connaissais de renommée et que je tenais à voir; et toujours je conserverai le souvenir de son air de bonté, et de la bienveillance avec laquelle il a reçu mes visites. Je veux espérer qu'il priera pour nous au Ciel.

                Comptant sur votre bonté j'ose vous témoigner le désir de posséder soit un petit, tout petit objet qui ait appartenu à Dom Bosco, soit quelque image ou médaille qu'on ait fait toucher à son corps, et j'aimerais bien pouvoir en offrir un aussi à un Prêtre de ma con-naissance qui avait en grande vénération notre vénéré et tant regretté Père.

                Le Bulletin nous donnera assurément des détails sur les derniers moments de cette sainte âme. Je comptais toujours sur la guérison de Dom Bosco, il me semblait que N. Seigneur nous permettrait de célébrer son jubilé, mais le bon Dieu avait hâte de couronner son bon et fidéle serviteur. Que sa volonté soit faite! D'après la promesse de Dom Bosco nous nous attendions à voir en Portugal quelques-uns de ce fils, cela ne sera plus hélas! de son vivant.

                EUGENIA TELLES DA GAMA. [570]

 

 

81.

 

Pietro Marietti a Don Bosco.

 

                   Ill.mo e Rev.mo Sig. D. Giovanni Bosco,

 

                Ricevo in questo momento la proposta di V. S. Ill.ma e Rev.ma di accomodamento e mi fo premura di aderirvi pienamente, ad eccezione degli elogi che  la Sua bontà lui tributa e non merito. Spero che anche il Rev.mo P. Generale che non ho cessato mai di amare e stimare vorrà accettarla e metterla in esecuzione. Io ritengo la Sua proposta quale la voce del Signore e senza esaminare il più od il meno dico Fiat voluntas Dei e ringrazio di cuore V. S. Ill.ma e Rev.ma che abbia voluto occuparsi di questa faccenda in mezzo alle molteplici, e quasi direi infinite occupazioni tutte alla maggior Gloria di Dio bensì, ma che non mancano di assorbirle tutta la giornata fosse anche lunga il doppio: il Signore Gliene terrà conto colle altre infinite più opere buone.

                Ringraziandola di cuore godo essere con profondo rispetto e venerazione di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

Umil.mo Obbli.mo Servo

PIETRO MARIETTI.

 

                Torino, 14 luglio 1883.

 

82.

 

La salute dei Conte di Chambord.

 

Goritz, le 27 mars 1883.

 

                Monsieur et Très Révérend Abbé,

 

                Un accident étant survenu, ces jours derniers à Monseigneur le Comte de Chambord, accident qui, j'espère, n'aura pas de suites fâcheuses, mais qui cependant impêche momentanèment Notre Auguste Prince, de pouvoir marcher, j e viens vous demander instamment le concours de vos bonnes prières, pour obtenir du bon Dieu la prompte et complète guérison de l'Auguste patient.

                Je vous demande pardon, Monsieur et Très Révérend Abbé, de venir ainsi vous importuner dans vos nombreuses et pressantes occupations, mais j'espère que vous voudrez bien excuser ma démarche, en considération du but qui m'a engagé à vous écrire cette lettre, car mieux que personne vous savez combien est précieuse la santé de Celui en qui, après Dieu, repose l'espérance de la France Catholique, [571] veuillez, je vous prie, Monsieur et Très Révérend Abbé, agréer la nouvelle expression des sentiments les plus respectueux et de profond vénération.

                Le Votre très humble et très obéissant serviteur

 

                A. HUET DU PAVILLON.

 

83.

 

Offerta dei Conte di Chambord a Don Bosco.

 

Goriz, le 10 mars 1883.

 

                   Monsieur et très Révérend Abbé,

 

                Monseigneur le Comte de Chambord m'a chargé de vous envoyer un secours pour les œuvres de charité que vous dirigez; je viens vous prier de vouloir bien me donner exactement votre adresse, afin que la lettre chargée que j'ai l'intention de vous adresser, vous parvienne sûrement.

                En attendant votre obligeante réponse, je vous prie, Monsieur et très Révérend Abbé, de vouloir bien agréer l'assurance du profond respect, et de la vénération

                De votre très humble serviteur

A. HUET DU PAVIL.ION

Secrétaire de Monseigneur le Comte de Chambord.

 

                Mon adresse est: Palais Lanthieri Goritz (Illyrie).

 

84.

 

Relazione dell'abate Curé al Nunzio di Vienna.

 

Frohsdorf mardi soir 17 juillet 1883.

 

                   Monseigneur,

 

                Nous venons d'avoir plusieurs jours d'émotions et de fatigues, ce qui ne m'a pas permis de donner de nouvelles à Votre Excellence. Samedi était l'anniversaire de la naissance de Madame (14 Juillet 1817). Monseigneur a voulu faire la Ste Communion à côté d'Elle. Elle lui est d'un secours et d'une consolation indicible. Presque constamment à ses côtés, Elle lui tient compagnie, Elle lui récite des prières en italien très touchante, que Monseigneur entend avec beaucoup de plaisir; Elle lui prodigue les marques de sa tendresse, et Monseigneur ne s'en lasse jamais. Il lui disait lorsqu'il était si mal, que s'il mourait il ne regretterait qu'une chose: de la laisser seule. Et Elle répondait, que dans ce cas là, Elle espérait bien ne pas rester longtemps [572] seule, parce qu'Elle irait bientôt le rejoindre. Maintenant Elle a l'espoir de le voir guérir, et Elle se ménage pour ne pas tomber malade Elle même. Du reste Dieu l'assiste visiblement, et Elle en faisait Elle-même la remarque il y a quelques jours, en disant: Je m'étonne vraiment d'être si forte à présent; auparavant, je ne pouvais presque pas me traîner, et depuis que mon Mari est si mal, je vais, je viens, je lui fais la lecture, je lui récite des prières, je reçois et j'envoie une quantité de dépêches, et pourtant, je ne me sens pas fatiguée. L'union qui existe entre les deux Augustes Epoux et le besoin qu'ils ont l'un de l'autre est vraiment admirable. Cela rappelle Saint Louis avec sa douce Epouse et son anneau sur lequel il avait écrit: «Dieu, France et Marguerite, hors cet annel n'ai point d'amour».

                Samedi après midi, une dépêche vint annoncer l'arrivée de Don Bosco pour le soir même. A la première demande qui lui avait été adressée, il avait fait répondre qu'il était très fatigué de son voyage en France, qu'il était malade lui-même, et qu'il ne pouvait pas se mettre en route pour le moment. Cependant, au bout de dix jours, Monseigneur exprimant le regret de ne pas l'avoir vu, on pensa à l'envoyer chercher à Turin par un des Secrétaires de Monseigneur Monsieur joseph du Bourg, qui l'avait connu et accompagné l'année dernière dans le Midi. Aussitôt la commission reçue Mr du Bourg qu'arrivait à peine de Frohsdorf à Paris, partit pour Turin, et avec son éloquence toulousaine, il enleva le Père qui ne sut pas lui résister. Le soir même. ils se mettaient en route, Don Bosco, Don Rua et lui. On les attendait le samedi soir, mais ayant manqué le train exprès à Metz[378] ils n'arrivèrent que le dimanche matin. Aussitôt qu'il les sut là, Monseigneur qui avait fait la Sainte Communion à 5 heures 1/2 et entendu la Messe après, voulut voir Don Bosco. La veille au soir il avait dit en apprenant le retard involontaire du Saint Prêtre: Nous n'aurons pas encore la bénédiction dans la Maison cette nuit; mais dès le matin il voulut l'avoir et quand le Père sortit, il dit à Monsieur du Bourg qui l'avait introduit: Voyez-vous, mon Cher, ce n'est pas le premier venu que Don Bosco, je sens qu'il m'a guéri! Ce n'était pas encore la guérison, mais c'était la promesse de la guérison. Le bon Père nous dit la Messe à sept heures, comme Votre Excellence il y a deux ans, et donna la Communion à beaucoup de personnes, ce qui l'édifia et le réjouit. Le soir après le Salut, je-lui demandai de nous adresser quelques paroles, puisque la fatigue l'avait empêché de le faire à la grand'Messe. Il le fit très volontiers; et très simplement, très paternellement il nous félicita, et nous exhorta en même temps à la Sainte Communion, à la dévotion à la Ste Vierge, à la confiance dans la prière. Il nous promit en terminant, que quand il reviendrait pour rendre grâces à Dieu avec nous de la faveur obtenue, nous ne serions pas seuls, mais [573] que Monseigneur serait avec nous. Ainsi d'après lui, la guérison doit avoir lieu, mais pas trop subitement, pour qu'elle ne lui soit pas attribuée à lui, mais seulement à l'universalité des prières qui se font pour Monseigneur. Je lui dis alors; quel intérêt le St Père prenait à la santé de  Monseigneur et comment Vous avez envoyé déjà deux fois Votre Secrétaire pour pouvoir transmettre à Rome des nouvelles sûres et toutes fraîches. Après la grand'Messe, Monseigneur a voulu recevoir toutes les personnes de sa Maison, Il était très faible et n'a pu adresser que quelques mots à chacune. Madame était assise à côté de son lit; chacun en passant, baisait la main à Monseigneur. C'est la première fois, je crois, qu'Il l'a permis, ou plutôt laissé faire. Il y avait là Mr le Comte de Blacas, Mr le Marquis de Foresta, le duc della Grazia, le Bon de Raincourt, le Général de Charette, les Comtes d'Audigne, de Monti (Mr de Chavigni était allé à Vienne chercher le Docteur Vulpian qui arrivait de Paris), Messieurs Huet du Pavillon, Premont, le R. P. Role et moi. Je fermai la marche en qualité de Curé, et Monseigneur me dit: Je voulais vous voir ces jours-ci, mais je suis si fatigué! Il ajouta, en parlant de Don Bosco et de son Compagnon Don Rua: Don Bosco prétend qu'il n'est pas le vrai, que c'est l'autre. Et comme je ne comprenais pas: Oui, répéta-t-Il, ce n'est pas lui qui fait les miracles, mais son Compagnon c'est aussi un Saint.

                Le soir au dîner Madame nous avait invités, nous étions r8. Au milieu du repas, au moment où personne n'y pensait (Madame elle même n'était pas prevgnue) tout à coup paraît Monseigneur amené dans son fauteuil roulant. Ce fut comme un coup de foudre! Cette émotion coupa la parole à tout le monde. Le bon Prince avait voulu faire cette agréable surprise à tous ses Serviteurs. Madame en le voyant courut à lui pour boire à sa santé; chacun en fit-autant. Monseigneur appela spécialement Don Bosco et après deux ou trois minutes Il se fit reconduire dans son lit. Après tant d'excitation la nuit devait être agitée, cependant Il n'en souffrit pas trop.

                Samedi 18 Juillet. Je reprends mon récit que je vais abréger. Lundi matin, fête de N. D. du Mont Carmel, Monseigneur voulut avoir la Messe de Don Bosco dans sa chambre et recevoir la Ste Communion de sa main; c'était dignement clôturer la neuvaine publique que nous venions de faire à Notre Dame de Lourdes. Dans lá journée Don Bosco fut occupé à recevoir toutes les personnes, qui voulaient lui dire quelque chose, ou recevoir sa bénédiction. Et il fut décidé qu'il partirait le lendemain (hier matin). Sa présence était une consolation pour Monseigneur, mais il ne pouvait pas la prolonger beaucoup, ses enfants de Turin le réclament impérieusement. Hier matin les deux Saints Prêtres nous quittèrent après avoir dit la Ste Messe, l'un a 5 heures 1/2, l'autre à 6 heures. Monseigneur voulut les voir encore avant leur départ, et Il embrassa tendrement Don [574] Bosco, en le remerciant d'être venu. Don Bosco en montant en voiture me demanda quand je viendrais le trouver à Turin, il aurait voulu m'avoir avec lui, je lui répondis que j'irais peut-être le chercher quand il reviendrait pour l'action de grâces.

                Dans la journée d'hier plusieurs de nos hôtes partirent, ainsi le Général de Charette, le Ms de Foresta, Mr joseph du Bourg, Mr le Docteur Vulpian; mais celui-ci doit encore une fois revenir de Vienne aujourd'hui. Une consultation des Docteurs Vulpian, Drosch et Mayer avait eu lieu hier à 9 heures, et ces Messieurs semblaient s'accorder à reconnaître qu'il n'y avait ni cancer, ni abcès dans l'estomac; mais seulement une inflammation violente, un catarrhe aigu, avec un point particulièrement douloureux. Mais que la constitution de Monseigneur aidant, on peut espérer qu'au bout d'un certain temps il sera guéri, et que s'il ne survient rien, Il pourra être sur pieds dans quelques semaines. Cette perspective d'avoir plusieurs semaines, peut-être plusieurs mois à souffrire effraie Monseigneur, Il craint de n'avoir pas la patience nécessaire; Il aimerait mieux mourir plus promptement. Il sent qu'Il a besoin de beaucoup de grâces pour cela, et par suite de beaucoup de prières. Ainsi Vous voudrez bien lui continuer les Vôtres, Monseigneur, Vous et vos Messieurs de la Nonciature, et aussi le recommander humblement aux prières de Sa Sainteté et de S. Em. le Cardinal Iacobini.

                Cette nuit a été passable; Monseigneur a un peu dormi. mais Il a des douleurs très vives dans les intestins. On attend tout à l'heure le Docteur Vulpian, quia consenti à retarder son départ d'un jour, et le Docteur Mayer.

                Les neveux de Monseigneur vont aussi arriver, il y avait longtemps qu'ils l'avaient demandé, mais Monseigneur ne l'avait pas .permis. Une exception avait été faite en faveur des princes d'Orléans pour la raison que j'ai dit à Mgneur Amoni. C'était une preuve que Monseigneur voulait donner au monde qu'Il leur avait pardonné du fond du coeur le tort de leur famille envers la Sienne. 'Et pour cela, la réception a été aussi cordiale et affectueuse que possible, Monseigneur ne voulant pas pardonner à demi; mais il n'y avait aucune arrière pensée politique dans cet acte religieux, au contraire, la politique l'eût plutôt empêché si Monseigneur avait pensé que le parti Orléaniste exploiterait cette entrevue en faveur de la succession au trône du Comte de Paris. Les Princes d'Orléans se sont montrés personnel- , lement très bien, dans cette circonstance, mais leur journaux et leurs partisans sont toujours les révolutionnaires de 1830, ce que Monseigneur ne peut approuver.

                En voici bien long pour une seule lettre, Monseigneur, je Vous demande pardon de Vous avoir retenu si longtemps, mais je sais que tout ce qui touche Monseigneur Vous intéresse; voilà pourquoi je me suis laissé aller au courant de ma plume et de mes idées.

 

575

 

                Veuillez; agréer, Monseigneur, avec mes remercîment, pour la bonne et affectueuse lettre que Votre Excellence m'a fait l'honneur de m'écrire la semaine dernière et pour l'envoie réitéré de Mgneur Amoni (que je salue très cordialement) l'hommage de mon profond respect et de mon religieux dévouement en Notre Seigneur.

                Je suis de Votre Excellence Monseigneur

 

                Frohsdorf, mardi soir 17jiuillet 1883.

 

                Le très humble et très obéissant Serviteur

 

                                                                              A. CURÉ.

 

85.

 

Don Bonetti al Cardinale Alimonda.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                La nomina dell'Em. V. Rev.ma ad Arcivescovo di Torino, la quale destò in ogni ordine di cittadini la più viva gioia, e fece ai Salesiani aprire il cuore alle più liete speranze, recò in pari tempo all'umile scrivente una consolazione affatto singolare.

                Contemporaneamente alla elezione della Em. V. a questa illustre sede di S. Massimo, il nostro Santo Padre Leone XIII aveva l'alta degnazione e la sovrana bontà di abrogare una sua disposizione dell'anno scorso, la quale per quantunque saggia ed opportuna, non mancava tuttavia di riuscire per la debolezza mia alcun poco dolorosa, in quanto che mi metteva in questa archidiocesi e in faccia ai miei, confratelli in una condizione anormale, per motivi che non giudico ignoti alla Em. Vostra Rev.ma.

                Ho ragione di credere che all'atto Sovrano il quale mi sciolse da ogni aggravio e mi restituì la piena libertà di esercitare il Sacro Ministero in questa Archidiocesi, non sia stata aliena la Em. V., e che l'Augusto Pontefice sia venuto volentieri alla concessione dell'accennato favore anche perchè sapendo che il nuovo Arcivescovo vi avrebbe aderito con tutta la effusione del cuore.

                Essendo così ho motivo di esultare della Vostra nomina più che ogni altro Salesiano e sacerdote della Diocesi Torinese. Laonde dopo di avere, come scrittore del Bollettino Salesiano, eccitato i cooperatori e le cooperatrici a ringraziare con Don Bosco e coi suoi figli il Signore per un tanto dono fatto a Torino per mezzo del Sapiente suo Vicario, io colgo di buon grado la propizia occasione della festa di S. Gaetano, vostro giorno onomastico, per esprimere in particolar modo alla Em. V. i sensi dell'animo mio, sensi di congratulazione, di stima e di venerazione. [576]

                Sì, Eminenza, dall'intimo del cuore mi congratulo con voi della nuova e sublime dignità, di cui vi ha rivestito il Supremo Gerarca della, Chiesa, preconizzandovi ad una delle più gloriose sedi d'Italia, mi congratulo che siate creato pastore di una così cospicua  porzione del gregge di Cristo, e messo a capo di un'Archidiocesi cara oltremodo a Gesù, in Sacramento e all'Augusta Regina del Cielo Maria SS. Nel tempo stesso vi assicuro che la venerazione mia verso la vostra persona è e sarà pari alla stima, che  meritamente vi conciliano la impareggiabile Vostra dottrina e lo splendore delle vostre virtù.

                In prova della sincerità di questi sentimenti, io liti metto fin d'ora nelle vostre mani, Eminenza. La mia voce e la mia penna valgono poco, è vero, tua per quel poco che possono valere, io, sotto l'impulso del venerato mio Doti Bosco, le adoprerò sempre per rendervi più facile l'esercizio del pastorale ministero. Unitamente ai miei amati confratelli lascerò nulla d'intentato pur cooperare con voi alla gloria di Dio e alla salute delle anime, per fomentare la pietà cristiana tra questo popolo che vi sospira, per allontanare almeno quegli scandali e quelle offese di Dio, che  in Napoli già cagionarono la morte al glorioso santo, dal quale al sacro fonte ereditaste il nome.

                La prima volta che  ho l'onore di presentarmi a voi, Eminentissimo Principe, io avrei ben voluto venirvi innanzi, come sogliono i piccoli presentarsi ai grandi, con qualche dono in mano; tua ho nulla che sia degno di voi. Tuttavia conscio della vostra bontà prendo confidenza e vi prego a gradire una copia di alcune operette uscite dalla povera mia penna. Se mai gli occhi vostri degneranno di uno sguardo queste pagine pregherò la E. V. a non volervi cercare nè la erudizione, né lo stile onde vanno ricchi i vostri scritti immortali, ma solo il desiderio di  fare un poco di bene a qualche anima pia e di meritarmi la protezione dei santi e soprattutto l'ammirabile misericordia del Sacratissimo Cuor di Gesù.

                Per non tediare d'avvantaggio la Em. V. io pongo fine, non senza augurarle dal cielo ogni felicità; e fo voti ardenti di potermi presto prostrare ai vostri piedi per ricevere la pastorale benedizione, e per udire dalle vostre labbra una di quelle parole che conte quelle del Divin Salvatore apportano alle anime luce e conforto.

                Inchinato al bacio della Sacra Porpora godo dell'alto onore di professarmi con profondo rispetto e pienezza di stima.

 

                Torino, 5 agosto 1883.

Obbl.mo ed. Oss.mo figlio

Sac. Gio. BONETTI

                dei Salesiani. [577]

 

86

 

Supplica di Don Bonetti al Cardinale Nina.

 

                Eminenza Rev.ma,

 

                Oggi si compie un anno, dacchè venne sottoscritta la Concordia tra il compianto Mons. Lorenzo Gastaldi, già Arcivescovo di Torino e la Congregazione dei Salesiani; e quindi giusta l'articolo III della medesima spira altresì il termine dell'assoluto mio allontanamento dalla città di Chieri, al quale veniva impegnato il mio venerato Superiore Don Giovanni Bosco.

                La Em. V. Rev.ma nel comunicarmi l'anno passato in questi giorni stessi la mentovata Concordia, sottoscritta, secondo il volere di Sua Santità, per mano dei delegati di ambe le parti, aveva la bontà di esprimersi molto benevolmente a mio riguardo, scrivendo così: - La virtù di Don Bonetti non verrà meno se deve rassegnarsi al tempo di un anno per accedere a Chieri. - Sì, Eminenza, la mia virtù sebbene molto debole non venne meno, perchè sostenuta dalla grazia di Dio e dal più vivo desiderio di compiacere il Santo Padre, il quale confidava, con tal mezzo, di porre fine ai dissidii e ristabilire una pace vera e duratura tra Mons. Arcivescovo e noi. Mi ha pur confortato alla pazienza l'esempio di Don Bosco, e la speranza che  col mio sacrificio si sarebbe lenito l'animo del defunto Prelato e così ne sarebbe venuto, per le promesse che l'Arcivescovo faceva, un più gran bene alla Chiesa e maggior vantaggio alle anime.

                Le savie disposizioni di Sua Santità, il cui alto pensiero si è l'unione e la concordia degli animi tra i suoi, affine di resistere e combattere con buon esito i nemici di Dio e della Chiesa, non furono corrisposte come meritavano da tutti i frutti sperati. V. Em. ricorderà le pubblicazioni fatte dalla parte contraria allo scopo di far credere una formale condanna pronunziata dal Santo Padre contro Don Bosco e Don Bonetti, siccome colpevoli di mancanze, e così screditarli presso il popolo; ricorderà il rifiuto della Revisione ecclesiastica ad un fascicolo della mensile pubblicazione: La Biblioteca della gioventù Italiana, con pericolo di metterla in sospetto agli associati; ricorderà lo sfregio recato al libretto: Gesù Cristo nostro Dio e nostro Re, colla sospensione a quei Sacerdoti che lo avessero distribuito colle innocue parole: Segno della Comunione Pasquale; e saprà pure le lettere che poco prima della disastrosa sua morte l'Arcivescovo scrisse ancora a Lione e a Parigi, per indisporne l'autorità Ecclesiastica contro il povero Don Bosco, che doveva recarsi a quella volta. Ma comunque sia andata la cosa, noi siamo lieti di non aver posto verun ostacolo [578] alla esecuzione dei voleri del S. Padre, e il buon Dio non ci ha abbandonati, perchè protegge sempre chi ama ed ubbidisce il suo Vicario.

                Ora io sarei a pregare la £m. V. di un favore. Ella sa che allo scopo di soddisfare il più largamente che fosse possibile il compianto Arcivescovo, il citato articolo della Concordia dispone non solo il mio allontanamento da Chieri per un anno, ma decorso questo termine, limita altresì il mio ritorno in detto luogo a qualche particolare circostanza. Questa ultima disposizione mette la povera mia persona in peggiore condizione di qualsiasi mio confratello, anzi di qualsiasi Sacerdote della Diocesi, imperocchè tra noi qualunque Sacerdote sia Regolare o non lo sia, purchè munito delle ordinarie patenti di predicazione e di confessione, può accedere liberamente a detta città, come ad ogni paese dell'Archidiocesi, in ogni tempo e in ogni circostanza, ed occuparvisi nel Sacro Ministero. All'opposto io, giusta detto articolo ciò non posso fare e debbo limitare il mio ritorno in detto luogo per qualche particolare circostanza. Ora, per quanto benigna interpretazione si voglia dare a tale disposizione, non si può non considerarla per una parte quale un aggravio pel Superiore della mia Congregazione, al quale lega le mani nel servirsi liberamente di un suo suddito, e per altra parte quale una punizione anche per me, in quanto che riesce un provvedimento al quale si assoggettano solo i colpevoli. Finchè viveva Mons. Arcivescovo in riguardo del quale fu dettato cotale articolo, esso aveva la ragione sufficiente di esistere, come nella mente illuminata del Santo Padre questa ragione sufficiente l'aveva tutta intiera la Concordia; ma ora che Iddio nei suoi imperscrutabili consigli chiamò a sè il detto Prelato, simile ragione (salvo miglior giudizio) parmi che più non vi sia.

                Per la qual cosa io prego umilmente la Em. V. che voglia usarmi la bontà di parlare in favor mio al nostro S. Padre, e supplicarlo che nella Sovrana Sua benignità si degni di rimettermi nella condizione in cui mi trovava prima della disgustosa vertenza. Questa grazia io domando per due motivi specialmente. In primo luogo perchè risulti in effetto che la mentovata Concordia non fu una condanna nè una punizione, ma solo un temperamento, come V. Em. che ben conosce il benevolo animo del S. Padre, ebbe più volte ad esprimersi a questo proposito, onde così i presenti e gli avvenire non abbiano da dedurne delle conseguenze contrarie alla verità. In secondo luogo io imploro tale grazia, affinchè almeno per lo innanzi l'onor mio di Sacerdote e di Religioso abbia la sua riparazione in faccia al pubblico; imperocchè, stante il clamore fatto dalla parte contraria, il povero scrivente fu ed è tuttavia creduto condannato quale colpevole. Conferma questa voce e questa opinione il sapersi che da ben 5 anni io son tenuto lontano da Chieri, il che impedì ed impedisce tuttora che si creda alla sentenza a me favorevole emanata dalla S. Congregazione con suo [579] venerato rescritto dei 28 gennaio 1882. Oggi più che mai per fare il bene in mezzo al popolo è necessario che il Sacerdote non solamente sia sine macula innanzi a Dio, ma che tale apparisca pure in faccia agli uomini: è necessario Testimonium habeye bonum ab iis qui foris sunt, come S. Paolo scriveva al suo Timoteo. E il prelodato Apostolo a quei di Corinto: Providemus bona non solum coram Deo, sed etiam coram hominibus.

                Mi duole che per ottenere questo favore io non possa mettere innanzi dei meriti; onde mi affido intieramente alla bontà di cuore del S. Padre e alla efficacia della intercessione di V. Em. presso di Lui. Solo che Sua Santità volga un istante l'alta e benevola sua attenzione sul mio stato, sui quattro anni di sofferta sospensione, sulla sentenza della Sacra Congregazione, che non rinvenne nella mia condotta colpa meritevole di siffatta e diuturna pena e sulla prontezza d'animo, con cui Don Bosco e l'umile esponente si sono assoggettati ad eseguire la concordia, io sono sicuro che non vorrà rigettare la supplica di questo povero Sacerdote, il quale nei 19 anni del suo sacro ministero, nella direzione dei piccoli Seminarii, nella frequente predicazione, e nelle varie operette scritte e divulgate, non ebbe mai altro di mira che la gloria di Dio, la salute delle anime, la difesa della Chiesa, e l'onore del suo capo visibile.

                Vostra Em. potrebbe forse soggiungermi: Aspettiamo il nuovo Arcivescovo. - Mi permetta che  con tutta umiltà io soggiunga ancora due brevi osservazioni. Qualunque sia per essere il nuovo Arcivescovo che  il Sapientissimo Pontefice sarà per darci, egli sarà più o meno digiuno della disgustosa vertenza da noi avuta col suo antecessore, e quindi prima di poter dare un provvedimento con cognizione di causa, sarebbe costretto a farsi narrare la lunga dolorosa istoria, e intanto passarebbe di nuovo chi sa che tempo; mentre in quella vece Sua Santità e l'Eminenza Vostra conoscendo già appieno le cose, possono aggiustarle in poche parole con risparmio di tempo e di ulteriori disturbi. - E poi il nuovo Arcivescovo potrebbe sempre rispondere: Io non credo conveniente rifare quello che venne stabilito da una Autorità Superiore; epperciò sarebbe probabilissimo che egli lasciasse le cose come le ha trovate, e così quello che fu sempre giudicato solo un temperamento ed un fatto passeggiero, diventerebbe una disposizione stabile ed un fatto compiuto a danno di un povero prete non mai giudicato meritevole di simile pena.

                Ma di questo ho detto fin troppo, nè occorre altro per muovere l'animo della E. V. ad interessarsi di questo affare che non è privo di conseguenze per la gloria di Dio e pel bene delle anime.

                Sopra mi cadde parola del nuovo Arcivescovo, e prima di chiudere questo foglio vengo notificare all'Em. V. che noi l'attendiamo. Siamo colla viva aspettazione e preghiamo davvero il buon Dio che ce lo doni proprio iuxta coy suum. Tale egli sarà se nell'amministrazione [580] di questa Archidiocesi, se nella disciplina degli studii, se nella direzione del Clero avrà l'occhio al Vaticano, e si farà un vanto di battere le orine gloriose del S. Padre. Pur troppo per molti anni in queste parti si fu soliti udire da bocca autorevole, che il Papa basta ascoltarlo quando parla da Dottore Universale; soliti udire critiche intemperanti contro le romane congregazioni; soliti udire nelle sale del Seminario, nelle conversazioni private e nelle stesse adunanze di Sacerdoti vecchi e giovani discorsi e proposizioni che sapevano più o meno di Giansenismo, di Febronianismo e di liberalismo. Di qui ne derivarono non pochi mali.

                Ma con tanta unione dell'Episcopato colla S. Sede, con sì splendido esempio di subordinazione che in generale dànno i Sacerdoti di tutte le Diocesi d'Italia, anzi del mondo intero, con tanti mezzi che si hanno oggidì per conoscere non solo i voleri, ma i desiderii stessi del Supremo Gerarca della Chiesa, ogni male cesserà ben presto anche tra noi, quando il futuro Pastor nostro non sia aulico, ma sia Papale in tutta la forza della parola, e nè in pubblico, nè in privato non mostri mai di temere che la Cattedra di S. Pietro oscuri quella di S. Massimo, come malauguratamente avvenne tra noi. - Se poi a questo manifesto e inalterabile attaccamento alla S. Sede Apostolica egli aggiungerà ancora un cuore di padre e sarà benevolo e protettore delle Congregazioni religiose, questa Archidiocesi sarà salva. Per guadagnarsi l'animo di tutti egli non avrà da fare altro che osservare quello che ai Vescovi inculca il Sacro Concilio di Trento: Ut se pastores non percussores esse meminerint, cum saepe plus agal benevolentia quam austeritas, plus exhortatio quam minatio, plus charitas quam potestas.

                Fino a questi ultimi tempi tra noi s'invertirono pressochè tutti i termini di queste sentenze di alta sapienza; quindi disgusti, malumori, rotture, avvilimenti e liti. Il nuovo Arcivescovo mutando sistema verrà a possedere il cuore di tutti, e si avvereranno per lui le parole del Principe dei Pastori: Beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram.

                Perdoni, Em. Rev.ma l'abuso che ho fatto di sua pazienza. Nella fiducia di questo perdono, non che del favore sopra implorato, prego Dio che apra sopra di Lei i tesori delle grazie celesti, mi raccomando alle valide sue preci, mentre inchinato al bacio della Sacra Porpora godo dell'alto onore di potermi professare con profonda venerazione ed imperitura, gratitudine

                Di V. E. Rev.ma

 

                Torino, 16 Giugno 1883

Umil.mo ed obbl.mo figlio

Sac. Gio. BONETTI

                dei Salesiani. [581]

 

87.

 

Il Cardinale Alimonda a Don Bonetti

 

                Molto Rev.do Signore,

 

                L'affettuosa lettera di Vostra Signoria merita gli affettuosi miei ringraziamenti. La ringrazio quindi con cuore paterno per gli augurii e per le felicitazioni che mi faceva nel giorno onomastico. La ringrazio dei cari libretti che mi va regalando. Il suo cuore e la sua mente ella ha consacrato al bene della chiesa, e in particolare modo al bene di Torino. L'approvo sinceramente; allontanare dal popolo gli scandali, le bestemmie, le offese di Dio è opera del fervente sacerdote. Le sono poi assai grato per le care speranze che  colla sua lettera mi ha suscitato nell'animo. Mi dice ella che la diocesi di Torino è oltremodo diletta a Gesù in Sacramento e all'augusta Regina del cielo. Gesù e Maria! Oh saranno dessi che mi aiuteranno nel reggere tanta diocesi, essi mi sorreggeranno le braccia che  sento fiacche per mancanza di virtù e di scienza e per troppa età. Preghiamo assieme, mio buon sacerdote, che non sia affatto inerte pastore, che la mia greggia per me non manchi di salutari pascoli. Alla Signoria vostra mi raccomando e ne spero valido aiuto.

                Le auguro ogni bene dal cielo e con sincera stima mi dico

                Della S. V. M. Rev.da

 

                Roma 18 Agosto 1883.

 

                (Autografo). I miei saluti riverenti ed amorevoli all'ottimo suo Superiore Don Giovanni Bosco.

 

Devotissimo servitore.

Card. ALIMONDA.

 

 

88.

 

Lettera di Don Milanesio a Namuncurá[379]

 

Roca, 20 de avril de 1883.

                Mi respectable señor Namuncurd,

 

                Supe por sus embajadores que Vd. envió comisionados a este Fuerte para tratar la paz con las autoridades militares, habiendo determinado muy cuerdamente someterse al gobierno argentino. Véngase Vd. [582] sin temores y confiado en mi palabra, que aquí será bien recibido. Puedo asecurarle a Vd. que el gobierno argentino, lejos de causarle mal alguno, lo va a favorecer en todo.

                Con esta su espontánea sumision se ganará las simpatias de nuestro gobierno, evitará el derramamiento de sangre, la miseria y mil otras desgracias, al mismo tiempo que asegurará la tranquilidad y felicitad para Vd., para su familia y para su tribu. Asimismo nos aborrará a los Misioneros la fatiga que ahora ne resulta para instruirlos y bautizarlos a ustedes; y por lo que respecta a la vida material entrarán mas fácilmente en la senda de la civilisación y del progreso. Hago votos pará que los consejos que le doy, mi estimado señor Namuncurá, no sean vanos, y en el deseo de verlo pronto sometido al ejército argentino, lo saludo con toda el alma.

                Su sincero amigo

DOMINGO MILANESIO

Misionero Salesiano.

 

89.

Provicarialo e Prefettura apostolica nel Sud America.

A.

Erezione del Provicariato.

LEO XIII,

                Ad futuram rei memoriam. Ad fovendam vel magis et provehendam sacram missionem Patagoniae, cuius curam laboresque iam pridem Sodales Congregationis Salesianae susceperunt, postulatum est a dilecto filio Joanne Bosco memoratae Congregationis Auctore et Antistite Summo, ut in Septentrional¡ Patagoniae regione Vicariatus Apostolicus erigatur. De sacrarum missionum bono et Incremento ex officio Supremi Apostolatus, quo in $celes¡a Dei fungimur, Nos vehementer solliciti Veneralibus Fratribus Nostris S. R. E. Cardinalibus Catholicae propagandae Fidei praepositis huiusce rei examen commisimus. Itaque pensatis hac de re omnibus accurateque consideratis de eorundem Venerabilium Fratrum Nostrorum consilio huiusmodi postulato annuendum existimavimus. Nos igitur Apostolica auctoritate Nostra harum litterarum vi in Septentrionali supradictae regionis parte Vicariatum Apostolicum erigimus atque erectum declaramus, ea lege ut in ipso comprehendatur etiam pars centralis Patagoniae, quae nondum explorata est. Huiusce autem Vicariatus Apostolici Patagoniae Septentrionalis limites esse volumus ad Orientem mare Atlanticum, ad Occidentem Montes, qui vulgar¡ nomine « Les Cordiglieres » appellantur, ad Austrum populos, qui dicuntur Pampas, ad meridiem Patagoniam centralem, Háec volumus atque decer [583] nimus in contrarium facientibus quamvis speciali atque individua mentione ac dcrogatione dignis non obstantibus quibuscumque. Datum Romae apud S. Pctrum suo Arsnulo Piscatoris die XVI Novembris MDCCCLXXXIII. Pontificatus Nostri Anno sexto.

Pro D.mo Card. Mertel

A. TRINCHIERI Subst.

 

B.

"Breve" di nomina del Cagliero.

LEO PP. XIII,

 

                Dileete fili, salutem et apostolicam benedictionem. Quum de consilio etiam Venerabilium Fratrum Nostrorum S. R. E. Cardinalium Congregationis propagandae fidei praepositorum in bonum prosperitatemque sacrae missionis Patagoniae in parte Septentrionali eiusdem Patagoniae Vicariatum Apostolicum erexerimus adiecta lege, ut in eodem comprehendatur Patagonia, Centralis nondum explorata, cum iisdem Venerabilibus Pratribus Nostris egimus de praeficienda eidem Vicariatui persona, quae huiusmodi munere scite naviterque ad scmpiternam illorum populorum salutem ac religionis incrementum perfungi possit. Post maturam deliberationem, suffragantibus quoque memoratis Venerabilibus Fratribus Nostris, tibi, dilecte fili, qui pietate, dotrina, prudentia et propagandi Christiani nominis studio apud Nos commendaris, huiusmodi munus demandandum censuimus. Peculiari te, igítur benevolentia prosequi volentes, et a quibusvis excommunicationis et interdicti aliisque ecclesiasticis sententiis, censuris et pocnis quovis modo vel quovis de causa latis, si quas forte incurreris, huius tantum rei gratia absolventes atque absolutum fore censentes Apostolica auctoritate Nostra harum litterarum vi te novi huius Vicariatus Apostolici per Nos erecti in Septenptrionali Patagoniae parte cui adiectam vólumus Patagoniam Centralem ad Nostrum et Sanctae Sedis Apostolicae beneplacitum pro Vicarium cum facultate confirmarsdi subdelegabili eligimus, instituimus et rcnuntiamus, tibique omnes et singulas, quae huiusmodi muneris propriae sunt, concedimus et impertimus facultates. Universo propterea clero et populo novi huius Vicariatus praecipimus et mandamus, ut te in pro Vicarium Apostolicum recipiant et admittant, tibique faveant, praesto sint et pareant, plenamque reverentiam exhibeant. In contrarium facientibus licet speciali atque individua mentione ac derogatione dignis non obstantibus qu buscumque. Datum Romae apud S. Pctrum sub Arsnulo Piscatoris die XX Novembris MDCCCLXXXIII Pontificatus Nostri Anno sexto.

Pro D.mo Card. Mertel.

A. TRINCHIERI Substit. [584]

 

C.

Prefettura e Prefetto apostolico.

DECRETUM.

                Cum ad Catholicae Fidei propagationem in Patagoniae regionibus expedire visum fucrit Sacro Consilio Christiano nomini propagando praeposito, ut Apostolica Paefectura ibidem erigeretur, E.mi ac Rev.mi Patres eiusdem Sacri consilii in Generali Conventu habito die 27 Augusti 1883 censuerunt statueruntque, ut praedicta Prefectura in parte Meridionali Patagoniae erigeretur, quae insulas  Malvinianas ac insulas circa sinum Magellanum existentes comprehendat. Huius tamen Praefecturae limites determinari in praesens non possunt, cum Regio illa adhuc explorata non sit in omnibus partibus.

                Quam quidem in rem E.mi ac Rev.mi Patres praesens edi Decretum mandarunt.

                Datum Romae en Aedib. S. Congregationis de Propaganda Fide die 16 Novembris 1883.

IOANNES Card. SIMEONI Praefectus

D. Archiep.us Tyren. Secretavius.

 

90.

Lettera di Don Vespignani a D. Bosco.

San Carlos 6 Luglio 1883.

                Rev.mo e Amat.mo Padre,              

                Il nostro caro Ispettore ha l'invidiata sorte di presentarsi a Lei, Veneratissimo tra i Padri, e porta con sè tutti i nostri cuori per ispanderli, per così dire, davanti a Lei, dirle come noi tanto-lontani dalla sua cara persona siamo pur sempre attaccatissimi figli, e non possiamo perderla; di vista un momento solo. Noi siamo con Lei in Torino, noi l'abbiamo accompagnato varie volte a Roma, l'abbiamo noi pure festeggiato in Francia ed in Parigi e mille volte al giorno benediciamo il Signore che ce lo volle dare per Padre. Oh! fossimo almeno degni figli! È qualche tempo che Gesù per intercessione di Maria me ne dà il desiderio, ed è appunto per ottenere una speciale benedizione da Lei, mio caro Padre, che le scrivo la presente. Voglio essere buon Salesiano: voglio avere il di Lei spirito, per quanto lo comportano le mie deboli forze: .voglio vivere e morire per la nostra cara madre la Congregazione; e per questo fine mi sacrifico come vittima in unione di [585] Gesù per il bene della Gioventù in generale, e specialmente per quelli, che la divina Provvidenza ci affida, perchè li aiutiamo a salvarsi. Voglio farmi forza per adottare a sua imitazione lo spirito di carità e di dolcezza, vincendo le difficoltà del naturale, del costume, e dei pregiudizi dell'amor proprio che sono pur tanti. E tutto questo lo prometto nelle sue mani, mio Rev.do Padre, davanti al Cuore amabilissimo di Gesù, e davanti a Maria SS. Auxiliatrice, come già un giorno nelle sue mani professai i miei voti, ed in complemento di quelli in cui stava pure compreso questo proposito che ora rinnovo. Pertanto l'unico desiderio del mio cuore si è che Ella, leggendo la presente mi offra con uno dei suoi ardenti affetti a Gesù ed a Maria, perchè Essi benedicano la mia volontà, le mie potenze e tutti i miei sforzi e mi aiutino colla loro assistenza a compiere esattamente ciò che ora prometto. In questa occasione pure la ringrazio di averci dato a superiore il Rever. P. Costamagna che tanto ci aiuta ad acquistare questo spirito Salesiano, di cui è tutto investito: speriamo che ritornando presto incoraggiato e tutto ripieno di quelle soavi impressioni che riceverà dalla di lei presenza e conversazione, ci darà nuovo animo e nuova vita per battere con sempre maggior coraggio e intrepidezza le orme che Ella, nostro buon Padre, ci va segnando.

                Come Ella ora vede i nostri cuori nel cuore del nostro Ispettore, così noi vedremo al suo ritorno nel cuore di questo qualche cosa del cuore di Lei, che tanto amiamo. Che il Signore ci conceda presto questa dolce sorte! Per ora le bacio con somma venerazione ed amore la santa mano, che tanto mi beneficò e segue a beneficarmi, ed implorando sopra di me e sopra tutta questa sua comunità la paterna benedizione mi confermo

                D. V. P. R.

 

Obb.mo Amant.mo Figlio in G. G.

Sac. Giuseppe VESPIGNANI

Salesiano.

 

                PS. Fin qui Le ho parlato solo di me; ora le parlerò di questi Novizi, che il Signore ci ha regalati, e affidati da coltivare, Adesso siamo entrati appunto per questo lato in una epoca nuova, fino dalla festa di Maria SS. Ausiliatrice; abbiamo dormitorio proprio, Cappelletta propria dedicata a S. Francesco di Sales, il cui nome porta anche l'Oratorio festivo quivi eretto; cortile e giardino proprio. Si fanno tutti gli esercizi di pietà particolarmente, colle Conferenze settimanali; si preparano ogni sera o si leggono i punti della meditazione, si dànno i rendiconti, e si vanno incamminando nello spirito salesiano con grandi soddisfazioni, e favorevoli speranze. Molte altre cose le dirà di presenza il nostro Ispettore, che Le daranno consolazione. Noi pertanto ci firmiamo qui tutti, perchè a ciascheduno dia una speciale benedizione, e tutti ci stringa al suo paterno cuore per offrirci insieme con Lei al [586] Padre dei Padri, al Pastor dei pastori Gesù e alla sua benedetta madre Maria, in cui tutti siamo

                Obbedienti e amanti figliuoli

 

                Ch. COMOLLO ALFREDO. - MANUEL MONTALDO estud. - ENRIQUE REZZONICO art. - Josè BREGANTE estud. - JUAN OTAMENDI estud - BIGLIETTO CRISTOBAL estud. - ANTONIO SARDI - MANUEL ARÉVALO estud. - SOLARES SANTIAGO estud. - JUAN BERIZZO MARIANO ARAOZ art. - LUIS CASTIGLIA - RAMON PICO art. - JOSÉ TAHS - GIUSEPPE VESPIGNANI novizio dei novizi.

 

91.

 

Circolare di ringraziamento.

 

A.

 

                Caritatevole Signore,

 

                Con verace gratitudine ho ricevuto la generosa offerta che nella sua grande carità si degnò di fare pei nostri missionari. Essi partiranno il giorno io di questo mese alla volta della Patagonia, ma anche da quelle lontane regioni non cesseranno di invocare le benedizioni del Cielo sopra di Lei e sopra tutti i suoi parenti ed amici.

                La medesima preghiera mi adoprerò di fare debolmente ogni giorno io stesso cogli orfanelli che la Divina Provvidenza si compiacque indirizzare nelle nostre case.

                Dio la benedica e la conservi in buona salute e mi voglia credere in G. C.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Torino, I Novembre 1883.

 

B.

 

                Monsieur,

 

                Avec la plus grande reconnaissance j'ai reçu votre charitable offrande en faveur de nos missionnaires.

                Ils ont déjà prié pour vous, et moi et nos enfants continuerons tous les jours à l'autel de notre Dame Ausiliatrice à votre intention pour votre bonheur spirituel et temporel.

                Que le bon Dieu vous bénisse et que la sainte Vierge vous protège à jamais, et veuillez aussi prier pour moi qui serai en J. C.

                Turin, Ier  novembre 1883.

 

Obblige Serviteur

Abbé J. Bosco. [587]

 

92.

 

Lettera di D. Cagliero a Don Rua.

 

                Caro Don Rua,

 

                Sono partiti i nostri cari fratelli e le nostre care sorelle. - Il grandioso piroscafo Béarn, facendo di giorno notte col suo nero fumo, ce lì involò al nostro sguardo mesto e lagrimoso, battendo forte il cuore e mute restando le labbra!!!

                A Nizza Monferrato le Suore ricevevano la benedizione del Signore nel mentre che i Salesiani ricevevano in Genova quella cordialissima del nostro nuovo Arcivescovo il Card. Alimonda.

                Divisi in due squadre bevemmo di un fiato il non breve tratto di cammino tra Sampierdarena e Marsiglia teneramente congedati da Don Belmonte e cordialissimamente da Don Albera.

                Lungo il viaggio avrebbero voluto ossequiare i fratelli campioni Don Ronchail a Nizza e Don Perrot a Toulon, ma non avvisati in tempo dal telegrafo fecero sacrificio di sì giusta consolazione!

                Venne però a Marsiglia il più piccolo e più lesto Don Perrot, il quale potè offrire di propria mano al valoroso capo - carovana le offerte del suo distretto ascendenti a L. 300.

                Don Albera non poteva sorprendere con maggior sorpresa i Missionarii coll'improvvisare una bella e cara funzione serotina.

                Una solenne Compieta cantata dai giovani, un commovente discorsetto, e la benedizione del SS. Sacramento, tra mille luci splendenti d'un più splendente altare, inteneriva tutti e tutte d'una tenerezza eminentemente sacra e profondamente religiosa.

                Madame Jaques presente era in preda alla emozione viva in qualità di Mère delle nostre Suorel Fece l'offerta di 100 franchi a Don Costamagna e questa mattina ci accompagnò fino a bordo; e di essa ci servimmo per interessare il Comandante, compitissimo e gentilissimo, circa alcune migliorie necessarie alle suore: e spinse la sua bontà sino a cedere la sua sala privata per la celebrazione della Santa Messa, cercandosi alloggio in altra cabina.

                La Società concesse di poter soddisfare il nolo dei passaggi dove e come meglio paresse a noi[380]. Viva adunque Maria Ausiliatrice che protesse visibilmente questa nostra sesta spedizione americana, tra le splendide splendidissima!

                Oggi fui a vedere la nuova Villa aggiunta alla casa di Marsiglia; [588] è bella bellissima! É ricca di viali, orti, giardini, prati, campi, vigne e fiancheggiata da un bosco di 20 e più ettari. E tutto per niente e precisamente secondo il sogno di Don Bosco. Vicinissima a Marsiglia serve a meraviglia per un noviziato[381].

                Venerdì parto per Saint - Cyr, tocco la Navarra, Nizza, Bordighera, Alassio, e sarò a Torino per l'altra settimana.

 

Affez.mo

Don CAGLIERO.

 

                Marsiglia, 14 - II - 83

 

93.

 

L'abate Moigno a Don Bosco.

 

                Mon Révérend et bon cher Père,

 

                Mme Laffitte, la dame Américaine si devouée, part demain soir pour Turin, heureuse de répondre à votre appel. Que ne puis - je partager son bonheur? je vous la recommande instamment et plus encore son œuvre que le bon Dieu veut voir entre vos mains. Ies lettres qu'elle vous montrera vous détermineront, je l'espère, à faire vôtres la paroisse française de Boston. Ie curé actuel Mgr Boulard accepte avec transport d'être Salésien. Oh faites pour la nouvelle France cet effort généreux!

                Mme Laffitte va donc droit à l'Oratoire, savoir où che  devra recevoir l'hospitalité. En tout cas je lui donne un petit mot, pour notre confrère et ami, M Faà di Bruno.

                Je suis à vos pieds, les baisant et vous demandant votre bénédiction paternelle.

                Votre humble et dévoué collaborateur

 

l'Abbé j. MOIGNE S.J.

Chanoine de Saint - Denis

Coopérateur Salésien.

 

                12 août Ste Claire.

 

                PS. Et le due de Bordcaux? priez, priez pour lui[382].

 

 

94.

 

Lettera del giovanetto Nassò a Don Bosco.

 

                Amatissimo Padre,

 

                Oh quanto soave riuscì al mio cuore lo spuntar di quest'alba tanto sospirata! Come il marinaio sospira il porto, come il pellegrino brama di giungere alla mèta del suo viaggio, come tra arida ed ardente pianura [589] il viaggiatore brama di trovare una vena d'acqua che gli estingua l'arsura della sete, così io desiderai e sospirai questo giorno, nel quale mi è dato di aprire il mio cuore e di sfogare i sentimenti di esso con lei, amatissimo padre, che tanto procura pel bene spirituale e temporale dell'anima mia. Una foga d'affetti mi sento nel cuore. Or come potrò esprimerli? No, la lingua non risponde al linguaggio del cuore e non ha parole per esprimere affetti cotanto sinceri. Il cuor d'un padre solo può comprendere appieno i sentimenti d'un figlio! Or dunque, lei padre sì amoroso, sì, lei comprende e appieno conosce quanto vorrei fare e quanto farei per lei. Si, amatissimo padre, lei mi ha fatti immensi ed innumerevoli benefizi! Or come farò io a ricompensarlo di tanto amore che nutre verso di me e di tanti benefizi da lei fattimi? Io son povero, non ho niente, e niente posso. Tuttavia sempre ho innalzato e sempre innalzerò fervide preci, specialmente in questo bel giorno, al Signore ed al Glorioso S. Giovanni, di cui ella porta il bel nome, affinchè si degni di ottenerle dal cielo ogni sorta di felicità e di benedizioni. A tal fine farò una novena di S. Comunioni, affinchè il suo Santo Protettore le ottenga dal Signore ogni bene e spirituale e temporale di cui abbisogna. Intanto la prego, o amatissimo padre, di ricordarsi di me nelle sue preghiere, affinchè coll'aiuto di quelle, io possa farmi proprio un buono, santo e fervoroso salesiano, e seguire e camminare rettamente nella via del Signore. Preghi altresì il Signore, affinchè la mia cara sorella possa farsi monaca di Maria Ausiliatrice, ed io possa essere libero dalle tante angustie che lei sa che opprimono il mio animo. Certo d'essere dal mio amatissimo padre esaudito, la prego di voler accettare i più vivi sentimenti d'affetto del suo sempre ubb.mo figlio in G. C.

 

NASSO' MARCO.

                Oratorio Satesiano, 24 Giugno 1879.

 

95.

 

 

Don Bosco alla Contessa di Beaulaincourt.

 

                Madame,

 

                J'ai reçu ponctuellement votre charitable lettre avec l'offrande de 1000 f. pour nos orphelins. Pardonnez - moi le retard à répondre car je désirais de le faire moi - même.

                Premièrement je vous remercie de tout mon cœur de votre charité qui dans ces moments nos œuvres se trouvent vraiment dans la nécessité d'argent. C'est pour cela que nous feront bien des prières à votre intention.

                Vous dites: Ie bon Dieu a pas encore voulu exaucer. C'est vrai; mais le bon Dieu nous exaucera sans doute, mais dans le borne que la grâce sera un bonheur pour nous. [590]

                Notre - Seigneur est un grand père, un père très bon. Voudra - t - il nous accorder une grâce qui nous porte un malheur?

                Toute fois nous continuons à faire les prières de la reconnaissance, et je vous assure au nom de Dieu que votre bonne œuvre sera largement recompensée spirituellement ou temporellement.

                Que Dieu vous bénisse et avec vous bénisse toute votre famille

                et veuillez aussi prier pour ma nombreuse famille et pour moi qui avec la plus grande gratitude je vous serai à jamais en J. Ch.

