Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. XVIII, Ed. 1937, 878 p.

 

 

 

Prefazione. 3

CAPO I. 6

La vita di Don Bosco nell'Oratorio durante i primi due mesi e mezzo dei 1886. 6

CAPO II. 16

Per la Liguria e per la Francia verso la Spagna. 16

CAPO III. 26

Diario barcellonese. 26

CAPO IV.. 47

Partenza dalla Spagna e ritorno a Torino. 47

CAPO V.. 55

Da Maria Ausiliatrice all'Assunta. Don Bosco nell'Oratorio ed a Pinerolo. 55

CAPO VI. 70

Quarto Capitolo Generale. 70

CAPO VII. 77

S. Giovanni Bosco a Milano. L'ultima vestizione dei chierici a S. Benigno. 77

CAPO VIII. 84

Spedizione missionaria dei 1886. Sguardo alle Case e alle Missioni d'America. 84

CAPO IX.. 100

Trasferimento del noviziato a Foglizzo. 100

CAPO X.. 104

Ultime cose del 1886. 104

CAPO XI. 110

Vita di ritiramento. 110

CAPO XII. 118

Nel terremoto del febbraio 1887. 118

CAPO XIII. 123

Ultimo viaggio del Santo a Roma. 123

CAPO XIV.. 130

Consacrazione della chiesa dei Sacro Cuore. 130

CAPO XV.. 139

Descrizione della chiesa e partenza di Don Bosco da Roma. 139

CAPO XVI. 144

L'ultima festa di M. A. celebrata con Don Bosco. Due settimane a Valsalice. L'ultimo onomastico. 144

CAPO XVII. 148

Un mese a Lanzo. Ultimo compleanno. Ultima dimora a Valsalice. 148

CAPO XVIII. 156

La Prefettura Apostolica di mons. Fagnano. 156

CAPO XIX.. 165

Cinque Repubbliche d'America domandano a Don Bosco i Salesiani. 165

CAPO XX.. 174

In quattro nazioni d'Europa. 174

CAPO XXI. 183

Estremi bagliori crepuscolari. 183

CAPO XXII. 194

I primi undici giorni di malattia. 194

CAPO XXIII. 203

Venti giorni di benigna tregua. 203

CAPO XXIV.. 210

Ultimi smantellamenti della carne. 210

CAPO XXV.. 214

La fine. 214

CAPO XXVI. 220

Pratiche per il seppellimento e onoranze funebri. 220

CAPO XXVII. 224

La salma di Don Bosco a Valsalice. 224

CAPO XXVIII. 227

Opinione di santità in vita e dopo morte. 227

CAPO XXIX.. 233

Testimonianza dei miracoli. 233

CAPO XXX.. 240

APPENDICE DI DOCUMENTI. 250

DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI. 375

 

 

Prefazione.

 

                Con questo diciottesimo volume si chiudono le Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco. Dalla narrazione della sua vita balzano allo sguardo nettamente distinti tre Periodi. Fino al 1841 sono gli anni della vocazione e preparazione sacerdotale; seguono poi subito i travagliosi inizi della sua missione a pro della gioventù, ai quali si associano successivamente la lenta elaborazione degli elementi che formeranno la Pia Società Salesiana, il progressivo affermarsi di questa Società e il suo definitivo costituirsi mercè la pontificia approvazione delle Regole nel 1874; infine gli ultimi quasi tre lustri vanno dedicati al consolidamento e all'espansione di tutta l’Opera. Don Bosco in morte potè rimettere al successore un’istituzione, a cui nulla mancava di quanto le era essenziale per una vitalità rigogliosa e perennemente feconda.

                Ad arrotondare il numero dei volumi se ne aggiungeranno altri due, uno per dare la storia completa della glorificazione dagli esordi della causa, che si può dire Principiata immediatamente dopo la morte, all'universalità del culto, e un altro Per allestire un indice analitico, che faciliti nel miglior modo possibile le ricerche.

                In volumi sì numerosi e di sì gran mole la vita del fondatore ci si spiega dinanzi con una ricchezza d’informazioni, che nella letteratura agiografica forse non ha riscontro. Tanta profusione di notizie, se letterariamente parlando ha del soverchio, [6] offre però gradito e utile pascolo alla numerosa famiglia del Santo, avida di conoscere a fondo e nei più minuti particolari le vicende paterne. Per i figli di Don Bosco le sue Memorie Biografiche saranno in ogni tempo un tesoro domestico d’incalcolabile valore.

                Negli estranei Può destare meraviglia e fors'anche diffidenza un cumulo così enorme di materiale biografico; ma la cosa è avvenuta nella maniera più naturale del mondo. In mezzo a’ suoi Don Bosco non condusse vita appartata nè svolgeva dietro una cortina impenetrabile la sua attività, ma stava in abituale contatto sia con i giovani che con i confratelli, operando sotto gli occhi di tutti, Parlando loro delle cose sue, ricevendoli con la massima frequenza e familiarità[1].

                Ebbe poi con esterni vicini e lontani, d'ogni classe sociale, infinite relazioni, accordando loro continue udienze e visitandoli Personalmente, beneficandoli nel corpo e nello spirito, mettendoli a parte de' suoi disegni e delle sue imprese, invocandone [7] gli aiuti di cui abbisognava. L’effetto fu che una quantità innumerevole di persone si trovò al corrente di fatti e di detti suoi e in possesso di suoi scritti, sicchè non ci voleva gran fatica per averne copiosi ragguagli. Ad agevolare il lavoro degli storici contribuì ancora la venerazione che fin dai Primi tempi circondò l'uomo di Dio, la qual venerazione fece sì che in casa vi fosse chi prendeva nota delle sue parole e delle sue azioni e che fuori si conservassero gelosamente le sue lettere e si serbasse indelebile ricordo delle relazioni avute con lui. Inoltre egli stesso per ordine superiore lasciò come in eredità a' suoi figli pagine preziosissime su momenti importanti della propria vita. Che più? Allorchè Don Bonetti intraprese nel Bollettino a raccontare la storia dei primi venticinque anni dell'Oratorio, ogni puntata era riveduta da Don Bosco medesimo o in sua assenza da Don Rua[2]. Finalmente il Processo informativo Per la causa di beatificazione e canonizzazione condusse dinanzi al tribunale ecclesiastico di Torino una schiera di testi autorevolissimi e direttamente informati, le cui deposizioni riempiono voluminosi incartamenti. Ben rare volte adunque toccò a un biografo la sorte di poter attingere a fonti così fresche e limpide, così abbondanti e sicure.

                La menzione fatta poc’anzi di Don Rua c’invita a soffermarci un istante Per considerare la Portata e il valore della sua testimonianza. Egli convisse quaranta lunghi anni con Don Bosco; ma qui convivere non dev'essere preso come sinonimo di coabitare: significa invece esattamente dividere insieme la vita. Questa convivenza, com’è naturale, procedette per gradi a seconda dell'età e degli uffici; tuttavia la Parte anteriormente riservata gli si fece in tutto palese nella maturità degli anni. Don Bosco per Don Rua non conobbe segreti, di modo che questi dopo la scomparsa di lui ne era, diremo così, l'archivio vivente. La sagacia dell'ingegno gli aveva permesso di scrutarne oggettivamente [8] il pensiero e l’opera; la sua memoria tenacissima gli rispondeva Pronta e fedele a ogni richiamo; nella sua coscienza poi di uomo santo non trovavano adito mistificazioni e neppure quegli alteramenti del vero che una pietà poco illuminata stima leciti a scopo di edificazione. Un esempio può valere per mille. Il Don Bosco del dottore D'Espiney aveva già riempito la Francia e trovato lettori pressochè in ogni nazione civile, quando nel 1890 sull'undicesima edizione francese si pensò di farne la traduzione italiana. Orbene Don Rua si assunse di rivedere il testo, eliminandone quanto a lui non risultasse vero di scienza propria; nel che andò con estremo rigore. Infatti non esitò a sopprimere anche l'ultima apparizione del grigio, avvenuta nel 1883 sulla strada fra Ventimiglia e Vallecrosia, quantunque ne avesse inteso parlare. L’autore se ne lagnò, perchè ne aveva udito il racconto da Don Bosco stesso a Nizza Mare pochi giorni dopo il fatto; inteso questo, si rammaricò pure Don Rua della soppressione, adducendo semplicemente a propria scusa l’insufficiente notizia avutane. S’immagini di che valido aiuto sia stata allo storico l’agevolezza di poter ricorrere a un informatore così bene informato e così coscienzioso nell'ammannire le sue informazioni.

                Storico tanto fortunato dobbiamo dire Don Giovanni Battista Lemoyne; sebbene questa sua fosse una fortuna aggiunta ad altre fortune, principale fra tutte l'aver avuto agio di controllare la tradizione ancora palpitante intorno a lui consultando Don Bosco in Persona e di potersi annoverare per circa ventitrè anni fra quelli i quali in vista dei loro rapporti con Don Bosco applicavano con ragione a se stessi il nos qui manducavimus et bibimus cum illo. Vogliamo descrivere; qui l'opera meritoria del glorioso figlio di Don Bosco.

                Avanti di accingersi all'impresa di narrare ampiamente la vita del Santo, egli si allestì un enorme zibaldone, dove ammassò i materiali, di cui principalmente si sarebbe servito nella stesura del lavoro. È' una miscellanea che, ordinata cronologicamente e ridotta in bozze di stampa, si compone di tre elementi. Un Primo elemento documentario consiste nella riproduzione [9] di tutti i documenti ufficiali che esistevano allora negli archivi della Congregazione. Il secondo elemento epistolare intercalato nel precedente, comprende centinaia di lettere, giunte a Don Bosco od a Superiori dell'Oratorio da parte di Salesiani, di Missionari, e di Cooperatori e Cooperatrici e di altri, delle quali Però rarissime volte rimangono gli originali per necessari raffronti. Il terzo elemento che potremmo chiamare narrativo risulta dallo smembramento di manoscritti inediti o quasi inediti, i cui brani sono disseminati nei luoghi opportuni del repertorio. Data la natura della raccolta e l’uso a cui era destinata, Don Lemoyne non si credette obbligato d’indicarne le fonti. Fra queste fonti nella Parte da noi studiata abbiamo potuto individuale una Memoria confidenziale stampata e da Don Bosco inviata ai Cardinali circa le sue vertenze con l’Ordinario torinese; una cospicua Cronichetta di Don Barberis; un gruppo di taccuini, nei quali Don Berto pigliava appunti durante i suoi viaggi con Don Bosco a Roma e notava circostanze degne di essere ricordate, sebbene estranee ai viaggi; un lungo Diario di Don Viglietti con una breve appendice di Don Bonetti; e altre scritture di minor conto. Com’è naturale, il nostro racconto, dovunque sia possibile, dipende direttamente dalle fonti, e queste sono citate. Appartengono alla terza serie anche notizie d’incerta origine, provenienti senza dubbio da relazioni orali o scritte, di cui non esistono indicazioni o pezze d’appoggio. Talvolta Don Lemoyne vi parla in nome proprio o vi si rivela abbastanza chiaramente nello stile; allora non abbiamo mai omesso di citarlo, rimettendoci per il rimanente alla sua autorità. Di numerosi particolari siamo debitori a fonti da lui ignorate o a lui posteriori. Messo quindi mano a stendere la narrazione, egli arrivò col nono volume fino al 1870. Il volume porta la data del 1917; ma già dall'anno antecedente sulle elaborate pagine gli era caduta la stanca mano[3]. [10]

Noi siamo persuasi che con l’andare del tempo archivi pubblici e Privati riveleranno, da fondi inesplorati o tuttora chiusi, documenti nuovi sulla multiforme attività di Don Bosco[4]; ma checchè venga ulteriormente alla luce, la figura del Servo di Dio, pure, ricevendone novello splendore, rimarrà sempre fissata ne' suoi inconfondibili lineamenti attuali. Vi è Per altro un punto, nel quale eventuali rivelazioni offriranno forse maggiori chiarimenti pur senza far modificare il giudizio che oggi se ne formano gli studiosi della sua vita; vogliamo alludere all'atteggiamento di Don Bosco in quello che nella storia d'Italia viene dello risorgimento nazionale. La grande entratura del Santo anche presso ambienti governativi potrebbe, a chi lo guardi superficialmente, suggerire apprezzamenti non in tutto conformi al vero. Conviene dunque precisare bene qui le idee.

                Nel risorgimento nazionale italiano bisogna distinguere tre cose: il fatto in sè, gli uomini che ne furono autori, e gli effetti istituzionali che ne derivarono.

                Il fatto in se stesso ci si presenta come la risultante di due moti convergenti, uno politico e l'altro sociale. Pro o contro il moto politico, che andava a sfociare nell'indipendenza e unità d'Italia, Don Bosco nulla fece, nulla disse, nulla scrisse. La sua condotta volutamente negativa in questo campo s'ispira a un principio teorico - pratico, implicito nella categorica risposta da lui data alla categorica domanda di Pio IX, quando lo interrogò quale fosse la sua Politica. Sua politica affermò egli allora essere quella del Pater noster, la politica cioè che milita, sì, per l'avvento di un regno, ma del regno di Dio. Il Principio informatore di questo programma era che il Prete, se vuole assicurarsi l’efficacia del proprio ministero, deve librarsi in alto, al disopra delle divisioni causate dai partiti politici. Si spiegò appunto in tal senso parlando un giorno con monsignor Bonomelli, il grande vescovo di Cremona, il quale ne riferì le seguenti [11] “precise parole”[5]: Nel 1848, gli disse Don Bosco, io mi accorsi che se voleva fare un po’ di bene doveva mettere da banda ogni politica. Me ne sono sempre guardalo e così ho potuto fare qualche cosa e non ho trovato ostacoli, anzi ho trovato aiuti anche là dove meno me l'aspettava”.

                Altra cosa era il moto sociale, mirante all'elevazione intellettuale, civile ed economica del popolo. Don Bosco intravide non solo l’irresistibilità di questa tendenza democratica, ma anche tutto il bene e il male di cui sarebbe stata apportatrice, secondochè la caldeggiata evoluzione si attuasse sotto o senza o contro l'influsso del Vangelo; quindi si consacrò tutto all'educazione cristiana dei figli del popolo nell'intento di preparare all'Italia una riserva di cittadini moralmente sani e spiritualmente capaci di far sentire la loro azione benefica sull'indirizzo dei tempi nuovi[6].

                Quanto agli uomini del risorgimento, Don Bosco si studiò fin da principio di non perderne il contatto, mosso a questo da tre ideali: procurarsi la possibilità di far loro del bene, renderli favorevoli o almeno averli non ostili alla sua opera, e impedir loro di recare troppo danno alla Chiesa. Per ognuno dei quali oggetti le Memorie Biografiche somministrano esempi numerosi atti a provare la giustezza delle sue vedute. Onde colse felicemente nel segno la Civiltà Cattolica là dove, annunziando la morte di Don Bosco, scrisse di lui[7]: In pieno secolo XIX, in mezzo alle convulsioni dei popoli ed ai rivolgimenti politici, egli seppe con l’autorità della parola e dell’esempio suscitare una corrente mirabile di carità ed attirare a sè gli spiriti più ribelli alle serene dolcezze della fede cristiana”. [12]

Riguardo agli effetti da noi chiamati istituzionali, riguardo cioè al nuovo regime nazionale con tutto il complesso de’ suoi pubblici ordinamenti, Don Bosco, anzichè metterli in discussione, badò a Profittarne fin dove fosse possibile e lecito per cavare da essi i maggiori e migliori vantaggi. Quindi non contrariò le autorità costituite, anzi le rispettò e le fece rispettare. Fu consuetudine di certi ambienti e di certa stampa, massime dopo la caduta del potere temporale, svilire la Casa di Savoia, che aveva riunito sotto il suo scettro l'intera penisola; egli invece e a Torino e durante i suoi viaggi deplorò sempre tale maniera di fare, perchè, e la storia dovrà dargli pienamente ragione, ravvisava nella dinastia sabauda l'unico vero sostegno dell'ordine pubblico in Italia. Finalmente auspicò ognora che la conciliazione, temuta dagli uni e deprecata dagli altri, venisse un bel giorno a sanare il calamitoso dissidio apertosi in Italia dopo il 1870 fra il potere ecclesiastico e il potere civile; vagheggiava però una conciliazione che rivestisse le forme lodale da Pio XI in uno storico discorso e dal medesimo Pontefice tradotte in fatto con i patti lateranensi.

                A mo’ di conclusione riassumeremo il nostro pensiero riproducendo l’assennato giudizio di uno strenuo giornale cattolico[8], che in morte del Santo, magnificatane l’operosità e l’umiltà, proseguiva: In anni tanto travagliosi di rimutamenti politici e di difficoltà sociali e di lotte religiose, Don Bosco si tenne sempre e perfettamente fedele ai suoi doveri di prete cattolico, sempre e perfettamente devoto all’autorità ecclesiastica e principalmente al Papa; lavorando sempre a tutt’uomo per la Chiesa e con la Chiesa, combattendo sempre e a tutt’uomo il male; ed insieme evitando nelle parole e nel contegno sito ogni asperità, alieno da litigi, da contese, da contrasti, preferendo l’operare al parlare, studiandosi di mantenere con di gli animi e di rivolgerli e guidarli alle buone opere, a decoro e incremento della religione, a beneficio della società”. [13]

                Siamo dunque le mille miglia lontani dalla tattica di coloro che, presi in mezzo fra forze avverse, mettono la propria abilità nel tenere, come si suol dire, il piede in due staffe. Questi tali, generalmente, fanno la fine di chi vuol servire a due padroni che in ultimo diventano invisi all'uno e all'altro. Di Don Bosco avvenne precisamente il contrario. A convincersene basta dare uno sguardo alla stampa in occasione della sua morte. Si assistette allora a questo edificante fenomeno, che di fronte a lui sembrava scomparsa la distinzione fra giornali buoni e cattivi, tanto si accordavano tutti nel celebrarne il nome. L’unico, il più lividamente settario, non volendone dir bene, e non potendone dir male, si astenne dal parlarne, non comunicando ai lettori nemmeno la notizia della sua morte.

                Il segreto di questa attrazione universale fu la carità, praticata secondo la dottrina del Vangelo; ecco nelle sue mani la possente calamità dei cuori. Un deputato liberale d’allora, poi più volte ministro, uomo di alta levatura, rilevò ed espresse egregiamente da quell'altra riva tale verità in una sua lettera di condoglianza per la morte del Servo di Dio[9]. Nell’ordine del pensiero storico e politico, scrisse egli, troppe cose dividono gli animi in tempo di rinnovamento civile e sociale. Ma anche da lidi diversi piace e giova a tutti ammirare la luce della carità quando si eleva al cielo dopo di avere confortato largamente tante umane miserie. Si può avere un concetto diverso della civiltà; ma vi sono punti nei quali la concordia è perfetta fra tutti coloro che credono nell'infinita virtù della carità e pei quali il lenire gli umani dolori nel nome di Dio, e il rialzare lo spirito di chi soffre, e il rigenerare col lavoro chi è oppresso dalla povertà e dalla sventura, e il dischiudere agli ingegni nuovi campi di prova e alla virtù del sacrificio nuove regioni di pietose vittorie, sembra impresa santa e salutare e feconda di vantaggi morali, economici e civili”.

                Allorchè la malattia di Don Bosco, facendosi ogni dì più [14] minacciosa, dissipava le ultime illusioni, i tanti e tanti che lo amavano, non sapevano capacitarsi che dovesse venire il giorno in cui non avrebbero più potuto vederlo nè udirlo nè comunque comunicare con lui. Ma, morto che fu e calmatasi la loro commozione, videro che egli cominciava proprio allora a essere più vivo che mai. Leggere e sentir parlare di lui piaceva singolarmente a piccoli e a grandi. Gli esempi e gl’insegnamenti da lui, lasciati formavano materia di predicazione, argomento di articoli, oggetto di studio. Il suo ritratto adornava le pareti dei santuari domestici come segno della benedizione di Dio e si portava anche addosso come pegno di celeste assistenza. Grazie innumerevoli e d’ogni genere, attribuite alla sua intercessione, ci si riferivano da paesi disparatissimi. La popolarità del suo nome, già grande in vita, guadagnava ognora in intensità ed estensione. Così avvenne che, quando, a breve distanza dalla sua dipartita, fu annunciato l’inizio della sua causa di beatificazione, parve la cosa più naturale del mondo che per lui si passasse sopra in modo tanto insolito alle leggi dei tempi. Dall’aprirsi poi dei processi un crescendo universale e continuo d'interessamento seguì le varie fasi della procedura romana fino all’apoteosi pasquale del 1934, il cui ricordo commuove tuttora quanti ebbero la fortuna di esserne spettatori e avrà un'eco imperitura nella storia della Chiesa. Oggi l'universalità del culto, richiesta dall'Episcopato cattolico e decretata dalla Santa Sede, è venuta a Porre l'ultimo suggello ufficiale alla glorificazione, che già il Santo riscoteva isolatamente in pressochè tutte le diocesi della terra. Di tanta venerazione si può a motto miglior diritto ripetere quello che un sommo poeta disse della fama di un altro poeta sommo: com’essa al presente dura viva nel mondo, così durerà quanto il mondo lontana.

 

                Torino, 22 agosto 1936.

 

 

CAPO I

La vita di Don Bosco nell'Oratorio durante i primi due mesi e mezzo dei 1886.

 

                SUL principio del 1886 il nostro Santo per due mesi e mezzo non si mosse dall'Oratorio. I giovani durante le ricreazioni, quando lo vedevano passare per il ballatoio del secondo piano uscendo dalla sua camera o recandovisi, interrompevano subitamente i loro giuochi, correvano là sotto e con segni di grande allegrezza gli battevano forte le mani. Egli prima di ritirarsi si fermava un istante, si afferrava alla ringhiera e lasciava cadere qualche buona parola, accolta con riverente attenzione e salutata con un più fragoroso applauso. Una sera Don Francesia nel dare la "buona notte " disse che non era necessario battere così le mani tutte le volte che si vedeva Don Bosco; sapersi già dai Superiori, che essi gli volevano bene. Ma l'avviso non servì a nulla, perchè continuarono a far festa ogni volta che avevano la fortuna di vederlo.

                Quanto alle sue condizioni di salute, Don Lazzero il 10 gennaio scriveva a monsignor Cagliero: “Don Bosco si lagna che non può più occupare la sua testa; per poco che faccia, sente subito un forte mal di capo. Pazienza che non si occupi, purchè esista, o in piedi o seduto, poco importa: per noi basta, per noi è tutto”. E Don Rua in una delle solite circolari mensili comunicava il 27 gennaio queste notizie: “La sanità [16] del nostro caro Padre, grazie a Dio, non peggiora, ma purtroppo non vi è miglioramento considerevole; le gambe rimano sempre di portarlo, la vista è sempre debole, lo stomaco ognora molto stanco. Egli tuttavia ancora confessa e dà udienza quando può, e non sa riposarsi mai ».

                Confessava i Salesiani che andavano da lui in camera, e in camera confessava i giovani della quarta e quinta ginnasiale, che radunava pure di quando in quando per tener loro un discorsetto familiare specialmente sul tema della vocazione. Indimenticabili rimasero alcune di queste riunioni, secondochè ci riferiscono i sopravviventi e si ricava da memorie del tempo.

                Una fu quella del 3 gennai Già il 13;dicembre del 1885, finito di parlare, aveva regalati i giovani di nocciuole; ma ora, volendo, distribuire le rimaste, operò un prodigio non dissimile da altri narrati nel corso di queste Memorie. Fattosi dunque portare il sacchetto, distribuiva con grande larghezza. Il chierico Festa, osservando che ve n'era assai meno della volta precedente, lo avvertì: - Non ne dia tante, perchè non basteranno per tutti.

- Lascia fare a me, gli rispose Don Bosco.

Anche colui che teneva il sacro gli ripetè che, facendo così, i più non ne avrebbero avute. -Tu taci, gl'ingiunse egli. Hai paura di restar senza? - Fra questi il già da noi mento-vato Giuseppe Grossani[10], che durante certe ore del giorno stava in anticamera per introdurre da Don Bosco i visitatori e ricorda che le nocciuole erano state portate dalla signora Nicolini; egli c'informa anche di varie circostanze.

                Sessantaquattro dunque erano i presenti; dandone, come il Santo faceva, una manciata a ognuno e poi addirittura a due mani, le nocciuole sarebbero finite presto. Ma ecco che l'attenzione degli alunni fu attratta da una novità ben singolare. Osservando quante nocciuole erano uscite e quante [17] ne rimanevano ancora, s'avvidero con grande meraviglia che nel sacchetto il livello non si era abbassato e che per quante continuassero a venir fuori, la quantità dentro non diminuiva; sembrava che una mano misteriosa tante ne riponesse quante egli ne estraeva.

                La meraviglia andò al colmo, quando, terminata la distribuzione, si potè constatare che il sacchetto pesava nè più nè meno di prima. Allora i giovani non si tennero dal manifestare a Don Bosco il proprio stupore e gli domandavano come mai avesse fatto. - Oh! io non so, rispose con tutta semplicità sorridendo. Ma a voi che siete miei amici posso fare delle confidenze. Vi conterò quello che avvenne all'Oratorio tanti anni fa. - E prese a narrare fa prodigiosa moltiplicazione delle castagne, e l'altra delle Ostie consacrate.

                Sull'ultimo comparve Don Francesia, il quale, sentendo un insolito chiasso, si avanzava dicendo: - Oh! oh! che c'è? che c'è? - E i ragazzi in coro: - Don Bosco ci ha dato le nocciuole. - E Don Francesia a Don Bosco: - Allora un po' anche a me! - Ma Don Bosco: - Tu non puoi mangiarle, perchè non hai denti.

                In quel mentre salì dal cortile un gran chiacchierio. Erano i cantori che tornavano da Valsalice dov'erano andati per un'accademia. Don Francesia disse a Don Bosco che quelli erano dei più grandi e che non conveniva privarli delle nocciuole. - Falli venir su gli rispose Don Bosco, nell'atto di licenziare gli altri. - Poi ordinò a Grossani di guardare nel cassettone, se mai ve ne fossero rimaste. Il giovane, che prima aveva lasciato il cassettone netto, trasalì al trovarvene una bella quantità. Le raccolse, le mise nel sacchetto e le portò a Don Bosco il quale sempre a piene mani ne diede a una quarantina di ragazzi, cavandone ancora una manata per il portatore.

                Insegnava nel ginnasio superiore anche Don Lorenzo Saluzzo. Il Santo lo desiderava presente sempre alle conferenze degli allievi; ma quella volta mancò. Di lì a poco Don Bosco, [18] incontratolo nella biblioteca, gli disse: - Hai fatto male a mancare questa sera alla conferenza.

 - Perchè, signor Don Bosco?

 - Fatti raccontare da Festa che cosa è accaduto.

 - No, me lo racconti lei: mi faccia questo piacere.

                Intanto, attirati dalla curiosità, si avvicinarono pure Don Finco, Don Luchelli e altri, e Don Bosco narrò la cosa con la semplicità di chi fosse stato nulla più che spettatore.

                Sparsasi per casa la notizia, da ogni parte si dava la caccia alle miracolose nocciuole. “Io, scrive Don Lemoyne, interrogai i giovani e vidi che tutti affermavano d'aver visto la cosa coi propri occhi e in tutti essere ferma la persuasione che fosse avvenuto un miracolo”.

                Undici giorni dopo Don Bosco chiamò di nuovo intorno a sè i medesimi alunni. Nelle loro menti perdurava vivo il ricordo di certe parole dette da lui nel dare la strenna per il 1886 e con filiale confidenza gli avevano fatto pervenire la preghiera che volesse spiegare un po' chiaramente alcune sue predizioni. Il 14 gennaio dunque, avutili in camera, parlò così, e mentr'egli parlava, il chierico Festa scriveva le sue parole.

 

                Siamo nuovamente qui per dirci insieme due parole. Voi direte: Perchè Don Bosco chiama solamente noi per parlarci e non chiama anche i preti, i chierici, gli artigiani, o almeno tutti gli studenti? Naturalmente, che questo eccita nei vostri compagni e negli altri che vedono questa preferenza, un po' d'invidiuzza. Ma dovete sapere che Don Bosco una volta era sempre in mezzo ai giovani, e dai giovani sempre cercato. Egli andava a dar missioni a Chieri, a Castelnuovo, a Ivrea, a Biella, e i giovani, non interni qui dell'Oratorio, ma giovani della città di Torino si radunavano a dieci, a venti, a trenta, una volta fino a cento e trenta e andavano a piedi fin dove era Don Bosco per confessarsi da lui. E Don Bosco amò sempre trovarsi in mezzo ai giovani. Adesso non posso più muovermi, non ho più forza per parlare a tutta la casa; tuttavia se non tutto l'Oratorio, se non tutti gli studenti, almeno una parte desidero dirigerla io: almeno quei di quarta e quinta.

                Ma voi mi avete chiesto qualche cosa di particolare; che vi spiegassi la strenna; e che vi dicessi qualche cosa di quei sei vostri compagni. [19]

                Ecco: dirvi se sia tra di voi qualcuno che debba morire non conviene, ma vi debbo dire che di quei sei quasi tutti sono preparati e se dovessero comparire adesso al tribunal di Dio, speriamo che sarebbero tranquilli e farebbero le cose bene. Gli altri anche si andranno preparando poco per volta. Poichè dovete sapere che vi è chi, senza accorgersene essi, sta loro dietro con gran cura per prepararli bene. Cosicchè quando sarà il loro turno, si può sperare che tutto andrà bene anche per essi. E voi pure state tranquilli, ma tenetevi preparati, e non confidate nella sanità, foste anche i più robusti dell'Oratorio.

                Un giorno, negli anni passati, Don Bosco aveva avvisato che fra dato tempo sarebbe morto uno dei giovani dell'Oratorio. Don Bosco senza dirlo espressamente gli stava dietro, e lo aiutò a far bene la sua confessione generale, e a metter bene tutte le sue cose a posto, e si era pure raccomandato a qualche superiore che stesse attento. E poi debbo dirvi che era un buon giovane, ed era ben preparato, quindi fece le cose bene.

                Tuttavia se c'era un robusto nell'Oratorio, era Milane. Di soprapiù giunse fino all'ultimo giorno del termine prefisso, e già dicevano i compagni: Là, stavolta la scampa... Quando l'ultimo giorno alle nove del mattino egli aveva una piccola indisposizione, ed era seduto nel suo letto attorniato da più compagni, colla sua pagnotta in mano. Tutti allegramente chiacchieravano; quando ad un punto, Milane si volge da un canto e si appoggia al guanciale. I compagni lo chiamano, e non risponde. Lo scuotono ed ei non dà segno d'accorgersi di nulla. Era già cadavere.

                Adesso vi ho solo nominato questo Milane, ma potrei farvi il nome di parecchi altri non meno sani e robusti di lui e che pure ebbero una simile sorte. Dunque state preparati e non confidate nella vostra sanità. Siate divoti molto di Maria Santissima, pregate e state allegri, ma molto allegri.

                M'avevate poi anche chiesto che vi spiegassi quello che ho detto dei disastri pubblici che desoleranno in questo anno i nostri paesi. Io vi dico questo volentieri; e quasi quasi l'avrei anche detto in pubblico dal pulpito. Il Signore ci manderà delle calamità, cioè, pestilenza, siccità e guasti d'innondazione. E voi chiederete: - Perchè il Signore manda questi castighi?

                Questo perchè ci deve essere e c'è senza dubbio. È il vizio della disonestà che attira sopra il mondo le calamità, i castighi del Signore. Vedete che è una cosa delicata, e per questo motivo non ho creduto del tutto a proposito dirlo in pubblico. I puri di cuore vedranno la gloria di Dio. E per puri di cuore s'intendono coloro che non ebbero la disgrazia di cadere nel brutto peccato o se caddero si rialzarono subito.

                Voi sentirete a dire che là c'è il colera, altrove innondazioni ecc. Dite: Sono tutti castighi che manda il Signore agli uomini per punirli dei loro peccati. Ma voi non temete, state allegri, molto allegri. Purchè abbiate al collo la medaglia di Maria: Ausiliatrice, e ne siate molto [20] divoti, io voglio sperare che come altre volte qui nella città di Torino e proprio qui attorno all'Oratorio fuvvi il colera, e i nostri giovani ne furono preservati, così pure sarete preservati voi.

                Queste cose dico a voi in particolare, ma che siano per voi, e non istate neppure a scrivere a casa ai vostri parenti o ad altri: Don Bosco ci ha detto che ci deve venire questo e quest'altro. No, siano per voi, traete dal mio avviso il maggior frutto che potete, ma non ditene nulla con altri.

                Ancora una cosa volevo dirvi. Ho visto che molti stamattina sono venuti qui per le confessioni, a far la comunione e l'esercizio della buona morte. Io sono molto contento: ma naturalmente che questo eccita negli altri un po' d'invidia. E i piccolini possono dire: - E non abbiamo anche noi altri i nostri peccati da confessare a Don Bosco? - Eh sì, ma Don Bosco, come ho già detto, non può più attendere a tutti. Egli perciò si limita a quei di quarta e quinta, perchè essi si trovano nell'ultimo anno in cui debbono deliberare della loro vocazione, da cui quasi sempre dipende la salute eterna di un giovane. Egli è il confessore ordinario di quei di quarta e quinta ginnasiale, ma con ciò non si intende dire che facciano male coloro che andassero da altri confessori. Purchè un giovane frequenti e faccia bene la confessione e comunione! Vi ripeto che mi preme solo di sapere i vostri pensieri sulla vocazione, sia ecclesiastica, come non ecclesiastica, perchè desidero la vostra felicità temporale ed eterna. In quanto a coloro che vengono qui a far la comunione alla messa di Don Bosco ne son contento. Ma intendo che si faccia liberamente. Chi vuol fare la comunione in chiesa, ben fatto, e chi vuol farla alla messa di Don Bosco la faccia pure: ma che nessuno faccia perchè sia comandato. No!

                Noi ci rivedremo altre volte, quando voi non abbiate niente a fare e Don Bosco abbia niente a fare; e vi dirò sempre quello che mi parrà possa farvi maggior bene.

 

Gli accurati registri dell'Oratorio segnano accanto ai nomi le date di sei morti avvenute fra marzo e il settembre del 1886, due di studenti e quattro di artigiani[11].

                Nello stesso mese, la sera del 31, i giovani si radunarono una terza volta. - Ci racconti qualche sogno che riguardi [21] proprio noi, - dissero a Don Bosco. Ed egli rispose: - Si che ve lo racconterò. Alcuni anni sono sognai che dopo la Messa della comunità passeggiavo tra i giovani. Tutti mi stavano attorno e mi guardavano ascoltando le mie parole. Uno però innanzi a me mi voltava la schiena. [Quando in cortile Don Bosco passeggiava coi giovani" quelli che gli camminavano innanzi facendogli corona, procedevano a ritroso senza mai voltare le spalle]. Quel tale aveva in mano un bel mazzo di fiori a vari colori, bianchi, rossi, gialli, violacei... Io gli dissi che si voltasse e guardasse a me; egli allora si voltò per un momento e poi riprese il suo cammino. Io ne lo rimproverai ed egli mi rispose: Dux aliorum hic similis campanae, quae vocat alios ad templum Domini, ipsa autem non intrat in ecclesiam Dei [costui che fa da guida ad altri, è come la campana che chiama altri alla casa del Signore, ma essa non entra in chiesa]. Al suono di queste parole tutto scomparve e io pure mi dimenticai presto del sogno. Giorni sono però vidi fra voi un giovane, che era proprio quello sognato; si è fatto più grandicello, ma è lui. - I giovani domandarono subito:

 - È qui fra noi? chi è?

 - Sì, rispose Don Bosco, è qui fra voi, ma chi sia non è spediente dirlo; tanto più che non saprei neppur io che interpretazione dare al sogno.

                Ciò detto, si fece riportare le nocciuole dell'altra volta. Erano alquanto diminuite, perchè nel frattempo più d'una mano piamente furtiva doveva aver pescato nel sacchetto. Com'era naturale, durante la distribuzione i giovani tenevano gli occhi sbarrati per osservare bene che cosa succedesse; ma allora il sacchetto si vuotava, si vuotava... Nondimeno ve ne fu per tutti, fuorchè per uno dei due che reggevano il sacco, uno sostenendolo su di una mano e l'altro mantenendone aperta la bocca[12]. Ma Don Bosco, frugato per entro: [22]

- Oh! eccone ancora una esclamò. Poi continuando a cercare, ne tirò fuori con aria sorridente una manciata, che diede a quel ragazzo dicendogli: - Tienle preziose. Quindi chiamò il catechista Don Trione, che stava dietro ai giovani, e ne diede pure a lui; chiamò Don Durando, prefetto generale, che aveva l'ufficio là vicino, e anche per lui ne trovò. Voglio darne ancora, disse, a Mazzola e a Bassignana; ed entrambi n'ebbero una manata caduno. I giovani, più che stupiti, riguardavano muti e come presi da sacro terrore.

                Alla fine, introdotta nuovamente la mano nel sacchetto, estrasse altre cinque nocciuole, e mostrandole manifestò il suo rincrescimento, perchè alcuni giovani non ci fossero. In fatti ne mancavano proprio cinque, dei quali tre andati a Valsalice e due fermatisi nello studio. Certo è che in quella semioscurità e data la sua mala vista egli non aveva potuto notare con i propri occhi tali assenze.

                Mentre si usciva, l'alunno Barassi, avvicinatosi a Don Bosco, gli domandò: - Quel tale del mazzo di fiori farà scisma, non è vero?

 - Certo, e darà da pensare - rispose Don Bosco. Ma non ne sappiamo altro.

                Prima di rientrare dall'anticamera nella sua stanza, fermò e prese per mano Calzinari, giovanetto pio, ma che non si lasciava mai vedere da Don Bosco, e gli parlò all'orecchio. Quegli impallidì e rispose: - Va bene.

                Rimasto solo con i segretari, il Santo disse: - Quel giovane del mazzo di fiori l'ho già invitato e chiamato, mi promise di venire, ma non è venuto ancora. Eppure è necessario che io gli parli.

                Quanto bene ricevevano coloro che si accostavano con tutta confidenza a Don Bosco, specialmente in confessione!

                Nel 1888, dopo la morte del Santo, giunse a Don Rua una lettera di carattere molto intimo, ma di cui lo scrivente lo autorizzava a fare qualsiasi uso; per questo fu conservata [23] e riporteremo qui il tratto, che parla di Don Bosco confessore. Quel poveretto, scaltrito troppo presto al male, aveva contratto pessime abitudini, che lo spingevano alla perdizione; ma per divina misericordia fa accettato quale studente nell'Oratorio, dov'egli si abbandonò tutto nelle braccia di Don Bosco, svelandogli ogni settimana con sincerità le sue miserie. La costanza nella pratica della confessione settimanale è un gran mezzo per sollevarsi e riacquistare la libertà dei figli di Dio; nel caso però di cui parliamo, non sarebbe forse bastata così presto senza la carità paziente, dolce, benigna di Don Bosco. Udiamolo dal penitente medesimo: “Solo quella calma sempre serena e tranquilla di Don Bosco, e sto per dire, una certa qual indifferenza a qualunque cosa gli si dicesse; solo quel suo linguaggio, parco, sì, ma condito dalle finezze di un amor santo e d'una compassione viva ad un tempo e soave come balsamo; ed infine quel sentire, senza scomporsi mai, ripetutamente le stesse miserie; questi furono i mezzi salutari, questi gli amorosi lacci, onde l'uomo di Dio riuscì a mettermi ben presto nell'anima non solo l'abborrimento alla colpa, ma il coraggio, la fiducia vivissima che avrei potuto anche una volta spezzare le dure catene della mia schiavitù [ ... ]. Oh quante volte, ripensando alla carità di Don Bosco, all'immenso bene che egli mi ha fatto, corro pur subito col pensiero alla deplorevole condizione di moltissime anime, le quali ancorchè guaste dal vizio si riavrebbero ancora e tornerebbero a salute, se nel confessore trovassero sempre quell'amabilità, quella lieta e consolante accoglienza che era tanto propria del buon Padre!”.

                Due giorni prima della descritta adunanza era stata introdotta nell'appartamento di Don Bosco una novità. Fino allora, ogni volta che non potesse discendere in chiesa, egli celebrava la Messa nell'anticamera, ad un altarino dissimulato da una custodia fatta a mo' di armadio. Il chierico Viglietti non senza difficoltà era riuscito a ottenere che la stanza attigua alla sala d'aspetto fosse trasformata in cappella [24] con il suo bel altare, e la sera di S. Francesco, venuto il cardinale Alimonda a intrattenersi col Servo di Dio, il segretario espose a Sua Eminenza quanto piacere procurerebbe a tutta la casa, se si degnasse di benedire altare e cappella. Il Cardinale vi si prestò di ottimo grado. Sopraggiunti il Vescovo d'Ivrea, alcuni canonici e parecchi illustri signori, tutti assistettero con Don Bosco alla cerimonia. L'Eminentissimo, indossata la stola, recitò con il rituale alla mano le preci liturgiche e benedisse l'altare illuminato a festa e la stanza. In coro gli astanti recitarono il Miserere con gli altri salmi. Fu una graziosa funzioncina, della quale si vede oggi tutta l'opportunità; poichè, diventate le camere di Don Bosco un vero santuarietto, ecco che la cappellina, dov'ei celebrò le sue ultime Messe ne forma come il sancta sanctorum.

                Abbiamo accennato alla solennità di S. Francesco; bisogna che ne diciamo qualche cosa. La precedette una conferenza ai Cooperatori, che “per maggior comodità”, come si leggeva nella lettera d'invito, fu tenuta nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Presiedeva Don Bosco. Il pubblico si aspettava anche di udirlo ed egli desiderava di parlare; ma i medici non vollero. Ne diè dunque incarico a Don Bonetti, al quale assegnò insieme i pensieri da svolgere. Furono questi tre: 1° Alcuni effetti consolanti delle Opere Salesiane mercè la carità dei Cooperatori; 2° bisogno di continuare e di accrescere questi effetti mediante altre opere importanti; 3° mezzi da usare a tale intento[13]. Avrebbe dovuto dare la benedizione monsignor Bertagna; ma, avendoglielo un'altra funzione impedito, la diede Don Bosco, del quale scriveva Don Lazzero, a monsignor Cagliero il 3 febbraio: “Certo che a veder Don Bosco all'altare è cosa che per una parte rallegra tutti, per altra parte poi a tutti fa compassione nel vederlo tanto a stentare montando e discendendo i gradini; egli però lo fa volentieri”. [25]

                A rallegrare Don Bosco arrivarono la stessa sera sani e salvi dall'Uruguay Don Calcagno e Don Rota e dal Brasile Don Borghino. Sbarcati a Bordeaux, erano stati ottimamente ricevuti e cordialmente trattati dal Vescovo, solo perchè li seppe figli di Don Bosco.

                Mai la festa di S. Francesco era stata celebrata con tanta pompa. Monsignor Valfrè, da poco vescovo di Cuneo, disse la Messa della comunione; il Cardinale assistette pontificalmente alla Messa cantata; l'eloquente monsignor Riccardi, vescovo d'Ivrea, pronunciò nel pomeriggio il panegirico, unificando la vita del Sales intorno al programma di amar Dio e farlo amare; il maestro Dogliani eseguì la messa imperiale di Haydn; la benedizione fu impartita dal Cardinale; fece da priore della festa il dottor Fissore. Al pranzo onorarono la mensa di Don Bosco quaranta invitati, fra cui Sua Eminenza, quattro Vescovi e i conti di Franqueville parigini. Sul tardi i giovani recitarono un nuovo dramma di Don Lemoyne intitolato Vibio Sereno, d'argomento romano e cristiano del primo secolo. Anche Sua Eminenza vi si volle trovare. “Don Bosco, scrisse Don Lazzero nella lettera del 3 febbraio, passò assai bene quella giornata e prese parte a tutto anche lui”.

                La notte precedente egli aveva dormito male, svegliando con le sue grida il Viglietti, che al mattino lo interrogò. Vedeva, rispose egli, un giovane grasso con la testa larga che si andava restringendo verso la fronte, piccolo, tarchiato, che mi si aggirava attorno al letto. Io cercava con ogni modo, di allontanarlo; ma cacciato da una parte fuggiva dall'altra e continuava la sua molesta manovra. Io lo rimproverava, lo voleva battere, ma non riuscivo a far cessare quella noia. Finalmente gli dissi: Guarda che, se non ti allontani, mi costringi a dirti una parola che non ho mai pronunciata. E seguitando il giovane i suoi giri, io gli disse forte: Carogna! E mi svegliai. Conchiuse il racconto arrossendo e soggiungendo: - Non ho mai detto questa parola in vita mia; ed ora mi tocca dirla in sogno? - E sorrideva. [26]

                Due sogni, che per il loro carattere si possono classificare col precedente, si compiacque di raccontare il 25 febbraio, conversando con i suoi segretari. Il primo era questo. Entrava egli nella cattedrale di S. Giovanni a Torino, quando vide due preti, uno dei quali stava appoggiato alla pila dell'acqua santa e l'altro ad una colonna, tenendo entrambi con indifferenza il cappello in testa. Avrebbe voluto riprenderli, ma titubava alquanto, scorgendo sulle loro facce l'espressione del più cinico disprezzo. Nondimeno fece forza a se stesso e disse al primo:

 - Scusi, di che paese è lei?

 - Che le importa di saper questo? rispose quegli bruscamente.

 - È solo perchè volevo dirle una cosa che mi preme.

 - Ma io non ho nulla da fare con lei.

 - Allora senta: io non voglio rimproverarla; ma se non ha rispetto per il luogo santo e non le importa della gente che si scandalizza e che ride di lei, abbia almeno riguardo a se stesso. Deponga quel cappello!

 - È vero, ha ragione, fece il prete, e si tolse il cappello.

                Poi Don Bosco andò dall'altro e gli ripetè l'avviso. Quegli pure si scoprì il capo. Don Bosco allora, ridendo di cuore, si destò.

                Ed ecco il secondo sogno. S'imbattè in un tale che gli diceva con insistenza di presentarsi al pubblico e predicare sulla Via Crucis.

 - Predicare sulla Via Crucis? - rispose egli - Vorrà dire sulla Passione del Signore.

 - No, no, ripeteva colui, sulla Via Crucis.

                Così dicendo, lo condusse per una lunga strada, che metteva capo in un immenso piazzale, e lo fece salire sopra un piedestallo. Il luogo era deserto; onde Don Bosco: - Ma a chi debbo predicare, se qui non c'è nessuno?

                Or ecco ad un tratto gremirsi di gente la piazza. Egli parlò allora della Via Crucis, spiegò il significato della parola, enumerò [27] i vantaggi della pia pratica e, come ebbe terminato di parlare, tutti lo supplicarono di proseguire, spiegando le singole stazioni. Don Bosco si scusava affermando che non sapeva più che cosa dire; ma il popolo persisteva ed egli ripigliò la predica e parlò, parlò senza interruzione, dicendo che la Via Crucis è la via al Calvario, la via dei patimenti, che Gesù ha percorso per il primo questa strada e che per la medesima propone a noi di seguirlo con quelle parole: Qui vult Post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam quotidie et sequatur me. Finalmente nella foga del dire si svegliò.

                Sulla Via Crucis aveva raccontato un altro sogno il 16 novembre dell'anno avanti. Gli pareva di avere attorno a sè una moltitudine di gente che gli dicesse: Faccia una Via Crucis con gli esempi! La faccia, la faccia!

 - Ma che esempi volete che io vi porti? rispondeva egli. La Via Crucis è per se stessa un continuo esempio dei patimenti di nostro Signore.

 - No, no; vogliamo un nuovo lavoro.

                Don Bosco si trovò all'istante con l'opera composta; anzi aveva già in mano le bozze di stampa e cercava con premura Don Bonetti e Don Lemoyne o Don Francesia, perchè gliele correggessero, essendo egli molto stanco. In questa affannosa ricerca il sonno se n'andò.

                Il Santo doveva realmente riprodurre in sè l'esempio della passione di Gesù Cristo, sopportando in unione con lui le dolorose infermità che l'avrebbero ormai accompagnato fino alla morte e offrendosi così quale modello di pazienza a' suoi figli.

                Facciamo ancora luogo a un sogno, che sembra contenere qualche elemento profetico. Lo narrò a Don Lemoyne e al chierico Festa il 1° marzo. Sognò di essere ai Becchi. Sua madre con un secchiello in mano stava presso la sorgente e ne toglieva l'acqua sporca, che versava nel mastello. Quella sorgente prima aveva dato sempre acqua purissima; quindi si stupiva, non sapendo come spiegare la cosa. [28]

 - Aquam nostram pretio bibimus, disse allora mamma Margherita.

 - Sempre col vostro latino! le rispose Don Bosco. Questo non è testo scritturale.

 - Non importa; metti tu altre parole, se ti senti. In queste si comprende tutto: basta studiarle bene. Iniquitates eorum porta... Adesso aggiungivi quello che vuoi.

 - Portavimus? portamus?

 - Quello che vuoi: portavimus, portamus, portabimus. Pensa bene a queste parole, studiale e falle studiare a tutti i tuoi preti, e troverai tutto ciò che deve accadere.

                Quindi lo condusse dietro la fontana in un luogo elevato, donde si distinguevano Capriglio e le sue borgate e le borgate di Buttigliera e Buttigliera stessa e più altre borgate sparse qua e là, e additandogliele disse:

 - Che differenza c'è fra questi paesi e la Patagonia?

 - Ma, rispose, io vorrei, se potessi, fare bene qui e bene là.

 - Se è così, va bene, replicò mamma Margherita.

                Allora gli parve che la madre se ne andasse ed egli, essendosi stancata troppo la fantasia, si svegliò. Dopo il racconto fece questa osservazione: - Il posto nel quale mi condusse mia madre, è molto adatto per farvi qualche opera, essendo centrale fra molte e molte borgate che non hanno chiesa alcuna.

                Don Rua nella circolare citata sopra, oltre alle confessioni, accennava alle udienze. La fatica delle udienze riempiva sempre parecchie ore delle sue giornate; ma di due visite soltanto ci si è conservata la memoria, visite assai differenti fra loro.

                Il 3 gennaio andò a trovarlo un avvocato francese; lo mandavano, come diceva, i Borboni. Fece a Don Bosco un lungo ragionamento per venir a dire che si trattava di restaurare in tutta Europa le antiche monarchie borboniche, cominciando dalla Spagna, e che da parte dei principi di quelle Case chiedeva a lui consiglio e benedizione. Don Bosco [29] lo lasciò parlare finchè volle. Da ultimo il forestiero per istrappargli una risposta domandò:

- Quale sarebbe il parere di Don Bosco in questo affare?

 - Io non sono giudice competente in tali questioni, rispose. Dei pretendenti conosco appena i nomi, e neppure di tutti. Del resto io ho grandi obblighi verso la Francia; colà sono stati innalzati da me vari ospizi, mantenuti dalla carità dei Francesi. Per conseguenza non debbo in alcun modo abusare dell'ospitalità concessami. Io dunque non saprei dare alcun consiglio. Osserverò soltanto che non sarebbe prudenza accingersi a un'impresa, se non si possiedono mezzi sicuri di probabile riuscita.

 - Oh, se si uniscono tutti i Borboni, ripigliò l'avvocato, i mezzi ci sono.

 - Ma badino che se non c'è probabilità, anzi certezza della riuscita, immensi danni verranno alla Francia.

 - E quale sarebbe il suo giudizio circa la riuscita dell'impresa?

 - Che in ogni cosa sia fatta la santa volontà di Dio.

 - Darebbe lei una benedizione ai principi borbonici?

 - E perchè no? Ma solo in questo senso, che sia fatta la santa volontà di Dio in ogni cosa, e niente altro.

 - Mi autorizza a riferire queste sue parole?

 - Non ho nessuna difficoltà.

                Dopo questo dialogo l'avvocato si disse diretto a Venezia per ricevere gli ordini di Don Carlos. Qualcuno dubitò che fosse un agente investigatore della polizia francese, mandato a esplorare quali fossero le idee politiche di Don Bosco. In ogni modo le risposte del Santo non potevano destare sospetti nè offrire appiglio ad accuse. Era stato sempre suo sistema di non entrare mai in politica. L'altra visita che dicevamo, aveva per iscopo di ottenere una guarigione. Un tal signore, fatto fare cavaliere da Don Bosco, gli aveva promessa una somma a benefizio delle sue opere; ma, sebbene potesse, non manteneva mai la parola. [30]

                Ora avvenne che un suo figlio, fortunato factotum negli affari domestici, cadesse gravemente ammalato. Il padre, vista la mala parata, corse da Don Bosco il 19 gennaio, raccomandandoglisi a mani giunte, affinchè pregasse e facesse pregare per la guarigione. - Io ho promesso ben volentieri di pregare, disse poi Don Bosco a chi gli stava da presso, ma il figlio è chiamato da Dio. Bisognerebbe che il cavaliere dicesse a Don Bosco: Alto là, Don Bosco! io ho qui diecimila lire da dare a lei e deve ottenermi questa grazia da Maria Ausiliatrice. Allora sì; ora invece non posso far altro che pregare il Signore che a suo figlio dia presto il paradiso, quando muoia. - Secondo la dottrina del Santo, chi non è generoso con Dio, ha poca speranza di ricevere da lui grazie straordinarie.

                Fece appunto la contraria esperienza un'insigne benefattrice di Don Bosco, la contessa Vanda Grocholska, nata principessa Radziwill. Nel marzo del 1886, il giorno prima che Don Bosco partisse per la Spagna, fu colpita a Cracovia da pleuropolmonite con complicazioni e ridotta ben tosto agli estremi. Sua sorella telegrafò al Santo, scongiurandolo di pregare per l'inferma. Un medico chiamato da Parigi faceva del suo meglio per salvarla; ma poco andò che essa entrava in agonia. Or ecco che il dottore, tastandole il polso, mandò un grido: - È salva! - In seguito passarono alcune settimane e Don Rua scrisse a un'amica della Contessa per sapere notizie; colei però non potè rispondere, sicchè la signora fu creduta morta. Don Bosco era già a Barcellona, quando Don Rua che ve l'accompagnava, gli disse un giorno: - La Grocholska è morta certamente.

 - No, no, rispose egli sorridendo. È guarita e in questo momento fa colazione.

 - Da chi ha ricevuto notizie?

 - M'è arrivato un telegramma dal cielo.

                Le cose stavano precisamente com'egli diceva[14]. [31]

                Appartiene al medesimo tempo un altro caso di conoscenza delle cose lontane. Da Monaco la Superiora di un convento gli aveva scritto per raccomandargli una signorina epilettica, convertitasi dal protestantesimo. Egli rispose: “Sia fedele alle promesse fatte. Finchè sarà fedele, avrà la protezione della Santissima Vergine”. La signorina godette buona salute finchè si mantenne fedele; ma poi, venuta meno, il male la riassalì. Orbene, data quella risposta, Don Bosco proseguiva: “Non avreste in casa una tale così e così? Dite a cotesta figliuola prodiga che torni a prendersi cura della madre cieca e de' suoi figli . La Superiora trasecolata si domandava come mai Don Bosco sapesse una cosa non riferitagli da alcuno; tanto più che anch'essa nutriva già qualche sospetto. Una disgraziata aveva dato a intendere di essere mulatta e pagana, ma vivamente desiderosa di conoscere e di abbracciare la religione di Gesù Cristo. Un padre gesuita, informatone da una confidente di lei, ne fece parola al Vescovo, poi richiese la Madre Superiora che volesse prendere la donna nella comunità per prepararla al battesimo. L'infelice creatura si mostrava impaziente di riceverlo; ma era tutta una commedia, come si scoperse quasi subito; il nostro Santo aveva messo in tempo sull'avviso, poichè mancavano appena due giorni alla sacra cerimonia[15].

                Dalla Francia giungeva pure a Don Bosco una simpatica onorificenza. Ricorderanno i lettori la conferenza da lui tenuta nel 1883 dinanzi alla Società Geografica di Lione sulla Patagonia. In seguito egli inviò anche una memoria intorno al medesimo argomento, giudicata lavoro di pregio. Il Consiglio Direttivo della Società non ebbe davvero fretta a deliberare, se soltanto nel gennaio del 1886 gli comunicava essergli stata decretata una medaglia d'argento per le sue benemerenze nel campo della scienza geografica “quale la s'intende ai giorni nostri”, cioè come “contributo allo studio e al [32] progresso degli uomini e delle cose nei paesi stranieri”. La consegna però doveva farsi in una seduta solenne, che non era possibile tenere se non molto tempo dopo. Una faccia della medaglia si voleva che portasse questa leggenda: Don Bosco - Prêtre Salèsien - Civilisation de la Patagonie, e gli si chiese che indicasse una data da apporvi. Fu risposto che per la data si segnasse il 24 maggio 1879, giorno dell'ingresso dei Salesiani nella Patagonia, e che al nome di Don Bosco si facesse seguire fondateur des Salésiens[16].

                La consegna non si poteva fare se non in una solenne seduta generale da tenersi verso la fine dell'anno. Venuto il dicembre, la Presidenza gli diede avviso per la domenica 19. “Sarebbe per noi un onore e una fortuna, gli si scrisse allora[17], se Ella potesse assistervi; anche la cittadinanza di Lione sarebbe felice di vederla e di acclamarla”. Ma a rappresentare Don Bosco vennero delegati Don Barberis e Don Albera. Introdotti dal presidente Desgrands nell'aula dell'Università, ove la Società soleva tenere le sue adunanze, furono fatti sedere in luogo distinto accanto al seggio presidenziale. Dopo la lettura d'un verbale sui progressi e sui lavori della Società, il Presidente prese la parola. Ricordò in termini di grande elogio il discorso di Don Bosco sull'estrema punta dell'America Meridionale; disse che l'oratore aveva date notizie assai precise e interessanti di quelle inospite regioni, notizie ricavate sia da autori accreditati sia specialmente dalle relazioni de' suoi Missionari, che egli seguiva con la sua mente e col suo affetto; conchiuse avere Don Bosco per tal modo così ben meritato della Società Geografica, che il Consiglio gli aveva decretato una medaglia d'argento. Don Albera allora si avanzò a ricevere questa medaglia fra i più vivi applausi della numerosa assemblea.

                All'estero anche due giornali scrissero alte lodi di Don Bosco. Nel Portogallo la Palavra di Oporto recava nei numeri [33] del 15 e 16 gennaio un lungo ed entusiastico articolo, che celebrava il nostro Santo come l'uomo più benemerito dell'umanità negli ultimi tempi. Un altro giornale inneggiava a lui dalle sponde del Tamigi. Era il Merry England, che, fattane una splendida biografia, esprimeva questo giudizio sui preti di Don Bosco: “I sacerdoti salesiani sono invero uomini di dottrina, ma quel che più monta, sono anche dotati di apostolico zelo e di vera pietà: sono insomma buoni e zelanti pastori, che darebbero volentieri la vita per la salvezza delle proprie pecorelle” . Il nuovo e popolarissimo Eco d'Italia organo dei cattolici genovesi, nel numero del 25 gennaio, rendendo conto dell'articolo, professava dal canto suo la massima stima e venerazione perla Società Salesiana e per il suo Fondatore e terminava con questo fervido appello: “Oh sì! aiutiamo, propaghiamo, favoriamo del nostro meglio l'opera santa del novello Apostolo dell'infanzia abbandonata; noi renderemo con ciò uno dei più grandi e dei più segnalati servizi alla santa causa di Dio e della sua Chiesa”.

                Una voce discorde risonò da Faenza. Il radicale Lamone, ripigliando a sbraitare contro i figli di Don Bosco, nel numero del 17 gennaio denunziava alle autorità l'“Educazione Salesiana”, perchè i Salesiani, nemici della patria, instillavano i loro sentimenti nell'anima dei giovanetti. Ma quale fosse realmente la calunniata educazione salesiana, l'aveva proclamato proprio in quei giorni il nuovo Consigliere Scolastico generale Don Francesco Cerrutti, che inaugurò il suo ufficio dando alle stampe sull'aprirsi dell'anno un suo opuscolo dal titolo: Le idee di Don Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola. L'educazione salesiana era informata precisamente da tali idee, “quelle stesse, scriveva Don Cerruti[18], dei più grandi pedagogisti ed educatori moderni”, rabbrividiti alla vista dell'irreligione e dell'immoralità che minacciavano di travolgere popoli e nazioni.[34]

                Chi vedeva Don Bosco tanto svigorito, non avrebbe potuto immaginare che cosa ruminasse in cuor suo tra il febbraio e il marzo. Egli andava meditando un viaggio nella Spagna. Sentendo di dover fare presto, perchè altrimenti non avrebbe più potuto appagare questo suo desiderio, si studiava di vincere le opposizioni degli affezionati suoi figli, trepidanti per la sua preziosa esistenza. A dir vero nella Spagna c'era già stato, ma alla maniera dei Santi, non per le vie ordinarie. Narreremo qui l'avvenimento, del quale possediamo parecchie relazioni e di cui udimmo più volte il racconto genuino dalla bocca stessa di chi ricevette una visita così inaspettata. Può sembrare strano che questi, parlando del fatto più tardi, non rammentasse bene nelle sue relazioni la notte della prima comparsa, se fosse cioè quella che precedette o che seguì la festa di S. Francesco di Sales; ma è un difetto di memoria che non infirma la credibilità del fatto, sul quale egli depose nei Processi apostolici.

                Don Branda, direttore della casa di Sarrià, dormiva tranquillamente nel suo letto, quando si sentì chiamare. Destatosi, distinse benissimo la voce di Don Bosco che diceva: Don Branda, alzati e vieni con me. - Don Branda pensò: - Oh sì che io voglio sognare! Ho bisogno di dormire! E per liberarsi da quella creduta illusione, si voltò dall'altra parte. Tosto si riaddormentò profondamente e dormì fino al suono della sveglia. Al mattino ricordava la voce udita nella notte, ma non vi fece caso e se ne stette tranquillo fino all'ottava di S. Franesco. Nella notte sul 6 febbraio ecco durante il sonno un'altra chiamata: - Don Branda! Don Branda! - La voce era nuovamente quella di Don Bosco. Si scosse, aperse gli occhi e vide con stupore la camera illuminata come in pieno giorno; anzi, poichè aveva il letto in un'alcova, si trovò di fronte delineato sulla cortina il profilo di un prete, che era tutto Don Bosco. La voce continuò: - Adesso non dormi! Alzati dunque.

 - Vengo subito - rispose. Si alza, si veste e rimossa [35] la tendina, vede là in mezzo alla camera Don Bosco che lo sta aspettando.

                Spirava dal suo volto e dallo sguardo un affetto paterno e confidente. Don Branda gli si avvicinò, gli prese la mano per baciarla, e in quel mentre Don Bosco gli disse: - Vieni con me, conducimi a visitare la casa. Ti farò vedere cose, delle quali tu non sospetti nemmeno. Eppure sono cose che fanno spavento.

                Don Branda, pigliate le chiavi delle camerate e uscito con Don Bosco dalla sua stanza, salì le scale ed entrò con lui nei dormitori. Tutti i giovani dormivano nei loro letti. Don Bosco gliene indicò tre riconoscibilissimi, sebbene avessero i volti bruttamente sfigurati. - Vedi questi tre disgraziati? Li ha guastati uno che tu non crederesti, se non fossi venuto io a dirtelo. E sono venuto perchè c'era bisogno che io ti svelassi questo mistero d'iniquità. Tu te ne sei fidato, tu lo credi buono, e tale sembra all'esterno. È il coadiutore... (e disse nome e cognome). È lui che ha assassinato nell'anima questi giovanetti. Guarda in che stato sono ridotti.

                Don Branda all'udire quel nome restò di sasso. Non avrebbe mai sospettato tanta nequizia. Quel tale passava realmente per buono e all'esterno teneva una condotta inappuntabile. Don Bosco proseguì: - Mandalo subito via dalla casa. Non tollerare che si fermi ancora in mezzo ai giovani. Sarebbe capace di rovinarne altri.

                Intanto continuavano ad andare, passando da una camerata nell'altra e osservando tutti i dormienti a uno a uno. Don Bosco gliene mostrò parecchi che avevano la faccia sconvolta e deforme. Usciti dalle camerate, fecero un giro per tutta la casa. Scale, stanze, cortili erano sempre inondati di luce, come se fosse giorno. Don Bosco camminava speditamente, quasi avesse appena una quarantina d'anni. Si tornò nella stanza di Don Branda. Qui in un angolo, vicino ad una scansia, comparvero i tre poveri giovani nell'atto di nascondersi per isfuggire la vista di Don Bosco; avevano [36] sempre la faccia ributtante. Vicino ad essi stava immobile il coadiutore con la testa bassa, tutto tremante e contraffatto, come un condannato a morte che si avviasse al patibolo. La fisionomia di Don Bosco diventò terribilmente severa e additandolo a Don Branda, gli disse: - È costui che rovina i giovani! - Voltosi poi al

reo, gli gridò con un tono di voce schiacciante: - Scellerato, sei tu che rubi le anime al Signore? Sei tu che tradisci a questo modo i Superiori? Indegno del nome che porti! - Così continuava con accento minaccioso ad apostrofarlo, mettendogli sott'occhio l'enormità della sua colpa, continuata e taciuta per mesi e mesi in confessione. Compariva pure un chierico presso queste figure; era in atteggiamento di umiliato, ma non contraffatto come il coadiutore. Don Bosco guardò anche lui, ma non così severamente come l'altro, e disse a Don Branda: - Anche costui allontana dalla casa; altrimenti, se rimane, farà gravi cadute.

- Ma io non so come fare a eseguire questi comandi, osservò Don Branda. Non so quali ragioni addurre per venire a queste conclusioni; non ho prove: è spinoso l'affare. Non potrebbe lei incaricare qualche altro dell'esecuzione?

                Mentre così parlava, gli sembrò di travedere Don Rua, che ritto vicino a Don Bosco, si metteva l'indice sulle labbra e gli faceva segno di tacere. Don Branda tacque e Don Bosco si mosse per uscire dalla stanza. In quel punto sparve tutta la luce. Don Branda, rimasto là perfettamente all'oscuro, cercò a tastoni il lume sul tavolino, lo accese e si vide solo. Mancavano due ore alla sveglia. Allora, preso il Breviario, cominciò a recitare il divino ufficio. Sonata la campana, scese a celebrare in preda a viva commozione.

                Il pensiero di dover dare lo sfratto a quei due lo turbava. Come chiamarli a sè? come entrare in discorso? quali argomenti addurre per farli confessare la loro colpa? Li sorvegliava continuamente, ma nulla scorgeva in essi meritevole di rimprovero. Sentiva per altro una voce interna che gli ripeteva sempre: - Agisci! agisci! [37]

Chiamati il prefetto e gli assistenti, raccomandò loro che aprissero bene gli occhi per iscoprire i meno buoni fra i giovani; sperava così che qualche indizio del male nascosto sarebbe trapelato. Risoluto di non parlare, credette di essere per queste precauzioni in buona coscienza. Gli parve con ciò d'aver fatto tacere quelle voci interne, che difatti per qualche giorno lo lasciarono in pace. Ogni volta però che andava a celebrare, si sentiva compreso da un certo orrore che lo faceva tremare.

                Mentr'era in tale stato d'animo, gli arrivò da Torino una lettera di Don Rua, che egli conservò a lungo e fece vedere a molti[19]; in essa si diceva: “Stasera io passeggiava con Don Bosco ed egli mi disse che ti ha fatta una visita. Ma forse a quell'ora tu dormivi”.

                Quattro o cinque giorni dopo l'apparizione, recatosi a celebrare in casa della signora Dorotea, si sentì dire dalla mamma dei Salesiani: - Ho sognato Don Bosco, sa; l'ho sognato questa notte.

- Mi perdoni, la interruppe Don Branda, questa mattina vorrei celebrare subito subito.

                Le parole della santa donna gli avevano messo il cuore in subbuglio, nè voleva ascoltare altro. Andò difilato in cappella, si vestì e cominciò la Messa. Ma, recitato l'Introibo e saliti i gradini, mentre si chinava a baciar l'altare, fu invaso da terrore e tremore, e gli risonò dentro una voce che diceva: - Fa' subito quello che ti ha ordinato Don Bosco; altrimenti questa è l'ultima Messa che celebri. [38]

                Tornò a casa risoluto di agire. Avrebbe voluto chiedere consiglio, ma non sapeva a chi; al confessore non ne parlò, temendo che non giudicasse la cosa in buon senso. Tuttavia ruppe gl'indugi. Fatto venire il prefetto Don Aime e raccomandatogli lo stretto segreto su quanto stava per dire, gli narrò solo in parte quello che aveva visto nella notte dell'ottava di S. Francesco, gli palesò i nomi dei tre giovani e gli diede le opportune istruzioni. Li chiamasse separatamente senza che uno sapesse dell'altro, facesse loro intendere francamente di conoscere tutto e imponesse di palesargli il nome dello scandaloso. Se negassero o rifiutassero di parlare, alzasse pure le mani. Interrogato il primo, lo chiudesse nella tale stanza e nessuno potesse parlargli. Quindi, chiamato il secondo, lo trattasse come il primo; poi lo conducesse nella tale scuola e ve lo chiudesse. Interrogato il terzo, lo tenesse nel suo ufficio e venisse a riferire sul risultato dell'inchiesta. - Qui in questo foglio, terminò Don Branda, io scrivo il nome di chi ho visto autore dello scandalo e, ritornando tu dall'interrogatorio, faremo il confronto di questo nome con quello svelato dai giovani. - In così dire prese la penna, scrisse e piegò il foglio.

                Il prefetto eseguì a puntino. Il primo giovane, sbalordito, benchè avesse cominciato a negare, visto che il superiore era risoluto e sicuro, confessò. Il secondo e il terzo, messi egualmente alle strette, diedero la medesima risposta.

                Don Aime tornò dal Direttore a comunicargli il risultato delle sue indagini. Allora Don Branda spiegò il foglio e glielo presentò. Era il nome del coadiutore denunziato dai giovani. Non esisteva più alcun motivo di prudenza, che dovesse trattenere il superiore; perciò fece immediatamente chiamare il colpevole.

                Costui da più giorni viveva in preda a una paurosa agitazione interna. Avutolo alla sua presenza, Don Branda lo investì dicendo: - Sei tu che mi rovini i giovani?

 - Io?... e come? balbettò sbalordito. [39]

 - Sì, tu, così e così.

                Il disgraziato cadde in ginocchio implorando pietà ed esclamando: - Glie l'ha scritto Don Bosco?

 - Don Bosco è venuto in persona a dirmelo.

                Sentendosi poi intimare che uscisse tostamente dalla casa, pianse, supplicò, disse che lo togliessero da quegli uffizi che gli erano di pericolo: lo mettessero anche a scopare, ma gli accordassero almeno due mesi di tempo per provvedere al suo avvenire. Fu esaudito.

                Allorchè poi Don Bosco arrivò alle frontiere della Spagna, Don Branda che gli era andato incontro, lo trasse da parte in una sala e gli disse: - A Sarrià forse non troverà le cose proprio come desidera.

 - Che cosa hai fatto?

 - I tre giovani furono rimandati alle loro case, mettendo alcuni giorni d'intervallo fra le partenze; ma il coadiutore è ancora in casa. Ho ceduto alle sue lacrime e preghiere, accordandogli una dilazione di qualche mese.

 - Va bene. Verrò e vedrò quello che dobbiamo fare.

                Qualche settimana dopo anche il coadiutore veniva congedato definitivamente dalla casa.

 

 

CAPO II

Per la Liguria e per la Francia verso la Spagna.

 

                Nella Spagna i Cooperatori Salesiani, erano, se non ancora numerosi, molto influenti; alte personalità del clero e del laicato ne portavano con vanto il titolo. Il nome di Don Bosco vi echeggiava da un capo all'altro; poichè giornali e riviste richiamavano l'attenzione del pubblico tanto sopra di lui che sopra le sue case di Utrera e di Sarrià. I più insigni benefattori, prima fra tutti donna Dorotea, si sarebbero stimati felicissimi di vederlo; onde secondo le occasioni lo pregavano di recarsi anche nella loro patria. Don Bosco da tempo vi voleva andare; anzi promise formalmente quella visita. Sul finire di febbraio la risoluzione era presa e tosto cominciarono i preparativi.

                Quando dentro e fuori dell'Oratorio si sparse la voce che si sarebbe avventurato a un viaggio così lungo, Salesiani e amici restarono sbigottiti, temendo seriamente che non avesse a soccombere per via. Egli tranquillava tutti appellandosi all'esperienza dei viaggi precedenti, i quali, non che deteriorargli la salute, glie l'avevano migliorata. Diceva per altro che avrebbe prima fatto prova della sua resistenza, percorrendo bel bello la riviera ligure e poi anche la costa francese; se le cose fossero andate bene, avrebbe proseguito: se no, si sarebbe fatto fronte indietro. [41]

                La notizia che Don Bosco era in procinto di visitare la Spagna, si diffuse ben tosto colà, destandovi un'immensa aspettazione; ma l'ansia di conoscere Don Bosco, di udirne la parola, di godere della sua presenza in nessuno poteva essere più viva che in donna Dorotea, poichè nessuno aveva come lei tanta affinità di spirito con Don Bosco e quindi tanta attitudine a comprendere la grandezza della sua missione.

                Lasciò l'Oratorio di Valdocco alle due e mezzo pomeridiane del venerdì 12 marzo, prendendo seco per la prima parte del viaggio, oltre al chierico Viglietti segretario, Don Cerruti e Don Sala. Aveva l'aspetto abbastanza buono; ma traeva a stento la persona, bisognosa di appoggio. Alla stazione di Porta Nuova il corrispondente di un giornale toscano[20] salutandolo mostrò di vederlo con dolore partire per così remote contrade. Gli rispose che ve lo spingeva il bisogno di provveder pane a’ suoi giovanetti.

 - Si raccomandi a Depretis! scappò detto al giornalista.

 - Si, si, a lui! Se sapesse quanto mi costano in sole imposte tutte le case che ho in Italia!

                Senza verun incomodo, anzi con allegre conversazioni si arrivò a Sampierdarena. Là egli trovò due bravi operai di Arenzano che lo aspettavano per consegnargli offerte in riconoscenza di grazie ottenute a intercessione di Maria Ausiliatrice; essi gli dissero che nel loro paese la popolazione aveva in Maria Ausiliatrice una fede ardente.

                La notte passò cattiva per Don Bosco, che fu poi costretto a celebrare la Messa in camera. Vi assistettero però i giovani della quarta e della quinta ginnasiale. Appena fatto il ringraziamento e preso un po' di ristoro, cominciò a ricevere senza interruzione fino a mezzodì. Era quasi tutta gente, com'egli disse, venuta a ringraziare Maria Ausiliatrice per grazie ricevute dopo la sua benedizione dell'anno avanti.

                I Cooperatori genovesi avevano disposto ogni cosa, affinchè [42] fosse tenuta una conferenza in città nella chiesa di San Siro; vi s’incamminò dunque nelle prime ore del pomeriggio. Ci volle essere anche l'Arcivescovo monsignor Magnasco. Parlò Don Cerruti, intrattenendo per mezz'ora l'affollato uditorio accorso a vedere Don Bosco. Al suo passaggio fu un'accalcarsi intorno a lui per baciargli la mano: in qualche momento si temette che restasse schiacciato. Prima e dopo della conferenza ascoltò in sacrestia coloro che gli volevano parlare. L'Arcivescovo alle persone che gli s'accostavano per baciargli l'anello, diceva: - Andate da Don Bosco. - Il coadiutore Enria sentiva tanti che si chiamavano fortunati d'aver ricevuto la benedizione di un santo. Scriveva Don Lazzero a monsignor Cagliero il 28 marzo: “La persona del nostro caro Padre D. Bosco mano mano che invecchia diventa sempre più preziosa. A Genova, ove andò per la conferenza dei Cooperatori, non vi fu mai per Don Bosco tanto entusiasmo come questa volta; e non si dimostrarono mai così generosi, e prova fu la colletta molto abbondante”.

                Intorno al medesimo argomento così scriveva a Don Rua un Cooperatore di Voltri[21]: “Ho passato un'ora circa di paradiso! L'amato Don Bosco pareva che i Cooperatori e le Cooperatrici, perdoni la frase, volessero mangiarselo. Tutti lo volevano vedere, parlargli, baciargli la mano; e lui, il caro, tutto ridente, a tutti dava ascolto e una buona parola; di quelle parole che hanno un'arcana influenza sull'animo”.

                Sull'imbrunire venne accompagnato al palazzo della signora Ghiglini, dove si fece pranzo. Ritornò a Sampierdarena tardi e stanco. Ad un signore era stato udito dire: - Per me, vivo con un po' di meliga; ma ho tanti figliuoli da sfamare, e siccome la carità dei buoni non ha confine, così io ho bisogno di tutti[22]. - A chiusa della giornata il Viglietti scrive nel suo diario: “Don Bosco oggi era allegro, diceva arguzie e aveva la mente chiarissima”. [43]

                Don Belmonte, direttore dell'Ospizio di Sampierdarena, attestò che a S. Siro accadde un fatto meraviglioso. Nella sacrestia Don Bosco distribuiva medaglie di Maria Ausiliatrice; ma, rimastone senza, si rivolse a lui, domandandogli se ne avesse portate. Il Direttore gliene diede una quarantina o fors'anche meno. Allora il Santo ricominciò a distribuire. Il luogo era stipatissimo di gente ed egli dava e dava a quanti sfilando gli stendevano la mano. Don Belmonte e il signor Dufour, che gli stava a fianco, non potevano credere ai loro occhi: di medaglie ne furono certamente distribuite parecchie centinaia, forse più d'un migliaio. Senza una moltiplicazione la cosa non sarebbe stata assolutamente possibile.

                Nel giorno seguente le udienze si succedettero per lunghe ore senza posa. Sul mezzodì, accompagnata dal padre e dalla madre, venne una giovane che non voleva sapere di chiesa e sembrava addirittura matta. Dinanzi a Don Bosco depose il folle orgoglio, s'inginocchiò anch'essa per ricevere la sua benedizione e poi piangendo disse: - Riconosco davvero il mio errore. Il demonio mi ha tenuta finora in inganno. Domani mi andrò a confessare e farò la comunione. - I genitori commossi non si alzavano più da terra nè sarebbero più voluti partire. La scena durò alquanto; finalmente, fatta una bella offerta, uscirono.

                Quella sera si consacrarono solennemente le campane destinate al nuovo campanile di S. Gaetano; il coadiutore Quirino, venuto apposta dall'Oratorio, le inaugurò, sonandole con la sua impareggiabile maestria, notissima ai Torinesi. Finita la cerimonia, Don Bosco riattaccò le udienze, protraendole fino alle otto. “È stanco, si ridice nel diario, ma pare stia assai bene; è tranquillo, allegro”.

                Nonostante gl'impicci d'ogni genere che non gli lasciavano tregua, egli non perdeva di vista l'Oratorio; infatti terminò la giornata ordinando al segretario di scrivere a Don Rua e suggerendogli le cose da dire. Scrisse tosto il Viglietti: “D. Bosco m'incarica di pregarla a voler dare i saluti ai giovani [44] da parte sua; che dica loro che qui a Sampierdarena ha trovato dei giovani di molto buona volontà; che come all'Oratorio quelli di 4° e 5° ieri mattina assistettero in camera alla Messa di D. Bosco e che tutti fecero con molto fervore per sue mani la comunione. Mi incarica di salutare tanto Don Lemoyne, Don Lago, Suttil, Festa e Gastaldi” . Quindi aggiungeva per conto suo il segretario: “Per carità, caro Sig. Don Rua, raccomandi alle preghiere di tutti Don Bosco, poichè la sua salute lascia molto a desiderare” .

                Comparve all'ospizio uno scultore che senz'avere mai veduto Don Bosco ne aveva su fotografie abbozzato la testa e il busto, sperando sempre di poterlo una buona volta avvicinare per farvi gli ultimi ritocchi. Gli si mise dunque ai panni e tanto lo importunò, che il Servo di Dio dovette rassegnarsi a posare. Montando sul palchetto preparatogli dall'artista, rideva e diceva: - Ecco, salgo al supplizio. - Nel vedere poi come quegli gettasse sulla figura una specie di terra impastata per correggere il primo tentativo, bisbigliò al segretario: - Vedi, Viglietti, come m'impiastra bene? - Ma dopo un quarticello d'ora gli venne sonno e s'addormentò. Svegliatosi s'accorse che era passata un'ora, onde scese tosto, perchè molta gente aspettava di potergli parlare.

                Questo fu la mattina del 15. Dopo pranzo le udienze lo stancarono assai; tuttavia a cena raccontò alcuni cari aneddoti. Venendosi infine a discorrere della sensibilità di cuore, disse che nel celebrare la Messa non gli riusciva più di raccomandare i Missionari per la troppa commozione che lo assaliva fino a minacciare di soffocarlo. - Allora io, soggiunse, devo per forza pensare a Gianduia e distrarmi a ogni costo.

                Gran viavai di visitatori anche al mattino del 16, giorno della partenza. All'ultimo momento, ecco il marchese Spinola con gli apparecchi fotografici per ritrattarlo. Il Santo per compiacerlo accondiscese; ma questo causò perdita di tempo, sicchè si dovette fare molto in fretta per raggiungere [45] il treno di Varazze. Alla stazione per altro erano stati avvisati, e il Capo ebbe la bontà di aspettare.

                Ad Arenzano la fermata, anzichè di pochi minuti, sarebbe dovuta essere di qualche ora per contentare tutto quel mondo di gente, che inondò la stazione. La folla irruppe nell'interno, conducendo o portando ammalati. Circondarono il treno, si aggrappavano alle carrozze, vi si cacciavano sopra. C'era già ritardo; il Capo diede ripetutamente il segno della partenza, ma il macchinista non osava mettersi in moto per tema di disgrazie. Una donna inferma, portata nel vagone dove si trovava Don Bosco, e da lui benedetta, risanò all'istante, sicchè fece ritorno a casa camminando speditamente.

                Che dire poi di Varazze? Gl'impiegati non poterono nemmeno ritirare i biglietti dei viaggiatori, perchè coloro che scesero dal treno andarono confusi nella straboccante moltitudine spintasi a viva forza fino al binario. Il parroco della matrice, amicissimo dei Salesiani, aveva annunziato dal pulpito l'arrivo di Don Bosco; inoltre aveva diramato in città e nei comuni limitrofi una circolare con l'avviso di una conferenza per i Cooperatori. L'effetto fu che accorse gente da Savona, da Sestri, da Voltri, da Arenzano; i vecchi affermavano che a Varazze non erasi mai vista tanta affluenza di forestieri, nè un simile slancio di ardore e tale spettacolo di fede.

                La salita che mette capo al collegio richiede pochi minuti; ma Don Bosco v'impiegò tre quarti d'ora, tanta folla gli faceva ressa intorno per baciargli le mani. I giovani che lo attendevano allineati di qua e di là della stradicciuola, si scompigliarono e furono travolti dalla piena.

                Dopo pranzo le adiacenze dell'istituto rigurgitavano di gente. Si tentò bene di trattenerla fuori, ma fu fatica sprecata. Il portone, comunque fosse avvenuto, si spalancò, la fiumana si spandè nel cortile, riempì i corridoi, invase scale e scuole. Chi infrenava quella violenza? Si temette per la vita di Don Bosco, se fosse uscito. Don Viglietti, fermo dinanzi alla camera, predicava a sordi; taluni gli s'inginocchiarono [46] ai piedi gridando che per carità lasciasse loro vedere Don Bosco. La conferenza era fissata per le quattro; ma sonavano già la cinque e Don Bosco stava tuttora in camera, seduto sulla sua sedia e stretto da ogni parte.

                Eppure bisognava liberarlo. A estremi inali, estremi rimedi: si ricorse alle braccia nerborute di pescatori, che, presolo in mezzo col segretario, lo scortarono fino alla casa parrocchiale. Per abbreviare il percorso ve lo fecero entrare da una porta che non si apriva quasi mai, a tergo dell'edifizio e poi lo accompagnarono per una via privata che dava in piazza. Ardua impresa fu rompere la folla accalcata dinanzi alla chiesa; il povero Don Bosco non camminava più, ma si avanzava quasi trasportato dall'ondeggiare del popolo. Viglietti per non essere divelto da lui gli si teneva aggrappato alla sottana. Gruppi di curiosi gremivano finestre, porte, tetti. Alle ore sei si varcava la soglia del tempio. Spalleggiati sempre da quei bravi ominoni, egli e il segretario raggiunsero il presbiterio, dove finalmente Don Bosco si sedè.

                Eseguitosi dai cantori del collegio il Quasi arcus, Don Cerruti trattò della carità, carità di orazioni e carità di opere. Quindi salì in pulpito il parroco, che commosso ed entusiasmato strappò le lacrime. Naturalmente in quel pigia pigia svennero parecchie persone, che furono portate fuori. Dopo la benedizione la chiesa non si sfollava. La piazza era un selciato di teste. Mentre si studiava come risolvere il problema dell'uscita, si avvicinò a Don Bosco un contadino con un braccio al collo e gli disse: - Preghi per me. Mi son fatto male: non posso lavorare, la famiglia stenta.

 - Qual è il braccio ammalato? - chiese Don Bosco.

 - Ma... Oh!!... Non saprei... - Son guarito!

                Don Bosco gli raccomandò di nascondere il fazzoletto e di tacere; ma c'erano troppi testimoni: la voce corse e l'entusiasmo crebbe. Presso la balaustra un popolano, facendosi largo a furia di gomiti, si accostò a lui, come se avesse un gran segreto da confidargli. Parlava in dialetto e Don Bosco [47] non capiva; onde chinò il capo per ascoltarlo meglio. L'altro confuso e non intendendo il perchè della sua mossa, gli scoccò, sulla guancia un bacio e se n'andò.

                Don Bosco moveva verso la porta a passo di formica. A quando a quando si udivano grida di persone in pericolo di essere acciaccate. Egli, sempre calmo e tranquillo, sorrideva a tutti, aveva per tutti una parola e un saluto, massimamente per i fanciulli. Come Dio volle, fra urti e riurti potè raggiungere la cancellata della canonica. Di qui per una gradinata si montava sul pianerottolo dinanzi all'ingresso. Il Santo, fatti alcuni gradini, si volse alla moltitudine. Tanto bastò perchè in un batter d'occhio regnasse un solenne silenzio. Intenerito disse che ringraziava tutti della dimostrazione di affetto; ringraziò il parroco della sua benevolenza; poi si mise in atto di dare la benedizione. Magnifico spettacolo! Era sull'annottare. Don Bosco là in alto, ritto in piedi, tutto raccolto, alzò la destra a formare la croce su quella moltitudine inclinata o prostrata. All’amen scoppiò un grido immenso di Viva Don Bosco, più volte ripetuto ed echeggiante lontano. Le campane sonavano a festa e dinanzi il mare tremolando sembrava fremere nel chiarore delle stelle. Gli anziani non hanno ancora dimenticata l'impressione di quell'attimo suggestivo.

                Nella casa del parroco diede udienza fino alle nove. Tutta questa gente, disse poi al segretario, non sa neppure essa che cosa voglia da me. Vengono taluni e mi dicono: Io ho la moglie inferma, io il fratello, io il marito, vorrei la sua guarigione. Aggiungono: Mi dica quanto fa. Ma, rispondo io, le grazie non si vendono; dite tre Ave a Maria Ausiliatrice per tre giorni. Ma come? ripigliò qualcuno, ci vuol altro che delle Ave Maria per queste cose! Mi dica pure senza esitazione: quanto fa? E Don Bosco bisogna che spieghi come sia necessaria la fede in Dio, la preghiera e la elemosina per ottenere grazie. - Ce n'era veramente della fede. Piovvero offerte non solo pecuniarie, ma in orecchini, anelli e simili gioiellerie. [48]

                Fra i tanti che andarono da Don Bosco vi fu una madre che tutta dolente gli portava innanzi una figlioletta debolissima di gambe e in pericolo di diventare storta. Il rachitismo la deformava sempre più. Don Bosco le diede la benedizione e poi disse alla madre: - Andate, buona donna, non addoloratevi: la vostra figlia si metterà meglio. - Infatti la bambina prese a migliorare, crebbe robusta e vive tuttora: si chiama Carmela Gracchi.

                Possediamo anche la minuta relazione di una grazia spirituale. La signora Maria Bruzzone, nativa di Rossiglione e dimorante a Varazze, aveva un figlio per nome Giuseppe che di obbediente e affettuoso erasi fatto amante di balli e di compagnie sospette. La povera madre non si sapeva dar pace. Alle ammonizioni materne il giovanotto taceva, sorrideva e continuava a fare il comodo suo. Poi si era associato a una combriccola di buontemponi, che se la spassavano in serate di danza. Angosciata la donna piangeva e pregava. La venuta di Don Bosco le allargò il cuore. Andò in collegio per isfogarsi con lui; ma come fare in quel maremagno? Pensò di aspettarlo alla stazione, quando partisse, ma piazzale, atrio, sala d'aspetto formicolavano di gente. Perduta ogni speranza, si rannicchiò in un angolo, chiusa nel suo dolore. Mentre se ne stava là così trambasciata, ecco uno dei preti che accompagnavano Don Bosco alla stazione, farsele da presso e dirle: - O donna, venite con me. - La Bruzzone lo segui macchinalmente e si trovò alla presenza del Santo, che l'aveva mandata a chiamare. Stupita, confusa per sì misteriosa chiamata, gli cadde in ginocchio ai piedi e ruppe in pianto. Don Bosco dopo un istante le disse: - Ora che cosa volete, povera donna?

- Oh padre! ho tante cose da dirle. Ma sono così smarrita che non mi vengono le parole. Ho famiglia numerosa, ma ho un figlio...

- Povera madre! la interruppe Don Bosco, posandole la mano sul capo. Fatevi coraggio. In quello che pensate, [49] non c'è nulla di nuovo. Nel santo sacrifizio della Messa pregherò per voi e presto sarà tutto accomodato. Consolatevi!

                La benedisse e partì. La donna viveva in un continuo martirio pensando che suo figlio fosse invischiato in disoneste relazioni; invece Don Bosco l'aveva rassicurata su questo punto, e le cose stavano proprio com'egli aveva detto. Poi venne il meglio da lui prenunziato. L'ultima domenica del carnevale, in cui la madre aveva più che mai ragione di temere, egli le disse verso sera: - Mamma, andiamo a dormire.

- Tu mi vuoi ingannare per essere più libero! gli rispose ella. Tu fa' quello che vuoi, ma a riposo io andrò o non andrò, secondochè mi parrà.

 - No, mamma, non t'inganno; io vo a dormire.

                Andò difatti. Che cosa fosse avvenuto in lui, non si sa, anche perchè il giovane era di poche parole; ma è certo che da quel punto non frequentò più i luoghi e le persone di prima, benchè avesse sborsato la sua quota di associazione. Si fece serio, attese agli affari, trafficò anche in America qualche anno, ritornò in famiglia e non commise più leggerezza di sorta.

                Il 17 marzo alle undici di notte Don Bosco giunse ad Alassio. Nell'andata per una buona mezz'ora non aveva con Don Cerruti parlato d'altro che di Missionari e di Missioni, specificando i luoghi dell'America', dell'Africa e dell'Asia, dove i suoi nel volgere del tempo si sarebbero spinti e stabiliti. Direte, osservava, che vi sono già altre Congregazioni. È verissimo; ma noi andiamo in loro aiuto e non per pigliare il loro posto, ricordatevene bene! Generalmente esse si occupano piuttosto degli adulti; noi dobbiamo occuparci in special modo della gioventù, massime di quella povera e abbandonata.

                Non ci sono pervenute notizie intorno alla sua dimora nel collegio di Alassio. Da una lettera che Don Viglietti scrisse a Don Rua la sera del 18 si apprende soltanto che nulla valeva a distrarre l'attenzione di Don Bosco dall'Oratorio. [50]

                Diceva infatti il segretario: “Egli m'incarica di tanti saluti a Lei ed al Capitolo e m'incarica pure di dirle che faccia sapere sue notizie ai giovani e faccia tanti saluti a quelli di 4° e 5° ginnasiale, ai quali dirà che Don Bosco li ricorda continuamente e che tutte le mattine dopo la sua comunione gli pare sempre di distribuire ad essi il pane degli angeli”.

                Il 20 era a Nizza, dove pensava di fermarsi fino al termine del mese. La processione delle visite cominciò presto. Il fiore della cittadinanza assistette alla conferenza del 24; vi si unirono anche nobili signori che soggiornavano a Cannes. Il conferenziere, che fu l'abate Bonetti nizzardo, ebbe una geniale perorazione. Disse: “Vi fu un giorno un angelo del paradiso, il quale si beava in Dio e nelle cose di Lui; e mirando sulla terra tante disgrazie, vedendo la società in rovina, l'infanzia abbandonata, si sentì profondamente commosso e presentatosi a Dio, parlò così:

- Io godo quassù di ogni vostro bene, ma ho visto sulla terra le creature vostre che gemono e che invocano da voi soccorso. Io sacrifico volentieri, o mio Dio, ogni bene del cielo per correre in loro aiuto. - E sia! rispose il Signore. Allora quell'angelo del paradiso, libratosi sulle sue ali dorate, scese in Italia, volò nella Francia, nella Spagna: sull'intera Europa largì le sue efficaci benedizioni; volò sino alle estreme Americhe e le ricolmò de' suoi doni, e non mai stanco di beneficare, quest'angelo di pace già affranto dagli anni e dalle fatiche, passa ovunque benedicendo e consolando gli uomini. Quest'angelo, o uditori, voi lo conoscete: l'avete tra voi: è Don Bosco”.

                Anche Don Bosco si alzò a parlare e pieno di commozione attribuì ai Cooperatori tutto il merito del bene che si cercava dai Salesiani di fare. “Fu lucidissimo di mente”, nota il diarista.

                Al pranzo gli faceva corona un bello stuolo di amici, fra cui gl'immancabili e cari signori Levrot, D'Espiney e Michel. Don Bosco aveva aspettato sì lieta occasione per onorare particolarmente il dottore D'Espiney. Per opera sua il Papa [51] l'aveva creato cavaliere dell'Ordine di S. Gregorio Magno; perciò all'ingegnere Levrot, fatto già da lui decorare della medesima onorificenza, affidò l'incarico di darne con acconce parole pubblica comunicazione. L'ingegnere al levar delle mense pronunziò un eletto discorso, in cui la nobiltà dei concetti gareggiava con la squisitezza della forma[23]. Una sola sua affermazione vogliamo qui rilevare, che sorpassa i termini di una semplice cortesia conviviale. Il Levrot per lunga consuetudine conosceva assai bene il nostro Santo e meglio d'ogni altro sapeva misurare la portata delle sue parole, quando disse: “Don Bosco fa bene tutto quello che fa e finisce sempre con aver ragione”. Proprio così! Non poche volte infatti Don Bosco giudicato da prima sfavorevolmente oppure malamente sospettato, al trarre delle partite ne uscì con la sua, riscotendo approvazione e lode. Per un caso solo, che più esattamente fu un complesso di casi, l'incomprensione perdurò a lungo anche dopo la sua morte; ma nel momento predisposto dalla Provvidenza la giustificazione del Servo di Dio  sfolgorò di luce meridiana in faccia a tutta quanta la Chiesa.

                Fra gli applausi dei commensali Don Bosco appuntò la croce equestre in petto al nuovo cavaliere; indi parlò l'abate Bonetti, parlò Don Bosco stesso, parlò l'avvocato Michel. “Fu una bella festa di famiglia”, annotava Don Viglietti.

                Più tardi Don Bosco, accompagnato dal direttore Don Ronchail e da Viglietti, andò a visitare la contessa Braniska, presso la quale trovò pure il Duca di Rivoli e altri nobili signori. Di là si recò da Madama di Montorme. Ritornato a casa, aveva la zimarra crivellata per brandelli portatigli via dalle forbici di persone devote.

                Il mattino seguente le visite si moltiplicarono, sicchè non gli restava un momento di respiro; ma con le visite si moltiplicava anche la carità. Alla sera venne una Contessa inglese, [52] disposta a donare una sua vasta proprietà in Inghilterra, perchè vi si fabbricasse una casa salesiana. La moveva a tanta larghezza il dovere della riconoscenza. Da pochi giorni appena, giacendo inferma si da non poter lasciare il letto, aveva scritto a Don Bosco per implorarne la benedizione, e appena ricevuta la risposta, erasi alzata e allora senza il menomo disagio si recava a fargli visita.

                Notevole fu il caso di una signora Mercier, oriunda inglese, ma da molto tempo domiciliata in Francia. Benchè protestante, aveva scritto a Don Bosco da Nizza il 7 dicembre 1885. Inferma da dieci anni, invocava il soccorso delle sue preghiere tanto per l'anima che per il corpo[24]. Don Bosco le aveva fatto rispondere da Don Ronchail che dopo il 20 febbraio egli sarebbe stato a Nizza e che quindi ella potrebbe rivolgersi a lui in persona. Con Don Albera e col segretario il Santo si recò al suo palazzo la sera del 26. Le ragionò di religione con vero calore; anch'essa discorreva in modo, che all'udire la si sarebbe creduta senz'altro cattolica. Volle la benedizione di Don Bosco; anzi con gran piacere ricevette in dono il Cattolico nel secolo, dicendo che sperava di abbracciare il Cattolicismo. Don Bosco ve la incitava con dire: - Siamo vecchi, signora. Che cosa risponderemo a Dio? Non tardi! - Ma non si convertì.

                Di là passò a visitare due signore ammalate. Rincasando trovò una doppia gradita sorpresa da parte dei giovani. Gli presentarono essi una corona di comunioni da farsi per lui e una lista di duecento nomi d'alunni che, messisi con buona volontà a far bene per amor suo, avevano ottenuto dieci di condotta semestrale.

                Soggiornava a Nizza la Regina del Wurtemberg, sposa del Re Carlo I e sorella dello Czar Alessandro II, caduto vittima dei nichilisti nel 1881. Si chiamava Olga Nicolaiewna. Sebbene appartenesse alla Chiesa scismatica russa, pure bramava [53] di vedere Don Bosco, perchè sentiva a dire che egli era un santo. Mandò quindi una dama di corte a pregarlo, che volesse accondiscendere alle sue istanze; l'avrebbe potuto ricevere soltanto dalle tre e mezzo alle quattro di quel giorno 27.

                Don Bosco rispose affermativamente. Se non che alle tre e mezzo, affacciatosi alla porta della camera, in cui dava udienza, vide alcune persone in attesa di essere ricevute, fra gli altri la contessa Michel e il Barone Héraud, e tranquillamente rientrò. Don Ronchail e Viglietti, saliti per prenderlo, passeggiavano nella sala d'aspetto impazienti di quel ritardo. Quando finalmente lo videro uscire, lo sollecitavano a far presto; ma egli, visto là Don Cerruti e sapendo che avrebbe voluto confessarsi, lo chiamò dentro e gli disse: - Oh, la Regina del Wurtemberg può ancora aspettare un poco e intanto noi possiamo terminare le cose nostre. - Sentita poi la sua confessione, gli disse: - Ora abbi la bontà di confessare anche me. - Fuori quei due stavano sulle spine. Appena l'ebbero seco, si lagnavano dell'ora già trascorsa e: - Facciamo presto, gli ripetevano, chè non arriveremo più a tempo. Anzi è già forse troppo tardi...

 - E ciau! rispose loro in piemontese sorridendo; turnuma a ca (Pazienza, ce ne torniamo a casa).

                Intanto veniva salutando e accarezzando i giovani del collegio che incontrava, e a qualcuno dava anche un buon ricordo. In istrada salì sul cocchio mandatogli dalla marchesa di Constantin. Quel buon umore del barone Héraud, messosi in capo di volergli fare da staffiere, saltò in cassetta. Al palazzo ci doveva essere per le quattro un ricevimento di gala; perciò dame e cavalieri si aggiravano per le sale, curiosi di vedere Don Bosco, che si fermavano a guardare con venerazione.

                Giunti nell'anticamera, un valletto annunziò Don Bosco alla Regina. Fu subito introdotto. La Sovrana gli mosse incontro con dimostrazioni di cortesia e parlandogli con la [54] massima affabilità. Fattolo sedere, gli chiese notizie delle sue case, de' suoi giovani, del suo metodo educativo e con quali mezzi facesse fronte a tante spese; lo pregò pure di occuparsi del Wurtemberg. Interrogando e ascoltando, lo contemplava riverente, finchè da ultimo gli domandò se in quel momento avesse necessità di soccorsi. Don Bosco rispose che, essendo la prima volta che aveva l'onore di vedere Sua Maestà, non voleva intrattenerla su tale argomento. Ma poichè la Regina insisteva e si mostrava desiderosa di fare qualche cosa per lui, le spiegò quello che erano i Cooperatori.

- Questo appunto io voleva da lei! esclamò la Regina. Mi faccia dunque Cooperatrice Salesiana.

                La conversazione durò tre quarti d'ora. Solo quando il Servo di Dio disse che era sulle mosse per andare nella Spagna, la Regina rispose di non volerlo trattenere più a lungo; lo pregava però di tornare a Nizza, e vicina a congedarlo gli disse con viva commozione: - La ringrazio della benedizione che ha portata nella mia famiglia. Quanto prima darò notizia di questo fatto ai parenti e riferirò loro quello che mi ha detto. Prenderò subito nota del giorno e dell'ora di una visita così preziosa.

                Per ritirarsi dalla presenza dei Sovrani bisogna aspettare che facciano essi segno di congedare; ma la Regina sembrava che esitasse a lasciare Don Bosco. Infine, senza chiamare alcun servo, come avrebbe portato l'etichetta, lo accompagnò ella medesima fino alla soglia. Visti Don Ronchail e Viglietti, domandò chi fossero, che ufficio avessero, e ne li complimentò. Al segretario raccomandò con sentimento la persona di Don Bosco e, fatto un saluto, si ritirò. Attraversando le sale, Don Bosco era oggetto di penosa compassione da parte di numerose dame, che lo vedevano camminare a stento e con chiari indizi di sofferenza.

                Doveva partire per Cannes; ma poichè vi era tempo, fece una visita alla casa delle Agostiniane, ritiro di ricche dame, e diede ivi udienza particolare ad alcune signore. Dopo [55] si filò alla stazione, dove un gruppo di signori e signore lo attendeva per augurargli il buon viaggio.

                Prese il treno in compagnia del solo Viglietti. All'arrivo il marchese Gaudemaris gli offerse la sua carrozza, sulla quale lo condusse a pranzo nel suo villino. Accomiatatosi da quell'ottima famiglia, il Santo andò a dormire nel pensionato Montplaisir, tenuto dalle dame Ausiliatrici in una villa sfarzosa presso la stazione; le religiose però abitavano in una casa vicina. Nella loro cappella celebrò il dì seguente; poi cominciarono le udienze, continuate fino a mezzogiorno. Fu a colazione dalla Contessa di Villaroi nella sua villa detta del Gran Pino, e anche qui accordò udienze. Quando fece ritorno alle Ausiliatrici, il cortile era stipatissimo di gente che al suo passaggio s'inginocchiava sulla ghiaia per essere benedetta. Distribuì medaglie e poi ricevette fino a, notte. Don Viglietti la mattina dopo informava Don Rua: “Mi preme darle notizie di Don Bosco, il quale dorme nella camera attigua alla mia, nella gran villa del Pensionato delle Ausiliatrici [ ... ]. Don Bosco è stanco, ma grazie a Dio e alle preghiere dei giovani dell'Oratorio è abbastanza bene in salute. Dice che venga presto a Marsiglia, cioè il 1° o il 2° giorno di aprile, perchè preme la partenza per Barcellona”.

                Molte persone si raccolsero il 29 nella cappella dell'ospedale per ascoltare la sua Messa; poscia egli si ritirò in casa del cappellano monsignor Guigou. Il zelante Cooperatore si vide ben presto in serio impiccio, perchè il piacere di albergare Don Bosco gli fu turbato dall'irrompere dei molti che seguivano dappertutto il Santo e gl'invasero senza riguardi l'abitazione. Venne pure la Principessa di Caserta, sorella di Francesco V, ultimo Re di Napoli. Là gli si portò una giovane stesa sopra un lettuccio e legata, perchè la prendevano facilmente le convulsioni. I genitori afflittissimi lo pregavano di benedirla. Egli li esaudì e poi domandò: - Da quanto tempo tiene il letto questa fanciulla?

 - Da cinque anni, rispose il padre. [56]

- Avete fede in Maria Ausiliatrice? - Sissignore, rispose il padre.

- Se avete fede, sciogliete la fanciulla da quei legami, fatela vestire in questa camera qui accanto e vedrete che si alzerà e camminerà senza bisogno di aiuto.

- Oh, ma questo è impossibile, scattò la madre. I medici non vogliono che la si tocchi. È impossibile; e poi non si può assolutamente muovere.

 - Ma fate come vi dico! ripetè Don Bosco.

                Allora l'inferma stessa disse: - Ma abbiate fede, papà: credete a Don Bosco, provate a obbedirgli: slegatemi, e io guarirò. - Dopo qualche esitanza, il padre la slegò. Poi essa prese le poche vesti che aveva sul letto, se le indossò da sola, si levò su e si mise a camminare, dicendo: - Vedete, papà, vedete, mamma, come cammino bene! Sono guarita.

                La madre poco mancò che svenisse per lo stringimento di cuore prodottole dalla eccessiva gioia e il padre sembrava interdetto; la figlia invece li pregava di aiutarla a portarsi a casa il suo letticciuolo, perchè voleva andarci con le sue gambe. Il padre ne la dissuadeva, pretendendo che si ricoricasse per essere riportata da loro. - Don Bosco, che dobbiamo fare? - domandò la fanciulla. - Ecco, rispose il Santo, andatevene a casa con vostro padre e vostra madre e ringraziate Maria Ausiliatrice.

                È facile immaginare quello che successe fuori, quando si vide uscire dalla camera il letto vuoto e dietro camminare con passo fermo la fanciulla. Subito furono portati altri infermi; ma Don Bosco disse: - Qui è tempo di fermarsi! E prese a ordinare determinate preghiere da recitarsi per lungo spazio di tempo a fine di ottenere la grazia.

                Una signora spettatrice della scena sopra descritta mandò a prendere un suo figlio con tutto il letto e lo fece portare davanti a Don Bosco; ma egli lo benedisse in fretta, gli assegnò alcune pie pratiche per un certo numero di giorni e dando buone speranze di guarigione, si allontanò. [57] A mezzodì accettò di far colazione nella bellissima villa del signor Potron, donde restituitosi presso monsignor Guigou, dovette appagare i desideri a un'infinità di persone. Entravano a gruppi nella sua camera, ricevevano con la benedizione una medaglia e tosto uscivano. Infine si recò a visitare sua Altezza reale la principessa di Hohenzollern Antonia di Braganza, sposa del principe Leopoldo e fervente cattolica, che gradì assai di essere fatta Cooperatrice salesiana. Di là proseguì verso la stazione, ossequiato colà da molti signori, fra i quali spiccavano il Principe e la Principessa di Caserta, che gli baciarono con venerazione la mano. A Cannes ancor più che a Nizza la carità gli era stata larga di sussidi.

                Da Nizza aveva scritto il venerdì 26 ai conti Colle: “Lunedì sera, a Dio piacendo, sarò da loro e potremo comodamente discorrere delle cose nostre. Se possono prepararmi un altare, dirò volentieri la santa Messa in casa; altrimenti starò ai loro ordini”. La sera del giorno stabilito giunse a Tolone. - Cenò con quei cari signori, che secondo il solito, attratti dalla soavità del suo conversare, non si staccarono da lui prima della mezzanotte.

                Nella lettera citata egli aveva pure scritto: “Martedì verranno da Hyères a Tolone per farci una semplice visita il conte Du Boys e sua figlia. Sono benefici e ottimi cattolici e non danno soggezione”. Arrivarono difatti e il conte li invitò a pranzo, come pure il curato di S. Luigi e altri amici. Il Du Boys pregò Don Bosco di dargli alcune medaglie di Maria Ausiliatrice e avutele narrò come ad una medaglia di Maria Ausiliatrice egli andasse debitore della vita. Tre anni avanti, caduto dall'altezza di più metri, si sarebbe dovuto sfracellare, tanto più con il grave peso di 79 anni sopra le spalle; ma, toccato il suolo, non sentì altro male che lo sbalordimento causato dal capitombolo. Il portentoso fatto era da attribuirsi, secondo lui, all'avere in dosso la medaglia di Maria Ausiliatrice.

                Nelle conversazioni con i Colle molto si era discorso della [58] biografia di mamma Margherita, che Don Lemoyne stava preparando. Il Conte aveva tanta impazienza di leggerla che la voleva ad ogni costo veder pubblicata presto; ne avrebbe sostenute lui stesso le spese, ma ne voleva la sollecita pubblicazione. Perciò Don Viglietti scriveva subito all'autore: “Don Bosco mi comanda di scriverle quanto qui segue in lettera espressa ed io ubbidisco”. Ed esposta la volontà del Conte, proseguiva: “Don Bosco dice che: Sia come si vuole, corretta o non corretta, si parli poco o molto di lui, questo non gl'importa, ma vuol avere quanto prima questa soddisfazione. Se non basta un comando, dice che lo supplica come di un favore, che lasci ogni altra occupazione, ma faccia la volontà del padre che lo ama come il più caro a lui di tutti i Salesiani. Questo è quanto Don Bosco vuole ch'io le dica” .

                Un desiderio di Don Bosco valeva per dieci comandi. Infatti Don Lemoyne in una lettera del 23 aprile diceva a monsignor Cagliero: “Sono dietro a finire in furia la vita di mamma Margherita, perchè penso di offrirla a Don Bosco per S. Giovanni” . E in quel giorno gliela offrì[25].

                Lo scrittore vi fa in questa forma la presentazione della madre di Don Bosco: “Non ricca ma con un cuor di regina, non istrutta in scienze profane ma educata nel santo timor di Dio, priva ben presto di chi dovea essere il suo sostegno, ma sicura coll'energia della sua volontà appoggiata all'aiuto celeste, seppe condurre a termine felicemente la missione che Dio aveale affidata”. Il libro incontrò largo favore; rispondeva infatti alla legittima curiosità di quanti desideravano sapere chi e come avesse formato Don Bosco fanciullo.

                Quella biografia piacque moltissimo a Don Bosco, che ne leggeva spesso qualche pagina piangendo, com'ebbe a [59] dire egli stesso un giorno all'autore. E avendogli questi manifestato quanto quelle lacrime di consolazione e di affettuosi ricordi fossero care a lui, che n'era la causa, il buon Padre, stringendogli la mano, gli disse: - Grazie! - nè altro aggiunse.

                Da Tolone Don Bosco partì quella sera per Marsiglia. Nel suo scompartimento viaggiava un povero sofferente, che gemeva in modo da muovere a pietà. Conosciuto Don Bosco, gli si gettò ai piedi, invocandone la benedizione. L'ebbe, si sentì meglio, donò a Don Bosco cento franchi e poi recitò il rosario intero, la qual cosa diceva di non aver più potuto fare da gran tempo. Il Servo di Dio lo assicurò che avrebbe continuato a migliorare.

                Nella stazione di Marsiglia gli diedero il benvenuto la famiglia Olive e il parroco Guiol. Un entusiasmo indescrivibile infervorò il ricevimento nell'oratorio di S. Leone. Sul cader del giorno tutta la casa si raccolse intorno a lui per celebrarne l'arrivo con una festosa accademia[26]. Un bel particolare fu che gli Venne presentata la somma di mille franchi, frutto di piccoli risparmi impostisi dai giovani di Marsiglia, di Parigi, di Lilla e della Navarra per aiutarlo nell'erezione della chiesa del Sacro Cuore a Roma. L'iniziativa della colletta era partita dagli alunni del S. Leone.

                I giornali cittadini annunziarono la presenza di Don Bosco; onde la casa in certe ore del mattino e della sera sembrava presa d'assalto. Il Servo di Dio, benchè stanco, non voleva scontentare nessuno; anzi, per non cagionar pena a quei di casa, dissimulava la sua stanchezza, narrando loro a mensa piacevoli episodi della sua vita[27].

                Per ripigliare il viaggio aspettava Don Rua, che arrivò a sera inoltrata del 2 aprile. D'accordo con lui decise di partire [60] per Barcellona il giorno 7, prendendo posto in un vagone con letti. Nell'attesa Don Rua studiava lo spagnuolo, usando come libro di lettura l'opuscolo del Vescovo di Milo, da noi citato nella Prefazione del volume precedente[28].

                Diciamo qualche cosa di questa operetta. Chi è Don Bosco? quale fondamento ha la sua riputazione di uomo straordinario? che cosa si deve pensare dell'Opera salesiana e del suo autore? Eran queste le domande che si movevano dagli Spagnuoli, dacchè due case di Don Bosco facevano parlare di sè nella loro patria; a queste domande si propose di rispondere l'autore in tre lunghi capitoli che hanno l'andamento e l'orditura di tre vere conferenze. 11 denso volumetto si chiude con la ristampa di tre articoli pubblicati da Monsignore nel 1880 sulla Revista popular di Barcellona[29] sotto il titolo di Don Bosco y los Talleres salesianos. Egli dice d'aver fatto uno studio attento dell'Istituzione salesiana ed è persuaso di rendere con il suo lavoro un segnalato servigio alla Chiesa “a cui appartiene la gloria dell'illustre sacerdote” e un servigio non minore alla società  a cui vantaggio ridonda tutto quello che contribuisce a divulgare e favorire le sante imprese d'un uomo così insigne, autentico rappresentante della carità cristiana”[30]. La freschezza dello stile fa che queste pagine si leggano volentieri anche oggi[31].

                Don Bosco non affettava punto d'ignorare questa e altre simili pubblicazioni, ma le riguardava dall'alto. Don Evasio Rabagliati, in un suo ritorno dall'America, disse al Servo di Dio che aveva letto quel libro e che gli era piaciuto molto.

 - Ebbene, gli rispose Don Bosco, fanne la traduzione. [61] Ormai tu e Don Lasagna fra tutti i Missionari americani siete i soli capaci di scrivere ancora correntemente in italiano. Così lo faremo stampare.

- Ma come, Don Bosco? osservò con tutta confidenza Don Rabagliati. Noi stessi fare le nostre lodi? Non le sembra una sconvenienza?

- Eh no, vedi; se non stampiamo noi, stamperanno gli altri, e il risultato è lo stesso. Non si tratta ormai più di personalità; si tratta di glorificare l'opera di Dio e non quella dell'uomo, perchè è opera sua quanto si è fatto e si fa.

                Una signora, certa Elisa Blanch, affetta da alienazione mentale, condotta il 3 aprile alla presenza di Don Bosco, nell'istante medesimo che era da lui benedetta, ricuperava l'uso della ragione.

                Nemmeno questa volta mancò a Marsiglia qualche caso di guarigione. Un giorno si presentò a Don Bosco una buona donna che soffriva già da parecchi anni per forte mal di capo e lo scongiurava di benedirla e di farglielo cessare. Egli prima di darle la benedizione le suggerì di recitare tre Ave Maria per un dato tempo. In un attimo il dolore sparì; onde la donna felice e contenta promise che prima di notte avrebbe portato un'offerta di cento franchi in segno di gratitudine. Se non che, tornata in famiglia, per la gran gioia dimenticò e la preghiera e la promessa. Ben presto per altro se ne dovette ricordare; poichè, risvegliatosi il male, ci vide il dito di Dio per non aver mantenuta la parola. Quindi qualche giorno dopo era nuovamente da Don Bosco a compiere il suo dovere, partendone risanata.

                La signorina di Gabriac era gravemente inferma di consunzione. Saputo che Don Bosco si trovava a Marsiglia e avendo sentito raccontare di numerose guarigioni da lui operate, gli fece dire che l'avrebbe veduto molto volentieri. Abitava in via Santa Filomena denominata oggi dal dottor Escat, nella villa occupata al presente dalla clinica Blanchard. Il Santo per appagarne il desiderio l'andò a visitare. Essa lo [62] pregò senz'altro di guarirla. - lo non sono mica un guaritore - le rispose egli. Tuttavia soggiunse: - Noi ora pregheremo Maria Ausiliatrice e io le darò in suo nome la benedizione. Fece recitare tre Ave Maria e benedettala si ritirò. Quattro giorni dopo, mentr'egli celebrava per lei la Messa, come le aveva promesso di fare, la malattia fu arrestata e la signorina guarì così bene, che si sposò ed ebbe due figli sanissimi.

                I Santi posseggono il segreto meraviglioso di rappacificare i cuori divisi. Madama Broquier, devota cooperatrice, aveva una figlia, che per cagione di suo marito si era inimicata con lei e col padre; da lungo tempo più non esistevano cordiali rapporti fra le due famiglie. Don Bosco, vedendo come i genitori fossero addolorati per tale discordia, si offerse a fare da paciere. I coniugi Broquier contentissimi diedero un pranzo in suo onore, invitandovi per suggerimento di lui solamente la figlia e il genero. Questi, attratti dal pensiero di potersi trovare a mensa con Don Bosco, accettarono di buon grado l'invito. Era già un gran passo. Durante il pranzo Don Bosco non disse nulla che alludesse agli affari domestici, ma sempre faceto rallegrava tutti con i suoi motti gioviali. Alle frutta però, alzando il bicchiere, fece un brindisi alla pace, alla concordia, all'affetto di famiglia, ma in modo così gentile e insinuante, che tutti rimasero commossi, anzi rapiti; alla fine si abbracciarono e la pace fu fatta.

                Il lunedì 5 aprile monsignor Vescovo cresimò nella cappella dell'oratorio una trentina di ragazzi, dopo la qual funzione s'intrattenne alquanto con Don Bosco. In casa si celebrava quel giorno la festa di S. Giuseppe, occasione propizia per invitare i principali benefattori alla mensa di Don Bosco e per tenere una conferenza ai Cooperatori. Un eletto uditorio di signori e signore ascoltò il conferenziere e vivamente si commosse alle parole che il Santo volle rivolgere loro in fine; giacchè, ricordando la carità dei Marsigliesi, egli s'intenerì a segno, che i singulti gl'impedivano ogni tanto di continuare.

                Dedicò il giorno 6 alle signore del comitato. Celebrata per [63] loro la Messa, le radunò per la prima volta non più presso il parroco di S. Giuseppe, ma nel salone dell'oratorio, “più accessibile, notano i verbali, che non la canonica alle gambe sofferenti del santo fondatore”. Vi si trattò in primo luogo dell'acquisto di un vicino terreno, essendoci vera necessità di ampliare il fabbricato per non dover respingere troppe domande. - Al momento non è cosa possibile, disse Don Bosco. Bisogna anzitutto che si pensi a pagare i debiti. Conosco anch'io le difficoltà dei tempi; molti che vorrebbero fare la carità, non possono. Ringraziamo la divina Provvidenza degli aiuti datici finora. Ho parlato con Don Albera e ho veduto cha la casa ha settanta mila franchi di debito vecchio, proveniente dalle costruzioni eseguite. Pagato questo, si potrà con i soccorsi della carità far fronte alle spese ordinarie. Io vado a Barcellona e là spero di trovar danaro. - Allora l'abate Guiol lo interruppe e ricordando come Don Bosco avesse detto nella conferenza che avrebbe voluto stendere non due, ma tre mani per chiedere la limosina, gli domandò se di quelle tre mani una ne riservasse per l'oratorio di San Leone. - Tutt'e tre rispose prontamente Don Bosco, mostrandosi pieno di fiducia nel buon risultato del suo viaggio. Infatti da Barcellona mandò in una volta sola diecimila franchi a Don Albera.

                A giustificare la sua fiducia narrò un fatto provvidenziale. - Quest'inverno, disse, Don Albera mi pressava a spedirgli danaro. Raggranellato quanto potei, mi trovai appena con millecinquecento franchi, la metà dei tremila che ci volevano. Arriva la posta con lettere dalla Russia, dall'Austria e financo dall'Africa centrale. Le apro, e vengono fuori certe sgorbiature di segni strani, che si sarebbero dette scritture diaboliche. Nessuno di noi le sapeva decifrare; fortunatamente si potè avere un interprete. Una signora pagana scriveva dicendo d'aver sentito nominare una signora che concedeva grazie grandi e si chiamava Santa Vergine; sapere essa che si aveva bisogno di danaro e che Don Bosco non poteva andare [64] dalle sue parti; vi mandasse invece qualche compagno a battezzare lei e altre persone; gli si pagherebbe il viaggio; inviargli intanto un'offerta. Fu difficile il cambio, perchè s'ignorava il valore di quella moneta; ma quando si tirò la somma delle varie offerte di tante provenienze, ecco i millecinquecento franchi precisi che mancavano, e il più consolante si era che tutti mandavano per riconoscenza di grazie ottenute mediante l'intercessione di Maria Ausiliatrice. Ella è che protegge la nostra opera. - Ciò detto, passò a dar notizie sui progressi delle Missioni salesiane in Patagonia e sull'andamento dell'oratorio di S. Leone, conchiudendo così con la sua abituale bonarietà: - Fin d'adesso v'invito tutte a Torino per la mia Messa d'oro nel 1891. Si prevedono per quella festa cose dell'altro mondo. Ci saranno duemila cantori, verrà monsignor Cagliero, primo Vescovo salesiano, a capo d'un coro di Patagoni. - Nei verbali però si soggiunge che Don Bosco lasciò trapelare il dubbio di non potersi trovare presente alla festa. Prima che si togliesse la seduta, il parroco Guiol gli rimise un'offerta di mille franchi.

                Quel giorno Don Bosco andò a pranzo dal signor Olive. Apertasi la porta che dava nella sala dov'era imbandita la mensa, un oh! di meraviglia sfuggì a quanti accompagnavano il Santo: apparvero là entro silenziosi e festanti i novizi della Provvidenza. Il signor Olive, quello del mezzo pollastro per tutti i giovani di Valdocco, aveva procurato a Don Bosco la bella sorpresa[32]. I figli del padrone di casa servirono i convitati. [65]

                Sparsasi in città la notizia che Don Bosco sarebbe partito il giorno 7, crebbe l'affluenza all'oratorio; al momento poi di partire nel cortile dell'istituto s'addensava una massa compatta. Gli fecero ala al passaggio i giovani interni, visibilmente addolorati. Ne aumentò il dolore la parola di addio usata da Don Bosco: - A rivederci in Paradiso. - Don Viglietti scrive che all'udirla quei buoni figliuoli piansero. E ne avevano ben donde; poichè non avrebbero riveduto mai più sulla terra l'amato Padre. Un ricordo indimenticabile che fu l'ultimo aveva lasciato ai Confratelli della casa rivolgendo loro nell'andar via queste parole in italiano: - Rammentatevi che siete fratelli.

                Presso il treno erano convenuti i più intimi amici con le loro famiglie. Il capostazione, che per lui e per i suoi due compagni aveva fatto trovare un bellissimo scompartimento riservato, gli mosse incontro con i principali impiegati della ferrovia a presentargli ossequi e auguri; la sua signora gli offerse un vago mazzo di fiori. Al fischio della locomotiva felicitazioni e applausi si levarono a Don Bosco. Il buon Don Albera, rimasto ivi con in mente la visione della sua figura affranta e con un gran timore che il viaggio gli avesse a far male, si sentì il cuore gonfio e grosse lacrime gli rigarono le gote.

 

 

CAPO III

Diario barcellonese.

 

                ALL'ORATORIO si dubitava sempre fortemente che la salute permettesse a Don Bosco di spingersi fino al di là dei Pirenei. “Se ciò sarà, scriveva Don Lazzero a monsignor Cagliero il 28 marzo, si potrà con tutta verità chiamare un miracolo, giacchè, umanamente parlando, considerato lo stato fisico di Don Bosco, sarebbe cosa da neppur sognare”. Tuttavia, esprimendo il pensiero comune, conchiudeva: “È l'uomo della Provvidenza, e tanto basta”. Ma ad onta di tutti i timori egli non si arrestò a mezza via.

                Port - Bou è la prima stazione spagnuola che il viaggiatore incontra, varcando la frontiera francese dalla parte prospettante il golfo del Leone. Nel tragitto da Marsiglia il treno di Don Bosco impiegò undici ore, essendo partito alle cinque pomeridiane del 7 aprile per giungere ivi alle quattro del mattino seguente. Furono colà solleciti a dargli il benvenuto Don Branda e un signor Suñer di Barcellona. Questo signore era intendente di una ricchissima famiglia barcellonese, che sperava dal Santo una grazia segnalata, come diremo a suo luogo. Egli richiese per sè un'intera vettura a salone e v'introdusse Don Bosco e i suoi due compagni, che vi trovarono ogni comodità immaginabile per ristorarsi e per riposare. Don Bosco per l'estrema debolezza non potè a meno di rompere il digiuno; Don Rua invece, desiderando anche ad ora tarda celebrare la Messa, non toccò cibo nè bevanda. [67]

                La ferrovia, costeggiato un po' il Mediterraneo, s'interna alquanto e dopo un buon tratto riesce nuovamente sulla costa. Qui in una stazione secondaria salì Don Narciso Pascual, genero di donna Dorotea, insieme con un figlio. Padre e figlio conoscevano già Don Bosco, essendo stati a Torino nel 1884.

                Nel cambiare treno si era unito a Don Bosco anche un passeggero messosi in viaggio contemporaneamente a Marsiglia. Mancava poco alla partenza da quella città ed egli stava già seduto al suo posto, quando l'aveva colpito un grande frastuono; affacciatosi allo sportello, aveva inteso che partiva anche Don Bosco. Tante cose sapeva già sul conto suo; onde ardeva del desiderio di avvicinarlo. A Port - Bou fu appagato. Il signor Suñer che lo conosceva, si offerse a presentarlo e lo fece in lingua francese; ma il presentato compiè la presentazione parlando italiano. Allora Don Bosco gli disse: - Ella non si separi da me; ci faremo compagnia nel rimanente del viaggio. - Quegli, contento come una pasqua, non si staccò più dal suo fianco. Dopo un buon tratto di amena conversazione, Don Bosco s'addormentò fino allo spuntare dell'alba. Quel cortese signore, vistagli una scarpa slacciata, si chinò per legargliela; il che eseguì con grande suo piacere, nonostante l'opposizione del Santo. A Barcellona Don Bosco scese dal treno, sostenendosi al suo braccio e nell'accomiatarlo gli disse: - Domattina l'aspetto a Sarrià. Desidero di darle la comunione. - “Non occorre ch'io dica, scrive egli[33], che prima dell'ora fissata me n'andai alla casa salesiana di Sarrià”.

                Con il piccolo stato maggiore sopra descritto Don Bosco, fece dunque il suo ingresso nella capitale della Catalogna. Da alcune settimane i giornali ne avevano annunziata la venuta, accompagnando la notizia con informazioni sulla sua persona e sulle sue opere; quando poi fu noto il giorno del [68] suo arrivo, si mossero anche da Madrid, da Siviglia e da altre principali città nobili personaggi e cospicue rappresentanze tanto del clero che del laicato per recargli l'augurale saluto. I Barcellonesi, fieri dell'onore di accoglierlo in mezzo a loro, gli fecero una di quelle pubbliche manifestazioni con cui avrebbero accompagnato il ricevimento di un sovrano. A migliaia si riversarono verso la stazione, signori e popolani mescolati insieme. In uno spazio riservato si schierarono ordinatamente i capi delle società cattoliche e personalità rappresentative del mondo scientifico, civile, politico e religioso. Il Governatore vi rappresentava la Regina Maria Cristina, reggente per il nascituro Alfonso XIII. Monsignor Vescovo, assente dalla sua residenza, aveva dato incarico al Vicario Generale di fare le sue veci, e questi era là con un imponente corteggio di ecclesiastici. Avanzatosi Don Bosco, gli si parò dinanzi uno spettacolo di straordinaria grandiosità. La quale grandiosità acquistava un carattere assolutamente nuovo dal singolare contrasto fra la solennità dell'accoglimento e l'umiltà dell'accolto, che, atteggiato a modestia, cadente della persona, quasi smarrito al cospetto di siffatta moltitudine, passava con volto placido, rivelando però nel lampo degli occhi quale grande anima si nascondesse in quel misero frale.

                Dimentico della stanchezza che gli opprimeva le membra, si porgeva calmo e cortese a quanti si sforzavano di accostarlo per umiliargli ossequi o per rivolgergli una preghiera. Secondo i casi e gl'incontri rispondeva a ognuno o con un semplice inchino del capo o con uno sguardo amorevole o con una cortese parola, mentre un sorriso grazioso gl'infiorava le labbra. Ma di quel passo non avrebbe mai raggiunto una delle cinquanta e più carrozze che si disputavano il privilegio di portarlo in città attraverso a quel mare di gente. Con l'aiuto di volonterosi vi pervenne alfine dopo circa un'ora. Nella gara per la preferenza la scelta cadde di pien diritto sulla vettura della mamma dei Salesiani, che ne gioì al sommo, [69] lieta già per le parole rivoltele da Don Bosco al primo vederla, poichè le aveva detto: - Oh signora Dorotea! Ogni giorno io pregava Iddio che mi facesse la grazia di conoscere lei prima di morire.

                Condotto al palazzo della nobile dama, si ritirò nella camera assegnatagli, sentendo estremo bisogno di quiete; frattanto Don Rua celebrava la Messa nella cappella domestica con l'assistenza di tutti coloro che avevano fatto fin là scorta d'onore a Don Bosco. Il Servo di Dio comparve poscia nella sala, dove i rappresentanti di parecchie illustri case volevano ossequiarlo. Pranzò poi in quella patriarcale famiglia; indi, ricevute alcune visite, montò in carrozza per recarsi al collegio di Sarrià.

                A Sarrià il nome di lui era benedetto insieme con il nome di Maria Ausiliatrice specialmente per un fatto, che non dal solo popolino si riteneva prodigioso. L'anno innanzi il colera aveva gravemente afflitta Barcellona, mentre Sarrià, distante pochi chilometri e frequentata ogni giorno da migliaia di persone che venivano dal luogo infetto, ne era stata salva. Donna Jesusa de Serra, acquistato gran numero delle medaglie di Maria Ausiliatrice che Don Bosco assicurava essere antidoto contro il morbo, aveva mandato i suoi due figli José e Sebastian a sotterrarle lungo le strade conducenti da Barcellona a Sarrià, e in Sarrià non si dovette lamentare nemmeno una vittima.

                Nel collegio, Don Bosco giungeva aspettato come il Messia. L'anno prima i giovani gli avevano spedito per S. Giovanni un loro disegno con la figura di una locomotiva in corsa e con questa scritta: Da Torino a Barcellona. Il loro sogno era finalmente realtà. Quante novene avevano fatte, quante mortificazioni praticate per ottenere dal Cielo la grazia che Don Bosco arrivasse sano e salvo in mezzo a loro! Quindi, appena udito che la grazia stava per essere concessa, si diedero attorno a fine di preparargli degna accoglienza.

                Il cortile era magnificamente adornato; ma più di tutti [70] i festoni e i fiori attrassero la sua attenzione i visi aperti e sereni dei giovani, che con gli occhi puntati su di lui non si saziavano di rimirarlo. Ecco il padre, pensavano, ecco il santo, ecco l'operatore di miracoli del quale tante cose avevano lette e udite! Un bell'inno accompagnato dalla banda musicale elevò in alto i cuori, vibranti di gioia e di gratitudine. Una folla stipatissima si accalcava dentro e fuori della casa.

                I primi passi furono diretti alla cappella per render grazie a Dio del felice viaggio con tante suppliche impetrato. Vi si cantò un mottetto appositamente composto sulle parole Ego sum pastor bonus; poi Don Bosco impartì ai giovani e a tutti gli altri la benedizione di Maria Ausiliatrice. Diede quindi Don Rua la benedizione col Santissimo, assistendolo il Vicario Generale della diocesi e un professore del seminario teologico. La commozione unita agli effetti degli strapazzi di quella notte e di quel giorno avrebbe finito con sopraffarlo, se il Viglietti, sempre pieno di attenzioni e di premure, non l'avesse dopo alcune brevi udienze sottratto di là e introdotto nella sua camera. Le stanze che dovevano servire per lui e per i suoi due compagni erano state scopate, arredate, ammobiliate, pulite dalla stessa signora Dorotea con l'aiuto delle proprie figlie:

                Il Correo Catalan, uscito la sera, dopo aver descritto l'arrivo, diceva: “L'intera Barcellona, rappresentata da tutte le e lassi sociali, ha ricevuto con gioia la visita d'un sì virtuoso sacerdote, al quale noi diamo il nostro cordiale benvenuto e, se fosse possibile, desidereremmo che la sua permanenza fra noi si prolungasse molto”.

                Il pessimo tempo, durato quasi tutta la mattina seguente, contrariò i Barcellonesi, ma favorì Don Bosco, perchè, non essendovi affluenza di visitatori, egli ebbe agio di riposare alquanto. Non fu più così nel pomeriggio: l'anticamera gli si riempì di signori e di signore, appartenenti alla prima nobiltà. La diversità della lingua non gli dava impiccio alcuno; infatti il Viglietti scrisse nel diario: “Don Bosco parla in [71] italiano e tutti con vera meraviglia lo intendono; egli poi intende assai bene lo spagnuolo”. Don Rua invece, dacchè aveva posto piede nella Spagna, non aveva parlato più se non spagnuolo, e maneggiava con tanta disinvoltura quella lingua da far stupire chi sapeva averla egli appresa in pochi giorni e sopra una di quelle grammatichette da quindici centesimi edite dal Sonzogno di Milano[34].

                Nessuna lontananza, nessun incalzarsi di vicende valeva a distrarre totalmente il pensiero di Don Bosco dall'Oratorio. Ecco quello che verso sera il Viglietti scriveva da parte di lui a Don Lemoyne: “Grazie a Dio Don Bosco sta bene, e mi incarica di dire che quantunque sia in altre terre e fra altre genti, il suo cuore e la sua mente è sempre nel caro nido dell'Oratorio”.

                Nel nostro racconto procederemo da qui innanzi narrando i fatti secondo la successione dei giorni. Sarà il diario barcellonese del viaggio di Don Bosco nella Spagna. È vero che egli soggiornò a Sarrià; ma sebbene questa popolazione, non ancora assorbita come oggi dalla città, formasse un comune a parte, tuttavia si considerava quale vero sobborgo di essa.

 

SABATO 10 APRILE

 

                Nella notte dal 9 al 10 aprile Don Bosco fece un nuovo sogno missionario, che raccontò a Don Rua, a Doli Branda e al Viglietti, con voce rotta a volte dai singulti. Il Viglietti lo scrisse subito dopo e per ordine suo ne inviò copia a Don [72] Lemoyne, affinchè se ne desse lettura a tutti i Superiori dell'Oratorio e servisse di generale incoraggiamento. “Questo però, avvertiva il segretario, non è che l'abbozzo di una magnifica e lunghissima visione”. Il testo che noi pubblichiamo è quello del Viglietti, ma un po' ritoccato da Don Lemoyne nella forma per renderne più corretta la dizione.

 

                Don Bosco si trovava nelle vicinanze di Castelnuovo sul poggio, così detto, Bricco del Pino, vicino alla valle Sbarnau. Spingeva di lassù per ogni parte il suo sguardo, ma altro non gli veniva fatto di vedere che una folta boscaglia, sparsa ovunque, anzi coperta di una quantità innumerevole di piccoli funghi.

Ma questo, diceva Don Bosco, è pure il contado di Rossi Giuseppe[35]: dovrebbe ben esserci!

                Ed infatti dopo qualche tempo, scorse Rossi il quale tutto serio stava guardando da un lontano poggio le sottostanti valli. Don Bosco lo chiamò, ma egli non rispose che con uno sguardo come chi è soprapensiero.

                Don Bosco, volgendosi dall'altra parte, vide pure in lontananza Don Rua il quale, allo stesso modo che Rossi, stava con tutta serietà tranquillamente quasi riposando seduto.

                Don Bosco li chiamava entrambi, ma essi silenziosi non rispondevano neppure a cenni.

                Allora scese da quel poggio e camminando arrivò sopra un altro, dalla cui vetta scorgeva una selva, ma coltivata e percorsa da vie e da sentieri. Di là volse intorno il suo sguardo, lo spinse in fondo all'orizzonte, ma, prima dell'occhio, fu colpito il suo orecchio dallo schiamazzo di una turba innumerevole di fanciulli.

                Per quanto egli facesse affine di scorgere donde venisse quel rumore, non vedeva nulla; poi allo schiamazzo succedette un gridare come al sopraggiungere di qualche catastrofe. Finalmente vide un'immensa quantità di giovanetti, i quali, correndo intorno a lui, gli andavano dicendo: - Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei: sei tra noi e non ci fuggirai!

                Don Bosco non capiva niente e pensava che cosa volessero da lui quei fanciulli; ma mentre stava come attonito in mezzo a loro contemplandoli, vide un immenso gregge di agnelli guidati da una pastorella, la quale, separati i giovani e le pecore, e messi gli uni da una parte e le altre dall'altra, si fermò accanto a Don Bosco e gli disse: - Vedi quanto ti sta innanzi?

 - Sì, che lo vedo, rispose Don Bosco. [73]

 - Ebbene, ti ricordi del sogno che facesti all'età di dieci anni? - Oh è molto difficile che lo ricordi! Ho la mente stanca; non ricordo più bene presentemente.

- Bene, bene: pensaci e te ne ricorderai.

                Poi fatti venire i giovani con Don Bosco gli disse: - Guarda ora da questa parte, spingi il tuo sguardo e spingetelo voi tutti e leggete che cosa sta scritto... Ebbene, che cosa vedi?

- Veggo montagne, poi mare, poi colline, quindi di nuovo montagne e mari.

 - Leggo, diceva un fanciullo, Valparaiso.

- Io leggo, diceva un altro, Santiago.

 - Io, ripigliava un terzo, li leggo tutt'e due.

- Ebbene, continuò la pastorella, parti ora da quel punto e avrai una norma di quanto i Salesiani dovranno fare in avvenire. Volgiti ora da quest'altra parte, tira una linea visuale e guarda.

 - Vedo montagne, colline e mari!...

                E i giovani aguzzavano lo sguardo ed esclamarono in coro: - Leggiamo Pechino.

                Vide Don Bosco allora urla gran città. Essa era attraversata da un largo fiume sul quale erano gittati alcuni grandi ponti.

- Bene, disse la donzella che sembrava la loro maestra; ora tira una sola linea da una estremità all'altra, da Pechino a Santiago, fanne un centro nel mezzo dell'Africa ed avrai un'idea esatta di quanto debbono fare i Salesiani.

- Ma come fare tutto questo? esclamò Don Bosco. Le distanze sono immense, i luoghi difficili e i Salesiani pochi.

- Non ti turbare. Faranno questo i tuoi figli, i figli dei tuoi figli e dei figli loro; ma si tenga fermo nell'osservanza delle Regole e nello spirito della Pia Società.

- Ma dove prendere tanta gente?

- Vieni qui e guarda. Vedi là cinquanta Missionari in pronto? Più in là ne vedi altri e altri ancora? Tira una linea da Santiago al centro dell'Africa. Che cosa vedi?

- Veggo dieci centri di stazioni.

- Ebbene, questi centri che tu vedi, formeranno studio e noviziato e daranno moltitudine di Missionari affine di provvederne queste contrade. Ed ora volgiti da quest'altra parte. Qui vedi dieci altri centri dal mezzo dell'Africa fino a Pechino. E anche questi centri somministreranno i Missionari a tutte queste altre contrade. Là c'è Hon - Kong, là Calcutta, più in là Madagascar. Questi e più altri avranno case, studi e noviziati.

                Doli Bosco ascoltava guardando ed esaminando; poi disse: - E dove trovare tanta gente, e come inviare Missionari in quei luoghi? Là ci sono i selvaggi che si nutrono delle carni umane; là ci sono gli eretici, là i persecutori, e come fare?

 - Guarda, rispose la pastorella, mettiti di buona volontà. Vi è [74] una cosa sola da fare: raccomandare che i miei figli coltivino costantemente la virtù di Maria.

 - Ebbene, sì, mi pare d'aver inteso. Predicherò a tutti le tue parole.

- E guardati dall'errore che vige adesso, che è la mescolanza di quelli che studiano le arti umane, con quelli che studiano le arti divine, perchè la scienza del cielo non vuol essere con le terrene cose mescolata.

                Don Bosco voleva ancora parlare; ma la visione disparve: il sogno era finito.

 

                Mentre Don Bosco raccontava, i tre ascoltatori esclamarono a più riprese: - Oh Maria, Maria! - Il Santo, quand'ebbe finito, disse: - Quanto ci ama Maria! - Parlando poi di questo sogno con Don Lemoyne a Torino, prese a dire con tranquillo, ma penetrante accento: - Quando i Salesiani saranno nella Cina e si troveranno sulle due sponde del fiume che passa nelle vicinanze di Pechino!... Gli uni verranno alla sponda sinistra dalla parte del grande Impero, gli altri alla sponda destra dalla parte della Tartaria. Oh! quando gli uni andranno incontro agli altri per stringersi la mano!... Quale gloria per la nostra Congregazione!... Ma il tempo è nelle mani di Dio!

                Il medesimo Don Lemoyne nel mandare copia del sogno a monsignor Cagliero scriveva il 23 aprile a proposito della parte ivi rappresentata da Don Rua, vicario di Don Bosco, e da Giuseppe Rossi, provveditore generale: “Io come interprete noterò: Don Rua è la parte spiriuale sopra pensiero, Rossi Giuseppe la parte materiale pur essa imbrogliata. L'avvenire deve consolare l'uno e l'altro”. E così realmente fu.

                Un buon commento a quel punto del sogno, dove si parla del Cile, balza fuori da quanto si riferisce nel Bollettino di settembre del 1887. Descrivendosi un viaggio compiuto da monsignor Cagliero con monsignor Fagnano nella repubblica transandina, si narra che a Santiago il senatore Valledor pregava i Salesiani di accettare la direzione dell'orfanotrofio governativo, costituendosi padri di tanti fanciulli dai sette ai dieci anni, e che andati essi a visitare l'istituto, si sentirono [75] leggere da un orfanello queste parole in un'accademiola: - Sono due anni che piangiamo e preghiamo, perchè Don Bosco ci dia un padre. - Non basta. Monsignor Fagnano, intrattenutosi con i ragazzi, parlò con alcuni semplicetti che gli dicevano: - Le fanciulle hanno la madre (alludevano alle suore), ma noi non possiamo avere un padre. Nostro padre è Don Bosco, ma finora non è arrivato. - A Valparaiso poi nel giorno del loro arrivo più di duecento fanciulli correvano dietro ad essi gridando: - Finalmente sono arrivati i nostri padri! Domani potremo andare a scuola. Oh che piacere! - Vedendo e udendo queste cose, essi pensavano a quanto avevano letto nel sogno, tanto il fatto rispondeva alla predizione[36].  Nei primi giorni gli alunni di Sarrià fecero gran festa. La prima volta che la banda musicale eseguì alcune sonate dopo il pranzo, Don Bosco a ciascuno dei sonatori diede con le sue mani un dolce. “Questi giovani, scriveva il Viglietti[37], sono fuori di loro dalla gioia per la presenza di Don Bosco, il quale sta assai bene ed è molto allegro „.

                Poichè il flusso e riflusso dei visitatori sarà quotidiano, noi non istaremo a ripetere sempre la medesima cosa. Talora passavano a mo' di corrente che non s'interrompeva mai, ma più sovente inondavano a guisa di piena. La religiosità radicata nell'anima spagnuola si esaltava in vicinanza di un sacerdote che godeva tanta fama di santità.

                Anche a Barcellona come a Marsiglia le Cooperatrici Salesiane avevano costituito un comitato di circa trenta dame, tutte non meno caritatevoli che nobili, e aiutavano con zelo la casa di Sarrià. Le presiedeva donna Dorotea. Ogni quindici giorni regolarmente si riunivano per esaminare i bisogni e avvisare ai mezzi; anzi lavoravano esse stesse con le proprie mani intorno alla biancheria. Don Bosco le convocò e parlò in italiano, ringraziandole della carità con cui si prodigavano [76] a vantaggio della sua opera e predisse che fra non molto la casa di Sarrià, ampliata secondo il bisogno, sarebbe occupata da cinquecento giovani, ai quali esse avrebbero estesa la loro benevola e benefica protezione.

                Donna Dorotea da vera madre pensava a tutto che potesse occorrere a Don Bosco, a Don Rua e al segretario Viglietti. Quindi li provvedeva della biancheria personale, ne visitava le camere, badando che ogni cosa fosse netta e in ordine, e per questi servizi aveva destinata una sua fantesca; mandava pure una sua cuoca per cucinare le vivande, confezionandone talune ella medesima.

                Venne a visitare Don Bosco il marchese Brusi, direttore del Diario de Barcelona, foglio assai diffuso, e uscì dalla camera tutto commosso. Nel numero del giorno pubblicò un articolo con l'esatta e particolareggiata descrizione dell'arrivo di Don Bosco a Sarrià.

 

DOMENICA II APRILE.

 

                Allora, come dicevamo, Sarrià formava un comune autonomo con una popolazione fluttuante, che in certe stagioni raggiungeva la cifra di venticinque mila. L'alcade con la giunta municipale e le primarie autorità si recarono ufficialmente a ossequiare Don Bosco, per il quale manifestarono tutti la più grande venerazione. L'alcade specialmente dichiarò che ringraziava il Cielo d'aver donato a Sarrià una casa salesiana e promise che il municipio l'avrebbe protetta sempre e con tutte le forze. Dal Santo quei signori ricevettero con gradimento una medaglia di Maria Ausiliatrice e poi la sua benedizione.

                Più tardi fu bello vedere con quanto interesse ascoltassero insieme la parola di lui il Direttore del Correo Catalan, uno stuolo di studenti universitari e i rappresentanti delle scuole serali barcellonesi. Partiti questi, entrò il Provinciale dei Gesuiti con alcuni Padri. [77]

                Sull'annottare la banda diede concerto nel cortile illuminato e la giornata si chiuse con i fuochi d'artifizio. Essendosi dovute lasciar aperte le porte per non iscontentare nessuno, accorse una fiumana di gente. Anche Don Bosco volle godere dello spettacolo, ma con riguardo a' suoi occhi, che aperse quasi solamente per mirare un bel pallone elevarsi nell'aria recando scritto a grossi caratteri il suo nome venerato e infine librarsi maestoso sulla città di Barcellona.

 

LUNEDI’ 12 APRILE.

 

                Il Diario suddetto in un secondo articolo tesseva gli elogi dì Don Bosco, della sua opera mondiale e dei Talleres di Sarrià. Nella sua visita del dì innanzi il Direttore del giornale aveva ammirato nella fisionomia di Don Bosco il riflesso, oltrechè della santità, anche di un'intelligenza superiore e di una volontà indomita.

                Quanto gradiva sempre Don Bosco gl'incontri con exallievi dell'Oratorio! Uno di questi, certo Giacomo Gherna, domiciliato a Barcellona, si affrettò a rivederlo e a ribaciargli la mano Egli pativa da anni dolori alle gambe, soffrendo talmente, che gli costò non poco quell'andata a Sarrià. Come fu alla presenza del suo benefattore, gli fece la storia della proprie sofferenze. - Ma lascia un po' andare, gli disse Don Bosco, sta' tranquillo! - E così parlando gli toccò le ginocchia. Quindi presero a rievocare le memorie dei primi tempi dell'Oratorio, ricordando episodi e persone. Il Gherna si rammentava benissimo d'aver detto nel 1860 a Don Bosco nell'atto di congedarsi: - Venga poi a Barcellona! - Al che Don Bosco: - E chi sa? - gli aveva risposto, ma con un tono da lui ritenuto sempre come affermazione di cosa sicura. - Or ecco, esclamava, che quel chi sa si è avverato!

                Di discorso in discorso la mente del vecchio discepolo si veniva popolando di molti cari ricordi, sicchè dopo se ne tornò speditamente a Barcellona senza nemmeno accorgersi di essere guarito, tanto andava assorto nelle dolci rimembranze [78] degli anni trascorsi sotto la direzione paterna di Don Bosco. Avvertì di esser libero dal suo male quand'era già in città; dal momento che il Santo gli aveva posate sulle ginocchia le mani, non aveva sentito più nulla, nè in seguito ebbe più a sperimentare molestie di quella fatta. Altre infermità gli sopravvennero nel corso della vita; ma di quella restò sempre immune. Così attestava Don Rinaldi.

 

MARTEDÌ 13 APRILE.

 

                Una lettera circolare, compilata da Don Lemoyne e firmata dal prefetto generale Don Durando, comunicava a tutte le case della Congregazione le notizie più rilevanti sul viaggio di Don Bosco fino al suo arrivo nel collegio di Sarrià. Una seconda lettera dello stesso genere sarà spedita il 5 maggio.

                Un altro giornalista, il Direttore della Revista popular, dottor Sardà y Salvayan, visitò Don Bosco, che lo volle seco a pranzo. Dalle tre alle sei pomeridiane, secondo calcoli fatti, passarono circa duemila persone. Una giovane sui quindici anni che aveva mano e gamba destra rattrappite, venuta con la madre, domandava a Don Bosco la benedizione. Egli la benedisse e poi la interrogò:

 - Dove vi sentite male?

- Qui, nella mano, rispose; non la posso muovere.

                Così dicendo, non s'avvedeva che la alzava e la mostrava aperta davanti a una trentina di visitatori. Don Bosco sorrideva, mentr'essa confusa provava la sensazione di non averla ancora flessibile; ma il Santo gliele fece giungere tutt'e due, ordinandole di dire con lui: - O Maria, guaritemi! - Poi le ordinò di recitare ogni giorno fino al Corpus Domini, tre Pater, Ave e Gloria non per ottenere la guarigione, ma in ringraziamento della guarigione ottenuta. Infatti anche la gamba doveva avere le sue articolazioni snodate, se la fanciulla potè andarsene senza zoppicare.

                Quel tal soprintendente recatosi con Don Branda a ricevere [79] Don Bosco presso la frontiera gli portò una lettera di Don Jovert, marchese di Gélida, suo signore, che molto umilmente si raccomandava alle sue preghiere[38]. Il Santo gli rispose di proprio pugno, assicurandolo che avrebbe pregato e chiedendogli che si scegliesse un giorno per fare la comunione e che glielo indicasse, perchè nella stessa mattina egli avrebbe celebrata la Messa secondo le di lui intenzioni.

                La lettera del Marchese, conosciuta che fu in famiglia, destò nei parenti viva impressione a motivo dei religiosi sentimenti, ivi manifestati, giacchè da lungo tempo egli più non si confessava. Ma c'era dell'altro. Questo signore, tutto dedito al commercio marittimo, possedeva una grande fortuna; lo travagliava però una manía che formava la sua infelicità. La si potrebbe chiamare coprofobia; facilmente infatti s'immaginava che le cose fossero lorde di sterco. Non mangiava con la famiglia. Saputo che la madre di sua moglie era stata una volta a Sarrià, luogo, secondo lui, pieno di sporcizia, non la voleva più vedere, e guai perciò se essa ardisse toccare la figlia! Egli di tratto in tratto conosceva a pieno la sua condizione, tant'è vero che aveva promesso in voto un milione per edificare un ospedale, se ottenesse la grazia di essere liberato da si morbosa follia. Il male aveva avuto principio dopo una caduta. Anni addietro, mentre andava con la sua signora a Lourdes, il cavallo impennato si era lanciato a pazza corsa, precipitando finalmente in una voragine. La bestia erasi sfracellata, il Marchese invece aveva riportato appena qualche lieve contusione al fianco. Siccome la dirupata balza misurava non meno di duecentocinquanta metri, la gente superstiziosa lo credette indemoniato. Allora i suoi familiari avevano riposto ogni speranza in Don Bosco; egli tuttavia rifiutava di riceverlo, per aver appreso dai giornali che il Santo sarebbe venuto dall'abbominata Sarrià. La sua signora per altro, in compagnia dell'intendente, era [80] già stata di nascosto a vedere Don Bosco, ritornando consolatissima da un lungo colloquio avuto con lui. Le pareva dunque che fosse già una mezza grazia l'avere suo marito scritto così spontaneamente e così piamente al Servo di Dio.

                Un vecchio colonnello nell'impeto della sua fede volle a ogni costo baciare a Don Bosco i piedi. Dopo entrò una famiglia composta di ventidue persone. Allorchè tutti s'inginocchiarono per essere benedetti, egli, rivolgendosi a una signora che stava in mezzo ai presenti, le disse: - Lei non s'inginocchi. - Un incomodo alle gambe non le avrebbe permesso d'inginocchiarsi se non forse con estremo disagio; ma a lui chi l'aveva detto? La cosa non mancò di produrre sorpresa e commozione.

 

MERCOLEDÌ 14 APRILE.

 

                Molti ascoltarono la Messa di Don Bosco, che distribuì circa duecento comunioni. A mezzogiorno donna Dorotea gli procurò un riposante svago nella sua villa, cinta da vasto parco e con un giardino rallegrato dalla varietà di animali rari. Salendosi la scala che metteva negli appartamenti, si passò davanti a un grande specchio sul primo pianerottolo. Don Bosco, rivoltosi a coloro che gli erano venuti incontro, disse: - Bisogna poi ricordarsi d'invitare al pranzo anche quegli altri signori. - E indicava le persone riflesse nello specchio.

                Si rise dello scherzo che gli diede motivo di raccontare piacevolmente un aneddoto accaduto a Marsiglia qualche anno innanzi in un negozio di abiti. Egli aveva condotto con sè l'abate Martiri, curato della parrocchia, dalla quale dipendeva la casa della Navarra. Uomo della più schietta semplicità, trovatosi ivi di fronte a una grande specchiera, confuso e distratto si tolse il cappello al sacerdote che credeva d'aver incontrato e che era invece la sua propria figura. Contemporaneamente l'immaginato forestiere gli aveva naturalmente corrisposto il saluto. Il buon prete, avviatosi [81] verso la porta d'entrata, faceva cerimonie. - Passi lei diceva gestendo. L'altro ripeteva i medesimi segni senza parlare. - Ma no, ripigliava il curato, prego, passi prima lei. La scena durò alcuni minuti, mentre Don Bosco stava collocato in modo che non potesse lo specchio riflettere la sua persona e rideva. Ridevano allora anche quei signori, udendo il piacevole racconto.

                Non lungi dalla villa sorgeva un collegio femminile aristocratico, diretto dalle religiose del Sacro Cuore. Pregatone andò a visitarlo. Tutta la comunità scese a riceverlo nella porteria, mentre le alunne interne attendevano sulla terrazza dinanzi alla sala di studio. Ecclesiastici e persone esterne in buon numero vi si erano riuniti per vederlo da vicino e averne la benedizione. Egli si avanzava a passo lento, sorretto dalle braccia di Don Rua e di Viglietti e conversando affabilmente con la superiora, Madre di Bofarull. Nel giardino lo stuolo delle alunne esterne gli procurò una bella improvvisata, poichè intonarono con molto garbo sul noto motivo popolare la lode torinese a Maria Consolatrice. Posto piede nell'istituto, si sedette per prendere un tantino di riposo.

                Era ivi fra gli astanti la madre di un'alunna, che nel breve giro di due settimane aveva perduto due figli. Profittando di quel momento, si prostrò ai piedi del Santo, gli narrò le sue sventure e lo supplicò di guarirle la figlia maggiore, così ottusa di mente, che, sebbene quattordicenne, non poteva essere ammessa alla prima comunione. Don Bosco, intenerito al dolore della povera signora, chiamò a sè la fanciulla, le diede una medaglia e poi, stendendo la destra sul capo di lei, proferì ad alta voce la formula della benedizione, e promise di domandare la grazia desiderata, se la cosa fosse per tornare a maggior gloria di Dio. Rivoltosi quindi alla madre che si struggeva in lacrime, le disse: - Abbia fiducia; la figlia farà la comunione. - Nè aggiunse altro. La predizione si avverò; infatti la bambina potè finalmente accostarsi alla sacra mensa e pochi mesi dopo Dio la chiamava a sè. [6 - CERIA, Memoriebiografiche, Vol. XVIII.] [82]

                Fra la commozione generale Don Bosco si rimise in cammino verso la terrazza. Sul punto di varcare la soglia, ecco le note della banda salesiana che dal giardino rallegrava la scena. Cessato il suono, due alunne si fecero avanti. Una a nome delle compagne presentò a Don Bosco un'elegante borsa con dentro un'offerta; l'altra gli lesse un indirizzo[39]. Quindi parlò Don Bosco, raccomandando loro di frequentare i sacramenti. Sfilarono infine tutte a una a una per ricevere dalle sue mani la medaglia di Maria Ausiliatrice.

                Fra le convittrici si trovava la piccola Mercedes S. di otto anni, un fiore di giovinetta, ma zoppa dalla nascita. Suo padre, che aveva quell'unica figliuola, che cosa non avrebbe fatto per rimediare a quella fisica imperfezione! Egli sperava allora in un miracolo, e la bimba vi si era preparata con una novena di preghiere. Il Santo, a cui fu presentata per la benedizione, com'ebbe udito di che si trattava, rispose: - No, questo non sarebbe per suo bene[40].

                Nello studio lo aspettavano le Suore, un'ottantina all'incirca, che gli fecero dono di un artistico ostensorio. Ricevettero anch'esse la medaglia e la benedizione. Una delle presenti, da lungo tempo malata senza speranza di guarigione, aveva con uno sforzo sovrumano lasciata l'infermeria ed erasi trascinata fino a Don Bosco per essere benedetta. Pensava fra sè: - Chi sa? A volte le ore disperate sono le ore di Dio. - Il Santo, quasi leggesse nella sua mente, le disse: - Figlia, bisogna amare la croce, che Gesù ci mette sulle spalle. - L'inferma capì, prese coraggio e si abbandonò completamente nelle mani di Dio.

                La Superiora non rifiniva di ringraziarlo della preziosa visita. L'anno precedente essa gli aveva scritto quattro volte a Torino per ottenere grazie speciali da Maria Ausiliatrice e sempre n'era stata esaudita. Mentr'egli poi partendo attraversava [83] il giardino, si dovette permettere alle convittrici che uscissero dallo studio per ischierarsi lungo il suo passaggio e allontanato che fu, si affollarono sul terrazzo e sui poggiuoli più alti, donde, agitando fazzoletti e veli, gridavano: - Viva, viva Don Bosco!

                Un terzo articolo comparso nel Diario de Barcelona inneggiava a Don Bosco e alle sue opere, specialmente alle sue scuole di arti e mestieri. “Un'aureola di santità, vi si leggeva, risplende sul suo volto, riverbero delle sue cristiane virtù e della sua pura fede, mediante le quali ha portato a felice compimento e continua a dirigere con prosperi successi la sua opera di religione e di civiltà”[41].

 

GIOVEDÌ 15 APRILE.

 

                Oltre al già detto Comitato delle dame appartenenti alla nobiltà, un altro ne esisteva di Cooperatrici, il cui ufficio era di questuare per l'opera salesiana di Sarrià. Anche a loro il Santo volle tenere una conferenza, nella quale spiegò in che consistesse il cooperare con Don Bosco.

                Un'adunanza di carattere diverso fu tenuta intorno a lui nelle ore pomeridiane. Fioriva a Barcellona una Società Cattolica, che traeva i suoi membri dal ceto alto della cittadinanza. Il suo Presidente si era trovato alla stazione nel momento dell'arrivo di Don Bosco; poi nel pomeriggio del io gli aveva condotto un gruppo di soci più eminenti, che ebbero dal Santo un'udienza lunga e cordiale; infine si deliberò d'indire una riunione solenne in suo onore. Un biglietto personale d'invito chiamava a raccolta tutto il sodalizio per il 15[42]. La mattina del 14 i soci avevano assistito in corpo alla Messa di Don Bosco, servita dal Presidente e dal Segretario; quindi tornarono alla sera nella sala del teatro per un convegno [84] privato o conferenza religiosa, presente Don Bosco. Ma ben altro apparato ebbe l'assemblea generale del 15.

                Il Presidente con il Consiglio direttivo si portò a Sarrià per prendere Don Bosco e accompagnarlo alla sede sociale. Erano tutti in abito di cerimonia e recavano sul petto le insegne della Società. Tre vetture aspettavano alla porta. Salirono nella prima Don Bosco, Don Rua, il Vicario della diocesi e il provicario; nella seconda il Presidente e il chierico Viglietti; nella terza gli altri. L'Associazione si era fino allora adunata in un vecchio locale divenuto angusto per il numero sempre crescente degli associati; onde se n'era allestito uno nuovo, sontuoso, che si volle appunto inaugurare quel giorno con la visita di Don Bosco. Tre grandi sale furono appena sufficienti a contenere gli accorsi, perchè alquanti di essi vennero con le signore.

                All'entrare di Don Bosco si levarono tutti in piedi, mentre l'orchestra intonava una marcia trionfale. Assiso ch'ei si fu sopra un'alta cattedra, ascoltò il canto di una bella Salve Regina eseguita da una ventina di giovanetti sotto la direzione dell'autore medesimo, il maestro Frigola, salito allora in rinomanza anche fuori della Spagna. Poi il Presidente, professore universitario, pronunziò un discorso nobile ed elevato. Dopo l'intermezzo di una sonatina il segretario lesse l'atto, con cui si dichiarava che l'Associazione, riunita a consiglio, aveva deliberato di decorare Don Bosco delle insegne sociali. Si fecero quindi avanti due distinti cavalieri, che gli appendettero al collo una gran medaglia d'oro recante gli emblemi di S. Giorgio e di S. Giuseppe. Quando sul suo petto brillò la fiammante insegna, un'ovazione entusiastica salutò il novello socio. Anche qui spiccava più che mai il contrasto già notato altrove dello sfarzo circostante e dell'umiltà di Don Bosco nel suo atteggiamento.

                Sentì il dovere di prendere egli pure la parola. La voce gli venne robusta e la parola vibrata; il suo pensiero, benchè espresso in italiano, fu agevolmente afferrato. Disse così: [85]

 

                               Signori,

 

                Vorrei possedere la vostra bella lingua patria per esprimere in essa le mie idee. Non so dirvi ciò che in questi momenti sente il mio cuore; sono estremamente commosso al considerare ciò che questa riunione significa, e principalmente per l'onorificenza da voi assegnatami.

                Prometto di conservare questa medaglia come distintivo onorifico e glorioso; vedendola ricorderò la nobile Associazione di Cattolici ed i cattolici di Barcellona; arrivato a Torino, la mostrerò con orgoglio a miei cari figli, raccomandando loro d'imitare le virtù dei cattolici barcellonesi, e quando andrò a Roma e vedrò il Santo Padre, gli dirò quanto lo ami a Barcellona l'Associazione di Cattolici e tutto quello che essa fa a vantaggio della sana dottrina.

                Rendo le più vive grazie al signor Presidente per le espressioni d'immeritato elogio da lui indirizzatemi nel suo discorso, il cui principale argomento è stato il grati frutto che reca alla società moderna l'istituzione dei Talleres Salesiani

                Ho un grande concetto dell'entusiasmo cattolico che qui regna e mi congratulo con la città di Barcellona, che fu in ogni tempo una città eminentemente pia e godo di credere che tale sarà sempre in avvenire, meritando con questo gloriosi giorni.

                Come popolazione industriale essa ha più interesse d'ogni altra a proteggere i Talleres Salesiani. Da queste case escono annualmente cinquantamila giovani utili alla società, i quali vanno nelle officine e nei laboratori a diffondere le buone massime; così stanno lontano dalle carceri e dalle galere e si cambiano in esempi viventi di salutari princípi.

                Il giovane che cresce per le vostre strade, vi chiederà da prima una limosina, poi la pretenderà e infine se la farà dare con la rivoltella in pugno.

                Come risultato della missione incivilitrice dei Talleres, posso citare il frutto che ottengono le Missioni Salesiane in Patagonia, dove la religione di Gesù Cristo è già conosciuta e praticata da più di quattordicimila indigeni.

                Termino supplicando questa onorevole adunanza dell'aiuto delle sue preghiere, affinchè Dio benedica i Talleres stabiliti nella vicina Sarrià, destinati senza dubbio a migliorare la condizione degli orfani poveri e abbandonati.

 

                Tre volte lo interruppero gli applausi; ma più frequenti furono i segni di viva commozione. Fattasi una colletta in favore dell'opera salesiana, egli benedisse gli astanti e la seduta fu tolta. Ma allora cominciò per lui la fatica più opprimente, perchè l'intera assemblea si mosse e lo prese d'assalto, [86] Non trattavasi di una folla qualunque, ma era un'eletta di persone aristocratiche, le quali sapevano rispettare le convenienze; tuttavia, considerato il gran numero, lo stancarono assai, perchè per contentare ognuno, dava a chi la mano da baciare, a chi il conforto di una buona parola, a chi una speciale benedizione.

                Fino a Sarrià lo scortò il medesimo seguito di prima. Non ne poteva proprio più; si mostrava per altro di buon umore. Al Viglietti disse che, mentre lo colmavano di tanti onori, egli fra sè e sè andava ruminando il celebre motto[43]: Quam parva sapientia regitur mundus!

                La memoria dell'avvenimento è consacrata in un elegante opuscolo che contiene, oltre il resoconto della straordinaria seduta, il discorso presidenziale e tradotta in spagnuolo la breve parlata di Don Bosco[44]. 1 giornali si occuparono diffusamente del fatto.

 

VENERDÌ 16 APRILE.

 

                Venne condotto a Don Bosco un ragazzino, che portava al collo un braccio così distorto da non poterlo nè alzare nè muovere; l'aveva in quello stato fin dall'infanzia. I genitori si raccomandavano a Don Bosco, perchè benedicesse il loro figliuolo. Don Bosco lo benedisse; poi gli ordinò di sciogliere il braccio, di battere le mani palma a palma e di giungerle dicendo: - Maria, aiutatemi! - Il fanciullo obbedì. Era il principio della guarigione completa.

                Già per la terza volta il cappellano della Suore di Loreto ritornava a pregare Don Bosco, che volesse andar a consolare la Superiora del monastero afflitta da un cancro nè d'altro desiderosa [87] che di vedere lui prima di morire. Egli aveva fatto subito rispondere che potendo sarebbe passato a visitarla e che intanto le mandava una medaglia di Maria Ausiliatrice.

                Il giovanetto Medina, barcellonese e povero, aveva un dito in cancrena e i medici si disponevano a farne l'amputazione. Presentato a Don Bosco e da lui benedetto, non sperimentò lì sul momento nulla di nuovo; ma durante la notte gli si essiccò la piaga e il dito guarì del tutto. Poco tempo dopo Don Branda lo accettò nel collegio, dov'egli rimase soltanto alcuni mesi, perchè entrò fra i Maristi e nel 1890, quando il Direttore narrò il fatto a Don Lemoyne, studiava teologia.

 

SABATO 17 APRILE.

 

                Gran banchetto in onore di Don Bosco presso Don Narciso. I convitati erano tutti e soli parenti. Uno zio del padrone di casa gli lesse un sonetto da lui composto[45]. Al suo ritorno un mondo di gente lo aspettava.

 

DOMENICA 18 APRILE.

 

                Migliaia di persone ingombravano la strada, il cortile, la sala d'aspetto e le camere attigue. Bisognò affiggere alla porta della chiesa un cartello indicante le ore in cui Don Bosco avrebbe dato la semplice benedizione. “Don Bosco è stanco e non troppo bene in salute” , scrisse il Viglietti nel diario.

 

LUNEDÌ 19 APRILE.

 

                Don Bosco pensava alla casa di S. Benigno, vivaio della Congregazione, e fece scrivere che pregava per quei chierici e che sperava di rivederli presto. Udienze da mane a sera. Telegrafò a Rossi di spedirgli medaglie in grande quantità e a grande velocità. [88]

 

MARTEDÌ 20 APRILE.

 

                “Don Bosco è senza fiato e senza forze, nota il diarista, soltanto a forza d'impartire benedizioni e di dire: Dios os bendiga”. Ormai era costretto a benedire gente in massa. Ogni mattina, finito di celebrare, benediceva coloro che riempivano la chiesa; usciti quelli, ve ne entravano altrettanti per lo stesso fine. Quindi, raggiunta a fatica la camera, dava subito principio alle udienze. L'amministrazione della linea ferroviaria dovette moltiplicare a dismisura le corse da Barcellona e viceversa.

                Giunse il Vescovo di Vich, monsignor Morgadez y Gili, venuto appositamente per vedere Don Bosco. Accolto al suono della marcia reale spagnuola, si fermò a pranzo con due canonici che lo accompagnavano. Si susseguirono parecchie illustri famiglie di Barcellona, fra cui quella del Governatore. Arrivò pure il Vescovo della diocesi, monsignor Català y Albosa. Data la mentalità del tempo, fu giudicato colà atto di gran degnazione l'essere andato per il primo a visitare Don Bosco, che non l'aveva preceduto, sapendolo fuori della sua residenza. Monsignore gli dimostrò vero affetto e conversò con lui per più di un'ora. In presenza sua fu letta la lettera di cui era latore il segretario del ministro Silvela per l'affare dell'istituto madrileno, come abbiamo narrato nel volume precedente. Le premure di tanti personaggi nell'onorare Don Bosco accrescevano a mille doppi verso di lui la venerazione del popolo che vedeva.

                Descrivendo il viaggio parigino avemmo occasione di menzionare la signora di Cessac, calda ammiratrice e generosa benefattrice di Don Bosco. Orbene il giorno 20 egli ricevette da Parigi un telegramma che diceva: Viscomtesse de Gessac très malade. Viscomte de Cessac. Dolente della notizia, fece rispondere da Don Rua promettendo preghiere. Prima però che la lettera partisse, un secondo telegramma annunziava: [89]

 

                Hier instantainement dans la soirée j’ai été guérie, ie mange et je bois; merci pour vos prières. Viscomtesse de Cessac. In una lettera confidenziale del 30 aprile il marito descrisse poi a Don Rua la malattia della consorte e il modo della guarigione, avveratasi, a quanto parve, nel tempo in cui Don Bosco aveva pregato per l'inferma. Non fu però cosa molto durevole. Il quadernetto, in cui Don Bosco nel 1884 scrisse le lettere da copiare e inviare ai principali benefattori dopo la sua morte, ne contiene una anche per la di Cessac; ma il Santo stesso vi appose due anni appresso questa annotazione, preceduta da croce: “Requiescat in pace - 1886”. Morì infatti la signora nell'autunno di quell'anno.

 

MERCOLEDÌ 21 APRILE.

 

                Don Bosco si era mosso per recarsi a celebrare la Messa in casa della marchesa di Comillas, quando nel discendere le scale gli si menò davanti un'ossessa, che, appena lo vide, si gettò a terra e parve svenire, mandando spuma dalla bocca e dibattendosi e scontorcendosi come una serpe. Egli le diceva d'invocare Maria, essa invece urlava: - No, no! - E poi per bocca sua lo spirito maligno ripigliava: - No, non voglio uscire, non voglio partire. - Siccome la disgraziata aveva nome Maria, Don Bosco la chiamava: - Maria, prendi questa medaglia. - Ma essa non dava segno d'intendere. Finalmente Don Bosco la benedisse. S'alzò allora la giovane, prese la medaglia che Don Bosco le offriva, la baciò, entrò in chiesa e udì la Messa. Sembrava guarita; infatti fece colazione tranquillamente, e tutto questo alla presenza di molte persone. Coloro che l'accompagnavano, dicevano di non averla vista da gran tempo così calma e n'erano stupefatti. Per allora se ne tornò consolata a casa sua.

                Fuori due vetture elegantissime stavano in pronto per portare il Santo dalla Marchesa, che lo onorò come se fosse un Cardinale. Qui cediamo la penna al Viglietti che scrive: [90] “Giungemmo al palazzo della Marchesa che davvero si può chiamare una reggia. Vi sono grandi ricchezze, massime in capolavori di arte, e saloni immensi. Ogni volta che qualche Principe o Re viene a Barcellona, alberga presso la Marchesa. Tutto il servizio dell'altare privato era splendidissimo; il messale era tutto foderato in oro e argento cesellato e con incastri di perle preziose; il calice come la pisside erano in oro massiccio, adorni di diamanti e smeraldi e topazi”.

                Durante il divino Sacrifizio vi fu canto con accompagnamento di armonio e di pianoforte; ma tutta musica italiana. Vi assistevano circa duecento invitati fra parenti e amici della Marchesa. Don Bosco dovette poi fare la conoscenza di ciascuno, ricevendoli separatamente o a piccoli gruppi fino alle undici. Di là andò a rendere la visita al Vescovo, che lo accolse con vivo trasporto. Don Bosco vagheggiava il disegno di fondare, come a Marsiglia, anche a Barcellona un noviziato o meglio un collegio missionario nazionale e ne fece parola a Monsignore che promise protezione e aiuto, dicendosi d'accordo con lui nel darvi principio a Sarrià con un ginnasio che servisse a coltivare le vocazioni ecclesiastiche. Sembrava che non volesse più lasciarlo partire. Lo accompagnò, cosa inaudita, fino allo scalone. A pranzo Don Bosco andò dalla marchesa di Moragas, suocera del signor Jobert.

                Uscito di là si soffermò al convento delle Suore loretane per confortare, come aveva promesso, la Superiora, ridotta ormai in fin di vita da un'ulcere maligna. Le disse parole di grande consolazione e la benedì. Quindi da tutta la comunità e dal cappellano gli fu presentata una religiosa che da molto era condannata a stare con le gambe accavalcate senza mai poter fare un passo nè muoversi. Il giorno avanti, avvertita che Don Bosco sarebbe passato dinanzi alla porta del convento, il quale dava stilla strada che mena da Barcellona a Sarrià, si era fatta portar fuori sopra una barella per essere da lui benedetta. A quella benedizione data così in passando erasi sentita guarire, sicchè, alzatasi, camminava da sola con [91] grande meraviglia di tutte le consorelle. Anche allora, alla presenza di Don Bosco, si diede a correre e a spiccar salti con non ancora vinto stupore di tutte, abituate da gran pezza a vederla sempre immobile. Suor Candida, chè tale è il nome della graziata, vive tuttora [1935] in un paesello vicino a San Sebastiano, inchiodata per vecchiaia nel suo letto.

                Fatto ritorno al collegio, vi trovarono strada e cortile ingombri di gente e di vetture. Dentro stavano in attesa duecentocinquanta signori della Società di S. Vincenzo de' Paoli. Don Bosco si presentò subito a loro e li salutò affettuosamente, rallegrandosi della loro fede e pietà. Disse dell'Opera Salesiana e dell'Opera loro, mostrando come questa armonizzasse molto bene con quella. Seduta stante, si fece una colletta, secondochè si costumava e si costuma nelle singole riunioni dei soci formanti le varie conferenze. Infine Don Bosco li benedisse e, donata a ognuno la medaglia di Maria Ausiliatrice, si ritirò nelle sue stanze a ricevere quanti più poteva dei moltissimi che erano impazienti di parlargli. “Sono moltissime le grazie, scrive il Viglietti, che ogni giorno si ricevono con la benedizione di Maria Ausiliatrice impartita da Don Bosco, ed ogni giorno abbiamo relazione di questi benefici effetti. Ma ormai è impossibile tener nota di tutte”.

 

GIOVEDÌ SANTO 22 APRILE.

 

                Nella Spagna i tre ultimi giorni della settimana santa erano interamente consacrati a opere di pietà, soprattutto alla ricordanza dei misteri della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo. Si sospendeva qualsiasi altra occupazione: non più visite, se non per grave necessità; le corse ferroviarie e tramviarie ridotte ai minimi termini; chiusi i negozi e le officine; affollatissime le chiese. Furono dunque tre giorni di gran sollievo per lo stanco Don Bosco, che potè godere un po' di quiete e trattenersi con i suoi figli di Sarrià.

                Ogni regola però ha la sua eccezione; infatti, nonostante [92] le sospensioni delle visite, egli ricevette il signor Mas con la moglie e il figlio. Questo signore dirigeva un rinomato cotonificio, il più importante di Barcellona, là dove oggi ha sede l'Università industriale. Uomo assai stimato e cattolico zelante, voleva una benedizione speciale da Don Bosco per sè e per i suoi. Ricevuti non senza difficoltà, stettero con lui nella sua stanza più di un'ora e nell'accomiatarli il Santo tenne il signor Mas per qualche secondo fortemente abbracciato, dicendogli all'orecchio certe parole non mai rivelate interamente a nessuno. Soltanto due anni dopo, venuto in punto di morte, chiamò la consorte e le disse di prepararsi anch'essa, perchè di lì a poco tutt'e due, come gli aveva detto Don Bosco, si sarebbero trovati all'eternità. La moglie infatti morì un mese dopo.

                Il defunto aveva lasciato al figlio Giuseppe un grande Crocifisso donatogli dal Servo di Dio. Questo figlio che ora (1935) ha 73 anni, nel 1934, colto da gravissima polmonite, da cui i medici non speravano più di salvarlo, si mise quel Crocifisso al collo e in pochi giorni con grande sorpresa dei sanitari perfettamente guarì.

                Nel pomeriggio del giovedì santo Don Rua e il chierico Viglietti furono accompagnati da Don Narciso alla città per la visita delle sette chiese. A documento della tradizionale pietà spagnuola ancor viva allora riproduciamo una pagina della corrispondenza del Viglietti con Don Lemoyne. “Quando ritornammo a Sarrià, scriveva egli, abbiamo avuto un mondo di cose da raccontare a Don Bosco, perchè davvero noi non credevamo che in Ispagna vi fosse tanta religione. Avevamo veduta la truppa in grande uniforme andare ordinatamente guidata dagli ufficiali alla visita dei sepolcri, le bandiere sui palazzi di città e su quelli governativi velate a lutto: non una vettura per le vie, non un rumore di voce e d'istrumento; ma tutte le strade stipate di gente che con edificante pietà e con il rosario e il libro di divozione in mano si recava alle chiese. Per questi tre giorni in Barcellona non si trovano vetture, [93] sono fermi i treni nelle stazioni. Oggi neppure alla posta si dà corso alle lettere e tutte le fabbriche e botteghe sono chiuse. Solo al mezzogiorno del sabato santo si rompe questo religioso, silenzioso incanto. Il soldato spagnuolo ha obbligo di ascoltare ogni domenica la santa Messa”.

                Ricomparve l'ossessa del giorno 21. Smaniava come un demonio; ma nuovamente, ricevuta la benedizione, si riebbe, si strinse al petto e ripetute volte baciò l'immagine della Madonna e ringraziava Doli Bosco.

 

VENERDÌ SANTO 23 APRILE.

 

                Don Bosco trascorse la giornata nell'intimità con i suoi figli. I giovani la mattina stettero fuori; ma nel pomeriggio fecero lungamente compagnia a Don Bosco, che scherzava e passeggiava con loro nel cortile. Poi andò nei due giardini attigui, percorrendoli in lungo e in largo. Dopo visitò tutto il collegio, sempre accompagnato da alunni. S'informò così d'ogni cosa e fece vari progetti di costruzioni, proponendo la compera di un nuovo terreno adiacente.

 

SABATO SANTO 24  APRILE.

 

                Don Bosco celebrò nell'oratorio privato di Don Narciso. Stando in quella casa, udì i colpi di cannone che annunziavano l'alleluia pasquale. Fu quasi il segnale per la ripresa dell'affollamento. Già centinaia di persone lo aspettavano al ritorno, nè egli smise di ricevere se non alle tredici e mezzo.

                In seguito venne a conferire con lui un comitato di signori, che si occupavano dei preparativi per una conferenza salesiana. Ragionò con loro a lungo dell'Opera sua e del modo di sostenerla. Anche le signore del comitato femminile, radunate in una sala a parte, avevano desiderio di rivederlo; il Santo vi andò e le infervorò a perseverare nella loro caritatevole attività. Nel frattempo la fiumana della gente aveva inondato [94] il recinto e i pressi del collegio; parecchie migliaia di persone vi stavano agglomerate. Il riposo dei giorni antecedenti gli rese possibile prolungare le udienze fino a tarda ora.

 

PASQUA 25 APRILE.

 

                Una graziosa festicciuola accrebbe letizia alla Messa pasquale di Don Bosco: faceva la sua prima comunione una nipotina di Don Narciso  figlia di Don Emanuele Pascual. Quest'altro dovizioso e fervoroso cristiano amava molto i Salesiani, sicchè godeva di mettere a loro profitto la sua grande influenza e largheggiava con essi in carità. Contento che Don Bosco gli avesse comunicata la figlia, volle far stare allegri tutti i giovani della casa, regalandoli di chicche.

                Fra gl'invitati alla cerimonia vi era quel signor Montobbio, che aveva viaggiato con Don Bosco. Dopo la Messa prese parte egli pure alla refezione. Don Bosco sedeva al posto d'onore. A un certo punto trasse di tasca il fazzoletto da naso. Il signor Montobbio, usando della confidenza che il Santo gli dava, lo pregò di regalarglielo. Rispose: - Si, ma a patto che mi dia un pezzo di carta. Quegli comprese di quale carta parlasse; ma non avendo seco la somma che intendeva donargli, promise che sarebbe tornato da lui un altro giorno con la carta: intanto però gli lasciasse il fazzoletto. Don Bosco lo contentò. Il fazzoletto è oggi religiosamente custodito quale reliquia.

                Anche in sogno Don Bosco rivedeva l'Oratorio. Nella notte sul 25 gli era parso di essere presente a una conferenza tenuta da Don Lemoyne agli alunni della quarta e della quinta, e aveva notato come ne mancassero molti; sceso poi in Maria Ausiliatrice durante la Messa della comunità, aveva osservato una diminuzione considerevole nel numero delle comunioni; appresso, ricevuto il rendiconto dei giovani suddetti, aveva dovuto lamentare l'assenza di non pochi. Ordinò [95] di scrivere queste cose a Torino e di far sapere che al suo ritorno avrebbe palesato a ciascuno la parte da lui rappresentata nel sogno.

 

LUNEDÌ 26 APRILE.

 

                Alla Messa Don Bosco distribuì gran numero di comunioni, finchè, non potendo più reggere alla fatica, rimise la pisside ad un altro sacerdote, il quale dovette lasciare la balaustra e inoltrarsi nella chiesa fra la moltitudine, essendosi resa impossibile ai comunicandi la circolazione. Dopo vi fu un'invasione vera e propria. Basti dire che nel breve giro di un'ora egli vuotò sette grossi pacchi di medaglie, non dandone più di una sola a ciascuno.

                Che momento critico allorchè fece per salire in camera! Una barriera umana gli sbarrava il passo. Quei di casa si guardavano attoniti, non sapendo come venirgli in aiuto. Egli tuttavia sembrava la tranquillità in persona. Unico spediente parve il dare tanto di catenaccio al portone, affinchè almeno non s'entrasse più; quindi in parecchi si lavorò di mani e di piedi per aprirgli un varco. Bisognò armeggiare dalle dieci alle undici. Chiusolo poi in camera, vi s'introducevano le persone a quaranta o cinquanta per volta. Egli benediceva tutti in massa, dava a ognuno la medaglia, e via per lasciare il posto a un altro gruppo eguale. A dodici riprese si ripetè quella manovra, tanto da far passare coloro che si stipavano nell'interno del collegio; ma fuori rumoreggiava una moltitudine assai maggiore, di cui più tardi si regolò l'ingresso a fiotti, finchè scese la notte. Nella cappella Don Rua faceva ai giovani la sua prima predica in lingua spagnuola.

 

MARTEDÌ 27 APRILE.

 

                Un forte raffreddore interruppe bruscamente il relativo benessere di Don Bosco; tale incomodo però non lo distolse dal ricevere i seminaristi di Barcellona. Altro di notevole non [96] abbiamo da registrare per questo giorno se non la firma da lui apposta sotto una circolare invitante a conferenza Cooperatori e amici per il 30 nella chiesa parrocchiale di Belén[46].

 

MERCOLEDÌ 28 APRILE.

 

                Dovunque andasse, non mancavano mai a Don Bosco occasioni di farsi consolatore degli afflitti. Il signor Ramón de Ponsich, venerando vegliardo, ricco e senza figli, aveva perduto ai primi del mese la compagna della sua vita; onde non faceva che piangere. Ricusava di prender cibo e sonno, e si temeva che soccombesse a tanto dolore. Da lui medesimo, non che dai parenti, si sperava che una visita di Don Bosco gli avrebbe ridonato la pace. E Don Bosco si recò alle sette e mezzo del mattino nel suo superbo palazzo, non molto distante dal collegio di Sarrià. Ivi giunto, confessò il buon signore, disse per lui la Messa e gli diede la santa comunione. Dopo se ne stette a discorrere insieme per circa tre ore e pranzò con i suoi parenti. Quegli durante la giornata non pianse più e in seguito la sua afflizione era calma e rassegnata. Don Bosco gli scrisse poi da S. Benigno il 31 agosto, facendogli auguri per il suo onomastico e ricordandogli il suo proposito di favorire i Missionari della Patagonia. L'autografo è oggi molto logoro e quasi illeggibile, per essere stato usato come reliquia su molti infermi.

                È da contare anche un incontro un po' sui generis. Alcuni giorni prima era stato da Don Bosco un prete a dirgli in gran confidenza che la notte seguente sarebbe forse morto il parroco di S. Maria del Pino; aver egli già ricevuto il Viatico e versa  re in extremis. Essere la sua parrocchia più ricca di tutte le altre, anzi la migliore sotto qualunque aspetto. Chiedergli quindi una speciale benedizione che facesse riuscire lui al concorso. Don Bosco gli rispose: - Eppure questo parroco [97] mandò a me persone, le quali mi dicessero che, se io gli avessi fatta una visita, egli sarebbe guarito. Sento che è un eccellente sacerdote, uno di quelli dei quali la Chiesa presentemente ha gran bisogno. Io pregherò per lui e solo da pochi istanti gli ho mandato una medaglia di Maria Ausiliatrice. Sicchè facciamo così: ella pure unisca le sue alle mie orazioni, affinchè Dio faccia di lei e di questo parroco ciò che è meglio per la gloria sua.

                Per il concorso alla parrocchia si erano inscritti molti preti e parroci; ma rimasero tutti burlati, perchè il 28 aprile si seppe che, appena la medaglia toccò l'ulcere dell'infermo, egli, già spedito dai medici e con i suoi momenti contati, era uscito di pericolo e andava sensibilmente migliorando.

                Da indagini fatte nell'archivio parrocchiale della chiesa del Pino risulta che quel parroco si chiamava Francesco di Paola Esteve Nadal. Ora nei giornali dell'aprile 1886 si legge che il parroco del Pino Don Francesco Esteve era stato viaticato e nei registri dei morti presso la medesima parrocchia il suo nome compare sotto l'11 aprile 1889. Campò dunque ancora tre anni dopo la miracolosa guarigione.

                Un bel colpo di scena accadde quella sera. Nella camera di Don Bosco quaranta persone, benedette tutte insieme, gli sfilavano dinanzi per ricevere la medaglia, quando si levò un grido generale. Una donna rientrava ridendo in guisa da parere mentecatta e diceva: - Si facciano raccontare da queste qui il mio caso; io dall'emozione non posso parlare. Le indicate da lei erano due donne che l'avevano trasportata da Barcellona a Sarrià, perchè ricevesse da Don Bosco la solita benedizione. Precipitata per la scala di casa sua, erasi rotto un piede, che i medici disperavano di poterle curare. Allora invece, benedetta dal Santo mentr'egli andava su in camera, si era pochi minuti dopo rizzata in piedi senza bisogno di chi la sostenesse. Passato il primo stupore, pazza dalla gioia veniva gesticolando e gridando a quella maniera fra gli oh! e gli ah! di quanti l'avevano commiserata pocanzi. Il [98] Viglietti volò a chiamare Don Rua e altri, perchè fossero testimoni del fatto. Il suo nome era Rosa Tarragona y Doret, figlia di Giuseppe e Serafina de Pons de Orbyod, nativa questa di Urgel. Se n'andò a piedi e la dimane tornò ad ascoltare la Messa di Don Bosco, sentendosi benissimo, come se per l'addietro non avesse avuto alcun male.

 

GIOVEDÌ 29 APRILE.

 

                Don Bosco insieme con Don Rua e Viglietti si recò dal presidente del Banco di Barcellona, signor Oscar Pascual. Mentr'egli stava in quella casa, venne introdotta una signora per avere la sua benedizione. Da gran tempo le sue gambe erano irrigidite a segno che la poveretta non poteva fare un passo. Don Bosco le assegnò una preghiera da recitarsi fino a gennaio. Essa obbedì e al cominciare del nuovo anno cominciò a uscire e a camminare. Cosi scrisse a Don Viglietti il I° gennaio 1887 la signora Consuelo Pascual de Martí[47].

                Nel ritorno diceva: - Se io volessi aprire non solo i cuori, ma anche le borse e avere danaro quanto voglio, non avrei che da pronunziare queste vere parole: Se volete grazie da Maria Santissima Ausiliatrice, date e certamente riceverete; e chi più dà, più riceve. Ma questo non lo dico chiaramente per non spaventare e non indisporre le autorità tanto governative che ecclesiastiche.

                Le vicinanze del collegio somigliano a un gran campo di fiera. “Giungono a Sarrià, scriveva il Viglietti a Don Lemoyne, vengono al collegio e non trovando posto in casa, si seggono lungo i viali della strada e pei rivacci di questa fanno la loro colazione il loro pranzo e aspettano giorni interi per vedere Don Bosco. E dico vedere, perchè introdotti cinquanta o [99] sessanta per volta nella camera di Don Bosco per prendervi la benedizione e ricevere dalle sue mani una medaglia, poi non vogliono più allontanarsi. Io mi affanno, mi spolmono per far loro intendere che se ne vadano e lascino ad altri il posto. - Ma che cosa fanno qui? - domando. - Oh! vogliamo guardarlo, mi rispondono. È un santo! è un santo! - Lo contemplano, piangono e intanto al solo baciare i suoi abiti o ricevere la sua benedizione ottengono molte grazie di guarigioni. Oramai non posso più tener conto di tutto”.

                Una donna il 28 dolorava per un cancro; i medici le consigliavano di tentare l'operazione. Avuta la benedizione di Don Bosco e il dì seguente sottoposta a nuova visita, fu dichiarata fuori di pericolo, poichè l'ulcere si cicatrizzava. Fatti di tal natura si divulgavano in un baleno. “Ne parlano i giornali nelle loro colonne, continuava il Viglietti; il Vescovo con quelli che lo visitano, il clero coi fedeli, le famiglie coi parenti; ne parlano gli impiegati, i militari, gli operai. Di qualunque affare si tratti, il discorso finisce sempre per cadere lì”. Molti lo fotografavano, ritraendolo chi seduto nella sua camera, chi nel discendere sorretto le scale, chi all'altare nell'atto di distribuire la comunione. Nessuna meraviglia pertanto che il Vescovo, punto facile a infervorarsi soverchiamente, dimostrasse per l'Opera di Don Bosco un'ammirazione da far stupire. In una conferenza al suo clero si dichiarò tutto per Don Bosco.

                Questo stato degli animi era il miglior preparativo che si potesse desiderare per la conferenza, al cui allestimento si adoperavano i signori del Comitato. Divisi in più sottocomitati, visitavano le singole famiglie, raccoglievano offerte, inscrivevano nuovi Cooperatori e invitavano tutti all'adunanza. Don Manuel Pascual aveva dato loro una parola d'ordine, con la quale si salutavano a vicenda incontrandosi per via. Uno diceva: A solis ortu usque ad occasum. L'altro rispondeva: Salesiani sumus. [100]

 

VENERDÌ 30 APRILE.

 

                Quindici giorni di siffatta preparazione sortirono il loro effetto; fu anche una splendida dimostrazione di fede al cominciare del mese mariano.

                Benchè la conferenza fosse fissata per le quattro pomeridiane, il parroco di Belén dovette aprire al tocco, se non voleva che gli atterrassero la porta, e alle due e mezzo per evitare disgrazie bisognò chiudere. Migliaia di persone strepitavano inutilmente nella piazza e per le vie attigue. Nella chiesa, abbastanza vasta e fornita dì ben trenta capaci tribune, la gente stava pigiata oltre ogni dire.

                Don Bosco, che aveva pranzato in casa di donna Dorotea, giunse con la di lei carrozza. Non essendo possibile inoltrarsi per la navata, gli si aperse un'entrata dalla parte della sacrestia. Si assise nel presbiterio dal lato del vangelo, a destra del Vescovo, che aveva alla sua sinistra Don Candido, abate della Trappa francese di S. Maria del Deserto a Tolosa[48] e tutto intorno sedevano i dignitari del clero diocesano. In cornu episiolae presero posto le autorità civili e militari con parecchi Direttori di Società e di giornali. I Comitati dei signori e delle signore occupavano nella chiesa posti distinti; i primi portavano al petto le decorazioni. La Guardia cittadina a cavallo non resistette all'urto esterno: un'ondata di popolo ruppe una cancellata, oltre la quale però la porta rimase di bronzo.

                 La cerimonia sì svolse more solito, compresa la lettura preliminare di un capo della vita di S. Francesco di Sales. Il conferenziere, dottor Giuseppe Julià, nel prendere la benedizione del Vescovo, gli domandò: - Su qual pensiero dovrò maggiormente insistere? [101]

- Parlate, rispose Monsignore, della grande Opera di quest'uomo di Dio e fate comprendere bene la sua missione.

 - Che gliene pare, Don Bosco? chiese poi al Santo.

- Io, rispos'egli, non ho che da esclamare: Deo gratias!

                L'oratore rappresentò in Don Bosco l'inviato della Provvidenza alla Chiesa per i bisogni speciali del tempo, esaltò l'istituzione dei Talleres Salesianos e illustrò il bene che facevano i Talleres di Sarrià. Si cantò quindi la Carità del Rossini; poi Don Bosco volle far udire la sua voce. Fattosi alla balaustra, disse che avrebbe voluto avere la voce delle trombe di cui si parla nella sacra Scrittura per ringraziare i barcellonesi delle loro dimostrazioni di fede, di religione, di carità e di simpatia; annunziò che la mattina dopo nella medesima chiesa avrebbe celebrato la Messa per tutti gli astanti; comunicò d'aver ricevuto in giornata telegraficamente da Roma una speciale benedizione del Santo Padre per tutti i benefattori della sua Opera e per i presenti alla conferenza. Da ultimo il Vescovo, sceso dalla sua cattedra e postosi a fianco di Don Bosco, ripetè con robustissima voce in castigliano quello che il Santo aveva detto nella propria lingua. Donna Dorotea, presidente del Comitato femminile, e donna Antoñita de Oscar Pascual, tesoriera, stavano ad un tavolo riunendo tutte le limosine, che i giovani della Società Cattolica e le Cooperatrici con ordine ammirabile avevano raccolte nei vari punti della chiesa a ciascuno assegnati.

                Quando tutto fu terminato, si riapersero i battenti. Il Viglietti descrive: “La moltitudine invece di uscire si riversò smaniosa su Don Bosco. Ognuno voleva vederlo, toccarlo, avere un suo sguardo, udire una sua parola; vi fu perfino chi per toccarlo si gettava per terra allungando il braccio con pericolo di restare calpestato; ma coll'aiuto di poderose braccia presto si potè involare Don Bosco alla quasi indiscreta pietà dei presenti, perchè altrimenti chi sa che cosa ne avrebbero fatto. Salito in vettura con i suoi, questa, per soddisfare [102] alla volontà della gente, passava avanti alla chiesa, dove una folla immensa stava a capo scoperto attendendo il suo passaggio. E pensare che pioveva della meglio!”.[49].

 

SABATO I° MAGGIO.

 

                Il concorso alla Messa di Don Bosco nella chiesa di  Belém non fu minore che alla conferenza. Nell'atrio donna Dorotea e altre dame vendevano libri e oggetti di divozione a conto di Don Bosco e raccoglievano offerte. Finita la Messa, si ripetè la questua; poi Don Bosco benedisse gli astanti, ringraziando commosso i Barcellonesi di quanto avevano fatto per lui ed encomiandone l'edificante pietà. Il parroco si provò a dire qualche cosa; ma, proferite le prime frasi, si lasciò vincere dalla commozione e si limitò ad esclamare con uno sforzo di voce: - Abbiamo qui fra noi un santo, un inviato del Cielo! - La moltitudine andò in delirio, sicchè, spinto con violenza il cancello della balaustra, la piena traboccò dentro, mandando sospiri e grida che parevano il rumoreggiare delle onde del mare in tempesta. Don Bosco fu tratto in salvo a gran fatica e rinchiuso nella sacrestia.

                Per mezzogiorno accettò l'invito di Don Manuel Pascual. Durante il banchetto che non poteva essere più sontuoso, gli fece la proposta di dedicare una campana della chiesa del Sacro Cuore in Roma al ricordo della prima comunione ricevuta nel dì di Pasqua dalla sua figliuola. Per questo scopo egli aveva già pronta e lesse l'iscrizione, da lui composta[50]. Là, come in altre case patrizie, tutto quello che Don Bosco [103] usava o toccava, era considerato come preziosa reliquia; quindi è che si mettevano in disparte e religiosamente si conservavano bicchieri, posate, tovaglie e simili.

 

DOMENICA 2 MAGGIO.

 

                La moltitudine affollatasi ai Talleres salesiani era senza numero. Incominciò a giungere alle tre del mattino e continuò fino alle otto di sera, rimanendo non pochi digiuni tutto il giorno. Nei cortili e per le strade era un pienone. Fu impossibile dare subito udienze particolari; quindi Don Bosco andò sui poggiuoli delle camere attigue alla sua e lanciò la benedizione a migliaia e migliaia di fedeli. Sono spettacoli che è impossibile descrivere; bisognava vederli. Si piangeva, volere o no, alla vista di tanta fede, di tanta carità, di tanta religione! Ovunque poi Don Bosco andasse, già stava in pronto la lapide o il bronzo, sul quale scolpire a perpetua memoria del fatto la data della sua venuta.

                Per fare il breve tratto dalla camera alla chiesa andando a celebrare ci mise una buona mezz'ora. Sceso poi dall'altare, non potè nemmeno deporre la pianeta, chè la folla accalcata nel presbiterio lo bloccò, tirandolo in tutte le direzioni per baciargli la mano e i sacri indumenti. “Il male si è, dice il diario del Viglietti, che nella confusione e nell'entusiasmo rimane talvolta Don Bosco assai malconcio. Lo tirano, lo graffiano, lo portano via di peso; eppure Don Bosco conserva la sua tranquillità, anzi ride di questi entusiasmi e dice talvolta: - Mi fanno male, ma non importa, il pezzo più grosso rimane sempre attaccato” .

                Non sospese le udienze fino al tocco, quando il Vescovo e una quarantina di ragguardevoli invitati lo aspettavano per un'agape familiare. Le mense erano apparecchiate nel salone del teatro. Durante la sera più volte si ripresentò dall'alto a benedire la folla strabocchevole ammassata all’intorno. [104] Calata la notte, assistette ai fuochi d'artifizio. Fra le altre geniali sorprese apparve luminoso un suo ritratto con il vestito alla spagnuola.

 

LUNEDÌ 3 MAGGIO.

 

                La mattina del 3 maggio Don Bosco per quella bontà inesauribile che lo portava a fare sempre cosa grata a chicchessia, aderì ad un invito che dovette causargli qualche incomodo. Il signor Suñer, il sopraintendente della marchesa Moragas, già musico di camera alla corte di Napoleone III, era autore di varie composizioni musicali sacre e profane, che faceva eseguire da una schola cantorum da lui creata e diretta. Ora, egli desiderava che Don Bosco lo onorasse della sua presenza durante la prova di una sua Messa. Il Santo non seppe dirgli di no e sceso in cappella, assistette a tutta l'esecuzione. Don Viglietti scrive nel suo diario che l'esito fu felicissimo; ma si può ritenere che Don Bosco avesse la mente ad altro che non erano le melodie del canto.

                Quel giorno Don Luis Martí - Codolar diede nella sua villa un banchetto per festeggiare e onorare Don Bosco. Veline in persona a prenderlo verso le II con un cocchio tirato da sei splendidi cavalli e con cocchieri in livrea. Lungo il percorso fu un'ovazione continua.

                Quella villa era una sontuosità. I forestieri la visitavano per ammirarne le bellezze, e frequenti iscrizioni ricordavano la venuta di Principi e di Re. Vi si vollero anche i giovani del collegio. Sulle torri, poichè l'edifizio aveva l'aria di un gran castello, sventolavano bandiere con lo stemma del casato.

                Al suo arrivo gli mossero incontro la numerosa famiglia e i parenti. Gli alunni stavano raggruppati intorno alla loro banda musicale, che sonava la marcia reale italiana. Sulla porta d'entrata una grande scritta a fiori diceva: Viva Don Bosco. Ma il Santo stava a testa bassa nè vedeva l'apparato. - Veda, veda, Don Bosco, quello che hanno fatto [105] per lei, gli sì disse. Egli alzò il capo, guardò, sorrise e tornò a raccogliersi in se stesso.

                Nella sala dei concerti le figlie di Don Luis con una loro cugina lo salutarono al suo giungere con un'allegra esecuzione di violino, violoncello e pianoforte. Nel giardino una lunga tavola accolse i giovani, presieduti dai figli di Don Luis e dai loro cugini, nella sala da pranzo a una mensa con cinquanta coperti sedettero gli altri. Vi regnò tanta cordialità, che Don Bosco e i suoi avevano l'illusione di trovarsi come in famiglia.

                Uno dei commensali disse a Don Bosco: - Oh Don Bosco, bisogna che lei preghi, affinchè noi ci ritroviamo tutti uniti nel cielo, come siamo ora qui. - Il Santo, fattosi serio, lasciò cadere nel silenzio generale queste parole: - Io lo vorrei, ma non sarà così. - Queste parole causarono in tutti un visibile disagio. Ma Don Bosco per rasserenare gli animi riprese l'abituale sorriso e disse: - Ebbene, pregheremo la Madonna, che è tanto buona, ed essa aggiusterà le cose [51].

                Dopo il pranzo Don Bosco si ritirò in una camera per riposare. Più tardi vennero parenti di Don Luis per avere udienza da lui. In ultimo entrarono Don Luis e la sua consorte. Quello che colà passasse, nessuno lo seppe; ma quando i due coniugi uscirono dalla stanza, pareva che non potessero darsi ragione di quello che loro era accaduto e avevano gli occhi gonfi di lacrime; il Viglietti li udì esclamare: - È un santo! È un santo!

                Alle quattro Don Bosco discese con gli altri nel giardino, dove Don Joaquin Pascual, nipote di Don Luis, dispose un bel gruppo di tutti insieme per una fotografia a ricordanza di si felice giorno. In pochi minuti furono prese dieci fotografie differenti. [106]

                I ritratti di Don Bosco formano oggi una collezione numerosa e varia. Ve ne sono di tutte le età del suo sacerdozio e nei più diversi atteggiamenti. Orbene si è giustamente osservato[52] che in nessuno mai si, sorprende il menomo indizio, non che di orgoglio, ma di una tal quale sufficienza o di semplice vanità. La sua faccia “quadrata, energica, rude, franca e profonda”  appare negli ultimi anni “affinata dalla sofferenza” ; ma anche nel pieno del vigore spira sempre “bontà semplice e soave”. E poi “che autorità! che intelligenza! che fascino segreto!”.

                Come quell'operazione fu terminata si svolse una scenetta interessante. Quell'abate mitrato dei Trappisti che abbiamo incontrato alla conferenza nella chiesa di Belém, era in quei giorni ospite della famiglia di Don Narciso Pascual e fu tra gl'invitati; nel gruppo fotografico sedeva alla destra di Don Bosco. Si alzò dunque e parlò con tanto entusiasmo di Don Bosco e della sua missione che commosse tutti gli astanti. Toltosi poi dal dito l'anello e dal collo la croce abbaziale: Qui, esclamò, innanzi a questo uomo di Dio, non c'è autorità che valga. - E inginocchiatosi a' suoi piedi, ne implorò per sè e per tutti i presenti la benedizione. Tutti s'inginocchiarono e furono benedetti. Infine l'abate, come attesta Don Rua nei processi, fece tante e tali istanze per avere il zucchetto portato in capo dal servo di Dio, che, vintane la riluttanza, riuscì a strapparglielo. Egli si era fermato tre giorni a Barcellona espressamente per godere della presenza di Don Bosco. Il già suo segretario[53] ospite anche lui della nobile famiglia, scriveva al canonico Tournier di Tolosa nell'anno della beatificazione[54]: “Furono giorni preziosi quelli nei quali potei vedere il santo, parlargli, mangiare alla sua mensa. In un giro per il giardino ebbi la soddisfazione di [107] dargli il braccio, il che mi apportò tante benedizioni, senza contare la benedizione datami da Doti Bosco mentre stavo prostrato a' suoi piedi”.

                Don Bosco volle anch'egli vedere e visitare la sì decantata villa. Perciò, accompagnato da tutti quei signori, seguito dai giovani di Sarrià e sostenuto da Don Luis, percorse gran parte del giardino, soffermandosi a guardare la magnifica raccolta di uccelli acquatici e terrestri, e poi cammelli, cervi, orsi, elefanti, coccodrilli e altri animali esotici..

                Verso il tramonto prese commiato. “Parrà cosa singolare, scrive il Viglietti nel suo diario, eppure credo di non esagerare dicendo che in nessun luogo noi abbiamo incontrato tanto affetto e tanta venerazione per Don Bosco, quanto in codesta famiglia. Gli è Don Bosco stesso che oggi me lo diceva” . Prima di partire dovette assistere allo scoprimento di una lapide, destinata a ricordare l'onore della sua visita[55].

                Era facilmente previdibile che durante il giorno molta gente avrebbe cercato di Don Bosco nel collegio; si era quindi concertato la mattina che, a chiunque venisse, fosse presentato un foglio dove apporre la propria firma e che si dicesse come Don Bosco al ritorno, benedicendo quelle sottoscrizioni, intenderebbe di benedire i soscrittori, i loro parenti e le loro particolari intenzioni. Orbene, quand'egli rincasò, gli fu recato un voluminoso incartamento con non meno di settemila firme[56]. Questo però non valse a esimerlo dal presentarsi al balcone per benedire la moltitudine di coloro, che erano rimasti là in attesa.

                Per trasportare a Sarrià i tanti barcellonesi che vi affluivano, non bastavano certo le corse ordinarie del treno; negli ultimi giorni si triplicarono le partenze e talora attaccando due macchine, tanto era il carico. [108]

 

SENZA DATA.

 

                Vi sono alcuni fatti straordinari che non sappiamo a quale giorno assegnare, essendosene avuto contezza da relazioni assai posteriori; li presenteremo perciò qui tutti di seguito.

                Anzitutto, tre guarigioni. Una povera madre condusse alla presenza di Don Bosco una sua figliuola, che andava soggetta alla corea, volgarmente detta ballo di S. Vito, e lo supplicava di volergliela guarire. - Non sarò io a guarirla! rispose il Santo. Poi, fissando l'ammalata, le disse: - Sii molto divota della Santissima Vergine, recita ogni giorno un’Ave Maria, e non soffrirai più di questo male. - Una signora presente alla visita pregò nell'uscire quella madre che, se la fanciulla guarisse, gliene desse avviso. Passato qualche tempo, andò la madre stessa in persona a dirle tutta contenta che d'allora in poi la figlia era stata sempre benissimo.

                La medesima signora, tornando quel giorno a casa, fece visita a una famiglia Figueras, nella quale sapeva esserci una figlia a letto in gravi condizioni per frequentissime emorragie. Raccontò ivi quanto aveva visto e udito di Don Bosco e diede alla madre dell'ammalata una medaglia donatale dal Servo di Dio, raccomandandole di aver fede e di metterla al collo dell'inferma. Orbene da quell'istante le emorragie cessarono per sempre.

                Una cugina della stessa signora soffriva pure da più anni abbondanti perdite di sangue. Sentendo le meraviglie di Don Bosco, un giorno, piena di fede, disse a chi gliene parlava: - Io non ho bisogno di andare da lui; mi basterebbe ascoltare la sua Messa. - Infatti, ascoltata che l'ebbe, guarì completamente[57].

                Due altri fatti furono riferiti a Don Lemoyne da Don Filippo Rinaldi, che li aveva uditi da persone degne di fede, [109] quand'era Ispettore nella Spagna. Una signora, desolatissima per continui aborti, sfogò con Don Bosco il suo dolore. Il Santo la confortò e le disse: - Stia tranquilla. Da qui innanzi non sarà più così. - Cosa singolare! Ebbe ancora sette figli e tutti quanti vitali e vissuti.

                Un professore Dalman andò da Don Bosco in compagnia della moglie e dei figli. La signora portava in braccio un bimbo di uno o due anni. Padre e madre gli chiesero la benedizione e si raccomandarono alle sue preghiere, affinchè i loro figli divenissero perfetti cristiani. Don Bosco, alzati gli occhi al cielo, stette un minuto in raccoglimento; quindi, accennando ai più grandicelli, disse sorridendo: - Questi li faremo tutti religiosi. - Poi, voltosi al bambinello, ripigliò: - E questo per Don Bosco! - I genitori non fecero mai motto con alcuno di quelle parole, ma aspettavano gli eventi. Orbene uno dopo l'altro i figli più grandi si fecero religiosi in diversi istituti, fra gli altri, uno entrò nella Compagnia di Gesù, il più piccolo si fece salesiano.

                Un'altra predizione di Doli Bosco si avverò esattamente Si sentiva a Sarrià il bisogno che venissero le Figlie di Maria Ausiliatrice; egli pure ne riconobbe sul posto tutte le convenienze. Ora un giorno vide a breve distanza dalla casa una villa ben cintata e disse a Don Branda: - Quello è il luogo che dovrà servire per le nostre Suore. - Ma tutto sembrava congiurare in senso contrario. Le pretese erano così esorbitanti che dopo vani tentativi per farle ridurre si rinunziò a quell'idea e si pensava di provvedere altrimenti. Don Bosco insisteva sempre con il Direttore, perchè le Suore potessero andare presto a Sarrià. Ogni speranza pareva svanita, quando il proprietario improvvisamente morì e suo figlio, unico erede, risoluto di abbandonare un luogo la cui vista gli rinnovava del continuo l'acerbo dolore, di sua spontanea volontà offerse la casa a un prezzo mitissimo; inoltre si trovò subito chi sopperì alle spese di acquisto, sicchè le Suore non tardarono a prenderne possesso. [110]

                Un giorno ricevette un gruppo di signori sconosciuti, ai quali sul finire dell'udienza distribuì una medaglia; Ne aveva presa una manata a caso e l'ultimo rimase senza. Questi lo pregò di non volernelo privare. Don Bosco gli disse: - Lei ha abbandonato la vita religiosa. - Infatti egli era uscito dalla Compagnia di Gesù.

 

MARTEDI' 4 MAGGIO.

 

                Il giorno della partenza si approssimava e gli amici di Don Bosco sentivano già il dolore del distacco. Una cara dimostrazione commosse quanti vi si trovarono presenti. I nipotini di Donna Dorotea e i figli di Don Luis Marti - Codolar, una quarantina in tutto, sacrificando i loro piccoli peculii, portarono e consegnarono con le loro mani a Don Bosco chi cento, chi duecento lire e chi anche più. Egli riceveva sorridendo e dicendo a ognuno qualche parolina; infine invocò sopra di essi le benedizioni del Signore.

                Celebrò in casa Pons, dove prese anche la refezione dei mezzodì; quindi visitò le suore Ausiliatrici e il collegio dei Gesuiti. Con i Padri s'intrattenne per più di mezz'ora edificando a todos con su santa conversación, su dulzura y su humildad, scriveva a noi il padre Antonio Viladevall da San Miguel nell'Argentina il 25 giugno 1933. Quand'egli si accingeva a lasciarli, tutti quei religiosi gli baciarono la mano.

                Il venerando padre Viladevall ha un motivo personale per non dimenticare mai quella visita. Nel collegio egli insegnava matematica; ma un'ostinata laringite da alcuni mesi lo rendeva afono, sicchè invece di fare scuola era obbligato a far ripassare le cose già spiegate o a valersi di un alunno assai intelligente, che, standogli vicino pi esso la cattedra, ripetesse forte ai condiscepoli quanto il professore gli bisbigliava all'orecchio. Tutte le cure non davano il menomo risultato; ma il suddetto alunno fu lo strumento della Provvidenza. Si chiamava Giuseppe de Salas, di nobile famiglia. Parlò del [111] maestro alla madre e la madre espose il caso a Don Bosco, implorando, il suo aiuto. Don Bosco le diede una medaglia di Maria Ausiliatrice, perchè gliela portasse e gli dicesse di metterla in un po' d'acqua e di bere questa, pregando la Madonna di guarirlo. - Spero che lo guarirà - conchiuse. Il Padre seguì il consiglio, sebbene sin gran fe, come confessa oggi. Eppure la voce subito gli tornò nè avvertì mai più alcun residuo o sintomo del male. Perciò conserva tuttora la medaglia como oro en pano.

                Partito dal collegio dei Gesuiti, andò a confortare una contessa inferma e in seguito fece una visita all'ospedale fondato da donna Dorotea. A  Sarrià una marea di gente lo aspettava fin dal mattino. Passando in carrozza, vedeva molti saliti sui tetti delle case, altri sui muri di cinta e sugli alberi della strada. Secondo il consueto si affacciò al balcone e indirizzò alcune parole a quella turba, che applaudiva, gridava Viva Don Bosco e si prostrava al suolo per essere benedetta. La porta di casa si teneva saldamente chiusa, perchè sarebbe stato impossibile regolare l'afflusso e chi sa di quali vandalismi pii si sarebbe stati spettatori impotenti! Qualche sottrazione però non si potè evitare da parte di alcuni privilegiati, ai quali per debiti riguardi si concesse di entrare da Don Bosco. Quante volte in quegli ultimi giorni il segretario rifornì di nuova penna il calamaio o restituì al letto nuovi capi di biancheria!

 

MERCOLEDI' 5 MAGGIO.

 

                Don Bosco disse la Messa in casa di donna Dorotea, indu­giandosi fin dopo il mezzogiorno con la famiglia; poi visitò la  marchesa di Comillas. Là venne a prenderlo Don Luis Martí per condurlo alla chiesa di Las Mercedes. È questo un celebre santuario della Madonna, molto caro ai barcellonesi e meta di frequenti pellegrinaggi. Qualunque forestiero che sia credente, capitando a Barcellona, non parte senza recarsi a salutare Nostra Signora della Mercede; ecco perchè anche [112] Don Bosco alla vigilia di lasciare la città aveva divisato di andare colà a pregare e a ringraziare la Beata Vergine. Conosciutasi la sua intenzione, molta gente ne attese il passaggio per le vie, dalle verande e nella chiesa. Ricevuto all'ingresso da un folto stuolo di nobili signori, fu da essi accompagnato nel presbiterio e invitato ad accomodarsi in un posto speciale. Di fronte a lui un coro di giovanetti cantò con accompagnamento d'orchestra una Salve Regina; poi si compiè un atto che ben possiamo chiamare storico. Dobbiamo esporre prima gli antecedenti.

                Fra le amene e fertilissime colline, che cingono di splendida corona la metropoli catalana, una si aderge più alta di tutte, dominando non solo le circostanti valli e pianure, ma anche le città vicine. Non sarebbe facile immaginare un panorama più incantevole di quello che di lassù si gode; onde fu sempre luogo di gradito ritrovo ai cittadini e ai forestieri. La collina porta un nome ben singolare, poichè la si chiama monte Tibidabo. La sua altezza e la straordinaria amenità del sito hanno fatto sì che l'immaginazione popolare localizzasse ivi la terza tentazione di Gesù, dando corso alla leggenda che il demonio trasportasse lassù il Salvatore e mostrandogli tutti i regni del mondo, dicesse proprio su quella vetta: Haec omnia TIBI DABO, si cadens adoreveris me[58].

                Da pochi anni tutta la sommità dell'altura era venuta in possesso di uomini spregiudicati, che macchinavano di crearvi un lussuoso albergo che fosse allettante richiamo a gaudenti e vitaioli cosmopoliti ovvero di favorirvi l'erezione di un tempio protestante. A tali minacce sette buoni signori nel 1885 si erano accordati fra loro di farne acquisto per impedire che un luogo sì bello cadesse davvero in mano al demonio; compratolo, si sarebbe quindi studiato quale ne potrebbe essere l'uso migliore. Provvisoriamente intanto vi avevano eretta una cappella dedicata al Sacro Cuore di Gesù. [113]

                Or eccoci a Don Bosco. La sua presenza a Barcellona aveva fatto nascere l'idea di fargliene un presente, affinchè a tutti i mal intenzionati egli rispondesse con parole del Signore: Vade retro, Satana[59]. Uno dei proprietari vi si era opposto, dicendo di non sapere nemmeno chi fosse quel Don Bosco; ma Don Manuel Pascual gliene parlò con tanta eloquenza di particolari, che quegli fu preso da un arcano timore e rimase non solo senza parola, ma quasi senza respiro.

                Mentre dunque Don Bosco stava là in preghiera, si avanzarono verso di lui i detti signori, fecero dare lettura di un atto col quale gli cedevano la proprietà della montagna e rassegnarono nelle sue mani le carte relative. Il documento di cessione era scritto e ornato da valente calligrafo[60]. Glielo presentò a nome della Commissione il Presidente della Società di g. Vincenzo de' Paoli con queste parole: - A perpetuare il ricordo della sua venuta in questa città, i signori qui presenti si sono consigliati e di comune accordo hanno deliberato di cederle la loro proprietà del monte Tibidabo, affinchè la sua cima, che minacciava di cambiarsi in un semenzaio d'irreligione, sia consacrata con un santuario al Sacro Cuore di Gesù, per mantenere ferma e incrollabile quella religione che con tanto zelo ed esempio Ella ci ha predicata e che è nobile retaggio dei padri nostri.

                Allora Don Bosco, profondamente commosso, rispose: - Sono confuso dell'inaspettata e novella prova che mi date della vostra religione e pietà. Ve ne ringrazio; ma sappiate che in questo istante voi siete strumenti della divina Provvidenza. Quand'io lasciava Torino per venire nella Spagna, pensavo tra me: Ora che la chiesa del Sacro Cuore a Roma è quasi terminata, bisogna studiare qualche altro mezzo per onorare il Sacro Cuore e propagarne la divozione. Ed una voce intera mi rendeva tranquillo, assicurandomi che avrei [114] potuto qui soddisfare al mio voto. Quella voce mi ripeteva: Tibi dabo, tibi dabo! , o signori voi siete strumenti della divina Provvidenza. Col suo aiuto sorgerà presto su quel monte un santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; là avranno tutti comodità di accostarsi ai saliti Sacramenti e si ricorderà in eterno la vostra carità e la fede di cui mi avete date tante e sì belle prove.

                Commosse erano le sue parole e grande fu la commozione di coloro che le udirono. Benedetta la moltitudine e accompagnato nella sacrestia, scrisse il suo nome in un registro destinato a raccogliere le firme dei più ragguardevoli visitatori del santuario[61].

                Uscì da quel sacro luogo consapevole di essersi addossata un'impresa, della cui attuazione egli non avrebbe potuto vedere nemmeno il principio; ma quanto questa gli stesse a cuore lo diede a vedere subito fin dalla prima adunanza capitolare che si tenne dopo il suo ritorno la mattina del 26 maggio. Ricordati vari impegni assunti nella Spagna, proseguì: - Sul monte Tibidabo si potrebbe mettere il noviziato dei giovani spagnuoli destinati alle Missioni I Vescovi approvano, anzi sono entusiasmati del progetto. Intanto le cose procedono; il monte è donato. - Del voto di Don Bosco raccolsero religiosamente l'eredità i suoi successori Intanto prima che il mese di maggio fosse al termine, in vetta al Tibidabo sotto la direzione dei Salesiani e mercè il contributo di persone divote, spuntava dal suolo una cappelletta gotica, con la quale il divin Cuore avrebbe cominciato a prendere possesso del luogo[62].

                Da Barcellona Don Luis la riaccompagnò a Sarrià con la sua vettura. Gente alla partenza, gente per istrada, gente all'arrivo: scene commoventi in ogni dove, grida e applausi [115] da tutte le parti. La calma imperturbabile del Servo di Dio dava ansa alle folle, che mettevano a duro cimento il buon volere e l'energia di chi lo scortava.