 

                Turin, 18 Août 1883.

 

Humble Serviteur

Abbé J. BOSCO.

 

96.

 

Al signor Bleuzef.

 

                Monsieur,

 

                J'ai reçu votre chrétienne lettre et je remercie avec tout mon cœur. je ne manquerai pas de prier pour vous dans la sainte messe et de faire prier nos garçons à votre intention.

                Dieu vous bénisse, o charitable monsieur, et avec vous la sainte Vìerge protège vous et toute votre famille en bonne santé mais toujours pour le chemin du paradis. Ainsi soit - il.

                Veuillez aussi prier pour moi et pour mes orphelins et me croire en j. Cli.

 

                Turin, 7 Sept - 1883.

 

Humbles Serviteur

Abbé J. BOSCO.

 

97.

 

Lettere alla signora Quisard e al figlio.

 

A.

 

                Madame Quisard,

 

                J'ai reçu regulièrement vos lettres, vos deux offrandes avec des intentions diverses.

                Je commence pour vous remercier de tout mon cœur de le bon souvenir que vous conservez pour moi et de la charité que vous faites pour nos orphelins.

                Maintenant je vous donnerai une repose en detail: 1° je serais heureux d'une votre visite et dire une messe pour vous, Madame, pour Mr votre mari et pour toute votre famille, et vos affaires. Mais tout cela à votre aise, quand vous serez en perfaite santé. Donc le jour 16 de ce mois je dirai moi - même la Ste Messe à [591] la même intention, et votre visite sera à votre bon gré quand vous pourrez la faire.

                2° je connais très bien et malheureusement les graves notices de Mr le Comte de Chambord. Tous nos prêtres, abbés, enfants, dans toutes nos maisons prient pour sa guérison: toute notre confiance c'est dans un miracle de la Ste Vierge Auxiliatrice. Mais dans ce moment ma santé ne me permette pas de faire des voyages. Je suis pas absolument malade, mais je suis empêché de sortir de ma chambre.

                3° A votre tranquillité je vous dirai que tous les matins dans la Ste Messe je fais un souvenir pour vous et à toutes vos intentions; et vous en qualité de bienfaitrice de nos oeuvres vous participerez de toutes les prières et les communions qui feront nos enfants dans toutes les maisons des Salésiens.

                Que la grâce de N. S. J. Ch. soit toujours avec vous et la Sainte . Vierge Auxiliatrice protège sans cesse toute votre famille. Veuillez aussi prier pour moi et pour nos orphelins et permettez-moi avec la plus grande gratitude d'être à jamais

                Turin, 8 juillet 1883.

Humble obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

B.

                Madame et Mr Quisard,

                je suis heureux de rester ici le 5 et le 6 août et de me mettre à votre disposition pour toutes les choses qu'on jugera bien à la gloire de Dieu et au bonheur des nos âmes.

                Dieu vous bénisse et N. D. A. protège et donne le bon voyage à vous, à votre famille et à tous ceux qui vous accompagnent à Turin. Veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 27 juillet 1883.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

C.

S. Benigno Canavese, 23 août 1883.

                Mon cher ami,

                Votre très bonne lettre m'a donné bien de consolation et je vous remercie beaucoup des sentiments qui dans la même lettre sont contenus, particulièrement les augures de papa, maman et de vos sueurs. Pourquoi je ne manque pas de prier le bon Dieu qui vous donne santé et sainteté en abondance. [592] La grâce du bon Dieu descende copieuse sur toute la famille et la Sainte Vierge vous protège à jamais.

                Que Marie vous protège à jamais et veuillez prier pour moi qui je serai en J. Ch.

Affectionn. ami

Abbé J. Bosco

 

D.

                Madame Quisard,

                je désirais de répondre moi-même à votre charitable lettre, et voilà la raison da mon retard à répondre. Avec reconnaissance j'ai reçu votre lettre et la somme de 350 f. que très promptement je me suis pressé de dépenser pour nos pauvres orphelins.

                Demain on commence la Neuvaine de la Toussaints. Et en toute cette neuvaine 0n dira chaque matin une messe à l'autel maître de notre Darne Auxiliatrice à votre intention; ou pour obtenir que la Ste,Vierge protège et conserve en bonne santé vous, Mr le pieux votre mari, pour toute votre famille, et dans une manière toute particulière pour mon petit ami, mon futur Salésien.

                Dans cette occasion, Madame, je vous remercie de toutes 'vos bontés; que la Sainte Vierge vous récompense largement toutes vos bonnes oeuvres.

                J'ai pleine confiance que en progrès de temps, Monsieur votre mari voudra bien répéter la visite qu'il a bien voulu nous faire et nous renouveler la consolation de voir une famille vraiment Chrétienne pratiquer exemplairement la religion catholique.

                La Ste Vierge vous protège à jamais et vous conserve tous en bonne santé, mais toujours pour le chemin du paradis.

                Veuillez aussi prier pour moi et pour tous nos orphelins et croyez moi en J. Ch.

Obligé humble serviteur

Abbé J. Bosco.

                Turin, 23 oct. 1883.

 

                PS. Pour le tableau un autre jour.

 

E.

                Madame Quisard,

                Avec la plus grande reconnaissance j'ai reçu votre charitable offrande en faveur de nos missionnaires. Ils ont déjà prié pour vous et moi et nos enfants continueront tous les jours à l'autel de Notre Dame Auxiliatrice à votre intention, pour votre bonheur spirituel et temporel.

                Que le bon Dieu vous bénisse et que la Sainte Vierge vous protège à jamais et veuillez aussi prier pour moi qui serai en J. Ch.

                Turin, ter novembre 1883.

Obligé Serviteur

                Abbé J. Bosco. [593]

 

F.

                Charitable Madame,

                C'est l'ange gardien qui vous a donné le conseil de venir à notre aide. Nous étions vraiment dans la grande nécessité de ne pas habiller nos orphelins dans cet hiver. Et vous. charitable Madame, vous avez donné et le bon Dieu certainement vous donnera ou mieux vous ` recompensera largement.

                Donc merci de la somme de 1050 f. que vous nous avez adressée: pour vous donner une marque de reconnaissance le grand jour de la Noël on dira une Ste Messe avec les Communions et prières de nos enfants, pour vous. Dans cette pratique de piété nous demandions à la sainte Vierge que vous protege à jamais; que la paix de Dieu, la tranquillité, l'abondance, la charité, la santé et la sainteté règnent toujours dans votre famille. Ainsi soit-il.

                Je vous prie, o charitable Madame, de vouloir présenter mes respectueux hommages et félicitation à Mr votre mari, et à mon petit ami qui aviez avec vous dans la précieuse visite que vous avez bien voulu me faire et à toute la famille.

                Toutes les pieuses intentions dont vous parlez dans votre lettre seront effectuées.

                Pour vous, charitable Madame, je ferai tous les jours un souvenir particulier dans la sainte Messe.

                Veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui avec la plus grande gratitude vous sera à jamais en J. Ch.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

                Turin, 22 déc. 1883.

 

                PS. L'Abbé de Barruel n'oubliera pas les commissions dont il a été chargé. [594]

 

 

DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI

I.

 

                TRE PREDICHE DI DON BOSCO

 

                Le abbiamo scoperte di recente in tre quinternetti di ruvida carta. Della prima, sulla disonestà, è impossibile precisare la data. Lo stile la rivela ancora vicina alla prima maniera, ripudiata da poi. Sembra che sia stata composta da lui, quando si era già stabilito a Torino, poichè, avendo detto di un giovane che voleva recarsi a Torino, soggiunge non che andò, ma che “venne”.

                La seconda non è terminata. E un'introduzione per esercizi spirituali forse al popolo, infatti accenna a peccatori fratelli e peccatrici sorelle. Si vede che aveva intenzione di aggiungere quello che vi manca, perchè, lasciate in bianco quattro facciate, scrisse nella quinta: Introduzione ai saliti esercizi spirituali. - 30 novembre 1843.

                La terza è un panegirico di S. Luigi a giovani, forse studenti, perchè dice che Luigi era nelle stesse occupazioni che i suoi uditori. Nella seconda facciata, dove dice che S. Luigi nacque nel 1568, ha un segno di richiamo che rimanda a questa annotazione marginale: 276 anni fa. Dunque 1844, data probabile della stesura. Diciamo probabile, non essendo esclusa l'ipotesi che tale computo sia stato fatto una delle volle che potè ripetere il panegirico.

 

A.

 

PARTE PRIMA.

 

Non moechaberis.

 

                Era già stata proibita nella legge antica ogni azione, che indur potesse al sempre esecrabil vizio della disonestà. Ma venuto poi il Figliuol di Dio in terra a porre l'ultimo complemento ad ogni legge, non solo confermò ciò che stava scritto; bensì vi aggiunse che chiunque [595] con occhio impuro o con cuore perverso, si fosse portato a rimirare altrui, già fosse reo dello stesso delitto. Dictum est antiquis, andava egli gridando, non moechaberis; ego autem dico vobis; quicunque viderit mulierem ad concupiscendam eam, iam moechatus est eam in corde suo.

                L'Apostolo Paulo profondamente riflettendo al rigore del precetto, e alla bruttezza della materia proibita, volle che nemmen fosse fra Cristiani nominata. Ma oli tempi andati, o costumi infelici de' nostri dì! Non avvi quasi più conversazione in cui tal pece non prenda luogo, non banchetto in cui la disonestà non tenga il primo posto; non avvi contrada, non piazza, non campo, non prato, noti fior d'onestà, che con una qualche laidezza non venga imbrattato. E che dunque si pensan costoro? Oh!! prendon lor diffesa i libertini. É poi sì gran male il condire la ricreazione con qualche parola un po' lepida, liti po' libera? É poi sì gran male il cadere in naturali fragilità; insomma è poi sì gran male commettere... qualche sensualità ... ! 0 Dio, che questo non sia gran male? sarà dunque il peccato un'azione indifferente? saran dunque chimere le leggi divine ed umane? Diventerà il Signor d'ogni bene autor del disordine, pervertitore della naturale equità? Che eccessi di baldanza e di temerità! Ma siccome questi tali non credono alle asserzioni, ma voglion ragioni, così per tor di mezzo ogni pretesto, farò lor vedere con ragioni le più convincenti che  la disonestà è un gran male. É vero che un simile argomento intaccherà niun di quelli, a cui parlo, , e che pel contrario, quelli a cui farebbe di bisogno, battono ben altre strade che quelle che alle prediche conducono; ma se a voi non sarà di rimprovero e di confusione, almeno vi servirà di cautela e di preservativo.

                Non può negarsi che sia un grati male quello che move grandemente Dio a sdegno, e che Egli stesso ha gravemente punito; ora sebbene abbia Iddio creato un luogo di supplizio eterno per tutti quelli, che ostinati trasgrediscono la salita sua legge; tuttavia non volle aspettare dopo morte a far scoppiare sopra i disonesti i fulmini terribili di sua vendetta; tua volle ciò fare anche nella presente vita. E qui giovami presentarvi lo spettacolo funesto, cui mercè fu tale nefandità per la prima volta punita.

                Scorrea il decimosettimo secolo dell'età del mondo; tutte le parti del globo in allora conosciute erano dagli uomini abitate; v'erano de' buoni, e, diciamolo, v'erano anche dei cattivi; quando gli uni cominciando a conversare cogli altri, darsi occhiate, da occhiate a parole, da parole a tratti, a inviti, a catene di peccati e di eccessi di libertinaggio, e il sacro testo afferma, che  da per tutto, ovunque commettevansi enormi delitti; e quali? inorridisco il dirlo! delitti di carne; omnis quippe caro corruperal viam suam. Si tacque Iddio sinchè si commisero tutte le altre scelleratezze; ma quando vidde prender forza lo infame mostro, di cui parliamo, fu come da pungente spada vivamente ferito; e tutto pieno di cordoglio e di amarezza: Mi pento, [596] esclamò, di aver creato l'uomo: me poenitet eum fecisse. Che parole son queste mai? t dunque Dio soggetto a mutazione, a dolore, a pentimento? Sì proprio; ebbenchè sia Egli in se stesso immutabile, impassibile; pure sì grande è l'ingiuria che gli si reca col peccato di sensualità; che a nostra maniera d'intendere, se fosse possibile, moverebbe lo stesso Dio a pentimento, gli cagionerebbe amarissimo dolore; locchè Iddio non manifestò pegli altri delitti anche i più enormi: de nullo peccato legitur dixisse Deum, quod poenituit fecisse hominem nisi de peccato carnis; son parole del Massimo Dottore S. Girolamo. Onde non la disubbidienza di Adamo, non il fratricidio di Caino, nè le molte prevaricazioni del popolo d'Israelle; nemmeno il Deicidio commesso nella maniera più esecranda ed infame sulla persona del Salvatore poterono giammai far uscire di bocca a Dio espressioni di sì vivo risentimento: de nullo peccato legitur dixisse Deum, quod poenituit fecisse hominem nisi de peccato carnis. Ora ditemi, sarà picciol male quello che muove a tale amarezza Iddio, da cagionargli il più vivo cordoglio, da dolersi fino di aver creato l'uomo?

                Nè già solo Dio si risentì con parole; ma venne a fatti, venne al più terribile dei castighi che siasi udito o sia per udirsi ne' secoli futuri. Giacchè, disse Iddio sempreppiù sdegnato, giacchè l'uomo s'è dato a peccati sì nefandi, ad azioni sì turpi, sì laide bruttezze; io stesso farò sopra di lui sentire il peso di mia vendetta. Non per mezzo della terra, come avvenne a Nadab ed Abiu che vivi furono da quella ingoiati tra le fiamme; non per mezzo di morbo pestilenziale, o mortalità crudeli, o col darlo in balìa a spietati nemici che duramente lo trattino; no, io stesso lo sterminerò dalla terra: ego delebo hominem quem creavi a facie terrae. Sarebbe certamente bastato che Iddio avesse tolto dal mondo l'uomo peccatore; ma quasi che temesse avanzasse ancora qualche rampollo di quella gente iniqua, volle che tutti, eccettuata la sola famiglia di Noè, gli altri anche giusti ed innocenti fossero compresi nello spaventoso gastigo; talchè grandi, piccoli, vecchi, giovani, fanciulli, ricchi superbi umili e poveri tutti vi dovettero soccombere: delebo hominem... ab homine usque ad animantia; anzi gli animali stessi o per aver loro servito d'istrumento a peccare, o solo fosser stati testimoni di lor misfatti, tutti dal primo all'ultimo de' quadrupedi sino agli uccelli; e dagli uccelli sino al più vile degli insetti furono sterminati, a reptili usque ad volucres coeli, - tutti furono sterminati dalla terra, ma in che modo? Eccovi che già si oscura il cielo, dense nubi, tetre caligini tutta ingombrano la terra; saette folgori lampi e fulmini e fulgori strisciano, si scuotono; già più nulla si vede, tutto è tenebre ed oscurità; dirottissima pioggia cade; le cataratte del cielo rotto ogni equilibrio a grosse ruote tramandano giù acque sulla terra; la terra stessa tutta in conquasso dà libero il corso a' fonti che nel suo seno racchiude; e unendosi mari e fonti, cataratte e pioggia insieme tutta coprono la faccia della terra; e gli uomini [597] e i libertini? quei disonesti, quei sensuali, quelli che stimavan tali peccati un picciol male dove sono? Eccoli tutti a pagare il fio di lor turpi nefandità, per lavare le quali vi vuole una smisurata pioggia di quaranta giorni e di quaranta notti; e affinchè il fetore di loro colpe non potesse più farsi sentire, le acque salgono a smisurata altezza su loro corpi fino a sormontare di quindici cubiti le più alte cime dei monti. E così tutto il mondo andò naufrago per più di 150 giorni in un diluvio universale per lavare le sozzure delle commesse disonestà; de nullo peccato legitur dixisse Deum, quod poenituit lecisse hominem nisi de peccato carnis, pro quo (che spaventose parole!) totum mundum diluvio delevii. Così esclama S. Gerolamo.

                Cessò il diluvio, fu ripopolata la terra, ed ecco ripululare di nuovo l'abbominevole vizio già estinto. Forse rimarrà impunito? Non già. Giurò Iddio che non avrebbe più sommerso il mondo con universale diluvio, quasi giudicando incredibil cosa tornarsi dagli uomini a commettere tale iniquità dopo sì formidabile castigo. Or bene questo non verrà più universale, ma del primo assai più tremendo. Porta dunque il Signore l'ogniveggente suo sguardo sulle città di Gomorra e Sodoma, e su quelle che le eran vicine; tutte le vede in preda alle bruttezze della carne; e mosso da sdegno, e riputando quasi insufficiente castigo la pioggia d'acqua, ne manda una di fuoco. Pioggia di fuoco? appunto ed ahi miserando spettacolo! e quivi impari il libertino qual male sia la disonestà. Ci dice il sacro testo che spontava il sole sull'orizzonte quando cominciarono a coprirsi gli sfavillanti suoi raggi da fosco velo, e spandersi per tutta l'aria tenebre spaventose; ma quell'orrendo buio vien rotto da più orrendo lume, dal mezzo di cui si spicca e vien giù ruinosa una nuova pioggia, una pioggia di fuoco. Globi di fiamme e di ardente zolfo strepitando, e stridendo colla rapidità del fulmine si cadono, si scagliano, s'avventano su tutte quelle peccatrici città, e su tutte le circostanti campagne; nelle città già son tutte in fuoco le piazze, le contrade, le case; ne' campi già ardono, divampano, si consumano le biade, l'erbe, le plante e tutto ciò che verdeggia; e dei sensuali suoi abitatori che ne è? Gli abominevoli abitatori che più non provavano soddisfazione, se non nei bagordi, nelle crapole, nelle impudicizie già tutti son circondati, compresi, assaliti da quell'orribile incendio; altri nell'aperto, altri nel chiuso; altri in letto o veglianti o in mezzo a lor nefandi piaceri, tutti già hanno addosso le voraci fiamme, che senza dar loro tempo di tentare uno scampo, s'appiccano alle sozze e immonde carni, e le bruciano, si cacciano nella gola e li soffocano, penetrano gl'intestini, li struggono e li mettono in cenere. Nè quel fuoco dell'ira divina si stette sinchè non ebbe fatto di tutta quella amena valle e dei maledetti suoi abitatori, la più squallida e spaventosa solitudine. Più ancora, ridotte in mucchio di cenere città e cittadini con tutte le lor sostanze, si sprofonda il suolo, e s'apre la terra e tutto inghiotte nel suo seno formandovi [598] quel vasto mare, che  chiamiamo Mare Morto. Mare, come affermano moltissimi accreditati scrittori, inetto al naviglio e affatto sterile; di più quei pesci che  sono colà da qualche corrente trasportati, rimangono dall'acque feciose soffocati e morti; gli uccelli che volando ne tentano il varco, vengon fermati dalla fetente puzza e senza vita cadono nell'acque: talchè tra il fetore, la puzza dell'acque e la sterilità dell'aderente terreno, si mostra continuamente adempiuto ciò che l'Apostolo S. Giuda lasciò scritto che  le iniquità, le immondezze di Sodoma e Gomorra presentano e presenteranno a tutte le genti future l'orribile spettacolo del loro castigo, vera immagine dell'infernale supplizio che  non avrà più fine. Sicut Sodoma et Gomorra et finitimae civitates factae sunt exemplum, ignis aeterni poenam sustinentes. Ah! per pietà, uditori, sarà un male da non farne conto, sarà una leggerezza quel peccato, o meglio quel sozzo e pestifero letame per lavare il quale mandò sì formidabile incendio a sterminare, annientare chi lo commise?

                So quello che dicono i libertini, che questi sì grandi castighi soli veri, si videro bensì; ma non sono gran fatto a temersi, perchè Iddio mai più li mandò, nè certamente sarà per mandarli ai nostri dì. Se voi la discorrete così, che volete mai che io vi dica? se Dio differisce a far sentire su di voi la sua mano punitrice; se non vuol farvi provare sì tosto i tremendi castighi, come fece con altri, voi ne avete ragione, continuate pure ad agire come più vi talenta, come meglio vi piace. Però dovete almeno osservare, che se Dio è sì buono, sì longamine e sofferente con voi; non dovreste mostrarvi verso di Lui sì ingrati; tanto più che può essere che  la sua pazienza di troppo irritata divenga furore; tanto più che quanto vi aspetta più dure e pesanti faravvi addosso piombare i suoi castighi: quos diutius expectat, durius damnat, vel dice S. Gregorio il Magno. Sebbene a parlar chiara, costoro la sbagliano grandemente. Sì, sì essi già provano gli effetti delle loro sensualità, che è appunto di non più conoscere lo stato infelice in cui si trovano; la loro ragione è acciccata, e più non conosce, il loro intelletto èottenebrato, e più non vede; la volontà è intorpidita, e sole vuole cose sensibili; e l'uomo, alli misera di lui condizione, l'uomo più non conosce, più non intende nè capisce; e cadendo dall'alta dignità diventa simile agli animali immondi: homo, parla Iddio per bocca del suo profeta, cum in honore essel, non intellexit; iumentis insipientibus comparatus est, et similis factus est illis. Vedeste mai come fanno gli animali immondi? qualunque sorta di cibo loro si porti, qualunque bevanda loro si pari innanzi, sia anche sostanziosa, sudiciosa e fetida, ed anche mortifera, non importa; tutto tracannano nell'ingordo ventre, tutto assorbiscono purchè possano appagare le loro insaziabili brame, e soddisfare i bestiali appetiti. Tale è, o miei cari, e mi vergogno il dirlo, tale è la posizione d'un uomo sensuale. Egli in braccio di sue passioni, in preda alle sue disonestà; più non sente nè ascolta [599] la voce del suo Signore che  lo chiama, più non vede la vendetta divina che già già gli pende sul capo; più non si accorge dell'inferno che tien già apperte le sue fauci per ingoiarlo vivo vivo; e solo desidera, solo vuole, solo brama, solo segue dove il vuole, dove il guida la voluttuosa sensualità. Ecco l'uomo disonorato e avvilito, eccolo degradato fatto e divenuto simile agli insensati animali: homo ecc. 0 Dio che stato spaventoso, che terribile decadimento! che  gran male è la disonestà!

                Che se volete più sensibili castighi, che non solo lo spirito opprimono, ma anche il corpo; ali' quanto pur troppo sono frequenti! Non vi reco in mezzo gl'argomenti che  in gran numero ci sono dalla sacra storia e dalla eclesiastica somministrati. Degnatevi solo di scorrere le contrade, di visitare le piazze; e voi vedrete persone sul fiore di loro età, che potrebbero formare l'onore di lor famiglie, il decoro della patria, la gloria della società; per esser fatti preda di tale vizio si veggono passar ogni lor tempo in oziosi trastulli, snervati, pallidi e smunti; non altro presentando nell'aspetto loro che una barba, che  li rende ancor più deformi, capelli stranamente increspati, talchè in loro nulla più si scopre che  uomini consumati, corrosi e guasti dai vizio, divenuti l'obbrobrio e la fecia della società.

                Non parlo di tante famiglie che per un tal vizio soffrono amare dissenzioni e discordie, provano le più grandi e calamitose strettezze, decadute da floridissimo stato; e perchè? pel turpe scialacquamento di denaro; non parlo delle siccità, delle inondazioni, delle grandini, e fallimenti di derrate, le quali calamità mostrano appieno, come dice l'Apostolo, lo sdegno dell'ira divina in punizione dei peccati di cui parliamo (ad COI., 3).

                Ma... che  dirò di quegli sventurati che capiuntur in tempore malo, sono colpiti dai fulmini della divina vendetta nell'atto istesso che consumano i loro peccati nefandi e là cessando di vivere l'infame lor vita vanno a dar principio alla loro infelice eternità? Che poi dovrò mai dire di tanti giovani e di tante giovani che si veggono nelle case, o nei ricoveri, oh Dio, quanto è grande il lor numero! distesi in lui letto coperti di fetenti ulceri o consumati da polmonee o da etisie, sì stenuati di forze e sì oppressi da malore, che movono a compassione alle lagrime, e se lor domandiamo la sorgente de' lor mali, sono costretti a confessare a lor confusione, che morbi sunt flagella peccatorum, - i lor disordini e la lor vita licenziosa soli cagione di lor sventure. Eh uomini, permettetemi questo trasporto di zelo, uomini codardi e vili, conoscete una volta la vostra dignità e ciò che vi rende infelici; cessate pure di cercare medici e medicine pei vostri mali; lasciate bensì il peccato che ne è la cagione e intanto non dite più, deh vi prego, non dite più che il parlar libero, il vestire licenzioso, il conversare immodesto, il trattar scandaloso, il frequentar combricole, trebbi e ridotti sia un picciol male; dite piuttosto che è un male grande, un peccato enorme; peccato che Iddio punì mai sempre coi più severi [600] flagelli; peccato che disonora e avvilisce l'uomo e lo fa eguale a bruti rendendolo pienamente sventurato ed infelice. Dunque da fuggirsi come nemico che colma di ogni calamità e di sventure.

 

PARTE SECONDA

 

                Oh! voi mi direte, questa mattina ha esagerato il suo discorso, chiamando pienamente infelici tutti que' di bel tempo, mentrecchè se ne veggono tuttodì godersela a loro capriccio, e sempre ridono, soli sempre allegri, nemmai da alcun sinistro turbati. Questo voi dite; ed io vi prego di star bene attenti alla risposta, perchè quivi appunto consiste il disinganno. Dunque godranno tranquillità i libertini? No, ve dice il Signore; non est pax impiis, - egli e la sua empietà sono in abominio a Dio: odio sunt impius et impietas eius; vi parrà felice, ma lo spirito di terrore sempre l'accompagna; spiritus terroris in aure eius; andrà alle feste, andrà a' balli, a' teatri, alle conversazioni, ai bagordi, alle crapole, si mostrerà allegro e giulivo, ma porta sempre seco l'inseparabile vermine della coscienza che  sempre barbaramente lo agita e lo flagella e in tutti luoghi mischia fiele il più amaro all'apparente dolcezza de' suoi piaceri, e quello che più lo dovrebbe far contento vieppiù lo rende infelice: contritio et infelicitas in viis eorum. Qualora poi vogliate suppormi un peccatore, che soffocato ogni rimorso di coscienza, oscurato ogni lume di ragione e di buon senso, viva in pace e prosperità, oh! misero costui! li Signore permette che goda questa apparente felicità e nel momento che egli stima esserne già in possesso, che  già va gridando pace e sicurezza, pax et securitas, egli è appunto allora che Iddio, stanco dal soffrire oltraggi e insulti, arma l'onnipotente sua destra, taglia il filo dei suoi giorni, ed improvviso il nostro peccatore è portato dalla vita alla morte, dal tempo all'eternità, dalle sozze sue delizie alle pene terribili dell'inferno: cum dixerit pax et securitas, lune repentinus superveniet interitus; sono parole infallibili dello Spirito Santo.

                Questo potrei ampiamente confermare con moltissimi fatti tratti dalla storia sacra od ecclesiastica; a me piace recarne un solo avvenuto a questi dì, di cui voi stessi ne sarete pienamente informati. Pochi anni sono un giovane, del quale debbo tacere il nome, compiuti i suoi studi letterari, si recò a Torino per intraprendere una professione conveniente allo onorevole suo stato; venne, e dapprima diè qualche speranza di ottima riuscita, sinchè... eli! giovane malaccorto... giovane infelice... cominciò a frequentare cattivi compagni; li seguì nelle parole, li seguì ne' fatti, e godeva bel tempo: si mostrava allegro, tutto contento e si stimava fortunato quando gli avveniva potersi burlare di nostra santa religione e di chi la seguiva.

                Povero giovane, non vuoi credere che ne' tuoi piaceri non avrai pace; ma fra poco lo confesserai tu stesso quando l'avrai provato. [601] Non andò molto che si procurò quel male che è proprio del libertinaggio; si portò da medici, visitò chirurghi, e per lui non vi fu più rimedio efficace; il suo male divenne insanabile, bisogna prepararsi per l'eternità; ed ohimè in che modo si prepara? sentenziato dai medici, angosciato dal malore che internamente lo tormentava, pensa, risolve e abbraccia il partito di darsi la morte. Determina il giorno e l'ora dell'ultimo suo misfatto, scrive un biglietto che esprimeva amar meglio patire i tormenti dell'inferno, che  quelli della vita presente, prende e beve il prussico, che è il più fino dei veleni, il quale nemmen potè inghiottire che tosto gli diè la morte; questa è la pace e la tranquillità del disonesto: cum dixerit pax et securitas, tunc repentinus superveniet interitus.

                Veniamo adesso a noi; che cosa volete voi risolvere dopo aver veduto la vita infelice e il fine funesto che attende il libertino? Mirate il Cielo e la beata gloria che vi aspetta; considerate l'inferno e l'eterna desolazione che vi èpreparata; e poi ascoltate quel che vi dice questo Gesù Crocifisso: se voi, è desso che vi parla, volete lasciare la via dell'iniquità, io vi fo noto che  vi riceverò qual Padre, e vi avrò quali figli, vi aiuterò ad adempir la mia legge, reficierò la vostra stanchezza, darò pace temporale ed eterna alle anime vostre, e quandanche foste tutti lordi di sozzure, e che le anime vostre fosser già di color di coccino, diverranno candide e pure come la neve; si fuerint peccata vestra ut coccinum, sicut nix dealbabuntur. Che se voi volete perseverare nelle vostre nefande soddisf azioni, sappiate che  per voi è spedita, per voi non v'è felicità; perchè è già deciso che  nè gl'adulteri, nè i fornicatori, nè libertini disonesti possederanno il regno de' cieli. Anzi dopo d'aver loro fatto provare che in questo mondo non han pace, li sterminerò dalla faccia della terra colla mia vendicatrice spada, e li condannerò al più grande di tutti i supplizi, a gemere, a stridere nelle desolatrici fiamme dell'interminabile eternità dell'inferno: quod si nolueritis, et me ad iracundiam provocaretis, gIadius devorabit, vos, quia os Domini locutum est. E in qual luogo? ubi vermis eorum non moritur et ignis non extinguitur. Ah! per una sozza soddisfazione perdere tanto bene e procacciarsi tanto male! Pensateci.

 

B.

 

Venite ad me omnes, qui laboratis

et onerati estis, et ego reficiam vos.

 

MATTH, II.

 

                Disceso il nostro Divin Redentore dal cielo in terra a portare agli uomini la parola di vita eterna; al vedere un giorno numerosa turba che ansiosa di ascoltarlo lo seguiva: grazie sieno rese a Voi, o mio celeste [602] Padre, disse, il quale nascondeste i vostri segreti ai sapienti del mondo e li svelaste agli umili vostri seguaci; quindi con un atteggiamento tutto semplice e modesto, volto affabile e giocando, con voce tutta amabile: deh! voi che mi seguite, disse alle turbe, non temete che il mio giogo sia pesante e noioso, anzi è leggero e soave; che  se voi al presente vi sentite anco deboli e stanchi venite da me, ed io solleverò la vostra stanchezza, vi rinforzerò: venite ad me omnes etc. Queste parole, sebbene siano dirette a tutti gli uomini perchè tutti andiamo soggetti a molte miserie in questo mondo di lagrime, s'intendono però in special modo dirette a quelli che  sgraziatamente si trovano in peccato. Ah! parmi in questa sera di udire la voce dell'amabilissimo Salvatore che facciasi sentire e dica ad ognun di noi: venite a me tutti voi che  avete qualche tribolazione, io vi solleverò, vi rinforzerò: venite ad me omnes. Vieni tu che  già da tanto tempo esiti a lasciar la via del male, vieni, non sei più tu che  mi cerchi, ma soli io che ti dimando; aspettavi un tempo favorevole, un'occasione propizia; eccovi il tempo, eccovi l'occasione in cui vi chiamo: venite ad me omnes etc. Già voi ben comprendete, uditori amatissimi, che noi stiamo per intraprendere i santi spirituali esercizi, che è appunto quello che in questa sera io vi annunzio; nè già vorrei che queste parole spirituali esercizi fossero per alcuni cagione di triste apprensione; anzi voglio che ad ognuno siano parole di gaudio e di consolazione, del che voi ne sarete appieno convinti qualora voi avrete meco considerato: I° I motivi che ci devono impegnare a fare gli esercizi; 2° i mezzi per farli bene; questi saranno i due riflessi che noi faremo nel presente nostro trattenimento.

                Ascoltate intanto, o voi mio caro Gesù, io intraprendo questi s. s. e. sol pel bene dell'anime del mio prossimo e per vostra maggior gloria. D'altronde io conosco che altro non sono che  una miserabile creatura, un povero peccatore; pertanto io rimetto la causa nelle vostre mani; io farò quanto è dal canto mio, mediante voi mi diate il vostro aiuto. Movete voi il cuore di quelli che verranno ad ascoltare non la mia, ma la vostra divina parola; guidate la mia lingua, accendete il mio cuore di santi affetti, affinchè quanto sarò per dire da questo santo luogo riesca d'onore e gloria a voi, di frutto spirituale per l'anima mia, e per le anime di chi verrà ad ascoltare.

                I° Motivi. Per capire ciò che debba movervi a fare questi santi esercizi, bisogna farei prima una chiara idea, di ciò che  essi siano. Gl'esercizi spirituali altro non sono che una serie di meditazioni e d'istruzioni che sono fatte per muovere l'uomo all'amicizia con Dio. Diconsi primieramente una serie di meditazioni lo scopo delle quali è di condurre l'uomo alla cognizione di se stesso; a conoscere come egli non sia creato per le miserabili cose di quaggiù, bensì destinato ad una felicità di quelle infinitamente superiore; a conoscere che grande ingiuria faccia l'uomo al suo Creatore allorchè agisce contro questo fine; qual premio gli sia in Cielo preparato se opera secondo questo [603] fine; qual castigo terribile lo aspetti se agisce al contrario. Questo conduce l'uomo alla cognizione di se stesso. Però egli è ancora senza lume e senza guida; onde vi vogliono le istruzioni le quali lo guideranno a passare a rassegna le sue azioni passate; a discernere i falli della vita passata e quale sia lo stato presente di sua  coscienza, quale il modo a ciascheduno più conveniente per renderla tranquilla. Si può trovare cosa di questa più necessaria ed importante?

                Non parlo che questa maniera di meditare, quest'ordine di predicare fu ispirato dalla Beatissima Vergine a S. Ignazio di Loiola; non parlo delle molte indulgenze concedute da' sommi Pontefici a que' fedeli che intervengono a fare divotamente i santi spirituali esercizi; dico solo che grandi grazie speciali tiene Dio preparate ad ognuno in questi giorni; giacché, come si dice nel santo Vangelo, dove sono alcuni fedeli congregati insieme in trattenimenti spirituali, si trova loro in mezzo per appagare le loro dimande. Io stesso, parla altrove il Signore, a quelli che intervengono a questi esercizi, io stesso prenderò queste anime che mi cercano, le condurrò nella solitudine de' miei segreti, là parlerò al loro cuore: dicam eam in solitudinem, et ibi loquar ad cor eius. Ali! quante cose non sarà per dire il Signore a' nostri cuori, quante grazie, quante benedizioni ci concederà in questi giorni!!

                Diconsi in secondo luogo gl'esercizi che servono a muovere l'uomo all'amicizia con Dio; e questo è il più importante motivo e che preme ognuno strettamente. In verità lo stato presente degli uomini si può dividere in tre classi: gli uni che vivono in disgrazia di Dio, gli altri che sono nello stato di funesta tiepidezza, gli ultimi che sono stabili e fervorosi nel santo divino servizio. Ora io dico che tutte e tre queste classi d'uomini hanno bisogno degl'esercizi spirituali. Infatti si troverà qualcheduno tra di voi che si trovi in peccato mortale? oh! che stato lacrimevole è mai il suo! tanto più se è ingolfato in quelle lunghe catene di peccati laidi, o di qualche abito inveterato. Egli si trova lontano e diviso dal suo Dio: peccata vestra diviserunt inter vos et Deum vestrum (Osee, 1, 19); il suo cuore è indurato: induralum cor eius; il suo intelletto oscurato a stento può conoscere le cose riguardanti la sua eterna salute; che se giugne a conoscere lo stato infelice in cui trovasi l'anima sua, la volontà ingannata dalle cose sensibili, la ragione acciecata, la carne debole fanno sì che il peccatore non risorge dallo stato infelice in cui si trova, o vada di giorno in giorno procrastinando la sua conversione; frattanto egli vive i suoi giorni nimico a Dio, maledetto dagli angeli e dai santi, coll'inferno aperto sotto dei piedi. Che direte voi che vi voglia affinchè egli lasci lo stato del peccato e ritorni a Dio? I rimordimenti di coscienza non bastano, perchè quasi più non li sente; le prediche, le istruzioni domenicali e le spiegazioni del Vangelo che si fanno nel decorso dell'anno, comunque efficaci, fatte anche con tutta l'arte, con tutta l'unzione di [604] santità non sono più sufficienti; perchè nella stessa guisa che in tempo estivo, se cadono alcune gocciole di pioggia sur un campo arido, e arsiccio, sono di niun giovamento, la stessa cosa si può dire di questi peccatori aridi e secchi ed ormai fetenti nel lezzo di loro colpe. Le prediche per essi altro non sono che picciole goccie di acqua salutari bensì, ma che dai caldi ardori del sole vengono imbevute, o per meglio dire vengono assorbite dalla malizia del peccato, e dagli inganni del demonio. Che farà dunque un peccatore che si trova in sì lagrimevole stato? Oh! beati giorni dei santi spirituali esercizi! voi siete che rendete a quest'anima la vita perduta! voi siete qual pioggia abbondante che ammollisce i cuori anche più induriti, voi fate discendere su di noi la celeste rugiada! Sì, peccatori fratelli e peccatrici sorelle, questi sono i giorni dall'Apostolo S. Paolo annunciati, giorni gradevoli pel bene dell'anima nostra, giorni di salute e di santificazione: ecce nunc tempus acceptabile, dies salutis, dies sanctificationis vestrae.

                Quelli poi che si trovano nello stato di tiepidezza hanno pur essi bisogno di fare gl'esercizi spirituali. I tiepidi sono quelli che contenti di non cadere in enormi peccati, vivono senza darsi cura di avvanzarsi nelle vie del Signore. La sacra scrittura ci dice essere meglio che costoro fossero o totalmente freddi nel servizio di Dio, o del tutto caldi. Utinam frigidus aut calidus esses, dice il Signore al tiepido. Perchè chi è freddo, può essere che si metta con impegno nella via della virtù e si avvanzi, e questi per lo più non tornano indietro; al contrario il tiepido si trova in pericolo di grave caduta, con poca speranza di rialzarsi. Inoltre solo che questi tiepidi non vadano avanti, ritornano già indietro: non progredi est retrogredi. Chi può dare una scossa, una spinta a queste anime fredde? I soli esercizi spirituali sono capaci di scuoterli dalla codardia che già già li dispone alla perdizione.

                Posto che l'uomo sia peccatore, ossia tiepido, ha motivo sì urgente di fare gli esercizi, si potrà pure dire lo stesso di quelle anime buone, che trovansi nel felice stato di grazia di Dio, e instancabili progrediscono nella via della virtù. Queste anime, o Dio quanto son poche! queste che io chiamo fortunate ed avventurose, ne invidio il loro stato, benedico il Signore che le secondi propizio; nullameno dico che anche costoro hanno bisogno d'esercizi spirituali; saranno costoro più infervorati degli Apostoli; più puri, più santi della Vergine SS., più avvanzati nella perfezione dei fedeli dei primi tempi? Eppure il Salvatore loro comandò che non partissero da Gerusalemme sino a che avessero ricevuto lo Spirito Santo (Act., I). Ubbidirono gli Apostoli e con Maria SS. e gli altri fedeli e discepoli radunatisi assieme in luogo d'orazione non altro facevano che occuparsi delle lodi del Signore, ringraziarlo, benedirlo; et semper erant in templo laudantes et benedicentes Deum. E fino a quando stettero lì radunati? (vera figura degl'esercizi) stettero per dieci giorni finchè furono riempiti dello S. S. [605] e divennero quelle colonne immobili e quegli inconcussi sostegni di Chiesa Santa. D'altronde comunque avanzato uno sia nelle vie del Signore, non è mai sicuro di non cadere alle volte in qualche disordine, epperciò incerto di perseverare sino alla fine; questo segnalato dono della perseveranza, di tutte le grazie la più grande, chi sa che non sia appunto quella che il Signore sia per concedere in questi giorni?

                Di più per santo che uno sia non deve mai dire basta; e questo è appunto ciò che inculcava il Divin Redentore; chi è giusto, gridava Egli a tutti, diventi ancor più giusto, e chi è santo facciasi ancor più santo: qui iustus est iustificetur adhuc, qui sanctus est sanctificetur adhuc; siate perfetti come è perfetto il mio Padre celeste, diceva altrove, siate perfetti come sono perfetto io; per questa giustizia, per questa santità, per questa perfezione non vi è tempo più opportuno, occasione più propizia che i giorni di questi spirituali esercizi. Dunque qualunque sia lo stato in cui uno si trovi ha bisogno degli esercizi, il peccatore perchè si converta, il tiepido perchè diventi più fervoroso, il giusto affinchè possa perseverare nel bene. Ora se tutti abbiamo questo stretto bisogno di fare gl'esercizi, certamente importa molto il farli bene; ed eccomi al secondo punto del nostro trattenimento: cioè:

                Mezzi per far bene gl'esercizi.

 

                Introduzione ai santi esercizi spirituali.

                30 novembre 1843.

 

C.

 

Minuisti eum paulo minus ab angelis.

DAV.

 

                Come colui che entra in un giardino per far la scelta di un fiore, al primo vederne uno che sia bello, tosto la mano stende per farlo suo; ma che nell'atto di apprenderlo, vedendone uno del primo più bello, corre e vorrebbe prendere questo, e un altro ancor più vistoso gli si presenta allo sguardo: osserva allora quinci e quindi qual di quei fiori debba appropriarsi e vede che ogni lato di quel giardino olezza, e tutto l'intorno, il di dentro, l'alto, il basso è adorno di candide rose, di bianchi gigli e d'altri fiori gl'uni degl'altri più belli, Quel buon avventuriere uno vorrebbe prendere, l'altro non vorrebbe lasciare; e sempre dubbioso sulla scelta da farsi, trovasi quasi obbligato a dire: tutti questi fiori son belli, li vorrei tutti, ma tutti non li posso avere; oh dunque che debbo partirmene privo affatto? Tal pure sono io; volendo fare la scelta d'una di quelle virtù che adornano l'incomparabile eroe di cui voi festeggiate il giorno; del cotanto grato a me e tenero a voi... S. Luigi Gonzaga. Tante e sì eccelse virtù mi si schierano davanti,  [606] che una vorrei trattare, l'altra non vorrei omettere, l'altra noti vorrei lasciare, e mi veggo perciò confuso e costretto ad esclamare col real profeta, che le virtù di Luigi sono tante, e la gloria sua è così grande, che poco gli manca anco mortale onde possa essere annoverato, e gloriosamente assidersi tra le schiere degli Angeli: minuisti eum paulo minus ab Angelis.

                Dovremo pertanto tacerne affatto perchè le virtù di lui sono tanto luminose e grandi? Non già, perchè troppo caro m'è il parlarvi di questo santo, caro anche a voi l'ascoltarne. Tutto, non posso dirvi, tutto dirvi vorrei, epperciò vi dirò un po' di tutto: vi presenterò un ritratto della vita di S. Luigi, in cui voi scorgerete uno specchio di virtù, un vero esemplare, una vera guida da seguire, per chi vuol farsi salito. Volete anche voi farvi santi? state attenti conte fece Litigi e vi servirà di norma e di esempio.

                In Castiglione, fortezza del Ducato di Mantova, confinante col nostro Piemonte, nacque l'angioletto Litigi a' 9 marzo 1568[383]. Il suo padre Ferrante Gonzaga era principe e padrone del paese; sua madre Marta veniva dai conti Tana di Santena presso Chieri. Volle Dio dimostrare sin da fanciullo chi sarebbe stato un dì Luigi. Dicono che essendo anche bambolo, preso in collo o in braccio dalle sue balie, o da altri, e baciatolo o strettolo al seno, sentivano una certa fragranza, unita con tal riverenza che  loro pareva aver tra le braccia un angelo del paradiso. Aveva soli quattro anni quando accortamente levandosi dallo sguardo degli altri, si raccoglieva ad orare. La madre più noti veggendolo attorno a sè, ne richiedeva ai domestici i quali dopo averlo cercato per lunga pezza, oli! le dicevano, o veniste a vederlo! e dove? Là in un cantuccio remoto della casa, sul solaio o in altro luogo dove fosse meno osservato. Quivi col capo chino, colle tenere sue manine giunte sul petto, ginocchioni sul pavimento si stava tutto assorto in dolce piacere con Dio; mentre trovavasi in tal posizione, difficilmente si poteva allontanare; eccettochè dicendogli trovarsi qualche poverello di G. C., e allora sì che alzavasi tosto, e lieto correva a vederlo, e ritornava per dirlo alla Mamma e chiedeva impaziente di che  sollevarlo nella sua inopia, volendo egli stesso mettergli in mano la limosina.

                Con questi sì belli fondamenti di virtù voi potrete facilmente argomentare quale sia stata la fanciullezza e l'adolescenza di Luigi. Carità verso il prossimo amor verso Dio, desiderio di far penitenza per Gesù Crocifisso occupava ogni affetto del di lui cuore; anco fanciullo non dilettavasi dei giuochi, divertimenti, o d'altri trastulli che sono proprii di quell'età; camminava per le contrade, per le piazze, ma non trattenevasi mai a far scherzi o vezzi a chicchessia, oppure spreggiar con nomi o con fatti gli altri compagni, bensì cogli occhi [607] bassi, atteggiamento modesto e raccolto innamorava chiunque lo rimirava; in chiesa formava la meraviglia di chi trovavasi presente: non profferiva una parola, non faceva un sorriso, non dava un movimento di persona: di maniera che la gente accorreva follata, ansiosa di deliziarsi in rimirarlo e stupivano a tanta modestia e virtù in un giovanetto di prima età. Ubbidiente al sommo non allontanavasi mai da suoi genitori senza averne prima ottenuta espressa licenza e non solo procurava di adempire qualunque cosa che da loro o dai maestri di scuola gli venisse imposta, ma studiavasi anche di prevenire quei piccoli servizi che loro potevano essere di gradimento. Anzi a quelli stessi che lo servivano, non comandava mai, senza premettere: fattemi il piacere: se potete fatte la tal cosa: se con v'incomoda: avrei bisogno di questo; e più volte ancora ubbidiva a quelli cui toccava comandare.

                L'esperienza gli fece comprendere che  da cattivi compagni niente altro si riporta che male; ecco il fatto: freguentava alcuni che., come avviene anche ai nostri dì, avevano la massima di parlar male: apprese pure Luigi a proferir alcune parole basse, sconcie e men dicevoli; un'altra volta tolse anche un po’ di polvere, caricò un pezzo di cannone e lo sparò non senza rischio della vita: questi furono i due suoi peccati, seppur si possono chiamar tali, non avendo in allora che soli quattro anni, età, in cui non si conosce gran fatto il significato di ciò che si dice; tanto più che avvertito se n'emendò in guisa che  non più ebbe occasione di esserne rimproverato. Queste due colpe furono l'oggetto di tante lacrime e di tanto dolore: giunto all'età capace (10 anni) confessò queste sue colpe, ma oli! mio Dio, ben lo sapete voi con quanta compunzione di cuore. Premessa alla sua confessione un'accuratissima preparazione con digiuni e preghiere; e presentatosi poscia al confessore; al pensare che il peccato è offesa della maestà infinita d'un Dio, tanta confusione e dolor de' suoi peccati lo strinse, rompendo in pianto e lacrime, che isvenne e tramortito cadde ai piedi del sacerdote; e fu bisogno rimenarlo altra volta perchè potesse terminare la sua confessione. Nè bastò a Luigi questa dolorosa confessione coll'impostagli penitenza; anzi da quivi appunto ebbero principio quelle rigide penitenze, che lungo sarebbe il volerle tutte ridire: ne darò solo un cenno. Oltre le molte e prolungate orazioni, che  al tempo da lui stabilito faceva; il sentir e servir molte messe, intervenire ai vespri e a tutte le altre funzioni di chiesa; andò pure alle asprezze esteriori. Io non mi maraviglierei  che persone o nel bisogno o in luoghi deserti dove non vi sono che cibi rustici e selvatici facessero astinenze grandi; quello che mi fa stupire si è un Luigi il quale trovandosi ogni di a lauta mensa di principe, pure con tanto ardore abbia i suoi gusti mortificati: bastava portar qualche pietanza che fosse di suo gusto per tosto lasciarla; bastava che  qualche cibo gli tornasse poco a grado, e di quello cibavasi. Ordinò seco un digiuno che il meno [608] s'estendeva a tre giorni per settimana; il venerdì in pane ed acqua; in questi digiuni medesimi sminuì a segno la quantità del cibo, che tutto il suo alimento (a peso provato) non oltrepassava un'oncia al giorno; talchè quelli che gli fornivano il pranzo erano tutto stupore, che di sì poco potesse regger la vita; e lo reputavano ad un miracolo grande cui mercè voleva Iddio mostrare quanto l'uomo possa, e possiamo pur far noi colla forza del suo celeste aiuto.

                Queste austerità di vita cagionavano bensì in Luigi grave debolezza con pericoloso sfinimento di forze, ma non fecero rallentare le sue macerazioni: gracile e tenero di complessione come egli era, si fiagellava da prima ogni settimana tre volte; poi ogni dì, e finalmente tre volte tra giorno e notte: nè già queste flagellazioni erano fatte mollemente, che anzi erano a sangue, e sì che insanguinava del suo innocente sangue tutto il pavimento. E qui mi torna acconcio esporvi un fatto di cui ne va priva la stampata sua vita. Venuto a Torino, quindi a Chieri per far visita a' suoi parenti, gli furono fatte accoglienze le più magnifiche e festevoli: e tra le altre cose un gran ballo; questo, o Luigi, andrà a tuo gusto; tra preghi, esortazioni e comandi fu egli pure costretto a recarsi; con patto però che di niente avrebbe preso parte; eravi Luigi presente, ma cogli occhi bassi e la mente e il cuore in Dio, in Gesù Crocifisso: quando una persona inconsapevole del patto che Luigi aveva fatto, va, lo prende per la mano, affine di obbligarlo a prender parte nelle danze; tremò Luigi a tale invito e dando un severo sguardo scagliò un pugno sulla mano che lo stringeva e se ne fuggì; fu cercato lunga pezza da famigli, e finalmente lo trovarono in un nascondiglio; ma in che atteggiamento? spettacolo d'ammirazione! genuflesso a terra con certi combinati ordigni si batteva sì spietatamente, che insanguinate le vestimenta, spruzzato il muro d'intorno, scorreva il sangue a bagnare lo stesso pavimento. Io ho co' miei occhi veduto quel muro e quel pavimento tinto di quel sangue prezioso, e in rimirarlo non potei frenare le lagrime per tenera commozione.

                Nel suo pomposo palazzo non poteva avere flagelli opportuni, ma egli vi providde, congegnando certi guinzagli ossia morsi di cane che casualmente gl'erano dati nelle mani; e con quelli si dava la spietata disciplina, fiagellandosi fino a squarciarsi le carni e farvi cadere a terra gran copia di sangue. Non aveva cilici da porsi sulla nuda pelle, me egli prendeva pungenti sproni, e se li indossava sulla nuda carne, patendo così acutissime trafitture. I servitori trovarono un giorno le camicie di Luigi tutte inzuppate nel di lui sangue e le mostrarono alla marchesa sua madre, che ne fu da più sensibili dolori trafitta. Lo riseppe pure il padre e tutto commosso, povero di me, esclamò, questo figliuolo si vuol da se medesimo, dar la morte. Secondo che voleva la nobile sua condizione gli si mettevano piumacci o cuscini sotto dove si doveva inginocchiare: come, diceva nel suo cuore, il [609] mio Gesù trafitto con chiodi, ed io su molli inginocchiatoi? via questo, e il solo pavimento mi serva d'appoggio. Morbidi pure erano i letti su cui si doveva coricare, e ciò attristava al sommo Luigi; voleva egli dormire sulla nuda terra, e ne fu sgridato: povero Luigi, che  farai? Dormirò io, diceva, dormirò io su questo molle letto, mentre il mio Gesù se ne sta sul doloroso legno di croce? o questo no. Quindi per tormentarsi eziandio dormendo, prese alcuni rottami, alcuni aspri pezzetti di legno, che mettendoli sotto le lenzuola lo pungevano lungo la notte. Ma grande Iddio, ditemi voi, perchè in Luigi tante penitenze, tante macerazioni? forse ne furono motivi i suoi peccati? ma se non commise colpa. Furono le tentazioni? ma le vinse talmente che non ebber mai forza alcuna sa di lui. Oh lo so ben io il perchè: questo è per insegnare a me, a noi tutti a determinarci a fare ferma e salda risoluzione d'imitarlo almeno in parte in quelle penitenze che  ci saranno possibili.