                Dopo cena giunsero al collegio tutte le famiglie Pascual. Erano quattro e sembrava che gareggiassero in manifestare la loro affezione per Don Bosco. Le aveva spinte là il pensiero della sua imminente partenza. “Quelle famiglie erano tutte in lacrime”, scrive il Viglietti nel suo diario.

 

GIOVEDÌ 6 MAGGIO.

 

                Era l'ultimo giorno. Don Bosco celebrò al nuovo altare eretto nella cappella del collegio. Dopo la Messa, risalito in camera, benedisse la moltitudine che ad alte grida lo chiamava fuori. Fe' cenno di voler parlare. Succedette un movimento generale, un urtarsi alle spalle, un pigiarsi per arrivar ad afferrare quello che direbbe. Disse: - Spero di rivedervi tutti in Paradiso... Lassù non più l'udienza di un povero prete, ma di Maria Santissima in persona, del suo divin Figlio Gesù, e non più per pochi minuti, ma per tutta l'eternità.

                Le ultime udienze furono per le famiglie Pascual, che, nonostante i commiati della sera innanzi, non seppero resistere al desiderio di godere ancora una volta della sua amabile conversazione. “Commoveva, dice il diarista, vedere quei poveri signori e quelle signore aggirarsi per le camere, salutarci singhiozzando e non sapere come allontanarsi. Andavano sino alla porta, poi ritornavano addietro, rientravano, baciavano gli oggetti usati da Don Bosco. Ci risalutavano e, poveretti, non sapevano darsi conto di ciò che loro accadeva” .

                Don Bosco non aveva mai potuto parlare a tutti i giovani riuniti perciò dopo pranzo, all'ultimo momento, entrò in chiesa dove stavano raccolti per ricevere i suoi ricordi e disse loro poche parole, li benedisse e li salutò. Quei ragazzi si struggevano in lacrime. [116] Gl'impiegati ferroviari della linea di Sarrià desideravano anch'essi l'onore di averlo sul loro treno, essendo egli sempre andato e venuto in carrozza; perciò gli avevano preparato un vagone speciale e insieme con le loro signore, quando giunse, lo colmarono di gentilezze. Salirono con lui le maggiori autorità del luogo, non che vari Cooperatori e amici. Non c'erano Don Luis e Don Oscar Pascual. Sapendo che un visibilio di gente inondava la stazione di Barcellona, si fecero trovare con le carrozze alla penultima fermata, ricevettero Don Bosco e i suoi compagni e lo portarono per riposto cammino al treno di Francia, risparmiandogli così strapazzi ed emozioni.

                Presso il treno di Francia Don Bosco incontrò donna Dorotea con uno stuolo di signore e signori, convenuti per l'estremo commosso addio. Parecchi montarono con lui sul treno per scendere poi a una stazione distante circa due ore dalla loro città.

                Donna Dorotea, ritornando a Barcellona, riandava seco stessa le sante parole udite e le sante cose vedute in quelle settimane, nelle quali aveva fatto veramente da Maria e da Marta. Semprechè le era stato possibile, aveva ascoltato con serafica pietà la Messa del Servo di Dio e aveva accudito anche con le proprie mani ai servizi riguardanti la sua persona. Aveva financo chiamato pittori che adornassero la sala del suo palazzo, nella quale intendeva accogliere un tanto ospite, e partito ch'ei fu, la conservò come una reliquia, convertendola in cappella e rinchiudendovi in grandi armadi i mobili e gli oggetti da lui adoperati. Era poi stata cosa edificantissima vedere come la buona signora, che tutta Barcellona ammirava e venerava per l'eroismo della sua carità, se ne stesse davanti a Don Bosco umile come una bambina che non sapesse parlare.

                Due volte, in aprile e in maggio, Don Durando, come Prefetto Generale, inviò alle case salesiane relazioni sommarie del viaggio di Don Bosco nella Spagna. Della prima scriveva [117] monsignor Cagliero[63]: “La lettera di Don Durando fu letta e divorata dall'attenzione di tutti; e malgrado soffiasse un vento freddissimo, ci scaldò tutti di un santo entusiasmo, di nobile orgoglio per essere figli di un tanto padre”.

                Don Bosco dal canto suo in che pensieri avrà occupato la mente, allorchè fu solo, scorrendo fra sè e sè le vicende di quelle ventinove giornate così campali e così trionfali? A lecito argomentarlo da due parole sfuggitegli dalle labbra[64]. Un giorno a mensa uno dei convitati commentava dinanzi a lui quel ripetersi quotidiano di affollamenti, ed egli con tutta pacatezza e semplicità gli susurrò per tutta risposta: - Io non so perchè venga a vedermi tanta moltitudine di persone! - Quando poi nel seguito della conversazione il discorso cadde sull'opera salesiana di Sarrià, asserì con l'aria di dire una cosa da nulla: - I Talleres Salesianos daranno istruzione ed educazione a cinquecento fanciulli. - Obliare se stessi e intendere con salda fede allo svolgimento delle opere volute da Dio, ecco gli abituali pensieri dei Santi.

 

 

CAPO IV

Partenza dalla Spagna e ritorno a Torino.

 

                Più d'un lettore salesiano; giunto al termine del capo precedente, si sarà domandato perchè mai nel racconto del soggiorno barcellonese di Don Bosco, come del resto anche in quello della dimora parigina, non si sia fatta quasi menzione di Don Rua, che pure non dovette essersene stato ozioso a fianco del Servo di Dio. La colpa è in gran parte delle nostre fonti, ne' suoi riguardi pressochè mute. Bisogna però anche aggiungere che era suo costume eclissarsi e scomparire accanto a Don Bosco sì da non distrarre menomamente l'attenzione di chicchessia dalla persona del santo fondatore. Noi possiamo con tutta ragione ritenere che egli attendesse al disbrigo della stragrande di lui corrispondenza; che lo rappresentasse in atti di cortesia ed anche in faccende di rilievo, ma sempre a guisa di umilissimo segretario; che nella sua qualità di Vicario per il governo della pia Società si tenesse in quotidiana relazione d'affari con i membri del Capitolo Superiore, la quale attività si svolgeva naturalmente nell'ombra senza che nulla ne trapelasse ai vicini; che esercitasse il sacro ministero a pro dei confratelli e dei giovani della casa di Sarrià, specialmente confessando: ma la verità è che noi non ne sappiamo niente in modo positivo. E niente ne sapremo per il viaggio di ritorno.

                Accadde però negli ultimi giorni a Sarrià un fatto, che, ricordato allorchè Don Rua assunse la successione di Don [119] Bosco, servì a conciliargli la venerazione dei Cooperatori spagnuoli. Un bambino, spedito dai medici, non doveva più tardare molto a rendere l'ultimo respiro. I genitori, in uno slancio di amore e di fede, lo portarono a Don Bosco. Il Santo che non ne poteva proprio più, fece rispondere che andassero da Don Rua. Questi lo benedisse, e il moribondo guarì all'istante. Sul momento si considerò la benedizione di Don Rua come data in nome di Doli Bosco, al quale per conseguenza fu attribuita l'efficacia dell'intercessione; ma poi, diffusasi la notizia e ponderato il caso, si credette di dover riconoscere anche a Don Rua la sua parte di merito.

                I nostri viaggiatori non andarono la sera del 6 maggio oltre Gerona. Don Bosco aveva estremo bisogno di riposo e di quiete prima di esporsi a nuovi disagi e trovò un nido di pace nella casa del magnifico signor Gioachino de Carles, che con i suoi figli fu ad attenderlo alla stazione. Una folla sterminata circondava l'edifizio della ferrovia; ma il Santo, rivolto un saluto alle autorità religiose e civili che gli furono presentate appena smontò dal treno, venne fatto salire tostamente in carrozza e sottratto agli assalti della moltitudine. Il palazzo che lo accolse aveva ospitato già quattordici Sovrani, fra cui Amedeo di Savoia durante il suo breve regno nella Spagna. La famiglia, ammiratrice di Doli Bosco, stimò gran dono del cielo l'averlo anche per poco tempo nel proprio grembo. La camera assegnatagli è tenuta ancora oggi in venerazione, sebbene il palazzo abbia cambiato proprietario. Donato al Vescovo di Gerona, diventò sontuosa sede dell'Azione Cattolica.

                Come mai Don Bosco potè godere di sì aristocratica ospitalità lungi da Barcellona? A questa domanda risponde un testimonio vivente [1936], il vecchio parroco di Lloret de Mar, reverendo Giovanni Ferrès y Puntones, che allora aveva una mansione presso la nobile famiglia[65]. Don Gioachino, [120] primogenito di Gioachino de Carles, saputo che a Barcellona era arrivato un religioso in concetto di santo, pensò di andarlo a visitare. Il 24 aprile dunque, preso con sè il giovane Ferrès e recatosi alla casa salesiana di Sarrià, ottenne presto udienza da Don Bosco. Il loro colloquio durò a lungo. Nulla si sa di quello che si dissero; ma il Carles fu visto uscire contentissimo. La dimane questi ascoltò la Messa di Don Bosco nella cappella dell'istituto e ricevette da lui la comunione. Dopo una seconda udienza partì raggiante di gioia, perchè Don Bosco gli aveva fatto sperare una fermata in casa sua durante il viaggio di ritorno. La speranza divenne realtà. Allorchè un biglietto avvertì i signori Carles che il Santo sarebbe stato a Gerona la sera del 6 maggio, tutta la famiglia provò maggior contentezza che si se fosse trattato dei Reali di Spagna. Quindi palazzo messo a gala, gran banchetto nel più bel salone, camera di prim'ordine per l'ospite. Il nostro parroco descrive così l'impressione sua d'allora: “Don Bosco aveva statura media, occhi vivissimi, sguardo penetrante, il sorriso sulle labbra, una straordinaria attrattiva. Poseia el don de gentes. Bastava vederlo per dire che era un Santo. L'effetto sperimentato da me alla sua presenza era che, guardandolo, mi sentivo forzato a ripiegarmi sopra di me e a esaminare come stessi di anima”. Al suo partire lo vollero accompagnare fino a Cervere i signori Gioachino de Carles padre e figlio con i due figli minori Emilio e Edoardo. Breve fu la visita, ma durevole la corrispondenza epistolare.

                Data questa brevità della dimora, egli non potè fare nè ricevere molte visite. Ricevette fra gli altri il Vescovo monsignor Tommaso Sivilla, venuto il giorno appresso di buon mattino, tanto vivo desiderio aveva di vederlo. Osservando il sontuoso appartamento assegnatogli: - Come! esclamò al signor Carles che ve lo accompagnava. Per Don Bosco questo appartamento? - A cui quegli rispose: - Eccellenza, se ne avessi avuto uno migliore, glie l'avrei assegnato. - Partì alle otto e mezzo antimeridiane. Tutta la [121] famiglia de' suoi ospiti lo volle accompagnare fino a Port - Bou, accomiatandosi da lui con le più squisite significazioni di riverenza e di affetto. Rimasto solo con Don Rua e con Viglietti (anche Don Branda che l'aveva seguito fin là, era dovuto ritornare indietro) accettò con grato animo il pranzo preparatogli ivi da una buona signora, riprendendo poi nelle ore pomeridiane il treno di Montpelier, donde intendeva per la linea più corta far ritorno in Italia. Gli premeva di giungere presto a Torino, approssimandosi la novena di Maria Ausiliatrice; un presto relativo però, essendosi stabilito che egli procedesse per tappe, come consigliavano le sue condizioni di salute.

                Previa la fermata di un'oretta a Cette, della quale approfittò per salutare una ricca famiglia, compiè alle sei e mezzo l'itinerario della giornata, avente per meta Montpellier. Qui lo aspettavano a braccia aperte il Rettore del Seminario grande e gli altri superiori, che lo condussero a cena con i Seminaristi.

                La mattina dopo, 8 maggio, celebrò la Messa della comunità; poi diede udienza a numerose persone che dalle prime ore del giorno facevano ressa alla porta del Seminario.

                Verso le undici, invitato dalla Superiora, andò a visitare le religiose del Sacro Cuore. Vi era aspettatissimo. “Tout était en joie ce jour - là; on allait voir un Saint”, ci scrisse il 25 febbraio 1934 una delle superstiti, la quale proseguiva: “Molto si era pregato per ottenere quella visita, considerata come una grazia grande. E tale era in realtà il vedere e l'udire quel venerando vegliardo, i cui lineamenti, il cui accento portavano l'impronta di un'anima intimamente unita a Dio”. Stette là un quarto d'ora, assiso in un seggiolone e circondato dalla comunità, dalle educande e da un gruppo di signore. Parlò alcuni minuti; quindi cominciarono ad avvicinarglisi varie persone, che una a una gli confidavano le loro pene o gli chiedevano preghiere. Egli le ascoltava tutte con [122] bontà. Gli si appressò anche una fanciullina  che con le manine giunte e con gli occhi lacrimosi lo supplicò dicendo:

 - Padre, mi faccia tornare la mamma!

- Dov'è? le chiese il Santo.

- È morta, rispose la piccina.

- Lascia che se ne stia col Signore, le disse Don Bosco. Sta molto bene lassù.

                Facendosi tardi, avvertì a voce alta in modo da essere udito: - Non posso più ascoltarvi tutte. Vi darò la benedizione e pregherò che vi siano concesse le grazie da voi desiderate.

                La religiosa che ci fornì queste notizie, era ancora secolare. Un po' di vocazione la sentiva, ma quasi più in astratto per fede che per via d'inclinazione. Si trovava a passare qualche giorno nel convento, non punto decisa a rimanervi; la Superiora invece, per metterla al sicuro, avrebbe voluto che andasse quella sera stessa al noviziato. Allontanarsi così di botto dalla famiglia, senza far avvertiti i genitori, senza nemmeno salutarli, senza poter più godere neppure un giorno di quella vita da zitella che tanto le piaceva, era cosa che le scombussolava il cervello. In tale stato d'animo, allorchè Don Bosco, passandole vicino, la riunirò, si mantenne indifferente. La Superiora le fe' cenno di seguirla. Obbedì, scese lentamente la scala dietro il Santo e quando si fu nel giardino, la Madre la trasse dinanzi a Don Bosco, indicandole d'inginocchiarsi per ricevere una benedizione da lei non chiesta nè desiderata. Tuttavia obbedì ancora. Egli le pose paternamente la mano sulla testa che bolliva, e premendo forte le disse: - Povera figliuola, abbiate fiducia. Avrete molto da lottare, sì, molto... ma... - Il turbamento che la assalse in quell'istante, non le permise di udire le parole che tennero dietro a quel ma. Ebbene tutto si avverò alla lettera: lotte, contrasti, difficoltà personali ed estrinseche congiurarono a strapparle la vocazione; ma a quarantasette anni da tale incontro essa, chiamandosi felice della sua vita religiosa, attribuiva [123] questa felicità all'efficacia della benedzione e delle preghiere di Don Bosco.

                L'Eclair, organo cattolico del luogo, nel numero del sabato 8, rievocando le impressioni prodotte anche a Montpellier dalle cose che nel 1883 si narravano della visita di Don Bosco a Parigi, dava a' suoi lettori la notizia che le célèbre prêtre italien si trovava nella loro città e che la dimane avrebbe celebrato la Messa delle otto nella cattedrale. Questo annunzio mise in movimento la cittadinanza; una folla mai vista riempì assai prima del tempo la vasta chiesa. Al suo arrivo gli mosse incontro tutto il capitolo e il clero. Al vangelo il Vicario Generale parlò dal pulpito, raccomandando la questua a favore delle opere salesiane. Don Rua e Viglietti andarono in giro con il vassoio e ringraziavano gli oblatori con la frase rituale di Don Bosco: Que Dieu vous le rende. Finita la Messa, il Servo di Dio disse alcune parole alla moltitudine. “La sua voce lenta e debole, scrisse il citato foglio nel numero del 10, non domina l'uditorio; l'accento straniero lo mette fra noi a disagio, appare esitante nel suo dire”; ma “basta vederlo per sentire come un’emanazione soprannaturale che s’irradia da tutta la sua persona”.

                Preso un po' di ristoro nella canonica, si portò al monastero della Visitazione, dove s'intrattenne alquanto con le Suore radunate in una sala. Era gravemente inferma una suora, molto cara a tutta la comunità per le sue belle virtù. Le religiose lo pregarono di farle una visita, sperando un miracolo. Il Santo andò a trovarla; ma, raccoltosi alcuni istanti in atto di consultare la volontà di Dio, alzò il dito e mostrando all'ammalata il cielo: - Al cielo, al cielo! - esclamò. Infatti poco dopo rese l'anima al Signore[66].

                Prima di partire il Santo diede ivi stesso molte udienze. Per le dodici ritornò nel Seminario. Lo dirigevano i figli di S. Vincenzo de' Paoli, che avevano scelto quel giorno per [124] festeggiare il loro santo Patrono, stimando la presenza di Don Bosco il più bel numero del programma.

                Nel pomeriggio cominciò la processione dei visitatori; ne vennero tanti, che non fu possibile contentare tutti, e non si doveva turbare l'orario della comunità. Accadde un prodigio, del quale furono molti i testimoni. Una signora inferma, portata quasi di peso davanti a Don Bosco, ne ricevette la benedizione e guarì all'istante, sicchè tornò a casa facendo da sè la strada. Dalla sala delle udienze passato nella sua camera, egli per prima cosa si alleggerì delle monete d'oro e d'argento che gli sfondavano le tasche; onde in seguito disse scherzando: - A Montpellier se non accettavamo il danaro, ce lo tiravano dietro e stimavano che facessimo loro una grazia accettandolo.

                Rivide a Montpellier una sua cara conoscenza, il dottore Combal, che vi aveva la sua residenza[67]. Appena informato della venuta di Don Bosco, si affrettò a visitarlo fin dalla prima sera, rinnovando poi ancora la visita nelle due sere successive. L'ultima volta menò pure seco la famiglia, nè volle separarsi da lui senza esaminare ben bene le sue condizioni di salute. Uscito dalla stanza e incontrati Don Rua e Viglietti, confermò la diagnosi di due anni addietro. Don Bosco, ripetè egli, non ha altra malattia che un'estrema prostrazione di forze. Se Don Bosco non avesse mai fatto nessun miracolo, io crederei il maggiore di tutti la sua stessa esistenza. È un organismo disfatto. È ­un uomo morto dalla fatica e tutti i giorni continua nel lavoro, mangia poco e vive. Questo è per me il massimo dei miracoli.

                I chierici manifestavano per Don Bosco un'affettuosa ammirazione; a dar loro ascolto, avrebbero vuotato il seminario per correre dietro a lui. Dopo la cena si presentò ad essi in una sala. Non si reggeva più in piedi. Avrebbe desiderato parlare; ma la spossatezza era tanta, che dovette rinunziarvi [125] e limitarsi a benedirli tutti insieme. Nondimeno la sua semplice vista fu più eloquente ed efficace di qualsiasi discorso.

                Che una parente di Don Bosco vivesse a Montpellier, forse neppure gli era noto o fors'anche non se ne rammentava. Espatriato non sappiamo per qual motivo con la moglie, una Zagna, Francesco Bosco, figlio di Giovanni, zio paterno del Santo, aveva terminato prematuramente la vita a Marsiglia nel 1870, lasciando due figlie ancora bambine. Queste furono allevate a Montpellier nell'orfanotrofio delle suore di Nazaret  dove appunto si trovavano, quando arrivò il loro grande cugino. La maggiore, nata nel 1867, era ormai in età da dover decidere sul suo avvenire. Visitò Don Bosco nel Seminario. Non lo vedeva allora per la prima volta; poichè su gli otto anni la madre, andata a Castelnuovo, l'aveva condotta a lui in Torino[68]. Egli dunque, ricevutala con bontà commovente, le domandò che cosa intendesse di fare e n'ebbe in risposta che voleva farsi religiosa. - Sì, va bene, le diss'egli, guardandola con i suoi occhi penetranti. M'interesserò di te. - Quindi alla suora che la accompagnava, soggiunse: - Io assistetti negli ultimi momenti suo nonno, fratello di mio padre. Se tutti vivessero come lui, la morte sarebbe sempre bella come la sua. - La giovane entrò fra le Benedettine del Sembel presso Miols nel dipartimento dell'Héraut, professandovi nel 1893 e cambiando il suo nome di Paola in quello di Maria Eleonora[69]. Vi divenne poi Superiora e mentre scriviamo si trova nella badia di Pradines, nel dipartimento della Loire[70]. [126] La piena della gente aumentava d'ora in ora, turbando seriamente la tranquillità del pio luogo; onde il Santo decise di non prolungarvi di più la sua dimora. Perciò la mattina del io, fatto un po' di déjenner dalle Suore della Carità, che per mezzo dei loro Confratelli avevano potuto ottenere quel favore, partì per Valenza.

                Quell'ospitalità offertagli tanto cordialmente nel Seminario di Montpellier ebbe un seguito, del quale non potremmo non fare parola. Al signor Dupuy, superiore del Seminario, Don Bosco aveva mandato da Torino con i suoi ringraziamenti anche alcune pubblicazioni sue, fra le altre la Vita di S. Vincenzo de' Paoli. Quegli rispondendo il 2 luglio, dopo averlo ringraziato gli diceva: “Il Seminario di Montpellier serba ancora la più gradita impressione della sua visita; i buoni abitanti della città, che le fecero sì bella accoglienza, sarebbero disposti a rinnovargliela e io mi offrirei nuovamente a sorreggerla e a ripararla dall'assalto della folla. E sì che dovetti sudare un bel poco a contenere l'impeto del popolo, che voleva baciare la mano a un prete povero fra i poveri e pieno di acciacchi”. Ma tuttavia era rimasto con un grave rammarico. Avendolo lasciato interamente a disposizione degli altri, non erasi mai potuto procurare la comodità di discorrere con lui da solo a solo, mentre avrebbe avuto un gran desiderio d'interrogarlo sul metodo da lui usato per portare le anime a Dio. Gli aveva bensì domandato come facesse con sì scarso numero di aiutanti a governare tanti giovani, e Don Bosco gli aveva risposto che tutto il segreto stava nell'infonder loro il santo timor di Dio; ma di questa sua risposta il Superiore non era pago. “Il timor di Dio, osservava nella medesima lettera, è soltanto il principio della sapienza; io invece vorrei sapere quale sia il suo metodo per guidare le anime al sommo della sapienza, che è l'amor di Dio”.

                Quando gli si lesse la lettera[71], Don Bosco esclamò: [127] Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppur io. Sono sempre andato avanti come il Signore m'ispirava e le circostanze esigevano[72]. - Che cosa rispondesse o facesse rispondere, non si sa; ma certo queste parole nella loro semplicità vogliono dire molto. Esse non significano già che fosse suo costume come nota Don Fascie[73], andare senza saper dove, ma che non si era irrigidito in un sistema stereotipato, il quale “gli troncasse la libertà dei movimenti di fronte a nuove iniziative o a nuove esigenze”. Infatti il suo spirito eminentemente pratico rifuggiva dalle astrattezze. Un metodo veramente Don Bosco fece suo, il così detto metodo preventivo, ma traendone gli elementi dalla  “tradizione umana e cristiana” e dallo studio sull'animo dei giovani, lungi perciò dal campo della Pedagogia teorica.

                Sulla linea da Montpellier a Valenza s'incontra Tarascona, dove bisognava cambiare treno. In quell'attesa di circa mezz'ora, sparsasi ivi intorno la voce che quel prete vestito all'italiana era Don Bosco, la sala d'aspetto si riempì dì gente. Gli uni si vedeva che erano attratti da semplice curiosità, altri al contrario gli venivano a chiedere divotamente la benedizione.

                S'arrivò a Valenza verso le quattro pomeridiane. Il parroco della cattedrale, tutto affetto per Don Bosco e per i Salesiani, si trovò a riceverlo nella stazione e lo condusse a casa sua. Alla cena sedeva a mensa anche l'economo della grande Certosa di Grenoble, che conversò lungamente col Servo di Dio. Quel buon monaco sapeva pochissimo di Don Bosco e meno ancora della sua opera; ma il Viglietti riuscì in breve a catechizzarlo così bene, che egli partendo promise di ricordarsene e abbracciò tutti con la più schietta cordialità. Quel ricordarsene voleva dire che nelle rilevanti beneficenze largite ogni anno dal dovizioso monastero, ci sarebbe stato margine [128] anche per Don Bosco. Nè furono parole lanciate al vento. Infatti il 31 maggio si presentò all'Oratorio un monaco di quella Certosa che a nome del Priore portava a Don Bosco in dono cinquantamila franchi con una lettera piena di benevolenza per lui, nella quale il Superiore si dichiarava pronto a prestargli ogni servizio e a somministrargli ogni soccorso.

                Un pranzo d'onore fu imbandito dal parroco il giorno dopo, con larghi inviti di signori della città, fra i quali menzioneremo il Du Boys, biografo di Don Bosco, incontrato già da noi a Tolone[74]. In seguito Don Bosco fece visita alle Suore della Visitazione, alle Trinitarie e alle signore che lavoravano per i Missionari, dappertutto spargendo consigli, conforti e benedizioni. Alle otto della stessa sera vi fu conferenza nella cattedrale, che, sebbene vastissima, si gremì di popolo; ma Don Bosco cedette la parola a Don  Rua, il quale narrò la storia dell'Oratorio e poi con Viglietti andò per la chiesa a raccogliere limosine.

                Il giorno 12, come già il mattino antecedente, celebrò nella cattedrale. Dopo il vangelo, postosi a sedere, parlò a un uditorio numerosissimo, toccando in particolar modo della chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma; quindi si ripetè la questua, mentre Don Rua dalla balaustra distribuiva in grande quantità medaglie di Maria Ausiliatrice. Date udienze quante potè, Don Bosco si ritirò perchè era imminente l'ora di partire. Scoccavano le dodici, quando si lasciò Valenza per Grenoble, ultima tappa di Don Bosco in terra di Francia: ultima diciamo non solamente nel lungo viaggio fin qui descritto, ma oramai anche per il rimanente del vivere suo.

                A Grenoble la fama era precorsa. Sacerdoti e signori andati a riceverlo, vista l'aspettazione del pubblico, avevano divisato di condurlo dalla stazione alla chiesa di S. Luigi. Le vie e le piazze vicine riboccavano di gente, e dentro la [129] folla si accalcava in ogni angolo. Il parroco, vestito di rocchetto, gli venne incontro con tutto il suo clero fino alla porta e ad alta voce lo invitò a benedire i suoi parrocchiani ed a fare per loro una preghiera. Don Bosco accondiscese. Allora non ci fu più ritegno che valesse: la moltitudine, trasportata da una specie di frenesia, si gettò sopra di lui, sicchè bisognò circondarne vigorosamente la persona, affinchè non rimanesse schiacciato, ma potesse in qualche modo raggiungere l'altare. Per questo, non riuscendosi più a toccargli la mano o la veste, si vibravano da lungi le corone del rosario, tempestandolo di colpi sulle spalle, sul collo, sulla testa, sulle braccia; cosicchè tanto nell'entrare che nell'uscire fu assoggettato a una “pia flagellazione”, come si esprime nei Processi Don Rua, che gli stava daccanto[75]. Infatti alla sera aveva le mani tinte di sangue, gli doleva la faccia e accusava un dolore al braccio destro.

                Quando col tempo e con la pazienza s'arrivò a chiuderlo in carrozza, venne condotto nel Seminario maggiore con un seguito di ecclesiastici e di laici. I veicoli entrarono per la porta carraia, mentre i seminaristi stavano tutti affacciati alle finestre, ansiosi di vedere il Santo. Il Superiore, attorniato dal suo personale, lo ricevette a pie' dello scalone. Vedendolo affaticato e ansante gli disse:

- O Padre reverendo, lei sembra molto sofferente... Ma nessuno meglio di lei sa quanto la sofferenza santifichi.

- No, no, signor Rettore, gli rispose prontamente Don Bosco, quella che santifica non è la sofferenza, ma la pazienza.

                Sonata poco dopo la cena, entrò con tutti i superiori nel refettorio dei chierici, che, levatisi in piedi, applaudirono con entusiasmo, ed egli, giunto al suo posto, disse a voce alta ed in italiano: - Buon appetito! - Cosi fece poi anche tutte le altre volte.

                Servivano per turno alle mense quattro chierici. I quattro [130] di quella sera complottarono di trafugare e dividersi fra loro le stoviglie e le posate di Don Bosco; ma a coonestare il furtarello si quotarono un tanto ognuno per fare acquisto di un servizio nuovo uguale al trafugato. Così, al momento opportuno, piombarono sulla preda e si ripartirono la refurtiva.

                La prima giornata di Grenoble, 13 maggio, fu assai laboriosa. Infra Missam, celebrata nella cattedrale con l'assistenza del Capitolo che l'aveva ricevuto in corpo con la solennità del cerimoniale vescovile, Don Bosco parlò piuttosto lungamente al folto uditorio, mostrando come la sua opera rispondesse alle esigenze dei tempi. Seguì la solita questua.

                Dopo la Messa, mentre a piedi attraversava la piazza piena di gente e si dirigeva alla canonica, ecco un canuto vegliardo fendere la folla, raggiungerlo, gettarglisi in ginocchio davanti e supplicarlo di benedire lui e di pregare per la sua consorte. Tutta la città lo conosceva e l'aveva in venerazione; era il signor Paolo Lamache, uno dei sette che con l'Ozanam istituirono a Parigi nel 1833 la Società di S. Vincenzo de' Paoli, più nota sotto il nome di Conferenze. Stabilitosi già vecchio a Grenoble, aveva da più anni la moglie gravemente inferma; allora anzi la povera ammalata non poteva più ingerire alimento di sorta e i medici non davano più alcuna speranza. Il marito, uomo di fede, saputo che Don Bosco era là, veniva a tentare la prova estrema. Don Bosco, udita la sua accorata invocazione, si raccolse alcuni istanti in se stesso, come per consultarsi con Dio, e poi disse:

- Faccia per i poveri qualche cosa che le costi sacrifizio e sue figlie non hanno gioielli di famiglia, ai quali siano molto attaccate?

 - Sì, ne hanno, rispose.

- Ebbene, ripigliò Don Bosco, li offrano a Maria Ausiliatrice per le opere salesiane.

                La privazione era ben dura; tuttavia pochi giorni dopo quei tesoretti domestici prendevano la via di Torino. Don Bosco ricevutili fece telegrafare: “Otterrassi guarigione, se [131] utile alla salvezza eterna” . L'effetto fu che la signora Lamache guari e campò altri venti lunghi anni.

                Nella casa parrocchiale convennero i membri della Società di S. Vincenzo per rendergli omaggio ed esserne benedetti. Dopo, recatosi a visitare una benefattrice, vi si fermò a dare molte udienze. Per il pranzo s'andò fuori di città, nella villa del Seminario con tutti i chierici. Nel ritorno egli passò dalle religiose del Sacro Cuore; poi, rientrato nella sua dimora, continuò fin tardi a ricevere chi volle parlargli. Nell'ora della lettura spirituale che precedeva immediatamente la cena, non permettendosi più l'ingresso a estranei, si uni ai seminaristi per il pio esercizio; ma quella volta il leggere venne sostituito da una esortazione di Don Rua. Questi prese a ragionare sul tema dell'amor di Dio per noi. Scrive uno che fu presente: “Le sue ardenti parole rivelano in lui un'anima infocata. Più che meditazione era contemplazione, ma per il Santo diventò estasi. Grosse lacrime gli rigavano le guance e il Superiore, come se n'avvide, con la sua voce dolce e simpatica disse forte: - Don Bosco piange. -

                È impossibile esprimere l'emozione prodotta nelle nostre anime da quella semplice parola. Le lacrime del Santo furono ancor più possenti che gl'infiammati sospiri di Don Rua. Noi ci sentimmo profondamente scossi e riconoscemmo la santità al segno dell'amore, nè avevamo più bisogno di miracolo per manifestare al Santo la nostra venerazione, mentre di là s'andava nel refettorio”.

                Ed ecco che fecero. I seminaristi erano centoventi, e ognuno volle baciare la mano a Don Bosco. In un batter d'occhio s'intesero fra loro. Due gli si piantarono ai fianchi e gli presero le braccia per sostenerle; così lungo il portico fino al refettorio si succedevano due a due di qua e di là a baciargli le mani. Ora si noti che in Francia non si usa generalmente baciare, come costumiamo in Italia, le mani ai preti; il farlo è colà un atto che riveste il carattere di alta venerazione personale.

                Nacque appresso una gara per potergli parlare in privato. [132]

                Ecco un episodio. Il mattino seguente per tempo un chierico Edoardo Jourdan, sgusciando non si sa come dalle file, corse dov'era l'appartamento di Don Bosco e picchiò all'uscio della sua camera. Nessuno rispose, ma si fece innanzi il Viglietti, il quale gli disse che Don Bosco stava nella sala di lettura. Senza dire nè un nè due il chierico si volse da quella parte, seguìto da un compagno sopraggiunto lui pure non si sa come. In quel punto si apre la porta e Don Bosco viene fuori. Entrambi spiccano un salto e si gettano in ginocchio. Parlò per primo il Jourdan dicendo:

- Padre, io sono indeciso circa la mia vocazione. Mi dica lei che cosa debbo fare.

- Voi, amico mio, bisogna che veniate con me, rispose Don Bosco. Voi sarete salesiano.

                Anche l'altro lo interrogò sulla via da scegliere e ne ricevette per tutta risposta un gesto negativo della destra che voleva significare: - Voi no, non vi voglio. - Tanto nel dire al primo che nel fare no al secondo egli si espresse in modo egualmente categorico.

                Un'altra smania prese quei buoni seminaristi: tagliargli pezzetti della sottana o ricci dei capelli. I tentativi si facevano quando il Superiore presentava a Don Bosco le singole camerate. Parecchi vi andavano armati di forbici, ma all'atto pratico veni va loro meno il coraggio di adoperarle. Qualcuno tuttavia vi s'arrischiò; ma uno sguardo fulmineo del Santo incuteva timore. Vi fu uno più fortunato degli altri, al quale il colpo riuscì; ma Don Bosco se n'accorse e disse sorridendo al Superiore: - Signor Rettore, ella ha dei ladri qua entro. Il Rettore sbarrò gli occhi; ma fu l'allarme di un istante. Bella è l'osservazione di colui che abbiamo citato poc'anzi a proposito del lacrimare di Don Bosco; egli concilia ingegnosamente due cose tanto diverse, quali la severità di quelle occhiate e l'amabilità di questo sorriso. “Io sguardo severo, scrive, ante factum e il sorriso post factum. Nei Santi come in Dio la giustizia e la misericordia si danno un bacio ineffabile”. [133]

                Chi così commenta, è il chierico che ricevette da Don Bosco il no, dopochè al suo compagno era toccato il . A quest'ultimo nell'udienza della sua camerata il Santo replicò l'invito, nè parlava a sordo; infatti, recatosi per il noviziato a Marsiglia, egli divenne sacerdote e visse da ottimo Salesiano fino al 1923. L'altro, esercitato per più anni il ministero pastorale in diocesi, entrò nella grande Certosa di Grenoble, dove rimase fino alla cacciata dei religiosi dalla Francia. È il padre Pietro Muton, oggi vicario della Certosa di Motta Grossa in quel di Pinerolo; la sua relazione sulla dimora di Don Bosco nel Seminario di Grenoble contiene tante altre coserelle che si possono leggere in fondo al volume[76]. Ei vi tace però una particolarità, che raccontò nel nostro noviziato di Monte Oliveto[77]. Quand'era nel Seminario, correva pericolo di perdere la vista o per lo meno di non averne a sufficienza per continuare gli studi. Orbene, la prima volta che potè afferrare la mano del Santo, se la appoggiò, pieno di confidenza, su gli occhi, i quali come per incanto si rinvigorirono e ogni sua apprensione fu per sempre dileguata.

                La terza giornata di Don Bosco a Grenoble passò su per giù come la prima, con la differenza della pioggia, che, pur cadendo a catinelle non rattenne una fiumana di popolo dall'invadere la chiesa di S. Luigi, dove andò a celebrare, e poi la piazza e le vie adiacenti. Ricevuto al solito dal parroco e dal clero sulla porta, al vangelo fece un po' di storia della chiesa del Sacro Cuore a Roma. Dopo la Messa, udienze nella canonica, udienze presso la chiesa di S. Lorenzo da lui visitata, udienze nel Seminario. Alle otto di sera s'andò a S. Andrea per la pia pratica del mese mariano. Si faceva già scuro e una marea di gente rumoreggiava nella piazza, perchè in chiesa non poteva più entrare nessuno. Temendosi di qualche [134] disgrazia in tanto tramestio, Don Bosco scese dalla vettura e parecchi signori con a capo l'erculeo coadiutore Graziano, venutogli incontro dall'Italia, lo circondarono e gli apersero alla meglio un po' di passaggio. Il Servo di Dio era stanco da non poterne più; eppure volle dire al popolo qualche parola dalla balaustra e gli diede la sua benedizione.

                Se l'entrare nella chiesa non fu senza apprensioni, l'uscire diventò una paurosa impresa; con tanta e tale moltitudine irrequieta potevano succedere grossi guai. “Tanto Don Bosco quanto noi che gli eravamo insieme, scrive il Viglietti, non dimenticheremo mai quella sera. Io aveva i piedi pesti che mi sanguinavano; per non essere allontanato da lui dovetti aggrapparmi alle sue vesti. Il povero nostro padre, oltre all'essere stanco e pesto e malconcio dall'indiscreta pietà dei fedeli, aveva le mani livide. Lo hanno morso, gli hanno strofinato sul volto e sulle mani corone, crocifissi e medaglie” . Tuttavia per chi era au - dessus de la mêlée dovette essere un commovente spettacolo di fede.

                L'ultimo giorno, 15 maggio, non uscì dal Seminario se non quando fu l'ora della partenza. Celebrò la Messa della comunità e salutò i chierici. Non vide il Vescovo della diocesi monsignor Fava, perchè assente dalla città; Don Bosco però nel giungere si era fatto un dovere di recarsi all'episcopio in segno di devoto omaggio. Finalmente verso le nove col diretto d'Italia lasciò Grenoble, dando l'addio in perpetuo a quella Francia, della quale per tante guise aveva sperimentato la benevolenza e la generosità.

                Don Lemoyne raccolse la notizia di un fatto prodigioso avvenuto a Grenoble prima ancora che vi giungesse Don Bosco. Un tal signor Darberio aveva un figlio malato di male incurabile e, cosa più affliggente per la cristiana famiglia, restio a ricevere i sacramenti; si era perciò il padre rivolto per lettera a lui, supplicandolo di pregare Iddio che almeno toccasse il cuore a quel disgraziato. Don Bosco gli aveva risposto che suo figlio non solamente sarebbe guarito, ma al [135] suo passaggio per Grenoble gli avrebbe servito la Messa.

                E così avvenne.

                Si riferiscono al medesimo passaggio due lettere scritte a Don Bosco nel gennaio del 1888 da chi doveva ignorare in quali condizioni si trovasse allora il Servo di Dio. Nella prima, che è del 16, la signora Susanna della Brosse chiede un favore spirituale; ma per aprirsi la via alla domanda gli rammenta un favore temporale già da lui ottenutole. “Quand'ella, scrive la richiedente, passò due anni fa da Grenoble, mio padre soffriva per grave mal d'occhi. La S. V. si degnò di pregare per lui Maria Ausiliatrice, e nel giorno stesso gli occhi di mio padre erano guariti”.

                La seconda lettera con la data del 25 è di un giovane povero povero per nome Mario Faure, che gl'invia in offerta l'obolo di un franco e venticinque centesimi e che, uscito d'infermità, si raccomanda alle sue preghiere, perchè possa trovar lavoro. Orbene per richiamarglisi alla memoria, gli ricorda parecchie circostanze di un'udienza accordatagli a Grenoble, che cioè egli è quel tal povero giovane gobbo da lui ricevuto nella sua camera in seminario prima di andar a celebrare nella chiesa di S. Luigi e che aveva la madre inferma, e che il Servo di Dio gli donò una medaglia per essa, raccomandandogli di fare sino alla fine dell'anno questa preghiera al Sacro Cuore di Gesù: “Gloria al Sacro Cuore di Gesù ora e sempre e in tutti i secoli. Così sia”. Giaculatoria molto facile a ricordarsi, consigliata forse dal vedere la poca levatura del soggetto. Egli assicura d'aver fatto sempre la preghiera, ma nulla aggiunge sullo stato della madre. Piuttosto noi vorremmo che fosse rilevato il singolare tratto di bontà, con cui Don Bosco in un momento così intempestivo ricevette, ascoltò e confortò quel poveretto come se fosse un gran personaggio.

                Ed ora veniamo all'epilogo. L'II maggio da Valenza il Viglietti aveva scritto a D. Lemoyne: “Don Bosco al cui fianco mi trovo in questo momento, m'incarica di salutarla tanto [136] e di salutare tutti i Superiori dell'Oratorio e tutti i giovani e dir loro che sabato alle sei di sera spera di rivederli tutti in buona salute”. Questa comunicazione dopo sì lunga assenza e dopo la trepidazione comune per la sua preziosa salute durante un viaggio così faticoso mise in gran festa tutto l'Oratorio. Giunse quando mancava poco alle sette. Chi può de scrivere l'entusiasmo al vederlo comparire dalla porteria? Il primo entusiasmo per altro si cambiò tosto in commossa tenerezza all'osservare quanto si andasse incurvando sempre più nella persona[78]. Mentr'egli attraversava lento lento il cortile in mezzo a due ale compatte dei giovani che gli afferravano le mani per baciarle, uno dei segretari, vedendolo affaticato, volle por termine a quel movimento, respingendo i ragazzi; ma Don Bosco, che avvertì l'improvvisa pena dei più vicini, gli diede uno schiaffetto sulla guancia dicendo: - Perchè non vuoi che vengano a baciare la mano? Lasciali venire. - Così tutti ebbero quella soddisfazione, accompagnandolo poi con grida di gioia e con applausi, mentr’egli percorreva il ballatoio per andare alla sua camera. Dopo la cena una bella luminaria e grandi iscrizioni esprimevano il generale tripudio.

                Cadeva ai 16 di maggio il Patrocinio di S. Giuseppe, festeggiato nell'Oratorio specialmente dagli artigiani. Don Bosco per ringraziare la Madonna dei benefizi ricevuti nel suo viaggio volle non senza gran disagio celebrare la Messa in Maria Ausiliatrice al solito altare di S. Pietro durante la Messa della comunità, sicchè tutti ebbero la consolazione di vederlo a loro agio; poi a mezzogiorno per il pranzo scese nel refettorio dei Confratelli, dove gli si lessero da giovani e da superiori complimenti in prosa e in versi. Poichè Don Bosco parlava assai bene e gustava il piemontese, Don Fran­cesia, direttore degli studenti, lo salutò gaiamente in quel dialetto[79]. Alla fine Don Lazzero, direttore degli artigiani, annunziò che dopo le funzioni della sera i suoi avrebbero fatto [137] un'accademia da potersi intitolare: San Giuseppe e Don Bosco, pregava quindi i presenti a volerla onorare, ma a Don Bosco disse che non osava fargli l'invito, tanto più che il trattenimento si sarebbe fatto nel cortile; dover tuttavia essere un prezioso regalo per gli artigiani poterlo contemplare anche solo pochi istanti in mezzo a loro. Don Bosco rispose: - Se il tempo è bello e se l'aria non sarà troppo fredda, ci verrò.

                Ci andò difatti. Il Viglietti aveva avuto l'idea di mettergli prima al collo la medaglia datagli a Barcellona dalla Società Cattolica; la qual novità fu salutata da tutti con segni di grande allegrezza. Con le lodi a S. Giuseppe s'intrecciarono gli accenni ai viaggi di Don Bosco, al bene da lui operato, alla decorazione barcellonese e a tante altre cose che lo intenerirono fino alle lacrime. Anche gli operai cattolici di Borgo Dora, dei quali Don Bosco era presidente onorario, avevano mandato una rappresentanza con un affettuoso indirizzo da leggersi in pubblico[80]. Il Santo rimase così contento, che ordinò di copiare in pulito le cose lette, formarne un fascicoletto decoroso e mandarlo nella Spagna alla nobile famiglia Marti Codolar. “Così terminava, scrisse l'indomani Don Lazzero nella lettera citata, il bel giorno di ieri, bello per l'arrivo di Don Bosco fra noi, bello perchè Patrocinio di S. Giuseppe, bello perchè nella novena della nostra festa di Maria Ausiliatrice, bello ancora pel cielo limpido e chiaro dopo molto tempo che non avevamo più avuto giorno di così bel sereno”.

                Chi più d'ogni altro in Torino godeva del felice ritorno di Don Bosco era il cardinale Alimonda. Lasciati passare alcuni giorni, quando credette che Don Bosco si fosse rimesso abbastanza dagli strapazzi di quel viaggio, che fu giudicato da taluni “pia e sorprendente temerità”[81], la mattina del 18 maggio venne improvvisamente all'Oratorio per vederlo. Non fu la sua una vista di mera convenienza, ma di cordiale [138] amicizia, tanto che la protrasse per più di un'ora. Egli trovò purtroppo il Servo di Dio quale lo descriveva il 20 maggio Don Lazzero al Vicario Apostolico della Patagonia, “Mi domanderai: Ma come sta Don Bosco? Non istà male, ma ognor più diventa pesante, cioè le gambe s'indeboliscono sempre più e pare che il suo corpo pesi il triplo, non potendolo più reggere le sue gambe; a stento si trascina avanti a passo di formica. Di testa va ancor bene, di stomaco passabilmente; solo che giorno per giorno va diminuendo in lui la volontà di parlare; gode nel sentire gli altri a discorrere, e specialmente quando si espongono cose riguardanti le missioni, allora sta molto attento, e generalmente in queste cose prende la parola anche lui. Del resto noi ci auguriamo che possa andar avanti così ad multos annos”.

                Anche questa volta dunque Don Bosco, sebbene sembrasse in tale stato da non poter raggiungere la meta prefissa, nondimeno, secondando una sua persistente idea, senza consultare le proprie forze, senza tener conto della più ordinaria prudenza umana, si era spinto così lontano, e la Provvidenza l'aveva, come sempre, visibilmente assistito, facendogli superare ostacoli a comun giudizio insormontabili. Quanto bene spirituale operò nelle anime con l'efficacia della sua parola! Ma prescindendo da questo, noti che dagli aiuti materiali di cui pur tanto abbisognava, e dalla grandiosa offerta del Tibidabo destinato a essere il voto nazionale della Spagna al Sacro Cuore di Gesù, la sua presenza nella cavalleresca nazione fece sì che, come già in Francia, l'opera sua vi fosse universalmente conosciuta, acclamata e desiderata e vi prendesse poi in breve volgere di anni ampio e solido sviluppo, sì da uscire perfino incolume dai truculenti furori della rivoluzione comunistica che nel 1934 sconvolse e insanguinò tutto il paese[82].

 

 

CAPO V

Da Maria Ausiliatrice all'Assunta. Don Bosco nell'Oratorio ed a Pinerolo.

 

                LA festa di Maria Ausiliatrice acquistava d'anno in anno una popolarità sempre maggiore e sempre più estesa. Nel 1886 grande fu il concorso dei fedeli durante la novena, grandissimo alla vigilia, straordinario nel giorno della solennità. Con il numero c'era anche la vera divozione. Il salernitano Don D'Antuono, predicatore del mese mariano e della novena, disse d'aver predicato in chiese più vaste e dinanzi a maggior folla di popolo, ma di non aver mai visto tanto raccoglimento e tanta pietà.

                La presenza di parecchi Vescovi a Torino, recentemente consacrati, favori lo splendore delle sacre Funzioni, che per tutto il 23 si svolsero così solenni da sembrare che fosse il dì della festa; i pontificali del mattino e della sera contribuirono a creare quella illusione, tanto più essendo la domenica. Don Bosco celebrò all'altare di S. Pietro. Assistette alla sua Messa una serrata moltitudine di persone e gliela servirono il Presidente generale dell'Unione Cattolica Operaia torinese e il Presidente della sezione di S. Gioachino. I Soci di quest'ultima erano venuti in corpo a ringraziare Maria Ausiliatrice per il felice viaggio del loro Presidente onorario. Nel pomeriggio, due ore prima dei vespri, si tenne la conferenza salesiana. Don Bosco aveva lasciato sperare che avrebbe parlato; [140] ma all'ultimo gli mancarono le forze e ne die' incarico a Don Bonetti. Egli se ne stette ad ascoltare dal presbiterio, mirato e rimirato con commozione dagli uditori in quel suo atteggiamento composto e accasciato. Mentre poi si faceva la questua, accadde un episodio veramente singolare. Un operaio, che a furia di gomitate era giunto fino a lui, gli depose nelle mani dieci scudi dicendo: - Sono sei mesi che metto da parte questo po' di risparmio. Se lo abbia per i suoi poveri fanciulli.

                Quando il Servo di Dio uscì nel cortile dell'Oratorio, i Cooperatori lo attorniarono in gran numero con un affetto indicibile. “Chi non vide Don Bosco fra i suoi, fu scritto allora[83], non può farsi un'idea che cosa sia entusiasmo”. Che pena tuttavia vedendolo così lento a muoversi e così curvo nella persona! - Com'è invecchiato! - si esclamava. Il Viglietti scrive nel suo diario: “Don Bosco impiegò tre quarti d'ora per risalire in camera sua. Quanta gente! I più sono forestieri che vengono a ringraziare Maria Ausiliatrice pei favori ottenuti. Due volte Don Bosco diede la sua benedizione colle lacrime agli occhi a quella turba. È stanco, è senza fiato, è sfinito che cade; eppure vuole contentare tutti, parlare con tutti, a tutti chiedere notizie. È un martire”.

                Alla festa, benchè in giorno feriale, vi fu tanto concorso, quanto non se ne era mai visto nell'Oratorio. Il cardinale Alimonda fece assistenza pontificale alla Messa cantata da un Vescovo, e ritornò alla sera per la benedizione. Nell'interno dell'Oratorio convennero successivamente centinaia di sacerdoti e di laici, amici di Don Bosco, per rallegrarsi con lui e tenergli lieta compagnia. A mensa fecero corona da un lato all'Arcivescovo parecchi Vescovi e dall'altro a Don Bosco i conti Colle e vari Cooperatori italiani. Fin dal mattino si aggiravano per l'Oratorio e presero parte alle funzioni tutti i novizi di S. Benigno, condotti a visitare Don Bosco in sì bel giorno. Egli li volle vedere tutti assieme e nell'accomiatarli [141] disse loro: - Siete già molti, ma il noviziato sarà ancor più numeroso. Vi dò due medaglie, una per voi e una per chi volete. Ve la dò piccola, affinchè, se la mandate per lettera, non passi il peso. Vi dò anche la benedizione, affinchè come chierici e come preti possiate fare tanto del bene, e la dò pure a quei della vostra famiglia. Io mi ricorderò sempre di voi. - A sera avanzata il Santo s'intenerì tutto all'udire dalle sue, camere un grido immenso di Viva Maria Ausiliatrice che più migliaia di petti emisero ripetute volte dalla piazza del santuario, dinanzi allo spettacolo della cupola illuminata.

                Due giorni dopo la festa di Maria Ausiliatrice il Santo presiedette un'importante adunanza capitolare, a cui partecipò anche il procuratore generale Don Dalmazzo. Questi a nome del Ministro degli Esteri conte di Robilant, che ne aveva trattato con lui in via confidenziale per mezzo del commendatore Malvano, propose a Don Bosco la fondazione di una casa salesiana al Cairo. Il Vicario Apostolico monsignor Sogaro e il Delegato Apostolico monsignor Chicaro aver scritto al Ministro chiedendo i Salesiani; il Governo italiano aver già antecedentemente pensato a Don Bosco per questo oggetto, conoscendo benissimo quello che egli faceva e sapendo per esperienza che qualunque impresa egli si assumesse la conduceva a compimento; il Governo darebbe una grossa somma brevi manu, conservando sopra ogni cosa il più alto silenzio e lasciando ai Salesiani piena libertà di azione senza che dovessero dipendere da chicchessia; chiedere il Ministro l'apertura di una scuola al più presto possibile, cioè al principio del prossimo anno scolastico o al più tardi nel febbraio del 1887.

                Ma Don Bosco, dopo aver fatto notare che il Governo, quando si erano aperte le trattative per la Patagonia, non aveva mantenute le sue promesse, concluse: - Ora si dice che è cosa sicura. Ma non c'è pericolo che Di Robilant cada dal Ministero? Se ciò fosse, tutto andrebbe in aria.

                Don Dalmazzo rispose non esservi probabilità di mutamenti riguardo a quel disegno; darne assicurazione il Malvano, [142] che sarebbe sempre rimasto Direttore generale degli affari esteri nonostante il cambiamento del Ministro; e poi essere cosa conforme alle vedute del Governo, e non di un solo Ministro.

                Don Bosco disse: - Sono inclinato ad accettare e manderò al Cairo alcuni Salesiani, appena potrò. Bisogna per altro cercare un lestofante[84] che vada al Cairo, veda e faccia le trattative. Si dica che cercheremo di abbreviare il tempo per la nostra andata; che non dobbiamo però urtare con la Propaganda Fide, dalla quale non possiamo staccarci. Non faremo tuttavia parola dei sussidi che il Governo ci darebbe. Io intanto vi dico schiettamente che questa Missione è un mio piano, è uno de' miei sogni. Se io fossi giovane, prenderei con me Don Rua e gli direi: "Vieni, andiamo al Capo di Buona Speranza, nella Nigrizia, a Kartum, nel Congo; o meglio a Suakin, come suggerisce monsignor Sogaro, perchè c'è l'aria buona ". Per questo motivo si potrebbe mettere un noviziato dalla parte del Mar Rosso. Ma bisogna che la Propaganda non sia contraria ai Salesiani. Don Dalmazzo faccia sentire al commendatore Malvano, parlandogli accademicamente, quanti Italiani, abbandonati a certa immoralità, siano nell'America del Sud, in Patagonia, nelle Pampas, nell'Argentina, nel Chilì, nelle isole Ancud[85], e ciò per dimostrare quello che facciamo e quindi le necessità di sussidi.

                Il Capitolo non senza discussione accettò la proposta del Di Robilant, ma a patto che si facessero le cose a poco a poco, appena si potesse.

                Il cardinale Simeoni, nuovo Prefetto di Propaganda, sembrava che avesse ereditato dal cardinale Franchi, suo predecessore, la diffidenza verso le capacità missionarie dei Salesiani. Egli baciava perfino le mani a Don Bosco e gli dava familiarmente del tu; ma l'essersi opposto al desiderio di monsignor Sogaro di farsi salesiano pareva a Don Bosco un [143] indizio di quella scarsa fiducia. Era però “vero nostro amico, tutto per noi” , come si espresse allora Don Bosco, monsignor Domenico Jacobini, segretario di detta Congregazione, e a lui si deve se il Cardinale Prefetto scrisse il 26 febbraio 1887 a Don Bosco: “Con molto piacere ho sentito che V. S. è disposto di mandare in Egitto i Sacerdoti del suo Istituto per aprire una scuola la quale provveda all'istruzione ed educazione Cattolica della gioventù della colonia italiana. E desiderando che il progetto vada a realizzarsi quanto più presto sarà possibile, interesso V. S. di mettersi in diretta relazione col Vicario Apostolico Mons. Anacleto Chicaro, il quale ha sempre avuto il più grande impegno per questa scuola, onde togliere la gioventù italiana dall'ozio e dal pericolo di corruzione, che ivi incontra ad ogni passo”.

                Così le due Autorità, una per estendere l'influenza italiana all'estero e l'altra per dilatare il regno di Dio, s'incontrarono nella medesima opera buona; ma, dato il dissidio che divideva i due poteri, il tutto erasi svolto senz'alcuna intesa reciproca, e dalla parte italiana non per iniziativa del Governo, ostile alla Chiesa, ma per l'illuminato buon volere del Ministro piemontese. Questi aveva sui fondi segreti stanziato un milione per sussidio missionario; se non che, come si seppe più tardi da fonte sicura della famiglia Di Robilant, il Crispi, fatto cadere il Ministro, dispose di quella somma. Nell'Egitto inviò Don Rua i Salesiani dieci anni dopo, fondando l'istituto di Alessandria; per il Cairo bisognò aspettare fino al 1925.

                Un'altra circostanza ci richiama a Roma verso questa fine di maggio. Durante l'assenza di Don Bosco da Torino una lieta notizia aveva rallegrato i Salesiani. La Congregazione, per la morte dell'Eminentissimo Nina avvenuta il 25 luglio 1885, era rimasta senza Cardinale Protettore. Don Bosco fece istanza al Santo Padre perchè si degnasse affidare quest'ufficio al cardinale Laurenzi, al quale rese noto il suo desiderio e la sua domanda. Ma il Cardinale, manifestata al Papa la sua risoluzione di non accettare, ne informò il [144] Santo con una lettera piena di umiltà per la propria persona e di stima per lui e per la sua Congregazione[86]. Finalmente dopo otto mesi il Santo Padre con biglietto della Segreteria di Stato in data 17 aprile aveva nominato a quell'ufficio il cardinale Parocchi, suo Vicario in Roma. Al fausto annunzio il prefetto generale Don Durando telegrafò in nome di Don Bosco a Sua Eminenza ringraziamenti e promesse. Il Cardinale gli rispose telegraficamente che ai “nobilissimi sentimenti” espressigli avrebbe corrisposto con “sollecitudini degne di Don Bosco”. Il Santo a sua volta, appena ne fu informato, scrisse da Barcellona a Sua Eminenza, manifestando la propria gratitudine e il proprio giubilo, e ne ricevette questa risposta.

 

                                Superiore generale Rev.mo,

 

                Alla carità di V. R. ed a quella degli amati suoi figli attribuisco la loro consolazione per la mia nomina a Protettore della Congregazione Salesiana e ne li ringrazio.

                Veramente il succedere ad un Cardinale di tanti pregi quanti adornarono il compianto Em.mo Nina, succedergli gravato da tanti altri pesi, è affare non lieve e ben altri petti scoraggerebbe oltre il mio.

                Ma le preghiere del Venerando Don Bosco, quelle degli esemplarissimi ecclesiastici da lui radunati intorno al vessillo del Sales, mi affidano che per la debolezza del Protettore non sarà recata in compromesso la causa, non isvantaggiata l'utilità de' protetti.

                E con questa fiducia, di nuovo mi sobbarco all'onere lietamente, alle comuni orazioni del Superiore e dei sudditi raccomandandomi.

                Roma, 29 aprile 1886.

Umil.mo per servirla

L. M. PAROCCHI

Card. Protettore[87].

 

                Al Rev. Sup. Gen. dei Salesiani Don Giovanni Bosco (Spagna) Barcellona, Sarrià. [145]

 

                Dopo il ritorno di Don Bosco il cardinale Alimonda ebbe occasione in una sua corrispondenza con il cardinale Parocchi di toccare tale argomento, e questi gli scrisse molto amabilmente il 29 maggio: “Di questo Protettorato tanto più vado lieto, in quanto mi rende, in certa guisa, partecipe delle preziose fatiche di quell'uomo veramente apostolico, di quel portento di carità, che è il Superiore dei Salesiani Don Bosco”. Nello stesso mese il nuovo Protettore diede a divedere pubblicamente quali sentimenti lo animassero verso Don Bosco e i Salesiani nella conferenza da lui tenuta per Maria Ausiliatrice ai Cooperatori romani presso le nobili Oblate di Tor de' Specchi. Lamentato che all'adunanza mancasse “la gemma, più fulgida” che vi soleva riplendere altre volte e dar lustro alla Conferenza salesiana: che vi mancasse la “veneranda persona di quell'apostolo della carità moderna”, l'“ottimo e infaticabile Don Bosco” che avrebbe risposto a tante domande “con quell'amabile suo sorriso di fratello e di apostolo, con quell'accento di amico e di padre a tutti sempre propizio”: si addentrò nello studio dell'Opera salesiana, dimostrando coma la sua nascita e il suo svolgimento si dovesse attribuire alla fede e alla carità dell'Uomo di Dio. Illustrati questi due punti, si rivolgeva alle madri di famiglia, perchè con la carità ispirata dalla fede cooperassero a tanto bene, concorrendo specialmente all'erezione dell'ospizio del Sacro Cuore in Roma e al mantenimento dei giovanetti che crescevano su, speranze della religione e del Cielo[88].

                L'inferma salute non distoglieva Don Bosco da uno de' suoi obiettivi prediletti, qual era l'accrescimento della cooperazione salesiana. Nell'ultimo decennio della sua vita uno [146] de' suoi pensieri dominanti fu di moltiplicare i Cooperatori e rassodare la pia Unione con l'attirarvi autorevoli personaggi. Così nel mese di maggio fece spedire a tutti i Vescovi d'Italia che non l'avessero ancora, il diploma di Cooperatori, accompagnandolo coli, la collezione del Bollettino Salesiano. Parve quasi l'estremo suo saluto all'Episcopato italiano, per il quale in momenti critici erasi cotanto adoperato e al quale voleva che la sua Congregazione procedesse indissolubilmente unita. Dal 14 maggio al 19 luglio gli pervennero cinquanta risposte, di cui tre dai cardinali Melchers, Lodovico Jacobini e Capecelatro. Il pio Vescovo di Capua e dotto Bi­bliotecario di Santa Romana Chiesa considerava l'essere annoverato fra i Cooperatori salesiani “non solo come un onore ma come un vero benefizio spirituale”. I sacri Pastori ringraziavano, si raccomandavano alle preghiere di Don Bosco e spesso facevano voti, perchè i figli di Don Bosco andassero a lavorare nelle loro diocesi, delle quali descrivevano le lacrimevoli condizioni religiose[89].

                Il 2 luglio, essendosi discusso nel Capitolo Superiore sul modo migliore di allestire la spedizione del Bollettino e sull'ordinamento da dare ai Cooperatori, il nostro Santo parlò così: - Il Bollettino non è solo il mezzo principale, ma:il necessario per la Congregazione. I Cooperatori sono per noi un puntello incrollabile. Bisogna perciò pensare a organizzarli. Non correre però, ma aver pazienza in queste cose. Dallo stabilire i Decurioni al mettere in pratica tutta l'organizzazione ci corre un gran divario. Bisogna andare adagio. Se si promuoverà con ordine e regolarità il Bollettino e la Società dei Cooperatori, la nostra Congregazione non mancherà di mezzi materiali. - Il Bollettino aveva allora una tiratura di quarantamila copie: la spesa annuale per stampa e francobolli, senza tener conto del mantenimento del personale, ammontava a venticinquemila lire. In quel decennio risultavano [147] entrate per il Bollettino lire novecentomila. Il primo passo per l'organizzazione dei Cooperatori doveva consistere nel costituire le Decurie in ogni parrocchia pregando i parroci a indicare l'individuo da potersi eleggere a decurione e nel nominare per le grandi città, dove abbondassero le decurie, un Direttore che fosse un canonico delegato dal Vescovo. Nel fare tutto questo bisognava evitare due scogli, di apparire troppo invadenti e di stornare la carità locale; ecco perchè Don Bosco raccomandava di agire con calma e con prudenza.

                I Prelati anzidetti, appartenendo quasi tutti a diocesi assai remote da Torino, scrivevano a Don Bosco persuasi che egli godesse tuttora buona salute e quindi continuasse ad agire nella piena efficienza della sua attività personale; ma noi: sappiamo quanto le sue forze andassero declinando. In certi momenti si sentiva talmente oppresso da non poter più articolar parola. Tuttavia la sua presenza di spirito non lo abbandonava mai. Una volta che aveva il respiro molto affannoso disse ridendo: - Chi sa se si potrebbe trovare in Torino un buon fabbricante di mantici.? Ne avrei bisogno per respirare. - Nel giorno di - - Varia Ausiliatrice, mentre, oppresso dalla folla, era quasi senza fiato e stentava a reggersi in piedi, volto al segretario, gli sussurrò all'orecchio con affettata aria di mistero: - Chi sa se due pugni per divozione si potrebbero dare? - Una sera il Viglietti, accompagnandolo in camera all'ora del riposo, gli manifestò il timore di avergli alleggerite soverchiamente le coperte e che perciò nella notte egli potesse aver freddo. - Oli, bene, gli rispose, potrai mettermi per copripiedi le scarpe. - Sono piccole cose, se si vuole, ma che rivelano l'abituale sua tranquillità interiore, non sopraffatta mai da incomodi fisici o da molestie esterne.

                Nel pomeriggio del 7 giugno ordinò a Viglietti di far preparare la vettura, perchè voleva ripigliare le sue passeggiate giornaliere, impostegli dai medici. S'andò quella sera sul viale di Rivoli e, passato il dazio, scese per fare un po' [148] di strada a piedi. Parlò di varie cose, fra le altre di coloro che nelle Congregazioni religiose tengono l'ufficio di tesorieri, hanno cioè, com'egli si espresse, la parte di Giuda nel sacro collegio, e notò, come troppo spesso questi tali finiscano male prevaricando. Era di quei giorni il triste esempio dato dall'Economo dei Fratelli delle Scuole Cristiane. - È per questo, proseguì, che io fili da principio della mia carriera feci voto di non tenermi danaro in tasca. Subito, mali mano che viene, so dove impiegarlo. Sono sempre carico di debiti, eppure si va innanzi.

                Un'altra sera, tornando a parlare di amministrazione materiale, fece questa osservazione: - Quando si ricevono in casa di quei signori che furono prima ricchi o nobili di famiglia, o ebbero qualche grado o impiego in società e che sono scaduti dal loro primo stato, non si adoperino mai come amministratori nelle cose nostre, ma come servitori o semplici segretari.

                Anche nella vita di Don Bosco ci sono casi di creature irragionevoli che entrano in dimestichezza col Salito. In una di quelle passeggiatine, camminando egli fra Don Lemoyne ecco un passerotto volare innanzi a lui e saltellare sul suolo. Quindi spiccò un  volo e gli sì posò sulla spalla destra. Poi spiccò un secondo volo, fece un giro per l'aria e ridiscese fermandosi sulla spalla sinistra. Finalmente si sollevò in alto e disparve.

                Egli pure, come si legge di altri Santi, guardava con occhio di bontà le creature di Dio. Nel novembre del 1887 un giorno durante il pranzo si sentì il ronzio di una mosca. Don Bosco chiese che cosa ci fosse. Alcuni, avvicinatisi alla finestra per vedere, gli risposero che un ragno, piombato sopra una mosca, la legava con i suoi fili.

- Liberatela, liberatela, poveretta! esclamò con viva ansietà

- Oh lasci un po' che vediamo come vada a finire, rispose uno. [149]

 - Ma no, ma no!... Non mi piace così... Se non la liberate voi, vengo io. Mi fa troppo pena.

                E benchè così stremato di forze da aver bisogno di chi lo sorreggesse, fece atto di alzarsi. Ma per contentarlo fu subito liberata la mosca.

                Egli pativa disturbi anche durante il sonno. Certe notti sognava mostri che lo assalivano e vedeva gatti diventar leoni, e serpenti cambiarsi in demoni. Una notte gridò a lungo, chiamando talora Viglietti. Questi che riposava nella stanza vicina, da prima esitava a svegliarlo; ma poi, temendo che tali grida e agitazioni potessero causargli nocumento, entrò nella sua camera e lo destò. - Grazie, caro Viglietti, gli disse allora; mi hai reso un bel servizio. Ho sogni che mi spaventano e mi stancano tanto!

                Una cara visita gli fecero il 21 giugno i dugentotrenta giovani del collegio di Borgo S. Martino, condotti dai propri superiori a premio della lodevole condotta che in generale avevano tenuta nel corso dell'anno scolastico. Attraversarono le vie della città in colonna per quattro, ammirati per il buon ordine e il buon contegno. Nell'Oratorio fu notata la loro grande docilità e compostezza. Don Bosco li vide tutti riuniti nello studio, dove ascoltò la lettura di qualche indirizzo. Alle loro testimonianze di affetto rispose con molta tenerezza, dicendo che egli portava sempre un grande amore alla sua casa secondogenita. Accennando a questa gita, Don Lazzero scriveva[90]: “Il Collegio di Borgo S. Martino è sempre florido”.

                Se il giovedì seguente 24 non fosse stato Corpus Domini, il collegio di Borgo avrebbe scelto quel giorno per il suo viaggetto; d'altra parte quella ricorrenza non impedì all'Oratorio di festeggiare l'onomastico di Don Bosco. Era parso ai Superiori d'intendere esser desiderio di Don Bosco che quell'anno si facesse una festa di S. Giovanni più bella del solito. Di una [150] ragione si resero conto da sè, un'altra la compresero dopo. Le cose dell'Oratorio, dacchè vigeva il nuovo sistema della doppia direzione, non camminavano come si sarebbe sperato, massime nella sezione degli studenti; a rialzare il tono della vita domestica avrebbe giovato certamente una bella festa di famiglia, che avvicinasse ognor più i giovani a Don Bosco e ai loro superiori. L'altra ragione era la presenza di personaggi stranieri, che avevano già assicurato a Don Bosco il proprio intervento; anche per riguardo ad essi conveniva dare alla festa un apparato di solennità che piacesse agli ospiti, li edificasse e mostrasse in atto una caratteristica della vita salesiana, che è gioconda vita di famiglia. Conoscendosi dunque l'intenzione del Santo, nulla si risparmiò per ben secondarla e a detta dei presenti le cose riuscirono a meraviglia e tornarono di compiuta soddisfazione.

                Un personaggio che nessuno aspettava, arrivò improvvisamente all'Oratorio verso le due pomeridiane della vigilia, quando già la casa presentava il gaio aspetto della circostanza: il Presidente della repubblica peruviana con suo figlio. Essendo in viaggio per Parigi, volle impiegare il breve tempo di una fermata a Torino per visitare Don Bosco e l'Oratorio. Il chierico Viglietti, - che parlava speditamente lo spagnuolo, gli fece da cicerone. Padre e figlio si mostrarono entusiasmati e si dissero desiderosi di ritornare per osservare tutto a miglior agio; intanto pregarono con affettuosa insistenza Don Bosco, che pensasse a una sua fondazione nel loro paese. Nel Perù il nostro Santo era conosciuto attraverso la Biografia scritta dal D'Espiney e tradotta nel 1884 dal padre Luigi Torra. L'attenzione generale nel Perù, come in genere presso le repubbliche americane, era attratta specialmente dalle scuole professionali per i figli del popolo. I Salesiani andarono a Lima tre anni dopo la morte del Santo.

                Partiti i Peruani, ecco giungere due altri ospiti, che erano vivamente attesi: il signor Gioachino de Font, segretario dell'Associazione cattolica barcellonese, e il conte di Villeneuve [151] Flayosc, presidente di società agricole nella Francia meridionale. Alla consueta accademia della vigilia, quali rappresentanti dei loro paesi, quei due signori sedettero ai fianchi di Don Bosco. Del programma il numero più notevole fu la presentazione della vita di Mamma Margherita, scritta da Don Lemoyne. L'autore accompagnò quell'atto con un suo sonetto, nel quale definiva il libro come il più bel mazzo di fiori che si potesse offrire a Don Bosco nel suo onomastico un mazzo cioè formato con le sempre olezzanti virtù della sua santa genitrice[91].

                Il 24 disse la Messa all'altare di S. Pietro. Ricevette nella mattinata la rappresentanza degli ex - allievi, che gli offersero un paramentale rosso broccato in argento. Interprete dei comuni sentimenti fu il geometra Giacomo Belmonte. Nel suo discorsetto, che venne dato alle stampe[92], il caro ricordo dei tempi lontani ci è fatto rivivere da questi periodi: “Ognuno degli antichi allievi conserva una cara memoria dei giorni trascorsi sotto la paterna direzione del nostro amatissimo Don Bosco. Ora adulti, se nelle molteplici loro occupazioni si sentono talvolta affranti dalle difficoltà, contrastati dalle circostanze, loro viene in aiuto la memoria benedetta di Don Bosco, che a tempo seppe loro insegnare colla parola e coll'esempio la costanza nel lavoro, nei propositi, e la cristiana magnanimità. Quanti, per non dir tutti, contano i giorni trascorsi in quest'aura di pace e di religione, di studio e di lavoro, tra i più belli della lor vita! La memoria della loro giovinezza va congiunta sempre colla immagine del Superiore affettuoso che lasciò traccia incancellabile di sè nella loro esistenza. E il numero di quelli che, adulti, rimpiangeranno i giorni felici passati sotto la cura di così buon Padre va ognor crescendo. Gli allievi che ogni anno, finiti i loro studi o appresa la loro arte, si diffondono pel mondo fan sì che oramai [152] non vi è paese ove non si senta parlare di Don Bosco”.Don Bosco rispose con grande affetto e con lacrime di paterna riconoscenza.

                Seguìto dagli ospiti e dai membri del Capitolo Superiore, scese per il pranzo nel refettorio comune. L'ultima dimostrazione, la seconda accademia dinanzi a un pubblico numeroso, fu amenissima per canti, suoni e letture. L'Unione Cattolica Operaia torinese vi proclamò suoi soci onorari i signori di Villeneuve e di Font[93]. Un'imponente corona di lauro fantasticamente illuminata recava intrecciati in tanti rami i nomi di tutte le case di Don Bosco. Alla fine il Santo dovette limitarsi a ringraziare e salutare con un ampio gesto delle braccia e con un sorriso pieno d'ineffabile tenerezza.

                Il Cardinale questa volta non potè intervenire pubblicamente, anche perchè le cerimonie del Corpus Domini lo tennero occupato; ma verso le diciassette volle visitare Don Bosco, rimanendo con lui due ore.

                I Confratelli d'America, misurato bene il tempo, arrivarono con le loro lettere al momento opportuno. È cosa che intenerisce il leggere quelle espressioni veramente filiali; per darne un saggio dovremmo ripetere il già detto altrove. Come si vede che il ricordo di Doli Bosco viveva perenne nei loro cuori, bastando da solo a mantenerli uniti, a incoraggiarli nella difficoltà, a suscitare fra essi una santa gara di apostolato! Certi uomini provvidenziali Dio li ha resi non solo potenti in opere e in parole, ma ricchi anche di attrattive per cattivarsi l'amore dei loro soggetti e ausiliari.

                Parve che perfino Maria Ausiliatrice dal cielo si compiacesse di allietare maggiormente un sì fausto giorno. Don Confortóla, già Direttore della casa di Firenze e allora trasferito a Roma, stava per soccombere vittima del vólvolo. Un telegramma del 23 implorava per l'infermo benedizione [153] e preghiere. Doli Bosco rispose telegraficamente che pregava e faceva pregare. La mattina del 24 un secondo telegramma di Don Dalmazzo era così concepito: “Viva S. Giovanni. Don Confortóla dopo benedizione sua come risuscitato. Buona festa”. Il medico che lo credeva già morto, vedendolo in piedi presso il suo letto, esclamò - Ecco un fenomeno che la scienza non sa spiegare.

                Di un altro fatto, nel quale sembrò doversi scorgere la mano di Maria Ausiliatrice, giunse notizia a Don Bosco nei medesimi giorni. Una spaventosa eruzione dell'Etna aveva gettato il terrore nelle dense popolazioni che vivevano tranquille lungo le falde del famoso vulcano. Il paese più minacciato fu Nicolosi, comune di circa quattromila anime. Si calcolava che da quel versante la lava percorresse da cinquanta a settanta metri all'ora. Pinete, castagneti, terreni coltivati ne erano investiti arsi e distrutti. Gli abitanti avevano abbandonato le loro case. Nel terribile frangente le Figlie di Maria Ausiliatrice da Catania e da Agira scrissero a Don Bosco, pregandolo di suggerire qualche mezzo per iscongiurare il pericolo. Don Bosco rispose che si spargessero subito sul luogo medaglie di Maria Ausiliatrice e che intanto egli benediceva e pregava. Il parroco, avute dalle Suore le medaglie, le andò a seminare il più in su che potè. Cosa mirabile! Quelle medaglie segnarono come il limite estremo al torrido elemento, che cessò di avanzare. Quando le Suore con qualche ritardo comunicarono a Don Bosco la notizia del fatto, si era già potuto leggere nei giornali un telegramma della Stefani che diceva: “La lava è giunta a trecento metri ed è rimasta sospesa in declivio sovrastante al paese”. Ora si noti che la corrente ignea “sospesa in declivio”  era tuttora nello stato, diremo così, liquido e l'eruzione continuava ad alimentarla. Gli uomini della scienza davano Nicolosi come irremissibilmente perduta. Persino l'anticlericalissima Gazzetta di Catania diede pubblicità a un dispaccio che, precisando il punto dell'arresto e chiamando il fenomeno con il suo vero nome, [154] si esprimeva così: “Ad Altarelli lava biforcossi, lasciandoli incolumi. Miracolo”. Oggi quella massa accumulata su se stessa e pietrificata è là a perennare la memoria del prodigio[94].

                Gli amici di Barcellona non dimenticavano Don Bosco; se n'ebbe novella prova, trascorso che fu l'onomastico. Tra le famiglie a lui più affezionate vi erano quelle dei fratelli Pascual. Ora il più giovane di essi, Policarpo, dopo la partenza del Santo, aveva celebrato il suo matrimonio e intrapreso il viaggio di nozze. Nel ritorno passò per Torino e il 26 giugno procurò a Don Bosco la gradita sorpresa di una sua visita in compagnia della sposa. Celebrandosi poi il giorno seguente nell'Oratorio la festa di 8. Luigi, partecipò al pranzo insieme con parecchi altri signori. Gli si fece sentire un po' di musica dell'Oratorio e la ripetizione dell'inno, composto per l'ono - mastico da Don Lemoyne e musicato dal maestro Dogliani. Partì da Torino il 29, salutato alla stazione dal Viglietti in nome di Don Bosco e di Don Rua. Dalla Spagna arrivavano allora quotidianamente a Don Bosco da otto a quindici lettere.

                Per non scontentare centocinquanta bravi lavoratori egli il 29 si rassegnò a un disturbo non leggiero, dati i suoi incomodi. La sezione di 8. Secondo dell'Unione Cattolica Operaia torinese celebrava il decimo anniversario della sua fondazione e ottenne che l'agape fraterna si facesse nell'Oratorio. Naturalmente fu invitato Don Bosco a presiedervi. Benchè il caldo gli aumentasse le sofferenze, pure non seppe dire di no; anzi, dissimulando i suoi disagi, lasciò nei commensali l'impressione che stesse benino. Alla fine si diede la stura ai brindisi; Don Bosco ascoltò sereno, ma non ebbe forza di rispondere in pubblico; tuttavia, terminato il banchetto, i soci lo avvicinarono e poterono avere da lui individualmente qualche buona parola.

                Nell'anno della canonizzazione si discusse da varie parti si discusse da varie parti se Don Bosco fosse stato o no Terziario francescano. Il suo [155] nome compariva bensì in un vecchio elenco, ma non nei registri ufficiali, forse perchè inavvertentemente omesso; quindi nel 1886 i Francescani di S. Antonio in Torino stimarono opportuno di rimediarvi, mandandogli il diploma di ascrizione con la data del I° luglio e qualificandolo per Patriarca dei Salesiani. Il documento era accompagnato da una lettera con la data del 28 giugno, nella qual lettera il padre Candido, “direttore del Sacro Terzo Ordine” gli diceva: “Eccole la carta che lo dichiara formalmente fratello Terziario Francescano della Congregazione di S. Tomaso. M'immagino che Ella si ricorderà d'aver fatto veramente la vestizione e professione regolare, abbenchè non ricordi il tempo preciso; ma in caso che non fosse certo, sarebbe bene farla anche adesso, essendo tale vestizione e professione indispensabile per godere di tutti i vantaggi spirituali. In questo caso ad un cenno della S. V. Rev.ma mi recherei volentieri nella sua stessa stanza allo scopo”. Il Padre doveva aver avuto prima un colloquio con Don Bosco sull'argomento, perchè soggiungeva: “Intanto la ringrazio di cuore della paterna accoglienza fattami e dell'adesione al nostro serafico sodalizio”. È chiaro che egli aveva affermata la sua appartenenza all'Ordine ab immemorabili[95].

                Una visita assai importante ricevette la sera del 5 luglio. Annunziatisi all'Oratorio il giorno stesso del loro arrivo in Torino, vennero da lui i principi Czartoryski padre e figlio, che accettarono l'invito al pranzo delle dodici per il dì appresso. A onorare gli ospiti Don Bosco chiamò alcuni signori dell'aristocrazia torinese, fra gli altri il conte Prospero Balbo. Questi si schermiva, allegando a scusa la sua durezza d'udito che gl'impediva di prendere parte alla conversazione. - Eppure io ho bisogno di lei, insistette Don Bosco, per tenere compagnia ai principi Czartoryski. [156] A quel nome si risvegliò nel vecchio Conte il ricordo dell'antico camerata d'armi. Nel 1848 all'assedio di Peschiera combatteva accanto ai Piemontesi una legione di volontari polacchi, nella quale aveva un comando il principe Ladislao Czartoryski, padre di Augusto. Là appunto si erano essi incontrati con il grado entrambi di tenenti d'artiglieria. Il desiderio di rivedere un sì ragguardevole commilitone fece dimenticare al Conte la stia sordaggine. E l'incontro non poteva essere più cordiale ed espansivo. A mensa lo scambio dei ricordi e l'evocazione di fatti gloriosi alimentò per buon tratto la generale conversazione. Don Bosco stette in ascolto, finchè, colto il momento opportuno, prese lo spunto per parlare anche lui di sue lotte, ma di lotte sostenute contro gli avversari delle sue opere, contro il nemico delle anime e con i creditori. Augusto che lo ascoltava con interesse, gli domandò se avesse in animo di mandare i Salesiani anche in Polonia.

- Bisogna fare qualche cosa, osservò il principe Ladislao, per impedire la corruzione della gioventù. Coli la moralità se ne va pure lo spirito nazionale.

- Certo, riprese il figlio, Don Bosco sarà contento della Polonia e vi troverà molte vocazioni.

- Verremo, verremo anche da voi, affermò Don Bosco con accento fermo, dopo essersi fermato un  tantino a riflettere.

 - Ma quando? gli fu chiesto.

- Appena avremo personale adatto, rispose. La difficoltà della lingua non sarà leggiera; ma anche a questo si provvederà.

                Dopo un momento di silenzio, Don Francesia con la sua semplicità e in tono faceto disse al principe Augusto: - Veda, signor Principe, venga lei a farsi salesiano e Don Bosco aprirà subito una casa in Polonia.

                Si sorrise, si scambiò ancora qualche paroletta sull'argomento e poi si passò ad altro. Ma tre commensali continuarono a pensarvi: Don Bosco, il principe Ladislao e suo figlio. Il padre aveva conosciuto Don Bosco a Parigi nel palazzo [157] Lambert come abbiamo narrato; ma non aveva mai visto una casa salesiana e aveva in mente che la Congregazione sale­siana fosse un'istituzione troppo umile. Irremovibile nel pro­posito di negare al figlio il chiestogli consenso di farsi sale­siano, aveva aderito alla sua proposta di recarsi cori lui a Torino per conferire con Dori Bosco e osservare da vicino le sue opere, non certamente per trattare di vocazione.

                Dopo pranzo essi tre si appartarono e si riunirono a intimo colloquio. Il padre espose i disegni della famiglia sull'avvenire di Augusto e pregò il Santo del suo illuminato parere. Don Bosco, pur non avendo dubbi sulla vocazione del giovane signore, non fece altro che ripetere quanto più volte gli aveva già raccomandato per iscritto: si preparasse all'avvenire in modo da corrispondere alle legittime speranze della famiglia e della sua Polonia. Soggiunse però:

- Credo tuttavia che se in modo evidente la volontà di Dio si manifestasse contraria al volere di Vostra Eccellenza, Ella non vi si dovrebbe opporre.

- Senza dubbio, disse il padre; anzi amerei di avere un altro figlio nello stato ecclesiastico.

- Sarebbe un'ottima cosa,  conchiuse Don Bosco. Un membro di famiglia così influente potrebbe fare gran bene alla Chiesa e alla patria. Ad ogni modo sia fatta in tutto e per tutto la santa volontà di Dio.

                Padre e figlio si separarono contenti da Don Bosco. Il primo si era formato un alto concetto di lui e si teneva sicuro che finalmente il suo Augusto si sarebbe piegato ai disegni paterni; il secondo fu lieto che il genitore avesse mutato sentimento sul conto di Don Bosco e se ne andò deciso di seguire i consigli del Santo. Infatti a Sieniawa, applicatosi agli affari, compiè operazioni finanziarie di gran valore, rappresentando benissimo il padre e mantenendo degnamente le tradizioni del casato. Il principe Ladislao era al colmo della gioia. Ma quante volte a questo mondo riguardo alla sorte dei figli il padre propone e Dio dispone! [158]

                I calori estivi sfibravano ogni dì più Doli Bosco; un principio di dissenteria lo molestava non poco. Accettò quindi il suggerimento di andare a Valsalice, dove, se si eccettuano le ore meridiane, la temperatura anche nel cuor dell'estate è refrigerante. Vi si recò la sera del 7 luglio insieme con Viglietti. Veramente si sarebbe voluto che ritornasse a Pinerolo, come due anni addietro, e il Vescovo si diceva felice di accoglierlo nella sua villa; ma da prima titubava alquanto e poi, quando vi si decise[96], stabilì di attendere a Valsalice fino al 15, perchè gli rincresceva privare della sua presenza i due annuali convegni degli ex - allievi.

                A Valsalice ricevette da due Prelati francesi due buone lettere. In quell'anno era uscita dalla tipografia salesiana di Nizza la traduzione francese del suo Cattolico nel secolo[97]. Monsignor Dabert, vescovo di Périgueux e di Sarlat, ricevutane una copia in omaggio, gli scriveva d'aver trovato il libro eccellente sotto ogni aspetto, sia cioè per solidità dimostrativa e per sicurezza storica che per una tal quale semplicità e talora familiarità di stile, della quale si avvantaggiavano la forza delle prove e l'esattezza della dottrina. L'altra lettera veniva da Rennes. Quell'arcivescovo monsignor Place, già vescovo di Marsiglia al tempo dell'andata dei Salesiani, era stato fatto cardinale da Leone XIII nel Concistoro del 7 giugno. Don Bosco gli aveva scritto una lettera di congratulazione. Sua Eminenza nella risposta, chiamando il nostro Santo suo amico e scusandosi d'aver tardato a rispondere, gli diceva: “Ella conosce abbastanza i miei antichi sentimenti, che sono sempre quelli, riguardo alla sua persona e alla famiglia salesiana, e quindi ritenga pure che fra tutti gli attestati di simpatia che ho avuto la consolazione di ricevere, il suo mi è tornato particolarmente caro”. Si raccomandava infine con termini deferentissimi alle sue orazoni[98]. [159]

                Al breve soggiorno valsalicese si collega pure la memoria di un fatto, che ha del prodigio e del quale esiste nei nostri archivi autentica relazione. Un agiato agricoltore di Rosignano Monferrato per nome Giorgio Caprioglio aveva una figlia da parecchi mesi internata nel manicomio di Alessandria. Il 10 luglio sì presentò a Don Bosco nel collegio di Valsalice, gli espose il caso e implorò il suo aiuto. Doli _Bosco gli prescrisse alcune preghiere da recitarsi ogni giorno nella famiglia fino alla solennità d'Ognissanti. Il buon uomo così fece e diceva a tutti: - Don Bosco ha promesso che la grazia non mancherà. - Nonostante questa fiducia, egli, impaziente di sapere l'esito del lungo pregare, verso il 22 ottobre si portò ad Alessandria per avere notizie certe della figliuola; ma ne tornò tutto addolorato, perchè non aveva potuto ottenere dal dottore una parola rassicurante. Tuttavia, persuaso che Don Bosco era la bocca della verità, continuò a pregare come prima. Ed ecco il 29 ottobre una lettera che annunziava la perfetta guarigione dell'alienata e invitava ad andarla subito a prendere per ricondurla a casa. Il padre accorse e la trovò in normalissime condizioni, tanto che la vigilia d'Ognissanti essa volle ricevere in Alessandria i sacramenti per rendere grazie a Dio della ricuperata salute.

                Il cambiamento di dimora produsse ben presto i suoi benefici effetti; tant'è vero che il Servo di Dio, sceso all'Oratorio l'II e il 15 luglio per trovarsi con gli ex - allievi, potè l'una e l'altra volta parlar loro al levare delle mense. Fortunatamente le sue brevi allocuzioni furono conservate e costituiscono il solo ricordo della doppia festa. Al pranzo degli ex - allievi laici parteciparono anche alcuni signori francesi. Don Bosco parlò così:

 

                Desidero di indirizzarvi alcune parole, anche perchè non sono certo di potermi ancor trovare un altro anno in mezzo a voi. Sarei ben contento di passare ancora una e più volte questo bel giorno in vostra compagnia, ma gli incommodi della vecchiaia mi avvertono di non lusingarmi. Io vi ringrazio adunque d'essere venuti a pranzo con me, e con voi anche questi signori che l'amicizia ci condusse qui [160] dalla Francia. Oggi non convennero qui tutti i miei buoni amici, i cari figliuoli, perchè non era possibile per la lontananza e per i molteplici affari. Ma voi incontrandoli dite loro che venendo voi, in voi ho visto essi, ringraziando voi ho ringraziato essi pure dell'affetto che continuano a portarmi: dite che Don Bosco è sempre pronto a dividere con essi il suo pane, perchè non è pane di Don Bosco, ma è il pane della Provvidenza. Don Bosco vi ama tutti in Gesù Cristo, perchè voi lo amate, e spero che Nostro Signore ci darà la grazia di vedere tempi migliori. Don Bosco pregherà sempre per voi, e voi aiutatemi colle vostre preghiere perchè possiamo dar mano a nuove opere, e continuare le incominciate. Guardate quanto fu buona la Provvidenza con noi! Oggigiorno sono migliaia e migliaia i ricoverati nelle nostre case, i quali certo non si nutriscono di grilli e di fiori, eppure dal principio dell'Oratorio fino ai giorni nostri il pane non mancò mai una sola volta, anzi coi bisogni andarono sempre crescendo i mezzi. Ed io vi assicuro che le cose nostre continueranno a crescere sotto le ali di questa divina e amabile Provvidenza. Voi, e i vostri figli e i figli dei figli vostri vedrete e godrete prendendo parte alle nostre sorti, alle nostre fortune. Siamo fedeli alla nostra santa religione e tutti saranno costretti a stimarci e amarci, nessuno potrà detestarci perchè la carità è il vincolo che lega i cuori. Io vi prometto che continuerò ad amarvi, come fratello, come padre, finchè il nostro amore sarà coronato in quel giorno nel quale udremo quelle soavi parole: Entrate nel gaudio del Signore, poichè avete osservata la mia santa legge.

 

                Con gli ex - allievi sacerdoti si unirono anche una ventina di laici, che non erano potuti venire la domenica precedente. Dalle parole di Don Bosco è facile arguire gli argomenti toccati prima in vari brindisi. Le idee da lui espresse sono assai notevoli.

 

                Io godo molto delle parole che furono dette. Ho intese, ho gustate le vostre espressioni, le vostre proteste. Il signor Curato della Gran Madre di Dio ha detto che nessuno supera in amore verso di me i giovani antichi dell'Oratorio. Il signor ingegnere Buffa asserisce che gli amici cooperatori non sono secondi a nessuno nel portarmi affezione e che questa affezione di mille e mille è senza limiti. Ora tocca a me rispondere chi sia da me più amato. Dite voi: questa è la mia mano; quale di queste cinque dita è più amato da me? Di quale fra queste mi priverei? Certo di nessuno perchè tutte e cinque mi sono care e necessarie egualmente. Or bene io vi dirò che vi amo tutti e tutti senza grado e senza misura. Molte cose io vorrei dire in questo momento che riguardano i miei figli ed i Cooperatori Salesiani.

                La proposta del Curato della Gran Madre di eccitare ciascuno di voi all'incremento dell'Opera dei Cooperatori Salesiani, è una [161] proposta delle più belle, perchè i Cooperatori sono il sostegno delle opere di Dio, per mezzo dei Salesiani... Il sommo Pontefice Leone XIII è non solo il primo cooperatore, ma il primo operatore. Vi basti osservare la facciata della chiesa del Sacro Cuore! Essa vi dice che l'opera dei Cooperatori, l'opera del Papa, è fatta per scuotere dal languore, nel quale giacciono, tanti cristiani, e diffondere l'energia della carità. Essa è l'opera che in questi tempi appare eccezionalmente opportuna, come ha detto lo stesso Sommo Pontefice. Un uomo poteva fax ciò che si è fatto da noi? Un uomo poteva portare il vangelo in tanti luoghi e a tanta distanza? No che un uomo non lo poteva! Non è Don Bosco, è la mano di Dio, che si serve dei Cooperatori! Ascoltate! Voi avete detto in questo momento che l'opera dei Cooperatori Salesiani è amata da molti. Ed io soggiungo che questa si dilaterà in tutti i paesi, si diffonderà in tutta la cristianità. Verrà un tempo in cui il nome di Cooperatore vorrà dire vero cristiano! La mano di Dio la sostiene! I Cooperatori saranno quelli che aiuteranno a promuovere lo spirito cattolico. Sarà una mia utopia, ma pure io la tengo. Più la Santa Sede sarà bersagliata, più dai Cooperatori sarà esaltata; più la miscredenza in ogni lato va crescendo e più i Cooperatori alzeranno luminosa la fiaccola della loro fede operativa...

 

                Licenziatosi da quei cari amici, partì quella sera per Pinerolo con Don Lemoyne e con Viglietti. Era venuto da Pinerolo a prenderlo il Rettore del Seminario. All'arrivo lo attendeva il Vescovo con una vettura padronale favorita da un signore della città. Monsignore, tutto contento di riavere con sè il Servo di Dio, aveva fatto preparare nella villa vescovile di S. Maurizio l'alloggio per lui e per i suoi due segretari. Balzato d'un tratto a quell'altezza, Don Bosco passò la prima notte un po' agitata. Fece un lungo sogno, del quale però null'altro ricordava la dimane fuorchè di essere stato chiamato in gran fretta alla ferrovia e di essere arrivato appena in tempo a prendere il treno; giunto poi in un luogo, dove si combatteva una grossa battaglia, essersi trovato improvvisamente nel mezzo della zuffa.

                 Un sogno d'altro genere, non fatto da lui, ma nel quale egli pure entrava, operò pochi giorni dopo salutari effetti in un'anima buona, come ne lo informava il degno parroco. La signora Geronima Verdona di Gavi, antica benefattrice, aveva per molti anni albergato con materna carità Salesiani e [162] Figlie di Maria Ausiliatrice, quando nell'andare o venire da Mornese passavano per di là. Ora, presentendo non lontana la sua fine, aveva pregato Doti Bosco di mandargli un Salesiano, al quale far note le sue ultime volontà. Fu mandato Don Cerruti. Di lì a poco essa infermò non solo di corpo, ma anche di spirito. I medici la dichiararono maniaca. Non voleva più nemmeno comunicarsi, divenne taciturna e con le rare parole che proferiva, esprimeva dolore e prostrazione. Inoltre non istava cinque minuti soli ferma o seduta in un posto. Da circa due mesi versava in sì triste condizione, quando persone amiche la raccomandarono alle preghiere di Don Bosco. Orbene la sera del 19 luglio, coricatasi, prese placidamente sonno, cosa che non le avveniva più da tempo, e sognò di vedere appressarsi a lei Maria Ausiliatrice e Don Bosco per consolarla. Appena svegliata, ordinò alla domestica di chiamarle il prete, perchè voleva fare la comunione. Trascorse ancora alcuni giorni migliorata nel fisico e libera nel morale, attendendo divotamente alle sue pratiche religiose, finchè, serenamente spirando, andò a ricevere il premio delle sue opere buone.

                Le lettere, talora lunghette, che scrisse dalla villa del Vescovo, dimostrano chiaramente quanto conferisse alla sua salute il clima di Pinerolo. Una è indirizzata ai benefattori di S. Nicolás de los Arroyos e il suo originale si conserva religiosamente colà nella casa degli ottimi signori Montaldo.

 

Ai miei benemeriti e caritatevoli cooperatori e cooperatrici,

a tutti i loro parenti ed amici abitanti nella città e nei paesi

vicini di S. Nicolás de los Arroyos in America.

 

                La vostra religione e la vostra carità, amici benevoli, cooperatori e cooperatrici, è assai nota in America ed in Europa specialmente per la continua protezione che prestate ai nostri cari figli che abitano tra voi. Essi lasciarono questi nostri paesi assai volentieri per recarsi ad occupare il sacro loro ministero a gloria di Dio ed a vantaggio spirituale delle anime vostre ed in modo particolare della gioventù. [163]

                Questo fu assai loro raccomandato prima di partire da chi tanto li amò in nostro Signor Gesù Cristo.

                So che voi li aiutate, e quel poco che hanno già fatto è tutto dovuto alla carità vostra. Continuate l'opera vostra, ed io continuerò a pregare per voi il Signore affinchè le sue grazie si moltiplichino sopra tutti i vostri affari e sopra le vostre famiglie. Le vostre buone opere furono narrate al nostro Santo Padre Leone XIII, che provò grande consolazione a tale racconto. “Voi, egli mi disse, comunicherete la speciale mia benevolenza, direte che io li benedico tutti di cuore, concedendo una particolare indulgenza, ma plenaria che si ottenga da tutti i cooperatori, dalle loro famiglie, dai loro parenti defunti che avessero bisogno di suffragio nelle pene del Purgatorio”.

                Voi sapete che questi miei Salesiani non possedono sostanze temporali; il loro patrimonio è la vostra pietà, è la vostra carità. Monsignor Aneyros vostro veneratissimo Arcivescovo, Monsignor Ceccarelli Pietro Curato e Vicario di San Nicolás sono quelli che ci animarono a recarci tra voi, e la nostra confidenza è tutta in loro ed in voi.

                Se Dio mi conserva in vita spero di scrivervi altra mia lettera, ma non è cosa sicura perchè essendo di molto invecchiato, a stento posso scrivere e più difficilmente posso essere inteso. Ho però grande speranza nelle vostre preghiere e nelle buone notizie che spero ricevere di voi che amo in G. C. e per cui ogni giorno fo speciale memoria all'altare del Signore. Dio ci benedica, e la Santa Vergine Ausiliatrice ci guidi tutti sicuri per la via del Cielo.

 

                Torino, 25 luglio 1886.

 

Aff.mo amico

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nel giorno di S. Vincenzo ricordò l'architetto Levrot, il generoso benefattore di Nizza Mare, e gl'inviò i suoi auguri di buon onomastico.

 

                                Car.mo Sig. Cav. Vincenzo Levrot,

 

                La S.ta Vergine Aus. in questo suo giorno onomastico porti una speciale benedizione sopra di Lei, sopra tutta la sua famiglia, sopra tutti i suoi affari. Ricompensi largamente la carità che Ella ha già fatto e continua a fare ai Salesiani.

                Maria sia a tutti di guida sicura al Cielo.

                Preghino anche per questo povero ma a voi

 

                Torino [Pinerolo], 19 luglio 1886.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. GIO. BOSCO. [164]

 

                Il Levrot rispondendo gli fece sapere che teneva a sua disposizione mille franchi offerti dalla vedova Montbrun [99] per le sue opere. Doli Bosco, usando questa volta il francese, lo pregò di ringraziare la signora e lo autorizzò a rimettere la somma a Don Cibrario, perchè la casa di Vallecrosia nel suo piccolo aveva bisogno di tutto, come del resto anche le altre case salesiane che, diceva egli, abbondavano solo di debiti e di creditori. Dandogli infine notizie di sè, scriveva: “La mia salute, grazie a Dio, va lui po' meglio, ma è accompagnata da mille indisposizioni”[100].

                Da Pinerolo aveva scritto al cardinale Parocchi, dandogli notizie della sua salute e pregandolo di ottenergli una speciale benedizione dal Santo Padre; nel medesimo tempo, per il rispetto che professava verso l'Eminentissimo Protettore, gli chiedeva se in altre lettere potesse ancora far uso della sua difficile scrittura o dovesse ricorrere alla mano del segretario. Ne ricevette questa risposta, che senza dubbio gli fu di grande consolazione:

 

                                Don Bosco Rev.mo,

 

                Ho annunziato al Santo Padre le felici notizie di V. R. e Sua Santità, rallegrandosene vivamente, mi incaricò d'inviarle una specialissima benedizione.

                Nell'adempiere i comandi Apostolici, sono lieto di soggiungere l'espressione de' miei sentimenti a V. P. Rev.ma noti da sì gran tempo, che rivelarli di nuovo è portar vasi a Samo.

                La prego, Rev.mo, se non è soverchio il disagio, di scrivere da sè, intendendo io benissimo il suo carattere, quanto Ella intende il cuore di chi le si professa con riverente affezione, implorando la grazia dei suoi mementi.

 

                Roma, 27 luglio 1886.

Div.mo Aff.mo in G. C

L. M. Card. Vicario.

 

                Ancor più affettuosa fu una lettera del suo Cardinale Arcivescovo. Don Bosco aveva incaricato Don Lemoyne di [165] scrivere a Sua Eminenza una bella lettera in occasione dell'onomastico e n'ebbe questa espansiva risposta:

 

                                Rev.mo e Car.mo Don Giovanni,

 

                Quanto mi furono grati gli augurii che Ella, ottimo Don Giovanni, mi fa presentare in occasione del mio onomastico! Il Rev.do e bravo Sac. Lemoyne il quale così bene seppe interpretare tutto l'affetto che i Salesiani hanno per me poveretto, aggiunge cosa che grande­ mente consolami: dice che in tutte le case tenute dai Salesiani si prega sempre pel vecchio Arcivescovo di Torino. Questo è conforto e caparra di lieto avvenire.

                Allorchè i buoni mi aiutano di loro preghiere ho fiducia anche nella mia debolezza e posso sperare che del tutto infruttuosa non sarà l'opera mia.

                E per Lei venerando Don Bosco, io prego pure tutti i giorni. Che i giorni suoi preziosissimi siano conservati a lungo. Che la Congregazione Salesiana possa sentire per molto tempo ancora quell'influsso di carità e di operosità, di sacrifizio che tanto scalda il cuore di Lei fondatore benemerito e provvidenziale.

                Le auguro vantaggi preziosi da coteste balsamiche aure alpine di S. Maurizio, mentre a Lei, ai preti che le fanno corona, di tutto cuore benedico e mi protesto

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

                Torino, 7 agosto 1886.

 

Affezionatissimo in G. C.

GAETANO Card. Arcivescovo.

 

                Ai primi di giugno una nuova nube di tristezza si era levata in Italia e si andava lentamente stendendo sii tutta la penisola. Mentre l'eruzione dell'Etna teneva in angoscia la provincia di Catania, nel Piemonte nel Veneto, nelle Puglie, nell'Emilia e in Toscana mieteva vittime il colera. Era meno intenso che nelle precedenti invasioni, ma durò più a lungo. Ora si sapeva che Doli Bosco due anni prima aveva per antidoto raccomandato di portare al collo la medaglia di Maria Ausiliatrice e di fare certe pratiche; perciò le richieste della pia immagine fioccavano all'Oratorio e innumerevoli furono le attestazioni di grazie ottenute. La lettera seguente, scritta da Pinerolo alla signora Maggi Fannio di Santa Maria Iconia [166] nel Padovano, è documento dei consigli che Don Bosco ripeteva ai Cooperatori durante il pericolo.

 

                                Ill.ma Signora,

 

                Ricevetti la pregiata sua del 25 corr. coll'acclusa offerta di cui ringrazio la S. V. vivamente, e mi affretto assicurarla che io con tutti i miei giovani prego di tutto cuore per Lei, pe' suoi cari, e per tutta codesta buona città. Sì, che Maria Ausiliatrice stenda il suo manto sopra di tutti, li benedica e li preservi da ogni male nel tempo e nell'eternità.

                Diedi ordine sieno subito spedite le medaglie: se non le riceve tra qualche giorno favorisca avvertirmene.

                Gradisca i miei ossequi, mentre io la benedico con tutti i suoi nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.

                Della S. V. Ill.ma

 

                [Pinerolo], Alli 27 luglio 1886.

 

Umile Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. - Per essere preservati dal cholèra è necessario:

 

                I) Portare la medaglia al collo oppure sempre con sè.

                2) Invocare sovente Maria Ausiliatrice (Maria Ausil.ce pregate per noi).

                3) Frequentare con grande assiduità i SS. Sacramenti della Confessione e della Comunione.

 

                Come altre volte, la medaglia di Maria Ausiliatrice operava prodigi. A Rimini nel mese di settembre, il figlio di una pia Cooperatrice le tornò a casa colpito dal terribile morbo. La madre corse subito col pensiero a Maria Ausiliatrice, e prima di porlo a letto, senza dir nulla, gli mise sotto il guanciale una medaglia benedetta da Don Bosco. Orbene appena il povero coleroso posò il capo nell'origliere, esclamò pieno di allegrezza: - Oh come sto bene! Non ho più niente. Mi pare di tornare da morte a vita. - Infatti balzò dal letto e mentre prima non si reggeva sulle gambe, prese a camminare franco per la camera senza che si scorgesse più in lui verun sintomo del male[101]. [167]

                Le Figlie di Maria Ausiliatrice dovevano nell'agosto del 1886 tenere il loro Capitolo Generale per l'elezione delle Superiore. Impedito egli di presiederlo, vi delegò Don Rua, il quale dopo l'elezione di Doti Bonetti a Catechista generale aveva assunto nuovamente l'incarico della direzione generale delle Suore. Don Bosco gli comunicò tutte le necessarie facoltà con questa bella lettera.

 

                                Car.mo D. Rua,

 

                Pel solo motivo della cagionevole mia sanità, non posso recarmi a Nizza per la elezione della superiora Generale e delle altre Superiore; perciò ti concedo tutte le facoltà necessarie per questa e qualunque altra deliberazione si debba prendere a questo uopo per l'Istituto delle Figlie di M. A. Ho già pregato e continuerò pregare affinchè ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio.

                Coraggio: Dio è con noi. Io vi attendo tutti al Paradiso, mediante l'aiuto di Dio e la sua infinita misericordia.

                Coraggio, ripeto, molte cose il Signore ci ha preparato; adoperiamoci per mandarle ad effetto.

                Io sono mezzo cieco e cadente di sanità; pregate eziandio per me, che per tutti e per tutte vi sarò sempre in G. C.

 

                Pinerolo, Villa Vescovile, 8 agosto 1886.

 

Aff.mo Amico e Padre

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Delle Suore Don Bonetti scrisse il 26 dello stesso mese a monsignor Cagliero: “Don Bosco desidera che si propaghino molto, poichè ne ebbe avviso in proposito ex alto”. Il loro Capitolo Generale rielesse tutte le Superiore uscenti[102].

                L'8 agosto il Circolo Cattolico Operaio di Bergamo festeggiava il decimo anniversario di vita. La Presidenza, dandone antecedentemente notizia a Don Bosco, l'aveva pregato d'una particolare benedizione, ed egli scrisse al Presidente questa bella lettera che fu con altre di sommi personaggi stampata in un numero unico intitolato CARITÀ. [168]

                Ringrazio e benedico di cuore la bontà del Signore che nei nostri difficili tempi abbia fatto nascere e propagare la pia Società Cattolica Operaia. I frutti consolanti riportati dalla città di Bergamo ce ne danno luminoso esempio di incoraggiamento a promuoverla.

                Io pregherò ben di cuore il nostro Signore Iddio che voglia benedire e proteggere tutti coloro che vi prendono parte ed in qualche modo la promuovono.

                In questa bellissima occasione mi faccio animo di raccomandare a Lei e a tutti gli associati, affinchè nella loro grande carità vogliano anche pregare per me e per li miei orfanelli che in questo momento oltrepassano il numero di duecento diecimila.

                Maria ci protegga tutti ed in ogni pericolo sia nostra sicura guida per la strada del paradiso. Così sia.

 

                Torino [Pinerolo], 22 luglio 1886.

 

Sac. GIO. BOSCO.

 

                PS. Sono vecchio, semicieco, perciò legga con pazienza questo povero scritto.

 

                Già più volte in questo e in altri volumi ci è avvenuto di narrare come Società Operaie Cattoliche volgessero lo sguardo a Don Bosco, reputandolo grande antesignano nell'attività a favore della classe lavoratrice. Questa opinione faceva sì che, dove ci fossero case salesiane, le medesime Associazioni le considerassero come luoghi per esse di naturale ritrovo. Così il 3 giugno a La Spezia la Società Cattolica Operaia della città andò i festeggiare nell'Istituto S. Paolo la benedizione della bandiera, con l'intervento del noto cooperatore genovese Maurizio Dufour. Durante il banchetto sociale, allestito nel cortile, dopo gli evviva al Papa, al Re, alla Regina, al Vescovo, si gridò evviva a Don Bosco. Quel nome elettrizzò i convitati, che lo ripeterono varie volte freneticamente. A tali voci i giovani, che erano nello studio, scattarono e corsero fuori acclamando e gridando anch'essi su tutti i toni: Evviva, evviva Don Bosco[103].

                Nel seguente mese a La Spezia non più dal popolo spezino, ma dal Re d'Italia veniva reso onore a Don Bosco. Il Re Umberto, recandosi il 17 luglio a Genova per assistere all'inaugurazione [169] del monumento di Vittorio Emanuele II, suo augusto genitore, si fermò un paio d'ore nella città marinara. L'autorità municipale aveva invitato anche il collegio al ricevimento e il Re gradì che gli fosse presentata una commissione dell'Istituto per fargli omaggio. Egli aveva già all'arrivo notato quella schiera di giovani disposti in due ale davanti all'albergo e aveva chiesto chi fossero. Don Angelo Caimo, consigliere scolastico, avrebbe dovuto leggergli un indirizzo; ma la brevità del tempo non lo permise. Sua Maestà gli domandò varie informazioni; quindi, rivolto al Prefetto della provincia ed agli ufficiali che gli stavano attorno, disse: - È, una cosa davvero sorprendente. Questo Don Bosco ha un'attività straordinariamente feconda, ormai i suoi istituti sono sparsi in molte parti del mondo. E come fa bene! A Torino ha messo su un istituto modello, che può stare a confronto con i migliori. - Infine manifestò il desiderio di vedere nuovamente, partendo, tutti i giovani. Allora il generale Pasi, suo primo aiutante di campo, mandò l'ordine che venissero schierati presso l'uscita davanti alle truppe e che soltanto la loro banda sonasse in quel momento Il Re passò in mezzo ad essi, osservandoli con affetto e salutando con inchini i superiori. Il dì appresso fu dal Sindaco rimessa al direttore la caritatevole largizione sovrana di lire quattrocento.

                D'ora innanzi non avremo più sogni importanti da narrare. Il sogno di Barcellona fu l'ultimo dei grandi sogni di Don. Bosco. Altri ne narrò in seguito, ma di ordine meramente naturale e a scopo di ricreamento. Uno ne raccontò il 9 agosto. Aveva visto tanti contadini salire sopra un fienile e osservare di qua e di là se vi fosse fieno, ma non ne trovavano. Discesero nella stalla, guardarono nelle greppie e ne rinvennero qualche rimasuglio.

- Ma come faremo? dicevano fra loro. La primavera è alla fine e siamo senza fieno.

 - Non ci rimane altro, borbottava uno, che uccidere le vacche e mangiarci le loro carni. [170]

- Ma e poi? ripigliava un altro. Faremo anche noi come fecero le vacche di Faraone, che si mangiavano fra loro.

                Appresso vide tante belle valigie chiuse, che nessuno apriva. Egli si avvicinò e le aperse; erano piene di soldoni di rame.

 - Che vuol dire questo? chiese Don Bosco alla sua guida.

- I ricchi, gli fu risposto, avranno queste monete, mentre diamanti, oro, argento, gemme, tutto passerà in mano dei poveri. I ricchi saranno spodestati e spogliati.

                Dalla villa del Vescovo Don Bosco usciva di quando in quando per recarsi al vicino santuario di S. Maurizio, in compagnia del segretario vescovile. Un mattino sull'alto del colle denominato dal Martire della legione tebea si fermò a contemplare il bellissimo panorama e vedendo di fronte sopra un poggio isolato un caseggiato cospicuo, disse: - Oh come è bello e incantevole quel monticello con quel magnifico fabbricato! Come sarebbe adatto per un collegio salesiano! Era Monte Oliveto, dove sorgeva un edifizio appartenuto già ai Gesuiti e più tardi al Certosini, ma allora proprietà demaniale Don Albera vi aperse nel 1915 un asilo per orfani della grande guerra e il suo successore, venuto col tempo a cessare lo scopo primitivo, v'istituì un noviziato salesiano[104].

                Giacchè ormai si sentiva discretamente in forze, risolvette di tornare a Valdocco per assistere alla premiazione finale dei giovani. Partì dunque la mattina del 13 agosto. Volle dare un po' di mancia alle persone di servizio, che tante premure avevano avuto per lui; ma esse non solo non accettarono, ma lo pregarono di gradire una sommetta raccolta fra di loro per i suoi ragazzi poveri. Egli intenerito li assicurò che li avrebbe ricordati sempre nelle sue preghiere. - Non potrebbe darci nulla di meglio, gli risposero. Per noi è un regalo il poterla servire. Potessimo darle un po' più di salute!

                Il Vescovo lo accompagnò fino alla stazione. Chi avrebbe [171] detto che non si sarebbero più riveduti in questo mondo? La Santa Sede aveva trasferito monsignor Chiesa a Casale, dov'era morto monsignor Ferré: a un amico di Don Bosco succedeva un altro amico. Ma Dio lo chiamò repentinamente a sè il 4 novembre.

                Benchè l'assenza non fosse stata troppo lunga, nè egli fosse andato lontano, tuttavia i suoi figli grandi e piccoli ne salutarono festosamente il ritorno. Era l'ora del pranzo. Sapendosi quanto gradisse le notizie delle Missioni, gli si lessero a tavola alcune lettere di monsignor Cagliero. Il Vicario Apostolico diceva che fra breve si sarebbe inoltrato nel centro della Patagonia, dove aveva saputo esistere un numero considerevole di selvaggi. Doli Bosco udiva piangendo. Anni addietro, alla sua proposta di aprire Missioni nella Patagonia c'era stato anche a Roma chi aveva riso; infatti le statistiche delle popolazioni di laggiù davano per deserte quelle plaghe. - Don Bosco vuol andar ad evangelizzare l'erba! - dicevano taluni. Ed ecco allora Monsignore confermare quanto Don Bosco aveva visto in sogno. Tale fu il motivo della sua commozione.

                Anche la Provvidenza sembrò volergli dare a modo suo il benvenuto. La mattina seguente il prefetto generale Don Durando per urgenti necessità gli aveva portato via tutto il danaro ricevuto in quei giorni. Appena uscito Don Durando, entrò in camera un signore che da qualche tempo attendeva nella stanza d'aspetto. Don Bosco, quasi a tentarne la carità, gli disse:

- Scusi se l'ho fatto aspettare. Il Prefetto della Congregazione è venuto a prendermi tutto il danaro che avevo, ed ecco Don Bosco povero, senza un quattrino.

- Ma, signor Don Bosco, gli rispose egli, se in questo momento ella avesse urgente necessità di una somma, come farebbe?

- Oh la Provvidenza... la Provvidenza! esclamò Don Bosco. [172]

- Sì, Provvidenza... Provvidenza... va tutto bene; ma ora ella è senza denaro e se ne abbisognasse subito, non saprebbe come fare.

- In tal caso direi a lei, mio buon signore, che vada nell'anticamera e troverà una persona che reca un'offerta a Don Bosco.

- Come?... dice davvero?... Ma di là non c'era nessuno, quando io sono entrato. Chi le ha detto questo?

- Nessuno me l'ha detto. Io lo so, e lo sa Maria Ausiliatrice. Vada, vada a vedere.

                Quel signore si portò nell'anticamera, dove infatti c'era un altro signore, e:

 - Signore, gli disse, lei viene da Don Bosco?

- Sì, rispose colui, vengo a portargli un'offerta.

                Invitato a entrare, consegnò al Servo di Dio trecento lire.

                Nel dì dell'Assunta presiedette alla solenne premiazione degli artigiani e degli studenti, che il giorno dopo sarebbero partiti per le vacanze. Nel più bello del trattenimento un colpo di scena mise sossopra tutti i presenti: apparve all'improvviso Doli Lasagna, che veniva dall'Uruguay. Si diresse al caro Padre e fra la commozione generale lo abbracciò con tutto l'affetto di un figlio; poi si assise al suo fianco. Terminata l'accademia prese lui la parola. Nonostante l'impazienza che suol assalire i giovani in tali momenti il suo dire infiammato ne incatenò l'attenzione. Una cosa piacque specialmente a Don Bosco. Un giorno del mese di maggio Don Lasagna era stato chiamato al telefono da Montevideo. Il padre Superiore dei Gesuiti gli comunicava che una gran signora di Santiago del Cile voleva i Salesiani nella sua città, dicendosi pronta a pagar loro il viaggio dall'Europa e a provvederli di tutto il necessario. Lì per lì Don Lasagna non aveva fatto molto caso di quella comunicazione, troppo frequenti essendo ormai tali offerte; ma cinque minuti dopo ricevette da Torino una copia del sogno di Barcellona, nel quale si parlava appunto di una casa a Santiago del Cile. [173]

                Al 15 di agosto erasi commemorato, come di consueto, il compleanno di Don Bosco. Per questo il cardinale Alimonda aveva voluto portargli personalmente i suoi auguri, rimanendo un'altra volta un buon paio d'ore a colloquio con lui.

                La contessa Balbo, che l'aveva complimentato per lettera, dovette sentirsi ben lieta di ricevere da lui questa risposta.

 

                                Ill.ma Sig. Contessa,

 

                Ricevetti la gentilissima sua del 14 corrente e mi è caro riscontrarla.

                La ringrazio degli auguri che mi fece in occasione del mio compleanno e glieli ritorno centuplicati. In tale occasione dissi la Santa Messa all'altare di S. Pietro e lascio a Lei il pensare con quanto stento e fatica, e pregai, pregai tanto per tutti coloro che mi diedero e danno mano nel portare a compimento la Missione che per sua bontà mi affidò il cielo: per la S. V, poi e per tutti i suoi più cari nelle mie orazioni mi ricordai in singolare modo desiderando ad essi la pienezza d'ogni grazia e favore spirituale e temporale.

                Ill.ma Sig. Contessa, aggradisca i miei sinceri ossequi e mi creda sempre qual godo ripetermi in G. C. N. S.

Della S. V. Ill.ma

 

                Torino, 18 agosto 1886.

 

Devot.mo ed oblig.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Oggi tutti sappiamo che Don Bosco nacque non il 15, ma il 16 agosto; ma allora egli pure l'ignorava. Bella è l'osservazione che fa a tal proposito un recentissimo biografo del Santo[105]. Dopo aver immaginato che Mamma Margherita passasse la festa dell'Assunta in gioconda unione con la Madre di Dio, alla quale offerse il suo nascituro, soggiunge: “Don Bosco ha ragione di scrivere: Son nato il 15 agosto. Sì, spiritualmente. Poichè due madri egli ebbe, una in cielo e l'altra sulla terra, e ad entrambe fece onore”.

 

 

 

CAPO VI

Quarto Capitolo Generale.

 

                LA vita di Don Bosco, obbligato ormai dal peso dell'età e dagli acciacchi, a trascorrere le sue giornate seduto nella propria cameretta con il solo svago di qualche passeggiatina serale in carrozza, doveva essere, umanamente parlando, monotona, massime per lui avvezzo a incessante attività. A rompere la stucchevole uniformità vennero negli ultimi mesi del 1886 quattro fatti, che, pur causandogli inevitabili disagi, gli procurarono tuttavia anche vere consolazioni; vogliamo dire il quarto Capitolo Generale, un viaggio a Milano, una spedizione missionaria e l'inaugurazione della nuova sede per il noviziato a Foglizzo.

                Il quarto Capitolo generale era l'ultimo che si dovesse svolgere sotto la presidenza del santo Fondatore. La lettera di convocazione porta la data del 31 maggio. In essa si notifica va pure che, compiendosi prossimamente un sessennio dall'ultima elezione del Capitolo Superiore, se ne sarebbe nella medesima circostanza rinnovata l'elezione. Luogo dell'assemblea, il collegio di Valsalice; tempo, dal io di settembre. Secondo le Costituzioni[106], avevano diritto di prendervi parte, oltre ai membri del Capitolo Superiore, agli Ispettori e al Procuratore generale, tutti i Direttori delle case; a tenore poi delle medesime Costituzioni[107], essendovi le elezioni, [175] ogni Direttore doveva condurre seco mi socio professo perpetuo, eletto all'uopo dai Confratelli della propria casa.

                Ai singoli Direttori venne contemporaneamente spedito lo schema degli argomenti da trattarsi, affinchè li portassero a conoscenza dei loro dipendenti, i quali erano tutti invitati a farvi sopra serio studio e a porre per iscritto proposte e riflessi che giudicassero opportuni, inviandoli poi in tempo al Consigliere scolastico Don Cerruti, nominato Regolatore del Capitolo Generale Detto schema era formulato in questi brevi termini.

 

MATERIE DA TRATTARSI NEL CAPITOLO GENERALE

IN SETTEMBRE 1886

 

                Si ripasseranno brevemente gli argomenti trattati nell'ultimo Capitolo Generale, e specialmente:

                I. Il num. III dello schema allora proposto, cioè il Regolamento per le parrocchie dirette e dirigende dai Salesiani.

                II Il num. V: indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani artigiani.

                Si propongono inoltre allo studio dei Confratelli queste nuove materie:

                III. Modo di eseguire il decreto della F. M. di S. S. Pio IX Regulari disciplinae.

                IV. Sistema da seguirsi nel promuovere alle sacre ordinazioni.

                V. Modo e mezzi d'impiantar case di studentato pei chierici nelle varie ispettorie.

VI. Modo di provvedere all'esenzione della leva militare.

                VII. Modificazioni da introdursi nel Catalogo della nostra Società. Proposte da farsi dai Confratelli.

 

                S'ingiungeva finalmente ai Direttori e ai Confratelli designati per le elezioni di riunirsi il 25 agosto a S. Benigno Canavese e di fare ivi un corso preparatorio di esercizi spirituali. A quegli esercizi si trovò presente anche Don Bosco, che stava già colà dal 21 durante la muta degli aspiranti[108]. [176] Mai erasi veduta riunione di Salesiani così imponente. Con il Capitolo superiore facevano corona a Don Bosco tre Ispettori, ventinove Direttori[109] con egual numero di soci eletti nelle singole case, più alquanti altri sacerdoti estranei al Capitolo Generale. Predicatori furono Doti Bertello, “che fa delle meditazioni veramente classiche”, scrisse Don Lazzero, e Don Lasagna “che fa istruzioni con zelo veramente da missionario e con spirito salesiano”, soggiungeva il medesimo[110].

                Per motivi finanziari dall'America intervenne il solo Don Lasagna; la qual cosa increbbe; perchè, nonostante tutto, si sarebbe desiderata una più larga rappresentanza da quelle remote contrade[111]. Monsignor Cagliero volle farsi presente con alcune proposte, da svolgersi in una speciale conferenza ai Direttori, le mandava a nome anche di quei Confratelli[112]. [177]

 

                Durante gli esercizi Don Bosco si sentiva ogni dì più spossato a cagione del caldo; perciò si limitava a dare qualche poco di udienza ai Direttori nè poteva assolutamente fare altro. Diceva però in generale: - Se mi volete parlare dell'anima, venite, e troverete sempre Don Bosco pronto ad ascoltarvi. Ho più poco fiato e lo adopero volentieri a benefizio de' miei figli. - Al vedere poi tutti gli esercitandi stringersi intorno a lui durante qualche ricreazione per ascoltarlo, mescolati insieme superiori e inferiori, diceva contento: In questo vi riconosco tutti miei figli. Siate sempre senza gare di preferenza. Qui vedo Direttori, predicatori degli esercizi, membri del Capitolo Superiore, ma tutti riuniti come in una sola famiglia. Vorrei dirvi tante cose, ma i miei polmoni non vogliono più soffiare. Le dirò a Don Rua, ed egli ve le ripeterà. Intanto pregate per Don Bosco. - Così dicendo, si allontanava, mentre i presenti commossi si affrettavano a baciargli la mano[113]. Infine, debilitato all'eccesso e pieno di sofferenze, lasciò quella casa la mattina del 31. Trascorso il rimanente della giornata nell'Oratorio, partì alle dieci del 10 settembre per Valsalice. Passando dinanzi alla casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice dov'erano radunate molte Suore per i loro esercizi spirituali, volle soffermarsi. Entrato diede a tutte in cappella alcuni ricordi, le benedisse e, rimontato in vettura, proseguì il suo cammino.

                Lo aspettavano a Valsalice tutti i componenti il  Capitolo Generale. Verso sera vi fu adunanza nella chiesa. Don Bosco [178] si assise nel presbiterio, fra i membri del Capitolo Superiore che scadeva. Dopo il canto del Veni Creator, Don Rua a nome di lui dichiarò aperto il Capitolo Generale e lesse gli articoli del Regolamento riguardanti tale oggetto. Quindi, invocata la protezione di Maria Vergine col canto dell'Ave maris stella e ricevuta la benedizione di Gesù in Sacramento, si passò nella sala delle riunioni per la sessione preparatoria.

                Quivi, fattasi una succinta relazione circa gli uffici da affidarsi agli eligendi, fu stabilito che all'elezione si procedesse il mattino seguente e che nel pomeriggio si tenesse la prima seduta per trattare del quinto e settimo tema, riferentisi agli studentati dei chierici nelle diverse Ispettorie e la compilazione del Catalogo della nostra Società: due argomenti di secondaria importanza, ma che nella mente del regolatore dovevano servire soprattutto all'affiatamento dei capitolari e ad avviare le discussioni.

                Era la prima volta che il Capitolo Superiore si presentava al Capitolo Generale con un suo segretario nella persona di Don Lemoyne. Il segretario non è propriamente uno dei Superiori del Capitolo, del quale è semplice officiale; non poteva quindi allora essere compreso fra gli elettori nè in forza della regola che attribuiva al Capitolo Superiore il diritto elettorale, nè in forza del giure comune; l'assemblea pertanto, valendosi de' suoi poteri, prima che si sciogliesse l'adunanza preliminare, deliberò ad unanimità che il segretario generale del Capitolo superiore fosse elettore.

                Venne per ultimo distribuito un elenco dei Soci eleggibili, non esclusi gli scadenti dall'ufficio. Sommavano a settantuno, senza il Rettor Maggiore che durava a vita, il suo Vicario che stava ad nutum Rectoris, i monsignori Cagliero e Fagnano, aventi una destinazione speciale dalla Santa Sede. A quel tempo bisognava fare l'elezione anche del Maestro dei Novizi, poichè la regola tassativamente [179] prescriveva: Novitiorum Magister eligatur in Capitulo Generali[114].

                L'elezione, svoltasi senza incidenti[115] il mattino del 2, diede questi risultati.

 

Prefetto. Don BELMONTE DOMENICO.

Direttore Spirituale. Don BONETTI GIOVANNI.

Economo Don SALA ANTONIO.

Consigliere scolastico. Don CERRUTI FRANCESCO.

Consigliere professionale. Don LAZZERO GIUSEPPE

Consigliere. Don DURANDO CELESTINO.

Maestro dei Novizi. Don BARBERIS GIULIO.

 

                Monsignor Cagliero fu proclamato Catechista onorario. A cose fatte, si lesse a Don Bosco un indirizzo, col quale tutti i presenti dichiaravano essere loro comune pensiero che riguardo all'elezione Egli potesse fare come crederebbe meglio nel Signore, confermando o mutando. Don Bosco ringraziò i congregati per quell'atto di fiducia, espresse la sua soddisfazione e invitò a ringraziare Iddio. A mò di conclusione annunziò con parole piene di carità e con dolore la perdita fatta quella mattina medesima del carissimo confratello Don Nespoli, augurando alla Congregazione tanti buoni Salesiani quale era stato il testè defunto.

                Don Nespoli meritava veramente una sì bella commemorazione. L'immaturità della sua fine faceva piangere più dolorosamente la perdita di un sì robusto ingegno e di una sì maschia virtù, una virtù conquistata a forza di eroici sacrifizi, [180] data la sua indole naturalmente sdegnosa e schiva. Rimasto orfano del padre a nove anni, visse ancora un biennio presso i suoi, quando una pia signora, alla cui carità il genitore morente aveva raccomandato la povera famiglia, s'interessò per farlo accettare all'Oratorio. Qui egli fece le cinque classi ginnasiali; ma nel ginnasio superiore, ingolfato nella lettura dei classici e non trovando nella scuola chi comprendesse i bisogni del suo spirito e lo illuminasse sufficientemente nelle cose della fede, si raffreddò assai nella pietà. Per sua fortuna, la santità di Don Bosco e di Don Rua, da lui nettamente scorta, fu la doppia calamita che lo attrasse e lo ritenne. Nel 1876 passò al noviziato, che allora costituiva un reparto a sè nell'Oratorio. In quell'anno sotto la direzione di Don Barberis cominciò il lavorio della sua ricostruzione spirituale, alquanto rallentata appresso nei tre anni, che seguirono la professione temporanea, finchè, mandato ad Alassio, trovò in Don Cerruti il Direttore che faceva per lui. Da quel punto le sue ascensioni non ebbero più arresto. Studio e pietà, scuola e assistenza erano la sua vita di tutti i giorni. Insegnando nel liceo, voleva riserbata a sè l'ora settimanale di religione, alla quale si preparava con la massima serietà, ottenendo eccellenti risultati. Da Alassio s'inserisse all'Università di Genova; ma, poco dopo aver conseguita la laurea in lettere, ammalò a morte. Contava appena ventisei anni di età.

                Il suo nome è raccomandato a una sua pubblicazione postuma, frutto dell'amore intenso con cui erasi dedicato allo studio dei Santi Padri[116]. Il suo amico e collega d'insegnamento Don Fascie, allora laico, oggi Consigliere scolastico generale, vi premise un'interessante prefazione sulla vita del traduttore. Del suo carattere scrive: “Vi era in lui un'impronta di stabilità, una posa così energicamente costante, che io, in qualunque atteggiamento mi venisse davanti o [181] lo scontrassi da me, poteva sempre raffigurarlo, e dirmi: è lui. E v'era un posto, dove questo suo tratto, al quale si riconosceva, spiccava proprio tutto e solo, ed era la scuola. Là Don Nespoli ci era proprio tutto, senza mistura di sorta”. Della sua attività intellettuale egli osserva: “Per lui il sapere era solo un mezzo; il fine non era esser dotto, ma buono ed aiutare gli altri ad esser buoni” . Don Nespoli prestava questo aiuto con il rendersi buon maestro, e il suo lodatore fa vedere com'egli sentisse di essere maestro nel dir Messa, nel recitare il Breviario, in ricreazione, nel condurre i giovani a passeggio e naturalmente nel fare lezione. “Quell'indole, dice Don Fascie, così fiera si ammansiva coi giovani, si faceva tutto per loro, sapeva compatirli, pigliava sul serio tutte le loro difficoltà od obbiezioni e le risolveva, si piegava anche un poco al loro carattere. Era sempre serio però: e di più v'era una categoria coi quali era inesorabile, e non ebbe mai tregua: quella volontà così energica non potè mai piegarsi a compatire, che dico? a soffrire i poltroni in iscuola” . L'energia della volontà lo accompagnò e sorresse per tutta la vita. “Era tanto deciso nelle cose sue, ricorda Don Fascie, che si meravigliava forte, quando il suo direttore gli chiedeva, se gli fossero mai venuti dubbi sulla propria vocazione. Non poteva capire, e non gli entrava, che ci fosse della gente, che dopo aver preso una decisione di tal sorta, potesse ancora pensare ad avere dei dubbi; e mi ci volle del bello a capacitarlo” . Amava la famiglia, gli amici, gli scolari; ma, è sempre Don Fascie che parla, “primo fra tutti Don Bosco, che aveva preso nel suo cuore il posto di suo padre e che nel riamarlo faceva sentire, quanto quel posto gli fosse caro”[117].

                Rientriamo nell'argomento del Capitolo Generale. La seduta pomeridiana del 2 settembre, in cui, come abbiamo [182] detto, si trattò del catalogo e degli studentati, non ci presenta nulla di notevole, tranne qualche osservazione di Don Bosco. Egli approvò la proposta d'inviare alle scuole superiori pontificie di Roma alcuni dei più segnalati fra i chierici per completarvi i loro studi; solo fece rilevare che allora gli sembrava troppo presto, attesa la necessità dì personale per le opere in corso. I due primi chierici salesiani Festa e Giuganino furono mandati all'Università Gregoriana per la teologia nell'autunno del 1888. Il Salito raccomandò inoltre che si mantenessero le denominazioni in uso, come ascritti e anno di Prova invece di novizi e noviziato. - Questo, diss'egli, non è nè necessario nè utile. - Sopra una terza cosa verremo più avanti, quando si parlerà di Foglizzo. La tornata non diede luogo a formali deliberazioni.

                La mattina del 3 si discusse in primo luogo sul modo di esentare i chierici dalla leva militare. In quegli anni stavano ancora aperte parecchie vie di scampo, che in anni successivi si vennero chiudendo. - In tutte queste cose, notò Don Bosco, è di somma importanza l'avere a conoscitore delle leggi e delle persone qualcuno che sia buon amico e che voglia aiutarci. E se non si ha nessuno, conviene ricorrere con fiducia a chi sia al caso di potersene occupare invitandolo e pregandolo di aiutarci a far valere nella leva o nella visita i diritti che possono competere al coscritto. Generalmente accettano e s'impegnano presso altri. - Assai notevole è quello che pronosticò dopo d'aver accennato alle leggi della Francia e della Spagna in materia di servizio militare. Disse: - In quanto all'Italia, ebbi comunicazione che si sta studiando come esentare quelli che vorranno consacrarsi alle Missioni estere. E ciò servirà molto alla esenzione dei nostri. Non tarderà il giorno che il clero sarà esentato tutto in Italia con qualche restrizione. Ma intanto fino a che questo non sia, si procuri l'esenzione con tutti i modi onesti e legali[118]. - [183]

                Nulla poteva allora far sperare l'esenzione generale del clero, anzi lo spirito dei Governo moveva in direzione opposta; oggi invece dopo i Patti del Laterano è un fatto compiuto: la restrizione si prospetta per il caso di una mobilitazione generale, in cui però quelli in sacris devono attendere a uffici sacerdotali o sanitari.

                Esaurito questo tema, si esaminò la procedura da seguire nel promuovere i chierici alle sacre ordinazioni. Sull'andamento della discussione, continuata nel pomeriggio, i verbali sono muti; ma lo studio dovette essere condotto ben a fondò, come ne fanno fede i quindici articoli deliberati[119].

                Nella seduta pomeridiana fu elaborato un regolamento per le parrocchie. Il relatore Don Lasagna usufruì anche di lavori del Capitolo Generale terzo intorno a questo oggetto. Egli premise alcune considerazioni, che sembravano sconsigliare la facile accettazione di cure parrocchiali. Molte difficoltà si sollevarono sul modo di conciliare fra loro le due autorità, dove alla parrocchia andasse unito un ospizio. Dopo vivo dibattito la questione fu troncata col rimettere al Rettor Maggiore il determinare volta per volta, se il Direttore dell'ospizio dovesse essere superiore di tutta la casa ovvero il Parroco dovesse tenere anche la direzione. Restò per altro fermamente deciso che le due amministrazioni stessero affatto distinte. Il tempo dacchè i Salesiani governavano parrocchie, era ancora troppo breve, perchè si potesse fare appello all'esperienza a fine di beli regolamentare questa materia; tuttavia quel secondo tentativo segnò un progresso sul primo, dando luogo a formulare un complesso di norme degne della nostra considerazione, non foss'altro perchè furono il punto di partenza alle definitive deliberazioni posteriori e poi perchè furono discusse vivente Don Bosco[120].

                Don Bosco entrò nell'aula ed assunse la presidenza, tenuta fino allora da Don Rua, quando si studiava la maniera di rendere [184] il Parroco amovibile ad nutum Superioris, e, informatosi sommariamente delle cose discusse, prese a parlare così: - Io sono di parere che, trovandoci ora in tempi calamitosi per la divisione del potere civile dall’ecclesiastico, convenga tirare innanzi come meglio si può, regolandoci secondo gli eventi per le parrocchie che già esistono. Per quelle che verrà il caso di accettare, il Capitolo Superiore penserà al migliore modo per ottenere l’inamovibilità.

                Un altro tentativo interessante fu quello di disciplinare meglio le scuole professionali. Il paragrafo secondo dello schema diramato ai Confratelli, presentava un duplice oggetto, indirizzo cioè da darsi agli artigiani e mezzi per svilupparne la vocazione religiosa. Partecipò alla discussione anche il coadiutore Rossi. Le deliberazioni prese meritano di non giacere sepolte negli archivi, sia perchè rispecchiano il pensiero di Don Bosco che certamente le fece sue, sia perchè segnano il primo passo da un periodo basato sulla tradizione a un periodo regolato da leggi scritte circa l'indirizzo intellettuale, tecnico e religioso delle nostre scuole professionali. Era il frutto di una trentennale esperienza[121].

                Il 5 settembre, giorno di domenica, si tenne soltanto la seduta serale, in cui il Capitolo determinò la maniera di osservare i decreti sull'accettazione degli ascritti e il metodo da seguire nell'ammettere ai voti. - Con questi decreti, disse Don Bosco, Pio IX ebbe più che altro in mira di dare agli Ordini religiosi un'arma per respingere coloro che domandano d'entrare in religione e non ne siano degni. Ecco anche il motivo per cui questa disposizione fu ristretta solamente all'Italia. Tale è lo spirito dei decreti.

                Diciamo una parola sull'origine e la natura di questi decreti. Pio IX un anno dopo ascesa la cattedra di Pietro, il 17 giugno 1847, diresse ai Superiori generali, Abati, Provinciali ed altri Superiori regolari l'Enciclica Ubi primum arcano, [185] nella quale dichiarava che, appena eletto al pontificato, aveva concepito il disegno di difendere, confortare ed abbellire gli Ordini religiosi. Poi prometteva loro di volersi adoperare singolarmente perchè in essi “la santità dei costumi, l'insegnamento spirituale e la disciplina regolare, secondo gli statuti di ciascuno, rivivessero e fiorissero sempre meglio”. Faceva noto infine che a promuovere e a sostenere tale riforma egli aveva costituito la Congregazione de statu regularium ed invitava i Superiori regolari a vigilare attentamente sui loro sudditi ed a mantenersi in buon accordo tanto fra di loro quanto coi Vescovi e col clero secolare, per contribuire tutti viribus unitis all'edificazione del corpo di Cristo, cioè della santa Chiesa. A compier l'opera della riforma emanò poi il 25 gennaio 1848 per l'organo di detta Congregazione il decreto Regulari disciplinae instaurandae, ove s'impartivano salutari prescrizioni sull'ammissione dei novizi all'abito e alla professione religiosa.

                A tenore dell'ordinanza pontificia bisognava eleggere una Commissione esecutrice generale e sette esaminatori provinciali. Procedutosi all'elezione, risultarono eletti per la prima i membri e il segretario del Capitolo Superiore e per esaminatori provinciali Don Francesia, Don Marenco, Don Bianchi, Don Nai, Don Rinaldi Filippo[122], Don Tamietti, Don Guidazio[123].

                Le proposte varie dei Confratelli vennero presentate all'assemblea nelle due sedute del giorno 6. La discussione di maggiore importanza è per noi quella aggiratasi intorno al Bollettino Salesiano. Vi si affermò in questi termini il concetto generale: “Il Bollettino Salesiano ha per iscopo di mantenere vivo lo spirito di carità fra i Cooperatori, di portare a loro conoscenza le opere compiute o da compirsi dalla pia nostra [186] Società, e di animarli a prestarle aiuto opportuno. Pertanto si deve riguardare come l'organo della Società medesima”[124].

                E affinchè il periodico si mantenesse fedele allo scopo, per cui Don Bosco ne aveva intrapresa la pubblicazione, il Capitolo generale deliberò quanto segue.

 

I. Il Bollettino sia redatto e stampato sotto l'immediata sorveglianza del Capitolo Superiore il quale farà sì che venga tradotto nelle diverse lingue, e incaricherà mi Direttore - Redattore in capo, che abbia cura di rivedere e ordinare gli articoli e le notizie, che vengono dai vari paesi, e provvegga alla sollecita sua pubblicazione e spedizione.

2. Acciocchè il Bollettino corrisponda anche ai bisogni regionali, lasciando sempre invariato il testo delle varie traduzioni, si riserberanno le ultime pagine per pubblicare le notizie particolari di quelle case, che trovansi nei diversi Stati.

                In America avendosi a pubblicare qualche articolo di urgenza gli Ispettori potranno far stampare un supplemento straordinario, di cui nel successivo numero si darà riassunta la sostanza.

3. Ciaschedun Ispettore incaricherà uno della sua Ispettoria, che sia idoneo ed abbia comodità di raccogliere un mensuale riassunto delle notizie più importanti dell'Ispettoria, e le trasmetta al Direttore del Bollettino prima del 15 del mese, affinchè possano essere inserite nella prossima dispensa.

4. Le offerte che sono fatte dai Cooperatori per venire in aiuto alle opere salesiane, come corrispondenza col Bollettino siano tenute in conto a parte e da ogni casa si mandino al Rettor Maggiore.

                Si possono ritenere negli Ospizi le offerte che designatamente vengono fatte ad essi, purchè se ne dia avviso al Rettor Maggiore. In ogni caso si eseguiscano sempre le intenzioni degli offerenti.

 

                Durante le due sedute Don Bosco prese più volte la parola. Una volta per incidente raccomandò a tutti di conoscere bene l'Opera di Maria Ausiliatrice e di favorire le vocazioni degli adulti; poi aggiunse: - Quando il cardinale Berardi, riferì al Santo Padre Pio IX su quest'Opera, il Papa disse: "Se i frati vorranno frati, dovran ricorrere a questa via; così anche i Vescovi, se vorranno preti ". La ragione è che talora i giovani fanno naufragio nell'adolescenza, ma poi ritornano in sè all'età di sedici o diciotto anni od anche a venti. [187]

                Parlandosi delle raccomandazioni fatte da Leone XIII per sottrarre la gioventù alla Massoneria, Don Bosco osservò: Basterà che si raccomandi ai giovani più adulti di non ascriversi a società alcuna senza il consenso dei genitori e del parroco; ma noti se ne parli di proposito nè in casa nè per le stampe. Sarebbe un risvegliare le ire dei nemici senza alcun profitto.

                Sulle visite degli Ispettori e dei Superiori maggiori alle case Don Bosco raccomandò che si andasse sempre in nome del Superiore e che si richiamassero i Confratelli all'osservanza delle Regole noti in forza dell'Io voglio ma in forza del dovere dalle Regole imposto. - L'Io guasta tutto - conchiuse. A rincalzo della quale raccomandazione cadono qui in acconcio alcune parole da lui pronunziate il 14 febbraio 1887 nel Capitolo Superiore. Proponendosi di dare maggiore sviluppo a certi articoli del Regolamento, egli disse: - Non si cerchi di rendere troppo prolissi e specificanti i nostri Regolamenti, quando sembrino tiri po' concisi. Ove non vi sia necessità di regola, si proceda con una bontà paterna, e i sudditi aiutino il Superiore pel buon andamento della Casa. - Ed ecco un bel tratto di questa bontà, della quale egli era vivente esempio. Un ordine improvviso di Don Cerruti sbalestrava, Don Borio da Lanzo a Randazzo. Al buon piemontese l'andare in Sicilia sembrò che fosse un andare in capo al mondo e gli seppe duro e se ne aperse per lettera con Don Bosco, che paternamente gli rispose:

 

                                Caro D. Borio,

 

                Parti pure tranquillo a mia benevolenza e la mia benedizione ti accompagnerà ovunque andrai. Prendi teco la pazienza e la prudenza. Sii luce a' tuoi compagni. Dio farà che ci possiamo vedere forse fra non molto tempo.

                Maria ci guidi nei pericoli e sia di tutti i Salesiani di vera guida al cielo.

                Continua pregare per questo tuo amico che ti sarà sempre in G. C.

 

                Torino, 6 febbraio 1886

 

Aff.mo

Sac. GIOV. BOSCO. [188]

                Ragionandosi del sistema preventivo, comunicò d'aver cominciato un opuscolo su tale argomento e che sperava di poterlo o per sè o per altri condurre a termine. Ma purtroppo non solamente il lavoro non fu terminato anzi del suo cominciamento non rimase traccia fra le carte del Santo[125].

                Nella mattina del 7 il Capitolo si radunò per l'ultima volta. Doli Bonetti vi lesse una relazione intorno a cinque cose da osservarsi nel trattare con le Figlie di Maria Ausiliatrice, e cioè: I° Non accompagnare il medico, quando visita le inferme. 2° Contentarsi del loro servizio nella cucina e nei refettori. 3° Non opporsi al trasloco di qualche suora. 4° Non dare mai loro del tu ed evitare ogni atto di confidenza. 5° Al quesito se oltre al Santo Padre, al Rettor Maggiore, alla Madre Generale fosse da permettere che le Suore scrivessero liberamente al Direttore locale, agli antichi direttori e al confessore, il relatore espresse parere contrario; soltanto a quelle che dimoravano in America potersi concedere che per la ragione della distanza scrivessero all'Ispettore.

                Finalmente Doli Rua richiamò alcune parti della Regola, delle quali importava inculcare l'osservanza. I° Rispondere con prontezza e sollecitudine alle lettere mensuali degli Ispettori; così facessero gli Ispettori per le domande loro rivolte dal Capitolo Superiore. 2° Mettersi tutti d'accordo Ispettori e Direttori sull'osservanza della povertà. 3° I Direttori non tenessero in camera bibite, liquori per se e per altri. 4° I Direttori nella qualità e quantità del vitto stessero al regolare. 5° Il vestiario si tenesse pulito, ma non si avesse premura di mutarlo oltre la Regola; così le calzature. 6° Non [189] viaggiare per piacere, e non prendere senza necessità la seconda classe. 7° Fare l'esercizio della buona morte secondo le Deliberazioni e separatamente dai giovani. 8° Si facessero regolarmente i rendiconti; il praticarli con diligenza far procedere bene le case. 9° Il Direttore anche prima che occuparsi dei giovani, curasse i confratelli. Si facesse la scuola di teologia e quella di cerimonie; servire queste a conservare lo spirito religioso. 10° Aiutare i giovani chierici provenienti dal noviziato. Fomentare in loro lo spirito di pietà e formarli alla pratica del lavoro. Si avvisassero specialmente di non affaticarsi vociferando, allorchè incominciavano ad insegnare. Tenersi informati dei loro portamenti nella scuola. Avvisarli con carità e sincerità. II° Leggere in principio d'anno il sistema preventivo e spiegarlo, com'erasi già determinato. 12° Badare ai princípi, quando alcuno trovasse difficoltà, per aiutarlo opportunamente.

                Dopo questo il Regolatore lesse l'atto di chiusura del Capitolo Generale, che venne subito da tutti firmato. Il documento terminava con la seguente dichiarazione: “Come le nostre Regole danno al Rettor Maggiore la più ampia facoltà su tutto quello che riguarda il benessere e la prosperità della Pia Società Salesiana, così i membri del Capitolo Generale prima di separarsi, mentre ringraziano cordialmente l'Amatissimo loro Don Bosco della bontà paterna usata nell'assisterli e fanno caldi voti per la sua carissima conservazione, dichiarano unanimemente di lasciargli pieni poteri di sviluppare maggiormente quello che non fosse stato abbastanza largamente trattato e aggiungere o modificare tutto quello che fosse da aggiungere o modificare al bene e progresso della Pia Società Salesiana ed in conformità delle nostre Costitu­zioni”.

                Abbiamo riferite qua e là cose dette da Don Bosco durante le tornate; ma a giudicare da quanto scrisse Don Albera, le sue parole non furono tutte raccolte dai segretari del Capitolo Don Lemoyne e Don Marenco. Dice infatti il secondo [190] successore del Santo[126]: “Ciascuno esponeva con calma e delicatezza il proprio modo di vedere e, finita la discussione, si aspettava che D. Bosco sciogliesse le difficoltà, decidesse le questioni, e con sicurezza e precisione indicasse la via da tenersi. Quelle assemblee erano altrettante scuole, ove il venerato Maestro, sentendo vicino il giorno in cui avrebbe dovuto lasciare i suoi amati discepoli, pareva volesse condensare in poche parole i suoi insegnamenti e tutta la sua lunga esperienza”.

                Allorchè sul principio del nuovo anno scolastico il personale delle case si trovava tutto al proprio posto e le cose vi avevano preso il loro andamento regolare, Don Bosco con una circolare del 21 novembre stesa da Don Lemoyne comunicò ufficialmente ai Confratelli il risultato delle elezioni, unendovi le raccomandazioni seguenti.

 

                Ora non rimane che a prestare dal canto vostro piena obbedienza al nuovo Capitolo, secondochè venne dal Signore per mezzo vostro ordinato. Questa obbedienza sia pronta, umile ed ilare quale ce la prescrivono le Regole. Riguardiamo i nostri Superiori come fratelli, anzi come padri amorosi, che null'altro desiderano che la gloria di Dio, la salvezza delle anime, il nostro bene ed il buon andamento della nostra Società. Ravvisiamo in essi i rappresentanti di Dio stesso, abituandoci a considerare le loro disposizioni come manifestazioni della divina volontà. E se qualche volta avverrà che diano ordini non conformi ai nostri desideri, non rifiutiamoci perciò dall'ubbidienza, pensiamo che anche a loro torna penoso il comandare cose gravi e spiacevoli, e ciò fanno solo perchè riconoscono tali ordini come richiesti dal buon andamento delle cose, dalla gloria di Dio e dal bene del prossimo. Si faccia pertanto volentieri sacrifizio dei proprii gusti e delle proprie comodità per sì nobile fine e si pensi che tanto più sarà meritoria presso Dio la nostra ubbidienza, quanto più grande è il sacrifizio che facciamo nell'eseguirla.

                Guardiamoci poi, o miei cari figliuoli, dal cadere nel grave difetto della mormorazione che tanto è contraria alla carità, odiosa a Dio e dannosa alle comunità. Fuggiamo la mormorazione riguardo a qualsiasi persona, fuggiamola specialmente riguardo ai nostri confratelli, sopratutto se superiori. Il mormoratore, come dice lo Spirito Santo, semina la discordia, porta il malumore e la tristezza là dove regnerebbe la pace, l'allegria insieme colla carità. Procuriamo perciò coll'ubbidienza, [191] rispetto e affezione di portarci in modo che, come dice San Paolo[127], i Superiori cum gaudio hoc faciant et non gementes, con gaudio abbiano essi a compiere l'ufficio loro e non sospirando.

                Ma l'ubbidienza e la carità non sono le sole cose che desidero raccomandarvi in questa circostanza; una terza cosa mi preme anche assai ed è l'osservanza perseverante del voto di povertà. Ricordiamoci, o miei cari figliuoli, che da questa osservanza dipende in massima parte il benessere della nostra Pia Società e il vantaggio dell'anima nostra. La Divina Provvidenza, è vero, ci ha finora aiutato e, diciamolo pure, in modo straordinario in tutti i nostri bisogni. Questo aiuto, siamo certi, vorrà continuarcelo anche in avvenire per l'intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice, che ci ha sempre fatto da Madre. Ma questo non toglie che noi dobbiamo usare dal canto nostro tutta quanta la diligenza sì nel diminuire le spese, ovunque si possa, come nel far risparmio nelle provviste, nei viaggi, nelle costruzioni ed in generale in tutto quello che non è necessario. Credo anzi che per questo noi ne abbiamo un dovere particolare e innanzi alla Divina Provvidenza e innanzi ai nostri stessi benefattori. Perciò, o miei cari figliuoli, vi raccomando caldamente la pratica di quanto è stabilito nelle nostre deliberazioni (Distinz. V) riguardo all'economia, soprattutto nei lavori e nelle costruzioni, nelle provviste e nei viaggi.

                Il Signore, siatene persuasi, non mancherà di benedire largamente la nostra fedeltà ed esattezza nell'osservanza di questi tre punti di tanta importanza, quali sono l'ubbidienza, la carità e la povertà.

 

                Le Deliberazioni comparvero stampate nel 1887. Del Capitolo Generale terzo non erasi pubblicato nulla; perciò, rivedute le cose allora deliberate, le si fusero con quelle deliberate di recente[128]. Di interamente nuovo, cioè non toccato nel 1886, vi è il capo quarto su gli oratorii festivi[129]. Don Bosco avrebbe desiderato offrire raccolte in un solo volume tutte le Deliberazioni dei quattro Capitoli Generali; ma, richiedendosi a questo lavoro un certo spazio di tempo, amò meglio presentare senza indugio le sole Deliberazioni degli ultimi due. La pubblicazione da lui vagheggiata vide la luce nel 1902 col volumetto, in cui le Deliberazioni dei primi sei Capitoli Generali fanno seguito alle Regole.

 

 

CAPO VII

S. Giovanni Bosco a Milano. L'ultima vestizione dei chierici a S. Benigno.

 

                MENTRE a Valsalice si succedevano le tornate del Capitolo Generale, i cantori dell'Oratorio, guidati dal maestro Dogliani, partivano per Brescia. Si era ivi alla vigilia di solenni feste per l'incoronazione della Madonna venerata nel santuario delle Grazie, ed essi dovevano soste­nere una parte notevole del grandioso programma musicale. Per i buoni uffizi di Don Elena, valente predicatore bresciano e zelante cooperatore, Don Bosco aveva concesso ben volentieri i suoi giovani a quei fervorosi cattolici. Oltre ai cittadini accorsero colà migliaia di fedeli da tutte le diocesi lombarde; v'intervennero parecchi Prelati, fra i quali monsignor Sarto, vescovo di Mantova, e il cardinale Canossa, vescovo di Verona. Delle prove generali l'autorevole maestro Remondi esprimeva questo giudizio[130]: “Una lode speciale va data al coro degli allievi dell'istituto salesiano di Don Bosco ed al loro egregio maestro signor Dogliani, che con pazienza pari all'intelligenza seppe istruire quella squadra di cari fanciulli in modo da ottenere un affiatamento ammirabile”. Dalle lodi poi per “l'ammirabile loro esattezza” nell'esecuzione finale un altro ragguardevole personaggio prendeva argomento a magnificare il metodo e gli effetti dell'educazione [193] impartita negli istituti di Don Bosco. “Urlo dei pregi, scriveva[131], e dirò dei segreti delle case d'educazione di quest'uomo prodigioso e provvidenziale, è l'allevare la gioventù al bene senza imporlo, ma in modo che i fanciulletti stessi lo amino, lo cerchino, lo seguano spontaneamente. Come effetto di questo difficilissimo sistema, ieri mattina tutti i giovanetti cantori, senza il più piccolo avvertimento da chicchessia, ma spontaneamente si accostarono ai santissimi sacramenti. Oh! Don Bosco sa dare buoni cristiani alla Chiesa non meno che ottimi cittadini e bravi cultori delle arti e delle scienze alla patria”.

                La presenza dei giovani a Brescia produsse un senso così vivo e generale di soddisfazione nella cittadinanza, che la Commissione per i festeggiamenti scrisse a Don Bosco: “Abbiamo visto e ammirato fin da questi primi giorni non solo la maestria dei suoi cari giovani nell'arte del canto, ma altresì il loro contegno sopra ogni dire lodevole ed edificante; e compresi della più viva riconoscenza pel generoso regalo che Ella ha fatto alla nostra città e alla nostra Madonna coll'inviarli, non possiamo a meno che rendergliene subito sincerissime grazie anche a nome del nostro Veneratissimo Vescovo[132]. Don Bosco è proprio una benedizione per tutto e per tutti”[133]. Siccome poi si credeva che Don Bosco si trovasse già a Milano, quei signori proseguivano: “In questa occasione però lo potrebbe essere anche di più se, trovandosi, come sentiamo, a Milano, onorasse anche d'una brevissima sua visita la nostra cara Madonna delle Grazie e mettesse così la corona alla nostra festa. Ce la faccia, Rev.mo Don Bosco, questa bella improvvisata e si vedrà attorno un popolo [194] pieno di fede e di divozione, che consolerà dolcissimamente il piissimo di Lei cuore”.

                A Milano Don Bosco doveva giungere fra breve. La metropoli lombarda aveva uno stuolo di Cooperatori numeroso, scelto e attivo. Anima dell'Associazione era Don Pasquale Morganti, già alunno dell'Oratorio ed elevato poi alla sede arcivescovile di Ravenna. Quei buoni amici facevano a voce e per iscritto ripetute istanze, affinchè anche nella loro città si tenesse una conferenza pubblica, che servisse a divulgare sempre più la conoscenza delle opere salesiane; ma vi si voleva l'intervento di Don Bosco. Valido, sostenitore della proposta fu Don Angelo Rigoli, ex - alunno egli pure e dei più anziani, che dopo sperava una visita di Don Bosco alla sua parrocchia di Casale Litta. Don Bosco decise di secondare l'invito, incaricando della conferenza Don Lasagna.

                Sulla possibilità e opportunità di quell'andata erasi protratta a lungo l'incertezza, poichè Don Rua e gli altri Superiori trepidavano per la vita  di Don Bosco. Avrebbe egli potuto sostenere la fatica del viaggio? I prevedibili disagi non avrebbero dato il tracollo alla sua inferma salute? E se, data la sua estrema debolezza, un malore improvviso l'avesse colto lontano dall'Oratorio? Finalmente dopo tanto tergiversare in un supplemento del Bollettino di settembre Don Bosco stesso, annunziando ai Cooperatori lombardi la conferenza milanese per la domenica 12 del mese, diceva[134]: “Nonostante gli incomodi della vita, nutro la più viva fiducia di poter ancor io intervenire alla conferenza, perchè desidero di fare e rinnovare la conoscenza di un buon numero di persone del Clero e del Laicato Lombardo, le quali in più occasioni diedero segni di generosa carità a pro delle opere, che la divina Provvidenza ha posto nelle povere mie mani”[135]. [195]

                In questa determinazione un motivo personale ebbe gran peso. Egli sentiva quante obbligazioni lo legassero all'arcivescovo Calabiana per i benefizi dal medesimo ricevuti durante il suo episcopato casalese ed era contento di avere un'occasione per rendergli un pubblico attestato della propria riconoscenza prima di lasciare questa terra.

                Partì dunque la mattina dell'II settembre in compagnia del milanese Don Rocca, direttore del collegio di Alassio, e assistito da Don Viglietti. Venne a prenderlo nell'Oratorio e lo condusse alla stazione con un magnifico cocchio un signore di Barcellona, Don Leandro Suner, l'amministratore del marchese Jovert[136]. Era giunto il dì innanzi dalla Germania, scortando la marchesa Jovert con la costei dama di compagnia, e tutti insieme avevano subito fatto visita a Don Bosco nel collegio di Valsalice, ascoltandone la Messa e quindi accettando graziosamente di prendere con lui il caffè. La Marchesa licenziandosi gli aveva rimesso un'offerta di mille lire.

                S'arrivò a Milano un'ora dopo il mezzodì. Il viaggio era stato felice. Il cocchio dell'Arcivescovo lo aspettava per condurlo al palazzo, dove Sua Eccellenza lo voleva suo ospite. Alla stazione molti signori e signore e numerosi sacerdoti gli porsero con ambrosiana cordialità il benvenuto. Don Lasagna, precedutolo il giorno avanti, era là con Don Veronesi, direttore del collegio di Mogliano Veneto. Sul piazzale esterno stava assembrata una folla di gente, che, al vederlo camminare con pena e curvo della persona, ma sorridente, fu presa da commozione e si udiva esclamare: - Ecco un santo!... Un gran santo!... Il santo di Torino. - Molti al suo passaggio piegavano il ginocchio per averne la benedizione.

                Nell'atrio dell'episcopio incontrò i sacerdoti della Curia arcivescovile, che gli fecero scorta d'onore fino all'Arcivescovo. Salì lo scalone molto a rilento, sostenuto e quasi portato [196] da vigorose braccia; ma erano oggetto di commenti la vivacità de' suoi occhi e la lucidità dello spirito. Il venerando Prelato pressochè ottuagenario, mossogli incontro, lo abbracciò con tenerezza e lo ricevette con ogni dimostrazione di stima e di cordiale amicizia. - Eccellenza, erasi affrettato a dirgli Don Bosco, prima di morire io voleva rivederla ancora una volta e ricevere la sua benedizione.

                Monsignore si mostrò affabilissimo anche con i Salesiani che accompagnavano Don Bosco e prese tosto a parlare in dialetto, ricordando il natio Piemonte e le proprie relazioni con Don Bosco e con i suoi figli. Il Servo di Dio appariva stanco; perciò dopo una breve refezione fu condotto a riposare nella camera a lui assegnata. Alle cinque e mezzo, ora del pranzo, egli aveva ripigliato vigore, sicchè tenne animata la conversazione fra gli invitati. Dopo ricevette alcune visite. Quando, verso le dieci, s'andò a letto, l'Arcivescovo volle prima la benedizione di Don Bosco; perciò ben prevedendone le resistenza, gli s'inginocchiò di botto davanti con atto divotissimo e appresso lo riabbracciò con affetto e lo accompagnò nella sua stanza.

                Il pensiero del Santo erasi portato a Valsalice, dove si faceva un corso di esercizi spirituali; onde per suo ordine Don Viglietti nella serata aveva scritto a Don Rua: “Don Bosco m'incarica di pregarla che Ella dica a tutti coloro che stanno costì agli esercizi dolergli tanto di essere lontano d a essi, e questa essere la pena maggiore che egli soffra; che però gli sono tutti molto presenti nelle sue orazioni. Manda saluti a tutti, e a tutti copiose benedizioni”.

                La conferenza salesiana era stata preparata molto bene. La si tenne la mattina del 12 alla Madonna delle Grazie. All'Arcivescovo spiaceva che quella non fosse la stagione migliore, stante l'assenza di tutta la nobiltà milanese, la quale per solito vi fa ritorno verso Ognissanti; pure la riunione ebbe qualche cosa d'imponente. I giovani dell'Oratorio, venuti là da Brescia, eseguirono meravigliosamente alcune [197] parti della Messa cantata; il Sancta Maria succurre miseris del Cagliero rapì anche i giornalisti profani, come si vede dai loro articoli. Terminata la Messa, fece il suo ingresso nella chiesa l'Arcivescovo, precedendovi di alcuni minuti Don Bosco, che giunse con Don Lasagna e Doli Viglietti. Per via la gente l'aveva salutato con grande riverenza. Appena si affacciò alla porta del tempio, i più vicini si accalcarono intorno a lui, sicchè ci volle tempo e fatica per trascinarlo (è qui la parola più acconcia) al presbiterio accanto a Monsignore. La moltitudine che gremiva il vasto santuario, lo contemplava silenziosa e devota. Anche lo storico Cesare Cantù gli si era appressato nel suo passaggio, seguendolo un tratto da vicino[137].

                Dopo un mottetto cantato dai giovani, Doli Lasagna, presa la benedizione dall'Arcivescovo, montò in pulpito. Al primo vederlo fu una grave delusione, perchè tutti si aspettavano che avrebbe parlato Don Bosco; ma fili dall'esordio il conferenziere si cattivò l'attenzione e la simpatia del pubblico, composto di almeno ottomila persone, che pendettero dal suo labbro per un'ora e più. Chiunque l'abbia ascoltato qualche volta a predicare, non troverà esagerato il giudizio che della sua eloquenza ha dato il suo biografo. “Aveva, scrive Don Albera[138], un'arte finissima per insinuarsi nel cuore de' suoi uditori, e poi tale ricchezza di fatti e di ragioni, una parola sì efficace da comunicare a tutti le sue idee e il medesimo suo entusiasmo”.

                Egli sciolse da prima un inno di riconoscenza all'Arcivescovo, che vent'anni addietro a Casale in quello stesso giorno l'aveva ammesso a vestire l'abito chiericale. Fece quindi un quadro di tutta l'Opera di Don Bosco nei due mondi estendendosi alquanto a descrivere pittorescamente la vita missionaria dei Salesiani e in particolare la loro attività a favore degli emigrati d'Italia. Il corrispondente di un giornale [198] torinese[139] scrisse che se la conferenza, anzichè in chiesa, fosse stata tenuta in luogo privato, più e più volte gli applausi dell'uditorio avrebbero interrotto l'oratore, massime quando dimostrò che le Missioni non sono soltanto un'opera di religione, ma anche di patriottismo, sicchè i governanti avrebbero obbligo e interesse a favorirle, esentando dalla leva militare i chierici a quelle destinati. Scosse poi fortemente l'uditorio, quando con tutta la foga del suo dire rappresentò il Papato come la più splendida e pura gloria d'Italia. La digressione, voluta forse a buon fine, tornò opportunissima per vari motivi[140].

                Quando tutto era finito, Don Bosco per condiscendere alle preghiere di autorevoli persone attraversò la lunga navata della chiesa. I Milanesi, come già i Parigini e i Barcellonesi, si spingevano innanzi sul suo passaggio e chi gli baciava le mani, chi gli toccava divotamente gli abiti, chi faceva il segno della croce, chi gli chiedeva la benedizione. Gli altri che non si potevano avvicinare, lo rimiravano da lungi inteneriti al vederlo sofferente e sorridente, e la commozione cresceva osservando come a sorreggerlo vi fosse anche il venerando Arcivescovo. Fuori della chiesa la folla che occupava la piazza e le vie attigue proruppe in un immenso: Evviva Don Bosco! Evviva Monsignore! - Al trascorrere della carrozza che portava i due personaggi, queste acclamazioni di tratto in tratto si ripetevano con tutto lo slancio del popolare entusiasmo.

                Egli smontò al seminario di S. Carlo, dove albergavano i cantori dell'Oratorio e molta gente era convenuta per vedere Don Bosco e parlargli. Quei giovani gli fecero tripudiando mille feste. Il Santo passò in mezzo a loro dispensando sorrisi, [199] parolette e facezie. Gli spettatori, commentando la scena, ammiravano quella paterna e filiale corrispondenza d'affetto.

- Salutati i ragazzi, Don Bosco si ritirò in una sala per dare udienze. Ma come ascoltare uno a uno tanti visitatori? E poi in un attimo la sala si riempì talmente di persone, che man­cava la necessaria libertà di conferire. Un fatto provviden­ziale, richiamando l'attenzione di tutti, offerse una via di scampo. Era là in mezzo alla confusione una signora, che con­duceva una sua figlia sorda. Com'essa potè a gran fatica avvi­cinarlo, il Santo diede la benedizione alla fanciulla e le ordinò di recitare una certa preghiera. Quella, come chi ode e intende, si ritirò in un angolo, pregò nel modo indicatole, e tornata a lui, gli disse: - Vede, Don Bosco? Io sono bell'e guarita. Ora sento tutto. - Lo stupore dei presenti andò al colmo e in un batter d'occhio la notizia della guarigione si sparse per la città[141]. Durante quella specie di parapiglia Don Bosco fu fatto uscire di là; quando poi lasciò il seminario per restituirsi all'Arcivescovado, i passanti ravvisandolo si fer­mavano, salutavano e talora si raggruppavano ad applaudire.

                La generosità ambrosiana non si smentì nè alla conferenza nè dopo di essa. I parroci urbani apersero una sottoscrizione in favore dei Missionari, perchè si avesse agio di soddisfare alla propria carità anche da quelli che o non erano potuti intervenire alla Madonna delle Grazie o intervenuti non erano per la soverchia piena riusciti a versare il loro obolo.

                Quella sera al pranzo l'Arcivescovo per onorare Don Bosco invitò alcuni parroci e vari nobili signori. Levatosi da mensa, il Santo cominciò a ricevere e ne ebbe fino a notte. Dopo Monsignore per sollevarlo alquanto e ricrearlo tenne circolo prima della cena, procurandogli un'amena e allegra conversazione. Venuta l'ora del riposo, il Servo di Dio ingiunse a [200] Don Viglietti di prendere tutte le misure, perchè si potesse partire al più tardi nel pomeriggio del giorno seguente. Durante gli ultimi due anni della sua vita nel povero Don Bosco ai vecchi incomodi si erano aggiunti nuovi disturbi funzionali, che gli rendevano molesto il viaggiare, molestissimo il dimorare a lungo fuori di casa.

                La mattina del 13 celebrò nella cappella arcivescovile, gremita di assistenti. Gli servirono la Messa il presidente del Circolo dei Santi Ambrogio e Carlo e un membro del Consiglio Superiore della gioventù cattolica. Comunicò i giovani dell'Oratorio e molti degli astanti. Il resto del tempo andò tutto nelle udienze, che, ripigliate dopo la colazione, continuarono fino alle quattro. Approssimandosi il momento della partenza, Monsignore si pose di bel nuovo in ginocchio per ricevere la sua benedizione e nel congedarsi lo abbracciò piangendo, baciandolo teneramente nelle mani e cordialmente ringraziandolo di una visita così cara e indimenticabile. Molti signori, appreso dai giornali che Don Bosco trovavasi a Milano erano accorsi dalle loro ville; ma egli doveva partire nè poteva riceverli. Anche il duca Scotti, suo grande amico e benefattore, giunse troppo tardi per intrattenersi con lui a suo piacere, ma dovette contentarsi con altri signori e signore di salutarlo alla stazione[142].

                Partì da Milano con il solo Don Viglietti. Era proprio affranto. All'arrivo il ronzino dell'Oratorio lo portò sull'umile carrozzella da Porta Susa direttamente a Valsalice, dove il Santo fece una bella improvvisata agli esercitandi, poichè inaspettato entrò senz'altro nel refettorio, mentre si stava per finire la cena. Nella tranquillità di quella dimora si riebbe a poco a poco discretamente.

                Don Lasagna non si era unito con Don Bosco nel suo viaggio di ritorno, perchè doveva andar a parlare ai Cooperatori [201] di Busto Arsizio e di Casale Litta Ve lo accompagnarono i trenta cantori dell'Oratorio. Il prevosto Don Tettamanti e il parroco Don Rigoli, due nomi tanto cari ai Salesiani, non avrebbero potuto fare di più, se avessero dovuto accogliere Don Bosco in persona[143]; nel che furono secondati largamente dalle rispettive popolazioni ed anche dal clero e dai fedeli di vari paesi vicini[144].

                Giornali d'ogni colore si occuparono di Don Bosco prima del suo arrivo, durante il suo soggiorno a Milano e dopo la sua partenza. L'organo massimo del liberalismo italiano si limitò in antecedenza ad annunziarne la venuta; era già più che qualche cosa per quei tempi. Diede appresso in un lungo articolo, sono sue parole, “la relazione imparziale di quell'avvenimento cittadino” , non senza prendere in giro la questura, che, troppo credula a voci di una ideata contro dimostrazione anticlericale, aveva oltrepassato il segno nelle misure preventive. Parlando della musica scriveva: “Davvero non crediamo possibile ottenere da giovanetti maggiore intonazione, miglior fusione e più bei coloriti di quelli gustati ieri”. Si diffondeva poi a dire della conferenza e del conferenziere, sebbene con qualche pizzico di assai discutibile umorismo, conforme allo spirito del giornale e del giorno, ogni qualvolta accadesse ai liberali di parlare della Chiesa o del Papa. Infine, data felicemente in pochi periodi un'idea di Don Bosco e delle sue benemerenze, terminava così: “Un nostro amico, il prof. Rayneri di Montevideo, ci diceva un giorno che laggiù il migliore collegio femminile è quello stabilito da Don Bosco, dove sono in educazione anche le figlie del Presidente della Repubblica”[145].

                La moderata Perseveranza descrisse con simpatia tutta la cerimonia del 12. Il liberalissimo Caffè, annunziata in un primo numero la venuta di Don Bosco, “uno fra i più colti dei capi influenti del partito clericale”, tornò nel numero [202] seguente a parlare della conferenza. Ecco l'impressione provata dal redattore alla vista del Servo di Dio: “Don Bosco è un simpatico vecchio, dai lineamenti marcati, sorridente. Il suo aspetto non dimostrerebbe la tarda età, che purtroppo manifestano le sue forze quasi annichilite affatto”. Così poi ne giudicava l'opera e la vita: “L'opera benefica di Don Bosco prende ogni giorno un'estensione maggiore e benchè la sua parola chiedente soccorso venga sempre ed ovunque esaudita, egli, malgrado la sua tarda età, mena una vita stentata, preoccupato da un solo pensiero "umanità e religione ", nemico acerrimo della manifesta prepotenza dei clericali arrabbiati. Questo è un vero ministro della religione di Cristo, purtroppo imitato da pochi!”. La non men liberale Italia, rallegratasi che Don Lasagna avesse parlato bene ~~ senza insultare nè persone nè le solite istituzioni”, riassunse la conferenza e accennò alla folla che vi assistette e a quell'altra che assediava Don Bosco all'uscita. Il Pungolo, liberalone anch'esso, lodò la musica e riferì distesamente sulla conferenza. La cattolica conciliatorista Lega Lombarda illustrò in due articoli la vita e le istituzioni del Santo[146]. La Settimana religiosa di Milano uscì il 16 settembre con un articolo ampio ed enfatico. Anche l'Eco d'Italia a Genova e il Corriere di Torino pubblicarono con la stessa data corrispondenze milanesi intorno al fatto.

                Tre giornali non vollero smentire in parte o in tutto il loro programma anticlericale a oltranza. Il Secolo, annunziata una prima volta la presenza in Milano di “uno dei capi influenti del partito clericale italiano, Don Giovanni Bosco”, soggiungeva: “È questi fra i più attivi propagatori delle dottrine clericali e fra i più intelligenti, perchè non si limita a predicare, ma opera senza posa, creando istituti d'ogni sorta, opifici, missioni, raccogliendo i poveri, facendo tutto quello che dovrebbero fare i liberali. Noi lo consideriamo come un esempio per tutti i partiti, perchè il tempo nostro non vuol [203] chiacchiere ma fatti, e don Bosco dà i fatti”. Ma una seconda volta, discorrendo della conferenza, si contenne entro più giusti limiti di cortesia, mostrandosi oggettivo verso il conferenziere e facendo l'elogio dei giovani cantori. La Lombardia sotto un titolo di battaglia “La conferenza clericale di ieri” non uscì di tono fin là dove, incitando il Governo a indirizzare e proteggere liberalmente l'emigrazione, gli agitava dinanzi a guisa di spauracchio “la strapotenza dei Missionari cattolici, la cui azione, se può essere da principio vantaggiosa alla civiltà, si fa poi ostile alle istituzioni liberali della madre patria”. Per altro circa il punto allora più scottante, costituito dai rapporti fra Chiesa e Stato, attestò: “Per la verità dobbiamo dire che l'oratore fu assai temperato e guardingo nelle allusioni politiche”. Non così misurata fu da Roma la Riforma del Crispi, la quale diede ricetto a una corrispondenza milanese piena di veleno contro  la “carità clericale” di Don Bosco, contro le sue “scuole clericali”, contro la concorrenza de' suoi “ricoveri clericali” al lavoro di quelli “che si affaticano nella vita vera”. Pur rendendo omaggio alle alte doti personali dell'uomo, deplorava che si avesse “l'ardire di chiamarlo in una città civile l'Angelo della carità”, come si leggeva nella lettera d'invito alla conferenza[147].

                La nota giusta vibrò naturalmente nelle colonne del pugnace Osservatore Cattolico di Milano, letto allora per tutta la penisola. Nel secondo di due articoli[148] vi si leggeva: “La venuta di Don Bosco a Milano ha preso le proporzioni d'un vero avvenimento, grazie alla venerazione che qui si nutre verso questo Apostolo della carità e grazie un poco all'intemperanza di certi giornali liberali, che invasi già in questi giorni da antichi odi anticattolici tentarono presentare la venuta di Don Bosco come una provocazione clericale e procurarono del loro meglio per suscitare qualche disordine. Noi abbiamo [204] visto qualche cosa di simili tentativi nelle precedenti citazioni tolte da giornali più o meno ostili alla Chiesa; ma fortunatamente la cittadinanza milanese non diede retta alle sobillazioni, volgendo il poco pio desiderio dei politicanti in una loro solenne sconfitta”. L'articolista, trovatosi presente all'ingresso di Don Bosco nell'arcivescovado, manifestava così la sua impressione: “Il venerando Don Bosco faceva pietà a vederlo salire lo scalone del palazzo, con le gambe così acciaccate che quasi non lo sorreggono più. Tuttavia egli ha la mente ancor limpida, l'occhio vivace, ferma la memoria”. Narra poi così la scena dell'incontro con Monsignore: “Allorchè si trovò dinanzi all'Arcivescovo, questi con un atto di umiltà e di quell'animo squisito che lo distingue, con industrioso stratagemma si inginocchiò ai piedi di Don Bosco e volle Lui esserne benedetto”. Detto quindi della conferenza, descrive così l'uscita dal tempio: “Avvenne una scena pietosa e commovente. Don Bosco doveva attraversare il nostro tempio gremito di gente ed era sopra pensiero di doversi trascinare fino alla porta in mezzo a tanta folla, che voleva ammirarne le sembianze. Allora il venerando Arcivescovo si prese lui sotto il braccio Don Bosco e coadiuvato da altre persone s'accinse all'impresa della traversata, che credo abbia durato non meno di un'ora, fra mezzo ai più edificanti episodi di pietà e venerazione per i due vegliardi, stretti in quel fraterno abbraccio”. Fra le persone che si stimarono fortunate di aiutare l'Arcivescovo nell'aprire il passo a Don Bosco, vi era il celebre storico Cesare Cantù, che fin dal 1878 aveva gradito il diploma di cooperatore salesiano, inviatogli dal Santo[149].

                Sebbene la tristizia dei tempi non consentisse alle autorità civili e politiche di secondare il sentimento popolare col rendersi presenti in qualche modo a sì solenne manifestazione, tuttavia si sa che guardavano di buon occhio quel movimento [205] della folla, così insolito allora intorno a un prete. La correttezza abituale di Don Bosco verso i poteri dello Stato fu sempre apprezzato a dovere in alto, talchè diede luogo qualche volta a sospetti e malignazioni in chi non conosceva abbastanza il suo irreprensibile spirito sacerdotale. Che carattere avessero simili rapporti, si è veduto già in troppe occasioni, perchè sia necessario ancora tornarvi sopra, se non fosse per aggiungervi un fatto di più ai tanti altri. Festeggiandosi in settembre al Nichelino presso Torino la distribuzione dei premi nelle scuole delle Figlie di Maria Ausiliatrice, assisteva al saggio anche il conte di Robilant, Ministro degli Esteri. Don Tamietti, presentatosi a salutarlo in nome di Don Bosco: - Oh Don Bosco! esclamò con vivo sentimento il Ministro. Lo ringrazi tanto da mia parte, e gli dica che voglio che si serva di me e che io sono tutto a' suoi ordini. Ma glielo dica, sa, glielo dica davvero. - Alla fine del trattenimento gli ripetè ancora: - Si ricordi belle, dica a Don Bosco che io lo voglio servire.

                Il Santo non aveva tardato a ringraziare l'Arcivescovo di Milano della straordinaria bontà, con cui si era compiaciuto di trattarlo. Monsignore gli rispose il 25 settembre con un biglietto di visita il quale recava scritte queste parole: “Con molti e vivi ringraziamenti al venerato e caro Don Giovanni Bosco pella sua lettera autografa e pel libro che la seguiva. La sua visita in Milano è ricordata da tutti con grata riconoscenza e particolarmente dallo scrivente che si augura di potergli altre volte offrire la ospitalità. Preghi, preghi per l'Arcivescovo di Milano”.

                Egli dimorava ancora a Valsalice, quando il 21 settembre, indirizzato al “Superiore della Congregazione Salesiana”, giunse nell'Oratorio un telegramma della Croix parigina, nel quale il Direttore del giornale diceva: “Prendo viva parte alla sciagura toccata. Preghiamo telegrafare pronte notizie di Don Bosco”. Grande fu la sorpresa di tutti, ma tosto si comprese essersi in Francia annunziata la morte di Don [206] Bosco. Rispose Don Bosco stesso: “Sto bene. Non so spiegarmi la loro ansietà. Tuttavia ringrazio attenzione”. Infatti egli stava tanto bene, che ricevette subito dopo il conte e la contessa Donato, intrattenendosi a lungo con loro, venuti a prendere da lui congedo prima di partire per Costantinopoli a reggervi l'ambasciata del Re d'Italia presso il sovrano turco.

                Ciò non ostante anche giornali italiani il dì appresso pubblicarono di una grave infermità del Santo. Allarmato da tali notizie, il teologo Margotti volò a Valsalice per accertarsi de visu; ma lo trovò seduto al tavolino con ottimo aspetto e con la consueta ilarità. Richiesto della sua salute, rispose che, a parte gli anni e l'infermità delle gambe, non sentiva altro malore; del che benediceva la divina Provvidenza. Seguì una lunga conversazione intorno alla Patagonia. Interrogato dal Margotti sulle miniere aurifere che allora si dicevano scoperte laggiù, Don Bosco tagliò corto dicendo che per volere del Papa egli aveva mandato i Salesiani a guadagnare anime a Gesù Cristo e non a cercar miniere d'oro o d'argento. Nel numero del 24 l'Unità Cattolica sfatava le false voci sulla salute di Don Bosco.

                Ridiscese all'Oratorio la sera del 27; ma vi rimase poco, perchè il 29 partì per S. Benigno, dov'erano in corso gli esercizi spirituali degli ascritti, che si preparavano all'emissione dei voti. Ai 3 di ottobre, festa del Rosario, celebrò la Messa della comunità; essendo però stanchissimo, potè distribuire la comunione soltanto a quelli che servivano all'altare. Più tardi ricevette cinquantatre professioni. Compiuto il sacro rito, volle indirizzare a tutti la sua parola e affinchè non dovesse affaticarsi di soverchio, fu portato per lui nel mezzo della cappella un seggiolone, intorno al quale si raccolsero i chierici. La cronaca della casa ha un riassunto fedele del suo discorso, che noi pure udimmo. Il Santo manifestò anzitutto la contentezza da lui provata in quell'istante, contentezza ch'ei disse tale quale non si può goder maggiore su questa terra. Passò quindi a raccomandare la carità. Carità verso [207] i Superiori, obbedendo loro sempre in modo da non farli gemere e sospirare. - P, sacrilegio, esclamò, fare il voto di obbedienza e poi regolarsi come certuni, che obbediscono solo quando loro piace. - Carità verso i Soci, non criticandosi mai gli uni gli altri in nulla, nemmeno in quello che riguarda le nostre pubblicazioni. Espresse il suo biasimo contro i  critici, proferendo questa parola con energica vivacità. Lì sopra insistette molto, ripetendo più volte la sentenza che del prossimo bisogna o parlare bene o tacere; manifestava in ciò un tal desiderio di essere inteso e obbedito e accompagnava il suo dire con tale espressione di dolore, che si mise a piangere e la sua voce tremola e fioca assunse un tono così forte e severo, che pareva volesse maledire a quelle lingue d'inferno che non si muovono se non per criticare. A un certo punto proseguì in questi termini: - E se Don Bosco ebbe dei dispiaceri... questo fu per la mancanza di carità fra i Confratelli. - Nel passaggio dalla prima alla seconda f rase una subita commozione lo assalse, i suoi occhi si riempirono di lacrime e ripigliò con un singulto represso. Indi cambiò argomento. Assicurò a comune conforto che la Società Salesiana si trovava allora in ottime condizioni riguardo alle finanze e che la Congregazione si sarebbe dilatata in modo maraviglioso e che ai Salesiani non sarebbe mancato nulla, finchè si fossero tenuti all'educazione della gioventù povera, essendo quella la missione affidata loro dalla Madonna. Se tutti voi, affermò, foste già in grado di fare da Direttori, io saprei dove collocarvi subito dal primo all'ultimo. - Infine si raccomandò alle nostre preghiere, protestando ripetute volte che egli, finchè gli rimanesse un filo di vita, avrebbe pregato e si sarebbe sacrificato per i suoi carissimi figli.

                Mentre Don Bosco accoglieva così le novelle speranze della sua famiglia religiosa e si studiava di formare in loro l'anima dell'apostolato, altri apostoli si riunivano lo stesso giorno a comizio in Torino per “combattere e scongiurare i pericoli che nel vigoroso risveglio del clericalismo intransigente [208] e del gesuitismo si preparavano a danno della patria”, come proclamava un deputato liberale[150]. Don Bosco a chi gliene parlò disse quel comizio un tentativo della Massoneria per portare in pubblico l'empia istituzione e assuefare la gente a considerarla come un'associazione rispettabile e benemerita.

                Quello che maggiormente scottava la setta era il rifiorire delle scuole private. In un opuscolo distribuito a quanti uscivano dal Comizio, Torino veniva rappresentata come la città, in cui il nuovo movimento clericale, massime per mezzo dell'istruzione, rivelava una più sapiente abilità di strategia. Di quest'opera condotta con tanto buon successo si additava in Don Bosco il massimo animatore. “L'anima di questa vasta congiura, vi si leggeva[151], è il santo ispirato di Valdocco, Don Bosco, uomo singolare per intelligenza e per audacia, gesuita come Ignazio da Lojola, diplomatico fine, umile nella propria grandezza, onnipotente per valore proprio e per debolezza altrui, pronto a tutto, attivissimo, capace d'ogni cosa: d'impiantare in un attimo collegi in ogni parte del mondo, di creare opifizi industriali, di fabbricare chiese e di scrivere libercoli rugiadosi. Don Bosco è una potenza che agisce forse coll'aiuto di altri, col sostegno di una società che spera in lui più che nel Papa nero[152], è una potenza che regna e governa senza apparenze e senza fasti, con un aspetto di sordida umiltà, con una compunzione astuta, con un'anima dentro alla quale ruggono impeti di odio implacabile per tutto quanto è luce, è verità ed è progresso. Don Bosco è l'incarnazione del nuovo clericalismo torinese, come ne è l'anima, ne è la forza e ne è la mente”.

                Ecco una caricatura di Don Bosco guardato attraverso la lente anticlericale del tempo. Ma per noi oggi questa deformazione [209] volontaria nasconde una testimonianza indiretta del quanto sia stata efficace e provvidenziale l'opera sua preservatrice in Italia. I nemici della Chiesa lo sentivano e ne fremevano; ma, movendosi egli nell'ambito delle leggi, poco potevano contro di lui. Questa sua deferenza alle istituzioni dello Stato fu talvolta fraintesa anche da - uomini di buone intenzioni; egli però sapeva fin dove la sua coscienza di cattolico gli permettesse di andare nè uscì mai d'un pollice dalla via della rettitudine. Non sembrò anche a taluno che si mostrasse troppo ligio a Casa Savoia, quasi dimenticando i torti della Monarchia Sabauda verso la Chiesa? A Milano c'era bene chi la pensava così; ma Don Bosco guardava più alto e più lontano. Il 29 novembre del 1881 il Bismark aveva pronunziate dinanzi al Reichstag le seguenti parole: “- Quale garanzia potete voi assumere per l'avvenire d'Italia, specialmente se Dio non conservasse la dinastia che si erge con pochi rampolli?”. Orbene Don Bosco, sentendosi leggere queste parole nell'Unità Cattolica che le citava nel numero del 12 ottobre 1886, disse: - Da anni e anni io vado ripetendo la medesima idea, discorrendo delle cose d'Italia. - In tanto dilaceramento di partiti egli scorgeva nella storica Monarchia il fulcro dell'ordine e la guarentigia di un miglior avvenire. La storia conferma la giustezza delle sue vedute[153].

 

 

CAPO VIII

Spedizione missionaria dei 1886. Sguardo alle Case e alle Missioni d'America.

 

                LE case e Missioni Salesiane d'America versavano in gravi strettezze finanziarie nè sul luogo si trovava modo di porvi rimedio; perciò monsignor Cagliero ricorreva insistentemente a Torino, esponendo i bisogni e invocando soccorsi. Don Bosco il 18 settembre 1885 aveva detto in Capitolo: - Per soccorrere i Missionari sto pensando a una circolare non ancora ben formulata. Ho ancora bisogno di pregare e poi parlerò. - La circolare, compilata su traccia del Santo e da lui riveduta, era pronta nell'ottobre del 1886. Vi si facevano conoscere lo stato presente delle Missioni, i disegni per l'avvenire e le stringenti necessità del momento; quindi si dava notizia di una prossima spedizione missionaria; finalmente sia per sostenere le opere incominciate e per poter mettere mano a nuove imprese, sia per avere gl'ingenti mezzi indispensabili al divisato invio di altri operai evangelici s'implorava la carità dei Cooperatori e delle Cooperatrici.

                Ma l'appello non fu rivolto ai soli membri della pia Unione. Tradotta in francese, spagnuolo, inglese e tedesco, la circolare venne spedita pure in ogni parte d'Europa a Principi e a Ministri, non che a Direzioni di giornali di qualsiasi colore. Se ne mandò copia financo all'Imperatore della Cina e allo Scià di Persia. Occorreva scrivere non meno di centomila [211] indirizzi; nel qual lavoro furono impiegati molti giovani dell'Oratorio, un gruppo di chierici fatti venire da S. Benigno e una dozzina di suore chiamate da Nizza Monferrato. Lo scopo di Don Bosco non era solo di raccogliere elemosine, ma di rendere nota la sua Opera universalmente nel mondo. Lo diceva egli stesso. - Non è solo il frutto presente che io aspetto, ma tendo l'occhio al frutto avvenire. Chi ora non fa nulla per noi, si ricorderà più tardi della nostra domanda e farà. Quindi anche dopo passati anni e anni verranno lasciti, eredità, offerte per motivo di queste circolari[154].

                La stampa diede alla circolare larga pubblicità, riproducendola per intero o riassumendola e commentandola. Tuttavia anche in questa circostanza si rivelò la mentalità di certi liberali italiani, chiusi, come sempre, nel loro meschino e astioso anticlericalismo. Quegli uomini erano così indracati contro tutto quanto sapesse di cristiano, che trattandone perdevano persino il buon senso e il senso comune; gli odi antichiesastici che covavano nell'animo non lasciavano lor comprendere neppure i solidi vantaggi, da altri governi laicisti apprezzati senza riserva, che i Missionari procuravano alla madre patria. Ciò nonostante delle pubblicazioni da essi ispirate si può ripetere quello che di una velenosa tiritera sfoderata a Roma dalla Riforma del Crispi osservava un giornale cattolico di Genova, che cioè la conoscenza di siffatta prosa era “il miglior mezzo per eccitare i buoni ad aiutare sempre maggiormente il venerando fondatore delle Congregazioni Salesiane”[155].

                E le offerte affluivano numerose e talora generose. Ce [212] ne porge una prova lampante Don Bosco medesimo. Infatti già il 2 novembre in un'adunanza capitolare, studiandosi qual fosse la maniera più sicura per mandar denari alle case di America imploranti aiuto, egli disse: - Adesso noi abbiamo in mano somme enormi da pagare. Abbiamo emanato le circolari per le Missioni. La Provvidenza non manca. Mettiamoci dunque su d'un piede sicuro. Per regolare i debiti delle nostre case oltre l'Oceano, Don Lasagna rechi colà l'ordine di radunare un Consiglio Americano, composto dei Direttori e degli Ispettori: questo studi il modo di regolare il passato con i suoi deficit, combini certe formalità, senza le quali nessun Direttore possa arbitrarsi di contrarre nuovi debiti. Prima di partire Don Lasagna studi un sistema di economia. In questi momenti la Provvidenza ce ne dà per noi e per l'America. Don Fagnano sia solamente in spiritualibus e un economo amministri la Missione temporalmente. In America non abbiano paura dei debiti; questi siano addebitati al Capitolo Superiore, ma si faccia ogni sforzo per regolarizzare le cose.

                Agli oblatori ordinari si rispondeva con letterine di ringraziamento litografate su originali di Don Bosco; ma il Servo di Dio in certi casi rispondeva personalmente, tanto per modeste che per vistose oblazioni, come si vede da due lettere, delle quali abbiamo copia. La prima è al canonico Biagio Rumiano di Susa, già suo compagno al Convitto Ecclesiastico.

 

                                Can.co mio carissimo,

 

                Voglio scrivere io stesso per assicurarti che la tua lettera e la tua offerta mi furono carissime. Se tu non hai il merito dei disturbatori, hai quello dei donatori, come fai tu. Ma perchè non vieni più a vedere questo povero amico? Fa i miei ringraziamenti al comune amico canonico Bermond. Saluta in Domino tua sorella, se Dio non l'ha ancora collocata nel posto che Maria le aveva preparato al paradiso.

                Dio ci benedica e tu credimi sempre in G. C.

 

                Torino, 30 novembre 1886.

 

Aff.mo amico

Sac. G. BOSCO. [213]

 

                Un Cooperatore che non faceva mai il sordo agli appelli dì Don Bosco era il caritatevolissimo conte Eugenio De Maistre, il quale anche questa volta mise mano generosamente alla borsa e n'ebbe la seguente risposta.

 

                               Carissimo Sig. Conte Eugenio De Maistre,

 

                Aveva tra mano una lettera a Lei diretta con cui l'assicurava che in questi giorni avremmo fatto nell'Oratorio speciali preghiere per Lei e per tutta la sua famiglia; quando ad un buon punto giunse il signor Vergan portandomi la generosa carità di f. 2 m. da parte sua.

                Dio sia sempre benedetto, e Lei, caro sig. Eugenio, sia sempre ringraziato. Ho piena fiducia che Maria Ausiliatrice otterrà largo compenso alla sua carità. Io dimando al Cielo che siano molto abbondanti i frutti delle sue campagne, buona salute in tutta la sua famiglia e la consolazione grande di vederli tutti camminare di virtù in virtù, finchè li possa tutti vedere radunati intorno a Lei in Paradiso. Noi dimostreremo la nostra gratitudine nel modo migliore che possiamo. Perciò i tre ultimi giorni dell'anno i nostri orfanelli faranno preghiere, comunioni a queste intenzioni: 29 dicembre per papà conte De Maistre; 30, contessa di Lei genitrice; 31 per suffragio dell'anima della signora contessa di Lei moglie defunta.

                Voglia fare i miei rispetti a tutta la sua famiglia, si degni anche pregare per me e per questa mia famiglia di 240 mila orfanelli che tutti le professano la più sincera gratitudine, mentre a nome di tutti i Salesiani ho il bello onore di potermi ora e sempre professare di Lei

                (Manca la data).

Obb.mo Servitore

Sac. GIOV. BOSCO.

 

                Nel 1886 vi fu una piccola e una grande spedizione. Abbiamo narrato nel volume precedente come nel 1885 venissero in Italia Don Borghino dal Brasile e Don Calcagno e Don Rota dall'Uruguay. Questi tre, senz'attendere la partenza più numerosa, s'imbarcarono per l'America in aprile conducendo seco i tre chierici Fia, Giudici e Zanchetta, nomi divenuti poi noti nel corso degli anni. Erano costoro semplici chierici; ma avevano raggiunto il vigore dell'età e delle forze, provenendo dalla classe dei Figli di Maria. Si toccò Barcellona, dove tutto faceva sperare che avrebbero veduto ancora una [214] volta Don Bosco; videro invece soltanto i preparativi dei Confratelli e dei Cooperatori per riceverlo due giorni appresso. Dei tre sacerdoti, il cui ricordo vive fra noi in benedizione, Don Lazzero alla loro partenza rinnovava una testimonianza già resa poco dopo il loro arrivo in Italia, scrivendo[156]: “Tanto Don Borghino che gli altri due meritano un attestato di ottima condotta pel tempo che furono tra noi; e come dissi già altra volta, dimostrarono proprio buono spirito e attaccamento a Don Bosco ed alla Società nostra. Speriamo che il Signore li conserverà sempre tali ed essendo essi nel fior dell'età avranno tempo a fare un gran bene”.

                Quando si avvicinava il tempo della spedizione maggiore, Don Bosco diramò come supplemento del Bollettino di novembre una circolare ai Cooperatori di Torino e dei dintorni, stampata in quattromila esemplari, per invitarli alla cerimonia dell'addio. Una precedente sua circolare simile in francese era stata unita all'appello di ottobre soltanto allorchè questo fosse diretto a persone notoriamente amiche[157].

                Ventisei Salesiani e sei Figlie di Maria Ausiliatrice dovevano passare l'Atlantico, scortati da Don Lasagna. Questi nella prima metà di novembre andò a Roma. Ivi dal conte Di Robilant, Ministro degli Esteri, ottenne promessa di protezione e un sussidio di millecinquecento lire. Entrò in tanta confidenza con lui che fu dal medesimo assicurato non essere egli massone, come si vociferava. Venne ricevuto in privata udienza dal Santo Padre, che subito volle essere informato della salute di Don Bosco e gli fece molte domande sulle Missioni. Uditi i bisogni del Brasile e inteso che Don Bosco, [215] mosso unicamente dalla carità di Gesù Cristo, aveva preparato una falange di Missionari, il Papa proruppe in queste parole: Annunziatelo per l'onore di Torino e per la gloria della Congregazione Salesiana. Questo fatto mi empie il cuore di contentezza e di speranza. Io mi riprometto grandi cose per la Chiesa e per la società dall'Istituto Salesiano.

                Don Lasagna, recatosi poi a Casale per salutare il fratello nel Seminario ed altri parenti e amici, fu a un pelo di dover rinunziare per sempre alle sue sante imprese missionarie; poichè ad alcuni distinti ecclesiastici e laici, ammirati delle sue belle doti, balenò l'idea di chiederlo alla Santa Sede per loro Vescovo, essendo la diocesi vedovata del suo Pastore per la recente morte di monsignor Ferré. Dall'idea si passò ai fatti, e due canonici portarono a Don Bosco una supplica in tal senso, pregandolo che la trasmettesse egli stesso al Santo Padre con una sua parola di raccomandazione. “Così il nostro carissimo Don Bosco, gli scrivevano due dei promotori[158], aggiungerà un nuovo titolo, ai tanti che già ha, alla benevolenza e riconoscenza della Diocesi Casalese” . Don Bosco rimise la supplica al cardinale Alimonda, affinchè ne facesse quello che crederebbe meglio nel Signore. Il Cardinale gli domandò quale fosse il suo pensiero. Don Bosco rispose di non volere per nulla influire in simile negozio, ma di restare affatto indifferente. La pratica fu avviata; se non che ormai era troppo tardi, avendo già Leone XIII designato un altro. La Provvidenza aveva disposto che Don Lasagna diventasse Vescovo senza cessare di essere missionario.

                Quando questo disegno della Provvidenza ebbe effetto, e fu nel 1893, si avverò una tacita predizione fatta da Don Bosco a Don Lasagna nel giorno dell'addio. In quel 2 dicembre, nell'ora che precedette la sacra cerimonia, Don Lasagna, terminato il suo ultimo colloquio con il caro Padre, si fece dare medaglie da lui benedette per regalarle poi agli amici, e [216] ottenutele si congedò. Era appena giù per le scale, scendendo in chiesa a fare la conferenza, che lo raggiunse di corsa il chierico Festa e gli consegnò una scatoletta dicendogli: Don Bosco le manda questa scatola e dice che il resto è per gli altri, ma questo è per lei, proprio per lei. - Dal suono gli parvero medaglie. Se la mise in tasca, volò in chiesa e non ci pensò più. In alto mare se ne ricordò, la aperse e vi trovò una catena d'oro a filigrana sopra un po' d'ovatta. Rimase stupito a tal vista e, non comprendendo niente, rimise il coperchio alla scatolina e la ripose. Arrivato alla mèta, la chiuse senz'altro nella scrivania né più la tirò fuori fino al giorno in cui il telegrafo gli portò il triste annunzio della morte di Don Bosco. Allora nella desolazione generale tutti in casa si diedero a cercare ogni oggetto che parlasse loro del Padre estinto: scritti, medaglie, ricordi e simili. Durante questa ricerca il segretario di Don Lasagna trovò la scatoletta. Estrat­tane la catena, sollevò l'ovatta ed ecco un bigliettino, nel quale un benefattore dì Chiavari diceva di mandare la catena a Don Bosco, perchè servisse al secondo Vescovo salesiano missionario in America. - Vuol dire, pensò Don Lasagna, che la consegnerò da parte di Don Bosco al secondo Vescovo salesiano. - Non immaginava allora che cinque anni dopo quel Vescovo sarebbe stato egli stesso[159].

                La mattina del 2 dicembre Doti Bosco nella sua cappella privata ricevette per l'ultima volta professioni religiose. Eravamo un gruppo di giovani chierici, che o per difetto d'età o per non completo anno di noviziato non avevamo potuto fare i voti con i nostri compagni in ottobre a S. Benigno. L'esortazione del Santo versò dopo sull'obbedienza.

                Durante la funzione serale di addio nella chiesa di Maria Ausiliatrice nè l'affascinante discorso di Don Lasagna nè la suggestione del sacro rito nè l'alata parola del cardinale Alimonda valsero a distogliere l'attenzione dei fedeli da Don [217] Bosco. Stavasi il santo Vegliardo umile e raccolto in cornu evangelii fra monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, e monsignor Leto vescovo titolare di Samaria. Tutti istintivamente sentivano che quella grande vita declinava al tramonto. Abbracciato l'ultimo dei partenti, che per la navata centrale sfilavano verso la porta, egli, sorretto a braccia dai due Presuli, si trascinava fino alla sacrestia, dove il Cardinale erasi degnato di aspettarlo e, fattosegli incontro, gli espresse i suoi sentimenti di calda benevolenza.

                Uno dei vantaggi che derivavano dal circondare di tanta solennità simili partenze era che la stampa ne prendeva motivo per esaltare, diffondere e rendere ognor più popolare in Italia l'idea missionaria. Questa allora anche in città che come Torino avevano nell'anno periodici richiami alle Missioni, era ben lungi dal godere la notorietà e la simpatia che oggi la circondano in ogni dove. Per quella circostanza nei maggiori e minori centri della penisola giornali e periodici cattolici diedero particolareggiate relazioni dell'avvenimento torinese. L'Osservatore Cattolico di Milano uscì con una corrispondenza del 2, che cominciava così: “L'Istituto Salesiano ha scritto oggi la più bella pagina della sua storia”. Poi il corrispondente confessava: “Oggi vedendo quel venerando prete, soave e modesto nel volto, circondato dalla venerazione filiale delle più cospicue autorità ecclesiastiche, ho sentito intenerirmi il cuore e appassionarmi l'anima per lui” . Nell'Unità Cattolica del 4 dicembre un anonimo qualificato dal giornale per “anima bella e pia”  e dal Bollettino del gennaio 1887 per “altissimo personaggio” chiudeva la sua ampia relazione sciogliendo a Don Bosco e a' suoi un inno d'amore e di fede. “A te, scriveva, venerando Don Bosco, grazie. Si, grazie sincere per avermi invitato a riunione così tenera e cara. Nella vasta chiesa di Valdocco ho visto tutta la bellezza della religione cristiana che affratella i popoli. Il tuo Oratorio mi diede l'immagine di una Propaganda Fide. Mai come giovedì sera mi apparvero i tuoi ottocento fanciulli [218] così cari e pietosi: io li vedevo prostrati a pregare pei loro fratelli Missionari, che forse non vedranno più. Mai come giovedì sera mi apparvero venerabili le tue Suore ausiliatrici, che dai molti coretti assistevano, pregando, alla pietosa cerimonia. E mai, oso dirlo, mai note così poetiche e solenni non fecemi gustare il numeroso coro de' tuoi cantanti! Oh! anima squisitamente musicale di monsignor Cagliero! Possa tu ai miseri selvaggi delle Pampas sollevare con le tue armonie religiose la mente ed il cuore alla luce del sovrannaturale, come sollevi quelle de' tuoi compatrioti: possano gli alunni dei collegi americani, battezzati nella fede di Cristo, moltiplicarsi rapidamente e formar un coro immenso per lodare e benedire il Signore”.

                I viaggiatori andarono per l'imbarco a Marsiglia; li accompagnavano Don Lazzero e Don Barberis. Di là Don Gastaldi, uno dei ventisei, nel dare a Don Bosco ragguaglio del viaggio, gli manifestava i sentimenti suoi e degli altri scrivendo[160]: “Provo una grande consolazione ed un vero conforto nel poterle indirizzare queste due parole, supplendo esse in qualche modo alla lontananza che già ci separa da Lei, Amatissimo Padre. Non può immaginarsi quanto ci costò e quanto doloroso trovammo l'addio e il distacco. Solo il pensiero che Ella prega sempre per noi, ci benedice, ed il motivo per cui partiamo, ci rende meno duro questo addio, Carissimo Padre. Già sentivamo tutti di amarla, ma ora più che mai noi lo sentiamo, specialmente quando penso a quei giorni felici in cui potevo, per sua bontà, vederla e sentirne la paterna voce. Oh il Signore faccia sì che possiamo ancor altre volte godere tal fortuna!”. Recatisi in pellegrinaggio alla Madonna della Guardia, dopochè ebbero celebrato e fatto le loro divozioni, furono avvicinati da un pellegrino, il quale chiese loro se fossero i Missionari di Don Bosco. Udito che sì, lo sconosciuto pose in mano a uno di essi una [219] bella offerta e poi diede al custode del santuario una somma conveniente per A disturbo. Seppero soltanto che egli era membro della Società di S. Vincenzo de' Paoli.

                Celebrata da tutti la festa dell'Immacolata nel noviziato di S. Margherita, Don Lazzero ne riferì a Doli Bosco in questi termini, che giova conservare[161]: “Riuscì una cara festa dì famiglia, una vera riunione, fusione o, per esprimermi alla francese, una fratellanza di spiriti francesi e italiani, che cercavano di esprimere uno spirito solo, un'indole sola, quella del loro padre Don Bosco. Si fecero letture allusive alla partenza dei Missionari, nelle quali veniva intrecciato il nome di Don Bosco in modo da far conoscere in quali ottimi princípi siano educati quei buoni giovani ascritti”.

                Don Lasagna ebbe agio di fare una visita ai conti Colle. Dalla camera che quei signori chiamavano di Don Bosco, egli scrisse il 12 al buon Padre: “Oh! quanto sono felici queste due creature di conoscere Doli Bosco, di essere stimate e amate da lui; quanto godono di deporre nelle sue mani la loro fortuna, affinchè l'impieghi a maggior gloria di Dio e a bene delle anime Essi stessi confessano di essere strumenti benedetti della Provvidenza divina nelle mani di Don Bosco”. E più innanzi continuava: “E d ora che direi a Lei, veneratissimo Padre, alla vigilia della partenza? Domani sera o al più tardi dopo domani, martedì, noi saremo già tutti a bordo del Tibet, che ci porterà lungi lungi da Lei. Oh! come lo sente il nostro cuore, come se ne attrista in certi momenti! Ma ci conforta il pensare che Ella ci accompagna colle sue benedizioni e preghiere, che ci accompagna con tutto il suo affetto paterno. Noi non abbiamo altro desiderio ed ambizione se non quella di mostrarci degni figli di un padre si buono e sì Santo! Oh! se il Signore ci aiuta a mantenere i nostri propositi, vedrà, o veneratissimo Padre, che a costo di qualunque stento e sacrificio non le daremo che consolazioni, grandi consolazioni”. [220] Salparono la sera del 14 La navigazione fu tragicamente procellosa. “Poveri miei compagni di Missione! esclamava Don Lasagna in una lettera a Don Bosco[162]. Essi non si scorderanno mai più di quanto soffersero nelle due terribili giornate del 19 e 20 dicembre di quest'anno”[163]. E delle sei Suore: “Davvero non mi sarei mai creduto di trovare in queste giovani in queste povere Suore, tanta securità, tanta intrepidezza. Ne sia lodato Iddio e ringraziato anche Lei, o caro Padre, che ha saputo trasfondere sì eccellente spirito tra i suoi figliuoli”.

                Giunsero sani e salvi nel porto di Montevideo il 6 gennaio; ma le dolorose peripezie non erano ancora finite. In città serpeggiava il colera; il colera menava strage a Buenos Aires[164]; il colera aveva visitato l'Italia: tutto questo aveva già creato difficoltà e indugi per l'imbarco. Peggio fu all'arrivo. Sebbene a bordo non vi fosse stato nessunissimo caso, tuttavia non ci fu verso che si volesse concedere l'approdo, ma bisognò virare di bordo e andare a raggiungere l'isola di Flores per starvi in quarantena. Fortunatamente la contumacia durò appena cinque giorni, con non lieve dispendio però, sicchè il 14 erano tutti a Villa Colon, festeggiatissimi da quei Confratelli.

                Se a Torino sembrava un bel numero quello dei partenti, si vide sul posto che era ben poca cosa di fronte al bisogno: ci sarebbe voluto almeno il doppio soltanto per rifornire in misura sufficiente le tre case uruguaiane di Villa Colon, Las Piedras e Paysandù. Pure si dovette cederne una parte all'Ispettoria Argentina, le cui opere si moltiplicavano, obbligando a maggiore intensità di azione. [221] Don Lasagna, venendo in Italia, aveva portato a Don Bosco una lettera del Vescovo di Montevideo, che, mentre raccomandava alle sue preghiere la propria diocesi assai tribolata, chiedeva per Las Piedras una scuola di arti e mestieri. Don Bosco ordinò a Don Lasagna di rispondergli: I° ringraziando della benevolenza per i Salesiani e le Suore dell'Uruguay, 2° promettere preghiere per le sue tribolazioni e quelle della sua diocesi perseguitata; 3° dire impossibile un ospizio di artigiani a Las Piedras; 4° prometterlo per Montevideo colla speranza della sua licenza e del Jackson a cui aveva già scritto in proposito; 5°Don Lasagna sarebbe ritornato con buoni compagni per dare esecuzione a questo disegno di Don Bosco, che stava pure sommamente a cuore di Gesù e di Maria; 6°che da quell'opera egli prevedeva dover scaturire un gran bene alle anime ed alla religione in tutta la repubblica dell'Uruguay e forse in tutta l'America del sud e che per quest'opera interessava lo zelo di Monsignore e dei buoni. Su questi appunti, che nell'originale erano più laconici, Don Lasagna compose la sua risposta, della quale teniamo copia[165].

                L'Ispettoria di Don Lasagna abbracciava anche le due case del Brasile. Qui l'avvenire si annunziava lieto di belle promesse, ma il presente era molto duro. La casa di Nicteroy lottava coi protestanti e coi debiti; pure allargava la sua sfera d'azione. Quella incipiente di S. Paolo scarseggiava troppo di operai. Da ogni parte i Vescovi supplicavano continuamente per avere Salesiani nelle loro diocesi[166]. Don Bosco, presago dei progressi che la Congregazione avrebbe fatti tra le popolazioni civili e le tribù selvagge di quell'immenso Stato, aveva scritto per Don Borghino e i suoi tre: “Voglio che siate luce. Quando andrete nel Brasile e troverete i vostri [222] confratelli, dite loro che siete venuti a portare luce, non perchè vi siano colà tenebre, ma per giungere luce a luce, affinchè i raggi risplendano fino nei selvaggi e nei moretti”. Al medesimo Don Borghino affidò l'incarico di far recapitare una sua lettera alla principessa Isabella d'Orleans - Braganza, figlia dell'ultimo Imperatore Don Pedro II e maritata al Conte d'Eu[167].

 

                                Altezza Imperiale,

 

                La Divina Provvidenza dispose che due case salesiane fossero stabilite nell'Impero del Brasile. Una a Nicteroy, l'altra a S. Paolo, ambedue consacrate ad accogliere gli orfanelli più poveri ed abbandonati.

                Alcuni di questi miei religiosi ritornati temporaneamente in Italia mi hanno parlato assai della bontà e della carità di V. A. Imp. e per questo io raccomando a Lei ed a sua Maestà l'Imperatore tutti questi miei salesiani che non altro desiderano che guadagnare anime al cielo e diminuire il numero dei discoli. Ma essi pregano molto e fanno eziandio pregare i loro allievi per la sanità e prosperità di tutta la sua famiglia e di sua Maestà Imperiale l'augusto di Lei Genitore.

                Maria SS.ma protegga codesta memorabile dinastia per cui i nostri orfanelli in numero di oltre a duecento mila, fanno particolari [preghiere] a Dio.

                Io poi mi faccio stretto dovere nella santa messa invocare le benedizioni celesti sopra tutti i sudditi Brasiliani, mentre con gratitudine somma ho l'alto onore di potermi umilmente professare

                Torino, marzo 1886.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                La raccomandazione di Don Bosco non restò lettera morta. Il 15 novembre l'Imperatore e l'Imperatrice, accompagnati dal Ministro dell'Agricoltura e da altri personaggi, visitarono minutamente la casa di S. Paolo, chiedendo al Direttore informazioni sui giovani e sul metodo d'insegnamento. L'Imperatore disse che amava molto l'opera e che conosceva Don Bosco e la sua Congregazione. Un giovanetto recitò con garbo un piccolo complimento, presentando alle loro Maestà il volume delle osservazioni meteorologiche di Colon, preparato all'uopo con la fotografia dei giovani di [223] quel collegio e si cantò un inno semplice, ma di gradevole effetto. Il Direttore poi offrì ai Sovrani il Diploma di Cooperatori, che ricevettero riconoscenti. Partirono lasciando non dubbia prova di simpatia con una buona elemosina.

                Nel novembre dell'anno seguente l'Imperatore si trovava di passaggio a Cannes. Don Cartier, direttore della casa di Nizza, volle andargli a presentare gli omaggi di Don Bosco. Fu ricevuto con molta affabilità. L'Imperatore, stringendogli la mano, gli domandò anzitutto notizie di Don Bosco. - Come sta Don Bosco? È a Nizza? È un grand'uomo... un santo... Io gli voglio molto bene... Fa un gran bene... Le sue opere mi piacciono assai, specialmente la casa di S. Paolo dove si fa un bene grande. - Don Cartier si rese interprete del rincrescimento di Don Bosco per non poter raccomandare personalmente a Sua Maestà i suoi figli del Brasile e di Nizza. Egli manifestò il suo dispiacere, che, dovendo partire presto da Cannes, non poteva visitare la casa di Nizza. Anche l'Imperatrice lo trattò con amabilità, esprimendogli tutta la sua venerazione per Don Bosco e un'alta ammirazione per le sue opere; in particolar modo raccomandò di fargli dire che pregasse per l'Imperatore e per lei. Il dì appresso Don Cartier mandò a Cannes il prefetto Don Fasani con una lettera di ringraziamento e con alcuni doni da presentare al Sovrano. Erano due copie del Don Bosco del D'Epiney, tre grandi fotografie del Santo e un esemplare dell'opuscolo di Don Cerruti Le idee di Don Bosco sull’insegnamento. L'Imperatore del Brasile coltivava molto la letteratura italiana, prediligendo le opere del Manzoni, col quale aveva avuto molta familiarità. Gradi ogni cosa e fermandosi a guardare il ritratto di Don Bosco, disse: - Non mi contento di vederlo in effigie; lo voglio vedere in persona... Sì, andrò a trovarlo. Cosi diceva il 26 novembre; due mesi dopo Don Bosco era alle porte dell'eternità[168]. [224]

                Parlando degli accrescimenti che nonostante tutto s'imponevano nel Brasile, nell'Uruguay, nell'Argentina e nelle Missioni patagoniche, Don Lasagna aveva scritto fin dall'8 gennaio a Don Rua: “Che vuole? Sono gli eventi che ci portano o, per meglio dire, è la Divina Provvidenza che ci conduce: e bisogna seguirla”. Era quella medesima Provvidenza che intorno a Don Bosco aveva fatto crescere uomini quali un monsignor Cagliero, un monsignor Fagnano, un monsignor Lasagna, e altri parecchi spiriti alacri ed aperti alle grandi iniziative. Tali dovevano essere i pionieri: non pavidi nè gretti ma ardimentosi e dalle larghe vedute.

                Sull'Argentina abbiamo in una lettera di monsignor Cagliero una messe d'informazioni, che ci rappresentano al vivo lo stato delle cose locali durante il periodo delle ferie estive, dal dicembre cioè al marzo. Monsignore, lasciata la Patagonia il 5 gennaio, stette fuori della sua residenza fino all'8 maggio. Il 22 febbraio era a S. Nicolas, donde scrisse a Don Bosco.

 

                               Rev.mo ed aff.mo Padre in G. C.,

 

                È tempo che le scriva io personalmente per darle conto esatto di tutto ciò che passa nelle nostre case per dove transitai a dare i santi Esercizi Spirituali.

                Si diedero in Patagones, in Buenos Aires, in Colon e in S. Nicolas. Contemporaneamente a quelli dei Salesiani corsero quelli delle suore in tre punti, ed ebbi tre compagni. Cambiava sentinella, ma era sempre il medesimo caporale che conduceva, guidava e comandava la pattuglia.

                Furono per me una fatica non indifferente, ma pensando a quelle più serie sostenute da Don Bosco in queste occasioni ed al bisogno di essere al corrente di tutto e di tutti, l'ho considerata di poca importanza e la superai con facilità.

                In tutte le case ho trovato una volontà forte, risoluta, e decisa di essere buoni e santi Salesiani. Si stimolarono i troppo tardi, si frenarono i troppo veloci, e si scossero i sonnolenti. Don Bosco, l'Oratorio ed i suoi primi tempi entravano in tutte le prediche; e lo dico francamente che quei fortunati ricordi facevano del bene a tutti, predicanti e predicati, dandoci un'idea chiara ed una guida sicura dello spirito salesiano.

                Nei rendinconti e nelle conferenze particolari ho potuto parlare con molto profitto dello spirito di povertà non solo, ma della economia, tanto necessaria per pagare i debiti, dai quali non va esente nessuna [225] delle nostre case. Come pure ha preso intiero possesso, dove ve ne era bisogno, il sistema preventivo e la gran molla della dolcezza e carità nella educazione dei nostri alunni.

                E la confidenza, l'amor fraterno, paterno, figliale tra Superiori ed inferiori vi regnano su tutta la linea, cosicchè dovetti f are poco o nessun cambio di personale.

                Per le vocazioni si lavorò e si lavorerà di più in avvenire, ma esse sono scarse perchè il terreno è ingrato. Abbiamo fatto sette vestizioni di chierici novizii, tra quali quella di Caprioglio che è un veterano e valoroso salesiano. Professarono in dieci i voti triennali e perpetui e quasi tutti americani.

                Le suore fecero esse pure io vestizioni e altrettante professioni e quasi tutte italiane o figlie di italiani; cioè di quelli coi quali abbiamo più relazioni.

                In S. Nicolas però mi lusingo di un avvenire consolante. I numerosi cooperatori che vi sono già trattano di affidare a noi la numerosa turba di ragazzetti e ragazzette per educarla non solo, ma consecrarla al Signore se tale sarà la loro vocazione. Regna in queste famiglie il primitivo spirito cristiano e sono affezionatissimi ai Salesiani. Li ho visitati quasi tutti nelle loro ricche chacras ed ho invitati ad una modesta agape i principali, ieri che abbiamo fatta la festa di S. Francesco di Sales e conferenza dei cooperatori. Tra essi figurava Mons. Ceccarelli sempre ben affetto ai Salesiani e mio buon amico.

                Presero le sacre ordinazioni del presbiterato Don Solari e Don Giovannini in Colon, Don Rinaldi, Don Patrizio O’ Gradi, Don Zaninetti Guido a S. Nicolas e tre minoristi; mentre molti altri si preparano collo studio e colla virtù a ricevere la stessa grazia per gli anni venturi.

                Queste, o Veneratissimo Padre, sono le notizie od operazioni ad intra; ora passo a darle quelle che sono ad extra. In Patagonia i nuvoloni sinistri che offuscavano l'orizzonte scomparvero. Il sig. Governatore, il generale Winter, con motivo del battesimo di una sua bambina volle ad una refezione di famiglia quattro dei nostri Salesiani sacerdoti; tra cui Don Fagnano contro il quale ardevano di preferenza le sue biliose animosità. E la conciliazione è fatta per opera e grazia di Maria Ausiliatrice, alla quale ho raccomandato speciali modo la Patagonia ed i suoi interessi, appena sbarcato sul Rio Negro.