                Queste virtù che vi abbiamo abozzate sono già da per se stesse sufficienti per fare un santo; e tale appunto era Luigi ovunque proclamato; eppure questo non basta ancora; gli rimaneva ancora a compire la più grande delle sue azioni, il più glorioso di tutti i suoi trionfi: abbandonare il mondo e donarsi intieramente a Dio. Trovavasi Luigi ad un'età capace di discernere quale stato dovesse scegliersi: si vedeva aperta la strada degli onori, del fasto, delle grandezze: giovine di ingegno, fornito di ottime qualità personali, figlio primogenito ed ereditario di Casa Gonzaga: sino al sommo amato dai genitori, rispettato e venerato da sudditi, onorato da imperatori e monarchi: tutto l'invitava a camminare pel campo di gloria. Ma Lui, qual vero filosofo di Cristo, la ragionava così tra sè: queste ricchezze quanto tempo dureranno? tutto al più fino alla mia morte e poi le debbo abbandonare. Questa gloria, quest'onore, questa grandozza mondana che sarà? non so, se verrò ad acquistarla, e quandochè vi giunga quanto durerà? eh colla morte finisce vanità, piaceri, gloria e grandezza e ciò tutto che mi gioverà per l'eternità, quid hoe ad aeternitatem? Dunque che farà? Luigi, che farai? Mi cercherò altri onori, altre ricchezze dunque che siano capaci di contentare questo mio cuore e rendermi un giorno felice. Lungi da me gli onori e le grandezze, lungi, o fasto mondano; io voglio Gesù, e Gesù solo formerà il mio tesoro, le mie ricchezze. Nella guisa, che mi uccello, che sebben sia lieto quando vola per l'aria, nullameno non è contento se non allora che può posarsi tranquillo nel suo nido; così Luigi trovò un luogo che  fosse il suo centro, dove riposar potessero tutti i suoi affetti: turtur invenit nidum, ubi ponat pullos suos; e questo era dare un calcio al inondo, e alle sue lusinghe, e farsi religioso. La madre di lui, donna veramente pia, aveva più volte mostrato desiderio d'aver un figliuolo religioso. Mamma, le disse un giorno Luigi, io credo, che Cristo di questro vostro desiderio vorrà farvi contenta, e quel religioso sarò io medesimo. Questo suo [610] desiderio palesò Luigi sul monte di Crea, lo manifestò in Firenze nella Chiesa della SS. Annunziata, quando, benchè di soli nove anni, fece il voto di perpetua castità. Ma come eseguirlo? Appena Luigi manifestò questa sua determinazione ai suoi parenti, non è a dire quanti contrasti, quante opposizioni gli fosser fatte. I Castiglionesi lo volevano per loro Signore; la famiglia per successore; l'esortavano in contrario gli amici, s'opponevano i parenti, eccetto la madre; e il suo padre, come colui che aveva solo di mira il bene temporale, disse assolutamente di no. Ma Luigi che conosceva tale suo impulso venire dal Signore, al Signore si rivolge e prega. Dopo lunghe preghiere, digiuni, mortificazioni, finalmente fu esaudito nel modo seguente. Un giorno fra gli altri, dopo cinque ore di orazione, si sentì internamente mosso da celeste impulso di recarsi dal padre e tentare l'ultimo sperimento; vi andò difilato essendo per la podagra in letto, e gettatoglisi davanti, con molta gravità ed efficacia: Signor mio, padre, gli disse, io mi commetto nelle vostre mani; fate pure di me ogni vostro piacere. Ben vi protesto che Dio mi vuole nella Compagnia di Gesù, e resistendomi voi in questo, voi resisterete alla certa volontà di Dio. Detto ciò, senza aspettare risposta, gli uscì di camera. Queste parole ferirono sì vivamente il marchese suo padre che pensando alle dure prove che di Luigi aveva fatto, nè volendo resistere alla manifesta volontà di Dio; dall'altro canto rincrescendogli privarsi d'un figlio sì caro, d'una gioia sì preziosa, si commosse, si intenerì, e si mise dirottamente a piangere e singhiozzare. Sfogatosi alquanto in lacrime, mandò a chiamare Luigi, e venuto così gli parlò: Figliuol mio, tu mi hai dato d'un coltello nel cuore, ti ho sempre amato e ti amo; oh quanto mi duole lasciarti partire da questo paterno seno; ma giacche il Signore ti chiama altrove, vattene pure; il Signore sia con te, ti benedica il Cielo, io ti benedico, vattene in pace. Voleva ancor dir altro, ma diede in pianto sì dirotto che più non potè parlare. E Luigi come tenero augellino che rotto il filo che stretto lo teneva e lieto sen vola in libertà, così Luigi, contento dell'ottenuto permesso, spediti alcuni domestici affari, rinunziato al marchesato, dà gli ultimi commiati ai parenti e come guerriero va a Roma nella Compagnia di Gesù, nel 3 novembre del 1585 d'anni 17.

                M rincresce assai che il tempo non ci permetta di far ripassare almeno a breve rassegna, ciò che Luigi fece di virtuoso nella religione; ci basti sapere che giunse a tal grado di amor di Dio, che passando anco innanzi al SS. Sacramento sentivasi violentato a fermarsi, e trovavasi costretto a gridare verso il suo Gesù: lasciate, Signore, lasciate che men vada, ove l'ubbidienza mi chiama; recede a me, recede a me; la qual cosa fa vedere che Luigi nulla più di mondano aveva nel suo cuore, che Luigi era tutto di Dio, era un santo, era un angelo, un serafino tutto ripieno di amor divino. Una cosa sola mancava a Luigi, e questa desiderava, la palma del martirio; non la potè andarsi ricercare giù [611] nelle missioni straniere, ma se la trovò, volendo così Dio, ne' luoghi vicini: non martirio di sangue, bensì martirio di carità. L'anno 1590 insorse in Roma una peste così ostinata, che grandissima parte d'uomini mandò al sepolcro. Tripudiò Luigi di contento, e poichè già gl'era stata rivelata l'ora della vicina sua morte, pensò esser quella opportunità bella, dar l'ultimo sfogo alla carità sua col dare la vita stessa a pro del suo prossimo. Era bello a vedersi, dice lo scrittor di sua vita, un giovane principe sul fior di sua età; porsi le tasche in collo girando la città, andando di porta in porta in cerca di limosina per quei poveri malati; penetrava quindi negli ospedali, e tutto allegro e infiammato di santo amor di Dio: si metteva attorno a quegli infelici appestati, che qua e là giacevano o cadevano morti, affaccendato a lavarli, vestirli, in far loro il letto, coricarneli, dar loro mangiare, aiutarli, confortarli tanto in ciò che riguardava l'anima, che il corpo; cercando i più miseri e schifosi per vieppiù sfogare la sua carità. Ah! carità grande, ah! virtù, ah! Luigi, che puoi tu far di più? Questo fece lungo tempo Luigi e l'avrebbe fatto anco di più se Iddio non se l'avesse già veduto abbastanza degno per lui, e più nulla mancargli per essere fatto angelo, che essere separato dal corpo: così fu.

                Già più volte Iddio aveva rivelato a Luigi la prossima sua morte, e il momento era venuto; nel servire gl'infetti dalla peste, essendo che niente si risparmiava, anzi dove più imminente era il pericolo, con maggior ardore vi accorreva, fu egli pare assalito dal morbo: dall'ospedale fu condotto al convento; si pose a letto e sebbene assai lunga sia stata la malattia, tuttavia non si alzò più, e lo condusse a morte. É proprio di chi trovasi l'anima macchiata da qualche colpa, all'approssimarsi il punto di morte agitarsi, paventare, tremare e dare anche in atti di disperazione; delle anime buone non è così: per loto più s'appressa il momento di morte, più si rallegrano, perchè vanno, con gioia a vedere colui che hanno amato lodato servito. Così fu del nostro Luigi. Contento perchè era sicuro, di andare al possesso di quel paradiso, di cui ne era tutto innamorato, ogni qualvolta era da qualcheduno visitato: ce n'andiamo, ce n'andiamo. E dove? Al paradiso, rispondeva: e quanto più cresceva il male e tanto più sereno, gioviale, ilare dimostravasi; e con maggiori trasporti di allegria esclamava: ce n'andiamo al paradiso. Presso a morire volle ancora dare un segno di quello sviscerato amore che aveva di patire per G. C. Visitato un giorno dal padre provinciale: Padre, gli disse, d'una grazia vi prego e questa sia, che mi permettiate di flagellarmi ancora una volta prima della mia morte. Stupì il provinciale a tal dimanda, e rispose: Caro figlio, non potreste battervi in questo termine che ora siete. Dunque un altro, ripiglia Luigi, mi batta da capo a piè. Nemmen questo gli fu concesso, perché sarebbe stato un dargli tosto la morte. Oh! almeno almeno, soggiunse Luigi pregando con più calde istanze, mi mettano a morire sulla nuda terra come morì G. C. sopra la croce. Ricevuti [612] poi che ebbe gli ultimi Sacramenti, trovavasi presso a mandar l'ultimo respiro: aveva gli occhi fissi nel Crocifisso, che  gl'era posto avanti, quando si vede cavar la mano e recatalasi alla testa trarsi la sua berretta di tela che teneva in capo; gli fu subito aggiustata ed egli con nuovo sforzo volle trarsela. Deh! no, fratel Luigi, disse il padre prov., l'aria di notte vi farebbe male. E Luigi accennando cogli occhi il Crocifisso rispose: G. C. morendo aveva nulla in capo. A tali parole, a tale desiderio di patire in un'anima sì pura ed innocente, tutti furono inteneriti e commossi sino alle lagrime. Ah! Luigi... Luigi basta il tuo patire; vattene pur al cielo, che la terra non è più degna di possederti: sei ricolmo di meriti; il paradiso t'è aperto, il tuo Gesù è ansioso di amorosamente abbracciarti; gli angeli e tutti i beati del cielo ti tengono pronta una corona di gloria immortale; vanne dunque al possesso. Erano circa le tre ore della notte del giorno d'oggi e Luigi conservando inalterabile la serenità del suo volto, senza dar il menomo movimento o sforzo, fu veduto in volto tutto coperto d'un freddo sudore, che indicava l'ultima sua agonia; piangevano singhiozzando gli astanti, e il dolore lor impediva di parlare e Luigi col cuore levato in Dio, dicendo quelle parole: In manus tuas Domine, commendo spiritum meum: Signore nelle vostre mani raccomando l'anima mia; pronunziando i SS. Nomi di Gesù e di Maria, formando un dolce sorriso, come chi vede un giocondo e consolante spettacolo, come se dolcemente s'addormentasse, rendè l'anima al suo Signore (anni 23, mesi 3, giorni li, 1591).

                Non andiam più in là, fermiamoci qui; non già che nulla più si possa dir di Luigi: ma sorpassando queste cose la capacità dell'intelletto umano, non vi possiam più penetrare; solo diciamo con S. Maddalena de' Pazzi, che lo vide in cielo glorioso ed esclamò: Luigi è un gran santo: io non m'immaginava che vi fosse tanta gloria in paradiso; andate pel mondo, e dite a tutti che Luigi è un gran santo.

                Vi piace, giovani cari, la morte di Luigi? senza dubbio che sì; se vi piace la morte sua gloriosa, imitatene le virtù, e sarete santi come lui; che se Luigi nell'età in cui voi siete, nelle stesse occupazioni che voi, nei medesimi e più grandi pericoli in cui noi non siamo, pure si fece santo, perchè nol potremo fare anche noi? E come riuscirvi in questo? Pregare S. Luigi che ci aiuti a seguirlo nelle sue virtù; e la cosa che in particolar modo dovete dimandargli: è la fuga dei cattivi compagni, tenete ben questo, la fuga dei cattivi compagni, - lo ripeto: fuga dei cattivi compagni; perchè se Luigi divenne sì gran santo fu per aver fuggito i compagni cattivi; che se Luigi non avesse abbandonato i compagni cattivi e seguito i buoni, a mio credere, non sarebbe un S. Luigi e chi sa se si sarebbe persino salvato.

                Dunque anche voi da questa sera dite: a me piace la santa morte di Luigi, ma questa non la posso avere senza la fugga dei cattivi compagni; dunque tutti per l'avvenire li voglio fuggire. Quel compagno [613] che sta con poca divozione in chiesa, che parla, che ride, si diverte o reca disturbo, quello m'impedisce di far la morte di S. Luigi, perciò non lo voglio più in mia compagnia; quel compagno che per le contrade con parole o con fatti sprezza gli altri; quel compagno che vuol tenere cattivi discorsi, che dice delle bugie, è disubbidiente, va poco volentieri in chiesa, alla scuola, alle divozioni, frequenta di rado e con divagazione i SS. Sacramenti, eh! dite subito, questa razza di compagni m'impediscono di far la morte di S. Luigi, perciò tutti lungi da me; io non li voglio più. Siccome poi questo importa molto il farlo, così dobbiamo avere special divozione a S. Luigi affinchè cel ottenga da Dio. Siate veramente divoti di questo santo, che è veramente protettore dell'età in cui vi trovate voi, della gioventù; prendetevi per massima costante e questa sia: di non dir mai le nostre orazioni del mattino e della sera, senza aggiungere un Pater ed un Gloria Patri a S. Luigi. Lungo il giorno levate qualche volta il vostro cuore al cielo ed esclamate: Ah! Luigi, fattemi santo: fatte che possa anch'io fare una morte simile alla vostra. Farete voi veramente così? lo promettete di cuore? Venite dunque tutti con me e prostriamoci ai suoi piedi e preghiamolo così:

 

2.

 

Lettera dei Preposito Generale dei Rosminiani.

 

                Intorno a una visita di Don Bosco al Rosmini in Stresa, narrata nel volume IV delle Memorie Biografiche, non sarà possibile allo storico ignorare una lettera del P. Balsari, Preposito Generale dei Rosminiani. A chi e perchè la lettera fu scritta, è detto nella medesima. Il Padre Generale la inviò nel 1923; ma a noi ne è stata da lui comunicata copia con la sua firma autentica solo di recente. Essa fu indirizzata nel 1922 a un periodico di Torino, edito dal Berruti, che non la pubblicò.

 

ALL'EGREGIO SIG. DIRETTORE DELLA Scuola dei Fatti,

 

TORINO.

 

                Metto alla posta una cartolina vaglia di lire io per rinnovare l'abbonamento pel 1923 alla Scuola dei Fatti. E nel tempo stesso Le scrivo per notare quanto segue.

                Nel numero di Settembre 1922 del pregevolissimo periodico vi è un articolo col titolo Il Venerabile Don Bosco, in cui si parla di Antonio Rosmini altrettanto che di Don Bosco. Ora in quell'articolo vi sono delle affermazioni inesatte, altre inverosimili, e qualcuna decisamente falsa: nè sono da attribuirsi al Periodico La Scuola dei Fatti, ma alla [614] fonte a cui il Periodico le ha attinte e che esso cita appiè dell'articolo[384].

                Dice l'articolo che il Rosmini a Stresa imbandì un banchetto a una trentina di persone, scienziati e filosofi suoi amici, tra' quali il Tommaseo, il Bonghi, il Grossi, il Farini, e invitò anche Don Bosco che di quei giorni era suo ospite. Questo dovette essere nel Settembre del 1850, quando Don Bosco passò alcuni giorni a Stresa col Rosmini[385].

                Noto subito che di tale solenne banchetto di 30 commensali non vi è memoria nè per scritto nè per tradizione alcuna fra noi, e che esso si troverebbe anzi in contradizione con tutte le memorie - che  noi abbiamo del nostro Fondatore. Il Rosmini, quando si ritirò nella casa avuta in eredità dalla Bolongaro, che era morta da più di due anni innanzi, dall'8 Febbraio 1848, vi riceveva bensì molte e diverse persone che venivano a visitarlo ma non si è mai sentito dire nell'Istituto nostro (benchè di quei che conobbero il Fondatore siano vissuti alcuni fino a questi ultimi anni e l'ultimo di essi morì il 4 Febbraio dell'anno scorso) non si è sentito dire mai che egli imbandisse conviti e facesse radunate di conoscenti e di amici. La sua vita nella casa Bolongaro continuò ad essere una vita raccolta e da pio religioso come quella degli anni precedenti quando la sua dimora era nella casa del Noviziato sul colle vicino a Stresa, solo vi aggiunse un più largo e più frequente esercizio, come dalla nuova dimora gli era consentito, di una cristiana e cortesissima e anche signorile ospitalità[386].

                Perciò a noi dell'Istituto Rosminiano quel banchetto imbandito ai 30 commensali ci sembra proprio cosa affatto dissonante da tutte le memorie che abbiamo della vita del nostro Padre Fondatore, e ci riesce perciò inverosimile.

                Altra cosa da notare si è che del Grossi e del Farini, che sarebbero stati fra i 30 del convito, non vi è memoria alcuna che siano stati mai ospiti del Rosmini a Stresa, nè si è mai saputo che avessero alcuna particolare relazione con lui. Quanto poi al Tommaseo è certo che, se il convito ci fu, egli non ci poteva essere, perchè la prima volta che il Tommaseo visitò il Rosmini a Stresa fu nel Marzo 1855 quando il Rosmini giaceva infermo dell'infermità che doveva condurlo al sepolcro. “Dopo un quarto di secolo e più lo rividi”, così il Tommasco stesso[387]. [615]

                Proseguendo a leggere in ciò che fu ristampato nella Scuola dei Fatti, si trova che discorrendosi di argomenti politici e religiosi, i giudizii de' commensali non erano molto retti. “Da tutti, vi è scritto, si zoppicava verso il liberalismo nel vero senso odierno della parola, e si criticavano le disposizioni della Corte romana e si lodavano quei Governi d'Italia che con atti illegittimi avevano posto ostacolo ai diritti della Santa Sede”. In quel “tutti” è compreso anche il Rosmini. Ora questa asserzione più che inverosimile, si deve dirla falsa. In quegli anni il Rosmini era sceso in campo animosamente per difendere la libertà della Chiesa con parecchi scritti sulla Costituente, sul Matrimonio, sulle Questioni politiche religiose della giornata; per salvare il potere temporale del Papa aveva proposta e patrocinata la Confederazione fra gli Stati Italiani; ed è credibile che in quel banchetto abbia dimenticato e disdetto tutto questo? che siasi accodato agli altri in quei giudizii men retti?

Il racconto continua dicendo, che Don Bosco taceva, che il Rosmini fe' cenno di smettere, dicendo al Bonghi che c'era Don Bosco presente, e che il Bonghi rispose: “Non capisce nulla quell'imbecille”. Risposta insolente; ma il Bonghi, benchè giovane ardente, era almeno bene educato, e pare ben poco verosimile che sia uscito in quelle parole, sentite da Don Bosco stesso.

                Quanto al resto del racconto, se è vero ciò che si narra delle franche parole dette al Farini, che sono per sè verosimilissime (dico questo perchè qui il dubbio non cade punto sulla cristiana fortezza di Don Bosco ma sul tutt'assieme di questo racconto), se è vero dunque ciò che si narra delle franche parole che Don Bosco disse al Farini, è certamente da lodare il Venerabile; ma è del tutto inverosimile che non abbia avuto compagno nella sua franchezza A. Rosmini. Il Rosmini che aveva avuto il coraggio di rimproverare ai Ministri di Carlo Alberto il loro contegno ostile alla Chiesa e al Papa[388], che aveva rotto per questo motivo ogni relazione col Conte di Cavour, e fu in procinto di rompere la sua amicizia col Marchese Gustavo fratello dì lui[389], avrebbe certamente avuto non meno che Don Bosco il coraggio di dire la verità e al Farini e a chiunque altro. Finalmente il racconto conchiude così: “Un altro aveva ammirato Don Bosco: Niccolò Tommaseo”. E il Tommaseo non era presente!

                Il farIe queste osservazioni, egregio Sig. Direttore, intorno a quell'articolo della Scuola dei Fatti mi parve che fosse un dovere per me, considerando l'ufficio che mi fu affidato dalla Provvidenza. A tale dovere adempio un po' tardi, perchè tardi io seppi e lessi l'articolo, e anche dopo averlo letto molte e gravi occupazioni mi fecero differire lo scriverLe fino ad oggi. E oggi che finalmente Le ho scritto [616] spero che non lo avrò fatto inutilmente, ma dalla bontà e lealtà di Lei aspetto con fiducia che si faccia nel periodico almeno un qualche cenno intorno alle inesattezze che in quell'articolo vi sono riguardo al Rosmini,

                Ho poi un altro dovere, e questo non mi è grave, ma graditissimo, ed è di ringraziarla dell'altro articolo della Scuola dei Fatti, che segue immediatamente al primo (col quale a dir vero poco si accorda) e che mette nella sua vera luce, in quella luce che senza dubbio gli è riserbata nell'avvenire, la nobile e santa figura di A. Rosmini.

                Col più sincero ossequio mi professo

 

di Lei dev.mo in Gesù Cristo servo

Sac. BERNARDINO BALSARI

 p. gen. dell'Istituto della Carità[390].

 

                Roma (8), S. Carlo al Corso, 13 Febbraio 1923.

 

3.

 

Don Bosco al "Seminarino" e Bergamo.

(Nei ricordi di un venerando Sacerdote bergamasco).

 

                “Tutti sanno delle due venute a Bergamo di S. Giovanili Bosco, ma a ben pochi è noto, forse, come la prima volta Egli abbia dirnorato al “Seminarino” di via Tassis, molto più che tale voce non sembrava troppo credibile, già a quell'epoca essendo il Venerando Seminario Vescovile nel nuovo fabbricato di via Arena. A togliere ogni incertezza abbiamo voluto avvicinare uno dei pochi fortunati testimoni ancora viventi, il venerando Don Ruggeri, ex - parroco di Boccalcone, oggi tra i Padri della S. Famiglia a Martinengo.

                Non appena gli abbiamo nominato il Santo, il suo volto s'è inondato di luce:

                - Ah, Don Bosco, Don Bosco! Come lo ricordo! Già prima che egli venisse, n'era corsa la voce, come di un santo. Io ero appena entrato in Seminario, avevo dieci anni, ma lo ricordo bene: fatto là alla buona, la sua presenza era già una predica. Lo potrei dipingere... [617]

                - Ma è proprio vero che il Santo è stato al o Seminarino”?

                - Oh, sì, sì. Il nuovo Seminario era occupato dai feriti della guerra e le prime sei classi erano ritornate giù in via Tassis. Il primo anno l'ho fatto là, la prima latina, ed è là che Don Bosco ci ha predicato gli Esercizi. Che Esercizi! Dopo 75 anni li ho vivi, vivi nel ricordo, anche se la memoria non ha conservato troppi particolari. La prima predica la cominciò con le parole del Vangelo: Venite mecuma seorsuma in desertuma locuma: l'accento piemontese gli fece un altro brutto tiro nella predica dell'inferno dove la frase tradizionale sempre mai, diventò sempre maia. Del resto noi eravamo lì a bocca aperta a sentirlo. E la S. Messa? Che impressione nel vederlo a celebrare! Alla fine degli Esercizi, tutti volevano confessarsi da Lui, ed i Superiori furono costretti a dar la precedenza ai più grandi. Così io non l'ho potuto e mi ricordo che ho pianto di dispiacere... Che Santo! Vieni qua, vieni qua, diceva, e si sentiva il bisogno di buttarglisi in braccio ed aprirgli il cuore. Tutti, dopo gli Esercizi, scongiuravano i Superiori: lo faccia venire anche l'anno venturo. Ma non l'ho più visto...”.

 

                (L'Orfanello. Bollettino della Congregazione della Sacra Famiglia, Aprile 1934).

 

4.

 

Provvidenza e previsione.

 

                La contessa Adele Castelnovo Castellani, una delle più antiche Cooperatrici torinesi, lasciò nella sua famiglia la seguente relazione, trasmessaci dalla contessa. Castelnovo delle Lanze Filiari (Isola della Scala, Verona).

 

                Or son molti anni, aveva divisato di contribuire nel mio piccolo al provvedimento d'una campana nella chiesa di Maria Ausiliatrice per ottenere da questa buona Madre protezione speciale per la mia diletta famiglia. In una visita che feci al Venerato Don Bosco anticipai parte della somma a ció destinata, riserbandomi di compiere la mia offerta in altra circostanza.

                Passò molto tempo senza che attendessi al mio impegno. Ma una mattina mi svegliai col pensiero ch'era tempo di compierlo ed era tale l'insistenza di questo ricordo che in tutta fretta mi portai all'Oratorio. Voleva, prima di salire alle stanze del Venerato Sacerdote udire la S. Messa, comunicarmi; ma non mi fu possibile: dovetti cedere all'impulso del cuore e senz'indugio portarmi da Don Bosco, quasi temessi di non incontrarlo.

                Me ne stava aspettando il mio turno perchè, come sempre, vi erano tante persone bramose di consigli, arrivate prima di me. Ecco che ad un tratto mi si accosta un cameriere che chiede il mio nome [618] dicendomi che Don Bosco aveva ordinato che appena giunta mi facesse, prima degli altri, entrare. Al suo invito risposi ch'era uno sbaglio, perchè non ero aspettata. Insistette, ed ecco che poco dopo fui ammessa all'udienza.

                Feci la mia offerta, ma impressionata da una previsione così straordinaria, m'informai con tutta semplicità del cuore come aveva indovinato le mie intenzioni. Egli rispose traendo dalla sua tasca due soldi: - Ecco tutto quello che tengo a mia disposizione stamane. Oggi, lunedì, il Capomastro venne per un acconto ai suoi averi; io gli dissi che tornasse più tardi perchè aspettava la sua offerta.

                Fu insolita la mia sorpresa e grande la mia soddisfazione di avere così a proposito adempiuto la mia promessa.

                Torino, I Marzo 1891.

 

C.ssa ADELE CASTELNUOVO CASTELLANI.

 

5.

 

Cinque lettere di don Bosco

all'avvocato Ferdinando Maria Fiore.

 

                Nella seconda si tratta della vendita della villa di Trofarello. Nella terza si parla di una costituenda società anonima che avesse la proprietà degl'immobili appartenenti alla Congregazione. L'avvocato Pastore, di cui Don Bosco era cliente, aveva abbozzato uno schema, di cui non conosciamo il tenore; abbiamo invece uno schema dell'Avvocato Fiore (Arch. Orig. 1232). Porta per titolo: Schema di Statuto dell'Associazione di Beneficenza denominata... Si compone di 42 articoli. L'art. 30 comincia: L'associazione intende specialmente, e poi si arresta. Segue un bianco riempito così da Don Bosco stesso: I° Raccogliere i fanciulli pericolanti in giardini di amena ricreazione nei giorni festivi. 2° Collocare presso ad onesto padrone coloro che sono privi di lavoro. 3° Promuovere scuole serali pei figli più poveri degli operai. 4° Ricoverare i più poveri ed abbandonati in appositi ospizi per far loro apprendere un'arte o mestiere. 5° Prendere cura dei poveri Italiani all'estero. 6° Promuovere l'industria ed il commercio specialmente nella classe operaia. Gli autografi di queste lettere sono nella Palatina di Parma.

 

A.

 

                               Chiarissimo Sig. Avvocato,

 

                Dimani tutto il mattino fino alle due pomeridiane io sono in casa ai suoi cenni. Se per altro mi volesse indicare altra ora della giornata mi troverei volentieri al suo uffizio. [619]

                Dio benedica Lei e le sue fatiche e mi creda con sentita gratitudine e con perfetta stima di S. V. Ch.ma

 

                Suo uffizio[391], 5 - 5 - 66.

Obbli.mo Servitore

Sac. BOSCO GIO.

 

B.

 

                Ill.mo Sig. Avvocato,

 

                Non ho potuto rispondere alla sua nel tempo indicato perchè ero assente da Torino. Le dirò adunque, che mi sento molto portato alla contrattazione della casa di Trofarello per le persone che si hanno a trattare ed anche pel prezzo al costo ragionevole che mi viene  offerto.

                Tuttavia calcolate le spese fatte, e i miglioramenti introdotti io non potrò senza perdita allontanarmi dalla somma di f. 24 mila. Notando per altro che un mille franchi non è mai quello che faccia e non faccia sospendere un contratto di tal genere.

                Chi visitasse il locale, la grande cisterna di novecentomila carre di acqua, la ghiacciaia, le cantine con altre agevolezze unite ad un corpo di fabbrica per cui non occorre colpo di martello, costui, credo, non troverebbe troppo elevato il prezzo mentovato.

                In quanto allo stabilire le more di pagamento non ci saranno difficoltà.

                Pronto a' suoi cenni, le auguro ogni celeste benedizione e mi professo con pienezza di stima di V. S. Ill.

Obb. Sac.

GIOVANNI BOSCO.

 

                Torino, 19 - 7 - 66.

 

C.

 

                               Carissimo Sig. Avvocato,

 

                Io sto sempre meditando quella famosa società. Ella mi aiuti a consolidarla. L'avv. Pastore mi diede un formulario. Ella legga e poi con sua comodità faccia un passo all'oratorio. Qualche cosa bisogna conchiudere, Ella mi aiuti a conchiudere il meglio.

                A tale scopo avrei bisogno di un progetto da potersi proporre ad una scelta di avvocati amici perchè lo meditino, e facendo tesoro dei loro riflessi venire a qualche pratica conclusione.

                Dio le conceda ogni bene e mi creda nel Signore tutto suo

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 26 - 7 - 78. [620]

 

D.

 

                               Carissimo Signor Avvocato,

 

                La sua lettera venne a raggiungermi in questa nostra casa di Marsiglia. Mi occupo assai volentieri dell'affare ch'ella mi raccomanda e dovendo quanto prima trovarmi con Monsignore Alimonda, non mancherò di animarlo ad invocare la protezione della Duchessa di Galliera pel giornale Poliglotta, di cui si tratta. Ma è bene che io le noti che fino al 3 del corrente mese la mentovata signora non era peranco venuta a Genova; dimorava tutt'ora in Parigi.

                Ad ogni modo appena saprò qualche cosa, le ne darò tosto comunicazione.

                Questa nostra casa è pigionata a noi da una società civile[392], ma incontriamo le solite difficoltà per dare alla medesima la perpetuità ed evitare i casi di successione. Presentemente si tratta la questione da alcuni valenti avvocati marsigliesi.

                Dio la benedica, la conservi in buona salute e preghi per me che le sarò sempre con gratitudine

 

aff.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Marsiglia, 9 - 1 - 79.

 

E.

 

                               Carissimo Sig. Avvocato,

 

                Sono giunto in Roma, e nella mia pochezza ove la possa servire in qualche cosa ne avrò gran piacere. Il Cielo Le sia propizio nelle sue buone imprese, e mi creda con pienezza di stima di V. S. Caris.ima

 

Aff.mo amico

Sac. G. Bosco.

 

                Roma, 2 Marzo 1879.

 

6.

 

Lettera di don Bosco a un professore.

 

                Si ha qui l'unica notizia di un'andata ad Alba verso la fine di luglio del 1868. La lettera forse si riferisce alla vendita della casa di Trofarello. L'originale è nella Palatina di Parma.

 

                               Ch.mo Signore,

 

                Malgrado il mio buon volere di compiacere V. S. Ch.ma la cui onestà e cortesia mi si rendono sempre più palesi debbo scriverle che non [621] posso variare quanto ho scritto, perciocchè mi sono limitato ad essere indenne e non più. Credo però in un contratto che convenga, come sembra questo, non debba ostare la diversità piccola che si riscontra nel prezzo.

                Comunque per altro la cosa riesca, io sono sempre grato e riconoscente alla bontà sua, pregandolo solo di voler dare benigno compatimento al ritardo nel rispondere.

                Con pienezza di stima ho l'onore di professarmi di V. S. Ch.ma

 

Obbli.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino (ma scrivo da Alba) 23 Luglio 68.

 

7.

 

Lettera di don Bosco ad una signore.

 

                Forse fu indirizzata a persona della famiglia dell'avvocato Fiore. Anche l'originale di questa lettera si conserva nella Palatina di Parma.

 

                               Preg.ma Signora,

 

                Ho ricevuto la limosina di L. 20, che ebbe la bontà d'inviarmi per una messa, che sarà sabato celebrata colla Comunione dei nostri giovani. Ella si unisca con l'intenzione e spero che tra tutti obbligheremo Maria a concedere quanto dimandiamo. Ella mi accenna ad alcuni bisogni spirituali. Ne farò caso e non mancherò nella Santa Messa di fare un memento appositamente per quello che mi raccomanda.

                Quando a Dio piacesse di poterci parlare, forse potrei suggerirle qualche cosa in proposito, che non vorrei confidare alla carta.

                Dio benedica Lei e il Sig. di Lei marito, preghi per me e per li miei poveri giovanetti, i quali da qualche tempo moltiplicano immensamente nel numero e nella miseria spirituale e temporale.

                Umili ossequi a Lei e al Sig. Carlo e mi creda con gratitudine di vs. S. preg.ma

Obbl.mo Servo

Sac. Don Gio. Bosco.

 

                Torino, 31 - 3 - 70.

 

 

8.

 

Due lettere di don Bosco

a monsignor Ferré, vescovo di Casale.

 

                Si riferiscono entrambe all'imminente consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Monsignore predicò dopo i vespri nel primo e secondo giorno dell'ottavario. [622]

 

A.

 

                Eccellenza Revrend.ma,

 

                Dopo molte modificazioni finalmente il giorno della consacrazione della novella chiesa è fissato dal nostro Arcivescovo pel giorno 9 del prossimo giugno. Ora calcolando sulla bontà di V. E. Rev.ma per due prediche avrei bisogno di sapere se le è compatibile che queste siano fatte martedì e mercoledì (9 - 10) oppure per motivo della solennità del Corpus Domini dovesse differire fino al venerdì e sabato successivi. Io desidero il favore, ma per quanto passo vorrei diminuirle almeno il disturbo.

                Il Marchese e la Marchesa Fassati sono desiderosi di fare la personale di Lei conoscenza e per mezzo mio le fanno i loro rispettosi ossequi.

                Di altre cose ci parleremo, spero, verbalmente a Torino. Il Santo Padre ha concesso indulgenza plenaria a chi visiterà la nuova chiesa per ciascun giorno dello Ottavario.

                Le auguro di tutto cuore ogni celeste benedizione, e colla più profonda gratitudine mi professo rispettosamente

                Della E. V. Rev.ma

 

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Torino, 24 maggio 68.

 

B .

 

                Eccellenza Reverend.ma,

 

                La ringrazio di tutto cuore della sua accondiscendenza nell'accettare le due prediche pei giorni 9 e 10 del p. giugno. Ella può leggere od esporre oralmente il discorso come l'accomoda di più. Generalmente gli altri li espongono senza scritto, perchè non l'hanno scritto. Talvolta si legge anche.

                Ottimo il pensiero di venire lunedì e noi l'attendiamo per quella ora che sapremo Ella dover giungere qui. Una cosa sola mi rincresce ed è l'incomodo cui Ella dovrà certamente sottoporsi per doversi trovare alla processione del Corpus Domini.

                Come vedrà dall'orario, Ella dovrebbe partire giovedì da Porta Susa alle 5, 32 e giungere a Casale alle 9, 30. Speriamo nella protezione della Santa Vergine M. che l'assisterà e non permetterà che abbia a soffrire grave incomodo.

                Pieno di gratitudine per tanti favori che ci fa, le offro la servitù mia e quella di tutti i miei colleghi, mentre ho l'onore di potermi professare della E. V. Rev.ma

 

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Torino, 27 m. 68. [623]

 

9.

 

Due lettere di don Bosco al padre Oreglia.

 

                Sono state pubblicate dalla Civiltà Cattolica.(I° giugno 1929), presso la quale si trovano gli originali. Il Santo le indirizzò al P. Giuseppe Oreglia gesuita, fratello di Federico. La prima è di grande importanza storica per le origini della Congregazione.

 

A.

 

                               Car.mo Sig. P. Oreglia,

 

                Ella è informata del progetto di una tenue e nascente congregazione religiosa che ha per iscopo la conservazione dello spirito nelle nostre radunanze dette oratorii festivi.

                Dal cenno che qui Le unisco[393] vedrà a qual punto si trovino le cose nostre. Io faceva presentare al Santo Padre una memoria di cui unisco pure copia[394] e di cui non ho ancora ricevuto regolare risposta; ma mi fu in modo confidenziale fatto significare esservi difficoltà per le dimissorie in genere, e si dice che tutti i Vescovi che mi fecero la commendatizia, interrogati da Roma, risposero tutti negativamente su questo punto, niuno eccettuato. Così il Card. Berardi.

                Sembra per altro che vi sia propensione di concedere che tali dimissorie si possano dare a un numero determinato all'anno ed anche di potere instruire i chierici in modo regolare e secondo il bisogno degli oratorii e della stessa congregazione, cosa che mi è indispensabile per quei gravi motivi che Ella potrà facilmente immaginare. Ciò mi fu soltanto comunicato in forma verbale e alquanto incerta.

                Ora io avrei bisogno che Ella considerasse come una opera di grande carità e si procurasse un'udienza dal prelodato Eminentissimo Berardi e fargli anche in modo confidenziale queste domande:

                I. Se i Vescovi che diedero il parere opposto alla approvazione della nostra regola sono quelli della provincia di Torino di cui non fu mandata la commendatizia o se sono quelli stessi che l'avevano fatta e già trasmessa alla Santa Sede e ciò unicamente per norma, cioè se debbo camminare sul loro consiglio oppure agire contro a quello che mi dicono per assicurarmi di fare quello che vogliono.

                2. Se le cose stando così, vi sia qualche cosa da fare e se l'appoggio del Card. Vicario, del Card. Guidi e Consolini possa giovare in questo caso oppure raccomandarmi ad altri. [624]

                3. Se la pratica è già alla congregazione dei Vescovi e Regolari. Se convenga promuoverla o lasciar che le cose camminino da sè.

                4. Monsig. Svegliati non si è mai mostrato contrario e se si potesse avere il suo appoggio si avrebbe molto.

                5. Si ha timore che i chierici siano presentati agli ordini senza che abbiano studiato abbastanza; ma la prova di ventiquattro anni esclude ogni timore, e d'altronde si inetta pure che qualunque Vescovo, ordinando, abbia facoltà, anzi debba esaminare il candidato siigli studi fatti e su quanto riguarda alla vocazione allo stato Ecclesiastico.

                6. Sembra che sia il caso di fare una gita a Roma per dare schiarimenti che forse appianerebbero molte apparenti difficoltà?

                Ecco le cose affidate alla provata di Lei bontà. Se mai le sue relazioni col Card. Berardi non fossero tali da parlare di queste cose, io rimetterei ogni cosa alla sua prudenza. Siccome per altro ogni cosa camminerebbe per via confidenziale, ed è solo da studiare un modo di assicurate l'esistenza della nostra congregazione prima di mia morte; così io credo che Ella ne possa trattare col prelodato Eminentissimo Berardi che da molti anni ci fa da padre e per la cui conservazione noi facciamo ogni giorno speciali preci al Signore.

                Federico è partito per la Sardegna come Ella sa, so che è giunto e niente altro. Giunge inaspettato in questo momento; sta molto bene e la saluta[395].

                Ella mi farebbe un vero favore se mi riverisse nel modo più rispettoso tutti i venerandi Padri della Civiltà Cattolica, cui tengo preparata una medaglia commemorativa della nostra chiesa e che fra breve spero avere un'occasione per farla loro tenere.

                Dio benedica Lei e le sue fatiche e colla più sentita gratitudine mi creda di V. S. carissima

 

Obbl.mo ed aff.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Torino, 7 ag. 68.

 

                P.S. Il Conte della Margherita è gravemente ammalato; migliorò e ricadde più volte, oggi è molto peggiorato. É nel suo feudo della Margherita.

 

B.

 

                Nella seconda lettera risponde alle indicazioni e suggerimenti fornitigli dal padre Oreglia.

 

                               Car.mo Sig. P. Oreglia,

 

                Ho secondato il consiglio che Ella compiacevasi di darmi a nome di una persona benevola, e per mezzo del Card. Vicario chiedeva a [625] S. S. la facoltà di potere instruire i miei chierici dopo che la nostra congregazione era stata - commendata e se ne costituiva il Superiore Generale.

                Il prelodato Eminentissimo fece di buon grado il passo presso il Santo Padre e ne ebbe la risposta che qui le unisco. Ora quid agendum? Giudica bene di mettere qualche persona intorno al Santo Padre che datasi occasione parli in proposito, come Mons. Ricci, o lasciare che la cosa maturi nel cospetto di Dio, e intanto nel prossimo inverno fare una gita a Roma? Sembra bene tirare il filo per altra mano, mentre il Santo Padre non è contrario? Se ha la bontà di darmi consiglio in proposito, io lo seguirò puntualmente abbandonandone il buon esito alla divina Provvidenza.

                Quanti disturbi aggiungo alle grandi sue occupazioni. Abbia pazienza: è un'opera di carità. Dio ne terrà conto per l'anima sua. Da noi avrà gratitudine e preghiere che nella nostra pochezza alzeremo ogni giorno al Signore per Lei.

                Suo fratello Federico è definitivamente stabilito a Torino e gode ottima salute.

                Raccomando la povera anima mia e quella dei miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere e mi professo con pienezza di stima di V. S. car.ma

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 5 Ott. 68.

 

                P.S. Se ne ha occasione la prego di offerire i miei ossequi e quelli di Don Francesia al P. Angelini[396].

 

 

10.

 

Per l'acquisto della casa di Borgo S. Martino.

 

                A un particolare pubblicato dall'ex - allievo L. Gabotto in Vita Casalese, settimanale cattolico di Casale Monferrato (12 Maggio 1934). Sul contratto si possono vedere due lettere di Don Bosco a Don Bonetti (16 giugno e 24 luglio 1870) in LEMOYNE, vol. IX, pp. 880 e 894.

                “Quando, per ragioni diverse, venne a trovarsi nella necessità di trasportare il suo primo Collegio di Mirabello ad altra sede, se ne andò, un giorno, dal nobile Marchese Scarampi di Villanova a chiedergli che gli volesse cedere la sua villa di Borgo S. Martino. Mi raccontava il nobile signore, che Don Bosco gli disse senz'altro: Io so, signor Marchese, ch'ella vuol cedermi la sua casa. Alla inaspettata [626] richiesta, avendo il Marchese risposto che mai gli era passato per la mente di disfarsi della sua casa amata, Don Bosco non si scoraggiò e rinnovò insistentemente la sua domanda, sollecitando dall'ospite la richiesta del prezzo. Il Marchese, non osando ripetere al sant'uomo la sua netta ripulsa, chiese allora un prezzo che parve a lui medesimo esorbitante, nella speranza di mandarlo con Dio. Ma quale non fu la sua sorpresa nel sentire subito accettata la domanda! Preso in parola, da perfetto gentiluomo, la volle mantenere e così la villa Scarampi divenne il nostro Collegio di Borgo S. Martino. E tutto ciò avvenne senza che Don Bosco possedesse un centesimo; poichè, prima di lasciare il nobile signore, gli richiese bonariamente in imprestito le poche lire occorrenti per pagarsi il biglietto di viaggio fino a Torino. Eppure quindici giorni[397] dopo l'avvenuto colloquio, Egli versava integralmente, al nobile venditore, il prezzo pattuito per quell'agresta casa baroccheggiante, dove moltissimi fra noi trascorsero i primi e migliori anni della vita”.

 

 

II.

 

Quattro lettere di don Bosco a monsignor Masnini.

 

                Monsignor Masnini (cfr. vol. XII, pag. 236) era segretario di monsignor Ferré, Vescovo di Casale. La prima di queste lettere fu indirizzata a Roma, durante il Concilio Vaticano.

 

A.

 

                Carissimo Sig. Can.ico,

 

Mirabello, II Marzo 1870.

 

                Qui da Mirabello mi rimane un po' di tempo per scrivere a V. S, secondo il mio dovere. Riguardo alle lettere giacenti alla posta, abbia la bontà di leggerle e se ritrova cosa essenziale me la comunichi, altrimenti le seppellisca.

                La ringrazio della sollecitudine che si dà per me e di tutto il disturbo che si offre per le nostre cose. Se può, promuova le Letture Cattoliche e la Biblioteca italiana. Io vivo e lavoro per questi libri: il Santo Padre li benedice e mi raccomanda la diffusione. Le persone con cui può conferire di ciò sono: Conte Vitelleschi, Mare. Villarios, Contessa Calderani e la presidente di Torre de' Specchi. Ho trovato Giannino Ferré in buona salute: egli è soprapensiero per la vocazione. L'ho esortato a pregare e d'essere assai buono sino a Maggio. Allora potrà risolvere qualche cosa. [627]

                Tutto il piccolo seminario si unisce meco nell'augurare ogni celeste benedizione a Lei ed a Monsignor nostro, mentre con tutta affezione mi professo di V. S.

 

Obbl. Servo

Sac. Gio. Bosco.

 

B.

 

 

Torino, 3 ott. 73.

                Monsig. Car.mo,

 

                In questo anno alle altre miserie si aggiunge quella di dover riscattare quindici chierici dalla leva militare. Potrebbe Ella venirmi in aiuto? Qualunque cosa mi giova assai; avvi tempo circa un paio di mesi. Ecco come questo questuante va a disturbare la gente pacifica. Me ne dia compatimento.

                Dio le conceda ogni bene, preghi per questo povero ma sempre in G. C.

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P.S. Prego de' miei umili ossequi alla sig. Mamma e famiglia.

 

C.

 

                Monsig. mio Car.mo,

 

                La Contessa Bricherasio è tuttora inquieta pel suo affare che Ella credeva ultimato Abbia adunque la bontà di leggere le due lettere del prev. di Fubine e poi se avvi qualche cosa a fare me lo dirà. Io sono giunto in questo momento da un giro fatto fino Marsiglia. Oh quante cose avremmo a direi! Spero lo faremo di presenza.

                Mille ossequi a Lei, a Monsig. Vesc. e gli ripeta che noi vogliamo sempre essere suoi figli, e che tutte le nostre case sono sue senza riserbo.

                Preghi per me e per le cose nostre, prepari un sacchetto di  marenghini o un grosso pacco di biglietti di banca, e sebbene siano brutti assai, tuttavia li accetto come roba nazionale.

                Io le sarò sempre in G. C.

 

aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 26 - 3 - 77.

 

D.

 

                Car.mo Monsig. Masnini,

 

                Se io restassi sciolto dall'attuale uffizio, volo tosto fra' salesiani: così disse più volte. Ora quando viene? La sua camera è preparata [628] a Torino ed altrove; un posticino a mensa non mancherà. Dunque? Arrivederla.

                Dio la benedica e preghi per questo poverello che come fratello le sarà sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Vignale, 12 ott. 79.

 

                P.S. Sono a Vignale per oggi; dimani parto alla volta di Torino dove dimorerò stabilmente.

 

12.

 

Lettere alla signora Cesconi e al figlio.

 

                Un incontro fortuito fece conoscere a Don Bosco un giovanetto di Domodossola per - nome Vittorio Cesconi, che gli manifestò il desiderio di farsi prete. Il giovane dovette riportare una viva impressione, poichè di lì a poco gli scrisse; il che diede principio a una corrispondenza epistolare del Santo con lui e con la sua madre vedova, divenuta zelante cooperatrice salesiana. La famiglia aveva parenti a Tolosa, dove si recava di quando in quando. Dopo la morte di Don Bosco, il Cesconi sposò una De Coincy parigina, che, rimasta vedova nel 1927, consegnò a noi nel 1934 gli autografi di queste quattordici lettere.

 

A

 

                Mio piccolo amico,

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

                M ricordo assai bene del grazioso incontro del caro Vittorio Cesconi, i cui modi e senno guadagnarono tutte le mie simpatie. Ogni cosa è confermata dalla cortese e cristiana lettera  che, mia caro Vittore, con bontà mi hai voluto scrivere. Te ne ringrazio assai di cuore.

                Non abbiamo però potuto parlare come io voleva, e spero che, a Dio piacendo, potremo altre volte ancora vederci. Se mai ti accadesse di passare a Torino, e che i tuoi parenti lo permettessero, ti invito a passare alcuni giorni in questa casa. Così avrei tempo di dirti cose che ti riguardano, le quali tu non sai ed io so.

                Ho dato ordine che i Classici italiani e le Letture Cattoliche ti siano spedite a Preglia[398]. Vi è anche un altro libro, Il giovane provveduto, e questo è un regalo che ti fo come guarantigia che tu pregherai per me [629]

                Ti prego di salutare da parte mia i tuoi parenti e il tuo Curato e i tuoi Superiori del collegio[399], quando sarai tra loro. Di' loro che nella mia pochezza li raccomando tutti al Signore e che mi raccomando alle loro preghiere.

                Dio ti benedica, o caro Vittore, e ti conceda la grazia di conservare i santi pensieri che mi hai manifestati: Farti un buon prete, un santo prete. Tu poi prega per me, affinchè, mentre penso agli altri, possa eziandio salvare l'anima mia. Amen.

                Sono tutto tuo in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                 Torino, 3 ott. 71

 

B.

 

                Preg.ma Signora,

 

                La sua lettera viaggiò più presto di Lei e vennemi raggiungere a Roma, dove fui chiamato da alcuni affari di premura. Io mi fermerò ancora tutta la prossima settimana. Sarà possibile anticipare la sua venuta?

                Io abito via Sistina N. 104, p° 3 presso al Sig. Sigismondi Alessandro. Ho parlato col S. Padre di Lei, di Victor e di tutta la famiglia e già è informato della loro venuta. Ella conti sii me, in tutto quello potrò servirLa.

                Dio colmi di sue celesti benedizioni Lei, Victor, il Sig. precettore, e preghino per questo povero ma in G. C. sempre

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Roma, 25 - 2 - 75.

 

                P.S. Don Berto è qui con me, e la ossequia, unitamente a Victor.

 

C.

 

                Preg.ma Signora Cesconi,

 

                Era veramente ansioso di sue notizie. Dopo Roma non aveva inteso niente. Godo molto che, il S. Padre li abbia benevolmente accolti; e godo anche del buon pensiero di recarsi a passare il prossimo futuro inverno nella città santa.

                Qui poi la ringrazio della graziosa limosina di f. 100 che mi manda per questi giovanetti miei, che certamente pregheranno meco per la grazia richiesta, cioè guadagnare un figlio alla Chiesa cattolica. [630]

                Mi tornano assai graditi i saluti di Victor, del sig. Abate, e Sig. Prevosto, cui tutti auguro ogni bene, e di tutti mi raccomando alle preghiere.

                Si degni Iddio di benedire lei e suo figlio e ad ambedue conceda felice vita in questo mondo e la gloria beata in futuro.

                Se mai il loro passaggio per Torino potesse coincidere col 24 di questo mese, ne avrei grande e speciale piacere, giacchè cadrebbe tra noi la solennità di Maria A. di cui quest'anno occorre il settennario della consacrazione.

                Mi raccomando alla carità delle sue preghiere, e mi creda in G. C. sempre suo

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 7 marzo (corr. maggio) 75.

 

D.

 

                   Stimabilissima Signora,

 

                Sui primi giorni di questo mese ho ricevuto la sua rispettabile lettera con cui mi raccomandava un suo parente ammalato di anima e di corpo, come si esprimeva. Ho secondato la sua dimanda e tosto disposi che si facessero particolari preghiere mattino e sera all'altare di Maria Ausiliatrice per questo bisogno; e se la nostra dimanda non è contraria ai disegni della divina Provvidenza, spero che qualche cosa si sarà ottenuto. Io poi ho fatto ogni giorno un memento speciale nella S., Messa.

                Alla sua lettera era unito un biglietto di f. 100, che ho tosto impiegato pei miei poveri giovani, pei quali fu una vera provvidenza, e di cui la ringrazio ben di cuore.

                Godo molto che il nostro Victor goda buona salute; lo riverisca tanto da parte mia e gli dica che non dimentichi il patto che abbiamo fatto, vale a dire che io prego ogni giorno per lui nella S. Messa, a condizione che egli pure mi raccomandi ogni mattino al Signore.

                Nel loro viaggio a Preglia spero che ci potremo parlare qualche momento quivi intorno.

                Dio la benedica e con Lei benedica tutta la sua famiglia e raccomandandomi alle preghiere di tutti ho il piacere di professarmi con gratitudine di V. S. stimab.ma

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 15 - 8 - 75.

 

                P.S. Umili ossequi al Sig. Maestro di Victor [631]

 

E.

 

                Stimabilissima Sig. Cesconi,

 

                Con gratitudine ho ricevuto f. 25 per le Letture Cattoliche e il rimanente limosina per li miei poveri fanciulli. Io la ringrazio e tutti preghiamo Dio che conservi Lei, il buon Victor col pio Sig. Maestro. Se fossi un po' più vicino vorrei tirare l'orecchio a Victor che da molto tempo non mi ha più scritto niente. Almeno egli pregasse per me come io prego per lui nella Santa Messa!

                Probabilmente il mese di aprile, piacendo al Signore, l'andrò passare a Roma, e se Ella non viene non mancherò di invocare una speciale benedizione del S. Padre sopra tutta la sua famiglia.

                Dio li benedica tutti, e preghino per me che di tutti sarò sempre in G. C.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 19 - 76

 

                P. S. Non ho potuto vedere e ringraziare chi mi portò la lettera.

 

F.

 

                Stimabilissima Signora,

 

                Ricevo con piacere notizie di Lei e di tutta la sua famiglia, e godo che Dio li conservi in buona salute. Ringrazi la buona Mamma della limosina di f. 100 che mi manda. A una grande carità nelle attuali nostre strettezze, motivo di più di pregar per Lei.

                Io prego e farò pregare i nostri giovani affinchè, specialmente Victor, siano tutti colmi di celesti benedizioni.

                Scrivo sulle mosse di partire, perciò mi raccomando, alle preghiere di tutti, mentre con profonda gratitudine mi professo in G. C.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Borgo S. Martino, 26 - 6 - 76.

 

G.

 

                Preg.ma Signora,

 

                Mi ha fatto piacere darmi notizie del Victor e di, tutta la sua famiglia, e benedico il Sig. che siano riusciti i suoi esami, e che abbia riacquistata la sua sanità. Però non si spingano troppo gli studi. É meglio ritardare un po' gli esami, che compromettere la sanità.

                Nella seconda metà del pr. Gennaio, a Dio piacendo, andrò a [632] Nizza e poi a Marsiglia. O nell'andata o nel ritorno farò una fermata a Cannes per fare una breve visita a sua Madre e sua sorella.

                Da Nizza le scriverò il giorno del mio arrivo a Marsiglia. Mons. Arcivescovo (sic) mi offre caritatevolmente alloggio presso di Lui, ma la prima visita sarà per la sua famiglia.

                Dio benedica Lei, il caro Victor, Monsieur l'Abbé, e preghino per questo poverello che le sarà sempre in N. S. G. C.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 15 - 12 - 76.

 

 

H.

 

                Mio caro Vittorio,

 

                Coi tuo frequente cangiare domicilio fa (sic) sì che un giorno o l'altro tu te ne voli al Paradiso senza che io sappia donde ne sei partito. Non è vero? Ad ogni modo ora so che sei a Tolosa e lo so da Roma, ove io ricevo la tua cara lettera.

                Comincio per ringraziarti della graziosa offerta che mi fai de' tuoi risparmi a favore de' nostri poveri giovanetti, che certamente pregheranno per te, per tua mamma e per le persone che mi raccomandi.

                Ho pensato e studiato sull'affare di cui parli di cameriere segreto di S. S.; cosa che è difficile per la grande difficoltà di parlare al S. Padre, tanto meno poi trattare affari. Nota che sono quaranta giorni da che sono in Roma e non ho ancora potuto avere un minuto di udienza, avendo il S. P. finora tenuto il letto. Tuttavia m'adoprerò e se mi si renderà possibile, non mancherò di accoglierne l'occasione.

                Io mi raccomando alle tue preghiere, a quelle di Mamà e di M. l'Abbè. Dio ci benedica tutti e ci conservi sempre nella sua santa grazia, mentre con cristiana affezione mi professo di cuore.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Roma, 2 febbraio 78

                Torre Specchi 36.

 

                P.S. Ho ricevuto la lettera di annunzio della morte di tuo zio Sig. Mettelretto e non mancato di pregare e far pregare dai nostri orfanelli.

 

I.

 

                Benemerita Sig. Cesconi,

 

                La bontà della Mamma compensa largamente l'impossibilità del Vittorio. Esso studia pei suoi esami; Dio lo benedica, e Maria sempre per lui Sedes sapientiae. [633]

                La ringrazio della bella lettera che mi scrive e dei cristiani auguri che mi fa. Dio la esaudisca ed io possa salvarmi l'anima.

                Io pregherò e gli esami di Victor riusciranno tanto più che Ella promette un'offerta pei molti nostri bisogni, se quelli avranno buon esito, come io spero.

                Questa mattina una pia Signora di Preglia, ma dimorante in Torino, mi portò f. 20 da parte di V. S. pel Bollettino Salesiano. La ringrazio. Il Bollettino, le missioni, la nostra congregazione vanno assai bene.

                Ieri abbiamo aperto una casa a Lucca, oggi una a Chieri, Lunedì la terza a Marsiglia.

                Dio ci aiuti a corrispondere alle grazie del Signore e faccia del nostro caro Victor un apostolo di G. C.

                Preghi per me che le sarò sempre in G. C.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 28 - 6 - 78.

 

 

L.

 

                Pregiat.ma Sig.ra Cesconi,

 

                I miei occhi cominciano andar meglio, perciò ripiglio io stesso la solita corrispondenza cogli amici tolosani.

                Grazie a Lei e grazie al caro Victor degli auguri cordiali che si compiacquero di farmi pel mio giorno onomastico e per questo povero prete che non ha altro merito se non quello della loro bontà e carità. Io studierò di contraccambiarli con particolari preghiere, affinchè ambidue possano godere lunghi anni buona salute, e affinchè il nostro Victor possa riportare buon successo nei prossimi esami.

                Al giorno 8 del passato aprile io era per la via di Roma, ma a Torino ho trovato la sua lettera con f. 50 entro chiusi; ora ricevo altri f. 20 per mezzo della Sig. Ragazzoni Maddalena. Oh quanti motivi di ringraziarla! Dio la rimeriti degnamente.

                Io pure desidero poterla ossequiare personalmente e rivedere quel mio piccolo che ora è divenuto grande amico Victor Cesconi. Prima della metà di agosto non ho affari che mi chiamino fuori di Torino e se passeranno in questa città, è indispensabile una loro fermata per discorrere qualche poco in nome del Signore.

                Sarà però bene che qualche tempo prima Ella mi accenni il suo itinerario e farò modo di trovarmi in quel punto di strada per dove Ella avrà meno da camminare.

                Da un anno abbiamo aperto una casa di poveri ragazzi a Marsiglia, che moltiplicò ed ora sono già tre.

                Ogni giorno nella santa Messa io prego per Lei, per suo figlio e per la sua Signora Madre. Dio li benedica tutti e li conservi nella sua santa grazia. [634]

                Raccomando in fine me e li miei poveri giovanetti alla carità delle sante loro preghiere, mentre con gratitudine e stima ho l'onore di professarmi di V. S. preg.ma

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 2 - 7 - 79.

 

 

M.

 

                   Mio caro Victor,

 

                Se desideri di venir a passare una decina di giorni a Lanzo, i nostri esercizi cominciano al sabato sera. Parlane con Maman, e se te ne dà il permesso, puoi venire a Torino e recarti direttamente all'Oratorio, dove la tua camera è già preparata. Al sabato poi pel convoglio delle quattro e mezzo tu partirai con altri per Lanzo, dove io ti attendo. Vediamo se sei un buon guerriero.

                Dio benedica te e Mamma, e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Lanzo Torinese, 9 sett. 79.

 

 

N.

 

                Mio caro Victor,

 

                Grazie cordialissime per gli auguri cristiani che mi fai da parte tua e da parte del Sig. tuo Maestro e della Sig.. tua Madre. Ti prego di ricambiar loro i miei vivissimi ossequii con augurio di elette benedizioni.

                Probabilmente ci vedremo a Roma; ma un po' prima della vostra partenza scrivimi e preparerò terreno per l'udienza dal S. Padre, più un albergo conveniente. Io farò tutto quello che mi dici; ma tu mi preparerai un taschetto di marenghini, non è vero?

                Ora a te. Che scuola fai? Hai tuttora la stessa volontà di farti ecclesiastico? Di sanità stao bene tu, tuo Sig. Precettore e tua Madre? Preghi ancora per Don Bosco? Nota bene che finora non abbiamo mai potuto parlarci mi po' confidenzialmente delle cose dell'anima. Vedi come ho la vena per chiaccherare!

                Dio ti benedica, mio caro Victor, e ti liberi dai pericoli dell'anima, e se mi vuoi bene prega la S. Vergine Maria, affinché mi possa salvare l'anima mia.

                Credimi sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [635]

 

O.

 

                   Stimabilissima Sig. Cesconi,

 

                Ho ricevuto con piacere le sue notizie ed i suoi auguri. Dio li ricambi sopra di Lei, sopra il caro Victor e sopra tutti i suoi parenti.

                Ho pure ricevuto il vaglia di Franchi 60 offerti per le nostre case diverse che in generale tutte reclamano aiuto.

                Voglia fare cordiali ringraziamenti alla Sig. sua Madre e sua sorella, assicurandole che ogni giorno io le raccomando bene di cuore nella S. Messa, come fo per Lei.

                Il S. Padre affidò ai Coop. Salesiani la costruzione della chiesa ed ospizio del Sacro Cuore in Roma. Il medesimo S. P. mi ha ordinato di stabilire alcuni collettori e collettrici; io ho pensato di annoverare anche Lei e il nostro Victor e spero che accetteranno. Datasi occasione, raccoglieranno offerte da' parenti, amici o conoscenti anche in piccole quote di pochi soldi. Procuri soltanto di notar nome, cognome, l'offerta che si fa. Le unisco per la posta alcune circolari, il diploma, ossia modulo di sottoscrizioni. Si ricordi che lavoriamo pel Sacro Cuore, per cui Dio paga generosamente.

                Dio la benedica e la conservi in buona salute e voglia anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 4 - 7 - 81.

 

P.

 

                Benemerita Sig. Cesconi,

 

                Con gratitudine ricevo f. 60 frutto della carità di V. S., di sua Madre e di sua sorella. Io le ringrazio tutte tre e prego Dio che unitamente al nostro caro Victor li conservi tutti in buona salute, ma sempre nella sua S. Grazia. Questa sera a mezza notte li raccomanderò tutti nella S. Messa.

                Mi raccomando in modo particolare alla carità delle sante sue preghiere, mentre ho l'onore di professarmi in G. C.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 24 Dic. 1881. [636]

 

13.

 

Episodio dei 1875.

 

                Lo narra il dottor Giuseppe Albertotti nella prefazione alla pubblicazione postuma del libro di suo padre dottor Giovanni: Chi era Don Bosco. (Biografia fisio - psico - patologica scritta dal suo medico. Genova, Fratelli Pala, 1934. Pag 16 e seg.).

 

                “Una volta all'anno, in quell'epoca, Don Bosco invitava a pranzo - credo il giorno di S. Giovanni perchè era l'onomastico suo e di mio papà - mio padre e mia madre. E nel '75, se non erro, fui invitato anch'io.

                Don Bosco sedeva fra mio padre e mia madre, io vicino a mia madre. Alla stessa tavola sedevano forse una ventina di sacerdoti fra cui mi ricordo l'allora Don Cagliero. Non c'era punto musoneria, e chi teneva allegra la conversazione era naturalmente Don Bosco.

                Verso la fine Don Bosco volle farei assaggiare una buona bottiglia di vino del Monferrato - mi ricordo che era vino nero - , ed un vicino a me si accinse a stapparlo. Avviò nel tappo il cavatappi e poi alzatosi e posta la bottiglia fra le ginocchia e tenendola con la mano sinistra, inutilmente con la destra tentava di tirar su il tappo.

                Don Bosco, ciò vedendo, si rivolse a questo Don e gli disse:  Dalan poch sì a mi chi son d'bosch (dalla un po' qui a me che sono di Bosch, ossia di legno) facendo il doppio gioco di parole tra bosch, legno, ed il suo cognome Bosco.

                Prese la bottiglia e stando seduto la posò sulla tavola. Colla mano sinistra l'afferrò pel collo oltrepassandolo in alto di un dito trasverso. Colla mano destra afferrò in direzione opposta il gambo non elicato del cavatappi rimasto fuori del tappo, così che i due pugni si incontrarono al disotto dell'assicella orizzontale del cavatappi, colla parte inferiore della quale era a contatto la parte superiore - pollice ed indice - del pugno destro. Che è che non è, girò i due pugni in modo che, mano mano si alzava il pugno di sotto, si alzava, senza perderne il contatto, il pugno destro. Tutto ciò senza scomporsi, ed il tappo venne fuori benissimo. Si applaudì e si bevve”.

 

14.

 

Lettera di don Bosco a monsignor Garga.

 

                Era Vescovo Coadiutore di Novara. L'aveva incontrato a Ovada nell'occasione narrata a pag. 365 del vol. XI. L'autografo nel 1899 era posseduto da Don Giuseppe Diverio di Mondovì, già segretario del Cardinale Alimonda a Torino. [637]

 

                Carissimo e Rev.mo Monsignore,

 

                Ebbi un bel cercarla ma non mi fu più possibile rinvenirla. Le acchiudo il nome di quei due. Domenica facciamo la distribuzione dei premi ai nostri giovani; Ella non potrebbe aggiungere un nuovo sacrifizio e venirla a presiedere? Certamente troveremmo tempo a parlarci con qualche agio e chi sa che qualche progetto non si possa effettuare?

                Benedica me e la nostra famiglia e mi creda colla massima venerazione

 

Umil. Servitore

Sac. G. Bosco.

 

                Ovada, 31. - 8 - 75.

 

 

15.

 

Lettera al maestro Dogliani.

 

                Il maestro Dogliani, che, com'egli ci disse, aveva avuto qualche grosso dispiacere, ne scrisse a Don Bosco a Roma. Lo dovette fare in termini tali, che meritò di ricevere una bella risposta. Il biglietto è senza data; pare che sia del 1875 o del 1876.

 

                Caro Dogliani,

 

                Bravo! Con piacere ho ricevuto e letto la tua lettera. Continua a santificare i tuoi compagni e a santificare te stesso.

                Dio ti benedica e prega per me che ti sarò sempre in G. C.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Saluta da parte mia il cav. Pelazza, il march. Barale, e Cottino il poeta[400].

 

16.

 

Primo incontro dei marchese di Villeneuve - Trans

con don Bosco.

 

                Relazione di una figlia del marchese di Villeneuve - Trans, religiosa dei Sacro Cuore. Ce la inviò nel marzo del 1934.

 

                C'était pendant l'hiver de 1879 que nous passions à Hyères: on avait espéré que ce doux climat serait favorable à la santé de mon père sérieusement ébranlée par des deuils successifs. Mais ni les sourires de la nature ensoleillée, ni les efforts de la science, joints [638] à tout ce qu'avaient pu suggerer l'affection et le dévouement, n'avaient produit l'amélioration désirée, car le mal ne cédait pas. Mon père était soigné par le Docteur d'Espiney, un grand chrétien celui-là même qui devait, un jour, être l'historien de Don Bosco.

                Convaincu de l'inefficacité des moyens humains, le bon docteur n'hésita pas à recourir aux surnaturels.

                Sachant que Don Bosco devait venir à l'orphelinat de la Navarre, il résolut de conduire à son malade celui que déjà l'on vénérait comme un saint. Quoique bien petite alors, j'entends encore avec quel accent mon père nous dit: Un saint va venir à la maison. Premier bonheur qui devait se r renouveler bien des fois. Je vois encore Don Bosco entrant dans le salón appuyé sur deux de ses prêtres, son air de bonté, son sourire si fin et si bienveillant; il bénit mon frère et moi.

                Puis, que se passa-t-il dans l'entretien qu'il eut avec mon père?... Je sais seulement que Don Bosco l'engagea à prier Notre Dame Auxiliatrice, puis à venir à Turin le 24 mai, en pèlerinage d'action de grâces. Ceci se passait en février, et le 24 mai, il venait accomplirson voeu et rendre grâces à sa céleste bienfaitrice, dont la protection devait se faire sentir si constamment à son foyer. Son premier soin .lu retour, fut d'élever la Statue de la Madoné sur une colone de granit dans sa propriété; chaque jour, il venait à ses pieds, apportant des fleurs entretenues avec amour, et tenait à ce qu'aucun de ses enfants . n'homit de l'honorer.

                Don Bosco fut toujours vénéré comme un saint dans la famille. Tout ce qui avait été à son usage, était gardé comme des reliques. Mon père portait toujours sur lui l'image de Notre Dame Auxiliatrice, au revers de laquelle Iron Bosco avait tracé quelques lignes; il l'appelait son passeport et il voulut procurer à chacun de ses aînés un semblable talisman, qu'ils conservèrent précieusement. Son dévouement à l'oeuvre salésienne fut la deuxième forme de la reconnaissance de mon père. Le triomphe de Notre Dame Auxiliatrice et les progrès merveilleux de ces oeuvres furent toujours pour son coeur des sources de joie.

                A. M. V. T.

 

17.

 

Tre lettere di Don Bosco al prevosto di Casorzo.

 

                Questo parroco era don Felice Bava. Gli originali si conservano nell'archivio parrocchiale di Casorzo Monferrato.

 

A.

 

                               Car.mo nel Signore,

 

                Ho ricevuto lire 26 che Ella ed altri caritatevoli oblatori offrono alla chiesa di M. A. ove saranno usati ad estinguere le spese di costruzione [639] e spero che la Santa V. proteggerà codesta parrocchia e spanderà copiose benedizioni su tutti i suoi parrocchiani come ne la prego di cuore. Dio ci aiuti tutti a perseverare nel bene e raccomandandomi alla carità delle sante sue preghiere mi professo con gratitudine profonda verso tutti gli oblatori e verso di lei in particolare

 

Obblig. servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 13 Luglio 68.

 

B.

 

                               Car.mo Sig. Prevosto,

 

                La ringrazio, Sig. Prevosto, della caritatevole sua cooperazione per le nostre opere di carità. Fosse vero che il quod superest date eleemosynam fosse da tutti inteso come ben lo intende la S, V.!

                Le accludo la lettera per Don Vincenzo Dalla Valle. La legga per sua norma e poi la chiuda facendosi protettore nostro presso di questo sacerdote. Se mai può incontrare qualche persona cui si possa parlare di carità, mi aiuti facendo rilevare le strettezze in cui mi trovo per vestire circa 300 tra preti e chierici e sostenere le opere cominciate vicino ai templi e alle scuole protestanti.

                Intanto secondo la facoltà ricevuta, dalla S. Sede, alla S. V. come ad insigne benefattore della umile nostra congregazione le concedo:

                I° Facoltà di benedire, medaglie, corone, crocifissi con tutte le indulgenze di S. Brigida e di S. Domenico.

                2° Applicare indulgenza plenaria a tutti gli ammalati che dovesse visitare e che fossero alquanto gravi in malattia.

                3° Facoltà di leggere e ritener libri proibiti. Exceptis de obscenis.

                Voglia gradire, o caro Sig. prevosto, questo rispettoso attestato di gratitudine e preghi per me che le sono in n. S. G. C.

 

                B. S. Martino, 14 die. 80.

 

C.

 

                Car.mo Sig Prevosto,

 

                Non potè venire. Mi rincresce, pazienza. Non mancherò di pregare per Lei e pel Sig. Don Vincenzo Dalla Valle. A nome di esso ricevo L. 40; da parte di v. s. una rendita nominale di lire 500. Dio renda il centuplo di questa carità. Spero vederla a Torino, mi fermerò in questa città fino al 22 prossimo Gennaio, epoca della partenza dei nostri missionari.

                Raccomando alla sua carità e preghiere le cose nostre e il povero Don Bosco che le sarà sempre in G. C.

 

Ottimo amico

Sac. Gio. Bosco. [640]

 

18.

 

Lettera di ringraziamento.

 

                É indirizzata alle due giovani figlie del signor Bòffano, notaio di Cuneo.

 

                               Stimabilissime Sig.re Boffano,

 

                Ricevo con gratitudine la vostra offerta e vi ringrazio. Non manco di pregare per voi. Dio assista la vostra età e vi illumini a conoscere la vocazione e farvi santo. Fede, coraggio, pazienza, e Dio farà il resto.

                Il Signore vi benedica e vi conservi tutte due nella santa sua grazia e per la via del cielo. Pregate anche per me e per la mia numerosissima famiglia (150 m.) e credetemi sempre in G. C.

 

Umile servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Torino, 29 nov. 1882. [641]

 

LETTERE A CLARA LOUVET

E AI CONTI COLLE

 

I.

A Clara Louvet.

 

1.

                               Charitable Mademoiselle,

                Une très bonne pensée a été sans doute d'envoyer. un billet de 800 f. pour nos oeuvres. L'avantage a été tout pour vous; car le centuple a deja commencez à decourir le jour et le moment de la expédition. D'autant plus que d'ici à mon voyage à Aire (avril) vous avez temps pour preparer d'autre argent. N'est ce pas, o charitable Mademoiselle?

                Je regrette beaucoup que l'age et la maladie de Monseigneur Scott augmente tousjours. Je prierai bien pour lui dans la Sainte Messe et nos enfans feront, ou mieux ont faites bien des communions et des prières.

                Pour vous et pour votre guide ayez patience; Dieu reglera vos affaires spirituelles et temporelles pour sa gloire. Mais en attendant tachez de vous approcher à la sainte table le plus souvent que vous pouvez, et quand vous, pour quelconque raison, pouvez pas vous approcher, donnez vous aucune peine. Vos peines vous me les direz et je tacherai de vous donner des adresses et des conseilles.

                In fin les Salesiens, et les sueurs de N. D. A. vous remercient de vos bontès pour eux, et tout le monde prie pour vous, vous font des augures et desirent ardemment de vous revoir parmi nous.

                Que Dieu vous benisse et fassè descendre les bénédictions du ciel [642] sur vous, sur votre famille, sur toutes vos affaires avec la pérsévérance dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez aussi vous prier pour ce pauvre prêtre qui avec gratitude vous sera à jamais en, J Ch.

                Turin, 1-1882.

Humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

2.

                Mademoiselle,

                Votre voyage a été bon! Dieu soit beni! Mais au lieu de procurer de vous reposer quelques jours, vous vous avez donné soin à chercher de l'argent pour nos pauvres orphelins et pour nos jeunes hommes qui étudient pour la pretrise.

                Pour tant j'ai reçu deux mille f. qui ont été envoyés de votre charité. Je vous remercie avec tout mon coeur et pour vous temoigner ma reconnaissance le jour de la fête-Dieu je dirai la sainte Messe et nos enfants feront leur saintes Communions selon votre intention. Vous bien va-t-il?

                En attendant je vous assure que moi et toutes les personnes qui ont eu le bonheur de vous voir et de vous connaitre ont été vraiment edifiés de votre pietè et de [votre] charité. La même chose on a remarquèe de Mademoiselle des Lions. A Dieu soit la gloire.

                Vous me promettez de completer la somme que votre pietè a bien voulu promettre. Mercie, charitable Mademoiselle; je l'accepte avec la plus grande gratitude devant Dieu, mais je me recommande que vous fassiez tout à votre aise et dans temps et mesure que vous le pouvez.

                Et Mademoiselle des Lions a t'Elle aussi faite bon voyage? Ni vous ni Elle et vous n'avez vous rien soufferte dans la longue route? Que la grâce de N, S. J. Ch. soit tous jours avec vous, et vous conserve en bonne santé et sainteté bien long temps sur la terre et un, jour vous donne le grand prix du Paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez bièn prier pour le pauvre D. Bosco et pour ses enfants pandant que je serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 31 mai 1882.

Oblige humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

3.

                               Mademoiselle,

                Je crois que ma lettre se sera croisée avec la vôtre. Là je vous disais que j'avais reçu le g mille f. et maintenant je vous participe la reception des deux mille fermes dans la dernière des vos lettres. Vos intentions seront fidelment exécutées. [643]

                Dix mille fs comme bouquet de bonne fête de S. Jean! O Mademoiselle, si tout le monde qui vient dans ce jour là, fassiait des bouquets de cette façon je serais un autre Rodeskuil[401]. Mais pour moi il y a seulmerit une Madlle Clara Louvet et j'en suis très content. Mais je veux que S. Jean vous paye la fête, et pour l'obliger dans ce jour là je dirai moi même la Ste Messe à l'Autel de Notre D. A. et nos enfans feront des prières, leurs communions selon votre intention.

                Dans votre lettre vous me dîtes que vous coute beaucoup à ne conserver aucune reserve pour les années mauvaises. Ce n'est pas comme ça. Je veux que vous conserviez toutes vos rentes, et que vous les mettiez à l'interet du centuple sur la terre et en suite la vraie recompense à conserver pour tous jours au Paradis. Comprenez? Je l'espére. Mon but a tous jours été de faire tout mon possible de detacher les coeurs des mes amis des choses miserables dé ce monde et les éléver à Dieu, au bonheur éternel.

                Vous voyez, Mademoiselle, que je cherche de vous rendre riche ou mieux de faire fructifier les richesses de la terre, qui se conservent très peu, et les changer dans des trésors eternes pour tousjours.

                Vous me demandez: dans quelle oeuvre vous pouvez bien placer vos economies?

                Je crois qu'elles seront très bien placées venant en aide de l'Église et du S. Père qui se trouve dans les necessitès; venir en aide des oeuvres recommandées par le même S. Père, comme la batisse de l'église et de l'orphelinat du Sacré Coeur de Rome; aider les oeuvres qui ont pour but d'adresser la jeunesse à la prêtrise. En un mot faire des prêtres mais des bons prêtres qui gagnent bien des âmes à Dieu.

                Si vous avez patience de lire et si vous comprenez ma mauvaise écriture je continuerai l'argument.

                En attendant, que Dieu vous bénisse et continuez à prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 17 iuin 1882.

Votre humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

4.

                               Charitable Madlle, Ecoutez une très jolie histoire.

                J'avais à peyer une somme considerable pour notre seminaire des jeunes hommes qui étudient pour la prêtrise; mais ne sachant pas ou la prendre, je disais avec moi même: si je ne serais pas in [644] discret, je voudrais recourir à, Mlle Louvet; mais elle nous a donnée, elle nous donnera et pour cela discrétion.

                En attendant vient le jour 14 juillet, j'avais recueilli quelques choses, mais il me manquait encore deux mille francs à compléter la somme nécessaire. Mais voila la Divine Providence! Vient le courier, il porte une lettre chargée, valeur declarè deux mille f:

                Mais comment? C'est le bon Dieu qui a suggerè à Madlle Louvet d'avanger son 'offrande, envoyer son argent qui arrive au moment de peyer.

                Dieu soit béni, et vous mille fois remerciée.

                Maintenant je veux écrire en Amérique que dans lés quinze colomnies, en baptisant les orphelines sauvages qui vient à la foi, au moins une fille pour colomnie[402] reçois le nom de Clara dans son baptême et qui soit obligèe prier pour vous toute sa vie.

                Du notre coté nous continuons tous les jours à prier pour vous soit dans les prières privées comme dans les communes.

                Ma santé et mes affaires empeche d'aller faire le baptem de l'enfant de Madame de Villeneuve, mais dans le cas que vous veniez je vous en prie de me le faire connaitre, car il faut absolument que nous nous voyons et nous nous parlions.

                Pour les affaires publiques soyez tout affait tranquille. Vous n'avez rien à craindre.

                Continuez faire chaque matin la Ste Communion. Vous dites de craindre qui soit pour habitude. Quand l'habitude est bonne et qui nous guide au bien, nous devons la suivre et la pratiquer.

                Vous êtes loin d'ici, mais vous avez chaque jour un memento tout particulier pour vous dans ma messe.

                Que Dieu vous bénisse, vous conserve en bonne santé, et veuillez  aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 15 juillet 82.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

                PS. Comprenez vous ma mauvaise écriture? Aimez mieux que je me serve de mon segretaire qui écrit assez bien?

                Turin 10 aout 1882.

 

5.

                               Mademoiselle,

                Nous sommes à la fête de Ste Clara et je veux pas vous oublier dans ce jour là. Voila mon humble bouquet. Le 12 de ce mois je dirai la Ste Messe, nos enfans feront leurs prières et leurs Stes Communions [645] selon votre intention et pour vous remercier de la 'charité que vous nous avez faite en plusieures occasions.

                En réponse dé votre bonne lettre je vous dirai: Dans l'hiver prochain, si le Bon Dieu nous l'accordra, je ferai une promenade de Turin-Nice-Marseille-Lyon-Paris. Peut être que nous ayons- les moyens de nous encontrer. Pour le moment il y a pas grànde necessitè de traiter des affaires personnelement. Nous pouvons nous écrire et nous entendre de tout ce qu'il faut de faire.

                Madame de Villeneuve pour aller à Nice ou à Marseille avec sa famille passera sans doute a Turin, et j'êspère de les voir et leur parler.

                La petite croix que je vous ai envoyée signifie que Dieu parmi les croix et parmi les épines vous prépare bien dés fleurs. Mais de cela donnez pas vous de la peine. A son temps je vous dirai tout.

                Vous me dîtes que vous désirez de me faire une offrande de deux mille fs à quelques occasions. Mais puisque nous nous trouvons tousjours et surtout dans ces moments. en besoin d'argent, je crois qui sera mieux d'avanser l'offrande; car ainsi vous vous anticiperez le centuple devant Dieu, et nous pouvons nous secourir au plutôt,

                Oh que Dieu vous bénisse, o Mademoiselle Clara; Dieu vous conserve en bonne santé et vous conserve une place à côté de N. D. A. au Paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez bien continuer à prier pour ce pauvre prêtre qui sera à jamais en J. Ch.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco.

                PS. Mes hommages à votre compagne, s'il vous plait.

 

6.

Turin, 5 sept. 1882.

                               Mademoiselle Clara,

                Je vous'écris non pour vous demander de l'argent mais seulement pour vous augurer une bonne fête de la nativité de la Ste Vierge. Dans ce jour là je prierai e nos enfans prieront aussi pour votre santé et pour toute vos bonnes intentions. Ma Ste Messe, la communion de nos enfans seront pour vous: Vous bien va-t-il?

                Que Dieu vous benisse et la Ste Vierge vous protege tousjours et veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui sera à jamais en J. Ch. -

Obligé humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

                Mon adresse: Jusque au 12 - S. Benigno Canavese. De 12 au 20 - Sampierdarena. Depuis Alassio - jusque au fin du mois. Depuis: Turin, [646]

 

7.

                               Mademoiselle Clara,

                Le jour 8 de ce moi je serai à Turin pour attendre votre arrivé. Vous pouvez -venir vous avec une compagne ou deux, il y a de la place pour tout votre monde.

                Vous me dirai seulements l'heure que vous arriverez à Turin afin que vous puissiez etre reçues à la gare.

                Dieu vous benisse dans votre voyage. Nous enfans prieront pour vous et toutes les matinès je ferai un souvenir pour vous dans la Sainte Messe en vous assûrant que je serai toujour en J. C.

                San Benigno Canavese, 5 ott. 1882.

Obligé humble serviteur

Abbé JEAN BOSCO.

 

8.

                Mademoiselle Clara Louvet,

                J'ai reçu votre bonne lettre qui me donne de vos nouvelles mais très peu.

                Je crois qui soit tout bon. Vous demandez une réponse pour Mr l'abbè Engrand. Je deja répondis et je lui répondrai une autre fois., je prie avec tous nos orphelins et dans la sainte Messe je ferai tous les matins un souvenir pour lui dans la sainte Messe (sic). Qu'il ait une grande confiance en notre Dame Auxiliatrice, et puis il sera sans doute exaucé pourvu que nos prières soient pas contraire au bonheur éternelle de son âme.

                Je charge la Ste Vierge a lui porter une particulière benediction.

                Vous lirez dans les bullettins la Consacration d'Eglise de S. Jean Evangeliste. On a vu un spetaclee vraiment miraculeux. Mille à mille les hommes venaient à faire leurs confession e communion avec une dévotion toute particuliers.

                Que Dieu vous bénisse, o Mademoiselle Clara, que vous conserve en bonne santé, avec la paix du coeur et avec la tranquillité d'ésprit et veuillez aussi prier pour ce pauvre qui ávec gratitude vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 2 novembre 82.

Humble serviteur

Abbè JEAN Bosco. [647]

 

9.

                               Mademoiselle Clara,

                C'est la Ste Vierge qui me pousse vous écrire dans ces jours. En reconnaissance des vos bontés nous voulons faire quelques choses qui vous soit agrèable. Pourtant vendredi tous nos enfans (150 mille) feront des prières et leurs communions à votre intention e le pauvre D. Bosco, ne pouvant pas faire mieux, il dira la Sainte Messe pour vous afin que Dieu vous benisse et la sainte Vierge vous protege tousjours et soit votre aide dans les dangers, soutien au point de la mort, joie au Paradis. Vous bien va-t-il? Mais chaque chose a son temps.

                D. Rua, D. Lazzero, D. Cagliero et autres se rappelent à votre souvenir et vous presentent ses respectueux hommages.

                La même chose font nos sueurs, qui se souvient très bien de votre visite et désire beaucoup de vous revoir, mais pour bien des jours, des semaines, et..... pour des années[403], mais surtout au temps de la grande chaleur à faire une retraite à Nice de Monferrat 0ù vous êtes bien attendue.

                Pour moi, si la France sera tranquille, je partirai au 20. du jenuier prochain. Gênes, etc Nice, Alpes Marit., Cannes, Toulon, Marseille, Valence, Lyon pour me trouver à Paris à la fin de Mars. Comme vous comprenez ces sont des proges, dont je vous donnerai notice bien avant de les mettre en exécution.

                En attendant je ne manquerai pas de faire un souvenir de vous tous les matins dans la Ste Messe, et de prier. pour le pretre que vous m'avez recommandé, et dé Mademoiselle des Lyons et pour toutes vos intentions.

                Que Dieu vous conserve en bonne santé, et pour le chemin du Paradis, et veuillez bien prier pour ce pauvre prêtre qui avec gratitude vous sera à jamais en Notre Seigneur J. Ch.

                Turin, 5 décembre 1882.

Obligé Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

10.

                               Mademoiselle Clara,

                Pour ne pas oublier aucune chose des vos lettres je écrirai cronologiquement. Je commence pour vous remercier de la très bonne quete que vous avez faite pour l'église du Sacré Coeur de Jésus à Rome: [648 ] 500 fs. Il y a seulment 6 souscripteurs mais il y a celle de Mademoiselle Clara de 395 fs. Cette dernière offrande regle tout. Que l'enfant Jésus donne le centuple à tons les oblateurs, et je ne manquerai pas de faire bien des prières à leur intention.

                Je vous prié de vouloir bien donner a Mr l'abbé Engrand le billet ici joint.

                Vous direz à Mademoiselle Noemie Sénéchal que sa Messe sera dite et précisément la nuit du Noel avec des prières et des communions de nos enfans. Nos pauvres orphelins vous font des remer-ciment particuliers pour les charités que vous nous faites, car ils se trouvent en la plus grande nécessite. Ils manquent de pain et de habillement dans le frois des nos pays. Pour ce la on prie et on priera dans une manière toute particulière pour leurs bienfaiteurs.

                Avant de fïxer votre voyage pour Rome attendez si les evenemens son tranquils. D'ici au mois d'avril j'éspère que nous pouvons nous parler ou à Aire ou par lettre.

                Nous sommes dans la neuvaine de Noel. Je fais tous les matins un souvenir pour vous dans la sainte Messe. Mais vous prierez aussi pour moi dans vos saintes prières et croyez que je serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 1882-18 décembre.

Humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

11.

                               Mademoiselle,

                Avant de mon départ je dois vous donner comte général de nos affaires.

                Je crois que à cette heure vous avez reçu ma lettre en réponse de la vôtre première. Cette lettre a pas été misé promptement à la poste comme, j'avais commande; vous me pardonnerez, je l'éspère, ce rétard, mais l'argent, fs 500, ont été reçus et j'ai procure de vous remercier avec des prières faites par nos enfans au bon Dieu en particulier pour vous.

                Nos Sceurs me parle bien souvent, elles vous augurent tous les bonheurs, et pour ce la elle font tous les jours un souvenir pour vous dans leurs prieres communes. Elles désirent de vous revoir à bonne saison.

                Je partirai de Turin, si plait à Dieu, le 31 de ce moi. Sampierda-. rena-Varazze-Alassio-Ventimiglia seront pour moi demeure dé quelques jours pour etre à Nice le 15 février. En cas de quelques lettre, votre adresse sera comme suit: Jusque 31. - Turin. Jusque au 15 Alassio Jusque au dernier février Nice Alpes Marittimes. Jusque aux 1o mars Toulon; mais rue la Fayette 7. Jusque au 25 à Marseille. Depuis je ferai connaître ma direction. [649]

                Le mois d'avril je serai à Paris avec l'aide de Dieu. A faire une course à Aire c'est à vous me le dire. La seule personne avec laquelle j'ai des connaissances c'est vous, Mademoiselle. Mais si dans le mois d'avril vous serez ailleurs, je crois mieux mon voyage prolongé pour un autre temps.

                Vous me dîrez: Mais j'ai de l'argent à vous donner si vous viendrez à Aire. Cette affaire sera reglèe à son temps. Nous devons cercher ce que nous cause moins de dépensé, et que vous viendra mieux pour votre santé. Préparez seulment l'argent et puis la poste viendra sans doute à notre aide. Je vous dis cela pour rire:

                En attendant soyez tranquille de toute votre conscience. Je ferai toutes les matinèes un souvenir un memento pour vous dans la sainte Messe, et j'éspère que vous prierez aussi pour moi.

                Dieu vous bénisse, et que la Sainte Vierge vous protege tousjours, veuillez bien prier pour moi qui avec gratitude et reconnaissance je serai à jamais en J. C.

                Turin, 18 gennaio 1883.

                Humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

                PS. Quelle mauvaise écriture!

 

12.

                               Mademoiselle,

                Peu de mots avant de partir. J'ai reçu votre bonne lettre avec i00 francs. Je vous prie de remercier de ma part Mr d'Hagerne en l'assurant que non seulement je prierai; mais je engagerai tous mes enfans à prier beaucoup pour son bonheur spirituel et temporel.

                Je ne manquerai de faire un souvenir pour vous dans la Ste Messe- tous les matins. Un grand virement approche.

                Que nous bénisse et nous protège la Ste Vierge Aux. Vous recevrez au plutôt une lettre. Veuillez bien prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 3o-83.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

13.

Oratoire S. Léon - Marseille, 2 Mars 83.

                               Mademoiselle,

                je suis à Marseille, le Comte et le Vicomte[404] sont aussi ici, et nous nous voyons très souvent et très souvent nous parlons de vous. [650]

                Le premier avril je partirai pour Lyon ;e je espère le 15 toucher Paris. Les derniers du mois je ferai une cours a Lille. Tout ce la si plait à Dieu.

                Nous pouvons nous voir et nous parler à notre aise ou à Paris 0u Lille.

                Le temps est court, mais si vous desirez absolument que j'aille jusque Aire, je tiendrai ma parole, mais si vous le permettez je ferai ce voyage en autre moment quand le temps soit pas aussi pris.

                Que Dieu vous benisse toujours, vivez tranquille et donnez pas vous de la peine ni des affaires publiques ni des affaires privées. Priez bien pour ce pauvre qui vous sera toujours en J. Ch.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

                Adresse à Paris: chez Mme de Combaud 34 avenue de Messine.

 

14

                               Mademoiselle,

                Demain à midi, si plait à Dieu, je serai à Lille chez Mr le Comte de Montigny. Toute le semaine prochaine je resterai dans cette ville. Dieu nous benisse et nous conserve dans sa grâce.

                Au revoir et croyez-moi en J. Ch.

                Paris, 4 Mai 83.

Humble Serviteur.

Abbé J. Bosco.

 

15.

                               Mademoiselle,

                A été une chose singulière. J'ai ecrite une lettre le 12 juillet pour la fête de Ste Clara, et seulment ce matin je m'aperçois en disant ma Messe que allore je me suis trompé. Patience. Ce (=,C'est) mieux avancer que prolonger le bien.

                Toutefois j'ai bien voulu dire la Ste Messe a votre intention a l'autel maitre de N. D. A., et nos enfans ont priès et faits la Ste Communion pour vous.

                Dieu vous benisse et vous conserve en santé et saintetè. Ainsi soit-il.

                Turin, 12 aout 83.

Obligé Serviteur

JEAN Bosco.

 

                Mlle Clara Louvet - Aire. [651]

 

16.

Oratorio di S. Benigno Canavese.

                               Mademoiselle,

                Vos lettres sont toujours prestige de bontè et de charité. Dieu vous recompense largement. Vous envoyez f. 500 pour nos orphelins et nos orphelins feront bien des prières et des communions a vos intentions.

                Je ne manquerai pas de recommander vous, vos compagnes, votre voyage, Mr l'abbé Engrand, tous vos parens et vos amis.

                Je suis bien content d'avoir avec nous le Bon abbé. Qu'il vient avec nous comme chez Lui.

                Mais est ce que vous n'avez pas le courage de lui faire compagnie? L'Orphelinat de S. Gabriel à Lille a été accepté par les Salesiens et je éspère que nous pouvons nous voir bien plus souvent.

                Que la Ste Vierge soit votre guide dans tout le chemin de Lourdes, et vous guide jusqu'à Turin 0ù nos Soeurs vous tienne toujours la chambre preparée.

                Veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui avec la plus sincère gratitude vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 19 aout 1883.

Obligé Serviteur.

Abbé J. Bosco.

 

17[405].

                               Mademoiselle,

                Votre charitable offrande est venue jusqu'à mai sans difficulté: 1000 francs. Les Messes seront exactement et promptement célébrées. Tous les Salésiens, nos élèves et moi feront bien des prières pour vous à toutes vos intentions et surtout pour vos défunts.

                Mais je désire votre paix et votre tranquillité de coeur. Ecoutezmoi. Votre conscience est en bon état; la Sainte Vierge a été établie votre guide; votre Ange gardien vous protège jour et nuit. Pour cela vous n'avez rien à craindre.

                Que Dieu vous bénisse, chère Mademoiselle Clara et que la Sainte Vierge Auxiliatrice soit à jamais votre protectrice, dans le chemin du paradis.

                Veuillez prier aussi pour ce pauvre prêtre qui vous attend ici dans le prochain printemps et plus encore dans la Bienheureuse éternité. Ainsi-soit-il.

                Turin, 9 septembre 1883.

Humble serviteur

Abbé JEAN Bosco. [652]

 

18.

                               Mademoiselle Louvet,

                Peu de choses, mais que ce soit observé avec diligeance. Chaque année:

                Une revue de conscience annuelle en réfléchissant sur lé progrès et le régrès de l'année passée.

                Chaque mois:

                L'exercice de la bonne Mort, avec la confession mensuelle et la Sainte Communion comme si elles étaient les dernières de la vie. Les Prières de la bonne mort.

                Chaque. semaine:

                La Sainte confession; grande attention pour vous rappeler de pratiquer les avis du confesseur.

                Chaque jour:

                La Sainte Communion si on peut la faire. Visite au très Saint Sa-, crement. Méditation, lecture, examen de conscience.

                Pour toujours:

                Considérer chaque jour comme le dernier de notre vie.

                Dieu vous bénisse et la Sainte Vierge vous rende heureuse pour le temps et pour l'éternité. Faire les bonnes oeuvres qui nous sont possible.

                Veuillez prier pour votre pauvre serviteur en jésus Christ

                Turin, 17 Septembre 1883.

Abbé JEAN Bosco.

 

19.

                               Mademoiselle Clara,

                Dans ces jours j'ai étais abîmé dans les affaires. Enfin nos Missionnaires sont partis hier matin par la Patagonie. Ils prieront pour vous, Mademoiselle, ils m'ont assuré que le nom de S. Clara sera imposé à bien des orphelines baptisées parmi les sauvages avec l'obligation de prier bien pour vous toute leur vie. Mais on priera dans une manière toute particulière pour la conservation de votre vue.

                Je vous prie de donner l'immage ci jointe à son adresse avec remerciments. [653]

                La Maison de Lille sera dans nos mains aux prémiers de l'année prochaine.

                Mille benediction à M. l'abbè Engrand. J'espère de vous écrire au plutôt.

                La S. Vierge soit votre guide à jamais.

                Turin, 15 nouv. 83.

Votre humble Serviteur.

Abbé J. Bosco.

 

20.

                               Mademoiselle Clara Louvet,

                Dans ces jours nous parlons bien de vous, de votre charité, et de la esperance de vous voir à Rome dans le coureant de mois prochain d'avril. Vous y viendrez? Je crois que oui.

                Vous bien savez que nous faisons tous les jours des prières à votre intention, mais dans le gran jour de la Noël je vous prie accepter un cadeau de trois messe dites à l'autel de Notre Dame Auxiliatrice avec beaucoup des prieres et des communions. C'est tout pour vous remercier de la charité que vous nous faites; demander à l'Enfant Jesus qui vous conserve en bonne santé bien long temps, qui il vous donne des jours, des semaines, dés mois, des années (un gros nombre) pleines de consolation; et comme couronnement un gran prix au Paradis. Vous bien va-t-il? Ainsi soit-il.

                Tous les Salesiens, toutes les Soeurs Auxiliatrices vous font leurs augures et tout le monde demande votre conservation bien long temps, mais toujours en bonne santé.

                Nos Missionnaires sont partis, nous avons des nouvelles jusqu'à l'Ile de Saint Vincent et pas plus. Les notices du voyage nous les avons pas jusque au quinze de mois prochain.

                Adieu, Mademoiselle, veuillez agreer notre reconnaissance, et de prier pour ce pauvre pretre qui vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 21 dec. 83.

Obligé humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

                P. S. -Au moment de porter la lettre à la poste je recevois la vôtre, qui est, pour ainsi dire, une reponse à la mienne. Très bien. Je vous dirai que jusque à present nous nous sommés pas' aperçu que nos lettres ont été. ouvertes a la poste.

                En ce moment Don Albera et Don De-Barruel sont à Lille pour fixer le jour de l'ouverture d'Orphelinat de S. Gabriel. Nous y irons aux premiers jours de l'année.

                Dans ce moment donnez vous pas de la peine pour fonder des bourse dans cet Orphelinat. Chaque chose à son temps. Maintenant [654] nous avons beaucoup des dettes à payer particulièrment pour la construction de notre Eglise et notre Orphelinat de Rome; et pour les énormes frais que nous devons soutenire pour nos missions et nos missionnaires dans la Patagonie parmi les sauvages.

 

21.

                               Mademoiselle Clara,

                Vous êtes toujours un vraie providence pour nous. Don Rua devait payer dans le courant de cette semaine une dette bien remarcable. Et pendant que nous nous parlions de la manière d'avoir l'argent, voila votre lettre chargée qui nous a portee deux mille francs.

                Dieu soit benis, et qu'il recompense largement votre charité. Nous ferons bien des prières pour vous. Je partirai par Rome peut être au quinze mars pour y rester tout avril. Mais aussitôt que nous aurons établie quelque chose je vous en donnerai participation.

                Je ne manquerai de continuer nos faibles prières pour l'Abbé Engrand, et vous prie, Mademoiselle, de lui faire agréer mes augures et mes respectueux hommages.

                Que Dieu vous benisse, o Mademoiselle, et vous conserve à des longues et heureuses années et puis recevoir la vraie recompense, le vrai prix avec les anges du Paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez aussi prier pour moi qui vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 2-84.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

22.

                               Mademoiselle Clara,

                Vous êtes toujours la Mère provindencielle pour nous et pour nos oeuvres. J'ai retardé de vous repoudre car je desirais de le faire moi même. Donc une chose à la fois.

                Je ai reçu la somme di 800 fs. pour la quelle on fera bien des prières à votre intention surtout dans ces jours de la neuvaine de S. François de Sales.

                Des prières toutafait particulières, des S. Communions seront faites pour votre amie malade Mme Marguerite Mazinguem. Que la Ste Vierge lui porte une benediction speciale qui lui porte et que lui obtient toutes les grâces qui sont pas contraires au bonheur de son âme.

                Par les choses que on publie sur la France restez tranquille, et vous pouvez faire votre voyage de Rome, ou vous trouverez D. Bosco qui vous attendra. [655]

                Pendant le temps de votre absence à Rome vous pouvez remettre vos valeurs à la personne qui vous chargée de les garder ordinairement en ces occasions.

                Toutefois si vous voulez être encore plus sure, vous pouvez les mettre à la banque de D. Bosco qui les gardera, on mieux, qui depensera promptement, mais tellement que les voleurs ne pourront jamais les toucher. Vous bien va-t-il? Voila la manière d'assurer l'argent.

                Vous comprenez, Mademoiselle, que je parle pour rire.

                Vous me demandez quand nos religieux seront à Lille. Ils ont commencés lundi de cette semaine, 'et toute les fois que vous passerez dans cette ville vous pouvez toujours faire un arrêt ou un halte à votre choix.

                Que Dieu nous benisse et nous conserve dans sa grâce jusqu'au Paradis. Ainsi soit-il.

                Turin, 26-84.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

23.

                               Mademoiselle;

                J'entendais pas, Mademoiselle, de vous mettre l'obligation de payer vous même l'argent qui a été volè à la poste. Patience, et maintenant merci à vous.

                Dans les grandes quantités des lettres que nous recevons ce n'est pas possible d'examiner si par hasard une lettre a été ouverte. Toutefois nous nous manquerons pas d'être sur l'avis.

                Si plait à Dieu les derniers jours de mars je serai à Marseille et de là je viendrai de Maison en Maison pour passer avril à Rome; et ou je crois que vous y serez sûrment.

                Deux lignes pour donner à Mlle L. des Lions, je vous en prie. Les autres choses une autre fois.

                Ma poitrine est un peu fatiguée, priez pour ce pauvre pretre qui vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 14 fer. 84.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

24.

                               Mlle Clara Louvet,

                J'espère que votre santè soit bonne, et j'empresse de vous donner l'antidote sûr contre le cholera.

                1. Une medaille de N. D. A. sur la personne. [656]

                2. La jaculatoire: O Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.

                3. Fréquentez la Sainte Comunion. Merci de toutes vos charités.

                Que Dieu recompense largement vos bonnes oeuvres.

                Nous prions pour vous, et vous priez pour nous et notre famille. Ainsi soit-il.

                Turin, 9 juillet 84.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

25.

                               Mademoiselle Clara,

                Je suis ici a Pignerol pour soigner un peu ma paresse. L'Évêque pour moi est un digne père.

                Toute notre Maison est dans une bonne santé; aussi des Maisons de France.

                Le 12 de ce mois tous les enfans et les prêtres prieront à votre intention.

                Que Dieu vous bénisse, que la Ste Vierge protege vous, Mr l'abbé Engrand, vos parens, vos amis. Ainsi soit-il.

                Veuillez bien prier pour ce pauvre prêtre qui avec gratitude davant Dieu et davant les hommes vous sera à jamais en J. Ch.

                Pynerol, 10 aout 84

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

26.

                               Mademoiselle Louvet,

                Quelques mots mais je veux moi même faire la réponse.

                Vous prieres dans ces moments me sont absolument necessaires. Continuez. Votre charité, votre billet de mille f. servira pour une orpheline du cholera et preservera sans doute la personne qui nous fait l'offrande.

                J'ai une grande bonne nouvelle à vous donner. Toutes les Maisons de France, tous les bienfaiteur dé nos orphelins, grâce à N. D. A. ont été préservés du fleau qui aflige la France. La même chose sera de vous, o Madlle Clara.

                Que Dieu vous bénisse, et la Ste Vierge vous protège.

                Ma santé est beaucoup mieux; vendredi, si plait à Dieu, je retournerai à Turin.

                Pignerole, 18 ag. 84.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco. [657]

 

27.

Oratorio di S. Benigno Canavese.

                               Mademoiselle,

                Vous désirez de recevoir des mes nouvelles, -et je suis hereux de pouvoir moi même vous en donner. Ma maladie a beaucoup ameilliorée, et je ai deja pu venir à Sainbenigne afin de recevoir la profession religieuse de nos nouvices. Demain je retournerai à Turin, et je espère que ma santé continuera de bien en mieux. Dieu soit béni.

                Maintenant je veux pas vous solliciter de nous venir en aide avec votre charité, car quand vous en êtes en position vous nous aidez toujours; mais dans ce moment je. me trouve bien en peine pour l'argent. Le choléra nous oblige replir nos maisons d'orphelins et nous savons pas comme faire. Vous prierez et vous ferez tout ce que vous pouvez faire et pas de plus.

                En attendant nous avons prié et nous prierons toujours à votre intention et pour la conservation de votre santé, et surtout que les maux qui tracassent nos pays soient à jamais loin de vous.

                O Marie, conservez votre fille Clara dans le chemin du paradis.

                Ainsi soit-il.

                4 octobre 1884.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

28.

                               Mademoiselle Clara,

                Je m'empresse de vous participer que j'ai reçu votre très bonne lettre avec l'offrande qu'elle contenait. Je vous remercie avec tout mon coeur. Moi, nos enfans feront bien des prières à votre intention.

                Dans le cas que les banquiers de France devoient nous envoyer de l'argent ecrivent tout simplement: Valeur déclaré cents francs. Quelles sommes ce soit, nous est toujour parvenue.

                Tous les Salesiens vous presentent leurs hommages respectueux et prient pour votre bonheur spirituel et temporel.