                Le Missioni che erano ferme da un anno, ripigliarono il loro cammino e Don Milanesio che prima era stato arrestato dai soldati, è ora dai soldati guidato ed aiutato in caso di bisogno nella sua escursione alle Cordigliere. Ed ho speranza che il Governo ci aiuti col dare il soldo di Cappellani a non pochi di noi. Don Savio in Santa Cruz gode il soldo di agrimensore in 54 scudi al mese, Don Beauvoir gode quello di Cappellano militare in 64 scudi pure mensili. Ed ho bisogno che tale risorsa la ottengano alcuni di noi in Patagonia, dove abbiamo debiti serii per le due chiese che abbiamo dovuto costruire. [226] In Buenos Aires ho potuto avere un medium per avvicinare il Presidente, ma temo che la politica lo scalzi tra pochi mesi e se verrà un presidente nuovo e migliore, meglio per noi. Aspettiamo quindi gli avvenimenti.

                In Montevideo invece la tempesta scoppiò e terribile! E che Dio ce la mandi buona. Il Governo col suo Presidente si sono meritati il disprezzo universale; e tutti i migliori cittadini coi migliori generali e capitani d'esercito si sono uniti per spazzarli via colla polvere di cannone. Il nostro collegio di Paysandù è in pericolo di essere convertito in quartiere generale delle truppe del Governo per la sua posizione e solida costruzione. Ma speriamo: il reclamo del Ministro Italiano e le corazzate che tiene a disposizione nelle acque di Montevideo lo faran desistere da tale proposito; ma intanto i giovani non vengono fino a causa finita[169].

                Preghi adunque, o carissimo Don Bosco, per questi sventurati paesi, sempre in agitazione e sempre in armi tra loro. La nostra condizione di stranieri ci consola in questi terribili frangenti, ma assai più ci consola il pensiero che siamo anche stranieri a questa terra di triboli e spine. Noi confidiamo nelle sue preghiere ed in quelle dei nostri cari confratelli e cooperatori.

                Si, preghi, chè ne abbiamo bisogno in questi momenti.

                Dal Brasile alla Terra del Fuoco i suoi figli la salutano e pregano per la sua preziosa salute. Dalle Alpi al Libero sappiamo che vi sono dei nostri fratelli che l'amano; ma non sono inferiori a questi quelli che qui l'amano con l'intensità dei due più grandi oceani l'Atlantico ed il Pacifico; meschini perciò al paragone il Mediterraneo e l'Adriatico.

                Riceva i saluti di tutti e tutti ci benedica nel Signore.

                Al venerando Capitolo ed ai suoi più venerandi soggetti, l'attestato della nostra umile sommissione e la mia pastorale benedizione. Amen.

        

                S. Nicolas, 22 febbraio 1886.

 

In G. C. aff.mo figlio

 GIO. Vescovo di Magida.

 

                PS. - Da Roma ho ricevuto insieme alla facoltà di autorizzare i Matrimonii misti cum cautelis, una lettera del Card. Simeoni in risposta alla mia prima relazione fatta alla Propaganda, ed è laudatoria.

                Ora sto preparandone una seconda che manderò a Don Dalmazzo ed un duplicato a Torino.

                Similmente preparo una consimile relazione per la Propagazione della fede e della S. Infanzia[170]. [227] Monsignor Cagliero, a cagione dei debiti che gravavano sull'Ispettoria Argentina, aveva deciso di non aprire più case almeno per un anno, ma circostanze provvidenziali lo fecero deflettere dal suo proposito. Nel 188, 5 il Governo di La Plata aveva promesso ai Salesiani un bel terreno, a condizione però che, se non vi fabbricassero un collegio, il contratto da stipularsi rimanesse privo di effetto. I Salesiani avevano una gran voglia di andare a La Plata, anche perchè la popolazione era per più di metà italiana. Ma con tanti debiti come arrischiarsi a fabbricare? Si lasciò dunque cadere la cosa. Tosto sottentrarono i protestanti, che stavano alla vedetta e ottennero le stesse agevolazioni governative. Se non che, edificato ivi un loro tempio e costruite due abitazioni, dovettero, non si seppe mai il perchè, sloggiare. All'ora il canonico Carranza, parroco nella città, acquistò edifizi e terreno e poi con pressanti raccomandazioni dell'Arcivescovo e di altre autorevoli persone si presentò ai Salesiani per offrir loro ogni cosa. Dopo quanto era accaduto, si credette di non poter rifiutare. Diedesi così principio a una nuova opera, che in breve fiorì e tuttora fiorisce[171].

                Una seconda relazione di monsignor Cagliero abbonda dì tali particolarità, che, quantunque lunghetta, viene molto a proposito in questo luogo.

 

                                Amatissimo sig. Don Bosco e carissimo Padre,

 

                Sono di partenza per ritornare alla mia cara Patagonia. Due mesi ci ho dovuto impiegare per dare i santi spirituali esercizi nelle diverse nostre case; ed un mese me lo sono goduto qui in Buenos Ayres. Ed era necessario questo poco di riposo per visitare ed essere visitato, per fare nuove relazioni e per cercare quattrini.

                Per mezzo del Cappellano maggiore dell'Esercito, ho fatto relazione col Ministro della guerra il quale si dimostrò favorevolissimo alle nostre Missioni, in ciò che riguarda al bene dei soldati che sono di guarnigione lungo le sponde del Rio Negro. E da lui ho potuto avere gratis otto passaggi da Buenos Ayres a Patagones. Ciò mi risparmiò [228] la spesa di 500 scudi; e come sogliamo dire noi, questo vale più che un pugno sulla schiena.

                Ma intanto i 300 scudi mensuali che il governo passava per le missioni nostre da due anni furono sospesi e noi tiriamo avanti come possiamo. Tra elemosine di messe ed oblazioni ho potuto radunare un mille scudi. Poca cosa atteso il poco valore del danaro in queste regioni.

                Visitando gli Istituti ho preparato il terreno per una specie di piccoli cooperatori salesiani, (per non confondere quest'opera con quella della S. Infanzia) e che spero darà alcune migliaia di scudi all'anno, senza però dare alcuna pubblicità.

                Ho fatto dare all'Arcivescovo una relazione delle nostre missioni durante l'anno 1885, perchè la passi, come era di costume gli anni andati, al Governo, il quale ci darà, o non ci darà soccorsi.

                Ho pure reclamato aiuti da alcune società di beneficenza e mi hanno promessa alcuna cosa.

                Si dice che quando il lupo ha fame esce dalla tana; così ho fatto io; e mi ci hanno spinto i debiti che abbiamo contratto col Banco per innalzare le due chiese che sa.

                Ora passo a darle notizia dei nostri crediti che abbiamo col Padre Eterno, se ci vorrà usare della sua bontà e parte della sua infinita misericordia.

                Don Savio e Don Beauvoir con un coadiutore (Fossati) sono stabiliti sulla sponda del Rio S. Cruz ed a cinque giorni di mare distanti da noi. Essi sono in buonissima relazione col Governatore al quale ho parlato prima che partisse per quelle terre. E non è improbabile che si trasferiscano più in giù al Cabo de las Virgines dove, come avrà saputo dai giornali, si dice che un fiumicello invece di arena trarrebbe al mare niente meno che sabbia di oro!!! E mentre noi scherziamo su questa nuova California, gli inglesi lavorano sul serio ed a più non posso per trovare il loro Dio che non è il nostro.

                Don Milanesio, Don Panaro con un catechista ed un guarda cavalli sono in missione dal mese di dicembre e da una stia lettera che ho avuto, rilevo che al fine di aprile lascierà le Cordigliere coperte di neve e se ne verrà a Patagones, dove stenderemo verbale delle sue escursioni. Questi bravi Salesiani hanno percorso la bagatella di 300 leghe nella sola andata e superando mediante la divina provvidenza un gravissimo pericolo nel viaggio: poichè il povero Don Milanesio colpito dal solione cadde ammalato in mezzo al deserto e con diarrea di sangue. Lontani 40 e più leghe dagli esseri viventi e senza provvigioni, venne loro meno l'alimento. Allora il poon, o arriero dei cavalli datosi a correre per tutte le parti per trovare almeno caccia, incontrò una vacca bagual, ossia smarrita pel deserto; le diede la caccia e fu quella che li sfamò durante otto giorni, quanti furono necessarii perchè il povero Don Milanesio potesse proseguire a cavallo il suo viaggio. [229] Alle falde delle Cordigliere un cavallo, come sovente succede, impennatosi scavalcò la carica e si ruppe la pietra sacra dell'altare. Secondo le facoltà dalla santa Sede concesse egli avrebbe potuto celebrare con la pietra rotta od anche senza questa, ma amò meglio attraversare a cavallo tutta la catena delle montagne e passare al Chili solo, Impiegò due giorni girando come gira la gola di quelle roccie e si trovò nel primo paese alla vista del Pacifico, chiamato Los Angeles. Fu ben ricevuto dai Padri Francescani dai quali ebbe anche aiuti pecuniarii. Essi conoscono Doli Bosco per fama ed i Salesiani, e sono ansiosi di vederci da quelle parti. In un secondo viaggio, o meglio in una seconda scavalcata a traverso los Andes passò a Chillian ed alla Concezione sulle spiagge del mare. Ivi fu ricevuto con indicibile giubilo dal Vicario Capitolare Don Domingo Cruz e dal suo segretario e gli mostrarono la casa che stanno edificando per noi. Di lì invierebbonsi i Salesiani nella immensa regione degli Araucani privi ancora di sacerdoti ed in una necessità estrema di aiuti spirituali.

                Caro Don Bosco, abbiamo tutte le case stremate di personale e se come desidera la Paternità vostra ed io lo desidero e tutti lo desideriamo, di stabilirci nel Chili, prepari una bella carovana di Missionarii e lire la mandi alla Patagonia. Di qui abbiamo trovato il passo che in una cavalcata di 1.500 chilometri ci porta alle Cordigliere ed in un'altra di 2oo e per la strada dei camosci ci dà stanziati nel territorio chileno.

                La messe raccolta in questa Missione dai nostri coraggiosi missionari fu di 100 Comunioni, venticinque o trenta matrimoni e circa 800 battesimi, seicento dei quali sono di Indi. Essi, stanno bene di salute malgrado i disagi, le fatiche e le vitaccie che debbono fare per quelle immense solitudini, percorse solo da animali silvestri e domestici ed abitate dagli Iridi Araucani passati al territorio Argentino.

                Giungendo io a Patagones saprò se continueranno il loro cammino di ritorno oppure se pensano fermarsi a metà strada dove sono intesi col Cacico Namuncurà e con Sayuheque, per istruire le due loro tribù nella nostra Santa Religione e battezzarli in numero di 2500 Vedremo se faranno a tempo perchè il Ministro della guerra mi disse che vorrebbe farli passare a Buenos Aires. La ragione si è che non essendo stati abilitati in tempo al lavoro di agricoltura ed amando essi l'ozio piuttosto che la fatica, teme una sollevazione. Sarà di loro adunque quello che vorrà la Divina Provvidenza.

                Come le avranno scritto sono nove i novelli sacerdoti Salesiani ordinati extra tempora. E come se fossero mele o ciliege se li partirono le diverse case che ancora si lamentano per essere troppo pochi. Però non sarà sempre così, perchè avendo in casa la fabbrica ed il fabbricante se ne faranno più sovente.

                Ma lei, o carissimo Doli Bosco, deve almeno mandarmi da S. Benigno la stoffa e questa sia roba buona e di lunga durata. S. Giuseppe alcuni giorni precedenti la sua festa ci ha regalato una nuova casa [230] nella nuova e bella città della Plata. Non volevamo, non potevamo accettarla e ciò non pertanto ci cadde sulle spalle, perchè così vollero l'Arcivescovo, il Vicario Foraneo di quella ed una moltitudine di Italiani che si trovano senza soccorso spirituale e senza istruzione religiosa. Il terreno, la casa di legno, e la bellina chiesa pure (di questo marmo dolce) venuta bella e fatta dalla Svizzera, ce la dà il Governo della Provincia. Ed intanto noi che avevamo deciso di non aprire più casa alcuna nell'Argentina e volgevamo risoluto lo sguardo al Chili, eccoci ancora seduti qui, vittima dell'educazione di non dire mai di no quando altri vuole . Però se Don Durando tiene fermo, non ne apriremo davvero più nessuna da queste parti, no, davvero davvero! Se sarà vero! Come spero ed è mio desiderio.

                Nelle case tutte si gode di buona salute e migliore volontà di lavorare e farci santi[172].

                E la Paternità vostra ci aiuti con le sue sante orazioni e riceva dal suo affezionatissimo figlio ogni felicità e benedizione

                Buenos Aires, 10 - 4 - 1886.

 

 

GIOVANNI Vescovo di Magida.

 

                Proprio mentre la riferita lettera andava alla posta, si annunziò per telefono a Monsignore che il Presidente della Repubblica Roca, al quale aveva chiesto udienza, volentieri l'avrebbe ricevuto. Senza frapporre indugio il Vicario Apostolico si recò quella sera dal Generale in casa stia. Lo accompagnava Don Costamagna. Suo scopo era di ringraziarlo della lettera di raccomandazione datagli l'anno innanzi per il Governatore del Rio Negro. Accettati i ringraziamenti, il Roca con rudezza militare rimise ex abrupto sul tappeto la questione giurisdizionale. - Lei è Vescovo, gli disse, e non è argentino. Non può esercitare nella Repubblica. Il Papa non ha diritto di arbitrare qui senza il permesso del Governo. [231] Monsignore schivò di nuovo abilmente il colpo rispondendo che nella Repubblica egli non aveva giurisdizione ordinaria, ma era soltanto Vescovo Missionario, visitatore delle case salesiane, specialmente in Patagonia; nelle questioni o negli atti che potessero interessare le viste del Governo, egli si riferirebbe all'autorità dell'Arcivescovo di Buenos Aires.

                La risposta evasiva valse una spiegazione e il Presidente ne rimase soddisfatto. S'entrò quindi a discorrere dei progressi fatti dalla Missione, di scuole, di due chiese costrutte, delle ultime escursioni compiute da Monsignore e dai Missionari salesiani, delle molte conversioni, dei mille e più battesimi amministrati dopo il suo arrivo a Indi adulti e bambini. Più di tutto si ragionò dei tanti debiti contratti per l'erezione delle due chiese, delle case e delle scuole in Patagonia. Il Vescovo, ringraziatolo dì ottocento scudi rimessigli per le mani dell'Arcivescovo, lo pregò di non dimenticare le Missioni e di aiutare sempre i Missionari. Quegli promise. Poi volle essere informato della Congregazione Salesiana e della sua organizzazione di fronte alle leggi e lodò la saggezza di Don Bosco.

                Monsignore trovò modo di lamentare la rottura intervenuta fra la Repubblica e la Santa Sede. - Non esiste rottura, ribattè il Presidente; è solamente una questione personale con Monsignor Matera. È mia intenzione riannodare le relazioni quanto prima. Anzi si serva pure di quanto le dico, può far note queste mie disposizioni, officiosamente s'intende, al Segretario di Stato e al Papa.

                Monsignor Matera, Arcivescovo di Irenopoli e Delegato Apostolico e Inviato Straordinario per l'Argentina, Uruguay e Paraguay, che monsignor Cagliero, come vedemmo, incontrò nel 1885 a Montevideo, non godendo più la fiducia del Governo argentino, era stato costretto a uscire dal territorio della Repubblica, senza previa intesa con la Santa Sede; onde la rottura con Roma. Ora la questione posta nei termini significati dal Presidente veniva a essere di molto semplificata, sicchè non fu più difficile arrivare a una soluzione, [232] Quel colloquio segnò il pulito di partenza a riallacciare le relazioni diplomatiche; in vista di che Monsignore ne fece relazione al procuratore generale Don Dalmazzo, affinchè ne informasse il cardinale Lodovico Jacobini, Segretario di Stato.

                Monsignor Cagliero aveva ormai saputo trarre dalla sua le massime autorità governative, il che gli tornò utile a rassodare la propria autorità nella stia sede di Patagones, come si vide al suo ritorno dopo la non breve assenza. Noli furono soltanto i Salesiani e le Suore con le loro scolaresche di ambe le sponde del Rio Negro a riceverlo; ma un popolo vario e numeroso gremiva la spiaggia: signori e signore, marinai e militari, indi e gauci lo attendevano con vero entusiasmo. Le principali autorità salirono a bordo per ossequiarlo. Il Governatore, da alcuni giorni indisposto, benchè anticlericale e personalmente ostile, non potè esimersi dal mandare prontamente un ufficiale superiore a rappresentarlo, dicendosi lieto del suo arrivo. Tutto questo rallegrò assai il Vicario Apostolico, persuaso che tanto mutamento di animi nel centro del Vicariato gli avrebbe spianato la via all'esercizio sempre più fruttuoso del suo santo ministero. Certo è che il suo modo di agire contribuiva a guadagnargli stima e fiducia. “La sua persona, scriveva Don Piccono[173], diffonde intorno a sè la soavità e la letizia, e nelle sue azioni vanno unite la semplicità e la prudenza, la dolcezza e l'energia di un vero primogenito di Don Bosco”. Appena sbarcato, mosse verso la chiesa, dove, fatta breve orazione, ringraziò tutti della splendida accoglienza. Ala quel ringraziamento collettivo non poteva bastare: cortesia voleva che andasse poi facendo visite alle persone di maggior riguardo, la qual cosa gli porse il destro di conoscere da vicino le primarie famiglie, tanto bisognose di religiosa istruzione.

                Sotto quelle remotissime latitudini nè per l'immensa lontananza nè per le sfibranti fatiche si affievoliva nei cuori [233] il ricordo di Don Bosco. Ne discorrevano fra loro, ne parlavano ai giovani, non c'era ricorrenza che passasse inosservata. Così il 19 maggio i giovanetti del collegio di Patagones gli scrissero ciascuno la propria letterina per il prossimo onomastico. “Carissima, dice don Viglietti nel suo Diario, era quella del bravo giovane Luis Villanueva, artigiano indo puro sangue, da due anni entrato in collegio” . Quanto godesse Don Bosco nel leggere quei fogli, noti è chi non sappia immaginare[174].

                Si è conservato pure buon numero di lettere scritte per la medesima circostanza da Confratelli. Ci usino indulgenza i lettori, se nuovamente ricerchiamo in esse i sentimenti che quegli antichi Salesiani nutrivano per Don Bosco. Ci pare che a lumeggiare la figura del nostro Salito torni di non poco giovamento il vedere qual vivo affetto egli suscitasse ne' suoi e di qual confortò nei travagli della vita, di quale stimolo a ben operare riuscissero in tutti siffatte disposizioni d'animo. Indubbiamente Doli Bosco possedette in grado sovrumano il dono di farsi amare, e di quell'amore sincero, costante e operativo che è l'amor filiale.

                Cominciamo dall'Uruguay la nostra rassegna. Da Paysandù il chierico Grando così gli apriva il suo cuore: “Le assicuro, amato Padre dell'anima mia, che solo colla vita cesserà in me la preghiera ispirata dalla gratitudine verso chi per darmi la vita mi tolse dai pericoli di perderla. Inoltre la assicuro che le nostre sante Regole e i suoi saliti avvisi, che conservo scritti in una immagine di Mamma Ausiliatrice, che Ella mi diede con sua firma, saranno norma della mia condotta. Veggo che finora, solo così facendo, provo tranquillità non provando malinconia o malumore se non quando mi apparto da tale norma”. Dal medesimo collegio il chierico Soldano dà sfogo in questo modo a' suoi sentimenti: È questa un'occasione di più che mi si presenta per manifestarle i miei sentimenti [234] di gratitudine, di fedeltà, d'amore; è questa una nuova occasione che ci concede il Signore per onorare, per quanto far si possa in questa terra di miserie, il merito suo, l'eroiche sue virtù; è questa una nuova occasione che ci si offre per festeggiar Colui che lo merita oltre ogni dire Grazie, infinite grazie vi rendo, o mio Dio, che mi abbiate dato un tal Padre. Sì, carissimo Don Bosco, Ella è mio Padre, che mi diede la vita, non materiale, ma morale e spirituale. Ella è il mio più insigne Benefattore, che abbia sulla terra, [...]  Ella è il mio Salvatore, dopo di Gesù [ ... ]. Ella è il mio Maestro, che mi predica colle parole e mi muove coll'esempio” .

                Don Rota dal Collegio Pio di Villa Colon umilmente e sentitamente scrive: “Ultimo fra tanti figli mi presento anch'io ed anch'io voglio unire il mio Viva Don Bosco ai mille e mille Viva che in questi giorni si udiranno tra le mura dell'Oratorio. Forse il mio non arriverà fili là, ma il di Lei cuore così delicato lo udirà egualmente, perchè esce proprio da un cuore che lo ama con amore figliale”. Da Colon Don Calcagno, che si sente venir meno con la salute la vita, si consola al pensiero di una vita migliore sempre con Don Bosco. “Temo, dice, che questa mia non Le giunga pel suo giorno onomastico. Guarderò tuttavia di accompagnare con tutti gli affetti del mio cuore le espressioni di amore e di riverenza che le manifesteranno in quel giorno i miei cari fratelli dell'Oratorio [...]. Caro Padre! si ricordi di questo suo povero figliuolo d'America, che più non lo vedrà su questa terra! Oh preghi tanto per me, affinchè possa un giorno, dopo aver praticate con tutte le forze mie le sante Regole salesiane, possa un giorno gettarmi ai suoi piedi lassù nel paradiso” . Di là pure due Hijos americanos, i chierici Echeverry e Canessa, usando entrambi la loro lingua, lamentano di non averlo mai veduto, dicono di conoscerlo attraverso le narrazioni dei Superiori e si raccomandano alle sue preghiere.

                Scendendo poi a Buenos Aires, ecco Don Durando, direttore della recente casa di S. Caterina, unire agli auguri filiali [235] per il suo “caro Padre Don Bosco” una bella relazione sull'andamento del nuovo collegio; ecco Don Costamagna in lettera firmata da tutti i Confratelli protestargli enfaticamente a nome di tutti: “Oh Don Bosco, nostro carissimo Don Bosco! tutti delle case di S. Carlo, della Misericordia, della Boca, di Santa Caterina e della Plata, che andiamo vieppiù conoscendo il gran favore che il buon Dio ne fece, quando ci diede figli a Doli Bosco, lieti fuor di misura, perchè anche quest'anno vediamo arrivare tutto splendido il giorno onomastico del carissimo Papà, inviando un Evviva Don Bosco all'unisono, che passi l'Oceano e piombi nel cortile di cotesto felice Oratorio ad allietare il più bel giorno del Padre della gioventù dei due mondi, desideriamo che il benedetto nostro Vegliardo si persuada ognora più che gli vogliono un bene grande grande tutti i suoi figli della Provincia Argentina e che intendono tutti senza eccezione essere degni figli di un tanto Padre” .

                Da S. Nicolàs due figli affezionati manifestano in lunghe lettere la loro  affezione, narrando con gran calore episodi dì bene, nei quali hanno avuto parte. Don Rabagliati, che sarà il primo Ispettore salesiano nella Colombia, protesta: “Sia che l'obbedienza mi trattenga qui o mi chiami altrove, porterò con me l'immagine del carissimo padre Don Bosco e questa mi sarà sprone a lavorare senza posa nel campo che l'obbedienza mi segnala, affine di mostrarmi degno figlio di tanto Padre e di assicurarmi un posto al suo fianco nel paradiso. Oh che bel giorno quello, o carissimo Padre!”. Il collegio di S. Nicolas aveva un buon numero di ragazzi irlandesi, che provenivano da una vicina numerosissima colonia di quella nazione. Se ne occupavano dentro e fuori Don Rabagliati, che parlava un po' inglese, e specialmente Don O' Grady, venuto all'Oratorio dall'Irlanda. Questi scrisse a Don Bosco in francese. “La sua festa, gli diceva, o amatissimo Padre, così bella e così cara, benchè io abbia avuto il fortunato privilegio di assistervi una sola volta, mi ha lasciata una deliziosa e durevole impressione nel cuore e ancora [236] adesso il solo pensarvi mi fa trasalire dalla gioia [...]. Se Lei amato Padre, ama questi buoni Irlandesi, essi pure amano Lei, Molti di loro già conoscono l'amore che porta alle anime e le sue numerose opere sante; la amirano, la benedicono e quelli che seppero che io le avrei scritto per offrirle i miei voti e auguri in occasione della sua festa, si uniscono di tutto cuore con me per fare altrettanto”.

                Ed ora riportiamoci nella Patagonia, donde ci eravamo dipartiti. Il segretario di Monsignore, pensando alla festa di S. Giovanili, voleva fare a Doli Bosco un presente, se non per l'onomastico, almeno per il natalizio. Ne manifestò l'idea a Don Lazzero. Fra i giovani artigiani di Patagones uno ve n'era indio, calzolaio, quindicenne, già capace di lavorare da sè abbastanza bene. Chiedeva pertanto Don Riccardi la misura per fargli fare un paio di scarpe da mandare a Don Bosco, che certo avrebbe gradito un simile dono del primo Indio accettato in Patagonia da' suoi figli. Ala egli pure scrisse direttamente e lungamente a Doli Bosco il 5 giugno, dicendogli con effusione: “Sappia che noi tutti l'amiamo immensamente nel Signore, e in tutte le nostre azioni, siano sacre siano profane, sempre ed ovunque abbiamo presente alla mente e più al cuore la carissima persona di V. S. nostro Amatissimo Padre. Oh quanta festa faremo noi pure il 24 prossimo! Quel dì lo spirito nostro sarà costi nell'Oratorio, vagando intorno intorno a quella cameretta che in sè racchiude il nostro tesoro, il Padre nostro. Più arditi ancora saremo noi! Ed in ispirito ci avvicineremo a Lei, Carissimo Padre, e le diremo: - Oli Padre! oh Dori Bosco! quanto ti amano i figli tuoi di Patagonia! Benedicili. - E Lei ci benedirà di cuore e noi ripiglieremo con nuova lena e più vivo ardore le nostre fatiche a pro di questi cari giovanetti che pure sono i figli suoi, carissimo Don Bosco”.

                Finalmente anche Monsignore espresse i propri sentimenti prima a Doli Lazzero e poi a Don Bosco. A Doli Lazzero diceva il 26 maggio: “Va con questa un mondo di auguri per [237] il nostro amato Don Bosco che salutiamo affettuosissimamente e cordialissimamente e indimenticabilissimamente. Dominus custodiat eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra. Amen, amen, amen”. A Don Bosco aveva con gli auguri presentato un bel regalo, offrendogli il raccolto dì tutto un anno fatto da' suoi figli nel nuovo campo evangelico della Patagonia, ed erano 1300 battesimi di Indi e di indigeni del Rio Negro, 1000 comunioni di neofiti, 3000 comunioni di persone divote, 200 comunioni mensili dei ragazzi e delle ragazze che frequentavano le scuole. “Sono, spiegava egli, i frutti raccolti dopo il mio arrivo in questo finora sterilissimo deserto. Formatane una corona di preziosissimi gigli, intrecciata di olezzantissimi fiori e tempestata di brillanti ricchissimi gliela pongo sul venerando suo capo dicendo: Copre i figli la gloria del padre. Gloria filiorum Pater eorum [175]„.

                Non possiamo non raccogliere anche la voce che parte da Santa Cruz. Data la lontananza e le rare comunicazioni marittime con le altre parti del continente sudamericano, Don Beauvoir aveva pensato a scrivere già il 28 aprile. Da una sua diffusa esposizione spicchiamo alcuni pochi periodi che fanno al caso nostro. “Questo ultimo inutile, per non dire gravoso fra i suoi figli non si dimentica, no giammai, del Padre suo, per quanto lontani da lui trascorrano i giorni della sua vita, e remote siano le contrade che lo separano dall'oggetto della sua più viva affezione. Il pensare che Don Bosco si ricorda di me, è un dolce ristoro, ma non è tutto. Meditando talora gli anni della mia giovinezza passati ai suoi fianchi, una lacrima mi solca le guance. - E perchè non posso ancora una volta vederlo, parlargli, baciare la mano che tante volte mi benedisse? Un breve momento che possa bearmi della stia amabile presenza, una volta sola che veda ancora il suo volto ridente, che possa essere rallegrato dall'espressivo, affabile suo sguardo, e poi morirei contento nel volontario, lontano, [238] deserto esilio. - Sì, lo spero, il Signore mi concederà ancora questa desiderata fortuna”. Don Bosco gli rispose: infatti il 7 settembre Don Beauvoir scrisse a Don Rua: “Ineffabile fu il mio contento per aver ricevuto l'amata lettera del Venerando nostro e Carissimo Babbo Don Bosco. Leggendola ritornai collo spirito a quei tempi e a quei luoghi felici in cui passai i bei giorni della fanciullezza e giovinezza mia”.

                Chi non vede che leva potente fosse nelle mani esperte di Don Bosco un sì profondo e tenace affetto de primi Salesiani verso la sua persona?

                Nella lettera di Don Beauvoir c'era anche una notizia poco lieta. Un povero coadiutore dava indizio di pervertimento. Don Bosco ordinò di scrivere immediatamente che quel coadiutore fosse mandato in Europa. Gli si fece bensì notare e la speranza del ravvedimento e l'ingente spesa del viaggio. Non importa, esclamò addoloratissimo il Santo. Costi quel che si vuole, ma lo si rimandi subito. È un'anima che si perde, e bisogna salvarla. - Ma purtroppo era già tardi. Il disgraziato fece poco dopo a Santa Cruz una morte assai infelice.

                Monsignor Cagliero aveva compilato una relazione generale sullo stato della Missione patagonica, traendone tre copie, di cui una per il Santo Padre umiliatagli a mezzo del Cardinale Protettore[176], l'altra per Propaganda [239] Fide [177] e la terza per l'Opera della Propagazione della Vede; il suo segretario ne cavò quindi un riassunto, che fu spedito a DON BOSCO[178]. A dare completo ragguaglio intorno a questo primo periodo dell'attività missionaria salesiana sotto la guida illuminata di monsignor Cagliero, resta che mettiamo innanzi ancora una sua lettera, ricca d'importanti notizie e piena di vita.

 

                                Rev.mo ed amatissimo Padre,

 

                Tardai alquanto a scriverle perchè aspettavo l'arrivo dei nostri missionari che da sette mesi si trovano alle falde delle Cordigliere.

                Essi sono felicemente giunti, assistiti in modo provvidenziale dal Signore e da lui benedetti nelle loro escursioni apostoliche.

                Il nostro Don Milanesio è una vera provvidenza per tutti gli abitatori del Rio Negro: accompagnato dal nostro bravo Don Panaro e dal coadiutore catechista Forcina, con due uomini per i cavalli, percorsero a cavallo l'immensa distanza di 555 leghe, ossia di 2500 chilometri. Valicando per ben due volte sopra muli los Andes, o Cordigliere, si portò nelle pianure del Chilì toccando Antuco, Angeles, Concepcion e Chillan, dove raccolse elemosine ed altri aiuti per la Missione di Malbarco che si trova nel versante orientale dei monti che formano il Rio Neuquen, confluente del Rio Negro.

                Diedero la missione in trenta stazioni, ossia centri di popolazione, più o meno numerosi. Battezzarono 1117 tra indigeni e figli di famiglie cristiane, celebrarono 60 matrimoni e prepararono alla santa Comunione 1836 neofiti.

                Con questa missione resta esplorata tutta la valle del Rio Negro sino ai confluenti Umay e Neuquen e tutta la valle destra e sinistra del Neuquen co' suoi dieci o dodici confluenti, sino ai confini del Chili e della provincia di Mendoza. Perciò la parte della Patagonia settentrionale più importante e più popolata è da noi già tutta conosciuta, visitata, e si può dire catechizzata, se si eccettuano quattro o cinque tribù, i cui Cacichi si pronunziarono in senso favorevole alla loro conversione[179].

                Stiamo preparando una carta etnografica di tutta la zona compresa tra il Rio Negro ed il Rio Colorado, segnalando le stazioni e centri di [240] popolazione, colonie e tribù, notando le distanze da una stazione all'altra, mancando i fiumi principali ed il luogo dove si possono passare a nuoto coi cavalli e accennando alle valli e ai monti più importanti[180].

                Di qui si manderà un abbozzo il più preciso che si possa, e di lì il nostro geografo torinese farà scorrere le acque dei fiumi, sorgere le piante dei monti, crescere l'erba dei prati popolati di cavalli, di pecore, vacche, guanachi, struzzi ed altri infiniti esseri carnivori ed erbivori.

                Mando pure alla Paternità Vostra un prospetto minuto dei luoghi dove passarono i nostri Missionari, col nome loro e con una particolareggiata statistica dei battesimi, comunioni e matrimoni fatti.

                Qui in Patagones e Viedma continuiamo a coltivare con frutto le tenere pianticelle che crescono vigorose e cariche di fiori e frutti.

                Abbiamo fatto una predicazione straordinaria pel santo Giubileo[181], prendendo l'occasione dalla novena di N. S. del Carmine, patrona del Pueblo, e predicando tre volte al giorno. Si raccolsero molte comunioni di signore e di tutti i giovanetti e ragazze dei nostri collegi... ma di uomini... zero!!!

                Spero assai nell'Associazione dell'Apostolato di orazione inaugurato con prospero successo e con quindici zelatrici, le principali del paese, che hanno fatto prodigi per attirare tutte le madri di famiglia, e vi riuscirono.

                Così, mediante la divozione, l'amore ed appoggio del Sacro Cuore di Gesù ho potuto ottenere che molte famiglie compissero il precetto pasquale e si uniformassero allo spirito cristiano. Naturalmente questo movimento alla pietà e divozione suscitò fermento nei maligni, i quali già stridono di convulsione e rabbia satanica. Ma noi zitti, calmi e prudenti tiriamo innanzi finchè qualche santo ci aiuti a guadagnare anche gli uomini, schiavi molti del rispetto umano, dell'interesse altri e delle passioni i rimanenti.

                Da oltre un mese è con noi Don Savio, il quale ci dà molte buone notizie della sua missione della Patagonia centrale e meridionale. Egli ha potuto sapere dagli Indii Tehuelches, che vi sono molte Tolderie sparse nelle immense pianure del deserto centrale e lungo le sponde dei fiumi. Passato l'inverno farà ritorno a S. Cruz e tenterà una importante escursione in quei dintorni. In questa escursione lo accompagneranno alcuni Indii Tehuelches da lui già catechizzati e battezzati, e tra questi il fotografato qui in Patagones, che la Vostra Paternità può vedere alla sinistra del barbuto missionario. [241]

Don Beauvoir intanto attende alla missione con Fossati, fino all'arrivo di Don Savio.

                Don Fagnano è da alcun tempo in Buenos Aires in cerca di danaro presso il governo e presso i privati, ma, come mi scrive, trova poca fortuna: ed è questione capitale perchè non può partire per la sua prefettura sino a che non abbia soddisfatto il banco degli imprestiti fatti per inalzare la Chiesa. Le case di S. Carlos, Colon e Paysandù sono pur esse gravatissime di debiti per le costruzioni fatte e non possono, anche volendo, aiutare noi poveri abitanti del deserto. E quello che più mi dispiace è che i nostri sudori distillano appena il necessario a pagare gli interessi dei debiti.

                Io sono tempestato da lettere che mi giungono dal Chilì, da Santiago, da Valparaiso, da Talca e da Concepcion, e rispondo promettendo e che pazientino. Ma col personale che ho non posso nemanco fare un passo ed il solo Don Rabagliati, che me lo disputa ancora il collegio di S. Nicolas, mi potrà essere utile ad incominciare qualche cosa nel Chili.

                Quanto prima dovrò pensare a stabilire almeno due centri lungo il Rio Negro, ma senza mezzi e persone non mi slancio a tale impresa ed aspetto l'opportunità. Intanto preparo una lunga relazione da mandare a Propaganda, ed una lettera per Lione e Parigi.

                Oh ne piovessero dei luigi!

                Abbiamo saputo della sua gita a Barcellona e che commota fuit tota civitas. Anzi che le furono offerti omnia regna mundi e che la Vostra Paternità li accettò tutti insieme collo stesso niente Tibi dabo, per offrirli al suo vero padrone il Signore.

                Con questo viaggio avrà contentati i Catalani ma non gli Andalusi, che ne furono delusi e meno gli Americani i quali vorrebbero inventare una ferrovia aerea per avere l'onore di una sua visita,

                Con le autorità civili e militari andiamo sempre belle, perchè tengo anche sempre i guanti nelle mani. Ma non mi fido di loro, nè in loro confido. Il povero Don Milanesio non appena era arrivato dalla sua faticosissima missione che il generale gli fece sequestrare tutti i cavalli col pretesto che erano del governo. Egli provò con i documenti chiari e scritti che erano suoi, cioè della Missione. A nulla valse. Allora discesi io a fargli visita e subito gettò la colpa addosso ai vigilanti che avevano corso troppo. Io feci apparenza di crederlo, mentre in Viedma non si muove foglia senza che egli lo voglia; e soggiunse che già aveva dato l'ordine fossero restituiti i nostri cavalli. Era con me Don Piccono, e mentre ci fece servire il thè, io gli raccontava la protezione che l'Inghilterra presta ai missionarii e varie altre cosette del caso che ha ben capito. Ma sono militari e tanto basta. Sono sei anni che i Salesiani hanno preso possesso della Patagonia e furono sei anni di battaglie, di calunnie e di vittorie riportate, però a costo di sacrifizi e dispiaceri. [242]

                Ma se non fosse così non sarebbe vita di missionari la nostra. Quanto a me poi, dopo la visita al Presidente, vivo di timori e di speranze e Colui che mi ha mandato qui, ci pensi Lui a sostenermi. Con la venuta del nuovo Presidente verranno guai sopra guai alla Chiesa in questo disgraziato paese.

                Io però ho la parola del presidente Roca, ma come gli manca un c per fare rocca, quindi nulla mi prometto; e tiriamo innanzi alla guardia di Dio. E se non mi disturbano continua il miracolo, dicono i buoni argentini. Guai però se parlo di Vicariato o di Vicario, chè mi regalerebbero l'esiglio immantinente. Perciò sono sempre vescovo Salesiano e Missionario apostolico, cioè un mistero che essi non comprendono e che non conviene spiegare a nessuno. E così andiamo innanzi ed il bene si fa intanto a las barbas de gualicho come dicono gli Indii.

                Ho quindi bisogno di preghiere, e come è la V. Paternità che mi gettò nel ballo, mi insegni a ballare perchè io so soltanto suonare. Nei confratelli sacerdoti, chierici e coadiutori v'è abbastanza impegno per osservare la S. Regola e per avanzare nelle virtù proprie di un salesiano. Ogni giovedì ci troviamo insieme colle due Case per una conferenza che versa o sulla morale casistica o sopra alcuni punti di ascetica o su un punto disciplinare per la buona marcia della nostra missione.

                Sono coltivati assai gli oratorii festivi dei ragazzi e delle fanciulle e da qualche tempo a questa parte sono anche assai frequentati. Andiamo pure raccogliendo le spighe perdute, ossia giovinetti ed adulti indii od indie, sparsi nelle varie famiglie cristiane. Ed a forza di instare sollecitando e raccomandando, otteniamo che ce li mandino per istruirli e battezzarli; e i già battezzati prepararli alla prima comunione.

                Una buona parte però che vivono male coi cristiani, non possiamo ridurli ad alcun bene; sono spighe calpestate dai cavalli e dai muli quibus non est intellectus.

                Il nostro missionario della Patagonia centrale Doli Beauvoir ha fatto un'escursione sino al Cabo Virgines, dove si va radunando gente da tutte parti, tutta alla luce dell'oro![182]. E veramente quelle sabbie sono ricchissime per l'oro che contengono, e gli esploratori dicono che in certi luoghi è più ricco ed abbondante che in California. Oh fosse vero che ci trovassimo ancor noi nell'età dell'oro! Eppure le galline stesse non lo guardano, preferendo invece un insetto che non i grani auriferi.

                Riceva, amatissimo Padre, i saluti, i cuori e l'affetto di tutti i suoi [243] figli della Patagonia. Preghi per noi, ed invochi sopra la nostra Missione la protezione e le benedizioni di Maria SS. Ausiliatrice.

                Le suore, ancor esse zelantissime, domandano con me la sua paterna benedizione.

 

                Patagones, 28 luglio 1886.

 

Suo in G. C. aff.mo figlio

GIOVANNI, Vescovo.

 

                Non isfugga all'attenzione di chi legge la cura che si prese subito Monsignore di trapiantare laggiù l'Associazione dell'Apostolato della preghiera e si noti la fiducia ch'ei riponeva nell'efficacia di tale istituzione per la fecondità dell'ardente e indefesso suo zelo. È da credere che la cosa gli sia riuscita non senza difficoltà; ma l'averla tentata sarebbe già stato di per sè sicuro indizio che il suo zelo era di buona lega. I discepoli di Don Bosco avevano appreso dal loro impareggiabile Maestro non solamente a lavorare, ma ben anche a pregare,

                Al suo caro primogenito il Padre lontano volle mandare per il nuovo anno una strenna che dovette tornargli molto cara. Sì, cara per l'intervento finanziario paternamente generoso; cara per l'affetto che traluceva dallo scritto con cui gliene dava comunicazione cara infine per lo scritto stesso, che riempiva due discrete pagine e che rivelava in ogni riga la fatica dello scrivente. Afa in eo quod amatur, aut non laboratur aut et labor amatur[183].

 

                               Carissimo II., gnor Cagliero,

 

                Doti Lasagna Parte e ti darà nostre notizie. La tua cambiale fu ricevuta, e sarà scontata in f. 15 m. il 19 corrente Dicembre. Don Lasagna non parte colle mani vuote. I passaggi, tutti i debiti fatti in passato esistenti in f. circa 200 in. restano tutti pagati, saldati da Don Bosco. Evviva l'abbondanza . Spero sarai efficacemente aiutato dai novelli, confratelli. Fa in modo che pervengano minuti ragguagli alla Propaganda, al capitolo, propagazione della Fede, della santa infanzia: io Sullo sviluppo delle nostre Missioni. 20 Concessione nel Kily. 3° Se il passo dai Rio Negro ad Ancud è già attivato. [244]

                In questo momento avvi notabile aumento di preti, aspiranti, chierici e novizi.

                Risparmia niente per diffondere il Cristianesimo all'occidente della Patagonia, nelle terre del fuoco e di S. Diego.

                Umili saluti all'amato nostro Arcivescovo Aneyros ed un millione di omaggi. Tu poi prepara il coro di pagani che venga a cantare alla mia messa cinquantenaria!?

                Sta attento, stasera, dal luogo dell'antica montagnetta farò lui discorsetto, Deo dante, ai nostri Salesiani.

                Non dimenticare il Sig. C.te Colle e C.ssa Sofia di Lui moglie.

                Cordialissima benedizione a tutti i miei figli. Raccomanda a tutti: Cura grande della sanità, lavoro, temperanza e tutto riuscirà bene. Amen.

                Maria ci guidi al Cielo.

 

Aff.mo amico

 Sac. GIO. BOSCO.

 

                I° Domine, retribue nobis bona facientibus in vitam aeternam.

                2° Occorrendoti fa ricorso alla provisione del Buon Pastore di Valparaiso o di S. Santiago; mi promise di somministrare quanto abbisogna in danaro.

 

                Ultimo giorno dell'anno 1886.

 

                Il cenno alle cambiali richiede una spiegazione. Da lettere di Missionari vediamo che essi in momenti critici si facevano rilasciare da Banche Americane cambiali tratte sul nome di Don Bosco e che le Banche le rilasciavano loro senza mai richiedere il consenso da Torino. Anzi cambiali siffatte scadute e per dimenticanza non protestate venivano accettate dai banchieri con meraviglia di quelli che le possedevano, sentendosi dire che valevano tant'oro. Don Sala nei processi asserisce che si faceva così in tutta l'Europa; la qual cosa egli depone per dimostrare quanto fosse il credito goduto generalmente da Don Bosco.

                Una circolare di Don Rua, recante la data del 31 dicembre e diretta ai Direttori delle case d'America, contiene un punto che illustra l'atto paterno di Don Bosco. Il Vicario di Don Bosco scriveva: “Col primo gennaio, cioè dimani qui nell'Oratorio si principierà per tutte codeste case di America un conto nuovo, notando come saldati tutti i conti passati. Sebbene [245] le offerte ricevute dietro la circolare di Don Bosco del mese di ottobre non abbiano raggiunto la somma complessiva dei vostri debiti, Don Bosco tuttavia desidera si faccia conto nuovo e così si farà. Questo serva ad accrescere in ciascuno la riconoscenza al nostro amato Padre e di stimolo ad essere sempre più attenti all'economia, essendo questo il vivo desiderio tante volte dimostrato dal medesimo” .

                Da quanto abbiamo in succinto narrato qui sopra, i lettori han potuto formarsi il convincimento che la missione patagonica, sospiro del cuore apostolico di Don Bosco, doveva dirsi ormai organizzata in modo da far concepire le più liete e fondate speranze per il suo avvenire.

 

 

CAPO IX

Trasferimento del noviziato a Foglizzo.

 

NON soltanto il crescente numero dei chierici consigliava di separare gli ascritti dai professi, ma tale separazione era imposta anche dalle esigenze canoniche. Al Capitolo Generale nella seduta pomeridiana del 2 settembre Don Bosco aveva ricordato come, allorchè fra Pio IX e il Segretario dei Vescovi e Regolari si trattava dell'approvazione delle Regole, si fosse parlato della necessità di dividere i novizi dagli studenti e gli studenti dai soci. Avere egli in tale circostanza fatto semplicemente osservare che c'era ancora bisogno di case, di persone, di novizi, di tutto; al che esserglisi risposto dal Papa. - Andate e fate come potete. Quindi il Santo proseguì conchiudendo: - Ora a misura che si può, si venga a queste divisioni, che sono indicate come utili e necessarie.

                Egli avrebbe potuto dire di più, che cioè in vista di tale separazione si stava già allestendo un edifizio apposito. Infatti a Foglizzo, cospicuo comune rurale distante sei chilometri da S. Benigno, aveva acquistato dai conti Ceresa di Bonvillaret un palazzo con le sue adiacenze, che mediante adattamenti poteva contenere, certo senza troppe comodità, anzi con non pochi nè piccoli disagi, un centinaio di persone; ma non credette bene in quel momento parlarne, probabilmente perchè non aveva ancora deciso se mandarvi i chierici professi ovvero i novizi. Argomentiamo così da quanto aveva [247] detto in agosto a chi, nell'urgenza di conoscere la destinazione della nuova casa per aver agio di provvedere con risparmio i materiali occorrenti alle modificazioni da introdurvi, aveva risposto: - Lasciamo stare per ora; aspettiamo la festa della Presentazione di Maria Vergine al tempio. Allora il Signore e la Madonna ci ispireranno il da farsi. - Quella festa cade al 21 novembre. Forse era sua abitudine aspettare nelle feste della Madonna lumi speciali dal Cielo. Non indugiò tuttavia fino a quella data per risolvere; poichè Don Barberis accompagnò gli ascritti nella nuova sede il 14 ottobre. Per lo studentato filosofico la Provvidenza destinava, come vedremo, il collegio di Valsalice.

                Quando i novizi ne presero possesso, la casa non aveva ancora ricevuto la sua denominazione e il suo santo protettore. Solo ai 20 di ottobre il Capitolo Superiore, su proposta di Don Barberis, deliberò d'intitolarla a S. Michele Arcangelo. I verbali non aggiungono altro; ma quella deliberazione dovette essere ispirata dal desiderio di onorare così il Vicario di Don Bosco, dedicando al suo Santo la prima casa, e casa sì importante, aperta in Italia dopo la sua designazione all'alto ufficio.

                La cerimonia della solenne inaugurazione, fissata al 4 novembre, fu rallegrata dalla presenza di Don Bosco. Egli partì dall'Oratorio in compagnia di Don Rua e di Don Viglietti. Viaggiò in treno fino a Montanaro, la cui stazione dista circa cinque chilometri da Foglizzo. Là gli era venuta incontro in massa tutta la popolazione, preceduta dal clero locale e viciniore. Uno sciame di ragazzi gli si affollò intorno ed egli scherzava con loro, invitandoli tutti all'oratorio. Quando montò in carrozza e il cavallo si mise al trotto, quei fanciulli, con i loro zoccoli in mano o sotto il braccio, si diedero a correre dietro, e corsero finchè non vennero loro meno le forze.

                A mezzo cammino ecco i ragazzi di Foglizzo che lo attendevano agglomerati ai due margini dello stradone; anch'essi [248] a piedi nudi accompagnarono, di gran corsa la vettura fino all'ingresso del paese, senza curarsi dei sassi franti che formavano uno strato scaglioso sotto le loro tenere piante. Gli abitanti del paese stavano ammassati qua e là da dove cominciavano le case fino alla chiesa parrocchiale. Alle prime case la vettura si fermò. Tosto si fece innanzi il Sindaco circondato dalla Giunta municipale e lesse a capo scoperto un suo discorsetto, nel quale si compiaceva della fortuna di poter accogliere un sì grand'uomo nel suo tanto piccolo paese. Udita la lettura, Doti Bosco lo invitò a sedergli allato; si procedette così a lento passo, dietro la banda musicale, per la via grande fra gli applausi di tutta la popolazione. Il festoso tintinnio delle campane e lo scoppio fragoroso di mortaretti aggiungevano quel che di stravolgente che nelle grandi occasioni manda in delirio i buoni terrazzani. “È poi impossibile, riferiva l'Eporediese del 10, descrivere la gioia entusiastica, che la vista di Don Bosco destò negli ottanta giovanetti già raccolti in questa casa e nei degni lor superiori. Chi scrive queste linee vide egli stesso personaggi ragguardevoli, già attempati, piangere a tale spettacolo per viva commozione e farsi anch'essi un onore ed una premura di baciar le mani all'Uomo di Dio. Era infatti una tenerezza il veder Don Bosco sorretto e quasi portato di peso dai suoi Salesiani, mentre dal suo stabilimento recavasi alla casa parrocchiale, e rispondente ad ogni istante a chiunque gli volesse parlare, fosse un ragazzo od un adulto, un povero od un signore, almeno con uno sguardo o un sorriso. Il buon Prete non si regge più sulle sue gambe; epperò naturalmente si mostra un po' stanco: ma in tutto il resto è sempre giovane: faccia ridente, fronte serena, occhi vivaci e scintillanti, mente chiara, memoria tenace, conversazione amena; è amabilissimo. Appena i capelli cominciano a inargentarsi un poco”.

Il prevosto Don Ottino offerse il pranzo nella canonica, invitando oltre alle autorità municipali anche i parroci dei dintorni. Rispondendo ai brindisi dei commensali Don Bosco [249] dichiarò fra l'altro che, venendo a fondare una sua casa a Foglizzo, era animato dalle più sincere intenzioni di fare per i giovanetti del luogo il maggior belle possibile. Questo disse con speciale riferimento alle parole di un sacerdote che aveva ricordato d'averlo visto tanti anni avanti attorniato da poche dozzine di ragazzi e con nessun altro aiutante all'infuori di sua madre, la quale faceva da cuoca, da cameriera, da custode, insomma un po' di tutto, mentre allora quei ragazzi eran divenuti legione e i suoi coadiutori si moltiplicavano ogni anno più nel vecchio e nel nuovo continente.

                Nel pomeriggio Doli Bosco passò un paio d'ore fra i suoi ascritti. Prima benedisse la loro cappella: cappella decente, ma povera; basti dire che era l'antica rimessa. Poi vestì dell'abito chiericale un centinaio di giovani, in mezzo ai quali spiccava nell'abituale suo umile atteggiamento il Servo di Dio Andrea Beltrami. Al termine della funzione si assistette ad una curiosa scena. Tutti i novelli chierici, uscendo dal sacro luogo, sfilavano attraverso al cortile, recando ognuno la sua sedia. Fu una sorpresa anche per Don Bosco, il quale domandò al direttore Don Bianchi la spiegazione del fatto. Questi gli rispose non esservi che una sola sedia per ciascuno in tutta la casa e doversela quindi i chierici portare seco in cappella, in istudio, in refettorio, in camera. Il Santo disse sorridendo: - Oh così mi piace! Questa casa incomincia bene.

                Il Servo di Dio, come abbiamo riferito altrove, aveva detto un giorno: - Don Barberis ha compreso bene Don Bosco. Per questo motivo Don Barberis fu da lui preposto ai novizi nell'Oratorio e a S. Benigno, sicchè divenne il Maestro ideale dei novizi salesiani. Affinchè dunque nel nuovo noviziato l'educazione religiosa fosse continuata a dovere, Don Bosco volle che Don Barberis ne tenesse l'alta direzione. La casa venne affidata a Don Bianchi, che per parecchi anni era stato a S. Benigno coadiutore fedele del Maestro e meritava tutta la fiducia; ma per conservarvi integro lo spirito voluto dal Fondatore, [250]

 

Don Barberis vi si recava il più sovente possibile, non mancandovi mai soprattutto nei mensili esercizi della buona morte.

                Il Santo ripigliò la via del ritorno nel pomeriggio del 5 fra le dimostrazioni più cordiali dei Foglizzesi e dei Montanaresi, ai quali ultimi, convenuti sulla piazza, dovette dare la sua benedizione. Della vestizione fatta rese conto, appena rientrato nell’Oratorio, alla signora Teodolinda Pilati di Bologna, come le aveva promesso prima di partire[184].

 

                                     Ill.ma Signora,

 

Sono di ritorno dalla funzione di Foglizzo. Ho benedetto l'abito a cento dieci leviti, che si aggiunsero alla schiera di altri circa 500 che tutti si preparano a fine di recarsi a lavorare fra i selvaggi. Li raccomando tutti alla carità sua e a quella della Sig. sua sorella affinchè crescano nella scienza e santità e così possano guadagnare molte anime al cielo.

                Non solo fo di tutto buon grado la novena che piamente desidera, ma è mia ferma intenzione di fare ogni mattino un memento speciale nella Santa Messa a sua intenzione e per tutte quelle cose che formano oggetto della sua carità e che sono tutte dirette ai vari bisogni di Santa Chiesa.

                Dio benedica Lei, i suoi parenti ed amici, e compatisca questo povero vecchio e semicieco che le sarà sempre in Gesù e Maria

 

[Manca la data].

Ob.mo Servitore

Sac. GIOV. BOSCO. [251]

 

                Il Cielo sembrò voler mostrare cori i fatti che la casa di Foglizzo era oggetto di una speciale provvidenza. Il 6 dicembre Don Bosco medesimo a Don Marenco e a Don Viglietti, che lo accompagnavano nella solita passeggiata pomeridiana, raccontò un tratto singolare della divina Bontà verso quel noviziato. Il Direttore, avendo assoluta necessità di una certa somma, venne a picchiare alla porta di Don Durando.

                Apriamo qui una parentesi. Perchè di Don Durando e non di Don Belmonte? Fallito l'esperimento della doppia direzione non tanto per difetto del sistema, quanto perchè Don Francesia si mostrò impari al bisogno[185], urgeva riordinare le cose dell'Oratorio sii altra base[186]. Si tornò dunque alla direzione unica, la quale venne affidata all'autorità di Don Belmonte. Ma questo importava tale peso di responsabilità, che il nuovo Prefetto Generale avrebbe avuto bisogno della bilocazione per attendere contemporaneamente alle due mansioni; perciò Don Bosco volle che Don Durando continuasse di fatto a reggere la prefettura generale; il che permise a Don Belmonte di dedicare per due anni all'Oratorio la maggior parte della sua attività[187].

                Don Bianchi pertanto, presentatosi a Doli Durando, gli disse che gli mancavano 1960 lire per far fronte a liti impegno di somma urgenza. - Che vuole? gli fu risposto. Vengo adesso da Doli Bosco, il quale che ha dato tutto il danaro che era in casa. Non c'è altro. - Allora Doli Bianchi, messo tra l'incudine e il martello, infilò la porta di Doli Bosco, che, udito il caso, rispose: - Mali! non so proprio come fare a contentarti. Ho dato tutto or ora a Doli Durando. Però dev'essere giunta [252] qualche cosa dopochè. egli è stato qui. Tuttavia non vi sarà, credo, tanto che basti. - Accostatosi al tavolino, tirò a sè il cassetto e ne trasse del danaro. Lo contarono; erano esattamente lire 1960!

                Di ben altro genere, Ma ancor più sorprendente è un secondo fatto, accaduto un Mese dopo. Nella vestizione del 4 novembre aveva ricevuto l'abito da Don Bosco anche il giovane marsigliese Lodovico Olive, che noi già conosciamo[188]. Orbene in dicembre egli ammalò gravemente di tifo. Poichè il male destava serie inquietudini, ne f u avvertito Don Albera, che venne subito da Marsiglia e per agevolarne la cura lo fece trasportare all'Oratorio. La vigilia di Natale Don Bosco andò verso sera a visitare l'infermo e alla presenza del salesiano Don Roussin gli disse. -  Ti assicuro che la Madonna ti guarirà. - Eppure i medici davano beli poche speranze di vita.

                Il 28 arrivò il padre, che edificò quanti lo avvicinarono, con la sua rassegnazione al volere di Dio e piena confidenza in Lui Della Bontà divina egli aveva avuto di recente una prova in famiglia. Una sua figliuola sembrava non dover più vivere. Il 9 dicembre la giovinetta, sentendosi oltremodo sfinita, domandò che le si ponesse sul capo una berretta di Don Bosco, conservata in casa. Presa la berretta e piegatala, gliela posarono sulla testa. Pochi minuti dopo disse alla mamma che stava meglio e che le togliesse pure la berretta. Infatti s'addormentò, riposando alcune ore; del qual benefizio non aveva più potuto godere dacchè teneva il letto. Il giorno 18 suo padre telegrafava a Don Bosco per ringraziarlo delle preghiere fatte, aggiungendo: “Clara da alcuni giorni va molto meglio. Domandiamo preghiere per buona convalescenza”. Quand'egli partì per Torino, la convalescenza faceva il suo corso normale. Quivi poi, pranzando con Don [253] Bosco, gli fece alla fine un complimento, al quale il Santo rispose: - Faremo un brindisi in Marsiglia, quando in capo alla tavola ci sarà Lodovico bell'e guarito.

                Non è a dire quanto conforto recassero queste parole al cuore del padre. Tuttavia i dottori Vignolo, Gallenga, Fissore, Albertotti e un altro dichiararono suo figlio spedito. Ma quello che non potevano i medici, lo poteva bene Colei che è salus infirmorum. Nella notte dal 1, al 4 gennaio Don Bosco fece un sogno, descritto da lui medesimo nella forma seguente.

 

                Non so se fossi sveglio o nel sonno, nemmeno potei accorgermi in quale camera od abitazione mi trovassi, quando una luce ordinaria cominciò a rischiarare quel luogo.

                Dopo una specie di rumore prolungato apparve una persona intorniata da molte e da molte altre che si andavano avvicinando. Le persone, i loro ornamenti, erano così luminosi, che ogni altra luce restò come tenebre, a segno che non si poteva più tenere il guardo fisso sopra nessuno degli astanti.

                Allora la persona che pareva alle altre di guida si avanzò alquanto e incominciò in latino a parlare così: Ego sum humilis ancilla quam Dominus misit ad sanandum Ludovicum tuum infirmum. Ad requiem ille iam erat vocatus; nunc vero ut gloria Dei manifestetur in eo, ipse animae suae et suorum curam adhuc habebit. Ego sum ancilla cui fecit magna qui potens est et sanctum nomen eius. Hoc diligenter perpende et quod futurum est intelliges. Amen[189].

                Dette queste parole l'abitazione ritornò nella prima oscurità ed io rimasi tutta la notte tra veglia e sonno, ma senza forza e come privo di cognizione. Al mattino mi sono dato premura di avere novella del giovane Ludovico Olive e mi venne assicurato che dopo una buona notte egli era entrato in reale miglioramento. Amen.

 

                Torino, 4 - 1887.

 

                La notte appresso rivide la medesima apparizione, che in lingua latina gli diede per il bene della Congregazione e dei giovani, parecchi avvertimenti da lui così riferiti. [254] Continuatio verborum illius, quae se dixerat anciliam Domini: - Ego in altissimis habito ut ditem filios diligentes me et thesauros eorum repleam. Thesauri adolescentiae sunt castimoniae sermonum et actionum. Ideo vos ministri Dei clamate nec unquam cessate clamare: Fugite partes adversas, sive malas conversationes. Corrumpunt bonos mores colloquia prava. Stolta et lubrica dicentes difficillime corriguntur. Si vultis mihi rem pergratam facere custodite bonos sermones inter vos et praebete ad invicem exemplum bonorum operum. Multi ex vobis p mittunt flores et porrigunt spinas mihi et Filio meo.

                Cur saepissime confitemini peccata vostra et cor vestrum semper longe est a me? Dicite et operamini iustitiam et non iniquitatem. Ego sum mater quae diligo filios meos et eorum iniquitates detestor. Iterum veniam ad vos ut nonnullos ad veram requiem mecum deducam. Curam eorum geram uti gallina custodit pollos suos.

                Vos autem, opifices, escote operarii bonorum operum et non iniqui­tatis. Colloquia prava sunt pestis quae serpit inter vos. Vos qui in sortem Domini votati estis, clamate, ne cessetis clamare, donec veniat qui vocabit vos ad reddendam rationem villicationis vestrae. Deli Delictae meae esse cum filiis hominum, sed osane tempos breve est: agite ergo viriliter dum tempos habetis etc.[190].

                Die 5 Ianuarii 1887.

 

                Quella mattina del 5, fatto chiamare Don Lemoyne, gli manifestò ogni cosa, dando luogo a un dialogo, di cui il suo interlocutore ci lasciò memoria. Com'ebbe esposto quanto aveva veduto e udito, proseguì: - E ora ti ho chiamato, [255] perchè tu mi dia consiglio. Debbo far sapere alla famiglia Olive quello che ho sognato?

- Lo sa meglio di me, rispose Don Lemoyne, che la Madonna è sempre stata tanto buona con lei.

 - Oh sì, è vero.

- E che tanti di questi suoi sogni si sono avverati a puntino.

- È vero.

- E quindi, se mi permette, e per darne gloria a Dio, li chiamo visioni, perchè tali sono.

 - Hai ragione.

- Dunque noi abbiamo ogni ragione di credere che anche questo sogno sia cosa soprannaturale che si avvererà e che Olive, benchè disperato dai medici, guarirà.

 - E quale sarebbe dunque il tuo consiglio?

- Per usare, se lei crede, un po' di prudenza umana, io direi di cominciare a far correre la voce che Don Bosco ha sognato di Olive e che nel sogno gli parve di aver concepito liete speranze.

 - Ebbene, si faccia così.

- Ma lei, Don Bosco, faccia il piacere, scriva questo sogno. So che stenta molto a scrivere, ma si tratta della Madonna. Se il fatto si avvera, ecco un documento della materna bontà di Maria.

 - Ebbene scriverò. - E scrisse così come qui sopra abbiamo riferito.

                Crediamo di non dover tacere un'altra circostanza. In una di quelle notti il chierico Olive, quando stava malissimo, aveva sognato che Don Bosco era entrato nella sua camera a visitarlo, dicendogli: - Sta' tranquillo, fra dieci giorni verrai tu a trovarmi in mia camera. - La vivezza del sogno lasciò nell'infermo la persuasione che Don Bosco in persona fosse stato da lui e rifiutava di prestar fede a chi gli asseriva il contrario. Il 10 gennaio le cose andavano tanto bene, che il padre ripartì per la Francia. Il 12 Lodovico si alzò; il 24 [256] comparve nel refettorio del Capitolo durante il pranzo, accolto dai Superiori con grandi manifestazioni di gioia. Ristabilitosi completamente in salute, non fece più ritorno a Foglizzo, ma andò per volere di Don Bosco a continuare il suo noviziato in patria[191]. La sua salute si mantenne così buona che gli permise di prendere parte nel 1906 alla prima spedizione di Missionari salesiani per la Cina, dove fino al 1921, anno della sua santa morte, esercitò un fecondo apostolato.

 

 

CAPO X

Ultime cose del 1886.

 

                A autunno avanzato, quando la vendemmia è da tempo finita, piace andare in cerca di racimoli sfuggiti all'occhio dei vendemmiatori e trovatine si piluccano con particolare diletto. Così faremo ora noi, racimolando dagli ultimi quattro mesi del 1886 detti e fatti di Don Bosco, che non poterono trovare luogo nelle pagine precedenti, ma che pure hanno qualche valore.

                A ottobre furono riprese le uscite pomeridiane in vettura. Giunto all'aperta campagna, discendeva e ora sorretto da Don Viglietti, ora senza appoggi avanzava passo passo, discorrendo intanto di molte cose. Era questo per lui un vero riposo. Una sera ritornando s'imbattè nella carrozza del Cardinale, che riconosciutolo fece fermare, balzò a terra e si avvicinò a Don Bosco, chiedendogli premurosamente sue nuove e dicendogli affettuose parole. Allontanato ch'egli si fu, Don Bosco, avviandosi a casa, magnificava la bontà del grande Prelato.

                Un'altra volta nel ritorno visitò le Suore del Buon Pastore, presso le quali fin dai primi anni della sua dimora a Torino aveva esercitato a lungo il sacro ministero. Si compiacque di conversare familiarmente un'oretta con le religiose, riandando quei tempi lontani e le vicende per la fondazione dell'Oratorio. Infine benedisse Suore e ricoverate, lasciando di quell'ultima sua visita caro e Imperituro ricordo. [258]

                Ripigliò pure le sue settimanali conferenze agli alunni delle classi superiori, tenendoseli attorno talvolta anche per un'ora intera. Prima diceva loro qualche buona parola e poi chi voleva, si confessava. Certe volte gli costava molto udire quelle confessioni, data la prostrazione delle sue forze. Un giorno Don Viglietti per suggerimento del medico lo pregò di desistere da tale fatica. - Già, già! gli rispose ridendo. Tu ne hai fatto qualcuno di quei grossi e non vuoi venirti a confessare, non è così? - Poi, prendendolo per mano: - Eh, caro Viglietti, continuò, se non confesso almeno i giovani, che cosa farò io ancora per essi? Ho promesso a Dio che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani.

                Con siffatte adunanze egli mirava soprattutto a illuminarli circa la scelta dello stato. Per essi e per tutti i giovani che si trovavano nelle medesime condizioni aveva fatto tradurre dal francese e stampare l'opuscoletto intitolato: Sentimenti di S. Tommaso d'Aquino e di S. Alfonso Maria de' Liguori intorno all'entrata in religione[192]. Migliaia di copie ne furono spedite ai parroci delle diocesi pedemontane ed a Cooperatori salesiani, affinchè, quanti ignoravano l'importanza dello stato religioso, v'imparassero a non porre ostacoli alle vocazioni[193].

                Per consultare Don Bosco sulla sua vocazione venne a Torino una giovane francese che doveva diventare una colonna dell'Istituto fondato in Africa dal cardinale Lavigerie. Era essa in dubbio se farsi religiosa nelle Missioni del Cardinale o claustrale in Francia o figlia di Maria Ausiliatrice. Sapendola ricchissima, il Santo usò grande cautela di linguaggio; non bisognava dare appiglio ad accuse ch'egli mirasse a carpire [259] eredità e doti. Due cose in ogni modo sono certe: che la giovane si sarebbe fatta suora di Maria Ausiliatrice, se Don Bosco ve l'avesse consigliata, e che Don Bosco ve l'avrebbe consigliata, se tale gli fosse apparso il volere di Dio. Le parlò dunque così: - Se le piace conservare un po' del genere di vita condotto finora presso i suoi parenti, entri in una comunità di Francia, dove di buone ce ne son tante. Invece se cerca solamente Gesù e la sua croce, se vuole veramente soffrire con Gesù, vada nelle Missioni. - In queste ultime parole essa intese la divina chiamata. Nel discorso della vestizione il Cardinale fece menzione del fatto, che ricordò poi nuovamente in una conferenza sulla tratta degli schiavi, da lui tenuta l'anno seguente nella chiesa di S. Giuseppe a Marsiglia; poichè in tale conferenza parlò pure della necessità di avere suore e diede notizia della sua fondazione. La prima volta accennò genericamente a un “grande uomo di Dio, consultato a Torino”[194]; ma la seconda volta, come i nostri Confratelli udirono, pronunziò il nome di Don Bosco, aggiungendo nuove particolarità.

                La signorina erasi prima rivolta al Cardinale per consiglio. In essa egli aveva riscontrato la stoffa di una suora, quale si augurava di trovare per il buon avviamento della sua recente fondazione africana. La madre però si opponeva risolutamente alla vocazione della figlia e l'opposizione era sostenuta da motivi non disprezzabili. Il Cardinale, non sapendo che cosa decidere, prima di dire l'ultima parola pensò di non fidarsi del suo giudizio, ma decise di rimettersi ad un altro che giudicasse di quella vocazione. “Mi rimisi” diss'egli, “ad uno che non è in Francia, ma fuori, ad un sacerdote la cui esistenza è tutta consacrata al bene delle anime, che arde tutto di divozione per Maria Santissima, dalla quale è continuamente protetto in modo visibile, fondatore di una Congregazione religiosa che ormai si estende in ogni parte della terra, [260] dotto, umile, la cui lunga esperienza dei cuori dà ogni fiducia nella rettitudine de' suoi consigli, i cui miracoli non si contano più perchè continui”. Consigliò pertanto madre e figlia a recarsi da lui perchè decidesse. Elleno obbedienti vennero da Don Bosco, che le ascoltò separatamente e poi disse loro:

 - Non si potrebbero accomodare le cose con una transazione?

- Quale? risposero.

 - Che anche la madre si faccia suora insieme con la figlia! Alla madre parve quella una voce del cielo. Ritornata al Cardinale, gli offerse tutta se stessa, perchè la consacrasse al Signore. Allora si trovava in Africa con la figliuola[195].

                Venne da Don Bosco per consiglio anche un parroco di Torino, il teologo Domenico Muriana, curato di S. Teresa e già allievo dell'Oratorio. Egli si trovava in grossi guai per i debiti lasciati dal suo antecessore. Subito dopo la nomina a quell'ufficio era stato dal Santo perchè gli dicesse come doveva regolarsi per ben esercitarlo, e n'aveva avuto i tre consigli ch'ei soleva dare in casi simili: aver cura dei fanciulli, degl'infermi e dei vecchi. Allora il Santo gli domandò se li avesse praticati. Don Muriana gli rispose di sì e che n'era contentissimo, vedendosi circondato dall'affetto della popolazione. - Ebbene, riguardo ai debiti, ripigliò Don Bosco, c'è un rimedio facilissimo.

 - Quale sarà mai questo rimedio?

- Giuoca al lotto.

 - Ma vincerò?

- Vincerai sicuramente.

 - Se è così, compia l'opera e mi dia i numeri.

- Eccoli. Sono tre; ma ascolta e intendi. Fede, Speranza, Carità. Non fare però come ha fatto qualcuno che, strappatemi le tre parole, andò da un cabalista a farsi dare i numeri relativi. [261]

 - Sono poi usciti quei numeri?

- Neppur uno! Tu giuoca bene queste tre virtù e pagherai tutti i tuoi debiti.

                Il giovane parroco nel 1891, raccontando il colloquio al pranzo dell'Oratorio per la festa dell'Immacolata, disse che in tempo relativamente breve aveva pagato tutti i suoi debiti. Nessuno più di Don Bosco avrebbe potuto dare simile consiglio, avendone fatta in tutta la sua vita una sì lunga e felice esperienza.

                La sua fede infatti non otteneva miracoli? Alle tante grazie straordinarie narrate fin qui aggiungiamo queste due, attribuite alle sue preghiere. La comunità delle Orsoline addette al loro collegio di Piacenza, trovandosi in una gravissima angustia, avevano invocato le preghiere e la benedizione del Santo. Egli rispose loro: “Il Signore accorderà la grazia, ma nella maniera che sarà più proficua alle anime”. Iddio lo esaudì al disopra delle speranze[196]. L'altra grazia fu concessa al francese Girolamo Suttil, che da più anni dimorava nell'Oratorio, occupandosi di cose librarie. Da vari mesi soffriva tanto ad una gamba, che dovette essere trasferito all'ospedale; un'infezione causata dallo scambio di una medicina per un'altra, sembrava esigere l'amputazione. Un mattino con sorpresa sua e dei medici la gamba fu trovata in ottimo stato. Quando l'infermo almanaccava per indovinare il perchè di così subito mutamento, ecco giungere a lui il chierico Festa per annunziargli da parte di Don Bosco la salute. Il miglioramento erasi verificato fra le sette e mezzo e le otto, nel tempo cioè che il Santo celebrava la Messa. La guarigione venne completa[197].

                A proposito di miracoli è da ricordare un episodio occorso a Don Trione. Il zelantissimo salesiano, allora catechista degli studenti nell'Oratorio, di ritorno da una breve missione, riferì a Don Bosco i frutti mirabili delle sue prediche. Il [262] Santo gli disse sorridendo: - Ti voglio ottenere da Dio il dono dei miracoli. - Ed egli intrepido come sempre nella sua semplicità: - Niente di meglio! Così potrò più facilmente convertire i peccatori. - Allora Don Bosco si fece serio in volto e riprese con gravità: - Se tu avessi questo dono, ben presto, piangendo, pregheresti Dio che te lo togliesse. - il Servo di Dio dovette pensare in quel momento alla tremenda responsabilità che ha dinanzi al Signore chi riceve da lui doni sì straordinari.

                Tra i miracoli di Don Bosco bisognerà mettere anche l'eroica fortezza, con cui sostenne lunghe e fiere contraddizioni e la sua pazienza invitta nel sopportare diuturne e penose infermità.

                Quante e quali vicende per ottenere la comunicazione dei privilegi! A cose fatte, commise a Don Berto di riunire e ordinare tutti i privilegi ottenuti, lavoro lungo e difficile, che i nostri archivi custodiscono in un incartamento assai voluminoso. Allorchè la compilazione era quasi al termine, il compilatore ne diede notizia a Don Bosco, dicendogli che s'aveva motivo di andar lieti della comunicazione, che toglieva di mezzo per l'avvenire molte difficoltà. Il Santo con profondo sentimento gli rispose: - Ma per giungere a questo punto, abbiamo dovuto passare il mar Rosso.

                Del suo stato di salute in quei due ultimi anni Don Cerruti depose nel, processo informativo[198]: “Quando e il mal di capo e il petto affranto e gli occhi semispenti non gli permettevano più affatto di occuparsi, era doloroso e confortante spettacolo vederlo passare le lunghe ore seduto nel suo povero sofà, in luogo talvolta semioscuro, perchè i suoi occhi non pativano il lume, pure sempre tranquillo e sorridente con la sua corona in mano, le labbra che articolavano giaculatorie e le mani che si alzavano di tratto in tratto a manifestare nel loro muto linguaggio quella unione e intiera conformità alla [263] volontà di Dio, che per troppa stanchezza non poteva più esternare con parole. Quanto a me sono intimamente persuaso che la sua vita negli ultimi anni soprattutto fu una preghiera continua a Dio. Così opinano anche gli altri. Tanto è vero che entrati in sua camera per vederlo e parlargli, lo trovavamo sempre come uno che attende alla più profonda meditazione, pur senza darne segno esteriore, chè il suo volto era sempre lieto, sereno e tranquillo, com'erano di pace, di carità e di fede le parole che gli uscivano di bocca”.

                Così Don Cerruti. Una sera di quell'autunno Don Berto, andato da Don Bosco verso le cinque, lo trovò che passeggiava nella sua galleria strascinandosi con grande stento. Il Santo vedendolo gli disse ripetutamente: Iam delibor, iam delibor[199]. Poi, fissandolo in volto, aggiunse mesto e commosso: Tempus resolittionis meae instal. Cursum consummavi[200]. Allora il segretario ripigliando: - Ma S. Paolo dice pure: Bonum certamen certavi, fidem servavi. In reliquo reposita est mihi corona iustiliae, quam reddet mihi Dominus in ila die iustus iudex[201]. Il Servo di Dio cambiò discorso.

                Abbiamo menzionato Don Cerruti. A lui come Consigliere scolastico della Congregazione Don. Bosco indicò un compito importante e urgente, dicendo in Capitolo il 19 novembre: - Bisogna l'anno venturo pensare al modo di avere maestri patentati e fare iscrivere una decina dei nostri chierici a qualche Università. È vero che si è stabilito di mandare i soli preti alle Università, per il guasto che queste scuole producono nelle anime inesperte, e per le defezioni che cagionano; ma se fra questi chierici vi fosse qualche sacerdote [264] serio, si potrebbe sperare che servirebbe di antidoto e di guardia. Si studierà il modo, ma bisogna assolutamente darci d'attorno e provvedere insegnanti legali. Oggi bisogna combattere il nemico più con lo scudo che con le armi. A questa incalzante spinta di Don Bosco la parola incitatrice di Don Cerruti fece sì che numerosi Confratelli, anche quando era già trascorso per essi il tempo più confacente, si dedicassero a laboriosi studi per mettersi in grado di conseguire i titoli legali indispensabili a poter impartire l'insegnamento negli istituti privati.

                Torna a sua vera e grande lode l'aver sistemato gli studi e le scuole della nostra Società. Non già che prima non si fosse fatto nulla questo riguardo. “S'era fatto molto, moltissimo, scrive Don Luchelli, buon testimonio di quel periodo anteriore[202], e il nome di Don Celestino Durando resterà scritto a caratteri d'oro nei nostri annali. Ma era quello ancora il periodo a dir così eroico della nostra storia. La Pia nostra Società contava pochi anni di vita. Vasto, sconfinato era il campo che si apriva all'azione: esiguo, ristrettissimo, impari affatto al bisogno, il numero degli operai. Il tempo dunque a mala pena bastava al lavoro della giornata, obbligato ciascuno a moltiplicare se stesso, compiendo da solo gli uffici di parecchi. E intanto Dio arrideva benedicendo agli animosi che pieni di buona volontà, infiammati dallo zelo che attingevano al contatto di Don Bosco, affrontavano le fatiche dell'apostolato coi santi ardimenti con cui il pastorello Davide, armato di fionda, aveva affrontato il gigante Golia; nè mai forse vi fu lavoro più fecondo di frutti”. Non si poteva però durarla sempre così; si facevano anzi voti per una  regolare formazione dei maestri e degli educatori salesiani. Alla nobile impresa Don Cerruti dedicò tutta la sua energia[203]. [265]

                Don Cerruti fu uno di quegli uomini provvidenziali, che Don Bosco, cresciutili fin da piccoli nell'Oratorio, si trovò ai fianchi nell'ora opportuna, allorchè in sul declinare egli abbisognava per la sua opera di potenti ausiliari, che la reggessero con mano ferma, la organizzassero saldamente e provvedessero alla sua espansione. Dotato di spirito metodico, di forte volontà e di senno pratico, portò nel disimpegno del trentennale suo ufficio somma prudenza, calma e costanza. Il quale ufficio si estendeva pure all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e alla direzione della stampa salesiana. In ogni suo campo egli fu un suscitatore di energie, possedendo in alto grado l'arte d'inanimire all'azione. In tutto poi il suo operare nulla ebbe più a cuore che tener vivo tra i Confratelli lo spirito del Fondatore. Festeggiandosi il venticinquesimo anniversario della sua elezione a Direttore generale degli studi, scrisse in un pubblico ringraziamento ai Soci: “Ogni giorno che passa mi persuade ognor più della necessità, che per noi è dovere, di stare attaccatissimi agli insegnamenti di Don Bosco anche in fatto di istruzione e di educazione, e da questi insegnamenti non dipartirci mai, neppur d'un punto. Lungi da noi i novatori!”.

                Una bella giornata si trascorse intorno a Don Bosco il 30 novembre nel collegio di Valsalice. Vi si festeggiava la distribuzione dei premi ai nobili convittori. Il cardinale Alimonda e il teologo Margotti passarono alcune ore del mattino e della sera con il Santo. Al saggio Sua Eminenza fece sul valore e sull'efficacia della disciplina una delle sue affascinanti improvvisazioni. Verso le diciotto Don Bosco ritornò all'Oratorio[204]. La sera di quel giorno il Cardinale scrisse a monsignor Cagliero: “Oggi ho passato quasi tutta la giornata al Collegio di Valsalice: era la distribuzione dei premi, [266] e riuscì bella, interessante come tutte le feste salesiane. Ma nulla ci interessa quanto il carissimo Don Bosco il quale era con noi, sempre gioviale, sempre sereno e contento, non peggiorato di salute, benchè soggetto ai soliti incomodi. Il Signore vorrà riservarlo a molte belle imprese ancora, tra cui non è a trascurare la partenza di un bel drappello di missionari stabilita per posdomani. Non voglio privarmi della consolazione di assistervi e di pregare sull'eletta schiera tutte le benedizioni del Cielo”[205]. Ben a ragione Don Cerruti aveva scritto a Monsignore[206]: “Il Cardinale Alimonda è sempre il nostro affettuosissimo protettore e certo uno dei più grandi conforti e sostegni all'amatissimo Don Bosco”.

                Sul principio dell'anno Don Bosco aveva fatto litografare i ricordi confidenziali scritti da lui e mandati ai Direttori delle case nel 1871, ponendovi con la firma la data seguente: “Torino, 1886. Festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS. 450 anniversario della fondazione dell'Oratorio”. Ne inviò copia a tutti i Direttori, premettendovi per intestazione: “Strenna natalizia”[207].

                Due salesiani, da lui mandati a predicare una missione nella parrocchia di S. Antonio a Bra, dov'era Vicario il suo ex - allievo Don Luigi Pautasso, tornarono narrando mirabilia di quei buoni cristiani. Il Santo, ciò udito, scrisse al Vicario questa letterina.

 

                                Carissimo Sig. Vicario,

 

                Con somma consolazione ricevo la notizia del buon successo ottenuto dagli Esercizi che i nostri Sacerdoti hanno dettato in questa tua Parrocchia. Dio sia sempre benedetto in tutte le cose, e Maria A. ci aiuti e sempre ci protegga per conservare il frutto. Di tutto buon [267] cuore benedico te, tutti i tuoi parocchiani, e la misericordia divina ci assista sempre a vivere e morire tutti nella sua santa grazia.

                Pregate anche per me che sarò sempre in G. C.

                Torino, 19 dicembre 1886.

Aff.mo amico

Sac. Giov. Bosco.

 

                Il 20 dicembre cessò di vivere a Torino il venerando barone Manuel in età molto avanzata, Gentiluomo assai benefico avrebbe voluto da vecchio ritirarsi dalla Società di S. Vincenzo de' Paoli e da altre Opere pie; prima però di far questo, pensò di prendere consiglio da Don Bosco. - Continui, gli rispose il Santo. Lavoriamo fino all'ultimo della vita a fare tutto il bene possibile. - “E così ho deciso di fare” , lasciò egli scritto nelle sue memorie.

                Quel giorno vi fu adunanza capitolare, nella quale Don Bosco prese più volte la parola, dicendo cose interessanti e utili, che trarremo alla luce dai verbali della seduta. Assisteva anche Don Albera, perchè si doveva trattare di vari cambiamenti del personale nelle case di Francia; fra gli altri, Don Cartier, direttore a S. Margherita, sarebbe dovuto passare come vicedirettore in quella di Nizza, per poi occuparvi il posto del direttore Don Ronchail, destinato per l'anno seguente a Parigi. Ma si affacciò una difficoltà. - Nizza Marittima, osservò taluno, è centro di Cooperatori non solo della Francia, ma dell'Europa intiera e dell'America, perchè in questa città convengono forestieri da ogni parte del mondo, e qui appunto si fanno ascrivere, qui si stringono con essi relazioni, qui si procura che facciano poi proseliti nelle loro patrie. Ora non sembra che il naturale di Don Cartier e la sua poca attitudine a questuare sia quello che potrà maggiormente giovare alla nostra Pia Società.

                Don Bosco rispose: - Perchè il naturale concentrato di Don Cartier non sia di ostacolo alle relazioni con i Cooperatori, Don Ronchail lo accompagni e lo presenti a tutte le case dei benefattori. Certo è che il saper questuare non è [268] un dono che abbiano tutti. Ci vuole franchezza, umiltà prontezza nell'assoggettarsi a sacrifizi, saper parlare accaparrandosi gli animi ed essere misurati nelle parole per non offendere le suscettibilità. Per far conoscere il nuovo direttore servirsi del Bollettino che ne dia l'annunzio[208]. Pubblicare una lettera circolare, in cui si dica: “Le convenienze hanno chiamato Don Ronchail a direttore della casa di Parigi. I Superiori han giudicato che io, Don Cartier, venissi a fare le sue veci. Mentre ho l'onore di annunciarle la mia scelta, mi raccomando alla loro carità e ai loro consigli ecc. ecc.”. Lo stesso Ronchail, giunto a Parigi, scriva una circolare somigliante ai Cooperatori di quella metropoli. - Oggi, quanti conoscono Don Cartier, sanno che egli è diventato a Nizza un questuante insuperabile; per questo negli ultimi anni di crisi economica generale è riuscito a innalzare in breve tempo una chiesa a Maria Ausiliatrice, spendendovi parecchi milioni. A proposito di Parigi, Don Rua disse che Don Bellamy, girando tutto un giorno per la città, non aveva raccolto che sette franchi. Don Bosco replicò: - In questi casi di bisogno il Direttore faccia litografare un centinaio di lettere che dicano: “La casa di Ménilmontant si trova in grave bisogno; manca della tale e tal altra cosa. Nel tal giorno passerò per ricevere l'obolo della sua carità ecc. ecc.”. In questo modo si raccoglierà qualche somma; altrimenti, se si va a fare una visita inaspettati, all'improvviso, non conosciuti senza dimostrare il proprio titolo e autorizzazione, non si fa nulla. Potrebbe anche farsi un biglietto di visita, facendovi stampare sotto il proprio nome questa riga: Raccomando al Signor (il nome in bianco per poi scriverlo a penna) i poveri giovani della casa tale di cui sono Direttore, pregandolo che voglia tenermi a memoria nella sua carità. Questi biglietti di visita [269] potrebbero stamparsi per tutti i Direttori di quelle case che vivono di beneficenza. Vi si potrebbe anche mettere il motto: Chi dà ai poveri sarà largamente ricompensato dal Signore.

                Don Albera chiese di poter comprare un terreno che rinquadrava il cortile della casa di S. Leone; si sarebbero dovuti pagare ventimila franchi in rogito. Il Capitolo approvò, e Don Bosco disse: - Anche in questo caso si potrebbe scrivere una circolare dopo fatto il compromesso col proprietario e formularla così: “Abbiamo in casa tanti giovani: ci sarebbe necessità di nuove costruzioni e allora ritireremo tanti altri fanciulli di più (50, 80 100 ecc.). Ci vorrebbe la tale somma. La Signoria Vostra è pregata di firmarsi per quella somma di danaro che crederà, acciocchè noi possiamo sapere su quali capitali ci sia dato di contare” . E si va oggi da un benefattore, domani da un altro con un quaderno nel quale raccogliere le firme.

                Il Capitolo rise nel vedere con quanta facilità Don Bosco escogitava mezzi pratici per avere elemosine. Ed egli riprese a dire: - Una volta poteva io lavorare andando attorno in cerca di soccorsi; ma ora mi limito a lavorare di continuo con la mente. Formato un progetto, esamino il pro e il contro, lo determino, lo stabilisco... Ora si tratta della compera di quel terreno. Ebbene Don Albera mi mandi la nota dei principali signori della città di Marsiglia; io scriverò loro. Qualche grazia di Maria Ausiliatrice farà il resto.

                Altra volta si era già trattata la compera di una tipografia, che il signor Mingardon marsigliese voleva cedere a condizioni favorevolissime; ma non si era concluso nulla. Don Albera rinnovò la proposta. Don Bosco disse: - Ci vorrà un'amministrazione, perchè si possa da noi ricavare vantaggio con simile contratto; ma ciò che ha anche solamente ombra di commercio fu sempre fatale agli Ordini religiosi.

                A Natale fu inaugurato il nuovo refettorio del Capitolo Superiore al secondo piano, attiguo alla biblioteca e vicinissimo all'appartamento di Don Bosco, che così vi si sarebbe [270] potuto recare senza difficoltà[209]. Nella medesima circostanza venne festeggiata la prima Messa di Don Viglietti.

                Dopo Natale accadde nell'Oratorio una novità. Nel giorno di S. Giovanni Evangelista per la prima volta tutti gli artigiani si accordarono per celebrare il vero onomastico di Don Bosco; quindi ogni laboratorio gli mandò il suo indirizzo firmato dai singoli giovani, non che dai rispettivi capi e assistenti. Ognuno prometteva comunioni, visite a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice e preghiere[210].

                Pregavano per Don Bosco anche tanti Vescovi d'Italia, come ci tenevano ad assicurarlo rispondendo al suo appello di ottobre. Uno di essi che da quando era canonico a Vercelli aveva pei lunghi anni sempre teneramente venerato e aiutato il Santo, monsignor Degaudenzi; vescovo di Vigevano, scriveva a Don Rua il 4 gennaio 1887: “Unisco a questa mia una tenuissima offerta per le missioni dei Salesiani di Don Bosco[211]. Quanto sono spiacente di non potere di più! Faccio questa piccolissima offerta anche per ottenere che ci conservi il Signore codesto uomo di Dio che è il Sig. Don Bosco. Gli faccia animo per parte mia. L'assicuri che qui si prega, si prega al Seminario, alle case religiose per la sua salute. E nel triduo che nei due ultimi giorni dell'anno precedente e nel primo del corrente si fece in tutte le chiese della Diocesi pel Santo Padre in onore del SS. Cuore di Gesù, io alla Benedizione del SS. che diedi in Duomo, feci pregare pubblicamente pel caro e venerato Don Bosco. Benedico all'ammirabile uomo che scorre la sua vita beneficando” .

                La menzione fatta pocanzi degli artigiani ci porta a ricordare un fatto che li riguarda. Nel 1886, per poter esaudire maggior numero di domande, Don Bosco aveva fatto costruire tre vasti ambienti lunghi circa venticinque metri e [271] larghi sette nell'angolo del primo cortile, dove sorge presentemente la casa capitolare. Il nuovo locale non era ancora bene asciutto, quando i superiori dell'Oratorio vi misero una cinquantina di alunni. Il catechista Don Ghione, che li visitava mattino e sera nell'ora della levata e del riposo, vedeva i loro letti pieni di umidità gocciolata dalle travi del soffitto; perciò, temendo che si ammalassero tutti, espose a Don Bosco il caso. Il buon Padre gli domandò, se fosse possibile trasportare i letti altrove; Don Ghione gli rispose che si era pensato, ma senza poter trovare dove. Allora egli si raccolse un istante in silenzio, poi disse - Eh!... lasciali dove sono.

- Ma quest'inverno ammaleranno tutti, replicò il catechista; anzi le dirò che l'assistente è già ammalato, da tre giorni.

- Sta' tranquillo, ripigliò il Santo; neppure un ammalerà.

                Infatti, neppur uno in tutto l'inverno cadde ammalato; anzi l'assistente in breve guarì[212].

                Frattanto s'era giunti all'ultimo dell'anno. Che Don Bosco fosse per discendere in Maria Ausiliatrice dopo le orazioni della sera, nessuno osava pensarlo. Che si fece dunque? Tutti, artigiani, studenti e Confratelli si radunarono poco prima del tramonto sotto le sue finestre e là cantarono in coro con entusiastico slancio la nota canzoncina:

 

Andiamo, compagni,

Don Bosco ci aspetta:

La gioia perfetta

Si desta nel cuor.

 

                Il Santo Vegliardo, sorretto da due sacerdoti, si affacciò commosso, si appoggiò alla ringhiera del ballatoio e sporgendosi quanto poteva, ringraziò e augurò a tutti buona fine e buon principio con la benedizione del Signore e della Madonna.

 

 

CAPO XI

Vita di ritiramento.

 

                L’inverno, e inverno piemontese, grave per tutti i vecchi, aggiungeva per Don Bosco incomodi a incomodi, forzandolo ad una vita interamente chiusa nel suo modesto appartamento; cosicchè i giovani non lo vedevano più all'infuori dei fortunati della quarta ginnasiale, che di quando in quando erano ammessi a visitarlo e a confessarsi da lui. Si ricordi che era cominciata nel 1886 la soppressione della quinta. Il 22 gennaio li confessò per oltre due ore. Vi passarono tutti, meno uno, che non si fece vedere; ma la sua assenza non fu notata, perchè da qualche tempo molti di essi o per aver scelto un altro confessore o per essere impediti in quell'ora dallo studio o per altri motivi non andavano più o andavano di rado a confessarsi da Don Bosco.

                Quella volta però il Santo se ne addiede; infatti la sera appresso mandò a chiamare quel tale. Fattolo sedere accanto a sè, dopo aver discorso di varie cose, gli domandò: - Perchè da parecchi mesi non vai più ai sacramenti? - Il giovane, abbassato il capo, non gli rispondeva. Allora Don Bosco, rotto il silenzio, lo interrogò:

 - Vuoi che te lo dica io il perchè?

- Sì, me lo dica, rispose.

- Ecco, è per questo e per questo. - E in così dire gli svelò con tono paterno i peccati, per i quali il poverino si vergognava di andarsi a confessare. Quegli sbalordito lo [273] guardava senza più sapere come raccapezzare le idee, finchè cadde in ginocchio e si confessò. Uscito dalla stanza e incontrato Don Viglietti, gli disse con la confidenza che i giovani avevano con lui: - Don Bosco mi ha detto così e così e ha indovinato tutti i miei peccati.

                In altra occasione, parlandosi delle grazie che la Madonna faceva all'Oratorio, Don Bosco disse al medesimo segretario: - Maria ci vuole troppo bene. È inutile che i nostri giovani tentino di nascondere quello che hanno in cuore; io lo vedo e lo rivelo.

                Le udienze degli esterni continuavano, ma assai meno di prima, perchè i segretari avevano ordine dai medici e dai superiori di limitarne il numero e la durata. Il 2 gennaio venne a visitarlo il cardinale Alimonda, intrattenendosi con lui per lo spazio di un'ora. Venne il giorno 5 monsignor Ordonez, vescovo di Quito, per chiedergli in nome del Presidente della Repubblica equatoriana almeno quattro Salesiani; andato quindi a Roma, ripassò nel ritorno e ottenne formali promesse. Ma già il 10 gennaio Don Bosco aveva detto a Don Viglietti, che lo riferisce nella sua cronaca: - Adesso ho il grillo di provvedere quanto più presto ad una partenza di Missionari per Quito e la Repubblica dell'Equatore. Là è un centro di Missione, dove si possono trovare anche vocazioni.

                Venne fra gli altri anche Don Guanella. Dopo essersi nel 1878 allontanato dall'Oratorio, egli non aveva più ardito ricomparirvi; Solo il 22 gennaio del 1887 si fece animo e visitò Don Bosco. Dopo la morte del Santo, scrivendo di quella visita, esprimeva così l'impressione prodottagli da Don Bosco: “Mi parve trasformato. Nel diafano di quel volto mi pareva scorgere un raggio della divina grazia. Benedisse di gran cuore a me genuflesso ai suoi piedi, e alle minime opere mie”.

                Venne da Nizza Mare il giovane sacerdote Don Raimondo Jara, più tardi Vescovo di Ancud nel Cile. Egli viaggiava per la Francia in cerca di mezzi per fondare un'Università cattolica [274] a Santiago. Presentò a Don Bosco da benedire medaglie, immagini e fra queste il ritratto di mamma Margherita. Il Santo, veduto questo, ne fu scosso, lo contemplò qualche istante e poi mostrandolo al visitatore: - Amatela! - gli disse. Traversando con Don Bosco il corridoio davanti agli uffici e vedendolo così stretto, disse rispettosamente: - Se non è baldanza la mia, vorrei chiederle una spiegazione.

 - Parli pure.

- Se ci fosse nella sua Congregazione un padre un po' corpulento, come farebbe a passare in questo corridoio? Perchè l'ha fatto così stretto?

- Perchè... perchè... per combattere le tentazioni.

                Don Jara capì. Ritornato nel Cile, costrusse un grande edifizio diviso in tanti appartamentini per accogliervi in pensione cento ottanta studenti universitari della provincia, e durante i lavori, rammentando le parole di Don Bosco, vi fece corridoi strettissimi con la porta molto bassa. Orbene nel 1891 durante la guerra civile provocata dal Presidente Balmaceda la casa fu sequestrata e messa all'incanto. Situata com'era nel punto più centrale della città, fece venire a parecchi la voglia di acquistarla; ma quei corridoi, quelle porte spoetizzavano chiunque la vedeva e mandavano via la tentazione, sicchè essa tornò all'uso primitivo con soddisfazione dei professori che ne sperimentavano la necessità.

                Nella quiete della sua stanzetta dedicava gran tempo al disbrigo della corrispondenza. All'Oratorio arrivavano quotidianamente in quantità' incredibile lettere per affari, per grazie di Maria Ausiliatrice, per le Letture Cattoliche, per il Bollettino, per riscontro a circolari, provenendo dall'Italia, dalla Francia, dalla Svizzera, dal Belgio, dalla Polonia, dalla Russia, dall'Asia Minore, dalle Indie, dalle Americhe. Di queste lettere moltissime erano indirizzate a Don Bosco. Terminatone lo spoglio, il Santo si' faceva leggere da persone fidate quelle che lo riguardavano personalmente; allora, non potendo più rispondere sempre egli stesso, il più [275] sovente incaricava altri della risposta. Prendiamo conoscenza di qualche scambio epistolare, di cui ci è rimasta copia.

                Due lettere sui generis giuntegli dalla Francia si aggiungono alle tante prove della straordinaria opinione di santità, in cui vi era universalmente tenuto Don Bosco. Un tale, che già più volte l'aveva consultato intorno a cose di coscienza e specialmente circa un suo partito di matrimonio, alla vigilia del fidanzamento lo supplicava di dirgli se, da buon cristiano, faceva bene a sposare una  certa signorina. Il Santo gli rispose: “Ella può con tutta tranquillità sposare quella persona, che formerà la felicità sua, se entrambi frequenteranno la santa comunione. Raccomando alla sua carità i miei orfanelli. Preghi per me e Dio la benedica e la Santa Vergine sia sempre la sua guida”. Un altro non conosceva affatto Don Bosco; ma, inteso da chi l'aveva visto a Parigi essere egli uomo di gran fede, si faceva ad esporgli il proprio caso. Da alcuni anni pensava di sposare una tale; ma questioni d'interesse avevano portato a rompere le trattative.

                Nondimeno egli avrebbe voluto riannodare le relazioni; perciò lo pregava di esaminare la cosa davanti a Dio e di comunicargli poi il risultato della sua pia e caritatevole meditazione. “Troverò io, domandava, nella vagheggiata unione gli elementi della felicità terrena e celeste? Il crollo delle mie speranze non sarebbe indizio che il Signore mi chiama per altra via?”. Ecco la risposta di Don Bosco: “Senta il parere del suo direttore spirituale. Se sarà affermativo, procuri solamente che la persona di cui mi scrive, frequenti la santa comunione. Per il resto stia tranquillo. Io prego per Lei e la raccomando a' miei orfanelli. Dio la ricompensi largamente della sua carità”.  Quel signore aveva accluso nella sua lettera una caritatevole offerta[213].

                Letterine o biglietti di ringraziamento per oblazioni ricevute dovevano essere assai frequenti. [276]

Per il capo d'anno il principe Augusto Czartoryski gli aveva spedito un'offerta, manifestandogli insieme quanto i Cooperatori Polacchi fossero sempre affezionati al fondatore dei Salesiani. Ringraziandolo della carità e della buona notizia, egli non toccò della vocazione, certo per riguardo al padre, ma si contentò di scrivere: “In ogni caso creda pure che noi non cesseremo di pregare Dio per Lei e per tutti i suoi interessi”[214].

                Alla Contessa Alessandra di Camburzano scriveva:

 

                                Benemerita Signora Contessa,

 

                Mi rincresce assai che Ella sia sofferente. Pregherò e farò eziandio pregare per la sua sanità. Comprendo benissimo che Ella ha delle croci: ma ne abbiamo tutti qualcheduna, ad eccezione di Don Bosco, che non ne ha alcuna.

                Le cose di questo mondo pare che si avvicinino alla crisi: ma Dio è Padre infinitamente buono, ma infinitamente potente, perciò lasciamolo fare.

                La ringrazio per la strenna che mandami pei nostri orfanelli. Dimani essi faranno la santa Comunione per Lei ed io coll'aiuto di Dio celebrerò la santa Messa. Maria sia nostra guida al cielo.

                9 - 1887, Torino.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. G. Bosco.

 

                Alla baronessa Azeglia Ricci, nata De Maistre e da lui conosciuta piccina, mandò nel giorno di S. Francesco di Sales un'immagine con queste righe: “Signora Baronessa Ricci. Dio vi benedica e ricompensi largamente della vostra carità. I nostri preti, missionari, orfanelli si uniscono a me a pregare ogni giorno per voi”[215].

                Ricorrenze, nomine, eventi lieti di personaggi, a cui lo [277] legavano vincoli di sudditanza o di gratitudine, non lo lasciavano mai indifferente.

                Nel 1887 il mondo cattolico celebrava il giubileo sacerdotale di Leone XIII. In suo onore sul principio dell'anno a Bassano Vicentino si preparava un Numero Unico intitolato Exultemus, per il quale i compilatori chiedevano agli uomini più ragguardevoli del campo cattolico scritti adatti all'occasione. Non potevano dimenticare Don Bosco. Egli il 18 gennaio, dicendosi nell'impossibilità di fare un articolo, formulò la seguente dichiarazione: “Quello che tuttavia posso compiere si è di confessare, come confesso altamente, che fo miei tutti i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice. Ammetto con giubilo tutti i gloriosi titoli che egli raccolse dai Santi Padri e dai Concili, e dei quali, formata come una corona di preziosissime gemme, adornò il capo del Papa, quali sono tra gli altri: di Abele pel Primato, di Abramo pel Patriarcato, di Melchisedecco per l'ordine, di Aronne per la dignità, di Mosè per l'autorità, di Samuele per la giudicatura, di Pietro per la Potestà, di Cristo per l'unzione, di pastore di tutti i pastori, e più di quaranta altri non meno splendidi ed appropriati. Intendo che gli alunni dell'umile Congregazione di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti di questo gran Santo, nostro Patrono, verso la Sede Apostolica; che accolgano prontamente, rispettosamente e con semplicità di mente e di cuore, non solo le decisioni del Papa circa il dogma e la disciplina, ma che nelle cose stesse disputabili abbraccino sempre la sentenza di lui anche come dottore privato, piuttosto che l'opinione di qualunque teologo o dottore del mondo. Ritengo inoltre che questo si debba fare non solo dai Salesiani e dai loro Cooperatori, ma da tutti i fedeli, specialmente dal Clero; perchè oltre il dovere che hanno i figli di rispettare il Padre, oltre i doveri che hanno i cristiani di venerare il Vicario di Gesù Cristo, il Papa merita ancora ogni deferenza, [278] perchè scelto di mezzo agli uomini più illuminati per dottrina, più accorti per prudenza, più cospicui per virtù, e perchè nel governo della Chiesa è in modo particolare assistito dallo Spirito Santo”.

                Il Cardinale Di Canossa, vescovo di Verona, gli aveva scritto il 26 dicembre raccomandandogli il suo fratello Ottavio e dicendogli: “Ella benedica lui, me e tutta la nostra famiglia. Mi raccomando di nuovo alle sue fervide orazioni, specialmente per un affare, che sto da tempo chiedendo al Signore. Mi comandi se valgo”. Infine gli professava la sua “illimitata stima e devozione”. Don Bosco tre settimane dopo gli rispose:

 

                Eminenza Reverendissima,

 

                Ho ricevuta colla massima consolazione i saluti e la benedizione di V. E. R.ma ed ho avuto il piacere di ossequiare il Sig. suo fratello C.te Canossa. Al presente tutte le nostre preghiere sono dirette alla Santa V. A. affinchè conservi ancora ad multos multos iubilares dies la E. V. a gloria della Chiesa, a sostegno dei bisognosi, specialmente dei poveri Salesiani che umilmente, ma caldamente si raccomandano alla carità delle preghiere di V. E.

                Ci benedica tutti e si degni considerarci suoi poveri, ma affezionatissimi figli e servitori.

 

                Torino, 14, 1887.

Per tutti

Sac. Gio. Bosco.

 

                Compatisca questo scritto cattivo.

 

 

                A giro di posta il Cardinale gli manifestò per queste righe la sua vivissima gioia. Questo scritto è un documento prezioso che fa vedere in quale alto concetto un sì grande luminare della Chiesa avesse Don Bosco e la sua Opera. Verona si preparava a festeggiare prossimamente il giubileo d'argento episcopale del suo Vescovo. Leone XIII ne aveva preceduto i diocesani con una lettera gratulatoria, a cui qui si fa allusione. [279]

 

                               Ven.mo e Car.mo Don Bosco

 

                Dopo la stupenda lettera del nostro Santo Padre Leone XIII, nessun'altra delle ricevute in questi giorni, mi ha recato tanta gioia e consolazione, quanto la affettuosissima sua ricevuta stamane! Mille e mille grazie! Fra tante occupazioni sante. Ella ricordarsi della umile persona mia non solo, ma prendersi il disagio di scrivermi Ella stessa di propria mano? Gliene sono tenuto di cuore; ed altro non potendo, pregherò vieppiù del solito il Signore a benedire Lei e le salutifere di Lei imprese. Dissi vieppiù giacchè li stimo e li amo, sì, i suoi Salesiani, e sebbene indegnamente nella Santa Messa ogni mattina fo un memento per le Missioni, ed in ispecie per l'Africa, per la Patagonia e per la Cina, ove le Canossiane fanno gran bene.

                Povera Africa! Oh faccia Ella la carità di pregare prima per me (che ne ho sì grande il bisogno; il so io), e poi per quella sventurata Missione! Sappia che un dì io dissi ai Superiori di questo piccolo Seminario per l'Africa centrale: - Se ci accetta, passiamo tutti sotto Don Bosco con armi e bagagli e andiamo in America che è altro paese. Ma ad essi parve di dover rispettare la memoria e l'opera del lacrimato Mons. Comboni e di dover aspettare se piaccia al Signore di riaprire la via fra i negri. Ed io non volli insistere.

                Frattanto la ringrazio cordialmente di tutto e con Lei ringrazio assai gli ottimi suoi Salesiani, dei quali Ella mi promette la maggiore delle grazie per me, le loro preghiere. E la prego a benedirmi; ed a credermi sempre di tutto il cuore

                Di Lei

 

                Il 15 del 1887

 

Dev.mo obbl.mo aff.mo

L. Card. di Canossa Vescovo.

 

                Il Servo di Dio, commosso, accusò ricevuta con la cordiale semplicità dei Santi, inviandogli un'immagine di Maria Ausiliatrice, a tergo della quale aveva scritto una tenera invocazione: “Eminentissimo Card. Canossa. O Maria, guidate questo vostro caro e zelante figlio in tutte le sue imprese costantemente per la via del cielo. - 23 gennaio 1887. Sac. Gio. Bosco” .

 

                Se Verona aveva per Vescovo un Porporato, ne doveva saper grado a Don Bosco. Trasferito da Leone XIII a Bologna, il pio e umile Prelato andò a scongiurare il Pontefice di lasciarlo a Verona. Caso volle che a Roma s'incontrasse [280] con Don Bosco, al quale con le lacrime agli occhi si raccomandò che dicesse una parola in suo favore. Il Santo nell'udienza condusse il discorso sull'argomento e quando comprese che il Pontefice non era alieno dal far pago il desiderio del Vescovo, trovò modo di manifestargli un'idea. Giacchè Bologna era sede cardinalizia, non si sarebbe potuto accettare la rinunzia all'Arcivescovado, ma riserbare al rinunziante il Cardinalato? La proposta arrise al Santo Padre; onde Don Bosco, rivedendo Monsignore, gli disse:

 - Arcivescovo no, ma Cardinale sì!

                Da un altro alto Prelato gli giunsero benevoli significazioni. Sui primi di febbraio era stato preconizzato alla Porpora monsignor Camillo Siciliano di Rende, arcivescovo di Benevento e Nunzio Apostolico a Parigi. Nella metropoli francese Don Bosco l'aveva incontrato quattro anni prima, ricevendo da lui e da sua madre manifestazioni di profonda riverenza. Stimò pertanto suo dovere congratularsi subito con lui della nuova dignità; in pari tempo gli raccomandava la recente fondazione di Mènilmontant. Il Cardinale aspettò, come di regola, il Concistoro e poi gli rispose da Parigi il 24 marzo: “Le sono gratissimo per le affettuose felicitazioni che la S. V. ha voluto con tanta gentilezza offrirmi per la mia elevazione alla porpora romana. Io ne la ringrazio di tutto cuore e spero che Ella con le sue orazioni vorrà dal cielo ottenermi gli aiuti necessari a compire i doveri che la nuova dignità m'impone. Non conosco la casa dei Salesiani qui esistente, ma posso assicurarla che mi reputerò fortunatissimo di poter rendere qualunque servizio alla sua Congregazione”.

                Un altro neocardinale era il Nunzio Apostolico di Madrid, che aveva avuto relazioni epistolari con Don Bosco allorchè si trattava della fondazione madrilena[216]. Anche a lui Don Bosco fece le sue congratulazioni, alle quali il Rampolla [281] rispose con vivi ringraziamenti e con queste particolari espressioni[217]: “Mi è grato in questa occasione confermarle il mio speciale affetto alla Congregazione Salesiana, rallegrandomi con Lei del molto bene che fanno i suoi figli nelle diocesi della Spagna dove sono stabiliti; non è guari che ne ho inteso fare ampi elogi da insigni prelati. Piacesse al Signore che potessero moltiplicarsi anche più in questa Nazione, oggi tanto bisognosa di chi la preservi dagli inganni dei tristi” .

                Nel mese di marzo, essendo stato eletto sindaco di Torino l'avvocato Melchior Voli, Don Bosco gl'inviò una sua lettera gratulatoria. Rendendogliene vive grazie e pregandolo di gradire i suoi riverenti omaggi, il primo magistrato cittadino diceva di ricordare con piacere i giorni della sua prima gioventù, quando aveva avuto “la fortuna di conoscere il Rev. Benemeritissimo Don Bosco in casa Roasenda”. Presso questa nobile famiglia il signor Voli aveva aiutato Don Bosco nel copiare la sua Storia d'Italia.

                Conversazioni propriamente dette Don Bosco non era in grado di tenerne; ma si compiaceva assai a sentir parlare delle Missioni e gioiva al sommo quando gli si leggevano lettere de' suoi Missionari. Il suo parlare consisteva per lo più in brevi motti, talora conditi di arguzia. Osservando l'effigie di Napoleone III sopra una moneta, esclamò: - Sic transit gloria mundi. Più nessuno parla di lui. - quando non se ne parli male. - Interrogato dal signor Olive se, scrivendo alla sua signora, dovesse dirle che Don Bosco stava bene, rispose: - Dica che Don Bosco è colto da pigrizia. - Rise quegli, protestando essere tutto il contrario. Ma Don Bosco soggiunse: - È la bontà di monsieur Olive che mette in dubbio la verità detta da Don Bosco. - Un giorno ricevette dalla lionese signora Quisard un'immagine recante queste parole in francese: “Sii con Dio come l'uccello che sente tremare il ramo e continua a cantare, sapendo di aver le ali”. Egli [282] lesse attentamente, poi disse di portarla a Don Berto, osservando: - Chi sa che cosa si penserà Don Berto al ricevere questa immagine! - Don Berto pensò il vero. Comprese essere un paterno avvertimento per quando fra non molto Don Bosco, suo unico sostegno al mondo, gli fosse venuto a mancare. A tavola rompeva di rado il silenzio, ma sembrava in continua meditazione. Un giorno, mescendo acqua con vino, disse: - Anche Gesù in croce volle che il suo sangue fosse mescolato con acqua.

                Al suo grande confidente Don Lemoyne, che nelle ore della sera gli sedeva vicino per alleviargli la solitudine forzatamente inoperosa perchè la luce artificiale gli offendeva la vista, una volta fece una predizione. Di botto, senza che prima si fosse parlato di cosa riferentesi a tale argomento, uscì in queste parole: - Tu arriverai a un'età molto avanzata. - Un'altra sera, mentre Don Lemoyne lo seguiva silenzioso su per la scala, Don Bosco si fermò all'improvviso e nell'atto di chi svela un segreto, gli mormorò sottovoce: - Ti aspetta un avvenire molto glorioso. - Quindi dopo breve reticenza ripigliò: - Quello che hai sofferto è nulla in confronto di quello che devi soffrire. Ma fatti coraggio, tutto passa a questo mondo... e poi... e poi il paradiso. - Don Lemoyne campò settantasette anni. La sua memoria vive e vivrà benedetta nella Congregazione e il suo nome risuona anche fuori sulle labbra di molti massime per quello che scrisse su Don Bosco. L'ultimo periodo della sua vita fu realmente travagliato da incomodi fisici, ma più ancora da paterni d'animo, che a lui, dotato di vivida immaginazione e di cuore sensibilissimo, provennero da varie cause. È probabile che gemesse sotto il peso di afflizioni spirituali allorchè una volta, imbattutosi in un giovane sacerdote salesiano, proferì questi accenti: - Un tempo nell'Oratorio si mangiava polenta, ma c'era Don Bosco!

                Certe volte ai più giovani segretari che abitualmente gli stavano attorno, raccontava sogni fatti nella notte; sogni [283] che, ad eccezione di due, fra cui quello riguardante il chierico Olive già da noi riferito, non avevano niente di straordinario. Per altro la sera del 13 febbraio disse a Don Viglietti, che ne prese nota nella sua cronaca: - Voglio scrivere molte cose importanti che mi furono rivelate in sogno sul principio dell'anno. Propongo sempre di farlo, e poi mi dimentico. Vedi tu di ricordarmelo; io te le consegnerò, perchè le registri. Ma forse per risparmiargli la troppo gravosa fatica dello scrivere Don Viglietti non si diè pensiero di richiamarglielo alla mente.

                Non di rado sognando emetteva alte grida, che svegliavano e spaventavano Don Viglietti, facendolo accorrere dalla camera vicina. Così accadde nella notte dal 2 al 3 marzo. Il segretario gli domandò la mattina dopo che cosa avesse sognato. Rispose che era un pasticcio qualsiasi, a cui non dava nessuna importanza e del quale una sola particolarità ricordava. Gli sembrava di aggirarsi per un terreno incolto e che una persona gli dicesse: - Tu ti affanni a coltivare terreni sulle rive del Rio Negro, mentre hai qui campi incoltissimi.

- Oh, rispose Don Bosco, io lascerò crescere in questi l'erba, riducendoli a prati, che serviranno per dar da mangiare alle bestie.

                Intanto vedeva un bel ciliegio carico di frutti e sollecitava l'agricoltore a coglierne. Quegli obbedì; ma nello staccarle quelle ciliegie apparivano appassite e guaste.

                Un'altra notte, sul 24 marzo, sognò di trovarsi in mezzo ad una vigna, nella quale si vendemmiava. - Come mai? diceva Don Bosco. Siamo in primavera e già si vendemmia? Eppure che abbondanza di grappoli! Com'è bella quest'uva! Oh! quest'anno avremo un gran raccolto.

- Sì, sì, gli rispondevano suo fratello Giuseppe e Buzzetti, che si trovavano fra i vignaiuoli. Bisogna raccogliere molto, mentre ce n'è, perchè a questo anno di abbondanza succederanno anni di carestia. [284]

- Perchè avremo carestia? chiese Don Bosco.

- Perchè il Signore vuol punire gli uomini dell'abuso che si fa del vino.

- Bisogna dunque, esclamò Don Bosco, fare larghe provviste per i nostri giovani.

                Anche a questo sogno egli raccontandolo mostrò di non dare importanza, ma concluse sorridendo: - È un sogno!

                La mattina del 3 aprile disse a Don Viglietti che nella notte precedente non aveva potuto prendere riposo, ripensando a un sogno spaventoso fatto nella notte del 2. Tutto questo aveva prodotto in lui un vero esaurimento di forze. - Se i giovani, gli diceva, udissero il racconto di quello che vidi, o si darebbero a una vita santa o fuggirebbero spaventati per non ascoltare sino alla fine. Del resto mi è impossibile descrivere ogni cosa, come sarebbe difficile rappresentare nella loro realtà i castighi riserbati ai peccatori nell'altra vita.

                Egli aveva veduto le pene dell'inferno. Sentì prima un gran rumore come di terremoto. Lì per lì non vi fece gran caso; ma il rumore andava gradatamente crescendo, finchè udì un rombo prolungatissimo, terrificante, misto a grida di orrore e di spasimo, voci umane inarticolate che confuse col fragore generale producevano un fracasso pieno di spavento. Sbigottito osservò intorno a sè qual potesse essere la causa di quel finimondo, ma non iscorse nulla. Il rumore ognor più assordante si avvicinava, nè più si poteva con gli occhi o con le orecchie distinguere ciò che avvenisse. Don Bosco continuò così a descrivere: - Vidi dapprima come una massa, un volume informe che man mano prese la figura di una formidabile botte di favolose dimensioni: di là uscivano le grida di dolore. Domandai spaventato che cosa fosse, che cosa significasse quanto io vedeva. Allora le grida, fino a quel punto inarticolate, si fecero più forti e più distinte, sicchè percepii queste parole: Multi gloriantur in terris et cremantur in igne. Poi vidi per entro a quella specie di botte [285] persone d'indescrivibile deformità. Gli occhi uscivano dalle orbite; le orecchie quasi staccate dal capo pendevano all'ingiù; le braccia e le gambe erano slogate in modo raccapricciante. Ai gemiti umani si univano sguaiati miagolìi di gatti, rabbiosi abbaiamenti di cani, ruggiti di leoni, urli di lupi, voci di tigri, di orsi e di altri animali. Osservai meglio e fra quegli sventurati ne riconobbi alcuni. Allora sempre più esterrefatto domandai nuovamente che cosa volesse significare si straordinario spettacolo. Mi fu risposto: Gentitibus inenarrabilibus famem Palientur ut canes.

                Intanto col crescere del rumore cresceva innanzi a lui più viva e più distinta la vista delle cose; meglio conosceva quegli infelici, più chiare gli giungevano le loro strida, più opprimente si faceva il suo terrore. Interrogò gridando: Ma non vi potrà dunque essere rimedio nè scampo a tanta sventura? È proprio per noi tanto apparato di orrore, sì tremenda punizione? Che cose debbo fare io?

 - Sì, gli rispose una voce, vi è un rimedio, un rimedio solo. Affrettarsi a pagare i propri debiti con oro e argento.

 - Ma queste sono cose materiali.

                - No; aurum et thus. Con la preghiera incessante e con la frequente comunione si potrà rimediare a tanto male.

                Durante questo dialogo più strazianti si facevano udire le grida, più mostruosi comparivano dinanzi a lui gli aspetti di coloro che le emettevano, sicchè, preso da mortale terrore, si svegliò. Erano le tre del mattino, nè gli fu più possibile chiudere occhio. Nel corso del suo racconto un tremito gli agitava le membra aveva il respiro affannoso e lacrimava.

                Don Bosco non lasciava di presiedere le adunanze capitolari. Queste si tenevano di consueto nella sua camera. Durante il tempo di cui discorriamo ve ne furono solamente quattro. Spigoleremo nei verbali per trarne quanto possa riferirsi al Servo di Dio.

                Nella prima seduta che è del 14 febbraio, si trattò di un argomento importante, in qual modo cioè fossero da regolarsi [286] le relazioni fra l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la Pia Società Salesiana. La questione era già stata oggetto di studio in altra seduta lontana, ma senza che si addivenisse a una conclusione per l'assenza di alcuni capitolari. Urgeva intanto risolvere, affinchè le Suore sapessero a chi rivolgersi nelle varie circostanze, nè avesse a soffrire danno l'Istituto e la regolare osservanza. Perciò Don Bosco aveva dato incarico a Don Lemoyne di esaminare la cosa a fondo per poi riferire. Don Lemoyne studiò, interrogò e il 14 febbraio lesse la sua relazione. In questa egli esponeva partitamente le opinioni manifestate al riguardo in diversi tempi da singoli membri del Capitolo Superiore. Tre cose basterà conoscere per la nostra storia: il fondamento della questione, un'opinione radicale sulla maniera di risolverla, e la deliberazione presa da Don Bosco, assenziente il Capitolo.

                Superiore dell'Istituto era allora il Rettor Maggiore e per conseguenza il suo Vicario; infatti le Regole, scritte da Don Bosco e stampate, nel titolo II, articolo I dicevano: “L'Istituto è sotto l'alta ed immediata dipendenza del Superiore generale della Società di S. Francesco di Sales, cui danno il nome di Superior Maggiore. In ciascuna casa egli potrà farsi rappresentare da un Sacerdote col titolo di Direttore delle suore. Direttore generale sarà un membro del Capitolo Superiore della Congregazione Salesiana”. Perciò qui non era questione di Superiorità autonoma dell'Istituto, ma della Direzione generale dipendente dal Rettor Maggiore e dal suo Vicario. Questa direzione fu esercitata in principio da Don Domenico Pestarino, indi da Don Costamagna direttore a Mornese. Quando l'Istituto pigliò maggiore sviluppo, si credette bene di lasciare la direzione particolare al Direttore locale della casa madre prima in Mornese, poi in Nizza Monferrato; ma contemporaneamente cominciò per incarico avutone da Don Bosco ad esercitare la cura e sorveglianza generale Don Cagliero, catechista generale dei Salesiani che la tenne fino al 1884, allorchè andò Vicario Apostolico nella Patagonia. Dopo la sua partenza [287] la direzione generale delle Suore passò a Don Giovanni Bonetti, consigliere del Capitolo Superiore. Essendo egli stato nel Capitolo generale del 1886 eletto Catechista, nacque la questione, chi dovesse in seguito esercitare la direzione delle Suore. Ecco perchè si era trattato già di questo, come dicevamo, in un capitolo tenuto a Valsalice, ma senza nulla risolvere. Ora a Don Bosco premeva che si giungesse a una soluzione.

                Il miglior partito non sarebbe stato di fare in modo che le Suore si abituassero a fare da sè, non obbligando più il Superiore a intervenire nelle deliberazioni ordinarie, nella direzione e nell'amministrazione? Questo avrebbe recato senza dubbio una semplificazione grandissima alle occupazioni di chi fosse incaricato di dirigerle. Tale fu la quinta opinione raccolta, presentata e discussa dal relatore[218], che la confutò al pari delle precedenti. Riportiamo il suo ragionamento. “La donna, diss'egli, ha bisogno di continuo appoggio anche in tante cose che sembrano di poca importanza, e bisogna che senta col fatto la necessità di questo appoggio. Se la si lascia indipendente, cercherà l'appoggio in persone estranee, ed il confessore locale, interessato ad accondiscendere alle loro confidenze, impronterà in esse il suo spirito particolare. La donna poi in Congregazione tende ad esimersi talora da una sudditanza che il volere del Superiore le impone, quando questo volere fosse contrario alle viste di una Superiora influente. La storia ecclesiastica ce ne dà esempi molteplici. Le nostre Suore non mancano di risorse materiali, ed è naturale che antepongano le loro Superiore ai Superiori Salesiani, e quindi il bisogno di avvicinarle con visite, conferenze, corrispondenze, e per ogni singola casa. [288] La donna trascurata, o che si creda trascurata, saprà sempre trovar modi di rivendicare il proprio posto o si abbandona ad uno scoraggiamento fatale. Chi fu in mezzo a loro per sei anni, sa per prova che non la Regola, ma l'affetto e la confidenza lega le Suore alla nostra Congregazione. Non è senza senso quel proverbio: un sol gallo nel pollaio. Don Chicco prima di lasciare la direzione di Nizza, Don Cagliero prima di partire per l'America, Suor Maria Mazzarello prima di morire insistettero su questo punto di stringere sempre più le relazioni e la direzione. Basta l'aver toccata questa quinta opinione perchè sia dimostrata completamente erronea”.

                Scartate dunque tutt'e cinque le opinioni, il relatore formulò nei seguenti termini il suo modo di vedere: “Sia affidata la direzione generale dell'Istituto delle suore al Vicario e al Catechista in modo che al primo sia devoluta di preferenza la parte materiale e finanziaria e al secondo la parte morale e spirituale”. Questa opinione si appoggiava ai seguenti riflessi: I° Maggior facilità d'intendersi per conservare l'unità di direzione. 2° Possibilità di aiutarsi a vicenda, essendo tra due, nell'esercizio della direzione, senza scapito del proprio ufficio verso i Salesiani. 3° L'essere ambidue Superiori darebbe maggior peso alle proprie disposizioni, concilierebbe loro maggior autorità e rispetto e nel tempo stesso permetterebbe all'uno e all'altro di farsi aiutare in più casi sia dagli altri membri del Capitolo sia dal Direttore locale di Nizza. 4° Sarebbesi pure osservata la Regola prescrivente che la decisione dovesse dipendere dal Vicario, essendo il decidere nel caso prerogativa del Superiore. Allora Don Rua nominò Don Bonetti, catechista della Congregazione, Direttore generale insieme con lui. Così dunque rimase stabilito.

                Per un mese, fino al 14 marzo, non si tenne altra adunanza. Vi si trattò specialmente della destinazione da darsi alla casa di Valsalice, sul qual tema si tornò nella quarta del 19 aprile; ne parleremo più avanti. Nella terza del 28 marzo Don Bosco assiste, ascolta, intercala qualche sua parola, ma senza dire [289] nulla di rilevante, se non fosse l'augurio che si presentassero circostanze favorevoli per l'apertura di una casa salesiana nella città di Cuneo.

                Nonostante gl'incomodi che sconsigliavano le uscite, volle andar fuori parecchie volte nel mese di febbraio. Il 3 si recò alla chiesa di S. Giovanni Evangelista, dove si fece ai Cooperatori la conferenza di S. Francesco. In una corrispondenza a un giornale di Venezia [219] si leggeva: “Si sperava che il sant'uomo parlasse, come già un tempo avveniva, ma gli anni, le fatiche, le prove durissime hanno stremata quella fibra gagliarda. Don Bosco oggidì non si regge più sulle gambe, soffre d'oppressione di petto che gl'impedisce di favellare in pubblico e sente il peso d'una vita maravigliosamente operosa. Serba tuttavia lucida come ne' suoi trent'anni la mente, serba sempre in cuore gli entusiasmi giovanili per le opere di Dio ed ha per i giovani più che affetto una specie di culto, perchè in essi vede e cerca le speranze religiose dell'avvenire”. Parlò invece il rettore della Chiesa Don Giovanni Marenco. Dopo la funzione i cooperatori attorniarono Don Bosco, bramosi, come sempre, di vederlo da vicino, di salutarlo e di udirne una buona parola.

                Pochi giorni dopo si occupò di Don Bosco anche un settimanale milanese diretto da Don Albertario[220]. In prima pagina, attorno a un suo ritratto somigliatissimo, si svolgeva un lungo articolo riboccante di ammirazione. “Il nome di Don Bosco, vi si diceva, riassume una vera epopea cristiana. A nessuno in Italia è sconosciuto, e milioni di bocche lo ripetono con accento di commozione, di venerazione, di fiducia, di riconoscenza”. Fatto quindi un garbato profilo di questo “uomo - miracolo”, di questo “vero eroe del sacerdozio”, si terminava così: “Egli è una vera potenza, sebbene umilissimo e affabilissimo; egli è un gigante di carità e di zelo, ed ogni encomio è inferiore al suo merito”. [290]

                Era gravemente inferma una pia matrona, assai benemerita delle opere salesiane, la signora Maria Pelissero. Don Bosco, spinto dalla gratitudine, volle farle una visita. Ve lo accompagnò Don Viglietti il 12 febbraio. Tutta la numerosa famiglia gli venne incontro piangendo e scongiurandolo di conservar loro la cara ammalata. Una nipote della signora, che gli presentava i parenti: - Veda questa giovane, gli disse. Era corpo morto dalle reni in giù. Ella l'ha benedetta vari anni sono ed ora eccola sanissima. Quest'altra piccolina era cieca del tutto ed ora vede ottimamente. Oh ci guarisca anche la zia! - Don Bosco, fermatosi alquanto con loro, parlò di paradiso e di rassegnazione alla volontà divina; poi li benedisse e distribuì a tutti una medaglia di Maria Ausiliatrice. Entrò finalmente nella camera dell'inferma. Doveva essere proprio una santa donna, tanto bene parlava del paradiso e della rassegnazione cristiana. Ricevette con vero trasporto la benedizione di Don Bosco, il quale le disse che, se andasse in paradiso, facesse le commissioni sue alla Vergine Santissima, mentre intanto egli ed i suoi giovani pregherebbero Iddio affinchè si facesse il meglio per l'anima sua. Non andò guari che la signora chiuse con una santa morte la sua lunga e virtuosa esistenza.

                Cessò di vivere l'8 aprile una di quelle benefattrici che si stimavano fortunate di sentirsi chiamare da Don Bosco mamme sue e de' suoi giovanetti, la contessa Gabriella Corsi. Il Santo l'aveva visitata nei primi giorni della sua infermità e le aveva detto: - Ah, signora Contessa! Lei mi manca di parola! Mi aveva promesso di regalare ai giovani dell'Oratorio due vitelli, perchè potessero star allegri nel giorno del mio giubileo sacerdotale, Lei manca di parola e mancherò anch'io. - Poi, per S. Gabriele, suo onomastico, le aveva mandato un'immagine con questa invocazione alla Madonna, scritta di suo pugno: “Contessa Corsi Gabriela. O Maria, portate un felice onomastico alla vostra Figlia, proteggetela in tutti i pericoli. Guidate Lei e tutta la sua famiglia per la strada [291] del paradiso, e fate che tutti dopo una santa vita vadano tutti seco a tenerci compagnia eternamente in cielo. Amen”.

                Un'altra mamma che egli avrebbe desiderato tanto di visitare e di benedire, si era spenta il 13 febbraio a Genova, la nobile signora Ghiglini, da noi più volte menzionata, la sua carità multiforme la fa annoverare fra le più benemerite cooperatrici salesiane; questa sua carità fu sperimentata specialmente dalla casa di Sampierdarena.

                Le dipartite di queste anime buone, che tanta parte avevano avuto nelle opere del Santo, sembravano preludere alla sua prossima fine.

 

 

CAPO XII

Nel terremoto del febbraio 1887.

 

                IL 22 febbraio, ultimo giorno di carnevale, Don Bosco volle ancora assistere dal suo ballatoio ai divertimenti che, secondo il consueto, si facevano dai giovani nel cortile; anzi prima di ritirarsi in camera prese a lanciare manate di nocciuole, che i ragazzi, dimentichi dei loro giuochi, corsero a raccogliere con molta avidità, perchè eran nocciuole di Don Bosco. Più tardi, radunati gli alunni della quarta ginnasiale, fece loro una distribuzione di medaglie, che ebbe del misterioso per il modo come raccomandò che le tenessero care, dicendo loro che ne sarebbero preservati da qualsiasi disastro. E un disastro accadde subito la mattina seguente: un terremoto spaventevole che colpì fieramente la Liguria, ripercotendosi forte anche nel Piemonte. Don Bosco aveva parlato a caso o presagiva qualche cosa? Don Viglietti scrive essergli stato detto da lui il 4 marzo che aveva dato le medaglie per il disastro del terremoto, ben sapendo quello che doveva accadere la dimane. A queste sue parole si credette di poterne connettere altre dette il 5 gennaio. Interrogato perchè al principiare del nuovo anno avesse taciuto di futuri avvenimenti per il 1887, aveva risposto: - È meglio che io taccia, perchè sarebbe un allarmare troppo gli animi. Si spaventerebbero tutti e vivrebbero inquieti.

                A Torino la scossa fu violenta. I giovani dell'Oratorio, [293] che si erano alzati da appena un quarto d'ora, fuggirono a precipizio dalle camerate nel cortile. Coloro che stavano in chiesa, scapparono fuori. Nel gran panico si tendevano le braccia verso la statua di Maria Ausiliatrice ritta sulla cupola. In quel momento Don Viglietti entrava nella camera di Don Bosco. Lo trovò che rideva e diceva: - È un ballo involontario. Ero qui per alzarmi; ma, aspettando che l'ondulazione finisse, mi sentii freddo alle spalle e mi sono di nuovo coricato.

                Scene di terrore si ebbero nei collegi della riviera, dove le scosse si ripetevano a intervalli più o meno lunghi. Per alcune notti i giovani dormirono attendati all'aperto. Il Direttore del collegio di Varazze dopo alcuni giorni domandò a Don Bosco che cosa si dovesse fare, se fosse cioè da rientrare in casa o no. Il Santo fece rispondere: - Ritiratevi in casa. Il terremoto non vi recherà danno. - E così fu.

                Il centro della massima attività era stato nel golfo di Genova, lungo la linea che da Savona si protende a Mentone. Le vittime ascesero a parecchie migliaia. Dappertutto case diroccate o pericolanti; alcune chiese crollate; in tutta la regione immensi disastri. Tanta sventura commosse i cuori italiani. Le sottoscrizioni aperte dai giornali dimostrano che quella catastrofe era considerata come calamità nazionale. Don Bosco, resosi conto dell'entità dei danni, fece scrivere ai Direttori delle case salesiane liguri che si prestassero al soccorso con ogni aiuto possibile, materiale, personale e morale. Poi per suo incarico Don Cerruti scrisse ai Vescovi di Savona, Albenga e Ventimiglia[221]: “Il mio amatissimo superiore Don Bosco, profondamente commosso del disastro che desolò tanta parte di questa Diocesi, desidererebbe venire anch'egli in aiuto per alleviare in qualche modo le conseguenze terribili del terremoto. Mentre pertanto ha raccomandato al Direttore della Casa salesiana di Varazze di prestarsi con [294] tutti i mezzi possibili a sollievo degli infelici, m'incarica pure di partecipare all'Eccellenza Vostra che egli riceverà volentieri gratuitamente qui a Torino ed, occorrendo, a Sampierdarena, quattro giovanetti tra i più miserabili rimasti abbandonati in causa del terremoto”. Erano dunque dodici giovanetti che Don Bosco si proponeva di educare e mantenere.

                Parve grazia singolare della Madonna che i Salesiani e i loro alunni fossero andati esenti da disgrazie personali, non essendosi avuti nè morti nè feriti nè contusi; ma i danni materiali furono rilevanti. In Piemonte gli edifizi soffersero lesioni facilmente riparabili; non così nella Liguria, dove alcune delle nostre case restarono molto malconce, più di tutte quella di Vallecrosia, che bisognò sgombrare interamente; quindi chiuse le scuole esterne, inviate alle loro famiglie le educande, trasferite a Nizza Monferrato le rimaste orfane di genitori o prive di abitazione.

                Ricevute le relazioni dei singoli Direttori, Don Bosco diramò tosto due circolari. Con una ingiunse ai Salesiani di destinare in ogni casa un giorno, nel quale innalzare a Dio preghiere di suffragio per le vittime e celebrare una funzione di ringraziamento per l'incolumità concessa a tutti gli abitatori delle case salesiane; inoltre per poter sopperire agl'imprevisti bisogni raccomandava di non mettere mano durante un anno a fabbriche, a riparazioni, a lavori, ad acquisti non richiesti dalla necessità e di sopportare volentieri sacrifizi e privazioni voluti dalla circostanza. Con l'altra circolare informava i Cooperatori dei danni patiti e delle conseguenti spese, domandando loro umilmente la carità[222].

                Di tutte le case lesionate quella di Vallecrosia preoccupava maggiormente Don Bosco, non solo perchè essa aveva patito più d'ogni altra, ma anche perchè la forzata sospensione dell'attività salesiana andava troppo a vantaggio dei protestanti. Subitamente quindi mandò sul posto l'impresario [295] Giosuè Buzzetti, affinchè vedesse il da farsi e la spesa occorrente. Questi dopo diligente esame scrisse che per rendere l'edifizio provvisoriamente abitabile bastava una somma di circa seimila lire, mentre per eseguire gli altri lavori indispensabili ci voleva assai più. La lettera fu letta a Don Bosco durante il pranzo. Egli disse: - Il Signore ci penserà, stiamo tranquilli. E presa la lettera, se la pose accanto al piatto. Sul finire del pranzo entrò il conte Eugenio De Maistre, che, fatti i convenevoli, chiese a Don Bosco: - Caro Don Bosco, ha bisogno di danaro?

- È domanda da farsi questa a Don Bosco? rispose. Pensi un po': ho da finire la chiesa del Sacro Cuore a Roma, ho tanti giovani da mantenere e tante altre spese a cui fare fronte.

- Bene, ripigliò il Conte; sappia che una mia vecchia zia voleva lasciarle qualche somma per testamento; ma poi, sapendo essere meglio un lume davanti che due di dietro, mi ha incaricato di portarle senz'altro questo piego.

                Così dicendo, lo rimise a Don Bosco, pregandolo di osservare il contenuto. Doli Bosco lo passò a Don Rua, invitandolo a guardare. Don Rua estrasse e contò sei biglietti da mille.

                Il fatto fu narrato da Don Rua stesso a Don Lemoyne, che ne prese nota e il suo appunto si conserva nei nostri archivi. Dall'insieme non risulta che Don Bosco dicesse al Conte quale uso avrebbe fatto di quel danaro; è anzi cosa da escludere, come si fa manifesto dalla seguente lettera, destinata a servire di ricevuta nei riguardi dell'oblatrice.

 

                                Carissimo Sig. Conte Eugenio,

 

                Nel suo passaggio a Torino si compiacque di venirci a fare una visita, visita veramente di carità.

                Noi ci trovavamo con una scadenza di 6 mila franchi ricevuta alcuni minuti prima ed era appunto uno dei debiti lasciatimi dai nostri Missionari nel partire per la Patagonia; ieri alle 10 del mattino fu saldato quel debito con un'ammirazione del creditore e con meraviglia di me stesso che non credeva poter ancora fare quel pagamento, [296]

                Dio benedica Lei, caro Sig. Eugenio, che ne fu benemerito portatore e benedetta la caritatevole zia che ne fu la generosa donatrice

                Tutti i nostri missionari, tutti i nostri duecentocinquanta mila orfanelli pregheranno che largamente si degni Iddio di compensarli tutti nel tempo e nella eternità.

                In questa medesima occasione debbo compiere un mio dovere quale si è di ringraziarla delli benefizi che fece a tutta la Congregazione Salesiana e ai loro allievi in più circostanze. Noi sentiamo in questo momento la grandezza dei suoi favori per le strettezze in cui versiamo e per la moltitudine di orfanelli che da ogni parte ed incessantemente dimandano salvezza.

                Dio la benedica, sig. Conte Eugenio, e con Lei la Vergine protegga tutta la sua famiglia, li guidi tutti costantemente pel cammino della virtù, fino al Paradiso, ma con Lei e con questo povero scrivente insieme

                È un tempo notabile che non ho più scritto lettere, perciò mi compatisca la mala scrittura ed i pensieri poco ordinati; ciò mi servì d grato trattenimento con chi grandemente amo nel Signore ed ogni giorno faccio un memento particolare nella Santa Messa.

                Sempre contenti quando possiamo vederla o poterla in qualche cosa servire ho l'onore ed il piacere di potermi professare.

                Di V. S. Car.ma

                Torino, 6 Marzo 1887.

 

Umilis.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                L'offerta riuscì dunque doppiamente provvidenziale, perchè servì a saldare un debito urgente che ammontava per l'appunto a seimila lire e rese quindi possibile disporre a suo tempo di egual somma per i primi lavori di Vallecrosia.

                In un frangente di tal natura non poteva Don Bosco non sollecitare la carità delle persone più atte a comprenderlo e più disposte ad aiutarlo. Ecco infatti alcune delle lettere da lui indirizzate allora a benefattrici e a benefattori. Scrisse alla marchesa Enrichetta Nerli fiorentina, una anch'essa delle mamme.

 

Ill.ma Sig.a Marchesa e Car.ma come Madre,

 

                Ho ricevuto in buono stato la importante e grossa cassa di bottiglie di rarissimo ed eccellente vino. Sono un po' mortificato perchè, suo figlio affezionato, come lo voglio essere, dovrei io medesimo offerirlo alla caritatevole madre mia. È di ottimo gusto e di ottima qualità. [297]

                La vita che questo liquore prezioso mi prolunga è senza dubbio fra gli altri doni che mi fa. Dio sia in ogni cosa benedetto, e benedetta la sua grande carità, specialmente in questi calamitosi momenti, che certamente non avrei osato a farne spesa. Le case di Liguria, parecchie orfanelle ed orfanelli colle nostre suore disperse, mi riducono in istrettezze tali che finora non ho mai provato. Ma Dio ci ha sempre sostenuti, Maria ci ha sempre protetti e la nostra fiducia non verrà mai meno. Ella però ci voglia aiutare colle sue sante preghiere; e così le professiamo in tutte le cose la più sincera gratitudine, e nella speranza di poterla ossequiare personalmente reputo a prezioso momento potermi dire ora e sempre suo

                Torino, 3 marzo 1887.

 

Umil.mo figlio

Sac. Gio. Bosco.

 

                In risposta la Marchesa gli mandò cinquecento lire. Il Santo, accusandone ricevuta, la ammonì di far presto a stendere il suo testamento: non tardasse di un sol giorno, perchè altrimenti sarebbe rimasta come Giobbe e morrebbe abbandonata da tutti senza poter più disporre di nulla. La signora non prese alla lettera il consiglio; perciò avvenne che, caduta inferma verso la fine di marzo, i servi e il medico la isolarono da ogni genere di persone. Anche al Direttore della casa di Firenze, che voleva visitarla, fu vietato l'accesso. Morta che fu, l'abbandonarono interamente, sicchè dovette Don Febbraro fare la guardia al cadavere. Di valori nulla si trovò o meglio nulla si seppe; la pingue eredità, della quale essa intendeva che beneficiassero opere pie, andò a finire nelle mani di parenti remotissimi.

                Benefattore costante e generoso era sempre il genovese Oneto Dufour. Anche a lui scrisse con la sua consueta semplicità:

 

                                Stimat.mo Sig. Oneto Dufour,

 

                Non le cagioni meraviglia se questo povero prete fa eziandio ricorso alla sua carità che mi è assai conosciuta. Io mi trovo di averne grande bisogno. Le nostre case furono in Liguria tutte più o meno danneggiate dal disastro del terremoto: ma l'istituto delle orfanelle, le scuole, la casa e la chiesa di Valle Crosia presso Ventimiglia furono [298] rovinate e dimandano di essere riparate e rifatte prontamente. In questo momento io sono privo di mezzi pecuniarii, e se Ella può venirmi in aiuto, mi raccomando per amor di Dio. Certamente Maria la ricompenserà con grazie speciali che spanderà copiose sovra di tutta la sua figliuolanza e sovra il resto di sua famiglia.

                Dio la benedica e la conservi in buona salute, mentre ho l'onore di professarmi con gratitudine.

                Di V. S. Stimat.ma

 

                [Senza data].

 

Obb.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Sono vecchio e semi - cieco, perciò compatisca la cattiva scrittura.

 

                A Genova era pure il signor Raffaele Cataldi, ricco banchiere e caritatevole cristiano. Teatro del disastro essendo stata la Liguria, il Santo vide in questa particolarità un motivo di più per invocarne il soccorso[223].

 

                                Car.mo Sig. Raffaele Cataldi Banchiere,

 

                È già passato buon tratto di tempo senza che avessi l'onore di poterla riverire personalmente, ma non ho mai dimenticato di pregare ogni giorno per lei e per tutta la sua famiglia. Ora un motivo assai grave mi fa ricordare Lei e la sua carità. Il testè avvenuto disastro del terremoto ha più o meno danneggiato tutte le nostre case di Liguria; ma il nostro Ospizio, Chiesa, scuole di Valle Crosia presso Ventimiglia furono rovinate. Esse dimandano pronta riparazione e nuove costruzioni. Io non posso provvedere a questi bisogni in questo momento di tante miserie. Ella, potrebbe venirmi in aiuto? lo mi raccomando per amor di Dio che certamente la ricompenserà largamente.

                Io sono divenuto vecchio e semi - cieco, perciò compatisca questa mia mala scrittura,

                Io ricordo la sua famiglia e il santo di Lei genitore. Pregherò ben di cuore la Santa Vergine, affinchè tutti li protegga e li guidi sempre per la via del Cielo. Amen.

                Con somma gratitudine le sarò sempre in G.

 

                [Senza data].

 

Obb.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.[299]

 

                Don Varettoni, prevosto di Rio S. Martino nel circondario di Mirano, provincia di Venezia, gli aveva spedito spontaneamente una buona offerta; onde così lo ringraziava.

 

                                Car.mo Sig. Prevosto,

 

                Io non posso ammirarne abbastanza la sua carità ed il distacco con cui la fa.

                Nei bisogni gravi ed urgenti in cui mi trovo la sua offerta sarà in modo speciale ricompensata. Il suo nome è già registrato fra gli insigni benefattori dei nostri orfanelli. Io benedico Lei e la sua carità: ma lodo altamente il suo coraggio, perchè Ella stessa fa le opere, senza aspettare che altri le faccia dopo di Lei come fanno taluni, che per lo più restano ingannati.

                Noi pregheremo tanto per Lei ed Ella mi ami in Gesù e Maria. Non avremo la consolazione di vederla almeno una volta fra noi?

                Maria ci guidi tutti al Cielo.

                [Senza data].

 

Obb.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Ad una marchesa Taliacarne, Figlia della Carità, nell'ospedale torinese di S. Giovanni, fece umile istanza di qualche soccorso. Dal contesto si vede che essa aveva la possibilità e la buona volontà di largheggiare in beneficenza.

 

                (Senza intestazione),

 

                Permetterà, o Signora Marchesa, che anche questo povero prete faccia ricorso alla sua carità in favore de' suoi orfanelli. Le case nostre furono tutte o più o meno danneggiate dal disastro testè avvenuto pel terremoto; ma quelle di Valle Crosia presso Ventimiglia furono rovinate. Chiusa la chiesa, sospese le scuole, disperse le orfanelle dell'ospizio e le nostre suore inviate in altri paesi. Si richiede o pronta riparazione o nuova costruzione. In questo [momento] sono privo affatto di mezzi pecuniari. Potrebbe colla sua grande bontà venirmi in aiuto per amor di Dio? Io pregherò di cuore per Lei e farò eziandio pregare questi miei orfanelli affinchè sia largamente ricompensata e Maria SS.ma la guidi sicura per la strada del Cielo.

                Con somma gratitudine ho l'onore di potermi professare

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 30 marzo 87.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco. [300]

 

                La religiosa gl'inviò qualche giorno dopo un'offerta di cento lire. Don Bosco le rispose con questa lettera di ringraziamento.

 

                                Ill.ma e Ben.ta Sig.a Marchesa,

 

                Ho ricevuta con vera gratitudine la generosa offerta di L. 100 che V. S. nella sua grande carità degnossi di fare pei nostri orfanelli.

                Io le sarò ognora riconoscentissimo e pregherò sempre il Signore per Lei e secondo tutte le pie sue intenzioni. Intanto i nostri orfanelli da V. S. soccorsi in questi critici momenti hanno subito cominciato preghiere speciali e fervorose comunioni nel Santuario di Maria Ausiliatrice secondo il di Lei desiderio. Ed io ho piena fiducia che saremo esauditi. Dio la benedica, benemerita Sig.ra Marchesa, e la ricompensi largamente di quanto fa pei nostri orfanelli.

                Mi raccomando ancora alla carità delle sue sante preghiere, mentre con la più viva riconoscenza mi professo

                Di Lei

                Addì 4 aprile 1887.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Dopo un cataclisma così vicino le oblazioni ordinarie diminuirono necessariamente di molto all'Oratorio. Dalla Liguria non veniva più nulla; dalle altre parti della penisola veniva poco, essendo la carità pubblica rivolta a lenire le sofferenze dei danneggiati. Don Bosco, meditando sul come trovare i mezzi per sostenere le sue opere, fece conoscere a tutti i superiori della casa il suo desiderio che ognuno s'ingegnasse di ottenerne da amici, benefattori e conoscenti, rappresentando loro in quali angustie versasse Don Bosco. Questo però non gli aveva impedito, come dicevamo, di aprire le sue case a una dozzina di poveri ragazzi abbandonati. Anche allora si ammirarono tratti speciali della Provvidenza. Il 4 marzo egli disse a Don Viglietti: - Stamane occorrevano duemila lire, ed ecco arrivare da persona ignota un vaglia di mille; le altre mille prima di notte arriveranno. - Arrivarono difatti verso sera.

                Quel giorno il savonese signor Martinengo, prete della Missione, si presentò a lui per domandargli se potesse recarsi [301] senza pericolo presso la sua famiglia. Don Bosco gli rispose che andasse pure tranquillamente, purchè portasse con sè medaglie di Maria Ausiliatrice da distribuire fra i parenti con la raccomandazione che frequentassero i sacramenti; a questa condizione nessun danno avrebbero più ricevuto dal terremoto. La medesima cosa fece raccomandare ai collegi della Liguria.

                Con tante preoccupazioni non c'è da stupire che l'addolcirsi della stagione, anzichè lenirgli le sofferenze, sembrasse da prima acuirgliele. La sera del 5 aprile stette assai male. Rimase affatto senza parola, respirava affannosamente, non poteva muovere le membra. Fu subito svestito e messo in letto come un bambino. La mattina seguente non potè celebrare. Alzatosi tardi, prese un tantino di ristoro; ma non lo ritenne. Verso mezzogiorno ripigliò alquanto le forze, sicchè, facendosi coraggio e dicendo di sentirsi meglio, andò a tavola con gli altri; ma poi fu costretto a coricarsi molto per tempo. Il 7, giovedì santo, celebrò nella sua cappella privata, dove, comunicati i segretari, conservò sacre specie, perchè voleva fare il dì appresso la santa comunione.

                Alla metà di aprile si trovava a Torino il principe Augusto Czartoryski. Accortosi che la salute di Don Bosco andava sempre più declinando, aveva stabilito di fare sotto la  sua direzione un ritiro spirituale per poter decidere definitivamente sul proprio avvenire. Nei numerosi abboccamenti avuti con lui moltiplicò le insistenze per essere accettato subito fra i Salesiani. Don Bosco, sempre lodando il suo proposito di abbandonare il mondo per abbracciare la vita religiosa, lo invitava a considerare se non gli convenisse meglio entrare nella Compagnia di Gesù o nell'Ordine del Carmelo; ma il giovane signore, che aveva visitato molte comunità religiose, diceva che in nessun luogo fuorchè nella Congregazione Salesiana gli sembrava di poter trovare la pace da gran tempo sospirata. - La Congregazione Salesiana non è fatta per lei  gli veniva ripetendo il Santo. Era l'ultima prova, [302] alla quale Dio sottoponeva quell'anima eletta. Fedele alla grazia e sostenuto da una fiducia incrollabile nel divino aiuto, egli in ogni colloquio tornava sempre al medesimo punto. Finalmente, imploratane la benedizione, partì per Roma, precedendovi di alcuni giorni l'arrivo del Servo di Dio, presso il quale noi lo ritroveremo; poichè Don Bosco era ormai risoluto di affrontare quel viaggio per assistere alla consacrazione della chiesa del Sacro Cuore.

 

 

CAPO XIII

Ultimo viaggio del Santo a Roma.

 

                Non è punto inverosimile che Don Bosco, tanto malandato in salute, pensasse di poter confidare sicuramente in uno speciale aiuto della Provvidenza Divina, esponendosi ai disagi di sì lungo viaggio; ci conferma in questa ipotesi il vedere com'egli non intendesse di compiere il percorso nel più breve tempo, ma divisasse di moltiplicare le fermate per profittarne secondo i bisogni della sua Opera. Infatti ancor prima di partire da Torino indisse ai Cooperatori Liguri una conferenza in Sampierdarena, invitandoli colà mediante una circolare che fu spedita dall'Oratorio il 18 aprile[224].

                La partenza avvenne la mattina del 20. “Partì da casa, scrisse Don Lazzero[225], che pareva non potesse resistere al viaggio nemmeno sino a Moncalieri”. Accompagnato da Don Rua e da Don Viglietti, si lasciò adagiare in una carrozza di prima classe. Il capostazione di Torino fece ancora di più, conducendolo in uno scompartimento riservato e ingiungendo al personale viaggiante di usargli ogni riguardo. Tanta cortesia era dovuta al commendatore Stanzani, direttore generale delle ferrovie, che gliene aveva fatta calda raccomandazione.

                A Sampierdarena giunse felicemente. I giovani dell'ospizio, che lo aspettavano ansiosi, lo accolsero con filiali dimostrazioni di affetto. Il buon Padre non solo non si mostrava [304] stanco delle tre ore e mezza di viaggio, ma sembrava rinvigorito, a segno che passò in mezzo agli alunni lieto e sorridente e, condotto nel refettorio, pranzò con buon appetito, mostrandosi di ottimo umore. Fu una vera gioia per tutti.

                Ma il giorno dopo le cose cambiarono alquanto, come si vide durante la celebrazione della Messa, che gli costò molta fatica; tuttavia diede udienza finchè potè alle persone che riempivano la casa. Nel pomeriggio una superba carrozza a due cavalli mandatagli dal signor De Amicis, cooperatore salesiano, lo portò a Genova. Gran moltitudine di gente stava affollata sul suo passaggio lungo la via che scende alla chiesa di S. Siro, scelta anche questa volta per la riunione. Il vasto tempio divenne angusto a contenere i tanti che fecero a gara per conquistarvi un posto.

                Quando il Servo di Dio apparve nel presbiterio fra uno stuolo di ragguardevoli personaggi, un lieve mormorio corse per le navate e tutti gli sguardi erano fissi là dov'egli si assise ad ascoltare il discorso. Passarono pochi minuti, ed ecco arrivare l'Arcivescovo con le primarie notabilità del clero diocesano. L'incontro dei due venerandi uomini sollevò negli astanti un'onda di commozione.

                Tosto ebbe principio la cerimonia. Un alunno dell'ospizio di Sampierdarena lesse un tratto della vita di S. Francesco di Sales, poi salì sul pulpito monsignor Omodei Zorini, uno dei più eloquenti oratori sacri di quel tempo. Egli che amava teneramente Don Bosco, spiegò tutta la sua facondia a descriverne e magnificarne l'opera. Non poteva non parlare del recente disastro che aveva colpito la Liguria e danneggiato cotanto gl'istituti salesiani della riviera. La questua fatta dai giovani cattolici del Circolo Beato Carlo Spinola fruttò milletrecento lire, oltre alle somme raccolte alla porta della chiesa prima della conferenza o recate in seguito da pie persone a Don Bosco stesso. Finita la cerimonia, egli impiegò [305] quasi un'ora per raggiungere la sacrestia, tanta era intorno a lui la ressa dei devoti. “Quel caro Don Bosco, scriveva l’Eco d'Italia del 22 aprile, con quel suo volto bonario, con quel suo riso di santo, chi, chi non andò ieri a vederlo? Egli è vecchio, è affranto nel corpo e non cammina più se non sorretto, ma quanta giovinezza in quella sua mente che pare preoccupata di dover pensare a tante cose, di dover stare alto alto per poter guardare quanto più può lontano! [...]. Tutti volevano sentire una sua parola, tutti baciargli la mano o per lo meno la veste, ed egli abbadava a contentar tutti leggermente sorridendo e tranquillo. - Egli è un santo - si diceva da tutti” .

                Prolungò ancora di un giorno e mezzo la sua dimora a Sampierdarena, nel qual tempo le udienze si succedettero per ore e ore. “Poverino! esclama Don Viglietti nel diario sotto il 22. È stanco! Vi furono dei momenti nei quali rimase quasi senza respiro”. Due volte la moltitudine impaziente, aperta la porta della sua camera, irruppe su di lui, gettandosi poi in ginocchio. Si assalivano qua e là nelle scale e nei corridoi le persone di casa per ottenere di essere ammessi a vederlo.

                L'entusiasmo popolare veniva alimentato da voci che riferivano straordinarie grazie temporali e spirituali. Un'ammalata, ricevuta la benedizione, si riebbe d'un tratto, dicendosi guarita. Un tal Pittaluga fu Giuseppe di Sampierdarena non si accostava più da trent'anni ai sacramenti. Benchè allora fosse in punto di morte, non dava segno di resipiscenza. I suoi familiari lo raccomandarono a Don Bosco, che promise di pregare secondo la loro intenzione. Ebbene l’infermo, deposta la sua ostinatezza, si confessò e ricevette la santa comunione. Don Viglietti aveva visto l'anno precedente portare a Don Bosco un ragazzo in pessime condizioni di salute; lo rivide allora venire da sè a ringraziarlo, in ottimo stato. Una signora gli presentò un suo figlio, dicendo che era un gran discolo e che formava la disperazione della famiglia, nè voleva sapere di sacramenti o pratiche religiose. Don Bosco lo be nedisse. [306] Oh mirabile effetto! Il giovane, uscito di là come un agnellino, la dimane tornò sereno in volto e pieno di contentezza dopo essersi confessato e comunicato. La madre chiese per lui una seconda benedizione, che gli ottenesse il dono della perseveranza.

                Porremo qui il racconto di una curiosa profezia, della quale non abbiamo potuto accertare la data, ma riferentesi a Sampierdarena. Una cognata del salesiano Don Borio in un suo incontro con Don Bosco erasi sentita dire da lui: - Voi, quando sarete vecchia, verrete ad abitare nella nostra casa di Sampierdarena, dove avrete per compagna una Capra... Non mica, veh, di quelle che mangiano l'erba, ma una Capra con due gambe... Vi farete compagnia anche in morte. - La signora, essendo stata sempre benefattrice dei Salesiani, allorchè in vecchiaia restò sola al mondo, ottenne facilmente di ritirarsi colà presso le Figlie di Maria Ausiliatrice, con le quali visse gli ultimi dieci anni. Una suor Olimpia era la sua compagna prediletta; chiamandola sempre suor Olimpia, non sentì mai il bisogno di conoscerne il cognome fin verso il termine de' suoi giorni. Orbene suora e signora ammalarono entrambe ai primi di gennaio del corrente anno 1936, entrambe peggiorarono in un batter d'occhio, si spensero entrambe a sole quattro ore di distanza nel dì dell'Epifania. Suor Olimpia aveva cognome Capra.

                Nel pomeriggio del 22, salito in carrozza con Don Belmonte e Don Viglietti, andò a Sestri Ponente per fare visita alla benefattrice Luigia Cataldi. Sul punto di congedarsi la signora gli domandò: - Mi dica, Don Bosco, che cosa debbo fare io per assicurarmi la salvezza eterna? - È molto probabile che ella si aspettasse qualche consiglio spirituale di vita ascetica o fors'anche una parola rassicuratrice; ma Don Bosco, con aspetto sostenuto, le rispose: - Lei per salvarsi dovrà diventare povera come Giobbe. - Sotto forma iperbolica egli ripeteva il suo noto concetto sulla misura dell'elemosina che i ricchi sono tenuti di fare, se non vogliono venir [307] meno alla missione sociale affidata loro dalla Provvidenza. La buona signora a quell'uscita rimase sconcertata, sicchè lì per lì non sapeva più che fare nè che dire. Quando furono fuori del palazzo, Don Belmonte che era stato nell'antisala e all'aprirsi della porta aveva afferrato le ultime parole di Don Bosco, gli chiese come mai gli fosse bastato l'animo di tenere un simile linguaggio con una persona che pure faceva tanta elemosina. - Vedi, gli rispose Don Bosco, ai signori non c'è nessuno che osi dire la verità.

                A ribadire e a chiarire sempre meglio il pensiero di Don Bosco in tema di elemosina, non sarà fuori di proposito prendere nota qui di una sua manifestazione ricordata recentemente a Marsiglia. In un discorso tenuto ivi per la distribuzione dei premi agli alunni dell'oratorio di S. Leone, il signor Abeille, presidente della Società marsigliese per la tutela del commercio, narrò un episodio, del quale era stato testimonio da giovinetto. Una delle volte che Don Bosco, visitando la casa della Navarra, si recò alla vicina Hyères, godette dell'ospitalità offertagli dall'Abeille padre. Questi la sera a tavola si mostrava meravigliato della pesca miracolosa fatta dal Santo nella chiesa parrocchiale dopo un suo sermoncino ai fedeli; poichè, mentr'egli si aggirava fra l'uditorio con il vassoio in mano, i signori vi vuotavano dentro i portafogli e tante signore, non avendo altro da dare, vi deponevano ornamenti preziosi. Don Bosco, non che condividere quelle meraviglie, trovava la cosa naturalissima, dovendo il superfluo andare tutto in carità. Anzi giunse a dire: - Veda, signor Abeille, quando Ella abbia messo da parte cento franchi al mese, e cento franchi al mese sono molto, il resto lo deve dare a Dio.

- Con milleduecento franchi all'anno di risparmio, rispose quegli, non si tira avanti, quando ci sono otto figli da allevare.

 - Io ne ho migliaia da allevare, soggiunse Don Bosco.

 - Oh, a questo modo, replicò l'altro, il Papa ne ha molti più di lei: non a migliaia li conta, ma a milioni. [308]

- È vero, confermò Don Bosco, ma il Papa non li mantiene[226].

                A taluno potrà sembrare dura la dottrina del Santo in materia di ricchezze[227]; ma c'è in proposito una dottrina evangelica, la quale non dà ansa a facili accomodamenti. Dice il Signore[228]: In verità vi dico, che un ricco malagevolmente entrerà nel regno dei cieli. E da capo vi dico: E più facile che un camello passi per la cruna di un ago di quello che un ricco entri nel regno dei cieli. Commenta il Curci, seguendo S. Giovanni Crisostomo: “Qui Gesù ha voluto rivelare ai suoi il tremendo, insormontabile ostacolo, che frappongono alla salute le ricchezze per loro medesime, di loro natura, senza alcun riguardo alle peculiari disposizioni di coloro, che le posseggono”. Don Bosco che mirava in tutto e soprattutto alla salvezza delle anime, ricambiava santamente i benefizi, aiutando i suoi benefattori ricchi a sormontare il tremendo ostacolo.

                Lasciava Sampierdarena verso il tocco del 23, senza che per l'opprimente stanchezza potesse confortare di qualche alimento lo stomaco. Attraversò il cortile pieno di forestieri, che s'inginocchiarono coi giovani per ricevere la sua benedizione; altri molti lo attendevano alla ferrovia. Anche qui, grazie alle premure, di cui gli si mostravano larghi gl'impiegati, potè godere con i suoi due compagni di uno scompartimento riservato nella prima classe.

                Era diretto alla Spezia. Ivi giunto, benchè fosse ancora digiuno, si prestò con la inalterabile sua amabilità alle cortesi manifestazioni di cittadini venutigli incontro e poi alle festose accoglienze dei giovani. Fu visitato la sera stessa dal comandante dell'arsenale marittimo. Il dì appresso visitò il Vescovo di Sarzana, monsignor Rossi dei Predicatori. Dopo si succedettero senza interruzione a porgergli il loro saluto sacerdoti [309] e laici, fra i quali ultimi si videro numerosi ufficiali. Il Direttore diede un solenne pranzo, a cui parteciparono autorità di ogni categoria, ecclesiastiche, civili, militari. “Fu veramente una bella giornata, scrisse Don Viglietti. Tutte le autorità della Spezia vennero a ossequiare Don Bosco e pranzarono con lui. Erano proprio tutti entusiasmati di lui, ne parlavano con venerazione e amore [...] e partirono tardi a malincuore, proferendoglisi umili servi in tutto  che fossero capaci. Ritornarono la più parte a fargli visita”. A mensa egli aveva parlato stupendamente, lasciando ammiratissimi i convitati, che lo proclamarono uomo veramente grande. La  mattina del 25 fu dedicata ai Cooperatori, che però non accorsero soli a udire la parola di Don Rua, ma in compagnia di altri distinti signori e di graduati della marina militare. Terminata la conferenza, Don Bosco impartì la benedizione di Maria Ausiliatrice; indi si sedette là per contentare la gente che voleva accostarsi a lui, baciargli la mano e dirgli una parola. Gli si avvicinarono ivi fra gli altri il commendatore Polino, comandante generale dell'arsenale, e i colonnelli Castellaro e Scapparo; cosa affatto inaudita a quei tempi in Italia, che alti ufficiali e impiegati rendessero così pubblicamente onore a un prete.

                Verso le sedici si partì per Pisa. L'Arcivescovo monsignor Capponi mandò alla stazione il segretario perchè lo conducesse direttamente nell'episcopio, dove lo voleva suo ospite; ma Don Bosco si scusò a motivo della premura che aveva di trovarsi in giornata a Firenze. Erano là anche i confratelli di Lucca, che poterono scambiare con lui appena qualche parola. Sul nuovo treno incontrò il Vescovo di Arezzo, monsignor Giuseppe Giusti, che gli si accompagnò sino a Firenze, dove, prima di proseguire, gli strappò la promessa di una fermata nella sua città alla ripresa del viaggio per Roma.

                A Firenze i Salesiani pensavano di portarlo senz'altro nella loro casa; ma dovettero fare i conti con la mamma fiorentina, la contessa Uguccioni, che, impedita di muoversi, [310] aveva mandato alla stazione alcuni parenti con l'ordine di condurlo al suo palazzo in via degli Avelli. Paralizzata alle gambe, essa non poteva più fare un passo; tormentata inoltre da angustie di spirito, riceveva sempre intimo conforto dalle lettere di Don Bosco, ma assai più dalla sua viva voce.

                Nei tre giorni passati presso di lei celebrò ogni mattina nella sua cappella privata. A servirgli la Messa venivano dal collegio due ragazzi accompagnati da Don Filippa, che quindi si trovava presente quando le due venerande persone s'incontravano e si davano il buon giorno dinanzi alla soglia del santuarietto domestico, l'uno sorretto da Don Viglietti e l'altra spinta su d'una carrozzella. La prima volta la Contessa sembrava un'anima in pena; le si leggeva la malinconia sul volto.

- Buon giorno a lei, signora Contessa, le disse festevolmente Don Bosco. S'ha a fare un balletto?

- Oh Don Bosco! rispose ella. Come lei vede!... Poverina me!...

- Bene, bene, riprese il Santo, non si sgomenti, signora Contessa... Si farà poi in paradiso...

                Fortunatamente le giornate fiorentine di Don Bosco non furono disturbate da straordinari incomodi, il che permise udienze in buon numero. Il Direttore aveva disposto benino le cose, scrivendo lettere d'annunzio alle primarie famiglie della città; perciò o nella dimora opistale o nell'istituto di via Fra Angelico era un continuo giungere di carrozze, che conducevano signori e signore dell'aristocrazia e ragguardevoli prelati. Anche l'Arcivescovo monsignor Cecconi ebbe la grande bontà di prevenirlo, recandosi sollecitamente da lui nel collegio. Monsignor Velluti - Zati, duca di S. Clemente e vescovo titolare di Orope, mise a sua disposizione il proprio cocchio per tutto il tempo che egli stette a Firenze.

                L'ultimo giorno, 28 aprile, Don Bosco non pranzò, come di solito, nella casa dell'Immacolata, ma dalla Contessa, per essere più vicino alla stazione. A tavola essa ricordò con tutti [311] i particolari ai commensali il fatto del figlioccio richiamatole in vita da Don Bosco venti anni prima. Mentr'ella parlava, Don Bosco stette sempre a fronte bassa, arrossendo e tacendo. La caritatevole signora, persuasa che non l'avrebbe mai più riveduto, fece tutto il possibile per trattenerlo ancora a Firenze, promettendogli financo mille lire per ogni giorno di ulteriore dimora. - Ella conosce la mia povertà, le disse egli, e i molti bisogni de' miei giovanetti. La ringrazio di sì buone disposizioni del suo cuore caritatevole. Il povero Don Bosco non può in questo momento fare come vorrebbe. Ha un impegno che non ammette dilazione, la consacrazione della nostra chiesa a Roma; devo necessariamente trovarmi là qualche giorno prima. - Generosa come sempre, la Contessa fece un grande atto di rassegnazione, rendendolo ancor più meritorio con una bella offerta[229].

                L'invito del Vescovo di Arezzo offriva a Don Bosco un doppio vantaggio. Primieramente gli dava modo di non fare tutto d'un fiato il resto del viaggio, il che l'avrebbe stancato di soverchio; poi, non essendo guari conosciuto in quella città, sperava di prendersi qualche riposo prima di arrivare a Roma, dove prevedeva di non poter più avere una giornata di libertà. Per tali motivi fece assai volentieri quella fermata.

                Alla stazione di Arezzo egli ebbe un commovente incontro. Il capostazione, appena lo vide e lo riconobbe, corse verso di lui, lo abbracciò, poi piangendo dalla gioia disse agli astanti: - Io era un ragazzaccio a Torino per le strade senza babbo e senza mamma. Questo santo prete mi raccolse, mi educò, m'istruì in modo che io ho potuto raggiungere il posto che presentemente occupo e dopo Dio devo a lui solo, se ora mangio un pane onorato. - Quanti udirono le sue parole, ne rimasero così tocchi, che vollero tutti baciare la mano del Santo[230]. [312] Il Vescovo, uomo tutto di Dio e morto povero sebbene avesse una mensa largamente provvista, colmò Don Bosco d'onori e di riguardi. Lo mandò a prendere con un superbo cocchio, favoritogli da una nobile famiglia cittadina. Nel palazzo vescovile radunò tutto il seminario per dargli il benvenuto. Cenò con lui e con i suoi compagni e verso la mezzanotte lo condusse egli stesso nella camera detta di Pio VII e tenuta sempre chiusa, dopochè il grande Pontefice nel suo trionfale ritorno alla città eterna vi aveva passato la notte. Un giovane prete, sorpreso per tale trattamento, disse a Monsignore: - Perchè tanti onori? Se fosse vescovo o cardinale, transeat; ma un semplice prete...

 - È più che un vescovo, più che un cardinale, gli rispose; è un santo.

                Quel prete, che si chiamava Angelo Zipoli, non poteva allora immaginare che quindici anni dopo, sospinto dalla memoria dell'antico santo ospite del suo Vescovo, avrebbe rinunziato a onorifiche mansioni per venire a far parte della sua famiglia religiosa.

                Ad Arezzo Don Bosco trascorse in perfetta quiete tutto il 29 aprile; una passeggiata fatta nelle ore vespertine col Vescovo per le ridenti campagne circostanti, un po' camminando a piedi, un po' andando in carrozza, gli recò notevole sollievo. Rientrato che fu, il suo pensiero lo richiamò all'Oratorio. Essendo imminente il mese di maggio, volle che Don Viglietti scrivesse a Don Lemoyne, esprimendogli il suo desiderio che radunasse a conferenza i giovani della quarta ginnasiale e dicesse loro che Don Bosco pensava ad essi, che li salutava, che li esortava a far bene il mese di Maria, e aggiungesse quanto altro di buono quel sì fedele interprete del cuore di Don Bosco sapesse escogitare.

                Quattro rappresentanti del clero diocesano vennero a rendergli omaggio. Don Bosco, uditi i loro complimenti, li invitò a iscriversi fra i Cooperatori, della quale istituzione essi ignoravano l'esistenza. Egli, spiegato che cosa fossero, chiamò [313] Don Rua e gli dettò i nomi dei presenti[231]. Uno di loro, presa confidenza, gli domandò perchè mai egli, così sofferente come appariva, si fosse azzardato a fare un viaggio tanto lungo. Rispose: - Che volete? È un comando del Papa, e al Papa non si può dire di no. Fra pochi giorni avremo la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio. Il Papa, saputo ciò, disse al nostro superiore locale. - "È Don Bosco viene alla consacrazione? ". Avendogli quegli risposto che le mie condizioni dì salute non me lo avrebbero permesso: "No, disse il Papa. Voglio che venga. Scrivetegli che se non viene, non gli firmo il passaporto pel paradiso ". Vedete bene che è anche mio interesse andar a prendere un documento così prezioso, di cui avrò bisogno certamente e fra non molto. L'Arciprete di Capannole, che ci descrive questa visita, afferma che le parole di Don Bosco sono da lui riferite “testualmente”. Dunque, cosa che non avremmo saputo da altra fonte, il penoso viaggio fu in sostanza per Don Bosco un atto di obbedienza al Papa.

                Partì per Roma la mattina del 30, giungendo alla stazione di Termini poco dopo le 15. Mentre sorretto moveva a stento i passi verso l'uscita, dispensava buone e talora lepide parole a tutti quelli che gli erano venuti incontro. Gli si presentarono pure due sorelle ch'ei riconobbe, e gli dissero che, se permetteva, sarebbero andate a visitarlo. Don Bosco sorridendo rispose: - Per far visita a Don Bosco in Roma ci vogliono da dieci a dodici mila lite. - Ma tosto ripigliò: - A loro tuttavia darò udienza anche gratuitamente.

                Entrò in casa da via Magenta. La porta era adorna di festoni, le colonne dell'atrio vestite di fiori, e dalla parete esterna dell'abside pendeva un'epigrafe che diceva: Roma si allieta e si esalta nell'accogliere tra le sue mura il nuovo Filippo,  [314] Don Giovanni Bosco. Sotto il porticato lo aspettavano i giovani e i superiori. Egli, seduto sopra un'umile scranna, permise a tutti di baciargli la mano; quindi ascoltò amorevolmente canti e letture. Alla fine del trattenimento, mentre saliva i primi gradini per avviarsi al piano superiore, disse in tono faceto a quelli che lo attorniavano: - Mi avete lette delle composizioni parlandomi di tante cose, ma del pranzo non mi avete detto ancora nulla. - Tutti risero e gli si rispose che il pranzo era apparecchiato. Si misero a mensa con lui alcuni signori, fra i quali spiccava l'alta figura del principe Augusto Czartoryski.

                Don Dalmazzo gli presentò anche un ex - allievo dell'oratorio festivo di Torino per nome D'Archino, che, fattosi più tardi coadiutore, morì novantenne nell'ospizio del Sacro Cuore. Il presentato gli disse: - Sono diciotto anni che non ho avuto più la fortuna di vederla. L'ultima volta fu il 28 dicembre 1869, festa di S. Giovanni Evangelista; allora mi confessai da lei nella chiesa di Maria Ausiliatrice.

- E dopo d'allora, gli chiese subito Don Bosco, non ti sei più confessato?

- Sissignore, e più volte, ma non più da lei, perchè stavo troppo lontano.

                Qui, a proposito di confessione, Don Bosco narrò una cosa che noi già conosciamo[232], ma che fu messa in dubbio da taluno e da altri negata come inverosimile. Conviene pertanto che noi riferiamo le sue parole nella forma in cui le udivamo ripetere dal D'Archino, e quali le raccolse dalle sue labbra e le scrisse anche Don Lemoyne. Disse adunque Don Bosco: - La stessa domanda, vedi, l'ho fatta a Sua Eccellenza il Ministro Crispi. Un giorno, dovendo per alcuni affari conferire con lui, andai a trovarlo e appena giunto nell'anticamera, gli uscieri, chiestomi il nome, gli portarono l'imbasciata. Il Ministro, appena udì il mio nome, venne sulla porta del gabinetto, [315] dicendo: "Venga, o caro signor Don Bosco, venga pure avanti; per lei non c'è anticamera ". E appena fui nel gabinetto, continuò: " Non si ricorda quando io in Torino veniva a trovarla in quel bugigattolo e a confessarmi? Oh, lei non mi faceva mai fare anticamera ". Ed io: " Scusi, Eccellenza, dopo di allora non si è più confessato? ". - Don Bosco naturalmente non riferì in quel momento la risposta datagli dal Ministro. Parve inverosimile che il Crispi avesse detto “a confessarmi” e si volle che la sua frase fosse invece “a confidarmi”, non potendosi credere che il celebre esule politico pensasse allora a confessarsi; ma la testimonianza che abbiamo riferita, non si può ragionevolmente infirmare.

                Umanamente parlando, vi era da temere che questa volta Don Bosco a Roma dovesse starsene fra quattro pareti, senza fare nè ricevere visite, confortando i suoi con la pura e semplice presenza, ma la Provvidenza dispose diversamente. Sembrò che gl'incomodi di Don Bosco fossero passati in Don Rua, il cui stato destava inquietudini, perchè colto da fiera lombaggine e travagliato da altri inali. “Chi sta meglio di noi tutti, scriveva Don Viglietti[233], è Don Bosco, che è in faccende per i suoi figli. Scrive lettere, dà udienze ed è pieno di vita”. Mettiamo pure che in questo ottimismo del segretario ci sia dell'esagerazione; ma certo è che potè subito nei primi giorni ricevere illustri visitatori, come il suo grande amico l'arcivescovo Kirby, l'arcivescovo Dusmet di Catania, la marchesa Vitelleschi, il conte Antonelli, il nipote del Papa conte Pecci, i cardinali Ricci Parracciani, Mazzella, Aloisi Masella, Rampolla, Bartolini, Laurenzi, Verga. Il futuro cardinale monsignor Cagiano de Azevedo gli portò tremila lire per l'altare di Maria Ausiliatrice da erigersi nella chiesa del Sacro Cuore. Tutti questi personaggi non si limitavano a spiccie visite di convenienza; ma, accolti con molta cordialità, godevano d'intrattenersi con lui talvolta anche più di [316] un'ora. Più tardi affluirono camerate di seminaristi e gruppi di religiosi.

                Assiduo presso Don Bosco era il Czartoryski, il quale sperava di trovare a Roma la via per raggiungere il suo ideale di vita religiosa. Partito da Torino senz'aver ottenuta una parola decisiva e fermo nel proposito di non lasciare l'Italia senza conchiudere l'affare, pensava di mettere la sua sorte nelle mani del Papa. Con questo intendimento non gli parve troppo lungo l'attendere per un buon mese l'opportunità e l'onore di un'udienza pontificia. Non fu ricevuto se non dopo la consacrazione della chiesa, allorchè Don Bosco era già a Valdocco. Anche Leone XIII, avuto riguardo alla sua alta condizione, gl'insinuò di preferire la Compagnia di Gesù, come più adatta; ma, udito che nessun ordine appagava i suoi desideri quanto la Società Salesiana, non solo non insistette, ma approvò il suo disegno. Sentendo poi che Don Bosco esitava ad accettarlo, riflettuto un momento, gli disse: - Ritornate a Torino, presentatevi a Don Bosco, portategli la benedizione del Papa e gli direte essere desiderio del Papa che vi accetti fra i Salesiani. Siate perseverante e pregate. Avendo il Principe accennato anche a difficoltà provenienti dalla famiglia, il Papa tagliò corto dicendo: - Prima di tutto si faccia la volontà di Dio. - Confortato dalla parola del Vicario di Gesù Cristo, volò a Torino, rivide Don Bosco, il quale più che altro aveva inteso di mettere alla prova la sua vocazione, e tostamente partì per Parigi, dove lo aspettava prova ben più difficile da parte del padre.

                Prima di por termine alla narrazione del viaggio e dell'arrivo di Don Bosco a Roma, un'improvvisa e dolorosa perdita ci richiama momentaneamente a Torino. Mancavano pochi giorni a questo viaggio, quando, presagendo che l'assenza di Don Bosco non sarebbe stata breve, era venuto a fargli visita di saluto e di augurio il teologo Margotti, che dopo un lungo e familiarissimo colloquio gli aveva rimessa un'offerta per la chiesa del Sacro Cuore. Chi avrebbe mai [317] detto che non si sarebbero più riveduti su questa terra? Un malore fulmineo condusse il Margotti alla tomba il 6 maggio fra il compianto dei molti amici e il rispettoso omaggio dei non pochi avversari. Di un così sincero amico e costante benefattore del nostro Santo è giusto e doveroso affidare a queste Memorie un cenno, che ne tramandi il ricordo ai Salesiani delle età venture; tanto più che un oblio generale si è addensato intorno al suo nome, sicchè i giovani di oggi o lo ignorano o lo conoscono male.

                Il Margotti era un ligure di S. Remo. Giornalista nato, fondò a Torino nel 1848 con altri ecclesiastici e laici l'Armonia, dalla quale si separò nel 1863 per creare quell'Unità Cattolica che sotto la sua direzione tenne lungamente il campo nella lotta per la difesa della Chiesa e del Papa conto i liberali di varia tinta, tutti più o meno ostili all'una e all'altro. Con una biblioteca ben fornita e ordinata, con schedari, indici e rubriche, e, quel che più valeva, con una memoria formidabile, con inesorabile copia di fatti e di argomenti che colpivano come frecce, la sua polemica non conosceva esitazioni o mezzi termini, ma vibrava colpi spietati dovunque si annidava un'insidia e contro chiunque movesse attacchi alla fede e alla morale cristiana o alla gerarchia cattolica. In quello scrivere d'impeto oggi si può ben trovare qualche volta da ridire; ma per giudicare equamente bisogna riportarsi a' suoi tempi. In un periodo storico, in cui generose aspirazioni venivano furiosamente o subdolamente attraversate o travisate e l'anticlericalismo settario sembrava etichetta indispensabile del patriottismo, lo sbandamento dei cattolici sarebbe stato assai più disastroso senza l'opera energica di una  stampa quotidiana che senza paura e senza compromessi levasse in alto l'idea papale, stringendo intorno ad essa manipoli di coraggiosi pronti a tutto per la tutela della libertà religiosa. È naturale quindi che egli fosse carissimo ai Pontefici Pio IX e Leone XIII e che l'Episcopato italiano lo riguardasse come il suo miglior paladino. [318] I suoi antagonisti amarono rappresentarlo come acerrimo nemico del risorgimento italiano e i loro epigoni o altri male informati ripetono ancora di tratto in tratto una così sommaria condanna; ma quali fossero i suoi genuini sentimenti, traspare da tre periodi d'una lettera da lui scritta a un amico banchiere il 12 aprile 1876 e posseduta dal senatore Alfredo Baccelli[234]: “Sette secoli fa i nostri Padri inalberavano la Croce sul carroccio, epperò erano grandi e vittoriosi. Oggidì si combatte in nome dell'Italia e della libertà lo stesso Gesù Cristo ed il suo Vicario. Noi veri italiani, sorgiamo in difesa dell'uno e dell'altro, continuando le antiche tradizioni”. Indubbiamente, se fosse vissuto fino al 1929, vedendo riconosciuta dall'Italia ufficiale la sovranità del Pontefice nella forma più adatta ai tempi nuovi, avrebbe benedetto le lotte sostenute per mantener viva nella coscienza dei cattolici l'idea di questa sovranità, nella cui rinascita egli avrebbe salutato l'auspicio del vero risorgimento italiano. Il suo ultimo articolo era appunto intitolato La conversione di Sant'Agostino e la Conciliazione.

                Il forte atleta, quando sentì che la sua fine si avvicinava, fece a Dio l'offerta della vita con una fede e pietà che commossero quanti ne furono testimoni, e con la serena semplicità con cui a Dio aveva consacrati i talenti, le forze e il riposo fino da' suoi anni giovanili. Don Durando telegrafò in questi termini a Don Bosco la luttuosa notizia: “Teologo Margotti morto ore quattro e un quarto. Fui presente. Che santa morte! Quale perdita!”.

                La perdita fu grave anche per Don Bosco. Ordinò subito a Roma e a Torino particolari preghiere. Poi con parola commossa egli manifestò pubblicamente due volte, come vedremo nel capo seguente, il suo cordoglio. Infine il 18 giugno fece [319] celebrare in Maria Ausiliatrice un solenne funerale in suffragio dell'anima sua, pontificando monsignor Leto con l'assistenza di monsignor Manacorda, che ne disse l'elogio funebre[235]. Nella lettera d'invito egli diceva: “Colla morte del Teol. G. Margotti il giornalismo cattolico ha perduto il suo più valoroso campione, il clero un sacerdote esemplare; ma il nostro Oratorio ha perduto inoltre un consigliere, un amico, un benefattore”.

                Ne' suoi quarant'anni di vita giornalistica il Margotti guardò a Don Bosco con crescente stima e venerazione, aiutandolo quanto poteva col suo giornale e col suo danaro; anche nelle disposizioni testamentarie si ricordò di lui, destinandogli un legato di dodicimila lire. Era una delizia per il gagliardo lottatore godere della sua amabile compagnia; quindi tutte le volte che credeva di fargli piacere, veniva a visitarlo. Ne gradiva poi sommamente gl'inviti a mensa, stimandosi a sua volta felice quando potesse averlo seco nelle sue domestiche allegrezze. Nel febbraio del 1886 il Santo, partecipando a una festa intima dell'amico, sedeva al posto d'onore fra gl'invitati e durante il banchetto aveva introdotto a più riprese il discorso del paradiso. A un certo punto gli disse: - Ah! signor teologo, quando saremo là! - Il commensale Don Reffo, futuro Superiore Generale dei Giuseppini, ricordando quella circostanza, soleva dire che dinanzi a tanta insistenza di Don Bosco nel tornare su tale argomento egli aveva pensato fra sè e sè che il Santo prevedesse essere l'ultima volta che si faceva quella festa di famiglia; anzi eragli rimasta nell'animo l'impressione che i giorni del Margotti fossero contati[236].

                Contati sentiva pure Don Bosco nel 1887 di avere dinanzi a sè i suoi giorni. Egli aveva stabilito che la consacrazione della chiesa si compiesse in aprile; ma rimaneva ancora tanto [320] da fare che altri sei mesi non sarebbero bastati a terminare i lavori. Perciò si cercava di persuaderlo che conveniva rimandare a dicembre; se non che non voleva sentir ragioni: bisognava assolutamente non oltrepassare la metà di maggio.

- Va' a Roma, disse un giorno all'economo Don Sala, e procura che per il 14 maggio tutto sia all'ordine. Assolda operai, pagali quanto domandano, raddoppia anche loro la [321] paga ordinaria, purchè la chiesa per quella data si possa aprire al culto.

 - Ma dove trovare i mezzi? obiettò Don Sala.

- Non badare a questo, spendi quanto occorre. E se i dipinti non saranno finiti?

 - Non importa; restino come saranno.

- E se l'altar maggiore non sarà a posto? Se ne farà uno provvisorio di legno.

                Don Sala obbedì. In Roma sembrò a tutti che si volesse l'impossibile. All'arrivo di Don Bosco si lavorò ancor più febbrilmente. Nei dodici giorni seguenti era un andirivieni continuo di operai d'ogni specie. Chi atterrava le intravature dei ponti e portava via gli attrezzi, chi compieva il pavimento marmoreo, chi allestiva altari, chi finiva gli zoccoli, chi ornava di tappezzerie il presbiterio, dove del grande altar maggiore erasi potuta mettere a posto soltanto la mensa con i gradini; non bastando, il giorno, s'impiegarono anche le notti negli ultimi preparativi. Se si fosse aspettato a dicembre, Don Bosco certamente non sarebbe più potuto andare a Roma, com'egli aveva pur detto a chiare note.

 

 

CAPO XIV

Consacrazione della chiesa dei Sacro Cuore.

 

                UN periodico di Roma chiudeva così un articolo, nel quale si annunziava prossima la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore[237]: “In quel giorno quei preti saranno soddisfatti d'aver tirato su un monumento come quello: quel giorno sarà più che una festa religiosa, una vera festa dell'arte”. È una maniera di esprimersi che fa abbastanza comprendere come il foglio fosse di marca tutt'altro che cattolica. Noi Post factum possiamo a buon diritto rettificare dicendo che quel 14 maggio fu insieme festa della religione e festa dell'arte.

                E per cominciare subito dalla festa dell'arte, si vide quanto gli organizzatori ci tenessero a far sì che la musica vi avesse un posto d'onore. Si era ventilata a Torino l'idea di mandare a Roma la schola cantorum dell'Oratorio. Questa massa di cantori sotto la direzione del maestro Dogliani eseguiva in modo inappuntabile le produzioni più difficili, sicchè non aveva da temere confronti; sembrava inoltre cosa bella che la chiesa venisse inaugurata con il canto dei fanciulli cari a Don Bosco. Alle considerazioni ideali si aggiungeva il lato economico, perchè ci sarebbe voluta una grossa somma a scritturare per i cinque giorni di solennità un corpo ragguardevole di buoni cantori romani. Don  Bosco però esitava dinanzi [323] al pensiero della spesa richiesta dal viaggio di andata e ritorno per non meno di ottanta persone. Ma la Provvidenza lo aiutò in forma inattesa e in misura più che sufficiente.

                I Genovesi per i primi di maggio si apprestavano a celebrare con magnificenza il terzo cinquantenario della canonizzazione dì Santa Caterina Fieschi Adorno. La commissione ordinatrice dei festeggiamenti, intendendo dare alle sacre funzioni della cattedrale il maggior lustro possibile, voleva che le accompagnasse musica sceltissima; portò quindi la sua attenzione sui giovani cantori di Valdocco e si rivolse a Don Bosco, obbligandosi naturalmente a sborsare il dovuto compenso. Era quanto di più opportuno si potesse desiderare, nè sorsero difficoltà a intralciar l'affare.

                La numerosa schiera partì in pieno assetto da Torino il 5 maggio, accompagnata da parecchi superiori e guidata dal Dogliani. La componevano trenta soprani, ventidue contralti, nove tenori e sette bassi; la scortavano tre maestri insigni: il Petrali di Bergamo, il Galli di Milano e il Bersano di Torino. A Genova le prove destarono una straordinaria aspettazione. Il Cittadino dell'8 scriveva: “Coloro i quali assistettero ieri alle prove della messa, che sarà eseguita oggi, rimasero addirittura incantati”. Le feste durarono tre giorni, in cui i cantori dell'Oratorio furono fatti segno all'ammirazione della cittadinanza e dei forestieri non solo per la loro valentia, ma anche per il contegno costantemente da essi tenuto in chiesa e fuori[238]. [324]

                C'era l'inconveniente di dover andare dopo la Messa a Sampierdarena per il pranzo e tornare quindi in città per i vespri. Un ricco fabbricante di pianoforti, il signor Giovanni Ferrari, che aveva anni addietro messo un figlio in  educazione a Valsalice, imbandì per i tre giorni le mense all'intera brigata nel suo giardino con una lautezza sontuosa; anzi nel terzo giorno la sua signora consegnò a Don Lazzero una busta, pregandolo di rimetterla a Don Bosco: quando venne aperta, si vide che conteneva la somma necessaria al viaggio di andata e di ritorno per tutta la carovana.

                Il trionfo genovese fu magnifico preludio alle feste romane. Partirono la mattina dell'11 per l'alma città, dove noi li lasceremo andare, tornando a ritrovare Don Bosco presso la chiesa del Sacro Cuore.

                La domenica 8 maggio vi fu dato in suo onore un ricevimento con inviti di signori e monsignori italiani e stranieri, che si assisero con lui a mensa in una vera festa di famiglia. Premeva a Don Bosco dare alle imminenti feste un carattere, diciamo così, internazionale, sia per far comprendere che la sua Congregazione doveva abbracciare tutto il mondo, sia perchè tutto il mondo aveva contribuito all'erezione della nuova chiesa. Verso la fine del banchetto egli prese la parola [325] quasi solo per commemorare il Margotti. Dopo di lui parlarono parecchi in italiano, spagnuolo, francese, tedesco, inglese. Appresso vi fu chi ebbe curiosità di sapere quale fosse la lingua che maggiormente gli piaceva. Egli sorridendo rispose: - La lingua che più mi piace è quella che m'insegnò mia madre, perchè mi costò poca fatica l'impararla e provo con essa maggior facilità a esprimere le mie idee, e poi non la dimentico tanto facilmente, come le altre lingue. - L'ilarità generale e un applauso accolsero la sua risposta[239].

                Ora qui si noti la finezza di Don Bosco. L'8 maggio era la festa dell'Apparizione di S. Michele Arcangelo, onomastico di Don Rua. Il Santo aveva voluto che quell'occasione servisse a presentare nell'ambiente romano il suo Vicario, che perciò nei vari brindisi ricevette complimenti ed elogi. Non basta. A un certo punto, spalancatesi le porte della sala, entrarono giovani cantori della casa, che inneggiarono a Don Rua con una composizione appositamente preparata. Don Rua ringraziò con un'affettuosa semplicità di linguaggio che piacque a tutti i commensali, terminando con chiedere licenza di poter distribuire un confetto a ciascuno dei cantori.

                La processione delle visite continuava senza posa. La mattina dell'11 Don Bosco ricevette il comitato delle dame cooperatrici, i più bei nomi dell'aristocrazia romana. Prima ascoltarono la sua Messa, indi lo accompagnarono nel refettorio, dove fu servito il caffè. Dopo breve conversazione le benedisse e diede loro alcune medaglie d'argento. Don Viglietti, fatta menzione di questo ricevimento e registrati i nomi delle intervenute, scrisse nel diario: “Don Bosco è stanchissimo, prostrato di forze e dice di non attendere che il felice istante di rivolare a Torino fra i suoi giovani, dove spera di andare il giorno 17 facendo una sola fermata a Pisa” . Ma troppo gli rimaneva ancora da faticare. [326] Al rito della consacrazione precedette il collaudo dell'organo. L'organo del Sacro Cuore veniva dopo centoventi altri costruiti dal Bernasconi di Varese, la cui riputazione in questo genere di lavori aveva varcato le frontiere d'Italia e d'Europa. Collaudatori furono il Petrali, già direttore del liceo musicale di Pesaro, il Renzi, primo organista della Basilica Vaticana, e il Bersano, ex - allievo di Don Bosco e organista della Metropolitana di Torino. Aderirono all'invito di parteciparvi anche il Capocci, organista di S. Giovanni in Laterano, il Moriconi, direttore dell'orchestra di Santa Maria Maggiore, e altri rinomati maestri. Gli esperimenti si ripeterono mattino e sera nei giorni 12 e 13 con l'esecuzione delle più svariate e difficili melodie sinfoniche. Il pubblico vi accedeva mediante biglietto d'invito personale, che recava in calce: “Si prega di un'elemosina nell'ingresso per le spese di questo organo”. Il concorso durò numerosissimo dal principio alla fine.

                Allorchè tutto fu terminato, i tre collaudatori esposero così nella loro relazione il proprio giudizio: “È opera al tutto degna del distinto artefice [...]. Il ripieno è grave e maestoso; la sua forza ben calcolata è proporzionata al bellissimo tempio; congiunta con una batteria di 27 pedali cromatici, produce quell'effetto misterioso ed imponente che costituisce il vero carattere di questo sovrano fra gli strumenti. Ottima è l'imitazione dei registri di concerto estesi a tutta la tastiera, perfettamente corrispondente agli strumenti di cui portano il nome. Semplice, solido ed esatto il meccanismo, perfetto l'accordo ed il temperamento dei suoni, prontissima l'esecuzione. L'opera insomma è riuscita in ogni singola e minuta sua parte e fornisce una novella prova dei progressi fatti in questi ultimi anni dall'egregio fabbricatore, il quale, più che al guadagno badando alla perfetta riuscita dei suoi lavori, non risparmia fatiche e sacrifizi, pur di riuscire nell'intento e far sempre nuovi passi nel cammino del progresso; nel che dà prova di un vero e ben inteso patriottismo, serbandosi [327] fedele alla tradizione e alla scuola italiana, e accettando nel tempo stesso le utili innovazioni moderne da qualunque parte vengano” .

                Alle prove assistette più volte anche Don Bosco in compagnia di Don Rua e di una gran dama francese, ma da luogo appartato, cioè dalla finta orchestra che fa riscontro alla vera ai lati del presbitero. In ultimo, complimentando il costruttore, lo invitò alle feste per la sua Messa d'oro nel 1891 e gli soggiunse: - Poi, finite le feste, ci troveremo insieme per il 1892 in paradiso. - Il Bernasconi, tornato a Varese, raccontò agli operai le lodi meritate loro dall'organo; ma disse anche dà doppio invito, mostrandosi contrariato dal secondo, nel quale sospettò l'indicazione precisa dell'anno in cui sarebbe morto. Morì infatti nel gennaio del 1892. Non è fantastica ipotesi supporre che il primo invito, puramente immaginario, servisse a Don Bosco per aprirsi la via alla predizione di quella dura realtà, la cui tempestiva notizia è all'uomo cristiano voce amica del cielo. L'artefice era stato largo con lui nella lista delle spese; egli lo rimunerava a modo suo spiritualmente col fargli del bene all'anima, perpetuandogli nella coscienza il salutare ripercuotersi dell'estote parati.

                Due grazie segnalate furono attribuite alla benedizione di Don Bosco. Alle tre pomeridiane del giorno 12, mentre si faceva la seconda prova sull'organo, due distinte persone, marito e moglie, si presentarono alla sua porta chiedendo di essere introdotte. Il segretario disse che in quel momento egli riposava. Ma essi con le lacrime agli occhi lo supplicavano di annunziarli, perchè venivano da molto lontano e avevano bisogno di parlargli subito. Don Viglietti allora s'indusse a fare l'ambasciata. Il Servo di Dio condiscese a riceverli. Appena gli furono dinanzi, si posero in ginocchio e la signora gli domandò la guarigione di un braccio da gran tempo paralizzato. Don Bosco rispose che se la intendesse col Sacro Cuore, facendo un'elemosina per la sua chiesa. - Marito mio, chiese la donna, quanto abbiamo ancora qui di danaro? [328]

- Un biglietto da cinquecento lire, rispose. Basterà questa somma, signor Don Bosco?

- Io non mercanteggio la elemosina, disse il Santo, ma dico solo che facciano un'offerta proporzionata alle loro forze.

                Il signore depose allora sul tavolo una carta da cinquecento. Don Bosco, fatta breve preghiera, benedisse l'inferma, che si sentì immediatamente guarita, mosse il braccio in tutti i sensi e non capiva in sè dalla gioia[240].

                Erano da poco usciti quei due, che giunse una camerata di chierici del seminario Pio, i quali venivano per ringraziare Don Bosco di un grande favore. Il giorno 10 gli avevano condotto un loro compagno da due anni sordo, affinchè lo benedicesse. Don Bosco si era secondo il solito raccolto un po' in preghiera, poi l'aveva benedetto e gli aveva susurrato all'orecchio qualche giaculatoria. Lì per lì non si vide alcuna novità, tant'è vero che tosto i chierici si erano licenziati; ma, quando si trovarono fuori, avvertirono che il sordo udiva benissimo tutto quello che essi dicevano, egli anzi ripetè le giaculatorie suggeritegli pochi minuti avanti da Don Bosco. Il loro primo pensiero fu di correre a casa per portare a tutti la strepitosa notizia; i Superiori li mandarono poi a dir grazie.

                Un giovedì lo visitò una camerata di alunni del Seminario Lombardo, fra i quali vi era colui che oggi è Arcivescovo di Perugia, monsignor Giovanni Battista Rosa. “Ci prostrammo, scrive monsignor Rosa, dinanzi a lui che sedeva curvo, affaticato sopra un modesto divano in un più modesto salottino”.

 - Che cosa desiderate? chiese loro.

- Don Bosco, desideravamo vederla.

- Già, soggiunse, vedermi! Certo per quello che di me dicono gli uomini. Ma di me che cosa dirà Iddio? [329]

Nel proferire queste parole alzò gli occhi al cielo, rivolgendoli tosto sopra i seminaristi con tenerezza e lacrime.

- Don Bosco, insistettero quelli, ci dica una parola di ricordo che ci guidi nella futura vita sacerdotale; Don Bosco, ci benedica.

                Il Santo alzò la mano tremante e li benedisse. Quindi, fisso sempre nel pensiero del giudizio di Dio, diede loro questo ammonimento: - Curate sempre quello che di voi potrà dire il Signore, non quello che di voi, o in bene o in male, diranno gli uomini.

                Monsignore osserva[241]: “Nessuna delle tante opere prodigiose del grande Santo mi ha da quel momento meravigliato. Erano chiaramente spiegate da quella loro granitica origine: il giudizio che ne avrebbe fatto Iddio”.

                Il desiderio e il bisogno di abbreviare al possibile il suo soggiorno a Roma consigliavano a Don Bosco di sollecitare l'udienza pontificia, ed ecco che la sera dell'11 lo stesso maestro di camera monsignor Della Volpe, accompagnato da monsignor Volpini, segretario delle lettere latine, gli recava il biglietto. Don Bosco ebbe molto piacere di conoscere il primo e di rivedere il secondo, perchè voleva raccomandar loro che ottenessero dal Santo Padre un'udienza per i giovani cantori dell'Oratorio.

                La sua udienza era fissata per la vigilia della consacrazione alle ore diciotto. - La sera, io ricevo i miei amici disse una volta Pio XI a un prelato francese, volendo evidentemente dargli una prova di benevolenza. Ma anche i suoi ultimi predecessori avevano la stessa consuetudine di ricevere a tarda ora persone di confidenza.

                 Nel giorno e all'ora stabilita Don Bosco attendeva nell'anticamera del Papa. Mentre se ne stava silenzioso e raccolto, si sentì un lieve fruscìo sul pavimento della sala vicina, ed ecco avanzarsi con sovrana dignità e passare oltre Leone XIII [330] che, accompagnato dal suo seguito, ritornava dalla passeggiata nei giardini vaticani ed entrava nella sua biblioteca particolare. Di lì a pochi minuti Don Bosco venne introdotto.

                Il Papa lo accolse festevolmente, nè permise che s'inginocchiasse al bacio del piede, ma comandò a monsignor Della Volpe di avvicinargli una poltroncina. Essendo stata questa collocata a una certa distanza, il Papa se la tirò da presso, vi fece sedere Don Bosco, lo prese per la destra e, stringendola caramente fra le sue mani, gli ripeteva: - Oh caro Don Bosco, come state?... Come state?... - Poi si alzò e soggiunse: - Don Bosco, forse avete freddo, non è vero? - Così dicendo, andò a prendere una larga pelliccia e tornando a lui gli disse in tono di grande confidenza: - Vedete questa bella pelliccia di ermellino che mi è stata regalata oggi per il mio giubileo sacerdotale? Voglio che siate voi il primo a usarne. - E glie l'accomodò sulle ginocchia. Quindi, sedutosi di nuovo, lo riprese per la mano e premurosamente gli domandò sue notizie.

                Don Bosco, muto fino allora e commosso all'estremo per quei tratti di paterna degnazione da parte del Vicario di Gesù Cristo, gli rispose: - Sono vecchio, Padre Santo, ho settantadue anni; è questo il mio ultimo viaggio e la conclusione di tutte le cose mie. Prima di morire volevo vedere ancora una volta la Santità Vostra e ricevere una vostra benedizione. Sono stato esaudito. Ora non mi rimane altro da fare se non cantare: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum, in pace, quia viderunt oculi mei salutare tuum: LUMEN ad revelationem gentium et GLORIAM plebis tuae Israél. - Accentuò intenzionalmente le parole lumen e gloriam, accomodandole a Leone XIII, che soleva venir salutato con il lumen in caelo della pseudoprofezia di S. Malachia.

                Il Santo Padre gli fece osservare che l'età di lui era meno avanzata della propria; avere egli settantotto anni e nutrire tuttavia speranza di rivedere il suo caro Don Bosco. - Fate conto di vivere ancora, gli disse. Finchè non udirete che Leone XIII è morto, state tranquillo. [331]

 - Santo Padre, ripigliò Don Bosco, la vostra parola è in certi casi infallibile ed io vorrei bene accettare l'augurio; ma creda, io sono alla fine de' miei giorni.

                Il Santo Padre chiese quindi nuove de' suoi giovani, delle sue case, interessandosi molto delle Missioni; gli domandò pure se di nulla abbisognasse. Don Bosco gli parlò di tutto, specialmente della chiesa del Sacro Cuore che la dimane si doveva consacrare. Infine gli raccomandò i giovani cantori venuti da Torino, che molto desideravano di vederlo e di essere da lui benedetti.

                Il Papa espresse la sua alta soddisfazione su quanto aveva udito, disse che certamente voleva vedere i giovanetti di Don Bosco e parlare ad essi e insistette vivamente nel raccomandare che si procurasse di conservare le spirito di lui in tutta la Congregazione. - Raccomandate ai Salesiani specialmente l'ubbidienza e dite loro che conservino le vostre massime e le tradizioni che voi lascerete. So che avete ottenuto ottimi risultati con la frequente confessione e comunione fra i vostri giovani. Continuate, e fate che i Salesiani alla loro volta continuino e raccomandino ai giovani loro affidati questa pratica salutare. A voi e al vostro Vicario mi preme di raccomandare che siate solleciti tanto del numero dei Salesiani quanto della santità di quelli che già avete. Non è il numero che aumenta la gloria di Dio, ma la virtù, la santità dei soci. Perciò siate molto cauti e rigorosi nell'accettare nuovi membri nella Congregazione; badate anzitutto che siano di moralità provata.

                Quindi, prendendo ancora Don Bosco per mano, gli domandò che in confidenza gli dicesse che cosa egli pensasse intorno ai futuri avvenimenti nella Chiesa. Don Bosco si schermiva, dicendo che il Santo Padre conosceva meglio di lui l'andamento delle cose pubbliche. Ma il Papa ribadì: Non vi domando del presente, chè questo lo so anch'io; vi domando dell'avvenire.

- Ma io non sono profeta, rispose Don Bosco sorridendo. [332]

- Tuttavia, com'egli disse riferendo a Don Lemoyne il colloquio, dovette cedere, manifestando le sue opinioni e quanto conosceva. Che cosa egli intendesse con questo quanto conosceva, non lo svelò ad alcuno.

                Il Santo Padre l'avrebbe forse voluto intrattenere più a lungo, se non avesse visto il suo stato di sofferenza. Don Bosco, accortosi che egli stava per licenziarlo, gli disse che aveva seco il suo Vicario e il suo segretario e che, se Sua Santità si degnasse di esaudirli, desideravano ricevere la sua benedizione. Il Papa acconsentì, fece squillare il campanello e i due furono introdotti. Don Bosco presentò Don Rua. - Ah voi siete Don Rua, disse il Papa, siete il Vicario della Congregazione. Bene, bene! Sento che fin da ragazzo siete stato allevato da Don Bosco. Continuate, continuate nell'opera incominciata e mantenete in voi lo spirito del vostro fondatore.

- Oh sì, Santo Padre, rispose Don Rua, noi speriamo con la vostra benedizione di poter spendere fin l'ultimo respiro per quell'opera, alla quale fin da fanciulli ci siamo consacrati.

                Don Bosco presentò quindi, Don Viglietti come suo segretario. - Che cosa avete fatto, interrogò il Papa, di quel segretario che vi accompagnò l'ultima volta?

- Santo Padre, rispose Don Bosco, è rimasto a Torino per sbrigare lavori che gli ho dati. C'è molto da fare, ma non ho bisogno di raccomandare tanto ai miei figli il lavoro. Piuttosto è da raccomandare la moderazione. Ve ne sono molti che si logorano la salute, nè sono contenti di lavorare durante il giorno, anche di notte si affaticano.

- Oh sì, riprese il Santo Padre, in tutto ci vuole moderazione; il corpo esige il debito riposo per poterlo adoperare nelle opere che sono della maggior gloria di Dio.

- Padre Santo, disse allora Don Rua, noi siamo disposti ad obbedirla; ma in queste cose chi ci ha dato lo scandalo, è stato Don Bosco stesso.

                Si sorrise un tantino; poi Don Rua chiese e ottenne di poter domandare una grazia. Spiegò al Santo Padre come tornasse [333] di grave impaccio allo sviluppo della nostra Pia Società il decreto della Sacra Congregazione dei Riti prescrivente un esame di due o tre commissioni per gli aspiranti alla Società Salesiana, mentre sarebbe di grande facilità, secondo le concessioni di Pio IX, il rimettere tale esame ai capitoli particolari di ciascuna casa, che poi trasmettessero il loro voto al Capitolo Superiore per il definitivo giudizio. Il Papa gli rispose che apprezzava molto le ragioni esposte, si presentasse la domanda per iscritto, e per la via più sicura, cioè a mezzo di monsignor Della Volpe, la si facesse pervenire a lui stesso; con piacere egli avrebbe fatto il rimanente. La dispensa dall'osservanza dei decreti per le accettazioni ed ammissioni ai voti venne poi accordata per cinque anni[242].

                Data infine una larga benedizione, congedò Don Bosco con grande amorevolezza, facendolo accompagnare fino allo scalone. Al suo passaggio le guardie svizzere si misero sull'attenti. Don Bosco ridendo disse loro: - Non sono mica un re io! Sono un povero prete tutto gobbo e che non valgo nulla. State pure tranquilli. - Quei militi si accostarono a lui, baciandogli riverentemente le mani.

                Qualche giorno prima dell'udienza, essendosi presentato al Santo Padre il proprio nipote conte Pecci per essere benedetto insieme con la sua famiglia, il Papa gli aveva detto che andasse da Don Bosco a chiedere la benedizione; il che quegli fece la mattina del 13[243]. Poco tempo dopo, trovandosi la Madre Daghero, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, alla presenza di Sua Santità, disse il Pontefice: Oh ecco una suora di Don Bosco. - Voltosi quindi ai prelati e Cardinali che lo circondavano aggiunse: - Questa è una delle figlie fortunate del santo Don Bosco[244].

                Mentre Don Bosco stava in Vaticano, erano giunte dal [334] Vicariato alla chiesa del Sacro Cuore le reliquie che si dovevano collocare nel sepolcreto dell'altare maggiore. La teca ermeticamente chiusa e suggellata conteneva una particella della culla di Gesù Bambino, e reliquie dei santi Apostoli Pietro e Paolo, dell'Apostolo S. Giacomo, del Martire San Lorenzo e del Patrono S. Francesco di Sales. Collocatele in un'urna dorata ed esposte nella cappella antica, si cantò alle ore ventuna l'inno dei Martiri, proseguendosi poi l'officiatura di rito durante il silenzio della notte.

                Don Bosco aveva fatto chiedere alla sacra Congregazione dei Riti alcuni favori spirituali, come di poter celebrare la Messa del Sacro Cuore nei primi tre giorni dopo la consacrazione e l'indulgenza plenaria dal 14 al 19 nelle forme consuete, oltre all'indulgenza di sette anni e sette quarantene ogni volta che almeno con cuore contrito si facesse soltanto una visita alla chiesa[245].

                Un Avviso Sacro del Cardinale Vicario con la data del 2 maggio notificava ai fedeli la prossima consacrazione e dava l'orario delle sacre funzioni dei giorni successivi: Vi si diceva essere quello un “Santuario universale” avendovi concorso “con le sue offerte tutto l'orbe cattolico”. Donde s'inferiva: “Deve essere quindi motivo di santo giubilo per tutti i cattolici, e pei Romani in ispecie, il vedere che dopo dieci anni di lavoro, di stenti e di difficoltà grandi, sia finalmente compiuto questo grande edifizio, voto di tante anime pie e di questo Cuore adorabile divotissime. Restano, è vero, a compiersi parecchi altari e varie decorazioni, ma la popolazione sempre crescente dei nuovi quartieri in questa regione esigeva che, rotto ogni indugio, si sospendesse ogni lavoro, che al sacro tempio può accrescere lustro e splendore, ma che non è assolutamente necessario, per dare, in chiesa più ampia, comodità ai fedeli di attendere ai loro doveri religiosi. E se parecchi lavori resteranno a compiersi, i buoni Romani [335] e quanti zelano la gloria di Dio troveranno nel loro fervore un nuovo incentivo ad accorrere colle loro elemosine, perchè presto sia il sacro tempio dì ogni cosa necessaria al culto provveduto, e sia esso meno indegno di quel Dio che sta per venire ad abitarvi colla sua amorosa presenza”.

                Nel parlare di stenti il documento del Vicariato diceva una grande verità. Furono in realtà sette anni di stenti inauditi, eroici, se s'intenda, com'è doveroso, riferirli a Don Bosco; chè quelli eventualmente toccati ad altri prima che egli si addossasse l'impresa, furono al confronto fuscelli di paglia. I lettori lo sanno. Nè la sospirata aurora del 14 maggio venne a porvi termine; anzi misero a prova la sua pazienza fin sul letto di morte per passare quindi in eredità al suo successore[246].

                Ogni cosa era ben allestita sia per la cerimonia della consacrazione che per le solenni funzioni dei giorni seguenti. Verso le sette giunse il consacrante, cardinale Lucido Maria Parocchi, Vicario di Sua Santità e protettore della Congregazione salesiana, accompagnato dalla sua anticamera, come nelle maggiori occasioni, e ricevuto dai Superiori, da numeroso clero, da buon numero di Salesiani d'altre case, dai giovani di Valdocco e dai loro fratelli dell'ospizio. Il rito, secondo il cerimoniale, si svolse a porte chiuse. Quando le porte si spalancarono ai fedeli, erano passate ben cinque ore. Don Bosco vi assistette in santo raccoglimento; vi assistettero con lui vari illustri personaggi. Alla fine monsignor Domenico Jacobini, arcivescovo di Tiro e segretario di Propaganda, accostatosi al Servo di Dio, gli porse il braccio e lo accompagnò piano piano in camera, compiacendosi poscia d'avergli prestato quel servigio.

                A mezzogiorno celebrò per primo Don Dalmazzo, mentre il nuovo organo riempiva il tempio delle sue armonie. Divoti e curiosi erano entrati a centinaia. La voce generale proclamò [336] la chiesa degna di Roma e delle buone tradizioni dell'arte cristiana.

                Abbiamo però dovuto rilevare che consacrazione e chiesa non ebbero in complesso a Roma quella che si dice una buona stampa. L'allora massonica Tribuna del 10 maggio, preannunziando la cerimonia, richiamò le origini del tempio, del quale disse lo stile, l'architettura e l'ornamentazione, il tutto in un articoletto assai garbato. Il già citato Cicerone, benchè giornale di cattivo spirito, nel numero dell'8 aveva fatto una descrizione un po' più particolareggiata del tempio, presentando Don Bosco come “uno dei preti più infaticabili, irrequieti e lavoratori”, L'articolista continuava: “Sono stato a vedere questa chiesa che a conti fatti costerà la bellezza di tre milioni. Gli si può perdonare a D. Bosco questa spesa, perchè ha fatto veramente un monumento degno di Roma”. Il liberalissimo Fanfulla del 15, accennato di volo alle difficoltà e vicende anteriori e alle ingenti spese, proseguiva: “Ma è passato là entro il soffio animatore di Don Bosco, il Vittorino da Feltre del secolo decimonono, e già annesso alla chiesa sorge un ospizio capace di cinquanta orfani, sorgono scuole popolari dove trecento ragazzi sono educati alla morale, al lavoro, all'onestà, all'istruzione elementare. Il grande illuminato spirito di S. Francesco di Sales deve aver gioito oggi per quest'opera, germogliata nel terreno che il suo spirito e l'inesauribile carità d'un'anima pietosissima dissodarono”[247]. L'Osservatore Romano del 15 uscì con un articolo di poche righe e molto freddo, sbagliando financo la data della consacrazione. E questo è tutto.

                Non possiamo tacere della Civiltà Cattolica che, venuta necessariamente in ritardo[248], nella cronaca delle Cose Romane vi dedicò in giugno una mezza pagina, segnalando [337] la grande importanza religiosa del fatto. “Questa consacrazione, diceva, è un avvenimento. Conveniva infatti che in mezzo al fango della nuova Roma e dove l'eresia è venuta a piantare le sue baracche, sorgesse a purificarne l'ambiente il Cuore Sacratissimo di Colui che morì sulla Croce per purificare col suo adorabile e preziosissimo Sangue il mondo [ .... ] Lo zelo instancabile di Don Bosco e de' suoi benemeriti cooperatori, siamo sicuri che renderanno il tempio al Castro Pretorio un focolare di fede e di amore verso il Cuore amantissimo di Gesù”.

                Buon inizio a questa auspicata azione salutare fu il programma dei festeggiamenti che coronarono la solenne consacrazione, come diremo.

                Più tardi ancora vide la luce a Brescia un articolo della celebre Contessa Lara, pseudonimo della poetessa Evelina Cattermole Mancini[249]. Quello scritto le fu ispirato dall'armonioso suono delle campane della nuova chiesa; essa lo udiva da casa sua, poichè abitava là vicino Dopo un poetico esordio e una succinta descrizione del tempio, viene a parlare di Don Bosco, dicendo fra l'altro: “Cotesta chiesa, un po' troppo smagliante è adesso di colori e di dorature, poichè tutta chiara, fresca e allegra, desta in chi entra a pregarvi una profonda emozione, quando si pensa ch'essa è un nuovo miracolo di un uomo che rappresenta il Francesco di Sales del nostro secolo. A quest'umile e pur tanto potente servo di Dio ogni cosa riesce: poichè le opere da lui intraprese son benedette dal cielo [ ... ]. Don Bosco è uno di quegli esseri privilegiati che dal nulla fanno sorgere tutto; le difficoltà maggiori non solo s'appianano, ma addirittura dileguano come ostacoli di nebbia dinanzi alla sua ferma volontà fatta di fede e di preghiera; sì che fin d'ora è da prevedersi che un giorno, sa Dio quando, quella bella testa dalla regolarità classica, la quale fa pensare al profilo del primo Napoleone, avrà nelle [338] memori effigi, una luminosa fascia d'oro intorno alla fronte: l'aureola de' santi”.

                Il cardinale Vicario, riposatosi alcun poco dalla faticosa cerimonia, salì da Don Bosco, lo abbracciò con effusione di affetto, e poi si fermò con lui a pranzo fra numerosi e illustri invitati. Al levare delle mense il Santo ringraziò pubblicamente il Cardinale di quanto aveva già fatto come Protettore dei Salesiani, parlando della sua persona con venerazione e riconoscenza. Quindi: - Abbiamo cominciato bene, Eminenza proseguì, e narrò con la massima semplicità la guarigione istantanea del giorno innanzi. Poi disse che in qualunque caso gli si presentassero persone desiderose di grazie, egli aveva tenuto sempre lo stesso metodo, d'indurre cioè i supplicanti a fare un'elemosina in onore di Gesù, della Madonna o di qualche Santo come mezzo per ottenere favori da Dio; nella chiesa di Maria Ausiliatrice e di S. Giovanni Evangelista non esserci mattone che non fosse segnato da qualche grazia.

                Il Cardinale si alzò egli pure a parlare. Si congratulò con Don Bosco, perchè anche a lavori non terminati avesse aperta la chiesa, mostrando così di volerla dare prima al Sacro Cuore di Gesù che alle frange e ai gingilli degli artisti. Disse molto bene della Congregazione Salesiana; non avergli essa dato fino allora che consolazioni nè mai alcun disturbo, pena o fatica; perciò di simili protettorati essere disposto ad accettarne uno al giorno. Don Bosco sorridendo gli rispose: Aspetti, aspetti, Eminenza; il tempo dei fastidi a causa nostra nascerà anche per lei.

- Ebbene, riprese il Cardinale, qui nella vostra chiesa del Sacro Cuore ci avete una cappella che volete dedicare a S. Francesco di Sales, vostro patrono, non è vero?

 - Precisamente, Eminenza.

- Bene: io voglio pagare la spesa di quell'altare e spero dal Protettore della Congregazione che avete in cielo, gli aiuti necessari nelle pene e fastidi riserbati al protettore terreno di questa pia Società. [339]

La geniale e generosa uscita fu salutata da vivi applausi. I giovani dell'Oratorio diedero quella sera il primo saggio della loro bravura, eseguendo il vespro appositamente composto dal maestro Galli. Pontificò monsignor Giulio Lenti, arcivescovo di Side e vicegerente di Roma. Nel frattempo Don Bosco riceveva molte illustri visite di Vescovi e Cardinali.

                Le feste propriamente dette durarono cinque giorni con un crescendo continuo di concorso e di vera pietà da parte dei fedeli. Ogni mattino messa letta celebrata da un Cardinale e messa solenne pontificale; ogni pomeriggio conferenza salesiana in una lingua sempre diversa, vespri in musica e predica.

                Solennissimo fu il primo giorno, domenica. Alle sette celebrò il cardinale Melchers tedesco; alle dieci pontificò monsignor Jacobini con l'assistenza di un Vescovo degli Stati Uniti. I giovani di Torino eseguirono insuperabilmente la messa del Cherubini, detta dell'Incoronazione. Don Bosco intanto dava continue udienze; lo visitarono anche tre Vescovi e il cardinale di Canossa.