                O Marié, protégez à jamais votre fille Clara, et assurez-lui le gran prix éternel: -

                Ma santé marche lentement, mais toujours un peu mieux. Veuillez aussi vous prier pour votre humble, obligé en J. C. Torino, 12 oct. 84.

                Fête de la Maternité de Marie.

Serviteur

Ab. J. Bosco. [658]

 

29.

                Mademoiselle Clava,

                Samedi prochain nous commencerons solennelement la neuvaine de la grande Fête de l'Immaculée Conception et je desire que les Salesiens prient dans une manière particulière pour la conservation de votre santé bien long temps.

                Une Messe, des prieres, des communions à l'autel de N. D. A. seront offertes à Dieu à votre intention.

                Le jour de la Fête D. Cagliero sera consacré Évéque, et il vous recommendra beaucoup dans sa Messe.

                Adieu, Mademoiselle; que la Ste Vierge vous guide et vous protège, priez aussi pour toute la famille salesienne et specialment pour le pauvre votre obligé

                Turin, 22 nov. 84.

Humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

30.

                Mlle Clara Louvet,

                je m'empresse de vous participer que j'ai reçu votre très bonne lettre avec le billet de 500 francs, et je vous remercie avec tout mon coeur de votre inepuisable charité. Que Dieu vous donne plusieurs fois le centuple.

                D. Cagliero a été fortement touché de votre souvenir vers de lui. Dans le jour (dimanche prochaine) de sa consecration, il m'assûre de faire des prières toutes particulières a votre intention et pour votre bonheur.

                En attendant je vous prie de rester tranquille sur les evenements de nos temps. Soyez sûre: la Sainte Vierge sera votre guide, votre protectrice dans tous les dangers de la vie.

                Veuillez aussi prier pour ce pauvre qui vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 30 nov, 84.

Obligé humble serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

31.

                Mademoiselle,

                je regrette bien que votre santé soit tracassée dans ces jours. Les prêtres, les abbés, les orphelins prient matin et soir à l'autel de N, D. A. [659]

                Faites vous courage, c'est ne est pas encore votre heure. Craignez rien.

                Acceptez les augures de bonne année de la part de tous les salesiens et de toutes les soeurs qui prient aussi sans cesse pour vous. Adieu. À notre revoir en bonne santé.

                Turin, 8-85.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

32[406]

                Charitable Mademoiselle,

                Pendant que je vous écrivais ma lettre d'augure de bonnes fêtes, vous me prévenez avec votre charitable offrande de 300 francs.

                Que Dieu récompense largement vos prières, vos augures, votre charité. Afin de témoigner notre reconnaissance nous ferons bien des prières à votre intention dans cette neuvaine; nos enfants feront aussi des prières, des Communions, et moi j'offrirai le Sacrifice de la Sainte Messe le jour de Noël.

                Ma santé s'est beaucoup ameliorée, mais je ne suis pas sûr de faire une promenade dans le printemps jusqu'à Lille. Nous verrons. Que la crise agricole ne vous donne pas de la peine. Si les revenus diminuent vous diminuerez les bonnes oeuvres de charité, ou mieux vous les augmenterez, vous consumerez les capitaux, vous vous ferez pauvre comme job et alors vous serez sainte comme Sainte Thérèse. Mais non jamais. Dieu nous assuré le centuple sur la terre; donc donnez et on vous donnera! Avec les fermiers soyez,généreuse et patiente. Dieu esttout puissant. Dieu est votre Père, Dieu vous fournira tout ce qui est nécessaire pour vous et pour eux.

                Relativement à la somme d'argent pour la famille de votre père, dans la crise actuelle c'est difficile de fixer. Je dirais de laisser par testament le somme de 30.000 francs. Vous ferez seulement une note testamentaire. Mais j'espère que le bon Dieu permettra de nous parler personnellement, de nous entendre et de destiner mieux les choses.

                Je vous prie de dire à Monsieur l'Abbé Engrand que je ne l'oublie pas et que toute la maison priera pour lui, et d'une manière toute spéciale pour vous, pour vos parents, vos amis, vos affaires pour le temps et l'éternité.

                Veuillez bien prier pour votre pauvre Don Bosco qui vous sera à jamais en N. S.

                Turin, 20 décembre 1884,

humble serviteur

Abbé J. Bosco. [600]

 

33.

                               Charitable Mlle Clara Louvet,

                J'espère que Notre Dame A. aura continué sa sainte protection et que vous à cette heure vous serez en bonne santé; mais nos enfans, les prêtres; les abbés continuent leurs prières aux pieds de Marie.

                Maintenant avec un ravage horrible les relations[407] ont été. de- - finitivement établies.

                Vous -savez, Mademoiselle, notre catastrophe de l'incendie qui a brulé une partie remarcable de notre maison. Peu près 100.000 mille fs., mais grace à Dieu les personnes ont été toutes sauvées.

                La divine Providence nous a toujours aidés; et dans le moment de besoin exceptionnel ne nous abbandonnera pas-. Je vous recommande une chose seule: soignez votre sante. Des autres affaires nous en traiterons à temps calme.

                Ma santé est toujours bien faible, mais je suis hors du lit et à debarasser mes occupations.

                Je vous prie, Mlle, de présenter mes hommages à Mr l'abbé Engrand et de l'assurer que dans mes pauvres prières je n'oublierai ni lui, ni sa mère.

                Adieu, Mlle, faites courage, j'espère que dans le courrant de l'année nous pourrons nous voir et remercier le Bon Dieu de la santé qu'il nous a accordé.

                Veuillez aussi continuer vos prières pour ce pauvre prêtre qui vous sera à jamais en N. S. J. Ch.

                Turin, I lev. 85.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

34

                               Madlle Clara,

                Votre chrétienne lettre m'a portè promptement le billet de mille fs. envoyés par votre charité.

                Que Dieu bénisse et récompense largement votre charité. Pendant tout le Carême nous ferons chaque jour des prière à votre intention . et particulièrment pour là conservation de votre santé.

                Dans le courant de ces jours vos devez penser ni au maigre ni au jeune: vous en êtes rigoureusement défendue. Laissez que les pécheurs comme D. Bosco, fasse de la pénitence autant qu'il faut.

                Je remercie l'abbé Engrand de l'empressement avec le quel il [661] cerche de placer les billets de Loterie. Je crois qu'il trouvera un bon accueillir gratieusement s'il dira que chaque billet obtient Io jours d'indulgence accordée par le S. Père.

                Je le recommande tous les matins dans la Ste Messe et son entreprise réussira très-bien.

                Ma santé est toujours mieux mais elle marche bien lentement. J'espère beaucoup dans vos saintes prières.

                Que Dieu bénisse vous, Mademoiselle, et avec vous bénisse tous nos bienfaiteurs, et que la Ste Vierge soit leur guide dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.

                Je serai à jamais en J. Ch. Turin, 21 lev. 85.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

35.

                               Mademoiselle Clara,

                A cette heure vous avez reçu ma lettre qui vous participait que la somme di 1000 f. que votre charité nous a envoyé, est venu dans mes mains, et promptement depensèe par D. Rua. J'ai aussi reçu le prix des billets de lotrie, que vous, Mademoiselle, et Mr l'Abbé Engrand avez envoyé.

                Votre dernière lettre parle dé votre santé et du projet que vous avez de faire un voyage en Italie afin de la soigner. Vous ne pouvez pas faire mieux. Quand la chose soit décidée, vous me le écrirez. Nos

                - soeurs vous attendent avec joie. Vous me le direz un peu en avance; si vous serez seule 0u avec une compagne.

                Dans le cas que l'abbé Engrand soit avec vous, il viendra chez nous pour se coucher et pour dîner pendant le temps qui restera à Turin.

                Vous me direz vos intentions et je serai heureux d'être votre humble serviteur dans toutes les choses qui pourront vous aider spirituellement 0u temporellement.

                Toute la maison prie pour vous et attende vous revoir en bonne santé.

                Que Dieu vous bénisse, 0 charitable Clara,- et avec vous il bénisse vos parens et famille Engrand et veuillez bien prier aussi pour moi qui -vous serai en J. Ch.

                Turin, 27-2-85.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco. [662]

 

36.

Vive Mademoiselle Clara et son onomastique.

                Samedi Assomption de la Ste Vierge au Ciel je prierai et fairai prier cette bonne Mère qu'Elle vous vous obtienne genereusement une bonne et durable santé; sainteté, et qu'Elle vous tienne assurée une place chez Elle au Paradis, Mais cette grâce je la demande pour vous, vos parens, vos amis, Mr l'abbé Engrand etc.

                Ma Messe sera pour vous et vous prierez aussi pour moi.

                Adieu, au revoir bien' des fois sur la terre, mais surment un jour au Paradis. N'est ce pas?

                Votre humble serviteur obligé Turin, 12 aout 85.

Abbé JEAN Bosco.

 

37.

                               Mademoiselle Clara,

                je sais que vous désirez de fêter la sainte Vierge en toutes les occasions et surtout dans ses solemnités, et pour ce la je veux vous aider selon ma possibilité. Dimanche, onze octobre, c'est la Maternité de cette Bonne Mère et nos enfans feront bien des prières et des communions à votre intention, et j'aurai la consolation de dire la Ste Messe exclusivement pour vous. Pour vous, pour votre santé; votre sainteté, votre perseverance dans le chemin du Paradis; et tout ce la pour vous donner quelque recompense de la charité que vous nous faites et de l'aide que vous donnez à nos oeuvres.

                Autre chose encore me ecrit Mons. Cagliero. Il à donné le bapteme à une jeune fille sauvage au Rio Negro dans la Patagonie. A. votre souvenir a été lui imposé le nome de Clara Louvet avec la condition qu'elle prie pour vous dans toute sa vie. Je espère de vous donner des autres nouvelles de cette orpheline si elle sera sage comme desirent nos soeurs.

                Adieu, Mademoiselle Louvet, que la Ste Vierge vous guide, et avec vous guide tous vos parens et vos amis surment à nous revoir au Paradis, mais aussi avec le pauvre D. Bosco.

                Priez pour moi et specialement pour les prêtres, qui ne manquent pas de faire tous les matins un souvenir à votre intention. Dieu soit benit.

                Turin, 7 oct. 85.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco. [663]

 

38.

                               Mademoiselle charitable,

                Merci de toute votre charitè. Marie notre bonne Mère vous assurera certainement la récompense que vous désirez et que vous méritez. Le bon Dieu qui nous à écoutés le Dimanche passé, il nous nous écoutera également dans les élections du 18 de ce mois. Continuons nos prières, la Ste Vierge est puissante.

                Je regrette bien que vous ne pouvez pas ni louer ni vendre les terres dont vous parlez. Le dommage c'est pour moi, car moins d'argent pour vous, moins de charitè pour nos orphelins. Mais la Ste Vierge réglera toutes les choses; une meilleure santé, pas de sécheresse dans les campagnes, un peu plus d'abondance dans les fruits metterons tout à sa place.

                Vous, Mademoiselle, me donnez de l'espoir de vous revoir l'année prochaine; ce la pour moi est une grande consolation. Tous les Salé- - siens prient que cela soit une réalitè.

                Nous éspèrons que les affaires publiques et privées le permettront. Agréez l'humble hommage des prières que les Salésiens feront tous les jours à votre intention et veuillez aussi vous prier pour ce pauvre prêtre qui vous sera avec profonde gratitude en J. Ch.

                Turin, 15 oct. 85.

Obligé humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

39.

                               Charitable Mlle Clara,

                Le jour 20 de ce mois commence la Neuvaine de St. François de Sales, et je veux vous envoyer le Roi de France à vous faire une visite et à vous donner l'assurance que aucun malheur vous troublera pas. Pendant toute la neuvaine je dirai la Ste Messe à votre intention; nos enfans feront des prières et des communions pour vous.

                Veuillez aussi unir vos prières aux notres en vous assurant que je serai à jamais en notre S. J. Ch.

                Turin, 16 janvier 86.

Humble Serviteur

Ab. JEAN Bosco.

 

40.

                               Charitable Mlle,

                Nous avons faite la solemnitè de S. François de Sales, et la conference; mais nous n'avons pas manqué de prier bien pour vous et pour votre tranquillité. [664]

                Les journaux publient des desordres dans la France, mais vous soyez tranquille. Rien vous derangera, mais je vous recommande d'avoir sur la personne une medaille de notre Dame Aux.

                Dans ce moment nous avons avec nous trois Missionnaires de la Patagonie: Ils nous portent des très bonnes nouvelles de vos protegés. Ils seront encore avec nous quinze jours.

                Mais dans le courant d'année est-ce que vous viendrez nous faire une visite? Je éspère que oui, car ma santé me tient toute la saison en Valdocco; nos sueurs vous attendent avec impatience. Tous les Salesiens vous presentent leurs hommages, prient pour vous, et tous avec moi se recommandent a vos saintes prières pendant que la Ste  Vierge vous protegera et vous guidera sure dans le chemin du Paradis. Ainsi soit-il.

                Turin, 7 lev. 86.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

                P. S. Si vous en avez l'occasion je vous prie de saluer et d'assurer nos Coopérateurs d'Aire que je ne manque pas de les reeommander tous les jours dans la sainte Messe.

 

41.

                               Mademoiselle Cl. Louvet,

                Ici dans la Ville d'Alassio et dans notre college je reçois votre très bonne et chere lettre. Les choses dont vous me parlez sont rien en comparezon de l'eternitè. Si nous pourrons nous parler, nous pouvons  regler toutes les affaires, autrement-nous nous entendrons par lettre. En attendant commencez reflecir à deux choses; Io pour vous serait très bon le climat du Midi; 2° De vous debarrasser de toutes choses qui puissent vous donner des soins et des mictions. '

                De ces deux choses il faut que nous en traitons en detaille personnellement.

                Ma santé est bonne à suffisance; je partirai, si plait a Dieu, samedi par Nice etc. jusque à Barcelonne, et les prémiers jours de mai j'espére me trouver à Turin: Vos lettres toujours adressées à Turin.

                De là me seront renvoyées ou je me trouverai tout promptement. D'ici je partirai pour Nice, Cannes, Toulon, Marseille, Barcellone. Depuis je reprendrai le chemin de l'Italie afin d'etre chez moi au commencement du mois de Mai.

                Adieu, Mademoiselle, que la Ste Vierge nous guide toujours par le chemin du Paradis.

                Alassio, 19 mars 86.

Votre obligé Ser.

Abbé J. Bosco. [665]

 

                P. S. Je crois que pour vous serait un bon sejour Alassio pandant l'hiver; à Nice de Monferrat pandant l'etè avec deux chambres préparés pour vous à coté de la maison de nos Soeurs. De la convenance nous parlerons verbalment.

 

42.

                               Charitable Mlle Louvet C.

                Ma santé m'a obligé de suspendre toute sorte d'occupations. Maintenant je suis à même de commencer faire quelques choses et me trouve en devoir d'ecrire les prémieres paroles à vous, o charitable Mademoiselle,

                Avant de tout je vous dirai que les affaires qui nous regardent ont été réglè par Don Rua selon vos intentions manifestées dans vos lettres et à moi même. Pour cela nous pouvons rester entièrement tranquils.

                Et vos femmes de maison font bien leur service? la patience est toujours en bonne condition chez vous et dans la famille? Restez tranquille en France; rien vous derangera et si sera quelq derangemēnt n'ira pas jusque à vous.

                Pour quinze jours je serai avec l'Eveque de Pinerol. Ici ma santé ameillore sensiblement.

                Tous les Salesiens prient tous les jours à votre intentione. Dieu nous bénisse, -et que la Ste Vierge vos protège et vous aide à lire ma mauvaise écriture. Ainsi soit-il.

                27 juillet 86.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

43.

                Ste Clara, priez pour nous et tout specialment pour votre. prote gée dont Elle porte aussi dignement le nome. Que Dieu la bénisse, et que la Ste Vierge lui obtient la paix de CUOEUR, la perseverānce dans les bonnes oeuvres et tous les Salesiens prieront chaque jour que sa charité soit largement recompensée sur la terre et plus largement encore au Paradis.

                Veuillez aussi prier beaucoup pour ce pauvre prêtre qui avec la plus sincere gratitude vous sera à jamais

                Pinerolo, Villa Vescovile 1886.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco. [666]

 

44.

                               Mlle Clara Louvet,

                Je viens vous donner le bonjour et vous dire que la famille Salé-, sienne est toute recueillie ici à Valdocco. Nous sommes à la Toussaints et je ne veux pas que vous restiez oubliée dans nos prières.

                Pendant cette Neuvaine nous dirons tous les jours une Messe, des Communions pour, vos parents vivants et défunts, mais dans une mesure toute spéciale nous voulons prier pour votre santé et sainteté. O Marie, guidez toujors nous dans le chemin du Paradis.

                Turin, 20 oct. 86.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

45.

                               Mademoiselle,

                Votre charité à été très bien placée; et votre billet de mille francs nous aide puissamment à complire l'expédition de nos Missionaires en Patagonie et au Brésil. Pourtant nos Missionaires non seulement prieront pour vous, mais les sauvages sauvés par votre charite vous obtiendront de large récompense.

                Moi, tous les Salésiens feront des prières spéciales pour votre santé et sainteté et aussi pour les domestiques de votre famille et pour la réussite de toutes vos affaires.

                Adieu, Mademoiselle, que la Ste Vierge vous guide dans tous les dangers de la vie jusque au Paradis.

                Veuillez aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 16 nov. 86.

Très humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

46.

                               Charitable Mlle Louvet Clara,

                L'avenir dans le monde est bien sombre, mais Dieu est Lumiere et la Ste Vierge est toujours stella matutina. Confiance en Dieu, et en Marie; craignez rien. Je puis tout par celui que me fortifie, Jesu Christ.

                Patience. La patience nous est absolument necessaire pour vènere le monde et nous assurer la victoire et entrer dans le Paradis. [667]

                Que Dieu récompense largement la charitè de 500 f. che nous faites[408]. Toute notre maison continue prier a votre intention.

                Adieu, que Marie soit votre guide, priez pour nous et pour nos Missionaires.

                9 decembre 86, Turin.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

47.

                               Charitable Mlle Louvet,

                Vous êtes la charité personnifiée. Bien d'actions de grâces pour toute la charitè che vous nous usez dans le courrant de l'année. Vos pieuses inténtions seront suivies et les messes seront dites selon vos desires.

                Dans les choses dont vous parlez voilà mon avis: Vous ferez toujours les bonnes oeuvres que vous pouvez faire à present, sans vous engager pour, le temps avenir; car me semble que les temps que nous traversons donne ce conseil: faire ce qu'on peut, mais sans prendre des engagement en suite.

                Le bon Dieu nous aidera, la Ste Vierge nous guidera,

                Que Dieu vous bénisse et qu'il récompense largement votre bonté et charité. Ainsi soit-il.

                Turin, 26 dec. 86.

Humble obligé servit.

Abbé J. Bosco.

 

48.

                               Mlle Louvet,

                Le jour 20 de ce mois commence la neuvaine de S. François de Sales et nous voulons pas vous laisser toute seule à prier; moi, tous les Salessiens feront chaque jour des prières, des communions pour vous, et je ferai tous les matins pour vous un souvenir pour vous (sic) dans la Ste Messe.

                Je ne manquerai pas de prier aussi pour un Monsieur, dont me rappel pas du nome de ce moment, mais que par vos mains a bien voulu faire une genereuse offrande à nos orphelins.

                Adieu, Mlle Clara, que Dieu vous conserve la paix du coeur, la tranquillité de l'âme et la persévérance jusque au Paradis. [668]

                Que Dieu conserve aussi l'abbé Angrand toujour en bonne santé. Les hommages e les prières de tous lés Salesiens.

                Marie soit notre guide.

                Turin, 16-87 (r).

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

49.

                               Mademoiselle Louvet,

                Je n'ai pas plus reçu de nouvelles de votre santé depuis les affaires que nous menacent. Deux mots me donneront consolation.

                Nous avons été bien troublés par le tremblement de terre. Nos maisons ont été toutes un peu endommagées, mais l'église, l'orphelinat, les ecoles de Vintemille ont été ruinées. Mais grâce à Dieu les personnes, les prêtres, les éléves ont été tous sauvés. Nous remercions avec tout cuoeur le bon Dieu et notre Dame Auxiliatrice.

                Priez que le Bon Dieu vienne à notre aide dans ce moment.

                Cette année viendrez vous nous faire une visite pour la consacration dé l'Église de Notre Dame de Sacré Coeur de Jesú. On fera l'inauguration le 14 mai à Rome.

                Nous continuons prier pour vous, pour votre paix, votre tranquillité. Je recommande à vos charitables prières tous nos orphelins, nos Missionaires et le pauvre prêtre qui vous sera à jamais en notre Seigneur Jesu Christ

                Turin, 15 mars 87.

Obligé humble serv.

Abbé J. Bosco.

 

50.

                               Madlle Louvet,

                Bonnes Fêtes, Bonne Pacque, au revoire à Turin, ou à Rome, Que Dieu vous bénisse, que il vous conserve en bonne santè et saintetè.

                Tous les Salésiens offrent leurs hommages. Adieu.

                Turin, 10 ap. 87.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

(1) A tergo di un'immagine di S. Francesco di Sales: u O St François de Sales, portez vous même la Ste et puissante benediction du bon Dieu qui lui assure la paix, la tranquillité de votre fille. Elle n'a rien à craindre, nous prierons bien pour Elle».

A Mlle Clara Louvet 29-1887   ??? [669]

 

51.

                               Mademoiselle Louvet Clara,

                je suis à Rome pour la consacration et pour l'inauguration de l'Église et de l'orphelinat du Sacré Coeur; irais le 16 de ce moi, si plaît à Dieu, je partirai pour Turin. Le 18 j'espère de vous voir à l'Oratoire de S. François de Sales a fin de traiter des affaires qui touchent la gloire du bon Dieu et l'honneur de la Ste Vierge Auxiliatrice.

                Que Dieu vous bénisse, et que il récompense largement votre charité, et veuillez bien prier pour nos orphelins qui prient tous les jours à votre intention, comme j'ai l'honneur de faire chaque matin dans la sainte Messe un souvenir pour vous.

                Que Dieu nous guide, et que la Ste Vierge protège dans tous les dangers de la vie tous nos bienfaiteurs. Ainsi soit-il.

                Rome, 3 mai 1887.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

52.

                Collegio-Convitto Valsalice.

                J'espère que votre voyage pour Aire aura été bon et que vous serez en bonne santé comme je demande tous les matins pour vous dans la Ste Messe.

                Vous avez passé quelques jours avec nous, mais à votre départ vous me sembliez bien affligée jusqu'aux larmes. Cela m'a fait de la peine. Peut-être que vous n'étiez pas à jour de mes paroles[409], car je vous ai donné toujours l'assurance que nos rélations sur la terre n'étaient pas durables; mais dans la vie éternelle nous passerons nos jours dans la vraie joie à jamais et nous ne manquerons jamais des choses désirables: in perpétuas aeternitates.

                Maintenant la chaleur menaçait de nous brûler à Turin et pour cela je suis venu à Valsalice où je me porte beaucoup mieux pour grâce à la fraîcheur du climat. Ici nous manque seulement votre présence pour refaire un peu nos forces. Patience, je ne manquerai pas - de faire chaque matin une prière spéciale dans la Sainte Messe pour vous et pour Mademoiselle Lyons.

                Monsieur l'Abbé Engrand se porte-t-il mieux? Sa santé lui permetelle de travailler? Tous les Salésiens parlent de vous, 'de votre charité, mais tout le monde m'assure de faire chaque jour des prières pour vous.

                Et la guerre? Restez tranquille; quand je verrai un petit danger je vous le dirai promptement, puvour que je sois encor parmi les vivants. [670]

                Que Dieu vous bénisse, charitable Mademoiselle, que la Sainte Vierge vous conserve en bonne santé longtemps mais toujours et sûrement dans le chemin du Paradis.

                Adieu, priez pour ce pauvre prêtre qui vous sera à jamais en JésusChrist.

                12 juin 1887.

Obligé serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

53.

                               Mademoiselle,

                A Votre place au Paradis est preparée et crois assuré, mais vola devez encore attendre pour quelque temps.

                Je reçois la charité que envoyez à nos orphelins; que Dieu vous récompense largement. Don Rua est mieux; le comte Colle c'est pas mieux. Nous prions.

                Que Dieu [bénisse] vous, l'Abbé Engrand e nous guide tous dans le chemin du Paradis. Amen.

                Priez pour moi.

                Lanzo, 4 juillet 1887.

 Obligé serviteur

JEAN BOSCO.

 

54

                               M.lle Clara,

                Je suis à Lanzo; ma santé est un peu mien, et la votre? Je ne manque pas de prier tous les jours à votre intention. Le Paradis quand est ce qu'il viendra nous faire une visite? Nous l'attendons aussitot qui plairà au bon Dieu.

                Je recommande Don Rua à vos bonnes prières: sa santé n'est pas comment on desire.

                Dans ce moment il est à Toulon chez le Cte Colle qui est serieusement malade.

                Que Dieu nous bénisse et que Marie soit notre guide dans les dangers jusque au Paradis. Ainsi soit-il.

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

55.

                               Mademoiselle Clara Louvet,

                La Sainte Vièrge dans le grand jour de sa naissance vous fasse une visite et vous porte bonne santé et saintete et qu'Elle nous accorde la grace de nous voir encore bien de fois sur la terre, mais de nous [671]

                trouvé surement un jour au Paradis pour louver et benir le Bon Dieu eternellément.

                Votre santé c'est bonne? La mienne c'est tant soit peu mieu. Que Marie nous guide.

                Valsalice, 4 sept. 1887, Turin.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

56.

                               Mlle Clara Louvet,

                Je désire de vous assurer que dans la grande fête de la Naissance de la Ste Vierge nous prions beaucoup pour vous; pour votre saintè spirituelle et temporelle.

                Vous prierez pour moi et pour tous nos eléves et nous tous prierons sans cesse pour vous.

                Le 8 de ce mois nos orphelins feront la Ste Communion à votre intention.

                Que Dieu nous bénisse et que la Ste Vierge soit notre guide au Paradis.

                Turin (Valsalice), 5 sepl. 87.

Obligé Serviteur

                P. S. Ma santé est mieux. Abbè J. Bosco.

 

57.

(Da spedire dopo la morte del Santo).

                               A Mademoiselle Clara Louvet,

                Aires sur Lys. Pas de Calais.

                Je dois partir avant vous; mais je ne manquerai jamais de prier pour votre bienheureuse éternité. Continuez à soutenir nos orphelins et nos orphelins vous feront couronne quand les Anges vous porteront un jour à jouir de la gloire du Paradis.

                O Marie protégez à jamais votre fille.

                Veuillez prier pour le repos éternel de ma pauvre âme.

                Turin.

Toujours obligé serviteur

Abbé JEAN Bosco[410] [672]

 

II.

Ai Conti Colle.

 

1.

                               Madame,

                Plusieurs fois je ai reçues de vos,nouvellēs, plusieurs fois j'ai priè pour vous et pour votre famille. Mais j'oblierai jamais de faire un souvenir dans la Sainte Messe pour notre cher Louis.

                A propos de cet enfant vous devez vous tranquillisez,. Il est surment sauve, il demande de vous deux choses: Vous preparer serieusment pour aller, quand à Dieu plaira, -a le rejoindre au Paradis; priez beaucoup pour lui, pandant qu'il vous obtiendra des grace particu- lieres pour vous.

                Les autres choses je veus pas les metre sur le papier. Notez seulment: Votre Louis vous attende du Paradis.

                Quand on vous dit que dans le mois de mai aviendra une catastrophe publique, croyez pas. Demandez seulment là Brace de bien mourir.

                Dieu vous benisse, o charitable Madame Colle, Dieu vous vous donne bonne sainte et la perseverante dans le bien.

                Je vous prie de presenter mes respectueux hommages à Monsieur Colle, a qui je espere d'ecrirē au plustot.

                Priez pour moi et pour nos pauvres garçons et permettez d'être en J. Ch.

                Rome, 4 mai 81.

                Porta S. Lorenzo 42.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

2.

                               Stimabilissimo Sig. Avv. Colle,

                Vedo che la Sig. di Lei moglie è alquanto inquieta di quello che non voleva confidare alla carta. Per questo motivo le dirò qui in poche parole la sostanza delle cose. Il cuore dei genitori era troppo affezionato al loro unico figlio. Troppe carezze e ricercatezze; ma egli si conservò sempre buono. Se fosse vissuto avrebbe incontrato grandi pericoli da cui forse sarebbe stato strascinato al male dopo la morte dei [673] genitori. Perciò Dio lo volle togliere dai pericoli, prenderlo con se in cielo, donde quanto prima sarà il protettore de' suoi parenti e di coloro che hanno pregato o pregano per lui.

                Dal canto mio ho pregato e faccio ancora pregare in suffragio dell'anima del caro Luigi in tutte le nostre case. Giacché sono a Nizzà, credo possano fare una passeggiata amena fino a Torino.

                Io li attendo con gran piacere. E Maria Ausiliatrice non mancherà di regalare 'ad ambidue qualche consolazione.

                Dio la benedica, sempre caro Sig. Avvocato, Dio benedica Lei, la sua Sig. Moglie e li conservi in buona salute. Vogliamo anche pregare per me che le sarò sempre in G. C.

                Torino, 22 Maggio 1881.

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                P. S. Nel loro arrivo a Torino vadano direttamente all'Albergo della Dogana Vecchia dove saranno ben accolti. Tutti poi sapranno condurli qui al nostro Ospizio.

 

3.

                               Cher Monsieur Colle Chav. Avv.,

                Dans les jours passés j'ai êté aussi assiegè par des affaires, que il m'est manqué le temps de vous repondre et de vous remercier de tous vos bontès que vous et Madame nous avez bien prodiguèes en venant chez; nous.

                Néanmoins je n'ai pas obliè de prier pour vous, ô très cher M. Colle, et de me occuper de l'affaire de Comte de la Ste Eglise Romaine. Il y a environ un mois que j'ai envoyé telle demande a Monseigneur l'Eveque de Frejus à fin qu'il assure qu'elle est pas contraire à la véritè. Peutétre que Monseigneur soit en tournée pastorale. Mais si vous avez des occasions de dire un mot a cet egard, vous reveillerez son attention sur ma lettre, et sur mon exposé au St Père.

                Quelque chose j'écris a Madame Colle et vous serez assez bon de vouloir bien lui la remettre.

                J'éspère que votre santé soit bonne, et je prie de tout mon coeur à fin qu'elle vous soit conservée bien long temps à la consolation de vas parents, des vos amis parmi les quels je desire et je veux absolument être des primier en me disant in J. Ch.

                Turin, 3 juillet 81.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco. [674]

 

                               Madame Colle,

                Ma maniere d'agir vous aura sans doute persuadée que j'ai oublie votre visite, vos attentions et vos charités. Mais je vous prie de vouloir bien excuser ma position. J'ai été comme assiegè de mes affaires qui m'ont vole tout mon temps.

                Mais malgrè mon retard toutes les matins j'ai tousjours fait un particalier souvenir pour vous, pour M. Colle et pour celui qui nous a quitté pour s'en aller au paradis. Plusieurs fois j'ai priè à fin que Dieu nous - fasse connaître quelque chose. Une seule fois j'ai eu la consolation de le voir et d'ecouter sa voix. Le 21 juin passé pandant la Messe, près de la consacration j'ai le vu avec sa mine ordinaire, mais de la couleur de la rose dans toute sa beauté et d'un teint resplendissant comme le soleil. Tout de suite j'ai lui demandé s'il aurait peut etre quelque chose a nous dire. Il repondit simplement: S. Louis m'a beaucoup protegè, il m'a beaucoup benifiè. Alors j'ai repetu: Est ce qu'il y a quelque chose à fair? Il a repetu la même reponse et puis il est disparu. D'alors je n'est plus ni vu ni entendu rien.

                Dans le cas que Dieu dans sa misérièorde infinie daigne nous faire connaître quelque chose, je m'empresserais de vous en donner promptement la communication.

                Maintenant je vous prie de vouloir bien moi donner des nouvelles de votre santé qui sera, je l'èspère, qui soit ameliorèe notablement. Moi, nos enfants prions pour obtenir de bon Dieu cette grâce que je demande tous les jours.

                Monsieur Colle dans sa grande bontè il a bien voulu me dire qu'il mettait sa bourse à ma disposition. Jusque a present j'ai pu marcher, mais en progrè des mois je prevois que je serai obligè de me rappeller a sa charité. Mais ce la sera seulment pour un cas de necessitè e dans le borne de votre possible.

                Dieu vous beuisse, o charitable mad. Colle, Dieu vous conserve en bonne santè et saintetè, et veuillez bien prier pour moi qui serai-à jamais en J.Ch.

                Turin, 3 Juillet 81.

Humble Serviteur

Abbé JEAN BOSCO.

 

5.

                               Mon très cher et vénéré Chevalier,

                Un peu de Vermouth, c'est une chose à rire; mais dans votre grande bontè vous avez bien voulu l'agréer. Je suis très heureux que une petite chose a pu vous soulager, quelques instants. [675]

                Mais la chose très importante a été sans doute votre lettre précédente. Elle me donne lá précieuse notice que vous donnerez 20 m. francs pour l'église du Sacré Coeur de Rome. Cela est vraiment venir en aide de la Sainte Religion catholique et de son Chef dépouillè. Dieu -

                vous donnerà le centuple maintenant et plus encore à son temps dans l'autre vie; mais le Souverain Pontif et touts les bons chretiens et les honnêtes hommes béniront votre charité.

                Votre lettre a produit en moi une vraie surprise par son élégance, et par sa forme très complie. Vous l'avez sans doute écrite currenti calamo. Mais cette lettre sera toujours un modèle et une règle parfaite pour lettre à écrire. Je l'ai lue et relue et j'ai cru de faire une oeuvre honorable à vous et à la même ville de Toulon en l'envoyant au St Père, et fera connaître que les avocats à son temps unissent la science et la piétè. Dieu soit béni en toutes choses! Je mette ici quelques mots pour Madame Colle, et je vous prie de vouloir bien, de lui les remettre.

                Adieu, mon très cher et très respectable ami, permettez moi cette parole, Dieu vous conserve en bonne santé bien long temps sur terre et le bonheur éternel un jour au Paradis; mais avec Madame, avec moi, avec notre aimable Louis en compagnie pour tousjours. Ainsi soit-il.

                Je me recommande à votre bonne prière en me disant en J. Ch. S. Benigno Canavese, 30 août 1881.

Votre Humble Serviteur et Ami

Abbé JUAN Bosco.

 

6.

                               Madame Colle,

                Je vous écris cette lettre, Madame, pour vous presenter mes respectueux hommages et vous donner quelque notice.

                Pendant l'octave de l'Assompsion de la Ste Vierge Marie et plus encore le 25 de ce mois j'ai priè et fait prièr pour notre cher Louis. Précisément ce 25 à la consacration de l'a Sainte Hostie, j'ai eu la grande consolation de le voir habillè en maniere la plus splendide. Il était comme dans un jardin ou il se promenait avec des compagnons. Tous ensemble ils chantaient Jesu Corona Virginum, mais avec telle union des voix et telle harmonie que n'est pas possible de l'exprimer ni de la décrire. A milieu d'eux existait un haut pavilion ou tente. Je desirais de voir et de écouter la merveilleuse harmonie; mais dans ce moment une lumiere très vive comme une èclaire m'a oblige de fermer mes yeux. Depuis je me suis trouvé à l'autel en disant ma Messe.

                La miné de Louis était très joulie; il semblait très content ou mieux parfaitement content. Dans cette Messe j'ai bien voulu prier pour vous [676] à fin que Dieu nous accorde la grâce singullière de nous nous trouver un jour tous ensemble recueillis au paradis.

                Dieu vous bénisse et priez pour moi qui serai à jamais en J. C. S. Benigno Canavese, 30 août 1881.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

7.

                               Mon très cher et Bon Ami,

                J'ai reçu les notes que vous m'avez envoyes de notre tousjours regretté Louis, et je me suis empressé de les lire avec attention. C'est la chose qui je désirais. Maintenant il faut la compléter et pour cela ayez patience de moi recueillir: 1° Les mots, les paroles, quelques pensès qui peut-être il a exprimé avec ses parents, ou en donnant de l'aumone aux pauvres, en faisant l'obeisance, en parlant de la religion etc.

                2° Les actions plus edifiantes en rapport à la mortification, à la patience, à ses parents, aux amis, aux pauvres.

                3° Les circonstances particulieres de sa visite au Saint Père. Ce que a dit l'un et l'autre; et surtout quelque mot du St Père.

                4° La même chose dans la visite des Sanctuaires, de quelque église, de fonctions plus solennelles etc.

                Je crois que en parlant avec Madame Colle vous pourrez vous rappeller à la memoire bien des choses edifiantes et très utiles pour une biographie comme la notre.

                Pour ne pas multiplier le travail je crois qui sera mieux que j'écrive en français, depuis je la ferai revoir par un ami, mais avant de la emprimer vous la verrez, e vous y ferez toutes vos observations et modifications.

                Notre une chose: Il faut que vous mettiez pour un moment l'humilité à part et que vous me disiez les bonnes oeuvres aux quelles vous prenez soin ou que vous protegez, les associations ou quelques bienfaisances publiques: chaque mot, chaque acte de vertu tiendra très bien sa place.

                Donc ayez la bontè de me aider dans l'acueuil de cettes notices et puis je mettrai toutes les choses à sa plâce.

                Que Dieu vous benisse, o mon tres cher et bon ami, et avec vous benisse Madame Colle et vous conserve tous les deux en bonne santé bien long temps. Veuillez aussi prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch. S. Benigno Canavese, ce 4 oct. 81.

Votre Ami et Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

                P. S. Andresse: Tousjours à Turin. [677]

 

8.

                               Mon très cher Mons. le Chevalier Colle,

                J'ai reçue votre très aimable lettre de 17 de ce moi avec la quelle vous me donnez des autres renseignements sur la Biografie de , notre tousjours bien aimé Louis. Toute chose quoique petite serve à rendre importante notre oeuvre qui avance tous jours et qui on peut dire faite en trois quart. J'espère que au mois de jenvier prochain de la porter avec mois en vous faisant une visite.

                Je veut pas laisser passer la neuvaine de l'Immaculée Conception sans prières pour vous, bien aimé Monsieur, et pour Madame Colle votre epouse.

                La veille de cette grande fête je dirai la Sainte Messe et nos enfants feront la Sainte communion à l'autel de notre Dame Auxiliatrice selon votre entention et celle de Madame.

                Dieu vous benisse, cher Monsieur et avec vous que Dieu benisse Madame Colle et vous conserve en bonne santè bien long temps, mais tousjours, dans sa grâce.

                Veuillez aussi prier pour moi qui serai a jamais en J. Ch. Turin, 27-II-81..

Obligé humble Serviteur

Abbé J: Bosco.

 

9.

                               Mon cher et Respectable M. Colle,

                Peu de mots mais je veux vous ecrire avant de la fin de l'annèe. La Biographie de notre bon Louis est terminè. Il y en a plus que de la lire et en faire un exemplaire, que je porterai avec dans mon prochain passage par Toulon. C'est indispensable que nous la lisions ensemble.

                La pratique de notre affaire à Rome est chez le Cardinale Jacobini qui me donne la chose faite, mais ROUA È ETERNA, on dit, même dans les affaires.

                D. Perot m'écrit très souvent de vous et de Madame. La construction de la Navarre marche trè vitement et j'espère que nous puissions aller faire un visite aux travaux mais ensemble, et passer un jour parmi nos orphelins. Dîtes le a Mad. Colle.

                Dieu vous benisse, o mon chèr Chevalier, et vous respectable [678] Madame Colle, que Dieu vous conserve tous le deux en bonne santé et dans sa sainte grace bien long temps.

                Veuillez aussi prier pour moi et pour ma nombreuse famille et me permettre d'être à jamais en J. Ch.

                Turin, 30 dec. 81.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

10.

                               Mon très cher et respectable Ami,

                Je devais vous écrire en avance mais je étais dans le désir de vous donner des notices un peu positives. Donc je suis à Rome; j'ai deja vu le St Père avec le quel je me suis bien long temps entretenu a causer de vous et de Madame. Je lui dis des offrandes pour l'eglise de Sacré Coeur de la Navarre; de la fonction de la pierre angulaire et des autres oeuvre de charité aux quelles vous et Madame vous êtes devouè. Il a ecoutè avec une atention toute paternelle et en suite il m'a chargè de vous communiquer la bénédiction apostolique à vous, Monsieur Colle, et à Madame en m'assurant qu'il aurait bien prier aussi pour votre santé, et pour la patience et perseverance dans la grâce de- Dieu.

                En fin il a ajouté: Et la decoration dont vous m'avez faite demande? Saint Père, je lui répondis, je l'atends tousjours.

                Mais comment? O negligence! negligence! Passez tout de suite chez le Cardinal Jacobini; il vous dira ce qu'on a fait.

                Le Card. Jacobini ou le Secrétaire d'état de S. S. m'a tout promptement reçu, il a fait quelques excusations et il m'a assuré que avant de mon depart de Roule on me sera donné le Bref que je espère de vous presenter à Turin.

                A Turin, Monsieur et Madame, a Turin paur la fête de N. D. A. ou je espère que nous pourrons nous entretenir a parler de nos affaires. Que Dieu vous benisse, o charitable Ami, et avec vous benisse Madame Colle et vous accorde la grâce de vivre en paix et sainteté sur la terre, et de parvenir un jour au paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez aussi prier. pour moi qui avec gratitude sincere je serai à jamais en N. S. J. Ch. Rome, 2 mai 82. Porta S. Lorenzo 42.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco. [679]

 

11.

                               Mon très cher et très Bon Ami,

                Me semble incroyable d'avoir passé aussi long temps sans vous écrire! Pardonnez ma négligence; je tâcherai de faire mieux pour l'avenir.

                J'ai reçu avec la plus grande reconnaissance vos augures pour, la fête de St Jean. A été une grande fête; fête de coeur qui m'a causée des larmes bien des fois.

                J'ai aussi reçu les photografiès de notre bon Louis, elles ont été placées dans le livre. Cette Brochure fait du bruit chez nous, et on faite la traductiòn en italien pour la faire imprimer.

                Le Bref de Rome on peut l'appeler le Bref des contrariétés. Il m'a été envoyé à Turin; je lis et je trouve: Monsieur: tomes Colle Dioecesis Taurinensis. Je l'ai tout de suite envoyé à Rome, et j'attends la correction.

                A Turin, dans notre Collège de Lanzo, de S. Bénigne, dé Valsalice on a parlé et on parle beaucoup de vous et de Madame Colle. Tous ont été édifiés de votre popularitè, de votre esprit de piété pratique. Vous nous avez fait du bien et spirituellement et temporellement. De tous côtés on m'assûre de prier sérieusement pour vous, Monsieur et Madame Colle.

                Dans cette occasion je vous fais bien des actions de grâce pour l'aide que vous nous donnez pour établir, réparer, agrandir nos maisons. Les âmes que les Salésiens, avec l'aide du bon Dieu, pourront sauver seront pour vous; et quand vous et Madame entrerez dans le paradis vous serez sans doute reçus par les âmes qui ont été sauvées par votre charité. Animam salvasti, animam tuam praedestinasti. J'éspère de vous écrire autre chose entre peu de jours.

                D. Rua, D. Cagliero, D. Durando, D. Lazzero et on peut dire tous les Salésiens d'ici se rappèlent à votre bon souvenir, se recommandent à vos bonnes prières, et vous présentent leurs respectueux hommages.

                Que Dieu vous bénisse tous les deux, vous conserve en bonne santé et veuillez bien prier aussi pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

Votre ami très dévoué et très humble Serviteur

Abbé JEAN BOSCO.

                (Senza data. Il bollo postale è del 4 luglio).

                PS. Mr L'abbé de Barruel et l'abbè Reimbaud dèsirent de vous présenter leurs particuliers hommages. [680]

 

12.

                               Mon très cher Monsieur Colle,

                Depuis un très long attendre je reçois dans ce moment le Bref de la part du St Père.

                On peu pas désirer mieux, mais je veux que vous soit présenté convenablement. Pour cela je charge l'abbé Perot afin qu'il complete la demarche et vous en donne communication un jour fixé. Il vous demandra si vous aimiez une visite à votre ville, ou à Toulon, ou peut-être preferable a la Navarre dans l'occasion de l'inauguration de la toiture de la nouvelle maison. Vous ferez comme vous et Madame vous sera plus agréable.

                Je vous ecrirai encore un autre moment,

                La grâce de N. S. J. Ch. 'soit tousjours avec vous et avec Madame, et veuillez bien me considerer parmi les amis un des plus affectionnés et plus devouès Serviteurs

                Turin, 19 juillet 1882.

Comme fils en J. Ch.

Abbé JEAN Bosco.

 

13.

                               Mon très cher et très bon Ami,

                J'ai bien des choses à vous dire dans cette lettre. J'ai reçu votre bonne lettre du 19 de ce mois qui contenait 20 fr. offerts par le domestique d'un de vos amis malades. Nous avons priès avec nos enfans afin d'obtenir pour lui une bonne santé.

                J'ai aussi recu la somme de f. go de part de Mr l'abbè Payan merveille de la Biographie de notre tousjours cher Louis. Je lui ecrirai une lettre pour le remercier.

                Pour repondre aux 130 f. envoyés pour le Sacré Coeur il me faut quelques détails: le jour peu près, e si la somme a été envoyée à Turin ou à Rome. Alors je serai à même de vous donner des renseignements exacts.

                Venons maintenant 'à l'affaire plus importante du Bref et du titre hobiliaire. Ce Bref est un document très pretieux pour vous, votre famille et pour l'histoire de l'Eglise. Vous le verrez. Mais chez nous en Italie on peut pas legalement ni porter des décorations ni prendre des titres sans l'autorisation du gouvernement. Mais vous êtes Avocat, vous savez ce que on devoit faire en France. Je desire seulment que un document de cette façon soit conseigné avec convenance et en suite publiè par le journaux.

                Appendice di documenti 681 Je suis très content que votre santé et la santé de Madame soit bonne et je prie le bon Dieu vous conserver en très bonne santé bien long temps.

                Dans le courant de mois d'aout je devrai recourrir à votre charité pour une affaire, mais je vous ecrirai à son temps avec toute confiance. Que Dieu soit avec vous et avec Madame et veuillez prier bien pour ce pauvre qui vous sera à jamais coinme fils en J. Ch.[411].

                Turin, 30 juillet 82.

Humble Serviteur ,

Ab. JEAN Bosco.

 

14.

                               Madame Colle,

                J'ai la consolation de vous dire que j'ai eu la consolation de voir notre tousjours cher et aimable Louis. Il y a bien des details que j'espère de vous exposer personnellement. Une fois je le vu qui s'amusait dans un gran jardin avec des compagnons habillès richement mais d'une façon qu'on peut pas décrire.

                Une autre fois je le vu dans un autre jardin, ou il recoeuillait des fleurs et qui il portait dans un gran salon sur une table magnifique. J'ai bien voulu demander: Pourquoi ces fleurs?

                J e suis chargè de recueillir ses-fleurs, et avec ces fleurs faire une couronne pou mon père et ma' mère, qui ont beaucoup travailler pour mon bonheur.

                J'ecrirai autres choses un autre moment.

                Que Dieu vous benisse, o Madame, et vous conserve en bonne santé et veuillez prier aussi pour votre en J. Ch.

                Turin, 30 juillet 82.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

15.

                               Monsieur Le Comte,

                Je suis ici à San Benigno Canavese ou je parle très souvent de vous et de Madame avec D. Barberis, D. Rua, D., Durando ed altri che non ebbero la buona ventura de faire votre connaissance chez nous. Mais dans ce moment, comme j'ai deja eu l'honneur de vous ecrire, je me trouve dans grand besoin d'argent pour nos jeunehommes [682] qui se preparent à la prêtrise et à devenir missionaires à l'ētranger.

                Si vous, Mons et Madame Colle, si vous pouvez venir à mon aide pour acheter du blé et faire du pain pour lés habitans de cette Maison et pour pourvoir des objets qui nous vienent d'être demander de Carmen en Patagonie, vous ferez sans doute une grande charitè.

                Les autres fois vous veniez volontairement, maintenant je suis moi même que je demande. Mais je vous prie de traiter avec moi, comme je traite avec vous: avec toute confiance. De sorte si vous pouvez pas dans ce moment, vous me repoudrez avec toutes confiance: Oui ou non.

                La somme qui me faut est de 12.000. Votre bon coeur fera tout ce que vous pouvez sans vous deranger.

                J'espère que votre santé et la santé de Madame Colle sera bonne et je prie chaque matin dans la sainte Messe afin que Dieu vous la conserve parfaite bien long temps et après d'une vie longue et heureuse sur la terre, la Sainte Vierge vous reçoit avec Elle à jouir la gloire du ciel pour tousjours. Ainsi soit-il.

                Veuillez aussi prier pour ce pauvre qui avec la plus grande gratitude et affection vous sera à jamais en N. S. J. Ch.

                S. Benigno Canavese, 28 août 1882.

Obligé comme fils

Abbé JEAN Bosco.

 

16.

                               Mon  très charitable Mr.,

                J'ai reçu votre très bonne lettre avec toute régularité. Elle contenait six mille f. que votre généreusitè envoyait pour notre necessitè. Nous avons tout de suite payès la dette principale au fournisseur de blé qui refusait deja de nous en donner davantage. Pour cela toute la maison de St Benigne vous rende bien des actions de graces et fera beaucoup des prières pour vous et pour Madame; Colle.

                En attendant nous prierons la divine Providence qui vient à notre aide pour nos missionn'ai're de la Patagonie et des terres du Feu.

                D. Barberis desire lui même de vous faire ses remerciment au nome aussi des élèves qui étudient pour les missions étrangēres. Pour le Bref dont nous avons plusieures fois parlés j'éspère que vous le receverez au pluton par mes mains peut être.

                C'est tout dans les mains de Don Perrot. Je vous écrirai dans peu de jours sur le même sujet.

                Monsieur et Madame Colle, que Dieu vous benisse; mais la plus grande benediction c'est votre détachement des choses de la terre

                Appendice di documenti 683 pour faire des bonnes oeuvres, et ainsi porter votre argent avec vous dans l'eternitè. Que Dieu soit beni; et veuillez aussi prier pour moi qui vous serai à jamais frère, ami, fils et serviteur en J. Ch.[412].,

                S. Benigno Canavese, 6 sept,. 1882.

Avec gratitude

Abbè JEAN Bosco.

 

17.

                               Madame La Comtesse Colle,

                Comme fils affectionné et que chaque matin fait un souvenir pour la bonne Mère en Jesus Christ, je veux pas laisser passer cette neuvaine de la Sainte Vierge Immaculée sans faire des prières particulières pour nous et pour Mr'le Comte Colle. Pour, cela le jour de la grande fête, vendredi 8 decembre, tous les Salesiens, leurs enfans feront des prières, des communions pour vous. Et le pauvre Don Bosco? Je dirai ma Messe dans ce jour la à votre intention.

                Nous prierons que la Ste Vierge vous conserve tous les deux bien long temps en bonne santé, mais tousjours dans sa grâce et sous sa sainte protection jusque au temps que nous serons tous ensemble recueillis avec' notre très cher Louis en compagnie des anges au paradis.

                Notre aimè Louis, notre très cher ami, je l'ai vu plusieurs fois mais toujours glorieux, entourè de lumière, habillé d'une façon aussi [684] eclatante que on peut la voir mais on. peut pas décrire. Verbalement je pourrai vous dire quelque chose de plus.

                J'éspère de vous faire une visite à Toulon au mois de fevrier prochain et de pouvoir passer un peu de temps en votre compagnie et avec Mr le Comte votre bien cher Mari et grand bienfaiteur des oeuvres salesienes.

                En fin le Bref de Rome qui constitue Mr Colle Comte de la Ste Romaine Eglise á été dupliè et vous le recevrez en une maniere convenable par les maines de D. Perrot.

                Que le bon Dieu vous benissè tous les deux, et vous accorde la paix, la tranquillité, et veuillez aussi prier pour moi qui avec la plus grande affection et gratitude je vous serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 4 decembre 1882.

Humble obligé Ami

Abbé JEAN Bosco.

 

18.

                               Mon très chér et Bon Ami,

                Dieu soit beni dans les roses toutes; et dans les épines. Après avoir si long temps attendu, enfin toutes les choses ont été reglées, et malgré le retard le Bref est pervenu et la Sainte benediction du Pape vous a été envoyé.

                Maintenant vous me demandez une chose dont je vaudrais pas parler mais pour obéissance je vous le dirai tout simplement. Vous me dites: c Veuillez me dire en toute confiance ce que je dois donner » pour ce document à la chancellerie du Vatican. Je ne veux pas que » cela vous conte aucuns frais ».

                Or je vous amuserai avec l'histoire de l'affaire. Le St Pere a jamais pretendu de l'argent de moi dans des cas semblables. Cette fois le Souverain Pontif m'a dit plusieures jours: C'est tout fait. Il faut seulement que vous passiez chez son Eminence le Ségrétaire d'état. Ceci me disait tousjours. C'est tout fait, mais on me donnait pas le Bref.

                En fin mon procureur général à Rome se présenta au Cardinal J Jacobini en lui demandant clairment raison de la chose. Allore il a répondu que on devait douze mille francs. On a fait des reclames; on a cherche de parler au St Père, et en fin on reduite la somme à six mille fs. En suite le charge de cette affaire a bien voulu La sua porzione  en disant que lui on devait la taxe de 500 f.

                Pour lever tous les embarras et tous retards j'ai fai payer tout ce que on a du payer c'est-à-dire: 6500 f.

                Mais D. Bosco voulant faire la chose en saigneur se trouva dans la misère et vous a demandè la charité; et vous, sans doute [685] inspiré par le bon Dieu, vous avez lui .envoyé precisement six mille francs.

                Maintenant a été tout payé, et vous devez plus rien à personne du monde or de la patience que D. Bosco a bien vous faite exercer pour lire cette histoire.

                Bon jour mon cher Mr le comte, et mon Ami en Dieu pour tousjours. Que la Ste Vierge protège vous, Madame la comtesse Colle, et vous conserve en bonne santé tous les deux long temps et en fin vous donne, mais aussi à moi avec vous, la gloire du Paradis avec notre bien aimé Louis à jamais. Ainsi soit-il.

                Veuillez prier aussi pour ce pauvre prêtre qui vous [est] tousjours en J. Ch.

                Turin, 13 dec. 882.

Affectionnè comme fils

Abbé JEAN Bosco.

 

9.

                               Mon très cher et Vènere Ami,

                Je me presse de vous donner reception de la lettre et du titre de 6550 fs. dans la même inclus.

                Nous avons reçus cette somme non comme due mais comme charite que vous voulez bien nous faire. E dans ce sens là je reçois avec la plus grande reconnaissance, et puisque cet argent sera employé pour nurir et habiller nos orphelins, je ferai prier nos enfans pour vous, mon très charitable e bon ami, pour Madame votre Eppuse, afin que le bon Dieu vous donne des grandes consolations sur la terre, et le bonheur eternel au paradis.

                E moi quelle chose je ferai pour vous remercier?

                Je ne ai pas de quoi vous donner ni quoi faire pour vous être agréable dignement. Une seule chose me reste et je vous la donnerai avec tout mon coeur. La nuit de Noel, si plait a Dieu, je dirai à minuit les trois Messes avec la . S. Communion de nos enfans, de nos abbés. J'offrirai tout au bon Dieu et à la très Ste Vierge à votre intention et a l'intention de Madame.

                Il y a bien des choses à vous dire, mais ce la formera notre entretien à Toulon, si Dieu nous accordera cette grâce.

                Que Dieu vous bénisse, Mr e Mad. le Comte et Comtesse Colle, la Ste Vierge vous conservent a mon affection et à l'affection de tous les Salesiens qui avec moi prient tous les jours pour vous pendant que je serai à [jamais] en J. Ch.

                Turin, 20 dec. 1882.

Obligé et aflectionnè comme fils

Abbé JEAN Bosco. [686]

 

20.

                               Monsieur Le Comte Colle et très cher Ami,

                Malgré la bonne volonté de vous écrire, il m'est pas réussi jusque à présent. Je vous direz en peu de mots que grâce à Dieu ma- santé est bonne et j'ai travaillè sans cesse. Dieu soit béni!

                A Marseille il y a quelque chose à régler pour mieux assurer aux Salésiens la propriète de là Navarre: vous pouvez nous aider en calculant l'offrande que vous faites pour notre orphelinat, qui puisse ra-présenter des actions de la Société Beaujour: Don Albera notre Inspecteur passera à vous expliquer clairement les simples formalités qui sont à accomplir.

                Je porte toujours avec moi le doux souvenir des vos bontés,  attentions et charités, que vous m'avez largement prodigués bien des fois et singulierement dans les jours que j'ai eu l'honneur et la consolation de passer chez vous à Toulon.

                Vous comprenez; Mr lé Comte, que les choses que je écris à vous, je entends de les dire à Madame la Comtesse Colle, que dans ce moment nous pouvons vraiment appeler charitable Mère des Salésiens. Dans leurs endroits, et dans leurs occupations ils ne manqueront pas de prier pour votre santé et pour votre conservation.

                Que Dieu vous bénisse, et que la Ste Vierge vous protège à jamais et veuillez bien prier aussi pour moi qui avec la plus grande reconnaissance je vous serai en J. Ch.

                Valence, 5 avril 1883:

Obligé humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

                PS. L'abbé De Barruel vous écrira quelques notices en détails. À Turin et à S. Bénigne on a reçu avec enthousiasmé la notice que pour l'année prochaine ou mieux dans l'automne prochain par votre' charité ils auront une nouvelle maisons pour les enfans de Marie[413]. [687]

 

21.

                               Mon très cher M. le Cte,

                Je suis en route par Paris. Ici à Moulins me reste quelques' heures que bien voulontiers j'emploie à vous écrire. Je parle trés souvent de vous et de Madame la Comtesse avec l'Abbé Barruel et j'espère que votre santé soit -bonne toujours comme je demande chaque jour au quand les personnes qui attendaient d'un autre côté, se sont aperçues qu'elles étaient trompées dans leur attente elles se sont mises à courir der-. rière la voiture, quelques unes du moins; c'était une spectacle qui portait à rire, mais de consolation, en voyant une si neuve manifestation d'enthousiasme et d'affectueuse vénération.

                Dom Bosco descendait chez un grand négociant d'ornements pour églises. Tout le magasin, et il est très profond, était rempli de personnes rangées sur deux files et attendant que Dom Bosco passa au milieu d'elles pour leur donner sa bénédiction.

                Le lendemain matin, Dom Bosco a dit sa messe au Couvent des Dames du Sacré-Coeur, où ma soeur Berthe est religieuse.

                Après la messe Dom Bosco s'est trouvé litteralement assiégé par une multitude de Dames qui toutes voulaient une petite bénédiction parti-' culière et la satisfaction de dire le petit mot de rigueur.

                Dom Bosco, sur les instances de Monsieur l'archiprêtre, curé de St Agricol a dû accepter de faire un sermon à 4 heures du soir (le mardi) dans l'Eglise de St Agricol. Cette grande église était pleine de fidèles; le lendemain à huit heures Dom Bosco y a dit également là messe avec le même concours de personnes.

                Une jeune fille Mlle Almaric qui la veille était à toute extrémité, s'étant trouvée beaucoup mieux après avoir reçu la bénédiction de Dom Bosco, avait voulu venir entendre sa messe; elle est arrivée soutenue par deux personnes; et, en s'en allant, elle marchait toute seule; nous avons su depuis que la guérison s'est maintenue.

                Je reprends à Tain le vendredi, ma lettre interrompue à. Valence.

                Il me devient presque impossible d'écrire quoi que ce soit d'un peu suivi.  Avant de célébrer la Ste Messe à St Agricol, D. Bosco avait dit, la veille, sa messe au Couvent des Dames du Sacré-Coeur. Il y avait -aussi un très nombreux concours.

                A Valence excellent accueil. D. Bosco a dit la messe à St Apollinaire; puis il a fait le soir un petit sermon suivi de la bénédiction du Très Saint Sacrement dans la chapelle des Soeurs .de la Trinité.

                Nous sommes arrivés à Tain hier soir à huit heures et demi; pour nous rendre chez notre hôte Mr Du Boys nous avons traversé le jardin des Soaurs de St Marthe.

                Les bonnes Sueurs attendaient D. Bosco. Elles avaient organisé une petite illumination avec lanternes vénitiennes.

                Leurs enfants étaient réunies ainsi que la communauté et toutes ont reçu la bénédiction de Dom Bosco.

                Agréez, Monsieur, pour vous et Madame la comtesse, l'hommage de mon respect.

                C. DE BARRUEL prêtre. [688]

                Bon Dieu. L'abbé Barruel vous écrira des nouvelles de nostre voyage[414].

                Je n'oublie pas de prier tous les matins pour vous dans la Sainte Messe. Que Dieu vous bénisse et que la Sainte Vierge vous protège à jamais tous les deux.

                Veuillez bien prier aussi pour moi qui avec la plus grande gratitude j e vous suis en J. Ch.

                Moulins, 17 avril 1883.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

                A Paris. Avenue de Messine 34 chez la Comtesse de Combaut.

 

22.

                               Mon très cher et très Bon Ami, Mr le Cte Colle,

                Votre bien chère lettre m'a donné des nouvelles très bonnes. Vous, Madme la comtesse, vous êtes en bonne santé tous les deux. Dieu soit béni. [689]

                Vous viendrez nous faire une visite, et vous ferez chose vraiment agréable à toute la famille Salésienne.

                Le 24 de ce mois on fait à D. Bosco la fête de S. Jean, et si vous pouvez vous rendre dans cette occasion, ma fête sera complie. Je crois que nous aurons temps de nous entretenir ensemble de nos affaires et faire. aussi quelques promenades. Mais dans le cas que pour vous ou pour Madâme soit mieux anticiper ou prolonger le jour de votre venue chez nous, vous êtes en toute libertè, et ce temps, Je n'ai pas des engagements qui me demande ailleurs.

                La'fête de N. D. A. a été vraiment splendide. Nous en parlerons à Turin.

                Que Dieu bénisse vous et Madame la Comtesse, et vieuillez bien prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 10 juin 83.

Oblige. Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

23.

                               A Mr le Comte et Mme la Comtesse Colle,

                A votre départ de Turin, mon très cher ami, je suis resté en peine pour votre santé, qui était pas bonne. Car vous étiez enrhumé fortement avec la toux. J'ai confiance en Dieu que maintenant vous soyez mieux; toutefois si vous m'écrivez deux mots sur ce propos vous me fait un grand plaisir.

                A Borgo S. Martino, la fête a été toute pour vous. La chambre, lé chant, la musique, les enfans, les Evêques, vous attendaient ardement. Je ai cercher de regler toutes les affaires en invitant tout le monde à faire des prières à votre intention.

                La grâce du bon Dieu soit toujours avec vous et avec Madame, et avec l'espérance de vos nouvelles au plus tôt je suis à jamais en J. Ch. Turin, 7 juillet 1883.

Affectionné comme fils et Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

24.

                               Mon très cher Ami,

                Nous sommes à S. Benigne où nous parlons très souvent de vous et de Madame la Comtesse. Toutefois je désire de vous signifier que tous les jours il y a ici une prière particulière fixée pour vous deux.

                Je parle de la visite que j'espère de vous faire tamquam fur à la [690] Farlède[415], qui sera envirôn le 2o septembre prochain. Je crois que nous aurons quelques heures pour nous entretenir un peu des choses qui touchent la gloire du Bon Dieu et le bonheur éternel de nos âmes.

                Nous avons eu une retraite de deux [?] garçons qui ont passé dix jours à examiner leurs vocations,_ pour commencer la philosophie, se faire prêtres et en suite partir pour porter'la lumière de l'évangile parmi les sauvages. Voyez comme le Bon Dieu nous bénisse. Nous préparons la partance de trente missionaires à l'étranger; et en même temps deux cents entrent dans la Congrégation. Dieu soit béni.

                D. Rua, D. Cagliero, l'abbè Barruel qui sont ici avec moi, vous présentent leurs hommages respectueux, et moi, je prie bien souvent Notre Dame Auxiliatrice  qui vous conserve tous les deux bien long temps en bonne santé.

                Je recommandé moi et tous nos Salésiens à vos charitables prières pendant que je serai avec tout mon coeur en J. Ch.

                Turin[416],, 25 août 83.

Humble Serviteur

Abbé JEAN BOSCO.

 

25.

                               Mon cher et très charitable ami,

                Votre très bonne lettre, Monr le Comte, m'a trouvée ici à Turin, mais tout le monde est toujours dispersé. D. Cagliero dicte encore deux ou mieux trois retraites en Sicile, D. Rua prèche. à Couni[417]  mais demain au soir celui ci sera à Turin.

                Donc merci de la heureuse communication que vous me donnez. C'est vraiment le temps propice. Dans ces jours les travaux sont avancés, et les entrepreneurs demande. Dieu soit beni et vous soyez mille fois remeriés, Monsr et Madame les Comte et Comtesse, vous êtes sans doute notre providence, les instruments choisis de la main du bon Dieu pour venir à notre aide.

                Lundi prochain (22) D. Rua ira à la Farlde vous faire une visite, vous porter de nos nouvelles et nous en porter des vôtres et accomplir l'affaire qui est le but principal de ce voyage.

                D. Rua aura avec lui l'Histoire Americaine[418]. Elle a été écrite en détail et pas courte. L'Abbé Barruel tachera de faire la traduction; mais dans le cas qui il puisse pas la achever, D. Rua même l'accomplira. [691]

                D. Rua vous signifiera le jour et l'heure de son arrivé.

                Que la grâce du bon Dieu soit toujours avec vous, et vous conserve bien long temps en bonne santé a voir le fruit de votre charité dans . les mains des Salesiens.

                Que la Ste Vierge nous guide à jamais pour le chemin du paradis, e veuillez aussi prier pour. ce pauvre pretre qui avec la plus grande veneration et gratitude vous sera en J. Ch.

                Turin, 15 oct. 83.

Humble Serviteur ami

Abbé J. Bosco.

 

26.

                               Mon cher et très charitable Mr. le Comte,

                Je dois enfin couper tous les delais et me rendre vivant pour bien des choses.

                Avant de tout, je vous remercie de toutes les charités que vous, Monsieur le comte, vous nous avez prodiguées en plusieures occasions. Si nous sommes réussis à faire des progrès dans l'Amerique du Sude et surtout dans la Patagonie, c'est à vous, à votre charité que nous le devons. Soyez donc contents, vous et Madame la Comtesse, les âmes, que nos missionnaires gagneront au ciel, seront pour vous et pour Madame les porteuses des clefs du paradis.

                Maintenant vous ajoutez des autres maisons et des autres sauvages qui moyenant vos bonnes oeuvres viendront à la foi, augmenteront les nombres des âmes sauvées, qui prieront bien pour vous.

                Je suis bien content que le Vermout vous soit parvenu en bonne condition. C'est une pauvre mais manière unique que nous avons pour vous dire que nous vous sommes reconnaissants, nous vous aimons, nous prions pour vous dans une façon toute particulière.

                Mais une nouvelle bien agréable je doit vous noter. La maison  de Mathi a été acnetée le dix octobre, à présent est meublée, peuplée par une cinquantaine de jeunes hommes qui pouvaient pas plus être contenus dans la maison de S. Benigne, et que maintenant sont la: ils étudient courageusement pour la prêtrise.

                Cette maison jeudi dernier a été benie et consacré a Dieu avec le titre: Malso de S. Louis, et cela pour nous rappeler toujours plus le scuve t de notre Louis et de toute votre famille. C'est la prémière de nos maisons qui porte ce titre. Dieu soit beni.

                La maison commencée chez de l'eglise de S. Jean Apôtre, malgré tous nos empressemens, n'est pas encore à la toiture. La construction est au troisième étage. On travaille toujours sans cesse.

                Toute la Congrégation Salésienne vous présente ses hommages et Samedi à votre intention et de Madame la Comtesse nous célébrerons [692] une messe à l'autel maître de l'Eglise de Notre Dame Auxiliatrice, nos enfans feront leurs Communions et des prières à votre intention.

                Bon jour, bonnes fêtes, Mr et Madame les Comts. Que Dieu vous bénisse et que la Ste Vierge vous protège à jamais, et veuillez prier pour votre

                Turin, 4 dec. 83.

Affectionné comme Fils

Abbé J. Bosco.

 

27.

                               Mr le Comte et Mme la Comtesse Colle,

                Vous savez Mr et Mme Colle, que les Salesiens font tous les jours matins et soirs des prières particulières pour vous, et que le pauvre pretre, qui vous ecrit, fais tous les matins un souvenir pour vous dans la Sainte Messe. Mais ces jours je desire de vous faire un cadeau, mais un cadeau qui vous soit certainement agréable.

                La nuit de Noël, à minuit, si plait à Dieu, je dirai les trois messes, tous les Salesiens prieront, nos enfants feront des prières et beaucoup des Communions à votre intention. Nos prières sont adressée à l'Enfant Jesus pour le supplier à vous donner bien des consolations sur la terre, vous conserver long temps en bonne santé, et vous guider surement pour le chemin du paradis.

                J'éspère de vous écrire de neauvau d'ici à très peu de jours.

                Que Dieu vous benisse, et que la Ste Vierge vous porte une bénédiction speciale, et veuillez agréer les hommages de toute la famille Salesienne, et vouloir aussi prier [pour] moi que j'ai la grande consolation de me dire en J. Ch.

                Turin, 23 dec. 83.

Affectionné comme fils

Abbé J. Bosco.

 

28.

                               Mon très cher et bon ami Mr Le Comte F. Colle[419],

                Tous les jours et même plusieurs fois chaque jour je vais vous faire une visite avec l'esprit; mais aller personnellement jusqu'à vous, Mr et Mme la Comtesse Colle, 0n me l'a pas accordé ancore. Maintenant nos affaires marche bien grâce à Dieu, les maisons augmentent, les enfans plus encore, et les oeuvres portent toujours [693] avec eux la bénédiction. Dieu soit béni. Depuis quelques jours ma santé ne est pas trop bonne, et je ne sais pas encore si je pourrai aller vous faire la visite ordinaire. Je crois de pouvoir vous le dire d'ici à peu de temps. Mais c'est entendu que en tous cas nous nous verrons à Rome.

                J'espère que votre santé soit bonne et nous prions matin et soir pour la conservatiòn en bonne santé de vous et de Madame, mais bien long temps.

                Le voyage que j'ai fait avec notre cher Louis s'explique tous les jours de plus en plus. Dans ce moment semble que soit devenu le point centrai des-affaires. On parie, 0n écrit, 0n publie beaucoup des choses afin de donner des explications et de réaliser nos projéts.

                Au moment que Dieu nous accordera la grâce de nous entretenir tant soit peu ensemble nous aurons bien des choses à nous dire.

                         Que Dieu soit avec vous, o mon très cher et. charitable Ami, et que la Ste Vierge protège vous, et Madame la Comtesse et vous guide surs dans le chemin du paradis. Ainsi soit-il.

                Veuillez, surtout dans ce moment, prier pour moi et pour nos affaires, qui ont augmentée tellement, que tout le monde chez nous a de quoi faire.

                J'ai encore des autres nouvelles à vous donner et j'espère de le faire au plutot.

                Turin, I-er lev. 84.

Votre affectionné Serviteur

Ami Abbé J. Bosco.

 

29.

                               Mon cher Mr le Comte Colle,

                Un jour, Monsieur le comte, de mon balcon nous avions considerée une petite maison. Cette maison, vous avez dit, ii faut de la acheter afin de nous lever une grande sujétion. Je mettrai pour cela a votre disposition trente mille fs.

                Allors la chose est resteé sans conclusion, car le proprietaire voulait pas vendre. Maintenenant 0n voudrait vendre non seulement la petite maison, màis aussi le terrein que lui est ataché. La chose nons convient sous tous les raports, tous nos amis e tous les Salesiens lé desire et le recommande mais le prix serait beaucoup plus elevé. Entre la piace, sept mille kilometres[420], les arbres et coustruction nous porterait la somme de 100.000, ronde.

                Je veux pas être indiscret, toutefois je veux pas vous taire une [694] affaire qui reglerait toute notre maison, le patronage du dimanche, les classes, et les ateiliers.

                Donc, Mr le Comte, est ce que dans un temps plus o moins long vous pouvez venir à notre aide avec cette somme?

                Je parle avec vous en toute confiance, car dans votre grande charité vous m'avez dit plusieurs fois que vous mettez dans mes mains votre bourse en toutes les choses que vous pouvez contribuer à la plus grande gloire de Dieu.

                Vous penserez un moment sur cette affaire et puis vous me repondrez avec la même confiance avec laquelle je me suis adressé a vous. Je crois que vous ayez reçu une de mes lettres de quelques jour en avant.

                Ici je renouvelle  tous mes sentiments de reconnaissance et de gratitude vers vous, Mr le comte et vers Mad la Comtesse et dans P espérance de vous voire et de vous parler personnellement dans le prochain mois de mars, j'ai la plus grande consolation de me dire en J. Ch.

                Turin, 21-2-84.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

                P. S. Ma santé à été un peu troublée et je suis encore prisonnier dans ma chambre, mais les medecins me disent que dans le mois de Mars je pourrais, et ferais tres bien de faire un voyage au midi de la France.

 

30.

                               Mon très cher Mr le Comte,

                J'ai reçu votre très bonne lettre; mais je veux pas que vous me donniez des raisons pour lesquelles vous faites la telle ou telle autre chose.

                Vous me permettrez seulement d'exposer mes besoins, et puis je serai toujours égualement content de votre oui ou non. Mon but c'est de prier tous les jours pour vous et pour Madame la Comtesse, et je le fais tous les matins avec un souvenir particulier dans la sainte Messe à votre intention.

                Les medecins m'ont dit de m'en aller dans nos maison du midi et samedi, si plait à Dieu, je partirai pour Nice avec D. Barberis, De là j'espère de vous faire aumoins quelques visites, afin d'étabir et donner la benediction à notre, ou plutot votre Eglise de la Navarre.

                Au même temps nous pourrons nous parler et j'expliquerai mieux mes idées, qui sont de vous faire du bien, mais de vous contenter en toutes les choses qui porurront vous rendre heureux sur la terre et un jour au paradis. [695]

                La benédictions de notre Signeur soit à jamais sur vous et su Madam e la Comtesse Colle, et croyez moi avec la plus grande gratitude en J. Ch.

                Turin, 27-2-84.

Humble Serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

31.

                               Mon très cher Mr Le Comte,

                Je suis à Rome. Mon voyage a été bon, et grâce à Dieu ma santé a améliorée.

                J'ai avec attention examiné les travaux soit de l'église, soit de l'orphelinat du Sacré Coeur de Jésus; mais les fondements de ceci sont bien difficiles à raison de leurs profondeur, et pour cela on doit encore fatiguer beaucoup avant de mettre à leurs places l'énorme quantité de pierres qui sont préparées à cet effet.

                Or puisque vous avez dit que vous vous desiriez de venir à Rome pour la fonction de la bénédiction de la pierre angulaire et seulement pour quelques jours, je crois mieux pour la santé de Madame et de la vôtre de renvoyer la chose plus tard.

                En attendant nous désirons de vous posséder aumoins pour quelques temps. Et pour nous donner cette consolation, vous pouvez choisir la fête de notre Dame Auxiliatrice; mais ces jour-là il y a trop de monde pour nous entretenir tant soit peu aisément.

                Je crois que D. Rua vous aura expliqué une idée.

                Est ce que on peut pas choisir la Ste Jean? Le 22 juin nous irons à faire S. Louis à Mathi; lé 24 chez D. Bosco, en suite à S. Benigne ou vous et Madame la Comtesse êtes attendu avec impatience?

                Si quelqu'un de ces projets vous va bien, vous me le direz et je serai toujours heureux de me mettre à l'aubéissance de celui qui devant Dieu vous est affectionné comme fils[421].

                D. Rua a été instruit de nos affaires particulières. Il sera à vos ordres tous les moments qui vous seront agréables.

                J'espère, à mon retourd, de vous porte l'immage dont nous avons parlés.

                Que Dieu vous bénisse, ô mon charitable et cher ami, et avec vous bénisse Madame la Comtesse, votre digne épouse, et que la Ste Vièrge nous protège à jamais, et qu'Elle nous aide à surmonter tous les dangers de la vie, et nous reposer éternellement avec Jésus et Marie dans d'immense bonheur du paradis. Ainsi soit-il. Avec la plus grande reconnaissance et avec affection filial je vous serai en tout

                Rome 16 avril 84.

                Rue Porta S. Lorenzo 42.

Obligé Ami et Serviteur

Abbé J. Bosco. [696]

 

32.

                               Mon cher et charitable Ami,

                Votre très chère lettre est venue me trouver avec toute regularitè et la chose est reussie très bien. D. Rua avec moi bénisse le bon Dieu et vous, Mr et Mme la Ctesse, qui nous aidez aussi puissamment à propager la gloire de Bon Dieu.

                D. Rua promptement a envoyé tout le necessaire pour mettre les travaux en mouvement et maintenant les choses marcent.

                Avant partir de Rome j'éspère de vous dire des choses qui à present sont seulement commencé.

                Ma santé va lentement mieux, mais mieux.

                A Turin à Turin nous nous parleront avec plus de tranquillitè. La bénédiction du Seigneur soit toujours avec vous, et Dieu même récompense largement votre charité dans le temps et dans l'éternité. Roma, 24 av. 84.

Obligé comme fils

Abbé J. Bosco.

 

33.

                In fondo a una lettera di Don De Barruel[422] cou scrittura molto irregolare:

                Ma santé est améliorée dans une manière prodigieuse.le premier jour de la neuvaine de Notre A. Dieu soit béni. [697]

                Quantité de monde incroyable. Que Dieu conserve tout le deux en bonne santé, et vous accorde le bon voyage à Turin.

Abbé J. Bosco.

 

34.

                               Monsieur et mon cher le Cte Colle,

                Votre très bonne lettre a été pour nous l'ange consolateur. De touts côtés on nous demandait des nouvelles de vous et de Madme La Comtesse, mais personne ne savait rien. D. Rua, D. Cagliero, D. Durando, D. De Barruel et tous les Salésiens demandaient de votre voyage, de votre santé, et de l'endroit de votre habitation. Mais personne nous savait rien dire jusqu'à la réception de votre aimable lettré. Maintenant vous êtes à la Farlède en bonne santé: Dieu soit béni

                Les notices de la santé publique semblent amélieurer et nous prions sans cesse pour vous, pour Madame la Csse e pour tous, vos amis afin que rien trouble votre santé, votre tranquillitè. Et cela nous le ferons matin et soir dans nos prières privées et publiques. Moi, oh combien je le fais avec tout mon coeur; je fais chaque jour un souvenir pour vous dans la Ste Messe.

                Vous finissez votre bonne lettre avec des paroles dont les sentiments sont bien étendus.

                Commandeur tout disposé à se laisser commander par D. Bosco[423]. Mais vous le savez pas. D. Bosco est toujours avec les poches vides d'argent et D. Rua est insatiable pour en avoir. Donc comment vous pouvez vous debarasser? Nous tâcherons d'être toujours bien discrets, toujours bien contents de recevoir la charité que vous nous prodiguez afin de nous aider à gagner des âmes à Dieu.

                Vous comprenez, Mr Le Comte, que la conclusion de cette lettre est pour rire; et que mon écriture est beaucoup mauvaise, et pour cela j'ai bien des difficultés à me faire comprendre.

                Dieu vous bénisse, o mon cher Mr. Le Comte et avec vous le Bon Dieu bénisse Mme. la Comtesse. Que notre D. A. vous conserve tous les deux en bonne santé, mais toujours dans le chemin du paradis.

                Toute la maison compris nos prêtres, nos abbés, nos enfans vous présentent leurs hommages, ils se recommandent à vos bonnes prières, et demain feront la Ste Communion à votre intention. Ainsi soit-il. Turin, 5 juillet 1884.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco. [698]

 

35.

                               Mon très cher Ami,

                Je viens d'arriver en ce moment[424] à la villa de Monseigneur l'Eveque de Pignerole. Ma santé été tracassée à Turin par la grande chaleur. Ici à peine on est or [= hors] du froid et je me trouve beaucoup soulagè; j'ai avec moi l'abbè Lemoyne, et l'Eveque me comble d'attentions.

                Tous les jours je tiens mes yeux sur le' developpement du chôlera et je beni le Bon Dieu qui jusqu'à present vous a preservés.

                Nos prières, Mr Le Comte, les communions de nos enfans, è le salut qu'on donné tous les jours à l'autel de N. D. A. seront sans cesse élevées à Dieu afin d'obtenir la conservation de votre santé et de celle de Madame la Comtesse.

                D. Perrot m'a donné plusieurs fois de vos nouvelles, et toute maison est en fête, quand nous pouvons avoire de bonnes nouvelles de votre santé.

                Dans ce moment le vent et froid me truble et je devois me lever de le ecritoire et me mettre mon pardesu. Voyez quel changement en très peu des heures. Mais je suis sur une montagne.

                Si de temps en temps vous, me donnerez des nouvelles de vous, Mr le Comte, et de Madame la Comtesse vous me ferez chose bien agréable, car votre santé dans ces jours nous est à coeur comme une chose de la prémière importance.

                Mon adresse sera touiours:

                Abbé J. Bosco, Villa de l'Evéque: Pignerole.

                Que la Ste Vierge vous guide et vous protège, Mr et Mme la Comtesse et que le bon Dieu éloigne de nous les maux pendant gue je serai à jamais affectionne comme fils en J. Ch.

                Pinerolo, 20 juillet 1884.

Et Serviteur obligé

Abbé J. Bosco.

 

36.

                               Mon cher Mr Le Comte et charitable Madme La Comtesse,

Dieu soit béni, Dieu soit loué. Les journaux nous donnent pas plus le bulletin de cholera. Je crois que vous serez en très bonne santé et que rien aura pas vous deranger. [699]

                Mais voila que l'ami des mauvais augures commence nous visiter. Jusque à present nous sommes encore libres de "ce fleau, mais les pays qui nous entourent nous donnent tous les jours le Bulletin des cas et des morts.

                Notre confiance est dans l'aide de notre Dame Auxiliatrice. Toutefois nos maisons ont été boulversées. Tous nos enfans qui ont des habitations ou des parens, sont allès chez eux, les plus pauvres sont restés avec nous, et nous tacherons les soigner et les encorager.

                Si les choses seront bien tranquilles nous nous verront sur la fin de septembre; autrement la divine . Providence nous donnera les regles nécessaires.

                Tous les Salesiens et leurs enfans prient sans cesse pour vous, et nous aussi ayont une grande confiance dans vos prieres et dans votre pieté.

                Que [Dieu] nous bénisse et que la Sainte Vierge nous portége à jamais. Je serai toujours avec la plus grande affection et gratitude en J. Ch. Pygnerole, I I aout 1884.

Obligé comme fils in J. Ch.

Abbé J. Bosco.

 

37.

                               Mon cher Mr le Comte,

                Je viens d'arriver dans ce moment de Pygnerol avec suffisante santé et Dieu soit béni. J'ai trouvé notre ville de Turin entourée du choléra, mais la ville jusque ici parfaitement libre. Grâces à Dieu nos Maisons sont en bonne santé avec l'antidote de la Ste Vierge. Les prêtres, les abbés, les garçons prient, font des communions pour vous et pour Madame.

                Je-remercie vous et Madame la Comtesse du chapelet que vous dîtes à nos intentions. Notre Seigneur et sa Mère divine ne permetteront jamais qu'on répète en vain: Marie, aide des chrétiens, priez pour nous.

                J'ai déjà commencé la neuvaine avec des messes, des communions, et des prières particulières pour notre cher Louis, qui, je crois, rira de nous, car nous prions pour lui, pour le soulager: en effet il est devenu notre protecteur au paradis, et il continuera nous protéger jusqu'il nous recevra dans le bonheur éternel.

                Pendant que j'étais à Pygnérole je ai pensé sérieusement que si vous et Madame la Comtesse pussier venir passer les mois de la grande chaleur [à Pignerole] serait très bon pour votre santé. Est ce que on peut pas vous préparer un petit pied-à-terre pour ce temps là? C'est une [chose] à traiter dans le courant de l'annèe prochaine. [700]

                Que Dieu vous bénisse et qu'il vous donne bien des consolations sur la terre, mais sûrement la grande consolation avec Jesus et Marie au Paradis.

                Turin, 23 aout 1884.

Obligé comme fils

Abbé J. Bosco.

 

38.

                               Mon cher et charitable Mr le Comte Colle,

                Le chôléra a troublé plusieurs pays de la France et maintenant travaille horriblement l'Italie. Nos maison et nos  enfans jusqu'ici ont été préservés, mais la bienfaisance vient de nous manquer sérieusement et nous nous trouvons dans des grandes difficultés pour nous soutenir dans les dépenses des constructions et de manutentions de nos oeuvres.

                C'est pourquoi si dans ce moment vous pouvez venir à notre aide, vous serez, comme toujours, notre appui. Toutefois si cela vous dérange, étant à la Farlède, et vous pouvez pas rentrer chez vous à raison du cholera, je vous recommande de rester tranquille en votre villa, et nous tâcherons de nous débarrasser de nos affaires comme nous pourrons. Mais je vous reccommande que vous veuillez pas vous inquiéter si les circonstances du moment vous mettent dans l'impossibilité de faire le bien.

                Dans ce moment le garçon de la poste me porte votre aimable lettre. Je vous prie, Mr le Comte, de voluoir considérer comme non dit tout ce que j'avais remarqué à l'égard de nos finances. Plutôt je m'empresse de vous exprimer ma consolation que vous et Madame la comtesse soyez en bonne santé. J'ai donné de vos nouvelles à tous les directeurs ici assemblés; ils ont été très contents, chacun assure de prier et de faire prier pour votre bonheur spirituel et temporel.

                Je remercie avec tout mon coeur Madame la Comtesse qui a bien voulu prier pour ce pauvre dans ces jours. Que la Sainte Vierge la récompense largement.

                Vous-voyez, Mr Le Comte, que je suis pas plus à même d'écrire tant- soit peu passable, ayez patience à lire. Je tâcherai de faire mieux autre fois.

                Acceptez les humbles hommages de tous vos Salésiens et de celui qui avec filiale affection vous sera à jamais en J. Ch.

                Turin, 10 sept. 84.

Obligé Serviteur

Abbé J. Bosco. [701]

 

39.

                               Mon cher Mr Le Cie et. bien respectable Mme La Comtsse,

                Demain nous commencerons la neuvaine de la toussaints; et je ne veux pas permettre que passe un tel jour sans faire pour vous des souvenirs près le Bon Dieu à votre intention.

                Parmi les autres choses nous ferons nos actions de grâces au bon Dieu qui vous a conservés en bonne santé, et je suis pléine de con-fiance que la Ste Vierge vous continuera sa protection.

                J'ai la grande consolation de vous participer que la maison bâtie par votre charité en faveur des enfans de Marie Auxiliatrice est achevée et on fixe le dix nouvembre prochain pour l'entrée des élèves qui au commencement seront environ de 150.

                Les détaille les receverez au plus tôt.

                Que Dieu vous bénisse tous les deux, vous conserve en bonne santé bien long temps. Que la Ste Vierge nous protège et nous guide à jamais.

                Tyrin, 22 fibre 1884.

Votre humble et affect. comme-fils

Abbé JEAN Bosco.

 

40.

 

                                Mon cher Mr Le Comte e bien respectable Mme la Csse,

                Je viens de vous faire une proposition difficile, mais non pas impossible; vous jugerez.

                Je crois que vous a été signifié que D. Cagliero sera preconizzè évêque le 13 de ce [mois] par notre S. Père Léon XIII. Quelques jours après il sera consacré. Il est le prémier de nos élèves élévé à cette charge, le premier évècque de la Patagonie; il est aussi un' de vos protégés et très affectionné.

                Nous ferons une fete des plus éclatantes; mais voila la grande chose que nous désirons. Tout le monde, moi le premier, dèsire de vous avoir parmi nous dans ce jour là à ètre le Padrino e la Madrina de la religieuse fonction. '

                Telle est mon invitation, et tels sont les communs desirs. Toutefois j'aime et je respecte avant de tout votre santé et pour ce là si vous craignez tant soit peu que votre santè soit dommagée je fereai pour moi un gran sacrifice et je veux absolument - que vous restiez chez vous.

                Voila, Mr et Mme Le Comte, ma sincère invitation, mais avec toute et pleine libertè pour vous; avec un grand desire de vous voir [702] chez nous. Aussi tot que on fixera le jour de la cerimonie je vous en donnerai participation.

                Que le Bon [Dieu] soit toujour avec vous, o charitable Mons. et veuillez prier pour moi qui serai à jamais en J. Ch.

                Turin, 7 otbre 84.

Aff. comme Fils

Abbé J. Bosco.

 

41.

                               Mon cher Mr Le Comte Mme la Csse,

                La neuvaine du Noël est commencée; et nous ne voulons vous oublier. Chaque matin, chaque soir on prie pour vous, pour votre santé, pour votre conservation.

                Afin que le bon Dieu vous donne des bonnes et des longues années le matin du Noël on dira la sainte Messe à votre intention. Monseigneur Cagliero a fait une course à Rome, et il m'assûré que il demandera au St Père une benédition particuliere pour vous. Il retournera le 22 de ce mois, depuis on fixera le depart pour Toulon, Marseille, Amérique.

                Que Dieu vous bénisse; et vous conserve tous les deux en bonne santè, et veuillez aussi prier pour ce pauvre prêtre qui comme fils vous aime et vous aimera à jamais en J. Ch.

                Turin, 17 dec. 1884.

Obligé

Abbé J. Bosco.

 

42.

                               Mon cher et charitable Comte,

                Je voudrais vous faire une visite et personnellement vous faire bien des actions de grâce, Ne pouvant faire la chose avec des paroles, je désire, que par lettre je finisse l'année en vous écrivant, o charitable Mr Le Comte et Mad. La Comtesse Colle.

                Dieu soit béni et remercié, qui nous a conservé en bonne santé, et, je l'espère, aussi dans sa grâce.

                Parmi lés autres bonnes oeuvres vous avez payé pour Don Perrot les dêttes de la Navarre; et le bon Dieu ne manquera de vous récompenser largement, et nos pauvres orphelins prieront sans cesse à votre intention. Heureux D. Perrot qui a des payeurs de telle façon.

                Mais pourquoi nous pouvons pas trouver des bienfaiteurs semblables en Italie?

                Si telle payeur existe en Italie, qu'il vienne payer soissante et quinze mille fs que Don Rua devra payer pour nos missionnaires [703] d'Amerique, une autre somme presque semblable pour le trousseau, pour le voyage de ceux qui partiront au plutôt?

                Pourquoi vient-il pas payer les dêttes de nos maisons dé Turin, et de l'église et hospice de Rome?

                La raison c'est claire. En France et en Italie il y a un seul Mr Comte Colle; et nous bénissons mille fois le bon Dieu que ce Mr et Madore la Csse Colle vivent pour nous aider, nous appuyer, nous soutenir dans nos difficultés. Que Dieu vous conserve tous les deux bien long temps en bonne santé, vous donne la grâce de passez encore des autres et bien des autres années heureuses comme récompense de vos charités sur la terre, et en fin dans l'autre vie le vrai prix, le grand prix dans le séjour du paradis, où, j'ai pleine confiance, que nous puissions nous trouver avec Jésus, Marie, notre cher Louis, à louer Dieu, parler de Dieu éternellement.

                Jeudi, premier de l'année 1885, dans toutes nos maisons, on prie, on fera des communions pour vous.

                Veuillez aussi recommander votre pauvre à Dieu. Tuyin, 29 déc. 84.

Obligé humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

43.

                Mon cher Mr Le Cte et respectable Mme la Csse Colle,

                Le 20 de ce mois nous commençons la neuvaine de S. François de Sales et je veux pas que vous soyez oubliés dans nos faible prières. Pourtant une messe sera celebrèe a chaque jour à votre intention; des prières et des communions feront nos enfans. Nous tous demandons à Dieu une bonne santé pour tous vous deux, et perseverance dans le chemin du paradis.

                Dans la première quinzaine du mois prochain vous receverez la notice du jour que Monseigneur Cagliero passera à vous faire une visite avant de partir pour la Patagonie.

                Je. suis beaucoup mieux, mais je ne sais pas encore si ma santé me permettra d'aller avec lui jusque à Marseille, comme je désire vivement.

                De tout côté on demande si vous viendrez le 29 à fêter notre patron. Mais je n'ose pas vous inviter à raison des dangers de la saison; mais votre venue chez nous serait sans doute la plus grande fête du monde.

                Je vous demande une chose tout bonnement et vous aurez la bontè de me le dire. Le Vermout existe il encore à votre disposition? Vous savez que je suis votre fournisseur. [704]

                Que le Bon Dieu vous bénisse, vous conserve afin d'accomplir bien des oeuvres saintes sur la terre et augmenter le grand prix dans la vie éternelle.

                Veuillez aussi prier pour toute cette famille: on peut l'appeler notre et votre famille devant Dieu, et que la Sainte Vierge nous aide et protége à fin de la sauver éternellement. Ainsi soit-il.

                Turin, 18 - 1885.

Affectionné obligé comme fils

Abbé JEAN Bosco.

 

44.

                               Mon très Mr Cte Colle,

                Je suis de nouveau mieux et hors du lit. Et je puis vous écrire cette lettre.

                Je me suis adressé à Mme la Comtesse de Chambord à fin qu'Elle vienne à notre aide.

                Sa très bonne lettre me assure que maintenant Elle fera très peu étant entourée de demandes, mais Elle promette de faire.

                Notre D. Bonetti Rédacteur du Bulletin Salésien aujourd'hui est à Marseille. En quittant Mons. Cagliero il reviendra à Turin en faisant quelques heures. d'arrêt à Toulon pour avoir de vos nouvelles, de  vous et de Madme la Comtesse, mais personnelment, et en suite il continuera directement son voyage jusque chez nous.

                Que le bon Dieu vous bénisse tous les deux et conserve tous les deux dans le chemin du paradis mais toujours en bonne santé. Veuillez aussi prier pour ce pauvre mais très affectionné

                Turin, 11 fev. 85.

Humble Serviteur

 Abbé J. Bosco.

 

45.

                Mon cher Mr Le Comte,

                Ma lettre a D. Bonetti a été confuse à Marseille avec les lettres adréssées à Mons. Cagliero, et pour cela au retour il a pas pu repasser chez vous à Toulon et me porter personnellement, de vos nouvelles. Il m'a parlé beaucoup des bontés que vous avez bien voulu. prodiguer à D. Cagliero e à tous nos missionaires: comme vous verrez dans le Bullettin Salesien.

                D. Bonetti avait été charge par moi de traiter avec vous et avec Madame la Comtesse Colle sur la possibilité que vous fassiez un voyage à Rome au mois d'avril afin de placer definivement la pierre angulaire [705] de notre orphelinat du Sacré Coeur à Rome. Maintenant on s'agit pas de fixer le jour mais seulement aproximatifement,

                Plus encore nous avons deja peuplée presque toute la Maison de S. Jean Apôtre, mais l'inauguration n'a pas été encore faite. E nous devons dans cette maison préparer un bon diné et faire un cordial toast, un brindisi avec Madame la Comtesse Colle. Va-t-il vous bien, o Madme la Comtesse, notre bonne Mère en J. Ch.?

                Ma santé va beaucoup mieux quoique que je ne puisse pas encore descendre avec les autres à dire la Messe.

                Que Dieu vous bénisse, et vous conserve tous les deux en bonne santé bien des année après de moi, et veuillez agréer l'hommage de tous les Salesiens et specialment du pauvre mais très affectionné

                Turin, 20 f. 1885[425].

Serviteur Ami

JEAN Bosco prêtre.

 

46.

                               Cher et Charitable Mr le Comte Colle,

                Votre lettre m'engagée à prendre la resolution de faire une promenade jusque chez vous malgrè ma faible santé. Je me empresserai de vous dire le jour dans le quel j'espère d'arriver à Toulon.

                Ma relation sur la Patagonie a été envoyée à D. Perrot qui la traduira en francais afin de la porter a vous promptement. Je crois que Madme la comtesse soit en bonne santé, et je prie

                le Bon Dieu qui vous rende tous lés deux heureux dans le temps et dans l'eternite.

                Que la Ste Vierge soit à jamais notre guide dans le chemin du paradis.

                Turin, 6 mars 85.

                Humble affectionné Servitr (manca la firma)

 

47.

                               Mon cher Mr Le Comte,

                Me semble de pouvoir realiser mon proget et aller vous faire une visite. Mais avant de tout je desire de connaitre exactement si la notice des cas de chôlera publiès par les journaux est vraie ou un dit-on.

                Car dans le cas affirmative peut être que vous jugez bien d'aller à [706] la, Farlede ou ailleurs d'un moment à l'autre; et je ne voudrais pas embarasser vos déterminations. Si vous direz deux mots sur cette affaire, pour moi seront une regle sûre à suivre.

                        Si plait à Dieu je partirai de Turin le soir du 25 pour être a Nice le 26 mois courant. De là je pourrai fixer le jour de mon arrivé à' Toulon.

                De chez vous nous pouvons traiter sur la convenance de faire un voyage en Italie, faire une visite à notre D. A. et peut être jusque à Rome.

                Qué Dieu nous bénisse, et que la Ste Vierge guide vous, Mr le Comte, Madame la Comesse, et ils nous assurent le chemin du paradis. Amen:

                J e serai à jamais en N. S. J. Ch.

                Turin, 13 mars 85.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

48.

                               Mon cher Mr le Comte,

                La famille du Due de Norchfolk arrivera à Turin le 5 mai, pour cela je devais avancer mon retour de quelques jours. Si plait à Dieu, je partirai dé Nice Mardi prochain afin d'être á Turin le 6 de ce mois. De là je vous attends avec Mme la Csse Colle avec votre commodité.

                Mon paradis terrestre c'est toujours ma chambre, ou mieux la chambre que vous m'avez donnée à mon passage à Toulon.

                La Ste Vierge vous bénisse, vous protège dans la Maison, dans le voyage jusque chez nous à l'Oratoire dé St François de Sales.

                Je reeommande sans cesse à vos charitables prières ce prêtre qui vous--sera à jamais en J. Ch.

                Nice, 25 avril 85.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

49.

                               Mr et Mme les Cte et Csse Colle,

                La fête de N. D. A. est définitivement établie le 2 juin prochain comme vous verrez êmprime dans notre presse d'aujourd'hui. On tâchera de faire une sōlemnitè vraiment splendide, mais le, Duc de Norfolk peut pas rester avec nous jusque là.

                Maintenant il est parti avec la famille (18 personnes) pour Rome. Mais prise la bénédiction du S. Père reviendra a Turin a continuer [707] leur pratiques de piétè, matin, soir et midi dans l'Église de notre Dame Aux Se [Ils] se sont angagés dans un voyage en Autrice ver la fin du moi.

                Mais je vous dirai les choses de temps en temps qui[426] sera nécéssaire. Mais jusque à present nous [faisons] toujours nos prieres de la solemnitè.

                Les fonctions de Rome sont préparées; pour la pierre angulaire nous pouvons nous faire représenter par un des Borghese; Don Dalmazzo fera et nous guidera.

                Il y a touttefois une chose qui appartient à nous. Dans la pierre angulaire faut mettre des souvenirs et parmi les autres une exposition de la famille et des deux personnes Parrin et Marrine.

                Pour cela vous aurez la patience et la bontè de chercher un ami qui en abrégé me donne les notices principales, le nome, la date de naisance, è les particularités que vous jugerez bien.

                Ayez patience: sont des choses Hystoriques que devons consigner à la posteritè. Quand j'aurai cette exposition, sera mon 'affaire à reunire des autres choses qui seront le complément de l'oeuvre.

                Maintenant ma tête est fatiguée. Je vous ecriverai entre très [peu] des jours une autre lettre.

                Que le Bon Dieu vous bénisse et que, la Ste Vierge vous protège. Ainsi soit-il.

                Turin, 10-5-85.

Obligé comme, fils

Abbé J. Bosco.

 

50.

                Mon très cher Mr Le Cte Colle,

                Tous les Salésiens vous attendent pour le jour 31 de ce moi dans la matinée. En nous disant pas si vous arriverai par Savone ou par Gêne, je veux pas vous gener en aucune maniere, mais nous vous attendons à midi pour diner, à toutes les heures pour vous recevoir.

                Vous serez vraiment les deux amis de notre D. A., nos prieures de la grànde fête. Monsieur le duc de Norforlk et sa famille sont parti hier matin par Alemagne; tout le monde a été' bien content de son séjour chez nous, et de l'amélioration de l'enfant malade.

                Des autres affaires je crois que nous aurons. temps de causer ici chez nous, avec toute tranquillitè à discourir chez nous. En attendant j'ai et je continuerai a faire un souvenir pour vous tous les jours dans la Ste gesse jusque à votre heureux arriver parmi nous. [708]

                Que le Bon Dieu vous benisse, Mr le Comte et Mme la Comtesse et que la Ste Vierge vous protege et dirige dans tout votre voyage. Ainsi soit-il.

                Turin, 26-5-85.

Affectionè comme fils

Abbé J. Bosco.

 

51.

                               Mon cher My Le Cte et Bien respectable Mme La Csse Colle,

                Nous avons eu la consolation d'avoir avec nous D. Perrot qui nous a parlé de vous, Mr le Cte et de Mme la Comtesse. Nous avons ecouté, tous les Salesien ensemble comment le Bon Dieu vous conserve tous les deux en bonne santé et que maintenant vous êtes definitivement établis dans votre villa de la Farlede. Le même D. Perrot aura sans doute vous porté des notices de tous vos amis, les Salesiens. Demain si plait à Dieu, je partirai pour Mathi afin de me refaire tant soit peu de ma faiblesse, ou mieux, si ce la sera possible de retarder un peu ma vieillesse.

                De là j'espère vous écrire une lettre plus longue et de vous dire quelque chose, que je crois vous être plus agréable.

                Tous les Salesiens prient pour votre conservation en bonne santé à des longues années et à fin [que nous nous trouvions] tous ensemble au paradis avec notre cher Louis. Telle est la prière de votre pauvre, mais vraiment

                Turin, I4 juillet, 85.

très affectionné en J. -Ch.

 Abbé J. Bosco.

 

52.

                               Mr le Cte et Mme la Csse Colle,

                Je crois que dans cette Neuvaine de l'Assomption de la Ste Vierge vous n'oublierez pas votre pauvre D. Bosco, qui prie sans doute tous les jour pour vous, pur votre bonheur spirituel et temporel. Nous Salésiens demandons sans cesse en cette neuvaine que la Ste Vierge vous tienne assurée une place chez Elle au paradis, mais que' Elle vous la donne pas encore pour bien long temps.

                Ma santé dans ces derniers jours a empirèe un peu; mais maintenant grâce à Dieu est mieux beaucoup: Dieu soit bénit.

                Notre Ami, Louis, m'a conduit à faire une promenade dans le centre de l'Affrique terre de Chàm, disait-il, et dans les terres d'Arphaxade [709] ou en Chine. Si le bon Dieu nous permettra de nous entretenir personnellement, nous aurons de quoi faire des paroles.

                D. Francesia a fini son travail et vous le receverez entre très peu de jours.

                Les journaux publient que le choléra menace la France. Je crois que la Farlède sera preservée; mais tous momens que vous jugiez de venir passer quelque temps à Lanzo, pays très sûr, vous n'avez rien à faire que me prévenir quelques jours avant, un jour pour l'autre et vous trouverez pour vous et pour toute la famille preparé une petite maison à votre disposition.

                Dimanche (r5 aout) je serai à Turin, et lundi j'irai à S. Benigne pour notre retraite. Mais vous recevrez régulièrement de nos nouvelles. Tous les maux soient loin de vous et que la Ste Vierge vous protège à jamais.

                Votre humble Ami, Serviteur affectionné comme fils (manca la firma).

                Mon écriture est toujours plus mauvaise. Pardonnez.

                Turin, 10 aout 85.

 

53.

                               Mr Le Comte et Madame La Comtesse Colle,

                Le temps des nos retraites c'est toujours à peu près le même. On commence le I-er août jusque au ro octobre. Mais la promenade à Nice et à Toulon ne sera pas jusque près de la moitié de septembre, dont on vous dira le jour précis.. Pour moi, je désire beaucoup de vous voir, mais suis pas sûr, car depuis un mois à Mathi, mes voyages ont été de ma chambre au jardin qui est tout près de la papéterie.

                Pour maintenant je vous dirai que ma santé à été stationnaire, mais me semble que la diminution des grandes chaleurs me portera bien du soulagement. Mais, dans le cas que la santé empêche de me mettre en voyage, vous receverez les détailles de nos affaires.

                De cette semaine vous receverez les papiers relatives à notre orphelinat de Rome; et D. Rua est entièrement à vos ,.ordres pour accomplir vos saintes intentions à cet égard.

                Il y a quelques jours que "j'ai écrit une lettre au prince Lancelloti[-tti] vis-à-vis d'Orphelinat susdit, je suis en très bonne relation charitable Monsieur; mais je n'ai pas encore reçu des réponses, et je avec ce crains que il soit hors de la Ville. A present j'ai ecrit à-propos d'avoir des renseignement sûrs de sa demeure. .

                Mon très cher et charitable Ami, nous avons pleine confiance que [710] la santé de vous et de Madame la Comtesse soit bonne pour tous les deux, et toutes les maisons Salesiennes font sans cesse des prières - à votre conservation bien long temps en santé et sainteté à Farlède.