                Al pranzo egli aveva alla sua destra monsignor Kirby e alla sinistra il principe Czartoryski, che passava la maggior parte del tempo in casa; molti altri personaggi prendevano parte all'agape familiare. A suo tempo Don Rua lo pregò di dire qualche parola. Egli, alzatosi faticosamente e appoggiandosi con le mani alla tavola, disse con voce stentata: - Bevo alla cara memoria del nostro grande amico, teologo Margotti, testè defunto, al difensore dei sacri diritti della Chiesa, a colui che ci amò sempre e che prima che noi partissimo per Roma ci vide così volentieri, mettendo il suo accreditato giornale a nostra disposizione per narrare le feste che ora noi facciamo. Bevo con la ferma fiducia che i miei zelanti Cooperatori e Cooperatrici si degneranno di aiutarci a compiere questo ospizio del Sacro Cuore, affinchè possiamo dare albergo, educazione e istruzione a cinquecento ragazzi del popolo, allevandoli nel santo timor di Dio; sicchè portino poi frutti di buone opere [340] per loro stessi e per la società. Bevo in onore di monsignor Kirby, col quale sono stretto da imperitura amicizia. - Monsignor Kirby rispose a nome di tutti i Cooperatori e Cooperatrici, dicendo che egli ed i suoi amici tenevano conto delle sue parole come di un testamento, e assicurandolo che egli ed i suoi amici avrebbero fatto quanto era in loro potere per eseguire fedelmente la sua inspirata volontà e che l'ospizio sarebbe condotto a termine, com'egli desiderava.

                Alle tre e mezzo tenne conferenza in francese monsignor Carlo Murrey di Lione, uditore di Rota per la Francia. Egli mostrò quanto fosse opportuna l'opera di Don Bosco a vantaggio della gioventù povera e abbandonata e quanto consolanti i risultati già ottenuti[250]. Alle cinque, predica sul Sacro Cuore, fatta dall'eloquente monsignor Omodei Zorini, missionario apostolico. Dopo i cantori di Valdocco eseguirono i vespri dell'Aldega. Sul tardi facciata, campanile, chiesa, ospizio illuminati a giorno, secondo disegno tracciato con buon gusto da un chierico salesiano, richiamarono per alcune ore gran gente anche da punti remoti della città.

                Il cardinale Placido Schiaffino, degli Olivetani, disse nel secondo giorno la Messa della comunione generale. Quella mattina Don Bosco volle scendere in chiesa per celebrare all'altare di Maria Ausiliatrice. Non meno di quindici volte durante il divin sacrifizio si arrestò, preso da forte commozione e versando lacrime. Don Viglietti che lo assisteva, dovette di quando in quando distrarlo, affinchè potesse andare avanti. Mentre poi si allontanava dall'altare, la folla intenerita gli si strinse intorno, baciandogli i paramenti e le mani libere dal calice e seguendolo in sacrestia. Qui gli si domandò a una voce la benedizione. - Sì, sì, - rispose. E saliti i tre gradini della porta che mette in comunicazione la prima sacrestia con la seconda, si volse indietro, alzò la destra, ma [341] subito ruppe in pianto e coprendosi con ambe le palme il volto: - Benedico... benedico - ripeteva con voce soffocata senza poter finire la frase. Fu necessario prenderlo dolcemente per le braccia e condurlo via. Gli astanti impressionati si movevano per tenergli dietro, ma fu chiusa la porta.

                Chi non avrebbe desiderato saper quale fosse stata la causa di tanta emozione? Don Viglietti, quando lo vide ritornato nella sua calma abituale, glielo domandò. Rispose: - Avevo dinanzi agli occhi viva la scena dì quando sui dieci anni sognai della Congregazione. Vedevo proprio e udivo la mamma e i fratelli questionare sul sogno... - Allora la Madonna gli aveva detto: - A suo tempo tutto comprenderai. Trascorsi ormai da quel giorno sessantadue anni di fatiche, di sacrifizi, di lotte, ecco che un lampo improvviso gli aveva rivelato nell'erezione della chiesa del Sacro Cuore a Roma il coronamento della missione adombratagli misteriosamente sull'esordire della vita. Dai Becchi di Castelnuovo alla Sede del Vicario di Gesù Cristo com'era stato lungo e arduo il cammino! Sentì in quel punto che l'opera sua personale volgeva al termine, benedisse con le lacrime agli occhi la divina Provvidenza e levò lo sguardo fiducioso al soggiorno dell'eterna pace in seno a Dio.

                All'ora del dì innanzi la Messa solenne fu celebrata pontificalmente da monsignor Cassetta, vescovo di Amiata e presidente delle scuole notturne di religione[251]. I giovani cantarono la Messa di Haydn. Nel dopo mezzogiorno, conferenza del cileno mons. Jara in lingua spagnuola; predica di mons. Gottardo Scotton sulla divozione del Sacro Cuore, vespri pontificati da monsignor Kirby con canto orchestrale dei salmi di vari autori. Il cardinale Vicario, sapendo che Don Bosco stava per lasciar Roma, gli rinnovò per iscritto [342] “rallegramenti e auguri, questi pel felice viaggio, quelli per l'opera fauste, feliciter condotta a fine”. Nei tre giorni seguenti si succedettero per la Messa letta i cardinali Mazzella della Compagnia di Gesù, Aloisi - Masella e Zigliara dei Predicatori; per quella pontificale nei giorni 17 e 18 i monsignori Sallua domenicano, arcivescovo di Calcedonia, e Grasselli, arcivescovo di Colossi; per la conferenza ai Cooperatori monsignor Meurin, gesuita, vescovo di Ascalona, già vicario apostolico di Bombay, in tedesco; monsignor Fortina, delegato apostolico per l'Australia, in inglese: monsignor Omodei - Zorini, in italiano; per la predica i monsignori Andrea e Jacopo Scotton nei giorni 17 e 18. I vespri furono ogni sera solenni. Nel quinto giorno, l'Ascensione del Signore, facendosi la chiusura delle feste, si ebbero alcune novità. Alle ore dieci pontificò nomine Pontificis il Cardinale Vicario con imponente assistenza di clero. Dopo il Vangelo l'Eminentissimo pronunziò l'omelia finale, in cui salutò il “Genio operoso dell'umile sacerdote”, al quale “liberalmente sorrise la grandezza di due Pontefici”, e auspicò che “riflesso dal magnifico aspetto del tempio” sarebbe brillato “il trionfo del divin Cuore”[252]. Per i vespri tornò il cardinale Aloisi - Masella, che dopo intonò il Te Deum di ringraziamento cantato a piena orchestra e diede la benedizione col Santissimo.

                Ancora una volta i cantori dell'Oratorio fecero udire le loro voci nel solenne funerale celebratosi il 20 per i defunti benefattori della chiesa. Nel pomeriggio vennero fotografati in gruppo, affinchè, fatti grandi, potessero riconoscersi e riandare i tanti cari ricordi del loro soggiorno romano.

                Terminate le grandi feste, i tre fratelli Scotton intrapresero a predicare al popolo della parrocchia una missione, che durò fino alla Pentecoste.

                I giovani non dovevano dire, ritornati a Torino, che erano andati a Roma senza vedere il Papa. Lo videro infatti nelle [343] ore pomeridiane del 20. Quando furono nella sala degli arazzi, che ansietà, che batticuore per quei ragazzi, che quasi non osavano fiatare! Il Santo Padre fece il suo ingresso con maestà fra un corteggio imponente. I giovani inginocchiati stavano da prima timidamente a capo chino.

- Sono questi i figli di Don Bosco? domandò con affabilità il Papa al Procuratore dei Salesiani, che faceva le presentazioni.

- Sì, Santità, rispose. Sono i giovani cantori venuti da Torino per le feste della consacrazione della nuova chiesa intitolata al Sacro Cuore di Gesù, feste che riuscirono con grande soddisfazione di tutti.

 - Con grande soddisfazione di tutti?

- Sì, Beatissimo Padre, e con molto concorso.

- Bene, siane benedetto Iddio. Il Bosco è già partito per Torino. Molto ci consolò la sua visita. Ma l'abbiamo trovato molto affranto di salute. Abbiamo bisogno che Dio ce lo conservi ancora per il bene della società, della Chiesa, massime in questi tempi difficili che corrono. Ci parlò anche di questi buoni giovanetti. Essi sono immediatamente sotto la sua direzione nell'istituto di Torino?

- Sì, Padre Santo. Ora sono qui per avere una vostra benedizione e baciarvi il sacro piede.

- Con piacere daremo a tutti la benedizione, a loro e agli oggetti divoti, di cui li vediamo largamente provveduti.

                Fattosi quindi nel mezzo della sala, proferì il Sii nomen Domini benedictum e invocato su tutti l'aiuto del Signore, li benedisse. Che istante di commozione! Poi tornò a parlare, chiedendo notizie di Don' Bosco, mentre il suo sguardo si volgeva intorno sui ragazzi, le cui facce arditelle e vispe lo fecero esclamare: - Come stanno bene! Come sono allegri!... Sono tutti' cantori?

- Sì, Santità, rispose Don Dalmazzo. Sono quelli che per migliore condotta e bravura nel canto si sono meritato il favore di venire a Roma. [344] - Fra le cose che sommamente, ci consolarono, ripigliò il Papa, fu il sentire dalla bocca del Bosco, che egli fa pregare sovente i suoi giovani per i bisogni del Santo Padre.

                Perchè tutti quindi potessero baciargli il piede, si degnò fare il giro, cominciando da vari signori che si erano uniti ai giovani. Il Procuratore seguendolo gli diceva i meriti e le qualità di ciascuno e rispondeva premurosamente alle sue interrogazioni; gli presentò così i maestri Galli e Bersano e il cavaliere Bernasconi. - L'organo, disse il Papa a quest'ultimo, è un ornamento della chiesa. Le chiese senza le melodie dell'organo sono come corpi senz'anima. - Il Dogliani gli parve giovanissimo; saputane la provetta abilità, lo encomiò largamente. Vedendo vari preti, ne domandò la condizione; parole benevole ebbe per Don Grosso e per altri.

                Ritrovatosi nuovamente fra i giovani, li accarezzava con paterna bontà, indirizzando or all'uno or all'altro parole graziose e anche facete. Il più piccolo, rimasto dietro ai compagni, aveva tentato invano di giungere a baciare il piede del Papa. Il Santo Padre, che era già passato oltre, come se ne accorse, tornò a lui. - Sono allegri questi cari bambini, riprese a dire. Hanno visitato Roma? Bisogna farla visitar loro tutta quanta. Visitino le chiese, i monumenti sacri, le catacombe, perchè conoscano questa città e ne raccontino poi le bellezze.

                Compiuto il giro, li benedisse con il semplice gesto della mano e salutandoli con le parole: - Il Signore sia sempre con voi,  si tolse ai loro sguardi, che immobili ne contemplarono la figura, fino a che scomparve. Rimasti mutoli un istante, si manifestarono a vicenda la gioia che inondava i loro cuori e con un passerio insolito in quella casa del silenzio, uscirono dal Vaticano per avviarsi in fretta al Sacro Cuore, dove giunsero in tempo a cantare i vespri e l'inno del ringraziamento.

                Partirono da Roma la mattina del sabato 21. Con i giovani dell'ospizio avevano familiarizzato allegramente per una settimana, sicchè alla separazione vi furono da ambe le parti [345] ingenue dimostrazioni di affetto. Dagli uni e dagli altri si lessero indirizzi per dirsi la gioia di essersi conosciuti, il rincrescimento di doversi dividere così presto, gli auguri di buon viaggio e di buona permanenza, la speranza di rivedersi. Salutandosi fraternamente, al grido di Viva Don Bosco si separarono.

                I partiti avevano a Pisa una fermata di due ore. Persone del seminario li ricevettero alla stazione e li condussero a pranzo, secondochè dall'Arcivescovo era stato disposto. Rettore, preti, professori, chierici, convittori, fecero agli alunni di Don Bosco gentilissime accoglienze. A mensa tutti gareggiavano a servirli, manifestando la loro contentezza d'aver veduto pochi giorni prima Don Bosco. Finalmente comparve inaspettato l'Arcivescovo. - Ieri l'altro, disse, avevo la consolazione di ospitare il padre e oggi quella di vedere i figli. -

                Si congratulò con essi per le funzioni di Genova e di Roma, si raccomandò alle loro preghiere presso Maria Ausiliatrice, li esortò a essere sempre più docili agl'insegnamenti del loro caro padre Don Bosco che chiamò uomo santo, e li benedisse. Entusiasticamente salutati, andarono quasi di corsa, a visitare il duomo ed i monumenti più vicini, poi volarono alla ferrovia. Dopo, una seconda fermata a La Spezia e una terza a Sampierdarena, la sera del 22 domenica rientrarono trionfalmente nell'oratorio.

 

 

CAPO XV

Descrizione della chiesa e partenza di Don Bosco da Roma.

 

                ORA noi dobbiamo ritornare a Roma, dove ci restano ancora parecchie cose da far conoscere ai nostri lettori. Chi più di tutti aveva largheggiato in denaro per l'erezione della chiesa del Sacro Cuore, era, come già si disse, il conte Colle; si disse pure[253] di tre epigrafi che Don Bosco stesso aveva composte in latino per le tre campane maggiori, dedicate una al Conte, l'altra alla Contessa e la terza alla memoria del figlio. Venuto il tempo della fusione, il Santo passò le sue epigrafi a Don Francesia, affinchè vi desse la forma definitiva, ordinandogli insieme di comporne altre due per la quarta e quinta campana a ricordo di due prime comunioni amministrate da lui in due delle primarie famiglie barcellonesi, che delle dette campane eransi recato ad onore di sostenere le spese[254].

                La torre campanaria, dalla quale questi sacri bronzi fanno udire le loro note gravi e profonde o chiare e acute, è di travertino e supera in bellezza tutte le altre di Roma. Rimasta per più di cinquant'anni priva della guglia, che la doveva coronare, ha ricevuto da ultimo il miglior compimento che [347] si potesse desiderare nell'aurea statua gigantesca del Sacro Cuore, visibile financo dalla piazza di S. Pietro.

                La chiesa del Sacro Cuore costò troppo caro, e in ogni senso, a Don Bosco, perchè noi possiamo passarvi accanto senza soffermarci per darvi almeno uno sguardo. L'uomo dalle larghe vedute si rivelò fin da principio, quando, povero di mezzi e con tante altre opere da ultimare o da sostenere, si sobbarcò a questa per obbedire al volere di Leone XIII. Nel disegno primitivo la chiesa avrebbe misurato metri quaranta di lunghezza; egli ne aggiunse ventotto, imponendosi all'architetto che riluttava[255]. In larghezza ne misura trenta. Ha forma di croce latina. La classica eleganza e maestà dello stile bramantesco ne fa un sacro edificio degno di figurare là dove l'architettura sacra ha creato nei secoli miracoli d'arte.

                La facciata è in puro travertino di Tivoli. La adornano quattro statue marmoree di buona fattura: S. Francesco di Sales, S.Agostino e due Angeli adoranti la Croce, che stende le braccia dall'alto e domina sovrana. In basso si aprono tre porte, pregevole lavoro degli artigianelli dell'Oratorio. Nel centro tre splendidi mosaici rappresentano il Sacro Cuore, S. Giuseppe e il Salesio. Colonne di granito nero della Balma e lavori d'intaglio finissimo ne compiono la decorazione.

                L'interno è a tre navate, divise da colonne di granito levigate e da saldi pilastri. Tutto il gran vaso si presenta in un insieme così armonico, che rapisce subito l'occhio del visitatore e ne raccoglie lo spirito, elevandone la mente a Dio.

                Omettiamo di parlare delle decorazioni minori, intagli, mensole, cornici, innestati all'architettura con correttezza e grazia; accenneremo soltanto alla decorazione pittorica. Si tratta di ben centocinquanta quadri fra grandi e piccoli, [348] oltre la cupola. Questa è opera del delicato pennello di Virginio Monti, che dipinse pure i maestosi quadri del soffitto, i quattro Evangelisti negli archi della navata trasversale e i novanta quadri minori che decorano le due navatelle laterali. Ma il suo capolavoro è la cupola, dove rappresentò la glorificazione del Sacro Cuore. Il Salvatore, bellissima figura per finezza, per atteggiamento e per verità di movenze, mostra il suo Cuore infiammato alle due sante Vergini Margherita Alacoque e Catterina da Racconigi, le quali vi figgono gli occhi estatiche. Circondano il gruppo numerosi Angeli, recanti altri gli emblemi della Passione, altri i gigli della purezza, altri chini in atto di adorazione, e Serafini ineggianti al Sacro Cuore con musicali strumenti. Torno torno, assorti in contemplazione, si veggono S. Francesco di Sales, a cui alcuni Angeli presentano le opere da lui scritte; S. Teresa tutta fiamme nel volto; S. Bernardo, che porge l'uffizio del Sacro Cuore da cui composto; S. Bernardino da Siena, recante la tavola col nome di Gesù; S. Agostino, S. Francesco d'Assisi, S. Luigi Gonzaga. Da tutta la rappresentazione spira un'aura di paradiso, che muove a divozione.

                Data la vastità del lavoro e la ristrettezza del tempo il Monti dovette associarsi due bravi artisti, ai quali furono affidate altre parti., Il Caroselli dipinse i quattro pennacchi della cupola e parecchi quadri delle due navate principali, affrescandovi i quattro Profeti maggiori, i dodici minori, i dodici Apostoli, le Sibille Eritrea e Cumana. Un allievo del Seitz, il Zuffoli, fece il Gesù coi fanciulli, il Gesù buon Pastore e il Gesù che istituisce l'Eucarestia; è pure l'autore dei disegni per i tre mosaici della facciata.

                Il soffitto delle due navate maggiori è basilicale, cioè a cassettoni ricchi di dorature e formanti lo sfondo a vaghi dipinti. Vari e scelti marmi, connessi secondo un disegno ben ideato, formano un pavimento assai decoroso.

                Vi sono sei altari laterali. Quattro di minori proporzioni stanno nelle navatelle: in quella a sinistra di chi entra, gli altari [349] del Crocifisso e di S. Anna; nell'altra quei di S. Michele Arcangelo e di S. Francesco di Sales. Due più grandi si fronteggiano ai capi della navata trasversale, uno in cornu evangelii dedicato a Maria Ausiliatrice[256] col quadro del Rollini, e l'altro in cornu epistolae dedicato a Sali Giuseppe con un dipinto pure del Rollini[257]. Le pareti e le volte di queste sei cappelle sono adorne di quadri riferentisi ai singoli patroni. Nei quattro intercolumni che separano gli altari sono allogati altrettanti confessionali circondati da affreschi simboleggianti il sacramento della penitenza. In fondo alla chiesa i due vani fra gli ultimi pilastri e la parete della facciata contengono a sinistra di chi entra il Battistero con quattordici quadretti illustranti il mistero della rigenerazione, il tutto eseguito a spese della città di Trento, e a destra una maestosa statua di Pio IX, del quale la chiesa è monumento perenne. La scolpì il lombardo Confalonieri. Il Papa, pontificalmente vestito, leva una mano in atto di benedire, mentre con l'altra porge il decreto di approvazione della pia Società Salesiana.

                Lo sguardo di chi varca la soglia del tempio è condotto subito alla grande ancona dell'altare maggiore, che rappresenta il Sacro Cuore in una gloria di Cherubini e di Serafini; la dipinse il professore Francesco de Rodhen. Vi fa da cornice una costruzione monumentale alta sedici metri, con sei colonne di alabastro alte sei. Ricchi ornati e pietre rare abbelliscono da ogni parte la mensa del divin sacrifizio e la dimora di Gesù Sacramentato.

                Questo abbozzo di descrizione offre un'idea della chiesa quale si ammirò a lavori compiuti; giacchè nel maggio del 1887 troppe cose rimanevano da fare. Lo possiamo arguire anche' dalla lettera di commiato che Don Bosco scrisse a Leone XIII nella vigilia della sua partenza da Roma. [350]

 

                                Beatissimo Padre,

 

                Io parto da Roma altamente soddisfatto per la caritatevole e veramente patema accoglienza fattami dalla Vostra Santità. La chiesa e le scuole del Sacro Cuore sono attivate, gli abitanti di questo popolatissimo quartiere possono comodamente compiere i religiosi loro doveri. Devesi ancora compiere l'ospizio pei poveri orfanelli e se Dio dà vita speriamo di ultimarlo. Abbiamo eziandio da saldare la spesa della facciata della Chiesa. Se Vostra Santità potesse in tutto o in parte venirci in aiuto pel residuo di L 51.000 le nostre finanze sarebbero regolate[258].

                Tutti i nostri orfanelli in numero di 250.000 pregano ogni giorno per la conservazione in buona sanità della Santità Vostra, per cui tutti lavoriamo di cuore.

                Compatisca questa mala scrittura; umilmente prostrato domando per tutti i Salesiani la benedizione della Santità Vostra.

 

                                Roma, 17 maggio 1887.

 

Obbl.mo figlio

Sac. Giov. BOSCO, Rettore.

 

                Le spese per il Sacro Cuore continuarono a gravare lungamente sulla Congregazione. In giugno il Prefetto Generale, pressato con richieste di soccorsi dai Missionari, scriveva[259]: “Quello che ora ci opprime sono le enormi spese per la Chiesa del S. Cuore in Roma; quando tutti quei debiti saranno pagati potremo respirare”. Don Sala, mandato a Roma per esaminare da vicino la situazione, riferì il 28 aprile in Capitolo, presente Don Bosco, che aveva sospeso tutti i lavori della chiesa, tranne quelli per l'altar maggiore e l'altare del cardinale [351] Vicario; avervi trovato debiti sopra debiti per un ammontare di circa trecentocinquantamila lire; proporre che per tirare innanzi si contraesse un mutuo. Non sì volle mutuo, ma si decise la vendita di certi stabili ereditati dalla Congregazione. In novembre Don Bosco stesso s'indusse a supplicare così mons. Della Volpe, segretario particolare di Leone XIII:

 

                                Eccellenza Reverendissima e Carissima,

 

                L'ultima volta che ebbi il grande onore di ossequiare a Roma il Santo Padre, Esso ebbe la degnazione di dirmi che nei gravi casi avessi fatto capo a V. E. per essere più speditamente sbrigata la mia pratica.

                M trovo in questa occasione a compimento delle spese che dovetti sostenere nella costruzione della facciata del Sacro Cuore di Gesù. Avvi ancora la somma di 51 mila franchi, che la carità del Santo Padre fece sperare di pagare Egli stesso. Io mi trovo in grandi strettezze, perciò se l'inesauribile carità del medesimo può venirmi in aiuto il tempo non può essere più opportuno.

                Il nostro Economo va a Roma per regolare appunto le spese di questa costruzione: egli passerà presso la E. V. per quella migliore risposta che potrà avere.

                I nostri orfanelli, oltre a trecento mila, pregano ogni giorno per Sua Santità, ma non si dimenticano della Benemerita E. V. R.ma.

                Compatisca questa mia povera brutta scrittura. Non posso più scrivere. Mi dia la sua benedizione e mi creda in G. C.

 

                Torino, 6 novembre 1887.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Di una lettera inviata dal Santo al Duca di Norfolk sullo stesso argomento due settimane prima della morte, abbiamo detto in altra occasione[260].

                Fra quante e quali difficoltà si navigasse per andare avanti[261], lo lasciava chiaramente intendere anche un foglio autografo rimesso da Don Bosco a Don Dalmazzo poco prima di partire da Roma. Diceva così: “Manca controllore delle [352] provviste che entrano o no. - Vegliare sui prezzi. - Chi veglia sui materiali portandi altrove? - Si lavora poco.

                Si ruba in casa e fuori. Si sciupano materiali, specialmente tavole. - Fare e disfare ponti sulle volte. - Si può provvedere o mettendo Leone [262] ad assistere e sostituirlo con un altro in cucina o mettendo un pratico ad assistere”.

                Nel medesimo promemoria discende pure ai bisogni dei confratelli, raccomandando al Direttore di fare le necessarie “provviste pei Salesiani in abiti e biancheria”. Intenerisce di più questa sollecitudine paterna per i suoi figli, quando si sa che egli per conto suo era così delicato da temere di causare disturbi in casa per i doverosi riguardi che si vedeva usati negli apprestamenti di tavola e nei servizi di camera. Infatti un giorno disse a Don Dalmazzo: - Povero Don Dalmazzo! Devi spendere per Don Bosco! Ma spero che verrà qualcuno e mi farà elemosina e pagherò tutto[263].

                Egli trovò realmente chi gli fece elemosina..

                Un giorno, per esempio, comparve un buon uomo assai umilmente vestito, che non palesò il suo nome. Voleva vedere Don Bosco. Don Rua avrebbe voluto che dicesse a lui di che si trattava; ma l'altro gli rispose che l'avrebbe detto solamente a Don Bosco. Quegli nella sua carità andò a pregare il Santo di ascoltare il poveretto. Dopo l'udienza Don Bosco disse: - Quel buon uomo mi ha portato un'offerta quale da nessun principe romano ho finora ricevuta.

                La sera del 17, venute alcune persone a visitarlo, espose con il solito suo fare grazioso le proprie necessità, mostrandosi però fiducioso nella Provvidenza che l'avrebbe aiutato. La mattina seguente due signori, senza sapere uno dell'altro e senza incontrarsi, gli portarono la somma occorrente per il viaggio. Quando poi s'incamminava per recarsi alla stazione, ecco che, via facendo, un terzo gli si accosta e gli consegna una busta dicendogli: [353]

- Sono i danari per il viaggio. - Erano cento lire, come cento gliene avevano portate gli altri due.

                Gli piovve così nelle mani il bisognevole per sè e per i suoi due compagni.

                Quale sarà stato il filo delle sue idee, allorchè il fischio della locomotiva lo avvertì che il treno lo portava lungi da Roma, e soprattutto quando il ritmo accelerato della corsa gli fece intenderle che si era fuori delle mura aureliane e che si avanzava nell'immensa solitudine dell'agro, assai più solitario allora che non al presente? Venti volte egli era venuto a Roma. È quasi impossibile venir via da Roma senza ripromettersi o almeno augurarsi un ritorno; ma questa volta il pensiero del ritorno non si affacciava più alla sua mente. Nell'accomiatarsi dalle persone di sua confidenza aveva preso congedo definitivo, dando loro l'appuntamento in paradiso. Gli si rispondeva bene che c'era ancora speranza di rivederlo; ma egli badava a ripetere: - Sì, lo spero, ci rivedremo in paradiso[264].

                Che viaggio memorabile la prima volta nel 1858! L’Italia era ancora “in pillole” nè esisteva ferrovia da Genova a Roma. Gli bisognò munirsi di passaporto, dettare il suo testamento dinanzi a notaio e testimoni, prendere posto sopra un battello e navigare fino a Civitavecchia. Che tortura quel mal di mare! Balzando dalla diligenza, toccò il suolo della città santa con la commozione degli antichi romei Quella fu l'unica volta che visitò l'urbe. Scese nelle catacombe di S. Callisto recentemente esplorate; salì financo sulla cupola di S. Pietro. Il conte De Maistre, che gli dava ospitalità, lo fece conoscere a quanti potè in case patrizie e in palazzi cardinalizi. Pio IX lo ricevette due volte al Quirinale e una in Vaticano; in quelle udienze gli diede suggerimenti per gettare buone basi alla Pia Società, postillò di propria mano l'abbozzo delle regole e gli disse di scrivere i suoi sogni. Il giovane chierico che allora seguiva come, l'ombra il Servo di Dio, ora gli sedeva a fianco suo Vicario.

                Dalla prima andata alla seconda trascorsero circa nove [354] anni. Partì da Torino nel gennaio del 1867 con Don Francesia, che dopo narrò di quel viaggio in un grosso volume. Per due mesi vi esercitò un vero apostolato dal pulpito, dal confessionale, al letto degli infermi, in visite fatte e ricevute; ma era là per comporre gravi divergenze sulla nomina dei Vescovi. Quasi tutta l'Italia era unificata sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II; il Governo risiedeva a Firenze. Non si trovava una via d'intesa per provvedere a tante sedi vescovili vacanti nelle terre annesse al Piemonte; Don Bosco ci venne a capo con la sua politica del Pater Noster. Avviò le pratiche per l'approvazione della Società Salesiana. I nobili romani se lo disputavano per la celebrazione della Messa nei loro domestici oratorii, tanta opinione si andava diffondendo della sua santità. Con la libertà dei Santi disse dure verità all'ex - re di Napoli.

                Tornò a Roma nel 1869. Quanto dovette destreggiarsi per ottenere che si facesse buon viso alla sua nuova Società! Ma ci vollero i miracoli di Maria Ausiliatrice: un moribondo guarito, una podagra vinta, una polmonite arrestata. Il Papa non poteva mostrarglisi maggiormente padre. Quando partì, portava seco la sospirata approvazione.

                Il Concilio Vaticano lo richiamò a Roma nel 1870. Alla vigilia dell'Epifania “la voce del cielo” si fece udire per suo mezzo “al pastore dei pastori”. Non poco influì sull'animo di autorevoli Padri in favore della dogmatica definizione dell'infallibilità pontificia. Il Papa lo chiamò a sè e gli disse: Gli oppositori vostri sono anche oppositori miei.

                Dopo l'occupazione di Roma i quattro primi viaggi, voluti dal Papa e dal Governo, ebbero per iscopo di appianare le difficoltà circa la provvista di numerose diocesi vedovate di pastori. Contemporaneamente spingeva avanti le pratiche laboriose per istrappare l'approvazione delle Regole. Nel quarto di questi ultimi soggiorni l'intento pareva raggiunto; ma nella Commissione cardinalizia mancò un voto. La sera del 3 aprile 1874, venerdì santo, il Papa disse al relatore: Il voto che manca lo metto io. - Così fu steso il decreto. [355]

                Dal 1875 al 1882 le sue peregrinazioni a Roma si ripeterono dieci volte principalmente per affari della Congregazione, che alla sua partenza da questo mondo egli voleva lasciare  stabilmente consolidata. Nel 1876 accondiscese a leggere il discorso consueto del venerdì santo dinanzi all'accademia dell'Arcadia; nel 1877 accompagnò ad limina monsignor Aneyros, arcivescovo di Buenos Aires; nel 1878 rese delicati e importanti servigi alla Chiesa durante il Conclave e predisse la tiara al cardinale Pecci; nel 1880 Leone XIII gli affidò la costruzione della chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio.

                La persuasione che Don Bosco fosse un santo si era fatta strada ogni anno più in tutti gli ambienti romani.

                La penultima volta che si rimise in cammino alla volta di Roma, nel 1884, si mosse per andar a smantellare le estreme resistenze che si opponevano alla concessione dei privilegi. Li implorava già da dieci anni. Finalmente l'intervento diretto di Leone XIII gli diede causa vinta. - La vostra vita appartiene alla Chiesa, gli disse quella volta il Papa.

                Tutto questo corteo di memorie dovette passare e ripassare - dinanzi alla mente di Don Bosco, man mano che in quel 18 maggio 1887 si allontanava da Roma con la certezza di non potervi mai più fare ritorno. Affranto nel corpo, ma confortato nello spirito, cursum consummavi, avrà ripetuto a se stesso, disponendo l'animo al supremo viaggio verso i fastigi

 

                Di quella Roma onde Cristo è Romano[265].

 

 

 

CAPO XVI

L'ultima festa di M. A. celebrata con Don Bosco. Due settimane a Valsalice. L'ultimo onomastico.

 

                DON Bosco aveva premura di tornarsene all'Oratorio per la gran ragione che s'approssimava la festa di Maria Ausiliatrice. Non gli sarebbero tuttavia bastate le forze a fare d'un fiato i seicento sessantasette chilometri che separano Roma da Torino; erasi perciò predisposta una discreta fermata a Pisa presso l'amabilissimo monsignor Capponi. Nulla tralasciò l'Arcivescovo per dimostrare quanto si sentisse onorato e felice di possedere un tale ospite. Gli assegnò la camera dove aveva dormito Pio VII. Un giorno intero e due notti in quella pacifica dimora gli furono di vero sollievo. Monsignore la mattina del 20, dolente di perderlo così presto, volle essere da lui benedetto; poi gli prese e baciò, intenerito, le mani. Don Bosco, umile e commosso, gli manifestò, come sapeva fare lui, la sua riconoscenza per tutte le bontà da lui usategli.

                Era già il sesto giorno della novena. I nostri viaggiatori giunsero all'Oratorio mentre l'intera comunità stava radunata ai piedi di Maria Ausiliatrice per la funzione della sera. Don Rua arrivò proprio in tempo per dare la benedizione, che Don Bosco andò a ricevere dal coro; ma dopo si avviò tosto verso la sua camera, volendo evitare l'assalto che quei [357] della casa gli avrebbero dato alla loro uscita. Li salutò dall'alto del ballatoio, affollati e plaudenti nel cortile. Sul tardi le sue finestre illuminate attiravano gli sguardi e rallegravano i cuori, facendo sentire nuovamente la presenza del Padre.

                Mancavano ancora i priori della festa, quando comparve il barcellonese Don Manuel Pascual Bofarull con la sua consorte e i suoi tre figli. Don Bosco pregò senz'altro i due coniugi di accettare quell'ufficio; del che essi lo ringraziarono come di un segnalato favore. Alla loro volta pregarono Don Bosco di amministrare a una loro bambina la prima comunione.

                Nell'ultimo giorno della novena tenne Don Rua la solita conferenza ai Cooperatori. Don Bosco lo ascoltò dal presbiterio, accanto a monsignor Leto. La folla, che non aveva mai cessato di rimirarlo, si riversò dopo nelle sacrestie serrandolo così strettamente, che egli impiegò più di mezz'ora per attraversarle e non meno di un'ora per arrivare di là alla scala. Si mostrava di buon umore parlando, sorridendo, salutando con la sua abituale amabilità; pure non poteva nascondere un generale accasciamento, che si rivelava dall'andatura stanca e dal volto languido, e una tal vista produceva nei riguardanti quel senso di segreta tristezza che si prova dinanzi a persona cara, i cui giorni appaiono contati.

                Mai negli anni precedenti non si era mostrata così piccola la chiesa di Maria Ausiliatrice; fu veramente straordinaria la ressa dei cittadini e dei forestieri, venuti questi ultimi anche da luoghi molto lontani. Il fervore religioso della moltitudine andò crescendo di mano in mano che si udivano o si vedevano grazie prodigiose concesse dalla Madonna. Alla vigilia, quando il Servo di Dio nella prima sacrestia stava attorniato dai fedeli, gli fu presentata una piccina che aveva già i segni della morte sul volto. A istanza dei genitori egli la benedisse, esortandoli a confidare in Maria Ausiliatrice. Giunto che fu sulla soglia della seconda sacrestia, ecco quei due fortunati spingersi fra la calca verso di lui raggianti di gioia, perchè la loro [358] bambina, aperti gli occhi, riprendeva vita. Al mattino della festa un giovanotto, entrato in chiesa con le grucce, ne uscì palleggiando quegli arnesi con le mani.

                Un'altra benedizione di Don Bosco fu seguita da un vero prodigio. A Torino nel mese di gennaio una giovane di quindici anni aveva avuto un grande spavento, perchè suo padre in una pubblica adunanza era stato disonorato e maltrattato per affari di commercio. Per sì gravi insulti la povera figliuola rimase talmente sconcertata, che corse rischio di perdere la vita. Cinque mesi di cure mediche non giovarono a nulla: essa teneva sempre il letto, non riconoscendo talora suo padre e sua madre. I genitori dopo diverse preghiere fecero un voto a Maria Ausiliatrice e finita una novena condussero la figlia alla presenza di Don Bosco, perchè le desse la sua benedizione. Don Bosco la benedisse e l'inferma ricuperò in breve la perfetta salute. Chiunque l'aveva vista prima, non poteva non proclamare il miracolo[266].

                Anche nella camera di Don Bosco accadde un fatto singolare. Entrarono nell'Oratorio tre donne, conducendo una povera giovinetta inferma, che a grande stento si reggeva sulle grucce. Desiderose di farla benedire da Don Bosco, l'aiutarono a salire sul ballatoio del secondo piano fino alla porta dell'anticamera. Il segretario Don Viglietti, che narra la cosa nel suo diario, dovette passare più volte davanti a loro, ma sordo sempre alle suppliche rivoltegli, perchè le lasciasse andare da Don Bosco; il Santo era trattenuto da molti illustri forestieri e non sembrava possibile per quel giorno avvicinarlo. Stanco finalmente e commosso da tante preghiere, le introdusse, rimanendo egli fuori ad aspettare che uscissero per far entrare altri dei personaggi che aspettavano. Passati pochi minuti, la giovinetta riapparve sorreggendosi tuttavia sulle stampelle. Don Viglietti, e non seppe mai spiegarsi come gli fosse balzata in capo quell'idea, le mosse incontro, dicendole [359] con un certo suo tono familiare, che avrebbe voluto essere burbero: - Come? Che fede è questa? Andar a prendere la benedizione di Don Bosco proprio nel giorno di Maria Ausiliatrice e andarvene tal quale siete arrivata! Via quelle grucce, camminate senza e andate ad appenderle nella sacrestia. Don Bosco non dà mica per niente le sue benedizioni. La giovane lì per lì rimase come stordita; poi consegnò le stampelle a sua madre e discese con istento in chiesa, dove si trovò perfettamente guarita.

                Sedici giorni appresso, questo fatto ebbe un seguito. Un tal canonico di Torrione Canavese, villaggio nativo dì quella giovane, venne il 9 giugno all'Oratorio, accompagnato dal canonico Forcheri, segretario arcivescovile, ed entrambi narrarono a Don Bosco che il paese era tutto sottosopra. Che cosa era mai accaduto? La giovane era stata condannata dai medici ad un'amputazione per cancrena; ma, presentatisi nel giorno stabilito per operare, l'avevano trovata con loro immensa meraviglia senza traccia di male. I due sacerdoti erano poi oltremodo curiosi di conoscere quel certo pretino che nell'anticamera di Don Bosco aveva fatto all'inferma una predica così efficace, ripetuta da lei a tutti i suoi compaesani. Ne chiesero a Don Bosco, il quale rispose non poter essere altri che Don Viglietti. Questi che non sapeva nulla, entrato dopo cena nel refettorio del Capitolo per accompagnare Don Bosco al riposo, si vide accolto da una ilarità generale. Don Bosco che aveva raccontato la cosa ai Superiori, gli disse allora sorridendo: - Io ho indovinato subito che eri stato tu, perchè non conoscevo altri fuori di te che potesse avere una faccia d'tola[267] come tu hai e fosse un craqueur [un contafandonie] del tuo stampo. Un poco alla volta tu prendi la mano a Don Bosco, e io... altro che le mie pentole! - Allusione questa all'episodio di casa Olive, già da noi riferito[268]. [360]

                Di simili favori celesti e di altri, per noi non ben precisati i pellegrini divulgarono la notizia in ogni parte, dilatando così la divozione popolare verso la Madonna di Don Bosco, come si prese a designare Maria Ausiliatrice. Ormai il culto della Vergine sotto questo titolo era così universalmente polarizzato verso il santuario di Valdocco che, scomparendo anche il suo apostolo, la pietà dei fedeli non avrebbe diminuito nè di numero nè d'intensità le pubbliche e private manifestazioni.

                Dalla festa di Maria Ausiliatrice a quella di S. Giovanni Don Bosco trascorse le sue giornate senz'altra notevole variazione che un suo trasferimento a Valsalice per la durata di circa due settimane. Riguardo alla sua salute, il fatto più preoccupante era la cresciuta enfiagione alle gambe, che gli rendeva sempre più difficile e penoso il camminare. Gli si suggerì come buon rimedio di lasciarsele ungere con un certo olio estratto da erbe. Egli da prima non volle. - Il mio stato, diceva, è quale lo vuole il Signore. - Via poichè i suoi figli si mostravano fiduciosi di vederlo con questo nuovamente muoversi spedito e senza incomodi, si arrese ai loro desideri più per compiacerli che per la speranza di sensibili risultati. - Così noi, disse a Don Viglietti, eserciteremo ambidue la pazienza, tu a pelare e io a essere pelato. Da questo punto ti nomino mio dottore. - Ma il medicamento lasciava il tempo che aveva trovato, servendo davvero soltanto a farlo maggiormente patire. I medici saputolo gli consigliarono di smettere la dolorosa cura. Per fortuna, se stava male di gambe, stava sempre bene di testa; onde aveva ragione il corrispondente parmense di un giornale liberale torinese scrivendo in un articolo intitolato Don Bosco cammina[269]: “Già da molti anni intesi a dire che don Bosco è affetto da grosse varici alle gambe e cammina molto stentatamente. Se Domineddio non lo favorì nelle gambe, l'ha compensato grandemente col dargli [361] una volontà tenace che non si arresta davanti agli ostacoli, ma cammina imperterrita per raggiungere le mète”. Con questo esordio, si veniva a parlare delle nuove pratiche per l'apertura di un collegio a Parma.

                Sul principio di giugno egli raccontò un sogno. Da più anni andava rinnovando le sue insistenze, perchè si scrivesse un libretto sull'impiego che i ricchi debbono fare del danaro. Già parecchie volte ci è occorso di rilevare quanto fosse di manica stretta in questa materia. Agli stessi Salesiani pareva troppo ardito il linguaggio da lui tenuto in certi casi a persone facoltose; aveva tutta l'aria di voler scartate le opinioni benigne dei teologi intorno al modo d'intendere il superfluo delle ricchezze. Vedendosi contraddetto in queste sue idee, cessò in ultimo di ripicchiare sulla necessità di quella pubblicazione; ma il pensiero gli stava fitto in capo nè mai lo abbandonava. Narrò dunque il 4 giugno: - Sognai alcune notti fa di vedere la Madonna, che mi rimproverava del mio silenzio sull'obbligo dell'elemosina Mi disse che molti sacerdoti andavano alla perdizione, perchè mancavano ai doveri imposti dal sesto e dal settimo comandamento, ma insistette specialmente sul cattivo uso delle ricchezze. Sì superfluum daretur orphanis, diceva, maior esset nuvterus electorum; sed multi venenose conservant ecc. E si lamentava che il sacerdote dal pulpito tema di spiegarsi sul dovere di dare il superfluo ai poveri, e così il ricco accumula l'oro nel suo scrigno.

                Don Lemoyne, testimonio così autorevole, ci rappresenta a questo modo Don Bosco solo in camera durante le ore della sera: “Don Bosco alla sera quando era solo in camera sì abbandonava nei suoi pensieri e progetti e in questi passava immobile, le lunghe ore. Prevedendo difficoltà nelle svariate sue intraprese, trovava il modo di scioglierle. Egli visitava ad una ad una tutte le case e pensava al bene ed al miglioramento di tutte. Si rappresentava i suoi Salesiani in qualunque parte del mondo si trovassero, si intratteneva con essi, perchè l'amore era il suo movente in ogni cosa”. A conferma di ciò [362] il medesimo Don Lemoyne riporta una lettera dettatagli dal Santo il 30 giugno, da lui firmata e indirizzata al chierico Giorgio Tomatis, che si trovava nel collegio di Randazzo e che molto probabilmente gli aveva scritto per l'onomastico, manifestandogli il timore di essere da lui dimenticato.

 

                                Carissimo Tomatis,

 

                Tu pensi a me, t'immagini di parlarmi e di ricevere la benedizione. Mio caro figliuolo, ti dirò anch'io che penso a te? Vedi, quando io son solo, nella quiete e nel silenzio della sera, io vi vedo tutti, miei diletti figliuoli, uno ad uno vi passo in rassegna, penso ai vostri bisogni, al modo di provvedervi il meglio che sia possibile secondo il temperamento e il carattere d'ognuno di voi e poi vi benedico.

                Oh se poteste conoscere tutto l'affetto che ho per voi tutti, miei cari figli, credo che perfino ne soffrireste. Pensa dunque, caro Tomatis, se non prego per te! Sta pur tranquillo che Don Bosco finchè avrà vita non lascierà passare un sol giorno senza aver pregato fervidamente per voi, senza avervi benedetto.

                Son lieto di saperti contento: continua con santa energia, lotta con coraggio nelle battaglie del Signore contro l'eterno nemico suo e nostro, raccomandati a Maria Ausiliatrice, sii molto divoto del Sacro Cuore di Gesù e non temer nulla.

                Avanti dunque, sempre avanti nella perfezione, fa che ogni dì tu abbia fatto un bel gradino della grande scala della santità.

                Iddio ti benedica in un con tutti codesti miei cari figli di Randazzo, continua a pregare per me e credimi sempre in G. e M.

                Torino, 30 giugno 87.

 

    Tuo aff.mo

Sac. Gio. Bosco.

 

                Quindi Don Lemoyne ripiglia: “Siamo agli ultimi giorni della vita di Don Bosco. Ormai teatro delle sue sante azioni sarà quell'umile cameretta nella quale tante centinaia di migliaia di persone vennero a ricevere grazie, consolazioni e consigli: in quella camera ove giunsero milioni di lettere da ogni parte del mondo e da ogni città e direi quasi villaggio d'Europa esponendo ogni sorta di miserie, dolori, angoscie, nobili proponimenti, voci di duolo, di speranza, di gioia, di carità e alle quali Don Bosco instancabilmente rispondeva o faceva rispondere dai suoi più fidati figliuoli: ove somme [363] enormi passavano per le sue mani, mandate dalla divina Provvidenza in sostegno delle sue opere, che strappavano dal suo cuore un inno continuo di ringraziamento: ove tante imprese furono ideate per la gloria di Dio: ove tante virtù naturali e sovrannaturali furono coperte dal velo dell'umiltà e donde le preghiere del Santo salivano a Dio ed a Maria Ausiliatrice e grazie infinite impetravano”.

                Fra giugno e luglio a Calliano presso Penango un ragazzo fu morso da un cane. I parenti, temendo che quel cane fosse arrabbiato, condussero il ragazzo da un suo zio a Torino per la cura antirabbica. Qui il dottore, esaminato il fanciullo, ritenne che si dovesse prima verificare, se il cane fosse idrofobo; ma non si riuscì più a rintracciarlo. Allora il giovane venne presentato a Don Bosco. Udito come stessero le cose, il Santo disse: - Si cominci una novena; intanto il ragazzo faccia la confessione e la comunione nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Non lo rimettano in mano ai medici; il cane ritornerà. - Infatti, nel momento stesso che egli proferiva queste parole, il cane ritornò e si constatò che arrabbiato non era. Il medico di Calliano meravigliato diede tanta pubblicità al fatto, che molti anni dopo in paese ancora se ne parlava.

                Certe giornate precocemente torride lo spossavano oltremodo, sicchè si lasciò condurre il 4 luglio a Valsalice. Mentre scendeva le scale per andare alla carrozza che lo aspettava nel cortile, si fermò alla porta dell'infermeria. Vi giaceva gravemente infermo di polmoni il coadiutore Carlo Fontana. Andrò io a visitarlo - aveva detto sentendo che era agli estremi; ma poi non era andato. Non aveva però dimenticato la promessa. Non entrò tuttavia, ma gli fece riferire queste sue parole: - Don Bosco non è venuto per non chiuderti gli occhi. Ti aspetto a Valsalice; vieni là a trovarmi. - Infatti Fontana guarì così presto, che potè ancora visitarlo a Valsalice, e guarì così bene che potè ancora campare fino al 1912.

                A Valsalice Don Bosco sperimentò subito un sensibile refrigerio, come appariva anche dall'allegria che manifestava [364] nelle conversazioni, alle quali partecipava ascoltando più che non parlando. Gioiva specialmente nell'udir ricordare le vicende antiche dell'Oratorio. Vedendo che in questo pigliava tanto gusto, i suoi figli più anziani gliene venivano rammentando chi una e chi un'altra. Una sera a cena Don Garino lo esilarò molto raccontando come, al tempo delle perquisizioni della polizia nell'Oratorio, si vendeva per la strada un foglio al grido: - Don Bosco in prigione! un soldo alla copia! e che Don Bosco, andando quel giorno con lui per le vie della città, gli diede un soldo perchè acquistasse il foglio. Era un anno di furori piazzaioli contro i preti. Un giorno Don Bosco, passando col medesimo Don Garino per piazza Savoia, s'imbattè in due donnacce che dissero: - Questi preti bisognerebbe impiccarli tutti. - E Don Bosco pronto a rispondere:

 - Quando abbiano i vostri meriti.

                Un'altra volta Don Bosco stesso prese a dire della facilità con cui da giovane riteneva tutto il contenuto di un libro dopo una sola lettura, affidando così alla memoria opere di vario genere, il che costituì per lui in seguito un capitale ben prezioso. Ma poi a un tratto s'interruppe esclamando: - Oh come avrebbe fatto meglio Don Bosco a leggere e imparare un solo capitolo dell'Imitazione di Cristo e metterlo bene in pratica! - Erano ad ascoltarlo molti preti, fra i quali Don Tallandini di Faenza, venuto a Torino per l'onomastico di lui.

                A Valsalice ricevette dal principe Czartoryski relazione sull'andamento delle cose sue[270]. Il padre, fattosi più arrendevole dopo il ritorno di Augusto da Roma, non voleva lasciarlo partire, se prima egli non espletasse le pratiche per la formazione del maggiorasco, cominciate già da tre anni. Fino allora erano stati intestati al figlio i tenimenti e gl'immobili paterni; si trattava ancora di aggiungervi nuovi capitali e infine di ottenere la necessaria autorizzazione dell'Imperatore d'Austria. Naturalmente il giovane signore si sarebbe riserbato [365] un patrimonio personale da potersi rivendicare, quando, facendosi religioso, rinunziasse al maggiorasco in favore del fratello. Egli scriveva da Parigi, ma stava sulle mosse per recarsi col padre a Vienna e di là a Cracovia, dove per la fine del mese i Czartoryski dovevano ricevere la visita del principe imperiale. “Sarò forse esposto a tante distrazioni, scriveva il Principe a Don Bosco. Le do comunicazione di tutti questi disturbi come a mio direttore spirituale. Io sono sempre risoluto a fare la volontà del Signore, seguendo la mia vocazione. Voglio ritornare a Torino, appena mi sia possibile. Mi raccomando, Padre mio, alle sue preghiere” . Don Bosco immediatamente gli rispose:

 

                                Mio caro principe Augusto,

 

                La vostra vocazione trovasi ora a qualche prova, ma io trovo che ciò è un bene; e benedico il Signore che vi continui questa buona volontà che è tutta secondo il parere del Santo Padre.

                Io sono costantemente dello stesso pensiero e perciò dello stesso modo di vedere. La Congregazione Salesiana vi è sempre aperta ogni volta, come mi dite, vorreste venire per passare un tempo qualunque più o meno lungo.

                Intanto io prego e pregate anche voi con me, affinchè Dio ci tenga tutti fermi per questa strada che ci assicura viemeglio il Paradiso.

                Ricevete i saluti cordiali dei vostri amici Salesiani e che la Santa Vergine ci sia di guida al cielo. Così sia.

                Omaggio all'augusto vostro Genitore e a tutta la vostra famiglia.

                Torino, il 15 giugno 1887.

 

Vostro aff.mo buon amico

Sac. Gio. Bosco.

 

                Da Valsalice venne via la sera del 23 giugno per essere presente alle due accademie dell'onomastico. In entrambi i trattenimenti, canti e suoni, versi e prose con doni svariati fecero palese dinanzi a numeroso pubblico l'affetto dei figli verso il loro buon Padre[271]. Il teologo Piano, ex - allievo della prima ora e parroco della Gran Madre di Dio, in un suo discorsetto[272] [366] rendeva questa testimonianza: “Quante volte nelle difficoltà del nostro ministero il solo ricordo della vostra parola ci serve di stimolo! Quante volte nel vederci circondati da numeroso stuolo di fanciulli, ci si presenta alla mente l'amabile vostro volto, il vostro sguardo penetrante, i vostri paterni, consigli, e facciamo quanto possiamo per riprodurli! Quante volte io stesso sentii con infinito gaudio a dire dei vostri figli: Ah si conosce che questi sono stati educati da D. Bosco! [ ... ] Sebbene lontani da questo caro Oratorio, noi lo consideriamo sempre come la nostra casa. Il pensiero si porta quivi frequentemente, e subito ci si presenta la vostra persona, o Padre. Quando poi possiamo ritornare e parlarvi, allora ci pare più lieta la vita, più facile la pratica del bene e più sicuro l'aiuto del buon Dio”. Ricordato quindi il reciproco amore che un tempo legava il padre ai figli e i figli al padre, chiudeva con la seguente dichiarazione: “L'amore che avevamo allora verso di voi, ancora l'abbiamo. Ed è questo nostro amore che ci fa considerare come nostre le vostre glorie e che ci porta ad accrescere il numero dei vostri figli e cooperatori. È la riconoscenza pei benefizi ricevuti che c'impone l'amore. Non è qui all'Oratorio che i più di noi ebbimo pane e vesti di cui eravamo privi? All'Oratorio i più debbono quella posizione che occupano nella società. All'Oratorio quei buoni principii, quelle sante massime, quella sana educazione per cui possiamo mantenerci costanti nel bene. Tutto dobbiamo a voi, e volete che vi dimentichiamo? Ah! cesserà di muoversi questa lingua, prima che cessi di dire le vostre lodi; cesserà di battere questo cuore, prima che cessi di amarvi. Amare voi, noi lo teniamo come segno dell'amor di Dio”.

                Incombeva su tutti il triste presentimento che quella fosse l'ultima festa di Don Bosco. L'inno composto da Don Lemoyne e musicato dal Dogliani, congiungendo un primissimo [367] canto con quello che doveva essere l'estremo, gettava nell'animo dei più anziani una nostalgica commozione, condivisa pure da Don Bosco; poichè, ogni quattro strofe eseguite da un primo coro, un secondo coro ripeteva a mo'  di ritornello le due strofe cantate la prima volta che i giovani dell'Oratorio ne festeggiarono l'onomastico:

 

                Andiamo, compagni,          Il tempo è gradito,

                Don Bosco ci aspetta;       C'invita a goder;

                La gioia perfetta                                Corriamo all'invito

                Si desta nel cuor.                Di festa e Piacer.

 

                Si chiudeva così tutto un cielo di soavi manifestazioni, alle quali specialmente i giovani partecipavano con vera esultanza e il cui ricordo durava nei loro animi salutarmente incancellabile per tutta la vita, com'è ancora possibile vedere nei pochi vecchi superstiti. “La festa di quest'anno, scrive il nostro diarista, fu splendida, cara, cordiale”.

 

 

CAPO XVII

Un mese a Lanzo. Ultimo compleanno. Ultima dimora a Valsalice.

 

                Dopo le feste, Don Bosco per mezzo di Gastini invitò secondo il consueto gli ex - allievi sacerdoti per l'11 agosto e quelli secolari per il 14; ma egli non potè trovarsi con loro, perchè era a Lanzo nè le sue condizioni di salute gli permettevano di scendere a Torino. Telegrafò di lassù ai primi: “Spiacente assenza, auguro cordialissima convivenza e allegria”. E ai secondi: “Cari figli, mi rallegro, auguro appetito, felicità, santità, timore di Dio”. Tutt'e due le volte l'aveva sostituito Don Rua. Fu per altro inviata a Lanzo una commissione mista di ecclesiastici e di laici, perchè gli portassero auguri a nome di tutti. Don Bosco li accolse non in casa, ma nel prato attiguo al collegio. Scrive nella sua relazione il capo della brigata, Don Griva, parroco di Cunico d'Asti[273]: “Don Bosco fu così commosso, che sulle prime non potè articolar parola. Ci guardò con quel suo sguardo benigno e sagace con cui ci ha guardati tante volte. L'occhio è sempre il suo, ma all'aspetto ahi! quanto ci parve sofferente”. Egli ricordò loro che come riceveva essi in quel prato, così aveva fatto nei prati di Valdocco a' suoi giovanetti. Si parlò della Patagonia e della Messa d'oro, per la quale voleva che venisse a Torino un coro di duemila Patagoni. Trascorsa così in mezzo a loro un'oretta [369] di vera letizia, li benedisse e disse loro: - Pregate per me, affinchè io possa salvare l'anima mia. - Infine raccomandò loro di dire all'Oratorio che non si prendessero inquietudini per la sua salute.

                A Lanzo Don Bosco si trovava già dal 4 luglio. Medici e superiori, per sottrarlo ai pericolosi effetti del caldo di Torino, l'avevano persuaso a recarsi colà per respirare meglio in quell'aria così fresca e ossigenata. Non c'era stato più dalla festa di S. Luigi del 1884. Aveva sempre amato tanto quel collegio!

                Il collegio sorge parte sul fianco e parte in vetta di una collina interamente sgombra da altri edifizi con un'alta ed estesa ripa erbosa a levante, coronata sulla sommità da una comoda strada, che va a finire sotto una pergola. In fondo alla valle rumoreggia la Stura, dalla cui riva opposta si elevano le prealpi, e a sinistra di chi le guarda si stende una vasta e amena pianura: in fondo all'orizzonte emerge Torino. Ogni sera Don Bosco faceva lassù la sua passeggiata, fermandosi alquanto in un punto così pittoresco. Rare volte e per non lungo tratto andava a piedi. Una sedia con le ruote a mo' di carrozzella gli offriva da sedere; la sospingevano per lo più Don Viglietti o altri della casa e talora anche visitatori di confidenza. Alla comitiva degli ex - allievi disse, mentre vi si assideva: - Io che sfidava i più snelli a fare salti, ora debbo camminare in carrozza con le gambe altrui. -

                Sotto la pergola sovente teneva circolo con pochi intimi. Una volta, essendovi il solo coadiutore Enria, guardava pensieroso verso Torino; poi sospirando esclamò: - Là sono i miei giovani. Un'altra volta gli domandò se ricordasse ancora un vecchio Tantum ergo da lui composto, indi prese a cantarlo con voce flebile e con vivo sentimento. Certe sere Don Viglietti scendeva al fiume, passava il classico ponte romano a un solo arditissimo arco, si arrampicava su per gli opposti dirupi e da qualche cima lo salutava, sventolando il fazzoletto, ed egli tutto contento rispondeva allo stesso modo. Insomma [370] si faceva il possibile per ricrearlo e ridonargli un po' di benessere.

                Tutte le autorità costituite di Lanzo si diedero premura di recarsi a ossequiarlo. Vi andò pure il deputato Palberti. Signori e signore villeggianti, mossi specialmente dal desiderio di vedere lui, assistettero in gran numero il 7 agosto alla distribuzione dei premi.

                Sono del mese di luglio quattro sue lettere, delle quali si conserva copia nei nostri archivi. La prima è indirizzata alla tanto benemerita signora Magliano.

 

                                Benemerita Sig. Magliano,

 

                Domenica ultima, mi pensava che ci fosse rimasto un po' di tempo per discorrere di noi e della maggior gloria di Dio, ma non si potè. Se mai non fosse troppo fare una passeggiata fin qui la cosa sarebbe opportuna. Ci sono più corse al giorno: potremmo discorrere tranquillamente, il tempo libero Ella potrebbe passarlo colle nostre Suore, dove avrebbe refezione con quanto sarà necessario. Che ne dice? Il clima è stupendo; io conto di passare il mese. Dio ci benedica e Maria ci guidi al Cielo.

 

                Lanzo, il 6 di luglio 1887.

Umile Servitore

   Sac. Gio. Bosco.

 

                Con la seconda lettera Don Bosco esaudisce la domanda di un adulto, che vorrebbe essere coadiutore salesiano. Questi professò dopo la morte del Santo e uscì di vita nel 1893.

 

                                Caris. Sig. Gian Giacomo Dalmasso,

 

                Con grande soddisfazione dei cuor mio ho ricevuto la vostra lettera piena di affetto figliale a mio riguardo. Dio sia benedetto. Avrò un Salesiano di più che lavorerà meco per guadagnare anime al Cielo ed assicurare ognor più la vostra e la mia.

                In quanto alle vostre occupazioni tratteremo di presenza; i nostri sforzi pecuniarii sono tutti rivolti in questo momento ad aiutare i nostri Missionari d'America.

                Essi danno la vita per le anime, e noi daremo volentieri la borsa in loro aiuto. [371]

Non posso scrivere di più. Maria ci guidi tutti per la strada del cielo. Amen.

                Lanzo, il 18 luglio 1887.

 

Aff.mo amico in G. C.

 Sac. Giov. BOSCO.

 

                PS. Venite pure con noi a vostro piacimento. Vi attendiamo a braccia aperte.

 

                La terza la lettera andava alla baronessa Azelia Fassa in Ricci des Ferres.

 

                                Benemerita Sig. Azelia,

 

                Dio ci vuole in cielo, ma per mezzo delle tribulazioni. Noi eravamo pieni di contentezza pel miglioramento del figlio del Sig. Conte Francesco De Maistre ed ecco nuova catastrofe, ossia nuovo merito da acquistare davanti a Dio. Ma speriamo e preghiamo. Le spine pungeranno, ma saranno di certo cangiate in rose per la beata eternità. Io pregherò, i nostri orfanelli faranno comunioni per questo nuovo bisogno; ella poi ci venga in aiuto col solito suo fervore.

                E la mamma Sig. Marchesa come sta? Noi la raccomandiamo ogni giorno al Signore o per un motivo o per un altro. Ella deve andare con Lei al paradiso, ben inteso col Sig. Carlo in nostra compagnia.

                Io sono qui a Lanzo mezzo cieco e mezzo e quasi interamente zoppo e quasi muto. Ma ciò mi sta bene in penitenza del troppo mio parlare fuori di tempo.

                La mano non serve più a scrivere. Maria ci guidi e Dio ci benedica in tutte le cose. Amen.

 

                Lanzo il 24 luglio 1887.

 

Obb.mo servitore

  Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. In questo momento ricevo notizia che il Conte Colle di Tolone nostro insigne benefattore è gravemente ammalato. Lo raccomando caldamente alla carità delle sante sue preghiere.

 

                Il figlio del conte Francesco De Maistre continuò a peggiorare fino all'autunno, quando il padre, perduta ogni speranza di salvarlo, telegrafò a Don Bosco dalla Savoia: “Mio primogenito Andrea pericolosamente ammalato; dimando benedizione”. Era sopravvenuta la polmonite. La febbre molto alta, la tosse ostinata, l'auscultazione più volte ripetuta mostravano che un polmone specialmente era ingorgato [372] e minacciava la vita del povero fanciullo. Intesa dal dottore curante la dichiarazione che non poteva assumere più oltre da solo la responsabilità della malattia, il padre aveva preparato un telegramma da spedire a uno specialista di Parigi; ma prima di spedirlo, volle implorare le preghiere di Don Bosco. Il Santo rispose telegraficamente, benedicendo, promettendo di pregare con i suoi giovani Maria Ausiliatrice e raccomandando di stare tranquilli. Tale risposta fu spedita a tarda sera. Si seppe tosto che il fanciullo aveva passato bene quella notte e che al mattino fu trovato affatto libero: non più febbre, cessata la tosse; fatta l'auscultazione, non si poteva più distinguere qual fosse stato il polmone infermo. Il medico parigino constatò soltanto con maggior certezza la perfetta e subitanea guarigione. Passato l'inverno, il padre condusse Andrea a visitare la tomba del suo benefattore, e perchè più profondamente gli rimanesse impresso il debito di riconoscenza verso il Servo di Dio, fece da lui rimettere a Don Rua un piego, contenente due biglietti da mille franchi. Il giovane continuò a conservarsi sano e robusto[274].

                La quarta lettera richiede alcune spiegazioni. La signora Teodolinda Pilati, vedova Donini, di Bologna, già nota ai lettori come generosa cooperatrice, aveva in giugno comunicato a Don Bosco l'intenzione d'impiegare in opere di beneficenza il patrimonio lasciatole dal marito. Don Bosco le aveva risposto manifestandole anzitutto il suo pensiero non esservi necessità più urgente nei nuovi tempi che aiutare la povera gioventù maschile abbandonata per educarla cristianamente, formarne buoni cittadini, operai e capi di famiglia, e preparare buoni sacerdoti e religiosi mediante la cura delle vocazioni, come appunto si faceva negli istituti salesiani d'Europa e d'America. Ritenendo poi che la signora avesse in animo di beneficare anche le opere salesiane, le consigliava di vendere la parte degli stabili, dei quali poteva disfarsi, e di consegnare [373] a lui od a' suoi rappresentanti il danaro ricavato. Ma essa gli spiegò quali ragioni si opponessero all'esecuzione di questo disegno, dicendogli però che avrebbe passato a lui i suoi crediti. Don Bosco, che ignorava tali circostanze, trovò giustissime le sue osservazioni[275]. La benefattrice non indugiò a dar prova del suo buon volere; poichè in luglio gli spedì la somma di quindici mila lire, del che il Santo la ringraziò con questa lettera.

 

                Lanzo, 26 luglio 1887.

 

                Ricevo in questo momento la sua generosa offerta pei nostri orfanelli e pei nostri Missionari che spendono per essi la loro vita. Erano quattro giorni da che io doveva cominciare la spedizione di Quito e del Chili e attendeva come la manna dal Cielo una speciale beneficenza che fu la sua. Dio la benedica. Le anime che con essa si salveranno lo sa solamente Iddio, e quelle anime che per questa grande carità andranno a godere la gloria del Paradiso pregheranno tanto specialmente per V. S. e pei suoi parenti vivi e defunti.

                Sia benedetto Iddio che ispira Lei a fare le buone opere in sua vita: è certa di trovarle assicurate.

                Dispongo che tutti i nostri orfanelli facciano almeno una santa comunione secondo la pia di lei intenzione. Il numero oggi oltrepassa li trecento mila.

                Io stento a scrivere; li miei giorni volgono veloci al loro fine; desidero una sua visita ai nostri cari della casa di Torino o di altra casa; ma spero di essere assolutamente sicuro di vederla gloriosa un giorno nella beata eternità.

                Dio ci benedica, Maria sia nostra guida al Cielo. Amen.

 

                Torino, 26 luglio 1887.

 

Obl.mo Servitore

  Sac. G. Bosco.

 

                Nel 1888, verso la metà di gennaio, avendo appreso che la salute di Don Bosco migliorava, scrisse a Don Rua: “Che il Signore sia benedetto mille e mille volte per aver conservata, speriamo anche per molto tempo, una così preziosa esistenza! Per me Don Bosco è come un secondo padre e facilmente [374] può figurarsi come trepidava all'arrivo del giornale: il cuore mi batteva forte nel cercare le notizie del caro infermo. Maria Ausiliatrice ha ascoltato tante preghiere a Lei indirizzate e sia benedetta in eterno

                Don Bosco per S. Gaetano aveva scritto al cardinale Alimonda, esprimendogli auguri e promettendo preghiere in nome suo e di tutta la Congregazione. L'Arcivescovo, sempre tanto buono con lui, gli diceva nella sua risposta[276]: “Accetti per tanta bontà i miei affettuosissimi ringraziamenti, e creda pure che il mio povero cuore mantiene sempre gli stessi sentimenti di stima, di ammirazione, di gratitudine, a Lei ed ai zelanti membri della sua Congregazione, i di cui progressi amerei poter vedere lunghi anni sotto la direzione santa del suo fondatore”. A piè della lettera gli si professava “aff.mo come fratello in G. C.”.

                Di lì a poco il compleanno non fu guari lieto. Don Bosco soffriva di certi incomodi che lo prostravano assai. “Fa pena il vederlo, leggiamo nel diario sotto il 15 agosto; non parla e respira affannato”. Giunsero da Torino per festeggiarlo alcuni superiori e parecchi giovani in rappresentanza di tutto l'Oratorio. Piovvero telegrammi da case salesiane e da cooperatori. La predetta signora Pilati gl'inviò per l'occasione una seconda offerta di ventimila lire. Egli le rispose così:

 

                                Benemerita Signora,

 

                Sia benedetta e ringraziata la Santa V. Maria che per mano della sua caritatevole persona mi pagò generosamente la festa della Sua Assunzione al Cielo e della povera mia nascita.

                Dio le tenga preparato un posto presso di Lui ben degno di Lei sua figlia e di Maria sua protettrice.

Dio ci benedica e mi compatisca la mala scrittura.

 

                Torino, 15 ag. 1887.

 

Ob.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco. [375]

 

                Al pranzo si lessero varie cose, ascoltate da lui con quella bontà che gli era propria in simili circostanze. Anche Don Guidazio tentò la sua musa latina, facendo udire una forbita elegia. Piacque molto l'indirizzo di Don Ghivarello, direttore a Mathi, che, offrendogli alcuni bei grappoli d'uva, primizia di quell'orto, commosse tutti con una rievocazione e una simbolica fantasia. “Noi, disse, osservando quest'uva, risaliamo col pensiero ai feraci colli del Monferrato, a quei beati giorni in cui Tu, pieno di gioia, correvi dall'una all'altra collina, specialmente nei giorni sacri a Maria Santissima Assunta in cielo, e staccando dalle viti i primi grappoli maturi, gustavi le prime dolcezze della vita. Noi, osservando quest'uva, risaliamo col pensiero a quei colli, sui quali settantadue anni a quest'oggi, la mistica vigna di Francesco e Margherita Bosco, auspice la Vergine Assunta in cielo, produceva quel meraviglioso grappolo d'uva, che doveva addolcire la vita di tanti milioni d'anime; il quale grappolo sei Tu, e tra quei milioni d'anime addolcite in questo settantaduesimo Tuo giorno natalizio siamo noi, i quali in questo scoglio, che può chiamarsi la mistica vigna salesiana, direi il torchio ove Tu nei più begli anni della tua vigoria, quasi spremesti nei santi giorni d'esercizi e nei primi Capitoli il sugo e la vita dalla tua mistica vigna salesiana, godiamo di poterti ossequiare con tutto il rispetto ed affetto, di cui è capace il cuore di figli, e di figli che in Te contemplano un raggio della benignità della loro e Tua Madre Assunta in cielo, raggio che emanò 1770 anni dopo la sua Ascensione al cielo, vale a dire nel 1815, e che ancor oggi emanò in questo scoglio ed emanerà, speriamo, per molti anni ancora”. Il periodo è lungo, ma contiene un lirismo, che in un uomo come Don Ghivarello tutto dedito alle scienze esatte risponde a un prepotente bisogno del cuore e rivela sempre più quanta fosse l'affezione di quei primi figli per il loro grande Padre.

                Nel pomeriggio all'Oratorio si fece la solenne distribuzione dei premi con il consueto saggio finale. Presiedeva Don Rua, [376] ma il pensiero di Don Bosco e del suo compleanno fu la nota dominante in tutto il trattenimento.

                La giornata purtroppo non doveva passare senza una spina crudele. Una lettera del Cardinale Vicario ingiungeva a nome del Sommo Pontefice il richiamo di Don Dalmazzo, procuratore generale della Congregazione presso la Santa Sede e parroco del Sacro Cuore. Don Bosco fece partire all'istante per Roma Don Cerruti nella speranza di parare il colpo; ma questi trovò il Santo Padre inflessibile nella presa decisione e che si attendeva di vedere pronta all'obbedienza la Congregazione Salesiana[277]. Allora senza il menomo indugio Don Dalmazzo fu esonerato del suo duplice ufficio; con egual sollecitudine si procedette alla nomina di Don Cesare Cagliero a procuratore e di Don Cagnòli a parroco. Quale la causa di quel fulmine a ciel sereno? Una rete d'intrighi muliebri orditagli intorno al confessionale aveva sollevato contro Don Dalmazzo accuse che spinsero l'Autorità Ecclesiastica al grave provvedimento. Noi potremmo forse figurarci Don Bosco afflitto da grave malinconia per un caso tanto più doloroso quanto più inaspettato. Invece nella passeggiata serale il coadiutore Enria, vedendolo giulivo più che non fosse stato precedentemente, gli disse con la confidenza ispiratagli dalla grande bontà di lui: - Oggi Don Bosco è più allegro del solito. - Al che egli rispose: - Eppure oggi ho ricevuto il più forte dispiacere che abbia avuto in vita mia[278].

                Questa testimonianza resa, come le precedenti, dal coadiutore nel Processo ordinario[279], è confermata da Don Barberis, il quale attestò dinanzi al medesimo tribunale[280]: “Don Bosco disse con me, che quella era una delle afflizioni più gravi della sua vita”. Egli pure ammirò la sua rassegnazione tranquilla di fronte a sì forte dolore. [377]

                Dall'alto gli veniva la calma serena che non lo abbandonava mai in mezzo alle sue pene fisiche e morali. Si aperse a Lanzo uno spiraglio che lasciò scorgere la sovrumana sorgente della mistica sua pace. Suor Felicina Torretta, Figlia di Maria Ausiliatrice, destinata direttrice dell'asilo del Lingotto a Torino, prima di raggiungere la sua residenza, si recò a Lanzo per ricevere la benedizione del Servo di Dio. Era un pomeriggio d'agosto, verso le ore quattordici, quando salì nell'anticamera per essere introdotta. Non vi trovò Don Viglietti; quindi si diresse difilato alla stanza di Don Bosco.

                La porta stava spalancata, e che vide mai! Don Bosco in estasi, atteggiato come persona che ascolta. La fisionomia intenta, il sorriso soave e tranquillo, le braccia aperte all'insù, il ripetuto affermare del capo dicevano chiaramente che avveniva un colloquio fra lui e un essere soprannaturale. Sembrava più alto del solito. A tal vista la suora si avvicina e arrivata a due passi da lui, dice: - Viva Gesù! Padre, è permesso? - Nessuna

risposta. Ripete più volte le stesse parole, alzando la voce; ma egli non se ne dà per inteso. Allora essa si sofferma, contemplandolo per circa dieci minuti, finchè gli vide fare il segno di croce con un inchino così riverente del capo da non potersi descrivere. Posate quindi con espressione di gioia le mani sul tavolo, s'accorse della suora, ebbe come un soprassalto e disse: - Oh, suor Felicina, mi avete spaventato! - Eh, Padre, rispose, ho chiesto permesso più volte, ma ella non mi ha sentita. - Giustamente la suora osserva nella sua relazione che in quel tempo Don Bosco non poteva reggersi in piedi, se non sorretto da altri; eppure durante quel colloquio celeste stava ritto senza sforzo.

                Don Lemoyne, ascoltando dalla suora dopo la morte di Don Bosco la narrazione del fatto, dimostrava una sempre più viva compiacenza, e alla fine esclamò: “Sapete, suor Felicina, che mi contate una cosa tale quale io pure vidi nella casa di Foglizzo? La stessa posa delle braccia sollevate in alto, il volto sorridente, celestiale, raggiante di luce bianca, [378] in atto di chi ascolta, affermando tratto tratto con cenni del capo, come appunto voi dite, e poi congedarsi con riverente inchino e segno di croce. Siamo i due fortunati!”.

                La suora in una lettera scritta a noi il 18 luglio 1930 soggiungeva che Don Lemoyne le disse pure l'anno e la circostanza; ma essa non se ne ricordava più. È probabile, per non dir certo, che questo avvenisse il 20 ottobre seguente.

                Gravi parole profetiche gli uscirono un giorno dalle labbra durante un colloquio con Don Filippo Rinaldi, allora direttore a S. Giovanni Evangelista. Quand'egli entrò nella sua camera, il Santo stava osservando una carta geografica. Puntando il dito sopra l'Australia, disse che anche là sarebbero andati i Salesiani. - Ma ci vorrà del tempo! rispose Don Rinaldi. - Andranno, andranno di certo replicò Don Bosco. Poi, indicando la Spagna, ripigliò. - Qui sarà il tuo campo d'azione. - Questo si avverò due anni dopo; ma non si avverò finora, [marzo 1936] sebbene i fatti ne inducano il timore, tutto quello che dopo alcuni istanti di pausa soggiunse. Parlò egli di tre sconvolgimenti molto paurosi, di cui sarebbe stata teatro e vittima quella cattolica nazione, specificando che nell'ultimo si sarebbe versato molto sangue, anche salesiano[281].

                Un'attestazione di profonda stima e di sincera venerazione gli fu resa da un uomo che onorava la scienza e che era molto onorato in Italia e all'estero, sebbene vestisse l'abito religioso: vogliamo dire il padre Denza, del quale si parlò a proposito degli impianti di osservatori meteorologici in America. Forse per le frequenti lettere che allora riceveva dai Missionari, Don Bosco desiderò di avere seco a Lanzo il dotto barnabita. Gliene scrisse il Direttore del Collegio invitandolo; n'ebbe il 17 agosto la seguente risposta da Montaldo Torinese: “L'affetto e la venerazione che io porto all'amatissimo Don Bosco [379] è grandissimo e Dio sa con quanto piacere verrei costà per stare alcuni giorni con Lui. Ma ora io mi trovo qui in campagna, dove grazie a Dio la mia salute va migliorando sensibilmente; e d'altra parte molto facilmente verso la fine del mese dovrò allontanarmi di qua per qualche giorno, a fine di prendere parte alla riunione che la nostra società meteorologica terrà in Aquila. Per queste ragioni mi è impossibile potermi per ora recare a Lanzo. Più tardi invece la cosa sarebbe più facile, ma io non so quanto tempo si fermerà Don Bosco costà. Lo ringrazi intanto assai assai da parte mia e gli dica che anche io non mi dimentico mai di Lui; e spero di poterlo vedere presto con l'aiuto di Dio. Gli dica pure che ho ricevuto notizie molto consolanti da Montevideo e pare che lo stesso Governo prenda a cuore quell'osservatorio”.

                Don Bosco si fermò a Lanzo fino al 19 agosto. Cominciandosi a Valsalice gli esercizi spirituali per gli aspiranti, egli ci volle essere. Partì dunque alle sedici, proseguendo poi direttamente per quel collegio. Al suo arrivo lo attendeva una spiacevole notizia: un telegramma da Alassio annunziava che Don Vignola era agli estremi. Don Bosco pregò per lui insieme col direttore Don Rocca e gl'inviò la sua benedizione. Queste preghiere si facevano alle diciannove e mezzo; or ecco un secondo telegramma consegnato alle venti, che diceva essere stata superata la crisi e verificarsi un notevole miglioramento. Ma ciò valse solo a ritardare di quindici giorni la fine, permettendo al malato di ricuperare la perduta conoscenza per prepararsi al gran passo. Rese l'anima a Dio il 3 settembre.

                Don Alessandro Vignola aveva fatto tutto il ginnasio nell'Oratorio, confessandosi abitualmente da Don Bosco. Sul punto di decidere del suo avvenire, consultò il Salito, che gli disse: - Sta' tranquillo. Dio ti vuole salesiano. - A quelle parole, com'egli soleva ripetere, si sentì nel cuore una grande consolazione, unita con un forte proposito di ubbidirlo. Fu uno di quei salesiani umili e laboriosi, che passano la vita pressochè ignorati, mentre sono il sostegno delle case dove si [380] trovano. Assistente per molti anni ad Alassio, prima nel ginnasio, poi nel liceo, e insegnante di greco nel ginnasio superiore, provava quasi il bisogno di essere sempre fra i giovani per tenerli allegri, animandone le ricreazioni. Notevole era la sua spontaneità in offrirsi ai superiori, quando li vedeva imbarazzati. Faccio io! diceva allora senz'altro. Per questo taluno lo chiamava Don faccio io.

                Nessuna occasione Don Bosco si lasciava sfuggire per testimoniare il suo attaccamento alla Santa Sede. Avvicinandosi la festa di S. Gioachino, che allora cadeva il 21 agosto, mandò da Valsalice a Leone XIII riverenti auguri di felice onomastico. Ricevette questa risposta telegrafica dal cardinale Rampolla, nuovo Segretario di Stato: “Santo Padre ringraziando Salesiani per voti espressigli benedice di cuore; prega il Signore raffermare con speciali grazie propositi concepiti spirituali esercizi”.

                Anche di suoi preti, chierici o giovani Don Bosco ricordava talora paternamente l'onomastico, facendo tenere un suo biglietto o un'immaginetta recante un suo motto autografo. In quel 21 agosto, per esempio, mandò a Don Berto un'immagine del quadro di S. Giuseppe venerato in Maria Ausiliatrice, scrivendo sulla busta: “Viva Don Berto, Viva S. Gioachino 1887”; e sul rovescio dell'immagine: “Caro Don Berto Gioachino Maria sia tua guida al Cielo. Sac. Gio. Bosco”.

                Dopo il 25 maggio non aveva più presieduto le adunanze del Capitolo Superiore, rimettendone il carico al suo Vicario. Presiedette a Valsalice la seduta pomeridiana del 12 settembre, nella quale si formava il personale dirigente per l'Oratorio. Vi fece le quattro seguenti dichiarazioni: “I° Nell'Oratorio festivo, intendo abolite le passeggiate. - 2° Il vino ai suonatori sotto ai portici si dia solo nelle feste solennissime, nelle quali così porta l'antica tradizione. - 3° Non caffè e latte e caramelle ai musici tutte le volte che devono cantare. - 4° Il prefetto interno della casa non faccia nessuna compra o vendita senza espressa volontà del Direttore, al quale solo [381] spetta questo diritto”. Comandò quindi al segretario di scrivere queste sue volontà negli atti del Capitolo ad perpetuam observantiam et rei memoriam.

                Prolungò la sua dimora a Valsalice, finchè non furono terminati i corsi di esercizi spirituali. Ma nell'ultima decade di settembre la salute gli andava male. Lo assaliva spesso il mal di capo con febbre; in una settimana ben tre volte non potè avere la consolazione di celebrare la Messa. “Eppure, nota Don Viglietti nel diario, è sempre allegro, lavora, scrive, dà udienza e mentre abbisognerebbe egli di consolazione, va confortando gli altri”.

                Di queste udienze date a Valsalice Don Viglietti ci fa sapere poco o nulla. Menziona soltanto la venuta di due Vescovi degli Stati Uniti senza nominarli e l'arrivo della famiglia barcellonese di Don Luis Marty Codolar. Sappiamo qualche cosa d'altro da altre fonti.

                Il Direttore della casa di Faenza per premiare i tre migliori alunni li condusse in settembre all'Oratorio, donde salì a Valsalice per presentarli a Don Bosco. Il Santo li salutò benevolmente, dando loro la mano a baciare; ma al più piccolo, un ragazzo di dodici anni che faceva la seconda ginnasiale, la ritrasse, lo fissò in volto e serio serio gli disse: - Noi non siamo amici! - Il poverino venne via col cuore spezzato. Appena fuori, scoppiò in pianto. Ebbe un bel dire Don Rinaldi che si trattava di uno scherzo: egli non si dava pace. Pregò, fece comunioni, finchè gli parve che una voce interna gli suggerisse di rompere una certa promessa.

                Bisogna sapere che la sua madre, vedova da parecchi anni, , aveva sulle prime ricusato di permettere al figlio quel viaggio, perchè temeva che Don Bosco lo invogliasse a farsi salesiano; quando però il giovanetto la rassicurò dicendole che non si sarebbe lasciato prendere nella rete, gli diè licenza di partire.

                Tocco adunque da quella interna ispirazione, ritrattò il primitivo proposito, disponendosi a fare in tutto la volontà di Dio. Riammesso in seguito alla presenza di Don Bosco, [382] questi sorridendo gli disse: - Adesso siamo amici! - Quindi, posatagli la destra sulla spalla, soggiunse: - E tu non andrai mai via da Don Bosco. - Prese poi tre medaglie e dandogliene una alla volta, proseguì: - Questa è per tua madre, questa è per tua sorella e questa è per te. - Com'egli sapesse lo stato della sua famiglia, fu un mistero per il giovanetto, tanto più che fece il medesimo con gli altri due. Tornato a Faenza, finì il ginnasio, vinse alcune difficoltà e nell'ottobre del 1891 entrò nel noviziato a Foglizzo. Questa è in breve la storia della vocazione di Don Enea Tozzi, oggi [1936] ispettore delle case salesiane in Inghilterra.

                Singolare fu quello che passò con Don Tamietti, direttore del collegio di Este. Al termine degli esercizi spirituali, prima di staccarsi dal Santo, gli domandò se avesse qualche cosa da dirgli. Passeggiavano nel corridoio del primo piano ed egli lo sorreggeva. Don Bosco gli rispose: - Sì, vieni in mia camera. - Quando furono dentro, Don Tamietti gli chiese che cosa volesse dirgli. - Più cose; ma... - E fermatosi alquanto sopra pensiero, esclamò: - Ah! - Poi il respiro gli si fece affannoso, divenne rosso in faccia e non poteva articolar parola, ma ripetè più volte sospirando: - Ah! ah! ab! - Ciò vedendo, Don Tamietti lo pregò di non darsi pena, chè gli avrebbe detto tutto in un altro momento.

                Questo accadeva alle ore sedici; sul tardi, congedandosi da lui nel medesimo corridoio: - Domani parto, gli disse; se ha qualche cosa da dirmi, sono qui a' suoi ordini. - Don Bosco lo tirò nuovamente in camera, si sedette come chi è oppresso da grande tristezza, lo fissò affettuosamente in volto: voleva parlare, ma non potè. Non gli uscì altro che un: Ah! ah!... Non posso. - E Don Tamietti: - Non si affatichi, signor Don Bosco. Mi parlerà un'altra volta oppure mi scriverà. Intanto mi benedica.

                Immaginiamoci com'egli partisse soprapensiero. Capì che Don Bosco aveva qualche cosa di grave da comunicargli; gli rincresceva solo di non sapere, se fosse cosa che riguardasse [383] la propria persona o il proprio collegio, nel presente o nel futuro. Saputolo ammalato, venne a Torino per le feste natalizie. Appena egli fu al suo capezzale, Don Bosco gli disse:

 - Oh caro Tamietti, ti ringrazio che sia venuto a vedermi.

- Indi lo prese per mano e lo fissò a lungo senza parlare, lasciando trasparire una segreta tenerezza, ma nemmeno allora sì riuscì a capire di che si trattasse.

                C'era veramente del mistero in tutto questo voler parlare senza mai venire al punto. Non sembra improbabile che l'arcano di quei silenzi debba mettersi in relazione con una predizione e con il relativo avveramento. Un giorno Don Bosco aveva detto a Don Tamietti: - Lavorerai fino ai cinquant'anni e arriverai fino ai settantadue. - Nato nel 1848, Don Tamietti fu colpito nel 1898 da violenta febbre tifoidea, dalla quale si liberò, ma riportando una profonda lesione nelle facoltà mentali. Visse così inabile a qualsiasi occupazione, fino al 1920. Il tutto esattamente secondochè Don Bosco aveva predetto.

                Nei colloqui specialmente con Superiori gli tornavano frequenti le allusioni alla sua prossima fine. Una sera di settembre, facendo in camera la sua cena, s'intratteneva da solo a solo con Don Veronesi, direttore della colonia agricola di Mogliano Veneto. A lui, competente in cose economiche, disse: - Io ho ancora poco tempo da vivere. I Superiori della Congregazione non se ne persuadono, ma credono che Don Bosco debba vivere ancora lungo tempo. A me non rincresce di morire; ciò che mi  pena sono i debiti del Sacro Cuore. Don Dalmazzo è buono, ma non è amministratore. Pensare che si sono raccolti tanti danari!... Che cosa diranno i miei figli trovando tanti pesi?... Prega per l'anima mia; l'anno venturo agli esercizi non ci sarò più[282].

Passando poi ad altro, Don Veronesi gli ricordò come alcuni [384] anni addietro gli avesse detto l'età, alla quale sarebbe giunto, purchè fosse buono; ora tale condizione lo teneva in angustia. - Ebbene, leviamo la condizione, disse Don Bosco. Io vado presto in paradiso a prepararti un posto; tu ci verrai accompagnato da molti altri. - Don Mosè Veronesi, nato nel 1851, chiuse la sua mortale carriera nella veneranda età di settantanove anni.

                Anche Don Albera, ispettore delle case di Francia, ebbe con Don Bosco un ultimo abboccamento pieno di emozione. Essendosi presentato a lui per congedarsi, il Santo lo fece sedere vicino a sè, gli rivolse molte domande sulla sua casa di Marsiglia e sui confratelli e soggiunse che avrebbe voluto dargli un po' di danaro per il noviziato francese, ma che la Provvidenza non gliene aveva mandato. - Però, disse, voglio almeno pagarti il viaggio. Eccoti cinquanta lire in oro; è tutto quello che ho. - Poi lo guardò con molto affetto e gli disse: -

Anche tu sei per partire. Mi abbandonano tutti. So che Don Bonetti partirà stasera. Don Rua se ne andrà anche lui. Mi lasciano qui solo. - Nel pronunziare queste parole aveva le lacrime agli occhi. Si commosse ancor più dicendo: - Don Bosco ha ancora tante cose da dire ai suoi figli e non avrà più il tempo di dirle. - Siccome Don Albera s'era messo anche lui a piangere, Don Bosco si fece un po' di violenza e disse: - Non ti faccio rimprovero; tu fai il tuo dovere partendo. Dio ti accompagni; pregherò per te. Ti benedico di tutto cuore.

                Interessante al sommo fu la conversazione avuta con Don Barberis il 13 settembre[283]. Erasi deliberato di cambiare destinazione al collegio di Valsalice, sostituendo ai nobili convittori i chierici studenti di filosofia. Tolta la seduta capitolare, Don Barberis, rimasto solo con lui, gli domandò con tutta confidenza come mai, dopo essere stato sempre contrario a quel mutamento, avesse poi cambiato parere. Rispose: [385] - D'ora in avanti starò io qui alla custodia di questa casa. - Così dicendo teneva sempre gli occhi rivolti allo scalone, che mette dal giardinetto superiore al porticato del grande cortile inferiore. Dopo un istante soggiunse: - Fa' preparare il disegno. - Poichè il collegio non era interamente costruito, Don Barberis credette che volesse far terminare l'edifizio; quindi gli rispose: - Bene, lo farò preparare; quest'inverno glielo presenterò. - Ma egli:

- Non quest'inverno, ma la prossima primavera; non a me, ma al Capitolo presenterai il disegno. - Continuava intanto a guardare verso lo scalone. Solo cinque mesi dopo Don Barberis cominciò a comprendere il pensiero del Santo, quando cioè lo vide sepolto a Valsalice e precisamente nel punto centrale di quello scalone; lo comprese finalmente del tutto quando, preparato il progetto del monumento da erigersi sulla sua tomba, fu nella primavera presentato senza che egli avesse mai ancora detto nulla della conversazione di settembre.

                Ridiscese all'Oratorio la sera del 2 ottobre. Prese posto nella carrozza anche Don Luis. Come si giunse dinanzi al cancello del parco che circonda l'educandato diretto dalle Dame del Sacro Cuore, fece fermare, chè voleva visitare ancora una volta quelle religiose. I particolari della visita si possono leggere altrove[284]. Nell'Oratorio i giovani lo aspettavano. Un'onda di entusiasmo lo salutò al suo entrare; quando poi, salite le scale, si affacciò dal ballatoio, ecco un coro universale cantare l'inno antico: Venite, compagni, - Don Bosco ci aspetta. Erano più centinaia di giovani che tenevano, cantando, gli occhi fissi sopra di lui. Tale spettacolo commosse fino alle lacrime la famiglia di Don Luis: dissero di non aver mai assistito a scena più commovente. Ascoltando il canto, egli moveva lentamente il passo verso la cameretta, nella quale per breve tempo purtroppo avrebbe potuto ancora dispensare consigli e conforti tanto a' suoi figli che agli estranei.

 

 

CAPO XVIII

La Prefettura Apostolica di mons. Fagnano.

 

                NELL'AMERICA salesiana durante questo biennio il fatto più rilevante è l'ingresso dei figli di Don Bosco nella Terra del Fuoco. Don Bosco spronava il Prefetto Apostolico a far presto; ma difficoltà di varia natura si opposero alla pronta andata, sicchè solamente nel 1887 l'intrepido monsignor Fagnano potè piantare la sua residenza nel punto centrale della Missione affidatagli da Leone XIII.

                Chi osserva sulla carta geografica la punta estrema dell'America meridionale, ha l'impressione che un'immensa lastra di ghiaccio galleggiante si sia sgretolata in cento punti e direzioni, continuando così franta a darci l'idea della sua forma primitiva[285]. Quel bizzarro arcipelago, composto d'infinite isole di ogni dimensione, compatto in origine e congiunto con il resto del continente, è la Terra del Fuoco. La battezzò con questo nome nel 1520 il portoghese Fernando de Magalhaes o più comunemente Magellano, perchè durante la sua navigazione scorgeva levarsi da molti punti colonne di fumo, indizio di fuochi accesi dagli indigeni nelle loro foreste per ripararsi dal freddo australe. La temperatura non vi è però così rigida come nelle terre del polo artico; poichè la latitudine [387] delle terre fueghine corrisponde press'a poco a quella dei Paesi Bassi e della Danimarca.

                Queste terre si possono dividere in tre zone. Campeggia anzitutto l'Isola Grande, che è la Terra del Fuoco propriamente detta, con una superficie di 48.000 chilometri quadrati. Vengono poi a sud - ovest le isole che costellano il mare dal canale Beagle al capo Horn; principali fra esse Londonderry, Gordon, Hoste e Navarino. Da ultimo s'incontra a nord - ovest un terzo gruppo formato da un cordone di isole prolungantesi dal capo Pilar alla penisola Breknock; le più notevoli sono Desolación all'imboccatura occidentale dello stretto magellanico, S. Ines, Clarence, Dawson. Fra le mentovate isole maggiori, che costituiscono come l'ossatura dell'arcipelago fueghino, stanno sparpagliate innumerevoli minori e minime, separate fra loro da una rete complicatissima, un vero labirinto, di tortuosi canali.

                L'intero territorio misura circa 72.000 chilometri quadrati di superficie. Politicamente fu per lungo tempo considerato res nullius; al che contribuirono i falliti tentativi di popolare lo stretto magellanico, i racconti terrificanti di naufraghi e i preconcetti sulla improduttività del suolo e sulla rigidezza del clima. Quando però lo stretto di Magellano assunse importanza come via marittima dall'Atlantico al Pacifico e capitalisti intelligenti presero a svilupparvi l'industria pastorizia, allora i due Stati limitrofi, Cile e Argentina, cominciarono a preoccuparsi di assicurare al proprio potere quelle terre lontane. Le reciproche gare ebbero termine nel 1881, anno in cui sotto l'arbitrato del re inglese si stipulò il trattato dei Limiti mediante una linea divisoria da nord a sud dell'Isola Grande, cioè dal capo Spirito Santo presso l'entrata orientale dello stretto magellanico fino al canale Beagle. Cosi 50.000 chilometri quadrati a ovest si trovarono sotto il dominio cileno e 22.000 a est sotto quello argentino. All'Argentina restò aggiudicata pure l'Isola degli Stati, che fronteggia il capo S. Diego. [388]

                Gl'indigeni abitatori dell'arcipelago appartengono a tre stirpi differenti, designate coi nomi di Alakalùf, Yagàn e Ona. Le prime due vivono nelle isole occidentali e australi, estendendosi gli Alakalùf dalla penisola Breknock ai canali occidentali della Patagonia, a nord dello stretto di Magellano, e occupando i Yagàn il canale Beagle e le tante isole disseminate a sud del medesimo. Gli Ona han tutti sede nell'Isola Grande. Gli esploratori che per circa tre secoli navigarono attraverso l'arcipelago fueghino si accordano nel rappresentare miserevolissimo lo stato di questi selvaggi; sfuggì per altro a tutti la condizione degli Ona residenti nella parte orientale dell'Isola Grande, fisicamente superiori agli altri e somigliantissimi agli Indi Patagoni. Il celebre naturalista Darwin, che visitò gran parte delle coste subfueghine, incorse nell'errore di crederne gli abitanti antropofagi e senza idea nè di Dio nè d'immortalità.

                Il numero dei Fueghini non è stato sempre facile a determinarsi. I Yagàn nel 1884 dopo un censimento esatto del missionario protestante inglese Bridges risultarono 945. Il medesimo Bridges nel 1880 aveva fatto risalire gli Alakaluf a 3000. Il nucleo maggiore era quello degli Ona, che nel 1880 secondo i calcoli del Bridges si facevano ascendere a 3600.

                Ecco dunque terre e genti, a cui Don Bosco, mosso da impulso superno, dedicò l'operoso pensiero fin da quando pochissimi al mondo ne facevano qualche caso e rarissimamente se ne udiva parlare in Europa con almeno superficiale conoscenza.

                Il motivo impellente per cui Don Bosco sollecitava monsignor Fagnano a rompere gli indugi era il sapere che già da tempo brigavano laggiù i ministri dell'errore[286]. Dal 1863 la missione evangelica inglese manteneva sul canale Beagle a sud dell'Isola Grande, tre missionari, che avevano a loro disposizione un vaporino e un veliero. Essi corsero tutta la [389] costa dell'isola senza lasciare angolo nè punta che non visitassero da nord a sud, da est a ovest, dando prova di molta accortezza e di non minore buon gusto nella scelta delle loro residenze. La società biblica londinese non risparmiava danaro nè altro mezzo che fosse utile all'uopo. Ogni mese il loro vapore faceva infallantemente il tragitto di andata e ritorno alle isole Malvine, dove risiedeva un vescovo anglicano e donde si provvedeva alle ordinarie relazioni con la madre patria. Con tutto questo il risultato religioso della missione era ben meschino; basti dire che dopo circa quattro lustri non contavano che un centinaio di cristiani. E in che stato li tenevano! Il nostro Don Beauvoir che li vide, così li descrive[287]:

 

                Oh povere creature, le nove o dieci, che vedemmo nell'orfanotrofio! Che pena ci fecero! A dodici gradi sotto il zero di freddo, con un mezzo metro di neve tutto intorno coperta la superficie, e le poverine (ragazze da 8 a 15 anni) scalze nei piedi, non ostante che due o tre di esse fossero rachitiche o malaticcie. E, noti, che ben dovevan esser messe nel meglio che avessero, poichè gli avevamo avvertiti, che, s'era loro a grado, noi li avremmo visitati. Ragazzi maschi, quasi non ne abbiamo visti, chissà dove li tengono! Di uomini e di giovani dai 15 anni in su, ne vedemmo soltanto alcuni pochi, e questi ancora, oh come infelici! in tali cenci di abiti, che i nostri mendicanti si avrebbero compassione. Ei li fanno ben lavorare per quel poco vitto, stracci e insegnamenti che loro dànno, s'è vero che gliene dànno. Oltre all'orfanotrofio visitammo pure la chiesa, ch'è nient'altro, che un gran salone, con due soli banchi per parte, un tavolino, una specie di cattedra, ed una stufa nel mezzo. Sulle pareti vi aveva cartelloni portanti in lettere grandi varie iscrizioni, e fra le altre: W. the Queen! (viva la regina!), W. the Repubblica! Ci dissero che serve anche a uso di scuola per gli Indi. Visitammo di più due case di famiglie indigene. Ah! ne schianta il cuore al ripensarvi, Alcune donne cenciose all'intorno di una stufa, negli angoli una specie di letti di pali e di frasche, alcuni pochi e sudici cenci penzoloni alle pareti, qualche stoviglia di latta e alcuna bottiglia, formava tutto il suppellettile ed il corredo di quelle famiglie, le une su le altre ammonticchiate in quelle malsane catapecchie. E sàllo Dio quanto loro avrà costato quel poco tetto e quei mali arnesi! Ma non creda che sia così pure per il Rev.do missionario, sua metà e [390] famiglia. Ah no! vivono essi in un ben comodo chàlet, provvisto di tutto punto di quanto può far piacevole la vita non dico in un deserto al 55° e più di lat. Sud, ma in Buenos Ayres stesso: è un bel palazzotto riccamente ammobigliato, tappezzato, con finestre a doppie invetriate, con imposte e persiane dentro e fuori. Di cibi e liquori, di conserve, di dolci, di salse di ogni genere e sorta, che i Luculli inglesi hanno saputo inventare, non ne parliamo, che il miglior gastronomo n'avrebbe a confondersi. Che dire posso io ignorante e profano in tale scienza? Se avessi a descrivere i lunchs e banchetti dati ai comandanti dei bastimenti argentini dall'ex - missionario Bridges ora ricco negoziante e proprietario, mi troverei ben imbrogliato in trovar termini adeguati e sufficienti. Bastile che, oltre il detto, di polli ne ha sempre in quantità, di uova a bizzeffe, di cacciagione e pesca non ne parliamo; gl'Indiani son buoni cacciatori e pescatori a un tempo, glie ne somministrano quanto ne desidera; di latte fresco e conservato in iscatolette, e di latticini non ne ha da invidiar nessuno. Tiene in varii punti dell'isola varie mandre di vacche (che qualche volta vende a 5 scudi, 25 franchi la rubba di carne)[288].

 

                Veramente il capitano Bove, che nel 1882 guidò una spedizione alla Terra del Fuoco, fece del reverendo Bridges, da noi testè menzionato, i più lusinghieri elogi; ma è facile indovinare il perchè. Da prima il Bridges lo vide con ritrosia; ma in seguito lo trattò splendidamente per vari giorni, prestandogli anche, i suoi due bastimenti dopo il noto naufragio; per questo e perchè desiderava ritornare da quelle parti l'esploratore italiano ne parlò con tanta lode nelle sue relazioni. È ben strano però che i missionari inglesi al tempo di monsignor Fagnano, sebbene vivessero in terra argentina, non conoscessero lo spagnuolo e ai loro convertiti non insegnassero che a bestemmiare l'inglese. Don Beauvoir, quando fu con lui e con altri ministri protestanti, ebbe sempre bisogno d'interprete, non conoscendo la loro lingua.

                Di mano in mano che il Governo argentino dava maggiore importanza alla Terra del Fuoco, l'influenza di questi eretici minacciava di farsi più imbarazzante. In vista di tale pericolo Don Rua il 29 maggio 1886 aveva mandato a monsignor [391] Cagliero copia di una lettera scritta a Don Bosco da monsignor Poyet, protonotario apostolico a Gerusalemme, il quale, essendo assai bene informato delle cose di laggiù, gli diceva fra l'altro: “È una vera disgrazia che ministri protestanti siano penetrati colà prima dei Missionari Cattolici; ma questa disgrazia sarà ben più grande se si lasciassero profittare della presenza del Governatore Generale, là fissato, per far vedere all'indigeno quanto sia grande la protezione che ad essi accorda il Governo Argentino”.

                Il Governo Argentino non era così cieco da non vedere tutto l'interesse nazionale di favorire il nuovo Prefetto Apostolico, che di quei poveri selvaggi avrebbe formato utili sudditi della Repubblica, riducendoli a vita fissa e insegnando loro con la vera religione anche l'agricoltura e i mestieri della vita civile; tanto più che una legge disponeva che i selvaggi convertendosi fossero avviati al Cattolicismo. Ma disgraziatamente le sorti dello Stato erano allora nelle mani della Massoneria, dal che seppe trarre suo pro il signor Bridges. Poichè, appena sentì parlare della Prefettura Apostolica, volò a Buenos Aires, dove, aiutato da suoi correligionari e da massoni, presentò al Congresso Argentino una petizione per ottenere otto leghe quadrate[289] di terra in proprietà della sua missione, come ricompensa dei servigi da lui resi alla civiltà e alla Repubblica in quelle remotissime plaghe. Tre ragioni vi opposero i deputati cattolici: la Costituzione vigente che prescriveva l'incivilimento degli Indi col procurarne la conversione al Cattolicismo e non al protestantesimo; il carattere di speculazione che mal si celava nell'attività del missionario anglicano, tutto intento ad arricchire sè e la famiglia; il lavorìo del medesimo per consolidare colà l'influenza inglese[290]. Queste ed altre ragioni furono messe in luce specialmente [392] dai due Deputati cattolici Estrada e Goyena; ma la stampa settaria montò talmente l'opinione pubblica, che le otto leghe vennero concesse.

                Quale differenza di trattamento verso le Missioni cattoliche della Patagonia! In soli sei anni i poveri figli di Don Bosco vi avevano eretto due belle chiese, aperto quattro collegi fra maschili e femminili, fondato varie pie associazioni, percorso più volte in cerca di Indi i deserti patagonici da un lato fino al Rio Colorado, dall'altro fino all'allora misterioso lago Nahuel - Huapí e alla cima delle Ande, il che vuol dire un tratto della lunghezza di mille cinquecento chilometri da Carmen de Patagones; eppure le autorità locali sembravano ignorarli, quando pure non li vessavano, come fecero spesso, imprigionando per esempio nel 1887 Don Milanesio, reo di nient'altro che di vero zelo apostolico.

                Tuttavia sullo scorcio del 1886, cambiato il Presidente della Repubblica, un uomo di buon senso, il signor Dosse, era stato sostituito nel Ministero del Culto al nefasto Wilde, che avrebbe voluto farla finita con ogni vestigio di religione; quindi scriveva allora monsignor Cagliero[291]: “Albeggia per noi una speranza di miglior avvenire e per le nostre Missioni”. Infatti il nuovo Ministro sembrava disposto a dargli settemila scudi per la chiesa che stava erigendo; a Patagones. L'ispettore Don Costamagna per aver modo di confermarlo ne' suoi buoni propositi gli fece il 27 novembre una visita di cortesia, motivata dal desiderio di presentargli doverosi omaggi da parte dei Salesiani e del loro padre Don Bosco. Orbene in tale circostanza il Ministro senza essere interpellato, ma spontaneamente gli disse che in cima a tutti i suoi pensieri aveva la Missione della Terra del Fuoco e che si sarebbe adoperato a tutt'uomo per aiutare Don Fagnano e per costituire là i Salesiani [393] in piena libertà con sufficienti sussidi. L'Ispettore, vedendolo così animato da buoni sentimenti, gli osservò che egli veniva a essere un braccio della divina Provvidenza, la quale aveva fino allora suscitato il pensiero della Missione nel Sommo Pontefice e in Don Bosco; mancandovi però un braccio per dare un efficace movimento, volere Iddio che quel braccio fosse il signor ministro Dosse[292].

                Quando avveniva questo colloquio, monsignor Fagnano andava già esplorando la parte argentina della Terra del Fuoco. Il Governo, risoluto di sistemare ivi l'amministrazione civile, non ne sarebbe mai venuto a capo senza una sufficiente notizia del paese. Diede quindi incarico al signor Ramon Lista d'intraprendere nel novembre del 1886 un viaggio di esplorazione sulla costa orientale dell'Isola Grande. La spedizione, guidata dal suddetto signore, ufficiale superiore al Ministero della Guerra, si componeva del dottor Polidoro Segers, chirurgo dell'esercito, e di venticinque soldati sotto il comando di un capitano. Il Prefetto Apostolico, profittando della favorevole occasione, ottenne di esservi aggregato in qualità di cappellano.

                Imbarcatisi a Buenos Aires il 31 ottobre sul Villarino, giunsero il 3 novembre a Patagones, dove si fermarono otto giorni per fare gli ultimi preparativi. La partenza s'inaugurò con un banchetto all'aperto, al quale fu invitato anche monsignor Cagliero, che dopo scrisse a Don Lemoyne[293]: “Come vedi, anche le missioni si inaugurano coi pranzi e sotto il bel padiglione di quattro grossi noci, la cui ombra è qui per nulla nociva, e col zefiro placido della nostra primavera” . Vicario e Prefetto apostolico riguardavano quella missione governativa come l'inizio della nuova missione salesiana.

                Si levò l'ancora il 12 novembre. Nella rotta toccarono Santa Cruz, dove monsignor Fagnano potè vedere i due confratelli [394] Don Savio e Don Beanvoir, che, come abbiamo narrato, lavoravano già da un anno entro i confini della sua giurisdizione. Il 21 approdarono felicemente nella Baia di San Sebastiano, che si apre larga e profonda a nord - est dell'isola, méta della loro navigazione.

                Le operazioni di sbarco richiesero tempo e fatica: bisognava mandare a terra quaranta mule destinate al trasporto delle persone e dei bagagli, cinquanta pecore e generi alimentari disseccati e in conserva, bastevoli per sei mesi. Finalmente verso le dieci del 24 tutti i membri della spedizione si trovarono riuniti in una vallicella a sud - est della Baia, ai piedi di un'amena collinetta, sul margine di un limpido ruscello, che scaturiva a circa cento metri di distanza e divideva il breve piano, irrigando il suolo coperto di esuberante vegetazione. Là fu eretto l'accampamento. Il sito era stato scelto con cura sia perchè fosse al riparo dai venti, sia perchè offrisse modo di difesa in un eventuale attacco da parte degli indigeni. Monsignore, quando vide ogni cosa in ordine, compose l'altare portatile, sul quale celebrò la Messa, implorando la benedizione del Cielo sulla sua incipiente Missione.

                Ben presto purtroppo accadde un tragico episodio. Sull'imbrunire un gran fuoco verso la sponda nord segnalò la presenza degli Indi. All'alba del 25 il capo della spedizione, scortato da quindici soldati, volle fare una ricognizione. Verso mezzogiorno incontrò una tribù di Ona, i quali, scorto il drappello, abbandonarono le loro misere capanne, dandosi a precipitosa fuga. I soldati li inseguirono, tagliarono loro la ritirata, li accerchiarono e stettero in attesa di ordini. Il signor Lista con mimica amichevole cercò d'invitarli alla resa; ma quelli, che nulla comprendevano, vedendo l'atteggiamento ostile dei soldati, scagliarono per risposta alcune frecce contro di essi, senza però ferirne alcuno. Tornati vani tutti i tentativi di farsi intendere, il capo ordinò prima il fuoco e poi una carica alla sciabola. In quel mentre il capitano che guidava l'assalto, venne colpito alla tempia sinistra da una [395] freccia lignea e cadde al suolo privo di sensi, versando sangue dalla ferita. Allora i suoi uomini, diventati furiosi, si gettarono rabbiosamente sopra gli avversari, uccidendo quanti opponessero resistenza. Ventotto rimasero cadaveri. Ne furono presi prigionieri tredici, fra cui due bambini lattanti con le loro madri, una ragazzina decenne ferita che morì poco dopo, e alcuni fanciulli e fanciulle; due soli uomini, sebbene feriti e inseguiti a fucilate, poterono scampare fuggendo[294].

                L'inutile barbarie soldatesca fu tenuta nascosta a Don Bosco. Quale afflizione il fattaccio avrebbe cagionato al suo cuore di apostolo, noi lo possiamo arguire dall'effetto prodotto in lui da una relazione di monsignor Fagnano, che gli narrava vicende posteriori, fra le altre la cattura di parecchi Indi, perchè servissero di guida e aiutassero a portare i bagagli; nella lotta un Indio aveva perduto la vita. Don Bosco all'udirne la lettura prese a deplorare amaramente che i Salesiani dovessero accompagnarsi a soldatesche, le quali uccidevano gli Indi. - Voglio, esclamò, che i Missionari vadano soli senza scorta di armati! Altrimenti sarà senza frutto la loro predicazione. Era meglio non andare che andare in questa maniera.

                Ognuno può capire di leggieri come restasse all'apprendere tale scempio un uomo tutto ardore e ardimento, quale monsignor Fagnano. Il nostro Don Carbajal riferisce il racconto fattogliene da un ragguardevole comandante, appartenuto già allo stato maggiore del Villarino[295]. “Eravamo, disse egli, nella Terra del Fuoco in una esplorazione scientifico - militare, essendo capo della spedizione il signor Lista. Questi, uomo di indole dura e violenta, aveva comandato di far fuoco sopra un gruppo di poveri Indi, alcuni dei quali caddero per non più rialzarsi. Il sacerdote Fagnano, che era il cappellano della spedizione, all'udire gli spari, corse sul luogo. Là [396] trovò il capo, venticinque soldati e alcuni indigeni selvaggi feriti, che alzavano grida e lamenti. Allora il sacerdote Fagnano si convertì in eroe. Avvicinò con coraggio il capo della spedizione e con franche parole gli fece conoscere il suo delitto. Noi temevamo per la sua vita, perchè il capo ora si accendeva di collera, ora impallidiva dinanzi all'uomo di Dio che, in mezzo a quelle solitudini, levavasi come un profeta per condannare la crudeltà del soldato. Erano pronti venticinque fucili, che ad un minimo cenno si sarebbero scaricati sopra quel petto di valoroso. Dopo di allora ho capito che monsignor Fagnano è un vero eroe degno di ammirazione”.

                Anche il medico nel curare i feriti dava in impeti di sdegno per quel modo di procedere contro creature inermi e seminude, che fuggivano senz'aver tentato nulla contro la spedizione. L'incidente ci appare tanto più rivoltante, perchè gli Indi Ona si rivelarono dappoi di carattere dolce e mansueto. In successivi incontri i naturali dell'isola, non che molestare i bianchi, correvano subito via intimoriti.

                Nel pomeriggio del 20, levate le tende, la spedizione si mise in marcia verso il sud. Dopo molte peripezie il 24 dicembre raggiunsero la Baia Thetis sull'estremità meridionale dell'isola, all'imboccatura dello stretto Lemaire. Si era percorsa l'isola in tutta la sua lunghezza. Accampatisi in sito acconcio, vi godettero alcuni giorni di riposo, dei quali profittò Monsignore per stendere e spedire a Don Bosco una minuta relazione redatta su giornalieri appunti[296]. Ivi battezzò solennemente alquanti indigeni che avevano con loro ed erano destinati a venir distribuiti a famiglie cristiane di Buenos Aires, dove avrebbero potuto completare l'istruzione religiosa da lui sommariamente impartita. Egli s'interessò pure di una numerosa tribù, che tornava ogni giorno all'accampamento. Due volte al giorno riuniva nella sua tenda ragazzi e ragazze [397] per insegnar loro a pregare. In una seconda relazione al medesimo Don Bosco[297] scriveva degli Ona: “Con quanta facilità potrebbe il Governo nazionale civilizzare quei poveri selvaggi, passando loro qualche razione di viveri ed erigendo fra essi una scuola pei maschi ed un'altra per le femmine come centro della Missione! In due o tre anni quei miseri potrebbero, a mio parere, essere utilizzati nell'agricoltura come giornalieri e come marinai; e costituirebbero sempre una speranza ed un rifugio per i naufraghi della Terra del Fuoco”. I naufragi per quei mari battuti da venti formidabili si ripetevano con frequenza; Don Beauvoir vi rischiò due volte la vita, navigando su piroscafi sommersi dalle tempeste. L'impresa qui accennata sarà dopo la morte di Don Bosco affrontata in tutta la sua ampiezza dall'intrepido Missionario e con mezzi audaci condotta a buon punto.

                Il 16 gennaio dovette con rincrescimento abbandonare quelle povere anime, perchè la spedizione riprendeva la via del ritorno; sbarcò il 25 a Patagones, sua residenza. Fu miracolo, se durante il tragitto la nave in una tremenda burrasca non venne inghiottita dai flutti. Tre vantaggi principali egli aveva ritratto dalla sua esplorazione: una discreta conoscenza dei luoghi, un'idea approssimativa sulle condizioni degli Indi e la constatazione importante che conveniva collocare la sede della Missione a Puntarenas, oggi Magallanes, essendo questo il punto più centrale di comunicazione con il Cile, la Terra del Fuoco e le Isole Malvine; poichè la sua Prefettura si estendeva anche alla parte cilena dell'arcipelago fueghino e alle isole anzidette, oltrechè alla Patagonia meridionale, cioè alla Governazione di Santa Cruz, dove lavoravano già Don Savio e Don Beauvoir.

                Da Patagones verso la fine di febbraio si recò a Buenos Aires col proposito di muovere cielo e terra per procacciarsi protezione, sussidi e personale, con cui dare serio cominciamento [398] all'impresa. Intanto consolava Don Bosco scrivendogli il 1° marzo: “Si rallegri, Don Bosco, chè uno de' suoi figli si è spinto sino al grado 55° di latitudine meridionale, dove il giorno (24 dicembre) comincia alle due antimeridiane e finisce alle dieci e mezzo e ha potuto vestire duecento selvaggi, predicare la religione cattolica e battezzarne già alcuni”.

                Nelle isole Malvine, dette Falkland dagli  Inglesi che ne sono padroni[298], c'era stato un missionario cattolico, certo padre Giacomo Foran irlandese, solito a passarvi i mesi della buona stagione e a ritornare in patria col sopraggiungere dei freddi. Affidata che fu ai Salesiani quella Missione, si ritirò, essendo ormai vecchio e infermiccio; ma vi aveva loro preparato una chiesa e spianato la via, raccomandandoli alle locali autorità britanniche. Sul cadere del 1886, come risulta da una lettera di Don Tomatis a Don Bosco[299], egli, rimpatriando, aveva in animo di passare per Torino, visitare l'Oratorio e perorarvi la causa dei cattolici delle Malvine; ma sembra che tirasse diritto, come ce ne dà indizio una sua lettera latina indirizzata a Don Bosco dall'Inghilterra il 14 novembre 1887. Descritto ivi il bisogno e il desiderio di quei cattolici, vuole che i Salesiani vi provvedano quanto prima o rinunzino a occuparsene[300]. Anche monsignor Fagnano aveva scritto[301]: “Mi si mandi un sacerdote che sappia bene l'inglese per collocarlo nelle Malvine. Poveri cattolici delle Malvine! Sono due anni che non vedono un sacerdote e sono fatti segno agli scherni dei protestanti”. Commovente è un'altra lettera latina di un cappellano militare inglese, scritta a Don Bosco il 15 ottobre dello stesso anno sul medesimo argomento; poichè una buona signora gli aveva fatto pervenire i lamenti accorati di quei correligionari, privi di assistenza religiosa[302]. [399]

                Quei lamenti pervennero anche al cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, il quale in dicembre chiese a Don Bosco spiegazione del ritardo dei Salesiani a recarsi colà. Gli rispose Don Rua il 3 gennaio[303]. Mancava un sacerdote salesiano che parlasse inglese; ma nelle tempora di dicembre era stato ordinato a Buenos Aires e inviato alle Malvine l'irlandese Don Patrizio Diamond[304].

                Monsignor Fagnano non trovò a Viedma monsignor Cagliero; l'avrebbe riveduto alcuni mesi dopo, ma dove e come non se lo sarebbe mai immaginato, quantunque la vita missionaria sia esposta a tutte le sorprese. Il Vicario Apostolico stava conducendo innanzi una missione di lunga portata e durata. Assistito da Don Milanesio, da Don Panaro e da un coadiutore, saliva la valle del Rio Negro con la intenzione di arrivare alle Cordigliere, di valicarle e di scendere nel Cile fino a Concepción: un percorso di circa millecinquecento chilometri. È una pagina storica delle Missioni salesiane in Patagonia la relazione ch'egli inviò a Don Bosco da Roca il 17 gennaio: la riportiamo per intero nell'Appendice del volume[305]. Ma a quell'esordio consolante rispose un epilogo ben doloroso.

                Pur fra disagi e privazioni d'ogni maniera, tutto era proceduto senza gravi inconvenienti per circa milletrecento chilometri fin nel cuore delle Ande. Battezzati 997 Indi quasi tutti adulti e 75 bambini nati da padri cristiani; benedette 101 unioni matrimoniali; ridotte centinaia di peccatori a penitenza; distribuita la santa eucarestia a 815 persone, fra le quali 600 indigeni; amministrata la cresima a 1513 individui nei deserti patagonici e a 1500 in territorio cileno. Ma poi avvenne l'imprevisto. Era il mattino del 3 marzo. Lasciato Malbarco sulle rive del Neuquèn, si cavalcava su per i dirupi [400] andini, quando, in una località denominata Aguas Callentes e sopra una giogaia detta Mala Cohuello, ecco il cavallo del Vescovo impennarsi, spiccar salti e sprangar calci, gettare la sella a traverso e, presa la mano al cavaliere, darsi a pazza fuga per uno stretto sentiero in pendìo e fiancheggiato da grossi macigni, sull'orlo di un precipizio senza fondo. Furono momenti di agonia per quelli del seguito, che non potevano assolutamente far nulla per recare aiuto. Monsignore, conservando la sua presenza di spirito, liberati i piedi dalle staffe, come adocchiò un punto meno accidentato, vi si gettò giù. Senza quella mossa fulminea e ardita egli sarebbe andato a sfracellarsi nell'abisso, dove un sordo tonfo indicò pochi istanti dopo essersi slanciata la bestia in furia.

                I compagni volarono sul caduto, lo alzarono dal suolo, gli domandarono costernati che cosa si sentisse; ma egli non parlava, respirava appena. Riavutosi alquanto e visti i suoi piangenti: - Non fate come i bambini! disse loro. Di tante costole che ho, credo di averne due sole rotte. Sia fatta la volontà di Dio. Passerà anche questa.

                Non c'era acqua, non c'era nemmeno ombra: lo ristorarono con alcuni sorsi del vino da Messa. Quindi, non potendosi restare là in mezzo ai monti, lo sedettero sopra un cavallo e sostenendolo con ogni riguardo, presero a ridiscendere verso il Neuquèn. Dopo alcune ore di cammino, ore di martirio per il paziente, lo ripararono dal sole in una capanna abbandonata, perchè vi si riposasse un tantino. Rimessisi in cammino, oltremodo difficile e pericoloso si presentava il guado dei fiumi per gli alvei pietrosi: ogni passo dell'animale era allora uno spasimo. Finalmente al chiarore della luna giunsero presso l'abitazione del signor Lucas Becerra, che all'alba di quel mattino, dopo aver dato ospitalità a Monsignore durante quattro giorni di missione, l'aveva accomiatato con i segni della più squisita e cristiana cortesia. Al rivederlo in sì lacrimevole stato gli si mise attorno prodigandogli tutte le cure possibili, e componendo subito e applicandogli [401] con intelligenza rimedi di casa che produssero buon effetto; contemporaneamente mandò per medicine dai Francescani di Chillàn nel Cile.

                Un attento esame rivelò che gli si erano staccate due costole dal lato sinistro con rotture muscolari e lesioni polmonari. Aveva pure contuso il femore sinistro dall'anca al ginocchio. Il volto e le braccia presentavano ammaccature causate dalle molte pietruzze nel luogo della caduta. Per quattro giorni lo travagliò una febbre altissima, accompagnata da acuti dolori polmonari; in seguito le cose pigliarono una piega migliore. I buoni cristiani di Malbarco venivano a schiere, portandogli uova, galline, frutta, verdura con una cordialità che commoveva; ma più di tutti si meritarono riconoscenza imperitura il signor Lucas e la sua consorte, che per venticinque giorni lo circondarono delle attenzioni più premurose e delicate.

                Il 12 marzo l'infermo si alzò la prima volta da letto; ma soltanto il 25, festa dell'Annunziazione, potè celebrare la Messa. I Francescani di Chillàn avevano avvertito immediatamente i Salesiani di Concepción, donde accorse il direttore Don Evasio Rabagliati[306]. La mattina del 28 Monsignore, scortato da uomini vigorosi che aveva messi a sua disposizione il signor Lucas, partì da quella casa e da quella popolazione, che non cessavano di dargli prove d'affetto. Si diressero a Concepción, dove arrivarono il 3 aprile, domenica  delle Palme. Sopraggiunse colà monsignor Fagnano, lanciatosi sulle tracce dei Missionari subito dopo aver udito del fatale accidente.

                Il Governo Argentino, appena avuto sentore della disgrazia, nè conoscendo bene la località dov'era accaduta, aveva telegrafato a tutte le autorità dei confini che gli prestassero ogni possibile assistenza unitamente alla sua comitiva[307]; [402] ma ignoriamo quali siano stati gli effetti di quel cortese intervento.

                Allorchè il fatto si riseppe in Italia, Don Bosco si trovava a Roma. I particolari furono resi noti dal Bollettino che pubblicavasi a Buenos Aires[308]. Don Costamagna, spedendo in anticipo a Torino il numero di aprile, scriveva a Don Rua il 29 marzo: “Tre giorni sono le mandai il Bollettino di aprile, perchè si informasse della terribile caduta da cavallo del carissimo nostro Monsignore. Suppongo che a Don Bosco indoreranno la pillola, perchè non si spaventi e si ammali”. Da Roma Don Rua a Don Durando, che gli aveva girato il periodico, rispose il 4 maggio: “Vidi nel Bollettino d'America il racconto della disgrazia di Mons. Cagliero e procuriamo di notificare il tutto a Don Bosco in modo da non allarmarlo”. La notizia però aveva preceduto il Bollettino, infatti due giorni innanzi Don Rua aveva scritto al medesimo Don Durando: “Favorisci dire a Don Lemoyne che ho dato a Don Bosco la notizia della caduta di Mons. Cagliero, in modo però che non mi parve essersi allarmato”. Ma altro è non allarmarsi, altro non sentir pena. Don Bosco non perdeva la sua calma per qualsiasi infortunio, contrarietà o minaccia, ma le sofferenze de' suoi figli si ripercotevano nel suo cuore paterno. Lo dimostrano queste altre parole scritte da Don Rua a Monsignore stesso il 28 maggio: “Ah caro Monsignore! Abbiamo ben cercato di indorare la pillola della tua caduta al Papà; tuttavia rimase in ansietà penosa finchè non giunse la nuova del tuo ristabilimento”.

                A Concepción Monsignore si ristabilì abbastanza bene, tanto che per più d'un mese girò in lungo e in largo per la Repubblica, applicandosi con la sua buona e forte volontà alle opere del sacro ministero, accompagnato quasi sempre [403] da monsignor Fagnano[309]. Questi nondimeno sospirava il momento dì riprendere la propria libertà d'azione per poter tornare stabilmente in mezzo a' suoi Fueghini. Frattanto il 19 aprile fece una corsa ad Ancud per intendersi col Vescovo, monsignor Giovanni Agostino Lucero, da cui dipendeva Puntarenas con la parte cilena della Terra del Fuoco. Seppe ispirargli tanta fiducia, che ne ottenne senza difficoltà commendatizie per quelle autorità civili.

                Venuto il giorno della partenza, la Provvidenza dispose che Vicario e Prefetto compissero il viaggio insieme e con itinerario impensato. Per amore di povertà religiosa monsignor Cagliero aveva in animo d'incamminarsi per la via di terra verso Buenos Aires, attraversando le Cordigliere nella direzione di Mendoza. Questo suo divisamento sollevò forti opposizioni da parte degli amici e benefattori cileni; un Vescovo non doveva, secondo loro, esporsi a un viaggio così lungo e disagiato, per altissime montagne già coperte di neve, tanto più dopo quello che era accaduto nel venire. - Se sono Vescovo, rispose egli, sono anche salesiano; debbo quindi cercare la strada più economica. - Un signore, udite queste parole, andò a procuragli due biglietti di prima classe sopra un piroscafo che navigava da Valparaiso a Montevideo; così i due Monsignori salparono il 16 maggio per la capitale dell'Uruguay, passando per lo stretto magellanico e perciò dinanzi a Puntarenas.

                Quando si entrò nella Baia di Puntarenas, era il 24 maggio. In giorno per loro così solenne avrebbero desiderato scendere a terra, celebrare e vedere la futura residenza; ma il mal tempo non permise di gettare le ancore, sicchè essi dovettero contentarsi di prendere possesso della Missione benedicendola da lungi, e ponendola sotto la protezione di Maria Ausiliatrice. Monsignor Cagliero datò allora da Puntarenas [404] una lettera per Don Bosco, nella quale cominciava a questo modo: “La mia ultima lettera che le scrissi portava la data di gennaio e partiva dal mezzo del deserto patagonico[310]. Dopo di allora non ho più potuto scriverle, perchè mi mancarono le forze ed il tempo! Ma altri le hanno scritto per me, ed io ancora soffro per quello che il suo cuore paterno avrà dovuto soffrire per causa mia, cioè per la disgrazia succedutami nelle Cordigliere. La mia salute continua ad essere buona e quasi non sento più le conseguenze della caduta, quantunque il mantice sinistro alle volte non soffii come soleva prima. I medici però consultati mi assicurano non esservi stata lesione alcuna al polmone”. Detto quindi del viaggio fatto e da fare, proseguiva: “E perchè non ci sorprenda il ritardo o la mancanza di tempo per augurarle buona festa onomastica pel giorno di S. Giovanni, qui io lo faccio, desiderando alla Paternità Vostra ogni benedizione del cielo e tutte le consolazioni della terra. E queste aumentino, crescano per Lei, per noi e per la Congregazione sino alla fine dei secoli. Ci ami e ci benedica sempre ed ogni giorno, perchè possiamo compiere santamente la nostra missione in questi ultimi confini della terra e perchè possiamo salvare la povera anima nostra”.

                Arrivarono il 4 giugno a Montevideo, donde proseguirono poi per Buenos Aires. Qui Monsignor Cagliero presiedette una conferenza ispettoriale da lui stesso convocata e resa più notevole dalla fortuita e fortunata presenza di tutti i sette salesiani superstiti della prima spedizione, quella di dodici anni addietro[311].

                Monsignor Fagnano ardeva di dare principio una buona volta alla evangelizzazione de' suoi poveri selvaggi fueghini. Se il danaro è il nerbo della guerra, senza danaro non si fondano neppure nè si mantengono le Missioni cattoliche. Il nostro Prefetto nulla osava aspettare dai confratelli argentini, [405] onerati di debiti. S'ingegnò dunque come potè, aguzzando quel suo ingegno che in faccende finanziarie egli aveva oltremodo sagace e financo azzardoso. Finalmente ottenuti dall'Ispettore bonarense un sacerdote, un chierico e un coadiutore[312], si abbandonò nelle mani della Provvidenza.

                I Missionari presero terra a Puntarenas il 21 luglio. Presentemente Puntarenas è una città di trentamila abitanti[313]. Ripete le origini da una colonia di deportati, stabilita in quei paraggi dal Governo cileno nel 1843 e dovette i primi incrementi della sua importanza e popolazione ai progressi della navigazione a vapore, alla quale offriva un buon pulito di approdo. Le fece perdere molto del commercio di transito l'apertura del canale di Panamà si avvantaggiò per altro con lo sviluppo preso più tardi dall'industria pastorizia. Oggi porge comoda uscita a quasi tutti i prodotti della Patagonia australe e della Terra del Fuoco ed è luogo di approvvigionamento, I coloni europei ne han fatto una piccola città cosmopolita, elegante e moderna. Due chiese salesiane ed i collegi annessi sono fra i più notevoli edifizi cittadini. Nel tempo di cui parliamo era ancora un meschino mucchio di casupole nè presentava attrattiva di sorta; basti dire che fino al 1890 gli abitanti non superarono mai il migliaio.

                I Salesiani si allogarono da prima in un alberguccio, sborsando sessanta franchi al giorno, somma che per le loro finanze significava il fallimento. Da Torino vennero aiuti. Fortunatamente monsignor Fagnano a Santiago e a Valparaiso aveva saputo suscitare un vivo interessamento per la sua Missione, tanto che quegli amici, conosciute le sue necessità, raccolsero per lui alcune migliaia di scudi. Potè così fare acquisto di una casa con nove fra stanze e stanzette, circondata da giardino e da area fabbricabile. Il 7 agosto scriveva a Don Lemoyne “Ci troviamo a cinquantadue gradi e mezzo di [406] latitudine sud; siamo i figli più lontani dal caro Don Bosco, ma forse i più vicini a lui per la tenerezza colla quale pensa a noi”.

                Non vi furono soltanto difficoltà economiche e climatiche da superare. Il Governatore, uomo ostile alla religione e aizzato da malevoli, la cantò chiara a monsignor Fagnano: gli dichiarò senza complimenti che egli, non essendo cileno, non poteva rimanere a Puntarenas; la legge a chi non fosse del Cile non permettere di esercitare nel territorio della Repubblica qualsiasi giurisdizione ecclesiastica; Roma non aver nulla da vedere a Puntarenas: chi comandava là, essere il Vescovo di Ancud. Questo che voleva essere il colpo di grazia, si convertì in arma di difesa; poichè il Prefetto Apostolico era in perfetta regola con l'Ordinario del luogo. Egli produsse inoltre al focoso rappresentante del Governo un'autorizzazione scritta del Presidente della Repubblica e commendatizie di cospicui personaggi cileni. Ma tutto ciò non sarebbe bastato tanto presto, se non si fosse intromessa la moglie del Governatore, la quale in fin dei conti cavò il marito dall'imbarazzo in cui s'era messo, procurandogli una decorosa ritirata. Questi finì con mostrarsi così ragionevole, che in agosto accettò di assistere personalmente alla solenne benedizione di una cappella in legno improvvisata da Monsignore.

                L'attività salesiana e missionaria non si fece aspettare. L'oratorio festivo e le scuole cominciarono tosto ad accogliere figli degli immigrati. Già sul principio di ottobre Monsignore distribuì la prima comunione agli alunni. Alla funzione ottenne che intervenissero anche i loro parenti, il che fu una prima scossa all'indifferenza religiosa generale, attirando alla chiesa chi non vi andava più da gran tempo. A Puntarenas poi si avvicinavano con frequenza gli Indi della Patagonia meridionale, accorrendovi per i loro scambi; la qual cosa offriva ai Missionari buone occasioni di apostolato. Il 5 novembre Monsignore poteva scrivere a Don Bosco: “In ottobre venne una tribù e fermossi una settimana e partendo promisero [407] di tornar presto e con molti altri compagni. Fui a visitarli, insegnai un poco di catechismo e loro inculcai caldamente di non darsi troppo all'ubbriachezza, poichè ciò è cosa brutta e cattiva davanti a Dio ed agli uomini, e non imitassero punto i cattivi cristiani. Vidi con piacere che mi ascoltarono, e nei pochi giorni passati fra noi non vi fu alcun disordine. Anzi mi promisero al loro ritorno di istruirsi tutti per essere battezzati”.

                Ma al grande Missionario premeva la Missione dei Fueghini. “Io, scrisse l'8 ottobre a Don Lazzero, non posso star tranquillo finchè non abbia ottenuto i mezzi per redimerli dalla schiavitù dell'ignoranza, della miseria e specialmente del demonio”. Uno dei mezzi indispensabili per intraprendere attivamente quella Missione sarebbe stato un vaporino, col quale correre isole e canali in cerca di selvaggi. Mancandogli allora la possibilità di farne acquisto, noleggiò la goletta Vittoria, capace di quaranta tonnellate; con essa verso la fine del 1887 visitò l'isola Dawson, punto centrale per gli Indi Yagàn e Alakalùf, che vi approdavano con le loro canoe; perlustrò quindi la parte cilena dell'Isola Grande. Nell'uno e nell'altro luogo incontrò molti selvaggi, s'intrattenne con loro, li invitò a Puntarenas, li regalò di vestiari e di viveri ed ebbe la consolazione di sentirsi ripetere: - Tu sei un capitano buono. E Capitano buono divenne poi il termine usuale, col quale quei poveri perseguitati designavano il loro provvidenziale apostolo.

                Poco prima di chiudere gli occhi alla luce di questo mondo, il nostro buon Padre fu consolato dalla vista di un primo fiore di quelle lontane e barbare terre, oggetto de' suoi sogni e delle sue sollecitudini. Monsignor Fagnano nella sua prima esplorazione aveva raccolto un'orfanella Ona di circa otto anni, alla quale erano stati poc'anzi uccisi i genitori. Condottala seco a Patagones, voleva raccomandarla al signor Lista, perchè la mettesse in qualche istituto di educazione a Buenos Aires. Ma la piccina, quando si fu sul punto di separarsi, si afferrò all'abito di Monsignore piangendo disperatamente e [408] supplicandolo di non abbandonarla nelle mani di quegli uomini cattivi, uccisori di suo padre e di sua madre. Il Capo della spedizione lo pregò allora di tenerla presso di sè. Egli la consegnò alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che la prepararono al battesimo. Orbene monsignor Cagliero, venendo in Italia nel dicembre del 1887, la menò a Torino con due suore per presentarla a Don Bosco.

                La fanciulla, convenientemente predisposta, sapeva abbastanza chi fosse Don Bosco e comprendeva la sua grande fortuna. Il Vescovo, presentandola al Servo di Dio, gli disse: Ecco, carissimo Don Bosco, una primizia che le offrono i suoi figli Missionari ex ultimis finibus terrae. - La piccola india, inginocchiata dinanzi a lui, gli rivolse col suo accento ancora semibarbaro queste parole: - Vi ringrazio, carissimo Padre, di aver mandato i vostri Missionari a salvare me e i miei fratelli. Essi ci hanno aperte le porte del cielo. - È indescrivibile la commozione di Don Bosco a quella vista e a quelle espressioni. Ritornata in America, la giovinetta non dimenticò più l'impressione lasciatale dal Santo; ma non tardò molto a volare in paradiso.

                Non è nostro compito tessere qui la storia della Missione di monsignor Fagnano. Allorchè egli, affranto dagli anni, dalle fatiche e dalle sofferenze morali, scese nella tomba, tutta una rete di opere missionarie avvolgeva la sua vasta Prefettura, opere ideate dalla sua mente feconda, attuate dalla sua energia sovrumana, mantenute a prezzo di sacrifizi eroici. I resti mortali del magnanimo apostolo riposano oggi nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, da lui edificata a Puntarenas; ma il suo spirito aleggia da Santa Cruz a Ushuaya e la sua memoria vive e vivrà nel cuore dei Salesiani di tutto il mondo. Ecco gli uomini che Don  Bosco formò e fece strumenti delle sue molteplici e grandiose concezioni. O meglio diremo: ecco gli uomini, dei quali la Provvidenza, chiamando l'umile Don Bosco a una missione mondiale, circondò il suo Servo, come di validi ausiliari per eseguirne i disegni. [409]

                In fondo all'Isola Grande un magnifico lago porta il nome del Missionario. Lago Fagnano lo denominarono i due scopritori, ufficiali argentini pieni di stima e dì devozione verso l'incomparabile figlio di Don Bosco. Un illustre geografo ed esploratore, lo svedese Otto Nordenskjold, dice opportuno “conservare questo nome dato dai primi scopritori in onore di una persona che tanto ha fatto per migliorare le condizioni degli indigeni”[314]. E il nostro Don De Agostini crede di dover specificare un altro suo titolo di benemerenza, quello d'aver promosso lo sviluppo industriale e commerciale della Terra del Fuoco[315]. Nell'opera monumentale del De Agostini basta scorrere le illustrazioni che ne adornano l'ultimo capo sulle stirpi fueghine per rendersi conto della trasformazione materiale raggiunta da quelle povere creature mercè  la solerzia dei Missionari Salesiani, sotto la direzione e l'impulso del loro grande Capo. Non furono certamente questi, come ognuno può pensare, gl'ideali per cui egli tanto fece e patì; ma è nella natura delle cose che la fiaccola del Vangelo, dovunque arrivi a splendere, irradi intorno a sè luce di civiltà e di progresso.

 

 

CAPO XIX

 Cinque Repubbliche d'America domandano a Don Bosco i Salesiani.

 

                UN fatto che grandemente colpì Leone XIII nei riguardi della Congregazione salesiana fu il vedere dalle relazioni dei Rappresentanti della Santa Sede nell'America latina quanto quelle democraticissime Repubbliche apprezzassero sempre più l'Opera di Don Bosco. Gli stessi Governi facevano di tutto per ottenere da Don Bosco che trapiantasse anche laggiù le sue istituzioni; anzi perfino i Presidenti di quegli Stati si rivolgevano al Papa pregandolo di usare della sua autorità affinchè fossero appagati i loro desideri. Per Don Bosco erano cose che aveva prevedute chiaramente ne' suoi sogni missionari e che aveva prenunziate con eguale chiarezza ai figli attoniti. È vero che le sue predizioni non si fermavano a un avvenire tanto vicino; tuttavia la Provvidenza dispose che egli non partisse da questo mondo senza scorgere almeno un principio di avveramento. Infatti durante l'ultimo biennio della sua vita pervennero a Don Bosco formali richieste dal Cile, dal Venezuela, dal Perù, dalla Colombia e dall'Equatore, paesi tutti che con altri gli furono mostrati in quelle profetiche manifestazioni. Così toccò ancora a lui aver mano nel porre ivi le prime cellule, da cui presero rapido e largo sviluppo le fiorenti organizzazioni salesiane locali.

                Qui poi non si può non ammirare un tratto veramente provvidenziale. Si stava allora tagliando l'istmo di Panamà, [411] che congiungeva le due Americhe: impresa gigantesca, la quale, mettendo in diretta comunicazione l'Oceano Atlantico con l'Oceano Pacifico, avrebbe facilitato di molto l'immigrazione nelle circostanti Repubbliche. Ora si sa quanto sia stato il contingente degli Italiani andati a stabilirsi in quei ricchi paesi. Ebbene non fu senza un disegno di Dio che si trovassero già sul luogo sacerdoti, i quali fossero in grado di provvedere ai bisogni morali e spirituali delle genti colà riversatesi. L'assistenza degli emigrati entrò, com'è noto, fin da principio nel programma missionario del nostro santo Fondatore.

                Sopra quegli esordi dell'attività salesiana noi abbiamo raccolto diligentemente le notizie più sicure circa la parte avutavi da Don Bosco e le verremo esponendo con ordine nel presente capo.

 

CILE.

 

                Un zelantissimo cooperatore salesiano, Don Domenico Benigno Cruz, vicario generale di Concepciòn nel Cile, addolorato alla vista dell'abbandono in cui vivacchiava tanta povera gioventù delle classi meno abbienti, non iscorgeva altra via di salvezza, fuorchè nella venuta dei Salesiani. Nè egli era solo a pensarla così; poichè già parecchi Vescovi cileni avevano manifestata la medesima convinzione. Incoraggiato da questi consensi, aperse e mantenne un'attiva corrispondenza epistolare con monsignor Cagliero, descrivendogli i bisogni e invocandone l'aiuto.

                Mentre egli scriveva, altri per di lui impulso operava. Il suo segretario, Don Spiridione Herrera, sacerdote di ottimo spirito, e buon cooperatore salesiano, teneva a disposizione dei desiderati Salesiani un terreno di centoventicinque metri per ognuno dei quattro lati e un edifizio in via di costruzione, una parte del quale però già serviva ad albergare una dozzina di poveri ragazzi, che sotto la direzione di lui stesso imparavano alla meglio un mestiere. Avendo letto nel Bollettino i principii dell'Oratorio, aveva raccolto e veniva educando [412] quei fanciulli secondo il sistema di Don Bosco, sebbene le occupazioni dell'ufficio e del sacro ministero lo distogliessero da una cura continuata. Ivi dunque si sarebbe potuto istituire una scuola professionale, la cui urgenza s'imponeva, dopochè una scuola professionale avevano fondata i massoni con grave danno e sempre maggior pericolo della gioventù popolana.

                Don Cruz accarezzava pure un altro disegno. Dipendeva dalla diocesi di Concepción il vasto territorio dell'Araucania, disseminato di piccole tribù indiane: Questi selvaggi abitatori, per la massima parte ancora senza battesimo, erano vissuti sempre in stato di guerra con le popolazioni civili; ma finalmente nel 1884 il Governo cileno li aveva ridotti in soggezione e sottomessi alle leggi dello Stato, attirando nelle loro terre incolte migliaia di coloni italiani, svizzeri e tedeschi, sicchè vi si venne a formare una grande accozzaglia di cattolici, protestanti e infedeli. Bisognava dunque provvedere alle imperiose necessità spirituali di tanta gente. La straordinaria scarsità del clero diocesano non permetteva d'inviarvi neppure un sacerdote. Or ecco che il buon Vicario anche per siffatta missione invocava e sperava soccorso dai Salesiani. Il Governo avrebbe somministrato casa, chiesa e trattamento. Una o più residenze nell'Araucania avrebbero procurato un prezioso vantaggio alle Missioni della Patagonia, massime per rifornire i Missionari quando si trovavano presso le falde delle Ande; poichè in tre o quattro giorni si sarebbero potuti recare dal lago Naheèl - Huapì a una residenza di loro confratelli senza più dover ricorrere a Buenos Aires o a Patagones, due punti tanto lontani.

                Non passavano quindici giorni, che Don Cruz non riscrivesse a monsignor Cagliero per istrappargli una consolante risposta. Non è a credere che Monsignore tendesse a guardare con indifferenza le proposte del Vicario; anzi egli divisava, in una sua prossima escursione, di valicare le Ande per portarsi a Concepción. Inoltre a Don Milanesio che con Don Panaro doveva in una lunga missione spingersi fino a Malbarco [413] appiè della Cordigliera, diede incarico di andar oltre e visitare detta città cilena. Don Milanesio era là sul principio del 1886. Fu ben grande la sua sorpresa all'udire gli elogi che vi si facevano di Don Bosco e dei Salesiani. Lo stesso Presidente della Repubblica, quantunque di tendenze laiciste, non nascondeva le sue simpatie per la novella Congregazione. Un giorno, avendogli le Suore della Provvidenza offerto un libro, in cui si parlava dello scopo dei Salesiani, n'era rimasto impressionato e poichè le religiose insistevano che chiamasse una Congregazione a prendersi cura dei ragazzi da loro dimessi quando raggiungevano una certa età, egli disse: - Io chiamerò i Salesiani.

                Per il Vicario Generale fu una festa l'arrivo di Don Milanesio, che abbracciò dicendo: - Mi permetta di abbracciare un figlio di Don Bosco, che è il primo a entrare nelle nostre terre. - Don Milanesio lo trovò informatissimo delle cose salesiane, perchè lettore assiduo del Bollettino. Di questa sua visita il missionario riferì ampiamente a Don Lazzero il 16 marzo, affinchè questi a sua volta ne informasse Don Bosco.

                Col I° maggio il Vicario scrisse direttamente a Don Bosco una lunga lettera, nella quale esponeva i suoi due disegni, chiedendo almeno sei preti e alcuni non preti e obbligandosi a sostenere per tutti le spese del viaggio. Don Bosco indicò a Don Viglietti i termini della risposta, che questi redasse in castigliano ed egli sottoscrisse. Non sei, ma cinquanta Missionari il Servo di Dio avrebbe voluto mandare nella diocesi di Concepción, se avesse saputo dove prenderli; anzi, benchè vecchio e infermo, sentir desiderio egli stesso di volare là, dove si lamentava sì estrema penuria di sacerdoti. Una buona speranza tuttavia gli faceva balenare, promettendo che in settembre, tenendosi il Capitolo Generale, si sarebbe studiato il modo di raccapezzare il personale occorrente. Pazientasse dunque fino al prossimo ottobre: allora gli avrebbe dato una più categorica risposta[316]. [414] Che cosa gli scrivesse in ottobre, noi non sappiamo: sappiamo invece che in quel mese scrisse al Presidente Balmarceda[317]. Intorno all'andamento di questa pratica i nostri archivi tacciono fino al febbraio del seguente 1887. È una spiacevole lacuna, perchè in tale spazio di tempo s'arrivò alla conclusione del negozio. Infatti il 21 febbraio si svolgeva ad Almagro una commovente cerimonia. Nella chiesa delle Suore, dinanzi al primo altare eretto a Maria Ausiliatrice in terra americana, sì riproduceva in miniatura la funzione dell'addio solita a compiersi nel santuario di Valdocco per le partenze dei Missionari. Sei salesiani, sotto la scorta del giovane sacerdote Don Evasio Rabagliati[318], lasciavano le sponde dell'Atlantico per raggiungere attraverso la catena andina le coste del Pacifico. Erano presenti tutti i direttori dell'Ispettoria. L'ispettore Don Costamagna fece un sermoncino, nel quale rievocò la figura di Don Bosco in modo così vivo, che pareva a tutti di vederlo presente. Cinque giorni dopo, dandone relazione al Santo, cominciava con queste parole: “Oggetto di questa mia si è di darle una grande notizia: la fondazione della prima Casa Salesiana in Concepción del Chilì!”.

                Il viaggio fu lungo e pieno di pericoli[319]. Si deve anche ammirare il coraggio dei viaggiatori, nessuno dei quali era, non diciamo allenato, ma neppure sufficientemente informato delle difficoltà a cui si sarebbe andati incontro dopo Mendoza nel valicare montagne così impervie. Toccarono la sospirata mèta il 6 marzo. Una folla di gente li attendeva alla stazione. Si presentarono in compagnia del Vicario Generale, di Don Herrera e del giovane avvocato Michele Prieto, rappresentante della gioventù cattolica, recatisi a incontrarli a tre ore di ferrovia da Concepción. Tutti gli ordini della cittadinanza erano là convenuti. Vari personaggi del clero e del laicato li seguirono fin presso le Suore della Provvidenza, dalle quali [415] dovevano prendere provvisoriamente alloggio. Un'onda di popolo riempì l'attigua chiesa a cantare con essi a Dio l'inno del ringraziamento.

                Trascorsi alcuni giorni in quella tranquilla dimora passarono a prendere possesso dell'accennato collegio, posto sotto la protezione di S. Giuseppe. Allora fu una gara nella cittadinanza per somministrare tutto quello, di che vi si pativa difetto per la cappella, per la mobilia, per la biancheria ed anche per la cucina. La povertà regnava sovrana, ma scriveva il Direttore[320]: “Per me, che ho visto la casa di Buenos Aires nascere tra mille difficoltà, in mezzo alle privazioni, sempre povera, sempre carica di debiti, eppure progredire ogni anno più, fino ad avere un edifizio che contiene più di trecento alunni interni, che la Provvidenza raduna sotto la bandiera salesiana, per me dico francamente che ho buoni pronostici per la casa della Concezione del Chilì”. I fatti gli diedero pienamente ragione. Dove si era entrati con nulla, dopo breve tempo sì ebbe tutto. Si ebbero anche presto e in gran numero i ragazzi all'Oratorio festivo, inaugurato la prima domenica dopo l'ingresso. Scuole e laboratori sorsero a poco a poco, ma in non lungo lasso dì tempo.

                Secondo intelligenze prese per lettera, monsignor Cagliero avrebbe dovuto di poco precederli o seguirli a Concepción per inaugurare con solennità la casa; ma l'uomo propone e Dio dispone; l'incidente della caduta, come abbiamo visto, mandò a monte i loro bei piani. Non ogni male però viene per nuocere; la disgrazia lo rese noto in tutta la Repubblica, accendendo una venerazione universale per la sua persona e facendogli incontrare trionfali ricevimenti dovunque andò durante il suo soggiorno nel Cile.

                Si era infatti ansiosi di vedere il grande figlio di Don Bosco a Linares, a Valparaiso, a Los Angeles, a Talca, a Santiago, capitale dello Stato, nei quali centri si agiva seriamente per [416] avere i Salesiani. La personale conoscenza raddoppiò l'ardore di questa aspettazione. Don Rabagliati scrisse il 14 maggio a Torino: “I giornali cattolici pubblicavano ogni giorno ciò che faceva, ciò che diceva, dove andava il Vescovo Salesiano. In un mese e mezzo passato nel Chilì, egli non ebbe un giorno solo per poter respirare alquanto. Si confortava però e si calmava, pensando a Don Bosco nelle sue escursioni in Francia”.

                Largheggiò egli alquanto nelle promesse; l'impazienza poi fece dare alle sue parole ancor più larga portata che non avessero. Nondimeno, venuto in dicembre a Torino, perorò eloquentemente ed abbastanza efficacemente la causa del Cile dinanzi al Capitolo Superiore; ma l'effetto si potè vedere solo dopo la morte di Don Bosco. Alla casa di Concepción seguì allora quella di Talca. Appena partito Monsignore, un sacerdote aveva compiuto in nome di lui e pagato con danaro proprio un vasto ed elegante edifizio, destinandolo a scuola professionale. L'apertura si fece entro il 1888. Poi nel 1891 venne la volta della casa del Carmine a Santiago, della quale correvano già trattative nel 1886, e da parte del Governo. Tutto il rimanente non appartiene più alla storia di Don Bosco.

                Il nome di Don Bosco risonava ormai da un capo all'altro del Cile, riscotendovi generale ammirazione. Appena vi arrivarono i Salesiani, telegrammi piovvero loro da librai di Santiago e di Valparaiso, che chiedevano quante più copie fosse possibile avere della sua biografia, in qualunque lingua fosse scritta. Un mese prima della loro venuta, una copia di Don Bosco y su Obra del Vescovo di Milo, messa in circolazione a Santiago dalle Suore della Provvidenza, era andata a ruba fra i più cospicui personaggi del clero e del laicato, compresi i Ministri. Fu forse il libro voluto vedere dal Presidente della Repubblica, come dicevamo pocanzi. Per soddisfare alle incessanti richieste bisognò mettere mano a un'edizione cilena di quell'operetta[321]. [417]

                Pare che la nuova fondazione facesse notevoli progressi, se in agosto il segretario di monsignor Cagliero poteva scrivere: “La casa di Concezione va sempre avanti, cresce il numero dei ragazzi, e la frequenza ai santi Sacramenti”. E qui gli correva alla penna un desolante confronto. A Patagones queste consolazioni non si conoscevano: quell'ambiente continuava ostinatamente nella sua indifferenza religiosa, di cui dicemmo altrove. Onde proseguiva Don Riccardi: “Qualche volta che dimentichiamo momentaneamente le ultime parole di Don Bosco, siamo sopraffatti ed accasciati dallo scoraggiamento pel poco o nulla che si ottiene in questo paese, ed oh! come ci soccorre in buon punto allora il ricordo di lui: - Andate; voi seminerete, altri raccoglieranno”[322]. - Dovunque i Salesiani lavorassero, c'era sempre con loro Don Bosco a infondere coraggio, speranza e consolazione.

                Non abbiamo ancora detto tutto quello che interessa noi riguardo al Cile, vivente Don Bosco. Il Vicario Generale di Concepción in una sua lettera del 15 ottobre 1887 a monsignor Cagliero gli annunziava la partenza di tre signori per Torino, che navigavano sul piroscafo atteso da lui per imbarcarsi alla volta dell'Italia. “Nel presente vapore, scriveva egli, viaggiano tre avvocati cattolici di questa città, i signori Barros, Cox e Mendez. Io li raccomando grandemente a V. S. Ill.ma e specialmente il primo che è il redattore della Libertad Catolica e illustre atleta della Chiesa; anche gli altri due sono molto buoni e di distinta capacità”.

                Questi signori erano tre cugini, che desideravano studiare sul posto l'Opera di Don Bosco. Giunsero a Torino il 7 dicembre. Presentati da Monsignore, ricevettero cordiale ospitalità nell'Oratorio; dal medesimo furono accompagnati nella camera di Don Bosco. Uno di essi descrive così l'incontro[323]: [418] “Don Bosco stava seduto in un modesto sofà; aveva chino il capo, pieni di lacrime gli occhi e il sembiante illuminato da un sorriso celestiale. Non può più nè abbigliarsi nè camminare da solo. Noi tre cademmo in ginocchio dinanzi a lui. Gli baciammo la mano con rispettosa venerazione. Egli ci strinse fortemente le nostre per alcuni istanti, fissandoci un dopo l'altro con uno sguardo che non è umano e che produce un vero godimento”.

                Fattili quindi sedere intorno a sè, prese a dire con voce bassa e stentata: - Quelli che non mi conoscono, mi cercano; ma quelli che mi conoscono, mi disprezzano. Non è molto che in Francia una persona, vedendomi per via, m'indicò ad un'altra dicendo: "Guarda là Don Bosco! Ma quella, dandomi un'occhiata di meraviglia, rispose: Come? Possibile che colui sia Don Bosco? Pf!. " E mi voltò sdegnosamente le spalle ... Loro tre sono avvocati? Ebbene sono avvocato anch'io ... contro il demonio. Abbiamo battagliato molto insieme giorno per giorno. Io gli ho dato buoni colpi, ma anche lui mi ha bastonato forte. Osservino in che misero stato son ridotto.

                L'autore dell'articolo commentava: “Don Bosco diceva tutto questo con tale una espressione di candore, di semplicità, di grazia e di santità, che a noi sembrava di parlare con un angelo disceso dal cielo. Egli tiene generalmente gli occhi bassi, stando in un atteggiamento pensoso e meditabondo; ma quando alza gli occhi, il suo sguardo è sovrumanamente dolce e insieme sovrumanamente penetrante [ ... ]. Io non posso parlare di quest'uomo se non con venerazione, nè pensare a lui senza pensare nello stesso tempo alla virtù di Dio”.

                I visitatori, non osando prolungare la conversazione per tema di stancarlo, si alzarono, e, presente Don Rua, gli dissero: - Vediamo che lei è stanco e non può parlare. Noi andiamo a Roma. Diremo al Santo Padre che preghi per lei, così necessario alla sua Congregazione e alla Chiesa; la preghiera del Papa sarà onnipotente. [419]

 - No, miei signori, rispose Don Bosco, non si preghi affinchè io possa guarire. Si domandi la grazia che io possa fare una buona morte, perchè così andrò in Paradiso e di là potrò aiutare molto meglio i miei figliuoli e lavorare alla maggior gloria di Dio e alla salute delle anime.

                Uno dei tre, il giornalista Barros, era tormentato da un'artritide dolorosa che lo martoriava specialmente alle mani, sicchè, scritta una cartella, doveva sospendere il lavoro, restandogli come paralizzati le dita e il braccio. Veniva con la speranza che Don Bosco lo guarisse. Il Santo, presegli le mani, le tenne strette a lungo fra le proprie. Finalmente gli disse: - Lei è guarito, ma sentirà sempre qualche doloretto, perchè non si dimentichi della grazia fattale dalla Madonna. - Quegli, ritiratosi in camera, volle subito mettere alla prova la sua mano, scrivendo alla moglie, e tirò giù di seguito un letterone di ventiquattro facciate. D'allora in poi non gli accadde mai più di avere inservibile la mano.

                I nostri Cileni cascarono dalle nuvole incontrando, novizio salesiano, un loro connazionale assai conosciuto in tutto il Cile per le sue pubblicazioni d'argomento religioso, per l'importanza della sua famiglia e per il suo zelo sacerdotale: vogliamo dire Don Camillo Ortúzar di Santiago. Venuto in Europa con la risoluzione di entrare nel noviziato dei Gesuiti e parlatone con sua madre, che dimorava a Parigi, ascoltò il suo consiglio di andar prima a consultare Don Bosco. Il Santo, com'ebbe udite le sue prime parole, gli troncò il discorso domandandogli a bruciapelo: - E perchè non si farebbe salesiano?

 - A questo veramente non ho mai pensato, rispose.

- Ella desidera di lavorare, non è vero? Ebbene, qui troverà pane, lavoro e paradiso.

                In quel momento la campana di Maria Ausiliatrice sonava il mezzogiorno. Don Bosco disse l'Angelus con lui, quindi lo invitò a pranzo. A mensa se lo fece sedere accanto. Don Ortúzar, che non aveva dato importanza alle parole udite [420] poco avanti, ritornava di quando in quando sull'argomento dei Gesuiti e del noviziato; ma Don Bosco gli susurrava sempre lo stesso ritornello: - Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che le posso offrire io in nome del Signore. - Quegli cominciò a riflettere, finchè rispose che accettava. Allora il Servo di Dio gli disse: - Don Bosco se ne dovrà andare fra poco; ma c'è già qui Don Rua al suo posto. Egli s'incarica di dare a lei il pane; lavoro non gliene mancherà di certo; Don Bosco spera di arrivare al cielo per darle da parte di Dio il paradiso.

                Primo pensiero di Don Camillo fu naturalmente di tornare a Parigi per spiegare alla madre il mutamento avvenuto e prendere il suo corredo personale, avendo portato con sè soltanto gli abiti che indossava. Ma: - Stia tranquillo, gli disse Don Bosco, la sua signora madre approverà volentieri la sua risoluzione. Vada pure senz'altro dove lo chiamano i suoi nuovi doveri e ritenga per certo che non avrà mai a pentirsi d'aver obbedito da buon soldato del Signore. Quella sera medesima, accompagnato da Don Barberis, egli s'incamminò a Valsalice, per darvi principio al suo noviziato.

                Da parte della madre non sorse la menoma difficoltà. Erano già passati due mesi da quel giorno, quando i suoi compatrioti se lo videro comparire dinanzi nell'Oratorio. Scrive il signor Mendez nel citato articolo: “Non c'è uomo più felice di lui. Trabocca di contentezza. Parla continuamente di Don Bosco. Ha in Don Bosco una fede cieca e assoluta; lo considera come un oracolo del cielo”. Possiamo confermare che era veramente così. Don Rabagliati attestava a Don Rua[324]: “È un bell'acquisto. È stimatissimo nel Chilì”.

                Don Camillo Ortúzar visse fra noi in sì umile e schietta semplicità, che nessuno, vedendolo e praticandolo, avrebbe potuto mai sospettare nè degli alti uffici da lui sostenuti in patria nè tanto meno del vero motivo che l'aveva indotto ad [421] abbandonare la città nativa ed era la ferma volontà di sottrarsi definitivamente al più volte incorso pericolo dell'episcopato[325].

 

VENEZUELA, PERÙ, COLOMBIA.

 

                Nel Venezuela fu fondata per prima la casa di Caracas, capitale della Repubblica, sette anni dopo la morte di Don Bosco; ma le si andava preparando il terreno fin dal 1886. In quell'anno infatti il Vescovo monsignor Crispolo Uzcátegui visitò Don Bosco all'Oratorio, facendogli presenti i bisogni della sua desolata diocesi. Anima di tutto era il sacerdote Riccardo Arteaga, che cominciò a moltiplicare i Cooperatori Salesiani e poi, morto il Santo, perseveravit pulsans, finchè il successore non esaudì i suoi ardenti voti. Abbiamo copia di tre lettere del 1887, a lui indirizzate e firmate da Don Bosco. In esse l'argomento capitale è l'organizzazione dei Cooperatori locali, di cui Don Bosco lo nominò Direttore[326]. Il zelante sacerdote, instancabile nell'accrescerne il numero, riuscì a inscriverne più di seicento. Questa preparazione spiega l'incremento grande preso in breve dall'Opera Salesiana nel Venezuela, dove oggi la Congregazione regge pure la Missione dell'Alto Orinoco.

                Nel Perù l'Opera Salesiana cominciò quand'erano trascorsi tre anni dalla morte del Fondatore, - la capitale Lima ebbe allora le Scuole di Santa Rosa. Ma già il 23 giugno 1886 Don Bosco aveva ricevuto la visita del Presidente della Repubblica, accompagnato dal figlio. Egli si mostrava abbastanza al corrente delle cose nostre, manifestandone calda simpatia. Don Viglietti gli fece fare un rapido giro per l'Oratorio, perchè il tempo stringeva. Partendo, espresse il desiderio di ritornare in altra occasione. Nel colloquio con Don Bosco l'aveva affettuosamente pregato di aprire una casa nella sua capitale. [422] È cosa di non poco interesse lo scoprire come la pia Unione dei Cooperatori attecchisse così presto in contrade tanto remote dai centri di attività salesiana. Il merito della iniziale diffusione va attribuito in gran parte al Bollettino spagnuolo[327]. La propaganda veniva poi alimentata e accresciuta dalla corrispondenza con Torino, donde con i diplomi e dopo s'inviavano opuscoli, immagini, medaglie e comunicazioni varie, atte a far conoscere l'opera. Per Lima abbiamo due lettere del 1887 a un signor Giuseppe Yimenez, recanti, come noi abbiamo potuto verificare, la firma autentica di Don Bosco e rivelanti un accentuato movimento di cooperazione[328].

                La fama del Servo di Dio riempiva allora la Repubblica per un fatto, che era stato considerato prodigioso e prima del quale nulla si sapeva colà nè della sua persona nè delle sue opere. Il Provinciale dei Francescani di Lima, attraversando l'Oceano, scacciava la noia leggicchiando un libro che narrava la vita di Don Bosco; possiamo ritenere che fosse il Don Bosco y su Obra. Don Bosco era per lui una personaggio sconosciuto. Or ecco scatenarsi il vento, divenir furioso e sollevare una grossa burrasca; la nave in balìa delle onde n'era così squassata, che il naufragio sembrava imminente: il capitano stesso dichiarò in seguito che aveva ormai perduta ogni speranza. Il buon religioso in mezzo al turbine si rizzò fra i passeggeri, li invitò a inginocchiarsi come potevano e pregò Maria Santissima, che in riguardo al suo servo Don Bosco li salvasse dalla catastrofe: prometteva con voto che, giunto a salvamento, avrebbe fatto stampare quel libro a migliaia di copie e l'avrebbe diffuso largamente nel suo popolo. Formulato il voto, la tempesta cessò d'infierire, tornò la bonaccia, e la nave proseguì felicemente fino al porto. Il Francescano non dimenticò la sua promessa, ma, ordinata un'edizione economica del libro, ne distribuì le copie in tutto il Perù a Vescovi, a preti, a ricchi e a poveri, a chi lo voleva e a chi non lo voleva, [423] di modo che la vita di Don Bosco formò il tema delle conversazioni generali, facendo nascere in più luoghi il desiderio di veder estesi al Perù i benefizi delle sue istituzioni. Lo stesso Provinciale nel 1890 raccontò il fatto a Don Rabagliati, ospite nel suo convento.

                Qualche cosa di simile accadde per la Colombia. La signora di Bogotà che nel 1883 aveva visto a Parigi il miracolo del giovanetto moribondo invitato da Don Bosco a servirgli la Messa[329], non finiva di scrivere a parenti e conoscenti colombiani, magnificando la santità del taumaturgo prete italiano e le sue grandi benemerenze nell'educazione della gioventù. A poco a poco se ne interessarono anche uomini del Governo. Più d'ogni altra cosa richiamavano la loro attenzione quelle sue scuole d'arti e mestieri, di cui là si sentiva il bisogno, ma che non si sapeva come mettere in piedi. Dal dire si venne al fare. Don Bosco ricevette da Roma il I° novembre 1886 una lettera del signor Gioachino Velez, ministro di Colombia presso la Santa Sede, il quale gli diceva: “La meritatissima rinomanza dell'istituzione di laboratori, scuole e ospizi per i fanciulli poveri, dovuta alla di lei carità, è giunta fino a noi e quanti si prendono pensiero degl'infelici, fanno ardenti voti che il popolo colombiano sia messo a parte dei benefizi dalla S. V. procacciati alla società moderna”. Quindi in nome del suo Governo chiedeva fosse speditamente stipulato un contratto per l'invio di alcuni Salesiani nella capitale della Repubblica. Il Capitolo Superiore rispose ringraziando della fiducia, ma scusandosi che, data l'insufficienza del personale di fronte alla moltiplicità degli impegni non si potesse subito accogliere la domanda. Chiedeva quindi una dilazione, suggerendo frattanto al Ministro di trattare con il procuratore generale Don Dalmazzo o meglio ancora di mettersi in relazione con monsignor Cagliero, direttore generale delle Missioni Salesiane. [424] Circa tre mesi dopo, il 21 gennaio 1887, fu la volta dell'Arcivescovo di Bogotà, monsignor Giuseppe Telesforo Paul, della Compagnia di Gesù, il quale chiedeva a Don Bosco non una, ma due opere, cioè una scuola professionale per la gioventù povera della sua città e una missione per i selvaggi dei dintorni. Don Bosco non potè che far dare una risposta analoga alla precedente.

                Il Ministro presso la Santa Sede non aveva esitato punto a conferire con Don Dalmazzo, dal quale dopo ripetuti incontri credette d'aver ricevuto buone speranze; onde ne informò sollecitamente il suo Governo. Il Presidente della Repubblica che non aspettava altro, gli telegrafò autorizzandolo ad aprire trattative con Don Bosco. Quegli ne scrisse a Torino l'11 luglio. Il 18 ottobre l'Arcivescovo rinnovò le sue istanze per il duplice oggetto.

                Si lavorava anche dietro le quinte; infatti l'11 novembre arrivò a Don Bosco dal cardinale Rampolla, Segretario di Stato, una lettera, in cui si diceva: “Il Governo di Colombia ha fatto conoscere alla Santa Sede che desidererebbe veder fondata e diretta dai PP. Salesiani una scuola di arti e mestieri nella città di Bogotà. Il Santo Padre vedrebbe anch'esso con piacere che questo desiderio potesse realizzarsi al più presto, perchè non dubita che l'opera dei degni figli di San Francesco di Sales sarebbe feconda di ottimi risultati a vantaggio della gioventù di quella capitale. Mi rivolgo perciò fiducioso alla Paternità Vostra Rev.ma e La invito a voler accogliere favorevolmente l'accennata istanza del Governo Colombiano, notificandole che il Rappresentante di Colombia presso la Santa Sede è fornito delle opportune istruzioni per mettersi d'accordo colla P. V. sul numero di Salesiani necessari all'indicato scopo e su tutti i punti che dovrebbero regolarsi per assicurare la stabilità che deve avere la fondazione in discorso. La benemerita Congregazione, di cui Ella è degnissimo Superiore, vede così aprirsi un nuovo campo alle sue fatiche, ed io faccio voti che ne possa raccogliere abbondante messe di frutti”. [425]

                Il difetto di personale non era un pretesto, ma una realtà; d'altro lato pressioni si autorevoli consigliavano di cercare almeno una via di mezzo, non fra il sì e il no, ma fra presto e tardi. Questo è che dovette suggerire lo spediente di rispondere che si sarebbe dato a monsignor Cagliero l'incarico di trattare e possibilmente di accondiscendere. Proprio in quei giorni monsignor Cagliero viaggiava alla volta di Torino, donde avrebbe potuto condurre la pratica; poi sopravvenne la morte di Don Bosco. Tutto questo portò via del tempo. Trascorsi tre mesi da quel beato transito, il cardinale Rampolla, nuovamente sollecitato dal Rappresentante cileno presso la Santa Sede, ripetè a Don Rua l'invito. Scriveva infatti il 24 aprile: “Nel Novembre passato io mi dirigeva al compianto D. Bosco eccitandolo ad accogliere favorevolmente le premure fatte dal Governo di Colombia per la fondazione di una scuola di arti e mestieri nella città di Bogotà, e quel degnissimo Superiore, la cui perdita lamenta a sì giusto titolo la Congregazione Salesiana, mi rispondeva sotto la data del 30 del citato Novembre che avrebbe procurato " di accondiscendere nel più breve tempo possibile al desiderio del Governo Colombiano ". Ora peraltro, dietro nuove istanze del Rappresentante di quella Repubblica, mi occorre invitare la P. V. Rev.ma a non voler troppo differire l'esecuzione delle buone disposizioni manifestate dal compianto di Lei predecessore, facendole conoscere che i Salesiani, ai quali si vorrebbe affidare la direzione della suddetta scuola di arti e mestieri, dovrebbero trovarsi in Bogotà, almeno al principio del 1890”.

                Alla buon'ora! C'eran di mezzo un anno e otto mesi prima di quella data, spazio abbastanza largo per venire a qualche cosa di concreto. Si potè infatti aprire nel 1890 a Bogotà il collegio Leone XIII con scuole professionali, chiesa pubblica e assistenza degli emigrati. Nella Colombia echeggiò ben presto un nome glorioso, il nome di Don Unia, l'apostolo dei lebbrosi, tuttora ripetuto con sincera ammirazione da cittadini d'ogni classe e d'ogni colore. [426]

 

EQUATORE.

 

                Nella Repubblica dell'Equatore, per quanto si sappia, non vi furono pubbliche manifestazioni in favore di Don Bosco e della sua Opera prima del 1885, allorchè il signor Tobar, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, espose alle due Camere la convenienza di chiamare i Salesiani. Egli li aveva conosciuti stando nel Cile, dove gli erano capitati sott'occhio giornali argentini, che contenevano articoli su di loro. Ritornato a Quito, si fece dare dal Superiore dei Gesuiti il Don Bosco y su Obra del Vescovo di Milo, nella qual lettura si formò un giusto concetto della Congregazione e del suo Fondatore. Ecco un punto del suo discorso dinanzi alle Camere. Parlato della necessità d'istituire buone scuole professionali e mostrato come non ci fossero nel paese maestri adatti, si domandava: “Sarà possibile avere dall'estero insegnanti che posseggano le qualità indicate?”. E rispondeva: “Sembra di sì, se teniamo conto di un ordine religioso nuovo, che si va miracolosamente estendendo nel mondo. L'ordine salesiano è, per così dire, il risultato della fusione fra gli scopi del Cattolicismo e le tendenze di questo secolo del vapore e dell'elettricità. Provano l'importanza dei fini propostisi la rapidità del suo sviluppo e la prontezza con cui si riempiono di allievi i suoi istituti”. Ne tracciava quindi la storia, attingendo alla fonte che dicevamo.

                La sua proposta incontrò sì favorevole accoglienza, che il signor Giuseppe Caamano, Presidente della Repubblica, accordatosi con l'Arcivescovo di Quito, monsignor Giuseppe Ordonez, decise di domandare a Don Bosco che mandasse i suoi figli nella capitale equatoriana. Non trattò personalmente, ma diede ordine al signor Ballen, console generale dell'Equatore a Parigi, d'intendersi con Don Bosco; il che quegli eseguì con lettera del 7 agosto 1885.

                La risposta fu quale noi possiamo facilmente immaginare. Cortesi ringraziamenti, espressione di buon volere, preghiera [427] di attendere alcuni anni per mancanza di personale. Non sì replicò. Dovendosi l'Arcivescovo trovare a Roma sul principio del 1887, il Presidente non stimò grande iattura pazientare un anno e mezzo, riserbandosi di dare al Prelato piena facoltà di trattare e di conchiudere.

                Ai primi di gennaio del 1887 Monsignore sbarcava in Francia, donde il 5 arrivò a Torino. Il suo colloquio con Don Bosco durò a lungo; egli diceva di non voler partire fino a tanto che non gli si promettessero almeno quattro Salesiani. Don Bosco, vinto dalle sue preghiere, finì con dichiararsi pronto ad accordarglieli, ma a patto che la Santa Sede non sollevasse difficoltà per l'invio di così piccol numero.

                Contento di questo primo risultato, l'Arcivescovo riprese il suo viaggio per Roma. Quivi rappresentò a Leone XIII l'estrema necessità in cui versava la sua diocesi di avere sacerdoti salesiani. Il Papa non solo approvò, ma gli disse di scrivere a Don Bosco essere suo desiderio che inviasse Salesiani a Quito.

                Quando c'entrava il Papa, Don Bosco non faceva distinzioni fra desiderio e comando; pensò dunque senz'altro a obbedire. Prima ancora di ricevere tale comunicazione, Don Bosco, presagendo già come la sarebbe andata a finire, aveva detto il 18 gennaio in tono faceto, secondochè scrive Don Lemoyne: - Adesso ho il grillo di provvedere quanto più presto sia possibile ad una partenza di Missionari per la Repubblica dell'Equatore. Là è centro di Missione e si possono ottenere anche vocazioni.

                La voce di questa sua intenzione si era ben tosto diffusa in città; infatti nei giorni dell'anno nuovo, nei quali le persone caritatevoli sogliono mettere mano alla borsa, un sacerdote assai benemerito dell'istruzione e dell'educazione popolare e autore di molte operette pregevolissime per le scuole primarie, il professor Giovanni Scavia[330], scriveva affettuosamente [428] al “venerato e caro Don Bosco”, a cui lo legava cordiale amicizia: “Il Signore benedica e fecondi i benéfici disegni di Lei anche a benefizio della Repubblica dell'Equatore. Se io fossi ancora giovane mi unirei di buon grado alla Missione; ma alla mia età non mi rimane che di potervi concorrere colla preghiera e con qualche offerta. Mi duole di non poter largheggiare, come sarebbe desiderio di Lei e mio. Il mio patrimonio è già assegnato per testamento all'esecuzione di legati alla diocesi d'Alessandria e a trentadue nipoti e pronipoti che mi fanno onore. Posso tuttavia disporre dell'annua rendita, e dal fondo destinato alla Beneficenza caverò lire mille che pongo di buon grado a disposizione di Lei per la Missione dell'Equatore. Sarà l'obolo della vedova nel grande salvadanaio della cristiana carità”.

                Sbrigati a Roma i propri affari, Monsignore ritornò a Valdocco il 12 febbraio. Qui vennero fissati gli articoli di una convenzione, sottoscritta da lui e da Don Bosco sotto la data del 14. È questo l'ultimo documento di tal genere, che porti la firma del nostro Santo[331].

                Subito dopo il Presule proseguì per Parigi, dove senza indugio presentò il testo firmato della convenzione al signor Flores, Ministro Plenipotenziario dell'Equatore in Francia, affinchè vedesse, approvasse in nome del Governo e spedisse a Quito per la pubblicazione ufficiale. Il Ministro non trovò nulla a ridire: controfirmò e spedì. Il 7 marzo Don Bosco volle scrivere al Presidente della Repubblica, il quale con molta amabilità gli rispose[332].

                Restava che Don Bosco si mettesse in relazione col summentovato Console Generale a Parigi, incaricato di somministrare l'occorrente per i passaggi[333]. Un contrattempo obbligò a rinviare la partenza oltre il termine convenuto, che era il [429] 10 settembre: al momento della richiesta non rimanevano più posti disponibili sul piroscafo francese che doveva salpare in quel giorno per l'Equatore.

                La prima pubblica notizia della nuova impresa di Don Bosco fu data dall'Unità Cattolica del 12 agosto. Il Capitolo Superiore stabilì il personale destinatovi nella seduta vespertina del 18. Otto Salesiani avrebbero formato la spedizione, condotta dal valoroso Don Luigi Calcagno[334], reduce dall'Uruguay, dov'era approdato con la spedizione del 1878, ancora semplice chierico.

                I preparativi per questa partenza imponevano nuovi sacrifizi. Al tragitto non si doveva pensare; ma per tutto il resto ci voleva non poco danaro. La necessità di trovarlo fece sentire vieppiù la molteplicità dei bisogni che stringevano da ogni parte, massime da Roma per la chiesa del Sacro Cuore e dall'America per la Missione della Terra del Fuoco. Preoccupato delle crescenti angustie finanziarie, Don Rua il 10 ottobre prospettò al Capitolo l'opportunità di prendere occasione dall'opera di Quito per chiedere soccorsi. Don Bosco dispose che Don Bonetti insieme con Don Lemoyne minutasse due circolari, una più comprensiva che abbracciasse tutte le Missioni, e l'altra più ristretta che limitasse l'appello a favore della Patagonia e della Terra del Fuoco. In entrambe le circolari si credette conveniente tacere sulle condizioni della chiesa del Sacro Cuore. La prima ha la data del 4 novembre, la seconda del 20 dicembre. Quella andò come supplemento al Bollettino. Don Pozzan, direttore del Bollettino, gli domandò entro quale spazio di tempo avrebbe dovuto condurre a termine la spedizione delle lettere. - Hai tempo tre mesi rispose. Risposta insolita che destò qualche meraviglia, perchè altre volte in casi simili rispondeva di fare al più presto possibile. Tre mesi dopo avvenne la sua morte. Tutt'e due vennero tradotte in francese, spagnuolo e tedesco. Sono [430] gli ultimi documenti di tal fatta che uscirono con la firma di Don Bosco[335].

                Nella chiesa di Maria Ausiliatrice si compiè con la consueta solennità la cerimonia dell'addio il 6 dicembre. I partenti si erano radunati prima intorno a Don Bosco nella sua camera a riceverne gli ultimi ricordi. Egli disse loro fra l'altro: - Siate amanti della povertà e della carità fraterna. Leggete spesso le Regole e ubbiditele sempre[336]. Benchè estenuato di forze, volle poi scendere nel santuario. Entrò nel presbiterio sostenuto dai segretari. Don Bonetti predicò; ma, scrive Don Viglietti nel suo diario, “la predica più bella e più efficace la fece il povero Don Bosco, così strascinantesi sulla sua persona”. Aveva spedito al Papa per il tramite di monsignor Della Volpe il seguente telegramma: “Prosternato spirito imploro benedizione Santo Padre missionari salesiani destinati Equatore”. Ai Missionari diede due lettere di presentazione scritte da lui, una per il Presidente della Repubblica e l'altra per l'Arcivescovo di Quito. La seconda era del tenore seguente[337].

 

                                Eccellenza Reverendissima,

 

                Ho il piacere di presentarle gli otto poveri Salesiani destinati allo stabilimento di una casa Salesiana in Quito sotto gli auspizi dell'E. V. Rev.ma e delle altre autorità di codesta Onor.ma Repubblica. Io consegno tali miei figli carissimi in G. C. nelle mani di V. E. come in quelle di un amoroso Padre che vorrà favorirli in ogni occorrenza degli opportuni consigli ed aiuti spirituali e temporali. Essi vengono con tutta la buona volontà di corrispondere all'aspettazione dell'E. V. lavorando con tutte le loro forze alla cristiana educazione ed istruzione specialmente della gioventù povera ed abbandonata; e quando saranno in maggior numero, ben volentieri si consacreranno al bene spirituale e morale di quelle tribù che forse abbisognassero dell'opera loro per conoscere e battere la via del Cielo.

                Persuaso pertanto che confido i miei figli in buone mani, che essi [431] avranno sempre in V. E. un Padre ed un Protettore in ogni bisogno, ne ringrazio fin d'ora sinceramente la sua bontà, ed implorando la sua pastorale benedizione sopra di essi e di me, mi confermo con venerazione

                Di V. F. Rev.ma

 

                Torino, il 6 Obre 1887.

 

obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. I nostri missionarii sono pure muniti d'una lettera per il Presidente della Repubblica in cui sono anche raccomandati alla di Lui protezione e carità, aggiungendo che noi siamo disposti a rimborsare tutte le spese che fossero al di là dei limiti fissati dalla sua carità. Se V. F. lo crede, può prendere visione della lettera stessa, per sua norma.

 

                I figli e le figlie di Don Bosco, quando nell'Equatore furono in sufficiente numero, si dedicarono realmente anche alle Missioni vere e proprie nel Vicariato Apostolico di Mendez e Gualaquiza, creato per loro nel 1893.

                L'Arcivescovo, vivamente commosso al leggere l'umile raccomandazione di Don Bosco, gli rispose: “Io spero che [i Salesiani] con le loro fatiche saranno il riflesso della carità di V. R. e che in tal modo mi daranno sode consolazioni fra le pene che vanno unite alla mia carica”  [338]. Ma gli occhi mortali del Santo non lessero più queste righe. I Missionari dopo cinquantatrè giorni di viaggio giungevano a Quito il 28 gennaio 1888, vigilia di S. Francesco di Sales. Don Calcagno telegrafò a Don Bosco il felice arrivo. Il telegramma gli fu letto la mattina del 30. Egli capì e benedisse: fu l'ultima benedizione da lui inviata a' suoi figli di là dai mari.

 

 

CAPO XX

In quattro nazioni d'Europa.

 

                ALLORCHÈ Don Bosco era sulle soglie dell'eternità, l'Italia aumentava di due il numero delle case salesiane e di un'altra vedeva la notevole trasformazione; Francia e Spagna davano vigoroso incremento alle già esistenti l'Inghilterra accoglieva i primi Salesiani; il Belgio stava in procinto di aprir loro le porte; il Portogallo continuava a chiedere; in altri paesi d'Europa la stampa si veniva sempre più occupando della Congregazione e del suo Fondatore. Durante l'ultima malattia e dopo la morte di Don Bosco affluirono all'Oratorio da ogni parte centinaia e centinaia di lettere; fu un immenso plebiscito, dal quale è dato rilevare quanto sia stata vasta l'irradiazione della santità di lui nel mondo d'allora. Le pagine di questo capo, mentre rifletteranno gli ultimi bagliori della sua operosità; offriranno anche un saggio della sua riconoscenza; vi si farà luogo pure a una digressione su quello che si scriveva e si diceva del Santo italiano in un paese chiuso entro lo scacchiere etnico dell'Impero Austro - ungarico.

 

ITALIA.

 

                La fondazione di Parma, voluta da monsignor Villa nel 1879, aveva urtato in difficoltà insormontabili. Il Vescovo, venuto a morte nel 1882, aveva legato a Don Bosco l'exconvento [433] di S. Benedetto, sua proprietà, con l'obbligo di aprirvi l'ospizio entro tre anni, trascorsi i quali lo stabile passasse al seminario. Ma per difetto di forma il legato non potè avere esecuzione, nè il seminario potè entrare in possesso, perchè divenuto incapace di possedere in forza della legge di conversione dell'asse ecclesiastico. Vi subentrò dunque il Demanio dello Stato[339].

                A Parma però non si depose ogni speranza. Monsignor Tescari, che da canonico della cattedrale aveva avuto tanta parte nella pratica antecedente, creato Vescovo di Borgo S. Donnino, non perdette di vista l'affare; anche il nuovo Vescovo di Parma monsignor Miotti fece proprio il divisamento del suo predecessore. S'arrivò così fra una snervante sequela di pratiche burocratiche al 1887, quando una buona volta per il 9 luglio furono dal regio Demanio messi alla pubblica asta l'edifizio e l'orto di S. Benedetto. “Finalmente, aveva scritto il Vescovo[340], l'eterno dramma dell'orfanotrofio tanto sospirato è giunto all'ultimo atto”.

                Don Bosco designò un suo fiduciario, che si presentasse al mercato e facesse la sua offerta per persona da nominare. Lo stabile gli fu aggiudicato per il prezzo complessivo di trentaquattromila lire. Tuttavia l'Amministrazione del Demanio non ne diede il possesso se non nella settimana precedente il Natale. Ma c'era dell'altro ancora. Bisognava sloggiare una turba d'inquilini, dando di spugna sulle pigioni, per riscuotere le quali ci sarebbero volute noie e spese senza fine. Tutto questo trascinò le cose tanto in lungo che Don Bosco non ne vide il termine. Possiamo nondimeno asserire che la casa di Parma fu l'ultima aperta da Don Bosco in Italia.

                All'inaugurazione non si procedette se non nel novembre 1888 con la cura della parrocchia e di un oratorio festivo. L'opera si completò rapidamente, anzi si dilatò in città con [434] l'avvento delle Figlie di Maria Ausiliatrice. La marchesa Zambeccari il 6 maggio 1889 poteva già scrivere da Bologna a Don Rua: “Ho passato una settimana in Parma, consolatissima di conoscere la soddisfazione e stima che riscuotono ivi i Salesiani”  [341].

                Cade nel 1887 l'apertura dell'orfanotrofio di Trento. Abbiamo già detto quanto basta sulle pratiche prima intercorse[342]. Non appena Principe Vescovo, Podestà e Congregazione di carità si accordarono con Don Bosco in base alla convenzione da lui proposta[343], i Salesiani partirono da Torino. Giunsero a Trento il 15 ottobre, ricevuti alla stazione da distinti cooperatori. Quei nostri amici però si auguravano che l'orfanotrofio fosse soltanto una prima tappa dei Salesiani per arrivare in seguito a fondare ivi anche una casa loro, dove anzichè far rifiorire un'opera decaduta, sviluppassero un'istituzione educativa propria, secondo i metodi di Don Bosco.

                Per volere di Don Bosco e sotto gli occhi suoi, durante i suoi ultimi mesi di vita, subì una radicale trasformazione il collegio di Valsalice. L'idea d'instaurarvi un nuovo ordine di cose fece capolino in un'adunanza capitolare del 14 marzo. Don Rua propose allora di eseguire a Valsalice diverse riparazioni richieste parte per le lesioni causate dal terremoto, parte per le ingiurie del tempo; propose pure di edificare una nuova cappella su disegno già preparato. Don Bosco disse che prima di por mano a lavori si esaminasse bene lo stato di quel collegio e qual numero avesse di allievi. Rispostogli che di allievi ve n'erano solo cinquanta e che sembrava non potersene sperare di più, lanciò questa proposizione: - Bisognerebbe [435] vedere se non sia conveniente dare a quel collegio qualche altra destinazione.

                A rincalzo di tale idea Don Bonetti ricordò come il collegio di Valsalice fosse stato accettato da Don Bosco unicamente per aderire al desiderio e quasi al comando dell'arcivescovo Gastaldi, nonostante l'unanime voto contrario dei confratelli; fece inoltre osservare quanto il personale vi si trovasse a disagio, data la disparità di condizione sociale fra superiori e alunni. Don Barberis pregò di tener presente che l'anno appresso non sarebbe più bastata la casa di S. Benigno a contenere tutti i chierici che dopo il noviziato avrebbero dovuto lasciare Foglizzo. Don Cerruti suggerì di vedere se non fosse il caso di stabilire a Valsalice una cinquantina di chierici. Ma questa proposta di dividere i chierici studenti non garbava a Don Barberis, perchè ne avrebbe scapitato l'unità di spirito e di direzione. Don Bosco ascoltò, ma non disse nulla. L'ulteriore esame della questione fu rimesso a quindici giorni dopo Pasqua.

                Il 19 aprile l'ordine del giorno riportava la discussione sul medesimo argomento. La conclusione fu allora di abolire a Valsalice il liceo; quanto poi al da farsi in conseguenza di tale provvedimento, si rimandò la deliberazione ad altro tempo. Il Capitolo tuttavia ci tenne a dichiarare che in ogni caso Don Bosco rimaneva arbitro assoluto circa la decisione da prendere.

                Nella seduta del 27 giugno Don Rua presentò il preventivo per la costruzione di una lavanderia in servizio del collegio di Valsalice; la spesa prevista sarebbe ammontata a settemila e cento lire. Riguardo all'essenziale della questione, i pareri erano divisi; in una cosa sola furono tutti d'accordo nel voler sospesi per allora quei lavori. Alla fine Don Bosco lasciò cadere un'altra sua parola. - A Valsalice, disse, si potrebbe mettere lo studentato dei nostri chierici. - I Capitolari udirono, ma nessuno interloquì.

                La discussione sul collegio di Valsalice tornò in campo il [436] 18 agosto sotto la presidenza di Don Rua; ma non si venne a capo di nulla. Nella seduta pomeridiana del 23 agosto i più opinavano che la riforma si riducesse all'adozione di due rette, una di trentacinque e l'altra di quarantacinque lire mensili; questo avrebbe dato nuova vita al collegio, aprendone le porte a maggior numero di convittori mediante l'ammissione di giovani del medio ceto. Don Bosco non disse nulla in contrario. Ma nei giorni successivi dovette aver spiegato a Don Rua quale fosse veramente il suo pensiero; questi infatti il 13 settembre, passando sopra a tutti i dispareri, propose senz'altro un radicale cambiamento di destinazione per il collegio di Valsalice, stabilendovi lo studentato dei chierici. Si ragionò ancora se insieme con i chierici fossero da tenersi anche dei giovani; ma vinsero quelli che non vedevano bene siffatta mescolanza, giudicandola sconveniente. Messa ai voti la proposta di trasportare a Valsalice l'intero studentato dei chierici, il Capitolo approvò a pieni voti.

                Seduta stante, fu fatta la scelta del personale necessario; Don Barberis venne nominato direttore. Nel corso del mese i chierici studenti di S. Benigno, che trascorrevano le vacanze a Lanzo, e quelli che avevano finito il noviziato a Foglizzo, confluirono nella nuova sede, la quale in breve tempo era stata posta in condizione di albergare comodamente la nuova popolazione. Affinchè poi da nessuna parte avessero a sorgere dubbi, sospetti o malintesi, D. Bosco intitolò la casa seminario delle missioni estere, e così fece scrivere a grandi caratteri sulla porta d'ingresso. Sotto questa denominazione presentò il rinnovellato istituto alle autorità ecclesiastiche e civili. Così per Valsalice cominciava un'era nuova, ricca di varie e gloriose vicende.

 

BELGIO.

 

                La prima fondazione salesiana nel Belgio porta il suggello di un intervento speciale del Cielo. Quanto aveva fatto nel triennio precedente monsignor Doutreloux, vescovo di Liegi, [437] perchè Don Bosco si decidesse ad aprire una scuola professionale nella sua città! Ne aveva parlato anche a Leone XIII. Di fronte all'impossibilità di vedersi esaudito con la prontezza da lui desiderata, non aveva disperato, ma si era rifugiato nella preghiera[344].

                Le notizie che nel 1887 circolavano sulla salute di Don Bosco lo misero in grande apprensione. Sentendo poi che egli andava di male in peggio, risolse di venire a Torino. Prima di assentarsi dalla diocesi ordinò preghiere in tutti i monasteri per riuscire nello scopo del suo viaggio.

                Giunse la sera del 7 dicembre, vigilia dell'Immacolata Concezione, e, preso posto in un albergo[345], venne all'Oratorio. Sembra che non abbia potuto subito parlare con Don Bosco; conferì invece con Don Durando, che continuava a dirigere le pratiche per le nuove fondazioni. Fu da Don Bosco la mattina appresso con monsignor Cagliero e Don Durando. La sera innanzi Don Bosco, informato di tutto, si era mostrato d'accordo con gli altri Superiori che convenisse ancora prendere tempo. Allora al contrario con isbalordimento di Don Durando rispose senz'altro di sì alla domanda del Vescovo, come se non esistesse più difficoltà alcuna di quelle prospettate il giorno prima. A mezzodì Don Bosco invitò a pranzo Monsignore, che gli offerse il braccio, sorreggendolo fino al refettorio. Qui il Santo gli rese le dovute grazie dell'atto pietoso, usando cordiali espressioni. Alla fine il buon Vescovo fece per ripetere la medesima cortesia; ma Don Bosco con umili modi se ne scusò. Scrive Don Viglietti nel diario: “Commosse tutti la tenerezza di questo esimio Prelato che pareva cresciuto all'affezione verso Don Bosco come uno dei nostri; così pure ci edificò l'umiltà con cui Don Bosco se ne seppe schermire”. [438] Fra i ricordi di quell'incontro Monsignore non dimenticò mai l'impressione prodottagli da un gesto e da una frase del Santo. Sul punto di avviarsi per andare a pranzo il grecista monsignor Pechenino, il vecchio e fedele amico monsignor Pechenino, che era fra gl'invitati, incoraggiava Don Bosco a sperare in una pronta guarigione; ma Don Bosco, così andando, gli sorrise e gli accennò con gli occhi e col capo al teschio di morto collocato sul suo canterano. Fu una mossa rapidissima, a cui il Pechenino non badò, ma vi badò il Vescovo, che ritornato nell'aprile del 1888 a Torino narrò il fatto ai Superiori del Capitolo.

                Dopo la mensa il discorso era caduto su l'importanza e l'efficacia della comunione frequente per l'emendamento della vita, massime nei giovani, e per il loro avviamento alla perfezione. Don Bosco, rivolto al Vescovo, esclamò d'un tratto: - Sta lì il gran secreto! - Il che proferì con voce fievole, ma con tale accento di fede e di amore, che lo commosse vivamente, com'egli raccontò anche a Don Rua.

                Egli si allontanò dall'Oratorio recando in cuore la consolante certezza che le tante preghiere non erano state vane; ma per altro ignorava, come in un primo tempo l'ignorarono anche i Superiori, perchè Don Bosco avesse così da sera a mattino cambiato sentimento. Il solo Don Viglietti e poi monsignor Cagliero erano a parte del segreto. Don Viglietti la mattina dell'Immacolata, andato da Don Bosco per leggergli qualche cosa dall'Unità Cattolica, erasi sentito dire: - Prendi penna, calamaio e carta e scrivi quello che ti detto. E dettò: “Parole letterali che la Vergine Immacolata, apparsami questa notte, mi disse: “Piace a Dio ed alla Beata Vergine Maria che i figli di S. Francesco di Sales vadano ad aprire una casa a Liegi in onore del Santissimo Sacramento. Qui incominciarono le glorie di Gesù pubblicamente, e qui essi dovranno dilatare le medesime sue glorie in tutte le loro famiglie e segnatamente tra i molti giovanetti che nelle varie parti del mondo sono o saranno affidati alle loro cure”. Il [439] giorno dell'Immacolato Concepimento di Maria 1887”. Qui fece punto. Dettando piangeva e singhiozzava; la commozione lo scosse anche dopo. Quando lo vide calmo, Don Viglietti riprese il giornale; ma, cominciato a leggergli un articolo sui Missionari partiti per l'Equatore, non potè continuare, perchè, parlandosi ivi di Maria Ausiliatrice che proteggeva i Salesiani, il pianto fece nodo a Don Bosco e lui pure soffocavano le lacrime. Nel diario osserva: “Son momenti solenni, straordinari... Bisogna provare per poterne avere idea, quando è Dio che parla”.

                In quella ecco entrare monsignor Cagliero. Don Bosco invitò Don Viglietti a leggergli le parole del Cielo. Monsignore trasecolato tacque alcuni istanti; poi disse: - Anch'io ero di parere contrario; ma adesso è venuto il decreto. Non c'è che fare. - Si stabilì intanto di non dirne nulla al Vescovo di Liegi, ma di dargli semplicemente il consenso e solo più tardi, a cose incamminate, fargli sapere il motivo che aveva spinto Don Bosco a quella conclusione. Allora fu che Don Bosco pronunziò la nota sentenza: - Finora abbiamo camminato sul certo. Non possiamo errare; è Maria che ci guida.

                I fatti non tardarono a dimostrare che davvero la Madonna voleva quella casa nella città del Corpus Domini; il Vescovo, come narrò a monsignor Cagliero suo ospite verso la fine del 1888, ne ebbe una luminosa prova. Ritornato alla sua diocesi, monsignor Doutreloux si diede d'attorno per tirar su l'edifizio. Il terreno adatto c'era, ma costava l'osso del collo. Monsignore chiamò a sè il proprietario per indurlo a esigenze più oneste. Colui, saputo che si trattava dell'opera di Don Bosco, consentì di cederlo per cinquantamila franchi, ma in rogito. - Se conviene in questo, continuò, facciamo venire il notaio e stipuliamo anche subito il contratto. - Il Vescovo, era ben contento della somma richiesta; ma, non avendo i cinquantamila franchi, pregò di aspettare fino a sera. Licenziato quel signore, si chiuse in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento. Al tramonto ecco giungergli in palazzo un [440] parroco della sua diocesi e dirgli che è venuto per portargli una somma da parte di una persona che non vuol essere nominata, ma desidera che egli la impieghi in un'opera di beneficenza a lui nota.

- Oh, ne abbiamo tante in diocesi! rispose. C'è quella dei poveri, c'è quella...

- No, no, Monsignore, interruppe l'altro. Quella persona desidera che il suo danaro vada in un'opera speciale che Vostra Eccellenza abbia tra mano. Badi che la somma è rilevante,

 - Quant'è? Sentiamo.

- Cinquantamila franchi.

 - Oh, date, date qui. E, il Signore che vi ha mandato.

                Prese, andò egli stesso dal proprietario del terreno e un'ora dopo il contratto era fatto e sborsato il pagamento.

                Molto a Liegi si parlava della prossima fondazione, moltissimo di Don Bosco. Dopo il ritorno del Vescovo un industriale di Liegi durante un suo viaggio in Italia volle visitare l'Oratorio. Le sue impressioni si leggono in una corrispondenza del 23 dicembre da Firenze alla Gazette de Liège[346]. Egli ebbe la fortuna di poter vedere Don Bosco prima che egli si mettesse in letto per non più rialzarsi. Lo presentò Don Durando. “Vidi, scriveva, vidi con commozione un venerando vegliardo seduto sopra un logoro sofà, curvo sotto il peso degli anni e delle fatiche d'un lungo apostolato. L'esaurimento delle forze non gli permetteva più di reggersi in piedi; ma sollevò il capo che teneva chino e io potei vedere i suoi occhi alquanto velati, ma pieni ancora d'intelligente bontà. Parla bene il francese. Aveva lenta la voce e mostrava un certo sforzo; pure esprimeva con notevole limpidezza il suo pensiero. Mi accolse con cristiana semplicità, dignitosa insieme e cordiale. Mi sentii profondamente commosso al vedere come un vecchio quasi moribondo e assediato sempre da visitatori, abbia [441] per quanti lo avvicinano un interessamento così amorevole e sincero”. Il Santo gli parlò con ammirazione di monsignor Doutreloux, encomiandone lo zelo per la classe operaia.

                Monsignore trepidava per la vita di Don Bosco. Essendosi nel corso della malattia diffusa la notizia di un improvviso miglioramento, scrisse a Don Rua[347]: “Sia lodato Dio e mille volte ringraziata la Madonna Ausiliatrice! I giornali parigini ci hanno portato oggi il benedetto di Lei telegramma con l'annunzio che il nostro santo e amatissimo Don Bosco è fuori di pericolo! Io ne godo come se si trattasse di mio Padre. Di questo, nessuna meraviglia, perchè da lungo tempo, ma soprattutto dopo il mio viaggio a Torino io mi sento più vivamente che non saprei esprimere, della famiglia salesiana. Don Bosco stesso mi diede il diploma di adozione con termini di una carità che non dimenticherò giammai. Gli dica tutta la mia contentezza e gli porga i miei rallegramenti e voti”.

                Il 21 gennaio mandò a Torino l'architetto Hellepute, professore nell'Università cattolica di Lovanio, al quale pensava di commettere la costruzione del progettato edifizio, affinchè visitasse case e opere salesiane per formarsi una giusta idea del suo cómpito. Raccomandandolo a Don Rua, gli diceva[348]: “Oso chiedere per questo modello di cristiano il favore di essere ammesso alla presenza di Don Bosco per riceverne la benedizione”. Ma al suo giungere le condizioni di Don Bosco si erano fatte oltremodo gravi.

                Morto Don Bosco, monsignor Doutreloux concentrò in Don Rua la devota affezione professata verso il Santo. Dovendo andare a Roma, gli annunziò una fermata a Torino per vederlo, aggiungendo[349]: “Ho intenzione di fare una visita alla tomba del nostro tanto amato e compianto Don Bosco” . [442] Nulla faceva per l'erigendo istituto senza consultarlo. Ritenne sempre per fermo che l'opera di Liegi avrebbe avuto un magnifico avvenire[350]. Nel maggio del 1890 Don Rua si recò a Liegi. Si vide allora pienamente in qual concetto Monsignore avesse il Successore di Don Bosco; poichè scrisse a Don Durando[351]: “Debbo dirle quanto egli ci abbia edificati con le sue belle maniere unite alle virtù interne? Le sue parole così piene di unzione e di pietà e la sua fisionomia così soave gli guadagnavano i cuori di tutti. Io non saprei benedire abbastanza la Provvidenza che ci abbia procurato la presenza di lui alla benedizione della prima pietra dell'Orfanotrofio S. Giovanni Berchmans”.

                Con i figli di Don Bosco mandati a Liegi e poi con i loro artigianelli ebbe sempre tenerezze paterne. A ricordo del giorno in cui Don Bosco aveva accolta la sua domanda, festeggiava con essi ogni anno l'Immacolata Concezione. Per essi riserbava una preghiera speciale nel ringraziamento della Messa e nelle orazioni della sera. Ritornando da viaggi, la sua prima visita era all'orfanotrofio; ricevendo persone ragguardevoli, le conduceva a vederlo. Il noviziato di Hechtel, aperto nel 1896, dovrebbe tener vivo il ricordo della carità di sì esimio Prelato, mostrata specialmente nei primi tempi che furono i più duri. Volle accompagnarvi in persona i primi novizi e ben quattro volte li visitò in cinque anni; poichè morì nell'agosto del 1901. Era Hechtel un modesto villaggio, che ab immemorabili non aveva visto Vescovi. Una volta scrisse al direttore Don Tomasetti espressamente per raccomandargli di non accostare ai muri ancor freschi i letti degli ascritti. Si compiaceva di ripetere: - Don Bosco mi ha promesso che i Salesiani, sei anni dopo il loro arrivo a Liegi, si sarebbero triplicati nel Belgio. - I Salesiani vi andarono nel 1891; nel 1897 le loro case erano tre, essendosi aggiunte alla casa di Liegi quella di Tournai e la menzionata di Hechtel. [443]

 

CECOSLOVACCHIA.

 

                Non abbiamo fondazioni da registrare per la Cecoslovacchia; soltanto intendiamo utilizzare alcune informazioni per segnalare quali furono i primi germi, da cui sbocciò l'odierna fioritura di opere salesiane nella giovane Repubblica. Questi germi caddero primamente, e lentamente si schiusero, nella Boemia durante la vita di Don Bosco.

                La Boemia, che faceva parte dell'Impero Austroungarico, vanta una lingua, una letteratura e una storia sua propria. Dopo il 1880 cominciò a venir funestata dal dilagare del naturalismo nell'educazione della gioventù. I buoni non istettero inoperosi, ma reagirono con tutti i mezzi legali. Per questo è notevole il fatto degli scrittori cattolici, che, raggruppati intorno alla Rivista Vlast (La Patria), combattevano strenuamente gli errori pedagogici dei loro avversari. Vi comparivano con frequenza articoli di educatori, preoccupati di cercare efficaci rimedi ai mali della propaganda anticristiana, massime tra i figli del popolo. Per un ambiente così predisposto le prime notizie di Don Bosco giunsero in buon punto.

                La prodigiosa attività del santo educatore italiano richiamava sempre più l'attenzione delle persone colte. È del 1882 un primo opuscolo su la vita e le opere di Don Bosco; ne era autrice una maestra di scuola a Smichov, sobborgo di Praga[352]. Nel 1885 essa rimaneggiò il lavoro, ne fece un'edizione di miglior formato e vi premise il ritratto del Servo di Dio inginocchiato dinanzi a una statuetta di Maria Ausiliatrice con facsimile autografico dell'invocazione: Maria, Auxilium Christianorum, ora Pro nobis. Dedicò il libro a Maria Riegrová, presidentessa d'un comitato di signore che si prendevano cura degli ospizi e giardini d'infanzia a Praga[353]. [444]

Il Vlast, che scrisse poi sovente di Don Bosco, recensì con simpatia la prima edizione[354]. Anche altri periodici ne diedero lusinghieri giudizi.

                In questo modo la conoscenza di Don Bosco si diffuse così largamente non solo a Praga, ma anche in altri centri della Boemia, che, avvenuta la morte di lui, alcuni giornali[355] ne parlarono come di un avvenimento d'interesse mondiale. Nel 1889 il maestro Giuseppe Flekàcet pubblicò la biografia di Don Bosco scritta in francese dal Du Boys e da lui tradotta in boemo[356]. Dalla Francia erano venute le prime informazioni su Don Bosco, non dalla prossima Austria; poichè ideologicamente la nazione boema si sentiva molto più vicina alla francese. A fonti francesi attingevano dunque i sullodati scrittori, nei quali tutti predominava la tendenza a mettere in valore soprattutto le scuole professionali, come le aveva organizzate Don Bosco.

                Questa letteratura, diremo così, salesiana, influì a produrre contatti diretti di cittadini boemi con Don Bosco; notevole soprattutto fu la visita del sacerdote Giuseppe Kousal. Egli nell'estate del 1887 venne a Torino, mandatovi dal Governo di Rieger per studiare da presso il sistema salesiano. Veramente non ci sembra che quegli fosse il più indicato per tale missione, poichè, come cappellano di un riformatorio, avrebbe cercato piuttosto un metodo educativo atto a riabilitare poveri giovani traviati. Infatti, presentatosi a Don Bosco nel collegio di Lanzo ed espostogli lo scopo della sua venuta, vide che il Santo lo guardò in atto di meraviglia e poi si sentì dire: - Lei è stato male informato. Noi abbiamo giovani poveri e abbandonati, non giovani  delinquenti. Per questi c'è uno stabilimento statale, detto la Generala. Vada là, se crede.

                Queste parole non lo distolsero dal visitare l'Oratorio; ma [445] non ne comprese menomamente lo spirito. Per un funzionario avvezzo al burocratismo austriaco ci sarebbe voluto altro che un'occhiata fugace per formarsi un'idea dell'Oratorio ossia della pedagogia di Don Bosco, fatta di filiale confidenza e di santa libertà! L'Oratorio, a quanto sembra, gli parve il colmo dell'utopia; tanti ragazzi insieme non potevano, secondo lui, essere sufficientemente curati e tenuti in disciplina. Nella sua relazione però c'era questo di buono, che, facendovi un confronto fra l'Oratorio e la Generala, egli dichiarava regnare nella casa di Don Bosco la carità, mentre nella casa del Governo non si vedeva se non “umanità massonica” . Aggiungeremo qui a onor del vero che il Kousal più tardi, meglio informato, portò ben altro giudizio; anzi nel 1934 scrisse del novello Santo con maggior comprensione e con alte lodi.

                Un altro cecoslovacco avvicinò Don Bosco; ma è un fondatore di Congregazione religiosa. Intendiamo parlare del Padre Clemente Petr, nativo di Sušici. Ordinato sacerdote nel 1880, lo tormentava il dubbio se dovesse o no abbracciare la vita religiosa. Per quanto pregasse, non si faceva luce nel suo spirito. Chiese dunque a Dio la grazia d’incontrare un uomo di consiglio che gli rischiarasse la mente. Nel 1886 un pellegrinaggio di preti boemi si dirigeva alla Città Eterna. Si unì ad essi. A Roma ottenne udienza privata da Leone XIII, che, uditolo: - Andate, figlio mio, gli disse, educate alunni al santuario. - Egli che era vicerettore del seminario grande, intese nella parola del Vicario di Gesù Cristo la voce di Dio. Visitò nel ritorno Don Bosco e osservò minutamente i suoi istituti torinesi, donde gli nacque l'idea di fondare qualche cosa di simile nella sua patria a favore della gioventù e per l'educazione del clero. Gli parve che questo volesse Dio da lui. Nonostante l'opposizione di conoscenti e di amici, rinunziò all'ufficio che teneva, prese con sè alcuni giovanotti e gettò le basi della Congregazione denominata dei Fratelli del Santissimo Sacramento, volendo che i suoi membri santificassero se stessi e gli altri anzitutto con una fede grande e [446] un vero amore all'Eucarestia. Anche il padre Petr sperimentò quanto costi fondare una Congregazione; ma in mezzo alle lotte e alle pene gli giunse confortatrice la parola di Don Bosco. Verso la fine del 1887 uno studente di teologia, mandato da lui a Don Bosco per chiedergli consiglio sulla fondazione di detta Congregazione, ne riportò la seguente risposta: - Egli cominci; Maria Ausiliatrice farà il resto. - Infatti, superati felicemente gli ostacoli, ebbe la consolazione di veder stabilita sopra solide basi la sua religiosa famiglia[357].

                Anche un sacerdote slovacco, Giovanni Boll, dell'archidiocesi di Ostrihon (città oggi annessa all'Ungheria col nome di Esztergom) comunicò con Don Bosco. Ricevuto il presbiterato nel gennaio del 1883, temeva di essere ben presto messo fuori di combattimento, abbandonando il ministero pastorale per motivi di salute. Non era mai stato bene durante gli anni di seminario; ma allora si sentiva molto peggio. Travagliato da sì tristi pensieri, lesse le meraviglie che si scrivevano di Don Bosco nel suo viaggio a Parigi. Questa lettura gli fece viva impressione, tanto che pensò di raccomandarsi alle sue preghiere. Gli scrisse dunque in giugno, esponendogli le sue penose condizioni e implorandone l'aiuto. Don Bosco per tutta risposta gli mandò un'immagine di Maria Ausiliatrice con questo suo autografo: Maria sit tibi auxilium in vita, levamen in periculis, solamen in morte, gaudium in coelo. Mariam cogita, Mariam invoca. Ieiunium et oratio valde tibi proderunt. Taurini, 23 iunii 1883. Ioh. Bosco sacerdos. Ricevere, leggere e non patir più i soliti incomodi fu una cosa sola. Fece da parroco in diversi luoghi della Slovacchia, da ultimo a Závod presso Bratislava, dove morì il 24 dicembre 1934 in età di 75 anni. Tenne carissima l'inviatagli immagine, che custodì sempre nel Breviario, considerando le parole del Santo come un programma di vita. [447]

 

INGHILTERRA.

 

                La prima casa salesiana in terra inglese fu aperta nel 1887; ma il primo desiderio di possederne una risale al 1876. La contessa Irene Dzierzkrai Moracoska del Granducato di Posen, andata sposa a Carlo de la Barre Bodenham della Contea di Hereford, aveva il marito gravemente infermo. Nella speranza di ottenerne la guarigione scrisse a Don Bosco. Il tenore della sua lettera rivela com'essa lo conoscesse più che superficialmente[358]. Gli chiedeva dunque preghiere, manifestandogli l'intenzione di promuovere a Londra l'apertura di una casa salesiana, se venisse esaudita. “La sua opera ci sta sempre e più che mai a cuore, diceva, e noi speriamo di vederla stabilita a Londra prima di morire; forse siamo già in via di riuscirvi, se otterremo la grazia, per cui la supplico di aiutarci”. Ma il marito le morì nel 1880[359]. I tempi non erano ancora maturi.

                Un'altra mossa venne dalla Conferenza londinese di S. Vincenzo de' Paoli. Come a Buenos Aires, a Parigi e altrove, così anche a Londra la Società Vincenziana, sempre a contatto con le miserie sociali, sperò il concorso di Don Bosco in favore della gioventù povera e abbandonata. Gliene fu scritto a nome del Consiglio Generale dal segretario Gualtiero Hussey Walsh il 21 gennaio 1884. Questi conosceva Don Bosco dal 1877, nel qual anno con il conte e la contessa di Denbigh, col signor Lane Fox e con la signorina Fitz Gerald l'aveva visitato a Torino[360]. Il 13 marzo del 1878 parlò di lui e della sua istituzione in un'adunanza che si teneva alla presenza del cardinale Manning. Nel gennaio poi del 1884 Lady Herbert of Lea pubblicò sul medesimo argomento un articolo [448] nel Month, terminando con l'affermare che Don Bosco le aveva espresso il desiderio di fondare una sua casa a Londra. Nello stesso mese il sullodato Segretario richiamò su quell'articolo l'attenzione del Consiglio e ne scrisse anche all'infermo assistente ecclesiastico padre Lord Douglas Hope, il quale gli rispose dicendosi contentissimo, se Don Bosco fosse andato a Londra. Non basta. Il signor Dudley Leathley, membro onorario del Consiglio, tornato pochi giorni innanzi dall'Italia, dove con un amico aveva visitato Don Bosco, riferiva aver questi pronunziato parole incoraggianti per una fondazione a Londra. Ecco dunque le circostanze che avevano consigliato d'indirizzare a Don Bosco l'accennata lettera.

                Tutte quelle circostanze animavano a sperare una buona risposta. C'era tanto bisogno di chi aiutasse a soccorrere la gioventù povera di Londra! “Al presente, scriveva il signor Walsh, noi ci troviamo con un solo asilo per la gioventù operaia in questa città di quattro milioni d'anime, perchè soltanto Lord Douglas raduna gli operai cattolici. Esisteva un nostro Patronage diretto dai Fratelli della Carità di Gand; ma questi religiosi se ne sono andati e la casa è chiusa” . La costoro partenza era stata determinata da mancanza di mezzi per vivere e da intrighi d'influenze occulte. Don Bosco scrisse in capo alla lettera: “Don Durando ne parli” . Intendeva dire in Capitolo; ma i verbali tacciono.

                Si riparlò della cosa nel 1886 davanti al Consiglio della Società Vincenziana e nel resoconto a stampa del medesimo anno tre fitte pagine riassumono la storia della vita e delle opere di Don Bosco, chiudendosi con l'asserzione che quel sistema si sarebbe potuto utilmente introdurre nella Gran Bretagna e nell'Irlanda. L'esperienza confermò il giudizio per entrambe queste due parti del Regno Unito, ma bisognò dar tempo al tempo.

                Ci piace che vi sia motivo di non trascurare del Regno Unito neppure la terza parte. Dalla Scozia l'anno stesso in [449] cui s'andò a Londra, partì un invito. L'Arcivescovo di Glasgow, monsignor Eyre, essendovi molti Italiani nella sua città, avrebbe voluto un prete salesiano che se ne prendesse cura, tanto più che i loro figli venivano insidiati nella religione dai protestanti. Scrivendone a Don Bosco, ricordava con piacere d'essersi già incontrato con lui a Roma e che un signor Monteith di Carstairs sperava sempre di potergli introdurre nell'archidiocesi la pia Società Salesiana. Don Bosco, fattasi fare la traduzione della lettera, vi scrisse sopra: “Don Rua ne parli seriamente”. Voleva dunque che se ne facesse un serio esame in Capitolo. Don Rua diede lettura della domanda nella seduta del 30 novembre; ma si dovette rispondere negativamente, non permettendo le Regole di lasciare Salesiani così isolati. Si promise però all'Arcivescovo che gli si sarebbe cercato un buono e zelante sacerdote secolare; sperarsi intanto di aver presto personale di lingua inglese per aprire un orfanotrofio anche a Glasgow o in altra città dell'archidiocesi[361].

                Quando all'accettazione della casa di Londra mancavano appena alcune formalità, un consiglio autorevole avrebbe avuto forza di sconvolgere i piani, se Don Bosco, prudente nel deliberare, non fosse stato anche fermo nell'eseguire. Monsignor Giovanni Butt, vescovo di Southwark, da cui doveva dipendere la futura casa, compieva la visita ad limina nel maggio del 1887. Sentito che Don Bosco trovavasi a Roma per la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore e che egli stava per accettare una casa nel distretto di Battersea[362], si recò da lui per rimuoverlo da quel disegno, allegando la povertà del luogo e l'impossibilità di mantenervi anche un solo sacerdote. Al suo ritorno in diocesi uno de' suoi preti, andato a riverirlo, si congratulò con lui che avesse potuto trattare con un santo. [450]

- Con un santo?... E chi mai? gli chiese.

- Con Don Giovanni Bosco di Torino.

- Un santo quello? Sarà un santo, ma a modo suo, un uomo tenace delle proprie idee. Sapete chi mi ha lasciato l'impressione di santo? Il suo Vicario, Don Michele Rua. È un vero asceta. Mi ascoltò, prese nota delle mie ragioni e mi assicurò che le avrebbe fatte presenti al Capitolo. Ma quando mi accomiatai, Don Bosco, il quale appena poteva reggersi in piedi, mi disse: “Monsignore, i Salesiani verranno a Battersea. Lì avremo una chiesa grandiosa e vasti cortili. Quella diverrà una delle grandi case della Congregazione". Ma dove potrà Don Bosco trovare spazio per tutto questo? A meno che vada nel giardino pubblico di Battersea!

                Il sacerdote medesimo, al quale Monsignore faceva tali confidenze, Guglielmo Cunnhigham, ne diede notizia all'ispettore salesiano Don Tozzi, visitando i nostri confratelli di Battersea per congratularsi con loro della canonizzazione di Don Bosco. Noi possiamo completare qui il suo racconto trascrivendo alcuni periodi da un biglietto indirizzato da Don Rua a Don Durando il 4 maggio 1887: “L'affare della casa di Londra, scriveva egli, è tanto avanzato che sarà difficile ritirarsi' senza fare trista figura. Guarderemo tuttavia di ritardare quanto si può, se non potremo far altro. Avvi qui il Vescovo da cui avremo da dipendere colà e ieri dovetti fargli visita. Forse verrà egli pure a visitare Don Bosco”.

                A onore di monsignor Butt aggiungiamo subito che, nonostante tutto, quando vide arrivare i Salesiani, li accolse con paterna cordialità; osservandoli poi all'opera, depose interamente le sue contrarie prevenzioni. Un altro monsignor Butt, suo nipote e oggi Ausiliare di Westminster, ha ereditato dallo zio un vivo affetto per i figli di Don Bosco.

                Gioverà che diamo un'idea sommaria del luogo e dell'ambiente. Il Tamigi divide la sterminata metropoli inglese in due parti; nella sinistra è la sede arcivescovile di Westminster, nella destra la vescovile di Soutwark. Appartiene a questa [451] il quartiere popolare di Battersea. Qui era stata eretta ai tempi di Pio IX una parrocchia dedicata al Sacro Cuore di Gesù; ma dopo breve tempo il parroco aveva abbandonato il posto senza che vi fosse la possibilità di sostituirlo, sicchè la popolazione cattolica, composta in gran maggioranza di operai irlandesi, rimase quasi priva di assistenza religiosa. Per ricevere i Sacramenti doveva fare un lungo cammino fino alla parrocchia viciniore; non parliamo poi della gioventù e degli infermi. Ecco dove la Provvidenza chiamava i Salesiani.

                Colei che più d'ogni altro si adoperò a farveli andare, fu la contessa di Stackpool, già da noi menzionata più volte e dimorante in Roma a Villa Lante. Anche quel grande amico di Don Bosco che era l'arcivescovo Kirby, rettore del seminario irlandese a Roma, caldeggiava con fervore la fondazione; con i suoi 85 anni si recò tre volte a trovare Don Bosco nel 1887, instando perchè rompesse gl'indugi. Il 12 maggio, avendo una buona notizia da dargli e non potendo uscire, gli scrisse: “Ieri ebbi l'onore di un'udienza del Santo Padre, nella quale si degnò esternarmi la sua grande soddisfazione e contentezza dell'aver V. S. accettata la cura della chiesa di Londra della Sig.a Contessa di Stackpool. Io intendeva ciò significarle oggi stesso a voce, ma un raffreddore che mi trattiene a letto, mi priva di tal piacere, come ancora di assistere alla collaudazione dell'organo”. Già nel 1885 la Duchessa di Norfolk aveva espresso a Don Bosco quanto le sarebbe piaciuto di vedere a Londra un ospizio simile a quello che aveva dinanzi agli occhi; ma allora i confratelli adatti attendevano ancora a ultimare la loro formazione.