                Mais dans le cas que quelque chose vous gêne et que vous jugiez bon de venir à passer quelque temps chez nous; venez avec toute liberté et vous trouverez tout le monde qui fera pour vous une grande fête.

                Que Dieu vous bénisse et que la Ste Vierge vous bénisse et vous obtienne tous les bonheurs spirituels et temporels.

                Turin, 18 aout[427]

 

85.

Humble Serviteur affectionné

Abbé JEAN BOSCO.

 

54.

                               Mon cher Mr Le Comte,

                Ma santé m'a empêché quelques jours dé vous écrire. Aujourd'hui va un peu mieux. D. Rua avec les Salesiens donne la retraite à S. - Pierdarena.

                J'ai pleine confiance que vous et -Madame la comtesse serez en bonne santé.

                Toute fois quelques mots sur votre santé c'est un grand désir de chaque jour.

                Demain au soir, si Dieu voudra, j'irai à Valsalice.

                Nous prions sans cesse pour vous. O Marie, soyez la défence, la santé, lé bonheur de ces deux Amis.

                Turin[428], 2 Sept. 85.

Humble Serviteur

Abbé J; Bosco.

55.

                               Mr et Mme la Csse Colle,

                Le voyage de D. Rua à Nice, à Marseille à raison de la santé publique, qui n'est pas encore très bonne, a été retardé. A sa place a été D. Bonetti, qui à fait une visité à nos maisons du` Midi pour faire  une retraite dé quelques jours qui serviront comme retraite à nos maisons de France:

                Mais nous avons continué nos prières tous-les jours pour conserver la santé très précieuse de vous et de Madame la Csse Colle. [711]

                Pendant que D. Dalmazzo été ici avec nous pour la retraite lePrince Lancelloti vient d'arriver -à Rōma. Aussitôt que D. Dal mazzo aura parlé avec Lui, il nous écrira de nos affaires relativement à notre Orphelinat, qui avance toujours dans- la construction quoique reste toujours réservée la place choisie pour la pierre angulaire.

                D. Cagliero a écrit une longue lettre dans laquelle il parle bien de vous de Madme la Comtesse, de notre Louis et d'un jeunhomme qu'il a Baptisé avec le nom de Colle Louis; plus la photographie du garçon. Vous receverez tout à peine la poste ne gâtera pas plus les lettres.

                J'ai passé un mois ici à Valsalice, mais demain j'irai de nouveau à S. Benigno pour la semaine p. r. puis j'espère de rentrer définitivement à Turin.

                Comme vous verrez je suis demi aveugle, et vous avec difficulté pourrez [= pour] lire ma lettre; pardonnez moi, ayez patience. Je ne manquerai de faire tous les matins,pour vous deux un souvenir spécial dans la sainte Messe.

                O Marie, soyez notre guide dans, le chemin du Paradis. J é serai à jamais en J. Ch.

                Turin, sept. 27-85:

Humele Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

56.

                               Mon cher Mr Le Comte et Respect. Mme La Csse Colle,

                D. Rua arrivera entre peu de jours, et il nous portera bien de vos nouvelles. Mais après demain nous commencerons la Ste Neuvaine de l'Immaculée Conception,, et je tiens vous assurer que dans ces jours je ferai tous les matins des prières dans la Ste Messe à votre- intention; et nos orphelins feront aussi bien des communions et des prières pour vous afin que le bon Dieu vous conserve tous les deux en bon santé. Je puis pas écrire, d'avantage; j'espère vous participer autres choses par la main de D. Rua.

                Que Dieu vous bénisse e priez pour votre

                Turin, 27 gbre 85.

humble obligé Serviteur

Abbé J. Bosco[429]. [712]

 

57.

                               Charitable Csse Colle,

                Tous les matins je prie sans doute pour vous, Madame la Comtesse et pour Mr Le Comte votre charitable Mari, et notre gran bienfaiteur. Mais dans,la solemnité de Noel je veux vous écrire quelques mots.

                Pandant que D. Rua me portait le pli que vous savez, vous même m'avez adressez un paquet de Jusupes[430] de votre Ville, de votre jardin. Je l'ai accepté comme souvenir d'une Mêre la plus affectueuse et charitable. Le Jusupe a été très bon et il m'a fait très bien contre la tousse. Et je vous déclare toute ma reconnaissance.

                En attendant j'ai la consolation de vous participer que nos enfans, dans la Messe de Minuit feront la sainte Communion pour vous, Mme et pour vous, Mr Le Comte, e le jour de Noël je dirai la S. Messe exclusivement à votre intention.

                Nous prierons sans cesse, que le bon Dieu vous conserve bien long temps en bonne santé, qu'il vous donne des longues annees et des grandes consolations sur terre, et en fin la grande et la vraie consolation au paradis.

                - Entre très peu de jours je vous [ferai] parvenir la notice que

                vous et M. le Comte attendez.

                Que Dieu nous bénisse et veuillez bien agréer les hommages de tous les Salesiens avec les queis je serai à jamais en J. Ch.

                (sema data)[431].

Oblige Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

58.

                               Mr le Cte et Mme la Csse,

                Je parle de vous tous les jours, et je puis dire tous les moments, mais ma pauvre tête étant toujours un peu tracassèe, je dois ecrire bien peu en comparaison de ce queje devrais faire pour vous remercier de tant de bontè et de charitè que vous nous faites.

                Dans ce moment vous êtes non seulement le soutien de nos oeuvres et des mêmes Salesiens, mais vous êtes devenus dans ces jours, presque nos seuls bienfaiteurs. Car dans ces moments les offrandes sont diminuées dans une mesure affreuse sur tout dans nos maisons de France et dans nos missions d'Amérique.

                Mais notre charitable quêteuse, Notre Dame Auxiliatrice, commente [713] à venir à notre aide avec des grâces exceptionelles dans la Russie, dans la Prusse, et notamment dans la Pologne.

                D. Rua vous envoye des nouvelles de l'orphelinat de Rome. Roma c'est une ville éternelle. Dire beaucoup, faire beaucoup et se contenter de faire les choses très lentement[432]. Patience.

                Vous recevrez aussi la notice de la promenade en Chine avec notre bon Louis. Quand le Bon Dieu nous fera la grâce de nous entraiténir personnellement nous aurons bien de quoi discourir.

                Comme récompense de votre charité que Dieu vous donne tous les bonheurs sur la terre, mais qu'il vous tienne assuré le grand et l'éternel bonheur du paradis avec tous vos parents et vos amis. Ainsi soit-il.

                J e serai à jamais avec la plus sincère gratitude et veneration en J. Ch.

                Turin, janvier 15-86.

Humble affectionné

Abbé J. Bosco.

 

59.

                               Mon très cher Mr le Comte et très respectable Mme la Csse Colle,

                Grâce à Dieu je suis encore vivant. Lundi soir, si plait à Dieu, je serai chez vous, et nous pourrons discourir à notre aise de nos affaires. Si vous pouvez préparer un autel, je dirai bien voulontiers la Ste Messe dans votre Maison, autrement je serai à vos ordres.

                Mardi Mr le Comte Duboys avec sa fille vient de Hyères à Toulon pour nous faire une simple visite. Il sont bienfaiteurs et très très bons catholiques et sans gêne[433].

                Que Dieu vous bénisse, au revoir.

                Nice, 26 Mars 1886.

Humble et affectionné comme fils

Abbé J. Bosco.

 

60.

                               Mon cher Mr le Comte et Mme la Csse Colle,

                Il y a quelques jours que je suis à Pignerol dans la Villa de Monsr. Chiesa, Evêque du Diocèse, mais qui sera transporté  au Diocèse de Casai. [714]

                Là nous avons deux maisons bien. nombreuses, et pour cela nous sommes très contents.

                Ma santé est tollerable, mes pensées sont toujours à vous pour prier le bon Dieu àfin qu'il conserve vous et Madme la Csse en bonne santé long temps.

                Les Salésiens sont en borine santé. Point de choléra ou des autres maux qui nous dérangent. Pour cela, si nos Maisons, nos personnes pourront vous rendre quelque service, vous nous donnerez la plus grande consolation et nous sommes a vos ordres sans bornes.

                Dans ce moment, ou mieux dans ces jours nos enfans sont serieusement occupés de leurs examens;: mais nous sommes bien satisfaits de la moralité, et nombre considérable qui demande d'entrer dans la prêtrise, et du nombre plus grand qui demande d'aller dans les missionnaire:

                Tous les jours on fait des demandes pour des missions parmi les sauvages.

                Maintenant à votre patience pour lire et comprendre mon écriture.

Toujours affectionné comme fils.

Abbé J. Bosco.

                Pinerol, 25 Juillet 1886.

 

 

61.

                O Marie, notre bonne Mère, dans ce jour que l'Église Catholique solennise votre Naissance, portez vous même une bénédiction'toute spéciale à vos deux fils Mr et Mme Le Cte et Csse Colle, pour qui avec tout mon cceur ce matin j'ai celebrée la Ste Messe et nos enfans ont fait la Ste Communion, pour votre bonheur spirituel et temporel.

                Vous prierez aussi pour ce pauvre qui vous aime en J. Chr. comme tendre fils.

                Maintenant je suis retourné à Valsalice pour une autre retraite et poux un chapitre où nous avons traité les affaires de notre Congré-gation. Il y avez rassemblés 70, directeurs dé nos Maisons. Nous avons beaucoup parlés de vous et de nos affaires.

                D. Perrot a dû partir avant, car il a dù aller à sa maison appelle  par son Père gravement malade.

                Tous les Salesiens vous envoyent leurs hommages, et tous prient - pour la conservation de votre santé.

                Au nome de tous je serai en J. Ch.

                Turin, 8 sept. 1886.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco. [715]

 

62.

                               Madame La Comtesse Sophie Colle,

                Je vaudrais bien dans ce jour votre onomastique vous faire une visite mais pour le moment il faut de renvoyer un autre. temps ce proget. Aujourd'hui je devois me borner de dire la Ste Messe, nos orphelins feront la Ste Communion à votre intention.

                Nous prieront que Dieu conserve vous, Mr le Comte Colle en bonne santè, en paix, en charité jusque aux dernier moment de la vie. Et allor la S. Vierge accompagnée par une multitude des [...] vous porte avec Elle au paradis, mais avec vos parens, vos amis, et avec le pauvre D. Bosco qui vous aime beaucoup en Dieu.

                Dans la semaine prochaine nous nous porterons à S. Benigno, où nous avons- doublé le nombre des nouvices et pour ce la nous avons du préparée tout promptement une nouvelle maison. -

                Tous les Salesiens vous font hommages, et moi avec ma mauvaise écrire j'ai l'hardiesse de me dire à jamais affectionné comme fils

                Turin Valsalice, 23 Sept. 1886.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

63.

                               Madame et Mr Le Cte et: Csse Colle,

                Nos Missionaires sont partis, de votre Maison. D. Lasagna a bien voulu écrire les détaills de la demeure faite chez vous, et de la charitésans sans borne que vous et adore la Csse àvez Leurs prodighée avec, - una bontè vraiment paternelle.

                Ils partent mais avec les coeurs bien impressionèes de vous, assurant qu'ils feront de vous deux modèles de vie chrétienne en Amé-rique. Ils partent pour gagner des âmes au bon Jésus, gagner 1á leur, la vôtre; et voilà un plat qu'ils vous présenteront un jour à votre entrée au paradis; mais un plat vraiment gourmand:un plat d'or, un plat formé avec des diamants, et plein de- bonnes oeuvres; et parmi les autres bonnes oeuvres l'aide que vous donnez aux Salésiens dans la conversion des sauvages.

                Mais votre jujube[434] qu'est devenu? Eeoutez: votre jujube, étant d'une excellente qualité, a été divisée ainsi:

                1° quine mille pour un lettre de change qui m'avait envoyée Monseigneur Cagliero de la Patagonie. [716]

                2° 35 m. alla Banque Tibéiine[435].

                3° Le reste à S. Jean Apôtre, à S. Benigno, à Foglizzo, où nous avons les jeans hommes qui étudient pour la prêtrise.

                Vous voyez que chaque parole de cette [lettre] demande bien de quoi dire, mais votre [désir] viendera [satisfait] quand nous pourrons discourir de nos affaires paisiblement.

                Je voudrais vous écrire bien d'autres choses, pour vous témoigner l'affection et les obligations que tous les Salesiens vous professent, mais ma pauvre tête est très peu obeissante, et Madame la Comtesse voudra bien donner un charitable interprétation à cette mauvaise écriture.

                En attendant dans la prochaine neuvaine de Noël tous les Salésiens prieront, diront dés Messes, feront des communions pour votre bonheur spirituel et temporel.

                Que Dieu vous bénisse tous les deux, et N. D. A. vous conserve en bonne santé et récompense largement toute votre charité dans ce monde, et bien plus largement au paradis. Au Paradis! Amen.

                Turin, 14 dec. 86.

Obligé comme fils

Abbé J. Bosco.

 

64.

                               Mr le Comte e Mme la Comtesse,

                Un peu à nous et discourir un peu de nos affaires.

                On aurait établi de faire la consécration de l'Eglise du Sacré Coeur à Rome le 14 mai et delà venir à la fête de Notre Dame Auxiliatrice pour le 24 même mois.

                Vat-il vous bien?

                Si la chose est possible de votre côté, je vous écrirai les détails de toutes les choses qui nous regardent.

                Je vous dirai avec la plus grande consolation que dans le grand désastre du tremblement de terre, pas un enfant, pas une personne qui a été endommagée.

                Seulement les constructions ont soufert beaucoup; et la maison, les écoles, l'église du Torrione ont étée presque ruinées.

                Mais la divine Providence nous a toujours aidé; et Elle nous ne manquera pas dans ce moment.

                Tout le monde vous attende pour le temps fixé; nous prions tous les jours pour votre santé, et conservation, et votre pauvre mais [717] très affectionné Don, Bosco tous les matins ne manque jamais de faire un souvenir spéciale dans la sainte [Messe].

                Que la Sainte Vierge vous protège et vous guide et vous guide (sic) dans tous les dangérs de la vie.

                Turin, 22 mars 87.

Affectionè comme fils

Abbé J. Bosco.

 

65.

                               Mon, cher Comte et Respectable Mme la Comtesse Colle,

                Je ne sais pas si nos nouvelles soient parvenu jusque à vous depuis quelque temps. Car je suis presque obligé d'abbandonner la correspondance des lettres hors des choses absolument confidentielles. Maintenant on a établi que l'Eglise du Sacré [Coeur] soit definitivement consacré a Dieu le 13 mai. Je suis obligé de faire des petites étapes, mais pour ce jour là je èspère d'être à Rome et là de vous trouver tous les deux en bonne santé et de parler tranquillement de nous.

                De Rome nous viendrons chez nous à 'Purin à la fête de N. D. A. le 24 mai.

                Les choses nous les verrons, nous les dirons.

                Adieu, mes chers et bons Amis. Que Dieu vous protege, et que la S. Vierge soit toujours votre guide jusque au paradis.

                Avec la plus grande gratitude je serai à jamais en J. C. Turin, 8 ap. 87.

Obligé comme fils

Abbé J. Bosco[436]

 

66.

                               Mr Le Cte et Mme La Csse Colle,

                Votre lettre a été pour tous nous un coup de foudre, qui. a boulversé tous nos projets. Seulement votre santé et la necessitè de vous user tous les regards tient place pour toutes les raisons.

                On fera, ou mieux on portera pour autre temps nos fêtes. Je desire d'y aller, de prier bien pour vous [sur] les tombeaux de S. Pierre et [718] Paul, et j'espère le Boit Dieu vous accordera [de venir] à la fête de notre Dame ici en V Valdocco. Toutes nos prières sont. à cette intention.

                Vous receverez de nos nouvelles. Que Dieu nous bénisse, et que Marie nous guide à nous voir certainement à Turin pendant que tous nos eleves prient pour vous et vous attendent sans doute leur donner une grande consolation avec votre visite. Amen. Toujours en J. Ch.

                Turin, 12 avr. 87.

Humble Serviteur

Abbé J. Bosco[437].

 

67.

                               Mr et Mme La Csse Colle,

                Nous sommes arrivés à Rome; notre voyage a été bon; les détaillés vous les receverez par mon secrétaire D. Rua.[438] Si vous ne pouvez pas [719] venir on priera bien pour votre santé. Toutefois j'ai pleine confiance de vous voir à Turin; car ce n'est pas possible dure la fête de notre

                Dame Auxiliatrice sans votre présence. Je parle toujours comme ça, si votre santé lé permettra, puisque votre santé pour nous est tout. - Mon retour est fixé pour le 20 mai le plus, si on peut, j'avancerai de quelques jours. Toutes nos oeuvres ici sont commencées;, que pieu nous aide à les acomplir.

                Que Dieu accorde bonne santé à vous et à Madme la Comtesse, et vous guide tous les deux dans le chemin du paradis. Amen.

                Roma, 1 mai 1887.

Humble et a . comme fils

Abbé J. Bosco.

 

68.

                               Mon très bon et très cher Mr le Cte Colle,

                Je comprends -par votre lettre que votre santé n'est pas bonne comme nous tous désirons. Pour cela nous voulons faire bien des prières et faire pour ainsi dire violence au bon Dieu et à la Ste Vierge. Tous les enfans de nos maisons prient pour vous, demain moi et Don Rua dirons' tous les deux pour vous la sainte Messe.

                Le soir de vendredi à 6 heure nous avons audience du St Père. Nous lui parlerons bien de vous et pour vous nous lui demand[er]ons.  une toute spéciale bénédiction et une parfaite guéríson.

                Le samedi on' fera la consécration de l'église et fiel°orphelinat du Sacré Coeur que tant de fois j'ai recommandé à votre charité; et on commence aussi la neuvaine de notre grande solennité. Nous prions toujouis pour vous. Madame la Contesse Colle priera, avec nous.

                Veuille la Ste Vierge exaucer nos prières, Confiance en Dieu. en N. D. Ā. Amen.

                Rome, 12 mai 1887.

Affectionné comme fils .

Abbé J. Bosco.

 

69.

                               Mr Le comte et Mme la Csse Colle,

                Je crois que vous ayez reçu la relation que le St Père a bien voulu faire de vous en vous donnant 1a Ste bénédiction.

                Maintenant je vous, dirai seulement deux mots dans la maison. Arcivescovile de l'Archevêque de Pise qui me charge de vous présenter ses respectueux hommages.

                Demain matin je partirai pour Turin, où nous voulons absolument engager la Ste Vierge Auxiliatrice de vous donner la première santé. [720]

                Tous lés Salésiens prient sans cesse pour vous et pour Madame. Que le bon Dieu vous bénisse et que la Ste [Vierge] vous guide à jamais dans 'le chemin du paradis. Ainsi soit-il.

                Pise, 18 mai 1887.

Affectionnè comme fils

Abbé JEAN Bosco.

 

                Le St Père dans la longue audience qu'il a bien me voulu donner; j'ai eu temps de parler de vous, de Mme et de toutes les bonnes oeuvres que vous faites et que vous nous aidez de faire.

                Il regrette beaucoup que votre santé ne soit comment on désire; il recomande bien des prières dans l'église du Sacré Coeur, et tout spécialement dans la neuvaine et dans la fête de notre Auxiliatrice.

                Je lui ai recommande de vous votre santé pour long temps dans la sainte Messe. Il m'a assuré et il m'a chargé de vous donner de sa part une spéciale bénédiction avec l'Indulgence plénière.

                Patience de mon écriture.

 

70.

                Je suis dans notre collège de Valsalice qui a été honoré de votre présence, et qui nous donne occasion de parler bien souvent de vous, ô Mon cher Mr le Cte et respectable Mme La Comtesse. Dans le cas que votre santé vous permette de venir chez nous pour la saint Louis et la Saint Jean, votre chambre, votre table est préparée pour vous et pour Madame.

                Ce séjour, je le crois bien agréable pour vous, car la chaleur ne nous dérangerai pas. Toute la maison serait à vos ordres. Mais avant tout, nous devons porter nos pensés à votre santé dont j'ignore la vraie, position.

                Je désire vraiment de passer quelque temps avec vous et de parler un peu avec vous de nos affaires de Rome, de St Benigne, de nos missionaires, mais tout demande une bonne santé de votre part et de la part de Madame la Comtesse.

                Tous les Salésiens font des prières pour votre santé et nous avons pleine confiance d'être exaucés.

                Les nouvelles de nos missionaires ont été mauvaises sutout pour Monseigneur Cagliero, qui marchant de la Patagonie au Chily est tombé de cheval et resté comme mort dans les déserts des Cordiglières. Maintenant la vie est sauvée et depuis un mois de dangereuse vie (= voie, chemin), en fin sont arrivés encore tous vifs à la Ville La Conception et commencèrent les travaux pour la conversion des . sauvages.

                Nos missionaires écrivent très souvent qu'ils se reccomandent sans cesse à vos charitables prières; de leur cote tous assurent que [721] tous lés jours ils :ne manquent pas de recommander vous et Madame aux prières des sauvages et sur tout de ceux qui ont reçu vôtre. nom dans le baptême.

                Que le bon Dieu vous bénisse tous les deux et que la Sainte. Vierge soit votre guide dans tout-les dangers jusque au Paradis.

                D. Rua, avec tous les Salésiens, vous présentent leur hommages affectueux et moi je serai pendant ma vie

                Turin-Valsalice; [I4 giugno. 1887].

très affectionné comme fils

Abbé JEAN BOSCO,

 

71.

Torino, 18 giugno 1887.

                Nous ferons la Neuvaine à Vierge non seulement. une fois, comme vous desirez trente fois a fin que Dieu nous exauce, comme nous assure le Curé de S. Louis (I Dieu le fasse. Toute les maison parent avec nous.

                Le Comte áé Villeneuve est chez nous avec sa fille Anne Mari pour action de graces a la S. Vierge. Nous avons parlée bien de vous e ü m'assure 'de prier aussi avec pour votre guerison parfaite.

                O S. Jean, permettez pas qu fassions votre fête sans obtenir de Bon Dieu ou la pas que nous :on ou au moins une bien remàrcable ameillioration. Ainsi soit-il , ;

                Quand vous aurez la bontè de ndre a m'es lettres, je vous prie sans copliments mens tout simplement deux mots. Je suis o non suis pas miex. Ce la est seulement pas vous donner trop de peine ecrire une longue lettre.

                Nous aussi prions pour Madame la Comtesse Colle et nous avons pleine confiance dans sa parfaite guerison.

                O Marie, notre Mère piè et charitable, priez pour nous et nous protegez. Ainsi soit-il.

Votre humble et oblige comme fils

Abbé J. BOSCO.

 

72.

Lanzo, 7 iuillet 1887.

                               Mon très cher Mr Le Comte,

                Par votre derniers lettre et par les nouvelles qui nous ecrivet D. Perot, votre santé n'est pas encore assez satisfaisante, pour ce la je pense de faire vous plaisir d envoyer Dom Rua a vous faire

(1) Parrocchia di Tolone.(???) [722]

 

une visite, d'autant plus que il à des affaires à traiter a Marseille.

                Il restera chez vous et à vos ordres pour toutes les affaires et pour le temps qui vous sera agreable à vous et a Madame là Csse.

                D. Rua connaît très bien vos intentions, les intentions de Madame et les miens.

                En attendant dans toutes nos maisons on priet pour votre parfaite santé: la Ste Vierge soit toujours notre guide dans le chemin du paradis.

                Que Dieu vous bénisse.

Aflectionnè comme fils

Abbé J. Bosco.

 

73.

                D. Mme La Csse Colle,

                D. Rua nous donne la nouvelle que Mr Le Cte est un peu mien. Dieu soit benit. Nous continuons  nos prières sans cesse. Nous esperons que le peu continuera quoique long. Je suis presque dans la même situation. Un peu mien, mais je ne est puis pas marcher sans le soutien de deux personnes.

                Mais pour vous même, Madame la Csse, vous manqué de soin pour votre santé. Soignez notre cher malade, mais ne oubliez pas vous.

                Tous les matins dans la Ste Messe mes prières seront pour Mr Le Comte, pour Madme votre Soeur. Nos orphelins font tous les jours des communions particulières a votre intention à l'autel de notre Dame Auxiliatrice.

                O glorieuse S. Anne, obtenez nous du Bon Dieu santé, sainteté et perseverance jusque au paradis - paradis -.paradis.

                Turin[439], 26 julliet 1887.

Affectionné comme fils

Abbé J. BOSCO.

 

74.

                               Madame La Comtesse Colle,

                Dieu soit beni et que la Ste Vierge soit remerciēe à jamais.

                La grâce ou la guerison de Mr'le Cte Colle est vramaint chose étonnante. J'avais plusieures fois.dit et ecrit si plait a Dieu, qu'il m'appel à l'eternitè, mais qu'il donne encore du temps à son fils Mr [723] Le Comte Colle afin qu'il puisse continuer sa protection à nos missionaire et à notre naissante congreation. Dieu a bien voulu choisir le jour de ma naissance et me donner telle nouvelle.

                Que la Ste Vierge soit remerciée d jamais à jamais. C'est une nouvelle la plus agreable. Don Rua ecrira lui même; volis lirai avec patience cette mauvaise ecriture.

                Que Marie soit notre protectrice à jamais. Veuillez aussi continuer vos prières pour ce prêtre pauvre mais toujours

                affectionné comme fils

                Lanzo, le 17 aoút 1887.

Abbé J. Bosco.

 

75.

                               Mon cher et très bon ami,

                J'espère devant Dieu que votre santé marchera toujours de ,bien en mieux, et Madame la Csse et vous aurez santé régulière. Nous avons toujours prié à cette intention, mais le jours de la naissance de la Sainte Vierge nous prieront tout particulierement.

                Je suis toujours à Valsalice, Don Rua est à Este dans notre collège pour diriger la retraite des Salésiens de Lombardie. Samedi il sera ici avec moi.

                L'abbé Perrod a été quelques jours avec nous et nous avons eu temps à discourir de vous, de votre guérison, de la santé de Madame la Comtesse et de Madame sa soeur.

                Que Dieu nous bénisse, et que la Sainte Vierge soit notre guide dans tous les dangers jusque au paradis.

                Mes hommages à tout le monde.

                Turin, 6 sept. 87.

Humble et affectionné comme fils

Abbé J. Bosco.

 

76.

                               Monsieur et mon cher Cie Colle,

                L'Abbé Perrot nous a invoyé votre somme généreuse de 5 mille fr. afin de nous aider habiller nos jeunes abbés. J'ai immédiatement depensés pour eux et jeudi prochain c'est fixé pour leur habillement cléricale, mais le jour même ils prient, ils font la Sainte Communion pour vous, pour Madame la Comtesse, et pour la continuation de votre santé.

                Des prières spéciales nous ferons pour les vivants et le defunts de votre famille. [724] Courage, nous continuons nos prières, je me recommande aussi à vos charitables et bonnes prières. Ma santé va mieux, Dieu soit béni et que la Sainte Vierge vous protège.

                Je suis bien heureux toutes les fois que je pourrai encore prier pour vous et poùr Madame et me dire votre obligé et humble Serviteur

                (manca la data)[440].

Abbé JEAN Bosco.

 

77.

(Lettera da spedire dopo la morte del Santo).

 

                               Mr et Madame le Cte et la Csse Colle de Toulon,

                Je vous attends où le Bon Dieu nous a préparé le grand prix, le bonheur éternel avec notre cher Louis.

                La Divine Miséricorde nous l'accordera. Soyez à jamais le soutien de la congrégation salésienne et l'aide de nos missionnaires.

                Dieu vous bénisse.

Affectionné comme fils

Abbé J. Bosco.

 

 



[1] Don Auffray per mezzo del Bollettino francese e personalmente ha potuto rintracciare preziosi ricordi, dei quali si è tenuto conto.

[2] Lett. a Don Luigi Colombo, ispettore salesiano, 3 ottobre 1934.

[3] Cioè dai nove volumi di Memorie biografiche da lui pubblicati, che vanno fino al 1870 compreso, e dalla sua Vita in due volumi.

[4] L'Oratorio di Don Bosco, Torino S.E.I. Seconda edizione.

[5] L'Ami du.Clergé, 24 mai 1934.

[6] Cfr. vol. XIV, pag. 390.

[7] Cfr. l. c., pag. 361.

[8] Con la data del 29 gennaio 1883 esiste nell'archivio (32 - I) una lunga circolare intitolata: Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane. É tutta scritta per mano di Don Rua, compresa la firma: SAC. GIOVANNI BOSCO. Non ci consta che sia stata mai pubblicata (App., Doc. I).

[9] Arch. sal., Autografi di Don Bosco, Num. 369.

[10] App., DOC. 2.

[11] Ivi, DOC - 3.

[12] Ivi, DOC. 4.

[13] Non riportiamo più queste circolari, perchè, sebbene rechino sempre la firma di Don Bosco, erano però compilate da Don Bonetti, secondo le istruzioni da lui impartitegli. Vi ricorreremo come a fonti d'informazioni.

[14] Quello Spagnuolo allora era solo in preparazione.

[15] Anche il tenore della lettera, scritta in latino, dimostra sentimenti assai benevoli (App., Doc. 5).

[16] Arch. sal., autogr. di Don Bosco, Num. 311.

[17] Un Cooperatore che praticava esattamente tutte queste cose era il torinese conte Prospero Balbo, che i più anziani dei nostri ricordano.

[18] Appendice, Doc. 6.

[19] Vol. 3° del 1883, pag. 81. (App., DOC. 7).

[20] Coadiutore salesiano, direttore della Libreria Salesiana.

[21] Cfr. vol. XV, pag. 390.

[22] Don Bonetti, a nome di alcuni cittadini torinesi, mandò una protesta al Ministro di Grazia e Giustizia (App., Doc. 8).

[23] Appendice, Doc. 9.

[24] Ivi, Doc. 10

[25] Don Lemoyne ne ha lasciato il drammatico racconto, che riportiamo in Appendice (Doc. II).

[26] Lettera di Don Dalmazzo, Roma 31 gennaio 1883.

[27] Lettera a Clara Louvet, Torino 5 dicembre 1882.

[28] Procès - Verbaux du Comité des Dames de l'Oratoire Saint Lèon, Séance du 8 novembre 1882.

[29] L. c., 23 novembre 1882.

[30] App., Doc. 12.

[31] App., Doc. 13. Non abbiamo potuto trovare l'originale, ma soltanto la traduzione fattane dal coadiutore poliglotta Quirino, forse perchè l'abate aveva una scrittura molto difficile a leggersi.

[32] Don Lemoyne, a cui dobbiamo questa informazione, scrive che Don Deppert gli “ disse di essere pronto ad attestare di aver avuto notizia di questo detto di D. Bosco prima che Mons. Gastaldi morisse ”. Il medesimo Don Lemoyne lasciò scritto: “ Le ultime parole che pronunziò furono: - Ah D. Bosco, ah D. Bosco! - Così attestò il Teol. Corno che l'udì, in quel momento che forse cadeva per terra. Ciò egli disse a D. Deppert suo antico compagno di scuola e D. Deppert più volte, presente D. Lemoyne, si dichiarò pronto a rendere testimonianza di ciò ”. Aveva in quei giorni generato sorpresa un fatto. Si veniva costituendo in Torino un'associazione per la diffusione della buona stampa ad iniziativa del Comitato regionale dell'Opera dei Congressi. Sarebbe parso naturale che, cercandosi un protettore, si scegliesse S. Francesco di Sales, già dichiarato da Pio IX Dottore della Chiesa e Patrono della stampa cattolica; invece si preferì S. Carlo Borromeo. Corse voce che la prima idea fosse stata di mettersi sotto la protezione del Vescovo di Ginevra, ma che l'Arcivescovo di Torino vi si era opposto, ricusando altrimenti di benedire l'intrapresa.

[33] Appendice, Doc. 14.

[34] Nella traduzione italiana del Dom Bosco del dottor D'Espiney manca questo episodio. Don Rua, che aveva incaricato di quella traduzione Don Ercolini, gli ordinò di sopprimerlo insieme con altre notizie che a lui non constavano. Ma il medesimo Don Rua disse poi al traduttore che l'autore erasi lagnato con lui della soppressione, essendogli stato narrato da Don Bosco stesso il fatto. - Ma io non lo conosceva, - rispose a sua giustificazione Don Rua.

[35] L'archivio delle Figlie di Maria Ausiliatrice conserva tre curiose relazioni di casi e di cani, che ricordano il Grigio di Don Bosco.

Il 2 novembre 1893 due Suore, tornando a piedi da Assisi al loro collegio di Cannara, sono sorprese per via dalla nebbia e dalla notte fuori dell'abitato e lontano da casa. La paura le assale. Suor Amalia Calaon dice alla compagna: - Oh se Don Bosco ci mandasse il suo Grigio! - Davvero! - esclama Suor Annetta Dallara con voce tremante. Non passano due minuti, che dalla siepe vicina sbuca un grosso cane, il quale salta un fossatello e ansimando forte si mette a camminare in mezzo a loro. É alto, ha pelame grigiastro, porta orecchie lunghe e abbassate e i suoi occhi scintillano nel buio. Quasi a incoraggiarle il buon bestione alza il muso, guarda or l'una or l'altra come antiche conoscenze e lambe loro la mano. Giunte al collegio, mentre si parla di dargli da mangiare, l'animale si volge rapido e infila il portone. Le Suore corrono per rattenerlo; ma per la vasta piazza e lungo la via adiacente più non lo vedono.

Nel 1930 a Baraquilla in Colombia le Figlie di Maria Ausiliatrice fabbricavano. Ogni giorno udivano notizie di furti e violenze nella città e  nei dintorni; temevano quindi anch'esse la visita dei ladri, perchè dal di aprile avevano all'aperto mucchi di materiali da costruzione e da servire all'impianto di lavandini, bagni, porte, finestre e simili. Oh i malandrini conoscevano bene la strada! Infatti prima dei lavori ben quattro volte erano penetrati in casa, pur senza far danno, tranne lo spavento. Le suore dunque pregarono Don Bosco di mandare il suo Grigio a custodirle. Orbene, una notte ecco entrare in un corridoio della vecchia casa una fila di cani non mai visti in quei dintorni. Erano sei: si appostarono nei cortili e negli angoli più riposti del vecchio recinto. Passata la paura, le Suore li avvicinarono e li trovarono mansi mansi. La dimane alle sei uscirono uno dietro l'altro com'erano entrati, e così fecero per un illese di seguito. Dopo, tre solamente si fecero vedere. Dei tre uno morì per veleno; ma subito un altro venne a sostituirlo. Continuarono così la guardia, finchè non ci fu più pericolo.

Un terzo caso capitò in Francia alla Navarre tra il 1898 e il 1900; suor Giuseppina Crétaz e suor Verina Valenzano, scrivendone a vent'anni di distanza, non rammentano con precisione la data. Si usa colà verso la fine di ottobre andare nei paesi vicini alla questua delle castagne, restando fuori tre giorni. Quella volta partirono insieme le due Suore mentovate qui sopra. Da uno di quei paesi all'altro vi erano quattro ore di cammino, quasi sempre attraverso foreste con rarissime case. A un certo punto in mezzo alla solitudine e al silenzio la paura le vinse. - Qui ci possono saltare addosso, dicevano, senza che nessuno ci difenda o se n'accorga! - Mentre facevano queste malinconiche riflessioni, sentirono un fruscio nel bosco: sembrava il passo di chi camminava sulle foglie. Ma non vedevano nulla. A un tratto ecco un cagnone avvicinarsi scodinzolando, girar loro attorno, portar la testa vicino alle loro spalle, quasi per dire: - Non temete, ci sono io! - Poi, corso in mezzo al prato e addentato un ramo di castagno, lo faceva saltare in alto e lo riafferrava con la bocca camminando così dinanzi a loro, come se le volesse distrarre. - Che sia il Grigio di Don Bosco? - si dissero a vicenda le due suore. Speravano di condurlo a casa nel ritorno; ma poco lungi dal paese, incontrata una carrozza con certe signore di loro conoscenza e fermatesi a discorrere, il cane sparì nè più ebbero di lui traccia alcuna.

[36] Appendice, Doc. 15

[37] Cfr. vol. XV, pag. 514.

[38] Cfr. circolare di Don Rua agli ispettori, 29 marzo 1883.

[39] Lettera di Don Ronchail a Don Rua, 24 febbraio 1883.

[40] Testualmente: Ma fille, vous n'éles pus dans l'ordre.

[41] Inviando il 14 settembre 1899 una relazione dei due fatti scriveva: “J'aimais tant Don Bosco qu'il me semble que c'est m'acquitter envers lui d'une dette de reconnaissance ”. Il suo parroco univa la sua attestazione dichiarando essere la signora Laroche honestate ac religione insignem, proinde fide dignam. Di un'altra visita ricevuta da Don Bosco a Nizza, cfr. App., Doc. 16.

[42] Riportato da Don Rua nella circ. cit.

[43] Lettera della signora Anna Nótinger a Don Bosco, Gérardmer (Vosges), 28 luglio 1883.

[44] Di lui incontro si può leggere un cenno breve, ma significativo in App., Doc. 17.

[45] Il fatto fu testificato da Don Ronchail a Don Lemoyne.

[46] Togliamo le notizie sulla visita alla Navarre da una breve cronaca italiana di quella casa. Nel vol. Il della Vita si riporta il passo di una lettera dell'ispettore Don Albera, riferendolo a quest'anno, mentre è del 1882. (Cfr. vol. XV, pag. 503)

[47] Di una visita ricevuta da Don Bosco alla Navarre, cfr. App., Doc. 18.

[48] Bulletin Salèsien, aoút 1883. L'unico ricordo di questo passaggio a Hyères è la lettera di una Isabella Guille, che il 15 novembre 1883 scrisse a Don Bosco da Parigi: “ La guérigon de ma mère que nous vous avons recommandée plusieurs fois, est en très bonne voie, elle est presque obtenue; aussi nous voulons que la sainte Vierge achève complètement cette guérison. Je vous recommande encore d'une manière toute spéciale la guérison de Mlle Félice Sanguier que vous avez vue à Hyères ”.

[49] Cfr. vol XV, pag. 87.

[50] Procès - Verbaux, séance du 15 mars 1883.

[51] Circolare d'invito in App., Doc. 19.

[52] L 'Echo de N. D. de, la Garde (8 aprile 1883, num. 19) scriveva: “L'attachant récit fait avec une grâce charmante et un paternel abandon par Don Bosco a vivement impressioné l'auditoire d'élite qui se groupait au pied de la chaire. Le pieux empressement des fidèles auprès du saint religieux et le dévouement toujours plus grand des catholiques sont, sans contredit, le meilleur témoignage que Dieu donne à la vertu qui a présidé à la fondation de cette œuvre et qui travaille à son developpernent ”.

[53] Proc - Verb., séance du 12 avril 1883.

[54] Questa campagna algerina fu decretata in seguito a scorrerie dei Krumiri, avvenute nei giorni 30 e 31 marzo 1881 sul territorio di Costantina. La Francia fece marciare colà quarantamila uomini. La campagna si chiuse col trattato di Cair - Said (12 maggio 1881), che mise la Tunisia sotto il protettorato della Francia.

[55] Don Lemoyne a Marsiglia vide il giovane reduce dall'Africa e non ancora ristabilito bene in salute, e questo alcun tempo prima che Don Bosco andasse a quel pranzo. La festa di famiglia si fece nel 1882 o nel 1883.

[56] V. CHANTIER. Un missionnaire salésien. Le père Ludovic Olive. Nice, Ecol prof. sal. Don Bosco; 1931.

[57] Dei due primi fa menzione Don Rua in una seconda circolare del 5 aprile agli Ispettori.

[58] L'omissione si spiega forse a questo modo. In alto, sopra la prima riga, Don Bosco scrisse a grandi caratteri: Oratoire S. Léon, Marseille. La parola Marseille finisce quasi la corta riga, essendo il foglietto di piccole dimensioni. Sotto Marseille viene: 2 Mars 83. Ma l'occhio non aveva misurato bene lo spazio, sicchè, appena fu cominciato a scrivere, avvertì la necessità di stringere le lettere per farle stare tutte. Questa preoccupazione dovette far dimenticar la ripetizione della cifra.

[59] Circ. cit. di Don Rua e lettera di Don De Barruel al conte Colle, Valence, 5 aprile 1883.

[60] Un giovane Giuseppe Françon gli scriveva da Tarascona il 30 maggio, quando tanti giornali parlavano dì Don Bosco a Parigi: “Je suis le jeune homme guéri par Notre - Dame de Lourdes et vêtu de bleu, qui, avec son père, a eu le bonheur de vous voir et de recevoir votre bénédiction chez M. Michel Bent, à Avignon au mois d'avril passé. Vous avez même eu la bonté de me promettre un souvenir particulier à votre Messe du lendemain ”.

[61] Gazette du Midi, 5 aprile 1883.

[62] Semaine religieuse di Nizza, 22 aprile 1883.

[63] Relazione del 12 febbraio 1931.

[64] Appendice, Doc. 20.

[65] Summarium della Positio super virtutibus, Num. III, §§ 235 - 6.

[66] Lettera di Don De Barruel al conte Colle, Moulins, 17 aprile 1883.

[67] Mentre correggiamo le bozze (12 maggio 1935), a Roma si dà lettura del decreto sull'eroicità delle sue virtù.

[68] Echo de Fourvière, 12 aprile 1883.

[69] Echo de Fourvière, 5 maggio 1883.

[70] Eclair, 21 aprile 1883.

[71] D'ESPINEY. Don Bosco (XIme éd.).

[72] Bulletin Salèsien, août - septembre 1932,

[73] App., DOC. 21.

[74] Appendice, Doc. 22 (A - I).

[75] Era cognata di monsignor di Poterat, già direttore dell' Oeuvre de Jeunesse a Orléans e poi succeduto a monsignor di Ségur nella presidenza dell'Union des Oeuvres Catholiques, specie di Federazione che preludeva all'odierna Azione Cattolica. Nel 1882 essa aveva mandato ventimila franchi per la chiesa del Sacro Cuore (Arch. ispett. di Roma).

[76] Quel tal segretario era il canonico Nény, morto Vicario Generale della diocesi. Ebbe da lui queste notizie il suo amico abate Giraud, presente doyen del Capitolo della Cattedrale, e questi le ha comunicate a noi per il tramite di madamigella De Rancourt di Montluçon (Moulins, 18 ottobre 1933).

[77] Il sardo Dettori (1773 - 1836) era stato privato della cattedra nell'Università di Torino per le polemiche suscitate dalle sue opinioni sul probabilismo. Aveva decise preferenze giansenistiche e gallicane. Anche l'Alasia, che allora andava per la maggiore, apparteneva alla scuola rigorista.

[78] Cfr. vol. XV, pag. 230.

[79] Cfr. vol. XI, pag. 552 sgg.

[80] La Stella Consolatrice, num. 13 - 14

[81] Processicolo, pag. 137

[82] Il 18 ottobre 1879 pubblicò una lettera aperta agli editori Speirani, che avevano stampato le opere del Rosmini, e voleva con quella spiegare in senso favorevole alla filosofia rosminiana l'enciclica Aeterni Patris uscita in agosto. Tale lettera fu subito deplorata per iscritto dal cardinale Nina, allora Segretario di Stato.

[83] Il 28 luglio 1880.

[84] Summarium super virtutibus, num. III, § 695.

[85] Lettera del card. Nina a Don Bosco, 25 dicembre 1881.

[86] Summ. sup. virt., num. 15, § XXI.

[87] Lettera di monsignor Vitelleschi, segretario dei Vescovi e Regolari, a Don Bosco, 5 gennaio 1875.

[88] Lettera a Don Rua, 25 marzo 1888.

[89] Processicolo, pag. 97.

[90] Le fonti principali del nostro racconto saranno: I° I giornali del tempo; 2° Un centinaio di lettere scritte a Don Bosco o al segretario e fortunatamente conservate; 3° un succinto diario delle udienza serali dal 18 aprile al 21 maggio, ma con larghissime lacune; 4° due opuscoletti stampati a Parigi: LÉON AUBINEAU, Dom Bosco, sa biographie, ses œuvres et son séjour à Paris, A. Josse éditeur; Dom Bosco à Paris, sa vie et ses œuvres par un ancien Magistrat, Librairie Ressayre, septième édition. Di quest'ultimo, in meno d'una settimana, furono esaurite tre edizioni. Entrambi uscirono quando il Santo era ancora a Parigi. Altre fonti particolari saranno citate volta per volta, come: 5° appunti di Don Lemoyne su informazioni fornitegli oralmente; 6°testimonianze recenti di superstiti, che Don Bosco videro e udirono a Parigi. (Pubblichiamo in Appendice il num. 3°, Doc. 22°).

[91] Cfr. vol. XV, pag. 564 sgg.

[92] La gente pensava che quelle Desmoiselles dovessero essere religiose; ma, non vedendosene alcun indizio, si domandò loro durante la presenza di Don Bosco: - A che Ordine appartenete?

 - All'ordine dei buoni cristiani.

 - A quali opere attendete?

 - A quella di ricevere voi altri.

 - Ma in quale casa di carità ci troviamo?

 - Nella casa della signorina Sénislhac.

Con simili risposte eludevano la curiosità del pubblico.

[93] Il padre del morente era un milionario. Il biglietto diceva: “ Mr Allardi 32 avenue de Freidland a son petit fils mourant, abandonné par tous les médecins; on demande Don Bosco à grands cris, ne fût - ce que par une minute ”.

[94] Don Rua nei processi dice di essere arrivato a Parigi tre giorni dopo il discorso fatto nella chiesa della Maddalena. Don Bosco aveva parlato ivi il 29 aprile.

[95] L'opuscolo dell'ex - magistrato fa di Don Rua questa miniatura (pag. 61): “De taille moyenne, pále, et la figure amaigrie, l'oceil vif, Dom Rua est le type achevé de l'Italien distingué et diplomate. Sa voix est douce, le sourire malin tempéré par une grande bienveillance. Il nous a été donné de passer de longues heures avec lui, et nous sommes sortis sous le charme de cette conversation, où la bonhomie ultramontaine se mêle à une connaissance approfondie du cœur humain. C'est un grand caractère ”.

[96] La lettera fu pubblicata nel Bulletin Sal. del settembre 1921.

[97] Lettera della signora Isabella Guille a Don De Barruel, Parigi (3 rue Hersahell), 22 maggio 1883.

[98] Erano due coadiutori: questo il noto portinaio dell'Oratorio, l'altro l'addetto alla libreria. Con la data e piacevolezza medesima scrisse a Don Berto.

 

                               Carissimo Don Berto,

 

                Dammi di tue notizie: dimmi qualche cosa dei nostri affari e nominatamente delle zucche e dei fagiuoli.

                Mandami il pastranino da estate.

                Dio ti benedica e saluta Mondone e Don Taulaìgo. Prega assai.

 

                19 ap., Avenue de Messine, 34 Paris.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco.

[99] Ciò riseppe Don Ronchail a Cannes da testimoni oculari.

[100] Unità Cattolica, 15 maggio 1883 e Appendice, Doc. 23

[101] Le Monde, 12, e L'Univers, 13 maggio 1883.

[102] Procès - verbaux del Comitato femminile marsigliese, 10 maggio 1883.

[103] Le Monde, 13 maggio 1883

[104] Bulletin Salèsien, mars 1930.

[105] Appendice, Doc. 24.

[106] Bulletin Salésien, mars 1930. Abbiamo attinto gran parte di queste notizie da tre lettere di Don Mocquereau, comunicate dopo la sua morte al direttore del Bollettino francese, due dalla sorella nel 1930 e una nel 1934 da un benedettino di Solesmes. Quelle uscirono già sul Bulletin (mars 1930), questa è inedita (App., Doc. 25 A - B - C).

[107] Lettera dell'abate E. De Leudeville a Don De Barruel, II maggio 1883.

[108]Sanvez celui que la Très Ste Vierge Notre Dame Auxiliatrice a guéri par vos prières ”.

[109] Cfr. vol. XIII, pag. 1002.

[110] Appendice, Doc. 26.

[111] Appendice, Doc. 27.

[112] Ivi, Doc. 28.

[113] Ivi, Doc. 29.

[114] L. DEHON, Souvenirs. Rome, Desclées, 1912. Pag. 7.

[115] Cfr. La Croix, 25 ottobre 1934.

[116] Cfr. G. SODERINI, Leone XIII, vol. II, pag. 243.

[117] Cfr. Unità Cattolica, 8 giugno 1883.

[118] Cfr. vol. XIII, pag. 737 sgg.

[119] Don Viglietti nel suo diario, già citato altrove e del quale parleremo nel volume seguente, scrive Sotto il 28 maggio 1885: “ Don Bosco mi domanda di vedere ciò ch'io ho scritto intorno a Victor Ugo, perchè egli vuol dettarmi il dialogo avuto seco lui a Parigi ”.

[120] Sono in neretto i ritocchi di Don Bosco e tra parentesi quadre alcune aggiunte di Don Lemoyne.

[121] Don Viglietti aveva scritto “ impedise ”.

[122] Don Viglietti aveva scritto “ in faccia in faccia a tutti i miei amici.*. La penna di Don Bosco cancellò “ in faccia a tutti i miei ” modificando “ in faccia degli amici ”.

[123] Don Viglietti aveva scritto “ di ”.

[124] Prima di VICTOR è il richiamo #. Tutto quello che segue è l'aggiunta marginale in bleu che abbiamo detta; le parti di essa fra parentesi quadre sono in nero e posteriori, del medesimo Don Lemoyne.

[125] Nel documento segue al dialogo un commento posteriore di D. Viglietti. A detta di lui, Victor Hugo avrebbe tenuto “ subito dopo ” un discorso in Senato sulla necessità dell'insegnamento religioso; ma è un anacronismo, la cui responsabilità risale al Bollettino del giugno 1883. La verità è che quel discorso era stato tenuto nel 1850.

[126] La Controverse et le Contemporain, 1889, t. XV, pp. 196 - 215.

[127] A. DECHENE, La dernière heure de Vicior Hugo in Etudes, 5 - 20 giugno 1920, pgg. 569 - 75.

[128] Revue des Deux Mondes, 15 maggio 1935, pag. 348.

[129] Appendice, Doc. 30.

[130] Cfr. vol. XIII, pag. 737 sgg.

[131] France illustrée, 28 aprile 1883.

[132] É verissimo, allora si faceva proprio così: nei passaggi dal cortile s'andava a gruppi e senza osservare il silenzio. Solo nel 1884 s'introdussero le file. Don Bosco, quando se n'accorse, ne fu spiacente; ma d'allora in poi si continuò così.

[133] La Croix, 10 dicembre 1934: “ La Croix quotidienne u'était pas ancor née. Elle était là, tout ali bord de la vie, pas hésitante, noli, tout de mème légèrement inquiète. Ce journal allait - il connaltre le sort de tant d'autres? 1, es catlioliques le soiitiendraient - ils? Dès scs premiers nuinéros, serait - il assez prenant pour conquérir la sympathie de soli publie? Doutes troublants. D'un inot, d'un geste, le Bienheureux (Don Bosco) les bouscula. Il fallait aller de l'avant et faire liardiment ce sant dans l'incolinu ”.

[134] La Vie Sociale, settimanale di Parigi, 21 maggio 1933. L'Osservatore Cattolico di Milano nel numero del 7 - 8 maggio 1883 pubblicò un parallelo interessante fra Luigi Veuillot e Don Bosco (Appendice, Doc. 31).

[135] L'abate Sire fu poi uno di coloro che aiutarono i segretari di Don Bosco nel disbrigo della corrispondenza.

[136] Nè la cosa passò senza osservazioni. Uno dei dirigenti, che non sapeva darsi pace di quel disordine: - Le comunità non aspettano, ripeteva, le comunità non aspettano. - Ma il Direttore rispondeva a lui e ad altri: - Don Bosco è un santo. Si può anche fare per lui un'eccezione. - Un bell'umore, il signor Thiroux, già avvocato e allora chierico, per ingannare il tempo, improvvisò durante l'attesa questa quartina, che corse per la sala a esilarare i seminaristi:

 

Don Bosco, nous dit - on, a fait de grands miracles,

Ressuscité des morts, et rendu des oraeles.

Mais le plus grand miracle est cclui d'aujourd'hui:

Ta règle, 6 St Sulpice, a fléchi devant lui.

 

[137] Cfr. Bulletin Salésien, giugno 1931.

[138] Lettera a Don Auffray, Parigi, 14 aprile 1931.

[139] A un certo punto non gli veniva il termine gamin corrispondente a birichino, monello, e disse: - J'ai à nourrir beaucoup, beaucoup de petits... comment vous dites? moncaux, moneaux? - Ma i seminaristi, credendo che volesse dire passeri, gli suggerirono moineaux, ed egli accettò la correzione. Anche questa particolarità è riferita nella citata lettera.

[140] Abbiamo già osservato che Don Bosco vestiva alla francese.