                La Contessa dunque, che aveva a tutte sue spese fatto erigere la cessata parrocchia di Battersea, volendo ora ritogliere dall'abbandono quei cattolici, non seppe escogitare di meglio che ricorrere a Don Bosco. L'aveva veduto la prima volta nel 1881, rimanendo così colpita che scriveva di lui[363]: [452] “Ho ancora fresco in mente il suono della sua voce, le sue parole, i suoi sguardi e la sua benedizione”. Aveva compreso anche bene la natura della sua opera; perciò riteneva che la presenza dei salesiani in quell'estremità di, Londra, “nido di miseria e di vizi”, fosse una vera benedizione per tanta povera gioventù che viveva vagabondando pei prati.

                Ma per ritornare le cose in pristinum si richiedevano più condizioni, come il trasferimento della proprietà che era passata all'Ordinario, la restituzione di molti arredi sacri e varie formalità canoniche e legali. Per isbarazzarsi la strada, essa credette bene di umiliare una supplica a Leone XIII. Stesone l'abbozzo, lo portò a Torino in settembre, affinchè Don Bosco lo vedesse e gli facesse dare buona forma italiana. Avuta nelle mani la nuova redazione, Don Rua la ritoccò, rendendola definitiva[364]. Sembra che Leone XIII abbia agito per mezzo del cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda.

                Don Bosco, prima che partissero i Salesiani destinati a Londra, mandò sul posto Don Dalmazzo, perchè s'informasse de visu sullo stato delle cose. L'aspettazione di questo suo inviato generò una confusione, quasi che stesse per arrivare Don Bosco in persona; la qual voce suscitava una sì crescente attesa, che bisognò opporvi una pubblica smentita[365]. Don Dalmazzo il 9 ottobre era a Londra, ospite dell'abate Galeran, francese di origine, ma naturalizzato inglese e rettore di una chiesa nelle vicinanze di Battersea, cioè a Wandsworth. Questi in una lettera del 15 ottobre a Don Bosco gli descriveva così l'ambiente, dov'erano aspettati i suoi figli: “Questa nobile terra inglese vedrà più tardi la grazia grande fattale da Maria Ausiliatrice. È incalcolabile il numero dei fanciulli poveri, vagabondi e abbandonati negli angoli di questa immensa Babilonia. Lo zelo del clero inglese non ha l'eguale; [453] ma gran parte della messe va perduta per mancanza di operai. Le anime si perdono, perchè i pastori non possono bastare a tanto lavoro. Padre mio, le anime che son costate tanto al nostro Salvatore, gridano a lei e l'aspettano. Io non conosco a Londra un quartiere più bisognoso di Lei che Battersea. Sono anche cappellano di un grande carcere, nel quale molti passano sotto i miei occhi. Quante volte in cuor mio ho invocato Don Bosco e i suoi figli! Ella, venerato Padre, non tarderà a rallegrarsi d'avere in nome di Gesù Cristo preso possesso di questa capitale, dove si commettono tanti peccati, dove tante anime vivono nell'ignoranza e si perdono. Benedetti i piedi degli uomini che vengono a noi nel nome di Colui che amava tanto i fanciulli!”.

                I Salesiani avrebbero ricevuto subito l'amministrazione parrocchiale per il territorio che aveva antecedentemente costituita la parrocchia del Sacro Cuore. Il Vescovo, conoscendo la volontà del Papa, non solo non sollevò eccezioni, ma scrisse e parlò egli stesso al parroco limitrofo, dalla cui giurisdizione si doveva staccare nuovamente la zona anzidetta, invitandolo a cedere di buon grado ogni cosa ai Salesiani, appena si presentassero. La chiesa, fatta costruire dalla Contessa, era all'esterno di ferro e all'interno di legno. Sebbene ve ne fossero altre simili, quella tuttavia nell'intenzione di lei sarebbe stata provvisoria. Presso la chiesa sorgevano le scuole, queste in muratura, belle, grandi e alte e frequentate da un duecento cinquanta fra bambini e bambine. Un terreno circostante, munito di cinta, misurava 2500 metri quadrati, area non piccola in Londra; vi si poteva fabbricare benissimo col tempo una chiesa di grandi dimensioni con casa annessa e due cortili, uno per interni e l'altro per esterni. Tutte cose che vollero degli anni, ma che oggi vi sono. La massa della popolazione si componeva di poveri operai; non mancavano però cattolici benestanti, disposti ad aiutare i nuovi venuti. Una particolarità pur degna di nota è che in quei paraggi aveva avuto i suoi giardini S. Tommaso Moro, il quale [454] dalla sua abitazione posta sull'altra riva del Tamigi, ogni mattina d'estate dopo aver servito la Messa passava il fiume sopra una barchetta propria e andava là in campagna a fare la colazione ed a ricreare alquanto lo spirito[366].

                Tre Salesiani destinati a Battersea partirono da Torino il 14 novembre. Erano i sacerdoti Don Mac Kiernan, irlandese, parroco e direttore, e Don Macey[367], inglese, viceparroco e catechista, e il coadiutore triennale Rossaro. L'abate Galeran ne descriveva così l'arrivo (traduciamo, come sopra, dal francese): “Sono arrivati in piena foltissima nebbia per portare la luce a Battersea. Al loro arrivo ci voleva un grande spirito interiore per poter dire: Come sono belli i loro piedi! Erano infangati sino alle spalle. Infine però trovarono con viva sorpresa una casetta ben preparata e aggiustata. Il caro Rossaro attende il sole; io gli ho promesso che fra qualche giorno lo vedrà. Egli ha la fede, ma ha perduto la speranza”[368].

                Don Bosco aveva consegnato loro parecchie lettere di presentazione e di raccomandazione. Una certamente non dovette mancare per il Vescovo, benchè non ne abbiamo trovato menzione. Un'altra era per il Duca di Norfolk e i lettori la possono vedere nel volume precedente[369]. Una terza per l'abate Galeran viene ricordata dal destinatario in una a Don Rua[370], dove dice: “Scrivo a Lei in risposta alla lettera che il veneratissimo Don Bosco ebbe la degnazione di inviarmi”. Una quarta finalmente per il Console italiano in Londra era del tenore seguente.

 

                                Ill.mo Sig. Console,

 

                Mi permetto di presentare alla S. V. Ill.ma due miei allievi, uno irlandese ed inglese l'altro: i loro nomi sono Edoardo Mac Kiernan e Carlo Macey: istruiti in Italia e fatti sacerdoti, essi sono ora da me inviati [455] a Londra per reggere la parrocchia di Battersea che Si volle affidare alla cura della Società Salesiana e vedranno di occuparsi anche a procurare il benessere morale della gioventù inglese e specialmente della povera gioventù italiana domiciliata in detta parrocchia e nelle altre parti di Londra. Io perciò li raccomando vivamente alla protezione della S. V. Ill.ma onde possano compiere in pace e con molto frutto la loro missione.

                In tale fiducia le presento fin d'ora i miei cordiali ringraziamenti ed i più rispettosi miei ossequi, mentre mi onoro professarmi con alta considerazione

                di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 14 novembre 1887.

 

Obbl.mo Servitore

(firmato) Sac. GIO. BOSCO.

 

                Si può arguire da quanto abbiamo visto qui sopra, di quanto aiuto fosse l'abate Galeran ai nostri confratelli in quei duri inizi. La domenica 20 novembre essi lo pregarono di venirli a presentare alla popolazione in nome di Don Bosco. Egli, sebbene avesse già predicato quattro volte nella giornata, non seppe dire di no, ma predicò una quinta volta a tarda sera con fraterno affetto. Due giorni dopo, scrivendo a Don Rua, esclamava: “Ecco dunque i Salesiani navigare a gonfie vele! Li lascino fare!”.

                Don Dalmazzo aveva preso commiato dall'ospite il mattino avanti. “La mia casa, scriveva l'abate[371], non è più quella. È divenuta un deserto dopo la sua partenza, perchè io lo considerava come un amico dì lunga data, in compagnia del quale mi tornava più dolce il lavorare alla maggior gloria di Dio. Infatti la mia canonica era casa salesiana con la perfetta unione dei cuori, ma imperfettissima di lingua. Non abbiamo mai capito meglio che cosa fosse la confusione di Babele. Don Dalmazzo faceva del suo meglio per parlare inglese, condannato al silenzio nonostante il suo ardire. I miei viceparroci ignoravano affatto il francese e peggio ancora l'italiano. Io poi son divenuto talmente inglese, che le mie orecchie non afferrano più il suono di una lingua che inglese [456] non sia. Però con l'aiuto di Dio abbiamo passato giorni felici col Procuratore Generale, vero figlio di Don Bosco”.

                Nei primi mesi quei nostri confratelli navigarono, sì, ma non proprio a gonfie vele, come diceva l'abate Galeran. Venti contrari e scogli pericolosi misero in pericolo la loro fragile navicella. Buon per essi che non si perdettero d'animo. A dispetto delle contrarietà, del bene se ne faceva. Sentiamo ancora una volta il nostro buon testimonio[372]. “Oggi sono venuti tutt'e tre a pranzo da noi. Li abbiamo trattati puramente all'inglese. I principi di Battersea hanno le loro difficoltà e i loro scoraggiamenti. C'è sempre l'orto degli ulivi, poi la crocifissione e dopo la risurrezione. Ma certe difficoltà bisogna lasciare che si appianino da sè come possono: il tempo mette le cose a posto, e il tempo è nelle mani di Dio. In fin dei conti i due sacerdoti hanno fatto già un gran bene. La vigilia di Natale stettero in confessionale fino alle undici e mezzo di notte. Il giorno di Natale alle sei Messe la loro chiesa era piena. Le comunioni, specialmente di uomini, sono state assai numerose. Il popolo vuol bene ai Salesiani e la loro predicazione gli piace”.

                Mentre questo volume sarà in macchina, si festeggerà dai nostri Confratelli inglesi il cinquantesimo anniversario dell'andata dei Salesiani a Londra. Quella prima casa, da cui si diramarono le molteplici opere salesiane nel Regno Unito, ha avverato pienamente in sè l'allegoria evangelica del granellino di senapa germogliato e cresciuto in grande albero.

 

 

CAPO XXI

Estremi bagliori crepuscolari.

 

                SIAMO agli ultimi quattro mesi della tormentata esistenza di Don Bosco. L'ottobre, il novembre e due terzi del dicembre li passò fuori di letto. Ci voleva però tutta la sua forza d'animo per reggersi così e occuparsi. Continuò a celebrare ogni giorno, finchè potè, la santa Messa nella sua cappelletta privata, assistito sempre da qualche sacerdote. Durante la giornata dava udienze, non levandosi mai da sedere; e alla sera confessava due volte per settimana i giovani delle classi superiori e quotidianamente i confratelli della casa che andassero da lui per questo scopo. Una volta, discorrendo con Don Berto di cose che riguardavano il bene dei giovani dell'Oratorio, gli disse: - Fino a tanto che mi rimarrà un filo di vita, tutta la consacrerò al loro belle e vantaggio spirituale e temporale. - Il medesimo Don Berto, solito a confessarsi da lui, quando lo vide più abbattuto e col respiro molto difficile, gli manifestò l'intenzione di non andarci più per non cagionargli troppa fatica, lieto di prolungargli così anche di un solo istante la vita. Don Bosco gli rispose: - No, no, vieni pure; ho bisogno di parlarti. L'ultima parola che potrò dire, la dirò per te.

                Stentava sempre più a parlare e a respirare; tuttavia riceveva ogni qualità di persone con la sua calma e serenità abituale. Certe volte, non sentendosi in grado di secondare la conversazione, distraeva i visitatori con scherzevoli interrogazioni. [458] - Saprebbe indicarmi, diceva, una fabbrica di mantici? - Quelli maravigliati chiedevano se avesse da far riparare qualche organo o armonio. - Sì, rispondeva, ho l'organo qui del petto che non vuol più funzionare; avrei bisogno di cambiarvi i mantici. Voglia scusarmi se non posso parlare così forte e liberamente come dovrei. - In questo modo senza dir parole di lamento lasciava comprendere il suo stato e il perchè del suo misurato parlare.

                Di tratto in tratto venivano Francesi a visitarlo. L'11 ottobre gli fu presentato un signore di quella nazione soggetto ad alienazioni mentali, che per altro gli lasciavano intervalli di tranquilla lucidità, nei quali aveva piena coscienza del proprio stato. Il Santo consigliò di farlo tornare per assistere alla sua Messa, nella quale egli avrebbe pregato per lui. Tornò, udì la Messa e potè anche fare la comunione. Uscendo colui disse che gli pareva di essere completamente guarito; anche Don Bosco alla signora sua parente che glie l'aveva condotto, assicurò che la grazia era fatta.

                Il giorno 13 comparve monsignor Grolleau, vescovo di Evreux, venuto espressamente all'Oratorio per ottenere da Don Bosco l'apertura di una casa salesiana nella sua diocesi. Se ne trattava già fin dal 1882. Monsignore avrebbe voluto cedergli un collegio con scuole secondarie, costruito e amministrato da due fratelli preti a Neabourg, cambiandogli però destinazione col sostituirvi scuole professionali ed agricole. Il conte Carlo De Maistre, suo diocesano, l'amicissimo di Don Bosco, aveva fatto da intermediario. La mancanza di personale non permise di accogliere la domanda; ma il Vescovo, tocco della cortesia con cui si era risposto al Conte, volle ringraziare direttamente Don Bosco, pregandolo che non perdesse di vista la cosa. “Da molto tempo, gli scriveva[373], io conosco il suo venerato nome e le grandi opere che Dio le ha concesso di compiere, e godo di potere al presente attestarle [459] la mia rispettosa simpatia”. Un anno dopo tornò a scrivergli per mezzo del Conte. Egli aveva parlato col Santo a Parigi, rimanendo d'accordo che si sarebbe aspettata l'ora della Provvidenza. L'ora dunque gli sembrava scoccata. Il collegio non poteva più tirare avanti; il Governo si mostrava disposto a farne acquisto per istabilirvi una sua scuola professionale e agricola. Con lo Spirito che predominava si prevedeva che tale istituto sarebbe diventato focolare d'irreligione nel cuore della diocesi. Don Bosco scrisse sulla lettera semplicemente: “Don Durando conservi”. Il che dimostra com'egli non vedesse ancora la possibilità di accettare; infatti dalle parole del Vescovo si argomenta che la situazione finanziaria dell'ente era imbrogliata[374]. Nè Monsignore stesso dovette, essere di contrario avviso, poichè la corrispondenza si arrestò fino all'ottobre del 1887 dopo la visita fatta a Don Bosco nell'Oratorio. Rientrato in sede, il buon Prelato mandava un'offerta di cinquecento franchi nella sua nuova qualità di cooperatore salesiano e per ringraziamento dell'ospitalità ricevuta. Diceva: “Godo d'averla veduta, godo d'aver veduto le sue opere, godo della sua benedizione. Che cosa sarà dei nostri disegni, io non so ma certamente, se si manifesterà il divino volere, io con l'aiuto della sua grazia e delle di Lei preghiere farò quanto dipenderà da me per attuarli”. Le lettere del Vescovo rivelano un cuor d'oro e uno zelo veramente pastorale; ma egli dovette convenire che nelle condizioni prospettate l'opera non offriva probabilità di riuscita.

                In quel medesimo giorno Torino vide giungere dal Nord della Francia un pellegrinaggio di Associazioni Operaie Cattoliche, guidato dal celebre Leone Harmel e diretto a Roma per il giubileo sacerdotale di Leone XIII. Si componeva di 953 persone, fra cui una cinquantina di preti. La divota falange viaggiava su due treni. Il primo entrò nella stazione di Porta Nuova alle ore diciassette e mezzo, nè tardò molto [460] a seguirlo il secondo. Don Bosco mandò alcuni Salesiani francesi a salutare il capo della spedizione e a dirgli quanto gli rincrescesse di non poter dare ai suoi pellegrini un'ospitalità che sarebbe stata per lui un onore e una consolazione; ma essi erano tanti e l'Oratorio non aveva locali sufficienti. Desiderando tuttavia mostrare quanto gli fossero cari, si sarebbe recato da loro per congratularsi con essi della pietà filiale che li conduceva ai piedi del Romano Pontefice e per augurare buon viaggio. L'Harmel gradì la proposta e indicò l'ora più conveniente.

                I pellegrini si radunarono tutti per il pranzo nel ristorante Sogno, che sorgeva nel magnifico parco del Valentino. Verso le 19 giunse ivi Don Bosco, accompagnato da Don Rua. I Francesi lo circondarono subito con un interessamento che lo commosse. Leone Harmel e l'assistente ecclesiastico della Società di S. Vincenzo gli si posero ai fianchi, aiutandolo a camminare. Egli si fermò dinanzi alla porta dell'albergo e si sedette. Quando tutti gli operai, dentro e fuori, si trovarono riuniti intorno a lui, li benedisse. Avrebbe voluto anche dire qualche cosa; ma non aveva voce per farsi udire nemmeno dai più vicini. Invitò quindi Don Rua a parlare in suo nome, Don Rua fu molto felice nel suo breve discorso[375]. Terminata l'allocuzione, ogni pellegrino, passando davanti a Don Bosco e baciandogli la mano, ne riceveva in ginocchio una medaglia di Maria Ausiliatrice e talora anche una parolina. Ai laici ripeteva di quando in quando: - Maria Ausiliatrice vi protegga e vi guidi fino al Paradiso. -   Ai sacerdoti, di mano in mano che i loro piccoli gruppi si rinnovavano, diceva: - Il Signore vi faccia la grazia   di dargli molte anime. - Un prete di Chartres gli disse che conosceva Don Bellamy. Egli, trattenendolo un    istante, gli rispose: - Ma allora, se Don Bellamy è vostro amico, voi siete amico mio, perchè Don Bellamy è mio grande amico. - I più gli deponevano [461] nella mano monete d'argento, ch'ei consegnava a Don Rua. Tanta venerazione per Don Bosco da parte di quei cattolici francesi edificò profondamente i torinesi che poterono esserne testimoni.

                La dimostrazione però diede sui nervi ai così detti democratici, che sfogarono il proprio malumore in un articolo intitolato: Furbo Don Bosco![376]. Una vera sconcezza! Vi s'insultava il Papa, vi s'ingiuriavano gli operai pellegrini, vi si vomitavano villanie contro “il famigerato taumaturgo di Valdocco”. Mai le autorità avrebbero dovuto lasciar impunita tanta inverecondia, che in fin dei conti disonorava l'Italia di fronte allo straniero; ma tali erano i tempi, Don Bonetti indignatissimo presentò una vibrata protesta alla Procura Generale del Re; ma fece un buco nell'acqua.

                Scrivendo di questo pellegrinaggio, un giornale francese[377] parlò pure dell'incontro con Don Bosco. Rammentato come, un Vescovo di là avesse chiamato poco prima Don Bosco Aquila della carità proseguiva: “Era ben naturale che fosse vivo negli operai francesi il desiderio di vedere il grande e venerato amico dei figli dell'operaio stendere per un istante le mani su di loro. Rispose a tale desiderio Don Bosco, recandosi dov'erano gli operai della Francia, che, profondamente commossi dinanzi al santo prete, ne ricevettero la benedizione e un ricordo”.

                Fino al 20 dicembre Don Bosco, quantunque si sentisse venir meno di giorno in giorno le forze e soffrisse a stare in piedi, pure non permise di essere servito in camera per le sue parche refezioni; quindi, aiutato dal segretario, andava nel refettorio comune, ben sapendo quanto la sua semplice presenza rallegrasse i Superiori. Più gaio del solito si mostrava quando c'erano a mensa persone estranee, come non di rado avveniva. Il 16 ottobre pranzarono con lui il barcellonese signor Marty con tutta la sua famiglia, di cui dicemmo altrove[378], [462] e monsignor Sogaro con un suo sacerdote negro. L'apostolo della Nigrizia dovendo partire per Roma, si alzò prima degli altri da tavola, si prostrò col compagno ai piedi di Don Bosco e ne volle la benedizione[379]. Gli Spagnuoli partirono nella serata.

                Per il 20 ottobre nella casa di Foglizzo si preparava la solenne vestizione dei novelli ascritti. Quello che nessuno avrebbe osato domandare nè sperare, Don Bosco lo fece con animo superiore a tutti i suoi incomodi fisici: andò a compiere la cerimonia, accompagnato da Don Rua e da Don Viglietti. Due ore e mezza fra treno e carrozza non furono certo per lui un ricreamento. In collegio molti parroci e signori si stimarono fortunatissimi di sedere alla sua mensa e di assistere alla funzione. I giovani a cui diede l'abito, furon novantaquattro. Il mattino seguente, invece di tornare senz'altro a T'orino, volle girare per S. Benigno. Ve lo chiamava la gratitudine. Quel venerando parroco Don Benone, vecchio di 93 anni, gli aveva sempre portato grande affetto e l'aveva in più circostanze grandemente aiutato; intendeva quindi vederlo ancora una volta prima di partire per l'eternità. La quale partenza egli sentiva così prossima, che, allontanandosi da Foglizzo, disse a Don Rua: - Un altr'anno io non verrò più; verrai tu a fare questa funzione.

                Nella pianura da percorrere, a mezza via fra Foglizzo e S. Benigno, s'incontra il fiume Orco dal letto assai largo e petroso. Allora non esisteva ponte, ma si traghettava in barca, se l'acqua era alta; altrimenti bisognava guadare a piedi o in carrozza. Don Bosco dovette servirsi della carrozza, che con i suoi trabalzi gli diede assai da soffrire. L'intenzione era di scambiare solo poche parole con il parroco e quindi continuare il viaggio; ma si dovettero fare i conti con lui, che nonostante l'età possedeva ancora abbastanza energia da imporre i suoi voleri. Lo tenne dunque seco a [463] pranzo; al commiato si diedero appuntamento in Paradiso. Il Servo di Dio giunse a Torino assai prostrato di forze. Fu l'ultimo suo viaggio per ferrovia.

                In una delle notti seguenti, com'egli narrò il 24 ottobre, vide in sogno Don Cafasso, col quale visitò tutte le case della Congregazione,  comprese quelle d'America; vide le condizioni d'ognuna e lo stato d'ogni individuo. Disgraziatamente gli mancarono le forze per raccontare i particolari di quanto aveva veduto.

                Era tornato momentaneamente da Roma Don Sala, mandato colà, come dicemmo, per esaminare bene la situazione finanziaria. Don Bosco aspettava di conoscere l'esito e le conseguenze di quella verifica. L'una e l'altra cosa leggiamo riferita nei verbali di una seduta capitolare del 28 ottobre: trecentocinquanta mila lire di debito; sospesi i lavori, tranne quelli di due altari; proposta di contrarre un mutuo. Qualche sera dopo, nel ritirarsi dal refettorio, sentendo menzionare quei debiti, si fermò in capo alla tavola ed esclamò: - Oh questo è la mia morte!

                I presentimenti della morte vicina non cessavano di affiorare nelle sue brevi conversazioni. Da tempo Don Sala trattava per l'acquisto di un terreno nel camposanto, dove dar sepoltura ai Salesiani che morissero a Torino, ma non ne veniva mai a capo. Don Bosco lo stimolava a far presto. Aggiústati, gli disse un giorno; se alla mia morte il posto al cimitero non sarà preparato, mi farò portare nella tua camera, e allora con questo arnese sotto gli occhi ti sbrigherai a trovarlo. - Proferì queste ultime parole in tono così piacevole che, nonostante la tristezza dell'argomento, fece sorridere gli astanti. Don Rinaldi raccontava che un'altra volta, ribadendo la medesima raccomandazione, si era espresso così: - Se non mi preparerai un posto, mi avrai in camera tua per sei giorni. - Non proprio nella camera di Don Sala, ma esattamente sei giorni la sua salma rimase sopra terra e affidata a Don Sala nell'attesa dell'autorizzazione a tumularla dove fu tumulata.

                Una misteriosa parola disse pure, visitando il salesiano [464] Don Luigi Deppert, gravemente infermo e munito già degli estremi sacramenti. Andato a confortarlo, gli disse: - Fatti coraggio. Non tocca a te questa volta; vi è un altro che deve prendere il tuo posto. - Checchè egli abbia voluto significare con quest'ultima frase, il fatto è che non solo Don Deppert si riebbe e Don Bosco fu il primo a morire nell'Oratorio, ma, quando teneva il letto, essendo troppo incomodo il suo per il servizio degli infermieri, venne adagiato proprio nel letto che era già servito per il confratello risanato.

                Coloro che più lo avvicinavano, non potevano non essere impensieriti al vederlo così deperire e pel timore della sua non lontana scomparsa. Egli che se n'accorgeva, si studiava da buon padre di confortarli, rassicurandoli che la Congregazione non avrebbe a soffrire per la sua morte, che anzi riceverebbe straordinario incremento. Per questo, quando non poteva prendere le sue refezioni con gli altri, si faceva accompagnare egualmente nel refettorio, dove scherzando cercava di tener allegri i suoi figli; ma intanto li veniva preparando insensibilmente alla grande sventura. Talvolta, sentendosi peggio del solito, vi si faceva spingere su d'una seggiola a ruote e in mezzo a loro ascoltava, dava disposizioni, animava tutti a confidare nella Provvidenza.

                Il dì d'Ognissanti non potè discendere, come aveva sempre fatto, in chiesa a recitare con i giovani il rosario per i defunti; soddisfece però alla pia usanza recitandolo intero con i segretari e con alcuni coadiutori radunatisi nella sua cappella. Tuttavia poche sere dopo uscì a passeggio in carrozza con Don Viglietti. Questi gli raccontava ridendo che un confratello soleva levare a cielo tutte le altre Congregazioni religiose, tacendo sempre della salesiana o parlandone con nessuna riverenza.. Don Bosco gli disse che, udendolo ancora venir fuori con simili discorsi, gli rispondesse: Tamquam fera se ipsum devorans. Anche il 15 novembre uscì, ma per andar a visitare uno dei medici dell'Oratorio, il dottor Vignolo, che da più giorni era obbligato al letto. [465] Verso la fine di novembre, una sera Don Lemoyne, andato a visitarlo, gli discorreva della disciplina tra i giovani e domandava qual fosse il modo migliore per rendere fruttuose le confessioni. Egli che parlava a stento e con respiro affannato gli disse: - La notte scorsa ho fatto un sogno.

 - Vorrà dire che ha avuto una visione.

- Chiamala come vuoi, ma queste cose fanno crescere in modo spaventoso la responsabilità di Don Bosco in faccia a Dio. È vero però che Dio è così buono! - Così dicendo, piangeva.

- Che cosa ha veduto in quel sogno? chiese Don Lemoyne.

- Ho veduto il modo di avvisare i giovani studenti e il modo di avvisare gli artigiani; i mezzi per conservare la virtù della castità; i danni che toccano a chi viola questa virtù. Stanno bene, e a un tratto muoiono. Ah morire per il vizio! Fu un sogno di una sola idea, ma come splendida e come grande! Io però, adesso non posso fare un lungo discorso, non ho le forze per esprimere questa idea...

- Ebbene, riprese Don Lemoyne, non si stanchi. Prenderò nota di quello che mi ha detto e altre volte le ricorderò a poco a poco i punti accennati e mi spiegherà come crede il suo sogno.

- Fa' pure così. L'argomento è troppo importante e quello che ho visto potrà servire di norma in tante circostanze.

                Sventura volle che Don Lemoyne, non credendo vicina la sua morte e trovandolo sempre stanco o assorbito da qualche lavoro, indugiasse a fargli le interrogazioni che si era proposte, e così il buon Padre partì per l'eternità senza dirgli più nulla.

                Sull'andamento generale dell'Oratorio conferì con Don Cerruti la sera del 4 dicembre, avendolo mandato a chiamare espressamente verso le diciotto e mezzo. Appena Don Cerruti fu nella sua camera, Don Bosco gli disse: - Non ho nulla di grave; solo desidero che discorriamo un poco e che tu [466] m'informi interamente sulle cose della casa. - Queste parole colpirono Don Cerruti, tanto più essendo la prima volta che dopo il suo trasferimento a Torino Don Bosco interpellava lui direttamente su tale oggetto. Il colloquio durò a lungo; le interrogazioni seguivano alle interrogazioni e l'interrogato gli rese conto di tutto. Fra le altre cose il Santo gli confidò un suo dubbio. Sempre egli ci aveva tenuto a che si concentrasse nelle mani di uno solo l'amministrazione finanziaria dell'Oratorio, unificandosi in un medesimo ufficio le varie casse di riscossioni e pagamenti. Orbene gli sembrava che Don Rua fosse di opinione contraria. Don Cerruti potè disingannarlo, dimostrandogli come il suo Vicario la pensasse identicamente e si sforzasse, benchè ancora senza effetto, di rassettare in tal modo le cose.

                Poi gli fece una raccomandazione. Abbiamo già accennato che Don Belmonte, eletto Prefetto della Congregazione nel Capitolo generale del 1886, in realtà era direttore dell'Oratorio, mentre continuava Don Durando ad esercitare quell'ufficio. Un tal modo di procedere, finchè viveva Don Bosco, poteva andare; ma egli sentiva che, scomparso lui, ne sarebbero derivati inconvenienti. Insistette quindi perchè al più presto si entrasse nella regolarità.

                Finalmente gli chiese come stesse di salute; ma lo fece con un affetto quasi più paterno del consueto. - Abbiti riguardo, gli disse poi. Sono io Don Bosco che te lo dico, anzi che te lo comando. Fa' per te quello che faresti per Don Bosco. - A tali parole Don Cerruti non potè frenare la commozione. Egli allora lo pigliò per mano dicendogli: - Coraggio, caro Don Cerruti!... In paradiso voglio che stiamo allegri. La gracile fibra del Consigliere scolastico generale giustificava queste apprensioni; le benemerenze straordinarie da lui acquistatesi poi nel periodo di assestamento della Congregazione ci spiegano abbastanza le paterne premure di Don Bosco.

                Il fatto più notevole del mese di novembre fu una singolare [467] vestizione chiericale, in cui ricevettero da Don Bosco l'abito un polacco, Vittore Grabelski, insignito di parecchie lauree; un ex - ufficiale francese, Natale Noguier de Malijay; un giovanotto inglese che poi non perseverò, e, dominante su tutti per statura fisica e posizione sociale, il principe Augusto Czartoryski. Questi, strappato finalmente il consenso del padre e venuto a Torino il 30 giugno, era dall'8 luglio aspirante. I parenti s'illudevano che una velleità passeggiera l'avesse spinto alla Congregazione e che quindi i primi disagi di una vita così diversa dalla sua gli avrebbero fatto riprendere la via del ritorno. È facile pertanto immaginare come restassero al ricevere l'invito a una funzione che rappresentava un distacco, se non definitivo, certo abbastanza profondo dal passato. Gli scrissero chi pro chi contro. Il padre, a cui Augusto aveva parlato di una prova che sarebbe durata diciotto mesi, trovò che era troppo presto vestire l'abito ecclesiastico prima che ne fossero trascorsi neppure sei; nondimeno da ultimo decise di venire a Torino. Ci venne con la consorte, matrigna di Augusto, con i due fratellastri, una zia e il medico di famiglia.

                Perdurava in tutti la fiducia di ritrarlo dal suo divisamento; onde per aver tempo di mettere in opera qualche tentativo, arrivarono alcuni giorni prima della cerimonia, fissata al 24. Sommamente irritata si mostrava quella zia a motivo del sospetto che pressioni si fossero esercitate sul Principe malaticcio per fini interessati. Egli, accortosi delle loro intenzioni, avrebbe voluto privarsi del piacere d'intrattenersi con essi; ma si rimise al consiglio dei Superiori, che gli dissero di trattare i suoi con tutto l'affetto. Quelli tirarono in campo ragioni di cuore e ragioni d'interesse; in tali colloqui si ebbero momenti di vera tragicità. Augusto però con dolcezza inalterabile, ma con pari energia seppe difendere dal principio alla fine la propria vocazione, sicchè i parenti terminarono con fare di necessità virtù assistendo alla cerimonia.

                Si svolse questa nella chiesa di Maria Ausiliatrice dinanzi [468] a gran folla attratta dalla notizia di sì interessante novità. L'avrebbe compiuta volentieri il cardinale Alimonda, se non ne fosse stato impedito. Don Bosco si avanzò lentamente nel presbiterio con i quattro aspiranti. Dopo il canto del Veni Creator li invitò con le parole del rituale a svestirsi dell'uomo vecchio per rivestirsi dell'uomo nuovo e porse a ognuno le sacre divise da lui benedette. Poi Don Rua, montato in pulpito e scelto per testo il versetto d'Isaia Filii tui de longe venient, parlò come non avrebbe potuto meglio Don Bosco stesso. La funzione si chiuse con il solenne Te Deum e la benedizione eucaristica. I signori polacchi risalirono poi alle camere del Santo, acclamati da tutti i giovani dell'Oratorio. Quando si accomiatarono da Don Augusto, come dopo quel giorno venne chiamato fra noi il novello chierico, lo fecero con signorile correttezza. Le nubi per altro non erano punto dileguate. Il padre ritornò in seguito all'assalto, ricorrendo perfino alla Santa Sede perchè si vietasse al figlio di legarsi in perpetuo alla Congregazione; ma dello scuoterne la fermezza non fu nulla[380].

                Quella sera per lui sì lieta, prima di ritornare a Valsalice, luogo del suo noviziato, Don Augusto andò a ringraziare il Santo, il quale, benedicendolo, gli disse: - Oggi abbiamo riportato una bella vittoria. Verrà giorno che lei sarà sacerdote e per volontà di Dio farà molto bene alla Polonia.

                L'ingresso di Don Augusto nella Congregazione determinò un moto incessante e crescente di gioventù polacca verso la casa di Don Bosco. Per munificenza del Principe s'ingrandì Valsalice con un appartamento completo per accogliere quanti venivano, finchè fu fondato a Lombriasco un collegio esclusivamente per loro. Si preparavano così gli elementi che dovevano servire alla fondazione di collegi e scuole professionali nella Polonia, dove oggi le opere salesiane grandeggiano [469] per numero e fioriscono per qualità in un modo che ha del prodigioso[381]. Quei confratelli vantano dei loro un Cardinale salesiano, l'eminentissimo Augusto Hlond arcivescovo di Gniezno e Poznan, primate di Polonia.

                Era sempre una festa per Don Bosco il rivedere suoi ex - allievi; ma non minor gioia provavano questi riavvicinandolo. Il giorno dopo la descritta vestizione ne venne uno affezionatissimo al suo Padre, il signor Vincenzo Tasso, prete della Missione, che dal 1908 fu vescovo di Aosta. Don Bosco l'ascoltò per circa mezz'ora; poi nel licenziarlo, stringendogli la mano con tutto l'affetto del suo cuore, gli ripetè tre volte quelle parole dell'Apostolo: Iam delibor, iam delibor, iam delibor (l'ora del sacrifizio è vicina)[382].

                Molto lo consolò quindici giorni dopo la visita di un altro ex - allievo; pareva che ringiovanisse richiamando alla memoria i compagni di lui, le avventure di quei tempi e specialmente la manifesta protezione divina sulle opere allora appena incominciate. Quegli era stato l'anima delle antiche passeggiate; è il fossanese Carlo Tomatis, del quale Don Lemoyne parla più volte nei volumi terzo e quarto. Giunto dinanzi a Don Bosco, erasi gettato in ginocchio, esclamando con tenerezza: - Oh Don Bosco! oh Don Bosco! - Nè sul momento aveva potuto dire altro. Il Santo lo invitò a ritornare con suo figlio per passare nell'Oratorio la festa di Natale. Lo rivedremo verso quel tempo.

                Tornando dalla sua ultima passeggiata il 20 dicembre, mentre si faceva per discendere dal corso Regina Margherita verso la chiesa di Maria Ausiliatrice, uno sconosciuto fermò la carrozza. Era un buon signore di Pinerolo, allievo dell'Oratorio nei primi tempi. Non è a dire quanto il Servo di Dio lo incontrasse volentieri. Venuto a Torino per affari, non [470] voleva andar via senza vedere Don Bosco, e sapendo che egli sarebbe passato di là, lo aspettava in mezzo alla strada.

 - Mio caro, gli chiese Don Bosco, come vanno le tue cose?

 - Così così, rispose quegli; preghi per me.

 - E dell'anima come stai?

 - Procuro di essere sempre degno allievo di Don Bosco. Bravo, bravo! Dio ti ricompenserà. Prega anche per me.

                Ciò detto, lo benedisse; ma nel congedarlo aggiunse ancora: - Ti raccomando la salvezza dell'anima. Vivi sempre da buon cristiano.

                Molte lettere gli arrivavano ogni giorno dall'Italia e dall'estero, massimamente dalla Francia, in risposta alla sua circolare del 4 novembre. Quasi sempre contenevano offerte. I segretari tagliavano le buste, ne estraevano il contenuto, ve lo sovrapponevano e poi gli presentavano il tutto; così egli poteva con facilità prenderne visione e indicare il tenore delle risposte. Alla signora Broquier, l'ottima cooperatrice marsigliese, che gl'inviava una rilevante somma, volle rispondere di proprio pugno.

 

                               Alla caritatevole nostra buona Madre Signora Broquier,

 

                Ho ricevuto la caritatevole somma di fr. 500 pei nostri poveri missionari. Dio vi ricompensi largamente. Eglino vanno volentieri a dar la vita in mezzo ai selvaggi d'America, ma voi date la borsa; tanto gli uni quanto gli altri servono al Signore, lavorano per guadagnare anime al Cielo; ma chi lavora per salvare anime salva la sua propria.

                Più ancora: chi fa limosina per salvare anime sarà ricompensato con molta sanità e lunga vita. Ma diamo molto se vogliamo ottener molto.

                Col massimo piacere attendo Lei, suo marito, suo genero e figlia a fare una visita a Torino nella prossima primavera. Faremo una bella festa.

Dio li benedica e li guidi fin qui.

                Io non posso più nè camminare, nè scrivere, se non malamente. L'unica cosa che posso ancor fare e che assai volentieri faccio per Lei, [471] e per tutti i suoi vivi e defunti, si è di pregare ogni giorno per loro affinchè le ricchezze, che sono spine, siano cangiate in opere buone, ossia in fiori con cui gli angeli tessano una corona che loro cingerà la fronte per tutta l'eternità. Così sia.

Preghino anche per questo povero ma sempre loro

 

                Torino, 27 nov. 1887.

 

Affezionatissimo amico

   Sac. GIO. BOSCO[383].

 

                Alle offerte si accompagnavano il più delle volte richieste di preghiere per ottener grazie spirituali o temporali, quando già non si ringraziava per favori ottenuti da Maria Ausiliatrice. Quanto fosse la fiducia riposta nell'efficacia della sua mediazione, si può ben rilevare da queste parole scrittegli da una Visitandina di Friburgo il I° dicembre: “Non è vero che al Signore è facilissimo il far miracoli e a Lei l'ottenerli?”. Una letterina litografata sopra un suo autografo serviva ordinariamente per accusare ricevuta; ma talvolta egli postillava perchè rispondessero i segretari. L'ultima lettera postillata a questo modo reca la data del 30 novembre e proveniva da una signora Vittorina Roux, cooperatrice di St. Gervais les Bains nell'Alta Savoia. Diceva: “Divisavo di mandarle per la fine dell'anno in nome mio e di altri membri della mia famiglia (marito e due figli) l'offerta da noi dovuta alla sua Opera e così renderci degni di partecipare alle molte e dispendiose sue imprese sociali e religiose; ma dinanzi al suo appello del 4 novembre ricevuto oggi, senz'aspettare più il tempo prefissomi, le spedisco la mia offerta. La prego di benedire me e tutta la mia famiglia”. Don Bosco vi scrisse sopra per il chierico Festa, suo secondo segretario: “Festa veda e dica”. Dicesse cioè a chi di ragione per una risposta in francese[384]. [472] Una suora del Cuor di Maria gli trasmetteva da Blon presso Vitre, dipartimento del Calvados, cento franchi, dicendo dell'oblatrice: “Ha fatto cinque leghe a piedi per portarmi questo biglietto da cento ed ha ottantadue anni”[385]. Se qui non c'è esagerazione, cinque leghe fanno venti chilometri.

                Un parroco di Fiumicello in diocesi di Gorizia aveva ottantasei anni: la mano tremante non poteva scrivere, ma poteva cavare dal borsellino qualche moneta. Si rivolse al suo collega di Scodovacca, perchè scrivesse a Don Bosco e gli mandasse per le Missioni l'ultimo napoleone d'oro che possedeva[386].

                Questo poco è a titolo di saggio; chè se si volesse pescare nel maremagno di tale corrispondenza, s'andrebbe all'infinito.

                La circolare missionaria diede occasione a una proposta sui generis. Un signor Ettore Chiaramello, amministratore delegato della Banca Industria e Commercio a Torino, gli chiese che lo assistesse per collocare “mercè la santa sua cooperazione”  in “mani pie” qualche migliaio di azioni, a patto che queste pie persone si contentassero d'impiegare il loro capitale all'interesse del cinque per cento, cedendo il di più alle Missioni Salesiane. Con questa operazione egli assicurava a Don Bosco una rendita annua superiore alle cinquantamila lire. Il nostro Santo, contrario sempre a combinazioni bancarie, agricole, coloniali, che potessero aver aspetto di commercio, nonostante qualsiasi promessa di lauti guadagni, ordinò di rispondere negativamente. In tutta la sua vita egli non deviò mai un pollice dalla propria linea di condotta, che era di vivere affidato alle cure della divina Provvidenza senza troppo preoccuparsi dell'avvenire.

                La suddetta circolare, caduta nelle mani d'un pastore protestante abbastanza noto sotto il nome di Deodati e residente [473] a Castrogiovanni, ora Enna, in Sicilia, gli fece venire la tentazione di dare a Don Bosco un saggio della sua cultura biblica. Gli scrisse dunque una lunga lettera, cominciando col protestare contro di lui, perchè, invece di condurre i selvaggi giacenti nel paganesimo al puro e santo Vangelo portato da Gesù Cristo, li togliesse al paganesimo loro per gettarli nel paganesimo romano, ossia nell'anticristianesimo. Poi con un gran lusso di citazioni scritturali degno di miglior causa denunzia e deplora tutte le funeste conseguenze che derivano da siffatto programma di azione missionaria. A un certo punto gli confessa un suo dispiacere. “Mi dispiace, scrive, che forse nella sua buona fede Lei verrà a secondare un Ignazio di Loyola: questi credendo fare opera degna per espiare i suoi peccati, fondò quella velenosa Congregazione dei Gesuiti, Congregazione dannifera anche per la stessa Chiesa Romana. È probabile che Lei lascerà il medesimo nome”. Pronunziata più innanzi una minaccia apocalittica, conchiude con questo comico augurio: “Io vorrei che Lei si ravvedesse, come l'Apostolo Paolo che zelante per la religione israelitica perseguitava la Chiesa; ma Dio lo chiamò. Così Dio voglia chiamar Lei, e le opere che crede bene fare per la Romana Chiesa le farà per Cristo solo”. Anche sull'estremo della vita l'idra protestante gli lanciò il suo sibilo; ma questa volta egli si sarà contentato di pregare per la conversione di quell'infelice.

                Alle altre pene se ne aggiunse una nuova per Don Bosco: il timore di dover presto omettere la celebrazione della Messa. Soffriva visibilmente nel celebrare e proferiva le parole  con isforzo e con un filo di voce, interrotto spesso da soverchiante commozione. Le forze gli mancavano talmente, che non si voltava più nel dire il Dominus vobiscum, - durante poi la comunione dei fedeli che assistevano, si sedeva, mentre un altro prete distribuiva l'Ostia santa. Da un altro pure venivano recitate le tre Ave Maria e le altre preci finali, accompagnando egli con la mente. Or ecco che il 3 dicembre dopo, una notte assai cattiva non potè celebrare, ma assistette alla [474] Messa del segretario e fece la comunione. All'Ecce Agnus Dei ruppe in lacrime. Celebrò ancora il 4 e il 6; volle ritentare la celebrazione la domenica seguente 11, ma arrivò con istenti penosi alla fine[387].

                Qualche sera tuttavia, permettendolo il tempo, usciva ancora in vettura per ordine del medico. Fuori di città faceva, sostenuto, alcuni tratti di cammino a piedi. Il 16 dicembre in una simile gita accaddero due cose notevoli. Durante l'andata recitava a Don Rua e a Don Viglietti brani di poeti latini e italiani, mettendone in rilievo il valore morale e religioso, non che la bellezza dell'espressione. Don Rua riteneva per fermo che egli non li aveva più riletti dopo terminato il suo ginnasio a Chieri. Al ritorno poi, risalendo il corso Vittorio Emanuele, fu scorto sotto i portici il cardinale Alimonda che passeggiava col segretario. Fece tosto scendere Don Viglietti per andare a dirgli che desiderava parlargli, ma che non poteva recarsi fino a lui. Anche Don Rua era balzato a terra. L'Eminentissimo come di scatto si mosse a quella volta, tendendo le braccia ed esclamando - Oh Don Giovanni, Don Giovanni! - Montò in vettura, lo abbracciò e baciò con effusione. I passanti si fermavano a contemplare la magnifica scena. Proseguirono lentamente essi due soli in vettura fino alla via Cernaia, dove si separarono, e con Don Bosco tornarono a sedere Don Rua e Don Viglietti, dirigendosi all'Oratorio. Quivi giunto, fece le scale con immensa fatica, sicchè, quando pose piede sull'ultimo gradino, si rivolse a Don Rua e gli disse: - Non potrò più fare altra volta queste scale. - Infatti, allorchè la sera del 20    volle uscire ancora una volta, bisognò trasportarlo a basso in seggiolone.

                Subito dopo la partenza dei Missionari per la Repubblica dell'Equatore la Provvidenza procurava a Don Bosco una grande consolazione con l'arrivo di monsignor Cagliero. Le [475] notizie sempre più allarmanti sulla salute del Padre gli aveva fatto comprendere chiaramente che la catastrofe non poteva più essere lontana; urgeva dunque accorrere per raccoglierne con l'ultimo respiro l'estrema benedizione. A Buenos Aires i confratelli che l'accompagnarono all'imbarco si dicevano l'un l'altro con dolore: - Egli va ad assistere agli ultimi momenti del nostro caro Don Bosco! - Viaggiò, come vedemmo, con i tre avvocati cileni sul Matteo Bruzzo della Veloce. La Direzione di questa Società con delicato pensiero telegrafò il 29 novembre a Don Bosco da Genova che il piroscafo, levata l'ancora il 28 da Las Palmas, sarebbe approdato a Genova il 4 dicembre. Don Bosco che da tempo sapeva della sua venuta, ne fu tanto lieto che mandò a Genova Don Lemoyne, perchè in nome suo e del Capitolo Superiore gli desse a bordo il primo benvenuto. Vi fu per altro un ritardo di oltre due giorni causato da forte burrasca.

                Monsignore fece il suo ingresso nell'Oratorio la sera del 7, passando attraverso le più festose dimostrazioni, ma con l'occhio fisso lassù a quelle chiuse finestre, dietro le quali il Padre lo attendeva. Entrò seguìto dai Cileni, da Don Riccardi e da Don Cassini. Il Santo stava seduto nel suo modesto sofà. - Monsignore cadde in ginocchio dinanzi a lui, che lo abbracciò, se lo strinse al cuore e poi, appoggiandogli la fronte sulla spalla, gli baciava l'anello lacrimando. I cinque compagni del Vescovo si erano pure inginocchiati all'intorno, mentre i maggiorenti dell'Oratorio si tenevano, muti e commossi, a rispettosa distanza.

                Ruppe Don Bosco per primo il silenzio. Gli si era risvegliato più vivo che mai il ricordo della violenta caduta. Di salute come stai? gli chiese adunque. Alla sua risposta rassicurante benedisse il Signore. Succedettero le presentazioni, durante le quali Monsignore squadrava con afflizione il Servo di Dio. Dopo tre anni come lo trovava invecchiato!

                La presenza del Vescovo di Liegi impedì gli intimi colloqui fin dopo la festa dell'Immacolata; ma d'allora in poi [476] Monsignore profittava di ogni occasione per sedere accanto a lui, narrandogli tante cose che sapeva recargli consolazione. Vide come, nonostante lo spossamento generale, ascoltasse ancora le confessioni di chiunque si presentasse per quello scopo. Ne volle profittare anche lui, temendo che all'improvviso gli divenisse impossibile aprirgli ancora una volta il cuore. Depose nei processi: “Mi diede allora tali consigli che non li dimenticai più, perchè erano pari alla sua esperienza consumata, alla mia età e alla dignità della quale mi trovavo investito come Vescovo e Vicario Apostolico”.

                Un'altra cosa importantissima attestò Monsignore dinanzi ai giudici della causa. Si sa abbastanza, e lo sapeva come pochi il Cagliero, quanto la paternità di Don Bosco verso i giovani avesse del celestiale. Ora il buon Padre nelle affettuose confidenze di quei giorni gli disse una volta: - Sono contento del tuo ritorno. Vedi, Don Bosco è vecchio e non può più lavorare: sono agli ultimi della mia vita. Lavorate voi altri, salvate la povera gioventù. Ti manifesto adesso un timore. - Qui i suoi occhi s'inumidirono, e proseguì: - Temo che qualcuno    dei nostri abbia ad interpretare male l'affezione che Don Bosco ha avuto per i giovani e che dal mio modo di confessarli vicino vicino si lasci trasportare da troppa sensibilità verso di loro, e pretenda poi giustificarsi con dire che Don Bosco faceva lo stesso sia quando loro parlava in segreto sia quando li confessava. So che qualcuno si lascia guadagnare il cuore e ne temo pericoli e danni spirituali. - Monsignore lo rassicurò che nessuno aveva mai interpretato male il suo modo di trattare i giovani. - Stia tranquillo, gli disse, lasci a me questo timore: staremo attenti. È una raccomandazione che Lei fece tante volte a noi e noi la faremo agli altri.

                Del Cagliero abbiamo rinvenuto un autografo, nel quale egli per suo ricordo prese nota di alcune cose dettegli da Don Bosco durante il mese di dicembre. Ecco questo suo promemoria. [477] Aiuta la Congregazione e le Missioni. Bisogna estenderle alle coste dell'Africa ed in Oriente.

                Al S. Padre dirai che sino ad ora fu tenuto come segreto, ma che la Congregazione ed i Salesiani hanno per iscopo speciale il sostenere l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino e dovunque lavorino.

                Desidero che in questa circostanza ti fermi in Italia fino a tanto che saranno sistemate tutte le cose dopo la mia morte.

                Prendi a cuore la Congregazione e le Missioni; aiuta gli altri Superiori in tutto quello che potrai.

                Quelli che desiderano grazie da Maria Ausiliatrice aiutino le nostre Missioni e saranno sicuri di ottenerle.

                Non temete di nulla; il Signore vi aiuterà. Fidem habete, abbiate fede.

                Domando una sola cosa al Signore, che possa salvare la povera anima mia (piangendo).

                Raccomando che dica a tutti i Salesiani che lavorino con zelo ed ardore: lavoro, lavoro.

                Adoperatevi sempre ed indefessamente a salvare le anime.

                Benedico tutte le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice; benedico la Superiora Generale e tutte le sue sorelle; procurino di salvare molte anime.

                Aggiustate tutti i vostri affari. Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi, aiutatevi e sopportatevi.

                Benedico le case di America; Don Costamagna, Don Lasagna, Don Fagnano, Don Rabagliati e quelli del Brasile; Mons. Aneyros di Buenos Aires e Mons. Espinoza; Quito, Londra e Trento.

Alter alterius onera portate; exemplum bonorum operum.

                Propagate la divozione di Maria Ausiliatrice nella Terra del Fuoco. Oh quante anime salverà la Madonna per mezzo dei Salesiani.

                Per le prove [nelle case di prova i Superiori] pratichino l'obbedienza e la facciano praticare. Strenna: divozione a Maria e frequente Comunione.

                Due volte raccomandò per i Salesiani il lavoro, ripetendo: lavoro, lavoro!

 

                 Con lui erano tornate in Italia suor Angela Vallese dalla Patagonia e suor Teresa Mazzarello dall'Uruguay, che conducevano seco la piccola fueghina affidata loro da monsignor Fagnano. Egli ne fece la presentazione a Don Bosco il 9 dicembre nella maniera già da noi descritta.

                “Che sacrificio fu per Don Bosco il non poter dir Messa” nel giorno dell'Immacolata! scrive Don Viglietti nel diario. Ma ormai non aveva più speranza di poter ascendere l'altare. [478] Nascondeva però questa come le altre sue pene fisiche e morali sotto un esteriore abitualmente tranquillo e sereno, talora anche allegro, scherzando sopra i suoi malanni. Riguardo alla sua schiena, per esempio, che lo faceva andare così curvo, ripeteva due comunissimi versi di una canzone piemontese:

 

Oh schina, povra schina,

T’as fini d’porté bas - cina.

 

                (Oh schiena, povera schiena, hai finito di portare pesi). Una sera ai due sacerdoti che mesti e premurosi lo aiutavano dopo cena a recarsi nella sua camera, recitò questa strofa da lui composta per compassionare le sue gambe:

 

Oh gambe, povre gambe,

Che sie drite che sie strambe,

Seve sempre ‘1 mè confort

Fin a tant ch’i sia nen mort.

 

                (Oh gambe, povere gambe - siate dritte, siate strambe - sarete sempre il mio conforto - finchè io non sia morto).

                Non voleva tuttavia che i Superiori sul conto suo s'illudessero al punto da trasandare le precauzioni suggerite dalla prudenza per l'eventuale sua dipartita, come si vide la sera dell'Immacolata. Andato a cena con loro, ma alzatosi pochi minuti dopo per ritornare nella camera: - Si faccia coraggio, gli disse qualcuno.. Abbiamo da vedere la sua Messa d'oro. - A tali parole si fermò sulla porta, volse il capo là donde la voce era partita, fissò chi aveva parlato e: - Sì, sì, vedremo! esclamò. La Messa d'oro!... Son cose gravi, son cose gravi!

                Nell'Oratorio l'ultima manifestazione di gioia, vivente Don Bosco fu un'accademia dell'11 dicembre in onore di monsignor Cagliero. Alla fine il festeggiato rievocò la giovinezza sua e quella di Don Bosco e rappresentò al vivo l'amore che il Santo aveva sempre portato ai giovani. Egli rapì l'uditorio con il suo linguaggio ardente e pittoresco; ma là entro [479] dominava una nota di tristezza che tutti sentivano senza bisogno che alcun segno esterno la traducesse in forma sensibile. Tuttavia nessuno avrebbe creduto che la morte di Don Bosco fosse tanto vicina.

                Una cara e molto intima festicciuola fu la tradizionale vendemmia del pergolato davanti alle sue finestre. Per uno di quei delicati pensieri a lui familiari Don Bosco l'aveva differita così a lungo, perchè vi potesse partecipare monsignor Cagliero. Egli, seduto nella loggetta, si dilettava di vedere i suoi figli con alla testa il Vescovo spiccare i grappoli, ripulirli e mangiarne allegramente. Quella simpatica ricreazione venne pure onorata dalla presenza di un altro Vescovo e di un Provinciale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, accompagnato da un religioso del medesimo Istituto.

                Non volle nemmeno quella volta derogare alla consuetudine di far parte della sua vendemmia a famiglie amiche. Infatti il conte Cravosio il 26 dicembre lo ringraziava del gentile pensiero e dell'ottima uva inviatagli a casa, soggiungendo: “Spiacemi solo che Ella se ne sia voluta privare per regalarla a noi! Ciò mi prova d'altra parte come io abbia un posto sicuro nella memoria di V. S. alla quale mi lega da anni tanta simpatia con vera affezione. Le mie preghiere non possono sperare di essere accette a Dio, perchè io sono uso a peccare settanta volte sette al giorno; ma in questo caso, per la salute di Don Bosco, mi lusingo che il buon Dio vorrà accoglierle, perchè gli si rivolgono proprio con tutto il cuore dall'affezionatissimo di Lei servo”.

                Il venerdì 16 dicembre lo visitò e stette a pranzo con lui il giovane sacerdote bolognese Don Bersani, che predicava l'Avvento nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Don Bosco a tavola gli parlò segretamente all'orecchio e poi gli strinse la mano così forte che lo fece gridare: - Ma lei mi fa male! - Il Santo lo guardò sorridendo; quindi gli domandò: - Quando tornerà a pranzare con me?

 - Non saprei, rispose. Ho tanti buoni amici a Torino e [480] per vederli tutti ora vo dall'uno ora dall'altro in sul mezzogiorno.

 - Sta bene; ma torni presto a visitarmi.

- Vedrò di venire verso la fine della settimana prossima.

 - Venga al principio, altrimenti non ci sarà più tempo.

                Don Bersani tornò alla metà della settimana; ma Don Bosco era già coricato da martedì, nè più lo vide.

                L'abbandono totale delle forze cominciò ad annunziarsi il 17 dicembre. Era sabato, giorno in cui verso le diciotto soleva confessare i giovani delle classi superiori. Quella sera pertanto una trentina di essi scalpicciava dinanzi alla porta, aspettando che il segretario li facesse entrare. Il chierico Festa si affacciò per dir loro non sembrargli opportuno che lo stancassero, perchè stava troppo male. I giovani però non si movevano. Ciò vedendo, il chierico, riflettuto un momento, andò a dirlo a Don Bosco, il quale a tutta prima gli rispose che non si sentiva di sostenere quella fatica; ma poi dopo un istante di silenzio ripigliò: - Eppure è l'ultima volta che potrò confessarli! - L'altro, non badando nè alle parole nè all'accento di esse, prese a sconsigliamelo. - Ha la febbre, gli diceva, e stenta troppo a respirare. - Ma egli, quasi intenerito, ripetè: - Eppure è l'ultima volta! Di pure che vengano. - Entrarono, e li confessò tutti. Furono proprio quelle le ultime confessioni dei giovani da lui ascoltate. Diciamo dei giovani, perchè il 19 udì ancora Don Berto, al quale diede per penitenza di recitare sovente la giaculatoria - 0 Maria, siate la salvezza mia.

                Le gambe non gli servivano più nemmeno per fare un passo; quindi veniva condotto da un luogo all'altro nel seggiolone a ruote. Nondimeno desiderava sempre assistere alla mensa comune.

                Don Durando il 16 dicembre aveva scritto al nuovo Procuratore Generale Don Cesare Cagliero[388]: “Don Bosco dimagrisce [481] visibilmente tutti i giorni e le forze gli mancano a segno da non essere più in grado di trasportarsi dalla camera al refettorio: lo si deve condurre in seggiola. Povero Don Bosco! Se il Signore non opera un miracolo continuo, la sua esistenza non può più fisicamente sussistere”.

                Gradiva di trovare a mensa benefattori e amici. Il 18 ne aveva fatti invitare parecchi, affinchè visitassero una mostra di oggetti della Patagonia portati da monsignor Cagliero e destinati all'esposizione vaticana. Da più d'un anno i Missionari avevano ricevuto da Don Bosco l'ordine di radunare armi, lavori e curiosità dei selvaggi, perchè figurassero in quell'esposizione, che tanto contribuì nel 1888 a onorare Leone XIII durante i festeggiamenti per il suo giubileo sacerdotale. Dopo pranzo si trattenne con gl'invitati, dando a ognuno segni di particolare affetto. Rientrato nella sua camera, disse a Don Eugenio Reffo dei Giuseppini, che l'aveva voluto accompagnare fin là: - Caro mio, sempre ti ho amato e sempre ti amerò. Sono al termine de' miei giorni; prega per me, io pregherò sempre per te.

                Alla sera, nel tempo della cena, non più un lampo di vivacità; anzi Don Lemoyne, avvicinatosi a lui, si avvide che aveva gli occhi vitrei nè dava segno di udire chi gli parlava. Durò solo qualche minuto in tale stato; ma era un sintomo ben triste!

                Il mattino appresso Don Viglietti lo trovò tanto sollevato che lo pregò di scrivere poche parole su alcune immagini che voleva mandare a certi Cooperatori salesiani. - Volentieri - gli rispose Don Bosco. E si accinse a scrivere. Quando ebbe scritto su due, gli disse: - Ma sai che non so proprio più scrivere? Sono stanco, sai. - Allora Don Viglietti gli osservò prontamente che bastavano quelle due. Dietro la prima aveva scritto: “O Maria, otteneteci da Gesù la sanità del corpo, se essa è bene per l'anima, ma assicurateci la salvezza eterna”. E dietro la seconda: “Fate presto opere buone, perchè può mancarvi il tempo e così restare ingannati”. [482] Non volle però smettere, perchè: - Questa è l'ultima volta che scrivo! - disse. Continuò dunque: “Beati coloro che si danno a Dio per sempre nella gioventù. - Quanti volevano darsi a Dio e restarono ingannati, perchè loro mancò il tempo! - Chi ritarda di darsi a Dio, è in gran pericolo di perdere l'anima. - Figliuoli      miei, conservate il tempo e il tempo conserverà voi in eterno. - Chi semina opere buone, raccoglie buon frutto. - Se facciamo bene, troveremo bene in questa vita e nell'altra. - In fine della vita si raccoglie il frutto delle buone opere”.

                A questo punto Don Viglietti lo interruppe e gli prese la mano dicendo: - Ma, Don Bosco, scriva qualche cosa di più allegro!... Queste cose fanno pena. - Allora fissò intenerito i suoi occhi in quelli del segretario e vistolo piangere, gli disse con un sorriso indescrivibile: - Povero Carluccio! Ma che ragazzo sei!... Non piangere... Te l'ho già detto che sono le ultime immagini su cui scrivo. - Quindi per compiacerlo cambiò   tema, continuando: “Dio ci benedica e ci scampi da ogni male. - O Maria, proteggete la Francia e tutti i Francesi. - Date molto ai poveri, se volete divenir ricchi. - Date et dabitur vobis. - Che Dio ci benedica e la Santa Vergine sia nostra guida in tutti i pericoli della vita. - I giovanetti sono la delizia di Gesù e di Maria. - Dio benedica e compensi largamente tutti i nostri benefattori. Sacro Cuore del mio Gesù, fate che io vi ami sempre più. Il più gran nemico di Dio è il peccato. - O Maria, siate la salvezza mia”. Qui ritornò ai pensieri che tanto affliggevano Don Viglietti: “In fine della vita si raccoglie il frutto delle opere buone. - Chi salva l'anima, salva tutto; chi perde l'anima, perde tutto. - Chi protegge i poveri, sarà largamente ricompensato al divin Tribunale. - Chi protegge gli orfanelli, sarà benedetto da Dio nei pericoli della vita e protetto da Maria in morte. - Che grande ricompensa avremo di tutto il bene che facciamo in vita! - Chi fa bene in vita, trova bene in morte. Qualis vita, finis ita. - Io prego ogni giorno [483] per voi e voi pregate per la salvezza dell'anima mia. - 0 Vergine Pia, l'aiuto tuo forte dà all'anima mia in     punto di morte. - In Paradiso si godono tutti i beni in eterno”. Qui depose la penna; aveva la mano molto stanca.

                Tutte le occupazioni che avevano formato sua consuetudine, volgevano una dopo l'altra al loro termine fatale. Quella mattina diede le ultime udienze. Da quarant'anni consacrava tutte le mattine a consigliare, a benedire, a consolare, a soccorrere, a rallegrare quanti desideravano di avvicinarlo. Fu questa senza dubbio una delle più laboriose fatiche della sua vita. Allora si sentiva talmente estenuato, che sembrava dovergli mancare il respiro. La serie infinita delle visite si chiuse per sempre con quella della contessa Soranzo Mocenigo. Erano le dodici e mezzo del giorno 20 dicembre.

                Alla sera, ultima passeggiata in vettura. Permise per la prima volta a' suoi figli, che ne lo supplicavano, di trasportarlo giù a braccia in seggiolone. Lo accompagnavano Don Bonetti e Don Viglietti, che presero a dire dei Confratelli, tutti bramosi di porgergli aiuto e sollievo. Egli taceva, finchè a un tratto uscì in queste parole: - Viglietti, appena giunto a casa, ricórdati di scrivere a nome mio queste parole per tutti i Salesiani: I Superiori Salesiani abbiano sempre una grande benevolenza verso i loro inferiori e specialmente trattino bene e con carità le persone di servizio.

                Parve lì per lì che l'aria libera gli avesse fatto bene. Ritornato a casa e portato in camera, disse amorevolmente al capo dei portatori: - Fa' lista, sai. Ti pagherò tutto in una volta. - Poco dopo giunse il     medico curante, dottore Albertotti, il quale lo visitò e lo trovò aggravatissimo; quindi lo fece porre a letto. Al chierico Festa, che gli aveva domandato come si sentisse, aveva risposto: - Ora non mi resta che fare una buona conclusione, che termini bene il tutto. - Com'è costume in tali casi, gli si osservò che con un po' di riposo si sarebbe riavuto; ma egli con la mano fe' cenno di no e ripetè accentuando le parole: - Non resta che fare [484] una buona conclusione. - Prima della passeggiata aveva scritto sopra un'immagine: Maria, tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe. E sopra un'altra: “Maria, l'aiuto tuo forte dà in punto di morte all'anima mia”. Presi pochi cucchiai di minestrina, si appressò a quel letto, dal quale non doveva più alzarsi.

                Sul tavolino c'era la pars aestiva del Breviario. Don Lemoyne che lo sfogliò, vi rinvenne tanti segnacoli cartacei che portavano scritte varie belle sentenze, tratte - dalla Sacra Scrittura, dai Santi Padri e financo da poeti italiani. Quei richiami gli erano passati sotto gli occhi per lo spazio di nove lustri[389].

                Sul medesimo tavolino cominciavano ad accumularsi lettere con gli auguri natalizi. Ne arrivavano da ogni parte; molte venivano dalla Francia. Quell'anima santa della signorina Louvet[390], confortando gli auguri con un biglietto da cinquecento, esprimeva un nobile pensiero. Scriveva: “Mi valgo della circostanza per porgerle anche i miei auguri di buono e felice anno. Ma per Lei gli anni son tutti buoni, o Reverendo Padre, perchè tutti i suoi giorni sono pieni e meritorii per il Cielo; il che purtroppo non è per me”. Aveva ragione la pia benefattrice, dies pleni e veramente ricchi di meriti furono quelli di Don Bosco; ma essa non immaginava quanto fosse vicino il momento, in cui tanti meriti stavano per ricevere nel Cielo l'adeguata corona.

 

 

CAPO XXII

I primi undici giorni di malattia.

 

                IL nostro caro infermo tenne il letto per quarantadue giorni continui con tre fasi ben distinte nel procedimento della malattia. Dal 20 al 31 dicembre si andò di male in peggio; dal 10 gennaio al 20 fu un rifiorire di speranze; ma da questo punto le cose volsero a irreparabile e rapida fine. Volendo prima d'intraprenderne la particolareggiata narrazione dare uno sguardo generale all'atteggiamento del Servo di Dio durante sì lungo e doloroso periodo, non potremmo farlo meglio che con le parole di un testimonio ottimamente informato. Il coadiutore Enria, che tutte le notti vegliò al suo capezzale, ne ritrasse con molta semplicità nel processo ordinario[391] il modo abituale di comportarsi dicendo: “La sua rassegnazione era grandissima; metteva in pratica il suo motto: Fare, patire, tacere, che mi ripeteva sovente quando stava bene. Allora, non potendo più fare, pativa e taceva”. Taceva naturalmente del suo patire, chè della parola fino all'ultimo si servì quanto potè a vario scopo di bene.

                Il medico gettò lo sgomento nei Superiori, quando il 21 dicembre disse loro che, se l'infermo continuava in quello stato, non avrebbe potuto avere più che quattro o cinque giorni di vita. Infatti non appetiva nulla; lo travagliavano [486] frequenti conati di vomito; non si sapeva proprio che cosa dargli da mangiare. Respirava poi molto affannosamente e aveva febbre. Tuttavia la sua tranquillità di spirito si rifletteva in certe bonarie piacevolezze che usava con chi lo serviva. Il segretario, somministrandogli un po' di minestrina, fece per reggergli la scodella, perchè gli fosse più comodo recare alla bocca. - Già! diss'egli. Me la vuoi mangiare tu, eh? - Sul    tardi, riavutosi alquanto, ascoltò la lettura del giornale nella parte contenente notizie del, giubileo di Leone XIII e scorse le lettere raccomandate o assicurate. Verso le venti e mezzo disse: - Oggi alle quattro pensavo che più nulla mi mancasse a morire. Non avevo più cognizione di niente. Ora mi sento molto meglio. - Quindi, preso un tantino di ristoro, disse al segretario: - Viglietti, dammi un po' di caffè ghiacciato... ma che sia caldo. - E    rideva.

                Le minacciose parole del medico indussero i Superiori a escogitare in tempo i provvedimenti atti ad assicurare materialmente lo stato dell'Oratorio, quand'egli non fosse più. Quindi il Capitolo, radunatosi in quel pomeriggio sotto la presidenza di Don Rua per deliberare su diversi affari d'ordinaria amministrazione, si occupò anche di tale argomento. Studiata la questione, si stabilì di far riconoscere a Don Bosco un debito verso i principali della casa per servizi prestati e non retribuiti, e un'obbligazione di pagamento da parte dell'erede per versamenti effettuati in sua mano di capitali a titolo di deposito. Gl'interessati avrebbero fatto registrare legalmente i documenti, prendendo ipoteca sul designato erede. Così pure si sarebbe fatto dichiarare da Don Bosco con sottoscrizione legale i depositi ricevuti da persone private e contrarre un prestito con una Banca sicura per centomila lire ammortizzabile in cinquant'anni col solo pagamento del frutto. Fu deciso anche di telegrafare, subito a Villa Colon nell'Uruguay e di scrivere a Nizza Mare che si vendessero immediatamente quei due collegi a Società tontinarie.

                Intanto amici e benefattori, non sospettando lontanamente [487] che Don Bosco versasse in così gravi condizioni, gl'inviavano cordiali auguri per le prossime feste natalizie. Da Nizza Mare, per esempio, il barone Héraud gli scriveva in questo senso una lettera tutta scoppiettante di arguzie, conforme al caratteristico buon umore che in lui abbiamo avuto altre volte occasione di far notare[392]. Anche dall'Oratorio, come se nulla vi fosse di nuovo, partiva una circolarina con la firma di Don Bosco, invitante alla Messa di mezzanotte nella chiesa di Maria Ausiliatrice e augurante buone feste natalizie e buon capo d'anno.

                La dimane il dottor Vignolo allargò i cuori, escludendo l'imminenza del pericolo, prospettato il giorno prima dal medico curante Albertotti. Poichè l'importante era che Don Bosco si nutrisse, gli preparò egli stesso una tazza di brodo ricavato da estratti di carne. Sottopose quindi l'infermo a minuto esame, impiegandovi un'ora intera. È incredibile quanta abilità possedesse quel bravo sanitario a confortare i suoi clienti. Benchè fosse ammalato anche lui, si era levato dal letto per visitare Don Bosco, - il che continuò a fare in giorni seguenti, portandogli tutte quelle cure che una madre suole prodigare a un suo bambino. Don Bosco più e più volte gli espresse con le lacrime agli occhi la sua profonda riconoscenza.

                Tutti nella casa partecipavano all'ansia che angustiava i Superiori. In chiesa dinanzi al Santissimo Sacramento i giovani da mane a sera, divisi per classi e per laboratori, sì davano il cambio ogni mezz'ora per implorare la guarigione di Don Bosco. Quanto a sè, egli diceva ai confratelli più anziani e ai Superiori: - Pregate tutti per me. Dite a tutti i Salesiani che preghino per me, affinchè muoia in grazia di Dio. Non desidero altro.

                Le alternative di meglio e di peggio si succedevano a intervalli più o meno lunghi. Il 23 verso le dodici, sentendosi [488] assai male e non ritenendo nulla, disse al segretario: - Fa' di non essere qui solo tu prete. Ho bisogno che qualcuno sia qui pronto per l'Olio Santo.

- Don Bosco, gli rispose quegli, Don Rua è sempre nella camera qui presso. Del resto ella non è così grave da dover discorrere in questa maniera.

 - Si sa, domandò, si sa qui in casa che io sto così male?

- Sì, Don Bosco, non solo qui si sa, ma in tutte le altre case e ormai in tutto il mondo, e tutti pregano.

 - Perchè io guarisca?... Me ne vado all'eternità!

                A quanti gli si accostavano, dava ricordi come se stesse per abbandonarli. A Don Bonetti, catechista generale, disse stringendogli la mano: - Sii sempre il sostegno forte di Don Rua. - Più tardi al segretario: - Fa' che sia tutto pronto per il Santo Viatico. Siamo cristiani e si fa volentieri a Dio l'offerta della propria esistenza.

                Arrivarono tre signori belgi, desiderosi di vederlo. Permise che entrassero, purchè promettessero di pregare per lui. Li benedisse e: - Promettetemi, disse, di pregare per me, per i Salesiani e specialmente per i     Missionari.

                Dopo eccitato fortemente al vomito, domandò a Don Viglietti se non gli desse fastidio il vedere tante sue miserie. - Nulla mi fa pena, rispose egli, caro Don Bosco, se non il vederla soffrire e non sapere in che modo sollevarla. - Don Bosco riprese: - Di' poi a tua madre che la saluto, che cerchi di far crescere cristianamente   la famiglia e che preghi anche per te, affinchè sii sempre un buon prete e salvi molte anime.

                Ritornato Don Bonetti, egli lo salutò con un cenno della mano e gli parlò alquanto, insistendo che si apprestasse l'occorrente per l'Olio Santo. Si rivolse poi a Don Rua sopraggiunto allora e gli disse, additando Don Viglietti: - È vero che c'è quell'arnese lì.... ma è meglio essere qui in più.

                Alcune ore prima aveva dettato a Don Viglietti una letterina per Don Luis di Barcellona. Nel pomeriggio tornò [489] a raccomandargli di salutarlo da parte sua e di dirgli che si ricordasse dei nostri Missionari, e che egli si sarebbe sempre ricordato di lui e della sua famiglia e che li aspettava tutti un giorno in Paradiso.

                Venne monsignor Cagliero, al quale disse: - Hai bene a mente la ragione per cui il Santo Padre deve proteggere le nostre Missioni? Dirai al Santo Padre ciò che finora fu tenuto come un segreto. La Congregazione ed i Salesiani hanno per iscopo speciale di sostenere l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino, dovunque lavorino... Voi andrete, protetti dal Papa, nell'Africa... L'attraverserete... Andrete nell'Asia, nella Tartaria e altrove. Abbiate fede.

                I primari della casa, Don Belmonte, Don Lazzero, Don Berto, Rossi Giuseppe, Buzzetti e altri si succedevano a passare qualche tempo nella sua camera. Sebbene parlasse a stento, tuttavia faceva loro le più care accoglienze. Ora scherzando li salutava militarmente col portare la mano alla fronte, ora con l'alzare e abbassare le mano, ora con l'indicare il sopravvenuto a chi gli stava già al fianco, dicendo: - Lo vedi? È lui! - Talvolta nel porgere la destra e stringere la mano a chi gli baciava la sua, diceva: - Oh il mio caro! Sei sempre il mio caro.

                Sedutosi presso di lui il missionario Don Cassini, dopo il primo saluto gli sussurrò all'orecchio: - So che tua madre è in strettezze. Parlami liberamente, e solo a me, senza che nessuno venga a conoscere i tuoi segreti. Ti darò io stesso, senza che nessuno lo sappia, quanto credi necessario.

                A tutti chiedeva con interessamento notizie della loro salute, se fossero abbastanza riparati dal freddo, se abbisognassero di qualche cosa. Domandava, e questo anche a Monsignore, come si fosse passata la giornata, quali fossero le occupazioni di ciascuno, qual lavoro speciale si avesse tra mano. Con quelli che lo vegliavano e servivano, manifestava il timore che la privazione di riposo e di ricreazione potesse nuocere alla loro salute. Ma gl'infermieri erano instancabili. [490] Il coadiutore Enria nel citato Processo depose: “Nell'ultima infermità io lo assistetti tutte le notti finchè visse. Mi disse fin dalla prima notte: - Povero Pietro! Abbi pazienza! Ti toccherà passare molte notti! - Io quasi   offeso gli risposi che avrei dato la mia vita per la sua guarigione, come erano pronti a farlo tanti miei compagni” .

                Troppo era l'amore che i suoi figli nutrivano per lui, perchè non si sentissero disposti a qualsiasi sacrifizio in servirlo; ma a lui pure ardeva il cuore di vero affetto paterno per loro. Don Lemoyne ricorda a questo proposito aver egli detto parecchi anni prima: - L'unico distacco che io proverò in punto di morte sarà quello di dovermi separare da voi. Questa sua carità lo spingeva a distrarre la mente di chi vedeva soffrire accanto al suo letto. Perfino a Don Cerruti, che lo visitò la sera del 23 nell'ora in cui i ragazzi facevano la merenda e che mal poteva nascondere la sua commozione: - Hai già fatto merenda? domandò fra il grave e il faceto. Domanda un po' anche qui a Don Viglietti se l'ha già fatta. - Ma c'era una cosa più unica che rara in questa sua affezione: amava tutti in modo che ognuno si pensava di essere un suo prediletto.

                Non sono ancora terminate le vicende di quel giorno 23. Vi fu anche un lungo consulto fra il medico curante Albertotti e i due consulenti Fissore e Vignolo. Trasportarono il letto in mezzo alla camera. Non riscontrarono nulla di guasto nell'organismo e dichiararono che per il momento non vi era nessun pericolo prossimo. Il dottor Vignolo, volendo provare la forza dell'infermo, gli disse di stringergli la mano quanto più fortemente potesse. - Badi che le farò male, dottore, lo avvertì ridendo Don Bosco. Vedrà che le farò male. - Ma l'altro, pigliando la cosa in scherzo, gli ripeteva: - Forte... forte! - A un certo punto il dottore, ritirando in fretta la mano, esclamò quasi spaventato: - Oh non pensi a morire! Con tanta forza in corpo lei potrebbe ancora sfidarmi alla lotta. [491]

                Partiti i medici, ecco affacciarsi la maestosa figura del cardinale Alimonda, che, appressatosi, lo abbracciò e baciò teneramente. Don Bosco si tolse il berrettino da notte e disse: - Eminenza, le raccomando che preghi, perchè possa salvare l'anima mia. - Poi soggiunse: - Le raccomando la mia Congregazione. Sia il protettore   dei Salesiani.

                Sua Eminenza, vedendolo piangere, gli faceva coraggio, gli parlava dell'uniformità alla volontà di Dio e gli ricordò che aveva lavorato molto per il Signore. Quindi, accortosi che teneva il berettino in mano, glielo ripose in capo. Don Bosco estremamente commosso gli disse: - Ho fatto sempre quello che ho potuto. Sia di me la santa volontà di Dio.

 - Pochi, osservò allora il Cardinale, possono dire come lei al punto di morte.

- Tempi difficili, Eminenza! lo interruppe Don Bosco. Ho passato tempi difficili.. Ma l'autorità del Papa... l'autorità del Papa... L'ho detto qui a monsignor Cagliero che lo dica al Santo Padre che i Salesiani sono per la difesa dell'autorità del Papa, dovunque lavorino, dovunque si trovino. Si ricordi di dirlo al Santo Padre, Eminenza.

 - Sì, caro Don Bosco, rispose monsignor Cagliero, ritto ai piedi del letto. Lo ricordo. Stia tranquillo che farò la sua commissione al Santo Padre.

 - Ma lei, Don Giovanni, riprese il Cardinale cambiando argomento, non deve temere la morte. Ha raccomandato tante volte agli altri di star preparati!

- Ce ne parlò tante volte! confermò Monsignore. Era anzi il suo tema principale.

 - L'ho detto agli altri, soggiunse tutto umile Don Bosco. Ora ho bisogno che gli altri lo dicano a me.

                Egli volle quindi la benedizione del Cardinale, che nel congedarsi lo riabbracciò e ribaciò con profonda commozione.

                Pochi istanti dopo entrò il suo confessore e condiscepolo Don Giacomelli. Rimasero soli alcuni minuti. Nel frattempo vari Superiori che si erano ritirati nella stanza attigua, ricordavano [492] le profetiche parole del 1885, allorchè a Don Giacomelli gravemente ammalato Don Bosco aveva detto: Sta' allegro, non temere. Non sai che toccherà a te assistere Don Bosco ne' suoi ultimi momenti?[393].

                Il desiderio del Viatico era stato espresso in termini così risoluti, che nessuno volle assumersi la responsabilità di procrastinare; perciò la mattina del 24 si fecero i preparativi per amministrarglielo. Appena avvertito, egli disse a Don Viglietti e a Don Bonetti: - Aiutatemi, aiutatemi voi altri a ricevere Gesù... lo sono confuso... In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.

                La processione, formata da tutto il piccolo clero, e da quanti sacerdoti e chierici poterono prendervi parte, era uscita dalla porta grande della chiesa ed entrata nell'Oratorio per il portone. Don Bosco s'intenerì udendo i canti; ma al veder comparire il Santissimo Sacramento recato da monsignor Cagliero scoppiò in lacrime. Rivestito della stola, sembrava un angelo. Al momento solenne tutti piangevano, molti diedero in singhiozzi. Da quel punto parve prodursi un notevole miglioramento. Non più vomiti, non più affanno; anzi dormì alcune ore, cosa che da parecchio non aveva più fatto.

                Prima di mezzogiorno disse a Don Durando: - T'incarico di ringraziare a nome mio i medici per tutte le cure che con tanta carità mi usarono.

                Verso le diciotto era di nuovo molto agitato; pure, più che a sè, pensava agli altri. Disse al segretario: - Viglietti, non sapevi ancora che cosa fosse vegliare ammalati! - Ogni tanto ripeteva in piemontese: - Non so   più nè che dire nè che fare. - Chiamò Don Rua e gli disse: - Vorrei con Don Viglietti un altro prete presso di   me questa notte. Temo di non arrivare a domani.

                Dopo le venti disse a Don Viglietti: - Guarda sul mio tavolino: c'è un libretto di memorie... Tu sai di quale parlo. [493]

                Procura di prenderlo e darlo poi a Don Bonetti, perchè non vada in mani qualunque. - Era una specie di taccuino, formato con foglietti d'un registro di conti che egli aveva fatto tagliare a macchina, ridurre a quelle proporzioni e legare fortemente. Porta questa intestazione autografa: Memorie dal 1841 al 1884 - 5 - 6 pel Sac. Gio. Bosco a' suoi figliuoli salesiani. Contiene le norme pratiche di condotta da trasmettere al suo successore; noi le abbiamo pubblicate nel capo decimo del volume precedente. Fu scritto nel 1884, allorchè Don Bosco pensava di essere al termine de' suoi giorni; nei due anni successivi fece alcune piccole aggiunte.

                Disse ancora a Don Viglietti: - Fammi anche il piacere di osservare nelle tasche de' miei abiti; vi sono il portafoglio e il portamonete. Credo che non vi sia più niente; ma caso mai vi fosse danaro, consegnalo a Don Rua. Voglio morire in modo che si dica: Don Bosco è morto senza un soldo in tasca.

                Tutte queste manifestazioni impressionarono talmente i Superiori, che monsignor Cagliero volle amministrargli l'Estrema Unzione. Prima però Don Bosco domandò che si chiedesse per lui la benedizione dal Santo Padre; il che fu immediatamente eseguito. Dopo ricevuto quell'ultimo sacramento l'infermo non parlò che di eternità, intercalando qualche avviso. A Monsignore, che stava per scendere a celebrare pontificalmente la Messa di mezzanotte nella chiesa di Maria Ausiliatrice, disse: - Domando una cosa sola al Signore, che possa salvare la povera anima mia. Raccomando di dire a tutti i Salesiani che lavorino con zelo e ardore. Lavoro, lavoro! Adoperatevi sempre indefessamente a salvare le anime. - Quindi prese sonno.

                I giornali cominciarono ad annunziare la sua malattia. L'Unità Cattolica del 24 fu la prima a lanciare la notizia con questo semplice trafiletto: “Col dolore e trepidazione che i nostri lettori possono immaginare, annunziamo che da qualche giorno l'incomparabile nostro Don Giovanni Bosco si è [494] aggravato nella sua malattia, e fortemente ne temiamo l'irreparabile perdita. Lo raccomandiamo alle preghiere dei cattolici, perchè ormai le speranze di un miglioramento sono riposte in Dio solo”. Lette queste righe, la già menzionata contessa di Camburzano scrisse a Don Rua un'accorata lettera, in cui diceva tra l'altro: “Se il Signore onnipotente volesse gradire il sacrifizio della mia inutile vita per l'esistenza sì cara, sì preziosa, sì necessaria di Don Bosco, io ce la offro di gran cuore da questo momento, sicura che pregherebbe per me e mi otterrebbe le misericordie del Signore”.

                A Parigi la voce che Don Bosco fosse moribondo riempiva di dolore molti cuori. Nella libreria dell'editore Josse era un viavai continuo di signore per avere notizie, supponendosi che egli dovesse essere informato di tutto. Ne scrisse tosto a Don Rua le coeur tout boulversé”, supplicandolo avec une véritable anxiété” di rispondergli presto. La risposta giunse pronta, ma egli non ne potè prender visione. In quella vigilia del Natale tornava da confessarsi per fare la comunione alla Messa di mezzanotte, quando, colto da paralisi cardiaca, si spense in un attimo. Egli amava tanto Don Bosco che i familiari mettevano quella causa prossima della sua morte in relazione con il dispiacere causatogli dalla ferale notizia[394].

                Il Gaulois del 23 aveva per primo allarmato gli amici parigini con un articolo intitolato: L'agonie de Don Bosco. La De Combaud, che gli aveva dato sì generosa ospitalità nel 1883, scrisse immediatamente a Don Rua: “Non le posso esprimere la pena che provo. Tutti gl'innumerevoli amici di questo beato Padre sono in preghiera”. Gli domandava quindi “in grazia” che volesse conservarle un oggetto personale di Don Bosco da custodire come reliquia. La medesima [495] richiesta si veniva ripetendo anche da altre persone. Sotto il titolo accennato sopra il Nouvelliste di Lilla propagò la notizia nel nord della Francia. Tosto nella stampa dei vari paesi la malattia di Don Bosco passò all'ordine del giorno; onde telegrammi e lettere fioccavano senza posa, chiedenti informazioni. Molti torinesi si recavano nella sacrestia per sapere qualche cosa di preciso; un registro posto al pian terreno si copriva di firme delle personalità più ragguardevoli. Spuntò il Natale assai meno lieto del solito. L'infermo lo festeggiò nella sua cameretta, ascoltando la Messa dell'alba e ricevendo la santa comunione: due cose che faceva ogni mattina. A mezzogiorno venne a vederlo il canonico Bossi, superiore della Piccola Casa e secondo successore del Cottolengo. Don Bosco, abbastanza sollevato, gli richiamò alla memoria come l'avesse incontrato la prima volta a Castelnuovo ancora giovanetto. Poi, mentre dal cortile saliva il vocio dei ragazzi durante la ricreazione, disse a Don Viglietti: - Caro Viglietti, se andassi anche tu a fare un po' di ricreazione? Non vorrei che ti ammalassi per me. - E poco dopo scherzando: - Viglietti, ingégnati un po' a far mandare tutti i miei mali fra le pietre      della Stura. - Era una reminiscenza delle ore passate quotidianamente nell'estate a Lanzo sulle rive di quel fiume.

                Monsignor Cagliero aveva implorato per l'infermo la bramata benedizione del Santo Padre con un telegramma al cardinale Rampolla. Il Segretario di Stato rispose: “Santo Padre dolente infermità Don Bosco prega per lui e invia implorata benedizione”. Don Bosco ne rimase assai consolato.

                Tre Vescovi erano già accorsi a visitarlo, cioè i monsignori Pulciano da Casale, Manacorda da Fossano e Valfrè di Bonzo da Cuneo; la sera del Natale vennero i due residenti a Torino, monsignor Bertagna e monsignor Leto.

                In quei giorni la piccola fueghina dava prova di una sensibilità che sarebbe bastata a sfatare i giudizi avventati di qualche scienziato sull'assoluta inferiorità degl'indigeni della [496] Terra del Fuoco. La poverina non sapeva darsi pace che Don Bosco fosse così ammalato e correva spesso dalla Direttrice per domandarle com'egli stesse. Chiunque incontrasse, esclamava con infantile ingenuità: - Don Bosco è ammalato! Ogni tanto entrava in cappella a pregare davanti a Gesù Sacramentato per la sua guarigione.

                Ma quell'effimero miglioramento cessò di botto la notte sul 26; il che allarmò per alcune ore gli assistenti. Udita quindi la Messa e fatta la comunione, si mise a disposizione dei medici, radunatisi per un nuovo consulto. Disse a Don Viglietti: Videamus, quantum valeat scientia ac peritia trium medicorum. Il risultato fu più rassicurante che non si fosse temuto.

                Ricordino i lettori quel tal Tomatis ex - allievo, invitato da Don Bosco all'Oratorio col figlio per le feste di Natale. Era venuto difatti, menando anche il fanciullo. Dopo il consulto potè entrare dall'infermo per prendere congedo. Gettatosi in ginocchio vicino al letto, il vecchio discepolo, quasi estatico, non fu capace di dire altro che: - Oh Don Bosco! oh Don Bosco! - Ma nell'accento si sentiva tutta l'anima. Il Santo, alzata la mano, benedisse padre e figlio; poi sollevò lo sguardo in alto, facendo intendere che andava ad aspettarli nel cielo. Usciti che furono, chiamò a sè Don Rua e gli disse con un filo di voce: - Sai che è di scarsa fortuna. Paga   loro il viaggio a mio nome.

                Il cardinale Alimonda doveva recarsi prossimamente a Roma per il giubileo papale; ma non ebbe cuore di allontanarsi da Torino senza rivedere Don Bosco. I medici, avendo prescritto all'infermo il perfetto silenzio, avevano pure ordinato che non si permettessero visite nemmeno di persone della casa; per questo il Cardinale, essendo tornato una seconda volta, si era rassegnato al doloroso sacrifizio di non più vederlo e parlargli, limitandosi a chiedere notizie senz'ascendere le scale. Ma allora infranse la consegna. Appena scorse sul suo viso gli effetti del male, non potè frenare il pianto. Lo abbracciò e baciò due volte e infine lo benedisse. [497]

                Di li a poco venne introdotta la Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, giunta da Nizza con una delle assistenti per vederlo. Don Bosco diede loro la benedizione, indicando che la estendeva a tutte le case e a tutte le consorelle. - Salvate molte anime, - disse salutandole.

                Con la data del 26 Don Rua fece ai Salesiani la prima comunicazione ufficiale sulla salute di Don Bosco. La sua breve circolare si chiudeva con queste parole: “Le nostre speranze sono riposte in Dio ed in Maria SS. Ausiliatrice. Nell'Oratorio, come in molte altre case, si fa a tal uopo adorazione continua del SS. Sacramento. Preghiamo!... Preghiamo!... Preghiamo!!...”.

                La festa di S. Giovanni Evangelista venne ad aggiungere sofferenze a sofferenze. Erasi reso necessario, secondo la frase del diarista, “operare attorno a lui”, certo per rigovernarne la persona. L'organismo logoro e disfatto mal si prestava ai movimenti richiesti dall'operazione. Assistevano col medico solamente Don Bonetti e Don Viglietti. Il paziente teneva la testa appoggiata al petto di quest'ultimo. Lo voltolarono e rivoltolarono tanto, che alla fine non ne poteva proprio più.

                Ma non era tutto terminato il suo travaglio. Si trattava ancora di fargli mutare letto. Furono chiamati Don Rua, Don Belmonte e Don Leveratto. Mentr'essi ragionavano col dottore Albertotti sul modo di trasportarlo con minore suo disagio, egli disse a Don Belmonte in tono faceto: - Bisogna fare così: attaccarmi una corda al collo e tirarmi dall'uno all'altro letto. - Che faccenda quel trasporto! Don Rua cadde sul nuovo letto proprio sotto Don Bosco. Don Viglietti sostenne Don Bosco, perchè Don Rua si togliesse di là. Il povero sofferente, sempre eroicamente tranquillo, rideva. Quando si trovò a posto, chiese chi fossero coloro che l'avevano trasportato, e li ringraziò un per uno. Saputo poi che il nuovo letto, in cui l'avevano messo, era quello di Don Viglietti, solito a dormire in una camera attigua, s'impensierì subito per lui dicendogli: - E tu, Viglietti, dove dormirai stanotte? [498] Esigenze igieniche obbligarono poi a ripetere quasi quotidianamente il movimento di quel trasporto. Egli soffriva già tanto allorchè gli si accomodavano i guanciali o gli si tirava un po' più su la persona; figuriamoci per simili spostamenti! Egli per altro non lasciava di scherzare. Interrogato una volta se gli si fosse fatto male: - Oh certo, rispose, non mi fai bene.

                Ci voleva un letto più comodo del suo, che mal si prestava a trarnelo fuori e a rimettervelo. Don Rua ne mandò a comperare uno nel mercato di Porta Palazzo, dove se ne trovavano sempre esposti in vendita; ma quella volta non ce n'era nessuno. Allora fu che gli si sostituì quello che in una camera poco distante era servito a Don Deppert e sul quale il Servo di Dio, secondochè sembrava aver predetto, doveva morire[395].

                Verso sera gli fece visita il nuovo direttore dell'Unità Cattolica, Don Domenico Tinetti, al quale egli con voce fioca e formando a stento le parole, disse: - Come in passato, le raccomando la Congregazione   Salesiana e le nostre Missioni. Noi saremo sempre amici fino al Paradiso. - Il degno successore del Margotti nel numero del 29 descrive così l'infermo: “Il suo viso, che nulla ha perduto della calma e serenità abituale; il suo sguardo, al solito, dolce, vivace e pieno di soave espressione; il colore perfettamente lo stesso di prima; l'intelligenza piena, perfetta e, diremmo, sfavillante, fanno singolare contrasto colla debolezza in che lo si vede prostrato e col filo di voce che debole e a stento esce dalle sue labbra”.

                Spicchiamo alcuni periodi da una delle lettere indirizzate a Don Bosco o ad altri dell'Oratorio con la data del 27 dicembre. È una signora Natalia Cornet che scrive al Santo da Montluçon: “In grazia sua, Reverendo Padre, io ho potuto superare tutti i miei infortuni e fra difficoltà d'ogni maniera ho potuto allevare i miei sette figli nel timore di Dio [499] e nell'amore del prossimo. Molto di frequente ho levato lo sguardo sul suo ritratto che tengo nel mio oratorio, e nei momenti disperati mi pareva di sentire Lei a dirmi: - Coraggio, cara figliuola, il Signore affligge coloro che lo amano. - Sì, Reverendo Padre, Ella mi ha insegnato ad amare Maria Ausiliatrice, la grande Consolatrice della sua santa vita, e ne la ringrazio, Reverendo Padre, Ella mi ha insegnato a essere forte nella prova”.

                Reiteratamente or l'uno or l'altro dei Superiori invitavano Don Bosco a pregare per ottenere la guarigione; ma egli non acconsentì mai. La sua risposta era sempre la stessa: - Sia di me la santa volontà di Dio. - Anzi, mentre ripeteva giaculatorie suggeritegli, quando taluno tentò di fargli dire: Maria Ausiliatrice, fatemi guarire, egli si tacque.

                Il bollettino sanitario di Don Bosco compariva regolarmente in molti giornali italiani e stranieri, talora accompagnato da articoli intorno alla sua persona e alle sue opere. I corrispondenti si mescolavano con la folla che in certe ore assediava la casa per aver notizie. Dai più remoti paesi - si annunziavano straordinarie preghiere pubbliche e private; specialmente le comunità religiose facevano violenza al Cielo per istrappare la grazia. In tante famiglie di Cooperatori si piangeva e si pregava. La mattina del 28 accadde un bell'episodio. La contessa Salino, entrata in porteria, domandò le ultime particolarità. Le si diede a leggere l'Unità Cattolica del giorno avanti, la quale accennava a un leggerissimo miglioramento. Fuori di sè dalla contentezza, la nobile signora trasse di tasca il portamonete e lo mise nelle mani del portiere, pregandolo di dire a Don Bosco che guarisse presto e accettasse l'offerta di quei pochi soldi. Ne furono cavati venti marenghi d'oro.

                Il conte Prospero Balbo e suo figlio Cesare ottennero di vedere l'infermo con la contessa Callori. Questa, appressatasi al letto, s'inginocchiò, chiese la benedizione e poi uscì subito, perchè non poteva più reggere dalla commozione. Donna forte, [500] benefattrice antica, costante e generosa, ha il suo nome ben raccomandato ai Salesiani in molti dei volumi, di che si compongono le Memorie biografiche di S. Giovanni Bosco.

                Il Servo di Dio insisteva ogni tanto presso i medici perchè gli dicessero chiaramente la verità sul suo stato, e per incoraggiarli a parlare soggiungeva: - Sappiano che non temo nulla. Sono tranquillo e disposto. - Del resto egli non s'illudeva punto. Don Albera, arrivato da Marsiglia, gli aveva detto: - È la terza volta, o Don Bosco, che giunge alle porte dell'eternità, e poi ritorna indietro per le preghiere de' suoi figli. Sono certo che così accadrà anche questa volta. - Rispose: - Questa volta non' ritorno più.

                Si presentò a Don Durando un corrispondente del Figaro, il signor Saint - Genest, manifestandogli il desiderio di vedere Don Bosco. Accolto con affabilità, venne da lui accompagnato nell'anticamera, dove si trovavano i dottori Albertotti e Fissore. Quest'ultimo a un'interrogazione del giornalista rispose: Don Bosco è spedito nè abbiamo più speranza di salvarlo. È affetto da malattia cardiopolmonare; ha lesioni al fegato con complicazioni al midollo spinale, il che genera paralisi negli arti inferiori. Non può parlare. Reni e polmoni funzionano male. - Interrogato a che si dovesse attribuire la malattia, spiegò: - A nessuna causa diretta. È il risultato di una debolezza generale, di una vita logorata da lavoro incessante, non scevro di continue inquietudini. Don Bosco si è consumato per troppo lavoro. Non muore di malattia, ma è un lucignolo che si spegne per mancanza d'olio. - Ciò detto, entrò col suo collega dall'infermo, seguendo Don Durando, che lasciò la porta semiaperta, perchè il forestiero potesse vedere.

                Terminata la visita dei sanitari, Don Durando venne a dirgli che Don Bosco, udito che vi era il rappresentante del giornale parigino, desiderava ringraziarlo della benevolenza sempre dimostrata per le sue opere. Allora il dottor Fissore lo fece entrare, ma ingiungendogli di non far parlare l'ammalato. [501] Nella sua relazione al giornale lo scrittore terminava così: “Don Bosco stava disteso in un modesto letticciuolo di ferro e in una camera che può dirsi cella monacale. Il suo viso dolce e angelico si sforzava di sorridere, i suoi occhi mi fissavano con tenerezza; mi stese con pena e lentamente la mano e strinse la mia. Le sue labbra si muovevano come se volesse dirigermi la parola. Io mi chinai, applicai l'orecchio alla sua bocca e intesi come un soffio che diceva: - Grazie della vostra visita. Pregate per me. - Oh il sant'uomo! Nella sua umiltà egli mi diceva di pregare per lui! Sa bene che non ha più nulla da sperare; pure è sempre amorevole e rassegnato e attende la morte con la massima tranquillità”.

                 I medici segnalarono maggior intermittenza di polso, maggior debolezza di voce e scopersero anche maggior quantità di albumina, indizio non fallace di celere deperimento delle forze vitali; aggiunsero tuttavia che tali effetti potevano anche in tutto o in parte scemare, lasciando luogo a migliore pronostico[396]. Rinnovarono la rigorosa proibizione di ammettere chicchessia a fargli visita, eccetto coloro che gli erano frequentemente vicini e non potevano perciò cagionargli impressione di novità[397].

                In giornata Don Rua diramò alle case un laconico e piuttosto blando comunicato, esortando a pregare con viva fede.

                Sbigottimento, cordoglio, fiducia in Dio e nella Vergine Ausiliatrice sono i tre sentimenti che si alternavano in lettere sempre più numerose, man mano che i giornali diffondevano la notizia del grave stato di Don Bosco. Il Corriere Nazionale di Torino del 28 scriveva: “Non poche anime innocenti e di grande virtù fanno voti così ardenti da offrire a Dio chi parte e chi tutta la propria vita per ottenerne alcun poco di più all'amico sincero, al padre tenerissimo della gioventù, per il cui benessere si è tutto consumato”. E il Cittadino di Genova dello stesso giorno: “Difficilmente si hanno [502] casi di malattia che suscitino tanta trepidazione, e giustamente, giacchè Don Bosco colle virtù seppe guadagnarsi la stima e l'affetto di tutti e gode una fama mondiale”.

                Passò il 29 in un assopimento quasi continuo, interrotto però di tratto in tratto da alcuni minuti di risveglio. In uno di tali intervalli Don Bonetti gli chiese un ricordo per le Figlie di Maria Ausiliatrice. Rispose: - Ubbidienza. Praticarla e farla praticare.

                Di altri istanti simili si profittò per proporgli due questioni. Si aveva per comunicazione con i Cappuccini il privilegio, chiamiamolo così, che un socio non potesse confessarsi se non da un altro socio. Desiderandosi conoscere il suo parere, egli fece capire che preferiva rifiutarlo. In secondo luogo si voleva sapere se il Rettor Maggiore dovesse ingerirsi nell'elezione della Superiora Generale delle Suore; sembrò che egli fosse per il sì.

                Sull'imbrunire fece chiamare Don Rua e monsignor Cagliero e raccogliendo le poche forze che aveva disse per loro e per tutti i Salesiani: - Aggiustate tutti i vostri affari. Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi, aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli. L'aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice non vi mancherà. Raccomandate a tutti la mia salvezza eterna e pregate. Alter alterius onera portate... Exemplum bonorum operum... Benedico le case d'America, Don Costamagna, Don Lasagna, Don Fagnano, Don Tomatis, Don Rabagliati, monsignor Lacerda e quelli del Brasile; monsignor Arcivescovo di Buenos Aires e monsignor Espinosa; Quito, Londra e Trento. Benedico S. Nicolas e tutti i nostri buoni Cooperatori italiani e le loro famiglie; mi ricorderò sempre del bene che hanno fatto alle nostre Missioni. - Infine ripetè ancora: - Promettetemi di amarvi come fratelli... Raccomandate la frequente comunione e la divozione a Maria Santissima Ausiliatrice.

                Riguardo a queste ultime parole Don Rua scrisse nella sua terza circolare del 30: “Ieri sera in un momento in cui poteva parlare con minor difficoltà, mentre eravamo attorno al [503] suo letto Mons. Cagliero, Don Bonetti ed io, disse fra l'altre cose: Raccomando ai Salesiani la divozione a Maria Ausiliatrice e la frequente Comunione. Io soggiunsi allora: - Questa potrebbe servir per strenna del nuovo anno da mandarsi a tutte le nostre Case. - Egli riprese: - Questo sia per tutta la vita... - Poi acconsentì che servisse anche di strenna”.

                Verso le venti del 29 monsignor Cagliero gl'impartì la benedizione papale; ma prima egli aveva voluto che Monsignore recitasse ad alta voce l'atto di contrizione, accompagnato da lui con la mente. Poi gli disse: - Propagate la divozione a Maria Santissima nella Terra del Fuoco. Se sapeste quante anime Maria Ausiliatrice vuol guadagnare al Cielo per mezzo dei Salesiani!

                Continuava l'assopimento. A notte avanzata si svegliò molto più tranquillo e sereno. Domandò da bere, che gli si dovette negare per i troppo frequenti vomiti. Allora disse: - Aquam nostram pretio bibimus. Bisogna imparare a vivere e a morire; l'una cosa e l'altra.

                La mattina del 30 Don Cerruti, visitandolo, gli disse che la baronessa Cataldi, una delle maggiori benefattrici genovesi, era stata all'ospizio di Sampierdarena per portare l'offerta di quattrocento lire e raccomandare che si pregasse, si pregasse per la guarigione di Don Bosco. Soggiunse averla egli ringraziata a suo nome, partecipandole la benedizione che le mandava dal suo letto. - Sì, la benedico, rispose commosso.

                L'economo generale Don Sala, che era tornato a Roma, fu richiamato telegraficamente e giunse a tarda sera. Don Bosco, appena lo seppe, chiese a Don Lemoyne con ansietà che notizie portasse. Le notizie non erano belle. Don Lemoyne, imbarazzato, aggiustò la risposta in modo che Don Bosco si dispose ad aspettare che Don Sala stesso gliele comunicasse. Il caro Don Bosco aveva sperato sempre e ripetuto più volte che non avrebbe lasciato debiti a' suoi figli; invece le passività per la chiesa del Sacro Cuore duravano [504] schiaccianti. È pur sempre un'umiliazione per l'amor proprio il lasciare debiti, quando si parte da un luogo o addirittura dal mondo. Dio permise che il suo servo avesse anche quella croce.

                Di una buona notizia almeno era latore Don Sala. Al conte Vespignani, architetto della chiesa, secondo i patti del cinque per cento, si sarebbero dovute sborsare centocinquantamila lire. Somma enorme per la Congregazione, massime in quelle strettezze! Don Sala quindi lo pregò di non voler stare rigidamente al suo diritto. Il Conte rimise a lui la determinazione della somma per il suo onorario. L'economo gli lasciò capire che la sua proposta sarebbe stata troppo inferiore al debito. - Dica e vedremo, - rispose quegli. Don Sala propose che, messi a scomputo gli acconti già versati, accettasse soltanto ventimila lire. - Per Don Bosco, accetto, replicò generosamente il nobile uomo.

                Don Bosco riconobbe subito Don Sala, appena lo vide, sebbene la camera fosse sommersa in una penombra. Sembra per altro che non si parlasse d'affari, perchè Don Viglietti nel diario scrive semplicemente che Don Bosco lo prese per mano e gli domandò sue notizie. Don Sala fu pronto a dirgli che i suoi figli di Roma pregavano per lui e che il cardinale Parocchi, molto dolente della malattia, gli mandava la sua benedizione. Don Bosco lo ringraziò e a intervalli e con istento gli disse: - Guarda di provvedere tutto per seppellirmi, sai; altrimenti aggiústati, mi farò portare nella tua camera. Per quanto riguarda l'ordine materiale della casa di Roma, procura di tener bene informato Don Rua.

- Lo farò. Ed ora sono qui tutto a sua disposizione e se potrò esserle utile in qualche servizio, sarà per me una fortuna.

- Si, mi farai piacere, massime quando ho bisogno di essere trasportato di letto, anche per sollevare chi mi assiste; da quando mi posi in letto, volle sempre essermi accanto tutti i giorni e venire di tempo in tempo a vedermi anche di notte. [505] Da quel momento fino al decesso Don Sala, dì e notte, andava ogni tanto da lui ora per trasportarlo, ora per assisterlo. Alto e nerboruto, lo faceva soffrire meno di prima nel tramutarlo da un letto all'altro.

                Egli diede ai confratelli notizie di Roma. Principi romani, Vescovi e Cardinali andavano continuamente a chiedere notizie di Don Bosco. Lo stesso Santo Padre mandava ogni giorno a domandare. Del medesimo interessamento scrivevano i confratelli da varie case. A Barcellona per contentare tutti quelli che volevano nuove, si erano dovuti fissare tre centri d'informazioni; a Parigi la malattia di Don Bosco fece conoscere più largamente la casa di Ménilmontant.

                Don Rua a certe persone di maggior confidenza mandava le circolari scritte per i Salesiani, come, per esempio, al padre Picard, superiore degli Assunzionisti e proprietario della Croix. Questo vero amico di Don Bosco gli rispondeva il 30 dicembre: “Noi partecipiamo alle loro angosce e preghiamo con loro nelle attuali dolorose circostanze. Il loro venerato e santo Fondatore deve guardar con amore al termine delle sue fatiche. Io spero tuttavia che il Signore esaudirà le preghiere d'innumerevoli anime, a cui egli ha fatto del bene e che tutte gridano al Cielo per ottenerne la guarigione. Grazie, carissimo padre, d'avermi voluto trattare da amico, inviandomi le particolari informazioni da Lei indirizzate ai membri della loro cara Congregazione. Le sarò molto grato, se continuerà a farlo, perchè sa bene che noi siamo loro uniti da lunga data e tutto quello che interessa Don Bosco, interessa noi. Tutta la nostra Congregazione prega con la loro e confida nelle preghiere del nostro caro e venerato Don Bosco”.

                Il timore che Don Bosco venisse presto a morire, indusse i Superiori a preparargli senza indugio il sepolcro nel sotterraneo sotto l'altare di Maria Ausiliatrice; poichè, qualora fosse accordata la licenza di ivi tumularlo, sarebbe stato impossibile costruire il loculo nel breve spazio di tempo fra il decesso e il termine stabilito dalla legge per il seppellimento. [506] Don Bosco aveva già espresso il suo desiderio in questo senso. Don Sala dunque fece eseguire subito il lavoro. Intanto il Procuratore Generale, conforme a ordini ricevuti dall'Oratorio, si presentò al senatore Correnti, segretario dell'Ordine Mauriziano, pregandolo di intercedere presso Crispi, presidente del Consiglio, per ottenere quest'autorizzazione. Il Correnti all'udire che Don Bosco stava tanto male, si mise a piangere, poichè lo amava molto[398]; promise ogni suo appoggio; disse che l'Oratorio si rivolgesse pure a lui in qualsiasi circostanza; ma esortò a non far nulla che avesse parvenza di venerazione come ad un santo nell'atto della sepoltura, potendo questo recare pregiudizio, perchè nelle sfere governative e liberali si sarebbe interpretato quello come una manovra del partito clericale. Le cose poi presero un'altra piega, come vedremo.

                Il consiglio del Correnti era segno dei tempi; la politica inveleniva e incanagliava gli uomini di partito. I giornali liberali non risparmiavano neppure il grande infermo. “Il mondo nero torinese è tutto sottosopra, temendo una imminente catastrofe” , si leggeva in una corrispondenza del 28 da Torino sul Secolo XIX di Genova; al che seguiva un'insinuazione ributtante sulla causa del male. Anche la crispina Riforma ne annunziava la prossima fine con una frase delle più volgari.

                Durante i funerei preparativi che abbiamo detto, ecco brillare all'improvviso un raggio di sole che aperse gli animi alla speranza. L'ultimo dell'anno parve proprio che le preghiere innalzate al Cielo da tante migliaia di cuori avessero piegato la bontà di Dio; infatti i medici riscontrarono un notevole miglioramento senza più verun sintomo che giustificasse il timore di un prossimo pericolo. “Sia benedetto Iddio, scrisse l'Unità Cattolica del I° gennaio, che ci favori questa consolazione allo spirare dell'anno 1887 e al nascere del 1888”.

 

 

CAPO XXIII

Venti giorni di benigna tregua.

 

                IL 1888 si apriva con l'inizio dei feggiamenti in onore di Leone XIII per il suo giubileo sacerdotale, festeggiamenti a' cui partecipava il mondo intero con un trasporto di fede e di amore forse unico fino allora nella storia del Papato. In mezzo a sì generale e santa letizia la bontà di Dio aveva mandato un capo d'anno ben dolce ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice e ai Cooperatori, allontanando la falce della morte che sembrava sul punto di recidere la preziosa esistenza del loro amato Padre. Alle manifestazioni di dolore dei giorni precedenti sottentrarono espressioni di gioia con auguri che il miglioramento avesse a durare e con promesse di continuate preghiere. Una signora scriveva dal Principato di Monaco protestandosi disposta a dare per questo scopo la propria vita. E Don Rigoli: “Se Dio vuole anche la mia vita per quella di Don Bosco, gliela offro con tutta l'umiltà del cuore”.

                La fiducia poi nell'efficacia delle sue orazioni non aveva limiti. Chi chiedeva a Don Rua cose di Don Bosco come reliquie, chi lo supplicava di far toccare all'infermo lettere contenenti particolari intenzioni o almeno di posargliele alquanto sul letto, chi riferiva di grazie attribuite alla sua intercessione. Una nobile Cooperatrice francese gli scrisse il 4 gennaio: “Proprio dal fondo della Francia, nel mio oscuro [508] villaggio, i fogli pubblici mi recarono nel giorno di Natale la notizia della sua malattia. Tale notizia mi offuscò la bellezza della festa. L'altro giorno stavo come in vedetta per sapere se Maria Ausiliatrice non intervenisse in favore del suo servo, e ieri, grazie a Dio, ho appreso che ogni pericolo era scomparso e la mia anima ne provò vivissima gioia. Non avevo osato scrivere io meschina e rassegnata, pensando che la mia lettera sarebbe passata inosservata in cotesto grandioso ambiente che prega e supplica per il Padre. Ma oggi non mi so più trattenere e domando una parola, una paroletta sola che mi rassicuri interamente il cuore e mi alimenti la speranza che colui il quale ha avuto tanta pietà di me con le sue preghiere, continui a vivere per il bene di tutti. Non ardisco dire che ho pregato per lui ogni giorno, essendo sì poca cosa le mie preghiere, che è gran superbia il parlarne; ma l'ho fatto e lo fo ancora. Dio conservi questo buon Padre e io possa dire a me stessa nella mia straordinaria tribolazione: - Don Bosco lo sa e prega per te. - Certo è egoistico il sentimento che per mezzo delle preghiere sembra ritardare a Lei l'ora della ricompensa; ma perchè Ella è così sensibile alle nostre miserie? perchè le vuole consolare tutte? La mia sofferenza materiale che non cessa, anzi cresce, mi torna sempre più sopportabile, sapendo che Ella vi prende parte”. Tutti scrivendo usavano a suo riguardo i termini della più squisita delicatezza. Fu insomma un plebiscito mondiale di affetto e di venerazione che per un semplice prete possiamo ben dire senza esempio.

                Intanto il Bollettino Salesiano di gennaio pubblicava la solita lettera ai Cooperatori con il resoconto delle opere compiute nel 1887 e con l'esposizione di quelle ideate per il 1888. Di Don Bosco vi erano solamente oltre alla firma quattro pensieri da lui stesso dettati e distinti da tutto il resto con il carattere corsivo. Alla lettera seguivano sommarie e precise informazioni sulla salute del Santo. I pensieri anzidetti sono questi. [509]

I° Se vogliamo far prosperare i nostri interessi spirituali e materiali, procuriamo anzitutto di far prosperare gl'interessi di Dio, e promoviamo il bene spirituale e morale del nostro prossimo col mezzo della limosina.

                2° Se volete ottenere più facilmente qualche grazia, fate voi la grazia, ossia la limosina, agli altri, prima che Dio o la Vergine la facciano a voi.

                3° Colle Opere di carità ci chiudiamo le porte dell'inferno e ci apriamo il Paradiso.

                4° Raccomando alla vostra carità tutte le opere che Iddio si è degnato affidarmi nel corso di quasi cinquant'anni; vi raccomando la cristiana educazione della gioventù, le vocazioni allo stato ecclesiastico e le missioni estere; ma in modo affatto particolare vi raccomando la cura dei giovani poveri ed abbandonati, che furono sempre la porzione più cara al mio cuore in terra e che pei meriti di Nostro Signore Gesù Cristo spero saranno la mia corona e il mio gaudio in cielo.

 

                Fulminea giunse nel capo d'anno la notizia che il conte Colle era passato all'eternità; il mal di cuore che più del solito lo travagliava fin dall'estate, l'aveva sopraffatto e spento. Molta cautela ci volle per parlarne all'infermo, che tanto lo amava. Gliene parlò al momento opportuno Don Rua, che spesso in quei giorni Don Bosco chiamava a sè, trattenendolo da solo a solo in confidenziali colloqui. L'impareggiabile benefattore si era fatto presente ancora una volta il 18 dicembre. Avendo promesso da tempo di contribuire all'acquisto delle campane per la chiesa del Sacro Cuore, come seppe delle iscrizioni' apposte, e lo seppe con grande ritardo, non rammentava più la somma, convenuta; onde lo pregava di ridirgliela[399].

                In occasione dei funerali capitò un casetto alquanto strano. Un giornale di Tolone annunziò insieme con la morte del Conte Colle anche la morte di Don Bosco. L'ispettore francese Don Albera, che si trovava in quella città, dolorosamente colpito dall'inaspettata notizia, volò a chiedere spiegazioni. Il redattore gli rispose: - Tutti sanno che il Conte e Don Bosco erano amicissimi. Nei giorni passati Don Bosco [510] era agli estremi. Sembrò a me bella idea e felice spunto per un bell'articolo l'annunziare che erano morti insieme.

                Il 3 gennaio, visto che il miglioramento principiato il 31 dicembre progrediva, monsignor Cagliero chiese a Don Bosco licenza di recarsi a Nizza Monferrato per una cerimonia di vestizioni religiose presso le Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco sorridendo rispose: - Va' pure, e benedici da parte mia quella comunità. Ma ritornerai? - Voleva dire se sarebbe ritornato dopo la funzione, senza recarsi altrove. Dei primari Superiori sentiva molto la lontananza anche momentanea dall'Oratorio. Il senso dell'isolamento suol essere assai penoso nei malati, specialmente se già innanzi negli anni.

                Che Don Bosco sperasse di scamparla, non si può neppure lontanamente supporre. Infatti quella sera, dopo che fu tramutato di letto, disse al segretario: - Sei Don Viglietti?

 - Sì, rispose, sono Don Viglietti.

- Ebbene, caro Viglietti, sai perchè quando, vari anni fa, partiva monsignor Cagliero per l'America, io non voleva lasciarti andare con lui?

 - Sì, adesso lo intendo.

- Bene, l'intendi e lo vedi... Te lo dissi, lo ricordi? Sei tu che devi chiudermi gli occhi.

                Neanche Don Rua si abbandonava all'ottimismo di altri; ce lo fa argomentare il canto linguaggio da lui usato in questo bollettino redatto il 2 gennaio per i Salesiani, le Suore ed i Cooperatori “La grave infermità dell'amatissimo nostro Padre non va peggiorando, ma il miglioramento è tuttavia assai lento. Il pericolo prossimo di morte pare scongiurato. Egli augura e prega da Dio a tutti per l'anno testè incominciato salute spirituale e corporale, per poter progredire nella virtù, cui si deve attendere. Infine, non temendosi più per ora cose allarmanti sull'infermità del nostro caro Don Bosco, mi riserbo a scrivervi il suo bollettino sanitario solo in quei giorni, in cui avrò novità rilevanti. Non cessate di pregare”.

                In una particolare circostanza parve che il Signore ascoltasse [511] la preghiera del suo servo. Furono raccomandati a Don Bosco dal collegio di Alassio un giovane pressochè moribondo e un chierico malato di pleurite. A chi gli recò l'ambasciata egli rispose: - Mah! Sono io che adesso ho bisogno delle preghiere degli altri. - Non era nè la prima nè la seconda volta che in casi simili dava simile risposta. Però giovane e chierico guarirono.

                La qualità di ex - allievo era sempre un titolo di prim'ordine alla sua particolare amorevolezza. Il dottor Bestenti, già alunno dell'Oratorio e allora impiegato nell'ufficio d'Igiene presso il Municipio di Torino, per l'affetto che portava al caro Padre, prendeva parte molto volentieri a consulti medici tenuti per lui. Trovatosi una volta solo nella sua camera, Don Bosco lo interrogò: - Ebbene, dimmi, il tuo ufficio di medico al Municipio ti dà da vivere?

 - Sì, abbastanza, rispose.

- E ora che cosa pensi?

 - Vado cercando una compagna.

- Ed io pregherò per te, conchiuse Don Bosco, che gli dimostrò ogni volta la più grande affezione.

                In certi momenti le facoltà mentali gli si annebbiavano. Così il 6 gennaio disse a Don Viglietti: - Sarà bene che tu dica a Don Rua che mi stia attento. Mi sento un po' meglio, ma la mia testa non sa più nulla. Non ricordo se sia mattino o sera, che anno o che giorno sia, se sia festa o dì feriale... Non so orizzontarmi... Non so dove mi trovi. Appena conosco le persone... Non ricordo le circostanze... Mi pare di pregare sempre, ma non lo so di certo... Aiutatemi voi.

                Era opinione generale che il suo miglioramento fosse dovuto a grazia speciale per le infinite preghiere che si facevano. I suoi assistenti non credevano ai propri occhi il 7 gennaio, vedendolo prendere pan trito, un uovo e poi il caffè. Prima del cibo si tolse il berrettino, si segnò e disse la preghiera piangendo. Si temeva forte che quella roba potesse fargli male; invece ritenne tutto. Quindi con sorprendente vivacità prese [512] a domandare nuove di mille cose. Volle sapere notizie di Roma, del Papa, delle feste giubilari, della politica di Bismark e di Crispi; poi chiese novelle dell'Oratorio e volle parlare con alcuni chierici, fra cui Vesta e Dones. Da un pezzo non si era trovato più così bene.

                Verso le diciotto mandò a Don Lemoyne un messaggio dicendo: - Viglietti, procura di farti spiegare questo da Don Lemoyne. Come si può spiegare che una persona, dopo ventun giorni di letto[400], quasi senza mangiare, colla mente indebolita all'estremo, ad un tratto sia ritornato in sè, percepisca ogni cosa e si senta in forze e quasi capace di alzarsi, scrivere, lavorare? Sì, mi sento sano in questi momenti, come se non fossi mai stato ammalato. Il resto te lo dirò poi io. È un abisso che neppur io so comprendere. A chi domandasse il come, gli si può rispondere così: Quod Deus imperio, tu prece, Virgo, potes... E questi segreti restano segreti fino alla tomba.

                Don Viglietti lo stringeva a svelargli il mistero ripetendo: - A noi almeno lo dirà.

- Ma no, gli rispose. Qui bisogna fermarci; del resto svanisce il pensiero del soprannaturale. Ciò che importa è l'intervento di Dio nelle cose; il modo puoi lasciarlo. Carlo, questo non è ancora il mio momento. Potrebbe essere fra poco; ora no.

                Checchè se ne voglia pensare, è indubitato che quella sosta insperata della malattia gli diè la possibilità di sistemare molti affari, d'impartire istruzioni per l'ordinamento materiale dell'Oratorio, di prendere decisioni sul personale di qualche casa. Talora, scuotendosi dallo stato di sopore, segnalava pratiche da iniziare, provvedimenti da prendere, disposizioni legali cadute di memoria a chi doveva eseguire. I medici stessi non nascondevano la loro meraviglia al vedere come conservasse tanta attività e lucidità di mente.

                Da Roma il cardinale Alimonda, che già gli aveva ottenuto [513] dal Santo Padre una seconda benedizione dopo quella di monsignor Cagliero, non capendo più in sè della gioia al sentirlo cotanto migliorato, gli scrisse:

 

                                Carissimo Don Bosco,

 

                Le mando i miei vivi rallegramenti per lo stato della sua salute che volge in meglio. Umili e fervorose preghiere vennero da tutte le parti, massimamente dai suoi figli Salesiani, innalzate al Signore per ottenere tal grazia; ed ora ci troviamo contenti che Dio e la Beata Vergine Ausiliatrice ci hanno esauditi.

                Non può immaginare, venerat.mo Don Giovanni, quale e quanta parte prenda Roma Cattolica a riguardo di V. S. molto Reverenda. Cardinali, Arcivescovi, Signori e Signore, tutti, posso dire, mi domandano ansiosamente le notizie di Lei; sanno che io venni da Torino, mi suppongono perfettamente informato di tutto, e vogliono che io gli ragguagli di Don Bosco. Lo stesso Santo Padre nell'atto solenne del ricevimento dei pellegrini, in quel momento in che io gli presentai l'obolo dell'Arcidiocesi, la parola che mi rivolse con gran premura fu questa: Don Bosco come sta? E s'intende che le rinnova un'altra volta l'apostolica benedizione.

                Sia ringraziato Dio che non lascia star negletti i suoi servi, ma li vuole in tutta la Chiesa amati, riveriti e benedetti.

                Feci già una visita alla chiesa del Sacro Cuore che mi piacque molto; ma vi tornerò con più comodo ed esaminerò ogni cosa meglio.

                Mi raccomando alle fervorose preghiere di Lei, Don Giovanni Carissimo, e dei suoi benemeriti figli di Torino. E nella fiducia di riabbracciarla guarita e con belle forze ricuperate, me le professo

 

                Roma, 7 gennaio 1888.

 

Servo e Amico in Gesù Cristo

GAETANO Card. ALIMONDA, Arciv.

 

                Abbiamo detto altrove della vista fattagli dal Duca di Norfolk l'8 gennaio nel recarsi a Roma come inviato speciale, della Regina Vittoria per complimentare il Papa nel suo giubileo. Quel grande gentiluomo e grandissimo cristiano stette circa mezz'ora inginocchiato presso il suo letto. Accettò commissioni per il Santo Padre, discorse della nuova casa di Londra, insistette perchè la si modellasse sull'Oratorio di Torino, parlò di cose concernenti la sua patria e delle Missioni in Cina. Don Bosco disse una parola in favore dell'Irlanda. [514]

                Finalmente il Duca lo pregò di benedirlo e partì. Cinque giorni dopo Don Bosco gli fece scrivere oppure gli scrisse a Roma, raccomandandogli la chiesa del Sacro Cuore[401]. La stessa raccomandazione rivolse a Don Augusto Czartoryski, sceso da Valsalice a visitarlo. Che cosa abbia fatto il primo, non si è finora potuto sapere; sappiamo invece che l'altro, ossequente al desiderio del Santo, potè procurarsi nell'anno duecento mila lire per quello scopo[402].

                Profittando della presenza del cardinale Alimonda a Roma, incaricò Don Rua di stendere una supplica al Santo Padre per un sussidio e di umiliargliela a mezzo di Sua Eminenza. Ma il Cardinale consigliò di farla passare per le mani dell'Eminentissimo Parocchi, il quale l'avrebbe presentata con doppia veste e di protettore della Congregazione e di Vicario del Papa. “Con questo, continuava l'Alimonda[403], io non ricuso di dare il mio povero appoggio al ricorso, e appena potrò avere un'udienza particolare dal S. Padre, non mancherò di parlare della chiesa del S. Cuore, de' suoi bisogni, dell'impegno e dei sacrifizi dei Salesiani con cordiale interessamento”.

                A Don Rua il Santo proibì di far conoscere al pubblico dopo la sua morte la gravità dei debiti insoluti per li fabbrica della chiesa del Sacro Cuore. Nei protessi Don Rua dice che Don Bosco gli fece tale proibizione “per vari motivi”, ma non specifica quali fossero. Il principale non può non essere [515] stato che la maggior causa del dissesto era dipesa dalla cat­tiva amministrazione, come accennammo altra volta con le parole stesse di Don Bosco. Però nell'ingiungergli il silenzio lo assicurò che la divina Provvidenza non sarebbe mancata. Infatti, e lo attesta il medesimo Don Rua nei processi, l'effetto diede tutte le ragioni alla sua illimitata confidenza in Dio; giacchè dopo la sua morte, senza che si facesse neppure un cenno delle strettezze finanziarie, arrivarono tanti soccorsi da potere non solo fronteggiare i bisogni generali della casa, ma anche somministrare in media mille lire al giorno per pagare i debiti della chiesa, e questo durò per tutto l'anno. Infatti nel corso del 1888 furono mandate a Roma più di trecentoquaranta mila lire. E il più ammirabile si fu che gli aiuti arrivarono da fonti sovente sconosciute, come ad esempio pio un chèque di sessanta mila franchi da persona che non volle manifestare il suo nome.

                La sua mente sembrava che non sapesse staccarsi dal pensiero delle necessità domestiche. La sera dell'8 dettò al segretario un secondo messaggio per Don Lemoyne, che vi si sarebbe dovuto ispirare scrivendo sul Bollettino. - Mi rincresce che non posso aiutarvi, come faceva una volta, coll'andare m persona in cerca della carità. Ho speso fino all'ultimo soldo prima della malattia, ed ora tuttavia sono senza mezzi, mentre i nostri giovanetti continuano a dimandar pane. E come faremo? Bisogna far sapere che chi vuol fare la carità a Don Bosco ed ai suoi orfanelli, la faccia senz'altro, perchè Don Bosco non potrà più nè andare nè venire.

                Una parola del dottor Fissore, pronunziata fuori e riportata nell'Oratorio, , ingenerò molta tristezza. Trovandosi nell'ospedale del Cottolengo, egli aveva detto che a Don Bosco non rimanevano che due mesi di vita. Mentre quasi tutti si cullavano nella dolce speranza della sua guarigione, quella fu veramente una doccia fredda, che però non estinse ogni fiducia.

                Giungevano dalla Polonia notizie interessanti. Per soddisfare [516] alla pietà di tante persone si erano mandati colà molti crocifissi benedetti da Don Bosco. Orbene si venne a sapere che si operavano veri prodigi, parecchi dei quali raccontò a Don Marenco la Superiora della Retraite di Torino, nobilissima polacca e un tempo quasi fidanzata del principe Czartoryski padre. Fra l'altro narrò di un moribondo che non si confessava più da vent'anni nè si mostrava disposto a confessarsi, ma che, visto uno di quei crocifissi, pianse, se lo strinse al seno e a tale contatto guarì.

                L'arrivo di lettere indirizzate a Don Bosco o a Don Rua era incessante; basterebbero da sole a documentare in quale altissimo concetto fosse tenuto Don Bosco non solo nell'Italia, ma anche nei paesi esteri. Buon numero di queste lettere ci è stato conservato, ed ora noi ci proponiamo di spigolarvi entro con qualche larghezza, ma con tre restrizioni. Ci limiteremo a questi primi venti giorni di gennaio, tenendo conto unicamente della corrispondenza straniera e attingendo solo dove appaia alcun che di notevole. Seguiremo l'ordine cronologico, non il topografico.

                Da Grenoble, certe suore: “Di tutte le care lettere ricevute in questi giorni quella che ci ha procurato maggiore contentezza è senza contestazione la lettera che ci dava buone nuove del nostro caro e santo Padre”. Un signore da Liegi: “Ho letto or ora nei giornali che il Cielo si è lasciato piegare dalle ferventi suppliche innalzate per ottenere la sua guarigione. Ne ho provato tanta gioia che non posso indugiare a presentarle i miei rallegramenti. Ho la grande presunzione di credere d'avere contribuito anch'io con le mie preghiere al suo ristabilimento”. Una nobildonna belga: “Ecco, dicevo a me stessa, un altro protettore che mi sfugge quaggiù, un consolatore che scompare! Ma pregando dinanzi al Tabernacolo per implorare da Dio che ci lasciasse ancora sulla terra questo buon Padre, un pensiero di fede e di fiducia venne a consolarmi; una voce interiore mi disse che la protezione di Don Bosco mi sarebbe stata più efficace nel Cielo. Da quel [517] momento, non sapendo se egli sia tuttora in vita o se sia già morto, prego Dio di assisterlo nel suo estremo passaggio o prego lui fin d'adesso, se è già lassù nel Cielo”. Dall'Alsazia una signora: “Non mi sarebbe mai possibile sdebitarmi con Lei, amatissimo Padre. Non contento di avermi ottenuta la liberazione dal mio male, Ella mi ha inoltre liberata l'anima da pene opprimenti, massime nel momento della confessione. Alla paura che avevo di Dio è sottentrata la confidenza. Il mio cuore è tutto cambiato e il cambiamento è effetto delle preghiere del caro Padre Don Bosco”.

                Il signor Blanchon di Lione che desiderava fondare una casa salesiana nella sua città, scriveva a Don Rua: “La quantità delle nostre preghiere potrà mai compensarne lo scarso valore e aiutare le loro per ottenere che cotesto santo e buon Padre Don Bosco sia conservato a' suoi eminenti figli anziani, a' suoi più giovani, a' suoi più fortunati fanciulli, a tutti coloro che hanno bisogno di lui?”. A Don Rua una gentildonna di Lilla: “Com'Ella ha una giusta idea di noi, se comprende quanto Don Bosco è amato qui! E come non sarebbe amato dove sia conosciuto?”. Al medesimo da Parigi la di Combaud: “Deo gratias! Ricevo ora il suo telegramma che mi riempie di gioia. I figli di Don Bosco han fatto violenza al Cielo e Dio nella sua misericordia li ha esauditi: sia Egli sempre benedetto. Il mio pensiero e il mio cuore sono continuamente nel loro caro Oratorio di via Cottolengo; mi sembra di assistere al tripudio dei figli di Don Bosco. Come sarà bello il Te Deum nella loro grande chiesa, cantato da tutti cotesti cuori commossi e riconoscenti!”. Una signora da Lione: “Passando per Lione, Lei fu così buono, così incoraggiante, che noi ne abbiamo conservato il ricordo. Io confido nelle sue preghiere e spero soccorso”. Una madre di famiglia da Moulins: “Inginocchiati in ispirito accanto al suo letto di dolore, mio marito, i miei figli e io La preghiamo che si degni darci la sua benedizione”. Da Amiens un'altra madre di famiglia a Don Rua: “Mille grazie delle notizie di cotesto buono e amatissimo [518] Padre Don Bosco. Noi preghiamo ogni giorno il Signore che lo guarisca presto presto e lo restituisca ai suoi figli, conservandolo ancora a lungo fra loro, sicchè per molti anni continui a essere la consolazione di tutta la cara famiglia che lo circonda e di questa pure che, quantunque lontana, lo ama con non minore tenerezza, sentendoci felici di considerarci come figli di Don Bosco”. Ancora una madre di famiglia da Bruges nel Belgio: “Veniamo a sapere con rincrescimento che la sua salute è rovinata. Mio marito e io facciamo voti al Signore eh e voglia conservarla ancora, sulla terra per essere la consolazione degli afflitti. Sarei ben fortunata insieme con il mio caro sposo e i miei figli, se ricevessi la sua santa benedizione”.

                Una povera donna parigina priva d'impiego e ridotta a fare la giornalaia, sperando che Don Bosco le ottenesse da Maria Ausiliatrice la grazia del pane quotidiano, gli scriveva: “Padre! Sono molto contenta di sapere che sta bene e con tutto il cuore ne ringrazio e benedico Iddio. Che sarebbe di me, se Ella non fosse più al mondo? Mille e mille grazie a quello de' suoi figli che ha avuto la bontà, la carità di darmi sue notizie”. Essa aveva mandato un'offerta e le si era spe­dito il diploma di Cooperatrice salesiana.

                Da Bordeaux a Don Rua una signora, chiedendo preghiere per la sua famiglia tribolata: “Non ho bisogno di dirle quanto io comprenda e divida le loro inquietudini e la loro tristezza per la salute tanto preziosa del buon Don Bosco. Io prego ogni giorno per questo buon servo del Signore e della sua santa Madre”. Da Nantes la contessa di Maillé a Don Rua: “Dacchè appresi il cattivo stato di salute del  loro santo direttore, io viveva in uno stato d'angosciosa inquietudine facile a comprendersi, avendo avuto la bella sorte di vederlo e di apprezzarne la bontà e le eminenti virtù. Quindi sono stata ben lieta di ricevere stamane un bollettino sanitario dei 31 dicembre, annunziante un notevole miglioramento. Unisco di cuore le mie deboli preghiere alle loro per [519] ringraziarne Dio”. A Don Bosco da Saint - Etienne una signora, manifestandogli il suo vivissimo dolore per la notizia della grave malattia, continuava: “Unitamente alle signore di mia conoscenza io La prego di domandare alla Santa Vergine, che a Lei non rifiuta nulla, di ascoltare le nostre preghiere, di esaudire i nostri voti, accordandole lunghi anni per fare tanto bene a ogni sorta di poveri infelici. Io stessa, disperata, non ebbi più fiducia se non dal momento che credetti di aver parte alle sue orazioni”.

                Da Düren nella Prussia Renana a Don Bosco una signora, espresso il suo dolore e promesse preghiere insieme con la sua famiglia, conchiudeva dicendo: “Voglia essere sempre nostro intercessore presso Dio e la Santa Vergine”. Da Bollendorf nell'archidiocesi di Treveri: “Prego Dio di tutto cuore per Lei. Sono incaricata da tutte le mie conoscenze, che hanno avuto la fortuna di ricevere conforto dalle sue sante preghiere, di significarle quanto ci affligga il saper Lei ammalato. Tutti per Lei pregano, buon Padre, e tutti noi ci raccomandiamo pure a Lei, tanto amato da Dio! a Lei, sì grande e fedele operaio nella vigna del Signore!”. Dall'Inghilterra: “Oh mio reverendo Padre, prego Dio che affligga me della sua malattia e conservi Lei per il bene della sua Chiesa e delle anime. Io non sono nulla, non fo niente di bene nel mondo, solo offendo la Divina Maestà ogni ora del giorno. L'infermità e la sofferenza mi sarebbe un bene per riparare le mie colpe e diminuire la pena nell'altro mondo”. Una religiosa di Bruxelles a Don Rua: “Gli dica, ne la supplico, una parolina per me. Gli dica che se la Santa Vergine lo chiama con sè, io continuerò a fare di buona voglia per i suoi figli quel poco che è in mio potere, ma a condizione che non mi dimentichi presso la Santa Vergine, quando godrà della sua presenza. Cotesto buono e venerato padre si degni di benedirmi” .

                Da Jemmapes nel Belgio il signor Cornelio di Thier, dottore in diritto e avvocato, scrive a Don Rua in latino pregandolo di un favore. Gli spedirà una corona del Rosario affinchè [520] egli la faccia benedire a sancto, illustri ac eminentissimo patre Dom Bosco o almeno la ponga un istante nelle sue mani santissime o, se fosse già morto, ne tocchi almeno con essa la salma. Da Malines nel Belgio due signore: “La sua grave indisposizione ci ha grandemente addolorate. Benchè non La conosciamo se non per affinità spirituale, dividiamo i devoti sentimenti che nutrono per Lei quanti hanno il bene di avvicinarla. Alle loro preghiere noi abbiamo subito unite le nostre”. Da Béziers in Francia una fanciulla di dodici anni che da due anni ha fatto la prima comunione gli scrive: “lo ho un padre che, quantunque buono, sta lontano dai sacramenti. Avendo saputo che Ella ottiene molte grazie dal Signore, Le domando che voglia occuparsi di questa che io chieggo fervorosamente a Dio. Spero che Ella ascolterà la preghiera di una figliuoletta desolata di vedere il suo caro papà lontano dal Signore” .

                Da Rinningen nel Baden una Maria di Hornstein, très indigne coopératrice, gli dice: “Voglia, di grazia, risparmiarsi; noi siamo tanto fortunati di godere delle sue preghiere, de' suoi consigli, della sua benedizione! Benedica i nostri sette figli, dei quali io posso dirle di cuore come i loro buoni coloni di S  Nicolas nell'Argentina: - Sono tutti suoi, se li vuole prendere[404]. - Nè mio marito nè io formiamo voti più cari. Le bacio le mani con la tenerezza e la venerazione più profonda”. Da Lalaire in Francia una di Clok gli descrive la sua vita passata, la trascuranza di alcuni suoi doveri, l'incertezza sullo stato presente della sua anima, il terrore del futuro nell'eternità e conclude scongiurandolo di dirle una parola, una sola parola che le renda la pace. Dio ha consolato altre anime [521] col suo ministero; oh, gli domandi di farle per mezzo suo la medesima grazia! Da Valletta nell'isola di Malta, congratulazioni per la ricuperata salute e auguri che Dio lo conservi all'amore de' suoi cari e al belle dell'umanità. Da Mons nel Belgio il signor Giulio Honorez, che aveva veduto Doli Bosco a Parigi in casa della di Combaud, chiede a Don Rua una copia della sua biografia per mandarla alla moglie di Sadi Carnot, Presidente della Repubblica francese, e lo prega di raccomandarlo alle sue preghiere.

                L'illusione sull'entità del suo miglioramento faceva dire all'ottimo monsignor Guigou di Nizza Mare: “Lei sa che tutti La aspettano a Cannes per la Quaresima. Non manchi di venire”. Il signor Hosg da Haarlem lo felicitava in olandese della ricuperata sanità. Perfino Don Viglietti si abbandonava a sì rosee speranze. Infatti il 15 gennaio in una lettera al Leonardo da Vinci di Milano, pubblicata nel numero del 18 - 19 dall'Osservatore Cattolico, usciva in queste affermazioni: “Scomparso ogni pericolo, altro non rimane a Don Bosco che ricuperare le necessarie forze per restituirsi in mezzo ai suoi numerosi figli ansiosi di rivedere le sue venerate sembianze di padre”. Il cuore faceva vedere avverato quello che desiderava. Più importanti per noi, a chiusa di questa recensione, sono le righe dov'egli diceva: “L'interessamento che in tal pericolo tutto il mondo, direi quasi, si è preso di Don Bosco è cosa commovente e difficile a descrivere”.

                Il settimanale lionese Eclair del 14 gennaio si domanda perchè mai Don Bosco goda tanta popolarità. Ecco la risposta: “Perchè gli raggia dalla fronte l'aureola della santità. E tale è questa riputazione di santità che si ricorre a lui per fargli ottenere miracoli. Ma ciò che ne prova la vera santità è il suo obliare di essere certamente un favorito da Dio. Egli consiglia la preghiera per ottenere i favori divini, nè sono i favori temporali quelli che gli ispirano preghiere per sè o per chi ricorre al suo intervento. Don Bosco vede lontano e di là dallo spazio”. [522] Il Santo Padre aveva presente al pensiero lo stato di Don Bosco. L'II gennaio ricevette in udienza il pellegrinaggio piemontese, del quale faceva parte il missionario Don Cassini. Quando nel far il giro della sala passò dinanzi a lui, il cardinale Alimonda glielo presentò. - Oh bene! disse il Papa. Che notizie ci date di Don Bosco? Abbiamo saputo che è stato molto male, ma che ora sta un po' meglio.

- Sì, Santo Padre, rispose Don Cassini, le ultime notizie ricevute sono buone. Don Bosco va migliorando.

- Sia ringraziato Iddio! esclamò il Pontefice. Pregate per la sua conservazione. Ditegli che il Santo Padre si ricorda di lui e che gli manda la sua apostolica benedizione. La vita di Don Bosco è preziosa e la sua morte in questi giorni avrebbe funestato le nostre feste di Roma.

                Don Cassini partecipò anche all'udienza degli Argentini il 30 gennaio. Monsignor Ichaque, canonico della cattedrale di Buenos Aires, lo presentò come membro del Comitato e rappresentante delle case salesiane d'America. Il Papa, udendo dal canonico il bene che i Salesiani facevano in quelle lontane regioni, teneva stretto per le mani Don Cassini e gli domandava quante case salesiane vi fossero nell'America del Sud, se fosse molto il bene che vi si poteva fare, se i Salesiani incontrassero contraddizioni, se la popolazione li amasse. Sono amati molto, rispose Monsignore a quest'ultima domanda, perchè lavorano molto. - Allora il Papa raccomandò a Monsignore che le case e le Missioni salesiane fossero protette e consigliate. Infine benedisse nuovamente Don Bosco.

                Dal 12 gennaio passarono all'Oratorio molti pellegrini francesi, belgi, svizzeri, inglesi, tedeschi, provenienti da Roma e desiderosi di vedere Don Bosco e di riceverne la benedizione. Don Bosco, per quanto potè, li accolse cordialmente, raccomandando alla loro carità i suoi figli e alle loro preghiere se stesso. Qualche volta, sentendo che alcuni per gli ordini del medico non erano stati introdotti, ne mostrava rincrescimento. [523]

                Dei generale interessamento per la sua malattia e dell'affluenza di personaggi nella porteria dell'Oratorio Don Rua parlò all'infermo il 13 gennaio; gli osservò pure come non solo i giornali cattolici, ma anche gli altri che lo avevano avversato, scrivessero di lui con rispetto e simpatia. Don Bosco gli rispose: - Facciamo sempre del bene a tutti, del male a nessuno.

                Accadde in quei giorni un fatterello singolare. In ora di nessun concorso nella chiesa di Maria Ausiliatrice un bimbo sconosciuto dei quartieri vicini, dall'età apparente di tre o quattro anni, entrò nel santuario e staccata una delle candele accese dai fedeli, si mise a camminare in su e in giù lentamente e con aria composta, tenendo in mano la candela accesa e balbettando parole non intelligibili a modo di chi recita salmi. Interrogato da Don Pesce, prefetto di sacrestia, che cosa facesse, rispose senza fermarsi che faceva il funerale a Don Bosco. Tale comparsa si ripetè due volte, nel che qualcuno volle vedere un avviso che Don Bosco sarebbe morto presto.

                Ma nell'Oratorio regnava la più tranquilla fiducia che egli sarebbe guarito. Infatti cessarono le preghiere continue dei giovani dinanzi all'altare di Maria Ausiliatrice; non ci pensarono più nè i Superiori della casa, nè i Capitolari, nè vi badò lo stesso Don Rua, tutto assorto in molteplici affari. Vedendo poi sottentrata tanta quiete alle ansietà precedenti, la solita Gazzetta ebbe la ripugnante inverecondia di stampare non essere vera la malattia di Don Bosco, ma essersi ricorso a quel ripiego per aver modo di far danaro.

                Il buon umore non abbandonava il Servo di Dio. La mattina del 15, dopo udita la Messa e fatta la comunione, scherzava sulla sua difficoltà di respiro e ripetè agli astanti quella facezia dei mantici. - Se poteste trovarmi, disse, un fabbricante di mantici che venisse ad accomodare i miei, mi fareste un buon servizio. - Mentre così parlava, un soave sorriso confortatore gl'illuminava il volto, ravvivando le speranze. [524] Nella giornata, sebbene da parecchio non avesse più visto il calendario, disse all'improvviso: - Domani è S. Marcello. Mandate a Marcello un canestrino di quell'uva che ci hanno regalata. - Marcello era il figlio del dottor Vignolo, convalescente da una grave malattia.

                Ad agevolargli la respirazione i medici ordinarono di provvedere un seggiolone adatto per quando, si sarebbe potuto alzare da letto. Ma egli, discorrendo con Don Durando, disse chiaramente che era inutile.

                Quasi ogni giorno, mentre pigliava qualche alimento, gli sì stendeva sul petto un tovagliolo nuovo. Quando se n'accorse, chiese: - Che cosa è questa roba?

- Il ritiro del Buon Pastore, rispose Don Sala, ne ha mandate alcune dozzine in regalo a Don Bosco.

- Ebbene, ricórdati di fare a mio nome tanti ringraziamenti.

                La sera del 17 gennaio, dovendosi rialzarlo di peso, si prestò all'opera pietosa anche Don Francesia. - Oli! disse Don Bosco, non occorreva per questo disturbare le celebrità. Bastavi tu solo, Don Sala.

                Questa operazione riusciva sempre dolorosa al povero infermo', a motivo specialmente delle piaghe causate dal decubito. Perciò Don Sala gli disse: - Povero Don Bosco! quanto lo faccio soffrire!

- No, rispose, di' piuttosto: Povero Don Sala, che ha dovuto fare tanta fatica! Ma lascia fare a me: questo servizio te lo restituirò a tempo opportuno.

                Un'altra volta Don Sala, vedendolo molto disturbato dal male, gli domandò che cosa potesse fare per dargli qualche sollievo. - Mi pare, gli rispose, che la mia persona sia troppo infossata nel materasso. - Allora Don Sala gli mise un braccio sotto le cosce e l'altro sotto la schiena e robusto com'era, lo sollevò di peso, mentre Don Viglietti gli sottoponeva un coltroncino imbottito. Per lasciargli tempo di fare questo, Don Sala dovette sostenere Don Bosco alcuni minuti. Adagiato [525] poi e accomodato in modo da stare quasi seduto, pigliò da Don Viglietti alcuni cucchiai di pan trito; indi guardò Don Sala, come se avesse qualche cosa da dirgli. Prontamente Don Sala gli domandò in che cosa potesse servirlo. Ed egli ridendo: - Avrei bisogno di mangiare un salame, e allora le cose andrebbero meglio, non è vero? Ma per ora cerchiamo di riposare.

                Una visita importante ricevette il 18: la visita di monsignor Goossens, arcivescovo di Malines nel Belgio, accompagnato dal suo Vicario Generale e da altri distinti ecclesiastici. Poche parole furono scambiate, i visitatori si ritirarono profondamente commossi.

                Poco dopo a monsignor Cagliero che gli stava a fianco, disse: - Prendi a cuore la Congregazione Salesiana, aiuta gli altri superiori in tutto quello che potrai. - Taciuto alcuni istanti, riprese: - Quelli che desiderano grazie da Maria Ausiliatrice, aiutino le nostre Missioni e saranno sicuri di ottenerle.

                Una sera appariva disturbatissimo per il male, specialmente per la sofferenza cagionatagli dal decubito, e di tratto in tratto si moveva, come se cercasse un qualche sollievo. All'improvviso fe' segno a Don Sala di volergli parlare. Don Sala gli avvicinò l'orecchio alla bocca e Don Bosco gli disse con volto ilare: - Di' al medico che si farebbe un onore immortale, se trovasse il modo di cambiarmi la parte posteriore tutte le volte che mi fa male. - Don Sala, venuto il medico, gli ripetè senz'altro quelle parole, mentre Don Bosco sorrideva amabilmente. Era sempre la sua cura di tener allegri coloro che ne circondavano il letto.

                Ma una cosa rapiva d'ammirazione quanti lo servivano: il suo angelico riserbo. Era un'agonia per lui dover essere sollevato e pulito per certe necessità. Ora il suo contegno era compostissimo, tanto che lo paragonavano ai corpi dei santi adagiati sotto gli altari. Istintivamente si copriva e ricopriva collo e spalle con uno scialle [526] che stava sul capezzale, e questo perfino quando sembrava fuori dei sensi.

                Il giorno 20 ebbe la visita di monsignor Francesco Philippe, vescovo titolare di Lari, della Congregazione Salesiana di Annecy, coadiutore di monsignor Tissot della stessa Congregazione e vescovo di Vizagapatan nell’Indostan.

                Don Viglietti con mano sicura scriveva nel diario: “Sebbene adagio, Don Bosco va sempre migliorando. Si può ormai dire che non gli rimane che acquistar forze per lasciare il letto”. Mai pronostico fu più fallace di quello.

 

 

CAPO XXIV

Ultimi smantellamenti della carne.

 

                L’ORGANISMO di Don Bosco oppose al dissolvimento finale una resistenza delle più tenaci; si direbbe che la morte glielo dovette smantellare fibra a fibra, prolungandogli lo spasimo di un lento martirio. Soprattutto lavorava la miolite, causa prima del dissesto generale. Sott'altro aspetto si può asserire che la malattia fu crogiuolo, nel quale si vide quanto fosse puro l'oro della sua virtù. Una tranquillità inalterabile, una carità delicata, una rassegnazione perfetta alla volontà di Dio sono le tre cose che maggiormente si ammirarono in lui per lo spazio dei quaranta giorni passati nel letto de' suoi dolori.

                Monsignor Cagliero non aveva ancora posto mente ai primi sintomi di regresso, quando il 21 gennaio disse all'infermo: - Caro Don Bosco, sembra che il pericolo che noi temevamo sia scongiurato. Mi chiamano a Lu per la festa di S. Valerio, patrono di quel paese da Lei molto amato e che diede un numeroso contingente di persone per le Missioni e specialmente di Suore.

- Va', sono contento, rispose Don Bosco. Ma starai fuori poco tempo, non è vero?

- Passata la festa, andrò a fare una breve visita ai nostri giovani di Borgo S. Martino, e ritornerò.

 - Sia pure; ma fa' presto. [528] Monsignore partì; ma quel “fa' presto” gli risonò all'orecchio per tutto il tempo che rimase fuori, tenendolo in apprensione.

                Il peggioramento si accentuò alquanto la mattina del 22; egli potè nondimeno ascoltare la santa Messa e fare la sua comunione. Dopo i medici stimarono necessario procedere a un'operazione chirurgica. Da parecchi anni gli si era formata sull'osso sacro un'escrescenza di carne viva, grossa come una noce, che gli rendeva assai penoso lo star seduto e coricato; per un senso tutto suo di dignitoso e virtuoso riserbo aveva preferito soffrire quel grave incomodo senza mai farne parola neppure al dottore curante[405]. Questi se n'era avveduto da poco e comprendeva quanto dovesse riuscirgli tormentoso il decubito; gli propose perciò il taglio. Don Bosco docile come un bambino vi si sottomise. Erano presenti anche gli altri due medici. Il dottor Vignolo gli fece l'amputazione di colpo e per sorpresa, perchè gli aveva lasciato intendere che la cosa si sarebbe potuta eseguire l'indomani. Don Bosco a quel dolore improvviso mandò un grido. L'operazione era riuscita ottimamente. Il Santo riconoscentissimo strinse la mano al dottore. Disse in seguito che si sentiva perfettamente libero. Don Sala, entrato pochi minuti dopo nella stanza, gli domandò come stesse.

- Mi hanno fatto un taglio da maestro, rispose.

 - Povero Don Bosco, avrà sentito molto male.

- Credo che quel pezzetto di carne che staccarono non abbia sentito nulla.

                C'era un'altra grande penitenza per lui. Data l'impossibilità di muoversi da sè, accadeva non di rado che il suo povero letto fosse malconcio; perciò disse una volta a Don Sala: - Tu sai quanto io fossi esatto per la pulizia; ed ora non posso più ottenerla, Mi trovo sempre nell'immondizia.

Verso le dieci vennero a visitarlo i monsignori Krementz, [529] arcivescovo di Colonia, e Korum, vescovo di Treveri, accompagnati dal loro seguito. Parlando a stento, raccomandò loro i poveri giovani e li pregò di chiedere per lui la benedizione del Santo Padre.

                La mattina del 24 vi fu la visita di un altro altissimo Prelato, monsignor Richard, arcivescovo di Parigi. Don Bosco volle essere da lui benedetto. Monsignore lo accontentò; ma poi, messosi in ginocchio, pregò Don Bosco di benedirlo a sua volta. - Sì, rispose Don Bosco, benedico lei e benedico Parigi. - Al che l'Arcivescovo: - Ed io parlerò di Don Bosco alla mia città e annunzierò a Parigi che porto la benedizione di Don Bosco[406].

                Nel pomeriggio stava tanto male, che i medici dichiararono essere egli ritornato nelle condizioni di un mese addietro. Partiti i medici, mandò a chiamare il giovane sagrestano Palestrina, del quale aveva molta stima, e gli fece dire dal segretario che rimanesse a pregare Gesù e Maria per tutto il tempo libero, affinchè in quegli ultimi suoi momenti, mentre aspettava l'ora sua, potesse avere viva fede. Dopo il giovane medesimo venne introdotto presso Don Bosco, il quale gli ripetè la stessa cosa tutto commosso e poi lo benedisse. Verso sera, contrariamente a quanto succede negl'infermi, egli si sentiva più sollevato e ciò, come disse a Don Lemoyne, in grazia delle preghiere di quel buon giovane.

                Il 24 nuovo aggravamento. Chiese che gli si suggerissero giaculatorie divote. La difficoltà del parlare andava crescendo, sicchè a chi l'ascoltava si stringeva il cuore. A Don Sala che gli aveva presentata una bibita, disse: - Studiate il come io possa riposare. - Tosto lo assettarono nel miglior modo possibile. Quindi sembrò che realmente fosse per addormentarsi; [530] ma a un tratto si scosse, battè palma a palma le mani e gridò: - Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani!... Maria Santissima, aiutateli... Madre, Madre!

                Don Sala, avvicinatosi subito al letto, gli domandò che cosa comandasse. - Dove siamo in questo momento? chiese.

 - Siamo nell'Oratorio di Torino.

- E i giovani che cosa fanno?

 - Sono in chiesa alla benedizione e pregano per lei

                Non c'era mai nè acqua nè ghiaccio che valesse a spegnere l'ardente sete che lo crucciava nelle ultime settimane; perciò si provvide acqua di seltz, che infatti sembrava arrecargli qualche sollievo. Ma, credendo che quella fosse una bevanda costosa, si rifiutò assolutamente di giovarsene. Se si volle che si acquietasse, bisognò che i coadiutori Buzzetti e Rossi gli dimostrassero che costava soltanto sette centesimi alla bottiglia.

                Monsignor Cagliero, ritornato il 26, andò subito al letto di Don Bosco, che passava un'ora di grande travaglio. Quando lo vide, gli mormorò con fatica queste sole parole: - Salvate molte anime nelle Missioni.

                Il giorno dopo Monsignore, ancora propenso a sperare, volle fare un tentativo per sapere se il buon Padre sarebbe guarito o no. A questo scopo lo interrogò, se gli permettesse di andare a Roma; chè senza il suo consenso non si sarebbe mosso.

- Andrai, ma dopo, gli rispose con un grande sforzo.

- Ma, Don Bosco, mi dica se, andando dopo S. Francesco, posso stare tranquillo. Devo anche andare in Sicilia...

 - Sì, replicò, andrai, farai molto bene, ma aspetta dopo.

                Si capì quale fosse il “dopo”, a cui alludeva. Ripigliato che ebbe un tantino di forza, gli disse ancora: - La tua venuta è molto opportuna e vantaggiosa per la Congregazione in questi momenti.

                In mezzo a' suoi dolori non poteva nemmeno procurarsi il sollievo di cambiare posizione. Chi lo assisteva, lo esortò a [531] ricordarsi di Gesù, che sulla croce soffriva tanto senza potersi muovere nè da una parte nè dall'altra. Egli rispose: - Sì, è quello che faccio sempre. - Nel trasportarlo di letto Don Bonetti gli disse: - Le facciamo male, povero Don Bosco! Noi siamo inetti. Pensi alla passione di Gesù Cristo. - Egli fe' segno di sì.

                Verso sera lo visitò Don Dalmazzo. Egli lo guardò intenerito, gli strinse la mano e gli disse: - Ti raccomando la Congregazione! Sostienla, difendila in ogni tempo. - Disse quindi a Monsignore: - La Congregazione non ha nulla a temere. Ha uomini formati.

                Avvenne che sul tardi Don Sala si trovasse solo nella camera. Colto il momento in cui egli sembrava avere più libero il respiro: - Don Bosco, gli chiese, si sente molto male, è vero?

 - Eh sì! rispose. Ma tutto passa e passerà anche questo.

- Che cosa potrei fare per sollevarla un poco?

 - Prega!

                Ciò detto, congiunse le mani e si mise a pregare. Lasciatolo riposare alcuni minuti, Don Sala ripigliò: - Don Bosco, ora si troverà contento, pensando che dopo una vita di tanti stenti e fatiche è riuscito a fondare case in varie parti del mondo e stabilire saldamente la Congregazione Salesiana ...

- Sì, rispose. Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore ... Si sarebbe potuto fare di più... Ma faranno i miei figli... La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria Ausiliatrice.

                Alle ore venti stentava assai a farsi intendere e a dar segno di capire. Intorno al suo letto vi erano monsignor Cagliero, Don Rua e altri. Vi si parlava dell'iscrizione da scolpirsi sulla tomba del conte Colle. Don Rua proponeva: Orphano tu eris adiutor. Monsignore invece: Beatus qui intelligit super egenum et, pauperem. A un tratto Don Bosco, che non sembrava affatto badare alla loro conversazione, aperse gli occhi e sforzandosi riuscì a proferire con voce abbastanza [532] intelligibile: - Scolpirete: Pater meus et mater mea dereliquerant me, Dominus autem assumpsit me.

                Ormai la fausta notizia che Don Bosco s'avvicinava alla guarigione, aveva riempito il mondo, procurando lettere gratulatorie da ogni parte, anche da paesi assai remoti, perfino da Grodno o Gardinas nella Lituania. Si può ben immaginare con che cuore nell'Oratorio si leggesse, per esempio, la speranza della contessa d'Oncieu di rivedere presto Don Bosco a Milano; o queste altre parole della mamma di Don Lemoyne al figlio: “È un uomo che interessa tutti; a Genova non si parla che della sua malattia e della speranza della sua guarigione”. E che fiducia nelle sue preghiere! La signora Susanna Poptovska dalla Podolia nell'Ucraina gli scriveva: “Le sue preghiere, buon Padre, attirano tante grazie quasi miracolose dal cielo a tutti coloro che vi ricorrono, anche nelle nostre lontane contrade, che io ho la massima fiducia che le grazie domandate da me saranno pure concesse per sua intercessione. Ella, buon Padre, non me la rifiuterà, non è vero?”.

                Don Bosco aveva un nipote che ne disonorava la famiglia: il secondogenito di Giuseppe, per nome Luigi. Educato nell'Oratorio, aveva ripreso, dopo un'interruzione, gli studi, riuscendo cancelliere di pretura. Allora da più anni conviveva a Gravellona Lomellina con una donna separata dal marito. Il santo zio, che lo amava molto, non gli aveva risparmiato ammonimenti e rimproveri; ma poichè era come dire al muro, non lo volle più vedere; soltanto gli concesse un breve colloquio pochi mesi prima di morire, perchè si trattava di dividere le proprietà sue come salesiano da quelle della famiglia, rimaste sempre indivise dopo la morte del fratello Giuseppe. Orbene quel disgraziato protestava che a suo tempo avrebbe mossa lite per rivendicare quanto possedeva Don Bosco. La cosa avrebbe causato gravi inconvenienti. Ma Iddio lo aspettava  proprio in quel torno di tempo. Dagli ultimi di gennaio fu tra la vita e la morte fino al 6 febbraio, quando passò all'eternità. [533]

                Le condizioni dell'infermo si aggravavano sempre più. Durante il 27 e nella notte e al mattino seguente vaneggiava con frequenza. Ascoltò tuttavia la santa Messa e ricevette la comunione. Durante il divino sacrifizio era sorpreso ad intervalli da assopimento, cessato il quale, gli si faceva più affannoso il respiro. Quando si fu all'Agnus Dei, Don Lazzero che lo assisteva, lo interrogò: - Don Bosco, fa la comunione stamattina? - E Don Bosco fra sè: - È tosto la fine... - Poi, voltosi a Don Lazzero, disse ad alta voce: Conto di fare la santa comunione. - Così dicendo, si tolse il berrettino e giunse le mani. Nel fare quest'atto il suo volto prendeva sempre un aspetto tale di profondo raccoglimento, che nei riguardanti destava sensi di viva fede.

                Spesso fu udito ripetere: - Sono imbrogliati. - E poi: - Coraggio! Avanti!... Sempre avanti! - Talora chiamava per nome qualcuno. Quella mattina avrà ripetuto una ventina di volte: - Madre - Madre! - Alla sera con le mani giunte invocava: - Oh Maria! Oh Maria! Oh Maria! - Don Berto lo interrogò, se permetteva che gl'indossasse l'abitino della Madonna del Carmine. Egli annuì e lo ricevette con viva compiacenza.

                A quanti si avvicinavano al suo letto, dava gli ultimi ricordi, dicendo per lo più: - Arrivederci in Paradiso!... Fate pregare per me... I giovani facciano per me la santa comunione. - Disse pure a Don Bonetti: - Di' ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso! - E poco dopo: - Quando parlerai o predicherai, insisti sulla frequente comunione e sulla divozione a Maria Santissima.

                Don Berto gli aveva messo nelle mani uno di quei crocifissi, baciando i quali si acquista ogni volta l’indulgenza plenaria. Egli lo recava sovente alle labbra. Essendogli stata presentata da Don Bonetti un'immagine di Maria Ausiliatrice, la guardò ed esclamò: - Ho sempre avuta tutta la fiducia in Maria Ausiliatrice! - Di nuovo a Don Bonetti: - Ascolta. Dirai alle Suore che, se osserveranno le regole, la loro salvezza è assicurata. [534] I medici lo trovarono gravissimo, nè vedevano la menoma speranza di salvarlo. Il dottor Fissore gli disse: - Don Bosco, si faccia coraggio... Vi è speranza che domani la cosa vada meglio. È già accaduto altre volte... Oggi il cattivo tempo influisce... - Don Bosco, rimasto fino allora immobile, sorrise e col dito minacciando scherzevolmente il buon dottore, disse a stento: - Dottore, che vuol far risorgere i morti! Domani?... Domani?... Farò un viaggio più lungo!

                I medici tennero consulto. Dopo egli si sentiva molto spossato; soffriva assai più del solito. - Aiutatemi! disse a Don Lazzero e a Don Viglietti là vicini. Aiutatemi tutti.

- Sì, Don Bosco, ben volentieri. In che cosa desidera che l'aiutiamo?

 - Aiutatemi a respirare, rispose quasi scherzando.

                Nell'ora del pranzo e della cena, fino al 28, mandò abitualmente Don Viglietti nel refettorio dei Capitolari ad augurar loro da sua parte buon appetito.

                Nella prima ora di notte gridò: - Paolino, Paolino, dove sei? Perchè non vieni? - Tutti i presenti ritennero che chiamasse Don Paolo Albera, ispettore delle case di Francia.

                Dopo un po' ripetè: - Sono imbrogliati! - Allora monsignor Cagliero con voce forte gli disse: - Stia tranquillo, Don Bosco, faremo tutto, tutto quello che desidera. - In quella parve fare uno sforzo, alzò un momento il capo e disse con voce ferma: - Sì, vogliono fare e poi non fanno. - Indi ricadde sul cuscino.

                Una volta domandò: - Chi c'è là? Chi è quel ragazzo?

- Non c'è nessun ragazzo. È l'attaccapanni, rispose Enria.

 - Là, pazienza!

                Faceva però dei segni come se avesse qualcuno vicino, finchè all'improvviso battè le mani, come soleva fare quando in sogno gli si presentavano oggetti spaventosi. - C'è nessuno? c'è nessuno? - gridava. - Ci siamo noi, rispose Don Sala, portandosi al suo fianco. - Batteva i denti, come [535] se lo assalissero i brividi febbrili. La notte fu molto agitata. Spuntò l'alba della festa di S. Francesco di Sales. Bisognò scampanare, cantare, pontificare; ma nei cuori regnava la mestizia. Perfino il sacro rito sembrò annunziare l'imminente lutto. Nell'epistola San Paolo diceva a Timoteo: L’ora del mio risolvimento è Prossima. Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuta la carriera, ho mantenuta la fede. Nel resto mi sta serbata la giusta corona, la quale mi attribuirà in quel giorno il Signore, il giudice giusto; nè a me solo, ma a quanti avranno amato l’apparimento di lui. Mentre il suddiacono cantava, molte fronti si abbassarono, molte guance erano rigate di lacrime; parve che la voce del Signore dicesse: - Il pellegrinaggio di Don Bosco è finito.

                Quella mattina alcuni pensavano che non si dovesse dare la comunione all'infermo, perchè sembrava fuori dei sensi; ma il segretario si oppose, sperando che al momento buono il Signore gli avrebbe ridonata la conoscenza. Celebrò adunque Don Viglietti. La porta che dalla stanza metteva nella cappella, era aperta. Passata l'elevazione, Don Bosco si volse a Don Sala che lo assisteva e gli disse: - E se dopo la comunione mi sorprendessero impeti di vomito? - Don Sala lo assicurò non esservi pericolo di tale inconveniente. Quando il sacerdote gli si accostò con l'ostia santa, Don Bosco era assopito. Don Sala pochi minuti prima l'aveva avvisato che presto sarebbe venuto il Signore a confortarlo e gli mise la stola e gli stese sul petto un candido lino. Egli però non si mosse. Ma appena Don Viglietti disse a voce alta: Corpus Domini nostri Jesu Christi, l'infermo si scosse, aprì gli occhi, fissò l'ostia, giunse le mani e, fatta la comunione, stette raccolto, ripetendo le parole di ringraziamento suggeritegli da Don Sala. Questa fu l'ultima comunione di Don Bosco.

                Ritornarono poi i soliti vaneggiamenti. Un indizio lasciava quasi diritto a supporre che egli avesse un mese prima previsto o presentito o comunque preannunziato questo suo [536] indebolimento mentale per quella data. Infatti a Don Rua che nel secondo giorno di letto gli aveva chiesto, come a direttore e confessore, di rinnovargli la dispensa dal breviario, aveva risposto: - Te la dò fino al giorno di S. Francesco di Sales. Dopo, se ne avrai bisogno, andrai a fartela rinnovare da Don Lemoyne.

                Abbiamo usato la parola “vaneggiamenti”; ma il mancamento di forze non gli tolse del tutto la lucidità dell'intelletto. Infatti verso le dieci con pienezza di cognizione interrogò Don Durando che ora fosse, che cosa si facesse in chiesa, quale festa si celebrasse, e, richiamatogli alla memoria che era la festa di S. Francesco di Sales, ne provò soddisfazione. Entrati quindi i medici, rivolse loro poche parole, ma senza vaneggiare.

                I dottori che con la partecipazione del Bestenti avevano tenuto consulto quasi ogni giorno, dichiararono che l'infermo non poteva più riaversi. Quand'essi si furono ritirati, l'infermo rimase alcuni minuti assopito; poi, ridestatosi, interrogò Don Durando: - Chi erano quei signori che sono usciti adesso?

 - Non li ha conosciuti? Erano i dottori.

- Oh sì! Di' dunque che oggi si fermino qui con noi... Voleva terminare la frase aggiungendo “a pranzo”, ma non gli riuscì.

                Quella sera potè ancora riconoscere e benedire il conte Incisa, priore della festa di S. Francesco di Sales, e monsignor Rosaz, vescovo di Susa, che aveva fatto il panegirico del Santo. Monsignor Rosaz, morto in concetto di santità, fu amico intimo di Don Bosco, dal quale amava prendere consiglio in affari difficili, massime riguardo a una Congregazione di Suore da lui fondata.

                Lungo il giorno aveva detto al segretario: - Quando non potrò più parlare e qualcuno verrà per chiedere la benedizione, tu alzerai la mia mano, formerai con essa il segno di croce e pronuncerai la formula. Io metterò l'intenzione.

                Nel suo assopimento continuo nulla più intendeva, eccetto [537] che gli si parlasse del Paradiso e di cose dell'anima. In questi casi faceva cenno di sì col capo, e se gli si suggeriva qualche giaculatoria, egli col muovere delle labbra la compieva. Avendogli Don Bonetti suggerito: Maria, mater gratiae, tu nos ab hoste protege, egli continuò: Et mortis hora suscipe. Anche in quel giorno aveva ripetuto sovente: - Madre! Madre! - aggiungendo qualche volta: - Domani! Domani! - Verso le diciotto bisbigliò fra sè: - Gesù... Gesù... Maria... Maria! Gesù e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia... In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum... Oh Madre... Madre... apritemi le porte del Paradiso. - Poi andava ripetendo testi scritturali, di quelli che l'avevano guidato in tutta la sua vita e gli erano stati regola nelle sue opere: Diligite... diligite inimicos vestros... Benefacite his, qui vos persequuntur... Quaerite regnum Dei... Et a Peccato meo... Peccato meo... munda... munda me.

                Al suono dell'Avemaria Don Bonetti lo invitò a salutare la Madonna, dicendo: Viva Maria. Con voce sensibile e divota egli ripetè: Viva Maria.

                Una delle ultime parole dette da Don Bosco a Don Rua fu questa: Fatti amare.

 

 

CAPO XXV

La fine.

 

                QUELLE persone che sono molto amate, sembra che non debbano mai morire. Le menti e i cuori, avvezzi da tempo a trovare in esse la luce e il conforto della vita, stentano a persuadersi che un tanto bene possa venir loro a mancare. Questo stato d'animo durò nell'Oratorio fino agli ultimi giorni di gennaio; in taluni anzi si protrasse oltre il credibile. La ragione è che si sperava in un miracoloso intervento del cielo.

                Nella notte sul 30 volse un pochino il capo verso Enria, suo perpetuo assistente notturno, e gli disse: - Dì... ma... ma... ti saluto! Poi adagio adagio recitò l'atto di contrizione. Qualche volta esclamò: Miserere nostri, Domine. Nel cuore della notte, alzando di tratto in tratto le braccia al cielo e giungendo le mani, ripeteva: - Sia fatta la vostra santa volontà! - Appresso, paralizzataglisi a poco a poco tutta la parte destra, il braccio destro posava abbandonato e immobile sul letto; ma egli non cessava di alzare il sinistro, ripetendo ancora qualche volta: - Sia fatta la vostra santa volontà! - In seguito non parlava più; ma tutto il resto del giorno 30 e la notte dopo continuò ad alzare la mano sinistra nello stesso modo, indicando con ogni probabilità la rinnovata offerta a Dio della propria esistenza.

                In casa tutti sapevano quanto Don Bosco fosse aggravato. Pure, nella festa di S. Francesco, alcuni giovani scrissero sopra un foglio: “O Gesù Sacramentato, Maria SS. Ausiliatrice dei [539] Cristiani, S. Francesco di Sales nostro Patrono, i poveri sottoscritti I° Dondina Pietro - 2. Orione Luigi - 3. Martinasso Giovanni - 4. Rossi Giuseppe di I° ginn. inferiore - 5° Aimerito Gabriele - 6. Bertazzoni Augusto - 7. Sac. Gioachino Berto - al fine di ottenere la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore Don Bosco offrono in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di gradire l'offerta ed esaudirci”. Questa supplica venne posta sotto il corporale durante una Messa celebrata per Don Bosco all'altare di S. Anna da Don Berto e servita dal giovane Luigi Orione. Altri sei giovani sottoscrissero poi la medesima carta e fecero per lo stesso fine la comunione[407]. Il Signore non avrà mancato di benedire la santa e generosa intenzione dì quei dodici buoni figliuoli.

                Tutte le speranze si erano purtroppo dileguate; la scienza dovette ritirarsi impotente a rianimare quel corpo sfatto da mezzo secolo di lotte e di fatiche. Il nuovo peggioramento della malattia, verificatosi il 20 gennaio, primo giorno della novena di S. Francesco di Sales, era continuato lento lento fino alla festa del Santo Protettore, nella quale il venerato infermo fu sopraffatto dalla paralisi e perdette l'uso della favella.

                Dacchè non parlò più, sembrava affatto fuori dì sè. Alle dieci monsignor Cagliero gli recitò le Litaniae pro agonizantibus; quindi gl'impartì la benedizione del Carmine, standogli d'intorno alcuni direttori. Gli si suggerivano giaculatorie. Don Viglietti gl'inumidiva continuamente le labbra con vino. Don Berto, per molti anni suo primo segretario e suo braccio forte nelle più critiche circostanze[408], volle per sè una parte di quel pietoso uffizio. Don Sala gli stese sulle spalle una camicia del santo Pontefice Pio IX, la quale Don Bosco aveva tenuta gelosamente custodita. [540] I medici dissero che a sera o prima che sorgesse il sole del giorno seguente, Don Bosco non sarebbe stato più in vita. La notizia si diffuse in un baleno per l'Oratorio, straziando i cuori. I confratelli chiedevano di vederlo ancora una volta. Don Rua permise che tutti gli andassero a baciare la mano. Silenziosi si radunavano a piccoli gruppi nella cappella, donde sfilavano uno a uno presso l'agonizzante. Egli era là disteso sul suo letticciuolo; aveva il capo alquanto rialzato, chino un po' sull'omero destro e appoggiato a tre guanciali. Calmo il viso non scarno; gli occhi socchiusi; la mano destra distesa sulla coltre. Aveva sul petto un crocifisso, un altro ne stringeva con la sinistra, e a pie' del letto pendeva la stola violacea, insegna del sacerdozio.

                I figli lacrimanti si accostavano in punta di piedi, gli s'inginocchiavano a lato e imprimevano l'ultimo bacio su quella sacra mano che tante volte si era alzata su di loro soccorritrice. Vi accorsero anche quelli che avevano stanza nei collegi vicini di S. Giovanni, di Valsalice e di S. Benigno. Con questi si alternavano i giovani delle classi superiori e gli artigiani più grandicelli. Tutto il giorno continuò la mesta e tenerissima processione. I più portavano a toccare medaglie, crocifissi, rosari, immagini da conservarsi poi quali care e benedette memorie.

                Dalla Repubblica dell'Equatore giunse un telegramma che annunziava l'arrivo dei nostri a Guaiaquil. Don Rua glielo disse, parlando come si fa con chi è duro d'orecchi. Sembrò a taluno di vedere ch'egli aprisse gli occhi e rivolgesse le pupille al cielo.

                Alle dodici e tre quarti, essendo per un istante soli vicino al letto il segretario e Giuseppe Buzzetti, spalancò gli occhi, guardò a lungo per due volte Don Viglietti e alzata la mano sinistra che aveva libera, gliela posò sul capo. Buzzetti a quell'atto scoppiò in pianto e: - Sono gli ultimi addii, esclamò. Ritornò poscia nell'immobilità di prima. Il segretario gli veniva ripetendo giaculatorie. Si alternarono [541] quindi in questo pio ufficio monsignor Cagliero e monsignor Leto. Don Dalmazzo gli diede la benedizione dell'agonia e gli recitò le preghiere annesse.

                Verso le sedici venne a vederlo il conte Radicati, grande benefattore dell'Oratorio. Il padre Eugenio Francesco, già compagno di Don Bosco a Chieri, stette per un'ora piangendo in un angolo della stanza. Alle diciotto comparve Don Giacomelli, si mise la stola e lesse alcune preci del rituale. Ad ora tarda, non sembrando vicina la morte, alcuni dei Superiori si ritirarono, ma Don Rua e altri non si mossero. L'agonizzante respirava immobile e con affanno; la durò così tutta la notte. Nell'archidiocesi di Torino ricorreva l'ufficio dell'Orazione di Gesù nell'Orto, quando il Redentore, con tre discepoli da presso, agonizzava e sudava sangue. Don Bosco, circondato dai primi e principali suoi allievi, versava in penosa agonia, e il sudore della morte gli bagnava la fronte.

                In agonia era all'una e tre quarti. Don Rua, quando vide che le cose precipitavano, si mise la stola e ripigliò le preghiere degli agonizzanti, già da lui cominciate due ore innanzi. Furono chiamati in fretta gli altri Superiori; una trentina fra sacerdoti, chierici e laici riempivano la camera. Inginocchiati pregavano.

                Sopraggiunto monsignor Cagliero, Don Rua gli cedette la stola, passò alla destra di Don Bosco e chinatosi all'orecchio del caro Padre: - Don Bosco, gli disse con voce soffocata dal dolore, siamo qui noi, i suoi figli. Le domandiamo perdono di tutti i dispiaceri che per causa nostra ha dovuto soffrire, e per segno di perdono e di paterna benevolenza ci dia ancora una volta la sua benedizione. Io le condurrò la mano e pronuncerò la formula della benedizione. - Tutte le fronti si curvarono a terra. Don Rua, facendo forza all'animo, ne alzò la destra paralizzata e disse le parole di benedizione sui Salesiani presenti e assenti e in particolare sui più lontani.

                Alle tre arrivò un telegramma del cardinale Rampolla con la benedizione apostolica. Monsignore aveva già letto il [542] Proficiscere. Alle quattro e mezzo la campana di Maria Ausiliatrice suonava l'Avemaria; tutti recitarono sommessamente l'Angelus. Don Bonetti susurrò all'orecchio di Don Bosco il Viva Maria dei giorni innanzi. Il rantolo che si faceva udire da circa un'ora e mezza, cessò. Il respiro divenne libero e tranquillo; ma fu cosa di pochi istanti: poi mancò. - Don Bosco muore! - esclamò Don Belmonte. Coloro che stanchi si erano seduti, balzarono in piedi e si fecero vicino al letto... Emise, tre respiri a breve intervallo... Don  Bosco realmente moriva. Monsignor Cagliero, fissando in lui gli occhi, diceva: - Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia... Gesù, Giuseppe, Maria, assistetemi nell'ultima agonia... Gesù, Giuseppe, Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.

                Don Rua e gli altri, formando corona intorno, agonizzavano anch'essi di dolore col. Padre... Don Bosco era morto!... Monsignor Cagliero intonò sospirando il Subvenite, Sancti Dei; occurrite, Angeli Domini... suscipientes animam eius... Suscipiat te Christus, qui vocavit te... E, benedettone il sacro cadavere, gli pregò da Dio l'eterna requie. Quindi, la sua stola fu messa al collo del venerato estinto e nelle mani congiunte si pose il crocifisso da lui tante volte baciato. Erano le quattro e quarantacinque. Aveva settantadue anni, più cinque mesi e mezzo, d'età.

                Tutti si prostrarono a recitare il De profundis, rotto da sospiri, gemiti e singhiozzi. Dinanzi a quella spoglia, esanime, se alcuno doveva parlare, la parola era a Don Rua, e Don Rua parlò e disse: - Siamo doppiamente orfani. Ma consoliamoci. Se abbiamo perduto un padre sulla terra, un protettore abbiamo acquistato in cielo. E noi dimostriamoci degni di lui, seguendone i santi esempi[409]. [543]

                La camera fino alle dieci fu piena di Salesiani, che pregavano sciogliendosi in lacrime. Nel vano della finestra che a sinistra del letto si apriva sulla loggia coperta, venne posta una croce fra quattro candele accese.

                I giovani alla Messa della comunità dissero il rosario da morto e tutte le Messe furono celebrate in suffragio dell'anima di Don Bosco. Alle dieci si cantò solennemente la Messa funebre. La desolazione si vedeva scolpita su tutte le fronti.

                In quell'ora gl'infermieri, assistiti, diretti e coadiuvati dai medici Albertotti e Bonelli, che vollero fino all'ultimo testificare il loro amore vivissimo per l'amico estinto, lavarono il corpo, lo vestirono e, rasagli la barba da Enria, lo collocarono sopra un seggiolone a bracciuoli. Il fotografo Deasti e il pittore Rollini ne presero così la fotografia. L'avevano già ritrattato quando giaceva ancora sul letto nella posizione in cui era spirato. Dai superiori non si era creduto bene di acconsentire che fosse presa la maschera, ripugnando loro dover vedere intonacata di gesso la faccia dell'amatissimo Padre. Per lo stesso rispetto non ne permisero l'imbalsamazione. Il dottor Fissore medesimo aveva detto: - Conosco Don Bosco da molti anni. Ho tanto rispetto al suo corpo che non mi sentirei di profanarlo con l'imbalsamazione. - Il medesimo dottore, quando udì le perfide insinuazioni del Secolo XIX, protestò dinanzi a tutto il Capitolo Superiore, dicendo che l'arte medica non poteva neppur venire in sospetto che la malattia non fosse originata dall'unica causa dell'enorme lavoro.

                Nelle prime ore del, pomeriggio la dolorosa notizia, diffusasi largamente in città, produsse generale e profonda impressione. Molte botteghe e negozi stavano chiusi con la scritta: [544] Chiuso per la morte di Don Bosco. La gente si affollava in porteria, domandando di vedere la salma. Essendo troppo ristretto lo spazio, si concedette l'accesso unicamente alle persone più conosciute. Agli altri si diceva che l'avrebbero veduta il giorno dopo nella chiesa di S. Francesco, la quale intanto si veniva riducendo a cappella ardente.

                Il cadavere era assiso sulla poltrona nella galleria retrostante alla cappella privata. Indossava i paramenti da Messa violacei. Aveva il crocifisso nelle mani e scoperto il capo; la sua berretta stava là alla sua destra sopra un inginocchiatoio, sul quale si ergeva un crocifisso fra due ceri. Il defunto volgeva il viso a oriente. I lineamenti apparivano inalterati. Se non fosse stato il pallore di morte che contrastava col paonazzo della pianeta, si sarebbe detto che Don Bosco placidamente dormiva. I figli suoi si succedevano pregando a baciargli la mano. Stuoli di sacerdoti, patrizi in gran numero, pie matrone stimavano sommo favore l'essere ammessi a vederlo. Camminavano a passi lenti e in punta di piedi, quasi temessero di svegliarlo dal sonno. Nessuno provava ribrezzo a posare le labbra su quelle mani d'alabastro. Nella stanza regnava un raccoglimento riverente e devoto. Sul crepuscolo venne una schiera di Figlie di Maria Ausiliatrice per baciare la mano del santo loro Fondatore e Padre anche a nome delle consorelle lontane. Finchè non fu spenta la luce del giorno, il mesto pellegrinaggio continuò senza interruzione.

                Per le vie di Torino andavano a ruba i giornali. Il Corriere Nazionale dovette fare tre edizioni, esaurite in brevissimo tempo. Il nome di Don Bosco passava di bocca in bocca fra segni di viva commozione.

                Bisognava pensare presto alla sepoltura. Il Capitolo Superiore, radunatosi alle ore venti, promise a Maria Ausiliatrice che se per grazia sua l'autorità civile concedesse di seppellire Don Bosco sotto la chiesa di lei o almeno nella casa di Valsalice, si sarebbe prontamente posto mano ai lavori per la decorazione del suo santuario, opera che stava già a [545] cuore al Servo di Dio. Mentre però si domandava l'aiuto del cielo, non si trascuravano le opportune diligenze sulla terra, come vedremo nel capo seguente. “Oh sera! oh notte! - scriveva in quella trepida ora Don Bonetti. - La prima che noi passiamo con Don Bosco morto! Oh, sera, oh notte sopraggiunta troppo presto! O Don Bosco, o Padre! Presiedi dal cielo al nostro sonno, presiedi e sorridi dal cielo alle nostre veglie”.

                Don Rua, il solerte Vicario di Don Bosco, assoggettando all'idea del dovere i sentimenti del cuore, aveva già dato per telegramma il mesto annunzio al Santo Padre, al cardinale Alimonda, alle case salesiane e a un certo numero di benefattori[410]. Egli aveva pure steso e fatto stampare la lettera circolare seguente, della quale furono spedite trentaduemila copie. Tredicimila copie andarono nella traduzione francese e ottomila in quella spagnuola.

 

Ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori e alle Cooperatrici Salesiane,

 

                Coll'angoscia nel cuore, cogli occhi gonfi di pianto, con mano tremante vi do l'annunzio più doloroso, che io abbia mai dato, e possa ancor dare in vita mia; vi annunzio che il nostro carissimo Padre in Gesù Cristo, il nostro fondatore, l'amico, il consigliere, la guida della nostra vita, è morto. Ahi! parola che trapassa l'anima, che trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena ad un profluvio di lagrime![411].

                Le private e pubbliche preghiere innalzate al Cielo per la sua conservazione hanno ritardato al nostro cuore questo colpo, questa ferita, questa piaga amarissima; ma non valsero a risparmiarcela, come avevamo sperato.

                Nulla ci conforta in questi istanti fuorchè il pensiero che così volle Iddio, il quale infinitamente buono nulla fa che non sia giusto, sapiente e santo. Quindi rassegnati chiniamo riverenti la fronte e adoriamo i suoi alti consigli.

                Per ora non occorre che io vi dica come Don Bosco ha fatto la morte del giusto, calma e serena, munito per tempo di tutti i conforti [546] della religione, benedetto più volte dal Vicario di Gesù Cristo, visitato con insigne pietà da prelati ed incliti personaggi ecclesiastici e laici, nostrani ed esteri, assistito con amore figliale dai suoi alunni, curato con affetto e perizia singolare da celebri dottori. Neppure vi dirò qui delle sue virtù e delle opere sue, chè il tempo stringe e il cuore non regge.

                Pel momento vi notifico solo che, ancor pochi giorni sono, Don Bosco disse, che l'opera sua non avrebbe sofferto per la sua morte, perchè protetta dalla valida intercessione di Maria Ausiliatrice, perchè sostenuta dalla carità dei Cooperatori e Cooperatrici, che avrebbero continuato a favorirla.

                Dal canto nostro possiamo aggiungere ancora che abbiamo la più grande fiducia che sarà così, perchè Don Bosco dal Cielo, ove fondatamente lo speriamo già accolto in gloria, ci farà ora più che mai da amorosissimo padre, e presso il trono di Gesù Cristo e della Divina sua Madre eserciterà più efficacemente la sua carità verso di noi, e più abbondanti ci farà piovere le celesti benedizioni.

                Incaricato di tenerne le veci, farò del mio meglio per corrispondere alla comune aspettazione. Coadiuvato dall'opera e dai consigli dei miei confratelli, son certo che la Pia Società di San Francesco di Sales, sostenuta dal braccio di Dio, assistita dalla protezione di Maria Ausiliatrice, confortata dalla carità dei benemeriti Cooperatori Salesiani e delle benemerite Cooperatrici, continuerà le opere dal suo esimio e compianto Fondatore iniziate, specialmente per la coltura della gioventù povera ed abbandonata e le estere missioni.

                Ancora un pensiero. Ad esempio del glorioso nostro Patrono San Francesco di Sales, più volte Don Bosco, udendo o leggendo certe espressioni, che le persone benevoli usavano inverso di lui, ebbe a manifestare il timore che dopo sua morte, creduto non bisognevole di suffragi, lo si lasciasse in purgatorio. Pertanto, giusta il suo desiderio, e per debito di figliale affetto, raccomando a tutti che vogliano tosto far calde preghiere in suffragio dell'anima sua, ben conoscendo che il Signore saprà a chi applicarne l'efficacia.

Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori e Cooperatrici, giovanetti e giovanette alla nostra cura affidati, noi non abbiamo più il nostro buon padre in terra: ma lo rivedremo in Cielo, se faremo tesoro dei suoi consigli e ne seguiremo fedelmente le virtuose pedate.

 

                Torino, li 31 gennaio 1888.

 

Vostro aff.mo Confratello ed Amico

           Sac. MICHELE RUA.

 

                NB. - il Venerando Don Bosco morì il giorno 31 gennaio alle ore 4 e tre quarti antimeridiane. La sepoltura avrà luogo giovedì 2 febbraio, alle ore 3 pom., e la Messa funebre alle ore 9 ½ del mattino nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. [547]

Un sacerdote di Moncrivello, Don Perotti, scrivendo il 2 febbraio a Don Bonetti, espresse felicemente l'impressione generalmente provata da quanti lessero questa lettera. Diceva: “Mi piacquero assai le calme ed assicuranti parole di Don Rua nella sua circolare. Essa ha tenuta e quasi rialzata la confidenza pubblica nella continuazione delle opere di Don Bosco”.

                Dopo i Superiori e gli appartenenti alla famiglia salesiana, nessuno poteva sentire maggiormente la perdita di Don Bosco che i suoi primi figli dell'Oratorio. Perciò il loro comitato diramò subito una propria circolare agli antichi allievi[412].

                Al plebiscito di preghiere per la sua guarigione e a quello dei rallegramenti per il suo migliorare succedette il terzo immenso plebiscito delle condoglianze. I vicini vennero in persona. Il primo a confortare Don Rua fu il celebre gesuita padre Secondo Franco, il quale passato a vedere Don Durando, gli disse: - Vengo a congratularmi con voi, perchè avete un santo in Paradiso. - Molti scrissero i propri nomi nell'apposito registro[413]. Telegrammi e lettere arrivavano a fasci, anche da remote contrade. Non potendone rendere conto, faremo una sola eccezione per colui che fu a Don Bosco angelo consolatore negli ultimi quattro anni della sua vita. Il cardinale Alimonda, giunto a Genova il 31 gennaio, aveva telegrafato per chiedere se, ripartendo subito, poteva sperare di trovare Don Bosco ancora in vita. Saputane la morte, scrisse a Don Rua: “È inutile che io le dica quanto amara mi sia riuscita la notizia recatami dal suo telegramma! Il venerato e caro mio Don Giovanni non ha voluto aspettarmi, [548] perchè una volta ancora baciassi la sacra sua mano e mi raccomandassi alla sua intercessione appresso Dio! Uniformiamoci alla volontà del Signore!”. In queste lettere di condoglianza il tema, diciamo così, obbligato era che Don Bosco non aveva più bisogno di preghiere, ma che piuttosto doveva essere pregato, Chi in un modo chi in un altro tutti lo proclamavano santo. Non pochi domandavano per sommo favore qualche oggetto da lui usato o un pizzico de' suoi capelli[414].

                La stampa d'ogni colore e d'ogni nazione tessè le lodi del defunto, fatta eccezione della torinese Gazzetta del Popolo; forse perchè non ne poteva dir male, preferì tacere, o, peggio ancora, ne annunziò la morte nell'ordinario elenco necrologico della città, trasmesso quotidianamente dal Municipio. Ma perfino un periodico umoristico di Torino, scritto in dialetto piemontese, benchè fosse anticlericale, ebbe la franchezza di applicare al direttore di quel giornale il proverbio subalpino, dicendogli che con quell'atto egli aveva dimostrato esser vero che, venendo vecchio, si perde il meglio[415].

                Nelle prime ore del I° febbraio il benedetto corpo venne religiosamente trasportato nella chiesa di S. Francesco. Poco prima del trasporto sembra che una vera grazia fosse accordata [549] al coadiutore Bona, che teneva il secchiello dell'acqua santa. Da più d'un mese lo tormentavano dolori a una gamba; quella stessa mattina faticava assai a salire e scendere le scale. Si raccomandò dunque mentalmente al buon Padre e nell'atto che Don Bonetti ne asperse il cadavere, si sentì completamente libero dal male[416].

                La chiesa era tutta vestita di ampie gramaglie. Il corpo del Santo non fu adagiato sul letto funebre, come si suole, ma assiso sul seggiolone, che un palco rilevava da terra. Ardevano intorno molti ceri. Tosto i giovani sfilarono dinanzi rimirando con occhi lacrimosi il loro Padre, che era là nella sua posa di dormiente, con la testa leggermente inclinata dal lato sinistro, col sembiante calmo, composto e quasi sorridente, con gli occhi semichiusi e fissi nell'immagine di Gesù crocifisso, che stringeva fra le mani giunte.

                La chiesetta fu aperta al pubblico verso le otto. Il flusso e riflusso dei visitatori durò dal mattino alla sera così numeroso che dovettero intervenire le guardie per regolarlo, disponendo che l'uscita fosse diversa dall'entrata. Chi vide allora i viali di Valdocco, provò l'impressione che l'intera Torino si riversasse nell'Oratorio. Nell'interno della casa si faceva un gran pregare.

                Una voce si udiva continuamente, ripetuta, quasi parola d'ordine: Era un santo! Moltissimi davano a un sacerdote medaglie, immagini, corone, fazzoletti, libri di pietà, perchè li accostasse alle venerate spoglie o li deponesse per un istante su quelle sacre mani. Quanta commozione! quante lacrime! Nel pomeriggio il concorso crebbe a dismisura, sicchè si dovette sospendere il far toccare oggetti alla salma. Anche la chiesa di Maria Ausiliatrice fu tutto il giorno stipata di popolo. Alle venti si chiusero tutte le entrate; ma più tardi bisognò riaprire per contentare numerosi visitatori giunti allora da diversi paesi del Piemonte. [550]

                Il momento più commovente della giornata fu quando a tarda sera i figli di Don Bosco diedero l'addio alla salma del loro Padre. Alle ventuna tutti i giovani dell'Oratorio, portatisi nella chiesina e prostrati a terra, recitarono le loro preghiere; poi in mezzo a solenne silenzio si alzò Don Francesia e a quelle centinaia di giovani inginocchiati diede la consueta "buona notte". - Vedete qui, disse, il nostro caro Padre, con quella calma, quella tranquillità, quel sorriso che gli sfiora il labbro? Pare ch'ei voglia parlarvi, e voi quasi attendete che si alzi e vi rivolga la parola. Ma egli purtroppo non può ripetervi quei dolci santi ammaestramenti che tante tante volte ci ha dati: egli non può più parlarci. I Superiori perciò hanno mandato me a fare le sue veci. Ma che cosa vi dirò io da questo luogo, ove Don Bosco tanto fece per voi? Non farò altro che ripetervi l'ultima parola da lui lasciatavi. Interrogato quale ricordo volesse lasciare ai suoi giovani, rispose: Dite ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso. Il raccoglimento generale era così intimo e assoluto, che pareva di sentire l'alito affannoso degli ascoltatori. E Don Bosco nella calma serenità della morte sembrava benedire i suoi amati figliuoli, che non sapevano staccarsi da lui. Dato l'avviso di muoversi per andare ogni classe al proprio dormitorio, tutti, come se non avessero udito, stavano là fermi e lacrimanti a contemplare per l'ultima volta quelle amabili sembianze. Avviandosi finalmente per uscire, tenevano fino alla porta la faccia rivolta indietro.

                Per tutta la notte i Salesiani vegliarono la salma pregando. Don Rua vi restò genuflesso accanto per lungo tempo; era assorto in profonda meditazione.

                Prima delle otto del giovedì 2 febbraio il cadavere fu rimosso e deposto in triplice cassa, rivestito com'era dei paramenti sacri. In quel punto fu condotta presso la bara una Figlia di Maria Ausiliatrice, invocante la grazia della vista. Si chiamava Adele Marchese. Dal settembre del 1887 medici specialisti l'avevano dichiarata affetta da gutta serena, malattia [551] ribelle ad ogni cura. Arrivata appena in tempo vicino alla salma, ne prese la mano e se la accostò agli occhi. Allora: - Io lo vedo, - disse. Riaccostata agli occhi la mano, esclamò più forte: - Io vedo tutto, io vedo bene. - La superiora le mise un fazzoletto alla bocca per impedirle di gridare e Don Bonetti la fece tosto menar via. Aveva realmente riacquistato il vedere. Don Lemoyne scrive: “lo non la conosceva. Chiamato una notte ad assistere una suora morente, vidi una fra le inferme, il cui sguardo brillava in modo singolare nella penombra di un lumicino che rischiarava la stanza. Mi venne un'idea. - Voi, le dissi, siete quella, a cui Don Bosco ha ridonata la vista? - Sissignore, mi rispose”. Testimonio oculare della prodigiosa guarigione fu quel cileno Barros, venuto a Torino con monsignor Cagliero in compagnia di due suoi cugini e ritornato qui con essi il giorno della morte. Rimpatriato, ne parlò e ne scrisse con entusiasmo.

                Per la porta laterale la bara venne portata nella chiesa di Maria Ausiliatrice e posata sul catafalco eretto sotto la cupola. Facevano ala al suo passaggio attraverso il cortile, fra gli altri, molti pellegrini francesi, svizzeri e irlandesi diretti a Roma. Nell'interno del tempio lo spazio riservato al pubblico era già occupato da parecchie ore. Da fuori saliva il mormorio dell'ingente moltitudine affollata sulla piazza e rimescolantesi nei corsi che fanno ventaglio sul rondò. Pontificò monsignor Cagliero, del quale i cantori eseguirono la Messa composta nel 1862. La chiesa presentava l'aspetto di una grandiosa cappella ardente, illuminata da numerosi doppieri e lampade.

                Il feretro si sarebbe dovuto chiudere e sigillare prima che fosse recato nel santuario; ma si ottenne dal Municipio di poter sospendere, perchè avessero la consolazione di vedere il volto del Padre tanti confratelli che stavano per giungere da lontano.

                La chiusura ufficiale della bara fu fatta alle ore quattordici, presenti i membri del Capitolo Superiore e un centinaio fra [552] Salesiani ed estranei. Don Bonetti aveva composto e il calligrafo Don Ernesto Vespignani copiato il verbale, che con le firme dei Superiori e di alcune personalità venne deposto ai piedi della salma, ermeticamente chiuso entro un tubo di vetro[417]: Saldata sul feretro la lastra di piombo, vi si sovrappose e assicurò con viti il coperchio di noce. “Addio, sante spoglie di Don Bosco, scrisse un giornale torinese, esprimendo assai bene i sentimenti che agitavano l'animo di tutti in quel momento[418]. Voi scomparite per sempre. Con Voi scompare l'astro della beneficenza, l'apostolo dei giovani, il padre del popolo. Con voi si seppellisce quello sguardo dolcissimo che convertiva, quella voce armoniosa che favellando evangelizzava, quella mano che alzandosi benediceva, quel piede che camminando portava benefizi. Addio, spoglie venerate. Voi scendete sotterra, ma a noi rimane la grand'anima di Lui aleggiante ne' suoi istituti e viva e parlante ne' suoi esempi”.

 

 

CAPO XXVI

Pratiche per il seppellimento e onoranze funebri.

 

                NON fu impresa delle più facili l'ottenere che Don Bosco avesse una degna sepoltura. Non solo a' suoi figli, ma a' suoi ammiratori ripugnava assolutamente il pensiero              di vederne le spoglie abbandonate nel cimitero comune. I Superiori, come dicevamo, speravano di tumularle sotto la chiesa di Maria Ausiliatrice; fallendo tale disegno, volevano trasportarle a Valsalice. Le pratiche di legge, cominciate presso la regia Prefettura di Torino, proseguirono a Roma presso il Ministero degl'Interni. Si profilarono subito gravi difficoltà per il primo disegno; onde si ricorse al Re, alla Regina, alla Duchessa della Somaglia, all'onorevole Bon­ghi, al Correnti. Buone promesse vennero da ogni parte, e l'interessamento in realtà vi fu; se non che il Crispi, presidente del Consiglio, ne dissuase Sua Maestà, allegando il pericolo che altri ne profittasse per dimostrazioni clericali. A quei tempi i così detti clericali, pubblicamente disprezzati, in fondo in fon­do mettevano paura al Governo anche solo con la loro ombra.

                Tuttavia i Superiori non si perdettero di coraggio; anzi Don Sala ebbe una felice idea. Si presentò al Prefetto e al Sindaco della città e dichiarò a entrambi che, piuttostochè portare la salma di Don Bosco al cimitero comune, avrebbe preso le opportune disposizioni per mandarla a Parigi o a Barcellona, dove certamente sarebbe stata accolta come un [554] tesoro. La minaccia produsse un certo effetto; poichè si comprese benissimo quale disdoro ne sarebbe derivato alle autorità torinesi e qual disgusto universale si sarebbe sollevato, se la cosa si fosse eseguita.

- Ma perchè, domandava il Prefetto, tutta questa difficoltà a seppellire Don Bosco nel cimitero comune?

- Perchè, rispose Don Sala, Don Bosco manifestò il desiderio di stare con i suoi figli dopo morte, e io non permetterò mai a qualsiasi costo che egli vada al camposanto.

- Pensi bene che per mandare il feretro fuori d'Italia ci vorranno pratiche abbastanza lunghe.

 - In quanto a questo le autorità di qui non potranno negarmi quello che non si nega a qualunque cittadino, il quale domandi simile permesso. A Barcellona poi basterà un nostro telegramma per avere subitamente una risposta affermativa.

 - Il Municipio potrebbe concedere un posto distinto...

- Il Municipio ha trattato male quando io chiesi un posto per Don Bosco e per i suoi figli nel camposanto.

                Qui Don Sala narrò al Prefetto come il Municipio avesse risposto sempre negativamente alla preghiera di poter pagare a rate la somma di diciannove mila lire richieste per l'acquisto di un'area nel cimitero e come infine per conclusione avesse scritto all'Oratorio una lettera insolente. Il Prefetto ignorava che fra il Municipio e i Salesiani esistessero anche quei motivi di dissenso. Sul momento dunque si sospese ogni decisione, essendo vietato ai Prefetti del regno fare raccomandazioni al Ministero per seppellimenti in città.

                Contemporaneamente si agiva a Roma. Il procuratore Don Cagliero e con lui Don Notario chiesero udienza al Crispi. Gli annunziarono anzitutto la morte di Don Bosco. Il Ministro fu cortesissimo e rispose: - Conobbi Don Bosco prima di loro. Ricordo il bene che mi fece quand'ero a Torino emigrato. - Con quel tatto che lo distingueva, Don Cagliero prese dalle sue stesse parole la mossa a pregarlo che volesse permettere la tumulazione di Don Bosco nei sotterranei della [555] chiesa di Maria Ausiliatrice; ma il Ministro mise in mezzo l'ostacolo delle leggi.

- Appunto per questo, replicò il Procuratore, noi ci presentiamo a Vostra Eccellenza, affinchè abbia la bontà di accordare un'eccezione a favore di Don Bosco.

- È un'eccezione che farebbe gridare troppo... Si creerebbe un pericoloso precedente... Non potrebbero seppellirlo in qualcuno dei loro collegi? Questo sarebbe facile a ottenersi e così Don Bosco resterebbe in mezzo a loro. Del resto, parlino col mio segretario Pagliano; ogni cosa si potrà accomodare. Vedano se egli è ancora in ufficio. Forse sarà andato a pranzo. Facciano la prova.

                Quando videro Pagliano, s'accorsero che il Ministro aveva già parlato con lui. Furono trattati con ogni riguardo. Egli lesse loro gli articoli della legge sanitaria che proibivano i seppellimenti in città. Per fare un'eccezione occorreva una legge del Parlamento, e a quei lumi di luna chi sa quale putiferio sarebbe successo alla Camera!... Domandò quindi anche lui se non avessero qualche collegio nelle vicinanze di Torino. Udito di Valsalice: - Bene, ripigliò, facciano la tumulazione in quel collegio. Avranno così due vantaggi: il loro desiderio di ritenersi Don Bosco sarà soddisfatto e noi saremo al riparo dalle pubbliche dicerie, risparmiandoci anche il rincrescimento di dover dare una negativa.,

                Ritornati da Crispi, questi approvò il partito; ma egli pure, come già il Correnti, raccomandò che i funerali non assumessero il carattere di una dimostrazione clericale. Ciò detto, si profuse in elogi alla memoria del defunto. Anzi la Lega Lombarda di Milano pubblicò una lettera di “un illustre Cooperatore Salesiano”, il quale asseriva di sapere aver anche detto il Crispi che nel 1852 D. Bosco lo accoglieva sovente alla sua mensa e che da Don Bosco egli si era pure confessato, riportandone l'impressione che il suo spirito era veramente quello del Vangelo. La notizia fece in quei giorni il giro di parecchi giornali senza che venisse mai smentita. [556] Era ospite al Sacro Cuore monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, uno dei più sinceri, costanti e generosi amici di Don Bosco. Egli aspettava con ansia il ritorno dei due Salesiani per conoscere l'esito del colloquio. Magnifica idea! esclamò quando li intese. Il collegio di Valsalice è il vero luogo per la sepoltura di Don Bosco. Egli riposerà in mezzo ai giovani chierici e infonderà loro il suo spirito. Andando a Torino, persuadano i Superiori ad accettare questa idea. Dirò anzi che, quando pure venisse il permesso di seppellirlo nell'Oratorio, non se ne valgano. A Valsalice è il posto. - Don Notario partì immediatamente per Torino, latore di questo progetto.

                Prevedendosi che lo svolgersi di dette pratiche avrebbe obbligato a chiedere per il seppellimento una dilazione oltre il termine consentito dalla legge, conveniva levar di mezzo ogni pretesto a un rifiuto, come sarebbero state eventuali emanazioni del cadavere. Perciò i dottori Bestenti e Albertotti nella chiesa di Maria Ausiliatrice, prima che si chiudesse la cassa mortuaria, vi versarono sublimato corrosivo negli angoli e sull'imbottitura laterale; mercè tale provvedimento si poteva far fede che il cadavere non avrebbe esalato cattivi odori neppure se si fosse conservato un mese sopra terra. Nell'eseguire questa operazione il Bestenti diede una prova straordinaria del suo affetto per Don Bosco. Poichè il tempo stringeva e mancava una mestola, egli, fatta la miscela di sublimato e di acqua in un secchio, impregnò del liquido l'interno della cassa mediante una spugna, che inzuppava e spremeva con le stesse sue mani. Don Durando lo avvertì che si sarebbe bruciata la pelle; ma l'altro rispose che, com'essi avevano fatto la parte loro, così lasciassero fare a lui la sua: essere ben contento di rendere quell'ultimo servizio di buon figliuolo al padre. Ne riportò difatti un malessere, che lo costrinse al letto per dieci giorni, tanto le mani gli erano rimaste malconce fino a produrgli febbre.

                Ormai tutto era pronto per il trasporto funebre. Verso le [557] ore quindici del 2 febbraio Torino alla periferia appariva quasi deserta; formicolavano invece di gente le vie della re­gione di Valdocco, per le quali si sapeva dai giornali dover passare il corteo. A memoria d'uomo non si ricordava un sì grande concorso di popolo per assistere alla sepoltura di un semplice prete. Si fece ascendere comunemente a duecen­tomila le persone venute a onorare anche solo con la presenza Don Bosco; ma chi vide e rammenta, non trova punto esa­gerata quella cifra. Don Bosco in una sua memoria raccomandava per sè la modestia dei funerali, e voleva che sol­tanto i suoi figli ne seguissero la bara; ma come impedire la partecipazione a tanti, trasportati là imperiosamente dalla riconoscenza, dall'affetto e dalla venerazione?

                Il corteo, uscendo dalla chiesa di Maria Ausiliatrice, infilava a destra la via Cottolengo, entrava nel corso Principe Oddone, volgeva sul corso Regina Margherita, percorrendolo fino a via Ariosto, per la quale rientrava nell'altro tratto di via Cottolengo, facendo ritorno alla chiesa[419]. Il feretro veniva portato a spalle da otto sacerdoti salesiani. Al suo passaggio tutti si scoprivano, molti s'inginocchiavano; frequente si udiva l'esclamazione: Era un santo. Dietro la salma fra Don Durando e Don Sala incedeva Don Rua a capo chino, tutto raccolto nel suo immenso dolore; lo seguivano gli altri membri del Capitolo Superiore. Ad essi quindi teneva dietro una moltitudine innumerevole di ecclesiastici e laici, quali per rendere individualmente onore all'estinto, quali per rappresentare anche enti o personaggi cittadini. Non mancarono rappresentanze estere. Fiancheggiavano tutto questo grande seguito due lunghe file di domestici in livrea recanti le armi delle case patrizie torinesi, preceduti dai valletti del Municipio.

                Mentre la testa del corteo, formata da doppio stuolo di figlie di Maria, risaliva la gradinata del santuario, l'estremità [558] opposta percorreva ancora il corso Principe Oddone. Erano le ore diciotto. La piazza e i due tratti di via Cottolengo, fin dove si poteva spingere lo sguardo, rigurgitavano di popolo. Orbene una massa così compatta di gente aveva un atteggiamento quale suole tenersi nei momenti più solenni delle sacre funzioni. Il Delegato di pubblica sicurezza al vedere quell'immensa folla disse passando accanto a Don Berto: - Che potrebbero mai fare tutte le nostre guardie con una moltitudine così sterminata, se non fosse trattenuta dal rispetto e dalla venerazione verso l'estinto?

                Soltanto la parte della strada dinanzi al centro della cancellata era mantenuta sgombra. I giovani dell'Oratorio si addensarono nel recinto del sacrato. Nella chiesa entrarono solo le figlie di Maria e il numerosissimo clero. Appena il feretro si volse verso l'ingresso, la banda dell'Oratorio intonò una marcia funebre; le campane riempivano l'aria dei loro lenti rintocchi. Un fascio luminoso di mille ceri, erompendo dall'aperto portone, lo accolse e lo introdusse in un mare di luce. Dei tre Vescovi che lo precedevano, due, monsignor Leto e monsignor Cagliero, si avanzarono con i rispettivi sacerdoti assistenti nel presbiterio, collocandosi uno in cornu epistolae e l'altro in cornu evangelii dell'altare maggiore, mentre il terzo, monsignor Bertagna, fermo sui gradini della balaustra, attendeva che il feretro gli fosse posato dinanzi[420]. Le rappresentanze presero posto in fondo. In mezzo al più religioso silenzio il Vescovo di Cafarnao diede la rituale assoluzione.

                Il trasporto era riuscito così solenne e imponente, che lo si diceva non una funzione funebre, ma un trionfo, un'apoteosi. “Nulla, depose Don Rua[421], vi fu di artificioso per promuovere tale concorso; si mandò appena, per il po' di [559] tempo che si potè avere, la lettera mortuaria ai Cooperatori più vicini, e tutti i giornali, senza esserne incaricati, diedero l'annunzio della morte”. In verità, per quanto si sapesse che Don Bosco era in Torino molto amato, nessuno dell'Oratorio si sarebbe potuto attendere dalla cittadinanza un concorso così mirabile per numero, per contegno e senza distinzione di classe. Il signor Jules Auffray, redattore capo della Défense di Parigi, disse allora che due cose l'avevano maggiormente colpito in Italia, il giubileo papale a Roma e il funerale di Don Bosco a Torino; aver anzi in qualche cosa trovato più sorprendente il funerale di Don Bosco. 1’Unità Cattolica del 3 febbraio potè scrivere senza ombra d'iperbole: “Il trasporto funebre di Don Bosco non è stato inferiore a quello d'un Sovrano”.

                Impartita che fu l'assoluzione alla salma e dato adito al pubblico, accadde uno spettacolo nuovo. Il popolo si precipitò sul feretro per toccarlo, per baciarlo, per portar via qualche minuscola parte di quanto vi stava deposto sopra. Le corone di fiori andarono in mille pezzi. Così sarebbe toccato al drappo funebre, alle insegne sacerdotali e alla cassa, se un buon nucleo di guardie civiche non avesse repressa e arrestata l'onda minacciosa.

                 Dopochè la moltitudine sfollò e le porte vennero chiuse, i Salesiani con piccolo accompagnamento riportarono la bara nella chiesa di S. Francesco, dove la nascosero nell'attesa che fossero condotte a termine le pratiche per il suo definitivo collocamento.

                Di mano in mano che gli abitatori dell'Oratorio rimettevano piede in casa e levavano istintivamente lo sguardo alle camere di Don Bosco, provavano per la prima volta la sensazione del grande vuoto prodotto in mezzo a loro dalla scomparsa dell'angelo tutelare del luogo. Ma ecco un fatto che ha del prodigio. Allorchè tutta la comunità fu riunita, una pace, una serenità, una misteriosa gioia sembrò aleggiare in ogni angolo e in ogni cuore. Quelli che poc'anzi avevano [560] pianto, si sentivano così tranquilli, come nei giorni belli, in cui Don Bosco viveva tra i suoi figli. In realtà Don Bosco era vivo e non lontano; egli era che diffondeva tanta quiete all'intorno.

                Quasi a coronare la tranquillità dell'Oratorio, più che a porgere conforto nel duolo, giunse una lettera del cardinale Rampolla, per la quale lo stesso Leone XIII aveva voluto dettare le più significative espressioni.

 

                                Ill.mo Signore,

 

                La perdita del Sacerdote Don Giovanni Bosco, che godeva la stima, l'affetto e l'ammirazione universale per le Opere di cristiana carità da lui fondate, per lo zelo onde erasi studiato mai sempre di promuovere il bene delle anime, e per quanto aveva egli fatto perchè il nome santissimo di Dio risuonasse e fosse venerato in ogni più remoto angolo della terra, la perdita di quest'Apostolo forma un vuoto, di cui si duole la Chiesa, e con essa debbono meritamente dolersene i suoi figli, che lo ebbero Padre affettuosissimo ed esempio di ogni più bella virtù.

                E posso io dire che, sull'animo della Santità di Nostro Signore, il tristissimo caso ha prodotto una impressione tanto più dolorosa, quanto maggiori erano la benvolenza, che portava al benemerito sacerdote, e il pregio, nel quale ha sempre avuto le molte sue Opere, feconde di santi e salutari frutti. E, rivolgendosi alla misericordia e bontà divina, la prega di dame alla di lui anima benedetta largo premio nella celeste gloria.

                A tutta poi la Società Salesiana impartiva di cuore l'apostolica benedizione, tenendo per fermo che le sarà di sollievo nell'afflizione, da cui è oppressa, e di stimolo a proseguire nella santa impresa che ha dessa ereditato dal defunto e che formò oggetto delle sue instancabili cure durante i lunghi anni della mortale carriera.

                Associandomi poi ai sentimenti di animo del Santo Padre, auguro a lei ogni bene, e me le dichiaro, con sensi di stima,

                Di V. S. Ill.ma

 

                Roma, 2 febbraio 1888.

 

   Aff.mo per servirla

M. Card. RAMPOLLA.

 

                Un tratto singolare della Provvidenza pose termine a quella indimenticabile giornata. Il dottor Bestenti, mentre prendeva parte con i colleghi all'accompagnamento, era perseguitato da un pensiero molesto. Il Municipio non avrebbe [561] mosso opposizione al seppellimento di Don Bosco nel collegio di Valsalice? A un certo punto abbandonò il corteo, si diresse al palazzo di città ed ecco ivi una lettera d'ufficio che stava per essere mandata alla regia Prefettura. Chiesto di che si trattasse, gli venne risposto che riguardava il seppellimento di Don Bosco a Valsalice. I medici dell'Ufficio d'igiene avevano dato voto contrario. Il Bestenti, membro dello stesso Ufficio, ferma la lettera, raduna i tre suoi colleghi, protesta contro una deliberazione presa in sua assenza e tanto dice e tanto fa che quella prima votazione è annullata e si procede a un'altra favorevole.

 

 

CAPO XXVII

La salma di Don Bosco a Valsalice.

 

                NON ogni speranza era svanita di tumulare Don Bosco nell'Oratorio. Nell'aristocrazia torinese circolava una petizione al Re per chiedere questo favore. La santa principessa Clotilde aveva già raccomandato la cosa a Umberto, suo fratello. Un telegramma delle ore venti da Roma lasciava ancora un barlume di fiducia. Persone influenti si venivano tuttora ufficiando nella capitale e a Torino. Il cardinale Alimonda e il principe Eugenio di Savoia Carignano se ne interessavano. Si tentò di far valere il precedente del padre Ludovico da Casoria. Ciò nonostante il Capitolo Superiore risolse di affrettare i preparativi a Valsalice. Il Municipio aveva concesso due giorni di tolleranza per l'interramento; ma questi sarebbero finiti presto, cioè la sera, del 4, e allora, mancando il decreto per la chiesa di Maria Ausiliatrice nè essendo preparato a Valsalice il sito, il Sindaco, obbligato dal regolamento d'igiene, avrebbe mandato a prendere il feretro per farlo portare al cimitero comune. Non c'era dunque tempo da perdere.

                Intanto la curiosità pungeva molti di sapere dove si sarebbe portato a seppellire Don Bosco; ma dall'Oratorio nulla si riusciva a sapere. C'era stata da parte della Piccola Casa l'offerta della tomba provvisoria del celebre padre Verri [422] [563] nel camposanto, e si lasciò correre quella voce, che serviva a coprire le vere intenzioni; perchè, se si fossero svelate queste, certi giornali per aizzarvi contro la così detta opinione pubblica avrebbero levato clamori contro il privilegio. Ma silenziosamente a Valsalice si lavorava dì e notte per allestire la tomba. E fu savio consiglio; poichè, se fossero svanite le ultime speranze circa la chiesa di Maria Ausiliatrice, l'urgenza di dare sepoltura al cadavere avrebbe richiesto che a Valsalice tutto fosse subito all'ordine: altrimenti non si sarebbe potuto scongiurare il deprecato invio al cimitero comune.

                E realmente quelle speranze erano destinate a svanire, perchè il Crispi non avrebbe mai receduto dal suo diniego, come si seppe dopo da una sua lettera all'onorevole Bonghi, comunicata ai Superiori di Torino. Il Ministro, dovendo rendere conto all'influente deputato del suo rifiuto, gli scriveva: “Mi sono occupato in persona della domanda rivoltami tempo fa dai Sacerdoti del defunto Don Bosco e che tu mi raccomandi colla tua lettera, per tumularne la salma nel terreno del suo Istituto in Torino. Sarebbe stato mio desiderio il poterla secondare, in considerazione della spiccata individualità cui la salma appartenne. Ma la tumulazione nel recinto di una città è affatto contraria alle disposizioni del Regolamento sanitario in vigore, ed una eccezione, che in questo caso può parerti ragionevole, aprirebbe l'adito ad una violazione continua del Regolamento. Tale violazione non fu fino ad ora permessa mai da questo Ministero ed io ho stretto dovere d'impedirla. È per questa ragione che con mio dispiacere debbo anche a te rispondere in proposito negativamente”. Fin dal 3 febbraio cominciò la canea dei giornali settari, i quali, avendo avuto sentore delle trattative in corso e volendole attraversare, insinuarono maliziosamente essersi dal Crispi rifiutato il permesso per aver egli saputo che si trattava di “mene clericali”.

                Per la sepoltura a Valsalice bastava l'autorizzazione del Prefetto, presso il quale, mentre si brigava a Roma, non furono [564] sospesi i colloqui. Il Prefetto, conte Lovera di Maria, preso dalla solita paura dei giornali, non finiva di tergiversare. Finalmente all'ingegnere Vigna, che faceva da intermediario per l'Oratorio, disse esitante che non firmava il decreto, se prima egli non andasse a misurare le distanze fra il luogo della tomba e le circostanti villeggiature. A dir vero, fuori di cinta il Regolamento non prescriveva distanze; tuttavia l'ingegnere, stucco e ristucco di quei tentennamenti, uscì, noleggiò una vettura, si fece condurre a Valsalice, calcolò a occhio e croce le distanze e tornò con la risposta.

                Alla sera, del 4 febbraio scadeva, come dicevamo, il tempo, in cui era permesso tenere la salma entro il recinto urbano; si aspettava quindi con crescente ansietà quel benedetto decreto. Don Sala specialmente era in orgasmo e si sentiva venire la febbre. A nessun costo, neppure in deposito, egli avrebbe lasciato il corpo di Don Bosco nel cimitero comune. Erasi stabilito di occultarlo nella sua camera, che, essendo in alto e in un angolo appartato della casa, si prestava a sottrarlo alle ricerche delle guardie. Come Dio volle, alle sedici e mezzo il documento arrivò e tutti respirarono. Un'ora dopo il carro funebre trasportava Don Bosco a Valsalice. Prima che la bara vi fosse collocata sopra, Don Rua la baciò lacrimando. Sulla carrozza usata dal Santo nelle sue passeggiate serali vi tennero dietro monsignor Cagliero, Don Bonetti e Don Sala, recitando il rosario. In due altre vetture seguivano un sorvegliante responsabile e quattro vespilloni. L'incertezza durata fino all'ultimo e il timore di qualche brutto tiro giornalistico avevano obbligato a celare la cosa perfino agli amici, sicchè il trasporto si potè eseguire senza che nessuno se n'accorgesse.

                Erano le diciotto quando il carro funebre entrò nel cortile di Valsalice. I chierici con candele accese ricevettero e accompagnarono nella cappella il feretro, portato da otto di loro. La consegna al rappresentante del Municipio portava che nella sera stessa facesse fare la tumulazione e ne redigesse [565] il verbale; ma i muratori non avevano ancora terminato di apprestare il loculo. Si cercò dunque di guadagnare tempo tirando in lungo la cerimonia nella cappella, dove, compiute le esequie, i chierici presero a cantare l'ufficio dei defunti. L'ispettore, intuito l'imbarazzo, non die' segno di avvedersene. Gli uomini che dovevano testimoniare del seppellimento, furono tenuti a bada con qualche buon bicchiere, sicchè persuasi che la salma di Don Bosco fosse nel suo sepolcro, firmarono la carta e partirono. Il loro capo, avvicinatosi a Don Barberis, gli susurrò all'orecchio: - Sono un antico allievo. - Ciò detto, lo salutò e parti anche lui.

                Remotis arbitris, il feretro venne riposto in un coretto, dinanzi al quale si fecero cadere a mo' di addobbo festivo drapperie, che mascherassero il nascondiglio, e fu fatto divieto di parlarne con chicchessia fuori del collegio. La salma rimase là altri due giorni. Le precauzioni prese impedirono che la cosa trapelasse con pericolo che qualche malevolo ne menasse scalpore; le conseguenze sarebbero state gravi. Questo era tanto più da temersi, perchè cattivi giornali per far pressione sulle autorità avevano pubblicato con aria di trionfo che nonostante domande, suppliche, buoni uffici di persone altolocate, Don Bosco sarebbe stato sepolto nel cimitero comune.

                Per buona sorte, imprudenze non furono commesse, cosicchè il lunedì 6 febbraio si potè procedere tranquillamente alla tumulazione. Tutto si fece senza rumore a tarda sera, perchè i vicini non s'accorgessero di nulla. Erano presenti i Superiori del Capitolo e parecchie Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice con la loro Madre Generale. Monsignore benedisse il sepolcro; quindi il feretro fu sollevato e introdotto nel loculo. Un silenzio angoscioso accompagnò la rapida opera dei muratori, che involavano per sempre agli sguardi dei figli anche la bara racchiudente le umane spoglie e le amate sembianze del Padre.

                Murato il sepolcro, i centoventi chierici si raccolsero nella [566] cappella a cantare un notturno dell'ufficio dei morti. Dopo monsignor Cagliero tenne loro un breve discorso. I Superiori affidavano ai confratelli della casa di Valsalice un prezioso deposito, un sepolcro che un giorno sarebbe divenuto glorioso. Lo custodissero bene, accogliessero con amore fraterno i Salesiani delle altre case che sarebbero venuti a visitarlo. Essi per i primi vi andassero sovente a ispirarsi e a infervorarsi nella pratica delle virtù di Colui, del quale conteneva le spoglie. Monsignore, fatto un rapido cenno delle principali virtù di Don Bosco, proseguì: - I primi cristiani si animavano a combattere per la fede, a soffrire e a morire per Gesù Cristo, fortificandosi sulla tomba dei Martiri; S. Filippo Neri imparò a divenire l'Apostolo di Roma visitando spesso le catacombe. Cosi voi, così noi tutti rechiamoci con frequenza ad attingere da questa tomba la fortezza che nei più duri cimenti sostenne il nostro Don Bosco, mentre lavorava per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime; veniamo a riscaldarci di quel fuoco d'amore che sempre gli avvampò nel petto e lo rese apostolo non solamente di Torino, del Piemonte, dell'Italia, ma delle più lontane regioni della terra.

                Anche Don Rua volle dire poche parole, facendo rilevare essere la divina Provvidenza che affidava a quei di Valsalice il corpo di Don Bosco. Raccontò infatti come nelle precedenti vacanze tutti i Superiori avessero concordemente divisato di mantenere il collegio per i giovani di civile condizione, introducendo qualche modificazione nel primitivo programma per facilitarvi l'ammissione di un maggior numero; quand'ecco, saputosi che la casa di San Benigno sarebbe stata quell'anno troppo ristretta, in pochi minuti si era cambiato disegno e con una unanimità poco prima impossibile, sorpassata ogni difficoltà, specialmente quella dell'onore, si era deciso di sciogliere quel collegio e di stabilirvi lo studentato e la casa di Missione per i nostri chierici. Lo stesso Don Bosco, dopochè pochi giorni prima aveva acconsentito a mantenervi il collegio modificandone il programma, aver approvato [567] anche lui di buon animo la divisata trasformazione, ben tosto eseguita. A che mirava tale ricordo? A far intendere che, se la casa fosse stata ancora collegio, non si sarebbe potuto ottenere il permesso di avere le spoglie di Don Bosco fra i suoi figli; non nell'Oratorio, perchè il Ministero vi aveva dato una negativa assoluta; non a Valsalice, perchè le altre autorità, la municipale e la scolastica, avrebbero posto il veto per la natura della casa destinata a dimora di giovanetti. Ma Iddio che aveva decretato di prenderci Don Bosco e per nostra consolazione voleva lasciarcene il corpo vicino, aver disposto gli eventi nel modo raccontato. Potersi dunque dire in tutta verità essere la divina Provvidenza che affidava ai confratelli di Valsalice la custodia del suo sepolcro. Si mostrassero pertanto degni di tanta sorte e con la pratica delle virtù di Don Bosco facessero sì che egli potesse allietarsi di stare col suo corpo in mezzo a loro, qual Padre presso i figli. Qui non terminò il Successore di Don Bosco, ma riprese: - Vi lascio tre speciali ricordi. - I° Per assecondare il volere espresso dì Don Bosco e le intenzioni della Chiesa, la quale comanda che si preghi indistintamente per tutti i fedeli, finchè non siano dal suo supremo magistero dichiarati venerabili, tutte le volte che passerete vicino a questa tomba, recitate almeno un requiem aeternam. - 2° Andate tratto tratto presso quella sacra tomba a fare un po' di meditazione animandovi alla virtù e se qualche volta vi sentirete languidi nell'osservanza delle Regole, se qualche volta si desteranno in voi le passioni che cercano di farvi cadere in peccato, qui rivolgete il vostro pensiero come il vostro sguardo e qui giurate fedeltà a Dio a costo di qualunque sforzo, qui giurate guerra al peccato a costo di qualunque sacrificio e invocate pure anche questo caro Padre nelle vostre tentazioni ed affanni ed egli dal cielo, dove fondatamente speriamo che sia, vi otterrà le grazie domandate. - 3° Ogni volta che volgete là lo sguardo, procurate di figurarvi come dinanzi a uno specchio da cui ricopiare ogni virtù; là specchiatevi e figuratevi [568] che dalla tomba parta una voce che dica: Imitatores mei estote, sicut et ego Christi. In ogni vostra azione pensate: Come farebbe Don Bosco in questa circostanza? Allora sì che avverrà di lui quello che si dice della salma dei Profeti: Defunctus, adhuc loquitur.

                I Superiori rientrarono poi nell'Oratorio consolati - che tutto fosse riuscito così bene e riconoscenti verso quanti avevano loro prestato valida mano. Prima della cena i chierici di Valsalice, radunatisi intorno al proprio direttore Don Barberis, sottoscrissero un indirizzo a Don Rua, composto dal loro compagno Don Beltrami, per promettergli che le sue raccomandazioni e i suoi ricordi si sarebbero fedelmente praticati e insieme per rendere il loro primo omaggio a lui, come a nuovo Rettor Maggiore[423]. Questo indirizzo, portato immediatamente a Don Rua, gli fu letto dopo la cena nel refettorio del Capitolo Superiore.

                Sparsasi attorno al collegio la notizia della tumulazione, parecchi proprietari di case e ville nella valletta del Salice scrissero lettere di ringraziamento al Sindaco di Torino, perchè Don Bosco fosse stato seppellito presso di loro.

                Il loculo era incavato nel muro del ripiano, dove sullo scalone che parte dal cortile basso del collegio s'incontrano due rampe di scale scendenti dal cortile alto. Là rimase il feretro per un anno indisturbato, finchè, costruitasi sulla tomba una cappella funebre per cura e a spese di alcuni antichi allievi, fu un po' meglio accomodato in sito più elevato e decoroso. Sul davanti un epitafio latino diceva il giorno e il luogo della nascita e della morte, qualificando semplicemente Don Bosco come Padre degli orfani. Alcuni ex - allievi di Valsalice ottennero poi di apporre un'altra iscrizione che rammentasse la loro dimora nel collegio e attestasse la loro riconoscenza al venerato Padre. La lapide, fissata sulla parete a sinistra di chi sale, dice così: “Disgiunti per le vie intraprese [569] - del santuario, delle scienze, del foro, dell'armi - uniti sempre di mente, di cuore - gli antichi allievi dei Collegio Valsalice - al loro amato Padre - Don Giovanni Bosco - questa ricordanza di perenne affetto - p. p.”.

                Dal 1889 in poi il feretro non fu più toccato se non sedici anni dopo la morte per la ricognizione ufficiale della salma, ordinata dalla sacra Congregazione dei Riti. In tale circostanza la cassa aperta stette poche ore esposta in un gran salone, mentre si ricomponevano le rivestiture del feretro, che fu quindi riportato al suo loculo per attendervi la trionfale traslazione del 1929.

                Don Rua, nonostante la distanza, procurava di visitare il glorioso sepolcro almeno una volta al mese; che se qualche mese non poteva, vi suppliva abbondantemente durante gli esercizi spirituali, a cui interveniva ogni anno con numerosi confratelli. Molte e molte persone vi andavano continuamente, tratte dalla venerazione per il Servo di Dio e dalla fiducia nella sua intercessione. Vi affluivano anche visitatori e pellegrinaggi da ogni parte d'Italia e da più nazioni d'Europa. Ben di rado carovane dirette a Roma e passanti per Torino omettevano di recarsi a rendergli il loro tributo di onore. Nè solo gente del popolo saliva a Valsalice per questo scopo, ma anche personaggi costituiti in dignità, italiani e stranieri. Tale concorso, cominciato subito dopo la sepoltura, continuò senza interruzione, anzi con progressivo aumento, fino a che le sante reliquie ne furono rimosse per essere esposte al culto nella chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Le domande di oggetti appartenenti a Don Bosco si moltiplicavano ogni giorno più. Don Rua, per appagare almeno il pio desiderio dei principali benefattori, diede incarico a Don Sala e a Don Bonetti di vedere in che modo si potesse fare. C'era stato il buon precedente di Pio IX, del quale appena morto si chiedevano reliquie da tutte le parti e si mandavano. Fu seguito tale esempio.

                Don Bosco nel suo testamento spirituale del 1884, da noi [570] pubblicato nel volume precedente, aveva scritto: “Fatta la mia sepoltura, il mio Vicario inteso col Prefetto dirami a tutti i confratelli questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale”. Questi pensieri erano espressi in forma di lettera ai Salesiani. Don Rua subito il 7 febbraio ne ordinò la stampa in tante centinaia di copie che bastassero per tutti e in un formato che potesse comodamente conservarsi nel libro delle Regole o in qualche manuale di pietà, sicchè tornasse facile un'assidua lettura dell'affettuoso e commovente documento.

 

                Lettera scritta di mano dell'amatissimo nostro Padre Sac. Don Giovanni Bosco per tutti i Salesiani, con incarico al Successore di farne avere una copia a ciascuno dopo la sua morte. Si riceva e si conservi come il suo spirituale testamento dettato dal grande affetto, di cui avvampava verso i diletti suoi figli in Gesù Cristo.

 

                               Miei cari ed amati Figli in G. C.,

 

                Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore.

                Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per la ubbidienza che mi avete prestata, e di quanto avete lavorato per sostenere e propagare la nostra Congregazione.

                Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la infinita Misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità.

                Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito che tutti dobbiamo pagare, ma dopo sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amore del nostro Maestro, il nostro Buon Gesù.

                Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimaner saldi nella vocazione sino alla morte. Vegliate e fate che nè l'amor del mondo, nè l'affetto ai parenti, nè il desiderio di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito di profanare i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con cui ci siamo consecrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiam dato a Dio.

                Se mi avete amato in passato continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre Costituzioni.

                Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore, Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra Guida, nostro Modello. Ma ritenete che a suo tempo Egli stesso sarà nostro Giudice e Rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio. [571]

                Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro[424] che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.

                Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al Cielo. Là parleremo di Dio, di Maria, Madre e sostegno della nostra Congregazione; là benediremo in eterno questa nostra Congregazione, la osservanza delle cui regole contribuì potentemente ed efficacemente a salvarci.

                Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum.

 

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Nel medesimo testamento Don Bosco aveva inserito una serie di letterine a insigni benefattori e benefattrici, affinchè fossero loro comunicate dopo la sua morte. Don Rua ne staccò quelle destinate a persone ancora viventi nel 1888 e le spedì quali erano uscite dalla penna del Santo[425]. Il prezioso ricordo suscitò in tutti un profondo, sentimento di gratitudine e venerazione.

                Ottimamente scrisse allora l’Unità Cattolica che sulla tomba dei Santi non si piange, ma si prega. Sfogliando il cumulo delle lettere pervenute a Don Rua dopo la morte di Don Bosco, più che dolorosi rimpianti, vi s'incontrano esaltazioni della sua santa vita ed espressioni d'illimitata confidenza nell'efficacia della sua intercessione. Ma vi fu ben altro ancora. Già l'8 febbraio Don Rua comunicò al Capitolo Superiore che il cardinale Parocchi, protettore della Congregazione, consigliava di fare pratiche presso il cardinale Alimonda, affinchè, come Arcivescovo di Torino, domandasse alla Santa Sede che, derogando alle prescrizioni ecclesiastiche, permettesse d'incominciare gli atti preparatorii al processo di Beatificazione. Don Bosco dunque era appena sceso nella tomba, che già gli si schiudevano nel mondo le vie della grande vera gloria.

 

 

CAPO XXVIII

Opinione di santità in vita e dopo morte.

 

                L’AUTORE ispirato dell'Ecclesiastico[426] dice degli uomini santi: In eterno rimarrà la loro memoria, e la loro lama non sarà oscurata; i loro corpi riposano in pace, ma il loro nome vive nei secoli; la loro sapienza è celebrata in pubblico e le loro lodi si ripetono nelle adunanze. Questo è avvenuto e avviene di Don Bosco. Appena sceso nella pace del sepolcro, se già era ammirato e amato in vita, riempì ancora più il mondo della sua fama, riscotendo lodi in tutte le lingue, senz'aspettare che il giudizio infallibile della Chiesa gli decretasse l'onore degli altari e ne rendesse universale il culto. La voce del popolo anticipò, diremo così, la voce di Dio, o meglio, fu realmente la voce stessa di Dio, come si rese poi manifesto per l'organo del magistero ecclesiastico. L'opinione ch'ei fosse santo l'aveva accompagnato in vita, ma si venne facendo convinzione profonda e mondiale subito dopo la sua morte. Noi ci proponiamo ora di sfogliare i Sommari dei processi per raccogliere di questa fama autorevoli testimonianze giurate, che nel loro insieme ci faranno grandeggiare ognor più dinanzi agli occhi la figura del nostro Padre. Ci limiteremo però nel numero dei testi: basteranno sette non salesiani e dodici salesiani. Di ognuno si riporterà unicamente quello che di più significativo seppe per propria [573] scienza. Non occorrono citazioni a pie' di pagina; nominandosi le persone, torneranno facili, a chi li volesse, i riscontri. Sia questa una corona di semprevivi che deponiamo sulla tomba gloriosa del nostro venerato Fondatore o, se più piace, un coro armonioso di voci inneggianti alla sua dolce memoria.

                Fra i non salesiani diamo la precedenza a un laico, uomo del popolo: Giovanni Bisio, negoziante. Dal 1864 visse nell'Oratorio sette anni e dopo si tenne sempre in relazione con Don Bosco, S'invogliò a conoscerlo quando un sacerdote del suo paese glielo descrisse come un santo. Fra le sue testimonianze ne emerge una. Avendolo accompagnato più volte in piccoli paesi del Piemonte, vedeva che al suo passare non pochi s'inginocchiavano per ricevere la sua benedizione, che altri sì affacciavano alle finestre e si mettevano sulle porte per poterlo osservare e che le madri gli presentavano i bambini per farli benedire. Dice: “Sembrava proprio il Nazzareno in mezzo ai fanciulli”.

                Due sacerdoti che conobbero da vicino Don Bosco, furono il teologo Reviglio, parroco di S. Agostino a Torino, e il canonico Ballesio, vicario foraneo a Moncaglieri. Don Reviglio, assiduo all'Oratorio dal 1847 e poi secondo ricoverato nell'ospizio, godette per tutta la vita l'intimità del Servo di Dio. Orbene egli considerò sempre Don Bosco quale un santo degno degli altari, idea comune, dice, non solo a' suoi allievi, ma anche a estranei da lui uditi proferire tale giudizio. Attesta inoltre di sacerdoti che, avuto a casa loro come commensale Don Bosco, si onoravano di mettere da parte posate e altri oggetti dal medesimo usati a mensa e che dopo la morte del Servo di Dio si ritenevano queste cose come preziosissime. Don Ballesio pure, alunno dell'Oratorio per otto anni dal 1857, ebbe per tutta la vita una crescente familiarità con Don Bosco. “Non saprei, dice, quale dei Santi abbia avuto maggior fama di santità presso ogni ceto di persone ecclesiastiche e laiche”. Si dichiara poi decisamente convinto che la divozione dei Salesiani e dei loro Cooperatori verso il Servo di [574] Dio fosse piuttosto eco che non causa della fiducia universale nell'efficacia della sua intercessione.

                Ricorre con certa frequenza nei primi volumi delle Memorie Biografiche il nome del canonico Anfossi. Egli fece i corsi ginnasiali, filosofici e teologici nell'Oratorio dal 1853. Uscitone conservò sempre filiale relazione con Don Bosco, che continuava a considerarlo come di casa. Che Don Bosco chierico fosse tenuto da' suoi compagni in gran conto per santità, egli lo intese da alcuni coetanei di lui e principalmente da Don Francesco Oddenino, del quale al tempo della sua deposizione nella causa era commensale da ventiquattro anni. L'Anfossi, ancora chierico nell'Oratorio, veniva mandato da Don Bosco per missioni particolari da parecchi Vescovi, nelle quali occasioni udiva altissime lodi alla santità di colui che lo inviava. Monsignor d'Angennes, arcivescovo di Vercelli, non rifiniva di esaltarlo alla presenza di vari canonici. Quanto in seguito la fama della sua santità si fosse estesa anche fuori d'Italia, il teste lo sperimentò ne' suoi viaggi in Francia, nel Belgio, in Olanda e in Germania. Presentandosi nelle sacrestie per celebrare, gli si faceva da molti la domanda se conoscesse Don Bosco, e alla risposta che era stato suo alunno, si vedeva colmato di gentilezze e trattenuto in lunghe conversazioni per il desiderio comune di conoscerne le opere. Conchiude così la sua deposizione: “Io ho sempre ammirato la santità di vita del Servo di Dio e questa persuasione di santità mi rimane tuttora nell'animo, anzi ogni dì più si conferma, nè mai mi avvenne di udire persona che contraddicesse alla fama di santità universalmente goduta da Don Bosco”.

                Chi non conosce il teologo Leonardo Murialdo, fondatore dei Giuseppini, del quale è in corso la causa di beatificazione? A noto quanto egli aiutasse Don Bosco nei principi de' suoi oratorii festivi a Torino; così dal 1851 cominciarono con lui le sue relazioni. “È cosa di fatto, dice, che anche prima della sua morte il Servo di Dio godeva fama di santità presso gran [575] numero di persone sia del popolo sia del ceto distinto, e questa fama si propagò anche all'estero. Una prova l'ebbi io stesso. Una signora di St. Etienne in Francia mandò alcuni anni prima della morte di Don Bosco un sacerdote di sua fiducia espressamente a Torino per pregarlo di recarsi presso di lei, che sperava di ottenere la guarigione dalla sua benedizione. Così pure più volte in Francia ebbi occasione di udirne fare elogi come di uomo al tutto ammirando”. Interrogato che cosa potesse dire della sua fama di santità post obitum, rispose: “Mi consta che il popolo ha stima, riverenza e divozione verso il Servo di Dio, nè solo le persone volgari, ma anche quelle pie, savie e prudenti, nè solo torinesi, ma anche forestiere ed estere”[427].

                Due Vescovi deposero come testi oculari. Il primo monsignor Vincenzo Tasso, dei Signori della Missione, vescovo di Aosta, aveva fatto il ginnasio nell'Oratorio dal 1862. Dichiarò: “Uscito poi dall'Oratorio perchè il Signore mi chiamava altrove, crebbe sempre più in me il concetto di santità del Venerabile. Anche paragonandolo con personaggi di grande carità e virtù, coi quali mi trovai a contatto, mi pare il più eccellente che io abbia incontrato in virtù, in opere e in doni soprannaturali. Questa mia convinzione va ognor crescendo, come cresce la mia venerazione; quanto più lo studio, tanto più ammiro e venero la sua santità. È quindi mia convinzione che la fama di santità da lui goduta non sia immaginaria e artificiale, ma veramente fondata sopra i suoi meriti e favorita da Dio con grazie e miracoli per glorificare il suo servo e innalzarlo agli onori degli altari, e faccio voto ben sincero che la cosa si avveri al più presto”.

                L'altro Vescovo è il rinomato moralista monsignor Bertagna, titolare di Cafarnao e ausiliare dei cardinale Alimonda. [576] Conobbe Don Bosco da fanciullo. Nelle vacanze autunnali ricevette per alcuni anni da lui lezioni di latino. Dopo, specialmente da sacerdote, fu con lui in continua dimestichezza. Ecco il suo ponderato parere: “Don Bosco era tenuto in concetto di uomo straordinario, e reputato santo da molti, e molti gli attribuivano miracoli. A mio giudizio, vederlo negli ultimi otto o dieci anni, già pieno di acciacchi, sopraccarico di occupazioni, assediato sempre da gente d'ogni sorta, e lui sempre tranquillo, non dare mai in un'impazienza anche minima, senza mostrar fretta, non mai precipitare quello che gli era messo a mano, dà ben motivo a dire che, se non era un santo, di santo rendeva però immagine. L'esito poi dell'opera sua principale, quasi scopo di tutta la sua vita, cioè la sua Congregazione, è l'argomento che ha per me più forza a persuadermi che Don Bosco fu un santo”.

                Ascoltiamo ora testi salesiani, che assai più dei precedenti ebbero agio di studiare da vicino il Servo di Dio. Alcuni di essi lo osservarono per anni e anni nella sua vita d'ogni giorno, lo videro abitualmente nell'intimità della vita domestica, lo sorpresero in quelle circostanze nelle quali d'ordinario gli uomini non badano più che tanto a contenersi; ora in tutta questa frequenza di contatti è umanamente impossibile che, se difetti vi sono, stiano nascosti. Ecco perchè non sempre i familiari condividono con gli estranei l'ammirazione per le virtù di taluni che pure vanno per la maggiore. Invece riguardo a Don Bosco accadde proprio il contrario; quanto più stretta e continua era l'intimità, tanto più convinta si veniva formando l'opinione che egli fosse veramente un santo.

                Cominciamo dal suo fido Don Berto. Studente nell'Oratorio dal 1862, si confessò da Don Bosco fino al gennaio del 1888; inoltre per vent'anni dal 1866 al 1886 gli fece da segretario particolare, trattato allora e poi come persona di intima confidenza. Per meglio valutare i suoi apprezzamenti giova considerare che egli era l'opposto di quello che si direbbe [577] un uomo entusiasta o sentimentale; anzi, di animo buono, ma freddo dì temperamento e duretto di carattere, dava financo a Don Bosco occasioni di esercitare la pazienza. Ebbene non gli passò mai per la mente il menomo dubbio che Don Bosco non fosse un santo. Nella sua lunga, deposizione il pensiero di Don Berto a questo proposito è condensato nel seguente periodo: “Posso attestare che la fama di santità del Servo di Dio nacque spontaneamente, come la luce dal sole, come il calore dal fuoco, come l'acqua dalla sua sorgente e che quindi si diffuse nel mondo per lo splendore delle due virtù, per la copia de' suoi doni soprannaturali, per gli aurei suoi scritti, per le molte guarigioni straordinarie ottenute con le sue preghiere e benedizioni, ma specialmente pel rapido propagarsi delle sue istituzioni nei due emisferi” . Nel corso del suo interrogatorio egli riferì importanti giudizi altrui, uditi con le sue proprie orecchie. Eccone alcuni. Nel 1879, trovandosi nell'anticamera del cardinale Bartolini, mentre Don Bosco era in udienza, sentì monsignor Caprara che diceva: - Don Bosco, morto che sia, lo beatificheranno e io dovrò fare l'avvocato del diavolo. - Monsignore parlava così, perchè era il promotore della fede presso la sacra Congregazione dei Riti. Il 15 aprile 1880 Don Bosco lo mandò dal Cardinale Alimonda, che allora dimorava a Roma, per consegnargli un incartamento riguardante le Missioni. In quella circostanza il Cardinale gli disse: - Felice lei che sta con un uomo che è proprio un santo! - Un alunno dell'Oratorio, tornato dalle vacanze, raccontò a. Don Berto che, essendo stato presentato alla principessa Maria Vittoria, consorte del principe Amedeo di Savoia, questa gli aveva detto: - Te fortunato che stai con un santo!

                Il castelnovese Don Secondo Marchisio trascorse tredici anni continui nell'Oratorio al tempo di Don Bosco, dopo la cui morte si aggirò per le terre che circondano i Becchi, visitando quanti avevano veduto Don Bosco o sentito parlare di lui nelle loro famiglie e raccogliendo notizie, ricordi, aneddoti [578] da servire alla sua biografia. Il chierese dottor Allora gli narrò che a Chieri nel seminario, dov'era stato egli pure, i condiscepoli del Servo di Dio lo riguardavano come un santo. Altre testimonianze di simil genere da lui raccolte si possono leggere nei primi volumi di Don Lemoyne. Per parte sua il teste si espresse in questi termini: “Io ho sempre tenuto e tengo Don Bosco in grande venerazione e lo considero come un santo e non ho mai sentito persona che avesse opinione contraria alla fama della sua santità”.

                Ecco ora uno di quegli uomini, per i quali è fatto il noto proverbio francese: Il n'y a pas de grand homme pour son valet de chambre. Intendiamo parlare del coadiutore Pietro Enria, che, venuto all'Oratorio a 13 anni nel 1854, fu più tardi addetto lungamente alla persona del Servo di Dio. Dinanzi ai giudici della causa, dopo aver esposto alla buona nei diversi interrogatorii molte sue reminiscenze personali, proruppe finalmente in questa recisa affermazione: “Io, essendo vissuto tanti anni con lui e avendo ammirato le sue virtù, non posso a meno di crederlo un santo”, .

                Un altro salesiano castelnovese, Don Angelo Savio, fu alunno dell'Oratorio dal 1850. Accompagnò Don Bosco a Marsiglia nel 188o ed ebbe molto da fare con lui per cose di amministrazione; poi andò nelle Missioni. Uomo assai positivo, formulò in questo modo il proprio giudizio: “Don Bosco fu un sacerdote esemplare, dotato di virtù eminenti. Io sono persuaso che si trovi fra i comprensori nel cielo e desidero che la Chiesa a suo tempo ne dichiari la santità e ponga sull'altare un nuovo modello di sacerdote da imitare. Da molte persone sia in Italia che in America mi venne più volte detto: - Voi siete fortunati di essere i figli e i seguaci di Don Bosco, perchè era un santo”.

                Il primo Procuratore generale della Congregazione e primo parroco del Sacro Cuore a Roma, Don Francesco Dalmazzo, nel 1860, lasciato un altro collegio a Pinerolo, entrò all'Oratorio in età di quindici anni per frequentarvi la quinta ginnasiale. [579]

                Di famiglia agiata, stentava molto ad acconciarvisi, nè vi sarebbe rimasto, se nelle prime settimane non avesse visto con i propri occhi la famosa moltiplicazione delle pagnotte operatasi per le mani di Don Bosco[428]. Fanno al caso nostro due punti più salienti delle sue deposizioni. Parlando delle sue virtù in genere, dice di sè: “Nel periodo di circa trent'anni in cui ho avvicinato il Servo di Dio, debbo ingenuamente confessare che non solo non ho trovato mai in lui cosa da biasimarsi, ma anzi dovetti in ogni tempo ammirare la pratica di ogni virtù cristiana in modo da persuadermi de visu et de auditu, esser vero quanto ne sentiva spesso ripetere, che egli era un santo”. Venendo poi a dire della fama di santità, fa queste dichiarazioni: “Io ho girato la Francia, la Svizzera, il Belgio, l'Inghilterra e tutta l'Italia e dappertutto ho sempre sentito parlare di Don Bosco come di un S. Vincenzo de' Paoli, di un S. Filippo Neri; spesse volte dovevo per molteplici insistenze raccontare cose di lui a persone che se ne mostravano avidissime. Quest'idea della santità di Don Bosco è stata sempre radicata nel nostro popolo, tanto fra i dotti quanto fra i semplici, giacchè tutti gli si raccomandavano, persuasi di essere per sua intercessione da Dio esauditi. Anzi fra le persone più sagge e più eminenti per Virtù questo concetto era più spiegato. Ho veduto molti Vescovi e Arcivescovi anche di lontane regioni che, recatisi ad limina, venivano appositamente a Torino per visitare Don Bosco. Cito fra gli altri due Vicari Apostolici della Cina venuti al Concilio Vaticano, che partirono da Roma per vedere Don Bosco a Valdocco, mossi dalla fama della sua santità. Sebbene non ne ricordi i nomi, li ho veduti io stesso e con loro ho parlato. Nell'agosto del 1874 Pio IX, dopo avermi domandato notizie di Don Bosco, esclamò: - Ah quello non è un bosco selvaggio, ma ubertoso e fruttifero, che ha fatto e farà un gran, bene! - Dal cardinale Bonaparte, che aveva singolare [580] venerazione per Don Bosco, udii dire: - Raccomandatemi molto alle preghiere di Don Bosco, perchè quello è un santo. - Il cardinale Nina disse un giorno a Leone XIII, ed io l'ebbi da lui stesso: - Vostra Santità mi domanda che concetto ho io di Don Bosco? lo non lo credo un uomo, ma un gigante dalle lunghe braccia, che è riuscito a stringere a sè l'universo intero”. Riferendo infine sugli anni post obitum, espone: “Di questi giorni solamente, mostrando io disgusto per qualche cosa accennata da un periodico religioso su Don Bosco, un signore distintissimo mi rispose: Ormai la santità di Don Bosco è tale e tanta che per quanto si dica o si stampi, non si potrà nulla aggiungere al merito e al concetto che il popolo si è di lui formato”.

                Del tempo posteriore alla morte i testi mettono in valore l'incessante pellegrinare alla tomba del Servo di Dio, che era visitata non per curiosità, ma per vera divozione verso colui del quale racchiudeva le spoglie. Uno sopra tutti merita di essere da noi inteso, Don Luigi Piscetta, che come Direttore della casa di Valsalice era testimonio ben informato. Dopo aver descritto ampiamente quel divoto succedersi di persone, di personalità e di pellegrinaggi, commenta: “Questa divozione, consiste nell'invocarne l'intercessione per ottenere grazie, nel domandare oggetti a lui appartenuti e portarli addosso o tenerli presso di sè come reliquie, nel domandare e conservare sue immagini, nel collocare sulla sua tomba lettere contenenti domande. Queste lettere però si levano tostamente e si conservano in una camera lontana insieme a tavole votive e a cuori d'argento. Tale concorso cominciò subito dopo la morte e perdura tuttora; posso anche aggiungere che cominciò subito del pari la divozione sopra descritta. Io ritengo che questa divozione sia nata e si conservi nel popolo per il concetto che ha della santità di Don Bosco e della sua valida intercessione”.

                Uno dei testimoni più a giorno delle cose di Don Bosco fu senza dubbio Don Lemoyne, venuto a farsi salesiano già [581] sacerdote da due anni nel 1864. I lettori lo conoscono abbastanza. Dalle sue deposizioni spiccheremo solo alcuni particolari più notevoli, accaduti a Roma. Al primo diede luogo un ricchissimo signore polacco, fervente cattolico e generoso nell'aiutare le vocazioni. ecclesiastiche. Trovandosi Don Lemoyne con Don Bosco a Roma nel 1884, questo signore andò a pregare il Servo di Dio, perchè si recasse a benedire una sua sorella inferma. Don Bosco annuì e quella buona famiglia lo accolse in ginocchio, come si usa coi santi. Lo stesso signore assicurò Don Lemoyne che in Polonia anche i fanciulli conoscevano il nome di Don Bosco. Ne confermarono poi l'asserzione le centinaia di giovani che, partiti con mille disagi e pericoli dalla Polonia russa, austriaca e prussiana, vennero a farsi salesiani. Di grande valore è una parola detta da Leone XIII a monsignor Manacorda e da questo riferita a Don Lemoyne. Il Vescovo di Fossano aveva recitato l'elogio funebre per la trigesima di Don Bosco nella chiesa del Sacro Cuore, manifestando la speranza che Don Bosco sarebbe elevato all'onore degli altari. L'orazione fu stampata. Recatosi Monsignore a un'udienza pontificia, si tenne in disparte per non essere notato dal Papa; ma il Papa, come lo vide, lo trasse a sè e gli disse: - Ho letto il vostro discorso per Don Bosco; mi piacque, sono anch'io del vostro parere. - Sempre a Don Lemoyne il procuratore Don Cesare Cagliero narrò d'aver udito dal cardinale Parocchi che Sua Santità gli avea detto: - Don Bosco è un santo. Mi rincresce di essere vecchio e di non poter cooperare alla sua beatificazione.

                Chi poteva più di tanti altri parlare del Servo di Dio per diretta conoscenza era Don Francesia, vissuto trentott'anni in grande familiarità con lui; infatti le sue deposizioni spiccano per numero e per ampiezza. Al nostro intento ci contenteremo di cavarne un episodio ignorato. La contessa Matilde di Romelley, nata di Robbiano, dimorante nel Belgio e allora vivente, essendosi presentata a Pio IX, udì farsi questa interrogazione: - Avete veduto il tesoro d'Italia? [582]

- Lo vedo adesso, Santo Padre, rispose.

- Voglio dire se avete veduto Don Bosco.

                Il Papa, accortosi che la Contessa non sapeva chi fosse Don Bosco nè dove dimorasse, glielo disse. Venne ella a trovarlo, rimanendone così affascinata, che in seguito non tornò mai più in Italia senza passare a Valdocco “per visitare, diceva, colui che il Santo Padre aveva qualificato tesoro d'Italia”.

                Un Salesiano a cui arrise pure come a pochi e per molti anni la familiarità di Don Bosco fu Don Barberis. Orbene t io non so, dice, se altro sacerdote abbia suscitato intorno a sè tanto entusiasmo quanto Don Bosco mentre viveva, e sia stato più universalmente tenuto per santo, ancora vivente. Questa sua fama fu proprio universale e non mai interrotta e non derivata da qualità umane, come di grand'uomo, ma prodotta, conservata e accresciuta per la sua vita intemerata, per doni straordinari e per opere grandissime di carità”. Il medesimo Don Barberis dopo la morte di Don Bosco parlò nei molti suoi viaggi con un numero stragrande di Cooperatori salesiani, di persone istruite e gravi, di alti prelati, e vide quanta fosse in loro non solo la stima, ma la divozione verso il Servo di Dio. “Dovunque io mi rechi, aggiunse, mi si domanda della causa di beatificazione. Si vuol sapere quando da più a meno sarà terminata. Si vede in tutti il desiderio che presto la Santa Sede si pronunzi favorevolmente”.

                Ottimo conoscitore di Don Bosco fu Don Cerruti, com­pagno e confidente di Domenico Savio nell'Oratorio. La sua mente è portata con qualche preferenza a valutare le Opere di Don Bosco, come riprova della sua santità. “Questa fama di santità, dice, diffusa in ogni qualità di persone non prove­niva da semplice simpatia, ma si fondava sulle opere sue che crescevano e si allargavano ogni giorno più; personalmente egli non aveva nulla per produrre un tale effetto. Istituire e ampliare tante opere senza sussidio alcuno all'infuori della carità e queste opere mantenerle, sorreggerle sempre col solo [583] aiuto della beneficenza, non poteva non essere effetto della grazia di Dio, che si valeva di Don Bosco per la sua gloria e per il bene del prossimo. Qui ha la sua radice quel trasporto che si aveva per lui e che durò per tutta la sua vita e che continua, anzi cresce ognor più dopo la sua morte”. Questa opinione di santità Don Cerruti dichiarava di conservare in sè, anzi di sentirsi crescere ogni dì più.

                Il cardinale Cagliero, chiarendo al tribunale la sua posizione di fronte a Don Bosco, parla così dell'impressione provata ne' suoi due primi incontri col Servo di Dio: “L'impressione che ricevetti quando mi presentai per essere accettato e quando mi accettò definitivamente, fu quella di un sacerdote singolare, sia per il modo e l'attrattiva con cui mi accolse, sia per il rispetto e l'onore con cui veniva egli trattato dal mio parroco e dagli altri sacerdoti; impressione che in me non si cancellò nè diminuì, anzi crebbe ognor più nei trentatre anni, durante i quali gli vissi al fianco, cioè fino al 1885, allorchè partii per le Missioni, non compresi però i due anni in cui mi portai a fondare le prime case nella Repubblica Argentina”. Riandando gli anni del ginnasio, ricorda: “Noi giovanetti nell'Oratorio, mentre lo avevamo come un tenerissimo padre e usavamo con lui una più che filiale confidenza e familiarità, pure era tale il nostro rispetto e la nostra venerazione per lui, che stavamo alla sua presenza con un religioso contegno, e ciò perchè eravamo intimamente compresi della santità della sua vita”. Venendo poi a dire del tempo successivo conchiude: “Questa opinione di santità del Servo di Dio, da quando lo conobbi, andò sempre crescendo in me e continua tuttora”. Ragionando appresso sulla causa di questa opinione, la prospetta nel modo seguente: “Se poi debbo esprimere il mio parere individuale, schiettamente dirò che la santità di Don Bosco io la deduco non tanto dai doni soprannaturali, di cui fu dotato da Dio e dei quali fui spesso testimonio, quanto dalle sue eminenti virtù, praticate in grado eroico e costante fino alla morte, specialmente [584] la sua ardente carità, la sua inalterabile serenità, fortezza, uguaglianza e dolcezza di carattere in difficili e critiche circostanze, in ardue e forti opposizioni e contraddizioni. Questo fu per me il miracolo più grande che mi abbia maggiormente colpito in tutto il tempo che vissi al suo lato”.

                Tra i fatti allegati dal Cagliero due soli ne sceglieremo anche perchè men noti. Nel 1871 Don Bosco era caduto gravemente ammalato a Varazze. Allora in tutto il Piemonte si pregava per la sua guarigione. Orbene il santo Vescovo di Alba monsignor Galletti confidò al teste che egli aveva offerto a Dio la propria vita per quella di Don Bosco, dandone così la ragione: - La mia vita vale poco o nulla; invece quella di Don Bosco è non solo preziosa, ma utilissima al bene della Chiesa. La mia al paragone non ha valore; ma la sua è quella di un santo, e si sa che i santi non istanno per niente in questo mondo. - L'altro fatto è del 1893. Essendo il Cagliero di ritorno dalla Patagonia, in un'udienza pontificia Leone XIII si rallegrò con lui del progresso delle Missioni e del fiorire delle case salesiane in Europa e in America e gli disse: - Si vede che Don Bosco vi aiuta e vi protegge dal cielo. Pregatelo e v i continuerà la sua assistenza e protezione. Egli fu un santo. Imitatene tutte le grandi virtù.

                Se il Bonaventura, scrivendo la vita del suo serafico Padre, era un santo che scriveva la vita di un altro santo, Don Rua, vivendo tanti anni della sua vita con Don Bosco, fu un santo che visse la vita di un altro santo; poichè l'uno venne plasmando se stesso sull'altro con la cura meticolosa di affezionato e devoto discepolo, sì da potersi dire che conglutinata est anima eius animae illius. Non ci sarà mai alcuno che abbia l'autorità di Don Rua nel giudicare della santità di Don Bosco, anche perchè santo egli stesso. Due attestazioni di lui ci sembrano capitali per il nostro argomento. La prima riguarda il suo sentimento personale. “Quanto a me, dice, posso dichiarare, come realmente dichiaro, [585] che, quanto più consideravo e considero la vita di Don Bosco, le sue virtù, gli avvenimenti prodigiosi che si operavano per mezzo di lui e intorno a lui e in favore di lui, tanto più cresceva e cresce in me la persuasione, l'intima convinzione della sua santità”. L'altra testimonianza ci svela in che modo egli vedesse formarsi e manifestarsi la santità del servo di Dio. “Ricordando le virtù che Don Bosco esercitò nel corso della sua vita, io le ammirai sempre esercitate in modo eroico; tuttavia parmi opportuno aggiungere, come lo vidi costante nella pratica delle medesime in guisa da potersi dire che andò crescendo nella perfezione col crescere degli anni, anzichè smettere alcun che nel fervore. Il suo progredire nelle virtù non saprei altrimenti esprimerlo che col dire che egli fu come un sole, che andò crescendo ognora e tramontò dalla scena del mondo in pieno meriggio”.

                Don Rua accompagnò Don Bosco in tre viaggi importanti: a Parigi, a Barcellona e a Roma. Del primo dice: “A Parigi dove gli fui compagno per circa un mese, potei scorgere che non furono esagerate le relazioni fattemi da' miei confratelli che l'avevano accompagnato in altre città”. E rievocato sommariamente quanto accadde nella grande metropoli francese, conchiude: “lo era meravigliato come Don Bosco, il quale non era mai stato in quella città, forestiero in mezzo a un popolo allora ostile all'Italia, potesse ricevere tante testimonianze di venerazione e non potevo attribuirlo ad altro che al gran concetto che si aveva della sua carità e della sua santità”.

                Riguardo a Barcellona Don Rua descrive l'ansia che mostrava il popolo di vedere il personaggio, della cui santità era precorsa la fama. Nè solamente il popolino aveva tanta premura di avvicinare Don Bosco per implorarne le preghiere e le benedizioni, ma anche signori della nobiltà, scrittori e Vescovi. Ciò esposto, ripete: “Unicamente la fama della sua santità poteva mettere in moto tanta gente” .

                A Roma andò con lui più volte, ma s'indugia a parlare [586] specialmente dell'ultima andata. “Io, dice, avendolo più volte accompagnato a Roma, fui testimonio della grande stima e venerazione che si aveva di lui. Il più mirabile si è che tale trasporto, anzichè diminuire, veniva ognora crescendo. Nel 1887 non erano più solamente gl'individui o le famiglie particolari che cercassero la sua benedizione, ma erano le comunità religiose, i seminari, i corpi morali che si presentavano, attratti dalla fama della sua santità, per avere la fortuna di vederlo, d'implorare le sue preghiere e di essere da lui benedetti”.

                Di Leone XIII Don Rua ricorda in proposito due fatti, uno in vita e l'altro dopo la morte di Don Bosco. Allorchè si trattava di definire le note divergenze fra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino, sebbene fossero dure le condizioni imposte a Don Bosco, Sua Santità disse agli astanti: - Don Bosco è un santo, e non rifiuterà di segnarle. Dopo la morte, in un'udienza accordata a Don Rua, il Papa tre volte chiamò Don Bosco col titolo di santo, dicendo lui fortunato per essere successore di un santo.

                Don Rua tratteggia anche lo svilupparsi della divozione verso Don Bosco dopo la sua morte, rilevando come questo avvenisse, nonostante che nulla mai si pubblicasse delle grazie ottenute a sua intercessione. “E che dimostra, ne inferisce egli, quanto sia radicata nei popoli la privata divozione verso il Servo di Dio, per la moltitudine delle grazie che dovunque si ottengono. Cosicchè, a mio giudizio, la divozione verso il Servo di Dio, oltre all'essere generale e radicata nei popoli, è molto gradita al Signore, che si compiace dì mostrare anche per mezzo suo la magnificenza della propria bontà verso gli uomini”.

                Dopo tutto quello che abbiamo riferito verrebbe voglia di sapere quali fossero i sentimenti di Don Bosco, fatto segno a tante dimostrazioni. Ebbe questa curiosità il padre Giordano degli Oblati di Maria, suo confidente, e ne interpellò Don Bosco stesso. Un giorno, come depone Don Dalmazzo [587] che udì la cosa da lui, viaggiando col Servo di Dio alla volta di Genova, gli domandò: - Mi dica un po' la verità, Don Bosco. Al vedere che ella ha compiuto tante cose straordinarie, che ha fondato tante case e che è così stimato e venerato da tutti, sicchè lo chiamano anche santo, che cosa deve dire di se stesso? Non è possibile non fare qualche atto di compiacenza. Che ne dice? - Don Bosco, raccoltosi un istante e alzati gli occhi al cielo, rispose: - lo credo che, se il Signore avesse trovato uno strumento più vile, più debole di me, si sarebbe servito di questo per compiere le sue opere. - Un altro spiraglio per iscandagliare l'animo suo ci aprono anche queste parole da lui dette nel 1886 a Don Marenco: - Se io avessi avuto cento volte più fede, avrei fatto cento volte più di quello che ho fatto. - Nella sua persona dunque egli non vedeva che un povero strumento in mano all'Onnipotente, e nella sua opera non guardava all'entità provvidenziale, ma a umane manchevolezze di cui chiamarsi in colpa.

                È questo il sentire proprio dei Santi ed è in questo sentire la pietra di paragone della vera santità.

 

 

CAPO XXIX

Testimonianza dei miracoli.

 

                LA voce pubblica, che chiamava taumaturgo Don Bosco durante la sua vita, non ha mai cessato neppure dopo la sua morte di proclamarlo grande operatore di miracoli. Il popolo cristiano sa benissimo che i miracoli li fa Iddio; ma la semplificatrice mentalità popolare, pur non ignorando la causa prima di un effetto prodigioso, si sofferma volentieri alla causa seconda, che è la più vicina e che rappresenta per essa la conditio sine qua non del fatto soprannaturale, vale a dire all'efficacia dell'intercessore.

                Molte sono state finora le grazie straordinarie, come guarigioni insperate, segnalate conversioni, soluzioni d'intricatissimi nodi, ottenute mediante l'intercessione di Don Bosco; nè solamente in Italia, ma pressochè in ogni angolo del globo. Queste grazie attribuite al suo intervento durante i primi mesi dopo la sua dipartita dalla terra ci sembrano ancora così strettamente connesse alla sua biografia da doverne tenere qualche conto qui al termine delle nostre fatiche. Fra le tante dunque ne sceglieremo alcune poche, non più di diciotto e senza scostarci dal primo anniversario della morte.

                Naturalmente non pretendiamo di attribuire alle cose da narrare una fede superiore all'umana, fondata però su testimonianze che ne escludano la credulità facilona. Ometteremo per altro di produrre o di citare documenti, assicurando i [589] lettori che questi sì conservano nei nostri archivi e che li abbiamo caso per caso debitamente esaminati.

                Le meraviglie cominciarono, si può dire, nel momento stesso in cui il Servo di Dio rese l'anima al Creatore. Sono due i fatti più notevoli e più sicuri di questo genere. Il primo accadde in Piemonte e il secondo in Francia.

                Quella dei conti Cravosio era una delle molte famiglie aristocratiche torinesi, presso le quali Don Bosco veniva sempre accolto a due battenti[429]. La figlia Rosa, che tante volte da ragazza l'aveva incontrato nella sua casa, erasi fatta religiosa dalle Maestre suore Domenicane a Mondovì - Carassone, mutando il proprio nome in quello di Filomena. Superiora della casa di Garessio, durante la malattia di Doli Bosco soffriva grandemente per pene di spirito e per incomodi fisici; onde aveva scritto alla madre, pregandola di andare a chiedere per lei una benedizione al Servo di Dio. Ma per ragioni intuitive non ne ricevette alcuna risposta. Orbene il 31 gennaio 1888, prima che aggiornasse, dopo una notte senza riposo, leggermente si addormì, ed ecco apparirle Don Bosco ritto ai piedi del letto, con la solita mantellina rialzata sul braccio, col cappello nella destra e con un aspetto giovanile, allegro e vivace, proprio come era stata solita vederlo in famiglia negli anni della fanciullezza. - Oh Don Bosco! esclamò a tal vista. Mia madre le ha parlato di me? Io sono cosi disgustata e mi sento così debole, che non posso più fare niente di bene.

- Lo so, rispose, che sua madre doveva venire, ma non ha potuto. Veda, quand'io era in questo mondo, potevo fare ben poco per lei e per la sua famiglia; ma ora che sono in Paradiso, posso fare molto di più e voglio fare adesso quello che non potei fare allora, perchè avevo tanto da pensare per i miei giovani e per le mie case.

 - Ebbene, ripigliò la suora, se è così, mi ottenga da Dio [590] salute e forza e mi sleghi il cuore, affinchè io possa correre le vie del Signore e fare del bene come ha fatto lei, e giungere anch'io in Paradiso.

 - Ma non vede che sta benissimo e che il suo cuore è pieno di buona volontà? Si alzi pure; Dio è con lei.

                A quelle parole si svegliò. Non le restava più ombra di malessere e a tutti i tristi pensieri le era sottentrata nel cuore una grande confidenza in Dio. Ebbra di gioia e piena di riconoscenza, si alzò e scese nella cappella per ringraziare il Signore., Soltanto allora s'accorse d'aver sognato.

                Fu grande la meraviglia delle consorelle al vederla fra loro; quindi, appena finite le loro pratiche religiose le si strinsero attorno tempestandola di domande, come mai si fosse potuta alzare e come avesse avuto la forza di recarsi in chiesa e come si sentisse in quel momento... Essa raccontò con tutta semplicità l'apparizione di Don Bosco. Al sentire che Don Bosco non era più in questo mondo, le suore rimasero esitanti, perchè le ultime notizie giunte fino a loro portavano invece un miglioramento. Ma poco dopo seppero che Don Bosco era morto proprio quel mattino alle ore quattro e tre quarti[430].

                Qualche cosa di simile avvenne in Francia. L'abate Tropheine, parroco di Sénas nella diocesi di Arras, era in corrispondenza epistolare con Don Bosco. L'ultima volta gli aveva scritto facendogli umili istanze, perchè ottenesse con le sue preghiere la conversione del  Rettore dell'Accademia di Aix infermo. Pesava ai buoni che quell'uomo di tanta autorità, vicino a finire la vita, rifiutasse i Sacramenti, donde poi sarebbe venuto lo scandalo dei funerali civili. Don Bosco gli aveva fatto rispondere: “Caro signor Abate, abbia fiducia. Fra tre giorni otterrà la grazia bramata”. Nel giorno designato, al mattino per tempissimo, il parroco vede la sua camera improvvisamente inondata di luce e avvolto in un [591] globo di fuoco scorge Don Bosco che lo benedice e gli dice: Vous êtes exaucé. Due giorni dopo i giornali gli recavano la notizia della morte con la data e l'ora; nel tempo stesso una lettera lo informava che realmente le preghiere avevano avuto pieno effetto. Il giorno e il momento dell'apparizione si trovò che corrispondevano alle quattro e tre quarti circa del 31 gennaio.

                Due fatti degni di particolare menzione si avverarono il I° febbraio presso la salma di Don Bosco, mentre stava esposta al pubblico nella chiesa interna di S. Francesco.

                Fra i cari giovanetti dell'Oratorio che nel gennaio del 1888 fecero a Dio l'offerta della loro vita, affinchè fosse conservata quella di Don Bosco, abbiamo trovato che figurava come secondo il nome di Orione Luigi. L'alunno di allora divenuto oggi il venerando Don Orione ama raccontare un bel caso occorsogli in quel I° febbraio. Aveva con altri compagni l'incarico di prendere gli oggetti presentati dalla folla, toc­care con essi il corpo di Don Bosco e restituirli. A un tratto, colto come da improvvisa ispirazione, corse nel refettorio dei Salesiani  distante pochi passi dalla chiesa, die' di piglio a un grosso e affilato coltello e si mise ad affettare un filone di pane, avendo in animo di farne pillole, toccare con esse il sacro corpo e parte metterle in serbo per qualsiasi evenienza, parte distribuirle. Ma la fretta inconsiderata con cui si ac­cinse a quell'operazione gli fu fatale; poichè, vibrando il primo colpo, si spaccò, verticalmente l'indice della mano destra (Don Orione è mancino). Un angoscioso pensiero lo assalse all'istante: senza quel dito non sarebbe più potuto diventare sacerdote, suprema aspirazione del suo cuore. Che fare? Avvolse nel fazzoletto e strinse alla meglio il povero ditino e, sostenendolo con l'altra mano, rivolò da Don Bosco. Là con viva fede appressò l'indice sanguinante alla mano di lui fino a toccargliela. A quel contatto la ferita in un batter d'occhio si rimarginò. Narrando la cosa, sembra ancora a Don Orione di vedere una stilla del suo sangue rosseggiare [592] sulla candida mano dell'estinto, e intanto mostra la cicatrice rimastagli e dice che dell'indice destro si serve come prima senza risentirne mai alcun disturbo[431].

                Un'altra guarigione istantanea si operò nel medesimo giorno e luogo. Il 24 gennaio 1888 il celebre professore torinese Lorenzo Bruno aveva scritto al dottore Agostino Santanera, medico curante della signora Enrichetta Grimaldi di Asti: “Ho veduto giorni sono la nostra giovane e buona ammalata e ho dovuto confermarmi nel sospetto manifestato fin dalla prima volta: trattasi evidentemente d'un tumore sviluppatosi nell'ovaia o nelle sue adiacenze a sinistra, che disgraziatamente avrebbe raggiunto un volume considerevole, giacchè dista poco più d'un dito traverso nell'ombelico”. Proseguendo nella minuta descrizione del male, egli veniva a conchiudere che “sarebbe già molto, ma molto, se il tumore si rendesse stazionario e conciliabile, se non con la salute, con la vita”, e che sarebbe arrivato purtroppo il giorno in cui sarebbe forza “porre in discussione il gravissimo partito della laparatomia”. Ma quello che non potè la scienza, potè la fede. L'inferma, mescolata nella turba infinita di coloro che come onde incalzate da onde passavano accanto al corpo esanime di Don Bosco, riuscì a toccarlo, e un senso di sollievo subitamente la invase: era guarita. Una guarigione così strepitosa non venne presa in esame dai giudici nel processo per la beatificazione del Servo di Dio, perchè allora la famiglia, non fu in grado di produrre il documento che conteneva la diagnosi del professore Bruno.

                 Nei giorni in cui durava continuo l'accorrere della gente all'Oratorio per vedere Don Bosco morto, la signora torinese Giuseppina Chiesa fece un  sogno, che non avrebbe per noi nessun valore, se non fosse stato confermato esattamente dalla realtà. Fra i quattro e i dodici anni la meschina era caduta ben quattro volte, la prima volta slogandosi e le altre [593] fratturandosi sempre la medesima gamba, cosicchè dovette tirare avanti per diciotto anni camminando con la stampella e due anni col bastone. Per consiglio delle Figlie di Maria Ausiliatrice pregò Don Bosco di ridarle l'uso perfetto della sua gamba. Una notte sognando le parve di trovarsi anch'essa nella folla di coloro che andavano a visitare la salma di Don Bosco, nella chiesa di S. Francesco, e che egli, alzando il braccio, le dicesse: - Cadrai ancora una volta, ma poi gua­rirai. - Si svegliò sbigottita, ma così fiduciosa che, sebbene i medici per liberarla da forti dolori le proponessero l'ampu­tazione, essa mai non volle acconsentire. Intanto cadde dav­vero la quinta volta, rotolando giù per una scala e riportan­done doppia frattura sempre al medesimo arto. Tenne il letto quattro lunghi mesi; quindi, fatta una novena a Don Bosco, ricuperò l'uso completo della disgraziata gamba, sicchè camminava spedita senza più l'appoggio di alcun soste­gno.

                Anche quest'altro fatto avvenne pochi giorni dopo la morte di Don Bosco. Il signor Giosuè Collina da Tossignano nel circondario di Imola dal 1881 pativa ogni quindici o venti giorni attacchi epilettici, che talora si ripetevano due o tre volte in uno stesso giorno. Si mise nelle mani di specialisti, sottoponendosi alle cure prescrittegli, ma senza ricavarne alcun vantaggio. Il male lo pigliava dovunque si trovasse, senza che egli ne avesse mai il minimo sentore anticipato in modo da poter evitare pericolose cadute. Quando si parlava ancora dappertutto della morte di Don Bosco e cominciavano a correre pezzetti di pannolino attaccati a ritratti del Servo di Dio, potè avere egli pure una di quelle reliquie, che si mise addosso. Da quel punto ebbe ancora a breve intervallo due nuovi accessi leggerissimi e con sintomi prenunziatori; erano gli ultimi commiati del male. Infatti passarono mesi e mesi senza che più nulla tornasse a funestarlo. Lasciati trascorrere così due anni interi, mandò la relazione della grazia, confermata da testimoni. [594]

                Verso la metà dello stesso mese di febbraio l'efficacia dell'intercessione di Don Bosco fu sperimentata dal parigino signor Raoul - Angel. Marasma senile lo affliggeva tremendamente da due anni. Deperito all'estremo, dopo chi sa quanti rimedi e quante cure, accettò il consiglio di andar a passare l'inverno nel mezzodì della Francia, dove gli si assicurava che il clima  l'avrebbe rinfrancato; ma, stabilitosi a Cannes, stava peggio di prima. Non digeriva, era obbligato al letto tre o quattro giorni per settimana, non poteva camminare non poteva sopportare nemmeno la fatica della conversazione, non poteva tollerare senza impazientirsi la presenza delle persone anche più care nella sua camera. A questo punto sentiamo la contessa Vittoria Balbo - Callori, che il 28 maggio 1895 scriveva a Don Rua: “Allorquando il Signore chiamò a sè il venerato Don Bosco, era naturale il confortante pensiero ch'Ei non tarderebbe a dargli un bel posto in Paradiso, e che di là questo suo gran Servo avrebbe ottenuto copiose grazie. Perciò, conoscendo le angustie in cui si trovavano questi miei amici, pensai tosto a loro, e rivolsi al Signore in cuor mio la preghiera che, se Egli voleva glorificare il suo Servo, avesse ispirato loro di rivolgersi a Lui per ottenere una guarigione ormai disperata; mentre, senza aggiungere una parola del mio, indirizzavo sotto fascia, il numero del Corriere Nazionale che riferiva la santa morte di Don Bosco”. Il voto della Contessa fu esaudito a tal segno che nacque nell'infermo financo il desiderio di recarsi a Torino per raccomandarsi alla protezione di Don Bosco sulla sua tomba.

                A Torino i suoi amici a stento lo riconobbero, tanto appariva consunto. Ogni giorno dunque con l'intenzione di fare una novena saliva in carrozza a Valsalice. Pieno di fede, il nono giorno pregò Don Rua di far celebrare una Messa all'altare privato del Servo di Dio. A quella Messa l'infermo e sua moglie si comunicarono molto divotamente. Dopo la comunione il vecchio signore cominciò a sentirsi volontà di cibo. Prese caffè e latte con burro, il che da gran tempo era assolutamente [595] impedito di fare. Man mano che mangiava, gli pareva di star meglio. Gradì l'invito a pranzo con i Superiori del Capitolo, alla cui mensa potè servirsi di cibi ordinari. Insomma egli era bell'e guarito.

                Ritornato alcuni giorni dopo a Parigi e presentatosi al cardinale Richard, fu lieto di confermare quanto Sua Eminenza gli aveva detto, che cioè solamente Don Bosco lo poteva guarire. Il medico curante, che aveva cercato di dissuaderlo dal recarsi a Torino, quando se lo rivide dinanzi tutto arzillo, quasi non credeva a se stesso. Per altro gli disse: Non lo nego, lei sta bene; ma il suo è un male che ritornerà di qui a cinque o sei mesi. - Andato in campagna nella Borgogna, incontrò il celebre padre Monsabré, suo amico, il quale dinanzi a quella metamorfosi rimase tanto commosso, che congratulandosi non potè trattenere le lacrime. D'allora in poi il signor Raoul - Angel tornò ogni anno in pellegrinaggio alla tomba di Don Bosco, del quale non cessò mai di soccorrere le opere. Nel 1894 vi condusse pure il figlio, a cui in presenza di Superiori salesiani disse: - Se tu hai ancora un padre, lo devi a Don Bosco.

                Sempre nel mese di febbraio troviamo memoria di due grazie, una corporale e l'altra spirituale in un medesimo parentado. La signora Nicoletta Morando vedova Carpi, genovese, della parrocchia di S. Fruttuoso, il 15 agosto 1887 cadde da un muricciuolo alto un po' più d'un metro, riportando dal colpo lesioni interne abbastanza gravi, che non le permettevano più di stare coricata, tanto meno di sostenere le solite fatiche domestiche. La durò in tale stato per sei mesi, curandosi alla meglio da se stessa; poichè, inteso da un dottore che il male stava dentro, sentiva ripugnanza a mettersi nelle mani dei medici. Verso la metà di febbraio del 1888 pensò invece di affidarsi a Don Bosco, da lei conosciuto e passato da quindici giorni a miglior vita. Gli si raccomandò dunque con tutto il possibile fervore. La notte seguente le riuscì di dormire per la prima volta coricata in letto e riposò [596] benissimo, sognando di Don Bosco. Al mattino, venuta l'ora di alzarsi, non sentiva più alcun dolore, sicchè si diede senz'altro a sbrigare, come un tempo, le faccende di casa, non escluse le più faticose. Da quel giorno non ebbe più ad accusare disturbo di sorta.

                Costei aveva un fratello di quarantadue anni, che lavorava nel porto di Genova. Un giorno sopra un piroscafo gli cadde addosso una grossa balla di cotone, che per poco non lo schiacciò. Portato all'ospedale, i medici lo dichiararono in sì gravi condizioni che non sarebbe potuto sopravvivere. Con ogni delicatezza e riguardo poi gli si parlò di Sacramenti, ma non volle dare ascolto, perchè da molti anni aborriva le pratiche religiose. La sorella, il padre Cappuccino dell'ospedale, vari parenti gli si misero attorno per piegarlo; ma egli, sempre duro. Desolata la sorella ricorse fervorosamente a Don Bosco, perchè toccasse il cuore a quell'infelice. Pregò il sabato 9 giugno, pregò ancor più il giorno appresso. Finalmente la grazia venne. La sera del io il moribondo spontaneamente si confessò e il mattino seguente espresse a lei tutta la sua soddisfazione, spirando poco dopo con segni di vero pentimento.

                Una guarigione ancor più strepitosa delle precedenti, avvenuta nel marzo del 1888, ci porta nuovamente in Francia. A Versoul nella diocesi di Besançon una suora di carità per nome Maria Costantina Vorbe, d'anni trentasei, era da otto mesi in uno stato da far pietà. Una o più ulceri interne allo stomaco le cagionavano vomiti di sangue, obbligandola a sola nutrizione lattea. Le putiva il fiato a un grado insopportabile; le trafiggevano il lato sinistro dolori fortissimi, che la costringevano perfino a tenere immobile il braccio, se non voleva accrescere il martirio.

                Ora nel marzo del 1888 una signora Roussin le suggerì di fare una novena a Don Bosco. Tutta la comunità si unì a lei nella preghiera. Ma invece di migliorare peggiorava. Il settimo giorno sembrava più morta che viva. Il dottore, [597] esaminandole il fianco dolorante, vi scoperse un cartoncino con il ritratto dì Don Bosco e con la sua firma, applicatavi dall'inferma, che gli disse: - Domani sarò guarita, mi leverò e mangerò del pane. - E il dottore sorridendo: Sì, rispose, levatevi pure, se volete; ma non vi venga in mente di mangiar pane.

                La giornata fu pessima e la notte atrocemente tormentosa. Al mattino dell'ottavo giorno si assopì per circa mezz'ora. Alle quattro e mezzo si sveglia dolcemente e le sembra di non provare più alcun incomodo; infatti si rivolge nel Letto senza pena, non le duole più il fianco, soltanto le resta una gran debolezza alle gambe. Chiama l'infermiera e le dice che è guarita. In breve tutta la casa è sossopra. Avuto il permesso dalla Superiora, suor Costantina lascia il letto de' suoi martiri, si veste da sè, discende nel refettorio, dove fra lo stupore delle consorelle fa tranquillamente la sua colazione. Dopo andò nella cappella per assistere alla Messa solenne e il dì seguente prese parte con tutta la comunità ad un pellegrinaggio verso un santuario situato sopra una collina dei dintorni.

                Il medico che conosceva tutti i precedenti, pregato di rilasciare una dichiarazione, nicchiò, rispondendo che, sebbene non potesse spiegare il fenomeno, tuttavia voleva aspettare a vedere che cosa sarebbe avvenuto della suora di là a cinque anni. Don Rua, che aveva ricevuto relazione del fatto dal cappellano del luogo, per nome Isidoro Mathieu, professore di filosofia nel seminario di Vesoul, e dalla Superiora della comunità, era stato pure dai medesimi informato delle parole dette dal medico. Ora, dovendo egli fare da testimonio nel processo e volendo parlare anche di questa guarigione scrisse alla superiora suor Fulgenzia per aver notizie di suor Costantina. Essa il 12 giugno 1895 gli rispose: “Suor Costantina, la privilegiata del buon padre Don Bosco, è ancora qui a Vesoul, dove continua a occuparsi degli orfanelli, godendo ottima salute. Dopo la sua guarigione non ha più sofferto [598] alcun attacco del male; anzi la sua salute, già si debole e malandata, è adesso forte e florida”.

                La Sardegna pure è rappresentata in questa serie di grazie ottenute nei primi mesi che seguirono alla morte di Don Bosco. Il sacerdote Giuseppe Manai, rettore di Zerfaliu nella diocesi di Oristano, aveva da anni nell'angolo dell'occhio sinistro una fistola, che ogni tanto si enfiava e faceva lacrimare, impedendo di discernere nettamente gli oggetti. Buoni medici non vedevano speranza di salute in altro fuorchè in una dolorosa operazione, che non avrebbe più permesso al paziente di celebrare la Messa per alcuni mesi. Essendo cooperatore salesiano, si fece inviare dall'Oratorio uno dei soliti pezzetti di pannolino adoperato da Don Bosco nell'ultima sua malattia. Avutolo nel mese di aprile, pregò Don Bosco così: - Oh padre Don Bosco, io credo fermamente che voi siete in Cielo e, se questo è vero, fate che il mio malore svanisca nel tempo più breve possibile. - Ciò detto, prese la reliquia e con essa si toccò l'occhio infermo. Fu cosa di un attimo; gonfiezza e fistola sparirono senza che dopo ne rimanesse alcun vestigio.

                Nell'autunno del 1888 Don Bosco portò una sua benedizione alla Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Nizza Monferrato. Un caso di difterite nera è cosa che mette spavento in una comunità, dove stiano riunite parecchie centinaia di giovanette. Fu colpita ivi da questo terribile male suor Giuseppina Camusso, quando s'avvicinava l'inverno. L'autorità civile, se ne fosse venuta a conoscenza, aveva stretto obbligo di intimare la chiusura immediata dell'istituto. In sì brutto frangente le Superiore, piene di fede, presero un fazzoletto usato già da Don Bosco e lo avvolsero intorno al collo dell'inferma; inoltre la Madre Vicaria, formata una pallottolina con un pezzetto di tela del Santo e bagnatala nell'acqua, gliela immise nella gola. Al tocco delle reliquie la febbre altissima si arrestò e il termometro cominciò a scendere. Il medico che quel giorno stesso aveva dichiarata [599] spedita la suora, l'indomani, stupito del repentino mutamento, disse che c'era del miracolo. Pochi giorni dopo, come se nulla ci fosse stato, suor Giuseppina ritornava alla sua vita ordinaria.

                Quello che capitò nel Portogallo l'8 dicembre 1888 non è un miracolo, ma un miracolone, come lo definì un anno e mezzo dopo il cardinale Aloysi Masella, prefetto della Sacra Congregazione dei Riti. Suor Maria Giuseppa Alves di Castro, religiosa dorotea, dimorante nel collegio di Covilla, diocesi di Guarda, ammalò gravemente nel mese di marzo. La diagnosi conchiuse per una tubercolosi polmonare. Dal settembre in poi l'ammalata era così esausta di forze da non poter nemmeno levarsi a sedere sul letto. Il suo confessore straordinario, padre Nicola Rodriguez gesuita, che la vide allora varie volte, scrive che aveva un aspetto cadaverico. Un giorno questo Padre le portò una reliquia di Don Bosco. L'inferma nel solo baciarla si senti aprire il cuore alla speranza, provando interiormente una misteriosa consolazione.

                Il 22 novembre cominciò una novena a Maria Immacolata, affinchè per intercessione di Don Bosco le ridonasse la salute. Nella notte dopo il quinto giorno prese sonno, il che non faceva più da parecchio tempo, e dormendo le parve di sentirsi battere sulla spalla e chiamare per nome. Si svegliò impaurita; ma tosto, non sapendo che fosse, svenne. Se lo svenimento fosse durato poco o molto, essa non potè giudicare in seguito; ricordava però d'aver visto Don Bosco che le diceva: - Vorrei fare quello che mi domandi; ma non posso, perchè la Madonna è disgustata con te. Tuttavia non perderti d'animo; io ti aiuterò. - Ciò detto, disparve.

                A ben intendere il perchè di questo dolce rimprovero .bisogna tener presente una confessione della suora sul tempo che precedette la malattia. “Mi sembrava, scrive, di vivere in grande tiepidezza, poichè cadevo frequentemente in mancanze, notevoli per una religiosa. Il giorno 11 aprile andai a confessarmi, ma con mia meraviglia trovai che il mio confessore [600] usava meco maniere molto aspre, e questo mi scoraggiò non poco”.

                Nella notte che seguì, all'apparizione, stando sveglia, perdette le forze e cadde in deliquio. Ecco allora apparirle l'Immacolata con Don Bosco, il quale, inginocchiato davanti alla Vergine, la pregava di perdonare alla religiosa, soggiungendo che in appresso ella avrebbe osservato i suoi proponimenti. E la Vergine alla suora: - Se ti correggerai, non ti abbandonerò. - Fu cosa di breve durata, che finì lasciandole l'animo inondato di gioia.

                Il 29 cominciò la novena per la festa dell'Immacolata con un fervore, che mai l'uguale. Nel quarto e quinto giorno della novena ebbe nuove visite di Maria Santissima e di Don Bosco. La Madonna le disse: - Se prometti di servirmi con più fervore e di essere più fedele al mio Divin Figlio, nel giorno della mia festa riacquisterai la perduta sanità. - Intanto però il suo stato destava le più serie inquietudini. Per tre giorni consecutivi l'emottisi che la travagliava già prima, si fece più frequente e disastrosa; il sangue emesso mandava un fetore pestilenziale.

                Nonostante questo rincrudire della malattia, l'inferma attendeva fiduciosamente l'8 dicembre. La vigilia ebbe una violentissima febbre. Dalle ore tre alle quattro dell'8 le pareva di dover sputare del tutto i polmoni. Poi si quietò e dormì alquanto. Finalmente ecco la voce a lei ben nota di Don Bosco che svegliatala le indirizzava queste consolanti parole: - Alzati; sei guarita. Non dimenticare quello che hai promesso. - Balzò di letto la suora, si prostrò al suolo e rimasta così qualche minuto, s'accorse di non avere più nulla. Tuttavia si ricoricò per aspettare il suono della levata comune. Alle cinque si mise in ordine, scese in cappella e assistette a due Messe inginocchiata; quindi, passata con le consorelle strabiliate nel refettorio, mangiò con buon appetito.

                Suor Maria Giuseppa contava ventinove anni di età e quasi dieci di religione. Il Padre gesuita, che, informato della [601] cosa, volle studiare personalmente l'accaduto, la trovò in ottime condizioni e intenta a' suoi uffici. La rivide, com'egli scrive, otto anni dopo, sempre florida di aspetto e piena di attività[432].

                I fatti che ora stiamo per narrare, si compierono o ebbero cominciamento, uno solo eccettuato, nel gennaio del 1889, vale a dire intorno al primo anniversario della morte di Don Bosco.

                La signora Giovanna Setckwell, inglese, maritata Renaudin a S. Paolo nel Brasile, travagliata già da febbre reumatica, ebbe nel gennaio del 1889 un attacco di enterite che la ridusse in fin di vita. 11 marito, buon medico e buon cattolico, prevedendo che non sarebbe campata più di quarantotto ore, fece chiamare dal collegio salesiano Don Gastaldi, perchè le amministrasse l'Estrema Unzione. Mentre se ne aspettava la venuta, il signor Renaudin, ripensando quanto la consorte fosse stata sempre ammiratrice di Don Bosco, innalzata un'umile preghiera, le applicò alla testa alcuni capelli e un pannolino del Servo di Dio. L'effetto fu così immediato, che all'arrivo del sacerdote con gli Olii Santi l'inferma era interamente guarita. Anzi da quel punto sparvero anche i dolori reumatici, i quali, come scrive il marito dottore, “sono conseguenza della febbre reumatica e durano molto tempo”; sparve insieme un dolore al ginocchio destro per male contratto trent'anni prima. Don Bosco ricompensò così il dottore Renaudin per la caritatevole opera da lui prestata ai Salesiani del luogo.

                Nel collegio salesiano di Faenza il giovane quindicenne Luigi Píffari la sera del 24 gennaio 1889 fu colpito da grave pleuropolmonite destra. Al quinto giorno due dottori gli riscontrarono sintomi molto allarmanti. Allora il direttore Don Giovanni Battista Rinaldi, tagliato un pezzettino di tela usata da Don Bosco nell'ultima malattia, gliela fece applicare [602] sul petto. La mattina del 30 il giovane si svegliò con la sensazione di essere guarito. Infatti il medico, al quale l'infermiere non aveva voluto dire nulla, rimase al vederlo talmente trasecolato, che credette di doversi accertare  se quello fosse veramente lo stesso alunno dei giorni precedenti. Egli stava così bene che la domenica appresso 5 febbraio sono più volte e a lungo nella banda musicale il suo strumento, il faticoso pelittone, senza la menoma difficoltà o conseguenza. Il dottore Liverani termina un suo certificato del 13 febbraio scrivendo: “Dichiaro pertanto che questa guarigione quasi .istantanea è affatto contraria all'ordinario decorso di tale malattia” .

                Suor Elvira Lopez, figlia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, aveva un cancro allo stomaco. Da 14 mesi, come accade nell'ultima fase di questo malore, non riteneva più il cibo e da otto mesi non digeriva più nemmeno il brodo, che rigettava appena inghiottito. A stento le si poteva ancora dare una particella di Ostia per la comunione. Quando vide dileguarsi ogni speranza umana, pensò d'invocare l'aiuto di Don Bosco, incominciando una novena. L'ottavo giorno, vigilia dell'anniversario della morte di Don Bosco, a mezzodì, chiamò la direttrice e le disse: - Madre, ho fame. Permette che mangi questa pesca? - La mangiò senza inconvenienti e poi riprese: - Ma questo non mi basta. Ho molta fame! - Allora andò senz'altro nel refettorio, dove le servirono pane, carne, frutta, il che tutto fra lo stupore delle consorelle consumava con avidità. Da quel giorno in poi si rimise interamente alla vita comune. En la curation de esto caso, fu dichiarato dal medico curante il 20 aprile seguente, ha intervenido una fuerza subrenatural.

                Sospendiamo il racconto di guarigioni da mali fisici per far luogo alla narrazione di un miracolo della grazia divina dovuta all'intervento di Don Bosco. Si tratta di una povera donna del Cile, che, caduta nel baratro della colpa, si abbandonò non solo ai disordini più deplorevoli in materia di costumi, [603] ma anche ai più esecrandi traviamenti in cose di fede e di religione, arrivando fino all'odio contro Dio. Precipitava così di abisso in abisso, quando un giorno lesse casualmente in un giornale un articolo sopra Don Bosco. Che è che non è, una subita arcana simpatia per Don Bosco le entrò in cuore, talchè smaniava di conoscerne a fondo la vita. A poco a poco, la simpatia diventò venerazione. Poi s'ingaggiò dentro di lei una fiera lotta fra il bene e il male; ma l'orgoglio e il rispetto umano la tenevano avvinta al suo tristo passato. Segretamente però supplicava Don Bosco di aiutarla a svincolarsi dai lacci di satana. Dilaniata dai rimorsi, eppure incapace di spezzare le proprie ritorte, scoppiava talora in pianto nella sua camera dinanzi a un'immagine del Servo di Dio, finchè un giorno si afferrò alla risoluzione per lei eroica di passare il prossimo gennaio 1889 in esercizi divoti, promettendo al Santo di non commettere in quel tempo gravi peccati; se egli le cambiasse il cuore, si offriva a impiegare il resto della sua esistenza occupandosi in pro delle sue opere. Gli chiese pure la grazia di conoscere un sacerdote, nel quale egli infondesse il suo spirito di carità per porgerle una mano soccorritrice. Pose come termine di questi favori l'ultimo giorno del mese in corso.

                Si era già al 28 nè la peccatrice era riuscita ancora a trovare un ministro di Dio che si prendesse cura della sua anima. Scoraggiata ma non vinta, fece a Don Bosco un estremo disperato appello, risoluta di riparare agli scandali dati. Nella notte del 29 un sogno venne a confortarla. Le parve di essere sopra una barca in balia delle onde d'un mare infuriato. Sul punto di andare sommersa nei fiutti, ecco un sacerdote sconosciuto che, stendendole la mano, le diceva con voce soave e tranquilla: - Figlia, confida; sono qui per salvarti. Se da tutti sei abbandonata, io non ti abbandonerò.

                Qui bisogna sapere che essa durante il mese aveva tentato di avvicinare qualche prete di Concepción; ma tutti si erano bellamente schermiti senza volerla nemmeno ascoltare, persuasi [604] dell'impossibilità di assolverla a motivo delle occasioni prossime, in cui notoriamente si trovava avvolta.

                Si destò molto agitata. Superando un'istintiva ripugnanza che la respingeva lontano dai Salesiani, promise a Don Bosco che, se il sacerdote del sogno fosse anche un Salesiano, l'avrebbe considerato come l'inviato del Cielo. La mattina del 30, uscita di casa, si diresse macchinalmente al collegio salesiano, dove non era mai andata; ma trovò tutto chiuso, perchè la comunità era fuori fino a sera. Quasi trasportata da forza superiore, vi tornò il dì appresso. Entrata nella chiesa, la vide tutta parata a lutto e poco dopo cominciò una solenne Messa funebre. La signora non sapeva che fosse l'anniversario della morte di Don Bosco. Quando uscì dal funerale, sperimentò dentro di sè come un rivolgimento totale del suo essere. Poi la bontà e la pazienza del Direttore, che era il sacerdote veduto nel sogno, fece il resto, sicchè in tempo relativamente breve la trasformazione fu completa e duratura.

                Una guarigione che, anche per il modo, si potrebbe chiamare risurrezione da morte a vita fu il ristabilimento della signora  Marina Cappa, moglie del negoziante Carlo Dellavalle, domiciliato a Torino. Un cancro all'utero la travagliava da cinque anni. Dopo il primo anno di malattia il dottore Ramello, visitatala minutamente, dichiarò senz'ambagi al marito: - La vostra moglie è perduta. Bisogna che stia a letto per sentire meno i dolori, finchè le sarà possibile prolungare la vita. - Il medesimo, imbattutosi una volta in Don Dalmazzo, che come confessore dell'inferma andava da S. Giovanni Evangelista a visitarla, gli disse: - Vada a confortare quella buona donna. Ha più bisogno di lei che di me. L'arte e la scienza non servono più a nulla. - Tuttavia, come si suole in casi simili, si consultarono specialisti, che le ordinavano medicine; ma erano tutti palliativi per sostenere le forze e alleviare le sofferenze, non per debellare il male; giacchè, come affermava espressamente il medico suddetto, in una sua [605] dichiarazione scritta del 22 maggio 1889, “per tale malattia non si conoscono rimedi”.

                Il corpo della sofferente, ridotto a pelle e ossa, sembrava nel gennaio di quell'anno che andasse già in putrefazione. In quegli estremi la sorella, visitandina a Genova, scrisse al cognato di raccomandarla alla beata Margherita Alacoque, per la quale si facevano le pratiche della canonizzazione. Il medico, avendo letto la lettera, disse al signor Dellavalle: - Faccia pure voti e preghiere. Se mai guarisse, io sarei pronto ad attestare il miracolo; ma certamente Dio non invertirà l'ordine della natura. - Parlava così, perchè non credeva alla possibilità dei miracoli.

                Il miracolo invece vi fu, ma per intercessione di Don Bosco e in forma strabiliante. Un giorno visitarono l'ammalata due Figlie di Maria Ausiliatrice, che nel partire le lasciarono una reliquia di Don Bosco, esortandola a fare una novena. Essa, chiesta licenza al marito, la cominciò il 31 gennaio, applicando subito la reliquia alla parte inferma. Il marito dal canto suo promise che, se fosse guarita, avrebbe offerto duecento lire per le opere Don Bosco e che, sebbene a malincuore, non si sarebbe più opposto al desiderio manifestatogli ripetutamente dalla figlia Antonietta di farsi suora di Maria Ausiliatrice.

                Nei primi giorni della novena non si vide novità di sorta; anzi l'8 febbraio 1889, ultimo giorno della novena, la poveretta stava così male, che si stabili di amministrarle il Viatico. Mentre aspettava che venisse il Signore a confortarla, non potendone più dai dolori, disse alla figlia: - Portami la fotografia di Don Bosco. - Ricevutala, se la reca alle labbra, la bacia e dice con forza: - Don Bosco, salvatemi. Io vi ho sempre difeso, quando i vostri nemici parlavano male di voi. Salvatemi, se potete, e vi sarò sempre fedele.

                Venne il Viatico. Essa con viva sorpresa di tutti si rizzò da sè a sedere sul letto. Da quanto tempo non faceva più una mossa simile! Dopo la comunione giunse il dottore che, [606] osservatala un momento, esclamò: - Signora, è guarita. Lei si burla di noi medici. Via, getti via queste medicine, che non le servono più per niente.

                Infatti l'ammalata si alzò e mandò per la sarta, volendosi far fare tosto le vesti necessarie, perchè le altre, credute ormai inutili per lei, erano state regalate a persone bisognose. Per precauzione il marito chiese ancora una visita medica, la quale non riscontrò più ulceri. Anzi le gambe, prima secche come due stecchi, allora comparvero rimpolpate. Tre giorni dopo andò a piedi alla vicina chiesa di S. Giovanni Evangelista; l'indomani, sempre a piedi, si recò a pregare sulla tomba di Valsalice; il quinto giorno partì per la Liguria, dove aveva parenti. Dopo quattro anni e più di letto, dopo otto mesi senza cibo, camminava speditamente e prendeva con gli altri le ordinarie vivande. Campò ancora fino al 1896, morendo a cinquantasei anni per tutt'altra malattia.

                Qui dovremmo far punto per non oltrepassare il limite di tempo prefissoci; ma il caso descritto ce ne richiama un altro di simil natura, successo anche a Torino meno di tre mesi dopo il 31 gennaio 1889 e avente col fatto narrato qualche relazione. La torinese Luigia Fagiano, maritata Piovano, affetta da piaga uterina, si vedeva venire inesorabilmente incontro la morte. Trascorso qualche tempo nell'ospedale, fece ritorno alla sua povera abitazione, dove caritatevoli dame della città la visitavano, portandole soccorsi. Una di queste, la baronessa Ricci des Ferres nata Passati, le raccontò la recente storia della signora Dellavalle e le consigliò di imitarne l'esempio; al, qual fine le diede un ritratto di Don Bosco con un pezzetto di tela al medesimo appartenuta. La Piovano riconoscente principiò una novena il sabato avanti la domenica delle Palme. Ma a lei, ottima cristiana, non meno della propria guarigione, stava a cuore la conversione del marito, che da molti anni non voleva più sapere affatto di religione. Veniva dunque facendo la novena a Don Bosco con questo doppio scopo; si sforzava però sempre di portare il suo male [607] stando il più possibile levata di letto, perchè doveva per povertà fare essa sola i lavori domestici.

                Al cominciare della novena il Servo di Dio le apparve una notte in sogno, animandola a pregare e a sperare. Le riapparve dopo l'ultimo giorno, nella notte fra la domenica di Pasqua e il lunedì. Aveva egli un bellissimo aspetto e portava una splendida stola. Chiamatala per nome, le disse: - Sta' di buon animo. Dio ti ha esaudita.

                Infatti in quell'istante le parve di rinascere. Non più dolori, non più perdite di sangue, non più spossatezza, ma gran voglia di muoversi e di rifocillarsi. Non basta. Al mattino per tempo sente suo marito che esce di casa a ora insolita. Inosservata lo segue. Egli entra nella chiesa di S. Filippo, loro parrocchia, si trattiene un po' in preghiera, quindi si confessa, fa la comunione e ascolta la Messa. Precedutolo a casa, gli domandò al suo ritorno che novità fosse quella di uscire tanto presto. - Sono stato a fare la Pasqua, le rispose. Ecco qui il biglietto. - In quella modesta famigliola, rallegrata da tre bimbi, entrò quel giorno un doppio raggio di felicità.

                La pioggia di celesti benedizioni ottenuta per intercessione di Don Bosco è poi continuata incessante e copiosa. Veramente a rendere testimonianza della santità di lui possono bastare i quattro miracoli sottoposti dalla Chiesa a severo esame e per sua autorità riconosciuti come tali; ma la conoscenza delle innumerevoli altre grazie comunemente attribuite al nostro Santo riesce a ravvivamento di fede, ad incremento di pietà cristiana e a maggior glorificazione della bontà onnipotente di Dio, che oggi non meno di ieri per sanctos suos mirabilia operatur.

 

 

CAPO XXX

La successione.

 

                DOPO quello che abbiamo ampiamente esposto nel volume precedente sulla nomina di Don Rua a Vicario Generale di Don Bosco con futura successione[433] parrebbe che, avvenuta la morte del Servo di Dio, tutto dovesse procedere automaticamente quanto al trapasso dei poteri; invece le cose non corsero così liscie. Sono fatti che al pari di altri narrati qui sopra negli ultimi capi, appartengono in certo senso alla biografia postuma di Don Bosco e non possono quindi essere trascurati.

                Premetteremo i dati più essenziali sullo stato delle due Congregazioni circa il personale e le case nel gennaio del 1888.

                Il Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana risultava allora presumibilmente così composto:

 

Rettor Maggiore: Sac. RUA MICHELE.

                Prefetto: Sac. BELMONTE DOMENICO, Direttore dell'Oratorio Salesiano di Torino.

Direttore spirituale: Sac. BONETTI GIOVANNI.

                Economo: Sac. SALA ANTONIO. [609]

Consigliere: Sac. DURANDO CELESTINO, incaricato dell'uffizio di Prefetto.

Consigliere scolastico: Sac. CERRUTI FRANCESCO.

Consigliere professionale: Sac. LAZZERO GIUSEPPE incaricato della corrispondenza per le Missioni.

Segretario: Sac. LEMOYNE GIO. BATTISTA.

 

                E così rimase definitivamente composto, allorchè, appianate le difficoltà che diremo, fu stampato l'Elenco generale. In questo Elenco, alla stessa pagina, dopo il quadro dei Capitolari, venivano a una certa distanza tre particolari designazioni. Direttore Spirituale Emerito ed Onorario: Monsignor GIOVANNI CAGLIERO Vescovo di Magida, Vicario Apostolico della Patagonia e Vicario Generale per tutte le Case Salesiane dell'America Meridionale. - Maestro degli Ascritti: Sac. BARBERIS GIULIO, Direttore della Casa di Valsalice. - Procuratore Generale: Sac. CAGLIERO CESARE, Direttore dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù.

                Tre sole differenze si riscontrano fra questo e il quadro dell'anno precedente: la sostituzione del nome di Don Rua a quello di Don Bosco, l'attribuzione del titolo di Vicario Generale per le Case d'America a monsignor Cagliero e la designazione di Don Cesare Cagliero a Procuratore generale in luogo di Don Francesco Dalmazzo.

                Nella Pia Società i professi perpetui erano 768, i professi triennali 95, gli ascritti 276, gli aspiranti 181. Fra tutti questi il numero dei sacerdoti ascendeva a 301.

                Quattro Case dipendevano direttamente dal Capitolo Superiore: l'Oratorio e tre Case di formazione, quelle cioè di Valsalice, di S. Benigno e di Foglizzo. Le altre si raggruppavano a formare le diverse Ispettorie.

                Quattro di queste Ispettorie appartenevano all'Europa. - I° Ispettoria Piemontese. Ispettore Don Francesia. Case[434] [610] di Borgo S. Martino (succeduta a quella di Mirabello), Lanzo Torinese, Mathi, Nizza Monferrato, Este, Penango, S. Giovanni Evangelista, Mogliano Veneto. - 2° Ispettoria ligure. Ispettore Don Cerruti. Case di Varazze (trasportata da Cherasco), Alassio, Sampierdarena, Bordighera, La Spezia, Lucca, Firenze. - 3° Ispettoria francese. Ispettore Don Albera. Case di Nizza Marittima, Marsiglia, Navarra, St. Cyr, Valdonne (cappella degli Italiani), La Ciotat (cappella degli Italiani), La Provvidenza (a Santa Margherita presso Marsiglia), Lilla, Parigi. - 4° Ispettoria romana. Ispettore Don Durando. Case di Magliano Sabino, Roma, Faenza. Case annesse: in Italia, quelle di Randazzo e di Catania; fuori d'Italia, quelle di Utrera, Barcellona, Trento, Londra.

                Due Ispettorie aveva l'America Meridionale. - I° Ispettoria argentina. Ispettore Don Costamagna. Case quattro a Buenos Aires (della Misericordia, di Almagro, della Boca, di S. Caterina), una a S. Nicolás de los Arroyos e una alla Plata. Ne facevano parte anche le Case del Vicariato Apostolico della Patagonia, cioè le parrocchie con scuole di Carmen de Patagònes e di Viedma, non che le Missioni di S. Cruz, di Puntarenas e delle Malvine nella Prefettura Apostolica della Patagonia Meridionale. Nella Terra del Fuoco, già visitata dai Missionari, non vi erano ancora residenze fisse. Alla medesima Ispettoria era annessa la casa di Concepción nel Cile, alla quale nell'anno medesimo fu aggiunta ivi quella di Talca. - 2° Ispettoria uruguaiana e brasiliana. Ispettore Don Lasagna. Case di Villa Colon, Las Piedras e Paysandú nell'Uruguay; di Nichteroy e di S. Paolo nel Brasile. Vi fu annessa la casa di Quito nell'Equatore.

                Le Figlie di Maria Ausiliatrice, che avevano cominciato a stampare il loro Elenco generale nel 1877, ricevettero quello del 1888, dopo la morte di Don Bosco, preceduto da una bella Prefazione della Madre Generale suor Caterina Daghero[435]. [611] Vi si contano 169 professe perpetue, 221 professe triennali, 100 novizie, 30 postulanti. La Superiora Generale con il suo Capitolo risiedeva nella Casa Madre di Nizza Monferrato. Le loro Case erano in Italia 35, in Francia 4, nella Spagna I, nell'Argentina 6 comprese le due della Patagonia, nell'Uruguay 3, in tutto 51. Di queste Case quattro era dette ispettrici, quelle cioè di Torino, di Trecastagni in Sicilia, di Almagro a Buenos Aires, e di Villa Colon nell'Uruguay. Le case di Nizza Monferrato e di Almagro avevano pure il noviziato.

                In questa statistica sotto il numero bisogna cercare l'organizzazione, perchè il numero è poco, ma l'organizzazione è tutto. Per altro la pochezza del numero sia detta in confronto dei posteriori sviluppi ed anche, se si vuole, rispetto alla risonanza che le opere di Don Bosco producevano nel mondo, facendo supporre migliaia di operai in centinaia di stabilimenti. Invece, riguardato in sè, il numero tocca un vertice che, umanamente parlando, sembrò follia sperare di raggiungere. Infatti, per non tener conto che delle professioni perpetue, Don Bosco fra Salesiani e Suore aveva a' suoi ordini oltre a novecento persone distribuite in centosette luoghi, famiglia religiosa creatasi da lui in un tempo ostilissimo a simili istituzioni, che lo Stato aveva soppresse e che la stampa denigrava senza posa e senza misura per impedire qualsiasi tentativo di farle risorgere. Eppure Don Bosco, eludendo violenze e male arti, seppe trarre a sè una sì bella schiera di volonterosi, che sotto vesti nuove riproducevano la vita delle istituzioni disperse. Semplice prete e povero di mezzi materiali, faceva assegnamento soltanto sull'aiuto della Provvidenza, che egli serviva con tutte le forze del suo ingegno e del suo volere. Ingegno sagace nel trovare e formare i soggetti secondo il proprio disegno, nell'escogitare espedienti per parare le minacce e i colpi degli avversari e nel sollecitare dalla carità del pubblico i sussidi necessari alla grande impresa; volontà ferrea di fronte agli ostacoli e invitta nel ricominciare [612] da capo ogni volta che una sua iniziativa gli andava fallita. Sotto questo punto di vista i risultati numerici da lui conseguiti hanno del gigantesco, per non dire del miracoloso.

                Ma quello che maggiormente importa è l'organizzazione. Poco vale accozzare uomini e moltiplicare opere, ove poi manchi la forza di coesione, che faccia come di tante membra un solo corpo, e se entro a questo corpo non palpiti un centro di energia vitale che ne mantenga il vigore e ne promuova l'incremento. Ora qui soprattutto è da ammirare la sapienza creatrice di Don Bosco. Fino da principio non vagheggiò castelli in aria, ma si pose dinanzi agli occhi un piano ben definito, che venne gradatamente attuando in una coordinazione sistematica, meno apparente che reale. Meno apparente diciamo nei periodi di preparazione, ma evidente quando lungo il suo faticoso cammino piantava una pietra miliare; allora, volgendo lo sguardo indietro, si scopriva come tutto fosse stato fatto a ragion veduta per arrivare a quella mèta. Ecco perchè al termine della sua mortale carriera potè assicurare i suoi eredi e continuatori che per la Congregazione non c'era nulla da temere. Egli le aveva dato una compattezza organica, che l'avrebbe sicuramente mantenuta in essere, e una possente vitalità interiore, che sarebbe stata il segreto della sua inesauribile dinamica attività.

                E la prova del fuoco venne con la successione. Si comprende facilmente quanto fosse per dipendere dal successore sia il conservare le cose istituzionali nello statu quo, sia il ben governare quel movimento di azione impressovi dal fondatore. Ma l'uomo chiamato a succedere possedeva in grado eminente tutti i requisiti indispensabili all'uopo. Oggi dinanzi all'eloquenza dei fatti ogni velleità di contraddizione è costretta ad ammutolire; ma vi fu un primo tempo, breve per fortuna, nel quale si manifestarono esitazioni in alto luogo. Già precedentemente nell'animo di qualche Cardinale, come i lettori sanno, erasi insinuato il timore o meglio radicato [613] il convincimento che, venendo a scomparire Don Bosco, la sua Congregazione dovesse issofatto andare in isfacelo. Tale opinione, che naturalmente non restò isolata, sopravvisse al suo autore, sicchè, appena spirato Don Bosco, se ne discorreva come di un pericolo, a cui urgeva porre riparo. Fra i rimedi il più quotato era di sciogliere la Congregazione e d'incorporarne i membri in altra che avesse consimile scopo. Il motivo che si adduceva per giustificare un sì radicale procedimento era la supposta mancanza di uomini formati, che fossero capaci di salvarne l'unità.

                Il peggio si fu che queste apprensioni arrivarono a scuotere anche la fiducia di Leone XIII. Fino allora egli non aveva avuto con Don Rua se non rari, brevi e insignificanti contatti; nessuna meraviglia quindi se in quei casi al suo fare dimesso e al suo parlare di quasi ingenua semplicità il Papa si fosse formato di lui il concetto che per succedere a un Don Bosco ci volesse un uomo di tempra ben diversa. Egli dunque inclinava talmente dalla parte dei profeti di sventura, che veniva divisando di fondere i Salesiani con gli Scolopi.

                Ma due circostanze valsero a stornare le menti da siffatti propositi. Una fu la provvidenziale presenza di monsignor Manacorda a Roma. Il buon Vescovo di Fossano, accortosi della tempesta che mugliava nell'aria, si diede subito dal I° febbraio a un lavorìo di penetrazione per diradare i pregiudizi e illuminare gli spiriti sulla vera realtà delle cose. La sua pratica delle Congregazioni Romane, presso le quali aveva iniziato la sua carriera, gli faceva trovare facilmente le vie per arrivare dovunque il bisogno richiedesse. Visitò in particolar modo i Cardinali più influenti, specie quelli che maggiormente avvicinavano il Santo Padre, massime il Vicario di Sua Santità e il nuovo Prefetto dei Vescovi e Regolari[436]. [614] Conoscendo a fondo i Salesiani, potè dimostrare che essi erano strettamente uniti, che possedevano uomini capaci e che guardavano con ragionevole sicurezza in faccia all'avvenire. Il suo zelo preparò il terreno alla vittoria della causa[437].

                 Ma a dare il colpo di grazia sopraggiunse il procuratore Don Cagliero. Allorchè il Cardinale Protettore gli lasciò intravedere che era allo studio il disegno di annettere la Congregazione Salesiana a un'altra Congregazione, gli dichiarò categoricamente che i membri migliori si sarebbero prevalsi tutti del loro diritto inalienabile di riprendersi intera la propria libertà, e che egli sarebbe stato il primo a darne l'esempio. Questa dichiarazione fece aprire gli occhi, non al cardinale Parocchi che meno ne abbisognava, ma ad altri, a cui fu data a conoscere. Così le testimonianze di monsignor Manacorda, avvalorate dall'atteggiamento di Don Cagliero finirono con dissipare completamente le nubi.

                Ma mentre Don Cagliero teneva i Superiori al corrente delle cose di Roma, a Torino i Superiori si trovavano di fronte a un grave problema. Nel 1885 Don Bosco aveva comunicato verbalmente al Capitolo la nomina di Don Rua a suo Vicario con futura successione, nomina fatta per autorità di Leone XIII e partecipata al Servo di Dio dai cardinali Nina e Alimonda; ma non aveva dato lettura nè fatto cenno di decreto. Un documento che vedremo fra breve indicherà la data di quel decreto romano; ma con ogni probabilità il suo testo nè Don Bosco nè altri vide mai a Torino. In caso contrario Don Berto, come tutti i documenti che riguardavano la Congregazione, l'avrebbe ricevuto in custodia e, secondo il suo costume, prima di riporlo ne avrebbe tratta copia. [615]

                Inoltre Don Bosco nella sua circolare d'Ognissanti del 1885, con la quale rendeva noto ai Soci l'avvenuto provvedimento, diceva che il Santo Padre gli aveva significato di gradire la scelta di Don Rua a Vicario per il tramite del cardinale Alimonda senza menzionare nè decreto pontificio nè futura successione. Don Notario che assistette il Procuratore in tutte le pratiche di quei giorni, fu ed è di parere che il decreto sia scomparso nel passare per la Congregazione dei Vescovi e Regolari. L'ipotesi ha molti gradi di probabilità, quando si rammenti che allora il Cardinale Prefetto credeva inevitabile lo sfasciamento della Congregazione Salesiana, morto che fosse il Fondatore.

                La mancanza dunque di questo rescritto senza che se ne conoscesse la causa, metteva i Superiori in serio imbarazzo per il dubbio se Don Rua fosse stato designato Vicario con futura successione o solo durante la vita di Don Bosco. A fine di non incorrere in qualche irregolarità, il dubbio fu esposto al cardinale Alimonda. Sua Eminenza rispose che veramente la nomina si, estendeva anche alla successione; tuttavia consigliò a Don Rua di presentare la cosa al Santo Padre domandando ulteriori disposizioni, e agli altri membri del Capitolo Superiore di scrivere al cardinale Parocchi per informarlo del fatto. Il saggio suggerimento venne tosto messo in esecuzione. Don Rua l'8 febbraio umiliò al Santo Padre una particolareggiata esposizione che cominciava con questo esordio: “Dopo aver partecipato alla Santità Vostra la dolorosa perdita da noi fatta, per mezzo dell'Emin.mo Cardinale Segretario di Stato, ora io stesso prostrato al bacio del sacro Piede vengo a fare atto della mia umile soggezione e del mi o vivo attaccamento alla Santa Sede e a Vostra Santità e ad esporre un dubbio intorno alla mia condizione chiedendo la soluzione all'alta sua sapienza”. Richiamato quindi per sommi capi l'andamento della pratica nel 1884, precisava in tali termini le ragioni del dubbio: “Ciò premesso, mi nacque il dubbio se l'uffizio di Vicario a me [616] affidato durante la vita del sig. Don Bosco fosse con futura successione. È vero che la dimanda fatta da Mons. Jacobini da parte di Vostra Santità trattava di un vicario con futura successione, e la lettera del Card. Nina parla dell'avvenire dell'Istituto Salesiano dopo la morte del Fondatore; tuttavia non so se veramente Don Bosco abbia fatto la sua proposta per un vicario con futura successione o solo durante la sua vita. Da un libro di memorie (scritto di sua mano) a me confidato trovai pure che parlando del procedimento a tenersi secondo le nostre Costituzioni nell'elezione del nuovo Rettor Maggiore fece una nota in cui dice: Si tenga conto che queste Pagine furono scritte nel sett. 1884 prima che il S. Padre nominasse un Vicario con successione, perciò venga modificato quanto farà duopo. Malgrado ciò non si dilegua il mio dubbio, tanto più considerando che non si trova nè originale nè copia di decreto di nomina del Vicario. Nell'urgenza di dare notificazione della morte del Fondatore con pieno accordo del Capitolo Superiore ho firmato le lettere relative col mio nome e cognome senza alcuna qualifica; collo stesso consenso nell'urgenza di dar provvedimenti ho continuato ad esercitare l'autorità di prima: tutto questo però colla riserva di ricorrere a Vostra Santità appena l'avessi potuto per la soluzione del dubbio sovraesposto”. Alla fine umilmente supplicava: “Beatissimo Padre, considerando la mia debolezza e incapacità trovomi spinto a farle umile preghiera di voler portare su altro soggetto più adatto il sapiente Suo sguardo e dispensare lo scrivente dall'arduo uffizio di Rettor Maggiore, assicurandoVi però che coll'aiuto del Signore non cesserò di prestare con tutto l'ardore la debole mia opera in favore della Pia nostra Società in qualunque condizione venissi collocato”.

                Se l'umiltà di Don Rua poteva trovare il proprio appagamento nella pratica dell'ama nesciri et pro nihilo reputari, non la pensavano allo stesso modo gli altri Superiori, ben consapevoli d'interpretare l'universale sentimento dei Soci; perciò [617] con a capo monsignor Cagliero inviarono al Cardinale Protettore una calda lettera, sottoponendogli le considerazioni che dovevano secondo loro consigliare la conferma di Don Rua a successore di Don Bosco.

 

                                Eminenza Reverendissima,

 

                Il Sac. Michele Rua, già Vicario del venerando nostro Fondatore Don Giovanni Bosco, di cui piangiamo tuttavia l'irreparabile perdita, espose al S. Padre un dubbio intorno al Successore, e ne domanda e attende lo scioglimento dalla sua alta sapienza.

                Dal canto nostro noi umili sottoscritti saremmo lietissimi che il S. Padre confermasse a nuovo Rettor Maggiore, ossia a Superiore, generale dell'umile Società di San Francesco dì Sales, il prelodato Sac. Michele Rua, designato già e proposto a suo Vicario dal nostro Don Bosco medesimo, dopo invito ricevuto per parte di Sua Beatitudine, che nella sua paterna bontà desiderava vedere per tal modo assicurato il benessere della Congregazione Salesiana; anzi, siccome annoverati tra i primi Superiori noi conosciamo la disposizione degli animi non solo degli elettori, ma di tutti i Soci, così siamo in grado di assicurare colla più intima persuasione del cuore che la notizia, la quale portasse che il S. Padre diede a nostro Superiore generale il Sac. Michele Rua, sarebbe accolta non solamente con profonda sottomissione, ma con sincera e cordialissima gioia.

                Aggiungiamo di più: Ancorchè si addivenisse all'atto di una elezione secondo la Regola, tuttavia è sentimento comune che Don Rua sarebbe l'Eletto a pieni voti, e ciò in ossequio a Don Bosco che lo ebbe sempre quale suo primo confidente e braccio destro, ed anche per la stima che tutti ne hanno per le sue esimie virtù, per la particolare abilità nel governo dell'Istituto, e per la singolare destrezza nel disbrigare gli affari, di cui diede già luminose prove, sotto la direzione dell'indimenticabile e carissimo nostro Fondatore e Padre.

                Noi sottoponiamo umilmente questi nostri riflessi alla considera­zione dell'Em.za V. Rev.ma, qualora Ella nella ben nota sua prudenza giudicasse farne parola col Santo Padre, cui ci gloriamo riconoscere sempre qual Supremo Moderatore della Pia  Società Salesiana, ed al quale promettiamo di lavorare, soffrire, vivere e morire in sostegno e in difesa dell'Apostolica Sede, come colle parole, cogli scritti e col­l'esempio c'insegnò a fare il lacrimato nostro Don Bosco.

                Non possiamo poi non cogliere questa propizia occasione per esternare anche in nome di tutti gli altri nostri Confratelli gli intimi sentimenti di riconoscenza e di gratitudine verso la Em.za V. Rev.ma per la patema bontà, con cui ci fece fin qui da Protettore. La preghiamo a continuarci la preziosa sua benevolenza, e Le promettiamo di fare quanto per noi si possa col nuovo Rettore che ci sarà dato, [618] affinchè l'uffizio di Protettore dei Salesiani non Le abbia da riuscire più difficile di quello che lo sia stato finora.

                Ciò speriamo tanto più ora, che possiamo confidare che il nostro buon Padre intercederà per noi con perfetta carità presso al trono di Dio e dell'augusta Regina del Cielo, Maria SS. Ausiliatrice.

                Abbia infine l'Em.za V. Rev.ma la insigne bontà di tenere gli umili suoi clienti ognora presenti nelle fervide sue preghiere, e mentre nella nostra pochezza supplichiamo il buon Dio che Le renda il contraccambio di quanto Ella fece e farà pei Salesiani, ci gode l'animo di professarci con altissima stima e profonda riverenza.

                Di Vostra Eminenza Reverendissima

 

                Torino, 9 febbraio 1888.

 

Umil.mi ed Osseq.mi Servitori

 

+             GIOVANNI, Vescovo di Magida, Vicario Ap. della Patagonia Sett.- Sac. DOMENICO BELMONTE, Prefetto - Sac. GIOVANNI BONETTI, Direttore spirituale - Sac. ANTONIO SALA, Economo - Sac. CELESTINO DURANDO, Consigliere - Sac. GIUSEPPE LAZZERO, Consigliere - Sac. ANTONIO RICCARDI pel Sac. FRANCESCO CERRUTI. Consigliere assente ma consenziente - Sac. GIO. BATTISTA LEMOYNE, Segretario - Sac, GIULIO BARBERIS, Maestro dei Novizi.

 

                Sua Eminenza, che aveva già preso in considerazione le ragioni di monsignor Manacorda e di Don Cagliero, gradì molto questa lettera; perciò nell'udienza dell'II febbraio riferendo a Sua Santità sulla successione, ottenne la conferma di Don Rua a Rettor Maggiore dei Salesiani. Ne informava così monsignor Cagliero: “Lieto di aver ottenuto dalla Santità di Nostro Signore l'esaudimento della giusta brama di V. S. Ill.ma e de' suoi degnissimi confratelli, m'affretto a parteciparle, Monsignore carissimo, l'avventurata novella. Sia lodato il Signore, qui mortificat et vivificat, deducit ad inferos et reducit!”. In pari tempo trasmetteva il decreto ufficiale, in forza di cui Don Rua veniva nominato Rettor Maggiore per dodici anni, a computarsi dell'II febbraio 1888, con la espressa riserva che questa maniera di succedere valesse per una volta tanto nè potesse mai costituire un precedente[438]. Il nuovo decreto fu registrato, come di prammatico, [619] presso la sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Si diceva in - esso che veniva così confermato il primitivo decreto emanato il 7 novembre 1884; dunque allora non c'era stato solamente una disposizione orale, da comunicarsi in via officiosa. Don Rua lo presentò ufficialmente al Capitolo Superiore nella seduta pomeridiana del 24 febbraio.

                I firmatari della lettera al cardinale Parocchi mandarono di tutto l'avvenuto un resoconto ai Soci con una loro circolare del 7 marzo, nella quale in fine dicevano: “Come vedete, carissimi Confratelli, oltre le buone qualità che già lo commendavano, il nuovo Rettore ci venne designato dal cuore del compianto nostro Padre e Fondatore Don Bosco, anzi ci venne dato dallo stesso Vicario di nostro Signor Gesù Cristo. Non occorre pertanto che noi ve lo raccomandiamo con molte parole; imperocchè siamo più che sicuri che tutti lo amerete e lo obbedirete non solo per dovere e per la stima' che gli portate, ma eziandio in ossequio al Santo Padre, e in grata memoria di Don Bosco, del quale per trenta e più anni fu il più intimo confidente, e del cui spirito s'imbevette fin dalla sua più verde età”.

                Condotto a felice conclusione questo affare, dovere impellente per Don Rua era di recarsi a Roma e compiere personale atto di ossequio al Papa; partì dunque per Roma nella prima metà di febbraio. Mentre là attendeva che gli fosse accordata udienza, visitò Cardinali e altri Prelati, incontrando generalmente accoglienze assai confortanti[439]. Fu ricevuto il 21 febbraio dal Santo Padre. Il primo pensiero del Pontefice andò a Don Bosco, che chiamò santo. Poi diede due consigli: si assodassero bene le opere lasciate da Don Bosco senza volersi affrettare ad estenderle e si procurasse una buona formazione ai novizi. Ripetè che Don Bosco erasi mostrato un santo anche per il suo modo di comportarsi [620] verso il Vicario di Gesù Cristo. Chiese quindi notizie delle Case e delle Missioni. Introdotto il Procuratore, gli raccomandò di far sì che la Casa di Roma fosse una Casa modello, essendo essa molto importante. Don Rua, tornato al Sacro Cuore col cuore traboccante di gioia, stese al più presto la relazione del colloquio avuto col Santo Padre, che, data alle stampe, allegò alla prima lettera circolare da lui inviata il 19 marzo seguente a tutte le Case nella sua qualità di Rettor Maggiore[440]. Ordinava in essa di raccogliere senza indugio le memorie riguardanti la vita di Don Bosco, perchè autorevoli personaggi l'avevano esortato a intraprenderne al più presto la causa. Appresso faceva una paterna esortazione dicendo: “Noi dobbiamo stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò nostra sollecitudine dev'essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora più le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati, e nel nostro modo di parlare e di operare cercar di imitare il modello che il Signore nella sua bontà ci ha in lui somministrato. Questo, o Figli carissimi, sarà il programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la mira e lo studio di ciascuno dei Salesiani”.

                Allargando poi lo sguardo oltre ai limiti degli ambienti salesiani, Don Rua stava per rivolgere anche ai Cooperatori e alle Cooperatrici la sua prima parola come successore di Don Bosco, quando un fortunato rinvenimento gliene agevolò la via. Sembrava impossibile che Don Bosco nel preparare il suo testamento spirituale avesse dimenticato le falangi di coloro che gli erano stati validi ausiliari a fondare e sostenere le sue opere. Infatti non c'era stata dimenticanza. Fra le sue carte si trovò una lettera al loro indirizzo con questa nota: “Da spedirsi dopo la mia morte”. Il Bollettino di aprile ne diede l'annunzio; quindi Don Rua, come aveva fatto per la lettera destinata ai Salesiani, ne ordinò la stampa in comodo [621] formato e in sufficiente numero di copie, che spedì nel mese di maggio. Don Bosco diceva:

 

                                Miei buoni Benefattori e mie buone Benefattrici,

 

                Sento che si avvicina la fine di mia vita, ed è prossimo il giorno, in cui dovrò pagare il comune tributo alla morte e discendere nella tomba.

                Prima di lasciarvi per sempre in questa terra io debbo sciogliere un debito verso di voi e così soddisfare ad un grande bisogno del mio cuore.

                Il debito che io debbo sciogliere è quello della gratitudine per tutto ciò, che voi avete fatto coll'aiutarmi nell'educare cristianamente e mettere sulla via della virtù e del lavoro tanti poveri giovanetti, affinchè riuscissero la consolazione della famiglia, utili a se stessi ed alla civile società, e soprattutto affinchè salvassero la loro anima e in tal modo si rendessero eternamente felici.

                Senza la vostra carità io avrei potuto fare poco o nulla; colla vostra carità abbiamo invece cooperato colla grazia di Dio ad asciugare molte lagrime e a salvare molte anime. Colla vostra carità abbiamo fondato nume di Collegi ed Ospizi, dove furono e sono mantenuti migliaia di orfanelli tolti dall'abbandono, strappati dal pericolo della irreligione e della immoralità, e mediante una buona educazione, collo studio e coll'apprendimento di un'arte, fatti buoni cristiani e savii cittadini.

                Colla vostra carità abbiamo stabilito le Missioni sino agli ultimi confini della terra, nella Patagonia e nella Terra del Fuoco, e inviato centinaia di operai evangelici ad estendere e coltivare la vigna del Signore.

                Colla vostra carità abbiamo impiantato tipografie in varie città e paesi, pubblicato tra il popolo a più milioni di copie libri e fogli in difesa della verità, a fomento della pietà e a sostegno del buon costume.

                Colla vostra carità ancora abbiamo innalzate molte cappelle e chiese, nelle quali per secoli e secoli sino alla fine del inondo si canteranno ogni giorno le lodi di Dio e della Beata Vergine, e si salveranno moltissime anime.

                Convinto che, dopo Dio, tutto questo ed altro moltissimo bene fu fatto mediante l'aiuto efficace della vostra carità, io sento il bisogno di esternarvene, e perciò prima di chiudere gli ultimi miei giorni ve ne esterno la più profonda gratitudine, e ve ne ringrazio dal più intimo del cuore.

                Ma se avete aiutato me con tanta bontà e perseveranza, ora vi prego che continuiate ad aiutare il mio Successore dopo la mia morte. Le opere che col vostro appoggio io ho cominciate non hanno più [622] bisogno di me, ma continuano ad avere bisogno di voi e di tutti quelli che come voi amano di promuovere il bene su questa terra. A tutti pertanto io le affido e le raccomando.

                A vostro incoraggiamento e conforto lascio al mio Successore che nelle comuni e private preghiere, che si fanno e si faranno nelle Case Salesiane, siano sempre compresi i nostri Benefattori e le nostre Benefattrici, e che metta ognora l'intenzione che Dio conceda il centuplo della loro carità anche nella vita presente colla sanità e concordia nella famiglia, colla prosperità nelle campagne e negli affari, e colla liberazione ed allontanamento da ogni disgrazia.

                A vostro incoraggiamento e conforto noto ancora che l'opera più efficace ad ottenerci il perdono dei peccati ed assicurarci la vita eterna, è la carità fatta ai piccoli fanciulli: uni ex minimis, ad un piccolino abbandonato, come ne assicura il Divino Maestro Gesù. Vi fo eziandio notare come in questi tempi, facendosi molto sentire la mancanza dei mezzi materiali per educare e fare educare nella fede e nel buon costume i giovanetti più poveri ed abbandonati, la salita Vergine si costituì essa medesima loro protettrice; e perciò ottiene ai loro Benefattori e alle loro Benefattrici molte grazie e spirituali ed anche temporali straordinarie.

                Io stesso e con me tutti i Salesiani siamo testimoni che molti nostri Benefattori, i quali prima erano di scarsa fortuna, divennero assai benestanti dopo che cominciarono a largheggiare in carità verso i nostri orfanelli.

                In vista di ciò e ammaestrati dalla esperienza parecchi di loro, chi in un modo e chi in un altro, mi dissero più volte queste ed altre consimili parole: Non voglio che lei mi ringrazii quando fo la carità a’ suoi poverelli, ma debbo io ringraziare lei, che me ne la domanda. Dacchè ho cominciato a sovvenire i suoi orfanelli, le mie sostanze hanno triplicato. Un altro signore, il Comm. Antonio Cotta, veniva sovente egli stesso a portare limosine, dicendo: Più le porto danaro per le sue opere, e più i miei affari vanno bene. Io provo col fatto che il Signore mi dà anche nella vita presente il centuplo di quanto io dono per amor suo. Egli fu nostro insigne benefattore fino alla età di 86 anni, quando Iddio lo chiamò alla vita eterna per godere colà il frutto della sua beneficenza.

                Sebbene stanco e sfinito di forze io non lascierei più di parlarvi e raccomandarvi i miei fanciulli, che sto per abbandonare; ma pur debbo far punto e deporre la penna.

                Addio, miei cari Benefattori, Cooperatori Salesiani e Cooperatrici, addio. Molti di voi io non ho potuto conoscere di persona in questa vita, ma non importa: nell'altro mondo ci conosceremo tutti, e in eterno ci rallegreremo insieme del bene, che colla grazia di Dio abbiamo fatto in questa terra, specialmente a vantaggio della povera gioventù. [623] Se dopo la mia morte, la Divina Misericordia, pei meriti di Gesù Cristo, e per la protezione di Maria Ausiliatrice, mi troverà degno di essere ricevuto in Paradiso, io pregherò sempre per voi, pregherò per le vostre famiglie, pregherò pei vostri cari, affinchè un giorno vengano tutti a lodare in eterno la Maestà del Creatore, ad inebriarsi delle sue divine delizie, a cantare le sue infinite misericordie, Amen.

 

Sempre Vostro obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

                Per Don Rua non si poteva desiderare miglior carta di presentazione. Ma i Cooperatori non avevano aspettato questo prezioso documento per manifestare al successore di Don Bosco i loro sentimenti. Benchè durante la vita del Santo non ci fossero state comunicazioni in proposito, tuttavia essi lo ritenevano universalmente come il successore nato. Nella valanga di lettere giunte all'Oratorio dopo il 31 gennaio cercheremo per entro a quelle dei soli primi diciassette giorni alcune manifestazioni più significative e più care.

                Che vincoli di dolce amicizia correvano fra Don Bosco e la famiglia De Maistre! Il conte Carlo, che si trovava in Francia, scrisse il 1° febbraio: “Sarà vera la notizia recatami dal mio giornale? Il nostro amatissimo e veneratissimo Don Bosco è andato in cielo? Scrivo a Lei il primo de' suoi figli da me intimamente conosciuto, per sapere la verità. Temo purtroppo che sia così! Ebbene Le dirò che io ripongo in Lei tutto il riverente affetto che noi portavamo al suo Padre. Noi lo riguardavamo tanto volentieri anche come padre nostro! Nella nostra vita non c'era gioia, preoccupazione o tristezza che non comunicassimo a lui. Faremo lo stesso con Lei. L'attaccamento che avevamo per Don Bosco sarà il medesimo per tutti i suoi figli, per tutta la Congregazione Salesiana, a cui siamo affiliati. Voglia, caro e venerato Don Rua, continuarci l'affezione che il suo Padre portava a noi”[441]. [624] Anche la suora Maria Teresa Medolago De Maistre, figlia del Sacro Cuore, terminava così una sua lunga lettera: “Io pregherò per Lei molto Reverendo Don Rua, perchè il Signore lo conforti e l'aiuti a sostenere il peso di cui l'ha caricato, nel governo della sua religiosa famiglia. Spero che il venerato Don Bosco stenderà il suo manto sopra il carissimo suo figlio primogenito, come una volta il profeta Elia sopra Eliseo”.

                Da Pinerolo il canonico arciprete Ramello: “Io prego per V. S. chiamato dall'uomo di Dio a succedergli. Io venero nella sua persona il nuovo Superiore dei Salesiani e faccia Ella anche per me le veci del Padre affettuoso di cui piangiamo la dipartita”. Don Carlo Stoppani, arciprete di Ossola nel novarese: “In Lei intendo quindi innanzi riverire ed amare Don Bosco, il cui nome è un'epopea che si svolgerà nei suoi figli insino al finire del mondo a bene della religione e della società”. Il parroco Neri di Napoli, che aveva dato ospitalità a Don Bosco nel 1880 e che alloggiava fraternamente in casa sua i Salesiani di passaggio nella sua città: “Per parte mia non mancherò di usare a Lei ed a tutti i Salesiani que' riguardi che sin ora ho usati a Don Bosco ed a' suoi figli” . Don Oreste Pariani, parroco di Galbiate in Brianza e cooperatore ab initio[442]: “Mi credo poi in dovere di unire alle condoglianze anche le mie congratulazioni e gli auguri per V. R. pel sublime, benchè arduo, posto, che ora V. R. occupa di Superiore generale e mi trovo ben contento d'aver fatto già da tempo con Lei conoscenza ed amicizia, che anche in avvenire vorrà continuarmi la sua benevolenza”.

                Il signor Carlo Brovio, ex - allievo presidente diocesano delle Società Operaie e presidente locale di quella di Nizza Monferrato, alla quale Don Bosco aveva dato molte prove [625] di benevolenza: “Son venuto a casa contento e tranquillo, perchè prima di partirmene dall'Oratorio ho trovato il mio secondo Padre nella S. V. Rev.ma e ho potuto versare le lacrime del dolore della morte del primo Padre, in seno all'amato e degno successore, che sempre mi terrà come un suo figlio, sebbene ne sia indegno, come con questo dolce nome l'amato Padre Don Giovanni mi chiamava”. Da Bergamo il signor Luigi Roasenda ex - allievo: “Per quelli che restano, per gli istituti che Doti Bosco ha lasciato dobbiamo rallegrarci che il Successore già da gran tempo prescelto da lui stesso nella persona di V. S. Rev.ma è sicuramente il più idoneo per conservare e far prosperare tutte le opere da lui stabilite”.

                Da Milano lo storico Cesare Cantù il 16 febbraio: “Il venerabile Don Bosco ha già cominciato dal paradiso le sue grazie col mettere al suo posto un personaggio, non dico capace di eguagliarlo, ma degno di succedergli e di farne la perdita men dannosa alla religione e alla società. Quanto volontieri, se lo avessi conosciuto, avrei riverito il suo rappresentante alle esequie celebrate con sì nobile pietà nella Chiesa delle Grazie[443]! Tenga vivo in questa gioventù lo spirito di carità e di abnegazione, che vi ha seminato Don Bosco”.

                Monsignor Pietro Tarino, canonico arciprete del Capitolo di Biella: “Quando al centro ed alla testa di tutto questo movimento siede un Don Michele Rua da sì lungo tempo informato dallo spirito dell'illustre estinto, ed intorno a Lui stanno tante intelligenze, tutte unite e guidate dal medesimo sentimento e spirito di sacrificio, vi è tutta la ragione di credere e di sperare che l'opera di Don Bosco non solo procederà innanzi fiorente di vita interiore rigogliosa, ma anche potrà dilatarsi e crescere assai al di fuori della cerchia presente”. Monsignor Francesco dei conti Serenelli, cooperatore della prima ora e direttore per molti anni dei Cooperatori veronesi: “Don Michele! Noi adesso ci stringiamo intorno a Lei [626] e lo riveriamo come nostro Superiore. Noi intendiamo di trovare in Lei il volere di Don Bosco, l'autorità di Lui, la guida nostra”.

                Monsignor Brandolini, vescovo di Céneda: “Don Bosco lo ha designato di lui successore; meglio non si poteva provvedere in tanta iattura”. Monsignor Guarino, arcivescovo di Messina: “Ella, che così bene ritrae le sue virtù, otterrà sicuramente da Dio per la intercessione del Santo ed illustre Fondatore tanto vigore e tanta forza di azione, da  renderne meno amara la dipartita”. Il cardinale Sanfelice, arcivescovo di Napoli: “Alla S. V., già piena dello spirito del suo Fondatore, conceda Iddio la grazia di mantenerlo sovrabbondante questo spirito in tutte le opere da Lui fondate ed al presente alla S. V. commesse”.

                Moltissime sono le lettere di provenienza francese. Parlino di Don Rua soltanto alcune delle persone che lo conobbero da vicino. La signora Quisard, la nota cooperatrice lionese, nella sua lettera di condoglianza ci teneva ad assicurarlo che la sua famiglia, come in passato per Don Bosco, così d'allora in poi sarebbe stata sempre tutta per Don Rua, di Don Bosco figlio privilegiato, braccio destro e successore, e lo pregava di far parte anche a loro delle benedizioni e grazie, di cui Don Bosco l'avrebbe costituito canale e intermediario. La famiglia dei conti Villeneuve di Hyères, devotissima a Don Bosco, gli faceva sapere: “Il degno successore di Don Bosco ci sarà sempre caro”. Molte lettere si scrissero Don Bosco e le Lallemand, madre e figlia, di La Réole; quest'ultima riveriva Don Rua con la stessa filiale affezione nutrita già per il suo venerato Padre. Memore della paterna bontà usatale da Don Bosco, la marchesa di Saint - Seine scriveva da Digione: “Riandando nel mio cuore tutto quello che egli si compiacque di dirmi, io so che la sua opera non morrà. Don Bosco aveva fiducia in Lei, che egli sapeva assistito dal Signore in maniera specialissima. Verso di Lei dunque si rivolgono tutti i cuori che amarono il Santo da noi [627] lacrimato ed io oso rammentarle il tempo da Lei passato a Digione”. Nel 1883 Don Bosco, ritornando da Parigi, aveva accettato con Don Rua un invito presso quella nobile e cristiana famiglia[444]. Da Nizza l'ingegnere Levrot, che non abbisogna di presentazione, al suo “bon Père” Don Rua diceva: “Gli amici di Don Bosco restano amici di Lei; i suoi figli si sentono fortunati e orgogliosi di vivere e morire nell'affettuosa amicizia e nella dolce paternità del successore di quel gran santo”.

                Omettendo altre citazioni di amici francesi, non passeremo sotto silenzio il Comitato marsigliese delle Dame patronesse. Nella seduta del 12 marzo esse sottoscrissero una lettera, in cui, manifestato il loro dolore per la morte di Don Bosco, proseguivano: “Il nostro Comitato gode di ritrovare in lei il figlio eletto e preferito del Santo e sarà ben fortunato di prestarle il concorso di uno zelo filiale. Ringrazia pure il Signore di aver chiamato Lei a continuare un'opera sì grande e sì bella e lo prega che per intercessione del venerato fondatore gliene renda consolante il cómpito e leggiero il peso” . Il parroco Guiol in un suo poscritto, unendosi al Comitato, offriva l'omaggio delle sue più rispettose simpatie al venerato Don Rua, e si rallegrava che la Provvidenza avesse scelto così presto il continuatore dell'opera del santo, a cui le fatiche sostenute avevano già aperto le porte del cielo. Don Rua rispose il 28 dello stesso mese al Comitato e al parroco.

                Anche da altre parti venivano manifestazioni simili. Cosi la signora Maddalena Ochninger, che aveva parlato con Don Bosco, scriveva da Wierzl in Austria protestandogli in nome suo e della sua famiglia, come a erede di Don Bosco, tutta la devozione e insieme il più fedele interessamento per le opere salesiane. Scrive pure da Madrid il senatore Lastres[445] riconoscendo in Don Rua l'unico che potesse essere chiamato [628] a continuare l'opera fondata con raro ingegno e viva fede da Don Bosco.

                Qualche citazione di giornali italiani e stranieri non sarà giudicata soverchia, importando molto alla storia il confermare come la scelta di Don Rua incontrasse anche il favorevole giudizio della stampa. Il genovese Eco d'Italia del 2 febbraio: “L'opera santa non poteva essere affidata a mani migliori”. L'Eco di Bergamo dello stesso giorno: “Annoverati da Don Bosco, senza proporzionato nostro merito, fra i cooperatori Salesiani, porgiamo al degno successore di lui i nostri affettuosi e profondi ossequi”. Sulla Difesa di Venezia del 29 febbraio il corrispondente torinese, dando notizia del ritorno di Don Rua da Roma, diceva: “Io domani o domenica sarò a baciare la mano a Don Rua ed anche a nome della Difesa gli esternerò la fiducia che tutti i buoni in lui ripongono per la continuazione dell'opera veramente prodigiosa e santa iniziata sotto gli auspici di Maria Ausiliatrice da quell'uomo di Dio che fu Don Bosco e che niuno meglio di Don Rua potrebbe e saprebbe continuare”.

                Sulla Défense di Parigi del 3 febbraio il redattore capo signor Auffray, che aveva assistito ai funerali di Don Bosco: “Volevo scrivere un articolo di lutto per la morte di questo mirabile sacerdote; ma dopo tutto quello che ho veduto, sento di dover cambiare tono. E specialmente dopo di aver parlato con Don Rua, comprendo come le istituzioni salesiane non possano venir meno”. Das Cassianeum bavarese con una lettera del suo redattore Schmidinger a Don Rua: “Ci congratuliamo con Lei, Rev.mo Signore, per l'eredità che le spetta secondo la volontà del beato defunto e ci rallegriamo sinceramente che essa eredità si trovi in mani eccellenti” . La Gazette de Liège del 21 giugno uscì con un lungo articolo su Don Rua, di cui narrava la parte avuta con Don Bosco nella fondazione e direzione delle sue opere, ne descriveva il carattere e le eminenti qualità e diceva: “Come Mosè nel suo viaggio verso la terra promessa, Don Bosco non poteva [629] fermarsi. Egli ha creato ed è passato; ma Don Rua ne sarà un continuatore provvidenziale e un ordinatore sagace” .

                Gli attestati di obbedienza da parte dei Salesiani furono quali si era in diritto di aspettare, nè occorre farne distinta menzione. Di tali manifestazioni la più solenne e significativa si deve considerare la votazione del Capitolo generale del 1898, quando con suffragi quasi unanimi egli venne rieletto Rettor Maggiore. La Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che non aveva osato esprimergli a voce i suoi sentimenti in una recente visita, glieli espresse il 9 febbraio con una lettera, della quale ci sembrano degni di essere segnalati i seguenti periodi: “L'aver a Superiore la S. V. Reverendissima è per me, per il Capitolo, per tutte e singole le Figlie di Maria Ausiliatrice tale un conforto, una consolazione che non gliela posso a parole manifestare. Di questo insigne favore che ci fece Iddio noi lo ringrazieremo per tutto il tempo della nostra vita e a rendercene meno indegne procureremo di corrispondere colla maggior fedeltà alla nostra santa vocazione. Caro Rev. Padre, lo so che la carica di nostro Superiore le costerà sacrifici e le apporterà non pochi pensieri, ma noi pregheremo tanto Gesù che voglia anche per questo compensarla adeguatamente. Dal canto mio poi le prometto che farò del mio meglio per renderle meno grave il peso della direzione nostra inculcando sempre a tutte le Direttrici e Suore una pronta obbedienza, una confidenza illimitata ed un affetto santo, riverente, filiale verso la Paternità Vostra Rev. che d'or innanzi terremo tutte, dopo Dio, per nostro Padre, guida, appoggio, consigliere, tutto!”.

                E così ogni cosa aveva ripreso il suo ordinato andare, nè la realtà rimase col tempo inferiore all'aspettazione, anzi questa fu di gran lunga superata. Trascorso ormai mezzo secolo dalla morte di Don Bosco, se volgiamo indietro lo sguardo, ci si affaccia il pieno avveramento delle tre idee di monsignor Manacorda: unione, capacità, avvenire.

                Per l'unione nutriva i suoi dubbi lo stesso Leone XIII, [630] che non ne volle far mistero. In un'udienza del 22 marzo 1888 a monsignor Cagliero, avendogli questi parlato dell'unione costante di tutti i Salesiani dopo la morte di Don Bosco, il Papa confessò schiettamente che questo era stato un suo timore, ma che allora era contentissimo[446]. Quanti sono gli Ordini e le Congregazioni religiose più importanti che nei loro esordi non abbiano sofferto il travaglio di scissure intestine? La Congregazione Salesiana, pur così provata nel suo formarsi, pur così nuova nella sua concezione, pur così complessa nel suo insieme e nella provenienza de' suoi membri e nell'internazionalità delle sue fondazioni, non sottostette mai ad alcuna crisi di unione che minacciasse comecchessia di scinderne la compagine. Lo spirito di Don Bosco è stato ed è un glutine tanto più miracoloso quanto meno avvertito nel tenere strette le parti antiche e nello stringere fortemente le nuove.

                Che la Congregazione non abbia patito difetto di uomini capaci, si vide subito nel periodo forse più delicato della stia esistenza, quando sotto il primo Successore di Don Bosco venne il momento di dover consolidare per ogni verso e portare a finimento l'edifizio costruito dal Fondatore. Per i complicati ordinamenti didattici nelle scuole scientifiche, letterarie e professionali tanto dei Soci che dei loro alunni, per la formazione completa e la disciplina religiosa del personale, per la vastità dello imprese missionarie, per i progressi della buona stampa o già c'erano o sorsero all'ora opportuna uomini dotati dei talenti necessari, cosicchè non solo nessuna delle istituzioni di Don Bosco ebbe a subire detrimento per insufficienza di attitudini direttive, ma proporzionata allo slancio delle imprese fu sempre l'assistenza, diremo così, di menti tecniche preposte a ogni ramo di azione.

                Che infine l'avvenire abbia risposto alle fiduciose assicurazioni date dal chiaroveggente Vescovo piemontese, tutto [631] il mondo lo può toccare con mano senza che sentiamo la necessità di addurre prove. Richiameremo piuttosto la finale del sogno avuto da Don Bosco nel novembre del 1881 sullo stato della Pia Società Salesiana. L'angelo ammonitore terminava le sue ultime raccomandazioni con una parola che era un lampo sul futuro. Disse l'inviato del Cielo: Qui videbunt, dicent: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis nostris[447]. Questo inno, a detta dell'angelo, avrebbero innalzato a Dio gli osservatori alla fine del secolo decimonono e al principio del ventesimo, cioè proprio durante il governo di Don Rua. Noi, spettatori già di quel periodo e poi ancora del periodo che segue il suo corso, abbiamo doppia ragione di accogliere e far nostro il grido del celeste messaggero: Dal Signore viene tal cosa ed è una meraviglia ai nostri occhi.

 

[Ppgg. 632, 633, 644 sono vuote]

 

 

APPENDICE DI DOCUMENTI

 

I

 

Lettera della Contessa Grocholscka a un Salesiano.

 

                Di questa lettera e della seguente abbiamo trovato soltanto le copie che Don Lemoyne ne ha lasciate in bozze di stampa. È molto probabile che fossero indirizzate al Direttore del Bollettino francese.

 

                               Révérend Père,

                Tout le monde qui a été guéri par les prières de Dom Bosco doit écrire pour montrer combien ce saint prêtre obtenait des grâces. L'année 1886 j'ai été à Crocovie. Le 1I mars, j'ai gagné une pleurésie, fluxion de poitrine et congestion pulmonaire. Ma soeur jumelle Stéphanie a envoyé une dépêche à D. Bosco en lui écrivant: Priez, mon père: ma soeur est en danger de mort.

                Le médecin Peter est arrivé de Paris et il m'a trouvée à la dernière extrémité; il a tout fait pour me sauver, mais l'agonie a commencé. Tout d'un coup le Docteur s'approche de moi, tâte mon pouls et pousse un cri: - Elle est sauvée.

                Dom Rua a écrit une lettre a une Dame Bellini qui a demeuré chez nous en lui demandant de mes nouvelles: comme on n'avait pas le temps d'écrire, D. Rua a cm que j'étais morte. Dom Bosco a été alors en Espagne. Dom Rua dit à Dom Bosco: - Pour sûr la C.esse Vanda Grocholscka est morte! - Alors Dom Bosco répond: - Mais non, elle ' est guérie et dans ce moment elle déjeûnel - Alors Dom Rua demande: - D'où avez-vous de ces nouvelles?

                Dom Bosco répond en souriant: - J'ai eu un télégrame du ciel! Enfin grâces à ces saintes prières j'ai été sauvée et je puis l'affirmer.

                Je suis avec le plus profond respect, mon révérend père 15 Février 1891.

                Pau; Villa Sperata, Porte Neuve.

                C.esse VANDA GROCHOLSCKA née RADZIWILL. [636]

 

2.

 

Lettera di una religiosa a un Salesiano.

 

                Mon Révérend Père,

                C'est peut-être un peu tard venir vous dire ce que nous savons d'extraordinaire au sujet de votre vénéré Fondateur et Pere Dom Bosco. Je crois que ce retard a été voulu de Dieu, car malgré le désir de le faire j'oubliais de vous écrire quand je l'aurais pu.

                Voici le fait. Une malheureuse créature, morte depuis environ deux ans, avait fait accroire à une bonne personne qu'elle était mu­lâtre et paienne, mais qu'elle désirait vivement connaître et embrasser la religion chrétienne. Cette personne en parle à un bon P. Jésuite, lequel informe Monseigneur l'Évêque qui fit demander à feu notre Mere, de la prendre à la Communauté, afin de la préparer au saint Baptême. Cette misérable créature témoignait un vif désir de le recevoir et jouait la comédie en véritable artiste. Néanmoins notre Mere n'était pas sans crainte.

                Deux jours avant celui fixé pour la cérémonie et pendant que M. l'Aumônier, et nous-mêmes étions en course pour avoir des renseignements, une lettre de votre vénéré Pere disait à notre Mere: «N'auriez-vous pas chez vous une telle? Dites à cette enfant prodigue de revenir prendre soin de sa mere aveugle et de s°s enfants». C'était bien elle. Qui le lui avait dit?

                Cette lettre de Dom Bosco était une réponse à une recommandation que notre Mere lui avait faite au sujet d'une jeune personne épileptique.

                En parlant d'elle votre vénéré Pere disait: « Qu'elle soit fidèle à ses promesses. (Elle était Protestante convertie). Tant qu'elle le sera, la S.te Vierge la protègera ». Hélas! bientôt infidèle, le mal qui avait lui reparu.

                Et maintenant, mon Révérend Pere, permettez-moi de nous unir à vous pour obtenir par l'intercession de votre saint Pere la guérison d'une de nos Soeurs malade et lui recommander ma mere aveugle qui ne se résigne pas à la S.te Volonté de Dieu.

                Notre bien digne Mere vous offre son respect et vous prie de présenter à Dieu toutes ses charges et ses soucis.

                Daignez agréer, mon Révérend Pere, l'hommage de mon respect.

                De notre Com.té de Monaco

                22 Mai 1891.

                S. S. ZÉNOBIE du S. Enfant-Jésus. [637]

 

3.

 

Il Presidente della Societá Geografica lionese a Don Bosco.

 

                Monsieur l'Abbé,

                Vous avez bien voulu il y a quelques mois vous rendre dans le sein de notre Société et l'entretenir des heureux résultats que vous et vos Missionaires aviez obtenus en Patagonie, en rendant ce pays à la civilisation chrétienne et par suite à la fécondité économique des travailleurs des deux mondes. Tout dernièrement encore vous avez eu l'obligeance de nous adresser à ce sujet quelques nouveaux et pré­cieux documents. Ils sont preuve de la continuation des généreux efforts de vos prêtres.

                Le Comité Directeur'-de notre Société ne pouvait manquer de re­marquer les services que vous rendez ainsi à la science géographique telle qu'on l'entend de nos jours: l'étude et l'amélioration des hommes et des choses de l'étranger. Je suis dono heureux de vous annoncer que dans sa dernière séance il vous a voté une medaille d'argent en com­mémoration du grand fait du retablissement de la civilisation dans les Contrées patagoniennes. Comme nous ne pourrons vous la remettre qu'à une seance solennelle assez éloignée, encore je vous serai oblige de m'indiquer, si vous le pouvez, une date à inscrire à la suite du mot: A Dom Bosco - Prêtre Salésien - Civilisation de la Patagonie, que nous comptons faire graver sur une des faces de la medaille.

                Agréez, Monsieur l'Abbé, l'expression de ma considération la plus distinguée.

                Lyon, le 2 janvier 1886.

LOUIS DESGRANDS

Prés.

 

4.

 

Société de Géographie de Lyon.

 

                Mon Révérend Père,

                Notre Président, M. L. Desgrands vous a appris que notre Société vous avait décerné une médaille de Vermeil pour les travaux de vos Missionnaires en Patagonie.

                Le dimanche 19 curant a h. 11/2 aura lieu l'Assemblée solennelle dans laquelle nous ferons la distribution des recompenses accordées par notre Société.

                Nous serions flattés et heureux si vous pouviez assister à cette [638] séance (tout au moins par un délégué) pour recevoir cette médailled es mains de notre Président.

                Vous ne doutez pas non plus du bonheur qui aurait la population Lyonnaise à vous voire et à vous acclamer.

                Nous venons de recevoir une lettre de votre Sécrétaire M. l'Abbé Ange Pesta, qui nous promet pour plus tard une communication sur  la Patagonie. Nous la recevrons avec reconnaissance.

                Il nous demande, en outre de votre part, si nous pourrions. vous fournir quelques reinseignements sur l'origine du peuple Chinois[448]. Descend-il dé. Noè ou d'Arphaxad fils de Sem 2

                C'est une question historique difficile à traiter et peu de savants seraient en état de l'aborder.

                Toutefoi Mr Desgrands envoie cette lettre à Mr. l'abbé Lebouc, curé à Vernaison, près de Lyon. Il a habité tres longtemps la Chine, où il avait la place de Mandarino de I-ère Classe. C'est un érudit et s'espère qu'il pourra nous mettre à même de resoudre cette question. je vous ferai connaître sa response aussitôt que je l'aurai reçue. Veuillez agréer etc. etc.

                Lyon, 7 Déc. 1886.

Le secretaire

Debize.

 

5.

 

Brindisi dell'ingegnere Levrof.

 

                Notre bien-aimé Père Don Bosco, en me faisant l'honneur de m'inviter aujourd'hui à sa table avec l'élite des Coopérateurs salésiens de la ville de Nice, a voulu Y ajouter un autre honneur: celui de me char­ger de prendre la parole à sa place pour honorer un membre de sa nombreuse famille, un de ceux qui lui sont les plus chers.

                C'est un pere qui charge son fils de saluer un nouveau frère.

                La parole du père a des suavités incomparables, que nulle autre parole ne peut remplacer; aussi est-ce avec regret que j'ai accepté cette tâche, cependant si douce à mon coeur; le coeur suppléera à l'insuffi­sauce du talent.

                Dom  Bosco aime tendrement ses enfants. Vous vous rappelez  qu'il y a peu de temps, quelques années à peine, notre Saint Père le Pape daignait, sur là demande de Dom Bosco, distinguer un d'entre nous et, à son insu, l'honorer d'une faveur insigne en lé créant chevalier dans l'Ordre noble et glorieux de Saint Grégoire-le-Grand.

                L'heureux privilégié c'était celui qui a maintenant l'honneur de vous parler.

                A ce moment d'alors, pourquoi ne pas le confesser, je murmurai [639] contre Dom Bosco. je trouvai désordonné de faire passer les petits avant les grands. C'était peut-être une faiblesse de son coeur, Dom Bosco aime tant les petits! Toutefois, je vous disais alors et je vous répète aujourd'hui: le témoignage d'honneur sollicité par Dom Bosco et bienveillamment accordé par le Saint Pere, s'adressait non à l'individu, mais à.la collectivité des Coopérateurs niçois de l'oeuvre salésienne; j'étais en quelque sorte créé le portebannière parmi eux. C'est à ce titre que je reçus les nobles insignes, et à ce titre seulement.

                Mais Dom Bosco fait bien tout ce qu'il fait, et finit toujours pour avoir raison, car voilà, que parce fait, aujourd'hui un Niçois d'origine  et de vieille souche peut recevoir dans la noble famille un nouveau frère, celui-ci Niçois d'adoption et choisi cette fois parmi les plus il­lustres. Et de plus, voilà que par la situation qui m'a été faite, parlant au nom de Dom Bosco et, en quelque sorte, au nom de la ville de Nice, je suis par là même en mesure de saluer plus dignement et avec plus d'éclat le nouveau chevalier.

                Mais je vous tiens sur le gril. Pardonnez-moi. Il vous tarde de con­naître le récipiendaire: il est ici et c'est vous-mêmes qui le désignerez. Regardez qui est parmi tous le plus élevé pax la science et le plus grand par le coeur. - C'est celui-là. - Le plus dévoué aux oeuvres catholiques, le plus charitable envers les pauvres et les ouvriers. .­C'est celui-là. - Le plus attaché à Dom Bosco et à son oouvre, qui les a fait connaître d'un bout de la France à l'autre, et on peut dire du monde entier, par son merveilleux livre que vous avez tous entre les mains. - C'est celui-là. - Et si vous voulez que je presse davantage la question, pour mieux vous le faire connaître, je vous dirai: mettez tous la main sur votre coeur et demandez-vous pour qui vous voteriez si vous deviez faire votre choix.

                Nous voterions tous, et par acclamation, pour M. le docteur D'Espiney.

                Eh bien, le nouveau chevalier de Saint Grégoire-le-Grand, vous l'avez dit, c'est M. le docteur D'Espiney.

                Avais-je raison de vous dire que c'est vous qui le désigneriez!... Vox populi vox Dei.

                Et maintenant que j'ai eu le plaisir de vous le faire connaître, que vous l'avez applaudi, que nous l'avons acclamé, je demande l'honneur de donner le premier, après Dom Bosco, l'accolade de frère au nouveau chevalier.

                Nous ne sommes plus dans les salles d'armes des anciens chevaliers du moyen âge. Les armures et les armes ne sont plus les mêmes. La salle est modeste et simple. Le maître chevalier est-doux et pacifique et ses armes sont les nôtres: nous avons pour cuirasse, le coeur ouvert sur notre poitrine; pour casque, la foi catholique; pour armes défensives et offensives, la parole aimante et le désintéressement. C'est avec ces armes que de notre temps on gagne les âmes, et on sauve les peuples. [640] Les chevaliers de Saint Grégoire-le-Grand les revêtent avec hon­neur, et je puis dire que le nouveau chevalier les a déjà usées à l'oeuvre. Aussi en embrassant M. D'Espiney, je saluerai en lui non simplement le nouveau chevalier, mais un noble vétéran de l'Ordre de Saint Grégoire.

 

6.

 

Leffera di una protestante a Don Bosco.

 

                Mon Révérend Père,

                Un petit volume est tombé entre mes mains où je trouve raconté un nombre considerable de cures obtenues par ceux qui s'adressent à vos prières, et à l'intercession de Marie Auxilium Christianorum.

                Moi, Anglaise de naissance, quoique depuis de longues années habitante de la France, je n'ai connu que le protestantisme, et jusqu'à la lecture de ce petit livre je n'ai cru à la possibilité de miracles  dans

                nos jours. Je ne puis plus m'en douter: et puisque je suis tees suffrante d'une maladie grave depuis 10 ans, je désire avec ardeur le secours de vos prières et pour l'âme et pour le corps.

                Avant d'oser m'adresser à vous, Révérend Père, j'en ai parlé au T. R. Monsieur Fabre, Vicaire Général de Nice, qui m'a gracieusement permis de me recommander en son nom à vos saintes prières et bénédictions.

                Il y a quelques années que m'a parlé de vos OEuvres Madame Visconti de Nice.

                Permettez-moi, mon Révérend Pere, de vous assurer du respect profond de

                Villa Mercier, Avenue des Oranges.

                Nice, le 7 décembre 1885.

Madame MARIE SOPHIE MERCIER.

 

7.

 

Indirizzo dei giovani di Marsiglia a Don Bosco.

                Bien aimé Père,

                Qui pourrait dire la joie que respirent vos chers enfants en cet heureux jour? Ils n'ont pas souvent le bonheur de posséder au milieu d'eux leur pere bien-aimé, aussi l'accueillent-ils avec un élan d'amour et de reconnaissance toutes les fois que le ciel le leur envoie. [641] Oui, cher père, vos enfants de Marseille vous aiment, car ils sentent la grandeur du bien que vous leur faites chaque jour par vos saintes institutions.

                C'est grâce à votre générosité que nous, pauvres orphelins voués à la misere, avons reçu dans cette maison un abri, où sous la conduite de maîtres aussi dévoués qu'habiles, nous recevons les bienfaits de l'instruction et de l'éducation chrétiennes.

                Votre amour pour nous vous a inspiré mille moyens pour nôus rendre heureux. Dans les classes, nos professeurs, en nous donnant la science unie à là vertu, nous disposent à remplir dignement une honorable carrière, et souvent, secondant notre vocation, nous ouvrent le chemin du Sanctuaire où Dieu nous appelle.

                Dans les différents ateliers, nous apprenons un métier qui nous permettra un jour de gagner honorablement notre vie. Oh! bon pere, les soins vigilants dont nous sommes entourés, les bons exemples, les conseils, les encouragements qu'on nous donne, produiront leurs fruits, et plus tard nous tâcherons de faire goûter aux autres quelques uns de ces bienfaits dont vous nous comblez. A l'exemple de vos premiers enfants de Turin, dont on nous lit l'histoire, nous tâcherons de faire la consolation de celui qui fut toujours pour nous un si bon père.

                En attendant nous vous prions d'agréer les sentiments. d'amour et de reconnaissance dont nous sommes pénétrés envers vous. Nous ferons tous nos efforts pour répondre aux soins que vous nous prodiguez, priant le Seigneur de vous conserver encore longtemps à leur - affection et de vous rendre au centuple tout ce que vous avez fait et que vous continuez de faire pour vos chers enfants de Marseille.

                Marseille; le 31 Mars 1886.

 

8.

 

Il Salesiano secondo il Vescovo di Milor

 

                El Salesiano no es el jesuita, soldado, por así decirlo, del escuadron sagrado, 6 sea, de la milicia escogida que la Iglesia destaca contra sus enemigos más fieros, y principalmente contra este mundo moderno, tan lleno de soberbia, tan engreido de su ciencia y de su valer: no es el Capuchino, el fraile más popular, entre todos los frailes, con sus austeridades y rigores, con su menosprecio de los. bienes terrenales, y esa absoluta desnudez interior y exterior, que pone espanto; non es el hijo de Benito, que mora en las soledades y pasa la vida entre el estudio, el canto de las divinas alabanzas y el cultivo de la tierra; no es el discipulo de José de Calasanz, bienechor en alto grado, benemérito [642] de la Iglesia y de la sociedad, pero consagrado á una sola tarea; no es... nada: de eso.

                El Salesiano es el hombre de la 'abnegación y de la humildad, qui vive muerto sin pensar que lo está, que hace el bien creyendo que no hace nada; que se sacrifia sin acordarse de ello y aún casi ignorándolo, y que venido á la libra postrera, se estima el último entre los servidores de  la iglesia. Va allí donde le mandan; toma las cosas y las acepta como se las dan, y fabrica su nido lo mismo entre las floridas ramas de árbol frondoso, que en la piedra más saliente de tasca y desnuda roca. Sus características  virtudes son no quejarse nunca, aunque todo se le torne contrario, y no desmayar, jamas; esperando siempre en la Providencia;

                Tiene el Salesiano algo de la energia, de la actividad, :de la extension y alteza de miras y de la incontrastable firmeza del jesuita; tiene algo de la popularidad dei Capuchino; tiene algo. del recogimiento y de los hábitos de trabajó del monje; tiene algo en fin de todos los Institutos religiosos conocidos, siendo no obstante un tipo nuevo.

(Don Bosco y su Obra, pag.89-90).

 

9.

 

Lettera del Marchese Jovert a Don Bosco.

 

                Mon bon Père,

                Malade depuis longtemps d'une maladie bien pénible pour moi ainsi que pour ma famille, de laquelle ma femme vous a déjà parlé le jour qu'elle a eu le bonheur d'être réçue par vous, je n'hésite pas à me recommander à vos saintes.prières pour voir si par votre inter­cession la tres Sainte Vierge me fait la grâce de me rendre la santé et alors je fais de toute mon âme le voeu de contribuer largement à l'oeuvre pieuse et bonne que vous dirigez.

                Mon coeur est plein de foi, mais si vous daigniez, mon Pere, m'écrire quelques mots je suis sûr qu'ils fortifieront cette foi en m'envoyant au même temps votre bénédiction.

                Je crois fermement qu'il n'y a àu monde que vous qui pouvez obtenir du Bon Dieu la grâce que je demande, et ma femme m'a dit comme vous vous intéressez pour moi, ainsi j'ai bon espoir.

                Croyez bien à ma sincere reconnaissance. Votre fils en Jésus-Christ.

                Barcelona, le 13 Avril 1886.

Votre fils en Jésus-Christ

JOAQUIN JOVERT. [643]

 

10.

 

Le educande delle dame del Sacro Cuore

a Don Bosco in Sarriá.

 

                Auxilium Christianorum, ora pro nobis.

 

                                Reverendissimo Padre,

 

                Con i desideri più ardenti noi aspettavamo il felice momento che vi avrebbe condotto in mezzo a noi, come un Padre amatissimo in mezzo alle sue care figliuole, desiderose di esprimergli i loro sentimenti di filiale rispetto. Questi sentimenti, esse li hanno deposti nel divin Cuore per assicurarne l'esaudimento.

                Oggi, Reverendissimo Padre, i nostri voti sono stati esauditi e i nostri cuori pieni di riconoscenza rendono grazie al Signore per questa novella prova del suo amore verso di noi. Noi possediamo un padre che lo rappresenta così degnamente e che a sua imitazione si compiace di vivere in mezzo ai fanciulli, ponendo tutta la sua felicità nel consacrarsi senza misura al bene di questa cara porzione del suo fortunato ovile.

                Si, con gaudio noi vi circondiamo, colla speranza di uscire dalla vostra presenza confermate nella fede e fortificate nell'amore al dovere; per rimanere fedeli a Gesù non solo nel tempo del nostro soggiorno in questa casa di pace e di felicità, ma anche più tardi in mezzo ai pericoli che ci attendono nel mondo.

                In contraccambio della bontà della quale voi vi siete mostrato prodigo a nostro riguardo, noi vi promettiamo, Reverendissimo Padre, di domandare al Divin Cuore di Gesù, per intercessione di quello della sua Madre Immacolata, che egli spanda senza misura l'abbondanza delle sue grazie sopra la vostra Congregazione, sopra tutte le vostre opere, sopra il vostro caro gregge e il suo amato Pastore. Che questo caro gregge, vedendo in voi una rinnovellata sanità e maggior robustezza di forze, possa rendere grazie al Signore e ottenere quella di conservarvi ancora per lunghi anni.

                Questo è il nostro desiderio unito a quello di ricevere la vostra patema benedizione.

 

                Sarrià, 14 aprile 1886.

 

Le allieve del Sacro Cuore. [644]

 

10.

 

Dom Bosco y los talleres salesianos.

 

                Encuéntrase en Barcelona, como no ignoran nuestros lectores, el venerable anciano, cuyo nombre encabeza estos párrafos. Aureola de santidad resplandece en su figura como expresion de sus cristianas virtudes y de su acendrada fe, con las cuáles ha llevado á feliz término y sigue dirigiendo con próspera fortuna su religiosa y civilizadora empresa. En medio de los dolorosos espectáculos que hemos de presenciar de continuo, entre las manifestaciones impías que hieren la vista y los oídos de las personas piadosas, cuando las pasiones desbordadas de las muchedumbres, halagadas en sus bajos instintos amenazan conmover y destruir la sociedad contemporánea; produce grandísimo consuelo ver á un santo varon de setenta años, que vence el peso de la edad con el ausilio de la gracia divina, cómo trabaja en una obra de verdadera regeneración social y cómo se aprestan á ofre-cerle su concurso gentes salidas de todas las clases sociales.

                Es en verdad providencial la obra de Dom Bosco: díganlo si no el saqueo de las tiendas en Lóndres, los incendios en Bélgica, la huelga en Decazeville. A la propaganda materialista que origina estos hechos, se opone la propaganda cristiana que enseña al hombre la virtud del trabajo, el amor al prójimo, la esperanza en Dios, con los cuales no son posibles los odios sociales que tantos males han producido en Europa y en América. Esta bienhechora enseñanza reciben los niños en los Talleres Salesianos, cuya fundación se debe al infatigable sacerdote Dom Juan Bosco, conocido por Dom Bosco en ambos mundos, porque á los dos hemisferios alcanzan los beneficios incalculables de su predicacion, de su constancia y de su singular inteligencia en la organizacion de aquellos institutos. « La obra de Dom Bosco - se afirma haber dicho Su Santidad Leon XIII - es á no dudarlo extraordinaria; excede á las fuerzas humanas, pues no se concibe que un hombre solo, desprovisto de medios materiales, un sacerdote pobre y humilde, haya podido hacer en breve tiempo, que breve tiempo son treinta 6 cuarenta años, las maravillas que asombradas contemplan Europa y América. Ahora bien, lo sobrehumano ha de ser necesariamente ó diabólico ó divino, y sus tendencias y resultados manifiestan clarísimamente si es lo uno ó lo otro. Lo que tiende á propagar y afirmar el reinado de la soberbia, no puede calificarse sino de diabólico; así lo es la Revólucion y sus falsos milagros. Lo que por la inversa se dirige á extender y consolidar en el mundo el imperio de la humildad y la caridad, ó sea la soberanía de Dios, debe llamarse divino. El dedo del Altísimo se descubre por lo mismo patentemente en la Obra Salesiana, toda vez que su fin es Cristo, su regla Cristo y Cristo el arma [645] con que lucha, que va sembrando por donde quiera abnegación, mortificación y amor; y que trabaja por la causa de Dios y no por los intereses terrenos del hombre n. ¡Hermosísimas palabras dignas del sabio y santo Pontífice que gobierna la Iglesia Católica Apostólica Romana!

                Humilde comienzo tuvo la obra de Dom Bosco, como lo han tenido esas grandes instituciones católicas de Caridad que son hoy el único bálsamo eficaz para las heridas sociales y la única medicina para enfermedades y miserias de esta clase, que de otro modo son incurables. Cierto dia'del año 1841 disponíase Dom Bosco á celebrar el santo sacrificio de la misa en la iglesia de San Francisco de Asís de Turin y se estaba revistiendo, cuando llegaron á su oído lamentos y voces descompuestas impropias de aquel lugar sagrado. Averiguó de dónde procedían y qué las originaba, y supo que se trataba de un chicuelo á quien el sacristan reprendía duramente y llegó a dar golpes, por haberse metido en la sacristía sin que diese esplicacion del objeto que allí le habia conducido. Habló Dom Bosco al muchacho, hizo que oyera la misa y, terminada, se lo llevó á su casa, porque supo hue estaba desamparado, y en ella le albergó y le cuidó cariñosamente, cediéndole una parte de su hogar modestísimo. Así principió la obra de San Francisco de Sales. En 1842 Dom Bosco capitaneaba ya una legion compuesta de cien individuos. El celoso Sacerdote los reunió todos los días festivos, y en lenguaje sencillo y conmovedor les inculcaba las verdades de la Religión y les enseñaba las virtudes cristianas. Con el amor y el instinto del Apóstol convertía en grata para sus educandos la enseñanza que les daba, de manera que todos aguardaban ansiosos la hora del domingo en que debian reunirse con Dom Bosco. Con ellos , verificaba romerías y excursiones á sitios pintorescos, que amenizaba un coro de cantores formado de los mismos alumnos de esta escuela cristiana. En 1844 doscientos alumnos le rodeaban en el momento en que celebraba el sacrificio de la misa, en cuya ocasión dio á la obra y al lugar en que se realizaba el nombre de Oratorio de San Francisco de Sales.

                Rápido fue despues su desarrollo y de ella nacieron los Talleres Salesianos. El número considerable de mas de doscientos mil niños recibe hoy día instruccion técnica para un arte ú oficio y educación cristiana en los establecimientos que dependen del venerable fundador de la Obra. En Turin, que es la patria de la Congregación segun hemos indicado, tienen los Salesianos magníficos talleres, en los cuales llama la atencion una fábrica de papel y una tipografía montada esta con prensas de vapor y con todos los adelantos modernos, y en donde se imprimen obras en diversos idiomas con notable perfección. En distintos puntos tienen organizadas colonias agrícolas como la de Mogliano en el Véneto, la de Saint Cyr en el Var y la llamada Navarra junto á Hyères. En el Uruguay y en la República Argentina cuentan también con casas de educación y en la Patagonia con una misión que llegó á reunir ciento treinta misioneros. Gobiernos y hombres de ideas [646] muy opuestas á las de Dom Bosco y de sus coadjutores le han favorecido en su empresa y allanado en ocasiones obstáculos de difícil vencimiento. Urbano Ratazzi, entre ellos, amigó íntimo de Cavour, y uno de los políticos que mas trabajaron por la unidad de Italia y consiguiente expoliacion del Papa, quiso conocer en 1854 á Dom Bosco; se presentó un día inopinadamente en el Oratorio de Turín; óyó al fervo-, coso sacerdote cómo esplicaba á sus alumnos un punto de la Historia Sagrada, buscóle despues en su propia casa, departió con él largamente sobre los sistemas de educación que podían emplearse con los niños, y salió prendado dei fundador de, las Escuelas y Talleres Salesianos. Ratazzi, que en medio de sus errores religiosos y políticos tenia despejada inteligencia, comprendió al punto la utilidad social de la Obra de Dom Bosco; y resuelto á protegerla, empleó para ello la influencia de :que gozaba en las' elevadas regiones del nuevo Estado italiano.

                Esta Obra civilizadora existe ya en el llano de Barcelona, como saben idos nuestros lectores. A la piedad incansable de una distinguida señora, á la que deben inmensa gratitud muchísimos desgraciados, se debe el primer paso dado para establecer en Sarriá los Talleres Salesianos: al R.do Padre Branda, tan bondadoso y modesto como inteligente, celosísimo vicario de Dom Bosco; el impulsó más eficaz para la organización de la casa en todas sus dependencias. La visita del santo fundador de la Obra será, de fijó, prenda que asegure nó solo su continuación, sino también su desarrollo y mayor prosperidad en ló futuro. Mucho ha de hacerse todavía: se requieren cantidades importantes para montarlos talleres del modo que ló desean los Rdos. Padres y las piadosas personas que protege la institución, porque hoy nó se hallan mas que en embrión las cuadras en que se enseña á sesenta niños el arte de imprimir, el de encuadernar, la carpintería, la sastrería y zapatería, y otros oficios que han de proporcionarles el pan de cada día y la base para su bienestar después y el de sus familias. Niños que vagarían perdidos por calles y plazas, réclutas de las cárceles y presidios; son amparados en aquella casa y arrancados de las garras del crimen. Hasta.el número de quinientos educandos se propone Dom Bosco que. con el tiempo se alberguen en Sarriá, y este generoso propósito se realizará, sin duda, con la ayuda del Cielo. Nó se arredre nadie por lo mucho que aun falta hacer; los cimientos están echados y sobre ellos se alzará el edificio. Envíe cada cual su limosna á la Casa, y poco á poco se irá levantando la que haya de contener mas adelante los Talleres Salesianos, semillero de ciudadanos honrados. Por idénticos pasos se han construido en Barcelona - y al decir Barcelona comprendemos también todo el llano - establecimientos de caridad como las casas de las Hermanitas de los Pobres, el Asilo de niños escrofulosos de San Juan de Dios, el Hospital de Nuestra Señora del Sagrado Corazón de Jesús y otros varios, que pregonan con elocuencia los cristianos sentimientos de sus moradores. [647] ¡Coincidencia providencial¡ Los fundadores de los institutos que han acudido en el siglo XIX á remediar dos de las mayores miserias sociales, la ancianidad desvalida y la niñez descuidada, los PP. Le Pailleux y Bosco;- experimentan la inefable ventura de ver extendidos por el universo mundo las casas de las Hermanitas de los Pobres y los Talleres Salesianos, de contemplar como el cariño del pueblo sigue por todas partes á los Padres y á las Hermanitas, y de atestiguar el respetó que por ellos sienten los hombres de ideas mas opuestas á las salvadoras doctrinas que han inspirado y mueven estas fundaciones, .pero dotados de inteligencia clara y de ánimo bastante .serenó para comprender los inmensos beneficios que de ellas recibe la sociedad contemporánea.

(Revista popular di Barcellona, 14 ;aprile 1886).

 

12.

 

Asociación de Católicos de Barcelona.

 

                Invitado el ilustré Dom Bosco para que se dignara honrar con su presencia el local de la nueva Escuela que próximamente inaugurará esta Asociación en la calle de Lladó, n. 4, se ha dignado dicho señor acceder á ello, senalando el día 15 del corriente á las cuatro de la tarde.

                Cómo muestra, aunque débil, de agradecimiento, acordó la junta aprovechar esa ocasión para entregar al fundador insigne de los Ta­lleres Salesianos la medalla de socio de honor, y luego el producto de una colecta realizada entre los concurrentes.

                Al invitar á V. á esa solemnidad tan grata y aceptable para todo buen católico, nó duda la junta contribuirá V. generosamente á honrar á persona por tantos conceptos venerable.

                Barcelona, 12 de abril de 1886.

P. A. de la J.. D. 

El Secretario

JOAQUIN DE FONT.

 

                Sr. D.

                Entrada Personal.

 

 

13.

 

Sonetto in onore di Don Bosco a Barcellona.

 

                Elegido de Dios!.. de charca inmunda

                Dó pululan los hongos venenosos

                Arrancas mil pimpollos espinosos

                Que en ricos frutos la verdad fecunda. [648]

                Esa obra colosal que en bien abunda

                A pesar de los antros rencorosos

                Reviverá los pueblos venturosos.

                Por el Divino Amor en que se funda.

 

                Salud á Ti... Que seas bien venido...

                Que hermanas por la Fé, nuestras naciones

                Vuelvan al. Vaticano su sentido.

 

                Y si un grano de anís tus fundaciones

                Llevan con nuestro amor a ti ofrecido

                No nos niegues, Señor, tus bendiciones.

 

                Policarpo de Bofarull Sarrid (Barcelona).

                17 de abril de 1886.

 

14.

 

Invito alla conferenza di Barcellona.

 

                ESCUELA DE ARTES Y OFICIOS

                DE Los TALLERES SALESIANOS

                BARCELONA-SARRIÁ

               

                Sr. D.....

                Muy señor mío y de mi mayor consideración y respeto: muy reco­nocido á la benevolencia de las personas que cooperan á la obra de los Talleres Salesianos de Sarriá y que al llegar por primera vez á este tan hospitalario país, me han dispensado una acogida que no olvidaré nunca, me he decidido á invitarles á la función solemne que bajo la presidencia del Ex.mo é Il.mo Sr. Obispo tendrá lugar en Barcelona el día 3o de los corrientes, á las cuatro en la Iglesia parroquial de Belén.

                Conforme á la costumbre establecida en tales ocasiones se hará una colecta destinada á desarrollar los Talleres establecidos en Sarriá, á fin de que aumente en grandes proporciones el número de niños que se puedan admitir en los mismos, para darles á la par que una sólida educación cristiana, la enseñanza de un arte ú oficio que les procure, á su tiempo, una honrosa subsistencia.

                Al suplicar á V. se sirva asistir con las personas, que guste, á la función expresada ruego al Señor le recompense con largueza el interés que se tome á favor de la Obra Salesiana.

                Con este motivo se ofrece de V. con la mayor consideración atento S. S. y Capellan.

                Sarriá, 27 de Abril de 1886.

                JUAN Bosco Pbro. [649] Orden de la función:

                1. Esposición de Su Diving Magestad..

                z. Lectura de un capitulo de la vida de S. Francisco de Sales. 3. Una pieza de música sacra por la Capilla de Belén.

                4. Conferencia sobre la Obra Salesiana. 5. Canto de unos motetes.

                6. Bendición con el SS. Sacramento.

                7. Preces por los cooperadores difuntos.

                Es de notar que la Santidad de Leon XIII, primer cooperador Salesiano, bendice especialmente y concede indulgencia plenaria á cuantos Cooperadores Salesianos tomen parte en esta función.

 

15.

 

Don Bosco e i suoi Talleres a Sarriá.

 

                No hace un mes aun, los Talleres Salesianos; recientemente establecidos en el vecino pueblo de Sarriá, apenas eran conocidos en Bar-, celona. Algunas distinguidas familias que veranean en aquella antigua poblacion, concurrían á las funciones religiosas que en la capilla de los Talleres Salesianos diariamente se celebran; algunos mas habían recorrido las clases donde á los niños albergados se les enseñan artes y oficios; otros se hacían lenguas de las esquisitas dotes de discreción y talento de su director Rdo. P. Branda; pero de mucho no había alcanzado la institución el renombre que actualmente goza, ni había atraído como ahora las miradas de tan gran número de personas de todas las clases sociales.

                Para obtener este estraordinario éxito, ha bastado-la presencia de un venerable anciano, que achacoso y débil físicamente, mas dotado de una voluntad de hierro, está en la plenitud de sus fuerzas intelectuales para desarrollar, aun mas de lo que se halla, su moralizadora institución, implantada en todas las regiones del globo.

                Al visitar por vez primera los Talleres Salesianos de Sarriá, aun con las imperfecciones inevitables en todos los comienzos, y teniendo que vencer el sinnúmero de dificultades que para la propia conser

                vación encuentra toda nueva obra en sus primeros años, no era difícil descubrir en la organización dé las clases y en el inteligente y celoso personal que las dirige, la vitalidad de la obra de Dom Bosco; al conocer hoy al venerable fundador de los Talleres Salesianos, honra altfsima que estos días han tenido muchos barceloneses, compréndense más facilmente los prodigiosos resultados alcanzados en el breve [650] período de veinte años, ya que los diez que 1, e precedieron fueron solo de preparación para empresa de tamaña importancia.

                Desean visitar á Dom Bosco, durante su permanencia en Sarria, personas de todas las clases y condiciones, en busca de toda suerte de consuelos; unos para impetrar de Dios - que todo lo puede - por mediación de varón tan santo, 'el remedio ó el alivio de enfermedades graves; otros para pedir consuelo para su corazón desgarrado .por la desgracia ú oraciones en sufragio de seres queridas; las asociaciones piadosas se presentan á mostrar sus respetos al que tan distinguido' lugar ha conquistado entre los varones que han sobresalido en nuestros días en la Iglesia de Cristo; y -varios Prelados han ido á Sarriá á saludar al ilustre fundador católico. Dom Bosco escucha con interés á grandes y pequeños, á los que están en los más altos peldaños de la escala social, á la clase medía que tiene en nuestra ciudad estraordinario arraigo, á modestos obreros y sencillas mujeres del pueblo, y á unos y á otros que llegan á su presencia llenos de ferviente fé, les da la bendición y una pequeña medalla en la que está grabado el Sagrado Corazón de Jesús en el anverso, y en el reverso la imagen de la Santísima Virgen.

                « Sagrado Corazon de Jesus, tened misericordia de nosotros a, « Auxilium Christianorum,.ora pro nobis », son las leyendas de la medallita de Dom Bosco, y sin duda alguna han sido el poderoso talismán con que ha logrado el sacerdote italiano realizar su grande obra de fundar numerosas escuelas - cuyo número va creciendo cada día - y que servirán para contrarestar la incesante propaganda contra Dios y contra toda autoridad, que principalmente en Europa se está. haciendo á mansalva en nuestros días, llenando el corazón de zozobra y el ánimo de espanto„ aun á famosos racionalistas que ven con pavor como nuestra sociedad se va precipitando con- frenesí al abismo de la impiedad y de la disolución social.

                Cuantos se han acercado á Dom Bosco y han podido oír su autorizada, palabra, han descubierto en su fisonomía. su cultivada inteligencia y su voluntad poderosa. En los comienzos, al establecer sus talleres, personalmente aprendió Dom Bosco los diversos oficios que en los mismos se habian de plantear y los enseñaba á sus amados niños. A la música se dedicó también desde la edad de ocho años, y en los Talleres Salesianos no falta nunca la banda correspondiente, formada por los jóvenes albergados y dirigida por uno de los salesianos. Conoce también Dom Bosco infinidad de idiomas que le facilitan el comunicarse con todos los países y propagar sus Talleres.

                La humildad, esta virtud cristiana tan preciada como costosa á la humana naturaleza, es una de las que más enaltecen al preclaro fundador de los Talleres Salesianos. « Yo no sé por qué viene á verme tan gran gentío », decía á uno dé los que fueron honrados el domingo último á acompañarle en su comida. Y sin embargo, cuando Dom Bosco se ocupa en el desarrollo de su obra, aunque en tono sencillo, [651] y vibra en su palabra la convicción del fundador, su tesón inquebrantable y como un don profético. e Los Talleres de Sarriá han de educar á quinientos niños », dijo también en el curso de la conversación, y al que oía conmovido estas palabras parecíale ya ver en breve tiempo levantada las necesarias construcciones para albergar tan crecido número de niños, funcionar los nuevos talleres y en las horas de rezo ver concurrida la nueva iglesia que la piedad de los barceloneses levantará sin duda en aquel importante centro de educación dulas clases pobres.

                En medio de las inevitables dificultades que naturalmente han de surgir para dar cima á tan santa obra, debe alentar á los decididos cooperadores de la misma, la idea de que los Talleres Salesianos vienen á llenar en Barcelona una necesidad aún más imperiosa que en otras poblaciones, Centro fabril, cual pocos, é influido por la propaganda del cosmopolitismo revolucionario, merced á la proximidad con Francia, presta servicio incalculable la institución -que asegura á las fanilias necesitadas que sus hijos puedan recibir, una educación cristiana, además del ofició que se les enseñe, y que. contribuirá á que desde la infancia se les inculque el amor- á Dios y el respeto al prójimo, la obediencia ,á sus superiores y la dulzura con sus inferiores, si llegan á tenerlos; allí se inspirarán en las enseñanzas cristianas, lo mismo para su propria conducta, .como en él seno de la familia y en el ejercicio de sus deberes de ciudadano. La Institución de los Talleres Salesianos es pues una institución que podrá prestar grandes beneficios á las familias, á la sociedad y á la patria, y por esta razón creemos que Barcelona debe felicitarse del viaje que ha hecho á nuestra ciudad Dom Bosco y abrigamos la confianza de que la solemne función religiosa que ayer se celebró en la iglesia de nuestra Señora de Belén, que reseñamos en otro lugar de este número, será en estremo provechosa para realizar en un breve período de tiempo las aspiraciones del venerable anciano que ha tenido en nuestra ciudad una acogida,en estremo cariñosa.

 

                (Diario de Barcelona, maggio 1886).

 

16.

 

Don Bosco nella villa di Don Luis María y Codolar.

 

                Escribo estas líneas bajo la más dulce de las impresiones.

                Me refiero á la fiesta de familia que los amables señores Martí y Codolar, cuya bondad y explendidez es bien conocida, han celebrado 'en honor de Dom Bosco, de ese varón apostólico y extraordinario; del Abad mitrado de la Santa Trapa, y de los pobres niños acogidos y educados en los Talleres Salesianos de Sarriá.

                Lo que ha pasado en medio de aquellos jardines hermoseados por [652] las galas de la primavera y por el gusto exquisito de sus dueños, llenos de flores perfumadas, poblados de fieras reclusas, de aves raras, de estátuas, de plantas tropicales y de cuanto el capricho é inteligencia de un afamado comerciante y naviero ha recogido y mandado traer de remotos climas y de distantes tierras, es de esplicación difícil.

                El obsequio empezó por un bien servido banquete del que disfrutaron los pobres niños acogidos, cuya alegría era grande. Después de él la orquesta salesiana tocó dos piezas de concierto con mucha más afinación y más gusto'del que puede exigirse á unos niños que hoy empiezan á saludar el arte.

                En un parterre rodeado de cedros del Líbano, sentáronse Dom Bosco y el Abad mitrado de la Trapa; colocados á su lado y á su alrededor los pobres niños salesianos, y la familia, amigos y servidores de los dueños. El Prelado trapense con voz elocuente y llena de unción evangélica, improvisó un discurso, en el que reflejó los sentimientos de gratitud de que estaba poseido y encareció á los niños el deber en que estaban de obedecer, aprender y trabajar, para luego ser útiles, á la sociedad y poder más tarde constituir una familia. Con una natu-ralidad que encantó; pidióle á Dom Bosco que se sirviese bendecir á todo el grupo, y como éste, calificándose á sí mismo de pobre mendicante, manifestase, que donde estaba presente un Prelado de la Iglesia, él, simple eclesiástico, debía impetrar la bendición en vez de darla, el Abad trapense, de rodillas; se quitó las insignias prelaciales en señal de santa humildad y, postrándose toda la concurrencia, recibió fervorosamente la bendición del anciano valetudinario, héroe de la caridad, fundador de una obra grandiosa que ha de honrar á un santo, porque los frutos ópimos que produce constituyen un verdadero milagro.

                A todo esto, fue fotografiado el grupo con una máquina instántanea al efecto preparada, y levantándose luego el gran padre de familia, que educa, mantiene y enseña á doscientos mil hijos, tan pobres como él, reproduciendo, como si dijéramos, el milagro de los panes y los peces, apoyado en el brazo del amable dueño de la casa señor Martí y Codolar, visitó algunas de las muchas curiosidades de notable mérito que el jardín contiene.

                Fi pavo real blanco abrió su cola como para ufanarse y para honrar á tal admirador; el elefante mostró sus blancos marfiles y agitó su trompa con alegría; los pelicanos comparecieron á prestarle homanage, y hasta los camellos salieron á hincar la rodilla.

                Las muchachas de servicio, los labriegos, los criados y aun los niños, pudieron libremente tener la satisfaccion de hablar y de comunicar sus sentimientos al venerable anciano; que les oyó, acarició y

                trató, con la bondad angélica que establece hacia él una corriente de atracción invencible.

                Los niños salesianos merendaron servidos por las mismas señoras que concurrieron á la fiesta, y empezaba ya á declinar. el día, cuando [653] Dom Bosco, aclamado y saludado por todos los asistentes con verdadero entu§iasmo, abandonó aquella casa hospitalaria y aquella mansion encantadora, para volver con sus hijos á los talleres de Sarriá.

                ellos sé han levantado por el sentimiento cristiano de Caridad que vive entusiasta en nuestra tierra á Dios gracias, y el, impulso primero, el primer sacrificio, si un acto benéfico pudiese llamarse tal, es debido á la Excma. señora doña Dorotea Chopitea de Serra con ese noble propósito, que ha hecho que su nombre luzca en todas las obras de caridad con que Barcelona se honra.

                Presente estaba esa señora de gran corazón, de todos querida y adorada de los pobres, pareciendo como que buscase el último lugar; presentes estaban sus hijas y nietas; los hermanos señores Pascual con

                sus buenas esposas y amables hijas y tuvieron la fortuna de asistir á la fiesta los parientes y algunos amigos de los señores Martí y Codolar, que guardarán toda su vida impresion agradable y dulce de aquella función, en que se reflejó la bondad y la sencillez que acompaña siempre al verdadero sentimiento católico. - J.  M. G.

(Correo Catalán, 5 maggio 1886).

 

17

 

Carta di cessione del Tibi dabo.

 

                Reverendísimo S. D. Juan Bosco

                Superior General de la Congregaciórn Salesiana.

                Los infrascritos proprietarios de la cuspide de la montaña denominada Tibi Babo  seguiendo el ejemplo de Nuestro Santísimo Padre Leon XIII que confió a Vuestra Reverencia el honroso encargo de edificar en la Ciudad Eterna un templo dedicado al Sagrado Corazón de Jesús vos ofrean prostrados á los piés de la Santísima Virgen de las Mercedes Patrona de esta Ciudad y Diocesis la cumbre del Tibi dabo para que os sirvais, asimismo, levantar en ella una ermita .que, consa­grada al Sacratíaimo Corazón de Jesús, detenga el Brazo de la justicia Divina y atraiga las Divinas. Misericordias sobre nuestra querida Ciudad y sobre toda la Catolica España.

                Recibid, Reverendísimo Padre, nuestra oferta y dignaos confor­tarnos con vuestra Santa Benedición.

 

                Barcelona, en el presbiterio de la parroquia de Nuestra Señora de las Mercedes, día cinco de Majo de 1886.

 

                DELFIN ARTOS, ALVARO M.A CAMIN, FELIPE CAMPS, GME. MORE Y BOSCH, MANUEL M. PASCUAL, MAURICIO SERRACHIMA, MANUEL TORRA-BADELLA, FELIPE VIVES, ALVARO VERDAGNER, CARMEN GARRIGOLAS V.a DE TORENT, por D.a CARMEN FONT V.a DE CALAFELL JOSÉ XIVIYELL. [654]

 

18.

 

Primitiva cappella sul Tibi Dabo.

 

                Con la debida autorisación y benedición de nuestro Prelado, hancomenzado los trabajos ,para la erección de una capillita de estilo gótico, dedicada al Sagrado Corazón de Jesús, en la cumbre del monté Tibidabo.

                Aquella montaña; que hasta ahora servia de estimulo á la curiosidad por el bello palsaie que domina, servirá también en adelanté para rendir homenaje de adoracion al Sagrado Corazon del Criador de tantar maravillas como desde allí se descubren.

                Los piadosos barceloneses que durante la estancia del venerable Dom Bosco en esta ciudad quisieron honorarle regalándole el citado monte, verán con alegría levantarse el pequeño monumento, debido en gran parte á la iniciativa y generoso desprendimiento de algunas personas devotas del Divino Corazón. Bien quisieran los PP. Salesianos bajo cuya dirección va á levantarse la capillita, poder dar cima por su proprio esfuerzo á la empezada construcción; pero las apremiantes y diarias necessidades, harto difficiles de llenar, de su benéfico, instituto, les obligan á confiar para llevarla á feliz termino en el proverbial y nunca desmentida generosidad de los habitantes de la capital del Principado.

                Quiera Dios que la modesta obra che hoy se emprende, pueda ser terminada en breve plazo, y sea como el cimiento de otra mas grandiosa y digna del objeto á que se dedica y del pueblo en que se levanta. (Diario de Barcelona, 30 majo 1886).

 

9.

 

La visita di Don Bosco alla Visitazione di Montpellier.

 

                La superiora della Visitazione di Móntpellier ci manda questa relazione, desunta dalle Memorie del Monastero, sulla visita di S. Giovanni Bosco. C'était en 1886. Nous eûmes le grand honneur et le grand bonheur de recevoir à l'interieur de notre Monastère, et de voir de nos yeux, et d'entendre de nos oreilles, le vénéré Dom Bosco, de célèbre et sainte mémoire.

                Pour le dérober à la foule qui le pressait et le réclamait de toutes parts, on jugea prudent de le faire entrer furtivement par notre porte charretière. Il était accompagné de Don Rua et de Mr Canonge, notre Supérieur. [655] Il se rendit à notre salle de Communauté, où il nous adressa quelques mots- d'édification.

                Nous avions à ce moment à l'infirmerie, une Soeur gravement malade. La Communauté l'aimait beaucoup à cause de ses religieuses vertus et désirait fort sa guérison. Nous le priâmes de l'aller voir dans le secret espoir qu'il ferait un miracle en sa faveur. Mais après l'avoir considérée quelques minutes, comme pour s'assurer de la volonté du, Bon Dieu et des dispositions de son âme, il leva le doigt, et montrant le ciel dit: «Au ciel, au ciel!.,. ». Ce qui arriva effectivement, car notre chère Soeur mourut peu après.

                Dan& là ferveur de leur vénération pour le grand thaumaturge, nos Sueurs se mettaient à genoux sur son passage, et baisaient sa sou­tane. Mr Canonge, notre Supérieur qui le suivait de très près, s'en étant aperçu se pencha vers elles, et leur dit tout bas en souriant: « Ne vous trompez pas de soutane, car moi, je ne suis pas saint ».

                Cette précieuse visite ne dura que quelques courts instants. La foule qui s'était aperçue de sa disparition et de son entrée chez nous, était anxieuse de le revoir et le réclamait avec une sainte impatience.

 

20.

 

Lettera del Superiore del- Seminario di Montpellier a Don Bosco,

 

                Très Cher Monsieur l'Abbé,

                Vous nous avez causé le plus vif plaisir en nous envoyant avec vos ouvrages -le précieux témoignage que vous ne nous aviez pas oubliés. Merci de votre aimable souvenir.

                Le Grand Séminaire de Montpellier a gardé la plus touchante un pression de votre visite. Les bons habitants de la Cité qui vous ont fait un accueil si empressé seraint prêtes à recommencer et moi-meme serai prêt à -soutenir vos mains et à vous protéger contre l'envahis­sement de la foule. J'ai pourtant bien sué à contenir le flot du peuple qui voulait baiser la main d'un prêtre pauvre entre les pauvres et tout infirme.

                A la page 33 de vostre interessant opuscule sur l'esprit'de St Vincent vous dites: « non si potrà sentire senza sorpresa che Vincenzo de Paoli sopraccaricato di affari e non camminando che con pena sia disceso dalla sua camera per distribuire l'elemosina ad alcune povere donne... »:

                En lisant ces lignes; voilà bien, me disais-je, le portrait de Dom Bosco, « camminando con pena disceso da Torino per distribuire l'elemosina a povere donne ». [656] Mais savez-vous, très cher monsieur l'abbé, que vous m'avez laissé un gros chagrin. Je vous ai laissé tout entier à ce pauvre peuple et je n'ai pu vous causer. Une autre fois je ne serai pas si désintéressé; je m'enfermerai avec vous et je vous demanderai vos petits secrets pour porter les âmes à aimer le bon Dieu.

                Lorsque je vous ai demandé votre secret pour régir et gouverner avec si peu d'ouvriers un si gran nombre d'enfants, vous m'avez tepondu: - Nous leur inspirons la crainte de Dieu.

                Mais ce n'est là que le commencement de la sagesse. Il me foudrait bien savoir comment vous faites monter les âmes jusqu'au sommet de la sagesse qui est l'amour de Dieu.

                Dans une de nos conférences spirituelles avec les prêtres venus pour la retraite du mois nous nous somnes entretenus de la methode employée par St Vincent et par St François de Sales pour diriger les âmes vers la perfection; nous sommes arrivés a constater que St Vin­cent engageait l'âme anéantie devant la majesté de Dieu à se confier et à se donner à lui entiérement  pour répandre la divine charité autant que possible, et que St François de Sales se contentait de pro­poser à tout le monde, comme a la bonne simpliciennē de chercher en tout le bon plaisir de Dieu.

                Et nous avons conclu que la méthode de St Vincent pouvait s'adresser à des âmes généreuses, mais que la méthode de St François plus facile pouvait s'adresser à tout le monde et conduire un plus grand nombre d'âmes à la perfection.

                Vous seriez on ne peut plus aimable de me dire, vous, très cher monsieur l'abbé qui avez bien étudié ces deux grands Saints, si nous avons rencontré juste en nos jugements.

                Un mot de reponse serait de votre part une charité bien accueillie de tous nos prêtres.

                Nous n'avons pas oublié vos deux aimables compagnons de voyage. Soyez complaisant, pour présenter nos respectueuses amitiés à Don Rua et nos cordiales sympathies à votre jeune disciple bien aimé. Agréez vous même, très, honoré et très cher monsieur l'abbé, l'expression de mes sentinents les plus respectueux et les plus af­fectueux dans lé souvenir de l'amitié de St Vincent de Paul et de St François de Sales.

                Grand Séminaire de Montpellier.

                Fête de la Visitation, 2 Juillet 1886.

DUPUY, prêtre de la Mission

Supérieur du G. S.

                PS. J'ai reçu plusieurs demandes de gens qui m'ont offert des Orphelins pour que vous les receviez. Ce sont des perles précieuses qui sont destinés à la Jerusalem céleste; avec elles si vous les recevez [657] vous pourrez acheter le ciel. Il sont pauvres, n'ayant aucun appui, pas même le mien étant chargé de nombreux séminaristes. C'est là, je crois, le seul certificat que vous demandez: sicut aves coeli qui non seminant... neque metunt.

 

21.

 

Séjour de Saint Jean Bosco au Grand Séminaire de Grenoble.

 

(Mai 1886)

 

                Don Bosco, venant d'Espagne où il a visité Barcelone et le midi de la France où Montpellier, Tarascon et Valence lui ont fait un accueil enthousiaste arrive à Grenoble qui sera; je crois, la dernière étape française de ce grand voyage. Il se présente à l'évêché, mais S. E. Mgr Armand Joseph Fava étant absent, il est conduit au Grand Séminaire, tout proche où il résidera trois jours. C'est ainsi que, 'grâce à l'absence de notre évêque nous pourrons jouir dé la présence du Saint,

                Nous sommes en 1886 et s'il me souvient bien, au beau mois de. Notre Dame. Le soleil de mai caresse les colonnes du cloître, et met en pleine lumière la scene de l'entrée de Don Bosco par, la porte cochère. Les séminaristes sont à leurs fenêtres. Le vénéré Supérieur, Monsieur Robillond, entouré des Directeurs reçoit l'illustre Fondateur des Salésiens, accompagné de son confesseur Don Rua, et suivi d'un certain nombre de personnes qui pénètrent jusque sous le cloître.

                Le voyage, on le sent, l'a quelque peu éprouvé. Mr Robillond en fait la remarque tout haut: - Mon Révérend Père, vous paraissez souffrant... Mais personne ne sait mieux que vous combien la souffrance est sanctifiante.

- Non, non, Monsieur le Recteur, ce n'est pas la souffrance qui sanctifie, mais la patience! - répond Don Bosco avec un bon sourire, saintement malicieux[449].

                Le bon Pere devient notre commensal. En entrant au réfectoire, avec nos Directeurs, il dira chaque fois, `à très haute voix: Buon appetito! Par un vouloir de la Bonne, chère et grande Providence[450], il se trouve que le lendemain c'est notre carré[451] qui est de service au réfectoire, et pour surcroît c'est la table des Maîtres, qui m'échoit et ainsi j'ai l'insigne honneur de servir, à deux repas, le futur Saint jean Bosco. Après le Miserere, selon l'usage, les servants prennent leur repas. Une inspiration me vient: du Ciel sans aucun doute. J e la communique [658] à mes condisciples: - Et si nous nous emparions des ustensile qui ont servi au saint... qu'en pensez-vous? En les remplaçant de nos deniers nous serons quittés envers Mr l'Econome à qui nous confesserons notre larcin post factum.

                On peut constater que nous mettions à profit les leçons de M. le Professeur de Morale!

- Tres bien, très bien! en avant!

                Et en deux sauts nous escaladions la table désormais historique. En revenant chacun avec notre lot en mains, nous ressemblions bien un peu aux quatre officiers de Monsieur de Marlborough.

 

                L'un portait son grand sabre,

                L'autre son bandier,

                L'un portait sa cuirasse,

                L'autre ne portait... rien!

 

                Avec cette différence que notre quatrième  portait l'assiette au reliefs d'épinards!

                Je ne sais si mes bons amis ont conservé leur relique aussi fidèlement que j'ai gardé la mienne: le verre qu'ils ont bien voulu n'adju­ger. En entrant en Chartreuse je l'ai confié à ma famille et le dimanche 1 avril 1934 aux agapes pascales; le jour de la Canonisation de jean Bosco, tous ceux qui étaient présents ont bu à ce vénérable verre, comme il l'avaient: déjà fait au jour de la béatification. Plaise au Ciel que parmi mes quatre bimbi dé neveux il y en est un au moins, qui se donne au bon Dieu, devienne un saint prêtre et recueille le calice du grand oncle!

                En présence de ces ustensils sanctifiés par un saint comme Don Bosco nous aurions bien un petit examen à faire. Avons-nous bu, dans l'Amour, au Calice du Maître, comme Il y invitait, le soir de la Cene, tous ses Prêtres à venir? Avons-nous; avec le couteau sacrificateur, coupé sans pitié toutes les attaches. à la terre? En prenant les aliments corporels, spirituels, intellectuels avons-nous su manger, c'est-à-dire garder cette modération, cette prudence et cette sagesse que le Saint nous enseigne. travers toute sa vie? Enfin ne sommes-nous pas sortis de l'assiette de notre vocation en nous dirigeant selon nos petites vues dans les entreprises du ministère sacré?

                Grand Saint, rappelez-vous notre larcin, au réfectoire, et à votre tour réparez nos défaillances par votre intercession et payez pour nous!

                Le lendemain le service des tables est confié aux Frères Pontistes: société fondée au Séminaire pour remplir les besognes matérielles. Ces bons abbés, assurément, méritent quelques distinctions. Notre condisciple, l'abbé Passion[452], a, comme tel, l'honneur de servir le Saint [659] à table, maià en bon Israélite, in quo dolus non est, il a la simplicité de demander à M. l'Économe de vouloir bien lui vendre lé couvert de Don Bosco. Le bon Chanoine Paillet si pieux cependant leve les bras en l'air et s'écrie: - Non, non, non et non! - « Pas gros voleur, je le fus petit a, m'écrivait-il en 1932 en une réponse à ma lettre où j'essayais de rafraîchir ses souvenir;» je pris son verre, puis je le perdis! Comment? Je n'en sais rien u. Mon Dieu! en 46 ans les détails peuvent s'estomper en notre fragile mémoire.

                Après une journée, certainement accablante, car il reçoit beaucoup de visites au Séminaire, Don Bosco vient présider à la salle des exercices la lecture spirituelle qui est remplacée par une allocution de Don Rua. Le pieux confesseur de Don Bosco prend pour theme l'amour de Dieu pour nous. Ses paroles ardentes annoncent une âme de feu. C'est moins une méditation qu'une contemplation. Chez le Saint elle devient de l'extase. Des grosses larmes coulent sur ses joues et M. Robellaud de sa voix si douce et si prenante dit tout haut: - Don Bosco pleure! - Impossible d'exprimer l'émotion que cette simple parole provoque dans nos âmes. Les larmes du Saint sont plus éloquentes encore que les soupirs enflammés de Don Rua. Nous sommes remués cette fois jusqu'au tréfonds de l'âme. Nous avons reconnu la sainteté au signe d'amour et nous n'avons pas besoin de miracle pour exprimer au Saint notre vénération, en allant de la salle des exercises au réfectoire.

                Le Séminaire compte à ce moment près de 120 élèves. Chacun voudrait baiser la main au Saint. On s'organise en un clin d'oeil. Deux séminaristes lui soutiennent les bras et le long des arcades, des deux, côtés, jusqu'au réfectoire, on se succède pour baiser ces mains qui se sont tendues si souvent en faveur dés orphelins, des ouvriers et des petits.

                Don Bosco se laisse faire gentiment. En Italie cette coutume de baiser la main du prêtre est tout à fait dans les moeurs. Elle tend peutêtre à disparaitre en certaines regions. En France elle revêt un caractère de vénération personnelle. Que n'a-t-on pu croquer cet édifiant tableau! Comme il illustrerait agréablement la présente relation!

                Le lendemain matin je rencontre dans le corridor du bâtiment A notre condisciple Edouard Jourdan, devant la chambre du Père. Il vient de frapper et personne n'a répondu. - Je voudrais bien le voir, me dit-il, où peut-il être? - A ce moment un abbé nous apprend qu'il est au cabinet de lecture. Nous ne faisons ni une ni deux et nous nous dirigeons vers les cabinets. Nous avons à peine fait dix pas que le Pere sort. Nous nous précipitons et tombons à genoux. L'abbé Jourdan lui dit:

- Mon Père, je suis indécis sur ma vocation. Dites-moi ce que je dois faire.

- A vous, mon ami, il faut venir avec moi. Vous serez Salésien. [660] A mon tour je demande le chemin que je dois prendre, et je reçois pour toute réponse un geste négatif qui veux dire: - Non, je ne veux pas de vous. - Sans être bien fier j'étais cependant heureux d'avoir une décision claire et nette, comme seuls les Saints peuvent en donner. Je me permets de faire ici une remarque qui a son poids. Don Bosco a dit oui à l'un et non à l'autre, mais, il a dit oui et non avec la même assurance, avec la même vision claire et précise sur l'avenir de l'un et de l'autre sous l'influence de la même inspiration. Il était aussi grave pour'mon salut de me dire non que de dire oui à Jourdan.

                Le lendemain matin Mr. Rabillond présente notre cours, le cours des Frères-lais, à Don Bosco qui nous reçoit dans sa chambre. Nosu nous rangeons autour de lui pour recueillir ses paroles. Que nous dit-il? D'excellentes choses se rapportant à notre formation lévitique et à notre préparation au ministère des âmes, mais dont nous n'avons gardé, après 48 ans, aucun détail typique. Ici nous avons une petite confession a faire. Il y 'avait chez nous plus de curiosité que d'attention et nous étions fort distraits par ce qui se passait derrière le Saint.

                Plusieurs d'entre nous avaient apporté des ciseaux., L'abbé Passion, déjà nommé, le plus audacieux de tous, me rappelle l'incident en ces termes; «Nous avion la bonne intention de cisailler la soutane du Saint et de lui soustraire quelques mêches de ses cheveux crépus. Passe pou; le cheveux mais pour sa soutane il nous désarma par un regard doux et perçant. On rengaina ». .

                L'abbé Anselme[453] m'écrit: «Plusieurs avaient des ciseaux mais n'osaient s'en servir. L'un d'eux me fit passer l'instrument. Me croyant plus habile que d'autres je fis le geste mais un regard severe m'arrêta net. Oh! ce regard... je le sens encore après 48 ans. Il m'a toujours ennuyé et a gâté la joie de voir et de toucher le Saint: Maintenant je le prie et chaque jour je l'invoque. Je l'invoquais même avant qu'il fût bienheureux ».

                D'après l'abbé Rostaing[454] Don Bosco n'eut pas un regard aussi sévère pour celui qui avait fait le coup que pour celui qui essaya de le faire. L'abbé Anselme nous paraît avoir été un peu trop timoré. « Un de nos condisciples eut même l'audace de couper le bas de la soutane avec des ciseaux pour avoir des reliques. Don Bosco s'en aper­çus et dit en riant: - Monsieur le Recteur, vous avez des voleurs ici! - ».

                Pour ma part je n'ai pas remarqué le regard sévère lancé par le Saint à notre cher Anselme mais j'ai bien entendu les mots: - Vous avez des voleurs ici - et j'ai bien vu le bon sourire du Pere. Tout d'ailleurs peut se concilier: le regard sévère ante factum et le sourir [661] post factum. Ainsi chez les Saints comme en Dieu la justice et la miséricorde se donnent un ineffable baiser.

                Comme nous sortions de l'inoubliable audience D. Bosco dit encore à l'abbé Jourdan: - Vous, mon ami, il faut rester avec moi. - Notre cher condisciple demanda à l'abbé Rostaing comment il devait répondre à l'invitation du Saint. «Je lui conseillai, écrit l'abbé, de se rendre a Turin pendant les vacances selon le désir de Don Bosco. Il devint Salésien et fit honneur a la  Congrégation malgré son peu de moyens intellectuels. Mais il avait en partage le jugement, le bon sens et la piété».

                Nous avons su en effet qu'il rendit de grands services à sa Communauté au moment de la tourmente. Vers 1929 (je n'ai pas la date précise de sa mort) il est venu à Sainte Foy de Lyon où le Cardinal Maurin, notre ancien évêque de Grenoble, l'avait appelé pour étudier, établir les plans d'une maison importante que l'on voulait fonder.

                Au soir du 3.e jour la lecture spirituelle est fournie par une petite vie de Don Bosco qui venait d'être publiée et dans laquelle sont déjà relatées des grâces obtenues par le Saint. J'ignore l'auteur de cet opuscule (en français) mais je me souviens qu'il y était question de la guérison d'une jeune fille, déjà dans le coma, et de son talent de gymnaste, grâce auquel il put éloigner de l'église de son village un saltimbanque qui prenait plaisir à troubler les Offices. Il fit, parait-il, des tours remarquables au trapeze. Ne pourrait-on pas le donner comme patron aux Sociétés de gymnastique,  si en honneur à l'heure actuelle?...

                Ainsi nous lisions, à la salle des exercices une biographie du Saint, encore vivant, et qui plus est, se trouvait dans le bâtiment'en face. Il n'en eut pas la révélation, parce qu'il serait venu nous gronder... Il faut avouer que cet incident de son séjour, au Grand Séminaire de Grenoble n'était pas banal.

                Inutile de rappeler que pendant les recréations nous allions lui présenter à bénir, et soumettre à son contact une foule d'objets... chapelets, couteaux, voire même porte-monnaie!... Le Saint s'y prêtait avec une grâce charmante et un sourire exquis de bonté. Un jour sortant du Grand Séminaire pour aller à la Cathédrale on dut le porter, tellement la foule était compacte dans la rue du Vieux Temple. Chacun voulait voir et entendre Il Santo.

                Don Bosco nous fit ses adieux au réfectoire. Ses dernières paroles furent celles-ci: - Que le bon Dieu vous donne la santé et la sainteté: la santé pour travailler, et la sainteté pour aller au Ciel.

                Que par sa puissante intercession il nous aide à réaliser son bon  souhait à la fois si paternel et si surnaturel!

                Ainsi soi-il.

 

Fr. PIERRE MOUTON

Vicaire de la Chartreuse

de Motta Grossa (Pinerolo). [662]

 

22.

 

Versi piemonfesi di Don  Francesid a Don Bosco.

 

                Finalment! a son doi meiss

                Mal contà, che chiel pian, pian,

                Lassand tuti i chenr sospeiss

                S'na partia lontan, lontan!

                Dop d'avei girà, girà

                Finalment a torna a cà

 

                Se la Spagna, se la Franssa

                L'an mostrà d'voreie bin,

                A l'avran pà la baldanssa

                D'di c'a supero Turin!

                C'anche chiel a l'é tornà

                Dop d'avei girà, girà.

 

                Con el cheur ch'an tremolava

                Aspettavo minca tant

                D'sue notissie, c'an mandava

                L segretari da lontan:

                E i disio: chi sa, chi sa

                Quand ca penssa tornè a cà?

 

                Quand D. Ruva, so brass drit

                Envers chiel a le partì,

                L'oma dit ed arcidit...

                Ma passavo e neuit e di

                Çhiel girava Franssa e Spagna,

                Noi frisio sì n'tla bagna.

 

                Anche l'nii di passarot

                Le pa pì nè car, ne bel

                Quand c'la mama a la pià l'trot,

                L'e volà sot autre ciel: L'oratori? cosa là.

                Quand D. Bosc l'è fora d'cà?

 

                Ma, d'co chiel lontan da noi

                L'a nen tutti i so bonheur!

                Che D. Bosc a le nen d'coi

                C'an desmentia n'tel so cheur!

                E 'l so amour da la distanssa

                A cress sempre n'abondanssa.

 

                I sentio con piasi

                Che Nossgnor lo benedia,

                Che d'pì d'un a le guarì [663]

                Da ben seria maladia:

                Bele cose! l'on a s'sa:

                Ma D. Bosc le fora d'cà.

 

                Com'as'seguita con ï ieui

                Na fusëtta n'ciel ca vola,

                Anche noi so cari fieui

                Che so aspett adess consola,

                I giravo d'sa e d'là

                Aspettand ca vneissa a cà.

 

                E Maria Ausiliatriss

                Quante grassie c'a na fane!

                San e sale per coi paiss

                A Pa ornalo; e peni n'a dane,

                Cost boneur, che chiel a vena

                N't'l prim dì dla sua novena.

 

                O che grassia, o che fortuna!

                Forra d'arco trionfai!

                O Dogliani, canta duna

                E ‘l nostr'inno nassional:

                Su, Busseti, l re m fa

                Che D. Bosc le torna a cà.

 

                Chi peul die l'argioianssa

                E 'l piasi che fati a l'an?

                Ma c'a lassa ste la Franssa,

                Ma c'a vada nen lontan:

                Ma c'a staga si n'sua cà,

                Che l'amour a la fondà.

 

23.

 

Gli operai cattolici di Borgo Dora a Don Bosco.

 

                SEZIONE S. GIOACHINO

                DELL'UNIONE CATTOLICA OPERAIA

                DI TORINO

 

                               Reverendissimo Signore,

 

                Gli Operai Cattolici del Borgo Dora che prendono parte vivissima a tutto ciò che riguarda il loro Presidente Onorario e per Voi nutrono la più grande stima e venerazione, sono ora compresi di indicibile esultanza per tante meraviglie che formarono del Vostro viaggio una corsa di trionfo.

                Lieti del Vostro felice ritorno vorrebbero esporvi un mondo di rallegramenti, ma la discrezione ha i suoi limiti. [664]

                Vorrebbero manifestarvi i loro desideri, le speranze, i progetti, ma a tanto argomento manca oggi la parola.

                Non manca però il cuore e non mancherà mai. Domenica vigilia della festa di Maria SS. Ausiliatrice, noi ai piedi di questa Celeste Madre, raccolti sotto la nostra bandiera, vicino ai piccoli operai cattolici dell'Oratorio, offriremo a Maria il nostro voto. Le diremo grazie d'aver dato agli operai in generale un Don Bosco, ed agli operai americani un Mons. Cagliero, alla Sezione nostra un tanto Presidente Onorario.

                Pregheremo infine Maria acciocchè in un giorno non lontano sia dato all'Unione Cattolica di Torino ciò che fu dato quest'anno all'Associazione di Barcellona: Aver Don Bosco in mezzo a noi per un'ora sola, per baciargli la mano ed avere la sua santa benedizione quale implorano oggi a nome della sezione i sottoscritti con tutta la riverenza.

                Di V. S. Rev.ma

 

                Torino, 16 maggio 1886.

 

Il Segretario                                                       Il Presidente

ALBERTO PIOTON                                          RIVA CARLO

 

 

AUREGLIA CESARE                                       ENRIU' ANTONIO

Vice – segretario                                                               Vice - presidente

 

 

COGGIOLA ANTONIO

     Vice - presidente.

 

24.

 

Lettera del cardinale Laurenzi a Don Bosco.

 

Dev.mo e Car.mo Sig. Don Bosco Superiore generale,

 

                Per quanto grande e sincera sia la stima che io nutro verso la degnissima sua persona e il benemerito Istituto Salesiano, non posso in me disconoscere l'insufficienza a servirli nel modo che Ella propone nella riverita sua del 22, con assumere cioè e sostenere con quella assiduità e maturità che si conviene, le gelose parti di Protettore e dare alla giovane Istituzione quell'appoggio ed incremento di cui abbisogna pel suo pieno sviluppo e consolidamento. È un assunto che ben si conviene ad un Porporato provetto, sperimentato e autorevole, quale era il compianto Cardinal Nina, ma non ad un primaticcio ed inesperto, quale io mi riconosco, nel maneggio di alti negozi di Santa Chiesa. Non le dispiaccia dunque che io la preghi a dispensarmi da questo impegno ed a volgere il suo sguardo sopra altro meritevole soggetto più acconcio ai bisogni e all'aspettazione del venerabile suo istituto. [665]

                Di questa mia risoluzione ho fatto di già consapevole il nostro S. Padre dal quale non mi è venuto alcun comando in contrario; ed ora ne rendo lei consapevole, dichiarandomele sommamente grato per la onorevole preferenza che mi accordava nella sua proposta, ed accertandola che non per questo resta punto scemata l'affettuosa stima e ammirazione, nonchè il volenteroso interessamento che io mi vanto di professare verso la stimabilissima Congregazione Salesiana.

                Augurandomi altri incontri per poterlo anche col fatto addimostrare, mi pregio intanto di dichiararmi con particolare affetto e riverente considerazione di Lei e di tutti i suoi rispettabili confratelli

 

                Roma, 25 ottobre 1885.

 

Aff.mo Servitore Vero

CARLO Card. LAURENZI.

 

25.

 

Sunto della conferenza fatta dal cardinale Parocchi

a Roma.

 

                Ill.mi Signori e Signore,

 

                Mi guardo attorno, e per quanto sia venerabile il vostro consesso, o nobilissime dame, che oggi secondo lo stile della vostra bontà onorate e date importanza all’annuale adunanza delle Opere Salesiane, permettete che dica con tutta franchezza, che alla Vostra seduta manca oggi, la gemma più fulgida che soleva risplendere altre volte in mezzo di noi e dar lustro alla conferenza Salesiana. Io cerco indarno la veneranda persona di quell'Apostolo della carità moderna, voglio dire l'ottimo ed infaticabile Don Giovanni Bosco. Noi abbiamo desiderato che colla sua presenza allietasse e riconfortasse l'opera piantata colle proprie mani, ed alle nostre dimande rispondesse con quell'amabile suo sorriso di fratello ed apostolo, con quell'accento di amico e di padre a tutti sempre propizio. Ma intanto che noi siamo qui nella casa ospitale delle venerande oblate di santa Francesca Romana, qui all'ombra della grande Protettrice del Patriziato di Roma, Egli nella cattolica Spagna, dimentico dei suoi 71 anni, percorre la nuova Castiglia, e in questo momento ha forse dato compimento all'importantissimo affare della fondazione della nuova Casa di Madrid ed ha così compito i desideri di Re Alfonso. Oggi ha forse portato un ultimo refrigerio alle fiamme a cui vanno soggetti anche i Re, adempiendo uno degli ultimi desiderii di quel Re profondamente cattolico, di quel Re veramente religioso. Ma è inutile rimpiangere la presenza di Don Giovanni Bosco in mezzo di noi, poichè egli potrebbe alle nostre domande [666] rispondere col divin Maestro: Quid est quod me querebatis? nesciebatis quia in his quae Patris mei sunt oportet me esse? A che cercarmi? Perchè vi confondete, quasi la mia presenza materiale fosse necessaria? Quid est... Non sapete che devo occuparmi senza posa e senza tregua in ciò che riguarda le opere del Padre mio? Nesciebatis quia in his quae Patris mei sunt oportet me esse?

                E lasciando che l'Apostolo del presente secolo si occupi delle opere di Dio nella Penisola Iberica, mandiamogli gli auguri perchè riesca felicemente nell'opera intrapresa; e a lui benedica S. Ignazio da Loyola e S. Teresa di Gesù; a lui benedica S. Giovanni della Croce e San Francesco Borgia; a lui benedica S. Francesco Saverio e S. Giovanni di Dio; a lui benedica S. Pietro d'Alcantara e S. Ludovico Bertrando, e a lui finalmente benedica l'innumerabile esercito di Santi che la Spagna, la terra di S. Giacomo ha dato alla Chiesa Cattolica, non meno benemerita di questa che della civiltà per aver vinta e domata la potenza Saracena. Occupiamoci anche noi delle cose nostre; in his quae Patris mei sunt oportet me esse, in qualche parola di edificazione sull'opera fondamentale del Salesiano Istituto, tanto più liberi chè non è presente l'artefice, essendochè la dignità cristiana prescrive di rispettare chi parla e chi ascolta, e non mettere alla prova l'umiltà e la modestia di chi è presente; e valga a provarlo le belle parole di San Pier d'Alcantara al laico che lo serviva curandogli certe piaghe: Andate adagio, fratello, poichè sono ancor vivo, e non prendetevi libertà di sorta. Lauda post mortem. Loda dopo la morte, e in generale, fatte pochissime eccezioni è uso di scrivere la vita degli uomini dopo la morte, poichè l'encomio massime alla presenza dei vivi, sebbene siano uomini di tante virtù da tenersi per Santi, può sempre essere pericoloso o per tentazione di adulazione o di vanità. Adunque da questo lato sono più libero nelle parole, senza pericolo di adulazione, e così senza alcuna nota parlare di quell'opera mirabile, anzi portentosa che Don Bosco ha piantato nel secolo nostro in mezzo alla Chiesa, la qual opera è di fede e carità, epperciò o Venerabili Dame, svolgendo l'uno e l'altro punto, dirò le morali conseguenze che ne derivano.

                Finiranno col 8 dicembre 45 anni dacchè Don Bosco mise la prima pietra fondamentale del suo Istituto in Torino nel giorno ben augurato dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria, e compartiva ad un povero giovane trilustre le prime verità della religione, inaugurando col Bartolomeo Garelli quell'opera che con un solo giovane con tanta modestia iniziata in Torino, dopo 45 anni prese così ampio sviluppo. In breve tempo ha dato 62 case, 45 in Italia, 12 in Francia, 3 in Spagna ecc. senza contare le case delle missioni dell'America Meridionale, specialmente nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay, nella Patagonia...

                Non ho la statistica precisa dei Soci Salesiani, delle religiose di Nostra Donna Ausiliatrice che prestano a Don Bosco l'opera di abnegazione [667] e zelo ammirabile. Non ho statistica per contare i giovani allevati nelle case ed Oratori, nè quanti sono i selvaggi dirozzati, quanti i battesimi amministrati, quante consolazioni spirituali dispensate, e crederei non andare lungi dal vero, quando assicurassi... numera stellas si Potes, e conterai allora le opere di questo mansueto ed umile Apostolo. A noi basti accennare a quell'ammirabile Basilica che sotto i vostri occhi viene sorgendo quasi per incanto al Castro Pretorio. - A noi basti ammirare quel Tempio dedicato al Cuor dolcissimo di Gesù con tanta magnificenza, armonia, e vastità fabbricato dalla generosa abnegazione di Don Bosco, dai cattolici di tutto il mondo specialmente italiani. A noi basti dare un'occhiata all'ampio claustro degli ottimi religiosi e all'altro dell'ospizio dei giovanetti che, non ne dubitiamo punto, riceveranno quella medesima educazione che s'impartisce a Torino in Valdocco, a San Pier d'Arena, alla Spezia e in mille e mille altri luoghi, ove la carità di Don Bosco è venuta aleggiando.  Sarebbe veramente assurdo il dire che quest'opera così meravigliosa sia stata sviluppata dal consiglio di un politico senza fede, come Urbano Rattazzi. Associatevi, diceva egli nel 1847, associatevi altre persone per dare stabilità all'opera vostra, e lasciate qualcuno che vi rappresenti quando sarete morto. Del resto chi vi succederà nel vostro spirito e nelle vostre imprese? Quello fu il germe, come suole dirsi, onde l'Istituto prese vita e movimento, fu la scintilla onde il passato di 6 anni, viene cementandosi fino a questi giorni. Io so bene che Dio scherza coi figli degli uomini, e fa profetare a favore degli eletti, anche le giumente. Ma se questa fu l'occasione di formare, organare e sistemare il proprio Istituto, la nascita va attribuita alla fede, la vita alla fede, lo svolgimento alla fede che trasporta i monti, fede che fa germogliare il grano di senapa, e lo fa crescere in albero gigante. Ed è la fede di questo Uomo di Dio che ha dato i frutti preziosi che noi ammiriamo.

                Chi non sa la vita di fede di quest'uomo? Lo stesso principio, la culla dell'Istituto nel dì dell'Immacolata Concezione, non vi ha già indicato che l'opera metteva la sua base fondamentale nella religione che veniva ispirata dalla fede? Chi l'ha portato se non la fede ad occuparsi di questi giovanetti? Non è stata forse l'apprezzazione di quello che è costata un'anima all'Uomo Dio, e dell'altezza dei destini a cui essa è chiamata? Non fu l'intimo convincimento del diritto supremo che ha Dio di essere adorato, amato, servito dalle creature ragionevoli, che lo ha spinto ad occuparsi di questi fanciulli? E tutto questo non è spirito di fede? Si può dubitare che in quest'opera non ci sia entrata la fede? - Io lascio la vita privata di questo Servo di Dio; non solleviamo la cortina che copre le sue virtù e il velo di modestia che lo circonda, che anche volendo non sarebbe nè giusto nè conveniente, ma guardando le opere esteriori, e dal germe giudicando del frutto, non esitiamo a dire che l'opera di Don Giovanni Bosco fu un'opera [668] di viva fede: e i seguaci di lui, i suoi benemeriti alunni hanno continuata colla stessa fede l'opera da lui impiantata. A chi per poco visiti la casa che a fianco del. Santuario di Nostra Donna Ausiliatrice sorge in Torino, e percorra come è avvenuto a me, quella città vivente di giovanetti, quali occupati nelle sonanti officine, quali a tavolino taciti ed immobili allo studio, quali pendenti e taciti dal labbro del Maestro, quali raccolti intorno al Confessionario, quali genuflessi sotto le ali di Maria Ausiliatrice a cantarne le lodi, o tutti insieme raccolti in piedi o seduti intorno al redivivo Filippo poco dopo il tramonto, quando un raggio di luna discende a illuminare la illustre città e indora la veneranda canizie dell'uomo di Dio, pendere quasi estatici dal labbro dell'uomo Venerando a udire poche e semplici parole che come la pioggia fa, cascare a proposito in terreno ben preparato; e questi stempera in lagrime, altri eccita al sorriso, tutti invita a, vita nuova ed a magnanime risoluzioni, quando, ripeto, considero tutto questo, dico: qui il mondo non c'entra niente, qui la carne ed il sangue bussano indarno alla porta: non c'entra che la fede. Quando si considerano gli annali e la storia delle loro Missioni nell'America meridionale, ove oltre le difficoltà generali (e basta avere per poco cognizione degli annali della propagazione della fede per intenderlo) vi se ne aggiungono di quelle del tutto speciali; clima stemperato, popolazioni miste, tradizioni corrotte, selvaggi che non conoscono Dio, popoli inciviliti peggiori dei selvaggi, forestieri che affluiscono per lucro e speculazione, e parlano lingue diverse, portoghese, indo, spagnuolo; superstizioni da una parte, freddezza dall'altra, indolenza in tanti Ministri del Santuario, Governi astiosi contro la Chiesa, Società Massoniche, costumi rotti e perduti ecc. ecc. di tutte queste cose facciamo una miscela, di questi elementi un composto, e senza molta erudizione, basterà di per sè a far conoscere come quella parte d'impresa dei Salesiani in America sia ardua. Quell'impresa che ha stancato tante braccia e esauste le forze di tanti Ordini benemeriti prima di loro è rifiorita nella Chiesa di Dio nell'umile e moderna Congregazione Salesiana, così disponendo Iddio Padrone dei suoi doni. Il vincere tante difficoltà, i sospetti dei Governi, il conciliarsi la stima dei Vescovi e dei Cleri, disarmare le sette nemiche di Dio e della Chiesa, e andare angioli di pace benevisi a quegli uomini che in viso umano portano un cuor di tigre, non è altro che opera di fede. È la fede che ha fatto nascere quell'opera, che l'ha trasfusa nei suoi figli i quali la conserveranno se a Dio piace e se ascolta i nostri voti. Oh se fosse questo solo il benefizio apportato da Don Giovanni Bosco, sarebbe già assai rilevante. Scriveva pochi giorni sono un romanziere della Francia tutt'altro che tenero della Chiesa, il cui nome è intollerabile nella Casa nel Signore, e scrivendo egli come il potrebbe Lucifero quando Iddio gli permettesse di scrivere quel che sente: “Ah pur troppo questo secolo che viene a morire, che cosa ha [669] edificato nell'ordine intellettuale e morale? Nulla. Tutto ha distrutto, tutto ha annientato col suo scetticismo. Coi suoi miraggi ha sollevato i popoli, e non ha potuto mantenere le sue promesse: ha armato gli operai e dato pietre in luogo di pane, ha suscitato malvagie passioni senza contentare alcuno, e sollevato il dubbio in tante intelligenze. Questo secolo tramonta, per la fede non seppe surrogare nessun sistema, nessuna idea, anzi ha distrutta nei popoli la tranquillità e la morale”. Sono queste pressappoco le parole di uno, che è forse il più empio e scettico degli scrittori francesi. E questi ha detto tuttavia, che la distruzione della fede è il più gran male del mondo! Ora io dico, se l'Opera Salesiana non facesse altro bene che rianimare la fede dove è morente, renderla viva dove è morta, scintillante dove è languida ed incerta, questo solo basterebbe a mostrare l'Istituto di Don Bosco come una vera opera di fede.