[141] Prefazione alla traduzione della Vita del Beato Don Bosco, scritta da Don AUFFRAY. Londra, Burns Dates, 1930 (App., Doc. 332). Il Direttore di S. Sulpizio stava sulle spine perchè nonostante i tentativi fatti, non era riuscito a rivedere Don Bosco per ringraziarlo della sua visita; quindi l'ottavo giorno si decise a scrivergli. Gli diceva: “ La sua presenza ci ha fatto gran bene ”. Alla lettera univa 320 franchi per le sue opere (App. Doc. 34).

[142] L'Univers del 4 - 5 maggio contiene questo annunzio: “ On trouve à Paris, chez Mme MOllie, 44, rue Saint - Placide, tout ce qui a trait à la vie et aux oeuvres de Dom Bosco: rnèdailles, images, neuvaines de Notre - Dame Auxiliatrice; Bulletin salésien, abonnement aux lectures morales de Dom Bosco ”. Anche in casa Sénislhac si distribuivano copie del Bulletin.

[143] Le Monde, 17 maggio 1883.

[144] Il fatto è ricordato anche in un opuscolo anonimo dal titolo: Abrégé de la Vie et des Vertus de la Vénérable Mère Marie KoiAa Le Pan De Ligny, Supérieure du second Monastère de la Visitation à Paris. Adité par le Couvent.

[145] Nella Vita in due volumi, a pag. 555 del secondo, si legge “ 15 maggio ”; ma è una svista. Don Bosco tornò da Lille il 16. Suor Emmanuella Maria scriveva di Don Bosco il 19 maggio a tutte le case: “ Nous l'atten. demain; il viendra dire la Messe dans notre chapelle ”. Cfr. La Mère Marie de Jésus. Paris, Maison de la Bonne Presse, 1909, pag. 313. I particolari sopra narrati sono tratti da quest'opera, pgg. 309 - 316.

[146] Appendice, Doc. 33.

[147] Cfr. sopra, pag. 64.

[148] L'immagine è detta popolarmente della Vierge Noire per il suo colore; ma il suo vero titolo è Noire - Dame de la Bonne Délivrance. Dinanzi alla medesima il giovane Francesco di Sales aveva fatto il suo primo voto di castità. Allora però la statua si venerava nella chiesa di S. Stefano des Grès nel quartiere degli studenti, in via S. Giacomo. Salvata, anche per opera di persone pie, durante la rivoluzione, in nel 1806 affidata alle Suore di S. Tommaso da Villanova in via Sèvres.

[149] Una suora redentorista del convento di Landser nell'Alsazia, che era allora fra le assidue ai catechismi. Essa ci ha favorito la copia di questa parte del suo diario (29 aprile e I° maggio).

[150] Il già mentovato storico abate Mourret, che si trovò presente, scrive in una sua lettera a Don Auffray (Parigi, 4 maggio 1931) che Don Bosco scandiva le parole dans un français un peu hésitant et avec le doux accent italien. Un verbale dell'adunanza riproduce, ma alquanto ritoccato, il discorsetto dal Santo (App., Doc. 34).

[151] Qui la diarista segua la pronunzia, mettendo fra parentesi: ricesse.

[152] Abbiamo una relazione della Superiora, in data 3 ottobre 1890.

[153] Appendice, Doc. 35

[154] Nella comunità è rimasto tradizionale l'affetto per i figli di Don Bosco. Ogni volta che alcuno dei Salesiani andava per affari in quella parte di Parigi, assai lontana dalla loro casa di Ménilmontant, era già inteso che a rue Monsieur trovavano la mensa apparecchiata. Là Huysmans vide i chierichetti di Ménilmontant, che gl'ispirarono il suo scritto su Don Bosco. Ottimi continuano anche oggi i rapporti.

[155] Oltre a questo, abbiamo tenuto dinanzi i diari del noviziato e dell'educandato.

[156] Appendice, Doc. 36.

[157] Ivi, Doc. 37.

[158] Appendice, Doc. 38.

[159] Quell'asilo era stato fondato nel 1853 dall'abate Moret, santo prete della diocesi di Parigi. Ricoverava donne povere, affette da malattie delle quali non si potevano curare. Portava il nome della principessa Matilde Napoleone, che aveva salvato la benefica istituzione da un dissesto finanziario. Pie signorine e signore vi prestavano caritatevole assistenza.

[160] Lettera a Don Auffray, Torino, 29 luglio 1932.

[161] Lettera al medesimo, Parigi, 29 gennaio 1934.

[162] Dalla Cronaca del Collegio: “Le Vendredi 25 mai le Collège recevait la visite de Don Bosco, fondateur de la Congrégation de St - Frangois de Sales. Cet ami si dévoué de la jeunesse adressa aux élèves une exhortation empreinte d'une foi vive et d'une grande confiance dans la Sainte - Vierge. Il se retira laissant une pieuse impression dans son auditoire et emportant une offrande des élèves pour scs ceuvres salésiennes ”.

[163] Cfr. Bulletin Salèsien, maggio 1933 e Appendice, Doc.

[164] Lettera della signora Levasseur a Don Bosco, Lisieux, 8 giugno 1883

[165] J. RICHE. Les Augustines Hospitalières de Versailles. Versailles, imp. Ch. Cloteaux 1932, pag. 118 sgg.

[166] L’educazione vi era allora informata a religione. Il vecchio e venerando monsignor Lanusse, aumónier della scuola, fu per questo assai benemerito dell'esercito; nel i 806 aveva educato con tutto l'ardore venticinque generazioni di ufficiali (Corriere d'Italia, 13 - 14 ottobre 1896). In maggioranza gli allievi provenivano dalla scuola preparatoria di S. Genoveffa, diretta dai Gesuiti, della quale diremo fra breve. - Il diario di casa Sénislhac si chiude con quest'ultima riga: “ Jeudi 24 mai. Ce soir, nous sommes toutes allées à 8 heures, faire une visite à Don Bosco ”.

[167] Appendice, Doc. 40.

[168] Il 29 giugno 1873 sessanta Deputati avevano a Paray - le - Monial consacrato la Francia al Sacro Cuore di Gesù.

[169] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 642 899. La notizia che qui riferiamo è desunta dal diario della Bethford.

[170] Appendice, Doc. 41.

[171] Ivi, Doc. 42.

[172] Ivi, Doc. 43.

[173] Ivi, Doc. 44.

[174] Ivi, Doc. 45.

[175] Ivi, Doc. 46. A - B.

[176] Ivi, Doc. 47.

[177] Ivi, DOC. 48, A - B.

[178] Appendice, Doc. 49.

[179] Ivi, Doc. 50, A - B.

[180] Cfr. Semaine religieuse di Parigi, 8 febbraio 1930 e Bulletin Salésien di maggio del medesimo anno.

[181] Bulletin Salésien, ottobre 1930.

[182] Appendice, Doc. 51 A - B.

[183] Ivi, Doc. 52 A - B.

[184] Cfr. Summ. sup. virt., num. XVII, § 30.

[185] Che questa visita sia stata all'Hótel Lambert era accertato nel 1931 dalla principessa Blanche d'Orléans, sorella di Margherita, come risulta da lettere del marzo di quell'anno conservate nei nostri archivi. La stessa cosa fu confermata dalla marchesa du Dresnay (Cháteau du Cormier, Charente Inférieure), la quale fortuitamente rinvenne una medaglia donata da Don Bosco a sua madre all'Hótel Lambert e accompagnata da questa scritta, che ci mette in possesso anche della data: Bénite par Don Bosco le 18 mai 1883. (Lettera a Don Auffray, 15 aprile 1934). La medesima signora aveva già scritto il 25 marzo un'altra lettera interessante sull'incontro di suo padre in casa del principe Czartoryski (App. Doc. 53).

[186] Cfr. Can. Dott. G. LARDONE, Il servo di Dio Principe Augusto Czartoryski, sacerdote salesiano. Torino, S. E. I., 1930.

[187] Bulletin Salésien, giugno 1931.

[188] Lettera a Don Rua, 25 marzo 1888.

[189] G. BREFFY, Notre - Dame des Victoires, Paris, 1925.

[190] Cfr. vol. XV, pag. 88.

[191] Così erano stati chiamati in antico dal popolo i religiosi agostinani, che nel 1629 avevano edificato la chiesa.

[192] Uno dei viceparroci che nel giorno della conferenza non aveva potuto parlare a suo agio con Don Bosco gli scrisse più tardi una lettera ridondante di venerazione (Appendice, Doc. 54).

[193] Come saggi degli articoli che videro la luce sui giornali di quelle settimane parigine di Don Bosco, ne riporteremo a tempo e luogo alcuni nell'Appendice. Cominciamo qui con un articolo comparso nel cattolico Univers del 20 aprile (App., doc. 55).

[194] Nell'Appendice (Doc. 56) diamo il testo francese quale fu pubblicato, insieme con altre cose su Don Bosco, dalla Gazette in un supplemento straordinario. Nella stampa vi si fecero leggeri ritocchi, ma lo stile è genuino ed anche il fraseggiare.

[195] Le Clairon, 3o aprile 1883 (Appendice, Doc. 57).

[196] Ne furono pubblicati i nomi insieme con l'annunzio della conferenza (Appendice, Doc, 58).

[197] Il Cardinale narrò pure di un altro suo incontro con Don Bosco. Un anno, tornando in Italia per le ferie, arrivò a Torino con sole sedici lire in tasca. Nella fretta del partire, il portafoglio gli era caduto sul pavimento della camera e poichè aveva preso in antecedenza il biglietto, solo alla frontiera s'accorse di essere così sfornito di pecunia. Profittando di una fermata a Torino, volò all'Oratorio e chiese a Don Bosco cento lire in prestito. Le ebbe subito, senz'alcuna formalità. Cfr. Bulletin Salésien, agosto - settembre 1932.

[198] La Contessa conserva tuttora la medaglia, sulla quale è incisa la data: 29 APRILE 1883. Onde si vede che si erano coniate medaglie apposite per il giorno di quella conferenza. In una sua relazione del 18 marzo 19o2 la Du Plessis madre, nuora della precedente, descrive così l'ingresso di Don Bosco nel palazzo: “Notre émotion était grande, en allant au devant du St homme dans l'escalier: il semblait si absorbé par la prière, qu'il ne fit guère attention à nos respectueux remerciements ”.

[199] Di questo fatto abbiamo due relazioni manoscritte: una del salesiano Don Fèvre, che udì il racconto dal Vescovo di La Rochelle e ne scrisse a Don Lemoyne il 10 dicembre 1898, e l'altra della baronessa Cholet, madre della miracolata, in una sua lettera del 29 novembre 1930.

[200] Appendice, Doc. 59.

[201] L. c. pag. 34. L'autore sposta erroneamente la data, dicendo che la Messa a S. Sulpizio fu il 2 maggio.

[202] Appendice, Doc. 60. Anche di questa visita abbiamo una vivace relazione della diarista mentovata nel capo precedente, allora giovane parrocchiana di S. Sulpizio (App. Doc. 61).

[203] Rosier de Marie, Parigi, 12 maggio 1883.

[204] Appendice, Doc. 62.

[205] L'Orphelin. Revue de la Société de Patronage des Orphelinats agricoles de France, annèe 4° (6 giugno 1883).

[206] Annales de la Congrégation de la Mission, tome 94, année 1929, pag. 761.

[207] Lo attestava a Don Auffray nel marzo del 1935 il vecchio domestico che aveva introdotto il Santo presso Monsignore.

[208] Cfr. sopra, pag. 109 sgg. Delle udienze date nella sacrestia si fa cenno in una lettera (App., Doc. 63).

[209] Vol. XV, pag. 88.

[210] Della conferenza si occupò anche l'Unitá Cattolica nei numeri del 20 e del 22 maggio.

[211] Appendice, Doc. 64. Don Bosco gli scrisse per ringraziarlo; ma, essendo egli assente, rispose la madre. Questa pia signora, quando il figlio scriveva articoli in difesa della scuola libera, gli metteva sul foglio una medaglia di Maria Ausiliatrice datagli già dal Servo di Dio, affinchè nello scrivere fosse bene ispirato (App., doc. 65).

[212]Dom Bosco a ouvert à nos yeux des horizons nouveaux; il a conquis àson oLuvre l'élite de Paris: l'apostolat de la Charité compte désormais, grAce àlui, de nobles et puissants adhérents parmi nous ”. Parole riportate dall'Unità Cattolica dell'8 maggio 1883.

[213] Appendice, Doc. 66.

[214] V. BAUNARD, Le Cardinal Lavigerie, Paris, 1896. Vol 2°, pag. 239.

[215] In una lettera del 22 maggio l'ex - deputato informa Don Bosco che sua moglie, dopo tre anni d'immobilità, è potuta andare alla chiesa due giorni avanti (Appendice, Doc. 67).

[216] Nella Vita in due volumi (vol, 2°, pag. 567).

[217] Dall'ampio resoconto della seduta in Nouvelliste du nord et du Pasde - Calais, Lilla, 7 febbraio 1884.

[218] Il medesimo avvocato aveva pure contribuito grandemente a determinare Don Bosco al viaggio di Parigi. Cfr. XXVme anniversaire de l'CEuvre de Don Bosco en France. Nice, 1902, pag. 112.

[219] Appendice, Doc. 68, A - B.

[220] Appendice, Doc. 69, A - C.

[221] Cfr. vol. XV, c. XIX.

[222] Lettera del cistercense Maurizio Berthe a Don Auffray, novembre 1934

[223] Appendice, Doc. 70.

[224] Ivi, Doc. 71.

[225] Avendo appreso dall'Univers la inesatta notizia che Don Bosco sarebbe andato a Lilla il 3o aprile, gli aveva scritto colà in detto giorno, dicendosi onoratissimo di ospitarlo in casa sua.

[226] Appendice, Doc. 72.

[227] La semaine religieuse di Nizza, domenica 21 maggio 188 - 3 (Appendice, Doc. 73).

[228] Cit. Mère Marie de Jesus, pag. 311. La suora narra ivi che il secondo incontro avvenne nuovamente ad Amiens. Se questo è vero, Don Bosco vi sarebbe tornato; non però quindici giorni dopo, com'ella asserisce. A confermare questo ritorno starebbe ciò che leggiamo in una lettera dei signor Caille, presidente del Patronage. Scriveva egli a Don De Barruel il 18 maggio: “Les dernières paroles du Révérend Dom Bosco ont été aux cceurs de ceux qui les ont entendues: ils espèrent, nous espérons tous posséder de nouveau le Révérend Père la semaine prochaine”. Ma è verosimile che il secondo incontro si sia avuto là prima che Don Bosco partisse.

[229] La relatrice fa questa osservazione su Don Rua: “Don Rua dans un autre genre nous fit aussi l'impression d'un saint, un autre Iouis de Gonzague”.

[230] Una colletta fruttò 509 franchi.

[231] Un caldo invito aveva ricevuto a Lilla per Besangon dalla cooperatrice salesiana Le Bon: “ Besançon ne sera - t - il pas aussi bien partagé que les autres villes que vous parcourez depuis que vous étes en France? C'est si près de Dijon! Si j'osais, mon T. R. Père, je mettrais mon appartement à vostre disposition, si vous pouviez consacrer quelques heures à notre ville. Quel honneur cela serait pour nous et en méme temps que de bénédietions vous nous apporteriez! ”.

[232] Appendice, Doc. 74 A - F.

[233] Ivi, Doc. 75 A - E.

[234] Ivi, Doc. 76 A - D.

[235] Chi scrive, rammenta d'aver udito nel 1885 un insigne predicatore dire con meraviglia a chi lo circondava, che Don Bosco rispondeva anche alle lettere dei ragazzi.

[236] Nel melodioso concerto non doveva mancare la nota sguaiata. Venne dal Fra Paolo Sarpi, giornale protestante Valdese di Venezia (num. 24 del 22 giugno) con un articolo che cominciava così: “ I giornali clericali hanno cantato le meraviglie di Doli Bosco a Parigi. Vi è apparso, ha tenuto conferenze, sermoni, ed accresciuto proseliti al Vaticano. Ma ahimè! la propaganda religiosa di questo reverendo pare di quelle molto sospette. L'opera da lui fondata è nè più nè meno d'una impresa commerciale molto losca”. Per provare il suo asserto, il direttore aveva il muso di fare suo con piccole varianti un articolo del Giustina di un anno avanti, come se il fatto narrato fosse recente e senza curarsi di sapere se fosse verità o calunnia. Don Bosco non poteva essere trattato in modo più indegno; ma quel signore era un prete spretato.

[237] Num. del 22 giugno 1883. Da venti e più giorni Don Bosco era a Torino; ma il giornale che certo lo ignorava, pubblicò con ritardo la corrispondenza.

[238] A Cruz do Operaio. Lisbóa, I de Junho 1883.

[239] Unità Cattolica, 3 giugno 1883.

[240] ALBERT Du Boys, Dom Bosco et la pieuse Société des Salésiens. Paris, Gervais, 1884.

[241] Il Du Boys (op. cit., pag. 300 scrive di questo brindisi: “Nous lui avons entendu porter

un toast en français, au sein d'un nombreux banquet donné le lendemain de la féte de sainte Mari e - Auxiliatrice dans son Oratoire de Turin. Il parla d'une manière très distincte; il était heureusement inspiré: il fut plein d'à - propos, d'arnénité et d'enjouernent ”. Parecchi francesi si fecero presenti alla festa con lettere a Don Bosco; fra gli altri l'abate Engrand di kire, che annunziò una grazia segnalata (App., Doc. 77), e la signora Quisard, che inviò una buona offerta per la chiesa del Sacro Cuore (ivi, Doc. 78).

[242] Appendice, Doc. 78.

[243] Lettera a Don Bosco, Cèneda, 25 settembre 1883.

[244] Corriere di Torino, 12 giugno 1883.

[245] La Stella Consolatrice, 30 giugno 1883.

[246] Maschera del teatro popolare piemontese.

[247] La Semaine religieuse di Arras, I° dicembre 1883

[248] Moncalieri, 17 agosto 1883.

[249] Del fatto fu testimonio oculare Don Berto, che lo depone nei processi.

[250] Appendice, Doc. 80.

[251] Appendice, Doc. 81. Non abbiamo rinvenuta la corrispondente dichiarazione dell'altra parte neppure nell'archivio della Curia Generalizia presso il Convento di S. Antonio a Roma in via Merulana. Un incartamento ivi conservato documenta lo svolgersi della causa solo fino al punto in cui a nome dei cardinale Bilio, protettore dell'Ordine, e per ordine dei Papa si chiedono informazioni sulla natura della lite.

[252] Cfr. vol. XV, c. VIII.

[253] Località presso Chieri, dove i Ricci avevano una villa, oggi passata alle Figlie di Maria Ausiliatrice.

[254] LUC, XIII, 32. Era il vangelo della Messa Justus nella festa di San Pietro d'Alcantara (19 ottobre, quell'anno giovedì).

[255] L'Amico del popolo, 9 dicembre 1883, in un articolo intitolato: Una visita all'Oratorio Salesiano di Torino ” e firmato G. NOVELLI.

[256] Don Bosco, che conosceva i suoi e li sapeva adoperare, aveva incaricato Don Garino di comporre una grammatica greca, ma che fosse piccola, e glielo indicava avvicinando le punte del pollice e dell'indice, come si suol fare. Don Garino ci si mise con tutta la buona volontà e compilò un testo voluminoso; ma quando tutto giulivo portò a Don Bosco il manoscritto, egli, presolo in mano, gli disse sorridendo e tentennando il capo: Non parèi, Garin, non parèi. Cita, i l'ai dite, cita, cita. [Non così, Garino, non così. Piccola, ti ho detto, piccola, piccola]. Don Garino mortificato, restò di sasso. Don Bosco allora, pur lodando il lavoro, gli spiegò meglio il suo pensiero. Rimessosi all'opera, Don Garino, senza toccare il già fatto che venne pubblicato integralmente, ne estrasse quella sua grammatichetta, la quale ancora oggi ha i suoi ammiratori. Perecchi anni addietro il professor Puntoni disse nel corso di una lezione universitaria, presente Don Ubaldi, che se l'avesse conosciuta prima, non avrebbe pubblicata la sua.

[257] Bulletin Salésien, octobre 1883. In Il più bel fiore del Collegio Apostolico Don Bosco ha questi accenni biografici sul cardinale De Bonnechose (pagina 172): “ Enrico Maria Gastone di Bonucchose nacque a Parigi il 30 maggio 1800. Prima di entrare nella Chiesa appartenne alla magistratura e fu sostituto procuratore ad Audelys ed a Rouen, procuratore del Re a Neuf chátel, sostituto alla Corte di Bourges ed avvocato generale a Riom ed a Besancon. Passato nella milizia ecclesiastica dopo la rivoluzione di luglio, divenne presto professore di rettorica e di storia al piccolo Seminario di Strasburgo, quindi al Collegio di Inilly. Essendo facondo oratore e possedendo una bellissima voce, abbandonò l'insegnamento per darsi alla predicazione. A Parigi, a Cambrai, a Roma riscosse applausi e meritò che il Santo Padre Pio IX, il quale sapeva apprezzare gli eletti ingegni, lo destinasse, il 17 gennaio 1848; al governo della diocesi di Carcassona. Fu traslato il 23 marzo 1855 alla diocesi di Evreux, la quale aveva bisogno di un uomo pratico e prudente, che ne sedasse le discordie e ne assestasse gli affari, e questa missione egli compiè con tale spirito di carità e di giustizia che fu promosso il 18 marzo all'Arcivescovato di Rouen, che regge da vent'anni. Ha un aspetto nobile, statura alta e maniere gentilissime. Il Santo Padre Pio IX lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 21 di dicembre 1863, col titolo di San Clemente. Appartenendo al Senato francese, mostrossi ardente difensore del Potere temporale dei Papi. Abbiamo di lui due volumi pubblicati nel 1875 sotto il titolo: Philosophie du Christianisme.

[258] Il Santo Padre, quand'era Arcivescovo di Milano, narrò questo episodio all'Economo generale Don Giraudi.

[259] Discorso sull'eroicità delle virtù, 20 febbraio 1927; udienza dopo l'inaugurazione dell'istituto Pio XI, II maggio 1930; disc. agli alunni dei pontifici seminari romani, 17 giugno 1932.

[260] Disc. Cit., 20 febbraio 1927.

[261] Disc. per il Decreto sui miracoli perla canonizzazione, 19 novembre 1933.

[262] La lettera fu pubblicata dalla Rassegna Nazionale e in due puntate dalla Nazione di Firenze (15 e 17 luglio). Cfr. Unità Cattolica, 17, 19, 26, 29 luglio e 18 agosto.

[263] Disc. per il decreto sui miracoli per la beatificazione, 19 marzo 1929.

[264] Disc. per il Decreto del Tuto per la beatificazione, 21 aprile 1929.

[265] Disc. cit., 19 marzo 1929.

[266] Disc. cit., 21 aprile 1929.

[267] Disc. nel cortile di S. Damaso, 3 giugno 1929.

[268] Disc. ai superiori e alunni del collegio salesiano di Frascati, 8 giugno 1922.

[269] Disc. ai superiori e alunni del Sacro Cuore, 25 giugno 1922.

[270] Disc. cit., 20 febbraio 1927.

[271] Ibid.

[272] Disc. per il Decreto del Tuto per la canonizzazione, 3 dicembre 1933.

[273] Disc. cit., 20 febbraio 1927.

[274] Disc. cit., 19 marzo 1929.

[275] Disc. cit., 3 dicembre 1933.

[276] Disc. cit., 19 marzo 1929.

[277] Disc. cit., 25 giugno 1922.

[278] Disc. cit., 21 aprile 1929.

[279] Disc. cit., 21 aprile 1929 e II maggio 1930.

[280] Disc. cit., 19 marzo 1929.

[281] Dise. cit., 8 giugno 1922,3 giugno 1929 e 9 luglio 1933

[282] Appendice, Doc. 82. In principio del mese il Conte di Chambord aveva fatto tenere a Don Bosco un'offerta per le sue opere (App., Doc. 83). Queste sono le fonti del nostro racconto: I° Una relazione inedita dell'abate Curé, cappellano del Conte, inviata a monsignor Serafino Vannutelli, Nunzio Apostolico presso la Corte di Vienna e a noi pervenuta per mezzo della famiglia del Conte di S. Marzano, la cui madre era oriunda magiara, contessa Luisa Iànkovics, nata Montbel. Suo padre, già ministro di Carlo X, aveva seguito il conte di Chambord nell'esilio. Forse per mezzo suo essa ebbe il documento, che tenne caro come una reliquia, perchè venerava grandemente Don Bosco. L'aveva conosciuto a Nizza Mare. Avendo i figli in collegio a Monaco Principato, passava a Nizza buona parte dell'anno e quando sapeva dell'arrivo di Don Bosco, per rendergli onore mandava alla stazione la sua carrozza. (App., Doc. 84). - 2° Una relazione incompleta di Don Rua, edita la prima volta in AMADEI, Il Servo di Dio Michele Rua. Torino, S. E. I. (senza data), vol. I, pgg. 326 - 9. - 3° J. DI BOURG, Les entrevues des Princes à Frohsdorf. Paris, Librèrie Académique Perrin et Cie, 1910, pgg. 112 - 169. 4° Giornali e documenti d'archivio, che verremo citando.

[283] RENÉ DE MONTI DE REZE, Souvenirs sur le Comte de Chambord, Paris, Edition Emile - Paul Frères, 1931, pag. 122: “ Le 25 mars [ ….. ] Monseigneur et montant en voiture à Goritz avait ressenti une violente douleur à la jambe que le médecin attribua à un coup de fouet, mais qui n'était autre qu'une phlébite ”.

[284] La frase è dell'abate Curé nella sua relazione.

[285] DE MONTI, l. c., pag. 152.

[286] Si dice così il dialetto dell'Alvernia; ma la parola ha pure il senso generale di linguaggio incomprensibile.

[287] Chi scrive Boll, chi Bole. Nel libro del de Monti l'autore ha Boll; il diario della malattia da lui riportato ha Bole.

[288] DE MONTI, l. c., pag. 155.

[289] Il Du Bourg dice sedici, ma più esatto è l'abate Curé. L'Unità Cattolica descrisse il pranzo con particolari desunti dal Figaro; ma sono più attendibili le cose narrate dal Du Bourg, testimonio oculare. Il De Monti pubblica la disposizione dei commensali a tavola:

 

Ctesse de Monti                               Gal de Charette

Mquis de Foresta                             Mr Fèrmond

Sècretaire de Don Bosco                Cte de Monti

Mr Du Bourg                                  Vte du Puget

Cte de Chevignè                              Cte d’Andignè

Le P.Roll                                        Mr Huet du Pavillon

Bron de Raincourt                            l’abbè Curè

Don Bosco                                     Duc della Gratzia

                                                      Cte de Blacas

 

Nel medesimo libro troviamo anche la lista del pranzo:

 

Diner du 15 Juillet '83

 - - - - - - - - - - - - -

Potage à la Reine

Relevé

Aloyau braisé à la jardinière

Entrée

Poulets à la Villeroy

 - - - - - - - - - - - - -

Punch à la romaine

Rót

Gigot de Chevreuil sauce poivrade

Entremets

Chouxfleurs sauce au beurre

Plombière à la vanille garnie de genoises

 

[290] Le Temps, 24 luglio 1883.

[291] I monarchici chiamavano figlio del miracolo il Conte di Chambord per le circostanze in cui nacque, circa sei mesi dopo che era stato pugnalato suo padre da un emissario delle sètte. Ecco perchè la guarigione sarebbe stata il secondo miracolo.

[292] Più esattamente avrebbe dovuto dire pel convitto vescovile, aperto accanto al seminario dei chierici. Gli alunni che erano di condizione agiata, indossavano divisa borghese, e vi facevano il ginnasio come in qualsiasi altro convitto privato.

[293] Si chiamavano sanfedisti i membri di un'associazione politico - religiosa, che nell'Italia Meridionale sorse contro l'invasione e il governo francese dopo la rivoluzione. Gli affiliati si chiamavano “Seguaci della Santa Fede ”

[294] O Marie, en honneur de votre Assomption au Ciel, portez une particulière béuédietion à votre fils Henry et à son èpouse charitable, et leur accordez b;onne sauté, la persévérance dans le chemin du Paradis. Ainsi soit - il.

 

Turin, 4 Aoút 83.

Abbé J. Bosco.

[295] Questi giudizi sono il succo di due articoli della Revue des Deux Mondes (10 e 15 settembre 1883).

[296] Si arzigogolò sulle cause della morte. Il Du Bourg nel suo libro ritiene che fosse dovuta a delittuosa intossicazione e asserisce a conferma di ciò che l'autopsia non rivelò la presenza del cancro. Ma il monarchico Gaulois del 25 agosto pubblicò senza smentita un dispaccio del 24 da Vienna, in cui si diceva: “Le pli cacheté, remis au comte de Blacas par le docteur Volpian, Drache et Meyer et contenant la formule du diagnostic de la maladie dont est mort Monseigneur, porte que cette maladie est un cancer à l'estomac, une atrophie du rognon, une enthariritis universalis”. É vero che questo diagnostico precedette l'autopsia; ma si noti che il Volpian nelle sue prime diagnosi non era d'accordo con i colleghi austriaci sul tumore canceroso. Quanto alla causa prossima della morte fu persuasione generale dei familiari e degli amici che fosse il colpo allo stomaco. Così dissero nell'autunno del 1884 i conti DeCharette e DeMaistre e tre o quattro altri signori francesi venuti a Valsalice per visitare Don Bosco. Anche Don Lemoyne era presente alla conversazione.

[297] Torino, 30 luglio 1883.

[298] Torino, 31 luglio 1883.

[299] Castellammare, 5 agosto 1883.

[300] Corriere della Sera, 20 - 21 agosto 1883.

[301] Appendice, Doc. 85. Per conoscere meglio i precedenti, sarà utile leggere una supplica di Don Bonetti al cardinale Nina nel giugno di quest'anno (ib., Doc. 86).

[302] Ib., Doc. 87.

[303] Gazzetta del Popolo, 6 ottobre 1883.

[304] Ivi, 13 ottobre 1883.

[305] S'intitolava I Narbonneire La - Tour,

[306] Lettera a Don Rua, Genova, S. Francesco d'Albaro, 31 gennaio 1888.

[307] IOAN., XVI, 20.

[308] Colón, 10 luglio 1883.

[309] Nel 1868 una missione protestante diretta dal signor Tommaso Bridges si fissò in una bellissima località, dove per l'affluire degli Indi si formò un centro di popolazione, divenuto poi Ushuaya, capitale del territorio argentino della Terra del Fuoco.

[310] Lettera di Don Lasagna a Don Lemoyne, S. Paolo, 6 settembre 188

[311] Lettere di Don Fagnano a Don Bosco, Patagones, 10 gennaio e Io marzo 1883.

[312] ROBERTO J. TAVELLA, S.S. Las Missiones Salesianas de la Pampa. Talleres Gráficos Argentinos Rosso y Cia, 1924, pag. 189.

[313] Appendice, Doc. 88.

[314] Noi l'abbiamo praticato; era piissimo. Abbiamo pure veduto e letto due sue lettere scritte ancora dalla Patagonia a Don Vespignani. Non sappiamo dove siano andate a finire; erano scritte in perfetta calligrafia e con una eleganza ed elevatezza di sentimenti che ci fecero grande impressione.

[315] Buenos Aires, 16 marzo 1882.

[316] Lettera del cardinale Simeoni a Don Bosco, 15 settembre 1884.

[317] Appendice, Doc. 89 A - B - C.

[318] La sua lettera dovrebbe essere degli ultimi di dicembre 1883 o dei primi del 1884. È riportata da Don Cagliero in una sua dell'8 aprile 1884 a monsignor Jacobini, Segretario di Propaganda.

[319] Cfr. vol. XIV, P. 632 Segg.

[320] Lettera di Don Vespignani a Don Rua, Buenos Aires, 9 agosto 1882.

[321] Una assai notevole era di quell'anima santa che fu Don Vespignani (App., Doc. 90).

[322] Appendice, Doc., 91 A - B.

[323] Si suol usare questo detto generalizzandone la parlata, per significare che  bisogna sapersi adattare ai luoghi dove si va.

[324] Alcune notizie si possono leggere in una lettera di Don Cagliero a Don Rua (App., Doc. 92).

[325] Union II dicembre 1883.

[326] Bulletin de Noire Dame de Bon - secours, febbraio 1884, pag. 45.

[327] Don Angelo Lago segretario particolare di Don Rua, morto in concetto di santità nel 1914

[328] Il santo coadiutore, matematico, poliglotta e campanaro.

[329] Compiuta che abbia fra non molto l'ultima parte delle sue esplorazioni, Don De Agostini, rendendone conto in un prossimo volume, sottoporrà a minuto esame le cose affermate nel suo sogno dal Santo,

[330] ALBERTO M. DE AGOSTINI. I miei viaggi nella Terra del Fuoco. Soc. Ed. Internazionale.

[331] Cfr. vol. XV, pag. 647.

[332] Randazzo, 24 ottobre 1883.

[333] Cfr. vol. XV, pag. 299.

[334] Cfr. GIRAUDI, L'Oratorio di Don Bosco, Tav. IX A e B.

[335] Corrispondenza del 18 febbraio 1883.

[336] Cfr. sopra, pag. 280.

[337] Numeri del 27 e 28 giugno e 3 luglio 1883.

[338] Num. del 3 1 luglio 18 13.

[339] Lettera di Don Rinaldi a Don Taroui, S. Benigno, io settembre 1883.

[340] Torino, 17 settembre 1883. Cfr. vol. XV, pag. 347 sgg.

[341] Lettera di monsignor Bouland all'arcivescovo monsignor Willians, BOStOn, 23 novembre 1882. Parte dei documenti su questo affare si conservano nei nostri archivi.

[342] Appendice, Doc. 93.

[343] Sono stati sottratti alcuni fogli in principio; quanti fossero, non si sa, mancando la numerazione delle pagine.

[344] Ietro, suocero di Mosè, diede al genero il buon consiglio di creare magistrati che giudicassero delle cause minori (Ex., XVIII, 19 - 23).

[345] Una sua lettera a Don Bosco nell'onomastico del 1879, quand'era alunno della quarta ginnasiale, ci fa invidiare la beata confidenza che avevano i giovani dell'Oratorio con il loro Padre (App., Doc. 94).

[346] Cfr. vol. XIV, pp. 138 e 560 - I. Don Lemoyne nel vol. VIII delle Mem. biogr, ne parla a lungo (PP. 303 - 5).

[347] Appendice, Doc. 95.

[348] Lettera della Contessa a Don Lemoyne, Argenté, 12 febbraio 1891.

[349] Appendice, Doc. 96.

[350] Ivi, Doc. 97 ABCDEF.

[351] Vedi Regolamento per le Case della Società di S. Francesco di Sales.

[352] III Reg., XIX, II.

[353] Nel timore che in qualche Collegio per rara eccezione ed assoluta necessità si credesse dover usare il camerino, ecco le precauzioni che vorrei adoperate:

Il Catechista od altro Superiore vada sovente a visitare il povero colpevole e con parole di carità e di compassione si cerchi di versar olio in quel cuore tanto esacerbato. Si compianga il suo stato, e si industrii a fargli capire come tutti i superiori siano dolenti di aver dovuto usare un castigo così estremo, e si capaciti a domandare perdono, a far atti di sottomissione, a chiamare che si faccia di lui un'altra prova della sua emendazione. Se pare che questo castigo produca il suo effetto, lo si levi anche prima del tempo, e si riuscirà a guadagnare sicuramente il suo cuore.

Il castigo dev'essere un rimedio: ora noi dobbiamo aver fretta di lasciarlo, quando abbiamo ottenuto il doppio scopo di allontanare il male, e di impedirne il ritorno. Riuscendo cosi di perdonare, si ottiene anche l'effetto prezioso di cicatrizzare la piaga fatta al cuore del fanciullo; egli veda che non ha perduto la benevolenza del suo Superiore, e si rimette maggiormente al suo dovere.

[354] I maestri od assistenti non mettano mai fuori di scuola alcun colpevole, ma in caso di mancanza si faccia accompagnare dal Superiore.

[355] Per norma dei Decurioni e Direttori trascriviamo le condizioni, che si richieggono per essere ammessi nella Pia Unione dei Cooperatori e delle Cooperatrici.

I° Età non minore di sedici anni.

2° Godere buona riputazione civile e religiosa.

3° Essere in grado di promuovere o per sè o per mezzo d'altri, con offerte, limosine o lavori, le Opere della Pia Società Salesiana.

4° Può partecipare un'intera famiglia secolare o religiosa, Comunità, Istituto, nella persona del Capo di casa o del Superiore, perchè nel corso dell'anno ognuno faccia qualche opera anche di poca entità, secondo lo scopo dei Cooperatori.

5° Per lucrare le Indulgenze bisogna inoltre adempiere quanto è prescritto dalla Santa Chiesa per l'acquisto delle medesime.

[356] Allude alla contessa Corsi,

[357] Don Lemoyne scrive in margine accanto a questo periodo: “ Questo è forse il medico Ferrero. É il compenso di aver ricevuto a Mornese per nulla tre figlie ”.

[358] In questo numero sono compresi anche i giovani dell'oratorio festivo.

[359] Mère Cécile Brugère, abbesse de Ste-Cécile, superiora della sorella di Don Mocquereau,

[360] L'abate Don Couturier.

[361] L'abate Moigno era canonico di S. Dionigi.

[362] Cfr. vol. XV, pag. 492 e sgg.,

[363] Don A. AUFFRAY, Direttore dol Bulletin Salésien.

[364] Dom Bosco, par le Dr d'Espiney. Malvano-Mignon, 18, rue Gioffredo, Nice. Depuis lors, une nouvelle édition a paru chez M Adolphe Josse, libraire, 31, rue de Sèvres, à Paris.

[365] Don Borel non era di origine francese.

[366] Si allude alla morte di Luigi Veuillot.

[367] Aubineau: senza que.

[368] Aub.: manca da Suivant a Doupanloup. Omissione forse tendenziosa.

[369] Aub.: m'expliquer.

[370] Aub.: Au bout de peu de jours.

[371] Questa somma è molto esagerata, va addirittura all'assurdo. Si raccolsero 15.000 franchi.

[372] Nella visita all'opera dei catechismi, nella vicina chiesa.

[373] La bonne qualité.

[374] L'ouvrage du docteur Charles d'Espiney est le plus remarquable et le plus complet qui ait été écrit sur Dom Bosco.

[375] Cfr. Doc. 70

[376] Il segretario aveva chiesto a Don Bosco qualche minuto per parlargli, e Don Bosco gli aveva risposto: - Ma lei ne ha del tempo quanto vuole. - Al che replicando quegli che Don Bosco era tanto occupato, il Santo riprese: - Ma lei ne ha del tempo, perchè... Monsignore ritornerà e lei resterà.

[377] Esortazione, nel senso d'istruzione religiosa.

[378] Vuol dire Mestre. Così invece di Bourg scrive ripetutamente Bang.

[379] Ia lettera è pubblicata da Don Tavella in Las Misiones Salesianas de la Pampas, B. A. Talleres gráficos Argentines, 1924. Pag. 191. Crediamo che la lettera sia stata ricostruita sui dati di Don Milallesio

[380] L'arcivescovo di Buenos Aires il 10 agosto aveva scritto a Don Bosco: “Avendo una buona elemosina da destinarsi alle nostre missioni, a nessuno posso meglio darla che a V. S. R. affinchè l'abbia per il viaggio dei missionari che deve portare il P. Costamagna e l'ho già consegnata al P. Vespignani perchè la tenga a disposizione di V. R. ”

[381] Allude alla Casa della Provvidenza, destinata a noviziato

[382] A il conte Chambord

[383] Qui Don Bosco scrisse nel margine: “ 276 anni fa ”

[384] G. B. LEMOYNE. Memorie Biografiche di Don Bosco. Vol. IV, pp. 130 - 132

[385] G. B. PAGANI. Rosmini e gli uomini del suo tempo, pag. 255. Firenze, Libreria Arciv. editrice, 1919

[386] Vita di A. Rosmini di un Sacerdote dell'Istituto della Carità. Vol. II, pp - 329 - 330 - Torino, Unione Tip. Editrice

[387] Nella inaugurazione del monumento di Antonio Rosmini a Stresa. Discorso di Fr. Paoli. Parole di Niccolò Tommaseo ecc. Genova, Tip. de' Sordomuti, 1859

[388] Cfr. Vita citata, vol. II, pag. 159

[389] Cfr. PAGANI, o.c., pag. 165

[390] Il P. Balsari, nell'inviare questa copia, rettifica un'altra asserzione contenuta nel vol. IV, p. 143, dove si dice che il can. Gastaldi fece il  noviziato a Stresa, ma che “ avendo mutato principi filosofici ” fu mandato in Inghilterra “missionario ”. Scrive il P. Balsari: “ Posso e debbo attestare, con piena e sicura conoscenza della cosa, che il Can. Gastaldi, entrato nell'Istituto già pienamente convinto delle dottrine Rosminiane, ne fu convinto per tutta la vita. Compiuto che ebbe il biennio di Noviziato a Stresa nel principio del 1853, egli insegnava, al finir di quello stesso anno, le dottrine del Rosmini in Inghilterra, dove era stato mandato con l'ufficio di Professore di Teologia e di Prefetto degli Studi e Revisore per la Stampa ”.

[391] Recatosi dall'avvocato e non trovatolo, Don Bosco lasciò questo biglietto nel di lui studio

[392] La Società Beauiour

[393] Notitia brevis Societatis Sancti Francisci Salesii et nonnulla decreta ad eamdem spectantia. Torino, 1868

[394] Supplica per la definitiva approvazione della Società, o almeno per la facoltà delle dimissorie. Era datata a domo Sodaligia Pagi Mirabelli quartus idus Junii MDCCCLXVIII

[395] Il nostro corsivo è aggiunto fra le righe con inchiostro diverso

[396] Era valente latinista e in relazione con Don Francesia

[397] I giorni furono più di quindici dopo il colloquio; ma questa iperbole non toglie nulla alla reale prontezza del pagamento

[398] Comune del circondario di Domodossola, luogo di villeggiatura della famiglia

[399] Il collegio dei Rosminiani a Domodossola. Forse ne frequentava le scuole come esterno

[400] I primi due erano i coadiutori già più volte nominati e da Don Bosco nobilitati; il terzo una macchietta di refettoriere, che si piccava di far versi.

[401] Vuol dire Rothschild, il grande banchiere israelita di Parigi

[402] Vuol dire « colonia ».

[403] I puntini dinanzi a «pour des années » alludono forse alla mezza idea che la bouvet aveva di farsi suora di Maria Ausiliatrice

[404] I de Montigny

[405] L'autografo della 17ma e 18ma è presso l'archivio generalizio delle Figlie di Maria Ausil. Ne abbiamo potuto avere soltanto copia con ritocchi.

[406] Anche l'originale di questa lettera è nell'archivio delle Figlie di Maria Ausiliatrice

[407] Vuol dire le comunicazioni con l'estero, già irregolari per il colera

[408] La scrittura e la dicitura di queste ultime lettere rivelano lo sforzo che il Santo deve fare per maneggiare la penna

[409] Cioè «que vous n'aviez pas bien entendu mes paroles ». Di questa lettera l'originale è presso le Figlie di Maria Ausiliatrice.

[410] Ne abbiamo solamente la copia. L'originale di questa, come di altre lettere simili, fu staccato dal quadernetto, in cui Don Bosco scrisse, e spedito alla destinataria.

[411] Nella lettera era acclusa una fotografia di due Patagoni vestiti di poncho. I loro nomi: Louis Floridus Cumicuíïan Colle e Cayetano Santiago Neycolas Alimonda.

[412] Ecco la lettera di Don Barberis.

Illústrissimo Signore.

Prima di tutto devo chiamarle perdono se non le scrivo in francese: io non so abbastanza questa lingua. So per altra parte che V. S. conosce l'italiano ed avrà la gentilezza di notificare il contenuto di questa mia alla degnissima di lei consorte.

Oh se sapesse di quanto sollievo ci fu la generosa offerta che V. S. ebbe la bontà d'inviarci! Eravamo in momenti proprio desolanti, e la sua carità ci ha ridonata nuova vita. Non tutto è finito ma già molto si fece. Tutti i chierici e giovani di S. Benigno oltre alle preghiere che già fecero e sempre faranno per la conservazione di così buon benefattore, dopo domani che è giorno della Natività di Maria Vergine faranno una speciale comunione per attirare sopra di Lei e della sua degnissima consorte le più elette benedizioni del cielo.

Noi ricordiamo ancora sempre la preziosa visita che essi ebbero la bontà di farci e notiamo quel giorno tra i giorni degni di memoria tra noi. Nuovamente, benemerito signore, la ringrazio: tenga sempre buona memoria di me e dei nostri giovani e chierici, ed essi anche quando saranno missionarii nelle lontane regioni ricorderanno un loro principale benefattore. Della S. V. Ill.ma e Ben.ta

Umil.mo Servo

Teol. GIULIO BARBERIS.

[413] Questa è la lettera di Don Barruel.

Valence, 5 Avril 1883.

Cher Monsieur le Comte,

Dom Bosco à quitté Marseille lundi soir. Une faveur nous avait permis de prendre le rapide et nous sommes allés en deux heures de Marseille à Avignon, sans un.seul arrêt aux gares intermédiaires.

Une foule nombreuse attendait Dom Bosco à la gare et, pour le soustraire à l'empressement de tout ce monde, on l'a fait passer par le buffet; il a pu grâce à cette mesure de précaution monter tranquillement en voiture.

[414] Ecco la lettera di Don De Barruel. Monsieur le Comte,

Dom Bosco veut que je vous donne, ainsi qu'à Madame la Comtesse, quelques nouvelles de son voyage. Je m'acquitte bien volontiers de la commission.

Dom Bosco a été accueilli à Lyon avec un empressement tout extraordinaire, et avec les plus grands signes de vénération. Au point qu'il ne pouvait plus entrer ou sortir qu'en fendant la foule des solliciteurs, qui se pressaient à sa porte, et encore fallait-il faire place presque de force, tant tout ce monde était avide d'être auprès de Dom Bosco, de le toucher et de lui parler.

Vous aurez su, sans doute, que le Dimanche 8 courant, Dom Bosco a fait une instruction, ou conférence, à Notre-Dame de Fourvière. L'Église était comble. Avant d'entrer à l'Église, Dom Bosco a béni une pauvre mendiante toute paralysée; la malheureuse faisait compassion; et je crois que les assistants ont prié de bien bon coeur pour elle. Le Bon Dieu a voulu récompenser la foi de cette pauvresse, et j'ai su par les Soeurs de St Vincent de Paul, qui l'assistent, qu'elle avait été guérie à peu près complètement. Elle a laissé ses béquilles et peut facilement se servir de ses bras. Les doigts seuls restent encore un peu rebelles.

Dom Bosco a fait encore une conférence à la Société de Géographie; il a parlé de la Patagonie et a vivement intéressé l'auditoire nombreux et choisi, qui se pressait dans la salle, devenue trop petite à raison de l'extraordinaire concours provoqué par l'annonce de la parole de Dom Bosco. Nous avons quitté Lyon hier matin. Dom Bosco était satisfait de la charité des Lyonnais.

Adieu. Je prie bien Dieu pour Vous. Que Votre fils vous obtienne toutes les grâces de notre Bon Sauveur.

Abbé C. DE BARRUEL.

[415] Campagna dei Conti, nelle vicinanze della Navarre

[416] Scrive da S. Benigno, ma qui senz'avvedersi mette «Turin ». Il bollo postale ha « S. Benigno 26 ag. 83 »

[417] Per Coni = Cuneo

[418] Il sogno sulle Missioni

[419] In questa lettera e in qualche altra sí ravvisa una penna estranea chu fa correzioni.

[420] Lapsus calami curioso, per 7000 mq.

[421] Voleva dire: «auquel devant Dieu je suis affectionné comme fils».

[422] La lettera è questa: Monsieur le Comte,

Dom Bosco est enfin de retour; sa santé, loin de souffrir du voyage, s'est au contraire légèrement améliorée.

Il me charge de vous dire qu'il a longuement parlé au Saint Père de Vous et de Madame la Comtesse.

Léon XIII a voulu se faire raconter dans le plus grand détail tout ce que vous avez fait pour les oeuvres Salésiennes. Il en a été hautement satisfait et vous envoie à tous les deux, de la façon la plus spéciale, sa bénédiction Apostolique.

Dom Bosco vous attend à Turin, il comprend que vous désiriez laisser passer la fête de Notre-Dame Auxiliatrice, pendant laquelle il se trouve trop absorbé par la grande affluence des Visiteurs; mais il compte sur vous- pour les fêtes de St jean et de St Louis.

Toutes les prières qui se feront le jour de la fête de Notre-Dame Auxiliatrice seront plus particulièrement pour vous et Madame la Comtesse et Don Bosco célébrera la Sainte Messe selon vos intentions.

Recevez, Monsieur le Comte,- pour vous et pour Madame la Comtesse, l'hommage de mon respect.

Turin, 21 mai 1884.

C. DE BARRUEL prêtre.

[423] Don Bosco ottenne al Conte anche il titolo di Commendatore di San Gregorio Magno

[424] Era giunto a Pinerolo il 19, donde l'indomani, pernottato nell'Episcopio, sali alla villa vescovile

[425] Nell'originale pare doversi leggere 83, ma il bollo postale sulla busta ha « Torino 21 - 2 – 85 »

[426] Cioè «au fur et à  mesure qu'il».

[427] La lettera è scritta da Mathi

[428] Scrive da S. Benigno

[429] In questa lettera è acclusa una busticina con questa scritta: Deux Bon (sic) De Banque pour Mr et Mme la Comtesse Colle.

- Contiene due immagini della croce con sentenze e preci sulla rassegnazione e la carità.

[430] Cioè jujubes, giuggiole. Il sugo (jujube) lenifica

[431] La busta ha il bollo di « Torino 24-12-85 e.

[432] Cioè, dopo aver molto parlato e fatto, bisogna rassegnarsi a veder le pratiche andare a rilento

[433] Pare doversi intendere: « e non dànno soggezione »

[434] Vuol dire una somma di danaro

[435] Per la chiesa del Sacro Cuore.

[436] P.S. Si vous me permettez, je joins mes respects et souhaits de bonnes fêtes. L'abbé De Barruel m'a écrit de vos bonnes nouvelles et m'a aussi annoncé la charité que vous avez usée à notre cher D. Perrot le jour où il est venu vous visiter. Que le bon Dieu en soit béni et vous bien remerciés. Moi aussi j'ai l'espoir de vous voir à Rome et dès à présent je prie le S. Coeur de jésus à vous accorder un bon voyage et toutes sortes de bénédictions. Votre bien dévoué serviteur en J. Ch.

A. MICHEL RUA.

[437] P.S. Si vous me permettez, je joindrai quelque mot. Notre cher D. Bosco n'est pas trop bien en santé. Il a eu, pendant quelques jours, la fièvre, et un peu de bronchite. Maintenant il va un peu mieux. Ayant entendu, que vous ne pouvez pas venir à Rome, il aurait voulu retarder pour y attendre; mais comme on l'avait déjà publié, il ne parait plus convenable de changer. Par conséquent il partira pour Rome mardi prochain avec moi et l'autre secrétaire. J'espère que vous l'accompagnerez par vos prières comme nous l'accompagnons par nos personnes, comme j'espère, aussi qu'en retournant de Rome sous les fêtes de N. D. Auxiliatrice nous aurons la consolation de vous voir ici. Que le bon Dieu exauce nos voeux et vous rende la santé.

Votre bien- obligé Serviteur en J. Ch.

A. Michael RUA.

[438] Bien chers Mons. le Comte et Mme la Comtesse,

En arrivant ici j'ai trouvé une lettre de l'A. Perrot qui nous annonce que votre santé va mieux. Que Dieu en soit béni. Nous continuerons à prier pour vous, surtout dans ces jours.

Notre voyage, comme D. Bosco vous l'a dit, a été bon. Nous nous sommes arrêtés à Gênes, à Spezia, à Florence et à Arezzo soit pour visiter nos maisons soit pour ne pas fatiguer trop D. Bosco avec des traits de route trop longs.

Maintenant nous sommes. ici à Rome dès hier samedi à l'après-midi et nous tâchons de préparer les fêtes qui vont commencer le 12 court. Vous prierez, nous en sommes persuadés; pour qu'elles réussissent bien à la plus grande gloire de Dieu; et comme ça si nous n'avons pas le bonheur de vous voir - présents personnellement, nous serons cependant unis en esprit et prières.

Que le bon Dieu soit toujours avec vous et nous accorde de vous voir à Turin pour N. D. Auxiliatrice.

Rome, le 1-er mai 1887.

Votre dévoué Serviteur

A. Michel RuA.

P.S. Notre bien aimé D. Dalmazzo vous présente ses hommages avec ceux de sa famille. Il nous a parlé de la bonté que vous lui avez usé (sic) en lui écriyantplusieurs fois et il en est bien reconnaissant.

 

 

[439] Scrive da Lanzo.

[440] Data del bollo postale: e Torino, 17-10-87»




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