                Ma l'altra leva, l'altra ala è la carità. La fecondità delle opere di Don Bosco deriva dalla fede e dalla carità; dalla fede, poichè questa è la vittoria che vince il mondo come dice S. Giovanni: Haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra. Dalla fede, perchè Dio vuol sempre dimostrare chè è Egli che regna, che è Egli il solo Padrone del nostro cuore. Dominus regnavit decorem indutus est. Il suo onore non lo cede a nessuno, ed appunto per questo ha donato esempi incomparabili. Se Egli Verbo di Dio si è umiliato fino alla morte per cui il Padre lo ha esaltato dandogli un nome che supera ogni altro nome, si è perchè noi povere creature imparassimo ad annientarci per amor suo, purchè, sia resa a Dio la gloria che gli è dovuta. Non vuole che l'uomo osi con enorme petulanza contendergli il diritto che Egli ha per tutto il creato. Il Signore ha fatto che alle opere architettate dalla sapienza umana, un soffio venga presto sopra, e l'estingua, come fa il vento sopra una fiamma, e doni la fecondità, la dilatazione e la stabilità a quelle opere che furono piantate, fecondate e coltivate mirabilmente dalla fede. Per questo vi ha differenza tra gli eroi del mondo e gli eroi della Chiesa, fra le opere dei Santi, e l'opera degli uomini del mondo anche rispettabili. Onde vediamo uomini idioti che appena sapevano di lettere, fondare Ordini religiosi che si conservano anche oggi. L'ordine di S. Francesco d'Assisi piantato da un uomo quasi idiota, copre da sei secoli colla sua ombra salutifera tutta la terra. Tante altre istituzioni che furono architettate da uomini prudentissimi, che hanno provveduto a tutto, non hanno provveduto che le opere fossero immortali e non dovessero perire. Quando egli concede vita e perpetuità ad un'opera, se non vogliamo negar fede ai nostri occhi, dobbiamo credere sia questo il sigillo, il carattere che da  una fede quest'opera è stata iniziata, e condotta immancabilmente dalla carità. Ed in vero, che cosa è la carità se non la fede in azione? Giacchè secondo la dottrina teologica, la fede del cristianesimo è virtù fondamentale che cresce di un grado nella speranza, e si rende perfetta nella carità. [670]

                Come nell'ordine umano e razionale il convincimento dell'intelletto non basta se non vanno unite le opere, giacchè se uno ha una convinzione ed opera diversamente, mostra di avere una convinzione incerta e dubbia, come adunque nell'intelletto, prova della persuasione è l'operare a seconda di quella, così accade che la riprova di una fede viva siano le opere buone: Dimostrami colle tue opere quella fede che cogli occhi non vedo, dice l'Apostolo S. Giacomo. La carità non è altro che fede attiva, fede formata dal sacrificio, dalla generosità, dall'adesione del nostro cuore a Dio, bene fra tutti, massimo; e al prossimo che rappresenta l'immagine del Dio vivente. Ora non può essere divina quell'opera la quale quantunque iniziata a nome della fede, non ha per compagna la carità di Gesù Cristo, e se colui che vi pone mano guarda piuttosto alla propria borsa, che all'onor di Dio, se cerca piuttosto il proprio bene e tira l'acqua al proprio molino: se non vi cerca che il proprio gusto, se mira alle cariche ecclesiastiche e secolari, se mira agli onori ed ai compensi, ad assodare la famiglia a moltiplicare il patrimonio e i capitali, quest'opera non può essere che umana, e presto o tardi è condannata a perire. Dio è purità per essenza, spirito semplicissimo ed alieno dall'ombra della colpa, ed osservano quel medesimo spirito quelli le cui opere sono fondate sullo spirito della carità. Io inculco questo principio, che le opere buone siano fecondate, siano irrorate dalla fede, ma bisogna che le cresca e le perfezioni la carità; che vi sia la bontà dei principii, quella rettitudine e sicurezza, quell'abbandono, quell'annegazione e quel sacrificio che solo inspira la carità. Major horum Charitas.

                Ora m'appello a Voi, Venerabili Dame, se nelle case di Don Bosco vi sia o no la carità. Se non c'è qui dove sarà? ove avremo da riconoscerla? In questo caso converrebbe dire che la carità se ne fosse andata di mezzo a noi, che avesse esulato o che fosse perita; ma è impossibile fino a che in mezzo a noi v'hanno delle anime giuste che aspirano alla propria santificazione, finchè vi hanno dei poveri da aiutare e Pauperes semper habetis vobiscum, ci dice il Signore. Questa opera di fede fu dalla carità e dallo zelo delle anime continuata per mezzo degli Oratorii. È stata, la carità che associò tanti compagni a Don Bosco, che li animò a sostenere tante pene, tanti dolori, persecuzioni, sacrifici; la carità che li ha sorretti fino a noi. Egli, l'Apostolo dei nostri giorni, ebbe in vista la gloria di Dio, e volle che Iddio fosse conosciuto, adorato ed amato da tutto il mondo. I mezzi di questo Apostolo non furono le vane aderenze, non i favori dei potenti, non il ricco patrimonio, non il grido di filosofo o di letterato. Egli non è ricco, non è diplomatico se non forse negli affari che si commettono ai Santi. Si sa che Don Bosco non è uomo politico, per quanto sia in relazione anche coi grandi; per quanto sia colto e scrittore di varie opere, non mai pretese aver aria di scienziato. Umile e modesto, scrive come pensa e parla, ed i suoi libri passeranno ai posteri come [671] l'espressione, come l'impronta della vera semplicità e dell'umiltà profonda in mezzo a questo secolo petulante. Don Bosco è uomo nel Signore, i suoi mezzi sono la preghiera, il buon esempio, la mortificazione, il sacrificio, la mansuetudine e soprattutto la pazienza inalterabile che si rileva ai movimenti tardi e gravi, alla parola pesata e breve, all'accento dolce e insinuante. Chiama amici e benevoli quelli uomini che gli sono nemici e persecutori. Mansueto e tollerante, s'insinua presso tutti ed ammansa anche le fiere più ispide del deserto. Io non esagero su quanto vi ho detto di questo uomo giusto che voi conoscete di presenza e di cui avrete letto qualche biografia; credo anzi di non avervi detto che una quinta parte di quello che potrebbe dirsi, e ne è splendida prova quello ispirito che noi vediamo trasfuso anche nei suoi figli. Ha preso perciò a patrono un Santo che è sinonimo di dolcezza e carità cattolica, e al suo Istituto diede il titolo di S. Francesco di Sales del quale Egli è l'immagine. Nè solo del nome si contentò, ma volle che la fisonomia di questo Santo, l'amabilità cioè, e la mansuetudine fossero il programma, il mezzo, il fine della sua istituzione. E per quanto siano sapienti le leggi organiche dei Chierici Regolari di S. Gaetano da Thiene, di S. Ignazio di Loyola, e di tutte le altre congregazioni fino ai nostri tempi, tuttavia chi esamina l'Istituto di Don Bosco deve persuadersi che Egli non solo cercò di emulare queste leggi sapientissime, ma volle assolutamente che la caratteristica dominante fosse la carità. Nelle leggi di Ignazio vi domina la saviezza, la previdenza. Egli è un capitano spirituale, ma sempre un capitano, un generale che cambiata la politica di quel secolo colla politica deificata del Vangelo, si strinse ai lombi una fascia, ed invece della spada impugnò il crocifisso, non facendo che cambiar bandiera. La sua caratteristica è la previdenza, l'aggiustatezza, la fermezza, l'ordine e la simmetria; un'architettura ammirabile, un capolavoro. Nel disegno di Don Bosco la cosa è più semplice, più alla buona, ma vi domina la carità;, omnis spiritus laudet Dominum. C'è quel divario che vi ha tra le lettere di S. Paolo e di S. Giovanni. Uno taglia di un colpo di spada gli errori, l'altro predica la carità in tutti i toni: Filioli diligite alterutrum. Il Salesiano Istituto coi suoi Oratorii, colle sue scuole vi predica continuamente la carità. A prima vista voi non distinguete i figli di Don Bosco dai preti secolari, chè non hanno abito particolare; ma al contegno dignitoso e grave, ai modi, alle parole ed allo spirito facilmente li ravviserete per buoni preti tutto zelo per la gloria di Dio ed informati allo spirito di carità.

                Fede viva, carità ardente, eccovi il segreto di quest'opera in sì breve lasso di tempo così ben radicata e già tanto dilatata. Fede e carità, eccovi il segno caratteristico delle Opere di Don Bosco, senza il quale non vi ha opera egregia che nasca, o nata, possa durare e dilatarsi.

                Conchiudeva quindi rivolgendo la sua parola in maniera speciale alle madri di famiglia, dicendo che per loro lavora infaticabilmente [672] questo uomo di Dio e pei loro figli: che non era sufficiente un sentimento di venerazione e di stima per l'opera e pel fondatore, ma che anche Elleno, colla carità dovevano corrispondere e cooperare a tanto bene. La fede sarebbe sterile senza la carità; e conchiuse il suo mirabile discorso accennando ad opere insigni di carità che già esistono in Roma, ma non sono sufficienti alla sempre crescente popolazione; e che è carità fiorita concorrere all'edificazione dell'Ospizio del Sacro Cuore e al mantenimento, di quei giovanetti che crescono su speranze della religione e del Cielo, e Dio ricompenserà largamente un giorno le anime benefiche e caritatevoli, quando dirà: Io aveva fame, e voi mi avete dato da mangiare, aveva sete e mi avete dato da bere ecc.

 

26.

 

Lettere di Prelati

recentemente inscritti fra i Cooperatori Salesiani.

 

a)       Cardinale Melchers.

 

b) Cardinale Lodovico Jacobini.

 

                                Rev.mo Signore,

 

                Ho ricevuto il Diploma di Cooperatore Salesiano offertomi da V. S. Ill.ma, come pure il volume dei Bollettini che si riferiscono alla storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Mi era già ben noto il gran [673] bene che questa opportuna di lei istituzione ha arrecato alla gioventù abbandonata. Non tutto il piacere pertanto accetto di far parte di una società si benemerita e che gode di tanti favori spirituali ad essa accordati dal Capo della Chiesa.

                Nel ringraziarla poi dell'invio dell'indicato volume, mi pregio confermarle i sensi della mia distinta stima.

                Di V. S. Rev.ma

 

                Roma, 25 Maggio 1886.

 

Aff.mo nel Signore

L. Card. JACOBINI.

 

 

C) Cardinale Alfonso Capecelatro.

 

 

                               Veneratissimo Sig. Don Bosco,

 

                La ringrazio vivamente che si sia compiaciuto di annoverarmi tra i Cooperatori Salesiani come ho veduto dalla pagella speditami. Io considero ciò non solo come un onore ma come un vero benefizio spirituale.

                Procurerò di fare ascrivere altri; e intanto mentre che la ringrazio pure del Bollettino mandatomi, mi raccomando quanto so e posso alle orazioni di lei alle quali ho grande fiducia.

                Con sensi di vera stima e affetto sono

 

                Capua, 27 maggio 1886.

 

Dev.mo e aff.mo servo

+Alfonso Cardinale Arcivescovo.

 

 

d) Monsignor Vincenzo Berchialla.

 

                                Rev.mo Padre in Cristo,

 

                Benchè fin dal 1878 aggregato dalla P. V. Rev.ma ai Cooperatori Salesiani, quando ebbi il piacere di passar con Lei poche ore a Lanzo, ho tuttavia accettato con riconoscenza il nuovo titolo che Ella me ne ha spedito testè colla data del I° maggio, arrivatomi a Cagliari il 22 insieme col volume del Periodico il quale contiene la Storia del suo tanto benemerito Istituto.

                Ben pochissimo è certo quello che io posso fare in prò della sua veneranda Congregazione avendo qui un mare magno di Opere da sostenere e indirizzare: piuttosto io spero sempre che un giorno o l'altro si adempiranno i voti del mio carissimo antecessore mons. Balma ed i miei, voti ardenti e continui perchè una schiera di Salesiani temprati vigorosissimo spirito di mortificazione e di zelo vengano a prendere cura nella nostra gioventù abbandonata.

                Oh che rovine! Il Catechismo in città fatto Dio sa come! non un collegio cristiano; non una scuola o un oratorio pei maschi; truppe [674] incondite di giovanetti scioperati, sucidi, ignoranti, ignorati perfino dal loro genitori. Se la S. V. vedesse co' suoi occhi tali cose, non potrebbe non muoversi a pietà di tanto abbandono.

                Il generale degli Scolopii, con tutta la sua autorità non fu potente a riunire insieme una mezza dozzina de' suoi religiosi dispersi, i quali fanno poco o nulla, e godono pensioni, ed hanno croci al petto, e si fecero belli e ricchi patrimoni col voto solenne di povertà.

                Ho i missionari che lavorano assaissimo, ma essi hanno sulle spalle 60 Suore di Carità con oltre una mezza dozzina di stabilimenti; senza contare la scuola di latino e di morale che fanno ai miei chierici adulti, uniti coi chierici di tre altre diocesi.

                Perciò quando verranno i suoi figli troveranno due grandi cose per loro; cioè duemila ragazzi da educare e farne buoni operai cristiani, e duecento giovanetti da istruire nelle scuole ginnasiali ed incamminarli a divenir buoni cittadini.

                E la Provvidenza divina si trova anche in mezzo alle miserie di questa isola affamata.

                Le bacio la mano e raccomandando me e la mia diocesi alle sue orazioni, mi dichiaro

 

                Cagliari, 25 maggio 1886.

 

Aff.mo e dev.mo servitore

Vincenzo Gregorio, Arcivescovo.

 

 

27.

 

Dedica della Vita di Mamma Margherita.

 

UN MAZZO DI FIORI.

 

                In questo dì che il nome tuo si onora

                Darti dell'amor mio pegno bramai

                E tra i boschetti del giardin di Flora

                Di un vago mazzolino in cerca andai.

                Cercava un serto di te degno e allora

                Si udì una voce: Invan cercando vai!

                Non dargli fior che appena nato mora,

                Cercalo in ciel e là lo troverai.

                E fui condotto allor sovra le stelle

                E in giardin di fior divini adorno

                Scelsi le specie più fragranti e belle.

                Ed ecco i fior che avranno eterna vita,

                Il cui profumo ognor ti aleggia intorno!

                Son le virtù di Mamma Margherita!

 

                (Don LEMOYNE). [675]

 

28.

 

Lettera dell'Associazione Cattolica di Barcellona a Don Bosco.

 

                Ill.mo Señor Dom Bosco,

                Las profundas simpatías que vuestra venerable persona supo con­quistarse en la Asociación de Católicos durante la estancia para nosotros breve de V. S. en Barcelona, han recibido nuevo sello de inestinguible afecto en el reciente viaje de nuestro secretario h. de Font á la ciudad de Turin, para representarse en la gran festividad de vuestro Patrono S. Juan Bautista.

                Enterada con intima satisfacción esta junta de las singulares muestras de distincion y aprecio que en la persona del h. de Font hemos recibido todos tanto de parte vuestra como de vuestros nobles Hermanos del Capítulo, y también de todos los señores socios y de vuestros carissimos acogidos, ha acordado que se os den, muy venerable y amado señor nuestro, las más sinceras gracias y que se os reiteren les ofrecimientos de leal fraternidad que hácia la Institución Salesiana os hicimos personalmente.

                Haga el Señor de las misericordias que de día en día prosperen más y más vuestras obras de Cristiana regeneración, y multiplicándose los Talleres Salesianos por los cuatros ángulos del mundo, den mucha gloria á Dios, salvando inumerables desgracias.

                Dios guarde á V. S. muchos años.

                Barcelona, 14 de julio de 1886.

                El secretario

                JOAQUIN DE FONT.

El presidente

BARTOLOMÉ FELIÚ.

 

29.

 

Lettera del Vescovo di Pinerolo a Don Bosco.

 

                                Ven.mo sig. Don Bosco,

 

                Venne da me il sig. Duina Prevosto d'Abbadia annunziandomi per parte della S. V. Ven.ma che Ella sarebbe venuta a Pinerolo nel p. v. sabato 10 corrente mese. Non avendo il predetto sig. Prevosto indicato l'ora dell'arrivo di V. S. Veneratissima, la prego di farmela tosto notificare dal suo sig. Segretario affinchè io possa mandare la vettura alla stazione a tempo debito. [676] Godo che Ella siasi finalmente decisa di recarsi a respirare qui un'aria meno calda ed in attesa di poterla riverire di presenza mi riprofesso

                Di V. S. Ven.ma

                Pinerolo, li 7 luglio 1886.

Oss.mo ed obb.mo servo

† FILIPPO, Vescovo.

 

30.

 

Lettera del Vescovo di Périgueux a Don Bosco.

 

                Mon Révérend Père,

                J'ai l'honneur de vous remercier de l'hommage que vous avez bien voulu me faire de la traduction française de votre ouvrage: Le catholique dans le monde.

                Cet ouvrage est excellent Sous tous les rapports. Vous y donnez une démonstration fort solide de la mission de l'Eglise examinée, d'abord en elle-même, puis comparée aux religions qui la combattent. Tout ce que vous racontez des origines du schisme. grec, des hérésies vaudoise, protestante etc. est puisé aux meilleurs sources et à l'abri de toute critique. Quant à l'exposition, le style en est simple, parfois familier, mais, en cela même, il ne fait qu'ajouter à la force des preuves et à l'exactitude de la doctrine.

                J e fais des voeux bien Sinceres pour que l'ouvrage obtienne le succès qu'il mérite et produise le plus grand bien.

                Agréez, Mon Révérend Père, l'assurance de mes sentiments bien respectueux en N. S.

                Périgueux, 8 Juillet 1886.

N. JOSEPH

Ev. de Périgueux et de Sarlat.

 

31.

 

Lettera del cardinale Place a Don Bosco.

 

                               Mon cher et Vénéré Père,

 

                Je ne peux sans confusion comparer la date que je viens d'écrire en tête de cette feuille à celle de la lettre que vous avez eu la bonté de m'écrire, et à laquelle je n'aurais. point ainsi tardé à répondre si je ne m'étais trouvé dans l'impossibilité de le faire plus tôt, par suite des accablements de toutes' sortes où je ne cesse pas d'être. [677] Vous connaissez assez mes sentiments déjà anciens et toujours les mêmes pour vous, mon vénéré Père et ami, et pour la famille Salé- sienne pour croire que parmi les témoignages de sympathie que j'ai eu la consolation de recevoir, le votre m'a été particulièrement cher. Vous me rappelez dans les termes les plus obligeants pour moi le lien qui m'unit à votre chère Congrégation; je m'en garde de l'oublier moi-même et j.'en suis tres heureux puisqu'il me donne la confiance, ainsi que vous voulez bien d'ailleurs me le dire, de compter sur vos ferventes prières, dont la dignité à laquelle le Saint Père, malgré mon peu de mérite, a daigné m'élever; me rend l'assistence plus nécessaire en rendant mes obligations plus étroites et mes responsabilités plus pesantes.

                Veuillez agréer, mon cher et vénéré Père, la nouvelle assurance de mon très religieux et tres fidèle dévouement en Notre Seigneur.

                Rennes, le 8 juillet 1886.

CH. PH. Card. PLACE

Arch. de Rennes.

 

32.

 

Lettera di Don Bosco all'architetto Levrot.

 

                Bien Cher Mr Levrot,

                J'ai reçu votre bonne lettre 30 Juillet p. p. qui m'annonce que Mme V.e de Montbrun vous a remis mille francs pour mes oeuvres. Deo gratias et Mariae, veuillez à la première occasion présenter à cette bonne dame mes remerciments les plus vifs, avec l'assurance de mes prières et de celles de mes nombreux orphelins pour son bonheur spirituel et temporel, et pour que "le bon Dieu, par l'intercession de N. D. Auxiliatrice la console, et lui aécorde beaucoup de santé et de sainteté, et une longue vive pour le bien de nos pauvres oeuvres, et pour sond gran mérite pour la Patrie Céleste, où l'âme regrettée de son cher mari déjà jouit le grand prix de sa charité.

                Je vous autorise maintenant à remettre les mille francs à Don, Cibrario, parce que sa maison dans son petit a besoins de tout, comme toute autre de nos maisons qui n'abondent que de dettes et de créais-, ciérs. je prie cependant le bon Dieu à dignement récompenser votre généreuse bienfaisance envers la pauvre maison de Vallecrosia.

                Que le Seigneur répande ses meilleures bénédictions sur vous et sur toute votre chère famille, et que N. D. Auxiliatrice vous obtienne à tous, santé, sainteté et tout bonheur qui n'est pas contraire au bonheur éternel.

                Ma Santé, grâce à Dieu, est un peu améliorée, mais accompagnée [678] de mille indispositions. Agréez, Monsieur l'Architecte, mes hommages respectueux et reconnaissarits, et priez aussi pourì moi qui suis à jamais en N. S.

 

                Turin (= Pignerol), ce i août 1886.

 

Votre très obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

33.

 

Lettera di Don Bonetti a Mons. Cagliero.

 

                                Car.mo e Rev.mo Mons. Cagliero,

 

                Ti sarà caro che ti dia qualche notizia colla stessa mia penna sebbene stemprata. Anzitutto avrai veduto dal catalogo che quest'anno avrà luogo la elezione della superiora generale, perchè termina il sessennio cominciato dalla defunta Suor Maria. Non si sa se la elezione si farà a Nizza o a Torino per comodità di Don Bosco, ma probabilmente avrà luogo nella 2ª quindicina di Agosto e in Torino. Verranno anche le direttrici di costà? Andrebbe mica male che l'America fosse rappresentata. Dunque pensaci e manda almeno la Ispettrice colla Direttrice patagonica. Del danaro ne avete, e poi chi sa che qualche anima buona sapendolo vi aiuti in proposito. Venendo bisogna che partano presto, perchè siamo già avanti.

                Lo stato sanitario delle Suore continua de more solito; ma nondimeno quest'anno siamo ancora andati innanzi alla meglio senza disturbo delle case. Vi sono alcune però che fanno le bènne[455] ( ... ); ma Dio ce ne manda, e direi fin troppe, postulanti, motivo per cui Suor Enrichetta è sovente in pena di doverne rimandare indietro, e piange perchè piangono. Ma mettiamo in pratica: omnia probate, quod bonum est tenete.

                Lo stato morale ha molto del buono, e quindi sono sicuro che Dio ne avrà gloria ed onore Maria Ausiliatrice; ma ne abbiamo anche alcune che ci fanno girare il capo ( ... ). Quando saprai che io ne mando a spasso taluna non credere al rigorismo ma all'amore verso l'Istituto. Forse sarai stato tu stesso più volte in procinto di fare lo stesso, ma non l'hai fatto perchè o ne avevi bisogno, o speravi in un miglioramento. Prima però di venire a tali atti si pensa, si consulta Don Bosco, si domanda il parere del capitolo di Nizza, ecc...

                A Nizza si fabbricò, prolungando la manica accanto alla chiesa e facendo posto per le quasi 100 educande. A queste ho dato giorni [679] sono 3 giorni di Esercizi, ed ora innanzi si farà così tutti gli anni ancora con buon risultato. La Madre generale partì ieri per Marsiglia conducendo seco Suor Elena Mainard per darla compagna con Suor Passerini a Suor Sampietro, la quale andrà direttrice ad aprire una casa di suore con laboratorio ed oratorio in una casa lasciata da due sorelle ottuagenarie a noi in Guines presso il passo di Calais non lontano da Lilla. Don Bosco e Don Rua sperano che sarà semenzaio di suore francesi. La casa si aprirà per la festa di M. Aus.

                Sabato aspettiamo Don Bosco di ritorno dalla Spagna per Modane. Delle cose spettacolose, colà avvenute dico nulla, perchè parte le avrai dai giornali e parte dalle lettere circolari. Aggiungo solo che il penultimo giorno che stette colà un comitato di Signori andò a fargli donazione di una montagna altissima sopra cui la tradizione dice avere Satana portato il Salvatore per mostrargli i regni del inondo e che conserva il nome: Tibi dabo. In un sogno precedente Don Bosco lo aveva sognato e quando ricevette in udienza i donatori si lasciò sfuggire di bocca: Dio me lo aveva detto. Spero che Don Lemoyne scriverà tutto a suo tempo. Sempre più ci persuadiamo che Don Bosco è uomo di Dio, e che noi siamo bene avventurati dì essere suoi figli, tu specialmente che ne sei il più illustre. Dio e la Madonna ti benedicano e ti aiutino a procurarti una splendida corona in cielo, dopo che avrai cinta con coraggio la corona di spine in sulla terra. Saluta la nobile tua Curia, o meglio la tua corte, tra cui il tuo segretario, e Don Costamagna, non che le suore, raccomandandomi alle loro preghiere. Sono con tutta stima ed affetto

 

12 maggio 1886.

 

Tuo aff.mo amico e confratello

Sac. Gio. BONETTI.

 

 

34.

 

Membri del quarto Capitolo Generale.

 

                Nelle firme apposte all'atto di chiusura i nomi si succedono nell'ordine seguente:

 

I. Sac. Gio. Bosco.

2. „     Michele Rua (Vicario Generale).

3. „     Celestino Durando (Già Prefetto gen., eletto Consigliere gen.).

 4.  „     Giovanni Bonetti (Dir. spir. gen. eletto).

 5.  „    Antonio Sala (Economo gen.)

6. „    Francesco Cerruti (Cons. Scolastico Gen.).

7.  „    Giuseppe Lazzero (Cons. gen. e Dir. Degli Artigiani nell’Orat.).

8.  „   Domenico Belmonte (Prefetto gen. eletto, già Dir.  A Sampierdarena).

  9.  „   Francesco Dalmazzo (Procuratore e Direttore a Roma). [680]

10. „   Sac. Paolo Albera (Ispettore in Francia e Dir. a Marsiglia).

11. „   G. B. Francesia (Ispet. nel Piemonte e Dir. degli stud. nell'orat.).

12. „   Luigi Lasagna (Ispettore per l'Uruguay e il Brasile).

13. „   Giulio Barberis (S. Benigno Canavese).

14. „   Gius. Daghero (Magliano Sabino).

15. „   Gius. Monateri (Varazze).

16. „   Nicolao Cibrario (Vallecrosia).

17. „   Bussi Luigi (Nizza Monferrato).

18. „   Cesare Cagliero (Valsalice).

19. „   Guidazio Pietro (Lanzo).

20. „   Gioanni Branda (Sarriá).

21. „   Giuseppe Bologna (Lilla).

22. „   Carlo Farina (Penango).

23. „   Giovanni Chiesa (Catania).

24. „   Luigi Rocca (Alassio).

25. „   G. Batt. Rinaldi (Faenza).

26. „   Giovanni Bensi (Lucca).

27. „   Ernesto Oberti (Utrera).

28. „   Angelo Bordone (Randazzo).

29. „   Giovanni Tamietti (Este).

30. „   Carlo Bellamy (Parigi).

31. „   Varaia Antonio (St.Cyr).

32. „    Stefano Febbraro (Firenze).

33. „    Luigi Cartier (S. Margherita presso Marsiglia).

34. „    Bertello Giuseppe (Borgo S. Martino).

35. „    Veronesi Mosè (Mogliano Veneto).

36. „    Lemoyne G. B. (Segret.).

37. „    G. Marenco Seg. (Dir. di S. Giov. Ev. a Torino).

 

                Mancano le firme di Don Ghivarello (Mathi), Don Leveratto (La Spezia), Don Perrot (Navarra), Don Ronchail (Nizza Marittima) e di tutti i Direttori d'America. Don Lazzero, scrivendo a monsignor Cagliero (Valsalice, 3 settembre 1886), diceva: “I Direttori al Capitolo vi furono proprio tutti, neppur uno eccettuato, se togli quei dell'America”.

 

35.

 

Pagine autobiografiche di Don Nespoli[456].

 

                (...) Verso l'agosto del 1871 mia madre mi manifestò il disegno che aveva concepito la Signora Casati intorno a me, di farmi cioè studiare, [681] e così adempiere la promessa fatta a mio padre. Ho ancora vivo in mente l'aspetto tutto allegro, sereno di mia madre quando mi diede tale novella. In quel giorno io l'aveva accompagnata a una corrente d'acqua lontana un miglio dal paese per lavarvi la biancheria; giunti a metà strada, dove essa si tripartisce, e sorge un pilastro a tre facce (così detto Pilastrello) portanti una l'immagine del Signore Crocifisso, l'altra della Madonna, la terza di S. Gaetano, mia madre mi fece fermare davanti alla Madonna e seduta sul muricciolo che fiancheggia la strada, mi fece la proposta, che era di andare a Torino, nell'Oratorio di un prete, di nome Don Bosco, conosciuto dalla Signora, che era andata alla festa di Maria Ausiliatrice, il quale faceva studiare tanti ragazzi, specialmente per avviarli alla carriera ecclesiastica.

                Io di studiare voglia ne aveva: ma a farmi prete non aveva mai pensato; non già che sentissi avversione: ma nella mia mente c'era che non potevano farsi preti se non i ricchi: giacchè più o meno ricchi e di ricche famiglie erano quei preti che io conosceva, e quindi innalzarmi fin là con i miei desiderii non osai mai, e se qualche volta mi spuntavano in cuore, li licenziava mestamente col dir loro: - Questo non l'avrete mai, quindi quetatevi. - E con una scossatina di testa e ridendo di me li mandava a spasso.

                Lascio ora pensare quante e quali idee suscitò in me tale proposta. Fu un mondo nuovo per me e nella meraviglia come sospeso risposi non so che cosa. S'accorse però mia madre come non ero avverso e lo disse alla Signora Casati e la ringraziò per me con quel cuore di madre e di povera donna che non sapeva parlare, ma che anche senza parole manifestava assai bene il suo sentimento.

                A me in quella idea tutto rapito, e che non sapeva che dire, non sorse che dopo il sentimento della gratitudine; e quando mia madre mi presentò alla Signora con le parole: - Ecco lo studente, - pronunziate con tono di compiacenza e di riso, rimasi là confuso e come oppresso. La Signora però capì tutto e fu tutta contenta

                In quei due mesi che restava a casa, mi mandò a scuola da un bravo prete del paese, Don Grasselli, che allora studiava lettere all'Università di Torino. Non dimenticherò mai quella scuola, che pur fu breve. Tanta carità, tanta bontà in quel prete mi fecero meraviglia; giacchè il prete fu quella la prima volta che si accostava a me.

                I preti, bisogna dirlo, erano allora un po' aristocratici, e con la povera gente stavano a debita distanza. Gente buona però, li rispettava, anzi li venerava, e anch'io faceva così, ma non li amava. Li rispettava anch'io, ma il mio cuore era lontano da loro, come essi da me.

                Quindi il vedere un prete e un prete giovane, che senza sussiego, alla buona mi parlava con un uomo a un altro uomo, e quasi come un povero a un povero, mi meravigliò forte, e mi fece capire che i [682] preti non erano, come mi era immaginato, tutti dello stesso stampo, e che bisogna distinguere fra prete e prete purtroppo!

                Il parroco trattava noi ragazzi poveri bruscamente, e più che un padre io vedeva in lui qualche cosa di simile a un aguzzino: mi faceva lo stesso effetto, quando lo vedeva passare, che i carabinieri. E anche in chiesa egual contegno, anche nel confessare. Mi ricordo che nell'occasione della Cresima, io che per confessarmi, era partito dai miei zii[457], per essermi presentato che già gli altri avevano finito, fui accolto con un viso così brusco, che mi sentii gelare davanti a quel cipiglio. - E bisognava aspettare proprio fino a quest'ora a confessarsi? furono  le prime parole che mi rivolse, chiudendo o meglio sbattendo la porta del confessionale. Non le dimentico; non conservo odio, no, ma il brutto effetto che su di me fecero, e la memoria di esse.

                Quel giovane prete fu adunque per me un vero benefizio del Signore, e in lui primieramente vidi uno dei multiformi aspetti della carità sacerdotale, di cui fra poco dovea vedere un'immagine viva e intera in Don Bosco.

                Don Bosco non era a me un nome nuovo: il suo nome l'aveva veduto anni prima sulle Letture Cattoliche, da lui dirette, le quali ci dava a leggere la Signora Casati, sapendo quanto ne fossimo avidi. Quanta festa abbiamo fatto mio fratello Riccardo ed io quando ci si regalò la Storia Ecclesiastica di Don Bosco! Con che contentezza la leggevamo! Quest'uomo io perciò lo amava già prima di conoscerlo. E quando lo vidi e lo conobbi, e mi posò sorridente la mano sul capo, mi parve nostro Signore benedicente in mezzo ai parvoli. Mi rammentò mio padre, e cominciai a nutrir per lui quel medesimo affetto che a padre, congiunto con maggior riverenza e con confidenza ancor più grande. Era la prima volta che vedeva il prete in mezzo ai ragazzi, contento di trovarvisi, affabile con tutti senza distinzione. Allora mi si allargò il cuore, e imparai che cosa è il vero prete.

                Io entrai nell'Oratorio di Don Bosco il 15 ottobre del 1871; mi accompagnò mia madre e la Signora Casati. Mi ricevette Don Albera[458], e mi domandò se sarei stato buono. Come non rispondere di sì?

                I primi giorni mi trascorsero amari, tanto più che parlandosi spessissimo piemontese io, non intendendo, veniva burlato, strapazzato[459]. Mi trovai come abbandonato in mezzo a tanta gente, a cui ero estraneo, e mi vennero in cuore i miei fratelli e mia madre. Però questo tempo non durò molto. Vidi Don Bosco, conobbi gli altri suoi preti, pieni di bontà e di carità. Infine l'Oratorio mi piacque. Però quella rozzezza piemontese di alcuni miei compagni, che tanto mi [683] amareggiò i primi giorni, mi rimase fitta nel cuore e anche ora, volere o non volere, mi si affaccia di tanto in tanto.

                Entrato in prima ginnasiale, fui tra gli ultimi. Non disperai, anzi presi animo. Nei primi mesi intendeva niente era come confuso in quella novità di cose e di vita. Ma appena potei ritrovarmi e come orizzontarmi presi a fare qualche passo avanti, e avanti, avanti, alla fine dell'anno non era dei primi, ma vicino ai primi.

                Il maestro di prima ginnasiale Don Bruna è quello fra quanti ebbi all'Oratorio, che ancora ricordo con più piacere e soddisfazione. Quella sua serietà naturale, quello scrupoloso impiego anche di pochi minuti di tempo mi rimasero sempre impressi: del maestro ricordo poco, molto dell'uomo di carattere costante, serio. In principio mi faceva paura, e quando lo vedeva venire alla mia volta, scappava; una volta però che mi scontrai con lui a faccia a faccia in uno stretto andito: - Questa volta non mi scapperai, disse ridendo, e mi domandò se era ammesso alla comunione. Risposi di no, perchè nel paese il parroco aveva per massima di non ammettere se non chi avesse 12 anni; massima che a noi ragazzi non piaceva e neppure ai genitori. Quindi se la frequenza della comunione che vedeva all'Oratorio mi fece sulle prime meraviglia, insieme mi piacque; anche in questo vidi il cuore largo, generoso di Don Bosco, e mi affezionai sempre di più a  Lui, all'Oratorio.

                La mia vita all'Oratorio fu di nove anni[460], solo interrotti dal mese di vacanza che nei cinque primi anni passai in seno alla famiglia. Feci regolarmente tutte le scuole ginnasiali, per avermi Don Durando[461], impedito sempre di saltare, come si dice; allora era un po' malcontento, non ora.

                In tutti i cinque anni di ginnasio non mi abbandonò, anzi crebbe il desiderio di imparare, di studiare. Divenni anche migliore? Qui ho bisogno di fermarmi e spiegare più a lungo il mio pensiero.

                Entrai nell'Oratorio con buone disposizioni morali, e nel primo, secondo e terzo anno di ginnasio, se non migliorarono, pure nemmeno patirono discapito. Ma nel quarto anno di ginnasio, quindicesimo di mia età (1874 - 75) cominciai a provare in me nuovi sentimenti. Prima ubbidiva quasi spontaneamente, frequentava i sacramenti senza sforzi e anzi con gusto, non trovava impedimento a dire le mie orazioni, viveva tranquillo di me e in pace con tutti. In quell'anno l'ubbidienza cominciò a pesarmi; all'affetto che prima mi traeva ai superiori, ai maestri sottentrò freddezza, anzi diffidenza, se si eccettui Don Bosco e Don Rua, dinanzi ai quali tacque sempre in me qualunque voce, qualunque sentimento non retto. Erano troppo grandi, e la loro santità evidente si faceva naturalmente rispettare anche nel segreto del cuore dei giovani più indisciplinati. [684]

                Dei Sacramenti remisi alquanto la frequenza, benchè non passassi mai i quindici giorni, e trovava più difficoltà a prepararmi a riceverli, trovava difficoltà a pregare, infine non aveva più quella pace profonda di prima nel cuore, un senso indefinito di scontento, di malanimo mi rodeva e mi tormentava.

                In quell'anno aveva cominciato a pensare anche al mio avvenire. Questo in prima ginnasiale mi pareva chiaro: farmi prete mi pareva la cosa più facile e più bella. Non così dopo quattro anni. Quella ingenuità, quella schiettezza del primo ingresso in collegio non l'aveva più.

                L'idea del farmi prete mi divenne sempre più oscura e difficile in mente e poco accetta al cuore. Non era il sacerdozio in sè che mi spaventava, ma gli obblighi, a cui il mio orgoglio, che cominciava a spiegarsi, si sottraeva dispettoso. Don Rua, a cui fino allora fui solito aprire la mia coscienza in confessione, mi diede il consiglio di confidare d'ora in avanti i miei segreti a Don Bosco, e ubbidii; ma ciò non impedì che continuassero sempre più a rendersi folte le nebbie intorno al mio cuore.

                Nuovi e non mai prima provati desideri mi sorgevano, di maggior libertà, sogni di vita più larga, di fama, di onori, di gloria. Di tutto ciò vedeva talora la vanità; ma non cessavano quei fantasmi di accendermi. Mi veniva in mente la madre, le fatiche del mio fratello maggiore, l'infermità del secondo, le due sorelle, che ancor giovinette si guadagnavano da vivere; pensava mio padre. Confesso che davanti a imagini e memorie così sante dava giù il tumore del mio orgoglio e tornava nella verità del mio stato; ma per poco, giacchè i fumi risorgevano, la fantasia si accendeva, le lotte interne ricominciavano più gagliarde.

                Come mai tutto questo? È una domanda che se non esplicitamente da me formulata pure mi balenava fin d'allora alla mente e come un rimprovero, giacchè subito poteva rispondere la mia coscienza che io non era religioso, non era pio, non era cristiano. Ma in che modo scemò in me e fu vicino a spegnersi il sentimento cristiano? È una questione più delicata ed essenziale e io risponderò schiettamente come sento, dopo avervi pensato su non poco tempo.

                La vita di un povero studente si riassume in due parole: studio e pietà; studio, in quanto egli è uomo, obbligato a lavorare nella sua professione: pietà, in quanto è cristiano. Studio e pietà però non sono per sè due rivali che si contendano esclusivamente il dominio nel cuore di uno studente; sono anzi due buoni amici, e amici così necessari, che da uno studente, se si diparte uno, va via anche l'altro, o muore o vi rimane come morto, inutile, anzi dannoso.

                Studio senza pietà è lavoro non diretto al suo fine, lavoro perduto; è, se posso dire, non studio; in quanto l'uomo è inseparabile dal cristiano, e chi dimentica il cristiano, danneggia anche l'uomo e la sua opera, in quanto è opera di uomo. Pietà senza studio è in uno studente [685] fede senza le opere, fede morta, che di vivo non ha che le apparenze, fede ipocrita.

                Un collegio cristiano e diretto da preti è naturalmente presumibile che deve essere il luogo dove pietà e studio possono amichevolmente vivere insieme e Don Bosco, fondando l'Oratorio, certo ebbe questa mira, ed ebbe questa mira, quando più tardi fondò la Congregazione Salesiana, destinata a perpetuare e a dilatare l'Oratorio, a moltiplicarlo nello spazio e nel tempo. Nel concetto perciò di Don Bosco scuola e chiesa erano due idee che si compiono a vicenda; la scuola deve coadiuvare la chiesa, il professore deve aiutare il sacerdote, il confessore; la scuola diventa così Patrio del tempio, come difatti nel medio evo era negli atrii delle chiese che sorsero le prime scuole sotto la direzione dei Vescovi.

                In questo modo sì che si può dire la scuola il luogo più sacro dopo la chiesa, ed è veramente. A me, quando ci rifletto, pare che tra scuola e chiesa corrano quelle relazioni che tra ragione e fede, tra scienza e dogma: che una è fondamento dell'altra, e questa è corona della prima: non sono opposte, ma fatte per compiersi, La scuola è il luogo dove predomina l'opera della ragione, ma illuminata dagli splendori della fede; nella chiesa regna la fede, ma è servita dalla ragione. La scuola deve condurre alla chiesa, la ragione alla fede, il paganesimo al cristianesimo, il classicismo al Vangelo. Se non fa così, tradisce la sua missione; se si separa, o peggio, si pone di rimpetto alla chiesa come rivale e nemica distrugge, non edifica. Allora il giovane si sente scisso in se stesso il pensatore dal credente, la creatura dal Creatore, Adamo da Cristo. Allora nel cuore del giovane lottano, come due forze nemiche, scuola e chiesa, pietà e studio.

                E io questa lotta confesso a mia vergogna che l'ho sentita sempre all'Oratorio, ma negli ultimi anni di ginnasio fu disperata e a me fatale, perchè purtroppo la pietà fu sempre più perdente e andò man mano cedendo il campo, finchè io la sentii in me quasi spenta. Non pregava più in chiesa, le cerimonie e i riti della chiesa non li intendeva, di religione ne sapeva molto poco. Sapeva quel po' di catechismo, che s'insegnava in scuola una volta alla settimana; ma non basta. Non basta quel magro compendio a un giovane che entra nel periodo delle passioni, che vive in un secolo scettico e incredulo, che si sente nascere dubbi e non sa donde vengano: li respira quasi nell'aria ambiente.

                E poi nel modo che si insegnava quel catechismo, la divina armonia della nostra religione era spezzata: il dogma, la morale, il culto erano sequestrati l'uno dall'altro. Quindi lo studio diveniva astratto, diviso, monco, privo di utilità, di bellezza, e il catechismo era il libro più trascurato, e la scuola di catechismo la più malveduta e fredda anche per i giovani buoni.

                Qui adesso posso anche dire che a insegnare il catechismo era delegato uno qualunque, ό τυχώυ, come avrebbe detto un greco. [686]

                Come si vede, anche questo fatto indicava una specie di separazione tra scienza e fede: chi insegnava la prima, non avea a che fare col maestro della seconda.

                È vero che si predicava che il catechismo è la cosa più importante: ma eran parole. Poi si diceva, mi ricordo, una o due volte all'anno, quando si annunziava l'esame di catechismo, che suole precedere gli altri esami nei collegi di Don Bosco.

                Dunque io, quando più stringeva il bisogno, non ebbi una solida dottrina, una solida scienza della religione. Non la conobbi, e la disprezzai e la credetti cosa di poco conto. Teologia, libri di pietà, vite di santi erano roba che mi faceva fare un certo atto tra dispettoso e di noncuranza. Chi erano per lite i santi? Uomini di poca importanza, Erano Cicerone, l'Africano, Annibale i miei ideali, i grandi uomini, gli eroi. A loro correva il mio pensiero e la mia fantasia e anche il mio cuore persino in chiesa, in tempo di messa, durante la benedizione, quando là sull'altare in mezzo alla luce era esposto Nostro Signore: ma nel mio cuore era tenebra e ghiaccio.

                Verso la fine della quinta ginnasiale aveva dimenticato parte dell'orazione domenicale, e il resto lo pronunziava male; così dell'avemaria. Mi ricordo che anche allora attribuii a questa dimenticanza delle cose sacre il poco felice esito negli esami; mi ricordo che mentre subiva l'esame di lingua italiana e non rispondeva bene, sì che l'esaminatore andò su tutte le furie, una voce interna mi diceva: - Ecco il Paternoster dimenticato!

                E come non dimenticarlo? Per me erano quelle sette sante domande un suono, di cui non intendeva il significato. Lo stesso i salmi e gli inni della Chiesa: non li intendeva, non mi curava di intenderli, non li amava. Solo quando fui chierico, mi presi la grave fatica di cercare nel vocabolario il significato di quel cernui, che tutti i giorni sentiva a cantare in chiesa e che mai mi era curato durante i cinque anni di ginnasio di sapere che volesse dire.

                Ma vi è di più: certe parole latine, solo perchè le trovavo nei salmi, negli inni del Giovane Provveduto, mi dispiacevano e mi veniva l'idea che non fossero classiche. Sentiva qualche volta a parlare degli scritti dei santi, dei dottori, dei Padri, specialmente di S. Agostino e di S. Gerolamo. Io che non li aveva neppure veduti, e in scuola non mi erano stati nominati, tra me diceva: - Uh! Che essi abbiano scritto meglio di Cicerone e di Sallustio?

                Questo mi dice che poi anche lo studio non era quella gran cosa; era degno della pietà che avea allora; misera questa, misero quello. Si possono immaginare studi più gretti, più sterili di questo, di far consistere la letteratura nelle parole, nelle frasi, nella sola forma? Eppure in cinque anni non ho atteso ad altro che a pescare parole e frasi. In prima ginnasiale ho spogliato da un vocabolario italiano tutti i modi eleganti di dire: lavoro in cui misi tanto impegno, che al giovedì [687] lasciava di andare a passeggio per attendere, tre, quattro ore continue in una scuola, a fare lo spoglio. Per buona fortuna, andato a casa in vacanza, quei miei scartafacci di frasi andarono in fumo e fiamme, avendoli una mia sorella presi per carta sporca: erano difatti.

                In seconda ginnasiale ho letto tutte le opere del P. Bresciani, a cui il Signore perdoni d'aver fatto perdere il tempo più prezioso a tanti poveri giovani. Di essere stato tradito da quella lettura mi accorsi in fine dell'anno. Era forse un po' troppo tardi; ma se non altro feci il proposito di dichiarar guerra a quei libri, se mai li avessi visti in mano a miei compagni, e l'ho fatto, e applaudiva a Don Bosco che in quel tempo aveva vietato che nella sua libreria si tenessero o vendessero quei libri.

                Privo però di guida, com'ero, sono cascato sempre anche in seguito in libri consimili. L'uggia, la noia che mi cagionò la lettura del Guidi, del Chiabrera, del Filicaia, del Menzini, me la sento ancora adesso; pure li leggeva, perchè sono classici, mi si diceva, ed io trangugiava quella medicina amara, chinava la testa, mi rassegnava e diceva: - Sono noiosi, ma sono classici, sono stampati nella Biblioteca dei classici. - E poi mi dicevano che    era baldanza in quinta ginnasiale, e che voleva pensare colla mia testa, e che non riceveva con il dovuto rispetto le parole dei professori! Io che, facendo uno sforzo e rinnegando il mio sentimento, passai il tempo più bello de' miei giovani anni a far quello che lui dicevano! Io che in quinta ginnasiale stava su di notte a copiare nei miei quaderni le particelle eleganti del Corticelli e del Cinonio! Era di estate, nel mese di giugno e luglio; nella camera vi era un'aria pesante, mefitica, che impediva il respiro quasi; i miei compagni, più saggi di ne, russavano allegramente, ed io in un cantuccio, dove colla coperta da letto aveva alzato una specie di tenda, scriveva frasi, molestato (lo dirò) continuamente da pulci che attraversavano saltellando i miei quaderni, e tormentato dal sonno. Mi coricava a un'ora dopo mezzanotte e alle quattro e mezzo era già levato per continuare l'improba fatica.

                Ecco come si fa perdere ai poveri giovani il tempo e la salute e, peggio, si avvezzano a credere di essere qualche cosa per siffatti esercizi facchineschi! E poi si grida all'indocilità, se uno un po' sveglio si ribella a queste sciocchezze! Io mi ribellava nel mio cuore a questo metodo meccanico, e spesso non sapeva nascondere la mia disapprovazione, che trapelava dal contegno freddo e spesso sdegnoso che teneva, mentre il professore faceva la sua rassegna di frasi e sinonimi, spiegando qualche autore, o meglio facendo servire l'autore di pretesto per sciorinare le sue bellezze linguistiche. Mi ribellava e ne parlava qualche volta anche coi compagni, quando lo sdegno non poteva più contenerlo; eppure faceva come mi dicevano, perchè io non aveva altra via, perchè mi si gridava che, piacere o non piacere, quello era il modo per riuscire negli esami, per essere qualcosa. [688]

                Così ai dubbi che già mi agitavano, allo scontento e irrequietezza tra per la mancata pietà, tra per i pensieri della vocazione, veniva ad aggiungersi questo sacrifizio di lavorare di controgenio, di fare quel che io sentiva esser fatica inutile, e d'avere, dopo ciò, la taccia di insolente: per cui io provai tanto dolore e anche dispetto in quegli ultimi mesi di quinta ginnasiale, che l'Oratorio mi era venuto in amarezza e mi consolava che tra poco ne sarei uscito.

                Due sole persone mi rincresceva però abbandonare, Don Bosco e Don Rua, e quella benedetta chiesa di Maria Ausiliatrice, dove io aveva fatto tante volte la comunione e dove quei due santi sacerdoti tante volte avevano consolato il mio cuore esulcerato ed afflitto. Don Bosco e Don Rua furono per me in quinta ginnasiale due angeli salvatori, che di tanto in tanto risvegliavano nella mia coscienza i sentimenti dei primi anni dell'Oratorio e combattevano l'influenza trista della scuola.

                Don Bosco e la scuola, ecco le due potenze che lottarono in me con varia vicenda, rimanendo quasi sempre superiore la seconda, senza potere però mai scacciare interamente la avversa forza.

                Durante le vacanze i miei di casa desideravano che andassi in Seminario e si meravigliavano di trovarmi restio; perchè io il Seminario non l'aveva mai veduto di buon occhio, non mi piaceva in nessun modo, non perchè non volessi avviarmi al sacerdozio, ma perchè non voleva esser prete come erano quelli che io aveva conosciuto da ragazzo, ma bensì come quelli di Don Bosco. O prete di Don Bosco, diceva tra me, o secolare; giacchè non era ancora ben deciso, con tutto che Don Bosco mi avesse detto che conveniva provare.

                Ed ho provato. Rividi l'Oratorio con animo indifferente, a Lanzo feci due giorni di esercizi, ma di mala voglia, anzi pessimamente. Interrogato se voleva essere ascritto novizio nella Congregazione, non dissi nè sì nè no; ma fui ascritto, e tutti si pensavano che io lubenti animo avrei quando che sia preso gli abiti chiericali. Ma io aveva tutt'altro in testa. Comperai in quei giorni le Vite di Plutarco, le quali tanto mi piacevano che persino durante la meditazione io le leggeva. Con la lettura di queste Vite io toccai l'apice della mia indifferenza religiosa, sì che disprezzava, tutto pieno delle imprese di quei pagani, le pratiche di pietà e letture spirituali e meditazioni e preghiere: mi erano cose insipide, anzi sciocche.

                Eppure questo fu il tempo che io presi l'abito di chierico. Quell'abito a me era un rimprovero, e confuso e umiliato, benchè fiaccamente, feci però il proposito di rispettarlo, in modo che se doveva un giorno deporlo, perchè incapace a continuare nella via del santuario, almeno lo deponessi con onore. Con queste disposizioni cominciai davvero anch'io il noviziato.

                Per me però il noviziato non fu una preparazione alla vita e alle virtù del religioso. E come poteva essere, quando io non era cristiano [689] allora che di battesimo? Per me fu un catecumenato, un ritorno al cristianesimo, ai primi principii, alle prime virtù cristiane. Avvertii in quel tempo per la prima volta lo spirito del cristianesimo, spirito di abnegazione, di mortificazione, di sacrifizio, di guerra all'uomo vecchio. Queste parole, che frequentemente mi risuonavano all'orecchio nelle conferenze, nelle letture, nelle meditazioni, mi urtavano, specialmente in sulle prime, e non mi piegava che a stento e forzatamente, e facendo nel mio cuore mille eccezioni e clausole a quei comandi così severi, precisi del Vangelo.

                Il Vangelo lo cominciai allora a leggere, e lessi anche il Calmet[462]; ma la predilezione per quest'anno fu ancora per i libri profani. Su questo punto non ammetteva nessuna rinunzia; voleva leggere e leggeva Omero, Orazio e Virgilio. Don Barberis pro bono Pacis nella sua immensa pazienza tollerava, tollerava, e quel suo silenzio rassegnato mi sgomentava però. Vedeva quanto era cosa villana il far dispiacere a una persona tanto paziente; mi sorgevano dubbi se poi non sarebbe stato meglio impiegare il tempo in altre letture. Insomma poco per volta e senza accorgermene rimisi di quell'ardore  febbrile per tutto ciò che era letteratura pagana, e perchè era desideroso di sciogliere quegli infiniti dubbi intorno alla fede, alla religione, alla morale, che fin dall'anno prima mi tormentavano, cominciai a leggere libri di controversie intorno ai dogmi, alla religione, all'origine dell'uomo, al potere temporale del Papa e a mille altre simili questioni, che mi pullulavano nella mente.

                In queste letture giudizi preconcetti non aveva; voleva solo uscire da quella fitta cerchia di dubbi che non mi davano pace: quindi animo sincero e desideroso di conoscere la verità era la mia disposizione. Giacchè il gran bisogno che io sentiva allora, e l'aveva sentito anche nei due anni precedenti, era quello di una dottrina soda, profonda intorno alla religione. Non la acquistai quell'anno nè dopo, ma cominciai a dirizzare lì le mie aspirazioni.

                Le pratiche di pietà, che man mano ripresi e ricominciai ad amare, non mi bastavano però per sè: voleva che avessero un fondamento dottrinale, una base inconcussa, non quella mobile e momentanea di un primo fervore, impeto di animo giovanile e incostante. Perchè io vedeva molti miei compagni, che parevano ed erano tanti san Luigi, fervorosi sì, ma privi di una cognizione profonda dei dogmi e della storia cristiana, ai primi assalti, alle prime tentazioni, alle prime prove cader vinti: erano belli edifizi, ma fabbricati sull'arena.

                A me non bastava ascoltar messa, far la comunione, ma voleva conoscere che cosa era la messa, quale la sua essenza, il significato di quelle cerimonie, di quei riti. Intorno alla presenza reale di Nostro Signore nella Eucaristia voleva conoscere tutte le questioni, e della [690] confessione vedere l'istituzione divina e i caratteri costitutivi. Voleva sapere tutti i perchè e i percome, e finchè non trovava risposta, non mi adagiava.

                Tra questi studi, questi desideri, queste aspirazioni passò l'anno di noviziato, alla fine del quale, se non mi trovai novizio, almeno era un po' cristiano. Quello era il tempo di fare il novizio; ma agli esercizi di Lanzo del 1877 Don Barberis mi domandò se voleva fare i voti, e risposi per i triennali, come quelli che non mi legavano se non a tempo e mi lasciavano la libertà di tornare indietro. Perchè a fermarmi per sempre con Don Bosco non mi sentiva ancora coraggio e forza bastante, e parimenti non era ancor risoluto e certo della vocazione sacerdotale. Tra me diceva: - Studierò intanto e poi vedrò come mi trovo.

                Nel triennio dal 1877 al 1880 il mio progresso, felicemente incominciato nel noviziato, prima si arrestò e verso la fine retrocesse e di non poco. La causa io credo trovarla nel poco studio che faceva della religione e dell'ascetica. Nessuna o poca lettura e leggera e superficiale di libri devoti; nessuna conoscenza della Bibbia o delle vite dei Santi o di Storia ecclesiastica; nessun principio cristiano che dirigesse almeno quegli studi profani che facevo di filosofia (se pure era filosofia), di matematica, di letteratura. Almeno questi studi profani fossero stati essi alquanto profondi; ma neppur questo: tutto superficiale, tutto toccato di volo, niente approfondito. Con questo tenor di vita e di studi qual meraviglia se uno resta stazionario o torna indietro?

                Nel 1878 in agosto presi gli esami di maestro normale superiore a Mondovì e fui promosso; nel seguente anno 1879 a Genova presi gli esami di licenza liceale. Mi era preparato insieme con Don Gresino e Galavotti, con nessun incoraggiamento dei superiori, con nessun aiuto, eccetto che di Don Gallo Besso, che con molto amore ci insegnava matematica. Nel resto fummo abbandonati a noi, che inoltre avevano da fare scuola e l'assistenza di refettorio e della camera. Però non ci siamo scoraggiati di questa apatia e ci incitavamo a vicenda a studiare, finchè il Signore ci fece conoscere Don Cerruti di Alassio.

                Questo santo prete, che tanto ritrae dell'operosità energica, costante, instancabile di Don Bosco, nel mese di maggio di quell'anno 1879 venne all'Oratorio; e noi ci siamo presentati a lui, gli abbiamo esposto la nostra intenzione di prendere gli esami di licenza licenza liceale e insieme la dificoltà che trovavamo da parte di certi superiori dellìOratorio. Ci confortò a essere di buon animo, a studiare: che avrebbe parlato lui a Don Bosco, a tempo debito ci avrebbe chiamati ad Alassio, donde saremmo stati presentati a Genova come alluni di quel liceo.

                Così fu: dopo molto lottare, finalmente ebbimo il permesso da Don Bosco e dal solo Don Bosco, contrarii tutti gli altri superiori, se [691] si eccettui forse Don Rua, il permesso di andare ad Alassio, al principio del mese di giugno. Ad Alassio per la prima volta sentimmo parlare della divozione al Sacro Cuore e ne abbiamo veduto la festa solenne che si fece in quell'anno[463].

 

36.

 

Modo di provvedere

alla esenzione dalla leva militare.

 

                I. Un membro del capitolo - Superiore è incaricato di quanto riguarda la leva militare dei nostri socii sì ecclesiastici come laici: ad esso si ricorrerà in simili occorrenze.

                2. Entro il mese di Novembre i Direttori secondo un modulo apposito manderanno al medesimo la nota esatta dei socii, che nell'anno seguente sono sottoposti alla leva, come pure di quelli, che nello stesso anno debbono ripresentarsi come rivedibili.

                3. Il Superiore incaricato procuri d'avere piena conoscenza delle leggi e dei regolamenti sul reclutamento dell'esercito tanto d'Italia quanto straniero, a fine di far valere a favore dei socii che n'abbisognano tutti i diritti, che le leggi medesime loro accordano.

                4. A questo riguardo si propone:

                a) Di informarsi bene delle condizioni fisiche - personali del socio.

                 b) Informarsi delle condizioni di famiglia del medesimo, per riconoscere se qualcuna, si possa fare valere legalmente, essendovi spesso nelle leggi articoli poco noti e che possono essere di grande vantaggio.

                5. Riguardo poi a quelli riconosciuti non aventi assolutamente diritto ad esenzione di sorta, si tenti ogni mezzo possibile per farli passare da una categoria all'altra, oppure ritardare il servizio al 26° anno.

A questo effetto è conveniente:

                a) Far preparare quanti si può alla licenza liceale per farli poscia iscrivere come studenti di qualche Università.

                b) Altri si possono fare inscrivere come volontarii per un anno; il che tuttavia deve esser eseguito dopo ponderate osservazioni.

                6. Quando fosse possibile si procuri l'esenzione dalla leva per mezzo della legale naturalizzazione presso alcuni degli Stati, nei quali esistono delle nostre case.

                7. Generalmente nelle chiamate della 3ª Categoria si fanno sempre delle facilitazioni nell'interesse degli inscritti; ad es. i ministri del culto aventi cura d'anime sono dispensati dal servizio sotto le armi, mediante la presentazione del relativo certificato rilasciato dal Sindaco del luogo [692] d'origine o di domicilio. Sono pure esentati quelli che risultano fuori di Stato dall'attestato del R. Console. È quindi conveniente che il Superiore incaricato abbia conoscenza degli appelli o dei bandi di chiamata sotto le armi.

                8. Quando poi esauriti tutti i mezzi legali il socio debba partire, si veda o di farlo assegnare ad una città in cui vi siano Case Salesiane, o gli si procuri qualche buona raccomandazione e conoscenza.

                9. Si prenda poi sollecita cura che il socio mantenga corrispondenza con i Superiori maggiori e col Direttore della casa da cui è partito, aiutandolo anche materialmente ove occorra e con tutta la possibile delicatezza.

 

37.

 

Delle sacre ordinazioni.

 

Norme pel Direttore spirituale della Congregazione.

 

                Tra gli atti più importanti d'una Congregazione Religiosa è il provvedere degnamente alle sacre ordinazioni dei suoi Chierici. Nessuna cosa è soverchia per ben riuscire in questo affare; e perciò si stabiliscono le seguenti norme:

                I. Il Catechista della Congregazione è incaricato di provvedere alle sacre ordinazioni de' Chierici, dopo che avrà ricevuto dagli Ispettori le necessarie relazioni

                2. L'ammissione al Suddiaconato è soggetta al Capitolo Superiore. Per le missioni, o dove le circostanze lo richiedessero, si daranno facoltà speciali agli Ispettori.

                3. Il Catechista abbia un registro di tutti i Chierici della Congregazione classificati secondo la età e il Corso Teologico che percorrono. Abbia anche il registro di tutti gli esami di teologia, e non proponga alle ordinazioni chi dimostrò notevole negligenza negli studii, o non abbia ottenuto nei medesimi la sufficienza almeno per sei decimi sopra ogni trattato.

                4. Il Catechista provvederà per ottenere le dispense di età e far togliere altri impedimenti che potessero occorrere.

                5. Sul finire d'ogni trimestre, il Direttore spirituale nello spedire agli Ispettori la prescritta circolare domandi la nota degli ordinandi per le prossime ordinazioni. L'Ispettore a sua volta indirizzi la stessa domanda ai Direttori nella circolare del mese più prossimo. I Direttori poi nei rendiconti mensili, almeno tre mesi prima delle sacre ordinazioni, interroghino i candidati, per sapere se si trovino preparati a ricevere gli Ordini, e li aiutino all'uopo.

                6. Quando il candidato sia trovato disposto, il Direttore ne proponga l'ammissione al capitolo della sua casa e ne mandi il voto all'Ispettore. Questi poi secondo gli appositi moduli dei rendiconti [693] trimestrali invierà la lista dei proposti al Catechista per averne a suo tempo le necessarie lettere dimissionali.

                7. Quando un Chierico è approvato, il Direttore Spirituale farà firmare le dimissorie dal Rettor Maggiore, e le spedirà agli Ispettori, almeno un mese prima delle ordinazioni, perchè si possa provvedere alle dovute pratiche presso le Curie Vescovili, e disporre per gli esercizi spirituali dei candidati.

                8. Il Direttore locale si darà premura d'inviare all'Ispettore e questi al Catechista il modulo apposito, ove è indicato il giorno e l'ordinazione ricevuta, ed eziandio il nome del Vescovo ordinante.

                9. Similmente si darà premura di ritirare gli attestati curiali delle ricevute ordinazioni. In Italia questi attestati si spediscono direttamente al Catechista della Società, e fuori d'Italia a' proprii Ispettori, che li riporranno negli archivi.

                10. Prima di proporre e ammettere qualcuno al Suddiaconato, il Catechista osservi il registro dei rendiconti avuti dagli Ispettori trimestralmente, e occorrendo si procuri accurata relazione dai Direttori delle case, dove il candidato dimorò nel tempo del suo chiericato, e non si promuovano alle sacre ordinazioni se non coloro dei quali secondo i sacri canoni Vitae sanctitas longo tempore probata sit, e che abbiano il parere favorevole del proprio Direttore di coscienza.

                11. Dopo il secondo anno di teologia si può promuovere alla tonsura ed agli ordini minori, dopo il terzo al suddiaconato ed al diaconato; ma solo al fine del quarto al presbiterato. Occorrendo eccezioni queste si faranno dal Rettor Maggiore o da quegli Ispettori, cui fosse stata comunicata tale facoltà.

Per regola ordinaria non si ammettono al Presbiterato quelli, che hanno ancora da sostenere esami sopra un numero di trattati, che sia superiore a quello stabilito pel corso dell'anno, e sopra cui non possano dare l'esame nell'anno medesimo.

                12. Prima che incomincino gli esercizi per le sacre Ordinazioni siano sottomessi ad un esame e sugli Ordini che hanno da ricevere, e sulle cerimonie che devono osservare.

                13. Per l'ammissione al Suddiaconato si preferisca il tempo delle vacanze autunnali, affinchè siavi maggior tempo e comodità a prepararsi alla recita del breviario, a far regolarmente i santi esercizi, a consultare, occorrendo, i Superiori maggiori della Società, ed anche perchè questi possano tener i dovuti capitoli, ed esaminar e determinare l'ammissione del Chierico al primo degli Ordini maggiori, con ogni maturità di consiglio.

                14. Si facciano interi gli esercizi spirituali secondo i sacri canoni; perciò si raccomanda caldamente ai Direttori di lasciare agli ordinandi il tempo richiesto all'uopo. Possibilmente questi esercizi si facciano nella casa ispettoriale o di noviziato.

                15. Per conservare più facilmente il frutto della Sacra Ordinazione [694] non si permette nella prima settimana del sacerdozio di andare a celebrare la Messa lontano dalle nostre case. Il solo Rettor Maggiore e, fuori dell'Italia, gli Ispettori potranno per gravi motivi fare qualche eccezione.

 

38.

 

Regolamento per le Parrocchie.

 

                I. Esaminato lo scopo cui tende  la Congregazione Salesiana nelle opere sue secondo le nostre Costituzioni al Capo I°, pare, debbasi nè con facilità nè in via ordinaria assumere la direzione di parrocchie, che venissero dai Vescovi offerte.

                2. Quando però tale offerta venisse fatta direttamente dal Papa, oppure la maggior gloria di Dio ed il bene dell'anime, oppure ragioni di convenienza consigliassero il Capitolo Superiore ad accettare la fondazione od amministrazione di qualche parrocchia, specialmente nelle Missioni estere, dessa verrà affidata ad uno dei Soci che abbia, vuoi per la scienza e pietà, vuoi per l'età e prudenza, i requisiti necessarii a sì difficile Ministero.

                3. Si provvederà eziandio che in quella casa parrocchiale si stabilisca quanto prima una Comunità religiosa non minore di sei socii, di cui il Parroco potrà essere il Superiore.

                  4. Nel caso in cui la Parrocchia abbia Collegio od Ospizio annesso, la Parrocchia ed il Collegio dovranno avere amministrazione separata, con locale e personale distinto.

                5. In questo caso si possono presentare due ipotesi: l'una in cui il Parroco sia superiore della famiglia salesiana, l'altra in cui lo sia il Direttore della casa.

                6. Nella prima ipotesi il Parroco avrà un Direttore dell'Istituto annesso alla parrocchia, al quale lascierà tutta la libertà d'azione per il disimpegno del suo uffizio.

                7. Nella seconda ipotesi il Direttore condividerà col Parroco la responsabilità della Parrocchia, e l'aiuterà compatibilmente alle esigenze della casa annessa.

                8. In entrambi i casi si raccomanda al Parroco ed al Direttore di trovarsi sempre in buono accordo nello sciogliere le difficoltà, senza che ne sia offesa la carità fraterna ed il buon esempio, che devono a' confratelli ed a' fedeli.

                9. Inoltre l'Ospizio o Collegio annesso alla Parrocchia dovrà aver una cappella interamente riservata per le pratiche di pietà dei giovanetti ivi educati.

                10. Non si accettino a convivere in Comunità nè Sacerdoti secolari, nè laici estranei alla Congregazione, perchè l'osservanza delle regole ne avrebbe a soffrire detrimento. [695]

                11. Il Parroco a nominarsi sia ad nutum Superioris, secondo la Costituzione Firmandis di Benedetto XIV, 5 Novembre 1744, e la sua nomina sia fatta secondo la prassi che si tiene in Roma pei regolari, ad annum, con facoltà di riconferma d'accordo coll'Ordinario del luogo. In quei paesi però, come in America, ove il titolo di Parroco si assume dal Superiore della Congregazione anche per varie parrocchie accumulativamente, con facoltà di mandare socii idonei a rappresentarlo. non sarà necessario apporre quest'ultima condizione, poichè l'Ispettore locale potrà cambiare il suo rappresentante, quando lo creda della maggior gloria di Dio e di maggior vantaggio della Congregazione. Notisi però che sarà conveniente in tal caso partecipare all'Ordinario questo mutamento e per quanto è possibile mettersi con lui d'accordo.

                12. Queste brevi norme si sono date, astrazion fatta dalla questione difficilmente solubile del Placet o approvazione del Governo, che ratificando le nomine non si accomoderebbe così facilmente a' frequenti mutamenti di un Parroco.

                13. Non si accettino parrocchie, ove si deva dipendere da una fabbriceria.

                14. In quanto poi alla vita comune, alle relazioni cogli esterni, ed alle autorità civili ed ecclesiastiche, si osserveranno quelle norme, che la prudenza e le circostanze richiedono. Qui si notano le norme principali, che si hanno a seguire, suggerite dallo spirito delle nostre regole.

 

§ I. VITA COMUNE.

 

                I. In una casa parrocchiale è certo più difficile la esatta osservanza delle nostre regole. Però il Parroco ed i suoi Coadiutori debbono attenersi per regola generale alla vita comune sia per le pratiche di pietà, sia per quanto riguarda il vitto, il vestito ed il riposo. Sia premura del Parroco di fissare il tempo più opportuno per la meditazione giornaliera e la lettura spirituale, procurando d'intervenirvi regolarmente co' suoi Coadiutori. Se è possibile, la facciano in Chiesa, perchè i parrocchiani ne possano avere edificazione.

                2. Vi sia un'ora stabilita per il pranzo e per la cena, e per quanto è possibile il Parroco veda di trovarsi co' suoi confratelli, a meno che l'esercizio del suo ministero lo chiami altrove. In ogni circostanza però il Parroco badi sempre che non si introducano eccezioni, nè particolarità.

                3. Sarà cosa lodevole se nelle principali solennità dell'anno si inviterà a pranzo alcuno dei Parroci limitrofi o dei sacerdoti secolari appartenenti alla sua parrocchia, soliti a coadiuvarlo nelle funzioni religiose.

                4. Vi sia un'ora stabilita tanto pel riposo, quanto per la levata, Se qualcuno dovesse vegliare in tutto od in parte la nottata presso [696] qualche infermo potrà compensare lungo il giorno le ore perdute, secondo la disposizione del Superiore.

                5. L'alloggio del Parroco, quand'anche abbia annesso un Ospizio o Collegio, sia separato dal resto della casa, ed abbia due entrate diverse, una per gli esterni e l'altra per gl'interni.

                6. Sia però suo studio che sia mobigliato colla semplicità che si addice allo spirito di povertà, di cui si è fatta professione.

                7. Potrà tuttavia il Parroco, oltre l'archivio parrocchiale ed una sala ad uso delle varie conferenze, avere un'altra stanza modestamente adorna, quando avesse a ricevere persone distinte o qualche prelato.

 

§ 2. RELAZIONI COGLI ESTERNI.

 

                Il Parroco essendo come un pastore in mezzo al suo gregge, un padre in mezzo a' suoi figli, deve per motivi di convenienza e di carità sempre trovarsi a contatto del popolo, che la Divina Provvidenza gli, ha affidato. Sarà bene perciò, oltre le norme che suggeriscono i moralisti e i maestri di spirito ai Parroci perchè diventino forma gregis, che qui si notino alcune regole per noi religiosi, acciocchè non abbia a venir meno lo spirito, che deve informare ogni nostro detto, ogni nostra operazione.

 

Autorità Ecclesiastica.

 

                I. Per quanto spetta all'autorità ecclesiastica vegga di mostrarsi ossequente in tutto e per tutto al Vescovo della diocesi, studiandosi di mettere in pratica i decreti e gli avvisi che verranno comunicati.

                2. Nei casi difficili ricorra a lui per consiglio ed aiuto, chè questa confidenza servirà assai ad attirarsi la benevolenza dei superiori ed a conservarsi in piena armonia con essi; ed in occasione di solennità, si faccia premura di fare invito per la funzione all'Ordinario del luogo, o d'accordo con esso ad altro distinto prelato od ecclesiastico, facendone eziandio parola, quando occorra, al Superiore della Congregazione.

                3. Non si permetta mai di censurare gli usi locali, le disposizioni de' Superiori ecclesiastici o l'operato di altri parroci, specialmente limitrofi. Procuri anzi con questi di mantenersi in buona relazione invitandoli qualche volta a cantare la messa, a predicare, o a dare la benedizione. La prudenza a questo riguardo non sarà mai abbastanza raccomandata.

 

Autorità Civile.

 

                Nelle grandi città il Parroco più raramente ha bisogno di mettersi a contatto colle autorità civili. Si mostri però sempre ed in ogni cosa rispettoso verso di loro. Invitato ad occuparsi pei comitati parrocchiali [697] nelle occasioni di elezioni amministrative, si comporti con molta prudenza d'accordo coll'autorità ecclesiastica e col consiglio dei Superiori. Si astenga dal portare in pubblico giudizi sopra individui, e da ogni spirito di partito. Nei paesi invece o nelle piccole città, ove dovessimo reggere delle parrocchie, è bene che il Parroco si studi di mantenersi in buona relazione col Sindaco, e colle altre autorità, memore dell'avviso dello Spirito Santo: “Tienti amico il potente, perchè non ti abbia a nuocere”.

 

Relazione col Popolo.

 

                Lo spirito del nostro santo Protettore era di farsi tutto a tutti, omnibus omnia factus; e questo spirito medesimo, se deve essere l'Anima di tutti i Salesiani, deve esserlo in modo speciale di colui, che è chiamato a reggere una parrocchia.

                Badi però che la carità e lo zelo del bene delle anime alle sue cure affidate non gli faccia dimenticare se stesso. Il raccoglimento, e la riservatezza, che è necessaria in un sacerdote, è indispensabile in un religioso. Affinchè tale si conservi ed anche apparisca agli occhi de' suoi parrocchiani, si ritenga quanto segue:

                I. Mentre sarà una delle sue sollecitudini di favorire le associazioni cattoliche, e specialmente quella dei Cooperatori Salesiani, la conferenza di S. Vincenzo de' Paoli, la Compagnia del SS. Sacramento per l'adorazione delle Quarant'ore, e per l'accompagnamento del SS. Viatico, e di assistervi personalmente, quando potrà, affinchè si mantengano in fiore, badi di non mostrare mai per alcuno predilezione di sorta. Eviti le lunghe conversazioni specialmente con persone di diverso sesso. L'esperienza dimostra che, per quanto innocente e santo sia il fine che a ciò li muove, dà nondimeno motivo a critiche ed a maldicenze.

                2. Gioverà assai per questo che, avendo per ragione del suo ministero o di carità a trattare con qualche donna, lo faccia o nell'archivio parrocchiale, o in qualche luogo attiguo alla sacrestia e sempre a porte aperte.

                3. Eviti quanto può le visite inutili nelle famiglie. Il minor male che ne ridonda è la perdita considerevole di tempo. Quando è chiamato dagli infermi, specialmente allorchè deve passare lungo tempo al loro letto, procuri di mostrarsi uomo di Dio e dedito all'orazione; tenga un contegno modesto e riserbatissimo, e le sue parole siano di conforto all'ammalato, e tornino di edificazione ai parenti.

                4. Gl'infermi, i poveri ed i fanciulli formino l'oggetto delle sue speciali sollecitudini. Il Divin Salvatore metteva tutte le sue delizie nel trovarsi con loro, ed in generale il Parroco più amato è quello, che i fanciulli ed i poveri possono sempre avvicinare.

                5. Allorchè riceve od ha elemosina da dispensare, porti il suo pensiero ai più bisognosi, ed a quelli, che sono più frequenti alle funzioni parrocchiali ed a' sacramenti, In qualche circostanza potrà preferire [698] qualche bisognoso meno buono per guadagnarne il cuore; e la prova alle volte riesce.

                6. Nelle parrocchie, che avessero annesso un ospizio pei poveri orfanelli, dovrà il Parroco usare molta prudenza, perchè non si abbia a sospettare che l'elemosine vengano erogate alla casa e non ai poveri a cui sono destinate.

                7. Per l'assistenza dei poveri avrà un grande aiuto, se fonderà nella Parrocchia la Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli.

 

§ 3. PROVENTI PARROCCHIALI.

 

                I. Per le limosine non si può dare regola determinata. Conviene che il Parroco tenga anzitutto in Chiesa una cassetta per l'elemosina ai poveri, e quando i denari raccolti non fossero sufficienti ai bisogni, dai proventi parrocchiali potrà prelevare quanto la prudenza e la carità gli suggerirà col consenso del suo Direttore, tenendo però conto esatto a registro di quanto viene erogato a questo scopo.

                2. I cespiti con cui si sostengono le parrocchie sono molteplici. Oltre la congrua parrocchiale vi sono i diritti così detti di stola bianca e di stola nera, i legati e le elemosine. Per ciascuno di questi proventi è necessario avere un registro a parte, da poter presentare ad ogni richiesta dell'Ispettore o del Superiore Generale.

                3. Nell'esazione di certi diritti avverrà sovente di avere dei contrasti colle persone che assunsero degli impegni. Per non attirare odiosità sopra del Parroco, sia sempre il Vice - curato, o meglio il Prefetto di     sacrestia addetto a questo ufficio. Procuri però che, mentre è suo dovere di insistere sopra quanto spetta di diritto, il faccia sempre con carità, e la fermezza non sia mai disgiunta dalla prudenza e dalla dolcezza.

                4. Abbia il Parroco massima cura di tenere in ordine i registri parrocchiali, perchè ad ogni domanda dell'Ordinario sia in grado di presentarli.

 

Compagnie - Congregazioni.

 

                Per la fondazione delle varie Compagnie, che sono un aiuto potente al buon andamento della Parrocchia e giovano a ravvivare lo spirito di pietà si attenga alle norme date dal Catechismo ad Parochos, oppure dal Parroco novello del Frassinetti.

 

Conclusione.

 

                Il Parroco Salesiano, che conservi lo spirito della Congregazione, osservando scupolosamente i suoi voti e queste poche norme, non mancherà di essere un apostolo in mezzo a quel popolo, che Iddio ha affidato alle sue cure, e santificando se stesso, guadagnerà molte anime al Cielo. [699]

 

39.

 

 

Dello spirito religioso e delle vocazioni

fra i coadiutori e gli artigiani

 

§ I. DEI COADIUTORI.

 

                La nostra pia Società sì compone non solo di Sacedoti e Chierici, ma anche di laici (Art. I° Cap. I). Essi sono chiamati Coadiutori (Reg. Cap. X, 14 e XIII, 2 XV, 3) perchè hanno per particolare ufficio di coadiuvare i Sacerdoti nelle opere di carità cristiana proprie della Congregazione. La storia ecclesiastica ci porge molti esempi di laici, i quali aiutarono potentemente gli Apostoli e gli altri sacri ministri; e la Chiesa in ogni tempo si è servita di buoni fedeli per il bene del popolo e per la gloria di Dio.

                Ai nostri tempi più che in ogni altro le opere cattoliche e tra queste la nostra Congregazione possono dai laici avere efficacissimo aiuto; che anzi in certe occasioni possono fare maggiormente e più liberamente il bene i laici, che non i Sacerdoti.

                Ai Coadiutori in particolare è aperto un vastissimo campo per esercitare la loro carità verso il prossimo e il loro zelo per la gloria di Dio, col dirigere e amministrare le varie aziende della nostra Pia Società, col divenire maestri d'arte nei laboratorii, o catechisti negli oratori festivi, e specialmente nelle nostre missioni estere. Pertanto per ben corrispondere alla loro vocazione:

                1. Mostreranno in ogni tempo e circostanza rispetto ai Superiori e ai Sacerdoti, riguardando in essi dei Padri e dei Fratelli, a cui devono vivere uniti in vincolo di fraterna carità da formare un cuor solo ed un'anima sola (Reg. Cap. II. 2).

                2. Disimpegneranno, con diligenza l'ufficio che loro verrà assegnato qualunque esso sia, rammentando che non è l'importanza dell'opera che renda questa a Dio gradita, ma è lo spirito di sacrificio e di amore con cui viene eseguita.

                3. Non si addosseranno nè lavori nè commissioni estranee, senza espresso consenso dei Superiori.

                4. In ogni luogo e circostanza, in casa e fuori di casa, nelle parole e nelle azioni mostrino sempre di essere buoni religiosi; poichè non è già l'abito che fa il religioso, ma la pratica delle religiose virtù; e presso Dio e presso gli uomini è più stimato un religioso vestito da laico, ma esemplare e fervoroso, che non un altro adorno di abito distinto, ma tiepido ed inosservante. [700]

 

§ 2. DEI GIOVANI ARTIGIANI.

 

                Fra le principali opere di carità che esercita la nostra pia Società vi è quella di raccogliere, per quanto è possibile, giovanetti abbandonati, pei quali riuscirebbe inutile ogni cura di istruirli nelle verità della cattolica fede, se non fossero ricoverati od avviati a qualche arte o mestiere. In quelle case, dove il numero degli artigiani è considerevole, si potrà incaricare uno dei Soci, che abbia cura particolare di loro, col nome di Consigliere professionale.

                Il fine che si propone la pia Società Salesiana nell'accogliere ed educare questi giovanetti artigiani, si è d'allevarli in modo, che uscendo dalle nostre case, compiuto il tirocinio, abbiano appreso un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita, siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato.

                Ne segue che triplice deve essere l'indirizzo da darsi alla loro educazione: religioso - morale, intellettuale e professionale.

 

Indirizzo religioso - morale.

 

                Si otterrà una buona educazione religiosa - morale mettendo in pratica le norme seguenti:

                1. Si abbia somma cura che il regolamento delle case sia fedelmente praticato.

                2. Si richiami sovente agli alunni il pensiero di Dio e del dovere, e si persuadano che la bontà dei costumi e la pratica della religione è propria e necessaria ad ogni condizione di persone.

                3. Si usi ogni cura perchè sappiano di essere amati e stimati dai Superiori, e questo si ottiene trattandoli con quello spirito di vera carità, che viene raccomandato dal santo Vangelo.

                4. Per ravvivare lo studio del Catechismo si stabilisca un apposito esame a premi speciali da distribuire con certa solennità a coloro, che meglio profittarono.

                5. Siano anche bene istruiti nel canto Gregoriano, perchè uscendo dall'istituto possano prender parte alle funzioni religiose delle parrocchie e delle confraternite.

                6. Oltre alle Compagnie già esistenti s'introduca possibilmente quella del SS. Sacramento, per incoraggiarli alla frequente Comunione.

                7. Ove è possibile siano i più piccoli separati dai più adulti, specialmente in dormitorio ed in ricreazione.

                8. Si eviti l'inconveniente di far passare fra gli artigiani quegli studenti che fossero stati riprovati per la loro condotta. Se il Direttore credesse per motivi particolari fare qualche eccezione non siano ritenuti [701] nella medesima casa, ma inviati in altra per essere applicati ad un mestiere.

                9. Il Direttore ogni due mesi tenga una conferenza agli assistenti e ai capi di laboratorio, per udire le osservazioni che avessero a fare, e dar loro le norme e le istruzioni opportune pel buon andamento dei laboratori; e quando occorresse s'invitino anche i capi esterni, se ve ne sono.

                10. In vista del grande bisogno che si ha di molti capi d'arte per aprire nuove case, per estendere ad un numero maggiore di giovanetti il benefizio dell'educazione, ogni confratello procuri col buon esempio e colla carità d'inspirare negli alunni il desiderio di far parte della nostra pia Società, e quando qualcuno è accettato come ascritto s'invii anche con sacrificio alla casa degli ascritti.

                11. E cosa importante collocare l'alunno, che ha finito il suo tirocinio, presso buoni e cristiani padroni, e dargli una lettera da consegnarsi al proprio parroco.

                12. È pure conveniente, se la loro condotta fu abbastanza buona, ascriverli fra i Cooperatori Salesiani e raccomandarli a qualche società operaio - cattolica.

 

Indirizzo intellettuale.

 

                Perchè gli alunni artigiani conseguano nel loro tirocinio professionale quel corredo di cognizioni letterarie, artistiche e scientifiche, che loro sono necessarie, si stabilisce:

                I. Abbiano ogni giorno, finito il lavoro, un'ora di scuola, e per coloro che ne avessero maggior bisogno si faccia anche scuola il mattino dopo la messa della comunità fino al tempo di colazione. Dove poi le leggi richiedessero di più converrà adattarsi a quanto è prescritto.

                2. Sia compilato un programma scolastico da eseguirsi in tutte le nostre Case di Artigiani, e vengan indicati i libri da leggere e spiegar nella scuola.

                3. Si classifichino i giovani dopo d'averli sottoposti ad un esame di prova, e si affidi la loro istruzione a maestri pratici.

                4. Una volta alla settimana un Superiore faccia loro una lezione di buona creanza.

                5. Nessuno possa essere ammesso a scuole speciali, come di disegno, di lingua francese, ecc. se non è sufficientemente istruito nelle cose spettanti alle classi elementari.

                6. Al fine dell'anno scolastico si dia un esame per constatare il profitto di ciascun alunno e siano premiati i più degni.

                7. Quando finito il suo tirocinio, un giovane volesse uscire dall'Istituto, gli si consegni un attestato notando distintamente il suo profitto nell'arte o mestiere, nell'istruzione e buona condotta. [702]

 

Indirizzo professionale.

 

                Non basta che l'alunno artigiano conosca bene la sua professione, ma perchè la possa esercitare con profitto bisogna che abbia fatta l'abitudine ai diversi lavori e li compia con prestezza.

                Ad ottenere la prima cosa, gioverà:

                1. Secondare possibilmente l'inclinazione dei giovani nella scelta dell'arte o mestiere.

                2. Provvedere abili ed onesti maestri d'arte anche con sacrificio pecunario, affinchè nei nostri laboratorii si possano compiere i varii lavori con perfezione.

                3. Il Consigliere professionale e il maestro d'arte divida, o consideri come divisa la serie progressiva dei lavori che costituiscono il complesso dell'arte in tanti corsi o gradi; pei quali faccia passare gradatamente l'alunno, così che questi dopo il suo tirocinio conosca e possieda completamente l'esercizio del suo mestiere.

                4. Non si può determinare la durata del tirocinio essendochè non tutte le arti richiedono egual tempo per apprenderle, ma per regola generale può fissarsi a cinque anni.

                5. In ogni casa professionale nell'occasione della distribuzione dei premii si faccia annualmente un'esposizione dei lavori compiuti dai nostri alunni, ed ogni tre anni si faccia un'esposizione generale, a cui prendano parte tutte le nostre case d'artigiani.

                Per ottenere poi l'abilità e prestezza nell'eseguire il lavoro, gioverà:

                a) Dare settimanalmente ai giovani due voti distinti di lavoro e di condotta.

                b) Distribuire il lavoro a cottimo, stabilendo un tanto per cento pel giovane, secondo un sistema preparato dalla Commissione che ne fu incaricata.

                c) La Casa degli ascritti artigiani sia bene fornita del materiale occorrente a perfezionarsi nelle diverse professioni, ed abbia i migliori capi artisti Salesiani

 

40.

 

Regolamento per gli Oratorii festivi.

 

                L'articolo 3 del capo 1 delle nostre Costituzioni dice che il primo esercizio di carità della Pia Società di S. Francesco di Sales è di raccogliere giovanetti poveri ed abbandonati, per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente nei giorni festivi.

                Per attendere più efficacemente e diffusamente a questo nobile intento giova moltissimo nelle città e nei paesi, ove esiste una Casa [703] Salesiana, impiantare eziandio un giardino di ricreazione ossia Oratorio Festivo pei giovani esterni, che sono più bisognosi di religiosa istruzione, ed esposti ai pericoli di pervertimento.

                Per la qual cosa il III Capitolo Generale delibera quanto segue:

                1. Ogni Direttore si dia sollecitudine d'impiantare un Oratorio festivo presso la sua Casa od Istituto, se ancora non esiste, e di dargli sviluppo se è già fondato, Egli consideri quest'opera siccome una delle più importanti di quante gli furono affidate, la raccomandi alla carità e benevolenza delle persone facoltose del luogo, per averne i sussidi necessarii, ne parli spesso nelle conferenze, incoraggiando i confratelli ad occuparsene, ed istruendoli all'uopo, e non si dimentichi mai che un Oratorio festivo fu già la culla dell'umile nostra Congregazione.

                2. A perpetua memoria di questo fatto e ad esempio ed aiuto delle altre case sieno in modo particolare promossi e sostenuti gli Oratorii festivi di S. Francesco di Sales e di S. Luigi Gonzaga in Torino, e quello annesso alla casa di S. Benigno Canavese; e per quanto sarà possibile vengano in essi impiegati i Chierici e gli altri Soci Salesiani, affinchè si rendano ognora più capaci di esercitare un sì importante ministero di carità a vantaggio della gioventù pericolante.

                3. Nella distribuzione del personale in ciascuna Casa l'Ispettore d'accordo col Direttore della medesima abbia ogni anno in mira di stabilire un Sacerdote, al quale sia dato speciale incarico, dell'Oratorio festivo, e il Direttore si dia amorevole premura di fornirgli quegli aiuti materiali e personali, che si giudicano necessarii al suo buon andamento.

                4. Tutti i Soci Salesiani così ecclesiastici come laici si stimino fortunati di prestarvi l'opera loro, persuadendosi essere questo un apostolato di somma importanza, perchè nel tempo presente l'Oratorio festivo è per molti giovanetti, specialmente nelle città e nelle borgate, l'unica tavola di salvamento.

                5. Pel regolare impianto e sviluppo dell'Oratorio si procuri anzi tutto di mantenersi in buona relazione ed armonia coll'autorità ecclettica locale.

                6. Dove si hanno collegi od ospizi si impedisca ogni comunicazione tra i convittori e gli esterni. - Ad ovviare ogni pericolo e disturbo per quanto si può si designi un luogo attiguo con cortile adatto, avente cappella a parte e quanto occorre per i giuochi, le scuole e per i casi d'intemperie.

                7. Sono specialmente raccomandati i giuochi e divertimenti di vario genere, secondo l'età e gli usi del paese, essendo questo uno dei mezzi più efficaci per attirare i giovanetti all'Oratorio.

                8. A promuovere la frequenza e la buona condotta negli Oratorii festivi giovano pur molto i premi da distribuirsi a tempi fissi, per es. libri, oggetti di divozione, vestiario come pure lotterie, passeggiate, teatrini facili e morali, scuola di musica, festicciuole, ecc. [704]

                9. Il buon andamento dell'Oratorio festivo dipende poi soprattutto dall'usare sempre un vero spirito di sacrifizio, grande pazienza, carità e benevolenza verso tutti, così che gli alunni ne ricevano e mantengano ognora una cara memoria, e lo frequentino eziandio quando siano adulti: come pure dal promuovere in mezzo a loro le compagnie di S. Luigi, il piccolo clero, ecc.

                10. Il Capitolo generale approva il regolamento per gli Oratorii festivi stampato a parte.

 

41.

 

Parole di Don Lasagna sul Papa a Milano.

 

                Ho percorso gran parte dell'Europa e dell'America, e ho dovuto convincerni che, se la patria nostra si vanta delle più svariate industrie, è in ciò di gran lunga superata da altre nazioni. Se florido è diventato il commercio, questo è un nulla in confronto di quanto si vede in varie altre contrade. Se voi ammirate i superbi edifizi ed i Magnifici monumenti, che il genio italiano riuscì ad innalzare sul nostro suolo, sappiate che ne ho veduti eziandio all'estero che ben possono rivaleggiare coi nostri. Se l'Italia ha il primato nelle arti belle, ricordatevi che gli stranieri pur studiando sui capolavori dei grandi maestri italiani, s'attentano ad eguagliarli, se già non riescono a superarli. Se noi possediamo cotanti tesori nel patrimonio delle lettere e delle scienze, anche i paesi lontani vanno superbi di bella letteratura e di grandi progressi. Ma v'è un vanto su cui si tace l'orgoglio di ogni altra nazione; vi è una gloria che nessuno ci contrasta; v'è una gemma preziosissima che tutti c'invidiano; e questo si è di avere sul nostro suolo il Papa, il Vicario di Gesù Cristo, il Capo della Chiesa Universale. Ond'è che quando io pongo il piede in terra straniera, e con orgoglio mi chiamo italiano, su nient'altro m'odo interrogare se non sul sapientissimo Pontefice che regge il timone della sola vera religione. È questa la sola prerogativa che più interessa lo straniero, quando si parla d'Italia. Ed oh! come mi sento grande, posso vantarmi di averlo venuto, d'avergli parlato, d'aver potuto prostrarmi a' suoi piedi; quando - posso dire: - È il Papa        che a voi m'invia - ; quando m'è dato soggiungere: - È in suo nome che io vi benedico! - Questa è la vera     gloria d'Italia, dinanzi a cui s'ecclissano tutte le altre. Si è allora che io vorrei avere al mio fianco coloro che la pensano altrimenti. Quanto mi tornerebbe facile ridurli al silenzio! O Italia, Italia, deh ti ricorda, che il tuo più bel vanto è l'essere il centro della cattolicità, d'avere a Roma il trono,

 

U' siede il Successor del Maggior Piero. [705]

 

42.

 

Le fanciulle cieche di Milano a Don Bosco.

 

                                Molto Reverendo Signore,

 

                Non avendo potuto appagare l'ardente brama che nutriamo in cuore di essere presenti alla solenne festa celebrata ieri nella nostra città, ci permettiamo di indirizzarle un umile scritto, col quale ossequiose la preghiamo d'impartirci la tanto sospirata sua benedizione, estensibile non solo a tutto il nostro caro Istituto, ma ancora alle amate nostre famiglie e a tutti coloro che s'interessano di noi.

                Quanto saremmo felici se potessimo di presenza udire da Lei una parolina e manifestarle i vivi sensi di riverenza e di venerazione di cui siamo fortemente comprese a riguardo di Lei e delle benemerite e sante sue Istituzioni! Non di meno ci è cara la lusinga che Ella saprà leggerli in queste nostre povere righe.

                Ora vivamente congratulandoci del fiorente stato de' suoi pii Istituti, e presentandole i più sinceri augurii di prosperità, mentre l'assicuriamo che non cesseremo mai di supplicare fervidamente Iddio affinchè la conservi ancora lungamente all'affetto di tutti i suoi cari figli. La preghiamo di aggradire questo nostro scritto, ed ossequiosamente godiamo segnarci

 

                13 settembre 1886.

 

Le devot.me allieve

 dell'Istituto dei ciechi di Milano.

 

                Questo indirizzo era accompagnato dalla seguente lettera:

 

                               Ill.mo e Venerato Signore,

 

                Di buon grado ho accondisceso al desiderio delle mie allieve che vollero presentare a V. S. una lettera di ossequio, esprimendo pure il desiderio che Ella venisse a fare una visita all'Istituto od a mandare una sua benedizione. Non so dissimularmi le difficoltà che si possono opporre all'esaudimento del primo desiderio; basterà l'essere esaudite nel secondo.

                E tanto più mi associo a questo atto delle mie allieve, in quanto, con una di esse, mi pregio di essere ascritto nell'elenco dei Cooperatori Salesiani.

                Baciandole la venerata mano me le dico

 

                Milano, 13 settembre 1886.

 

           Suo Dev. Servo

P. VITALI

Rettore dell'Istituto dei Ciechi. [706]

 

43.

 

Don Rigoli a Don Lazzero.

 

                                Molto Rev. Carissimo D. Lazzero,

 

                Oggi mando a spedire all'indirizzo del Sig. Dogliani la cassa colle musiche e coi libri. Tanto per norma.

                Di me non so che dire... Sono qui tutto melanconico come chi ha perduto tutto il mondo. La mia casa, il mio paese ha l'aspetto del giorno dopo di un funerale. I cari Salesiani, i miei Superiori, i miei colleghi, i giovanetti, i figli di Don Bosco mi hanno portato via tutto quanto rendeva contento il mio cuore, la mia anima; poichè con loro godeva ore di paradiso... adesso una mestizia di purgatorio... Ci vorrà tempo a rassegnarmi.

                Tutto il mio spirito è pieno delle soavi e grandi impressioni avute a Milano intorno a Don Bosco, al mio Arcivescovo, a Busto ed anche a Casale Litta. Dio ha benedette queste feste. Per miei parrocchiani fu una vera benedizione, un corso di spirituali esercizi. Noi ce ne ricorderemo per tutta la vita e ameremo Don Bosco, i suoi figli e le sue opere.

                La prego di scrivermi notizie della salute del sig. Don Bosco, mio veneratissimo padre e di ringraziarlo della sua venuta a Milano, pregandolo a perdonarmi se ho fatto tanto per obbligarlo a sì grave disturbo. Tanti ringraziamenti al mio carissimo D. Lasagna ed affettuosi saluti.

                Un plauso ed un evviva al carissimo Dogliani coi suoi giovanetti e giovanotti che hanno edificato col canto, colla pietà e colla santa allegria questi contadini! Al sig. Don Rua, al sig. Don Durando e a tutti quanti hanno aderito al mio pensiero un umile ma vivo ringraziamento. Baciando a Don Bosco la mano e a tutti i miei superiori, mi dico

 

                Casale Litta, 20 settembre 1886.

Suo aff.mo

D. RIGOLI

 

 

44.

 

Circolare in cinque lingue sulle Missioni Salesiane.

 

A.

 

                               Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici,

 

                Mi gode l'animo di poter far giungere fino a voi, o cari Cooperatori e Cooperatrici, le interessanti notizie che mi giungono dalla Patagonia e dalle altre numerose Missioni già aperte nell'America del Sud, ed [707] esporvi in pari tempo i disegni di nuove imprese, cui, per urgenti bisogni di quelle popolazioni, converrà metter mano quanto prima.

                Dopo di aver corsa e ricorsa la Patagonia, dall'Oceano Atlantico alle Cordigliere delle Ande, e valicato per ben due volte quelle celebri montagne per giungere fino al Chilì, dopo di aver catechizzate e battezzate varie tribù di selvaggi, a prezzo di stenti e pericoli incredibili da parte dei nostri Missionari, è giunto il momento di dover pensare seriamente a consolidare e perpetuare il bene fatto fino ad ora.

                Poichè quelle tribù pacificate e convertite alla Fede, avendo cominciato a gustare le prime dolcezze della vita Cristiana e civile, non possono rassegnarsi a veder solamente di tanto in tanto il Missionario, che li chiamò alla vita sociale ed alla luce del Vangelo.

                Con giusta ragione essi lo vorrebbero sempre in mezzo a loro, per essere da lui diretti, istruiti e consolati, e più specialmente per essere da lui assistiti ne' casi di malattia ed in pericolo di morte.

                Non è quindi a stupire se a Mons. Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia, non regga l'animo di rifiutare ai poveri selvaggi, che pure sono suoi carissimi figli in Gesù Cristo, questi religiosi e giustissimi conforti. Ma egli non ha nè personale, nè mezzi sufficienti per appagare i loro ardenti desideri. Dovendo stabilire residenze fisse pei Missionari nel deserto Patagonico, a misura che i selvaggi si riuniscono in colonie o villaggi, egli abbisogna, come ben potete comprendere, di un maggior numero di sacerdoti, di catechisti e di suore, e di molti mezzi materiali che sono indispensabili alla vita sociale ed al culto divino.

                Quei poveri neofiti, malgrado il loro buon volere, non possono offrire ai nostri Missionari altro che lo spettacolo di lor miseria lagrimevole. Essi stessi abbisognano di tutto, fin d'essere vestiti e mantenuti, massime in sul principio di lor conversione. Quindi è che le sorti di quelle Missioni dipendono affatto dalla Pia Società Salesiana e dalla Carità de' nostri Cooperatori e Cooperatrici. E noi dovremo disanimarci? Oh no! Anzi raddoppieremo gli sforzi, per non lasciar venir meno quelle opere, che già ci costarono tanti sudori e tanti sacrifizi.

                Oltre a ciò è bene che sappiate che, per assicurare l'esito della totale conversione della Patagonia, abbiamo già stabilito di, aprire una via dalla parte occidentale del Chilì, e già un drappello di Salesiani si recano colà per fondare una casa al di là delle Cordigliere, nella città di Conception, appartenente alla repubblica Chilena.

                È di là che dovranno partire colonie di Missionari per evangelizzare l'Araucania e la Patagonia Occidentale spargendosi poscia a poco a poco nell'Arcipelago di Chiloe e di Magellano, nelle così dette Terre del Fuoco, popolate tutte di innumerevoli tribù indigene affatto prive di ogni idea di religione e di civiltà.

                Don Fagnano in questo momento deve essere già disceso alle Isole Malvine, e di là correrà ad esplorare tutte quelle isole fino al Capo Horn, e vi studierà i punti più strategici e meglio adatti per piantar [708] colà le tende dei nuovi soldati della Croce, che andranno presto a raggiungerlo.

                Non potrete mai immaginarvi, o cari Cooperatori e Cooperatrici, quante vive istanze e quante suppliche mi giungano di laggiù da parte dei nostri infaticabili missionari e delle popolazioni stesse affinchè mandiamo colà nuovi e ragguardevoli rinforzi di uomini e di danaro.

                Ed appunto per far conoscere meglio i bisogni e la condizione, grazie a Dio, soddisfacenti nelle nostre Missioni di America è venuto espressamente da quei lontani paesi il nostro missionario Don Luigi Lasagna, il quale non lasciò intentata nessuna via per indurmi a preparare anche questa volta una numerosa spedizione di Missionari Salesiani e di Suore di Maria Ausiliatrice. Ne abbisogna anch'egli di un buon numero per le Missioni, che gli affidai nel vastissimo Impero del Brasile, più esteso di per sè solo che tutta quanta l'Europa, e dove vi sono regioni sconfinate, popolate unicamente di selvaggi, che scorrazzano per immense foreste, sospirando da secoli una mano amica, che loro vada a sottrarli alla vergognosa barbarie, in cui giacciono sepolti e vi giaceranno ancora chi sa per quante generazioni, se lo zelo di missionari, sostenuti dalla carità dei fedeli, non apporta loro presto un qualche aiuto.

                Indotti da questi potenti motivi abbiamo deciso di preparare per il prossimo novembre la spedizione di un nuovo drappello di Missionari, che raggiungeranno almeno il numero di trenta, e che potranno anche essere di più se i soccorsi dei Benefattori ci giungeranno a tempo e copiosi.

                Ciò posto, non vi sarà difficile capire, o cari Cooperatori e Cooperatrici, che per allestire la novella schiera di conquistatori di anime e di propagatori del regno di Dio in sulla terra occorrono gravissime spese di sacri arredi, spese di vestiario e biancheria, spese di suppellettili per Chiesa, scuola ed abitazione e spese urgentissime per i viaggi di mare e di terra. Epperciò non mi resta altro che riporre ogni mia speranza in Dio e nella generosità vostra, o carissimi Cooperatori e Cooperatrici, affinchè, come già mi siete venuti in aiuto nelle spedizioni antecedenti, così non indugiate a soccorrermi nella spedizione che attualmente divisiamo, malgrado la grande strettezza di mezzi materiali che ci affligge. Faccio quindi un nuovo appello alla vostra carità; ascoltate anche voi al pari di me la voce dei cari Missionari ed il grido, che ci mandano tanti poveri derelitti da quelle lontanissime contrade.

                Pertanto supplico i Cooperatori e le Cooperatrici a renderci possibile la nuova spedizione, soccorrendoci colle ferventi preghiere e colle offerte che potranno fare in tele od oggetti di biancheria, in panni od abiti, in arredi di chiesa od in vasi sacri, e più ancora in danaro, con cui far fronte alle spese di viaggi e trasporti per terra e per mare, in fine con qualsiasi limosina che la pietà loro suggerisca e le loro forze permettano. [709]

                All'Oratorio di Torino, donde prenderanno le mosse i nuovi Missionari, si riceverà con gratitudine sia a mano, o per ferrovia, o per posta, quanto la vostra industriosa carità sarà per inviare al nobile intento.

                Nel giorno poi, che sarà scelto per la partenza dei Missionari, prima della funzione di congedo, si terrà apposita conferenza ai Cooperatori e Cooperatrici nel Santuario di Maria Ausiliatrice, e questo vi sarà per tempo notificato, affinchè coloro che lo desiderano, possano intervenirvi, e mentre fin d'ora v'invito, non voglio lasciar di pregarvi ad avere la bontà di cercare pure, tra i vostri conoscenti ed amici, chi volesse eziandio concorrere col suo obolo a questa opera di umanità e di fede.

                Noi segneremo il vostro e il loro nome nei registri del nostro pio Istituto, per ricordarli ogni giorno nelle nostre preghiere, per implorare dal Cielo copiose benedizioni sopra dì voi e sopra quelli tutti che ci beneficheranno, sopra le loro famiglie e le opere loro, sicuri che Iddio li segnerà nel libro della vita, nel libro dei predestinati, poichè è sentenza del grande Sant'Agostino, che chi procura efficacemente la salute delle anime, mette al sicuro l'anima propria: Animam salvasti, animam tuam predestinasti.

                Maria SS, Ausiliatrice che si è costituita protettrice e madre dei nostri Missionari e di quei poveri selvaggi, vi ottenga da Dio ogni più eletta benedizione spirituale e temporale.

 

                Torino, li 15 Ottobre 1886.

 

Vostro aff.mo in Gesù C.

        Sac. G. Bosco.

 

                NB. I caritatevoli Benefattori delle nostre Missioni sono pregati di mandare le loro offerte direttamente a Don Bosco in Torino, Via Cottolengo, N. 32.

 

B.

 

                                Beneméritos Cooperadoves y Cooperadoras,

 

                Con sumo gusto y satisfacción vengo hoy, queridos Cooperadores y Cooperadoras, á comunicaros las interesantes noticias que me llegan de la Patagonia y de otras numerosas Misiones, abiertas ya en la América del Sur, y exponeros al mismo tiempo los proyectos de nuevas empresas, á las cuales, por las urgentes necesidades de aquellas lejanas poblaciones, convendrá echar mano cuanto antes.

                Después de haber recorrido la Patagonia, desde el Océano Atlántico basta las Cordilleras de los Andes, y atravesado por dos veces aquellas célebres montafias á fin de Ilegar basta Chile, después de haber catequizado y bautizado á varias tribus de salvajes, á fuerza de grandes fatigas y peligros increibles por parte de nuestros Misioneros, [710] ha llegado el momento de pensar sériamente en consolidar y perpetuar el bien que hasta ahora se ha hecho.

                Pues aquellas tribus pacificadas y convertidas á la fe, habiendo comenzado á saborear las primeras dulzuras, de la vida cristiana y civil, no pueden resignarse con ver solamente de cuando en cuando al Misionero, que los llamó á la vida social y á la luz del Evangelío.

                Con justa razón ellos quisieran tenerlo siempre en su compañia, para ser por él dirigidos, instruidos y consolados, y muy especialmente para ser asistidos en los casos de enfermedad y en peligro de muerte.

                No debemos, pues, maravillarnos, si el Ilmo. Sr. Cagliero, Vicario Apostólico de la Patagonia, no pueda en modo alguno negar á los pobres salvajes, pues son sus queridísimos hijos en Jesucristo, estos religiosos, y justísimos consuelos. Pero él no tiene ni personal, ni medios suficientes para satisfacer sus ardientes deseos. Debiendo establecer residencias fijas para los Misioneros en el desierto Patagó­nico, á medida que los salvajes se reunen en colonias ó aldeas, él necesita, como bien comprenderéis, un mayor número de sacerdotes, catequistas y Hermanas, y de muchos medios materiales que son indispensables para la vida social y para el culto divino.

                Aquellos pobres neófitos, apesar de su buena voluntad, no pueden ofrecer á nuestros Misioneros otra cosa más que el espectáculo dé su grande y triste miseria. Ellos tienen necesidad de todo, hasta de ser vestidos y mantenidos; máxime al principio de su conversión. Así es que las suertes de aquellas Misiones dependen enteramente de la pia Sociedad Salesiana y de la caridad de nuestros Cooperadores y Cooperadoras. Y nosotros ¿deberemos desanimarnos? ¡Oh no! Antes al contrario, redoblaremos nuestros esfuerzos, para no dejar desfallacer aquellas obras, que nos costaron ya tantos sudores y sacrificios.

                Además de esto es conveniente sepáis, que para asegurar el éxito de la conversión total de la Patagonia, hemos establecido de abrir un camino desde la parte. Occidental de Chile, y dentro de poco un buen número de Salesianos saldrán para allá con el fin de fundar una Casa à la otra parte de las Cordilleras, en la ciudad de la Concepción, perteneciente á la República Chilena.

                Y allá es desde donde deberan salir colonias de misioneros, para evangelizar la Araucania y la Patagonia Occidental, extendiéndose despues poco á poco hasta el Archipiélago de Chile y de Magallanes, en las así llamadas Tierras del Fuego, pobladas de innumerables tribus indígenas, privadas enteramente de toda idea de religión y civilización.

                Don Fagnano debe ya haber bajado en este momento á las Islas Malvinas, y desde allá seguirá explorando todas aquellas Islas hasta el Cabo Hom, y tratará de estudiar lo puntos más estratégicos y adaptados para fijax las tiendas de los nuevos soldados de la Cruz, que irán muy pronto á unírsele. [711] No podeis imaginaros, oh caros Cooperadores y Cooperadoras, cuán vivas instancias y cuantas súplicas me llegan de aquellas tierras, por parte de nuestros infatigables Misioneros y de las mismas pobla­ciones, para que les mandemos nuevos y grandes refuerzos de hombres y dinero.

                Y precisamente para mejor hacer conocer las necesidades y condiciones, gracias á Dios, satisfactorias de nuestras Misiones de América, ha venido expresamente de aquellos lejanos paises nuestro misionero Don Luis Lasagna, el cual no dejó medio alguno para obligarme á preparar esta vez también una numerosa expedición de Misioneros Salesianos y de Hijas de Maria Auxiliadora, tanto mas que él tiene necesidad también de un buen número de ellos para las Misiones, que le confié en el vastísimo Imperio del Brasil, más grande de por sí solo que toda la Europa, y en donde hay regiones vastísimas pobladas únicamente de salvajes, que corren por aquellas inmensas florestas suspirando desde hace muchos siglos una mano amiga, que vaya á sacarlos de la vergonzosa barbarie en que yacen sepultados y en que yacerían aún, quien sabe por cuantas generaciones, si el celo de los Misioneros, sostenidos por la caridad de los fieles, no les llevase pronto algun ayudo.

                Inducidos por estos potentes motivos, hemos decidido de preparar por el próximo noviembre la expedición de una nueva compañia de Misioneros, que llegarán á lo menos al número de 30, y que podrán ser todavía más, si los socorros de nuestros bienhechores nos llegarán à tiempo y en abundancia.

                Ahora bien; no dejaréis de comprender fácilmente, caros Coopera­dores y Cooperadoras, que para preparar la nueva compañia de con­quistadores de almas y propagadores del reino de Dios sobre la tierra, ocurren gravísimos gastos, ya de ornamentos sagrados, ya de trajes y ropa blanca, ya de objetos para la Iglesia, escuela y habitaciones, ya también de gastos urgentísimos para los viajes, equipajes y trasportes, que deben hacerse por mar y poi tierra. Por lo tanto, no me queda otro recurso que poner toda mi esperanza en Dios y en vuestra gene­rosidad, oh carísimos Cooperadores y Cooperadoras, á fin de que los auxilios que me habeis prodigado en las expediciones antecedentes, no dejeis de enviármelos en la que actualmente estamos preparando, apesar de la grande estrechez de medios materiales que nos aflige. Apelo, pues, de nuevo á vuestra caridad; escuchad también vosotros juntamente comnigo, la voz de nuestros Misioneros y el grito que nos mandan tantos pobres abandonados de aquellas lejanas tierras.

                Suplícoos por tanto que. contribuyais á hacernos posible la futura y nueva expedición, socorriéndonos con fervientes oraciones y con ofertas que podréis hacer en muchas maneras, como por ejemplo en tela, ropa blanca, paños, trajes, ornamentos de Iglesia, etc. etc. y aún más en dinero, con que poder pagar los gastos de viaje y trasportes [712] por tierra y por mar; en fin con cualquiera limosna que la piedad os sugiera y vuestras fuerzas lo permitan.

                En el oratorio de Turin, de donde saldrán los nuevos Misioneros, se recibirá con gratitud, ya por correo, ya por ferro-carril, todo lo que vuestra indus 'osa caridad enviará á tan noble intento.

                Me permito bien rogaros, tengais la bondad de buscar al mismo tiempo, entre vuestros conocidos y amigos á- alguna persona que quiera tambien concurrir con su obólo á esta obra de humanidad y fe.

                Nosotros anotarémos vuestros nombres y los de,ellos en el Registro de nuestro pio Instituto para recordarlos todos los dias en nuestras oraciones, e implorar del Cielo copiosas bendiciones sobre vosotros y sobre todos aquellos que nos beneficarán, sobre sus familias y sobre sus obras, seguros de que Dios los anoterá en el libro de la vida, esto es, en el libro de los predestinados, puesto que es sentencia del grande S. Agustin que quien atiende eficazmente à la salvation de las almas, pone en salvo la suya propia: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

                Maria Santísima, que se ha constituido Protectora y Madre de nuestros Misioneros y de aquellos pobres salvajes, os alcance de Dios mil bendiciones espirituales y temporales.

                Turin, 15 octubre 1886.

Vuestro afmo. en J. C.

JUAN BOSCO Pbro.

 

                N. Los caritativos bienhechores de nuestras Misiones harán el favor de mandar sus ofertas directamente à Don Bosco calle Cotto­lengo, N. 32, en Turin - (Italia).

 

C.

 

Chers Coopérateurs et Coopératrices,

 

                Je suis heureux de vous faire part des nouvelles intéressantes que j'ai reçues de la Pātagonie, et des autres Missions déjà nombreuses ouvertes dans l'Amérique du sud; je vous exposerai en même temps les projets de nouvelles entreprises, auxquelles nous devons mettre la main le plus tôt possible, afin de pourvoir aux besoins urgents de ces peuples lointains.

                Nos Missionnaires ont parcouru la Patagonie dans tous les sens depuis l'Océan -Atlantique jusqu'aux Cordilières des Andes; ils ont traversé deux fois ces montagnes célèbres pour passer au Chili;. ils ont catéchisé et baptisé plusieurs tribus sauvages, au prix de fatigues et de périls incroyables. Maintenant, le moment est arrivé de penser sérieusement à consolider et à perpétuer le bien accompli jusqu'ici. [713]

                En effet, ces tribus pacifiées et converties à la foi, après avoir commencé à goûter lés charmes de la vie chrétienne et civilisée, ne peuvent se résigner à ne voir que de temps en temps le Missionnaire qui leur a apporté le bienfait de la vie sociale et la lumiere de l'Evangile.

                C'est avec juste raison que les nouveaux convertis 'voudraient l'avoir toujours au milieu d'eux pour les diriger; les instruire, les con­soler, et, plus spécialement; les assister en cas de maladie et au moment de la mort.

                Il n'est donc pas étonnant que-Mgr. Cagliero, Vicaire Apostolique de la Patagonie, n'ait pas le courage de refuser les justes consolations de la religion à ces pauvres sauvages, qui sont aussi ses très' chers fils en Jésus-Christ. Mais, dépourvu de ressources matérielles et n'ayant pas à sa disposition un personnel suffisant, il lui est impossible de répondre à leurs ardents désirs. Il faut établir des résidences fixes pour  les Missionnaires dans le désert de la Patagonie, à mesure que les sauvages se réunissent en colonies ou villages; il a donc besoin, vous le comprendrez facilement, d'un plus grand nombre de prêtres, de ca­téchistes et de religieuses, et, en outre, de ressources matérielles pour subvenir aux nécessités de la vie sociale et du culte divin.

                Ces pauvres néophytes, malgré toute la bonne volonté dont ils sont animés, ne peuvent offrir à nos Missionnaires autre chose que le spectacle de leur misere déplorable. Ils ont eux-mêmes besoin de tout; jusqu'au vêtement et à l'entretien, surtout an commencement de leur conversion. Par conséquent, le ces Missions est tout entier entre les mains de la Pieuse Société Salésienne, et dépend complétement de la charité de nos Coopérateurs et Coopératrices.

                Devrons-nous donc nous laisser aller au découragement? Oh! non. Bien au contraire, nous redoublerons d'efforts, afin de ne pas laisser dépérir ces oeuvres, qui nous ont déjà coûté tant de sueurs et de sa-crifices.

                Pour assurer la conversion totale de la Patagonie, nous avons résolu de nous ouvrir une voie par la partie occidentale du Chili, et une troupe de Salésiens est déjà en route pour. fonder une maison au delà des Cordilières, dans la ville de la Conception, appartenant à la république chilienne.

                C'est de là que partiront nos Missionnaires, pour évangéliser l'Araucanie et la Patagonie occidentale; ils étendront ensuite peu à peu la divine semence jusqu'à l'Archipel de Chiloé et de Magellan et à la Terre de Feu, habités ,par d'innombrables tribus étrangères à toute idée dé religion et de civilisation.

                Dom Fagnano doit déjà être arrivé aux Iles Malouines, et il explorera toutes ces îles jusqu'au Cap Horn; il étudiera sur place les points les plus convenables pour y planter les tendes des nouveaux soldats de la Croix, qui doivent bientôt aller le rejoindre. [714] Vous ne sauriez vous imaginer, chers Coopérateurs et Coopératrices, combien vives sont les instances et nombreuses les prières que m'adressent nos infatigables Missionnaires et les populations elles mêmes, afin d'obtenir de nombreaux et considérables renforts d'hommes et d'arge

                - C'est précisément ment pour faire mieux connaître les besoins et l'état satisfaisant de nos Missions d'Amérique, que l'un de nos missionnaires, Dont Louis Lasagna, est venu tout exprès de ces contrées lointaines, et il n'a rien négligé pour me démontrer la nécessité de préparer encore: une fois une nombreuse expédition de Missionnaires Salésiens et de Sueurs de Marie Auxiliatrice. Lui aussi a besoin d'un bon nombre de coadjuteurs pour les Missions confiées à son zèle dans le vaste empire du Brésil, plus grand á lui seul que l'Europe tout entière, et où se trouvent des régions sans limites, uniquement peuplées de sauvages, errants dans d'immenses forêts, soupirant depuis des siècles après une main amie, qui vienne les tirer de la honteuse barbarie, dans laquelle ils sont ensevelis et croupiraient encore, qui sait pendant combien de générations, si le zèle des Missionnaires, soutenus par la charité des coeurs généreux inspirés par la foi, ne venait bientôt leur porter secours.

                Poussé par d'aussi puissants motifs, nous avons résolu de préparer pour le mois de novembre prochain l'expédition d'une nouvelle troupe de Missionnaires, dont le nombre sera au moins de trente, et pourra être plus élevé, si nos bienfaiteurs nous envoient à temps des secours assez abondants.

                Vous comprendrez facilement, chers Coopérateurs et Coopératrices, que pour fournir tout le nécessaire à la nouvelle troupe de conqué­rants des âmes et de propagateurs du règne de Dieu sur la terre, il faudra de grandes dépenses d'ornements sacrés, de vêtements, de linge, de mobilier d'église, d'école et d'habitation et, en outre, payer des frais considérables de voyages par met et par terre. Pour tout cela, je mets ma confiance en Dieu et en votre générosité, chers Coopéra­teurs et Coopératrices; comme vous m'êtes déjà venus en aide lors des expéditions précédentes, je veux espérer que vous n'hésiterez pas à nie prêter un généreux concours pour celle que nous projetons au­jourd'hui, malgré la difficulté des temps que nous traversons. C'est un nouvel appel que j'adresse à votre charité; prêtez, vous aussi, comme je l'ai fait moi-même, une oreille favorable à la voix de nos chers Missionnaires et au cri de détresse, que poussent vers nous tant de pauvres infortunés de ces lointaines contrées.

                Je supplie nos chers Coopérateurs et Coopératrices de nous rendre possible la nouvelle expédition, par le secours de leurs ferventes prières et par les offrandes qu'ils pourront nous faire en toile, linge, drap, vêtements, ornements et vases sacrés, et plus encore en argent, pour faire face aux dépenses de voyages et de transports par terre [715] et par mer, enfin par une aumône quelconque, selon que la piété `le leur suggérera et que leurs moyens le leur permettront.

                Nous recevrons avec la plus vive reconnaissance à l'Oratoire de Turin, d'où partiront les nouveaux Missionnaires, ce que votre industrieuse charité voudra bien nous envoyer, soit par la poste soit par le chemin de fer.

                Nous vous prions également d'engager vos amis et vos connaissances à prendre part à cette oeuvre de foi et d'humanité.

                Nous inscrirons votre nom et le leur dans les registres de notre Institut, pour nous,en souvenir tousles jours dans nos prières, pour implorer les plus abondantes bénédictions du Ciel sur vous et sur tous nos bienfaiteurs, sur vos familles et vos oeuvres, certains que Dieu vous inscrira dans le livre de vie, dans le livre des prédestinés, car le grand saint Augustin nous l'assure: quiconque procure efficacement le salut des âmes, assure le salut de la sienne: animant salvasti, animam tuam praedestinasti.

                Que Notre-Dame Auxiliatrice, la Protectrice et la Mère de nos Missionnaires et des pauvres sauvages, vous obtienne de Dieu les plus précieuses bénédictions pour le temps et pour l'éternité.

                Turin, le 15 octobre 1886.

Votre bien dévoué en Jésus-Christ

J. Bosco prêtre.

 

                NB. Les charitables bienfaiteurs de nos Missions sont priés d'adresser leurs offrandes directement à Dom Bosco, rue Cotto­lengo, 32, à Turin (Italie).

 

D.

 

                Worthy and Much Esteemed Co-operators,

 

                I am glad to be able to send you a few of the interesting particu­lars which I am continually receiving from Patagonia and the other numerous Missions already opened in South America, and to place before you at the same time a few sketches of fresh enterprises, which the urgent wants of this distant people invite us to undertake as soon as possible.

                Now that our Missioners have traversed the immense plains of Patagonia from the Atlantic Ocean to the Cordilliers, and twice crossed over those famous mountains on their way to Chili, - in­structing and baptizing various tribes of savages as they went, at the cost. of innumerable provations and perils, - now I say, under the powerful protection of Mary Help of Christians, the time has come when we should take under serious consideration the means [716] of consolidating, perpetuating and vigorously advancing the good work already commenced.

                For those tribes, pacified and converted to the true Faith, having once tasted the.charms of a civilized and christian life, are mot to be contented with the mere passing visits of an apostolic Missionary, though it be he who has called them from their social misery to the genial light of the Gospel. Naturally enough they desire to have him continually amongst them, not only to direct, instruct and console them through life, but also and more especially to be by him assisted in sickness, and comforted by his hope-ispiring presence on the eve of entering the uncertain passage which leads to eternity.

                It is not therefore surprising if his Lordship, Dr. Cagliero Vicar­Apostolic of Patagonia, cannot bear to see the rites and comforts of our holy religion denied to those poor savages, who, notwithstanding their primitive degradation, are yet his dear children in Jesus Christ. But he has neither sufficient staff nor means to satisfy their ardent desire. For in order to establish fixed residences for Missioners in the Patagonian desert according as the natives unite in colonies or villages, he obviously requires a much greater number, of priests, catechists and mums, as also a goodly store of household chattels, provisions and diverse articles, indispensable both for daily sustenance and divine worship.

                Those poor neophites, though willing to assist us; can offer nothing to our Missioners save the sad spectacle of their deplorable misery. They themselves want everything, even to be clothed and maintained, especially in the first stages of their conversion.

                Hence the Mission is entirely dependent on the 'Pious Salesian Society and the Charity of our Co-operators.           And should we for this lose courage?

                Oh no! On the contrary, let us redouble our exertions in pro of this charitable undertaking which we have already laboured so much for.

                I also feel pleasure in participating to you, that (in order to render more secure the entire conversion of Patagonia) we have resolved to open a way on the Western side of Chili, and already a band of Salesians have gone there to found a college in the city of Conception.

                Thence will go forth columns of Missioners to evangelize Araucania and West-Patagonia,. spreading themselves later on, little by little in Terra-del-Fuego and the Archipelagoes of Chiloe and Magellan, peopled all by innumerable tribes without even an idea of religion or civilization..

                Fr. Fagnano, who at present is visiting the Malvine Isles, intends to explore every islet down to Cape Horn, studying at the same time the positions better adapted whereon to pitch the tents of the mew crusaders who soon are going to join him.

                It is difficult to imagine, dearly beloved Co-operators, how I am continually pressed and supplicated by our indefatigable Missioners. [717] and by the native inhabitants themselves, to send out fresh and mot inconsiderable reinforcements of men and money.

                Apropos. of which Fr. Louis Lasagna has returned from that distant land precisely to plead and make better known the wants and - thanks be to God - encouraging condition of our American Missions; nor has he neglected any means by whih hec might induce us to pre­pare this time also a numerous expedition of Salesian Priests and Nuns of Mary Help of Christians. He himself requires a goodly number for the Mission I have confides to his care in the vast Bra­zilian Empire, more extensive in itself than the whole of Europe together, and peopled almost exclusively by savages who range the immense forest of their native plains, languishing through ages for some friendly hand to draw them out of the ignominious barbarity in which they have been entombed for centuries, and which they         may yet be condemned to for who knows how many generations, if the zeal of the Missionary, sustained by the charity of the faithful, does mot come to succour and liberate them.

                Induced by those powerful motives, we have decided to prepare a fresh band of Missioners who will get forth, D. V., towards the end of November. Confiding in the prompt assistance and generous supplies of our Benefactors, we hope to be able to furnish at least some forty or fifty young messengers of peace and of the kingdom of heaven. But as our dear Co-operators may easily understand, the outfitting of so numerous a body incurs an enormous expenditure in Sacred articles and vestments, in clothing and habiliments generally, in church ornaments, school furniture and household utensils, with­out speaking of the not indifferent and more pressing expenses of baggage and travelling both by sea and land. Hence my only, my every hope after God Almighty, must be centred, dearly beloved

                Co-operators, in your generosity, that as you have succoured me in the past, you may also come to my aid in the present expedition. Wherefore I make a fresh appeal to your charity; harken to the Missioner's voice and the imploring cry which arises from hundreds of thousands of abandoned wretches in those far distant regions! Once more I implore our Benefactors to render us practicable this new expedition by assisting us in especial manner with their fervent prayers and with whatever offering they can send us, either in linen or linen-garments, in cloth or clothing, in church furniture or sacred vessels, or better still in money with which to defray the expenses of travelling and transport of luggage both by land and sea, - in short with whatever alms their piety suggests and their condition permits.

                At the Oratory in Turin, whence our Missionaries will set forth, we shall receive with gratitude whatever your industrious charity may think well to consacrate to this generous undertaking. [718] On the day selected for the departure of the Missioners I intend to confer with my beloved Co-operators in the Sanctuary of Mary Help of Christians, and while I now invite you, I cannot help begging you to have the goodness to search amongst your acquaintances and friends, whoever might desire to concur with his mite to this work of humanity and faith.

                We will inscribe your name and theirs in the registers of our Pious Institution, to remember them every day in our prayers, to implore from heaven copious benedictions upon you and upon all those who benefit us, upon your families and upon your undertakings, confident that God will inscribe them in the Book of Life, the Book of the Predestined, for, as St. Augustine says, whoever efficaciously contri­butes to his neighbour's salvation saves himself: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

                Mary Help of Christians, Protectrix and Mother of our Missioners and of the poor Patagonian savages, obtain from God for you every most desirable Benediction both spiritual and temporal.

                Turin, 15 October 1886.,

Yours affectionately in J. C.

Fr. JOHN Bosco.

 

                Charitable Benefactors of our Missions are requested to send their Offerings directly to Rev. John Bosco in via Cottolengo, N. 32, Turin, Italy.

 

E.

 

Wohlverdiente Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen!

 

                Es freut mich, theure Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen, dass ich im Stande bin, interessante Nachrichten, die mir von Patagonien and von andern zahlreichen in Siidamerika bereits eröffneten Missionen gekommen sind, Euch mittheilen and zugleich die Plane neuer Unternehmungen vorlegen zu können, die man wegen dringender Bedürfnisse jener entlegenen Völker so schnell als möglich , vornehmen sollte.

                Nachdem unsere Missionäre Patagonien vow atlantischen Oceane bis zu den Kordilieren der Anden durchgestreift, and um nach Chili zu gelangen, jene hohen Gebirge wohl zweimal übergesetzt hatten, and nachdem sie verschiedene Stämme der Wilden auf Kosten grosser Mühen and unglaublicher Gefahren katechisirt and getauft hatten: ist nun der Zeitpunkt gekommen, um wit Ernste darüber nachzudenken, wie man das bis dahin zu Stande gebrachte Werk befestigen and verewigen könnte.

                Denn jenen besanftigten and zum Glauben bekehrten Stammen [719] nachdem sie einmal die Süssigkeiten des christlichen und civilisirten Lebens gekostet haben, kommt es äusserst schwer, den Missionrr,  der sie zu dem socialen Leben und zum Lichte Evangeliums gerufen hat, nur von Zeit zu Zeit sehen zu Können.

                Und gánz mit -Recht, dieselben möchten ihn immer unter sich haben, um vor ihm belehrt, getróstet und geführt zu werden, aber vorzüglich um im Falle einer Krankheit und Lebensgefahr von ihm Beistand zu erhalten.

                Es ist somit gar nicht auffallend, dass der apostolische Vikar von Patagonien Mons. Cagliero den armen Wilden diese religiösen und gerechtesten Starkungen nicht widersprechen móchte; ie sind, ja seine liebsten kinder in Gesu Christo. Er aber besitzt wedett Personal noch hinreichende Mittel, um den heissen Wünschen jener Verunglückten genúgzuthun. Um sie jedoch in Kolorien und Dörfern zu vereinigen, ist er im Begriffe, in der. patagonischen Wüste bleibende Missionshaüser zu gründen, und dazu, was leicht begreiflich ist, bedarf er einer grösseren Anzahl der Priester, Katechisten und Schwestern und auch vieler materiellen Mittel, welche in socialen Leben und lm Gottesdienste unentbehrlich sind.

                Diese armen Neubekehrten, ungeachtet ihres besten Willens, kónnen unseren Missionären nichts geben ausser des Schauspieles ihrer beweinenswürdigen Noth. Sie selbst benóthigen Alles bis auf die Kleidung und Kost, hauptsächlich zu Anfange ihrer Bekehrung. Es ist mithin klar, dass das Loos dieser Missionere ganzlich vor der frommen Gesellschaft dei Salesianer und von der Barmherzigkeit unserer Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen abhdngt. Urd wir sollen vielleicht den Mut verlieren? Keineswegsl vielmehr mögen wir unsere Anstrengungen verdoppeln, um nicht jene Werke fallen zu lassen, die uns bereits so viele Mühen und Opfer gekostet haben.

                Ausserdem ist es recht zu wissen, wir haben, um den glücklichen Erfolg der ganzlichen Bekehrung von Patagonien zu sichern, eben festgesetzt, einen neuen Weg dahin zu eröffnen vom westlichen Theile vor Chili, und bereits eine Schar der Salesiarer sich begebe dahin, um ein Haus zu gründen jenseits der Kordilieren in der zu der Chilischen Republik gehürigen Stadt a Die Concepcion ».

                Und von da werden einst Missionär-Kolonien aufbrechen, um in Araukanien und im westlichen Patagonien das Evangelium zu lehren, und vor dort hernach werden sich verbreiten in Laufe der Zeit in magellanischen Archipelag in den sogenannten « Feuerländern », die  von unzahligen Stämmen der Eingeborner, bewohnt sind, welche keinen Begriff haben vor der offenbarten Wahrheit und von Civilisation.

                In diesem Momente eben soll Don Fagnano bereits auf den Malwinischen Inseln gelandet sein und vor dort wird er auf seinen Ausflügen alle jene Inseln bis auf den Kap Horn ausforschen und daselbst [720] wird er ausfìndig machen die mehr strategischen.und mehr geeigneten Punkte zur Gründung neuer Lager für die Soldaten des Kreuzes die ira Kurzen nach ihm hinziehen werden.

                Ihr kónnet kaum begraifen, theure Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen, wie viele und wie dringende Bitten von dort zu uns kommen von Seiten unserer unermüdlichen Missionäre und von den Vólkerschaften selbst, um ihnen neue und beträchtliche Verstärkungen in Mannschaft und lm Gelde zu schicken.

                Und um uns über die Bedürfnisse und über den, Gott sei Dark, befriedigenden Stand unserer Missionen in A Amerika naher zu bena­chrichtigen, ist geradé in dieser Zeit von jenen entlegenen Ländern einer unserer Missionáre, Namens Aloysius Lasagna zu uns gekommen, der auch durch seine ausserordentliche Vorstellungen uns dahin' gebracht hat, dass wir jetzt eine neue Sendung der salesianischen Missionáre und der Tóchter Maria,, der Helferin der Christen unternehmen wollen. Auch et hat nóthig einer ansehnlichen Zahl derselben für die Missionen, die ich ihm anvertraut habe in dem grossen Reiche von Brasilien, dessen Ausdehnung grosser ist als die von ganz Europa, und wo sich noch nicht erforschte und von Wilden bewohnte Gegenden befìnden, welche in unzuganglichen Waldern hausend, vor jahrhunderten her mit Sehnsucht einer freundlichen Hand erwarten, die sie ans der schandlichen Barberei herausziehen móchte.

                Und in derselben.werden sie, wer weiss wie lange schmachten wenn der Eifer der Missionáre, unterstützt von der Liebe der Gläu-bigen ihnen nicht zu Hülfe kommen werde. Durch diese kráftigen Beweggründe bewogen, haben wir für den nachsten November diè Expedition einer neuen Schar der Missionáre beschlossen, welche wenigstens die Zahl von dreissig erreichen werden und kônnen sie sogar übersteigen, wenn die Beisteuer der Wohltháter zu rechter ' Zeit und reichlich zu uns werden angelangt werden sein.

                Demnach, theure Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen, werdet ihr, leicht begreifen, es seien nóthig für die Ausrüstung eines neuen Gesch-waders vo1 Froberern der Seelen und von Fortpflanzern des Reiches Gottes auf der Frde sehr bedeutende Auslagen für die Kirche und für die heiligen Gerathschaften, Auslagen für die Kleidung und für die Wasche, Auslagen für die Schule únd die Wohnung, und vor Allem dringende Reisekosten für die Fahrt zu Wasser und zu Lande. Und somit bleibt mir nichts übrig, als meine ganze Hoffnung hinzulegen in Gott und in Eure Edelmüthigkeit, theuerste Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen. Wie ihr' in vorigen Expeditionen mir beigestanden habet, wollet mir auch jetzt beistehen in dieser Sendung, die wir beschlossen haben zu unternehmen, ungeachtet eines drückenden Mangels an materiellen Mitteln. Mit meinem Aufrufe einigen sich auch die Stimmen meiner theuren Missionáre und der trostlose Ruf so vieler armer Verlassenen von jenen entlegenen Ländern her. [721] Indesseu ersuche ich Euch, verehrte Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen, uns diese neue Expedition zu ermöglichen durch Gebete and durch Gaben, die verabfolgt werden kónnen in Geweben, Weisszeug,  Tuch and Kleidung, in Kirchengeräthen and heiligen gefässen and vorziiglich in Geld, womit wir die Reisexosten bestreiten kónnten, and endlich in irgend welchem Aluosen, jenachden es Euch Eure Barnherzigkeit eingiebt unn Eure Kräfte gestatten.

                In Oratoriun zu Turin, von wo die neuen Missionäre ihre Reise antreten werden, werden alle gaben mit Dankbarkeit angenonmen, die Eure betriebsame Liebe zu diesem edlen Zwecke senden wird, sei e vermittelst der Post, sei es mit der disenbahn.

                Indem bin ich so frei Euch zu bitter um die gütige Ernunterung Eure Bexannten zur thätigen theilnahme an diesem Werke der hu­nanität and dés glaubens.

                Wir werden Eure and ihre Namen in der Registern unseres frommen Institutes aufzeichnen, um sie jeden Tags bei unseren Gebeten zu gedenken und um vom Hinnnel reichliche Segnungen über Euch and über jene Alle herabzurufen, die uns Gutes erzeigen, über ihre Familier, über ihre Werke, vertauend, dass Gott sie aufzeichnen werde in dem Buche des Lebens, in dem Buche der Auserwählten, nach dem Aussprache des grossen heiligen Augustin: Wer das Heil der Seeleu mit Erfolg besorgt, der wird auch seine eigene Seele in Sicherheit stellen: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.

                Maria, die Helferin der Cristen, welche sich zur Beschützerin and Mutter unserer Missionäre and jener armen Wilden aufgestellt hat, móge Euch vom Gott alle móglichen geistlichen and zeitlichen Segnungen erhalten.

                Turin, don 15 October 1886.

Euer ergebenster in J. Ch.

J. Bosco, Priester.

                NB. Die mildthätigen Wohlthäter unserer Missionen werden er­sucht ihre Gaben gerade an D. Bosco in Turin, via Cottolengo N, 32, zu senden.

 

45.

 

Don Bosco e la catechizzazione dei selvaggi.

 

                Il noto prete Don Bosco ha avuto la degnazione di mandare anche a noi una circolare nella quale egli batte la gran cassa per le missioni cattoliche nell'America meridionale e nella Patagonia.

                Don Bosco è, come si sa, il braccio destro dei gesuiti in Italia. Meravigliosa è la sua attività, la sua raffinatezza, la sua furberia.

Se avesse applicato a fin di bene queste doti di iniziatore e di organizzatore, [722] l'Italia avrebbe in lui un benemerito; invece oggi ha un grande e temibile nemico, che fa molto male, che perverte il senso nelle nostre fanciulle, istupidite nelle pratiche delle figlie di Maria; che ruba alle famiglie, alle officine, agli studi civili un gran numero di fanciulli, per istillare nell'animo loro il germe del fanatismo clericale.

                Vera stoffa da industriale, Don Bosco ha capito che il buon mercato è la chiave della riuscita di tutte le più grandi intraprese moderne, e perciò i suoi sodalizi riscuotono tasse minime, che riunite insieme danno però una bella somma; nei suoi collegi si paga una retta insignificante; quando egli chiede non ispaventa colle pretese, si contenta di qualche litro di vino, di un po' di carne, di pochi soldi di qualche capo molto economico di vestiario.

                Don Bosco accetta tutto, ha le braccia sempre aperte per ricevere tutto quello che gli mandate.

                È una lezione che dà al governo, il quale rende costosa l'istruzione laica e fa pagare molto caro un posto in un convitto civile.

                Don Bosco ha in sè qualcosa di quell'industria che ora si suole chiamare, per antonomasia, dei fratelli Bocconi. È il genere veramente moderno.

                E difatti ecco questo Bocconi della Chiesa annunziare che partiranno per l'America meridionale e per la Patagonia nuovi missionari. Don Bocconi - pardon, Don Bosco - non si contenta di fabbricare questi  missionari; egli li fa uscire dal suo stabilimento, armati vestiti, imbagagliati e col borsellino guarnito. Tutto a sistema economico e a prezzi ridotti.

                Gli basta di invitare a concorrere a quest'opera le beghine e i sanfedisti di tutta Italia. Chi manderà 5 centesimi, chi mezza lira, ma finalmente dall'insieme ne verrà fuori un appannaggio sufficiente, magari anzi un civanzo, e la spedizione sarà fatta.

                Noi non abbiamo nessuna velleità di combattere di proposito e ad oltranza le missioni cattoliche. I preti ci vogliono creare qualcosa dell'Africa e della Patagonia in Italia; se vanno invece tra i selvaggi, abbiamo tanti minori fastidi tra i piedi; dobbiamo però non favorirle, e compatire, senza scaldarci troppo, i poveri selvaggi che ormai hanno tutte le ragioni di difendersi da certe importazioni.

Non è un paradosso, ma è una verità.

                Se si tolgono certe personalità eccezionali, come il Massaia o certi altri che fanno un po' di bene per ambizione illuminata, come monsignor Comboni, i missionari cattolici - checchè ne canti un sentimentalismo tradizionale - o sono fanatici che vanno a farsi ammazzare senza una ragione al mondo, o sono degli intriganti, degli ignoranti materialoni che credono di aver incivilito una tribù, un regno, quando hanno insegnato ad un centinaio di selvaggi il segno della croce, la genuflessione e simili esteriorità senza senso, che i selvaggi [723] imparano ed eseguiscono con una certa facilità, materialmente, per puro spirito di imitazione, perchè essi non sono per nulla i più prossimi parenti delle scimmie.

                Nei primi stadi della barbarie le missioni cattoliche sono perfettamente inutili. A ridurre i selvaggi all'esercizio di certe manovre religiose, riuscirebbero più prontamente dei giocolieri e dei commedianti perchè hanno maggiore facilità di comunicativa e fanno più colpo.

                Quando invece i primi germi dell'incivilimento cominciano a svilupparsi, le missioni diventano immediatamente una remora al progresso. La storia lo addimostra dappertutto, nel Paraguay per esempio.

                Il Paraguay fu la regione nella quale i gesuiti prolungarono per maggior tempo il loro dominio. Là essi erano padroni dispotici di tutto e di tutti, avevano diritti usurpati, ma ormai indiscussi sul suolo o sulle persone.

                Ebbene, questi precursori degli attuali missionari patrocinati da Don Bosco, ridussero il Paraguay ad un limbo di gente stupida.

                Lì tutto era fratescamente regolato. Di notte suonava una campana la quale indicava che in quell'ora e non prima, e non dopo, tutti i mariti paraguayani si dovevano ricordare di esser tali.

                In conseguenza appunto di questo vizio di origine, il Paraguay fu la regione americana più restia alla civiltà. Cadde sotto tirannidi efferrate e fino a non molti anni fa, rimase chiuso all'Europa e al resto dell'America più che il Giappone e la Cina.

                E il Paraguay sarebbe ancora peggio della Patagonia, se i gesuiti che n'erano diventati padroni, non ne fossero stati cacciati.

                Per cacciarli ci volle l'intervento del mondo civile, scosso dall'eco di orrori, di crudeltà e di immoralità inaudite e dal fallimento doloso di parecchie Case commerciali impiantate dai gesuiti stessi, per conto loro.

                In Africa i missionari italiani non fanno un gran bene per noi. Quelli che si trovano a Tunisi, a Tripoli, in Algeri, dove potrebbero esercitare con maggiore profitto un'influenza civile, sono nemici dell'Italia e fanno della politica antipatriotica, sobillati dal Vaticano, il quale  come abbiamo detto più volte - ha infeudato tutte le missioni al cardinale francese Lavigerie, temendo e odiando fin l'ombra di una influenza italiana.

                Quando ve n'è uno buono, il Vaticano si affretta a sostituirlo. Monsignor Sutter informi.

                Nell'America del sud noi non abbiamo bisogno d'inviare dei tonsurati. Abbiamo in quelle regioni larghe schiere di italiani che col loro lavoro, col loro coraggio fanno onore alla madre patria e ci procurano delle grandi risorse. Mandiamo laggiù dei bravi operai, dei lavoratori di terre, dei commercianti attivi e intelligenti. Solo allora ci faremo [724] onore e saremo sicuri di aver dei fratelli sui quali contare, e non dei nemici scaldati nel nostro seno.

                Ieri abbiamo raccontato che un giornale d'America c'insultava, dicendo di non conoscere altri italiani che i cantanti, i suonatori di organetto e i calderai.

                Non abbiamo bisogno che all'enumerazione poco lusinghiera sia aggiunta quella dei chierici.

 

                (La Riforma del 31 ottobre 1886).

 

46.

 

Per la cerimonia della partenza di Missionari.

 

A.

 

Benemeriti Cooperatori e Benemerite Cooperatrici,

 

                Mi sta a cuore di far sapere alle S. V. Che il 2 prossimo dicembre è stabilita la partenza dei nostri Missionari per l'America.

                Affinchè il loro viaggio lungo e pericoloso sia accompagnato dalla benedizione di Dio, è mia intenzione che si compia in quel dì una religiosa funzione coll'intervento almeno dei nostri cooperatori e delle nostre cooperatrici di Torino e di sue vicinanze.

                La funzione sarà, celebrata nella Chiesa di Maria Ausiliatrice e avrà principio alle 3 pomeridiane di detto giorno.

                Il Sac. Don Luigi Lasagna, capo dei Missionarii, terrà ai convenuti un discorso di circostanza in forma di conferenza.

                Sua Eminenza Reverendissima, il Cardinale Alimonda nostro Veneratissimo Arcivescovo, ha la grande bontà di onorarla colla sua presenza, impartire la trina benedizione col SS. Sacramento, e recitare sui Missionarii le preghiere della Chiesa pei pellegrinanti.

                Il Santo Padre Leone XIII, agli 11 del corrente mese, ebbe già l'alta degnazione di ricevere benignamente in udienza privata il prelodato Sacerdote Don Luigi Lasagna, e benediceva ai Missionarii e a tutti coloro che concorressero ad effettuarne la nobile impresa.

                Invito pertanto tutti i cooperatori e tutte le cooperatrici, che riceveranno questa lettera, a volere prendere parte alla detta Conferenza e di condurvi altresì quelle persone, che giudicheranno a proposito. Stanti le ingenti spese richieste per questo invio di operai evangelici nella Patagonia e nel Brasile, si farà una questua in chiesa in favore delle Missioni.

                Sono lieto infine di cogliere questa nuova occasione, per tutti ringraziarvi degli aiuti che mi prestate a compiere quest'opera, e assicurandovi che unitamente coi Missionarii colle suore di Maria Ausiliatrice [725] e con tutti i giovanetti di questa casa, invocherò ogni giorno sopra di voi e sopra le vostre famiglie le benedizioni del cielo, ho l'onore di professarmi con profonda graditudine Delle SS. VV. BB.

 

                Torino, 26 novembre 1886.

    Dev.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco

 

 

B. [726]

 

 

                Il est heureux de saisir cette occasion, d'assurer…..du profond respect avec lequel il a l'honneur d'être

                                15 Novembre 1886

                Turin (Italie) Rue Cottolengo, 32

 

VoIre trèshumble et obéissant serviteur

Abbé JEAN Bosco.

 

 

47.

 

Re e regno immaginario.

 

      a)

 

                                Molto Reverendo Padre,

 

                Pel tramite del Signor Cavaliere Gigante, Vice Console Arauco - Patagono in Roma, 14, Via dei Bagni, mi arriva una circolare di Vostra Reverenza di vecchia data, cioè 15 Ottobre 1886, con la quale Ella con generoso e santo proposito fa appello ai benevoli Cooperatori e Cooperatrici, perchè vogliano concorrere con ogni loro mezzo ad aiutare le Missioni destinate per l'Araucania - Patagonia e pel Brasile, onde catechizzare, battezzare e civilizzare quelle tribù, che sotto la volta celeste sono ancora idolatre e selvagge.

                Vostra Reverenza nell'aver aggirato il suo sguardo verso l'Araucania - Patagonia, non avrà certo ignorato come quelle popolazioni, per natura agguerite, ma generose d'indole, fin dal 1860 si elessero un Sovrano in persona di un generoso francese, Orèlie Antoine De Tounens, il quale avendo avuto la possanza d'installare la pace e riunire in un sol fascio le tribù rette da Caciques, con lo accordo di questi il Reame fu costituito sotto forma Rappresentativa, e dei trattati corsero tra il novello Re e le Repubbliche dell'Argentina e del Chili.

                Per avidità di conquista, le due confinanti Repubbliche pretesero sempre il territorio Arauco - Patagono; ma non vi riuscirono mai. E mentre Sua  Maestà Oréile Antoine si conduceva in Europa per trattare con le Potenze Europee, sventuratamente sen moriva, e Suo Successore addiveniva il valoroso Principe Achille de Laviarde, oggi Achille 1, che provvisoriamente risiede a Parigi, 110 Boulevard Rochechouart, continuando le pratiche affinchè con lo appoggio di Stati Civili possa andarsi a stabilire tra quei popoli, che già lo riconobbero qual Successore del Primo fondatore del Reame.

                Oggi non è più quistione di progetti; è il fatto finanziario quello che deesi finalizzare, e già le cose sono a buon punto.

                Non ha molto una numerosa deputazione di Notabili Arauco - Patagoni si recava in Francia per ossequiare il proprio Re e confirmargli l'alto mandato; ed un atto pubblico rogato da valido Notaio esiste [727] negli Archivii Notarili di Parigi, col quale Achille appare, come la luce del giorno, 20 Re eletto dell'Araucania - Patagonia.

                Io che trovomi fin da molti anni a Capo del Corpo Consolare creato e dal defunto e dall'attuale Sovrano, propugnai sempre perchè, essendo ardua la impresa, si fosse cominciato dalla Cattolica Religione, e perciò far pratiche principali presso il Vaticano per pensare a spedir Missionarii a quella volta, e così render men difficile lo accesso in prosieguo nel territorio Arauco - Patagono i cui confini sono dagli indigeni gelosamente guardati e custoditi.

                Sua Maestà, che mi onora di sua fiducia, trovò equo il mio suggerimento, e delle pratiche vennero aperte col Vaticano. Anzi, inviato straordinario ed incaricato d'affari Arauco - Patagono, presso la Santa, Sede fu nominato il Cavaliere, Avvocato di Sacra Rota, Carlo Lenti, dimorante in Roma, Via della Pedacchia 100, il quale è germano di Monsignor Lenti, Vice Gerente di Sua Santità.

                Dopo la esposizione di tali fatti, le dirò francamente che la Circolare di Vostra Reverenza mi ha confortata l'anima, e voglia Ella spedirmene un numero di esemplari, perchè mi attiverò con ogni mia possa pel trionfo della santa causa, di cui politicamente e religiosamente posso dirmi uno degli attivi promotori.

                Sarebbe anche bene che Vostra Reverenza si mettesse in relazione diretta con Sua Maestà, cui andrò a scrivere positivamente, e conosca altresì il Console Arauco - Patagono in Torino, Commendatore Felice Zanini; cui pure ho scritto contemporaneamente, ed abita in Via Santa Chiara N. 52.

                 Da questo momento mi metto a totale disposizione di Vostra Reverenza, e me le proffero con rispettoso ossequio.

 

                Napoli, II Gennaio 1887

                12, Via Due Porte a Toledo.

 

Il Console Generale Incaricato d'Affari

Comm. Gius. PIETRO GIUSTINI.

 

b) Le Missioni dell'Araucania e Patagonia.

 

(La Sicilia, Cattolica, 21 gennaio 1887).

 

                Riceviamo dal Consolato di Araucania e Patagonia a Palermo, e provvisoriamente a Bisacquino, la seguente che ben volentieri pubblichiamo.

 

                               Onor. Sig. Diret. del giornale La Sicilia Cattolica - Palermo

 

                Dovendo pensare seriamente a consolidare e perpetuare il bene fino ad ora fatto dai nostri missionarii, nel regno di Araucania Patagonia, [728] abbiamo bisogno del generoso concorso dei fedeli, dappoichè grandi mezzi abbisognano.

                Ella non ignora che per l'Araticania Patagonia è Vicario Apostolico Monsignore Cagliero, ma questi manca di personale e di mezzi sufficienti per stabilire residenze fisse in quelle lontane contrade.

                A cura della Società Salesiana sono stati spediti molti missionarii, ed altre nuove spedizioni di Missionarii Salesiani e di suore di Maria Ausiliatrice avranno luogo quanto prima; ma è indispensabile il buon concorso di generosi cooperatori e cooperatrici, acciocchè contribuiscano e con effetti di vestiario e con danaro e con arredi sacri.

                Io prego V. S. di prestarci, il suo validissimo aiuto, invitando col suo diffuso giornale la carità pubblica a voler concorrer all'opera santissima della pia Società Salesiana, la quale senza disanimarsi raddoppia i suoi sforzi, per non lasciare venir meno quelle opere che già costarono tanti sudori e sacrifizi.

                Le offerte potranno essere inviate direttamente al Rev.mo Sacerdote Don Giovanni Bosco degnissimo Prefetto della Missione della Patagonia e del Brasile, in Torino, Via Cottolengo N. 32 o alla Regia Legazione Arauco Patagona a Napoli, 12, via Due porte a Toledo.

                Spero che V. S. Onorevolissima accetterà la mia umilissima preghiera, ed inviterà la pubblica stampa a riportare quanto ella sarà per pubblicare, e ne la ringrazio distintamente.

Gradisca gli ossequii di chi si onora

                Di V. S., Sig. Direttore del giornale La Sicilia Cattolica, Palermo

 

                Bisacquino, li 15 gennaio 1887.

Devotissimo Servo

D.r GIOACHINO BONA

Console di Araucania Patagonia.

 

                Noi esortiamo i buoni e zelanti cattolici, che possono contribuire colle loro elemosine ad UN'OPERA così santa, a mostrarsi generosi, perchè è un'opera che torna a gloria di Dio e della Chiesa, come anche al bene di tante anime e alla vera civiltà.

                Mesi addietro abbiamo spedite 400 lire a Don Bosco offerteci da un pio e zelante cattolico di Palermo. Speriamo di raccogliere qualche altra somma ad un fine così santo. Se gli altri giornali volessero pubblicare la presente lettera farebbero cosa gratissima allo stesso zelante Console.

                Il giornale annuncia l'associazione delle Letture Cattoliche, XXXIV, pag. 54.

 

c) Della Secreteria di Stato.

 

                                Gentilissimo Sig. D. Rua,

 

                Non mi sarebbe stato possibile rispondere prima d'ora alla pregiata Sua del 17 p. p. Gennaio, appunto per aver voluto cercare ogni possibile informazione intorno al Regno Arauco - Patagonico. [729]

                Quando io leggeva la copia di lettera che mi si accludeva, primo mio pensiero si fu che non si dovesse dar retta a quanto vi si dice. Le mie indagini non hanno che confermato la mia prima impressione.

                In Secreteria di Stato, nessuno di noi intese mai parlare del regno indipendente L'Araucania - Patagonia, e l'Almanacco di Gotha neppure ne fa menzione. Volli visitare in persona l'Inviato Straordinario accreditato presso la S. Sede, l'Avv. Lenti, e questi mi raccontò alquanto più in disteso quanto è già narrato nella lettera del Sig. Console Generale. Dal tutto insieme, ho potuto trarre una sola conseguenza: che sono alcuni affaristi che si arrabattano con ogni mezzo onde ottenere il loro intento. E l'Avv. Lenti, per quanto germano del Vicegerente di Roma, non merita, a parer mio grande fiducia.

                Sarebbe a Propaganda che dovevano rivolgersi, ma neanche là si aveva notizia della cosa e l'unica notizia che avesse il Vaticano, proveniva dall'avere il Sullodato Sig. Lenti accennato qualche cosa a voce, a qualcuno della Corte Pontificia; ma nessun documento venne mai presentato. Nè lo potevano fare, chè il famoso regno esiste solo nella mente inferma di pochi individui. Esiste indubbiamente una regione, denominata Araucania, e confinante colla Patagonia, ma non esiste nessun dubbio che la stessa si trova entro i limiti riconosciuti della Repubblica Chilena. Ho potuto avere accurati dettagli da un ottimo mio amico, Monsignor Infante Concha, Chileno e noto al nostro Carissimo Don Bosco, per aver egli avuto gran parte nell'ottenere dei Salesiani per le missioni del Chilì. Monsignore Concha mi aggiungeva anzi che alcuni dei Salesiani, ultimamente approdati in America, sono precisamente destinati a quelle provincie Arauco - Patagoniche, le quali saranno ben presto collegate colla Capitale per mezzo di una ferrovia che si sta costruendo.

                Queste sono le informazioni che sono in grado di darle. A Napoli si può rispondere pochi cenni. evasivamente.

                Gradisca i miei cordiali saluti, lì estenda all'Amat.mo Don Bosco e Compagni e mi creda sempre di Lei

 

                Roma, io Febbraio 1887.

                Via Testa Spaccata N. 16.

 

Dev.mo Aff.mo

Mgr. M. ANTONINI.

 

d) Articolo della "Staffetta".

 

                Missioni. - Alla - volta della Araucania - Patagonia già partirono drappelli di Missionarii, ed altri si preparano a pigliar quella via per catechizzare e battezzare quelle tribù, le quali avendosi eletto un Sovrano, questi per trattati internazionali e finanziari è astretto a risiedere ancora in Europa. Però le missioni avendo il grande scopo di civilizzare ed istruire popoli ancora nudi di buone cognizioni abbisognano [730] di grande appoggio e sotto qualsiasi aspetto. Una circolare emessa dal Rev. Sacerdote D. Giovanni Bosco di Torino della Società dei Missionarii, invita i benevoli Cooperatori e Cooperatrici perchè aiutino l'opera sacrosanta intrapresa, spedendo biancherie, oggetti di vestiario, arredi sacri, e quanto altro, poichè in quelle lontane regioni mancandosi di tutto è alla generosità dei buoni che bisogna rivolgersi. Noi diamo posto di tutto cuore a questa notizia nelle colonne del nostro giornale, e facciamo caldo appello alla carità pubblica, affinchè ciascuno nelle proprie forze contribuisca al soccorso domandato. Le offerte potranno inviarsi o direttamente al Sacerdote Don Giovanni Bosco in Torino, Via Cottolengo N. 32 oppure al nostro ufficio in via Due porte al teatro nuovo in Napoli N. 12 per le analoghe trasmissioni. Essendo noi delegati di Sua Maestà il Re Achille I in questa Napoli, con giurisdizione su tutti gli altri Rappresentanti del Sovrano in Italia apriamo volentieri la sottoscrizione e lo appoggio dei generosi non ci verrà certo meno.

Commend. G. P. GIUSTINI.

 

e) Don Rua al Direttore della “Staffetta”.

 

Ill.mo Sig. Comm. Giuseppe P. Giustini

Direttore della Staffetta di Napoli,

 

                Già parecchie volte abbiamo veduto nel suo stimato giornale La Staffetta un cenno sulla circolare spedita dal Sac. Giovanni Bosco per chiedere soccorso per la spedizione di Missionarii per la Patagonia in dicembre scorso, al qual cenno va unito un invito di inviare a Don Bosco stesso od alla S. V. Ill.ma quale Delegato di S. M. il Re Achille I.

                Noi siamo ben riconoscenti della bontà con cui si compiacque far conoscere detta circolare e gliene rendiamo le dovute grazie; ci permettiamo però con sua buona venia di farle notare che non era intenzione del prelodato Don Bosco di aprire sottoscrizioni sopra alcun giornale, nè di dar incomodo ad altri per raccogliere le offerte; bensì solo invitare i sig. Cooperatori e cooperatrici ed altre persone caritatevoli a mandare direttamente qui a Torino quanto nella loro generosità avrebbero creduto opportuno. In tal senso venne intesa generalmente la circolare in questione dagli altri giornalisti che si limitarono a pubblicarla o quanto meno a dame un sunto.

                L'invitare poi a spedire offerte ad un persona             quale è la S. V.

                Ill.ma Delegato di S. M. il Re Achille I, potrebbe per avventura dare alla spedizione dei Missionarii un aspetto politico, dal che rifugge il Sac. Giovanni Bosco, il quale non ha altro di mira che propagare la nostra santa Religione e con essa la civiltà fra i popoli infedeli e fra i selvaggi della Patagonia, dell'Araucania e del Brasile.

                Autorizzato pertanto dal medesimo prego la cortesia della S. V. [731]

Ill.ma a voler inserire questa mia sul pregiato suo giornale a fine di ovviare ad ogni malintesa fra i suoi lettori.

                Gradisca i sentimenti di stima e gratitudine con cui godo professarmi

                D. V. S. Ill.ma

 

                Torino, 9 aprile 1887.

Obb.mo servitore

Sac. MICHELE RUA

Vic. del Sig. D. Gio. Bosco.

 

f) Risposta alla precedente.

 

                Legazione di s. M. il re

                di araucania - patagonia

                N - 32.

 

                Al Molto Reverendo Sacerdote D. G. Bosco - Torino.

 

                Presi buona nota della rispettabile sua 9 stante, e mi è uopo sottoporle, che in ammirazione per la impresa santissima di Vostra Reverenza, disponendo io dì un periodico proprio, credetti bene aiutare l'opera con una modesta propaganda. Nè interpretazione politica alcuna si è potuto attribuire a quella pubblicazione fatta nella Staffetta del 28 marzo p.p. poichè nelle mie parole sottoscritte non feci che far rifulgere l'atto caritatevole di Lei, ed il bisogno di illuminar i popoli ancora schiavi dell'idolatria e della infedeltà, mercè la santa parola dei Ministri della nostra Cattolica Chiesa.

                Ad eliminare però degli equivoci, servendomi delle idee espresse nella sullodata sua epistola, nella Staffetta del 15 corrente ho fatto apparire espressa rettifica, augurandomi di restarne Ella pienamente soddisfatta.

                Il pensiero di voler giovare ad mia causa tanto umanitaria, per la quale da parecchi anni presto la debole opera mia, mi avrà fatto forse giudicare troppo spinto; ma Vostra Reverenza creda pure alla mia fede, che la politica pel fatto che riguarda il mio Augusto Sovrano, la va trattata diplomaticamente, senza farne vana pompa per la stampa.

                Io vorrei schierarmi tra il novero dei suoi Cooperatori fedelissimi, e perciò se la mia povera individualità potesse valere qualche cosa realmente utile, mi tenga a tutta sua disposizione, e mi avrà fedele in egual modo lo sono al mio Graziosissimo Re Achille I.

                Continui Vostra Reverenza a lavorare pel progresso della civiltà e della religione dei nostri Padri, e si avrà dei devoti ammiratori.

                Le bacio la mano

 

                Napoli, 18 aprile 1887.

                12, Via Due Porte a Toledo.

Servitore di Lei Obb.mo

    G. C. GIUSTINI. [732]

 

48.

 

                Lettera del Vescovo di Montevideo

 

e risposta di Don Bosco.

 

A.

 

B.

 

                                Eccellenza Rev.ma,

 

                La ringrazio, E. R. della benevolenza e dell'appoggio prestato sinora ai nostri Salesiani ed alle suore di Maria Ausiliatrice che ad unanime voce riconoscono in Lei un padre affettuoso.

                Il mio caro Don Lasagna mi ha recato le sue lettere, ma più che quelle mi commossero le parole con cui Egli mi dipinge la carità e la protezione che Ella usa a questi miei figliuoli che hanno lasciata patria e parenti pel solo desiderio di salvare delle anime a Dio. [733] Posso assicurarla E. R. che sempre i Salesiani ed io ci ricorderemo ogni giorno di Lei e di questi giorni abbiamo incominciate speciali preghiere, perchè Dio la consoli nelle tribolazioni che le manda e perchè benedica la sua vasta diocesi tanto perseguitata.

                Da quanto mi espone Don Lasagna, veggo che essendo Las Piedras un luogo fuori del gran commercio non sarebbe colà possibile l'impianto di un ospizio di Artigiani; questo però si potrà con assai meno difficoltà aprire nella città di Montevideo, se Ella, E, R., ne continuerà il suo valevole appoggio e se i signori Jackson a cui già ho scritto in proposito vorranno prendersi a cuore tale affare.

                In novembre Don Lasagna partirà per alla volta di Montevideo con un'eletta schiera di Missionarii, per dare esecuzione a questo suo desiderio che è pure desiderio mio, come lo è in modo specialissimo di Gesù e di Maria.

                Prevedo, Ecc. Reverendissima, che se questa impresa godrà dell'interesse e della protezione sua. e dei buoni di questa città, apporterà gran bene alle anime, trionferà la Religione in tutta la repubblica dell'Uruguay, anzi l'America tutta ne godrà i benéfici influssi.

                Gradisca le preghiere e gli ossequi di tutti i Salesiani, mentre implorando la sua benedizione le bacio divotamente il sacro anello...

 

Obbl.mo Servitore

(firmato) Sac. Gio. BOSCO.

 

49.

 

Lettera di Don Bosco al Signor Jackson di Montevideo.

 

Ill.mo e Benemerito Signor Juan Jackson.

 

                Il nostro Carissimo Sac. Luigi Lasagna, grazie a Dio giunse qua felicemente la sera del 15 agosto p. p. giorno del mio 71.mo compleanno. Coi cordiali saluti ed augurii dei miei carissimi figli d'America, Egli mi portò eziandio mille felicitazioni da parte della S. V. Benemerita, e grande benefattore dei Salesiani dell'Uruguay. Io commosso e riconoscente verso l'esimia bontà della S. V., sinceramente la ringrazio delle sue graditissime felicitazioni, e le considero come sicura caparra della continuazione, del suo favore, e dei suoi potenti aiuti verso i miei carissimi figli Salesiani. In tale persuasione mentre ringrazio V. S. con tutta l'anima pel gran bene che già fece per noi, ripongo ogni mia fiducia nella grande sua carità per l'esecuzione di altre opere che in questi difficili tempi restano ancora a farsi in Montevideo, specialmente a favore della gioventù povera ed abbandonata. Infatti io penso che la S. V. sia davvero il benedetto istrumento dalla Divina Provvidenza designato per aiutarmi ad impiantare in Montevideo [734] un Ospizio Salesiano pei poveri giovanetti con a lato una chiesa dedicata come Santuario al Sacratissimo Cuore di Gesù; imperocchè da opera e Santuario siffatto, più che da ogni altra, noi dobbiamo aspettarci il trionfo definitivo che la Cattolica Religione riporterà eziandio in cotesta Repubblica per grande consolazione dei buoni e per la maggior gloria di Dio.

                Assicuro poi con tutto il cuore V. S. che aiutandoci ad erigere tale Ospizio e chiesa farà una delle opere più gradite a Dio, e più utili alla città di Montevideo. Quindi ben volentieri lascierò che ritorni in codesta Città e Repubblica a lavorarvi con zelo ed abnegazione il nostro Caro Don Luigi Lasagna che alcuni giudicavano conveniente ritenere qui per gli interessi generali della Congregazione. Anzi farò che ritorni presto ed accompagnato da un buon numero di figli miei e figlie di Maria Ausiliatrice, perchè l'aiutino a condurre a termine le opere già intraprese e quelle che ancora si devono necessariamente intraprendere.

                Ci aiuti dunque Lei e la sua degna famiglia coi mezzi che Dio pose nelle sue mani, e noi Salesiani ci porremo intieramente a sua disposizione per promuovere in cotesta Repubblica il maggior bene possibile ed anche al più presto possibile, dedicandovi di cuore e tempo, e ingegno, e salute, e vita.

                Io pertanto la benedico e ringrazio anticipatamente, o mio buon Signore, e l'assicuro in nome di Dio che così facendo s'attirerà certo dal cielo particolarissime benedizioni per sè e per la sua famiglia e pel suo paese, e quel che più monta si assicurerà una bella corona e un bel posto in Paradiso, quale io le prego ed auguro con tutto il mio cuore.

                Finalmente invocando ancora una volta le migliori benedizioni del Cielo sopra della S. V. Benemerita e di tutti i suoi parenti ed amici per cui pregherò e farò sempre pregare i miei giovanetti, con grande rispetto e riconoscenza mi professo in G. C. S. N.

                di V. S. Benemerita

 

                Torino, 10 settembre 1886.

 

Obbligatissimo Servitore

(Firmato) Sac. Gio. Bosco.

 

 

50.

 

Lettera di Don Cartier a Don Rua.

 

                                Bien cher père D. Rua,

 

                J'ai profité du passage de S. M. D. Pedro pour lui faire une visite an nom de notre bon Père Dom Bosco et de tous ses enfants du Brésil. J'arrivais à Cannes vendredi dernier par un temps fort désagréable, et après avoir salué quelques amis de Dom Bosco, entre autres Mr [735] Guigou, je me rendais à l'Hôtel Beauséjour. Je demande à voir Sa Majesté. - Impossible, m'est-il répondu; l'Empereur déjeune et doit aussitôt après partir pour Nice. - J'insiste, on me fait signer sur un registre de l'empereur, puis on me demande ma carte.

                Je la donne après,y avoir écrit à la suite de mon nom: De la part de Dom Bosco. Je suis enfin introduit et reçu par M. le Vicomte de Nivac, chambellan de sa Majesté. C'est un homme tres affable et fort distingué; il à servi dans la marine française comme officier de bord. Ii m'a parlé de la maison' de St.  Paul et de son aimable directeur, qu'il a eu occasion de connaître et à qui il a parlé en maintes circonstances. Il m'a promis de se servir de tout son crédit auprès de l'empereur en faveur de nos maisons du Brésil.

                A 11 11 h. l'Empereur se leve de table et me consacre les quelques minutes, qui lui restent avant le départ du train qui devait l'emmener à Nice. J'ai été reçu de la maniere la plus affable.

                L'Empereur, en me serrant la main m'a demandé, avant tout des nouvelles de Dom Bosco: - Et Dom Bosco comment va-t-il? Est-il à Nice? C'est un grand homme... un saint... je l'aimé beaucoup... il fait beaucoup de bien. J'aime beaucoup ses oeuvres et surtout la maison de St. Paul où l'on fait beaucoup de bien. - Je me retirai, après avoir exprimé à Sa Majesté les regrets de Dom Bosco, qui aurait été tres heureux de recommander lui même à son auguste Personne, ses enfants du Brésil et de Nice. L'Empereur me réspondit qu'il regrettait bien de devoir partir si tôt de Cannes, car il eut été heureux dg visiter notre maison de Nice. Même affabilité de l'Imperatrice et même empressement à me témoigner sa vénération pour Dom Bosco et son admiration pour ses oeuvres. Elle m'a particulièrement recommandé de faire dire à Dom Bosco de bien prier pour l'Empereur et pour Elle.

                Ma visite est faite et je repars pour Nice. L'Empereur devait partir de Cannes le dimanche, je n'avais donc pas du temps à perdre si je voulais une seconde audience. De retour, au Patronage, vite je compose une lettre de remerciments et prépare quelques objets pour les présenter à leurs Majestés. Le samedi matin Dom Fasani se rend à Cannes; est reçu par Dom Pedro et lui présente deux volumes de Dom Bosco par le Dy. Despiney et trois grandes photographies de Dom Bosco, un exempl. des Idées de Dom Bosco. Le tout est très favorablement accueilli. L'Empereur en considérant Dom Bosco, dit: - Je ne me contente pas de le voir en image, je veux le voir en personne... oui, j'irai le voir.

                Espérons que cette démarche auprès du Souverain du Brésil sera avantageuse pour notre OEuvre et tournera à la plus grande gloire de Dieu.

                A autre chose maintenant. Les finances nous font toujours la guerre. Nous ne savons plus de quel côté nous tourner. Nous nous occupons actuellement de payer nos dettes! que la Providence nous aide! [736]

                L'intérieur de notre maison va bien.

                Deo gratias.

                Je vous prie de dire à Doni Bosco les choses les plus affectueuses de ma part. Je soupire beaucoup après l'heure de le posséder à Nice.

                Nous l'aimons tous beaucoup. Nous nous recommandons tous à ses saintes prières surtout pendant la neuvaine de l'Immaculée

 

                Nice, le 28 9.bre 1887.

                L. CARTIER D.

 

 

51.

 

Lettera di Don Riccardi a Don Bosco

 

Carissimo e Reverendissimo Sig. Don Bosco,

 

 

                Dopo l'ultima mia del 2 corrente sorsero alcune novità che credo bene comunicare alla Paternità sua, pensando le giungeranno care. Come ebbi più volte a scrivere, nel tempo di nostra dimora in Patagones, l'amatissimo nostro Monsignore coll'affabilità sua propria e co' bei modi e franchi, che lo caratterizzano quale primogenito del carissimo nostro papà Don Bosco, si attirò l'ammirazione prima, e poscia, poco a poco, una generale simpatia che potrebbesi fors'anche chiamare affezione delle Autorità e delle popolazioni di entrambe le sponde del Rio Negro.

                Frutto consolante di ciò si fu primieramente l'avvicinamento delle Autorità verso i Salesiani, indi la conciliazione con i medesimi avveratasi il dì della Natività di N. S. Gesù Cristo, come ne scrissi a suo tempo alla S. V. per mezzo d'una mia diretta al caro Don Lazzero. In questi giorni poi abbiamo avuto a ringraziare il Signore e Maria SS. Ausiliatrice per altro favore.

                Il signor comandante delle forze militari del Rio Negro, che è eziandio il segretario del signor Governatore, generale Winter, venne appositamente da Viedma in Buenos - Ayres per collocare due suoi figliuoli nel nostro Collegio di Almagro.

                Persuaso che solamente un'educazione cristiana può giovare a rendere buoni ed utili cittadini, e che la scienza sola non basta all'uomo, se non va unita colla religione, egli, educato ne' suoi primi anni nel Collegio dei RR. PP. Gesuiti, affidò ai Salesiani l'educazione de' suoi figliuoli. E noi li accettammo con gioia e proponemmo di far loro tutto il maggior bene possibile.

                Questo fatto, carissimo sig. Don Bosco, segna un gran passo innanzi per le nostre Missioni, a parer mio.

                Infatti questo signor Roa nutrì per molto tempo un'avversione fortissima, un vero odio mortale contro il nostro Don Fagnano e contro i Salesiani in generale, cui non cessò di combattere con ogni arte ed [737] astuzia in pubblico col giornale La Patagonia, di cui è proprietario e redattore e che stampasi in Viedma; ed in privato giovandosi della posizione sua di seconda Autorità dopo il Governatore, per contrariare ogni progetto per l'evangelizzazione dei poveri Indii della Patagonia. Il male ch'egli ha fatto ai Salesiani ed alle Missioni loro affidate solo Iddio lo può misurare, che intuetur et scrutatur cor.

                Noi pertanto giustamente ringraziamo il Signore, ed attribuiamo ad un favore straordinario di Maria SS. Ausiliatrice questo avvicinamento e la fiducia di un tal uomo verso dì noi, e crediamo, come dissi, che ciò sarà segno di un prospero avvenire per le nostre Missioni.

                Di questi giorni pure l'amatissimo Monsignore ha ricevuto una lettera da Don Milanesio, il quale annunziava essere giunto a Malbarco[464] al principio di febbraio, aver finora battezzato più di mezzo migliaio di persone, gran parte creature di Indii, e sperar assai bene da quella popolazione numerosissima.

                Egli di là potè traversare le Ande e discendere in Chile fino alla città di Chillan per alcuni affari della Missione.

                Nella traversata dal fortin Roca alle Colonie Malbarco, ci scrive che ebbero a soffrir assai la fame, e che certamente sarebbero tutti periti, se la Divina Provvidenza non avesse fatto loro incontrare nel deserto una vacca perduta da molto tempo e quasi selvatica, colta la quale al laccio ed uccisa, poterono ristorarsi colle sue carni.

                Don Savio continua lavorando nella colonia di Santa Cruz, e presto speriamo sapere sue notizie.

                Don Beauvoir partì il giorno 3 corrente per il Cabo de les Virgenes, ove si scopersero le miniere d'oro e sta formandosi una colonia. Questo punto dista da Santa Cruz circa 250 miglia e forse più.

                Don Fagnano, appena sbrigato di alcuni affari che lo ritengono in Patagones, partirà per Punta Arenas, Terra del Fuoco e Malvine.

                Carissimo Don Bosco, ecco le Missioni aperte!

                Ma, oh! mio buon Dio, con quanto poco personale! Eppure forza è contentarsi così, almeno per ora.

                Nel giro dato in questi due mesi per le nostre Case d'America, l'amatissimo Monsignore ebbe a toccar con mano il molto bisogno di aiuto che tutte e ciascuna di loro ha, e quindi, anzichè diminuire il personale per provvedere alle necessità delle Missioni, è costretto ad aiutarlo con varie vestizioni e ordinazioni sacre.

                Sei furono gli studenti ascritti che vestirono l'abito religioso in Colon, e tre in Almagro.

                Tre le ordinazioni. Una in Colon, altra in San Nicolas e la terza fra pochi giorni qui in Almagro.

                Furono ordinati sacerdoti nella prima i confratelli Don Giovannini, Don Solari, e suddiacono il ch. Zatti.

                Nella seconda tre furono i sacerdoti, Don O'Grady, Don Rinaldi [738] e Don Zaninetti, e ricevettero gli Ordini Minori i ch. Garbari e Terzuolo.

                Nella terza ordinazione, che comincierà posdomani, ordinerà per la fine del mese sacerdoti i chierici Milano e Paolini, diacono il ch. Piovano, e minoristi il novello chierico Capriolio e il chierico Baldan,

                Con tutto ciò non sa ove rivolgersi per provvedere di un buon Cura la parrocchia di Viedma, essendo Don Remotti inabile ed invalido, cui conviene richiamare in Buenos - Ayres quanto prima, e non potendo Don Piccono portare convenientemente tanto peso sulle sue spalle.

                Ma questi fastidii li vuole tutti per sè l'amatissimo Monsignore, il quale, sempre fisso mente e cuore lassù unde veniet auxilium, di nulla teme, e da queste stesse difficoltà sentesi vieppiù animato a tirar innanzi, persuaso che, quanto più difettano gli umani soccorsi, altrettanto abbonda la grazia di lassù.

 

                Carissimo Sig. Don Bosco, al principio del prossimo aprile faremo ritorno, a Dio piacendo, alla diletta nostra residenza di Patagones.  Preghi e faccia molto pregare per l'amatissimo Monsignore, affinchè il Signore gli conceda sempre un'ottima salute, quale finora godette, sicchè possa condurre a buon fine le incominciate sante imprese a gloria di Dio e di Maria Ausiliatrice ed a bene di tante povere anime; e preghi eziandio per tutti noi, suoi affezionatissimi figli d'America che tanto l'amiamo nel Signore, al quale lo raccomandiamo ogni giorno ed ogni ora con tutto l'ardore di un affetto filiale ardentissimo. Nè voglia dimenticarsi di me che tanto ho bisogno delle sue sante orazioni per corrispondere degnamente agli innumerevoli favori di cui sono a Dio ed a Maria SS. Ausiliatrice ed a V. S. debitore.

 

                Almagro, Buenos - Ayres, 12 marzo 1886.

 

Suo affezionatissimo nel Signore

 Sac. ANTONIO RICCARDI.

 

 

52.

 

Lettera di Don Costamagna a Don Rua sulla casa di La Plata.

 

                                Rev.mo e Car.mo Sig. Vicario D. Rua,

 

                V. R. mi ha chiesta notizia delle cose nostre in La Plata. Eccomi a soddisfarla.

                Quella si può chiamare piuttosto una missione che una casa, sia perchè ancora, non vi sono addetti che due confratelli Don Scagliola [739] e Antonio Ruggero, sia perchè ciò che in quel punto fanno i Salesiani ha tutto l'essere di una missione. Poveri Italiani! Essi sono capitati a migliaia alla Plata colla speranza di far danaro, non perdendo la loro religione, e non appena videro sorgere tra le loro case una chiesa abbastanza vasta (è di tre navi benchè sia di legno) molti di essi giubilarono. Ma il demonio qui in America è tremendo. Si figuri che vi ha chi offre cinque, sei e perfino dieci scudi a chi tralascia di andare a messa. Questo lo so da fonte certissima.

                Or bene, sapendo che l'amor al danaro non solo benda gli occhi, ma fin anco lor li cava ai nostri connazionali, chi non griderà come me: Poveri Italiani! E chi potrà con tutta facilità suggerire ad un amico suo di costì: - Va colà tu pure, vàtti a far l'America? - Si farà l'America (se la farà), ma disfarà la propria anima.

                Ieri mi portai a visitare i nostri confratelli della Plata, per erigere colà la Via Crucis e per predicare la chiusa del mese del Sacro Cuore, a cui quella Chiesa è dedicata.

                Ha visto? Anche in questa Repubblica i Salesiani hanno una chiesa del Sacro Cuore. Pare proprio che il Sacro Cuore ci voglia un bene straordinario a noi poveri Salesiani; ma per certo che esigerà una corrispondenza eziandio non ordinaria.

                Per l'altro assistendo ad una accademia che le nostre educande del collegio di Maria Ausiliatrice di Almagro fecero allo stesso Sacro Cuore di Gesù, mi feci persuaso vieppiù di quanto dissi testè. Quelle educande arrivando alla fine di un dialogo mi uscivano in queste parole: “Dunque ogni educanda deve essere una specialissima divota del Sacro Cuore, perchè ogni educanda deve imitare le proprie maestre, le suore di Maria Ausiliatrice, le quali devono imitare i Salesiani loro fratelli, i quali devono imitare il loro padre Don Dosco, il quale Don Bosco fu eletto dal Signore per essere un apostolo speciale del Sacro Cuore come si prova.

                I° Dall'essere Don Bosco il primo Salesiano e dall'aver innestata la sua famiglia a quella di S. Francesco di Sales che ebbe da Dio speciali visioni sopra il Sacro Cuore ed una figlia sua, l'Alacoque, che promosse il gran culto.

                2° Dall'avere il Papa, Vicario di Gesù, dato a Don Bosco il còmpito di erigere il primo tempio del mondo dedicato al Sacro Cuore.

                3° Dall'essere posseduto Don Bosco da un grande desiderio di innalzare su tutta la terra templi al Sacro Cuore come già lo dimostrano la Chiesa di Roma, La Plata, S. Paolo al Brasile, e il Tibidabo in Ispagna”.

                Per adesso non ho altro a dirle se non che mi interceda presso Don Bosco una speciale benedizione di Maria Ausiliatrice e che raccomandi di gran cuore al Sacro Cuore questo di Lei aff.mo obb.mo tener.mo in G. C.

 

                Buenos Ayres, 5 luglio 1887.

 Don GIACOMO COSTAMAGNA. [740]

 

53.

 

Lettere di giovanetti da Pafagones a Don Bosco.

 

A.

 

                               Querido P. I. Bosco,

 

                Los niños del Colegio S. José no quieren dejar pasar este año sin festejar su Santo. Ya sabemos que Ud. nos ama más que los de Turin y también nosotros amamos à Ud. mucho.

                Oh cuanto desearíamos estar en el Oratorio un momento en el día de su fiesta para tomar parte de las academias! Pero á lo menos le podemos dar una buena comunión; de regalo.

                Bendiga á su hijo y reconocido

                Patagones, 19 de Mayo 1886.

NICOLAS CANERO.

 

B.

 

                Querido Padre,

 

                Hemos sabido que Ud. nos quiere mucho más que los de Europa y que aunque con gran sentimiento hizo el sacrificio de mandar á nuestro provecho á Su Señoria Monseñor Cagliero. Nosotros también queremos mucho á Ud. Yo no soy zapatero, sino estudiante pupilo del Colegio. El la de su Santo todos haremos la comunión y tocaremos la banda hasta la taxde; en seguida iremos al recreo. Después que hemos tocado la banda, vamos á tomar un vazo de vino y unas galletitas. Yo siempre estudio y los Domingos oigo la misa con mucha atencion y siempre rezo muy bien las oraciones y recibo la comunión. Querido padre, le pido su .santa bendición y le beso

                Patagones, Mayo 20 de 1886.

Su afectisimo hijo

OCTAVIO CORDOBA.

 

54.

 

Relazione a Propaganda Fide sulla Missione patagonica.

 

MISSIONES PATAGONICAE.

(Congregatio Salesianorum).

 

                Patagonia ad extremitaterim Australem Am. Merid. a flumine Río Negro ad fretum Magellanicum protenditur. Eam a borea ad austrum . porrecti montes Ande inaequaliter partiuntur. Exigua ac saxosa ora ad occidentem, declives tractus amplaeque planities ad orientem praedictorum montium patent. [741] Superficies Patagoniae 776.000 kilometris quadratis estendi dicitur. Inesplorata adhuc pleraque regio ignoratur. Ceterum brevi; inductis coloniis, haec terra civilibus artibus domanda videtur. Ad austrum freti Magellanici circumfusae per Oceanum insulae plures et amplae extant, Terrae Magellanicae, communi nomine, nuncupatae. Terra del Fuoco ita dicta insula 47.000 Kilom. quadr. superficie exten-ditur, montuosae indolis ac rigentis Coeli.

                Origo Missionum.

                Sacra expeditio christiano nomini ad Patagones proferendo anno 1875 exordium sumpsit per Presbyteros e Congr. Salesiana, qui egregio zelo sub dependentia Antistitis Bonearensis id operis susceperunt. Aliquot igitur in Argentina Republica Salesianorum familiis institutis, veluti futurae Missionis Seminariis, prima statio in Patagonium finibus, ope ac consilio Archiepiscopi Friderici Aneyros, ad flumnn Rio Negro in urbe Carmen erigitur. Multae exinde institutae domus ac, divina opitulante gratia, amplificata plurimum christiana res est. Hinc per Decretum S. C. diei 15 novem. 1883 et Breve Ap.licum regnantis Leonis XIII postridie editum, erectus est Vicariatus Apostolicùs in septentr. Patagonia; ac mox per Decr. S. C. datum die 26 eiusdem mensis et anno Praefectura Apostolica in meridionali Patagonia proximisque insulis excitata est. Non defuerunt postac sueta Religioni bella, quae nunc tamen poni videntur.

 

PATAGONIAE SEPTENTRIONALIS VICARIATUS APOSTOLICUS.

 

                Confinia. - Ad sept. habet Regionem: Pampas, vel Flumen, Colorado; ad Or. Oceano Atlantico contenitur: ad Occ. vallatur montibus vulgo, Cordigliere delle Ande; ad Mer. certo fine nondum coarctata Missio est.

                Lingua. - In publicis negotiis hispanica adhibetur: Indi vero lingua utuntur propria, multis divisa dialectis, hispanicae tamen linguae paullatim assuescunt.

                Clima. - Varium et ventis obnoxium, rari imbres, temperatus aér, interiores regiones salubres.

                Iurisdictiones limitrophae. - Ad sept. Dioecesis Mendosina et Arcidioecesis Bonearensis: ad Occ. Dioecesis B. M. Conceptionis et S. Caroli Ancudiana, utraque in Chile.

                Civiliter. - Subest Reipublicae Argèntinae.

                Catholicorum numerus est 25.000; haereticorum 2000. Indigenae in regionibus usquehuc exploratis existimari possunt 20.000.

                Vicarius Apostolicus. - Ill.mus D. Ioannes Cagliero e Congr. Salesianorum Ep. tit. Magiden. Residentia Carmen de Patagones.

                Paroeciae. - 3 extant. Patagones, Viedma, Chubut. [742] Stationes cum Oratorio 8 sunt; Carmen, Mercedes, Pringles, Conesa, Roca, Malbarco, ad ora fluminis Rio Negro; Chubut atque Santa Cruz ad oras fluminis omonymi.

                Stationes cum residentia sunt 5: stationes secundariae 45. Missionarii Sacerdotes habentur 14: clerici 10: catechistae 10. Nullus indigena.

                Instituta educationis. - Duo initiantur Seminaria. Collegia ad litteras et artes addiscendas, 4. Alunni interni 25, externi 200. Scholae elementares a Missionariis directae habentur 8; et a Gubernio 15 substentae pro pueris: eorum numerus ad 700 attingit.Familiae Religiosae extant duae, vulgo: Figlie di Maria Ausiliatrice, cum 6 scholis et 2 Congr. festivis. diebus. Alunnae internae 20, externae 500.

                Scholae pro puellis a Gubernio substentae 20, et numerus puellarum g00. Xenodochium 11 in Carmen.

 

PATAGONIAE MERIDIONALIS PRAEFECTURA APOSTOLICA.

 

                Erecta est ex decr. diei 27 Novembris anno 1883, in regionibus australibus Patagoniae.

                Confinia. - Ad sept. Flumen vulgo, Santa Cruz; -ad Orientem Oceanum Atlanticum: ad Occ. Montes vulgo, Cordigliere;  ad Mer. Fretum Magellanicum, Insulae vulgo Terra del Fuoco et Malvinae.

                Iurisdictio. - Limitatur ad sept. Vicariato Ap.t.co; ad Occ. Chilena Dioecesis Ancudiana.

                Lingua. - In publicis negotiis hispanica adhibetur. Indi vero lingua utuntur propria multis divisa dialectis: hispanicae tamen linguae paullatim assuescunt. In insulis Malvinis lingua anglica incolae utuntur.

                Catholicorum numerus est 300o, haereticorum 800, indigenarum 6000.

                Paroecia. - i extat, Punta Arenas ad Fretum Magellanicum.

                Stationes. - primariae 2; in insula Malvina, et ad flumen S. Cruz.

                Stationes. - secundariae 4: Gallegos, Cabo Virgenes, Usciunaia, Isla de los Estados.

                Praefectus Apostolicus. - R, D. Ioseph Fagnano e Congr. Salesia­norum.

                Missionarii. - Sacerdotis 5, Catechistae 3. Nullus indigena. Scholae Catholicae incipiùntur 2. Alunni numerantur ioo.

                Haec regio partim ad Remp. Argentinam, partim ad Chilenam civiliter pertinet.

                Patagones, 19 noviembre 1886.

                D. A. RICCARDI Secret. [743]

 

55.

 

Relazione a Don Bosco sulla Missione patagonica.

 

 

                                Rev.mo e sempre Carissimo Sig. Don Bosco,

 

                Penso non le sarà discaro conoscere anche brevemente e per summa capita quel poco o tanto di bene che, mediante la grazia e protezione di Dio e di Maria SS. Ausiliatrice, per le orazioni della S. S. Carissima e di tante anime zelanti della gloria di Dio e della salvezza delle anime, i suoi lontani figli, sotto la guida e dietro l'esempio dell'amatissimo loro Duce e Pastore, mons. Cagliero, hanno potuto fare nel corso di poco più di 14 mesi in questa Missione della Patagonia.

                Varie furono le missioni date e tutte con esito soddisfacente.

                I. La prima capitanata dallo stesso amat.mo Monsignore, incominciò il giorno 3 e s'interruppe il 29 Novembre del 1885. Si visitarono in essa 14 Stazioni o Centri più o meno popolati, sulle sponde del Rio Negro, per una estensione di 40 e più leghe da questa Residenza. Furono i battesimi amministrati in numero di 135, le Cresime in egual numero, 16 i matrimonii e ben 252 le Comunioni.

                2. La seconda, che ben può dirsi la continuazione della precedente, cominciò il 3 Dicembre e terminò il 13 Luglio del presente anno.

                In questa missione che arrivò fino alle Cordigliere (le quali due volte valicò il nostro Don Milanesio recandosi fino alla Concepción, del Kilì) si visitarono circa 40 stazioni, e mediante il caritatevole generoso soccorso dei RR.di PP. Certosini di Grenoble[465], furono in grado i Missionarii di attirare a sè ed istrurre e battezzare più di 700 Indii di diverse tribù e 500 e più Indigeni.

                Celebrarono una sessantina di Matrimonii, e raccolsero in quelle remotissime terre non meno di 2000 Comunioni.

                Cogli accennati soccorsi, Monsignore trovossi eziandio in grado di dare una risposta consolante alll'Em.mo Vicario Cap. di Concepción, il quale da tanti anni va supplicando la S. V. C.ma per avere colà i Salesiani, cui affidare oltre ad una Casa per poveri giovanetti nella Città, eziandio le importantissime Missioni dell'Araucania al Sud. Là pure, dico in Concepción, potrebbero coltivarsi con buone speranze non poche vocazioni; e di là verrebbero periodicamente inviati Missionarii [744] incontro ed in sollievo di quelli che stanzieranno tra poco in Malbarco, Roca ed altri punti.

                3. La terza Missione, partiva di qui il 27 Agosto e terminava il 7 Ottobre corrente. Oltre alle varie stazioni sul Rio Colorado, visitò il zelante nostro Don Milanesio la popolazione di Bahia Blanca, e nei suoi dintorni potè catechizzare circa 50 Indii, battezzandoli in seguito e preparandone una sessantina e più alla S. Comunione. Fra questi Indii eravi una vecchia di 110 anni per nome Francisca Raninqueo, altra di anni 80 ed una terza di oltre 70.

                4. Altre piccole Missioni si diedero nel corso di questo tempo e quasi periodicamente ogni mese, or dall'uno ed ora dall'altro dei Confratelli di queste due Case, nei diversi centri o stazioni dei dintorni, nel circuito di circa 20 leghe.

                5. Altra opera si potè impiantare quest'anno a favore dei poveri Indii: ed è una visita ed istrazione catechistica settimanale alle varie famiglie Indie trattenute nei dintorni di Viedma, per ordine dell'autorità militare. In mancanza d'altri mezzi, abbiamo dovuto sobbarcarci alla spesa di più scudi la settimana per regalar loro un po' di pane, e far che accorrano più pronti così al Catechismo. Per mezzo del pane corporale, Dio voglia che possiamo eziandio arrivare a somministrare loro il pane spirituale.

                6. Si potè pure ottenere di catechizzare un poco i soldati, che a quest'uopo si conducono quasi ogni Domenica a Messa.

                7. Organizzaronsi e diedesi incremento alle Compagnie delle Figlie di Maria in entrambe queste popolazioni.

                8. Instituissi per i giovanetti delle nostre Scuole, e per le ragazze delle Scuole delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l'Esercizio della Buona Morte, con ottimo risultato.

                9. Lo zelo ardente ed indefesso dell'amatissimo Monsignore riuscì quasi contro ogni speranza, ad impiantare in Patagonia prima e poi in Viedma l'Associazione dell'Apostolato dell'Orazione per le Madri di famiglia e le giovanette più adulte, e con tanto buon esito che già contansi non poche decine di ascritte con le relative zelatrici. Ambedue queste Pie Associazioni pare gettino sempre più profonde le radici nel devoto femineo sexu, ed oh! piacesse al Cielo che loro mercè si ottenga pur qualche segnale di fede dagli adulti!

                10. A costoro non si omise di somministrare puranco i mezzi di convertirsi, vuoi con apposite Conferenze Domenicali, vuoi con istraordinaria predicazione in forma di Esercizii per l'acquisto del S. giubileo, ora con appropriate istruzioni, ed ora con Omelie, quando in pubblico, e quando privatamente nelle visite che si fanno e si ricevono ma, è pur doloroso il doverlo confessare, tutto fu inutile ed infruttuoso fin'ora! In gran parte di queste spirituali vendemmie, aiutano assai le Figlie di Maria Ausiliatrice per ciò che spetta le giovanette e le prelodate Associazioni divote. [745]

                I. Le loro Scuole, come le nostre sono assolutamente ristrette ed incapaci di contenere la numerosa turba di fanciulli e ragazze che ogni giorno più va crescendo, sìcchè l'am.mo Monsignore trovasi impensierito sul modo ed i mezzi di ampliare le Piccole Case.

                II. La riedificazione quasi per intero della chiesa di Viedma, e la arricciatura e pittura della nuova Parrocchiale di Patagones, costarono oltre a molti gravi fastidi, la bagatella di 50.000 franchi. Le Missioni date e da darsi sono pure per noi una spesa non indifferente: ci costano in media dalle 2 alle 3000 lire ciascuna.

                III. Le novelle stazioni in Malbarco e Roca peseranno ancor esse sul nostro bilancio, ed Ella, C.mo Padre, deve già essersene accorto assai prima d'ora, dalle diverse petizioni e cambiali che di qui le furono indirizzate.

                E quantunque la D. Provvidenza sempre siaci venuta in aiuto tempore opportuno, ed ultimamente per opera de' RR. PP. Certosini, cui ci dichiariamo di tutto cuore grati e riconoscentissimi nel Signore, pure conviene ch'io le manifesti il bisogno che hanno queste Missioni dell'aiuto e carità dei nostri ottimi Cooperatori e Cooperatrici Salesiane.

                IV. Mentre l'am.mo Monsignore con alcuni de' suoi Missionarii, affrontando gli ardori del sollione d'estate sulle aride sabbie del deserto, s'inoltrerà su su pel Rio Negro e Neuquen fino alle Cordigliere per passare di là a Concepcion del Kílì, predicando, istruendo e amministrando i SS. Sacramenti nelle diverse Tribù selvaggie, fra cui quelle del Cacico Sayuhueque e Iancuche di 2000 e più individui, Don Fagnano sfiderà l'incostanza del mare e delle stagioni e prenderà possesso della sua Prefettura. A giorni si recherà in Montevideo per concertax la sua partenza per Punta Arenas.

                V. Visiterà forse il nostro Don Savio e Don Beauvoir sul Rio S. Cruz, per veder modo di stabilir escursioni lungo la costa in quei punti.

                Eccole, C.mo Sig. Bosco, brevemente esposte le cose più importanti compiute e coll'aiuto di Dio e de' nostri Cooperatori e Cooperatrici Salesiane, da condursi a termine nel breve corso di poco più di un anno.

                Tralascio di notarle le opere di minor importanza relativa, le solenni funzioni, i Battesimi degli Indii in questa residenza, le riunioni delle Pie Associazioni, e tante piccole altre funzioni che continuamente tengono occupato l'am.mo Monsignore, il quale sa ricavar frutto da ogni piccola circostanza, nulla risparmiando che possa in qualche modo concorrere all'incremento dello spirito Cattolico in queste sgraziate terre. Il buon Dio ci favorisce tutti di ottima salute corporale, e speriamo eziandio terrà per buono il desiderio almeno che tutti abbiamo grande ed ardente di pur fare qualche cosa pel bene delle anime,

                C.mo Sig. Don Bosco! Quando le arriverà questi ama, saranno [746] imminenti le Solennità Natalizie. Voglia pertanto gradire gli augurii che di tutto cuore le inviano per mio mezzo i suoi figli della Patagonia perchè possa ad multos annos ancora godere in mezzo a' suoi cari di sì liete feste.

                Piovano sul suo venerando capo copiose le Celesti Benedizioni e si diramino quindi ne' suoi Membri per iscorrere poscia ad animare tutti i suoi figli nelle più sante imprese.

                Ci benedica ella, C.mo Padre, nell'entrare nell'anno novello, e la sua benedizione ci sia caparra delle Benedizioni di Gesù e di Maria.

                In modo particolare finalmente mi ponga nelle sue sante orazioni ai piedi di Maria SS. Ausiliatrice nostra Madre, implorando per me quelle grazie di cui Ella conosce aver specialmente bisogno il

                Carmen de Patagones, 14 Ottobre 1886.

 

Suo Ubb.mo ed afl.mo Figlio in Gesù

Sac. ANTONIO RICCARDI.

 

56.

 

Abboccamento fra un figlio di Sayuhueque

e Monsignor Cagliero.

 

                Il 9 di luglio del 1886 entrava nel parlatorio della nostra casa di Patagones un figlio del Cacico Sayuhueque accompagnato da suo cognato e dall'interprete sig. Giovanni Salvo, e chiese di parlare con Sua Ecc. Ill. Mons. Cagliero. Mentre si cercava di Monsignore, un salesiano condusse i forestieri a visitare la nuova chiesa che si sta bellamente dipingendo e il nostro collegio. Ritornati al parlatorio, dove già trovavasi Monsignore, il figlio del Cacico, servendosi dell'interprete gli parlò così:

                Signore, anzi tutto le presento gli ossequii cordiali di mio padre e di tutta la nostra gente, che ora trovasi in riposo e buona salute. Noi conosciamo alquanto la religione dei cristiani e sappiamo apprezzare i Ministri di Dio e specialmente il signor Vescovo. Per questo siam venuti a visitarlo e salutarlo. - Quindi trasse di tasca un biglietto di visita del comandante Vincenzo Saciar, nel quale raccomandava a Monsignore un suo protetto, figlio di Sayuhueque, acciò lo ricevesse nel nostro collegio in qualità di esterno, perchè lo si educasse.

                Monsignore, con quell'affetto e amorevolezza che sono i suoi distintivi, gradì la visita, e letto il contenuto del biglietto, dissegli che il collegio restava aperto pel suo fratellino, e che lo inviasse quando desiderava, e aggiunse: - Quando Ella ritorni, presenti le mie felicitazioni a suo padre e al sig. Comandante, e dica loro che siam qui per servirli, sia mandando qualche sacerdote perchè insegni ai fanciulli le cose di Dio, sia per aiutarli in tuttochè possiamo. [747]

 - Lo so, rispose il figlio di Sayuhueque, essi fanno molto in favore della gente nostra. Perciò noi molto ci siam rallegrati nel vedere come i sacerdoti abbiano battezzato i nostri figliuoli e bambini della tribù.

- Bene, bene, disse Monsignore. E a quanto ammonta la loro popolazione?

 - Siamo millesettecento tra grandi e piccoli.

- Bagattella! Essi sono molto numerosi.

 - È vero, signore.

- E vi ha con voi altre tribù più numerose?

 - Si, signore; quella di Yancuche che conta quasi ottocento uomini.

- Son molti fra di voi i già cristiani?

- Sì, signore; i maggiori di età non lo sono ancora, ma i bambini già son cristiani, giacchè furono battezzati recentemente quest'anno da due giovani missionarii. Fra i maggiori fu fatto cristiano in Buenos Ayres mio padre, essendo ancor giovane, e gli posero il nome di Valentino Alsina.

- Benissimo, dica a suo padre che bisogna che andiamo, il padre Domenico ed io, a passare qualche tempo colà, e che può darsi pure che gli invii due suore per insegnare alle fanciulle. Allora prepareremo a ricevere il battesimo tutti coloro che vorranno; purchè essi ci tengano apparecchiato qualche stanza ove riunire la gente, affine di poterla istruire.

                Detto ciò, Monsignore gli porse la mano per congedarsi, ma quegli prese un contegno come di chi ha tuttavia altro a dire: - Se mi permette, signore, desidero dirle una parola ancora.

- Perchè no? Ella è padrone, parli pure liberamente.

- Signore, vengo a farle una proposta da parte di mio padre, il quale le fa sapere che desidera ch'ella gli invii un sacerdote che si stabilisca colà e insegni ai fanciulli.

                Monsignore che non si aspettava da quell'uomo una domanda di tal, genere, restò sorpreso e commosso del suo buon cuore, e gli rispose:

- Benissimo, molto mi piace questo desiderio di istruirsi ed educarsi, bisogna che facciam tutto, Le manderemo un sacerdote, il quale, benchè per adesso non possa fermarsi definitivamente, verrà soventissimo a visitarvi.

 - Le son molto riconoscente, signore, disse il figlio di Sayuhueque; questo ci è necessario perchè già viviamo fra cristiani e perciò dobbiamo educarci.

                Monsignore ripetendogli gli augurii e incaricandolo nuovamente dei saluti a suo padre e al comandante sig. Vincenzo Saciar, si congedò da lui, ordinando ad un salesiano che vedesse se abbisognavano di qualche cosa. Passarono quindi al refettorio, ove fu loro servita una modesta refezione. Si partirono molto riconoscenti, e promisero che ritornerebbero altra volta a visitare Monsignore ed a conferire con lui.

 

Don PICCONO. [748]

 

57.

 

Les Prêtres de Dom Bosco en France.

 

                Les maisons salésiennes de France entrent dans une phase souverainement importante de-leur action religieuse et sociale dans notre pays; elles commencent à donner des vocations à la vie salésienne et à l'état ecclésiastique. Il s'agit par conséquent dé former un gran nombre de jeunes gens à la science et aux vertus sacerdotales; pour cela, des ressources sont nécessaires. Aussi nous savons de science certaine que des coopérateurs salésiens, surtout dans les dioceses où il n'y a pas encore d'oratoires, entreraient dans les intentions de Dom Bosco, en consacrant à cette oeuvre leurs offrandes régulières. Pour cela, ils devraient les adresser à Monsieur Louis Cartier, prêtre salésien,  à Ste-Marguerite, banlieue de Marseille, ou à Dom Albera, inspecteur des Maisons de France, rue des Romains, g, Marseille.

                Dom Bosco désire plus encore. Il voudrait que ses amis de France pussent augmenter à cette fin leurs aumônes, et même assurer par des fondations la formation de ses prêtres, en France.

                Il promet de prier beaucoup Notre-Dame Auxiliatrice pour ceux qui l'aideront dans cette oeuvre capitale.

                Ces quelques lignes se recommandent à toute la presse catholique et surtout aux Semaines religieuses qui ont à coeur; avec le dévelop: peinent des oevres salésiennes, la multiplication des vocations sacerdotales.

                On sait que les Maisons salésiennes ne forment pas seulement des prêtres salésiens, mais que, dans plusieurs dioceses d'Italie elles ont littéralement repeuplé les grands séminaires.

 

58.

 

Le suore Orsoline di Piacenza a Don Rua.

 

                                Molto Reverendo Signore,

 

                Non mi sento il coraggio di rivolgermi direttamente al suo Veneratissimo Padre D. Bosco, quantunque si tratti di un atto dove di gratitudine verso di Lui, ma io spero Ella, Reverendo signore, voglia farsi interprete dei miei sentimenti.

                Volge appunto un anno dacchè in una grande angustia della nostra Comunità io invocava una preghiera e una benedizione dal Ven. suo Padre. Egli, nella inesauribile sua carità degnavasi accordarci [749] assai più di quello che io avessi osato domandare, e rispose che Egli stesso coi suoi orfanelli avrebbe dato principio ad una novena che, simultaneamente doveva farsi dalla nostra Comunità. Questo ci fu subito arra di grandi speranze per l'affare nostro importantissimo che pure reputavasi pressochè disperato. Ma Don  Bosco aveva detto: “Il Signore accorderà la grazia, ma nella maniera che sarà più proficua alle anime”. E così fu. Noi lo riconosciamo con gratitudine. Il Signore ci ha esaudite al dì là delle nostre speranze!

                Potessimo impertanto attestare in modo condegno la nostra riconoscenza coadiuvando efficacemente le sante sue intraprese!

                Ma come fare con tanta deficienza di mezzi? La Rev.da mia Madre Priora, come segno del suo buon volere, invia lire 30, 00 che prega di gradire pel buon cuore con cui vengono offerte. In pari tempo imploriamo una specialissima benedizione e una qualche preghiera per la nostra Comunità, la quale prova dolorosamente le trepidazioni di questi momenti difficilissimi. In particolare raccomandiamo, oltrechè il noviziato, anche il nostro Educandato, tanto scarso di giovinette. Tutto a gloria di Dio!

                In ultimo io pure oso pregare Don Bosco d'intercedermi una grazia importantissima e tutta di gloria di Dio.

                Prego dunque V. R. a presentare al Ven. suo Padre queste nostre suppliche e a perorare presso di Lui la nostra causa.

                Perdoni, di grazia, il mio ardire e gradisca l'espressione di stima con cui mi pregio d'essere

di Vostra Riverenza

 

                Piacenza, Collegio Sant'Orsola, I° novembre 1886.

 

Umil.ma dev.ma Serva

MARIA ISABELLA DE Poi,

Orsolina e Cooperatrice Salesiana.

 

59.

 

Il signor Suttil a Don Rua.

 

                                Rev.mo Sig. Don Rua,

 

                Per la gloria di Dio e dì Maria SS.ma Ausiliatrice e perchè sempre più si conosca il valore delle preghiere del nostro diletto e santo Superiore signor Don Bosco in tutta verità, come fossi davanti all'Eterno Giudice, mi credo obbligato di dichiararle quanto segue.

                Fanno oggi appunto quindici giorni ed io mi trovava  nell'ansia di un peggioramento inquietante. Da un nuovo malore apertosi nella [750] gamba sinistra usciva una quantità di putredine che impensieriva gli stessi medici. Colla gamba strettamente bendata, stetti nelle più vive incertezze fino al sabato seguente giorno di nuova visita. Quale fu la mia sorpresa ed anche quella (mal potuta celare) dei medici, vedendo la gamba in buonissinio stato! La guarigione era assicurata. Ciò avveniva tra le 7 e ½ e le 8 del mattino; l'ora della Messa del nostro Santo. Più tardi giungeva il caro Festa recandomi a nome di Don Bosco la salute. Da quel giorno andai sempre migliorando a gran passi, ed anzi il dì appresso, domenica, potei farmi portare nel carrozzino e condurre su quello alla Chiesa per la benedizione. La mia guarigione è dunque dovuta al nostro santo Don Bosco, a cui Gesù e Maria non sanno mai nulla negare. Che il Signore e la Vergine Ausiliatrice siano benedetti e ringraziati e Don Bosco riceva a mille doppi il bene immenso che mi fece; che l'affezione ulcerosa che minacciava la mia povera gamba, minacciava la mia vita stessa.

                Dopo Dio e Maria, sieno dunque rese da me azioni di grazia al diletto Padre Don Bosco. Il Ch. Festa può confermare quanto qui espressi.

 

                4 novembre 1886.

Suo aff.mo figlio

G. SUTTIL.

 

60.

 

Accademia

nel XV Centenario della Conversione di S. Agostino.

 

                                Signore,

 

                Come è noto alla S. V., ricorre in quest'anno e precisamente di questi giorni il XV Centenario della conversione di quel grande luminare della Chiesa, che fu S. Agostino, conversione la quale e per le cause che la determinarono e per le felici conseguenze, che ne derivarono alla religione e alla società, segna uno dei fatti più memorandi della storia ecclesiastica e civile. Desiderosi Salesiani ed alunni di celebrare ancor essi un tal fatto nel miglior modo loro possibile, idearono una commemorazione a mo' d'Accademia, nella quale un'azione drammatica in versi senari latini, rappresentante quel che precedette e accompagnò a Milano e seguì poco dopo ad Ostia la conversione di Agostino, viene intramezzata da componimenti in prosa e in poesia, intesi a dichiararne: l'alto significato e a segnalarne la benefica influenza, ridondata alle scienze e alle lettere. Compie l'opera la musica vocale, come a ricordare la parte salutarmente influente che ebbe ancor esso il canto grave e sacro alla conversione di Agostino. Le sarò grato pertanto se la S. V. vorrà assistere a questa commemorazione [751] scientifico - letteraria, che avrà principio alle ore 2 ½ pom. del 10 corrente nella Casa Salesiana di S. Giovanni Evangelista sul corso Vittorio Emanuele II.

                Colgo volentieri quest'occasione per augurarle da Dio le più elette benedizioni e professarmele con particolare stima

                Torino, 2 Giugno 1886.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

 

COMMEMORAZIONE

DEL XV CENTENARIO DELLA CONVERSIONE DI S. AGOSTINO.

 

I. Suonata.

2. La Teologia speculativo - dogmatica nella Chiesa Latina del secolo IV, e nuova particolar forma che assunse da Agostino.

3. Cantata: Fassò, Ave Maria.

4. Benefici effetti ridonati alla filosofia dalla conversione dì Agostino.

5. De Sancto Aurelio Augustino. Actus primus.

6. De Civitate Dei e la ricostituzione dei principi generali della Storia.

7. Cantata: Stradella, Preghiera.

8. Le lettere nel concetto di Agostino convertito.

9. De Sancto Aurelio Augustino. Actus secundus.

10. Ad Agostino convertito la cristianità riconoscente. Carme.

II. Cantata: Capocci, Laudate pueri.

 

61.

 

Lettera del Card. Alimonda a Mons. Cagliero.

 

                               Eccellenza Rev.ma e, Carissima,

 

                Sono ancora in dovere di ringraziare l'Eccellenza vostra Rev.ma e Carissima degli affettuosi auguri che si è  compiaciuta mandarmi per la festa di San Gaetano e delle preziose e consolanti notizie della sua missione che rendevanmi più preziosa e cara la sua lettera. Prego che la tardanza non mi sia ascritta a colpa, che se v'è colpa è del tempo che divora troppo rapidamente i giorni e i mesi a chi si trova con un fardello a portare sproporzionato alle spalle. Del resto com'io serbi nel cuore per l'Ecc. Vostra tutta la mia stima e il mio affetto Le si dirà da quando a quando dall'Oratorio dov'io passo in diverse occasioni dell'anno qualche ora dolcissima con Ven.mo Don Bosco e con la sua famiglia. [752]

                Le notizie avute da V. Ecc. meritavano di essere conosciute a pubblica edificazione, ed io mi sono permesso di farle pubblicare nell'Unità Cattolica. Ora mi provo a farle pervenire i miei ringraziamenti per, l'epoca delle feste natalizie, e così adempio il dovere di offrirle per le medesime i miei più lieti e cordiali auguri.

                Erano tenebre universali alla venuta del Salvatore, era tutto una Patagonia il mondo: ma da Lui è venuta la luce, la pace, la salvezza dei popoli.

                Deh! non tardino codeste terre affidate alle cure solerti e zelanti di V. Ecc.nza ad entrare nel regno della luce, a conoscere, a profittarsi del benefizio della redenzione!

                E Dio conservi fra tante fatiche sempre giovane di forze, confortato di spirito il primo Vescovo che reca la buona novella a codesti popoli sventurati. Questa è la preghiera con cui nel sacro avvento e nelle feste di Gesù Bambino accompagnerò i sudori, le gloriose fatiche di V. Ecce.za e de' suoi degni Confratelli. Ed Ella non mi dimentichi nel fervore delle sue preghiere, poichè non ignoro di quanta efficacia sia davanti al Signore la voce di chi soffre operando per allargare i confini del santo sue; regno.

                Non occorre ch'io le mandi notizie di Torino, chè le ha frequenti da' suoi Salesiani, nè potrei darle molto consolanti. Come non le tornerà amara tra l'altre quella della perdita del nostro carissimo Mgr. Chiesa, andato a prender possesso del Paradiso prima che della novella sua sede dì Casale! Lo raccomando a' suoi suffragi,

                Oggi ho passato quasi tutta la giornata al Collegio di Valsalice: era la distribuzione dei premi, e riuscì bella, interessante come tutte le feste Salesiane. Ma nulla ci interessa quanto il carissimo Don Bosco, il quale era con noi, sempre gioviale, sempre sereno e contento, non peggiorato di salute, benchè soggetto ai soliti incomodi. Il Signore vorrà riservarlo a molte belle imprese ancora, tra cui non è a trascurare la partenza di un bel drappello di missionari stabilita per posdomani. Non voglio privarmi della consolazione dì assistervi e di pregare sull'eletta schiera tutte le benedizioni del Cielo.

                Ed ora è tempo di finire. I miei preti, i familiari baciano riverentemente l'anello a V. Ecc.nza e ne implorano la benedizione. Io mi stringo affettuosamente al cuore il mio diletto amico, fratello e figliuolo spirituale nella persona di V. Ecc. e baciandole devotamente le mani son fortunato di raffermarmi.

                Di V. Ecc. Rev.ma e Carissima

 

                Torino, il 30 novembre 1886.

Aff.mo Servo in G. C,

GAETANO Card. ALIMONDA Arcives.  [753]

 

62.

 

Indirizzi degli artigiani dell'Oratorio a Don Bosco

nel giorno di S. Giovanni Evangelista.

 

a) I legatori

 

                Amatissimo Padre,

 

                Permetterà che i suoi figli Legatori non siano da meno dei loro compagni nell'addimostrare la riconoscenza, stima e venerazione che sentono nell'animo loro. Permetta, o buon Padre, che qui le esprimano riuniti e concordi gli auguri e le felicitazioni nel giorno suo onomastico, nel giorno dell'Evangelista di Patmos, nel giorno di S. Giovanni Evang.

                Oh quante cose vorremmo dirle se dato ci fosse il poterle parlare e sentire alcune sue parole che ci spronino al bene, sulla via dell'onore, della virtù onde essere la sua consolazione. Ma, o Don Bosco, i, Superiori che a nostra guida destinò ci amano, e come essi a Lei s'inspirano, e a quell'Angelo di virtù quale fu S. Giovanni, non potranno non ricondurre i traviati al suo bel cuore, e conservare al suo amore coloro che vogliono essere, quali noi lo vogliamo, figli di Dio perchè figli di Don Bosco?

                Si, per questo noi pregammo e pregheremo il buon Dio perchè a lungo lo conservi per il bene di tutti, ma specialmente per i suoi legatori che tanto sperano ed i quali mettonsi a fidanza nelle braccia e nel cuore del loro padre Don Bosco e dei loro Superiori.

 (Seguono le firme).

 

b)I1 fabbriferrai.

 

                Amatissimo Padre,

 

                I figli del laboratorio dei Fabbri Ferrai, in un col loro assistente, nel giorno solenne di S. Giovanni Evangelista promettono all'amatissimo loro Padre Don Bosco amore e riconoscenza, pregano per Lui il Signore e gli offrono le loro Comunioni perchè Iddio lo conservi per molti anni, mentre gli desiderano ogni bene dal Cielo, gli baciano tutti rispettosamente la mano, ed umilmente si sottoscrivono

 (Seguono le firme).

 

c) I tipografi impressori.

 

                Amatissimo Padre,

 

                Noi del laboratorio dei Tipografi Impressori, oggi, giorno di San Giovanni Ev. promettiamo a Lei, Nostro Amatissimo Padre, Don Bosco, amore e gratitudine, e pregheremo Iddio perchè la colmi di [754] benedizioni celesti, e le dia lunga e prospera vita pel nostro bene spirituale e temporale. Ne baciamo riverenti la mano e ci sottoscriviamo

                Di Vostra Signoria Reverendissima

 

Devotissimi figli in Gesù e Maria.

 (Seguono le firme).

 

d) I falegnami.

 

                                Amatissimo padre,

 

                Come tutti gli uomini dabbene sogliono accogliere qualche bella ed opportuna occasione per dare testimonianza di dovere e di gratitudine verso coloro che li amano e li beneficano, noi pure Artigiani del laboratorio dei falegnami uniti al nostro Assistente, approfittiamo della tanta propizia occasione che ci offre questo Suo giorno onomastico, per ringraziarlo dei tanti benefici che, ci prodiga continuamente a bene nostro spirituale e temporale ancora, e per darle eziandio un segno di gratitudine e riconoscenza, promettendole di corrispondere alle sollecitudini che procura, per quanto le è possibile, di avere sempre per noi. Accetti adunque il nostro affettuoso rispetto, e gradisca che le offriamo con un cuore che tanto le è debitore, una bella e grande corona di comunioni e di preghiere che oggi ci promettiamo di fare affinchè Iddio La conservi in vita a bene nostro e a bene di molti altri.

                E intanto permetta che ci  raccomandiamo alle Sue preghiere, e che sebbene indegni ci sottoscriviamo.

 

 (Seguono le firme).

 

e) I tipografi fonditori, stereotipi, calcografi.

 

                                Amatissimo padre,

 

                In questo faustissimo giorno del suo onomastico, il nostro cuore prova grandissima consolazione, in poterle dare un segno del nostro amore e della nostra gratitudine. Noi lo ameremo sempre, serberemo eterna gratitudine pei suoi benefizi, pregheremo sempre Giovanni, l'Apostolo della carità, dalla S. V. R. sì perfettamente imitato, a volerle impetrare larghissima ricompensa.

                Ci raccomandiamo alle sue ferventi preghiere. Le promettiamo inoltre di corrispondere ai suoi benefizi, con una condotta edificante, amandoci gli uni gli altri, vivendo da buoni Cristiani.

                Gradisca, amatissimo padre, queste espressioni e promesse di cuori riconoscenti, e ci creda sempre suoi.

 

 (Seguono le firme).

755

 

f) Sarti e calzolai.

 

                                Amatissimo Padre,

 

                Questo giorno della festa di S. Gio. Ev. è per i figli suoi Sarti e Calzolai occasione di festa e godono poter protestare al loro Padre Don Bosco che l'amano del più puro e del più sincero amore, e affine di manifestarglielo, tutti qui sotto le promettiamo qualche cosa.

 

Sarti.

 

Cenci Pietro - farà IV comunioni e IV visite p. V. S.

                Caccia Palmiro - II com.

                Valenza Vittorio - Idem.

                Maffeo Paolo - I com. ed I visita.

                Mazzuchielli Carlo II com.

                Ferrero Giovanni III com. e III visite farà.

                Gili Paolo - farà I visita.,

                Sandri Giuseppe - VI visite.

                Rosso Natale - com. II e IV visite.

                Rosso Alessio - Il com. e IV visite.

                Andisio Giovanni - II com. e IV visite.

                Martinoli Giacomo - Il com. e IV visite.

                Martinoli Giuseppe - I com. e Il visite.

                Delfrate Domenico - I com. e III visite.

                Razzetti Pietro - I com. e III visite.

                Cesaretti Mariano - farà II com.

                Brossa Michele - IV com.

                Bossi Filippo - I com.

                Ghibandi Giovanni - com. Il e II visite.

                Carlino Alessio - I com. e I visita.

                Fabbro Luigi - I com. e III visite.

                Ganna Domenico - I com. e III visite.

                Abete Giuseppe - III visite. .

 

Calzolai.

 

Perlo Pietro - promette di pregare per V. S.

                Cerutti Natale - farà II coni.

                Ceresole Francesco - V com.

                Meotto Bernardino - II com. e III visite.

                Tomatis Giorgio - II com.

                Barbero Alfredo - II coni.

                Locatelli Antonio - II com. e III visite.

                Bruno Giovanni - I com. [756]

Bona Giovanni - pregherà in modo speciale p. V. S.

                Olivero Giovanni - farà III com. e III visite.

                Bruno Giuseppe - III com.

                Cortese Stefano - III com. e Il visite.

                Armando Giovanni - IV visite.

                Fassio Giovanni - Il com. e II visite

                Valle Giovanni - I com. e I visita.

                Garrone Giovanni - farà I com.

                Garrone Giuseppe - I com.

Prete Carlo - pregherà p. V. S. in modo speciale.

                Barattini Gaudenzio - farà I com.

                Gimero Bartolomeo - farà I com.

                Fenocchio Crescentino - I com. e III visite.

                Picca Giuseppe - I com.

                Rossi Michele - I com. e III visite.

                Ferrero, Zaverio - VI com. e VI visite.

                Testore Giovanni - II com. e VI visite.

                Audisio Giuseppe - II com. e IV visite.

                Rossi Giacomo - II com. e V visite.

                Borgna Luigi - I com. e I visita.

                Orella Giuseppe - I com. e I visita.

                Picca Giovanni - I com. e I visita.

 

                L'assistente Ch. Travaini L'assicura che sono già più anni che fa ogni dì la Santa Comunione p. V. S. e promette di continuare.

                Mentre la preghiamo di aggradire questa nostra piccola offerta La supplichiamo a volerci dare la benedizione di Maria Ausiliatrice.

 

                Orat. di S. F. di Sales, 27 - 86.

 

 

63.

 

Due lettere dalla Francia a Don Bosco e sue risposte.

 

A.

 

                Mon Révérend Père,

 

                Je vous avais promis de ne plus vous ennuyer de mes misères, de ne plus vous parler de mon mariage: mais il est à la veille de se conclure et - urje viens implorer de Dieu par votre entremise un dernier conseil.

                Le bon Dieu a pernus que vous connalaciez le fond du ce non seulement de ceux que vous avez vus, mais aussi celuì de personnes dont on vous parle. Vous me connaissez, donc, mon père, et je viens vous supplier de me dire si je puis épouser Mademoiselle Madeleine [757] Delamolle avec assurance de bonheur Chrétien en ce monde. Sommesnous faites l'un pour l'autre?

                Daignez me répondre, le plus tôt qu'il vous sera possible, je vous en prie, et veuillez brûler cette lettre que je vous écris.

                Veuillez agréer, mon Révérend père, l'assurance de mon profond respect, et priez N. D. Auxiliatrice pour moi et tous ceux qui me sont chers.

                La Croix par Nevers (Nierre), 3 janvier 1887.

ALBERT DE LENFORME.

 

                               Risposta.

 

                Monsieur,

                Vous pouvez tranquillement épouser M. Delamolle et elle fera votre bonheur dans ce monde si vous et elle frequenterez tous les deux effectivement la sainte Communion.

                Je recommande mes orphelins à votre charité; priez pour moi, et que Dieu vous benisse et que la S. Vierge vous guide à jamais.

                Turin, 8-1-87.

Umble Serviteur

Abbé J. Bosco.

B.

 

                               Mon Révérend Père,

                Sans avoir l'honneur d'être connu de vous, je me permets dé vous demander les conseils de votre expérience. Des personnes qui me sont très proches vous ont vu lors de votre passage à Paris et m'ont rendu le témoignage de votre grand esprit de foi; c'est cette raison que j'invoque pour expliquer à vos yeux la démarche que je me permets de faire auprès de vous.

                Depuis quelques années je comptais me marier avec une jeune personne pour laquelle j'avais une profonde et respectueuse affection. Ce projet à été rompu tout à coup pour une question de contrat.

                Je vous demanderais, mon révérend Père, de vouloir bien examiner cette affaire devant Dieu et me dire le resultat de votre pieuse et charitable méditation. Dois-je tenter de renouer les relations brisées? Trouverais-je dans cette union les éléments du bonheur terrestre et du bonheur éternel? La ruine de mes esperances ne serait-elle pas une indication que Dieu m'appelle dans une autre voie?

                Agréez, mon révérend Père, l'expression de mes sentiments les plus respectueux en vous priant d'accepter cette obole pour votre oeuvre. Veuillez aussi adresser votre réponse à Monsieur X chez Monsieur l'aumônier de l'hôpital militaire de gros Càillou, 1o6, Rue St. Dominique à Paris.

                Paris, ce 8 Janvier. [758]

 

                Risposta,

 

                Mon cher ami en J. C.,

                Demandez l'avis de votre Directeur Spirituel. Si sera affirmatif, procurez seulement que la personne, dont vous parlez, elle fréquente la St. Communion. Pour les autres choses restez tranquil en toutJ e prie bien pour vous, et je vous recommande mes orphelins.

                Que Dieu récompense largement votre charité de 50 fr.

                Turin, 10-8-7.

Umble Serviteur

Abbé J. Bosco.

 

64.

 

Lettera di Don Bosco al principe Augusto Czartoryski.

 

                               Bien cher Prince,

 

                Merci d'avoir eu la bonne pensée d'envoyer vos etrennes à mes pauvres enfants et de m'avoir donné par la même celles qui me sont le plus agreables; les temoignages de la charitable sympathie de mes coo­pérateurs et la preuve que leur généreux concours m'est toujours assuré. Que le bon Dieu vous recompense, vous et votre famille, et qu'il vous comble tous de ses benedictions.

                J'aime à penser que votre santé est bonne et que Monsieur votre pere s'est entierement remis de la peine que lui avait causée le coup dont il a 'été frappé..

                Dans tous les cas croyez bien que nous ne cessons de prier Dieu pour vous et pour tous vos intérêts.

                Recevez, cher prince, avec toute l'expression de ma reconnais­sance, l'assurance de mon affectueux devouement.

                Turin, 5 Janvier 1887.

Abbé J. Bosco.

 

65.

 

Due circolari di Don Bosco dopo il terremoto.

 

A.

 

                                Carissimi Figliuoli in G. C.,

 

                Il terribile flagello del terremoto che il giorno 23 dell'ora scorso febbraio cagionò sulla Riviera Ligure di Ponente la spaventosa catastrofe, di cui sarete già informati, mi obbliga a scrivervi questa lettera, per raccomandarvi alcune cose, che giudico di molta importanza. [759]

                Anzitutto v'invito a ringraziare Iddio e la SS.ma Vergine Ausiliatrice, che ci risparmiarono il dolore di avere delle vittime tra i nostri, non ostante che varie nostre Case esistano appunto nel luogo, dove fu maggiore il disastro. A questo fine ciascun Direttore stabilisca un giorno, che gli sembri più acconcio, esorti i Confratelli e i giovani a fare una buona Confessione e Comunione, e si reciti la terza parte del Rosario in suffragio delle anime di coloro, che restarono morti sotto le rovine delle case. Nella sera poi si canti il Te Deum, e s'imparta la benedizione col SS. Sacramento.

                Intanto siccome ancor noi abbiamo sofferti non pochi danni materiali, anzi abbiamo avuto per tal modo rovinata la Casa di Bordighera da doverla rifabbricare, così convien che tutti ci mettiamo d'accordo per diminuire le spese in ciascuna Casa, a fine di sopperire all'inaspettato bisogno.

                Per altra parte tanti e sì gravi sono i disastri, ai quali deve provvedere la carità pubblica, per le case da ricostruire, pei poveri da ricoverare, per gli orfani da mantenere, che i nostri benefattori non si troveranno più in grado di portare a noi quel maggior soccorso, di cui avremmo mestieri.

                Per la qual cosa vi raccomando che per quest'anno non si metta mano nè a fabbriche, nè a riparazioni, nè a lavori od acquisti, che non siano richiesti dalla necessità. Tutti poi e singoli i Confratelli sappian dal canto loro fare quei sacrifizi e quelle privazioni, che sono del caso, e vedano di evitare spese nei viaggi, nei libri, negli abiti ed in ogni cosa possibile, tanto in casa quanto fuori di casa. Con questa industria noi potremo riparare almeno in parte i danni sofferti, ristorare la Casa abbattuta, e riprendere le opere di religione e di carità, che sono altamente reclamate dalla maggior gloria di Dio e dal bene delle anime.

                Sappiate poi anche giovarvi di questa trista circostanza per esporre ai benefattori, con cui avrete a trattare, la strettezza in cui ci troviamo, e in tal modo animarli alla carità. Il semplice racconto del fatto può inspirare ottimi pensieri.

                Nè mancate di raccomandare ai giovani allievi che siano buoni, divoti della Madonna, e vivano in grazia di Dio, per meritarsi la loro protezione in ogni tempo e in ogni luogo, specialmente in mezzo ai pericoli repentini ed inaspettati, come fu quello dell'accennato terremoto, che in un istante fece più migliaia di vittime.

                Ma mentre per una parte farete capire che simili flagelli provengono dallo sdegno di Dio, e cessano per sua misericordia, come si esprime la Chiesa: Ut mortalium corda cognoscant et, te indignante, talia flagella prodire, et, te miserante, cessare, non tralasciate per altra parte di eccitare tutti ad una grande confidenza in Dio, il quale porta la terra nelle sue mani onnipotenti; ed ha assicurato che non cadrà un capello dal nostro capo senza la sua permissione: et capillus de capite vestro non peribit.  [760]

                Colgo pure questa propizia occasione per ringraziarvi delle preghiere che fate per me, e vi domando in grazia che le vogliate continuare, aggiungendovi un grande impegno di salvare l'anima vostra, regolandovi da buoni religiosi; perchè il sapere che i miei cari figliuoli vivono santamente, che salvano delle anime, che onorano la Chiesa, mi consola più d'ogni altra cosa, mi fa dimenticare i miei malori e come risorgere a novella vita.

                Infine imploro sopra di voi tutti e sopra i giovanetti di cotesta Casa, la benedizione di Dio e la protezione di Maria Ausiliatrice, mentre godo di potermi dire

                Torino, I Marzo 1887.

Vostro aff.mo in G. C.

Sac. GIOV. Bosco.

 

B.

 

                                Benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici,

 

                La viva sollecitudine, colla quale voi prendeste sempre parte alle Opere Salesiane, mi fa ritenere che vi sarà cosa gradita che io vi dia un breve ragguaglio di quanto ci occorse in questi ultimi giorni.

                Certamente vi è già nota la terribile catastrofe del terremoto del 23 ora scorso febbraio, che, abbattendo e rovinando in un attimo palazzi e tugurii, produsse in Italia gravissimi danni, e fece nella Liguria moltissime vittime.

                Or, coll'animo pieno di riconoscenza verso Dio, vi annunzio anzitutto che in mezzo a tanti feriti e morti noi non abbiamo avuto da deplorare alcun danno personale. Salesiani e Suore, allievi ed allieva di ogni Casa andarono esenti nonchè dalla morte, financo da ferite e da contusioni - L'unico male fu lo sbigottimento, l'apprensione, l'ansie indescrivibile, che s'impossessò di tutti, nonchè il timore insuperabile di rimanere nell'interno dei fabbricati, per cui in alcuni luoghi della Riviera, si dovettero passare varii giorni e varie notti attendati alla meglio e all'aria aperta nei cortili e nei giardini.

                Ma, se andammo esenti dalle disgrazie personali, siamo purtroppo stati ancor noi colpiti da gravi danni materiali. Le nostre Case e Chiese del Piemonte e della Toscana ebbero solamente muri screpolati, tetti spostati, scale ed arcate smosse; danni questi, ai quali si potrà porre riparo con qualche facilità. Ma alcune delle nove Case esistenti sulla Riviera Ligure di Ponente, maggiormente fiagellata, soffersero guasti molto rilevanti. Tra questi minaccia di cadere la facciata della chiesa del Collegio di Alassio e la Casa di Vallecrosia presso Bordighera fu talmente rovinata, che senza costosi lavori sarebbe inabitabile. Essa fu già sgombrata; si dovettero chiudere le scuole pubbliche ed il Collegio femminile annesso, inviare alle proprie [761] famiglie una parte delle giovinette, e trasferire fino a Nizza Monferrato le altre, che rimasero orfane di genitori o prive delle proprie abitazioni.

                Come si vede, questo luttuoso avvenimento ci obbliga a grandi sacrifizi, affinchè non vadano come perdute opere, che ci costarono già spese e fatiche immense, e che non possiamo trascurare senza grandissimo danno delle anime. Ci obbliga a spese di viaggio, di riparazioni, di mantenimento di giovani e di fanciulle, i cui parenti furono colpiti dal flagello; ci obbliga insomma a spese gravissime, che pochi giorni or sono non avremmo potuto neppure immaginare.

                Noto tra le altre cose che la Casa di Vallecrosia è una delle più necessarie pel bene della Religione e delle anime, perchè in quella località sono insediati i protestanti, i quali usano tutte le arti per attirare a sè la gioventù di ambo i sessi e rubarle la fede; epperciò deve essere ad ogni costo ristorata.

                Ma come fare? lo non mi voglio perdere di animo. Da fisici malori reso impotente della persona da non poter uscire a domandare il necessario soccorso, io spero di rimediare al disastro per mezzo de' miei Cooperatori e delle mie Cooperatrici. Agli uni pertanto e alle altre io domando umilmente la carità.

                Conosco il vostro buon cuore, e giudico inutile il soggiungere molte parole per eccitarvi a venirmi in aiuto. Vi prego solo a riflettere che le pubbliche calamità debbono servire di sprone ai buoni cristiani per muoverli a lenirne i lamentati effetti a fare, direi, quasi l'impossibile per recarvi riparo.

                La carità esercitata in simili circostanze, mentre riesce più soave a chi la fa e a chi la riceve, torna eziandio quale un inno di ringraziamento al Signore per averci risparmiati nel flagello; torna altresì di preghiera efficace per ottenere la sua misericordia e la liberazione da ulteriori disgrazie, che potrebbero rinnovarsi. Dio stesso ha fatto dire che la limosina ci fa trovare la sua misericordia e libera dalla morte: eleemosyna a morte liberai et facit invenire misericordiam.

                Una cosa, che nei passati giorni in mezzo alla desolazione recò a me ed ai Salesiani più grande conforto, fu la notizia che varie persone nostre benefattrici, le quali abitavano sul luogo stesso del maggior disastro, furono preservate come per miracolo. Noi attribuiamo una tal grazia alla carità, che esse ci hanno sempre usata; perchè il Signore suol dare in questo modo quel centuplo, che nel Vangelo promette a chi fa limosina per amor suo.

                Questa grazia, con moltissime altre dei tempi andati, è una prova convincente che Iddio e la Vergine SS. Ausiliatrice proteggono in modo speciale coloro che, potendo, ci fanno la carità; è una prova che Iddio e la Vergine Ausiliatrice esaudiscono le preghiere, che nelle nostre Case facciamo pei nostri benefattori e per le nostre benefattrici, sopra cui imploriamo tutti i giorni ogni più eletta benedizione. [762]

                Dal canto mio vi assicuro che ogni giorno pregherò e farò pregare per voi e per le vostre famiglie. Siccome beneficati, noi ci stringeremo più amorosamente intorno a Maria Ausiliatrice, Madre di Colui, che porta il mondo nelle sue mani onnipotenti, e La pregheremo più fervorosamente, che vi guardi dal cielo, vi copra sotto il valido e materno suo manto, vi allontani dal capo ogni disgrazia ora e sempre.

                Ed ora non mi resta più altro a fare che ripetere: Io domando e aspetto la vostra carità, per riparare ai danni, che il terremoto mi arrecò. Fosse la limosina anche solo di pochi soldi, non importa. A quel modo che l'unione fa la forza, così molte piccole offerte insiem raccolte possono somministrare il mezzo per rimediare ai danni sofferti e per compiere importantissime opere.

                Pregate anche voi per me e per la prosperità delle opere, che la divina Bontà affidò alle povere nostre mani, e gradite che mi professi con profonda gratitudine,

                Di voi, benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici,

 

                Torino, I° marzo 1887.

 

Obbligatissimo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                NB. Per norma di chi avrà la bontà di mandarmi in Torino, via Cottolengo, N. 32, qualche limosina privata o collettiva, per mezzo di vaglia postale o di lettera raccomandata, sarà inviato al mittente un biglietto a stampa che servirà di ricevuta e di ringraziamento.

 

66.

 

Circolare per conferenza a Sampierdarena.

 

                ORATORIO S. F. S. IN TORINO.

 

Benemeriti Sig.ri Cooperatori Salesiani e

Benemerite Cooperatrici,

 

                Il vivo desiderio che ho di vedere insieme raccolte quelle benevoli persone, le quali in tante guise mi vengono in aiuto a fare un po' di bene alla pericolante gioventù, mi fa cogliere con premura la propizia occasione del mio passaggio in Sampierd'Arena alla volta di Roma per tenere la pia Conferenza dei Cooperatori Salesiani e delle Cooperatrici di Genova e dei paesi limitrofi.

                La pia Radunanza avrà luogo nell'insigne basilica di S. Siro in Genova alle ore 2 1/2 pomeridiane di Giovedì prossimo 21 corrente mese.

                Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Sanatone Magnapo Veneratissimo [763] e Benemerito Arcivescovo di Genova ci lascia fondata speranza di poter presiedere la pia Radunanza e darle lustro colla Sua presenza come tutti desideriamo.

                Il Chiarissimo Oratore Mons. Can.co Omodei - Zorini, nella Sua squisita bontà accettò l'incarico di tenere agli intervenuti analogo discorso.

                A maggior conforto di tutti giova ricordare che il Sommo Pontefice concede Indulgenza plenaria a chi prende parte alla Conferenza.

                Nella fiducia che i Benemeriti Cooperatori e le Cooperatrici terranno di buon grado questo invito, prego il Signore che spanda sopra di essi e sopra dei loro cari le più copiose benedizioni, e raccomandandomi in pari tempo alle loro orazioni godo di potermi professare con grande stima e con profonda riconoscenza

                Delle SS. LL. Benemerite

                18 Aprile 1887.

 

Obbligatissimo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                (Seguivano le solite Avvertenze e l'Orario).

 

67.

 

Favori spirituali in occasione

della consacrazione della Chiesa dei Sacro Cuore.

 

                Sacra Rituum Congregatio, utendo facultatibus sibi specialiter a Sanctissimo Domino Nostro Leone Papa XIII tributis, ad humillimas enixasque preces R.mi Procuratoris Generalis Congregationis Salesianae, occasione consecrationis Ecclesiae adiectae Domui eiusdem Congregationis Salesianae in Urbe mox adveniente Sabbato ante Dominicam V post Pascha, nempe die 14 vertentis Maii peragendae, quae sequuntur praescripsit et indulsit, nimirurn:

                I. Ut secundae Vesperae Pontificales praefati Sabbati celebrentur pròpriae de Dedicatione Ecclesiae, et sequentï Dominica tum Missa solemnis Pontificales, tum Missae lectae, nec non Vesperae pariter Pontificales valeant esse propriae de eadem Ecclesiae Dedicatione.

                II: Ut subsequentibus Feriis II, III et IV Missae omnes tam Pontificales quam lectae celebraci queant de Sacratissimo Iesu Corde; et Vesperae item Pontificales earumdem Feriarum II et III decan tentur propriae eiusdem Sacratissimi Cordis, et Feriae IV de Ascensione Domini.

                III. Ut Feria V (nempe 19 Mali) Ascensioni Domini sacra inter Missarum solemnia in Pontificalibus celebranda locum habeat Homilia [764] et post Vesperas Pontificales immediate fiat expositio Sanctissimi Eucaristiae Sacramenti, deinde solemniter decantetur Hymnus Te Deum cum Tantum ergo, ac demum impertiatur populo Benedictio (quae hac die tantum danda est), cum eodem S.mo Sacramento.

                IV. Ut omnes utriusque sexus fideles vere poenitentes, confessi ac Sacra Synaxi refecti qui in qualibet ex diebus a 14 ad 19 inclusive vertentis Mali Ecclesiam ipsam visitaverint, ibique per aliquod temporis spatium pias apud Deum preces fuderint iuxta mentem Sanctitatis Suae, semel consequi valeant Indulgentiam Plenariam in forma Ecclesiae consueta, per modum suffragii applicabilem quoque Animabus igne Purgatorii detentis: qui autem corde saltem contrito eamdem Ecclesiam praefatis diedus inviserint partialem septem annorum totidemque Quadragenarum Indulgéntiam semel in die lucrari queant pari modo Animabus Purgatorii applicabilem. Contrariis non obstantibus quibuscumque.

                Die 11 Maii 1887.

D. Cardinali BARTOLINIUS S. R.

Praefectus.

 

                IOANNES PONZI

                Substitutus.

 

Pro R. I. B. LAURENT. SALVATI

Secretario.

 

68.

 

Omelia del cardinale Parocchi nella chiusa delle solennità romane al Castro Pretorio.

 

El ego si exaItatus lucro a terra,

omnia traham ad meipsum.

IOAN., XII, 32.

 

                Or sono tre lustri, e qui regnava silenzio e solitudine. Dopo lunghi stenti, ecco sorgere il più bel tempio, di quanti consecrasse Roma nell'ultimo decennio all'Altissimo, tempio dove a gara concorsero le arti umane, le sollecitudini della Penisola e la carità dell'orbe cattolico, tempio ove al genio operoso d'un umile sacerdote liberalmente sorrise la grandezza di due Pontefici.

                Questo nobile tempio, degno del titolo, è l'apoteosi del divin Cuore. Ideato da un fervoroso apostolo del Sacro Cuore, affidatane la malagevole impresa a sacerdoti, che dal celeste Patrono e dal Fondatore attinsero i documenti della vita intima di Gesù Cristo, non indarno speriamo, ch'Egli, siccome un giorno in Sionne, aprirà in questi memori avanzi del Castro Pretorio la fonte vaticinata da Isaia, vivida in sempiterno. [765]

                Nel tramonto delle sue encenie, di nuova gloria è irradiata l'augusta fabbrica dall'odierna solennità. L'Ascensione è l'apoteosi del divin Cuore: chè, se allora esulta un cuore generoso quando può far del bene, il Cuore di Gesù tripudiò di nuova esultanza, allorchè palpitando alla destra del Padre, signore s'è dimostrato ed arbitro di tutti i cuori.

                Così pienamente è avverato l'oracolo: “Ed io se verrò sollevato da terra, tutto attirerò a me” : Et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum, in questo giorno, nel recinto della nuova casa, invita Gesù i nostri ad essere trofei del suo cuore: chi vorrà rifiutarsi?

                Qualunque intenda la voce del cuore, ne conosce le arcane consolazioni. Tergere a' piangenti le lacrime, visitare gli abituri, satollar la fame, vestire la nudità de' poverelli, assistere al transito i moribondi, comporre nella cristiana fossa le salme de' trapassati, sull'anime penanti nel carcere purgatorio versare la pioggia del divin Sangue; curare la conversione de' peccatori, aprire ciechi intelletti allo splendor della fede, gli oppressi risollevare e difendere i conculcati diritti della giustizia, ecco le consolazioni del cuore umano, quelle che lo preparano alle superne; e non furono appunto queste le consolazioni preferite dal divin Cuore? Eppur, quasi dissi, nel suo terrestre pellegrinaggio, la generosa passione di fare il bene non è riuscito Gesù a soddisfarla abbastanza. Nel trentenne pellegrinaggio, accompagnato da tanti travagli, consumato fra tante pene, acquistò il merito di redimere, non uno ma infiniti mondi. L'esecuzione del gran disegno era tuttavia riservata principalmente alla vita postuma, alla vita che avrebbe esercitata sì libera e potente nella sublimità della gloria. Il Padre, che a tutti gli avvenimenti, in peso, numero e misura, prescrive gli inizii ed il corso, allora volle che seco traesse il Figlio prigioniera la schiavitù, quando fosse per entrare vittorioso nella sua reggia; allora acquietasse le tempeste orribili della terra, quando alla destra di lui si fosse assiso tranquillamente; allora applicasse l'illuminata podestà ricevuta in cielo ed in terra, quando d'entrambi i regni avesse preso il possesso. Il che torna a dire come dall'Ascensione avrebbe pigliato le mosse il regno del suo amantissimo cuore. Attuata allora la podestà non confinata da termini, splendidamente palese la carità, anima del suo cuore; dall'esuberante larghezza de' beneficii, reso manifesto di esso cuore il trionfo. Et ego si exaItalus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. Tutte le genti, senza eccezione di colte o barbare, forti o deboli, sofferenti o felici: tutte l'epoche egualmente necessitose di Gesù Cristo, e tanto più, quando la vantata civiltà d'alcune faccia mostra di bastare a sè medesima; tutte le classi, ricchi e poveri, nobili e oscuri; tutte le condizioni, dall'infima alla suprema: arti, lettere, scienze, politica, economia, tutte le appartenenze del privato bene e del pubblico, o riguardino la vita del tempo, o la vita eterna, tutto fu [766] assoggettato al dominio di lui, tutto derivò dalla sorgente inesauribile del suo cuore. Omnia traham ad meipsum.

                Egli aveva detto: “Se non parto, a voi non verrà lo Spirito consolatore”. Si non abiero, Paraclitus non veniet ad vos (IOAN., XVII). Era mestieri (conforme a' disegni della divina sapienza e bontà) che già trionfasse il cuore di Gesù, quando l'Amore ipostatico del Padre e del Figlio, l'Amore mandato da entrambi con una missione unica, siccome uno e identico è il principio ond'Egli procede, scendeva il divino Paracleto a inaugurare sulla terra il regno nel cuore. Davide combatte faticosamente trent'anni a preparare il tempio, e Salomone l'edifica nella beatitudine della pace, Così il Salvatore con gl'ineffabili spasimi della passione, seminato l'avvenire di tutti i tempi, avrebbe raccolto nel gaudio; e frattanto ad eseguire l'alta impresa vigilerebbe lo Spirito, abbellitore dell'universo. Spiritus (Domini) ornavit coelos. (IOP, XXVI, 13).

                V'è il regno della forza, proprio de' bruti, e questo avvalorò il paganesimo, per il quale le ragionevoli creature rinvertirono alla condizione d'esseri irragionevoli. V'è il regno della intelligenza, e questo se abbraccia una parte assai nobile della nostra natura, non la comprende però tutta intera: è regno di sterile ammirazione e di calcolo, incapace di felicitare chi si sente nato a ben altro, che a contemplar freddamente la verità e meravigliar della bellezza. V'è il regno del cuore, e questo senz'abbandonare la forza, quand'è necessaria a difendere il buon diritto, senz'allontanare l'intelligenza, fide consorte: questo regno investe l'uomo qual'è, l'uomo destinato ad amare e far bene, raggiungendo così la terrena felicità e la celeste. Quest'è appunto il regno indefettibile del suo cuore, sempre vivente.

                Qui se non m'illude l'affetto, qui si rispecchierà la grazia di tanto regno; e dal magnifico aspetto del tempio brillerà riflesso il trionfo del divin Cuore. Come dall'ordine visibile s'innalza lo spirito all'invisibile, noi così dal compimento del tempio esteriore, magnifico, ma non finito, ascenderemo alle altezze dello interiore, ogni dì riformando qualche parte deformata dalle passioni, ogni dì lavorando a proseguirne qualc'altra, abbozzata appena dalla nostra ingenita insufficienza.

                Regnate in questo tempio, qui regnate sovrano, o Cuore adorabile di Gesù, e mai finchè bastino i secoli, nessuno v'esigli mai; conducete Voi stesso a termine l'opera delle vostre mani, adomando di nuove bellezze le pareti esultanti del vostro crisma; ma sopra tutto regnate in noi trahe nos post te; rendeteci ognor meglio fedeli sudditi del vostro universale dominio, assumete la nostra miseria all'onore di propagare ovunque la gloria del vostro regno, sicchè non siamo noi gl'infelici, che sentiranno il terrore della giustizia nell'ultimo adempimento del vostro oracolo. Et ego si exaltatus fuero a terram, omnia traham ad meipsum.  [767]

 

69.

 

Iscrizioni di Don Francesia sulle campane della chiesa del Sacro Cuore.

 

Sulla Iª campana.

                Floritus Colle, Vir cl. Santae Romanae Ecclesiae Comes, domo Tholona apud Gallos, acerrimus Christianae religionis professor et in primis Salesianae familiae potronus, in sui obsequii signum et voluntatis erga Leonem XIII P. M. fecit ana. MDCCCLXXXVI.

 

Sulla 2°.

                Sophia Colle ex nab. familia Buchet Tholonensis in Gallis, matrona singularis esempli clarissima, et vestigiis Floriti viri insistens, ut suae pietatis monumentum erga Mariam Virg. Christianorum potentem extaret fecit ana. MDCCCLXXXVI.

 

Sulla 3°.

                Honori et memoriae Aloysii Colle, filii Floriti et Sophiae Buchet, qui cum vel ab ipsa pueritia, pietatis et literarum studio iam de se non spem, sed fiduciam daret, fiorenti adhuc aetate raptus, ne malitia mutaret intellectum ejus, quievit in Domino XVI ana. etm enses ses natus ana. MDCCCLXXXVI.

                Parentes eius dum Deo gratias agunt, qui dedit et abstulit, rerum suarum heredes pauperes Christi constituerunt, ut in beatitatem ae- ternam verteret quod casurum erat in terris.

 

Sulla 4°.

                Ad memoriam auspicatissimi diei consignandam, qua Maria de la Soledad Pascual y de Llanza nob. puella, docili ingenio, moribus sanctissimis, vis novem annos nata, primum sacra de altari litaret, Barcinonae, in sacrario asceterii Salesiani Manuel Maria Pascual de Bofarull y Maria de la Soledad de Llanza de Pascual parentes Eius gratulantes Sept. cal. maias ana. MDCCCLXXXVI.

 

Sulla 5°.

                Dorothea Chiopitea de Serra domo Barcinona, vulgo mater pauperum adpellitata in signum grati animi erga Divinissimum Cor Jesu hoc sacrum ses cudendum curavit quo die Elisabeth Huelia et Serra neptis virgo candidissima primum sacra de altari litaret sept, cal. matas ana. MDCCCLXXXVI. Heul paucis post mensibus suis flebilis omnibus desiderata ad nuptias coelestes advolavit. [768]

 

70.

 

Lettera del principe Czartoryski a Don Bosco.

 

                Mon très Révérend Père,

                Papa exige que je termine l'affaire du majorat. Les terres et les immeubles de Papa ont été déjà mis sous mon nom, comme je vous ai dit et Papa exige que je m'occupe de la formation du majorat en mon nom avant che je n'aille faire mes études chez vous. Les motifs de se presser tellement sont les bonnes dispositions de l'Empereur dont il faut profiter, la guerre imminente avant laquelle il serait prudent d'avoir fait le majorat... Il s'agit de joindre des capitaux au majorat et que je présente à l'Empereur le projet de constitution du majorat.

                Il se peut faire de la sorte, comme Papa le propose que je joigne au majorat des capitaux, sans que ma fortune particulière en soit diminuée dans le cas que je renonce au majorat (si je me fais prêtre ou religieux).

                Je dois partir, avec Papa, mercredi soir pour Vienne, où mon adresse sera à Weinhans. Nous nous y arrêterons fort peu de temps et repartirons pour Cracovie (Galicie Autriche) où mon adresse sera au musée Czartoryski.

                Le prince imperial d'Autriche doit venir à Cracovie à la fin de ce mois; et il visitera notre musée. je serai peut-être exposé à bien des distractions.

                je viens vous faire part de tous ces ennuis, comme à mon directeur spirituel. je suis toujours resolù à faire la volonté du bon Dieu et à suivre ma vocation. je veux revenir à Turin des que je pourrai.

                Je me recommande à vos prières, mon Père, et je vous prie d'agréer l'assurance de mes sentiments respectueux

                Paris, 2 rue St. Luise en l'ile, 13 Juin 1887.

Votre fils en J. C.

AUGUSTE CZARTORYSKI.

 

71.

 

Indirizzo letto nell'onomastico di Don Bosco a nome della Francia.

 

                Bien vénéré Père,

                Vous moissonnez aujourd'hui là où vous avez tant semé: vous Me permettrez, n'est-ce pas, de vous apporter, moi aussi, ma gerbe de reconnaissance et de bénédictions. [769] Un jour, dans la riante patrie que Dieu vous avait donné à aimer, votre zèle se trouve à l'étroit: les âmes manquent vite à ceux qui en connaissent le prix.

                Vous vous êtes souvenu alors que Rome chrétienne a donné au monde trois filles de grande race, ou plutôt, trois reines: - est-il de race plus grande que celle des martyrs?

                L'Italie, la France, l'Espagne sont assises sur les bords merveilleux de la Méditerranée, qui leur apporte chaque jour, avec le flot de Rome, un souffle de vieille foi; elles n'ont point de frontières; les Alpes et les Pyrénées ne les séparent pas: ce sont des signes qui indiquent les héritages et marquent le partage des gloires.

                Vos labeurs bénis avaient déjà consolé l'Italie, 'quand vous avez regardé la France comme on regarde ceux que l'on veut sauver. C'était, du reste, mettre de l'ordre dans le bienfait et prendre 'le vrai chemin de l'Espagne. La France comprit votre regard.

                Elle occupe, dans la grande famille latine, une place que vous connaissez bien.

                La charité la subjugue, le dévouement la séduit, le sacrifice la transporte; il y règne, à l'état de sainte contagion, un irrésistible besoin de générosité: elle ne saurait se marchander à qui se prodigue. Aussi le don de Dieu y trouve-t-il toujours des âmes' faites pour le connaître et pour le goûter.

                Vous savez bien, Vénéré Père, que je dis la vérité: vous connaissez la France, la vraie, celle qui est elle-même quand elle est pour Dieu. Son coeur, vous l'avez senti battre encore, sous les ruines de tant de choses grandes et belles; vous savez que le vieux sang des croisés coule encore dans ses veines, et va porter au loin la vie à des oeuvres puissantes dans l'Église de Jésus-Christ.

                Au sortir d'un long rêve sanglant où tous les respects avaient eu leur naufrage, le Pontife Romain traversait la France au milieu d'un peuple à genoux. Les tristesses préparaient des tristesses quand vous êtes venu nous prêcher une croisade de charité pour la régénération sociale: ce peuple, enseveli dans ses deuils; a levé la tête et tressailli au son de votre voix qui lui parlait de salut; et la France a cru en vous, et la France vous a aimé, parce qu'elle a la foi et l'amour de ce qui ne vient point de la terre.

                Le nom de Dieu est un mot de passe qui, dans notre pays, ouvre toutes les portes: avec ce seul mot, vous aviez le droit de prendre nos coeurs dans votre main.

                Vous étiez seul, sans ressources assurées, sans appui humain: voilà des lettres de créance comme il nous en faut. Tout ce qui est faible et petit devant les hommes, reçoit chez nous le culte d'un respect sans bornes. Et ce respect, il a sa source dans notre foi. Nous savons que Dieu est toujours derrière un homme qui se dévoue: et vous étiez atteint d'une folie de dévouement. [770] Du reste, Dieu ne s'est pas caché longtemps. Le grain de senevé a germé: le monde, surpris, en a vu sortir un grand arbre sous lequel s'abritent des multitudes qui ont, comme les oiseaux du ciel, toutes les maternelles attentions de la Providence.

                Un rameau magnifique s'étend déjà sur la France; peu à peu il la couvrira en entier de son ombre bienfaisante: tous ces chers petits, dont vous êtes le Père, chantent leur reconnaissance.

                Je vous apporte l'écho de ce chant, en un jour où l'on peut vous bénir et bénir Dieu, qui vous a donné à nous.

                Que Dieu vous garde à notre amour filial, à notre vénération: la main qui a ouvert le premier sillon est précieuse entre toutes; qu'Il daigne aussi vous donner toujours des fils comme vous les désirez.

                Merci, une fois encore, au nom d'une nation qui n'oublie point combien vous l'aimez.

                Ce merci, vous l'entenderez dans le temps qui ne finit point. Ce ne sera plus une voix ou un peuple seul qui vous le dira; les nations auront disparu: il n'y aura plus que la grande famille des élus, où vous retrouverez la vôtre.

                Ceux qui vous devront leur bonheur seront innombrables. Vous entendrez alors leurs actions de grâces; il vous les rendront avec une joie que nous ne pouvons connaître, et dans une langue que nous ne parlons point encore: ce sera le ciel, et pour toujours.

 

72.

 

Due lettere alla signora Pilati.

 

A.

 

                                Ill.ma Signora,

 

                Ho il piacere di rispondere alla riverita sua lettera del 3 giugno c.te per approvare e grandemente commendare la sua pia determinazione d'impiegare una parte del patrimonio lasciato dal suo caro marito in opere di beneficenza, essendo queste le più utili alla liberazione delle anime purganti, e le più meritorie ai viventi per la vita eterna cui aspiriamo.

                Ora eccole il mio avviso sulle opere in questi tempi più atte a promuovere la maggior gloria di Dio ed il bene delle anime.

                Una delle prime necessità dell'epoca nostra è di venire in aiuto alla povera gioventù maschile abbandonata, onde educarla cristianamente e farne dei buoni cittadini, operai, e capi di famiglia cristiani, e dei buoni Sacerdoti e religiosi debitamente coltivando le vocazioni di ciascuno; ed a questo tendono tutti i nostri Istituti maschili e femminili in Italia, Francia, Spagna ed America, e nelle stesse nostre [771] Missioni del Brasile e della Patagonia e del Chilì, che cominciano a dare dei frutti ben consolanti per noi e pei nostri benefattori e Cooperatori.

                Ora io penso che il Signore avendo ispirato alla S. V. Ill.ma di ricorrere a me per consiglio, vuole di certo farne un suo strumento per sostenere le opere di beneficenza a me affidate dalla sua Divina Provvidenza e renderla così benefattrice delle opere Salesiane, che sono opere indipendenti dal Governo, nè da esso riconosciute e perciò più libere dalla di lui influenza, ma più bisognose di mezzi materiali per mantenersi ed estendersi.

                Fiducioso pertanto che la S. V. vorrà essere insigne Cooperatrice Salesiana io le consiglio di bendere tutti gli stabili destinati ad uso pio, ed a consegnare a me od a' miei rappresentanti il danaro ricavato che sarà impiegato intieramente in opere di beneficenza, le più atte a promuovere la maggior gloria di Dio e la salute delle anime: questo è per noi il miglior mezzo per fare del bene ed anche per la S.V. essenonchè il bene fatto in vita è molto più meritorio, sicuro e vantaggioso di quello che si fa per testamento, poichè questo è ben sovente contestato od annullato, restandosi così defraudate le intenzioni pie dei testatori.

                Riguardo poi ad assumerci l'istruzione o l'educazione di cotesto Seminario[466] non ci è possibile per ora per mancanza di personale; potremmo però fin d'ora ricevere dei giovani di cotesta Diocesi che avessero vocazione allo stato ecclesiastico, e poi in seguito si potrà forse aprire anche costì un Istituto Salesiano[467].

                L'assicuro in fine che sarà detta la S. Messa in suffragio dell'anima del compianto suo marito il 20 Giugno c.te e così pure sarà fatto ben volentieri un memento nella S. Messa secondo l'intenzione della S. V. affinchè tutto riesca al miglior bene dell'anima sua e de' suoi parenti.

                Dio la benedica, le dia il centuplo in questa vita di tutto il bene che farà alle opere Salesiane, ed il premio eterno in cielo a suo tempo.

                Gradisca i miei rispettosi ossequi e preghi anche per me che non mancherò di pregare molto coi nostri 200 e più mila orfanelli pel suo benessere spirituale e temporale ed eterno e sarò sempre nel S. C. di Gesù

                di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 6 Giugno 1887.

 

Obl.mo Servitore

(Firmato) Sac. Giov. Bosco,

 

B.

 

                                Ill.ma Signora,

 

                Ho ricevuto la riverita sua lettera del 18 corr.te ed ho trovato giustissime le ragioni che La impediscono di seguire il consiglio, che [772] io credeva pel meglio di darle dietro sua richiesta, senza conoscere le circostanze. Approvo dunque pienamente quanto Ella mi scrive e la ringrazio poi di tutto cuore per la generosa intenzione di passare a miei disgraziati orfanelli ed abbandonati ragazzi i crediti che la S. V. reclama.

                Il Signore ricompenserà largamente forse anche quaggiù, ma nell'altra vita sicuramente tanta sua carità.

                Raccomando al Signore tutte le sue pie intenzioni e specialmente oggi raccomandai l'anima de' suoi cari genitori defunti e tutti gli altri suoi parenti vivi e defunti.

                Voglia gradire i miei rispetti e mi creda in N. S.

                Della S. V. Ill.ma

 

                Torino, alli 20 Giugno 1887.

 

    Umilissimo Servitore

(firmato) Sac. Giov. Bosco.

 

                Alla Sig. Teodolinda Pitati V.a Domini di Bologna.

 

73.

 

Lettera a Don Bosco sulle isole Malvine.

 

                Reverendissime Pater,

                Humiliter rogans tuam indulgentiam, scribo, interrogans quando debemus expectare adventum Patrum Salesianorum in insults Malvinis. Compellor proponere istas quaestiones a paucis Catholicis in his Insulis, et quoque ab aliis in Inglaterra qui habent cognatos ibi. Inter Catholicos qui rogant sacerdotes sunt hi quorum cognati mortui sunt sine sacramentis et quorum infantes non adhuc sunt baptizati et illi qui instruunt adolescentes in dottrina Christiana. Hi loquuntur de magna difficultate in colligendo suos discipulos pro Catechismo quorum pauci abierunt ad Protestantismum compulsi ad hoc a parentibus qui non sunt Catholici. Omnes deplorant privationem sacramentorum. Recordati sunt de meis'verbis in quibus loquebar de adventu proximo Patrum. Recordati sunt de litteris quas accepi de Patribus Salesianis in mense Decembris 1885 in quibus promiserunt suum adventum in mense Januarii 1886. Nunc omnes norunt quod Patres Salesiani advenerunt duobus vicibus in Punta Arenas, prope his insulis. Prima vice reversi sunt ad Buenos Aires, altera exierunt ad Chili esplorare regiones novas, ubi quaerunt formare Missionem Salesianam. Et Catholici a me quaerunt quid intendant facere pro nobis. Ego nullum responsum dare potui usquedum recipiam tuam opinionem. Quaestio est utrum Patres Salesiani ituri sint ad Malvinas vel non. [773] In primo caso quando debemus expectare illorum adventum; in se­cundo casu necessarium erit recurrere ad Eminentissimum Cardinalem Praefectum SS. C. de Propaganda et postea exquirere alium sacerdotem pastum suscipere coram Insularum Falkland, paucis annis. Mihi apparet, et haec est opinio aliorum, quod Patres Salesiani in Republica Argentina nihil curant de Malvinis; si ita sit, melius est aliis dare coram istius Missionis.

                Evidens est quod non est pancitas Missionariorum, quia habetis Missionarios pro aliis regionibus. Et quare non pro Malvinis? Oremus pro invicem.

                Benfieldside BlacKhill Countes Durham.

                England, 14 Nov. 1887.

JAMES FORAN.

                Rev.mum Ioannem Bosco Turin.

 

                Si rispose essere stato ordinato prete un Inglese destinato per quella missione.

 

74.

 

Altra lettera a Don Bosco sulle isole Malvine.

 

                Reverendissime Domine,

                Pervenit ad me fama de te et de operibus tuis nec non et de Con­gregatione Sacerdotum ad opus evangelizandi infideies destinatorum et de regione Patagoniae et insularum proximarum eis commissa. Nuper auteur accepi per manus cujusdam monialis (M. Mar. Sta­nislaus Ursuline Convent. Upton Essex England) litteras ei missas a Domina quadam Catholica in insulta Falkland nuncupatis degenti. Plangit illa vehementer eo quod nullus sacerdos ibi adsit ad instruendos Catholicos vel adulta vel tenera aetate, ad administranda Sacramenta Baptismi, matrimonii et caetera, ad missam celebrandam.

                Ausus sum tibi, Reverendissime Domine, hac de re scribere, in bonitate tua et zelo confidens, et sperans tibi possibile fore hoc in opere obvenire, vel me instruere quid celerius faciendum sit.

                Fieri potest forsan quod Patres Congregationis tuae Anglicam linguam non calleant, et ita difficultas hujus missionis inserviendae major evadat. Quod si ita ait, forsan melius foret si sacerdos aliquis Anglicus haec missionem susciperet.

                Quantum ad me attinet, quum capellanes sien militum libertate non fruor, quamquam mihi imprimis optabile foret me missionibus extraneis devovere. Si auteur notitia hujus annonae in Ephemeridis Catholicis Anglicis promulgaretur, fieri potest ut spiritus Domini alicui in mentem poneret se huit labori et exilio devovere. [774] Hanc rem commendo humiliter tuo zelo, Reverendissime Domine, et tuis precibus me humilem servum.

                110 Vittoria Road Alaershal England.

                Die XV octob. 1887.

Tuae Reverentiae

JAMES BELLORD

Chaplain of the Forces.

 

                P.S. Jam tenue cupio tibi numusculum quoddam pro missionibus in Patagoniam mittere. Cum his ergo mitto L. I angl. seu 25 1. 20 cent. Ital. paxvum equidem donum quod mini indulgeas.

J. B.

 

75.

 

Lettera di Don Rua al Cardinale Prefetto di Propaganda.

 

                                Eminenza,

 

                Rispondo al venerato foglio dell'Em. Vostra in data del 13 ora scorso dicembre sotto la rubrica N. 5731 ed avente per oggetto la Missione delle Isole Malvine.

                Nella scorsa estate abbiamo ricevute lettere dalla Patagonia dalle quali consta che quattro dei nostri missionarii si sono stabiliti in Punta Arenas nello stretto di Magellano allo scopo di attendere alle missioni della Terra del Fuoco e delle isole Malvine.

                I nostri Salesiani mancando di un missionario che sapesse l'Inglese, avevano pregato il Sacerdote Giacomo Foran a volersi fermare per qualche tempo di più nelle Malvine, affinchè attendesse ai suoi connazionali residenti in quell'isola e l'hanno ottenuto.

                Ma poi dovendo egli partire ci raccomandò quella missione appunto affidata al Salesiano Don Giuseppe Fagnano come Prefetto Apostolico, e si rispose che non appena avesse ricevuti i Sacri Ordini un nostro alunno Irlandese si sarebbe sollecitamente provvisto. Essendo stato ordinato Sacerdote nell'ora scorso ottobre il suddetto nostro alunno, Mons. Giovanni Cagliero Vie. Apostolico scriveva a Don Fagnano che pensasse a quella Missione.

                Speriamo quindi che sarà provveduto al bene spirituale di quelli infelici il più presto possibile.

                Oso raccomandare alle preghiere dell'Em. Vostra il nostro caro Don Bosco infermo Egli quantunque non possa quasi parlare, pure non cessa d'inculcarci la più perfetta ubbidienza alla Santa Sede e le attenzioni più assidue alle Missioni della Patagonia. [775]

                E noi considerandole insieme colle raccomandazioni dell'Em. Vostra, come un sacro dovere, promettiamo consecrarvi tutte le nostre sollecitudini.

                Della Em. Vostra

 

                Torino, 3 Gennaio 1888.

 

Obbl. Servitore

Don Michele Rua.

 

76.

 

Missione alla tribù di Shayueque.

 

Reverendissimo Sig. Don Bosco

e Carissimo Padre in G. C.,

 

                Termino di questi giorni la lunga missione data alla tribù di Shayueque, composta di 1700 persone.

                Siamo stati due mesi in un povero rancho, costrutto con pali intonacati di fango e coperto di frasche secche con una cappa di terra sopra. Siamo però stati bene pensando ai toldos assai più meschini dei poveri Indii ed alla capanna più meschina ancora di Betlemme, dove abitò la famiglia più grande del cielo e della terra. Eravamo mantenuti colla stessa razione che il Governo passa agli Indii. Io però viveva della mensa del comandante Lucian, che avevo conosciuto a bordo del Pomona, nel mio primo viaggio a Patagones. Da buon soldato si conformava come tutti gli altri alla vita del deserto, mangiando carne e riso, e riso e carne; e sedendo parimente come tutti gli altri sui tronchi di alberi o cassette, e monture di cavallo.

                Noi però eravamo ricompensati ad usura dai nostri buoni catecumeni, i quali venivano famelici della parola dì Dio e sitibondi di religiosa istruzione. Ogni giorno davano 4, 5 e persino 6 istruzioni in diversi punti o gruppi della tribù.

                Si battezzarono prima tutti i fanciulli e sì cresimarono nel giusto timore che saranno dispersi un giorno o l'altro. Quindi si battezzarono tutti i giovanetti e le giovanette da io ai 20 anni. In ultimo i padri e le madri di famiglia, i quali nella maggior parte celebrarono pure o meglio ratificarono il loro matrimonio, già contratto legittimamente et secundum legem naturae.

                Tra questi era notato il figlio del Cacico Yancuche, il quale vedendo tutta la sua gente già cristiana, e cristianamente unita in santo matrimonio, vinse se stesso e, rinunciando alla sua seconda moglie, ricevette per mie mani il battesimo e ratificò il già contratto colla prima.

                Lo stesso accadde del figlio primogenito del Cacico Shayneque e di altri caporioni, i quali dopo molto dire si arresero alle nostre persuasioni. [776]

                Shayueque fece istruire e battezzare tutta la sua numerosa famiglia. Egli però non si sentì il coraggio di lasciare le sue tre mogli che aveva di troppo, Veniva spesso all'istruzione e prendeva interesse per conoscere le verità della nostra santa Religione: veniva a trovarci spesso e spesso faceva colazione con noi. Il giorno nel quale gli diedi l'assalto perchè si risolvesse a ricevere il S. Battesimo non pose resistenza; ma quando io misi per condizione assoluta la monogamia, abbassò la fronte soffiando e sospirando e prendendosi tempo per risolvere questo per lui duro problema.

                Porse vi sarei riuscito, se un incidente non disturbava il nostro e suo divisamento. Questo incidente, che per fortuna accadde al termine della missione, fu un ordine del Governo di togliere ottanta famiglie dalla tribù e farle marciare un cammino di due mesi verso Mendozza ad impiantare una colonia.

                Siccome l'ordine del Governo si eseguì col fucile in canna, pose un allarme e spavento in tutti questi poveri ed infelici Indii, i quali ancora non avevano potuto dimenticare le vessazioni dei soldati, quando si arresero tre anni fa.

                Io tentai di sospendere od almeno differire l'esecuzione di questo decreto, ma il comandante disse di non poter assolutamente accedere alla mia domanda. Riuscii però a rendere più miti le maniere colle quali si voleva eseguirlo.

                Lavorammo tre giorni per pacificarli e persuaderli che il Governo con quel decreto non li voleva incatenare, ma piuttosto li voleva liberare dal giogo militare e farli partecipi del diritto comune nella nuova colonia: e che sapendoli tutti cristiani, era suo obbligo ed intenzione di proteggerli come qualunque altro cittadino. Si acquetarono e potemmo ultimare la nostra missione istruendo alla bella meglio e battezzandone ancora un duecento.

                Shayueque però afflitto, perchè gli venivano tolti tanti sudditi, non volle risolversi a ricevere il santo Battesimo, dicendo che lo farà in altra occasione, nella quale fosse più calmo.

                Altri capitaneyos vennero, perchè loro lavassimo la cabeza, ma non essendo disposti a lasciare per ora la poligamia dovemmo lasciarli noi pure nella selvaggia infedeltà, non senza raccomandarli all'infinita bontà e misericordia del Signore. Speriamo che il seme della parola divina, che nascondemmo nei loro rozzi cuori, nascerà un giorno e li renderà ancor essi figli di Dio, della Chiesa, ed eredi del Paradiso.

                Le famiglie che dovettero partire si attendarono alla sponda sinistra del Rio Negro per alcuni giorni: e siccome molti erano ancora infedeli, per tre giorni passammo il fiume ad istruirli, sotto l'ombra balsamica dei salici piangenti, che, coi loro rami bagnati dalle limpide acque, ci difendevano dai cocenti raggi del sole. Quivi battezzammo in due volte circa 70 adulti ed alcuni fanciulli. Ricevettero la S. Cresima [777] e 20 padri di famiglia si santificarono col matrimonio cristiano. Nell'atto della funzione ricordai le sponde del Giordano ed il Santo precursore del Salvatore del mondo. Ille in aqua tantum, nos autem in aqua et Spiritu sancto, il quale ha supplito abbondantemente la nostra insufficenza.

                Circa 900 adunque furono i battezzati e cresimati, i quali uniti a 400 fanciulli dell'anno passato, sommano a 1300. Tanti sono i neofiti della tribù di Shayueque, che vestirono l'anima loro della veste nuziale del S. Battesimo. Insieme colle verità della fede loro abbiamo insegnato a recitare le orazioni ed il S. Rosario col Deus in adiutorium e Gloria Patri in latino; i misteri in indio e Pater, Ave in Castigliano. Ed era per noi una vera consolazione e santa soddisfazione l'udire un gruppo numeroso di fanciulli e fanciulle principiare e terminare da sè la recita della santa Corona. Ah! che la Vergine Santissima protegga e difenda questa nuova porzione del gregge di Gesù Cristo!

                Don Milanesio parla l'indio come un indiano. Io nei discorsi d'importanza loro parlava per mezzo dell'interprete, e nei catechismi col libro tradotto nella loro lingua e mi intendevano benissimo.,

                Come ricordo della missione piantammo due croci in mezzo ai loro toldi, benedicendo un luogo particolare perchè servisse come di cimitero cristiano. L'ultimo addio terminò colla recita di un Pater, Ave e Gloria per il S. Padre; e per Don Bosco un viva ad multos annos.

                Il giorno 9 di gennaio verso sera gettammo a nuoto i nostri cavalli e poi passammo all'altra sponda del fiume, sopra una barchetta guidata da due soldati. Come erasi fatto notte alzammo la tenda, che ci ha regalata la signora Nicolini, e dopo aver cenato al chiaror di bianca luna, andammo a dormire; io nella tenda, Don Milanesio in una conca lasciata secca dal fiume, Don Panaro e Zanchetta dietro un cespuglio; e gli arrieri vegliando e guardando i cavalli che pascolavano.

                Al mattino, svegliatici un poco tardi, partimmo per evitare la sferza del sole, io e Don Milanesio soli, e dopo un galoppo di 6 leghe arrivammo presso l'estancia di un ricco signore alto locato nel Ministero di Buenos Aires. Quivi ci trovammo in una vera oasi in mezzo al deserto. Bella casa, buon letto, buona cucina, ed un cuore più buono ancora. Ci fermammo una settimana per riposare e ristorarci un poco, come anche per istruire e battezzare 22 Indii, che lavoravano quivi in qualità di manuali.

                Il giorno 6 giungemmo dopo altre 6 leghe di cammino, che io potei fare in vettura di campagna a 6 cavalli, al nuovo Pueblo di Roca. Appena giunsi venne il comandante Quiros a farmi visita e ad offrirsi per tutto quello che fosse necessario per la nostra Missione.

                Il generale Winter mandò telegrammi alle autorità militari e civili perchè ci usassero le attenzioni dovute, e grazie a queste raccomandazioni, fummo trattati benissimo: alloggiati in un edificio nuovo che serve di collegio e serviti da due soldati, con la razione, io da [778] generale, Don Milanesio e Don Panaro da ufficiale, Zanchetta da caporale e i due peoni da semplici soldati.

                Roca è una colonia e paese incipiente in bella pianura, bagnato dal Rio Negro, a 120 leghe da Patagones, sede della guarnigione di questo immenso territorio e soggiorno di mille abitanti, che fino ad ora vivono a spese del Governo. Essendo però un luogo dove Eolo tiene le caverne dei suoi furiosissimi venti, e dove la polvere oscura il cielo quando soffiano, e lo fanno troppo spesso, temo della sua durata in avvenire.

                Al suono di cornetta i ragazzi e le ragazze vengono al Catechismo mattino e sera; gli adulti sull'imbrunire per la recita del santo Rosario e per udire il sermone.

                Dopo questa missione continueremo il cammino verso le Cordigliere per altre 130 leghe, visitando la colonia di Malbarco. Se il passo de Los Andes sarà aperto per cagione delle nevi, che sogliono alle volte anticipare il loro arrivo, valicheremo quelle immense montagne e ci porteremo al Chilì, dove è inteso che fonderemo la nostra prima casa salesiana e di dove le scriverò a Dio piacendo.

                Le notizie di Patagones, S. Cruz, Terra del Fuoco, Buenos Aires, S. Nicolas e Montevideo penso che le avrà dai rispettivi direttori, i quali fanno tutti bene la parte loro e zelano la gloria di Dio e l'onore della Congregazione.

                Tutti però confidiamo illimitatamente nella benedizione ed orazioni della Paternità vostra, che ricordiamo ore et corde ogni giorno ogni ora, ogni momento.

                Benedica gli erranti pel deserto della Patagonia.

                     Roca, Rio Negro, 17 gennaio 1887.

 

In G. C. aff.mo figlio

+ GIOVANNI, Vescovo di Magido.

 

77.

 

Al Vicario Generale di Concepción nel Cile.

 

                                Venerado Senor

 

                No puedo exprimirle todos los sentimientos que se exeitaron en mi mente y en mi corazón al leer su tan apreciada carta del io Mayo aflo corriente. M voluntad sería de mandaxles cincuenta misioneros para las primeras necesitades de tan vasto Obispado; mas Dios no me lo permite, porqué nosotros también sentimos la falta de vocaciones religiosas; yo soy viejo y enfermo, todavia mi voluntad me haria volar aqui para ayudarle,

                Empero no quiero dejarle sin una buena esperancia, y le diré, [779] que en septiembre, si Dios lo permite, se hará un capitulo general en el cual se examinaran los medios para l'ocurrente personal.

                Pero en el proximo otoùo le daremos una respuesta mas cierta y positiva.

                Pide las oraciones de V. Rev. III.

 

Su affectisimo y humilde servidor

         (Firmato) JUAN BOSCO.

 

                Turin, 13 Iulio, 1886.

 

 

78.

 

Tre lettere di Don Bosco

al Sig. D. Riccardo Arteaga di Caracas.

 

A.

                Muy Sr. mio y hermano in Corde Christi:

                He recibido su muy apreciable del 8 de Marzo, que por cierto me proporcionó momentos de sumo consuelo y regocijo, pues veo que, aunque tan lejos, no dejan de haber almas óptimas que también se interesan por nuestra humilde y naciente Congregación Salesiana, esta­blecida por Dios Ntro. Señor para hacer un gran bien en la Sociedad, con la educación especialmente de la juventud pobre y abandonada. La idea que V. me propone de establecer en esa católica ciudad una Sociedad de Cooperadores Salesianos, no puedo menos de consi­derarla excelentísima por todos conceptos y le secundaremos en todo

                lo que necesario fuere. Al efecto le remitiremos dentro breves dias el Diploma de Director de esos Cooperadores, y otro diploma de De­curión que V., en conformidad con el parecer de ese Revdmo. e Ilmo. Sr. Arzobispo, tendrán a bien nombrar. Le mandaremos tambien los Reglamentos que nos pide, y que hoy se preparan para imprimirlos. Lo mismo la estampa de San Francisco de Sales, nuestro Patrono, y de Maria Auxiliadora.

                Más tarde podré satisfacer a la pregunta que V. me hace del coste de la estatua de San Francisco de Sales, que V. desea comprar. Desde luego puede ya hacer V. uso del cargo de Director de los mencionados Cooperadores, de los cuales desearíamos los nombres con sus correspondientes direcciones, para inscribirlos en nuestros Registros y mandarles todos los meses el Boletín Salesiano y el Di­ploma. Supongo habrá recibido V. ya, unos 24 números de este mes, como tambien el Diploma para V. Tenga pues, la bondad de distri­buirlos a todos esos buenos y respetables Sres. Cooperadores. Agradezco infinitamente el afecto que hacia nosotros demuestra ese Revdmo. e Ilmo. Sr. Arzobispo a quien deseo se digne V. hacer presente mi mucha gratitud y respeto. [780] Tanto por dicho venerando Sr¡ Arzobispo como por V. y por todos esos fervorosos católicos Cooperadores Salesianos no dejaré de pedir al Señor en mis oraciones, recomendando además a todos estos niños hagan tambien lo mismo en las suyas.

                Mientras tanto tengo el gusto de ofrecerme de V. suyo afmo. amigo y s.s.q.s.m.b.

                Turin, 11 de abril de 1887.

(Firmato) JUAN Bosco, Pbro.

 

B.

 

                               Carísimo en Christo:

                En mi poder su muy atenta y grata. Por lo que veo, no recibió V. todavía la estampita de San Francisco de Sales y algunas de Maria Auxiliadora, que dos meses hace le envié. Hoy le remito esas obras, como tanbién las goo medallas que V. en su última me pide.

                En cuanto al diploma de Decurión, espero poder mandárselo para mediados del presente mes, juntamente con los diplomas de Cooperadores de los Sres. que V. me mandó inscritos en su nómina. Todos los meses le mandaremos Boletines ya que V., según nos dice, se dignará distribuirlos a sus respectivas direcciones. Desearíamos, sin embargo, saber las residencias de dichas personas Cooperadoras.

                Tambien le enviaremos las instrucciones para la erección de la Sociedad de María Sma. Auxiliadora.

                Dios Ntro. Señor bendiga su mucho celo por la gloria de Dios y la salvación de las almas, colmándole de gracias en esta vida y en la otra coronándole con una gloria imperecedera.

                Mucho siento que V. no pueda, como me dice, efectuar su viaje a Europa, pues me priva del grandísimo gusto que tendría en conocerle personalmente. Pero hágase en todo la voluntad del Señor. En cuanto al importe de los Boletines y etc. dejo a Vds. hacer lo que su corazón les dicte.

                Dígnese hacer presente a ese Ilmo. y Rvdmo. Arzobispo mis respetuosos saludos y muestras de agradecimiento por el afecto que tan caritativamente nos tiene, mientras me digo de V. su afmo. amigo y obligado servidor

                Turin, 9 de julio de 1887.

(Firmato) JUAN BOSCO, Pbro.

 

C.

                Muy apreciable Sr. y amigo in Corde Christi:

                Tengo en mi poder su muy grata del 8, juntamente con la segunda lista de los Cooperadores nuevos.

                Espero que a esta fecha habrá recibido V. ya mi última carta en que le hablaba de los Diplomas, medallas y etc. etc., todo lo cual [781] estará ya en su poder, pues se lo remitimos el mismo día que salió la carta. In cuanto a su Diploma de Director, se lo enviaremos dentro de pocos días. El mes que viene le mandaremos también algunos Boletines de junio, julio y Septiembre. Los Diplomas de todos esos, Sres. Cooperadores será mejor los retengamos en ésta hasta que venga por aquí alguna persona Cooperadora que pertenezca a la Comisión que presentará la ofrenda al Santo Padre el fausto día de su jubileo pues de lo contrario se originarían gastos enormes: Esperamos que V. para dicha fecha habrá vencido todas las dificultades que en un tiempo creía le impedirían efectuar su viaje en este invierno a Roma. Para mi, puedo decirle, que sería una satisfacción grandísima poderle conocer personalménte.

                Desearíamos tener las direcciones de los Sres. Cooperadores cuyos nombres se dignó V. mandarnos en dos listas.

                En fin, yo concluyo dándole las gracias por el gran interés y empeño con que trabaja en beneficio de nuestra misma Congregáción y le prometo que tanto por V. cuanto por todos esos celosos Cooperadores, rogaré al Señor todos los días.

                Con respetuosos saludos para ese Rvdmo. 'Sr., Arzobispo, tengo el gusto de reiterarme de V. suyo afmo. amigo y s.s. in Corde Christi,

                Turín, 8 de agosto de 1887.

(Firmato) JUAN BOSCO, Pbro.

 

79

 

Due lettere al signor Giuseppe Jimenez cooperatore di Lima.

 

A.

 

                Muy Sr. mio y de mi mayor consideración,

                Recibí su muy grata con adjunta la limosna de loo pesetas, que V. S. movido por su bueno y caritativo corazón tuvo la bondad de remitirme, para auxiliar a nuestra santa obra de las Misiones de América. Dios Ntro. Señor sumamente generoso' en recompensar lo que a él mismo se hace en la persona de sus pobres, no dejará ciertamente de hacerlo tambien con' Ud. y toda su familia, colmándoles de gracias, y electas benediciones. Acerca del « Boletín Salesiano » hoy remitimos a Ud. él del mes de Octubre del año 1886, que fue el primero que se imprimió en esta Tipografía, y también él del mes actual. Como no hay inconveniente alguno, por parte nuestra, en mandarselo a Lima, nosotros lo seguiremos mandando allá gustosísimo, desde el momento que V. S. tenga a bien ordenarnoslo. [782] En cuanto a los libros que V. S. me dice piensa comprar en Barcelona, creo sería más conveniente se hiciese Ud. de ellos por medio de la librería de esta casa por mayor seguridad de encontrarlos todos pues en la de nuestra casa de Barcelona como se alla todavía en principios, creo que no se hallará todo lo que hasta a qui se ha publicado en el mencionado boletín.

                Del paretesco del S. D. Benito Gil con el traductor de Buenos Aires no se nada, ni tampoco me parece que nuestras obras se hallen de venta en su librería.

                Sin embargo nosotros escribiremos al Sr. D. Costamagna, pues es el Superior de la casa que tenemos en Almagro y también el encargado y Director de todo lo que allá se publica, á fin de ponernos en comunicación con dicho Señor. Desde luego y si Ud. lo cree conve­niente lo haremos Cooperador y enviaremos el Boletin todos los meses.

                Dentro de poco manderemos a V. S. el Diploma como también al referido Sr. Gil.

                Entre tanto aprovecho la ocasión para ofrecerme de Vd. atento y S.S.L.B.S.M.

                Turín, 2 Febrero de 87.

(Firmato) JUAN Bosco Presb. B.

 

B.

 

                Muy Sr. mío y de toda mi consideracion,

                En mi poder su muy grata y atenta del 16 Marzo a la cual no res­pondí más ante, esperando el momento de poder anunciarle el envio del Diploma, que remito a U. con fecha de hoy.

                Mucho siento el estado de salud en que me dice se halla U. y por su mejoramiento como también por los otros fines que en sus cartas anteriores me manifestó, he pedido mucho al Señor en mis oraciones, lo cual seguiré todavía haciendo.

                Hoy se rimitirá también al Señor Gil y al Sr. Calderon sus respectivos diploma, así como al último el paquetito de libros que U. nos encarga, teniendo ya preparado el otro hasta nuevo aviso. Igualmente enriamos a U. las estampas y medallas que desea.

                Jo no puedo menos de manifestarle lo muy agradecido que le estoy al grande celo y particular afecto que hacia nuestra Congregación esperimenta y estoy seguro que cooperando U. de esta manera tan practica, a la salvación de tantas y tantas almas el Señor derramará sobre U. y toda su familia un cúmulo de electas benediciones aquí en la tierra y un galardón imperecedero en la gloria. Si, salvar almas, ya por medio de buenas y religiosas lecturas, ya por limosnas, ora por consejos, ora en fin, con oraciones es una 'obra de grandissima importancia, con la cual, como dice S. Agustin, salveremos [783] indudablemente la nuestra. Dios Ntro. Señor pues bendiga a U. y a toda su familia, dandoles al proprio tiempo larga vida para que durante ella puedan beneficar a las almas de tanta juventud pobre y abandonada, que tanto lo necesita. Prosigamos pues y esforzé­monos a hacer el mayor bien que podamos a la mayor honra y gloria de Dios.

                Deseandole completa mejoría en su estado de salud, como tambien realización de su venida a esta, quedo de U.

                Turin 1 April de 1887.

Almo y atento y S.S.L.B.S.M.

(Firmato) JUAN Bosco.

 

80.

 

Convenzione per Quito.

 

                Convenzione tra il Governo della Repubblica dell’Equatore ed il Sac. Giovanni Bosco per la fondazione d'un Istituto per la gioventù maschile.

                Allo scopo di concorrere alla religiosa, scientifica ed artistica educazione della gioventù della Repubblica dell'Equatore, tra l'Eccellentissimo Governo della Repubblica ed il M. Rev. Sac. Giovanni Bosco fondatore e Rettore della Pia Società di S. Francesco di Sales si conviene quanto segue:

                I° Il Governo della Repubblica dell'Equatore cede al Sac. Giovanni Bosco e suoi successori l'uso del locale ed adiacenze che tiene preparato ad uso collegio di arti e mestieri con tutto il mobilio, macchine ed utensili di lavoro che vi si trovano.

                2° Provvederà alle spese di viaggio di tutto il personale che dovrà recarsi in quell'Istituto nel corso dei dieci primi anni e dei viaggi che si dovranno intraprendere nell'interesse del medesimo.

                3° Darà inoltre al Sac. Giovanni Bosco 4000 sucres per l'avvìamento dello stabilimento ripartiti in quattro versamenti da compiersi nel primo anno.

                4° Il Governo dispenserà i Salesiani e le loro case dalle Dogane e dalle Imposte concedendo loro la franchigia postale e gli altri privilegi che fossero accordati agli altri ordini religiosi.

                5° Si farà un esatto inventario di tutti i mobili, utensili, arredi ed altri oggetti esistenti presentemente nell'Istituto; i quali dovrà il Sac. Giovanni Bosco restituire al Governo quando, quod Deus avertat, dovesse abbandonare l'Istituto; ma nello stato e condizione in cui allora si troveranno.

                6° La Direzione ed Amministrazione interna dell'Istituto, la disciplina, l'orario delle varie occupazioni saranno interamente affidati al Sac. Giovanni Bosco ed al Direttore da lui nominato. [784]

7° Oltre i giovani che saranno accettati dalla Direzione sarà in facoltà del Governo di mandare all'Istituto degli alunni, purchè forniti delle condizioni richieste per l'accettazione, mediante una pensione mensile di sei sucres caduno.

                8° Affinchè un giovane sia accettato nell'Istituto dovrà essere sano, robusto e ben disposto nella persona; nell'età non inferiore a 12 anni e non superiore ai 20; dovrà presentare gli attestati di nascita e battesimo, di vaccinazione e della condotta morale tenuta anteriormente rilasciato dal parroco.

                9° Quando alcuno degli alunni raccomandati dal Governo fosse colpito da malattia contagiosa o cronica, tenesse una condotta immorale, o per qualunque altra cagione riuscisse di danno ai compagni, il direttore è in piena facoltà di allontanarlo, solo ne avvertirà il Governo, affinchè, occorrendo, possa provvedere al suo collocamento.

                10° Sarà in piena facoltà del Direttore dell'Istituto l'applicare ad un'arte o mestiere oppure allo studio qualunque degli alunni raccomandati dal Governo.

                11° Qualora il Governo intendesse rivocare a sè l'uso del Collegio, dovrà darne diffidamento tre anni prima, lasciare al Sac. Giovanni Bosco la proprietà di tutti i mobili suoi, e risarcirlo delle spese che dovesse fare pel viaggio del personale.

                12° Alli 10 Settembre del corrente anno si farà la prima spedizione di Salesiani da St - Nazaire.

 

                Torino, Febbraio 14 del 1887.

 

JOSÈ IGNACIO

Arzobispo de Quito

Sac. Gio. Bosco.

 

81.

 

Il Presidente della Repubblica equatoriana

a Don Bosco.

 

 

PRESIDENCIA DE LA REPUBLICA

ECUADOR.

 

 

                                Muy Seiior de mis consideraciones,

 

                Cábeme la honra de saludar á V. respectuosamente, al contestar su estimable comunicación de 7 de marzo anterior.

                Nuestro M. y Rev. S.r Arzobispo M.r josé Ignacio Ordonen me había comunicado yá las condiciones con que los RR. PP. Salesianos se han comprometido á venir á este país para prestarnos sus importantisimos servicios. [785]

                Mucho ancio por el pronto arribo de la espedición de Misioneros conaprometida a nuestra República y de cuya benefica acción tanto bien esperamos conseguir.

                Me es grato ofrecer a V. R. mìs respetos suscribiendonie en atento y obsecuente S. S.

 

                Quito, Mayo II del 1887

J. M. P. CAAMAÑO.

 

82.

 

Le due ultime circolari di Don Bosco.

 

                                Benem. Sig.

 

                Mi è noto come la S. V. stimi ed apprezzi le opere di carità e di religione, e quanto l'animo suo sia naturalmente portato a promuoverle ed a sostenerle. Questo m'infonde viva fiducia che Ella prenderà in benigna considerazione queste poche linee e ciò che sono per esporre.

                La S. V. non ignora che una delle opere più degne di encomio e di appoggio quella si è delle sacre Missioni tra le estranie genti. La raccomandò il divin Maestro agli Apostoli e ai loro Successori dicendo: Andate per tutto il mondo ed ammaestrate tutte le genti: Euntes in mundum universum... docete omnes gentes; la raccomanda la Chiesa cattolica e la promuove con ogni possibile mezzo; la raccomanda la ragione dalla fede illuminata; la raccomanda la natura stessa  del cuor umano. La divina ingiunzione di ammaestrare ed incivilire tutti i popoli del mondo fu perciò in ogni tempo fedelmente adempiuta; e sotto la sapiente direzione del Romano Pontefice essa si compie eziandio ai giorni nostri da centinaia e da migliaia di Sacerdoti con una generosità ed intrepidezza, che ricorda i primi anni del Cristianesimo.

                Ma nonostante le numerose schiere apostoliche sparse sulla faccia della terra, per arrecarvi la fiaccola della Fede e i benefizi del verace progresso, pure moltissimi popoli restano privi tuttora di questo segnalatissimo bene. Ignari delle verità religiose essi sono ad un tempo privi dei materiali e civili benefizi da queste portati nel mondo; e perciò senza istruzione, altri espongono tuttora i bambini e le bambine al pascolo degli animali; altri offrono alle false divinità sacrifici umani; altri vendono i loro simili come tra noi si vendono le bestie, ed altri li scannano pur anche e si nutrono delle loro carni; tutti da più a meno vivono e muoiono come i bruti. Quale spettacolo straziante per chi ha fede, per chi ha cuore, per chi ha sensi di umanità!

                Di qui si scorge che le Missioni cattoliche, destinate ad evangelizzare ed incivilire tante infelici creature è opera meritevole delle [786] più alte lodi; ed oggidì specialmente non vi ha persona bennata, che non ammiri, e potendo non conforti di sua protezione quei Religiosi e quelle Religiose che abbandonano la patria, i parenti e gli amici, e sacrificano comodità e riposo per farsi Apostoli del Signore, benefattori e salvatori delle tribù, tuttora abbandonate nella ignoranza e nella barbarie.

                Questo glorioso cómpito, come la S. V. ben sa, da dodici anni a questa parte è pure affidato alla Pia Società Salesiana. Dall'anno 1875 i Salesiani, confortati dalla benedizione del Sommo Pontefice, si sono stabiliti in più luoghi dell'America del Sud, allo scopo non solo di conservare nella Fede le popolazioni già cristiane, ma colla mira principale di portarsi nelle regioni finora inesplorate, per istruirne gli abitanti, aggregarli alla Chiesa e in pari tempo guadagnarli alla civile Società. A questa impresa essi attendono oggidì nell'Impero del Brasile, nell'Uruguay, nella Repubblica Argentina, nella Repubblica del Chilì, e tra poco vi attenderanno eziandio in quella dell'Equatore.

                Tutti i riferiti Stati comprendono nei loro confini numerose tribù selvagge ancora schiave dell'errore, soggette all'impero di Satana. Milioni ne conta il Brasile, migliaia ne annoverano tutte le mentovate Repubbliche. Tra le altre l'Argentina e la Chilena abbracciano la Patagonia, la Terra del Fuoco, ed innumerevoli isole, che formano verso il polo antartico gli ultimi confini della tetra. Colà appunto tra vasti deserti, tra gole di altissimi monti, sulle sponde di profondi e vorticosi fiumi, come mandre si aggirano numerose famiglie di poveri indigeni, privi di ogni bene spirituale, materiale e civile.

                Or bene tra mezzo a quelle lontane ed infelicissime genti si trovano e faticano con successo i Missionari Salesiani. Lo stabilirsi colà costò loro non solo sudori e stenti, ma naufragi, cadute, smarrimenti, fame, sete, ed altri evidenti pericoli di vita. Ciò non di meno essi sono lieti di essere riusciti in parte nel loro intento. Colà già fondarono parecchie stazioni, quali sono ad esempio quelle di Norquin, di Santa Cruz, di Punta Arenas, ed altre stanno meditando di stabilirne nelle parti più centrali, nella Terra del Fuoco e nelle isole Maluine. Quello che molto consola si è che le popolazioni ed i loro capi o Cacichi si mostrano dispostissimi ad abbracciare la religione cristiana, e fanno aprire il cuore alla speranza che non sia lontano il giorno, nel quale quelle terre fioriranno a guisa di ricchi giardini della cattolica Chiesa.

                Ma un grave riflesso occorre di fare qui, ed è questo: In quelle parti i Missionarii abbisognano di molte cose indispensabili per l'esercizio del sacro ministero, e di altre necessarie ai selvaggi medesimi, sia per convertirli, sia per coltivarli nella Fede, sia per ridurli alla vita civile. A tal uopo sono richieste delle Cappelle, ove raccoglierli ed istruirli non solo colla parola, ma coi sacri riti e colle cerimonie cattoliche; sono richiesti dei sacri arredi per la celebrazione dei divini [787] Misteri e per l'amministrazione dei santi Sacramenti. Per la vita morale e civile occorrono degli abiti per vestire decentemente, e dei fabbricati per ospitare le fanciulle e i fanciulli abbandonati nel deserto, e per istruirli per tempo, onde farne dei cristiani e prepararli ad essere gli aiutanti dei Missionarii nell'incivilimento dei loro connazionali; occorrono infine strumenti per l'agricoltura, per l'apprendimento e l'esercizio delle arti e dei mestieri, e via dicendo.

                Or tutti questi ed altri consimili oggetti, per provvedere agli accennati bisogni, non trovandosi ancora in quelle terre inospitali, e dovendosi procacciare e far giungere dai paesi inciviliti e lontani ben può immaginarsi quanto costi il dar principio e mantenere una, Missione. Don Bosco ed i Salesiani lo sanno per prova e ne parlano colla più profonda convinzione.

                Esposte in breve queste cose, io debbo segnalare ora un punto di grande importanza. La S. V. lo ascolti, e nella sua bontà si degni di prenderne vivo interesse: Senza il concorso e la carità dei fedeli, D. Bosco ed i Salesiani non possono sostenere le loro Missioni, e dovranno abbandonarle, come già fecero Missionarii di altre Congregazioni. L'assicuro che il solo pensiero di un tal fatto mi affligge profondamente. Io spero che il Signore nella sua misericordia non vorrà addolorare gli ultimi giorni di mia vita con un tale disastro; confido anzi che mia vita durante e dopo la mia discesa nel sepolcro i Missionarii Salesiani potranno rimanere al loro posto, rallegrare la Chiesa di nuovi figli, e giovare altresì ai civili Governi con savii cittadini.

                Ma questa confidenza dopo Dio io l'appoggio sulla bontà de' miei Cooperatori e delle mie Cooperatrici, fra cui godo di annoverare la S. V. cotanto benemerita. Se tutte le persone, che hanno qualche relazione con me, si degneranno di porgermi l'obolo della loro carità, io potrò tra non molto inviare ai Missionarii Salesiani tanto che basti da sostenere le loro opere, da confortare il loro zelo, da spingerli a portare le loro tende e a spiegare il vessillo della Croce sino agli ultimi confini del mondo.

                Con questa confidenza io mi accingo altresì a mandare in questi giorni una schiera di Salesiani a Quito nella Repubblica dell'Equatore, ove nel versante orientale delle Cordigliere siedono ancora nell'ombra di morte migliaia e migliaia di anime, che attendono l'opera del Missionario cattolico. Questa confidenza sarà pur quella, che mi farà intraprendere altre Missioni, offerte ai Salesiani dal Papa, dai Vescovi, e da molti Governi.

                Permetta adunque la S. V. che cadente ormai sotto il peso degli anni e degli acciacchi della vecchiaia, io le domandi per ora una qualche limosina per i cento e più miei Missionarii, che sebbene lungi dai miei occhi sono tuttavia sempre vicini al mio cuore; le dimandi la limosina per tanti poveri selvaggi, adulti e piccoli, da loro già convertiti, che senza conoscermi mi chiamano padre; le dimandi la limosina [788] per migliaia di altri, che invocano e stanno aspettando i Salesiani quali angeli liberatori. Questa carità io la chiedo in nome di Gesù Cristo, che per le anime ha dato il sangue e la vita; in nome di Gesù Cristo, che ha promesso di partecipare il merito e la mercede dei predicatori del Vangelo a tutti coloro, che per amor suo li avranno soccorsi ed aiutati: Qui recipit prophetam in nomine prophetae, mercedem prophetae accipiet.

                L'umile sottoscritto e i trecento mila fanciulli, che stanno oggimai sotto la direzione dei Salesiani nelle varie parti del mondo, faranno ogni giorno vive istanze presso al trono di Dio e della Vergine Ausiliatrice, che spandano sopra di Lei e sopra tutte le opere sue le più elette benedizioni anche temporali; le concedano la sanità corporale, la pace e la concordia nella famiglia, e la prosperità pur nei materiali interessi. La esperienza ci è maestra che i benefattori dei nostri missionarii godono in vita ed in morte una specialissima protezione del Cielo.

                Ecco spiegato il mio animo come amico a persona amica, pieno di speranza che non avrò parlato invano alla mente ed al cuore della V. Benemerita.

                Infine mentre sto aspettando la sua carità raccomando alle fervide sue preghiere l'anima mia, e mi professo con alta stima e con profonda riconoscenza

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, 4 Novembre 1887.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco

 

MEZZI DI CONCORSO.

 

                Essendo molti i bisogni, i miei Benefattori possono venirmi in aiuto con isvariati mezzi, vale a dire con inviare oggetti di biancheria, tela, stoffa, panno, abiti ancorchè usati purchè sufficientemente in buono stato, arredi di Chiesa, come altari portatili, pianete, stole, camici, tovaglie, messali, calici, sacre pissidi e simili.

                I Sacerdoti possono concorrere colla celebrazione di un certo numero di Messe, secondo la mia intenzione, inviandone il certificato.

                Chi non potesse altrimenti, od amasse meglio fare la sua carità con un'offerta in danaro, questa sarà ricevuta in qualsiasi quantità, fosse pur anche di pochi soldi; ma in questo caso, se per l'invio si usa la Posta, si badi di raccomandare la lettera o si adoperi altro mezzo sicuro.

                Varii Cooperatori nel tempo passato hanno pur presa la lodevole deliberazione di giovare alle Missioni coll'adottare un Missionario, la cui spesa pel mantenimento e vestiario, non computando il viaggio, varia dalle ottocento alle mille lire all'anno; ed alcune Cooperatrici [789] fecero altrettanto per le Suore della Patagonia, per ciascuna delle quali la spesa si calcola da 5oo a 6oo lire annue. Accenniamo anche questo mezzo per chi, trovandosi in grado amasse farsi in Europa padre o madre di tanti nostri fratelli e di tante nostre sorelle, che per amor di Dio si fanno oggidì in America padri e madri dei poveri selvaggi.

                Per l'invio della carità l’indirizzo è il seguente: Al Sacerdote Giovanni Bosco, Via Cottolengo, 32, Torino.

 

                NB. Nell'inviare le elemosine si prega umilmente di scrivere chiaro e preciso l'indirizzo dell'offerente per potergli dare un riscontro.

 

B.

 

                Benemerito Signore,

 

                Informato delle buone e sante intenzioni che animano il cuore della S. V. per fare il bene, lui faccio coraggio a ricorrere a Lei per ottenere un atto di carità.

                Da varii anni si sono assunte coi nostri sacerdoti le Missioni per civilizzare i poveri Indiani dell'America del Sud e specialmente della Patagonia e della Terra del Fuoco.

                Le spese sono gravissime, per cui mi trovo al presente in urgentissimo bisogno dì mezzi per sostenerle.

                Per non essere nella dolorosa necessità di dover abbandonare questa santa Impresa, sono costretto a ricorrere alla carità di tutti i buoni, inviando loro una circolare, che ne esponga chiaramente i bisogni e che V. S. troverà qui inclusa.

                Per dare la maggior diffusione possibile, mi prendo la libertà di spedirne ancora in pacco un qualche numero alla S. V. con viva preghiera che voglia inviarle per posta, o per altro mezzo sicuro, a quelle persone benefiche, e doviziose di sua conoscenza, che possano venirmi in aiuto con offerte pecuniarie, o in qualunque altra maniera. Che se la S. V. non potesse da sè spedirle, la prego istantemente di volere incaricare qualche persona di sua fiducia a compiere questo caritatevole ufficio, premendomi assai che siano distribuite. Sarà mia premura di mandarle l’importo di quanto la S. V. dovrà sborsare per le spese di posta, appena vorrà rendermene avvisato. Se non fosse sufficiente il numero che le invio, ad un suo cenno per cartolina postale, gliene manderò ancora quante sarà per domandarmene.

                Nutro grande speranza che la S. V. mi vorrà coadiuvare in questa opera pietosa, per cui gliene anticipo i più vivi ringraziamenti, dichiarandomi con profonda riconoscenza

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, addì 20 novembre 1887.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco. [790]

 

83.

 

Lettera dell'Arcivescovo di Quito a Don Bosco.

 

                                Amadisimo Padre y amigo,

 

                En estos días be tenido el indecible gusto de recibir una carta de V. R. y de abrazar a los excelentes misioneros que nos ha enviado. I, os he visto conio a stis híjos, y como a tales les vere siempre, ya para cumplir con la recomienda de V. R., a quien amo tanto; ya por los mismos misioneros que me han parecido dignos de toda estimación. Yo espero que ellos, con sus trabajos apostólicos, serán el reflejo de la caridad de V. R., y que de este modo me darán positivos consuelos en medio de las penas anejas a mi cargo.

                Me encomiendo a las oraciones de V. R., y le suplico ruege a Dios de una manera especial por todos los obispados que forman mi Arquidiócesis.

                De V. R. muy decidido amigo S.S.

 

                Quito, el I°  febrero 1888.

 

+ JOSÈ IGNACIO

Arzobispo de Quito.

 

84.

 

Convenzione fra Don Bosco e la marchesa Zambeccari.

 

                                spizio di s. giovanni

                per poveri fanciulli della cIttÀ

                                 provincia di parma

 

                La Signora Marchi Marianna Zambeccari - Politi nel vivo desiderio di far cosa che possa tornare grata a Dio, utile all'anima sua, ed a suffragio dell'anima del defunto suo Marito Marchi Giovanni ha deliberato di istituire un'opera pia per l'educazione religiosa e civile di poveri fanciulli col titolo di Ospizio di S. Giovanni.

 

Scopo e accettazione dei fanciulli.

 

                Questo Ospizio deve avere per base lo stesso scopo che ha l'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Affinchè poi un giovanetto sia accettato deve:

                I° Avere l'età non minore di anni dodici e non maggiore di anni 18. L'esperienza ha fatto conoscere essere questa l'età più pericolosa, [791] ed in cui l'indole della gioventù può più facilmente correggersi e indirizzarsi alla vita del buon cristiano e dell'onesto cittadino.

                2° Orfano di ambi i genitori, nè abbia chi ne possa fare le veci.

                Il Rettore dell'Ospizio giudicherà dei casi in cui debbasi fare qualche eccezione.

                3° Sia povero ed abbandonato. Avverandosi il caso che un giovanetto non affatto povero si trovi in morale pericolo, dovrà pagare almeno quella parte di pensione, che sarà compatibile al suo stato.

                Tutti quelli che possono nella loro entrata dovranno portare un piccolo corredo che sarà notato a parte.

                4° Il numero dei ricoverati è illimitato; ma non meno di cinquanta devono essere della città o della Provincia di Parma.

 

EDUCAZIONE.

 

                I° Ogni allievo sarà avviato a qualche arte o mestiere con cui a suo tempo si possa guadagnare onestamente il pane della vita. Nella scelta del mestiere si avrà riguardo alla robustezza, istruzione, propensione ed anche alla condizione dell'allievo.

                2° Ogni sera oppure in quell'ora che sarà più opportuna della giornata gli allievi avranno scuola adattata alla istruzione, che già possedono, ed al mestiere cui sono applicati. La musica vocale, il canto gregoriano faranno parte di queste scuole.

                3° È precisa intenzione della fondatrice che le sollecitudini dei Superiori dell'Ospizio siano in particolar modo dirette all'istruzione religiosa, giacchè lo scopo fondamentale di questa istituzione si è di togliere fanciulli dai pericoli per farne prima dei buoni cristiani, di poi onesti cittadini.

                4° Qualora il Rettore giudicasse opportuno può anche destinare qualche allievo a fare i corsi dì studio regolare, ma soltanto quando apparisse la moralità ed attitudine allo studio da far sperare buona riuscita per qualche carriera, specialmente per lo stato ecclesiastico.

                5° Sebbene il tempo fissato all'accettazione degli allievi non debba estendersi oltre ai diciotto anni di età, possono tuttavia continuare nell'Ospizio fino a tanto che siano in grado, uscendo, di potersi altrove guadagnare onesto sostentamento o colla scienza o con qualche arte o mestiere.

 

FONDAZIONE E DOTAZIONE.

 

                I° La prelodata Sig. Marchesa Marianna Zambeccari a fine di assicurare l'esistenza dell'Opera che intende fondare, cederà o per via testamentaria o per atto notarile la somma di franchi ducento mila per la compra o costruzione del necessario edifizio, per provvederlo dei necessari suppellettili pei laboratori, per la cucina e pel rimanente dell'istituto. [792]

                2° Pel sostentamento dei fanciulli legherà o donerà il capitale o frutto che corrisponda a franchi quattrocento per caduno dei giovanetti ricoverati. Perciò se si calcola il loro numero di cinquanta, il reddito annuo sarà calcolato a fr. 20.000.

                3° I ricoverati saranno tenuti tutto l'anno e provveduti di quanto loro occorre tanto nello stato di sanità quanto nei casi di malattia.

                4° Nella dotazione sopra descritta sì comprende tutto ciò che occorrerà per fare a suo tempo le volute riparazioni, per pagare le imposte, provvedere il personale dirigente, insegnante, assistente, e serviente, e i capi d'arte pei laboratorii.

                5° Per quanto è possibile tanto le scuole quanto i laboratori dovranno essere nell'interno dell'istituto.

 

AMMINISTRAZIONE.

 

                I° L'amministrazione dell'Ospizio è affidata al Sacerdote Gio. Bosco fu Francesco, che sarà pure il proprietario di tutto l'asse di fondazione dell'Ospizio. Dopo di lui tanto l'amministrazione quanto la proprietà passerà a' suoi successori nella Congregazione di S. Francesco di Sales.

                2° Questa Congregazione essendo stata definitivamente approvata dalla Chiesa, ed i suoi membri legati con voti perpetui, la Sig. Fondatrice vive sicura che la sua volontà sortirà il suo effetto presso ai Superiori di detta congregazione pei tempi presenti e futuri. Il Superiore penserà a fare in tempo utile gli atti civili che valgano ad assicurare il trapasso della proprietà a' suoi credi senza danno dell'istituto.

                3° La fondatrice non intende di mettere alcun legame di coscienza, ma desidera che la casa dell'Ospizio sia costituita nella città o almeno nella Provincia di Parma. Qualora però le circostanze dei luoghi, dei tempi o delle persone rendessero impossibile la continuazione dell'Ospizio in questo luogo, si potrà liberamente trasferire altrove fino a tanto che siano cessati i motivi del trasferimento. In questi casi si dovrà udire il parere del Vescovo della Diocesi pro tempore.

                4° Se sarà possibile la Chiesa dell'Ospizio si terrà aperta al pubblico, affinchè i giovanetti esterni ed anche gli adulti possano prendere parte alle sacre funzioni, specialmente alle prediche ed ai catechismi.

 

ONERI.

 

                I° Il Sac. Bosco o i suoi eredi adempiranno tutti gli obblighi che la prelodata signora Marchesa avrà imposti col suo testamento o coll'atto di fondazione.

                2° Ogni giorno gli allievi reciteranno in comune un Pater, Ave, Gloria per la pia fondatrice, e dopo il suo decesso, preghiamo Dio [793] che lungamente la conservi, sarà inoltre ogni anno celebrato un funerale in cui alla Messa cantata prenderanno parte tutti gli allievi facendo la S. Comunione con altre particolari preghiere pel riposo eterno della compianta benefattrice.

                3° La Sig. Fondatrice dichiara in modo formale che questo promemoria non ha alcuna forza legale, e dal momento che taluno volesse servirsene a senso delle leggi civili, intendesi che perda tutto il suo effetto, e che il Superiore della Congregazione Salesiana diventi libero ed assoluto padrone di quanto si riferisce all'Ospizio.

 

 

85.

 

Un industriale belga descrive l'Oratorio e narra di una sua visita a Don Bosco.

 

I

 

                J'avoue qu'en franchissant le seuil je n'étais pas exempt de certaines préventions. Je m'étais imaginé, je ne sais trop pourquoi, - peut-être parce que j'avais entendu répéter souvent que Dom Bosco était un très saint homme, - que j'allais voir un couvent bien pieux et bien calme, une espèce d'oasis chrétienne dont les hereux habitants soigneusement préservés des vents brûlants du dehors, sortaient mal préparés aux âpres luttes de la vie.

                Reçu avec la plus affable courtoisie on me donna pour" cicerone un jeune Père français, l'excellent abbé Roussin, qui me fit les honneurs de l'établissenent d'une manière aussi intéressante qu'aimable.

                Dès mes premiers pas dans les ateliers je dus reconnaître que je m'étais absolument trompé. Je me trouvais en effet dans une école industrielle organisée d'une manière extrêmement pratique et intelligente. Rien sans doute ne rappelait ces exploitations modèles, qui sont souvent des modèles d'exploitation des derniers publics. L'indispensable façade monumentale faisait absolument défaut. Pas de tenue d'uniforme, pas de boutons, pas même de casquettes galonnées, aucune reminiscence de caserne. A y regarder de près je crois même que certaines culottes étaient un peu bien spacieuses et' d'autres un tantinet trop courtes pour pouvoir être considérées comme la chose du premier occupant.

                Mais la tenue générale était parfaitement décente.

                Quant aux salles de travail, on n'avait sans doute pas pu puiser à pleines mains l'argent des contribuables ou des actionnaires pour l'enfouir dans les briques, et le mortier et faire grand, mais l'ensemble avait ce caractère pratique des usines bien administrées, qui se sont graduellement développées et où l'on a fait ses affaires. [794] Il y avait là des ateliers de cordonniers, de tailleurs, de menuisiers, de forgerons, de boulangers et enfin de typographes au grand complet y compris la fonte des caractères, la reliure, etc. L'institut possède même à Mathi une grande papeterie pour alimenter sa consommation de papier. Trois machines à gaz de 10 chevaux chacune fournissent 1à force motrice aux presses et aux innombrables machines-outils. 'Tout cela est parfaitement agencé. Ainsi des réchauds à gaz sont disposés partout où l'on a besoin du feu, la boulangerie a um pétrin mécanique et l'immense four à cuire le pain sert en même temps de calorifère, la chaleur perdue chauffant l'église. J'ai vivement regretté que le peu de temps dont je pouvais disposer me me permit pas d'examiner avec  plus de détails toutes ces installations. Tout em visitant ces vastes et nombreux ateliers je me pus m'empêcher de témoigner à mom obligeant cicerone, ma surprise de me trouver dams une véritable usine, et mon pas seulement dams un pieux asile. Il 'se mit à rire de bon couur et me répondit: «L'ambition de notre institut m'est pas du tout de former des dévôts, mais simplement de bons et solides chrétiens et des ouvriers capables et satisfaits de leur sort. Nous cherchons certainement avant tout le salut de l'âme de ces jeunes gens, mais mous poursuivons em même temps un but social n. Je le priais, ainsi qu'un de Ses compatriotes l'abbé Michel Volain qui s'était joint à mous, de me donner quelques détails sur les moyens employés pour atteindre les résultats merveilleux dont j'étais témoin. J'appris de ces messieurs que le principe fondamental de l'oeuvre de Dom Bosco était l'absence de toute contrainte. Ainsi, bien que le règlement conseille aux jeunes gems de s'approcher tous les mois des Sacrements, 0n les laisse libres d'observer 0u mom cette recommandation. Ils peuvent quitter l'institut s'ils me s'y plaisent pas et bien . rares sont les désertions.

                La discipline, qui me semblait bien difficile à faire observer dans un milieu où les éléments d'insubordination abondent, est maintenue admirablement sans aucun moyen de rigueur, uniquement par l'influence religieuse et l'autorité morale.

                Les apprentis sont au nombre d'environ 350. On les admet dès l'âge de 11 e 12 ans et d'ordinaire ils ont terminé leur apprentissage vers 17 ans. Ils quittent alors la maison pour s'engager comme ouvriers et conservent em général les meilleures relations avec leurs anciens maîtres. Um certain nombre y restent jusqu'à l'époque de la conscription 0u de leur mariage D'autres encore me veulent plus s'en éloigner et forment une espèce de tiers ordre.

                Le prix de la pension est au maximum de 15 fr. par mois, mais il diminue au fur et à mesure que le travail fourmi est plus productif. Du reste, um quart au plus des apprentis paie cette modique rétribution; les autres sont des orphelins, abandonnés par leurs parents 0u recueillis à leur demande. A ma question: les jeunes gens condamnés [795] à être enfermés dams une maison de correction sont-ils également admis? il me fut répondu négativement parce que cela était contraire au principe de liberté qui régit l'institution.

                Les jeunes gems reçoivent quatre sous pour leur dimanche, mais à leur sortie 0n leur remet comme pécule le tiers de leurs salaires, ce qui équivaut em moyenne à fr. 150 par an. Voilà réalisé, sous sa forme la plus pratique, ce rêve si caressé par nos économistes modernes de la participation de l'ouvrier aux bénéfices!

                La durée du travail est au maximum de 9 heures par jour. A côté de l'enseignement professionnel les jeunes gems reçoivent tous les jours des leçons de religion, de dessin, de commerce, dé français, plus une bonne instruction primaire. L'enseignement technique est donné en général par d'anciens élèves appelés Capi d'acte. Les Pères, dont chacun surveille um atelier, n'ont à intervenir en rien dans cet enseignement.

                J'allais oublier de dire qu'à côté de l'école industrielle, il y a un pensionnat comptant environ 400 élèves, qui suivent un cours complet d'études classiques. C'est une espèce de petit séminaire puisqu'un quart environ de ces jeunes gems entrent dams la Congrégation 0u dams les ordres., La pension n'est que de z0 fr. par mois, mais les trois quarts me paient rien. En tout la maison compté environ um millier de personnes. On comprend sans peine à quelles charges un établissement aussi considérable doit faire face, et l'on se demande comment il peut se soutenir. Sans doute la charité y pourvoit en partie, mais cependant l'organisation de cette oeuvre est si intelligente et son administration si soigneuse qu'elle vit, pour une bonne part, de, ses propres ressources. Les ateliers sont en général bien pourvus dé travail et l'atelier de typographie en particulier avec ses annexes, a d'ordinaire, m'a-t-on dit, sa production engagée pour quinze mois à l'avance.

                J'ai visité des établissenents industriels de tout genre un peu dams tous les pays et jamais, je dois le dire, je n'ai rencontré d'ouvriers qui m'aient fait une meilleure impression que ces jeunes gems.

                Ils travaillent avec toute l'ardeur de leur âge et de leur race, en même temps qu'avec un calme joyeux et beaucoup de dextérité. On voyait qu'ils avaient le couur à l'ouvrage. J'ai remarqué notamment dams l'atelier des forgerons un jeune homme qui maniait son marteau avec tant de bonheur que je regrettais vivement de m'être pas artiste: je n'aurais pas voulu de meilleur modèle pour un Vulvano infante.

                Je me suis surtout arrêté dans l'atelier de typographie. Dieu me garde de chercher querelle aux.typographes de certains journaux belges mais je m'ai pu m'empêcher de penser que sous quelques capports leurs jeunes confrères de Turin pourraient leur rendre des points.

                Et quelles bonnes récréations, tout ce petit monde de travailleurs prenait la besogne consciencieusement achevée! Quelles joyeuses parties de balles, quelles courses animées! Les bons pères retroussant leurs soutanes s'y mêlaient avec entrain, on eut dit les frères aînés [796] d'une famille. Tout cela se passait avec une grande liberté d'allures et cependant rien de désordonné. Ces enfants du peuple n'auraient été déplacés dans n'importe quel collège. De temps en temps l'un ou l'autre s'échappait des jeux bruyants pour aller dire une courte prière dans l'église attenante à la cour et il était vraiment touchant de voir avec quelle ferveur ils accomplissaient cet acte de dévotion spontanée.

                Impossible de n'être pas frappé de la bonne tenue que les excellents pères Salésiens ont su donner à ces enfants ramassés un peu partout. Ils ont réussi à leur ôter jusqu'à ce penchant inné des Italiens pour la bonne main. Détail assez caractéristique, ayant fait quelques emplettes à la librairie tenue avec un sérieux et un zèle tout à fait amusant par trois jeunes gens d'une quinzaine d'années, j'eus beaucoup de peine à leur faire accepter pour la boîte des dimanches quelques sous qu'ils voulaient absolument me rendre.

                Je ne saurais vous dire à quel point les relations entre les jeunes gens et leurs maîtres sont en même temps respectueuses, confiantes et cordiales; c'est vraiment quelque chose de paternel. Ils paraissent du reste très fiers dé leurs excellents Pères. Ainsi ayant demandé au gamin qui m'introduisait (car l'huissier solennel fait complètement défaut) si le Supérieur parlait aussi le français, il me répondit avec une pointe de vanité tout à fait gentille: Je crois bien: il parle tutte le lingue.

                En voyant ces jeunes gens si heureux, si bien préparés à devenir des membres utiles de la grande famille humaine, je me demandais combien d'entre eux, sans cette admirable institution, ne seraient pas devenus la proie du vice et du crime et n'auraient pas été grossir les rangs déjà si nombreux de ces révoltés qui trouvent que leur part est mal faite et qu'il faut la refaire.

                La foule stupide et blasée n'a pour les humbles religieux qui se dévouent corps et âme à cette oeuvre sublime de régénération qu'indifférence, mépris et injustice, alors que cette même foule couvre. d'or et d'applaudissements les littérateurs qui corrompent les intelligences et les coeurs en fouillant les bas-fonds du peuple pour en étaler cyniquement toutes les turpitudes dans leurs immondes écrits. Ma pensée se rapportait vers ces moines qui il y a treize siècles, sauvèrent l'humanité alors que toute trace de culture semblait submergée par les flots sanglants des invasions barbares.

                Les abbayes des Gaules et de la Germanie civilisèrent nos pères par la prière et le travail comme Dom Bosco le fait pour ces sauvages de nos grandes cités modernes, dont la commune de Paris nous a dévoilés les féroces instincts. Il est permis de se demander si les rudes enfants des forêts n'étaient pas moins réfractaires aux influences moralisatrices que les pâles voyous de nos capitales.

                Ora et labora, telle fut partotut et toujours la devise de la foi et de la charité chrétienne. Oui, l'Eglise, pour les déshérités du siècle surtout, est une mère et une mère toujours jeune et toujours féconde... [797]

 

II.

 

                On conçoit combien j'étais désireux d'être admis à l'honneur de voir Dom Bosco, qui voulut bien me recevoir,, grâce à une haute et bienveillante recommandation.

                Pour arriver jusqu'à lui j'eus à gravir d'innombrables escaliers et là sous les combles j'entrai dans une très modeste chambre. J'y remarquai toutefois deux magnifiques tableaux à la plume, qui attestent que si l'institut a pour but de former des artisans on y rencontre aussi des artistes. Je me trouvais en présence des principaux collaborateurs du fondateur, l'un le Révérend Dom Rua son vicaire général et l'autre le révérend Dom Durando son assistant. Le premier jeune encore; dans lequel on reconnaît du prime abord l'homme d'action, le second dont la figure ascétique rappelle singulièrement les traits émaciés de Saint Vincent-de-Paul. Comme l'antichambre était pleine de visiteurs où se confondaient toutes les classes de la société, Dom Durando eut l'obligeance de me faire passer dans sa cellule. En y pénétrant je fus tout à fait saisi de voir un pareil dénuement. Bien des pauvres sont mieux logés et mieux meublés que cet éminent religieux et je me dis à part moi que l'état-major salésien se contentait pour logis d'un corps de garde. L'expression est peu révérencieuse sans doute, mais c'est l'impression qui me vint à l'instant même. Et voilà comment vivent les chefs de ces communautés religieuses dont les richesses fabuleuses, et l'avidité légendaire fournissent un thême inépuisable aux déclamateurs des parlements ou des cabarets. Plus laborieux que des manouvriers, plus pauvres que les pauvres eus-mêmes, ils peuvent répéter cette parole de l'apôtre: «De l'or et de l'argent je n'en ai pas, mais ce que j'ai je te le donne: Lève toi et marche! ».

                Enfin j'allais avoir le bonheur de pouvoir aborder Dom Bosco. Le coeur me battait un peu, plus qu'en approchant des puissants du monde, en pensant que j'allais me trouver en présence d'un de ces hommes que Dieu se plaît à susciter à certains moments pour montrer ce que sont et ce que peuvent les saints.

                La sainteté - que de gens éclairés que ce mot fait sourire! Et cependant, même au point de vue humain, les saints ont joué un rôle immense dans la vie des peuples. Qui oserait dire par exemple que l'influence sociale d'un Saint Vincent-de-Paul n'a pas été autrement profonde, autrement durable et surtout autrement heureuse que celle d'un Richelieu ou d'un Mazarin? Qui oserait dire que l'initiative providentielle de Dom Bosco dans cette épineuse question ouvrière, si elle vient à se généraliser, n'apportera pas des solutions inespérées?

                Tout en faisant ces réflexions, mon tour d'entrer arriva. Je jetai un rapide coup d'oeil dans la chambre aussi pauvrement, aussi misérablement [798] meublée devrais-je dire que possible et j'aperçus avec émotion un vénérable vieillard, assis sur un canapé usé, courbé par l'âge et les labeurs d'un long apostolat.

                Ses forces défaillantes ne lui permettaient plus même de se tenir debout, mais il releva la tête qu'il tenait inclinée et je pus voir ses yeux un peu voilés, mais pleins encore d'une intelligente bonté. Dom Bosco parle -parfaitement le français, sa voix était lente et marquait un certain effort, mais il s'exprimait avec une remarquable netteté. Je trouvai chez lui un accueil d'une simplicité chrétienne, à la fois digne et cordiale. Ce qui me toucha bien profondément ce fut de rencontrer chez un vieillard presque moribond et sans cesse assailli de visiteurs un intérêt aussi sympathique, aussi vrai pour ceux qui l'approchent. en quels termes émus il me parla de l'évêque de Liége et de son zèle ardent pour les oeuvres ouvrières. Chez Dom Bosco l'épée a usé le fourreau, mais quelle force d'âme encore dans ce corps débile! Avec quels accents d'intime regret il déplorait que sa faiblesse ne lui permit plus de se dévouer activement à 1a direction de ses innombrables oeuvres! Et cependant qui plus que lui a le droit d'entonner avec confiance le cantique du saint vieillard Siméon: Nunc dimittis servum tuum in pace? La discrétion m'obligeait malheureusement ,à abréger beaucoup plus que je ne l'aurais désiré cette émouvante entrevue avec un homme que Dieu a visiblement marqué de son sceau et qui dans peu de jours peut-être ira recevoir ces magnifiques récompenses promises à ceux qui ont combattu le bon combat.

                Permettez-moi de recommander instamment à ceux de vos lecteurs qui se rendent en Italie la visite de l'Institut de la via Cottolengo.Ils en sortiront émus, ravis et songeurs et se répéteront avec une intimé conviction: Là est la vérité, là est la vie, là est la solution de ces formidables questions sociales que le sphinx du XIXI-e siècle pose aux hommes d'État et aux penseurs - car il est écrit: u Cherchez d'abord le royaume' de Dieu et le reste vous sera donné comme par surcroît ».

                (Gazette de Liège).

J. B.

 

86.

 

Lettera a Don Bosco dall'Inghilterra.

 

                Très R. Père,

                Votre oeuvre nous est toujours et plus que jamais à coeur et nous espérons ne pas mourir avant de la voir bien établie a Londres; peutêtre est-elle en voie de réussir si nous obtenons ce que je viens vous supplier de nous donner pour l'obtenir.

                La santé de mon Mari a succombé à un grand chagrin où la gloire [799] de Dieu est gravement compromise. C'est pour sa santé et pour éloigner la cause qui a produit la maladie, que nous organisons une grande Neuveine a St. Joseph qui va commencer le ier Mai et consiste en 5 Pater en l'honneur du S. Coeur.

                5 Ave en l'honneur de Marie.

                5 Gloria en l'honneur de S. Joseph.

                J'ose en toute confiance implorer,vos prières et vous supplier de me donner celles dont vous disposez entre votre jeunesse et Semill minaristes.

                Demandez-le à l'abbé Margotti qu'il prie pour se fils si devoué à l'Église et Pie IX et si Dieu exhause - Votre OEuvre deviendra notre Œuvre et Dieu vous le rendra.

                Rotherwas Hereford, ce 25 Avril 1876.

IRÈNE BODENHAM.

 

87.

 

Per I'archidiocesi di Glasgow.

 

a) Leífera dell'Arcivescovo.

 

                My Dear Don Bosco,

                We have in this city a large number of Italians who are anxious to have a priest of their own race and language. An attempt is being made to draw their children from the faith, and the parents are most anxious for a priest who can look after them.

                It has occurred to me that you would be able to find us a priest for this purpose; or even to send us, for a time at least, a member of your community.

                               Some years ago I had the pleasure of meeting you in Rome. Mr. Monteith of Carstairs, was always hoping to be able to introduce into the Archdiocese the Pious Salesian Society.

                Believe me to be,

                Glasgow, 18th. November 1887.

Very faithfully yours

CHARLES

Archbp. of Glasgow.

 

b) Risposta di Don Bosco.

 

                My Lord Archbishop,

                I humbly beg Your Grace to pardon my unwilling delay in reply­ing to Your Grace's favour of 18 November last. I should have been more solicitous in thanking Your Grace for the marked benevolence [800] with which you have honoured our Pious Society and my poor person in particular. But my advanced age and many infirmi­ties are telling on me lately, so that I am often obliged to suspend duties which it would be my desire to ultimate with all possible dispatch.

                I have taken the liberty of transmitting Yout Grace's letter to my Vicar-General, Don Rua, who I hope may be able to find a good zealous priest willing to take charge of our Compatriots in Glasgow.

                I am sorry to be obliged to inform Your Grace that the Rules of our Society do not permit of our sending one of our members alone. I have recently accepted a Church in London and I would will­ingly open a house of education in Glasgow or any other town in Your Grace's archdiocese, but at present I have scarcely any English­speaking subjects.

                Again begging Your Grace to excuse my long delay and renewing my best thanks for your gracious benevolence while I implore your pastoral Benediction

                I have the honour to profess myself,

My Lord Archbishop,

Your, Grace's very humble obd. servant,

                Torino, 6 dicembre 1887

(signed) SAC. Gio. Bosco.

 

88.

 

Supplica della contessa Stackpoole a Leone XIII

per la fondazione salesiana di Londra.

 

                                Sant.mo Padre,

 

                La sottoscritta, umilmente prostrata ai piedi della Beatitudine Vostra, si permette esporre quanto segue.

                Nell'anno 1874, l'umile petente per riconoscenza di grazia ricevuta dal Sacro Cuore di Gesù, facea voto di assumersi tutte le spese necessarie per l'erezione d'una Chiesa Parrocchiale, dedicata a questo amabilissimo Cuore. Umiliò il suo progetto al S. Padre Pio IX di f. m., che l'approvò e benedisse; quindi ritornata in Inghilterra ottenne dall'Ordinario della diocesi di Southwark, Mons. Donnell, ampia adesione e formale promessa di erigere in parrocchia la Chiesa del Sacro Cuore. Fu stabilito il fonte battesimale; si ottenne la licenza dell'Autorità civile per la celebrazione dei matrimoni; i vasi sacri, i paramenti e tutti gli altri oggetti necessari al culto furono acquistati dalla fondatrice e finalmente il 10 ottobre Monsignor Donnell, circondato [801] da suo Clero e dal popolo festante, installava il nuovo parroco e deponeva nel Tabernacolo il SS.mo Sacramento. I nostri desideri erano appagati; il popolo aveva la sua parrocchia, aveva il suo parroco, e la donatrice cedette il tutto con atto notarile al Vescovo della diocesi.

                Ma le cose non andarono così per lungo tempo. Il Curato ci lasciò, nè fu più rimpiazzato, sicchè appena alla domenica viene celebrata la Sta Messa da un sacerdote d'altra parrocchia. Non più Gesù dimorante notte e giorno nella sua Chiesa, non più Quarantore, non più battesimi, non più comodità di confessarsi e comunicarsi; e il popolo obbligato di fare un miglio inglese per andare alla più vicina parrocchia e ricevervi i Sacramenti, senza parlare dei poveri ammalati privi così dei conforti religiosi. I paramenti stessi ed i vasi sacri furono quasi tutti portati altrove. Monsignor Butt Vescovo attuale, pregato di continuare a conservare come parrocchia la Chiesa, fece dire alla sottoscritta non aver egli mezzi occorrenti e sacerdoti disponibili per la Chiesa del Sacro Cuore, la quale d'ora in avanti cesserebbe d'esser parrocchia, per non essere che una Cappella dipendente dalla parrocchia più vicina.

                La Santità Vostra vede dal suesposto come le speranze della donatrice siano state frustrate, malgrado tutte le promesse ricevute; per cui la sottoscritta, prostrata ai Suoi piedi, supplica umilmente sia presa in considerazione la seguente proposta.

                Visto che Monsignor Vescovo non può per mancanza di mezzi e di sacerdoti mantenere quale parrocchia la Chiesa del Sacro Cuore, la donatrice pensò ad una Congregazione religiosa e senz'altro si portò a Torino per chiedere dal Sac. Gio.ni Bosco se si disporrebbe ad assumere l'amministrazione parrocchiale di quella chiesa quando la S. V. gliela affidasse. Don Bosco rispose essere egli sempre un figlio obbediente della Santa Sede e che non si rifiuterebbe mai di secondare anche i più piccoli desideri nonchè gli ordini, del Santo Padre, per quanto le forze della sua pia Società lo comportano, fidandosi intieramente pel resto nella divina Provvidenza. Soltanto egli ha bisogno che il terreno dato dalla Contessa di Stackpoole a Monsignor Donnell e da questi circondato di muri, gli sia dato in piena proprietà e non già come casa oggi a lui affidata e ripresa poi in altro tempo. Don Bosco ha bisogno di essere proprietario di tutti i fabbricati esistenti fra detti muri, e libero di edificarne altri od abbattere gli esistenti, secondo i bisogni della Congregazione. Egli poi s'impegnerebbe di provvedere a tutti i bisogni della parrocchia, anche delle scuole maschili e femminili già esistenti in quel recinto.

                La contessa di Stackpoole desidererebbe finalmente che l'atto di donazione fatta nel 1874 al Vescovo di Southwark, in presenza del notaio Harting a Londra venisse intieramente annullato nè potesse in nessun caso essere presentato dai futuri Vescovi di quella diocesi contro Don Bosco e la Congregazione Salesiana, divenuti proprietari [802] di tutto il recinto suddetto. Con ciò il Vescovo avrebbe una cura di meno, risparmierebbe spese e di più avrebbe nella propria diocesi una Congregazione pronta ad accogliere la povera gioventù abbandonata che va vagabondando pei prati di quell'estremità di Londra, nido di miseria e di vizi, dove la presenza dei Salesiani sarebbe una vera benedizione.

                Prostrata adunque ai Vostri piedi, Beatissimo Padre, la sottoscritta prega istantemente la Santità Vostra, affinchè Ella si degni secondare i desideri esposti in questa supplica e pieni dei sentimenti di suo filiale attaccamento, baciandoLe il santo piede e chiedendoLe l'apostolica benedizione è gloriosa di protestarsi, ecc. ecc.

 

 

89.

 

Nota di Don Lemoyne sul

principe Czartoryski.

 

                Il Principe Czartoriski malvolentieri aveva concesso al figlio di farsi Salesiano. Mentre prima lo lasciava in libertà piena, ora sembrava non potesse stare senza di lui. Credeva disonorata la famiglia della decisione del figlio. Quando più tardi cadde ammalato pretendeva che i Superiori gli comandassero di ritornare a casa. Ma il figlio si era fatto promettere prima dallo stesso Don Bosco che mai gli sarebbe stato fatto un simile comando. Il figlio che era esemplarissimo nell'osservanza di tutte le regole nel tempo del suo noviziato e poi, non volle cedere al padre e rammentò a D. Rua la promessa fattagli da Don Bosco. Perciò Don Rua lasciò Don Augusto in piena libertà. Il padre mandò medici, mandò sacerdoti, vescovi e venne egli stesso. Era risoluto sulle sue pretese. Diceva che si speculava sull'eredità del figlio mentre questi aveva rinunziato al suo principato e ai redditi di questo in favore del primogenito del secondo letto. Non restavano che i suoi beni personali che non erano poi una gran cosa.

                Il Principe ricorse al Papa il quale fece chiedere spiegazioni e diede consigli. Ma il Principe padre voleva un comando. Alla ragione che il figlio era Salesiano, rispondeva che Don Bosco non doveva accettarlo. All'osservazione che il figlio stesso benchè rispettosamente, pure manteneva il suo proposito, egli insisteva essere dovere dei suoi Superiori comandargli di ottemperare ai desiderii del padre.

                Venne lo stesso principe a Torino ma non riuscì a nulla. Don Rua che era in Francia chiamato per telegrafo si trovò al fianco di Don Augusto.

                Allora intimò che suo figlio fosse curato come la nobile origine richiedeva, e senza guardare a spese. Ai fianchi di Augusto pose un prete Religioso francese che non lo abbandonasse mai. I migliori medici fossero chiamati a curarlo e a loro cenni si facesse mutar aria e clima. Era una vera violenza morale, eppure Don Rua dovette acconsentire, perchè l'influenza di questo uomo potente era grandissima in Francia, in Austria e altrove. Si intende che ogni spesa era [803] a carico della povera Società Salesiana. Prima si mandò Augusto al Torrione preparando per lui un appartamento conveniente, e trattandolo da gran signore colle ispezioni di medici mandati dal padre. Ivi stette un anno circa. Quindi in Savoia, poi in Svizzera ed ora nel 1891 a S. Remo. Carrozze a due cavalli per la passeggiata tutti i giorni, nei viaggi scompartimenti di prima classe ecc. ecc.

                E il principe Augusto era etico all'ultimo stadio. Egli però, santo giovane, stava in tutto all'obbedienza dei Superiori e si lasciava condurre ove si voleva, pronto a ritornare in una casa Salesiana al primo cenno dei Superiori. Sua unica consolazione era udir parlare di Don Bosco al quale aveva portato vivissimo amore.

                Ora qui riferiamo la prima lettera che il principe scriveva a Don Bosco.

 

                                Très Révérend Père,

 

                Comme cela était à craindre, mon voyage à Turin a été assez défavorable àma santé et les médicins ont trouvé que non état exigeait un sejours dans le midi et insistent que je parte pour Alger.

                Aussi, confiant dans la bonne promesse que vous m'avez faite, lorsque vous avez désiré avoir mon consentement, je viens vous prier de m'envoyer mon fils afin que je puisse le voir avant de m'eloigner.

                Je vous remercie d'avance de cette consolation donnée à un Père malade et forqé de s'absenter pour quelque temps au loin dans les circonstances actuelles.

                Veuillez, très Révérend Père, agréer l'expression de tous mes sentiments de sincère et profond respect.

 

                Paris, 19 décembre 1887.

CZARTORYSKI.

 

                Si rispose dicendo se si fosse potuto intendere col figlio per lettera, poichè gli studi, la stagione, la sanità sua non avrebbero favorito questo suo viaggio.

 

 

90.

 

Lettera dalla Polonia a Don Bosco.

 

                Pedakcya Missiyi Katolikich

 

                                Reverendissime Domine,

 

                Non solum animo libentissimo sed etiam statim voluntati vestrae Paternitatis satisfeci mittens adjunctas ad redactionein nostram litteras personis primariis et ferventibus catholicis. Rogamus adhuc aliquas ejusmodi litteras[468]. [804] Praeterea omnia faciemus quae in nobis sont ut causam Salesia­narum missionum promoveamus; ideo - cum hoc mense in nostris Missyi Katolikich allocutionem vestrae Paternitatis promulgare non potuissemus - faciemus hoc mense sequenti, simul cum articulo de vestris missionibus in Patagonia. Magno nobis in hac re adjumento est vestrum folium Bulletin Salésien quod et in posterum rogamus nobis mitti.

                Est nobis etiam aliunde summopere cordi progressus Congre­gationis Salesianae. Hic nimirum Cracoviae Princeps Lubomirski, ut certe ad notitiam Vestrae Paternitatis pervenerat, fundationem fecit ingentem pro educatione puerorum et agitur de hoc, cujusnam curae committenda sit. In folio nostro Literario (Revue universelle Pizeglad Powszechay) dedimus publice consilium et motiva cur hoc institutum Congregationi Salesianae sit committendum ita, ut Cu­rator hujus fundationis ad nos veniens, hac de re consilia conferret. Imprimis Poloni essent necesse Patres vestrae congregationis, et haec erat hucusque praecipua difficultas. Nescimus quid hac in re statu­tum sit, sed orationibus et zelo vestrae  Paternitatis totam halte rem committimus. Non solum multus esset fructus in pueris educandis, sed, ut puto, multo major in vocationibus religiosis; talis enim est facilis et fervida indoles juventutis Polonae. Etiam inter Sacerdotes multi nomen darent Congregationi. Faciat Deus 'quod suae gloriae est majori.

                Ex nostra parte petitionem habemus et quidem enixe rogamus Vestrae Paternitatis preces ad B. V. M. Auxiliatricem pro quodam sacerdote nostro (maximo vestrae Congregationis amico et promo­tore) qui non solum variis morbis sed etiam scrupulis magnis laborat; item pro alio (magnae spei) graviter decumbente et pro aliquibus aliis (soli Deo notis) intentionibus, quas non enumero, ne taedium creem. Ut autem certiores simus, Vestram Paternitatem litteras nostras accepisse, humiliter responsum Ejus (propria tamen Eius manu) rogamus.

                Ex parte Russiaca, grave nostris missionibus periculum imminet,  quod non nostrum sed Ecclesiae et plurimorum Catholicorum damnum foret. Speramus satis esse Paternitati Vestrae rem hanc innuisse ut pro ea apud B. Virginem Auxiliatricem instanter intercedat.

Reverendissimi Domini

                Servus in Christo Domino humillimus et addictissimus

 

                Krakow ul. Kopernika 26, d 24 MI 1887.

 

P. LADISLAUS CZENCZ S.I.

ex redactione Missyi Katolikich. [805]

 

91.

 

La contessa di Camburzano a Don Bosco.

 

                                Molto Rev. Signor Don Bosco,

 

                Io sperava di ricevere qualche linea da Lei, che sempre mi sono così care e preziose. Ma questa speranza fu delusa. Donna Cristina ci lasciò il 29 per ritornare in Genova. Confidai alle sue cure un piccolo foglio e lire cento per Lei.

                Essa mi promise di farglielo rimettere sicuramente, se passando a Torino non poteva recarsi all'Oratorio.

                Ora comincio a temere che la mia commissione non le sia giunta la prego istantemente di farmi scrivere due linee (in busta suggellata) per mia norma.

                Vedo parlare nell'Unità della sua consolazione pel nuovo figlio Polacco che il Cielo le diede: di una sua Circolare ai Cooperatori e cooperatrici Salesiane. Nulla di questo mi pervenne e tengo assai al Bollettino Salesiano. Mi raccomando per questo alla sua bontà.

                Ebbi delle febbri, di cui non sono ancora ben rimessa. Una delle mie donne ne soffre ancora. Ne dica una parola a Maria Ausiliatrice. Essa non saprà niegarle quel favore.

                Divido di tutta l'anima la consolazione sua di rivedere Mons. Cagliero.

                Mi benedica e mi abbia sempre nei Cuori di Gesù e di Maria Au.

 

                Fossano, 5, 12 87.

 

Sua devotissima figlia

ALESS. C. di CAMBURZANO.

 

 

92.

 

Carità di un vecchio parroco.

 

                                Rev.mo Don Giovanni!

 

                Non ha voluto esaudirmi pazienza! Esaudirà almeno Don Pietro Firindelli parroco-decano di Fiumicello il quale nell'età di quasi 86 anni ieri mi consegnava l'ultimo Napoleone d'oro con queste parole: farà il piacere di far pervenire a Don Bosco questa moneta. Forse potrebbe esser l'ultima che gli spedisco giacchè sono assai vecchio. Però ella deve pregare Don Bosco a mandarmi il suo ritratto. - Provai a sconsigliarlo, sapendo ch'Ella ne risente nella sua umiltà nel dispensare le sue memorie. Io per me, che l'ho incomodato tante volte con inchieste sempre inesaudite, non la disturberò più, contentandomi solo di sapere ch'Ella prega e fa pregare per me. - Per il sullodato [806] Veneratissimo Decano, uomo di rarissime virtù, la prego ad esaudirlo, che ne son certo lo renderà assai contento. - Quando Ella l'avrà compiaciuto, io le spedirò il danaro che tengo anche d'altro associato ed i miei quattrini e come offerta al suo ultimo appello e come canone per rinnovare le mie associazioni del Bollettino e delle 3 Copie delle Letture Cattoliche.

                In attesa, l'ossequio profondamente e riverendola anche per parte di Mons. Tirindelli, mi raffermo

 

                Scodovacca, 7 - 12 - 87.

                Diocesi di Gorizia

Di Lei Aff.mo nel Signore

P. FEDERICO MONEGAZZI, parroco.

 

93.

 

Sentenze scritte da Don Bosco sui segnacoli del Breviario.

 

DA POETI ITALIANI.

 

I.

 

                Inf. Salimmo su ei primo io secondo

                Tanto che vidi delle cose belle

                Che porta il ciel per un pertugio tondo

                E quindi uscimmo a riveder le stelle.

                Purg. Io ritornai dalla SS. onda

                Puro e disposto a salire le stelle.

                Parad. L'amor che muove il sole e le altre stelle.

 

                (DANTE Divina Commedia).

 

 

2.

 

                Ad ogni alta virtù l'Italo creda

                Ogni grazia di Dio lo Stato speri

                E credendo e sperando ami e proceda

                Alla conquista degli eterni veri.

 

                (PELLICO. Gli Ang.).

 

 

DALLA SCRITTURA.

 

I.

 

 

Omnia flumina intrant in mare et mare non redundat. (Eccle.teI).

 

2.

 

Bonus Dominus et confortans in die tribulationis (Nahum I). [807]

3.

                Longe fac a muliere viam tuam et ne appropinques foribus domus eius. (Parab. c. 5).

4.

                Accipite disciplinam meam et non pecuniam; Doctrinam magis quam aurum eligite. (Parab. c. 8)

5.

                Cognovi quod non esset melius nisi laetari et facere bene in vita sua. (Eccl.te 3).

6.

                Honora Dominum de tua substantia... et implebuntur horrea tua saturitate et vino torcularia tua redundabunt. (Parab. (id) Cap. 3).

7.

                Si est tibi intellectum responde proximo tuo, sin autem sit manus tua super os tuum, ne capiaris in verbo indisciplinato et confun­daris. (Eco. 5).

8.

                Referet unusquisque prout gessit in vita sua.

9.

                Fili, eleemosynam pauperis ne defraudes et oculos ne transvertas a paupere. (Eccl.).

10.

                Ne glorieris in contumeliis Patris tui.

 

II.

                Omnis iniuriae proximi ne memineris et nihil agas in operibus iniuriae. (Ecc.co X).

 

DAI SANTI PADRI.

 

1.

                Si quid in te pravum deprehenderis, corrige: quod rectum tene; quod deforme, compone; quod pulcrum eccole; quod sanum serva; quod infirmum corrobora; Dominica praecepta infaticabiliter lege, [808] et per haec quid cavendum est, quidve sectandum tibi sit sufficienter instructus agnosce. (S. BERN. ad Sac.).

2.

                S. Hieronimus ad Demet. « Teneas fidem, nec peregrinam, quamvis tibi prudens, callidaque videaris, doctrinam recipias ,

3.

                Portate, fratres mei, vobiscum clavem cellulae, portate et clavem linguae. (S. P. DAM.).

                Validiora sunt exempla, quam verba, et plus est opere docere quam voce. (S. MASS. serm. 67).

4.

                Nostrae divitiae, nosterque thesaurus lucra sint animarum et in arca nostri pectoris recondantur talenta virtutum (S. P. DAMIANO Cont. Cap.).

 

 

94.

 

Lettera del barone Héraud a Don Bosco.

 

                                Stimatissimo e Carissimo Don Bosco,

 

                Nell'approssimarsi l'occorrenza delle feste natalizie mi torna grato al cuore venirgliele ad augurare buone ed eccellentissime, porgendo voti al Divino Bambino a che Don Bosco rinforzato di gambe possa muoversi dal suo stanzino, e senza aiuto di braccia o di bastoncelli possa di bel nuovo ritrovare la via della Chiesa non che quella del refettorio comune.

                Quale coppiere emerito, benchè non partecipante, desidererei vedere in questo Don Bosco da bravo militante, ma con moderazione, m'intendo io, perchè il soverchio rompe il coperchio. I Sardi dicono, rompe il cuscino, vale a dire: rovina lo stomaco. Ma pure nel caso, Don Bosco bona sua decoquere potest, non potendosi applicare a lui il proverbio Il Tess. III Qui non vult operari neque manducet.

                Auguro adunque a Don Bosco di vedersi servito ancora per molti anni, di ova al tegame, oves in arrosto, et boves in bollito, quiescendo animum suum e come si legge nel Levit. XXVII, I8 starsene sub vite sua, sub ficu sua; cioè godersi con tranquillità del suo prodigioso lavoro. Est quod gaudeas.

                Ora poi, carissimo Don Bosco, otia tranquilla agendo, sarebbe il momento di impegnarla a pro del mio stato sempre infermiccio. [809]

                Già omnes sancti et sanctae Dei sono stati invocati, ma quando Deus non vult, questi si stanno in perfetta quiete. Non vene ha più uno al quale mi rivolgo in questo istante. Ma temo che egli mi risponda: Rebus sic stantibus ad quid venisti? Quare adhuc conturbas me? ..... Nulla di meno vengo a pregarla di un miraculum tentare e quale non sarebbe il di lei contento di sapermi in migliori gambe che non sono le sue per potermi tosto recare presso l'amatissimo nostro Santo Padre![469].

                Spero dunque violentiam tu in sacratissimum Mariae cor adhibens mi troverò presto in Vaticano.

                Un ricordo per la Baronessa. Che della grazia             E baciandole la mano che benedice mi dichiaro, veneratissimo Don Bosco,

 

                Nizza, 21 dicembre 1887.

   Il di lei aff.mo

Barone HERAUD.

                Nizza Marittima.

 

                PS. Al molto Rev. Don Rua omaggio ed augurii.

 

 

95.

Il conte Colle a Don Bosco.

 

                                Mon cher ami,

 

                Je suis encore trop fatigué pour vous écrire moi - méme, mais si ce n'est pas ma main qui trace ces ligues c'est mon coeur qui les diete. Nous avous requ votre bonne lettre contenant les inseriptions que vous nous avez fait l'honneur de faire graver sur trois cloches de l'Aglise du Sacre Coeur. Je n'ai pas oublié que je vous avais promis de contribuer à l'achat de ces cloches, mais je n'ai pas gardé en mémoire la somme dont nous avions parlé, veuillez m'en donner de nouveau la connaissance.

                Je suis toujours malade, et attendant ma guérison de vos supplications vers le ciel, car pour de remèdes j'en ai tant pris que je me demande s'ils ne m'ont pas fait plus de mal que de bien. Je continue à demeurer à la campagne où j'ai au moins une tranquillité qui m'est absolument nécessaire.

                Ma femme se porte bien; che se joint à moi pour vous offrir nos respects les plus affectueux et les plus dévoués.

                Nous avons appris hier avee plaisir l'henreux retour de M.gr Cagliero auprès de vous et l'entrée dans votre Congrégation du prince Czartoryski. Ces nouvelles nous ont étè données par l'abbé Perrot qui est venu nous voir avec M. De Barruel. [810] Nous vous prions, bien cher ami, de tratismettre à Dom Rua et àtous vos excellents prftres nos compliments les plus cordiaux.

                La Farlède 18 décembre 1887.

Votre ami dévoué

Compte Colle.

 

96.

 

Don Bosco e la Comunione frequente.

 

                L'abate Temmerman, dopo aver polemizzato con coloro che disapprovavano la comunione frequente dei giovani, continua a dire così (cfr. sopra, pag, 529, in nota):

 

                Messieurs, il est daus, notre siècle un honune dont on ne contestera pas l'autorité absolue en matière d'éducation de l'eniance, sa vie n'est qu'un admirable enchainement de prodiges, j'ai nommé Dom Bosco. Permettez - moi de vous communiquer ce que ce saint me disait au sujet de la question qui nous occupe. Cétait en janvier 1888. Cornm j'étais sur le point de fonder une ceuvre importante pour l'éducation des enfants du peuple, je voulus avoir ses conscils, j'allai le voir à Turin, la semaine méme où il est mort. Il ne put guère m'expiiquer lui - méme, mais Dom Michel Rua, son fidèle interprète et son successeur depuis, me donna toute l'éconornie de l'eeuvre salésienne, il me livra le secret de sa prodigicuse puissance: ce secret se résume tout entier dans la comm union fréquente des enfants, aussi fréquente que les circonstances le permettent, non pas de quelques enfants de prédilection, de quelques enfants d'élite, mais de tous comme règle ordinaire. Je croyais avoir peut - étre quelque peu mal saisi les conseils regus, je croyais m'eu étre exagéré quelque peu la portée, j'écrivis done à Dom Rua pour avoir une direction absolument précise et certaine et voici ce qu'il me répondit:

                “Vous verrez dans les opuscules què je vous euvoie les applications de Dom Bosco sur la fréquentation des sacrements[470]. Notre vénéré fondateur ne perdait pas une occasion de recommander la fréquente communion. Cétait la base de tout son système d'éducation. Ceux qui ne le comprennent pas sont toujours obligés d'en venir à une rigouxeuse coércition”. (Applaudissements).

                Eh bien, Messieurs, les règles que D. Bosco trace dans ces opuscules se résume dans la communion la plus fréquente possible. [811] Dans les maisons salésiennes, ces règles tracées par le saint fondateur ne sont pas lettre morte, elles sont pleinement suivies. J'ai été étonné d'entendre que l'on puisse croire que les défenseurs de la . communion fréquente ne se préoccupent point des conditions d'une bonne préparation, au point que la communion ne resterait plus que la réception plus ou moins pieuse des Saintes Espèces. Tout au contraire le zèle pour disposer les enfants à bien, communier doit croître en raison directe ou, pour dire toute ma pensée, en proportion géométrique du zèle que l'on met à les attirer à la Table Sainte. Sans doute d'accord avec tous les maîtres de la théologie, il ne nous faut pas exiger davantage, dans la réception fréquente, des dispositions au-dessus des forces humaines, et ne jamais oublier que les Sacrements, faits pour les hommes, opèrent ex opere operato, chaque fois qu'ils ne sont pas reçus indignement; mais le directeur spirituel nous semble tenu à mettre plus de zèle à réclamer une volonté meilleure. On devrait toujours apporter à la discussion d'une thèse cette sincérité de ne pas scinder misérablement les deux membres indivisibles de la proposition de son adversaire. Nous demandons et c'est ce que demandait Dom Bosco: la communion fréquente conjointement avec le zèle le plus grand possible pour s'y disposer, chaque fois, au mieux. C'est ainsi que dans les maisons salésiennes la communion est le moyen de toute la discipline, la communion qui précède est continuellement mise sous les yeux de l'enfant pour raviver en son âme le sentiment du respect, de la reconnaissance et de l'amour qu'il doit au Dieu qui est venu habiter en son cceur. On lui fait entrevoir la communion prochaine pour le faire songer aux soins qu'il est tenu d'apporter à s'y préparer.

                On a dit ce matin à la 2-me section que dans tel collège, pourtant bon, le directeur n'aurait point osé permettre régulièrement la communion aussi fréquente. Je ne veux pas discuter et je ne demanderai pas si la règle de la communion mensuelle, laquelle pourtant est générale dans nos collèges, n'ait jamais inspiré les mêmes craintes pour les inconvénients qu'on pourrait appréhender particulièrement de la communion plus fréquente dans certains collèges; mais voici deux règles absolument pratiques qui me furent données comme le secret pour prévenir les communions moins dignes, on y attache dans les maisons salésiennes une importance capitale. La première règle consiste à ne jamais permettre que les enfants aillent à la Sainte Table par ordre de bancs. Il ne faut pas qu'un enfant par la peur d'être reconnu ou regardé seulement comme coupable ou moins bon puisse jamais être moralement forcé à faire avec sa conscience la moindre capitulation: tel serait néanmoins le cas de l'enfant qui devrait rester en évidence à sa place complètement isolé pendant tout le temps où les compagnons qui se trouvent autour de lui seraient tous au banc de communion. Il est possible que cet enfant ne soit même coupable [812] d'aucun péché véniel, que tout au plus quelque manquement commis contre le règlement de la maison le gêne et l'effraye; il croit bien être en droit de communier, mais il s'en croit peu digne; ah! qu'il n'apprenne pas à capituler avec sa conscience, ni même avec la délicatesse de celle-ci, de peur qu'il n'en vienne à faire des capitulations criminelles. Je sais bien qu'à suivre cette règle, on aura un peu moins d'ordre dans la distribution de la Sainte Communion, mais cela est de si peu d'importance, et encore avec quelques mesures faciles à prendre pour assurer la circulation, par exemple en faisant retourner ceux qui ont communié par un côté différent de celui par lequel arrivent lés autres, tout est fait. Que les maîtres et les maîtresses surtout se gardent d'une curiosité indiscrète. Bien inconsidéré serait le maître qui irait dire à un enfant qu'il a prouvé sa culpabilité, puisqu'il n'a pas osé aller à communion. Il va sans dire que je ne considère pas ici les enfants scrupuleux. La seconde règle est que les enfants doivent avoir les occasions les plus faciles et les plus nombreuses pour aller à confesse à la dérobée, sans devoir se faire remarquer, sans que la demande d'aller se confesser les dénonce aux soupçons du surveillant. Chez les Salésiens, on fait en sorte que tous les jours de la semaine, pendant les prières faites à la chapelle, pendant la Sainte Messe, pendant les récréations, les enfants trouvent le moyen d'aller se confesser sans que personne ne trouve à cela rien d'extraordinaire. C'est une chose si naturelle que le directeur par exemple d'un internat' de jeunes filles qui s'y épuiserait, s'il lui fallait recevoir tout son monde le samedi, demande que pour sa facilité on se partage quelque peu et que les unes viennent tel jour, les` autres tel autre jour; alors il n'y a rien d'étrange à ce qu'un enfant vienne n'importe' à quel moment. Et quant au moyen de prévenir qu'on n'accoure trop souvent, il n'est pas difficile au confesseur de le trouver, il n'a qu'à le vouloir et à couper court et net à toute velléité de venir faire un bout de causette, une fermeté invincible soutiendra ici une bonté inépuisable. Telles sont les règles qui me furent données.

                Je vous disais, Messieurs, que j'étais allé demander ces conseils à D. Bosco au moment de commencer une oeuvre assez importante pour l'éducation des enfants du peuple, il y a de cela un peu plus de 2 ans en janvier 1888. Notre oeuvre était alors dans une position difficile, le courage commençait à faiblir: ne craignez rien, me dit Dom Rua, avec la pratique de la Sainte Communion,, vous triompherez de tout. Allez sans crainte en avant.

                Il y a quelque temps, lorsque Dom Rua vint en Belgique pour la fondation de la maison salésienne de Liège, il' voulut bien venir me voir. Avez-vous été fidèle à mes conseils? me demanda-t-il. Avec la grâce de Dieu, lui dis-je, j'ai fait au mieux. Alors vous avez réussi, reprit-il. Et en effet, Messieurs, nous avions réussi au-delà de toute [813] espérance. L'oeuvre que nous poursuivions s'est développée avec une rare rapidité, au bout de deux années, notre institut destiné à des jeunes filles de la petite bourgeoisie, à des orphelines, compte plus de Z00 internes dont la conduite est parfaite. Nous en avons 157 qui ont fait leur première communion, la communion hebdomadaire est la règle pour toutes, mais cela avec la liberté la plus entière et la plus absolue non seulement en théorie, mais aussi en pratique. Une bonne soixantaine d'élèves s'approchent de la Sainte Table une seconde fois dans la semaine, une vingtaine une troisième fois, je crois, Messieurs, pouvoir dire que nous faisons de nos enfants ce que nous voulons. Je m'empresse de le dire, à l'exemple de ce qui se fait dans les maisons salésiennes, l'on ne perd aucunement de vue la bonne préparation. Je regrette que le temps me manque pour dire comment cette pratique corrige vite les défauts en apparence les plus invincibles, supprime les disputes, met immédiatement fin aux moindres inimitiés.

                Je le reconnais, toutes mes observations portent spécialement sur les élèves des internats et bien des conditions que j'ai indiquées comme préalables ne se trouvent que difficilement chez les enfants dans le monde. Effectivement mon but n'est à la rigueur que de soutenir la thèse de la communion fréquente pour les enfants confiés aux soins assidus de maîtres chrétiens. Toutefois, je suis d'avis que dans les paroisses, par le moyen des patronages, et pour les élèves externes de nos maisons religieuses, on pourrait énormément, si on le voulait: des exemples nombreux le prouvent. Je regrette de n'avoir pas le temps de m'y arrêter.

                Permettez-moi, Messieurs, de dire en finissant ce qui se fait à Turin, à l'institut de Dom Bosco. Lors de ma visite, en 1888, il y avait là 800 enfants, la communion hebdomadaire était la règle pour tous, 400 y allaient plus souvent. Vous savez quels enfants étaient recueillis là, pour plusieurs on peut dire qu'ils avaient été ramassés dans l'égout de la rue. Et de ces enfants-là, qu'est-ce Dom Bosco en a fait? C'est par centaines qu'on les compte dans les rangs du clergé d'Italie, et ils forment de ce clergé l'élite et la phalange d'honneur. (Applaudissements). Dom Bosco ne voulait pas qu'on appelât ses maiso" autrement que des oratoires, parce qu'il voulait bien signifier que par la prière et par la pratique des sacrements; comme par ses seuls moyens d'action, il voulait arriver à la sanctification de l'enfance, à la formation d'hommes de foi et de piété. Suivons, Messieurs, ses conseils et ses exemples. Et s'il est vrai « que la communion ne soit pas toute la piété, ni toute la religion », rappelons-nous cependant les paroles de 5. Paul: Ego (Paulus) plantavi, Apollo rigavit, sed Deus incrementum dedit (I ad Cor. III, 6), et qu'il ne nous appartient pas d'indiquer à Dieu les moyens dont nous voulons bien user, lorsque le Christ a dit: Amen, amen dico vobis, nisi manducaveritis [814] carnem Filii hominis et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam in vobis. (JOIS. VI 54) (Applaudissements).

                Avant de laisser imprimer ces pages, j'ai voulu les communiquer à D. Michel Rua, voici ce qu'il m'écrit:

                Oratorio Salesiano in San Benigno Canavese, 7 sept. 1890. Très Rév. Monsieur l'abbé Temmerman,

                J'ai lu ce que vous avez dit dans le Congrès Eucharistique sur la communion fréquente des enfants: vous avez parlé très bien et rapporté avec toute fidélité les idées de notre bien-aimé P. D. Bosco de sainte mémoire. Je vous renvoie l'imprimé, où vous trouverez seulement deux petites corrections d'orthographie: pour le reste je n'aurais rien à modifier quand il s'agit d'élèves internes.

                Je vous remercie vivement des bonnes paroles que vous avez bien voulu dire sur notre bon Père et sur son système d'éducation et je fais des voeux ardents afin que votre discours sur la communion fréquente des entants ait un retentissement dans tous les collèges catholiques et aussi dans tous les séminaires.

                Que le bon Dieu vous conserve en bonne santé et toujours en son amitié et si je peux vous servir en quelque chose, rappelez-vous que je suis à jamais

Votre obéissant serviteur en J. Ch.

Abbé MICHEL RUA

 

97.

 

Annunzio della morte di Don Bosco

agli antichi allievi dell'Oratorio.

 

                                Caro Amico,

 

                Un'immensa sciagura ha oggi colpito l'Oratorio di S. Francesco di Sales e le numerose Case d'educazione da esso dipendenti. Il suo Fondatore e capo, l'amico della gioventù, l'apostolo della religione e della carità, l'amatissimo nostro Padre Don Giovanni Bosco, non è più! Egli rese stamane alle ore 4, 40 la sua bell'anima al Signore, munito di tutti i conforti della Religione e benedetto dal Santo Padre Leone XIII.

                Quantunque prevedessimo già da tanto tempo le irreparabili conseguenze della sua malferma salute tuttavia sentiamo ora più che mai la gravità della perdita subita. E ben lo attestano le lacrime de' suoi figli, il dolore de li amici, il compianto della cittadinanza...

                Nelle ultime ore di quella preziosissima esistenza noi ervamo andati a baciare per l'ultima volta all'amato Padre la mano benedetta, e quasi a dargli a nome degli antichi allievi l'estremo addio in questa vita; ma la sua lingua era già fatta muta, il suo occhio non ravvisava più alcuno. Era in principio dell'agonia. Quale strazio, quale angoscia nel ripartire da quella camera dove ci aveva le tante volte accolto col sorriso della benevolenza!... O Don Bosco! Don Bosco!... [815]

                Caro amico, tu sai quanto noi avremmo desiderato di festeggiare la Messa d'oro del Rev.mo Sig. Don Bosco, che doveva ricorrere fra pochi anni, e come di cuore glielo augurassimo. Ma il Signore dispose altrimenti: sia fatta la sua santa volontà. Non possiamo almeno ora, benchè morto, dargli una prova della nostra affezione e della nostra riconoscenza?

                Il Comitato degli antichi allievi dell'Oratorio per le dimostrazioni a Don Bosco, previo accordo coi Superiori della Casa, deliberò d'invitare tutti i compagni Sacerdoti e secolari residenti in Torino e nei dintorni a trovarsi alla sepoltura che avrà luogo giovedì 2 Febbraio alle 3 ½ pomeridiane, e di esortare sì vicini che i lontani a fargli tenere una piccola offerta, non però inferiore ad una lira, per sopperire alle spese delle torcie occorrenti e per procurare al più presto nella chiesa di Maria Ausiliatrice un solenne funerale alla memoria del gran Padre Don Bosco.

                Sarebbe desiderabile che coloro i quali sono insigniti di qualche onorificenza governativa intervenissero alla sepoltura fregiati colle loro decorazioni. La nostra riunione sarà nel parlatorio grande dell'Istituto. Apposite norme regoleranno le precedenze nello sfilare del funebre corteo, ma noi procederemo ancora per ordine d'anzianità.

                 Non crediamo che occorra di più per eccitarti a dare quest'ultimo tributo d'affetto al defunto nostro Padre. Gli amici lontani potranno servirsi dei francobolli postali per l'invio della loro offerta; e quando sarà accertato il giorno del funerale li faremo avvisati.

                Sii compiacente di recitare una divota preghiera per l'anima del non mai abbastanza compianto Don Bosco e di gradire i nostri cordiali saluti.

 

                Torino, 31 Gennaio 1888.

Pel Comitato

GASTINI CARLO.

ALASIA MATTEO Segretario.

 

98.

 

Alcune lettere di condoglianza a Don Rua.

 

                Fra tante centinaia di lettere in diverse lingue ne scegliamo soltanto alcune poche a titolo di saggio.

 

a) Monsignor de Gaudenzi, vescovo di Vigevano.

 

                M. Ill. e molto Rev. Signore,

 

                Colla perdita di Don Bosco cessò una vera amplissima benedizione del Signore per la Chiesa e per la Società.

                Egli nella dolcezza emulò il Vescovo di Ginevra che avevasi eletto a Patrono per l'ardore della sua carità verso i prossimi rinnovò i [816] miracoli di S. Vincenzo de' Paoli, imitatore del Zaverio fece grandi conquiste alla Croce di Gesù Cristo.

                Io ebbi il bene di conoscerlo fin dall'esordio, che fu umilissimo, delle ammirande innumerevoli sue opere, lo seguii costantemente anche nelle gravi sue afflizioni, e sempre con immensa mia edificazione ebbi ad ammirare in Don Bosco l'uomo di Dio che viveva solo per la gloria del Signore, per dilatare il suo regno e meglio stabilirlo nelle anime.

                Questi pensieri riescono ad un balsamo consolatore per me in sì acerbo duolo, giacchè il defunto che deploriamo sempre mi onorò di sua peculiare bontà.

                Ad argomento di venerazione e di gratitudine per il bene che operò il S. Don Bosco anche per questa mia Diocesi, ordinai di celebrare giovedì prossimo nella Cappella del Seminario un solenne uffizio per la requie eterna di quell'anima eccelsa. Io vi assisterò e farò le esequie.

                Ho certa fiducia risplenda già fra il coro dei santi sacerdoti. I suffragi se non gioveranno a quell'anima santa, gioveranno ad altre anime e tornerà certamente gradito al Signore si onori un sacerdote in cui Egli si compiacque rivelare al mondo quanto valga al bene dell'umanità un sacerdote fatto secondo il suo cuore, e che secondi umile, costante i suoi disegni.

                Il Signore continui a proteggere le opere di quell'anima eccelsa, che tutti ammirano. È questa la preghiera che spesso in questi dì erompe dal mio cuore sì profondamente commosso.

                M ricordi a tutti suoi degni confratelli e mi abbia nei SS. Cuori di G.M.G.

 

                Vigevano, il 3 febbraio 1888.

Aff.mo servo

+ Maria Giuseppe, Vescovo.

 

b) Monsignor Rota, arcivescovo titolare di Tebe.

 

 

                                Carissimo Don Rua Michele,

 

                La perdita del sempre amato e stimato Don Bosco credo che avrà recato molto dolore a quanti lo conoscevano di persona o per fama, come ha recato troppo dolore a me. Le molte gentilezze e favori, di cui mi fu prodigo, quando fui a Torino[471], me lo rendevano sempre caro, e lo riguardavo come un altro mio fratello. Tengo nella mia camera un ritratto che mi ricorderà sempre i favori, gli aiuti, i conforti in tempi critici da Lui ricevuti. Spero che sia già in [817] Paradiso, e mi auguro di andargli a far compagnia fra non molto, giacchè sono vecchio. Dio voglia che ciò sia presto, giacchè processi in diebus multis.

                Intanto batterò alla porta del paradiso, finchè senta quella dolcissima parola: Intra in gaudium Domini tui.

                Anche il mio Franzini[472] ricorda i favori da Lui e dai suoi compagni ricevuti; ma scriverà egli stesso, dolente della perdita; ma sperando anch'egli di avere un avvocato in paradiso.

                Intanto con tutta la stima, e nella persuasione che Ella continuerà a fare il bene che faceva il perduto Don Bosco, mi dico

                Di vostra Riverenza

                Roma, 3 febbraio 1888.

 

Devotissimo e sempre affezionatissimo

+ PIETRO, Arciv. di Tebe e can. di S. Pietro in Roma.

 

c) Il Segretario dell'Indice.

 

                                Reverendo Don Rua,

 

                La infausta notizia che il non mai abbastanza compianto Don Giovanni Bosco, uomo per virtù e per meriti verso la Chiesa e l'intiera umanità venerando, mi è riuscita ancora più acerba perchè inaspettata, e contro la fiducia in cui era della sua prossima perfetta guarigione. Io che tanto lo stimava e lo amava ne ho sentito gravissimo dolore. Pace sia eterna all'illustre estinto nel regno della divina bontà e misericordia.

                Faccio poi a Lei, Rev.do Padre, e a tutta la Congregazione Salesiana le più sincere ed affettuose condoglianze per la grave perdita del gran fondatore e la prego a rendersi interprete presso la medesima di questi miei sentimenti e in un modo speciale coi miei saluti affettuosi comunicarli al buon Don Celestino Durando. Io ho tutta la fiducia che Don Bosco dal cielo proteggerà il suo istituto e gli otterrà da Dio grazie e prosperità.

                La riverisco distintamente e mi pregio di rassegnarmi con sensi di particolare considerazione e di affettuosa amicizia.

                Di Lei Rev.mo Don Rua,

 

                Roma, li 3 febbraio 1888.

 

Devotissimo servo ed amico

P. GIROLAMO PIO SACCHERI dei predicatori.

Segretario dell'indice e Cooperatore Salesiano. [818]

 

d) Monsignor Vicentini, vescovo di Aquila.

 

                In risposta alla partecipazione, che la S. V. si è compiaciuta inviarmi della perdita non mai deplorata abbastanza del venerando Don Bosco, non ho che ad esprimere gli stessi sentimenti che han compreso gli animi tutti all'infausta novella. Era l'uomo provvidenziale che Iddio aveva suscitato per confondere l'apatia, l'egoismo e l'incredulità di un secolo corrotto e corrottore, era un miracolo permanente di quella carità ingegnosa, disinteressata e molteplice che abbracciava tutti i bisogni, viveva di sacrifizi e li rendeva fecondi di fede, di consolazione, e di amore. Se quindi il dolore è verace, profondo, universale ve ne ha giusta ragione. È gran conforto però che l'opera sua lo rappresenterà sempre vivo, anzi mai tanto vivo quanto dopo che ha lasciata la terra per guardarla e proteggerla dal cielo.

                È con questi sensi si che mi unisco anch'io al cordoglio, specialmente dell'Episcopato italiano che aveva nel compianto Apostolo un braccio così efficace e prego la S. V. parteciparli ai suoi confratelli come espressione dell'animo mio e come attaccamento ad un ordine così benemerito che ha perduto il tanto amato suo fondatore.

                Della S. V. R.ma

                Aquila, 4 Febbraio 1888.

 

+ AUGUSTO ANTONINO

Arcivescovo di Aquila.

 

 

e) Monsignor Vorteo, vescovo di Massa Marittima.

 

                                Reverendissimo signore,

 

                Sono l'infimo dei Cooperatori Salesiani, tra i quali fui annoverato, senza alcun mio merito il dì 11 Agosto dell'anno scorso. Essendo però sempre stata altissima l'ammirazione, e profonda quanto mai si può dire la riverente stima, che ho nutrito per quel vero Apostolo di Carità al quale ora succede la S. V. Rev.ma nella direzione di tante, stupende opere, da lui create a gloria di Dio e a salute delle anime; non posso fare a meno di unire le mie condoglianze a quelle che le pervergono da ogni parte del mondo cristiano per la dipartita di tanto padre. Piaccia adunque a V. S. Reverendissima di accoglierle benevolmente per l'unico pregio che hanno di essere al tutto sincere. E poichè, mentre mi sforzo di suffragare quella grande anima, mi sento invece sospinto ad implorarne per me e per la Chiesa, l'intercessione presso il trono di Dio; sia essa dal cielo particolarmente propizia alla sterminata famiglia, rimasta sì meritamente affidata alle cure paterne [819] di V. S. cui offro la meschina mia servitù, dichiarandomi con ogni maniera di stima

                Della stessa S. V. Rev.ma

 

                Massa Marittima 4 Febbraio 1888.

 

Dev.mo servo in G. C.

+ Fr. GIUSEPPE vescovo di Massa e Papulonia.

 

f) Monsignor Apollonio, vescovo di Treviso.

 

 

                                M. R. Don Michele Rua,

 

                Non potrei dirle a parole quanto dolore io provi, per la morte di quell'eroe di carità, di quel santo, che fu Don Bosco.

                Conservo di lui tante care memorie che ora mi divennero tanto più preziose.

                Il Signore l'ha trovato maturo pel cielo. Mi par d'essere sicuro che sulle opere di Don Bosco ora cadranno più copiose le benedizioni del Signore, e che esse dirette dai zelantissimi ed ottimi sacerdoti Salesiani seguiteranno a produrre immensi vantaggi nel campo della Cattolica Chiesa.

                Ieri andai a Mogliano per fare un atto di condoglianza, con i figli di cotesto Istituto; trovai che il Superiore Don Mosè Veronesi era venuto a Torino.

                Gradisca, M. R. Don Michele, i sensi della mia venerazione e conservi per me quell'affetto che aveva il Santo Don Bosco.

                Treviso 4 Febbraio 1888.

 

    Suo Dev.mo Aff.mo in G.

+ GIUSEPPE APOLLONIO Vescovo di Treviso.

 

g) Il cardinale Massaia.

 

                Al Vicario gen. della Congr. Salesiana,

 

                 Se l'infausta notizia della morte del nostro caro Don Bosco mi abbia grandemente amareggiato, il faccio considerare a V. S. Rev.ma; poichè io in lui non amava solo il compaesano[473] ed il fratello sacerdote, ma stimava ed ammirava l'Apostolo della carità, il padre della gioventù, il propagatore del manuale lavoro sposato alla pietà ed alla [820] cristiana istruzione. Oh se avessi avuto compagno un tal uomo nella Missione, quanto da lui non avrei appreso nell'accrescere l'Ovile di Gesù Cristo e nel guidare per la via della salute le anime cristiane! Ma il Signore che lo destinò a lavorare in un altro campo, me lo diede almeno come esempio! poichè anche sin là giungevano le notizie del suo zelo e della sua apostolica operosità.

                Ora lo piangiamo morto; ma consoliamoci, che la sua vita è cominciata adesso fra la gloria di Dio.

                Ed anche sulla terra continua a vivere nelle grandi opere che ha fatto; nel religioso istituto che lascia; ed in quello innumerevole stuolo di figli, che seppe educare per la religione e per la società.

                Vecchio cadente, non tarderò a raggiungerlo nella vita che mai finisce, e spero che, come io prego per lui, così egli vorrà ricordarsi di ottenermi dal Signore una morte simile alla sua.

                Gradisca, Revmo. Signore, con le mie condoglianze i sensi di stima e di particolare affetto.

 

                Roma, 4 febbraio 1888.

 

Dev.mo servo

+ Fr. G. Card. MASSAIA cappuccino.

 

h) Il padre Denza.

 

 

                                Carissimo signor Don Rua,

 

                Ho appreso qui, a Roma, dove mi trovo da qualche tempo per l'esposizione vaticana, la tristissima nuova della perdita del carissimo Don Bosco, che io venerava ed amava come mio padre e che teneva in conto di uno dei miei più affettuosi amici. Può Ella pensare il dolore dell'animo mio per la perdita grandissima di tanto uomo; ma d'altra parte non posso a meno di non consolarmi nel pensiero che quel sacerdote benefico e promotore di tante e sì grandi opere buone si gode il premio di tante fatiche, di tante pene sofferte quaggiù, e prega l'ottimo Iddio, che amò cotanto, per noi tutti, ed in modo speciale per la sua diletta figlia la Congregazione Salesiana. Tuttavia io non lascierò di pregare il Signore per Lui e più ancora per la loro Congregazione, affinchè si mantenga con quello spirito e con quella operosità che le venne comunicata dal suo fondatore. La prego, ottimo mio Don Rua, a farsi interprete presso tutti i suoi confratelli ed amici miei cari di questi miei sentimenti, che appena ho saputo esporre e mi raccomandi alle orazioni di tutti, di cui ho grande bisogno.

                Mi tenga sempre per suo

Aff.mo

P. DENZA. [821]

 

i) Il marchese Vitelleschi.

 

                                Pregiatissimo Don Rua,

 

                Non posso dispensarmi dall'esternarle la vivissima parte che unitamente alla mia famiglia ho presa per la irreparabile perdita del non mai bastantemente compianto Don Bosco. Perdita enorme per noi, sommo guadagno per il caro defunto, il quale la cristiana speranza ci fa ritenere, che sia giunto ad ottenere il premio immortale del cumulo di tante sue virtù. La nostra famiglia fu la prima qui in Roma, la quale ebbe la sorte di stringere con esso lui preziose relazioni, ciò che si verificò nel 1864, quando io con la mia compianta compagna ci recammo per la prima volta a Torino e facemmo conoscenza di quell'uomo di Dio. Da quell'epoca in poi ricevemmo sempre da lui attestati di gentilezza e di carità.

                Ho presso di me alcune sue lettere come preziosi ricordi, e una tra le altre la quale mi ha recato il convincimento che Don Bosco era uomo straordinario e veramente prediletto da Dio.

                Comprendo bene, carissimo Don Rua, quale deve essere la sua afflizione e quella di tutti i suoi compagni per tanta perdita, ma le deve essere di conforto il pensiero che colui che piangiamo ha lasciato nella sua partenza da questo mondo una pianta gigantesca, la quale ha disteso i suoi rami non solo in Europa, ma financo in America, quale si è la Congregazione Salesiana, della quale niuno era più idoneo a prenderne la direzione, quanto Ella, che sarà aiutato in questo grave incarico dallo stesso Don Bosco il quale se fu ricolmo di carità qui in terra, presentemente poi trovandosi, siccome speriamo, in quella regione ove la carità è perfetta, la proteggerà anche dal cielo...

                Roma 4 febbraio 1888.

 

ANGELO VITELLESCHI.

 

 

j) Monsignor Richard, arcivescovo di Parigi

 

 

                                Mon cher et révérend Père,

 

                le veux vous dire toute la part que je prends au deuil de votre famille salésienne. je regarde comme une gráce de Dien d'avoir pu, en passant à Turin, voir encore une fois votre vénérable Père, recevoir sa bénédiction et l'entendre me dire qu'il bénissait tout Paris.

                J'ai la confiance avec vous qu'il est au ciel, mais je célébrerai une Messe pour lui, paxce que l'Eglise nous apprend à prier pour les défunts dont nous avons le plus vénéré la vertu.

                  Veuillez, mori elier et révérend Père, agréer l'assurance de nion affectueux et respectueux dévouenient en N. S.

 

                Paris, ier Février 1888.

+ FR. Arch. de Paris.  [822]

 

1) Il cardinale Capecelatro.

 

                                Veneratissimo e Carissimo Sig. Don Rua,

 

                La morte del venerando Don Bosco ha vivamente commosso e addolorato il mio animo; e ora compio un debito d'affetto facendo le mie condoglianze con lei e con tutti i figli di un sì gran padre. Il loro Don Bosco fu un vero apostolo del nostro secolo, è uno di quelli apostoli a cui il Signore concesse di raccogliere abbondanti frutti dal proprio apostolato. Sia benedetto il Signore che lo ha mandato all'Italia e ora il maggior desiderio mio e credo di moltissimi, è che le opere stabilite da quel gran servo del Signore vivano e prosperino sempre più.

                Quando seppi che il loro padre Don Bosco era uscito dalla vita presente pregai nella messa per quella anima eletta. Ma in verità io pensava e sperava sopratutto che in quel momento dal cielo ei pregasse già per i suoi figli, e per i molti che lo amavano e anche un poco per me.

                Ora mi raccomando, riverito Padre, alle orazioni sue e di tutti i Salesiani con i quali sono da gran tempo unito di cuore.

                Con sentimenti poi di affettuosa stima me le professo

 

                Capua, 5, Febbraio 1888.

Suo Dev.mo

+ ALFONSO Cardinale CAPECELATRO

Arcivescovo di Capua.

 

m) Monsignor Capelli, vescovo di Tortona.

 

                Reverendissimo Sig. Direttore,

 

                Dunque ci fu tolto il nostro ottimo Don Bosco, non ostante le fervorose preghiere dell'immensa famiglia de' suoi cari figli e dei moltissimi ammiratori, dell'Uomo benefico e santo per tenercelo qui ancora almeno per qualche tempo! ma via: la sua Madonna l'ha voluto in Paradiso, perchè già ricco di tanti meriti.

                Quindi se la dolce e veneranda di Lui figura è scomparsa dai nostri occhi  ci vive però in cuore, e vivrà indelebile la preziosa memoria delle grandi virtù ond'era adorno e che seppe saviamente trasfondere nei degni eredi della provvidenziale sua Missione.

                Ho appreso dai pubblici fogli lo spettacolo tenerissimo ed edificante dei suoi funebri trionfali: e naturalmente io pure mi ero fatto sacro dovere di celebrare la S. Messa per l'eterno riposo di quell'anima benedetta. E qui appunto pensavo: tante dimostrazioni di affetto all'Uomo santo questi tributi di suffragi che devono aver profittato all'espiazione di un gran numero di spiriti avventurati per associarglisi [823] nell'ingresso alla patria celeste, non ponno a meno di essere un conforto grande al dolore degli orfani figli. Essi sanno che l'amato Padre da quel regno di gloria con più accesa e sovrumana carità ora li guarda, li protegge, li benedice, e vuole poi rivederli in Cielo!

                Davvero che ho fiducia anch'io nella protezione del venerato Defunto, cui ebbi la fortuna di ospitare qualche giorno in questo mio Episcopio nel 1875; e con questa fiducia, assai di buon cuore mi congratulo secolei, Rev.mo Direttore, meritamente eletto nel surrogarlo al governo della Congregazione. La prego di gradire i sensi della predistinta stima con cui mi raffermo

                D. V. S. Rev.ma

 

                Tortona, il 6 febbraio 1888.

Devotissimo Servitore

+ VINCENZO, Vecovo di Tortona.

 

 

D) Cardinale Sanfelice, arcivescovo di Napoli.

 

 

                                Reverendissimo Padre,

 

                L'annunzio della morte inaspettata di Don Bosco mi ha profondamente colpito; è un altro apostolo di cui resta privo il mondo per gli arcani voleri di Dio; e ne avranno a piangere la perdita pure i nemici della Chiesa, da chè non v'ha sorta di persone e cui non sia giunto il beneficio dell'apostolica carità di quel santo Sacerdote. Egli da quest'ora farà meglio sentire specialmente ai suoi figli quanto valga la protezione di lui; questo pensiere ed il pensiere della gloria onde soli ora coronate le virtù di Lui, sia il più balsamico conforto per quanti lo piangono. Alla S. V. poi, già piena dello spirito del suo Fondatore, conceda Iddio la grazia di mantenerlo sovrabbondante questo spirito in tutte le opere da Lui fondate ed al presente alla S. V. commesse.

                Assai volentieri tolgo questo quantunque doloroso incontro per significarle i sensi della mia particolare stima ed ossequio in quella che mi professo

                Della S. V. Rev.ma

 

                Napoli, 6 febbraio 1888.

+Dev.mo S. Card. Arcivescovo.

 

 

o) Monsignor Guarino, arcivescovo di Messina.

 

                                Ill.mo e Rev.mo Signore,

 

                L'annunzio della perdita immensa, che la Chiesa ha fatto colla morte di Don Bosco, novello S. Vincenzo de' Paoli, mi ha tanto conturbato, che non potei subito esprimere alla S. V. Rev.ma e alla intera Congregazione Salesiana il mio acerbo dolore. Quell'uomo era [824] un miracolo era la Provvidenza di Dio resa sensibile: come non impressionarci vivamente della di lui perdita? Ma egli vive in Cielo, ed ivi è potente innanzi al trono di Dio: veglierà sulle opere stupende lasciate sulla terra, e non lascierà di dare alle stesse nuovo impulso ed incremento novello: ed Ella, che così bene ritrae le sue virtù, otterrà sicuramente da Dio per la intercessione del Santo ed illustre Fondatore tanto vigore e tanta forza di azione, da renderne meno amara la dipartita.

                Accolga, Rev.mo Signore, con tutti suoi confratelli quest'intimi sentimenti dell'animo mio, e mi dia l'onore di essere

                Della S. V. Rev.ma

 

                Messina, 6 febbraio 1888.

Umilissimo servo

+ GIUSEPPE Arcivescovo di Messina.

 

 

p) Monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli.

 

 

                                Rev.mo. signor. Vicario,

 

                Non ho parole per esprimere il dolore con cui ho appreso la perdita dell'ottimo Don Bosco. La notizia non mi tornò inaspettata, ma l'animo mio non fu meno straziato. Io fui dei primi a conoscere i saggi di sode virtù sacerdotali che diede il compianto fin da quando studiava nel Convitto ecclesiastico di San Francesco, d'Assisi. Ebbi sempre occasione di vederne progressivamente lo sviluppo nella vita' privata e pubblica, ed oso mettermi pure fra i primi a deplorarne il vuoto che, lascia in terra, ma a crederlo già premiato subito dal Signore.

                Ella, signor Vicario della Congregazione Salesiana, che gli fu sempre ai fianchi, ne prese lo spirito e ne divise le apostoliche fatiche e sollecitudini, si conforti per la protezione dall'alto che Don Bosco le compartirà alla direzione dell'immensa famiglia, alla prosecuzione delle Opere di Carità.

                Abbiasi la espressione de' miei sentimenti per Don Bosco, per Lei, per tutti i Salesiani e Cooperatori. Io unirò per tutti le mie preghiere.

                Mi pregio dichiararmi con profonda affettuosa stima

                Di V. S. Rev.ma

 

                Vercelli, 7 febbraio 1888.

 

 Dev.mo servitore

+ CELESTINO Arcivescovo[474]. [825]

 

q) Monsignor d'Hulst, deputato al Parlamento e Rettore dell'Istituto Cattolico di Parigi.

 

                               Mon Très Rev. Père

                Je ne puis vous dire combien j'ai été touché de l'attention que voue avez eue de m'annoncer par le télégraphe la douloureuse nouvelle de la mort de Votre Père. Vous ne vous étiez pas trompé en pensant que ce coup qui vous frappe retentirait profondément dans nos coeurs ici.

                J'ai suivi avec un respectueux intérêt dans les journaux le récit des funérailles faites par la population de Turin au serviteur de Dieu à qui la légalité mesquine et tracassière a refusé un tombeau dans l'église qu'il a construite. Je ne doute pas que sa protection ne couvre son oeuvre après lui et ne vous obtienne la force et la lumière nécessaires pour continuer ses immenses entreprises. Celle de Paris nous trouvera toujours disposés à la seconder.

                Veuillez agréer, mon Très Révérend Père, l'assurance de mes sentiments les plus respectueux et les plus dévoués

                Paris le 7 Fevrier 1888.

W. D'HULST.

 

r) Monsignor Richelmy, vescovo d'Ivrea.

 

                                Rev.mo Signore, in G. C. carissimo,

 

                Sono in ritardo nell'esprimere a V. S. e a tutta codesta benemerita Congregazione le mie sincere condoglianze per la gravissima perdita sofferta. Ma non per questo voglio mi sia dato l'ultimo luogo fra gli ammiratori del Venerando Don Bosco e gli amatori della famiglia Salesiana.

                Ho pregato per Don Bosco, e voglio sperare che Egli dal cielo si ricordi di me; ho pregato e pregherò nella mia pochezza per i buoni Salesiani, e confido, che essi non vorranno dimenticare un amico oggimai di antica data, e Sovratutto non abbandoneranno la mia diletta Diocesi che ha par tanto bisogno di assistenza e di aiuto.

                Mi raccomando alla carità delle sue orazioni, e mi dico con affetto ne' SS. Cuori di Gesù e di Maria,

                Di V. S. R.ma

 

                Ivrea, 8 febbraio 1888.

 

Dev.mo, aff.mo servitore

 + AGOSTINO, Vescovo. [826]

 

s) Baronessa Scoppa di Badolato (Catanzaro).

 

                                Ven.mo Padre

 

                Qual dolore per me ricevere la di lei partecipazione della perdita del caro Padre Don Bosco! Ah! Egli mi scrisse che mi voleva a Torino ed io venni obbediente ai cenni suoi, Voleva congedarsi. Mi disse che ci dovremo vedere in paradiso e non più sulla terra. Il Signore mi tolse il conforto di un santo il quale aveva bontà per me. Adoro i suoi voleri.

                Pregai vostra Paternità di farmi avere qualche sua reliquia, faccia grazia di favorirmela. Immagino la pena di quel giovane che sta sempre con Don Bosco,

                Vorrei per quest'anno pagare io uno dei missionarii che stanno all'estero; nel manifesto diceva bisognare 700 lire; e gliele manderò presto in vaglia postale, così io avrò il merito di quanto egli farà in vantaggio delle anime.

                Ho fatte celebrare messe, ottenni comunioni di varie persone ed anche le mie applicai pel caro defunto. Stamane nella chiesa mia del palazzo ho fatto celebrare un splendido funerale, col canto eziandio dell'ufficio dei defunti e continuo a suffragare quell'anima benedetta. Spero che sia nel cielo e ne avrà gloria accidentale.

                Le chiedo la benedizione e le bacio la mano.

                Ossequio quei Padri che ebbi la fortuna di avvicinare.

 

                S. And. feb. 1888.

Baronessa di BADOLATO SCOPPA.

 

 

t) Il predicatore Don Salvatore Di Pietro.

 

                                Amatissimo e Rev.mo P. Don Rua,

 

                Coll'anima profondamente addolorata, col cuore trafitto dal più acerbo dolore, ultimo dei cooperatori, mi unisco alla famiglia Salesiana, mescendo le mie alle sue lagrime, per piangere insieme il Padre nostro e il benefattore dell'umanità.

                Trepidante e colla più viva ansia del cuore ho seguito giornalmente le nuove dell'infermità che travagliava il venerando estinto. L'annuncio della sua morte se mi addolorò lascio considerarlo alla R. V. Ma il pensiero di avere quinci innanzi appo Dio un avvocato di più, un intercessore valevole, ha sollevato in qualche maniera il dolore dell'anima mia.

                Piangente stamane ho celebrato il santo sagrificio per quell'anima santa, affinchè il nostro buon Dio ben presto faccia splendere per lei la luce eterna e la pace dei saliti. Dopo i lavori ben lunghi è andato a trovare il meritato guiderdone nel cielo.

                La speranza che pregherà di lassù per tutta la numerosissima sua figliuolanza spirituale ci animi ancora più a durare negli intrapresi lavori per la maggior gloria di Dio. [827]

                L'immagine caramente affettuosa nel nostro amatissimo Don Bosco mi è rimasta fittamente impressa nel cuore, quando reduce dal quaresimale di Torino, fermatomi a Roma presso i Padri Salesiani alla Chiesa del Sacro Cuore, ebbi la fortuna di restare per ben cinque giorni accanto a lui (Aprile 1884).

                Allora era un continuo via vai a quel santo tempio non ancor terminato, da gente di ogni nazione e di ogni lingua, che andava colà per vedere da vicino, per sentir parlare e per ammirare il santo. Nè alcuno tornava se prima non avesse ottenuto una qualche cosetta che fosse stata toccata dalla mano, o benedetta, o usata da Don Bosco. Oh se sapesse, mio caro Padre, ciò che io vidi allora e come l'animo mio ebbe a rinfervorarsi di fede e di amore pel nostro Amor Crocefisso. Ei mi voleva d'accanto e passammo lunghe ore in santi parlari. Fu allora che io vidi signore della più alta aristocrazia romana, francese, tedesca, usare al tempio del Sacro Cuore a Roma, lasciare fazzoletti a colore e bianchi e tanti altri oggetti, per farli usare anche una volta sola al Padre ed averli restituiti quale preziosa ricordanza, ecc. ecc.

 

                 Palermo li 9 febbraio 1888.

 

Sac. SALVATORE Don PIETRO COOP. S.

dal ritiro di S. Eulalia. Via Coltellieri 17

 

u) Monsignor Sebaux, vescovo di Angouléme.

 

                                Mon Révérend Père,

 

                J'éprouve le besoin de vous dire toute la part que je prends à votre douleur. La perte du vénérable Doni Bosco serait, ori peut le dire, un deuil pour l'Eglise che - méme, si, dans le prétre et le fils si dévoué qu'elle pleure, che ne voyait son éhi récompensé pour tant d'oeuvres saintes. Pour vous, pour l'Istitut vous avez perdu un Pérc;

mais il devient près de Dicu son tendre et puissant protecteur en méme temps qu'il laisse à ses enfants son adinirable esprit.

                Veuillez bien agréer, mon Révérend Père, l'expression de ma vive et respectueuse sympathie.

 

Angouléme le 10 fév. 1888.

 

+ A. L. Ev. d'Angouléme.

 

 

v) L'avvocato Michel di Nizza mare.

 

                                Cher Don Rua,

 

                Je reviens de Rome où j'ai présenté au St Père le groupe des membres de la société de S. V. de Paul venus de Nice. Lorsque j'ai présenté les deux enfants du Patronage St Pierre le St Père leur a [828] aussitót demandé s'ils avaient fait leur prière pour Dom Bosco. Il /aut bien prier, a - t - il ajouté, pour ce saint homme qui vous a fait tant de bien et qui en a fait Lì un si grandnombre d'enfants. Du haut du Ciel il regardera votre Prière et il continuera àvous Protéger.

                je tenais à vous dire ces choses qui seront clières au eccur de tous les Salésiens. En maintenant vous savez que nous aussi, nous* pleurons notre meiReur ami, notre cher père, car nous étions ses enfants dans le siècle. Nous ne pourons mieux lui témoigner notre reconnaissance qu' en prenant soin de ses oeuvres, et c'est ce que nous espérons faire avec l'aide de Dieu, selon notre pouvoir. Rappelez - nous au souvenir et aux prières de vos confrères...

 

                Nice, II Février 1888.

E. MICHEL.

 

z) La contessa Mocenigo Soranzo.

 

                Veneratissimo Sig. Don Rua,

 

                A nome anche di mio marito mi permetto di offrirle il nostro obolo per i funebri del nostro santo e compianto Don Bosco che consideravamo come nostro Padre. Al dolore immenso, indicibile che proviamo per la perdita, ci si aggiunge anche l'angustia in cui ci troviamo pel nostro figlio Giusmino (che ha 14 anni) il quale è in uno stato di salute che molto ci fa temere, avendo da un mese la febbre che non vuol cedere e lo rifinisce. Noi la supplichiamo di raccomandarlo al santo Don Bosco perchè ce lo faccia guarire. Preghi questo caro santo anche per noi tutti e si degni mandarci la sua santa benedizione. Preghi pel mio Bambino. Sono tanto angosciata!

 

La Contessa MOCENIGO SORANZO

nata Principessa di Soresina Vidoni.

 

 

99.

 

Ricordi personali intorno a Don Bosco

 

                I. Teologo Ramello, canonico arciprete di Pinerolo a Don Rua, 2 febbraio: “Quanto questo caro padre mi amava, quante dimostrazioni mi diede del suo affetto fino all'epoca in cui io ebbi la bella sorte di conoscerlo, avvicinarlo, quando era nei suoi primordii questo Oratorio Salesiano; e quindi in seguito per il non breve corso di circa trenta anni. Ed una dimostrazione l'ebbi verso il fine del s. u. dicembre, in cui Don Bosco mi inviò un biglietto scritto di suo pugno che conserverò come una reliquia. Quante volte Don Bosco mi disse che la sua [829] casa era per me aperta, che mi avrebbe in qualunque momento accolto, e ciò mi ripetè nei due anni in cui si recò a respirare quest'aria nella stagione estiva, per riacquistare le forze perdute”.

                2. Don Selva da Chiavazza (Biella) a Don Rua, 2 febbraio: L'umile cooperatore salesiano che scrive […] gode di ricordare che Don Bosco fu un giorno nella casa sua paterna in Pettinengo (Biella) viventi allora il buon nonno e il carissimo papà, ammiratore poi del venerato defunto fin dai primi anni del suo apostolato. Chi scrive sa dove ei sedette e si trattenne colla famiglia... e forse allora ignorava (e chi l'avrebbe detto?) la missione che affidavagli la Divina Provvidenza... Oh che missione!”.

                3. Romano Perucatti, da Cuneo a Don Rua, 2 febbraio: “Tu sai quanto io abbia sempre amato il santo sacerdote che nel 1849 e 1850 m'impartiva i primi elementi della dottrina cristiana e non posso dimenticare i suoi amorevoli consigli che dal 1861 al 1879 sempre da quel buon Padre ricevevo e le cure ch'ei ebbe pel mio povero figlio, e quanto ricevettero i miei fratelli Giacinto e Placido” .

                4. La cooperatrice Vittoria Protasi, da Arona a Don Rua, 2 febbraio: “Io sentiva di amarlo tanto e molto più dopo che ebbi la fortuna di trattarlo di presenza e ricevere da lui savi consigli”.

                5. Eugenia Telles de Gama, dama d'onore della Regina Maria Pia del Portogallo, da Lisbona a Don Rua, 2 febbraio: “je suis heureuse d'avoir eu le bonheur de connaltre personellement ce Saint Prétre, lors du dernier passage de notre Reine Marie Pie à Turin. Favais l'honneur d'accompagtier sa Majesté, et je me fis un devoir et une 19te de rendre visite à celui que je connaissais de renommée et que je tenais à voir; et toujours je conserverai le souvenir de soli air de bonté, et de la bienveillance avec laquelle il a requ mes visites”.

                6. Mons. Coullié, vescovo di Orléans, poi cardinale, a Don Rua, 3 febbraio: j'ai eu le bonheur de voir plusieurs fois Doti Bosco en allant à Rome et je regardais comme une gráce de Dieu la joie de l'entretenir et de recueillir ses paroles *.

                7. La cooperatrice L. Remacle, da Auxerre (Yonne) a Don Rua, 3 febbraio: Ce n'est vraiment que depuis quatre ans, à l'hiver 18831884 passé dans le Midi que nous avons connu avee joie ce saint dont le nota remplìssait une partie notable de ce monde par ses bienfaits. C'est à la maison de la Navarre près d'Hyères que le bon Père nous a reques pendant assez long temps; sa bonté, ses prières et sa bénédiction deux fois pendant cette visite à jainais mémorable, nous olit remplìes de courage et de force dans nos tourments. Il nons a parlé de ses muvres immenses, de cette lotterie qui commengait à s'organiser et a fait de nous quatre coopératrices; et a bien voulu depuis de temps [830] recevoir de moi bien des demandes de prières et a toujours daigné répondre à mes indiscrètes suppliques! Ce vénéré Père a bien voulu nous envoyer les paroles de consolation dont il avait si bien le secret lorsque le bon Dieu a redemandé notre enfant bien-aimé il y a trois ans! Tous ces souvenirs me sont bien chers! Et toutes les nombreuses lignes, que le regretté et vénéré Dom Bosco a bien voulu m'écrire sont réunnies classées comme une véritable relique pieusement cou­servée ».

                8. La cooperatrice Reboud, da St-Marcellin (Isère) a Don Rua, 3 feb­braio: « Nous remercions Dieu de nous avoir fait connaître votre bien-aimé Dom Bosco. La vue d'un saint est une vision du ciel. C'est un bonheur inoubliable. Si j'ai pu jouir de cette consolation, d'une façon aussi complète, je ne puis oublier que je le dois à vous, mon Révérend Père ».

                9. La signora Antonietta Sassulier, da Grodno (Polonia) a Don Rua, 3 febbraio: «Ma pauvre fille Marie qui grâce aux prières du bon Père Bosco a recouvré la santé, est depuis trois ans à Varsavie en qualité d'institutrice [...]. Elle venait passer ses vacances à Versailles et c'est là qu'elle eut le bonheur de faire connaissance du Père Bosco et d'en recevoir sa bénédiction ».

                10. Il marchese Angelo Vitelleschi, da Roma a Don Rua, 4 febbraio: La nostra famiglia fu la prima qui a Roma, la quale ebbe la sorte di stringere con essolui preziose relazioni, ciò che si verificò nel 1864, quando io con la mia compianta compagna ci recammo per la prima volta a Torino e facemmo conoscenza di quell'uomo di Dio. Da quell'epoca in poi ricevemmo sempre da lui attestati di géntilezza e di carità. Ho presso di me alcune sue lettere come preziosi ricordi, e una tra le altre la quale mi ha recato il convincimento che Don Bosco era uomo straordinario e veramente prediletto da Dio».

                11. L'abate Ravoux, curato di Saint Hilaire (Orléans), a Don Rua, 4 febbraio: « Je me plais à être persuadé qu'un jour, et Dieu fasse que ce soit bientôt, il sera mis au nombre des saints. J'ai eu la consolation de le voir, de l'entendre, de recevoir sa bénédiction deux fois ».

                12. La cooperatrice L. Naudé, da Peronne (Somme) a Don Rua, 4 febbraio: « Je suis très heureuse d'avoir pu le voir il y a quelques années dans un pèlerinage à Rome et à Turin: Ce sont là des souvenirs ineffaçables qui me sont bien précieux ».

                13. La cooperatrice Lachèze, da Angers a Don Rua, 4 febbraio: «Nous avions eu le bonheur de le voir à Paris chez Mr de Franqueville à Passy et nous avions compté comme un jour heureux dans notre vie cette journée». [831]

                14. Il signor Sutto, da La Ciotat a Don Rua, 5 febbraio: “Lunedì vado a St - Cyr all'Orphelinat ove pensiamo di preparare un poco di serra. Quando Don Bosco fu a Marsiglia mi disse: - Se non sapete come fare, mettete delle coperte per riparare le primizie dal freddo. Ma spero che troveremo qualche vetro”.

                15. La cooperatrice Amalia Lacomte, da Vatence a Don Rua, 5 febbraio: Je suis la première personne de Valence, qu'il ait connue et j'avais en lui la plus grande confiance et la plus profonde vénération”.

                16. La contessa de Liniers, da Champdeniers (Deux - Sèvres) a Don Rua, 5 febbraio: Il y a près de six ans mon fils unique alors ágé de six ans était atteint d'une angine couenneuse qui nous laissait bien pcu d'espérer de le sauver, nous avons sollicité les prières du si regreté Doni Bosco et notre fils nous a été conservé”.

                17. La signora Carolina Leclerc, da Laval (Mayenne) a Don Rua, 5 febbraio: Ce vénérable Père, par une neuvaine qu'il fit pour nous au mois de novembre dernier, nous avait obtenu une faveur temporelle

                18. La signora Casimira Tettoni, da Torino a Don Rua, 6 febbraio: “Io che animata dalla sua squisita bontà osava visitarlo tre o quattro volte all'anno, posso dire che mi lasciava una soavità indescrivibile. L'ultimo giorno che ebbi il gran bene di vederlo fu il 21 novembre. Gli chiesi consiglio se andare io a Roma pel giubileo del Santo Padre ed egli mi incoraggiò ad andarvi. Aderii ed ora mi trovo contenta e se non era di lui non sarei andata”.

                19. L'abate E. Vinson, da St. Canodet (Haute - Loire) a Don Rua, 6 febbraio: “J'ai eu la consolation de contempler une fois l'enveloppe corporelle d'un saint, puisque j'ai eu le bonheur d'assister à un sermon de charité prêché par D. Bosco à Aix (B. D. R.) il y a quelques années. Je n'eus pas la faveur de lui parler en particulier comme je l'aurais désiré; mais je le vis de bien près lorqu'il passa au milieu de nous pour quêter en faveur de ses œuvres”.

                20. La pittrice E. Salanson, da Parigi, (117 Rue Notre - Dame des Champs) a Don Rua, 6 febbraio: J'adresse en méme temps une photographie du portrait que j'ai fait du Vénérable Dom Bosco quand il est vemi à Paris en 1883. j'en ai vendu un certain nombre potir ses ceuvres. Le portrait est encore en ma possession mais il a été f ait pour servir à la pieuse Société Salésienne”.

                21. La cooperatrice E. Verny nata Dauphin, da Aubenas (Ardèche) a Don Rua, 6 febbraio: Je considère comme une grâce insigne les bénédictions que le Bon Père voulut bien m'adresser il y a dixhuit mois, je conserve avec vénération ses deux lettres, signées de sa main et l'image où il a joint une prière”. [832]

                22. La cooperatrice A. Merigaít, da Trouville - sur - mer (Calvados) a Don Rua, 6 febbraio: Je remercie Dieu d'avoir permis que je fusse quoique pour une bien petite partie du nombre de ses coopératríces. j'ai eu le bonheur de voir Don Bosco deux fois; la première à Turin, étant en pèlerinage pour Rome où j'ai admiré son œuvre magnifique, la seconde à Paris. J'aurais bieli voulu lui parler mais il ne m'en a pas été poss ible à cause de la foule qui l'entourait”.

                23. L'ex - allievo Carlo Brovia, presidente della Società Operaia Cattolica di Nizza Monferrato, a Don Rua, 7 febbraio: “Noi ancora rammentiamo quella felice serata passata qui nella nostra sala cioè l’11[475] agosto 1881, ove il Venerando Padre ci diede quei santi consigli, che ancora portiamo e per sempre porteremo scolpiti nel cuore e di più li trasmetteremo ai nostri cari figli. Don Giovanni Bosco non è morto, perchè sempre vivrà nel cuore dell'Operaio Cattolico”.

                24. La cooperatrice Eulalia Ruty, da Lons le Saunier (Jura) a Don Rua, 7 febbraio: Combien je suis heureuse d'avoir une image de lui et quelques lignes qu'il m'a fait l'honneur de m'écrire. Je conserve cela comme des reliques, car je vénérais et aimais beaucoup Dom Bosco, comme tout le monde qui connaissait ses œuvres merveilleuses et sa sainteté”.

                25. La cooperatrice Lepage nata Delys, da Rennes a Don Rua, 7 febbraio: Je considère comme une gráce et conune un des bonheurs de ma vie d'avoir pu le rencontrer à Paris. La pensée qu'il a bien voulu prier pour moi et pour les miens et qu'il me continuera sa protection m'est une consolation bien douce. Je resterai fidèle à son souvenir et attachée aux œuvres dont il nous a laissé la garde”.

                26. La cooperatrice Giulia Pensa, da Desio (Milano) a Don Rua, 8 febbraio: “Io sono un nulla. Ebbi una sol volta la ventura di parlare a Don Bosco me n'ebbi parole indimenticabili di supremo conforto”.

                27. La signora Rosa Celotta - Antoniol, da Longarone (Belluno) a Don Rua, 8 febbraio: “Un orfano mio nipote di 24 anni gemeva, da sei mesi nel manicomio di Ferrara, che il verdetto medico dichiarava inguaribile. Allora disperata mi rivolsi al santo Don Bosco per una benedizione speciale raccontando il caso triste. Mi rispose che comincierebbe una novena colla Comunione di tutti i suoi alunni; poco dopo il Direttore del manicomio scrisse alla misera madre che il figlio segnava sensibile miglioramento. Ed era nel momento fatale che, non potendo più mantenerlo, la sua povera madre era costretta a farlo passare a gratis, ma in una classe inferiore, ove sarebbe morto disperato! Invece mio marito andò a prenderlo e in onta al consiglio medico [833] che si opponeva; 10 condusse nelle nostre braccia. De amorose cure calmarouo l'orgasmo delle terribili fissazioni e dopo due mesi si ebbe l'ineffabile gioia di restituirlo tranquillo in seno della sua famiglial »:

                28. La Superiora delle Orsoline di Nizza Marittima a Don Rua, 8 febbraio: e Il disait en octobre dernier à une de nos élèves, dont la famille habite à Turin, qu'il aimait beaucoup la maison de Ste Ursule de Nice, il a insisté dans cette assertion,. Au départ de notre élève, ce qui nous est une vraie consolation ».

                29. La cooperatrice J. Thomas, da Tolone a Don Rua, 8 febbraio: «Notre Vénéré et bien-aimé Dom Bosco nous avait donné une grande épreuve d'affection en venant apporter sa bénédiction à une nièce gravement malade, qui a été guérie presqu'aussitôt »:

                30. Un'istitutrice Luisa Roy, da Vienna a Don Rua, 8 febbraio: , «Vous savez ce que Dom Bosco a été pour moi, l'auteur de conversion et par conséquent du repos actuel de ma conscience [...]. Il me semble avoir perdu plus qu'un père et un ami, car ses prières seules ont eu le don dé vaincre mes incertitudes et de me donner le courage de de­venir ce que je me sens maintenant [...]. Je veux que vous sachiez que je n'ai point été indifférente à sa maladie, moi qui lui dois tout, ni à sa mort, qui me laisse comme orpheline ».

                31. La signora Sofia de Voldre, presidente della Guardia d'onore, da Roma a Don Rua, 8 febbraio: « Nous eûmes l'honneur de le voir et de receyoir sa bénédiction à son dernier voyage à Rome. Après nous avoir promis de recommander nos projets a Dieu: - Au revoir en Paradis, nous dit-il. Priez pour moi, pour mes enfants, pour mes fils. - Et il ajouta cette autre parole: - Des peines et des joies bénissons le Seigneur. - Elle est restée dans nos âmes comme un testaments.

                32. Don Stefano Selvatico, arciprete di Saliceto (Cuneo) a Don Rua, 9, febbraio: « Trent'anni fa in questa mia Parrocchia dettava i santi Esercizi e non è a dire il bene che vi fece quel sant'uomo, per cui molti ricordano ancora le sue prediche e ne parlano con ammirazione ».

                33. La vedova Lucrezia Negrini, scrivendo il 9 febbraio a Don Rua da Verona di una visita a Don Bosco nel collegio di Valsalice (1884) terminava così: « Me ne sono andata con l'animo contento non solo ma con una certa fiducia in Don Bosco che non seppi spiegare ».

                34. Il conte de Moudion, dal castello d'Artigny per Loudun (Vienne) a Don Rua, 9 febbraio: « Il y a quelques semaines à peine, sur ma de­mande expresse, Dom Bosco voulait bien prier et faire prier par ses enfants pour obtenir de N. D. Auxiliatrice une heureuse délivrance. J'ai la joie de vous annoncer que M.me la Comtesse de Moudion est heureusement accouchée d'un fils le ter février lendemain de la mort [834] de votre regretté Père. Les prières encore une fois ont été exaucées et c'est une consolation pour nous (le voir que celui que vous pleurez ne laisse aprés lui que des sujets d'allegresse et de reconnaissance” .

                35. La signorina A. Touzet, da Parigi a Don Rua, 9 febbraio: j'ai connu particulièrement Dom Bosco. Deux fois à Turin et à Paris j'ai pu approcher du Saint Vincent de Paul de notre siècle, j'ai pu recevoir ses conseils et ses lumières”.

                36. La cooperatrice Maddalena Ochninger, da Wierzl (Tirolo) a Don Rua, 9 febbraio: J'ai eu le bonheur d'avoir vu une fois le vénéré Dom Bosco, je lui ai parlé et requ sa bénédiction. Jamais je n'oublierai ce moment, ni Celui qui m'accueillait avec tant de bonté. On peut aussi dire de Lui: Il passait en faisant du, bien partout”.

                37. Enrichetta Tavallini, dal Vercellese a Don Rua, 10 febbraio: “Oh non dimenticherò mai quell'espressione paradisiaca che spirava da tutta la sua persona e le dolci parole avute”.

                38, Giov. Battista Santi, da Bra a Don Rua. 10 febbraio: “O caro Don Bosco, di lassù prega per me e per la mia famiglia che tante volte benignamente accoglievi nella tua stanza e ci confortavi con sante parole”.

                39. L'abate Merlin, curato di Veyrac (Haute Vienne), a Don Rua, 10 febbraio: je remercie la Erovidence de m'avoir permis de faire votre précicuse connaissance à mon passage à Turin le 13 octobre, lors du pèlerinage des ouvriers français, à l'occasion du jubilé sacerdotale du Souverain Pontife et d'avoir reçu avec une médaille la bénédietion du bien - aimé Dom Bosco”.

                40. La marchesa de Saint Seine, da Digione a Don Rua, 10 febbraio: Il avait été si paternellement bon pour moi que je voudrais savoir vous dire quel sonvenir filial je garde de lui. je repasse dans mon coeur tout ce qu'il a bien voulu me dire [ ... ]. C'est pour moi un souvenir bien doux, et que je regarde comin un véritable bienfait du ciel que celui d'avoir reçu chez nous, sous notre toit, ce véritable St. Vincent de Paul”.

                41 - M.elle Ruelle, da Tullins (Isère), a Don Rua, 10 febbraio: Il y a cinq ans que je fus à Turin pour avoir la consolation de parler au regretté Dom Bosco; il m'a obtenu une guérison dont je lui serai toujours recónnaissante”.

                42. La vedova Nunziata Tancredi, da S. Marco in Lamis (Foggia) a Don Rua, 11 febbraio: “Ebbi la felicissima sorte di conoscerlo, di vederlo, di parlare con lui. Si può immaginare se la conoscenza di un sacerdote fatto secondo il cuore di Dio possa destare devozione, stima ed affetto verso di lui”. [835]

                43. H. de Trolong du Romain (senz'altra indicazione), a Don Rua, 11 febbraio: Je dois à ses saintes prières de si grandes grâces pour toute la famille et très particulièrement pour papa pour lequel il a obtenu une mort douce et si chrétienne que j'ai l'âme pleine de reconnaissance pour lui”.

                44. La contessa del Melle, da Firenze a Don Rua, 13 febbraio: “Nelle dolorose vicende della mia vita ho spesso ricorso a Lui, alle sue preghiere. Egli con bontà infinita mi rispondeva alcune linee o mi faceva rispondere, e debbo dirlo, mediante la sua intercessione presso Dio, ho ottenuto delle grazie quasi miracolose”.

                45. Il sacerdote Luigi Ferrugio, da Malta a Don Durando, 13 febbraio: “Avendo avuto, or sono quasi cinque anni, il bene di ossequiarlo, la sua memoria mi rimase sì impressa nella mente e nel cuore, che mi fu impossibile dimenticarlo anche un istante solo”.

                46. La signora Maria Lécroart, da Lilla a Don Rua, 13 febbraio: Il avait été d'une amabilité extrême pour moi, en l'état dans lequel je me trouve; puisque depuis treize ans je suis privée de l'usage de mes jambes. Lors de son passage à Lille ce très vénéré Père a été assez bon pour me combler de ses conseils et encouragements, et m'a assuré que jamais il ne cesserait de prier pour moi” .

                47. La signora V. Le Mire, da Digione a Don Rua, 16 febbraio: Notre vénéré Père Dom Bosco avait bien voulu obtenir de Dieu une gráce de guérison signalée en faveur de ma belle - fille Jeanne Le Mire. Je conserverai toujours comme un des souvenirs les plus précieux de ma vie le bonheur et l'honneur d'être allée remercier ce cher saint à Turin”.

                48. L'arciprete Pietro Poltroneri, da Vigevano scrivendo a Don Rua il 17 gennaio del discorso di quel Vescovo monsignor De Gaudenzi ai seminaristi e al clero dopo un solenne funerale, ne riferiva queste testuali parole: Da mihi animas, cetera tolle, mi diceva il sant'uomo un giorno in cui avendolo meco a Vercelli, ci comunicavamo i nostri rispettivi dispiaceri; ecco, Arciprete, ciò che dobbiamo dire al buon Dio noi sacerdoti”.

                49. Don Romain, priore del monastero benedettino a Saint - Pierre de Canon, a Don Rua, 18 febbraio: Je veux vous dire la vénération et l'ardente sympathie que j'ai toujours éprouvées à l'égard de Dom Bosco depuis qu'il me fut donné d'avoir quelques rapports avec lui. Mon âme a respiré auprès de sa personne, pour ne plus l'oublier, ce parfum de sainteté qui s'exhalait de lui et qui frappait tout le monde”.

                50. Don Giovanni Trudu, da Belvì (Oristano) a Don Rua, 20 febbraio: “Io ho la fortuna d'averlo avuto per Maestro e Padre per circa cinque anni […]. Non temo di dirlo; per quanto ho potuto conoscere [836] in quei fortunati cinque anni, se il Signore mi dà vita, spero di poterlo celebrare all'altare”.

                51. Don Emilio Sacco, parroco di San Stefano in Pallanza, a Don Rua, 20 febbraio: “Quanto era caro! Quanto era virtuoso e salito! Mi sembra ancora di vederlo a sorridermi, di udire le dolci sue parole, di ammirare quel suo amabile Volto sul quale era chiaramente stampata la bellezza del suo cuore [...]. Possa io nel mio ministero conservare quello spirito di carità e di zelo che Egli mi ha così eloquentemente insegnato colla voce e coll'esempio”.

 

 

100.

 

Verbale collocato nella cassa.

 

                I sottoscritti fanno fede che in questo feretro sono composte le umane spoglie del Sacerdote Don Giovanni Bosco, fondatore della Congregazione di S. Francesco di Sales, delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori e Cooperatrici Salesiane. Nacque in Castelnuovo d'Asti:il 15 agosto del 1815 da Francesco e Margherita Occhiena, e morì di mielite lenta, come risulta dalla scheda di consegna fatta al Municipio e sottoscritta dal medico curante dott. Albertotti, in Torino nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, il 31 gennaio 1888, alle ore 4 ¾  antimeridiane, pochi minuti dopo il suono dell'Ave Maria, che parve la voce della Vergine Ausiliatrice che lo chiamasse al cielo, sulla fine del X anno del glorioso pontificato del sapientissimo Papa Leone XIII, governando l'Archidiocesi di Torino l'Em.mo cardinale Gaetano Alimonda e regnando Umberto I di Savoia, nostro Sovrano. - Delle opere per carità e zelo ammirande, delle varie istituzioni, delle grandi ed eroiche virtù, della vita di questo illustre Estinto e del compianto generale, che eccitò tra il popoli la sua morte, dirà a suo tempo la storia.

                Il cadavere veste la sottana, ed è rivestito dei sacri paramenti violacei, come nell'atto di celebrare la santa Messa. Nel feretro, insieme con questa pergamena, dentro un'astuccio di vetro sono pure, state poste tre medaglie di Maria Ausiliatrice, ed altra medaglia d'argento commemorante il giubileo sacerdotale di Leone XIII.

                Ossa dolorosamente compiante e bagnate di tante lagrime, riposate in pace sino al giorno in cui lo squillo dell'angelica tromba chiamerà ancor voi all'eterna gloria, e lo spirito che già vi animò sia a noi propizio dall'alto dei cieli, dove fondatamente speriamo che già si trovi a bearsi in Dio ed in Maria, che tanto amò, e nella quale ebbe sempre riposta la più grande fiducia.

 

                Torino, 2 febbraio 1888.

(Seguitano le firme).  [837]

 

101.

 

Ordine per la sepoltura.

 

                1. Figlie di Maria della Parrocchia di S. Donato.

                2. Figlie di Maria della Parrocchia di S. Gioachino.

                3. Signore Cooperatrici Salesiane.

                4. Giovani artigiani dell'Oratorio divisi per laboratorio.

                5. Giovani studenti divisi per classe.

                6. Alunni dell’Ospizio di S.Giovanni Evangelista.

                7. Coadiutori dell’Oratorio e delle altre Case Salesiane.

                8. Antichi alunni dell’Oratorio.

                9. Signori Cooperatori Salesiani.

                10. Banda musicale.

                11. Suddiacono crocifero e accoliti.

                12. Chierici per ordine di classe.

                13. Rev. Sacerdoti per anzianità.

                14. Id. Parroci e Canonici.

                15. EE. RR. Mons. Vescovi.

                16. Feretro portato da otto Sacerdoti.

                17. Accanto al feretro Direttori Salesiani.

                18. Presidente e Comitato della Società Generale dei Congressi Cattolici.

                19. Società degli Operai Cattolici della Parrocchia di S. Gioacchino.

                20. Società della Gioventù Cattolica e Società del Coraggio Cattolico.

                21. Alle altre rappresentanze che si aggiungeranno sarà assegnato il posto conveniente.

 

 

102.

 

I Chierici di Valsalice a Don Rua.

 

                                Rev.mo Signor Don Rua,

 

                La mestissima cerimonia di quest'oggi sarà per la casa di Valsalice un avvenimento di memoria imperitura.

                 La paternità vostra Rev.ma ci consegnava a nome del Capitolo Superiore e di tutti i confratelli la salma venerata del comune nostro padre e fondatore. Di questo inestimabile favore ci affrettiamo a renderle le più sentite grazie; mentre in pari tempo l'assicuriamo che procureremo di essere vigilanti custodi del sacro pegno.

                Promettiamo poi di seguire con sollecita ed amorosa premura i cari ricordi da lei lasciatici sulla tomba di Don Bosco e di tutto cuore su questa giuriamo di voler lavorare per renderci degni di così gran [838] padre. Vogliamo lavorare perchè uscendo di Valsalice, si possa dire essere noi virgulti cresciuti su quel tumulo benedetto. Avvalori Dio i nostri propositi e faccia l'intercessione di Don Bosco medesimo che noi non vi abbiamo a mancare mai.

                Mons. Cagliero nel suo bellissimo discorso ci lasciò anche un ricordo speciale; ci disse di ricevere bene i Salesiani che sarebbero venuti qui a pregare presso le amate e sante ossa del benedetto padre. Ebbene, sì, vengano pure questi fratelli, vengano senza tema di recarci disturbo, che noi li riceveremo sempre a braccia aperte e uniremo le nostre alle loro preghiere, i nostri ai loro sospiri, ai loro proponimenti uniremo i nostri, perchè tutti possiamo renderci veri imitatori delle virtù del comune padre. Vengano tutti e possa questa casa diventare come il santuario della nostra Congregazione.

                Fù detto del Divin Redentore che il suo sepolcro sarebbe un dì glorioso. Ben possiamo sperare anche nel nostro piccolo di poter ripetere la medesima cosa per questo sepolcro nostro! Faccia Iddio che i nostri ardenti voti siano presto compiuti. E se qualche cosa vi potesse mancare ci offriamo noi stessi al Signore e col sacrificio e la preghiera procureremo di affrettare questo bramato istante. Sì gran Dio glorificate in morte quel vostro buon servo che già tanto vi degnaste di glorificare in vita. Sì, o cara Madre Vergine Ausiliatrice, voi che già tanto v'adoperaste per questo vostro grande divoto continuate l'opera vostra; datecelo presto glorioso come il nostro cuore desidera.

                Altra cosa vogliamo fare in questo stesso giorno. Un dovere c'impone il cuore. Ci pare che la giornata non sarebbe ben chiusa se non lenissimo in parte l'immenso cordoglio onde fu trafitta la nostra anima, collo stringerci intorno al nuovo Rettor Maggiore, nostro caro sig. Don Rua, il quale ancor vivente Don Bosco seppe inspirarci tanta fiducia, cattivarsi tanto affetto, imporci tanta venerazione.

                Noi sappiamo che il S. Padre già da tempo aveva designato la S. V. come successore al venerato Don Bosco. Noi siamo adunque lieti di riconoscerla per tale, ci chiamiamo fortunati di poterla salutare col nome di padre. E qui sulla tomba del nostro caro fondatore estinto protestiamo solennemente la nostra figliale sottomissione, prontissimi ad ogni suo cenno.

                Vogliamo oggi qui sottoscriverci tutti mandando come un grido .di gioia, dicendo: Viva il nostro nuovo Rettor maggiore. No; questo po' di tripudio non è irriverenza, non è mancanza di delicatezza alla mestizia del giorno; ma è un sacro dovere, è ciò che Don Bosco desidera che sia fatto sulla sua tomba, è ciò che il cuore di figlio può fare di meglio sulla bara dell'estinto padre. Viva adunque ad multos annos il Sig. Don Rua Michele; viva il nostro Rettor Maggiore.

                Voglia Ella amatissimo padre, gradire la nostra buona volontà; voglia compatirci se qualche volta la fralezza nostra ci porterà ad involontariamente mancare alle nostre promesse e intanto ci aiuti [839] sempre coi suoi preziosi consigli, ci sorregga colle sue incessanti preghiere, e ci consoli colla sua patema benedizione. D. Vostra paternità Reverendissima

 

                Valsalice, 6 Febbraio 1888.

                (Seguono 125 Firme).

 

103.

 

Lettere postume di Don Bosco a Cooperatori.

 

a) Alla contessa Gabriella Corsi.

 

 

                Dio vi benedica, o nostra buona Mamma in G. C. e con voi benedica tutta la vostra famiglia e vi aiuti a condurla costantemente per la via del cielo e trovarla un giorno tutta con voi raccolta in paradiso. Sia questa la ricompensa della carità usata a me e a tutti i nostri Salesiani.

                Pregate per me che vi attendo alla vita eterna.

 

                Torino.

 

Obbl.mo. figlio

 Sac. Gio. Bosco.

 

                PS. Requiescat in pace. Volò alla vita eterna nel 1887.

 

b) Alla viscontessa di Cessac.

 

                Rue Boetie Paris.

 

                                Mme la V.esse de Cessac,

 

                Vous avez protegé nos orphelìns, et la S.te Vierge vous fera bien riche dans la étemité. Là vous verrez vos parents, vos amis; là vous parlerez de Dieu avec eux à jamais. Continuez votre charité pour nos maisons; priez pour ma pauvre personne.

 

                Turin

                A Paris.

 

Obligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

                PS. 1886. Requiescat in pace.

 

 

c) Alla baronessa Scoppa[476].

 

 

                Voi, o signora Baronessa Scoppa che abitate S. Andrea del Ionio Napolitano, continuate la vostra carità ai nostri Missionari, ai nostri orfanelli e Maria guiderà le ore vostre, e sarete molto consolata negli [840] ultimi momenti di vostra vita. Sia che viviate su questa terra sia che Dio vi abbia già ricevuto fra i beati in cielo, noi pregheremo ogni giorno per voi, pei vostri parenti ed amici.

 

d) Alla signora Prat.

 

 

                               A Madme Prat de Marseille,

 

                Je vous remercíe de votre charité. Dieu vous recompense largement. Nos sœeurs et nos élèves de l'œuvre apostolique sont vos enfants qui prieront pour vous. Adez - les.

                O Marie, veuillez guider cette bienfaitrice dans le chemin du paradis.

                Priez pour mon âme.

 

                Turin.

Humble serviteur

Abbé J. Bosco.

 

 

e) Ai conti Colle.

 

                                Mr et Madame le C.te et la C.tesse Colle de Toulon.

 

                je vous attends ou le bon Dieu nous a preparé le grand prix, le bonheur éternel avec notre cher Louis.

                La Divine Misericorde nous l'accordera. Soyez à jamais le soutien de la congregation salesienne et l'aide de nos missions. Dieu vous benisse.

 

                Turin.

Affectionné comme fils

Abbé J. Bosco.

 

 

f) Alla signorina Du Gas.

 

                               Mamelle Rose Du Gas. Marseille.

 

                Que la S.te Vierge vous protège à jamais. Je vous confie nos sœurs et nos pauvres orphelins. Priez pour l’âme du

 

                Turin.

Votre obligé servileur

Abbé J. Bosco.

 

 

g) Alla signora Jacques.

 

                A Mme Jacques notre mère en J. C.

 

                Dieu m'appelle a l'eternité. J'espère que la misericorde du bon Dieu vous conservera une place pour vous dans le paradis. Mais continuez votre large protection à nos sœurs et à nos orphelins.

                Que Marie vous protège et veuillez à jamais prier pour la pauvre àme

 

                Turin

du pauvre abbé

JUAN BOSCO. [841]

 

h) Alla marchesa Fassati.

 

                Sig.ra March. Maria Fassati,

 

                Vi ringrazio, Sig.ra Marchesa, della carità che mi faceste nel corso della mia vita mortale. Se Dio mi riceverà nella sua misericordia, pregherò tanto per voi.

                La vostra protezione pei nostri orfanelli sarà un mezzo efficacissimo per assicurarvi il paradiso.

                Vogliate pregare per questo antico ma sempre aff.mo amico di casa Fassati.

 

                Torino.

Povero Sac, Gio. Bosco,

 

 

i) Alla baronessa Ricci.

 

                Sig. Baronessa Azeglia Ricci.

 

                Signora Azeglia, continuate a proteggere la nostra opera apostolica, ed avrete tante anime salvate dai nostri missionarii che vi porteranno al cielo.

                O Maria, guidate questa vostra figlia e il Sig. suo Marito B. Carlo a godere ambidue un giorno il vero premio della loro perseveranza nel bene in paradiso.

                Pregate per la povera anima mia

 

                Torino.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

 

1) Al barone Ricci.

 

                Sig. Barone Feliciano Ricci,

 

                O Sig. Barone, voi dovete assolutamente salvarvi l'anima; ma voi dovete dare ai poveri tutto il vostro superfluo, quanto vi ha dato il Signore: prego Dio che vi conceda questa grazia straordinaria. Spero che ci vedremo nella beata eternità. Pregate per la salvezza dell'anima mia.

 

                Torino.

Obbl.mo in G. C.

 Sac. Gio. Bosco.

 

M) Alla signora Louvet.

 

                Melle Clara Louvet,

 

                Je dois partir avant de vous; mais je ne manquerai de prier pour votre bienheureus éternité. Continuez à soutenir nos orphelins, et nos orphelins vous feront couronne quand les anges vous porteront un' jour à jouire la gloire du paradis. [842] O Marie, protegez à jamais votre fille.

                Veuillez prier pour le repos eternel de ma pauvre âme.

 

                Turin.

Toujours obbligé serviteur

Abbé J. Bosco.

 

 

n) Al conte De Maistre.

 

 

                                Caro C.te Eugenio De Maistre,

 

                Vi ringrazio della carità con cui avete aiutato le opere nostre. Continuateci la vostra protezione. Faccia Iddio che voi, tutta la vostra famiglia sia un giorno tutta con voi e col povero vostro amico, che vi scrive le ultime sue parole, a godere la gloria del paradiso. Così sia. Vogliate pregare anche pel riposo dell'anima mia.

 

                Torino.

Aff.mo amico e servitore

    Sac. Gio. Bosco.

 

 

o) Alla contessa Callori.

 

 

                                Sig.a C.ssa Carlotta Callori,

 

                O Maria, proteggete questa vostra figlia, ottenete dal vostro divin figlio Gesù lunga ricompensa della carità fatta in sostegno della Congregazione salesiana. Maria vi conduca seco al paradiso con tutta la vostra famiglia.

                Continuate ad essere il sostegno delle opere nostre, pregate per la povera anima mia. A rivederci nella vita eterna.

 

                Torino.

Obbl.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

p) Alla signora Broquier.

 

                                Marseille.

 

                Que Dieu recompense largenient votre charité et la bonté de votre Mari; continuez aider nos œuvres; priez pour ma pauvre âme. Je prierai aussi pour vous et je vous attende dans la bienheureuse étemité, conime je l'espère de la misericorde infinie du Bon Dieu. Ainsi soit - il.

 

                Turin.

Obbligé serviteur

   Abbé J. Bosco. [843]

 

104.

 

Prefazione al primo Elenco Generale

delle Figlie di Maria Ausiliatrice dopo la morte di Don Bosco.

 

                                Mie carissime sorelle in G. C.,

 

                Eccovi l'Elenco Generale delle Suore di Maria SS. Ausiliatrice per l'anno 1888.

                Da esso potrete vedere con vostra consolazione, come il Signore nella sua infinita misericordia continua a benedire la nostra Congregazione, mandandoci delle vocazioni, aumentando il numero delle nostre Case e dandoci così mezzo di allargare il campo delle nostre fatiche a gloria sua e a salvezza di molte anime. Di tutto ciò sia ringraziato il buon Dio.

                Non occorre che qui vi segnali la immensa perdita che abbiamo fatto nella morte del nostro veneratissimo Fondatore e Padre Don Bosco; morte che tutte ci immerse in dolore profondo e ci tiene tuttora nel lutto. Di tanta disgrazia siete già state informate. Giudico piuttosto di rammentarvi che sul letto de' suoi dolori il veneratissimo Don Bosco si ricordò più volte di noi e ci lasciò preziosissimi ricordi. Avendo avuto la felice sorte di potergli far visita nell'ultima sua malattia e domandargli una speciale benedizione per tutte, egli colla solita sua bontà alzò la mano e disse: Benedico tutte le Case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, “benedico la Superiora Generale e tutte le sue Sorelle curino di salvare molte anime. Un altro giorno in presenza del Rev.mo Sig. Don Rua e di Monsignor Cagliero soggiunse ancora: Per le Suore: OBBEDIENZA: praticarla e farla praticare. E finalmente al Molto Reverendo Sig. Don Bonetti, incaricato della nostra direzione generale, lasciò che ci facesse conoscere questo altro suo sentimento: Se le Suore osservano le Costituzioni loro date, la loro eterna salvezza è assicurata.

                Mie buone ed amate sorelle, imprimiamo bene nella nostra mente e stampiamo nel nostro cuore questi tre ricordi, e conserviamoli come preziosa eredità del nostro buon Padre. Ma non contentiamoci di farne tesoro, sibbene cerchiamo di trarne il maggior profitto possibile, mettendoli in pratica. In tal modo noi diverremo degne Figlie di Maria Ausiliatrice, ci faremo sante, e ci renderemo meritevoli di andare un giorno a riunirci intorno al nostro veneratissimo Don Bosco in Cielo, dove fondatamente già lo speriamo a godere il premio delle sante sue virtù e a pregare per noi.

                Mi raccomando alle preghiere di tutte e salutandovi di cuore mi professo

 

 Vostra aff.ma Sorella in G. C.

Suor CATTERINA DAGHERO. [844]

 

105.

 

Decreto della nomina di Don Rua

a successore immediato di Don Bosco.

 

EX AUD. SS.

 

Die XI° Februarii 1888

 

                SS. D. N. Leo PP. XIII, audita relatione subscripti Cardinalis Salesianorum Protectoris, decretum confirmavit datum sub die 27 novembris 1884, relatore Em.mo Nina tunc praefatae Congr. Protectore, quo decreto scilicet Sanctitas Sua Rector Marioris eiusdem Sodalitatis nominationi et successioni providit (loco fundatoris optime meriti, quem SS.mus diu incolumem voluisset), de persona Rev.mi D.mi Michaëlis Rua, Salesiane Congr. Sacerdotis professi.

                Voluit insuper Sanctitas Sua, ut praelaudatus Sacerdos nomen cum officio Rectoris Marioris haberet ad annos duodecim, iuxta. Cong. Salesianae statuta, quorum annorum computatio initium ab hodierna die sumat, idque officium at nomen tali modo susceptum singulare adeo habeatur, ut nunquam in exemplum adduci possit.

                Demum mandavit SS.mus, ut de secuta decreti confirmatione et renovazione certior fieret S. C. Epp. et Regg. nec non electus cum Sales. Sodalitatis senioribus.

 

L. M. PAROCCHI.

Sales.Congr.Card. Protector.

 

106.

 

Lettera di Don Rua a Don Bonetti

sulle accoglienze avute dai Prelati Romani.

 

V. G. M. G.

 

                                Carissimo Don Bonetti,

 

                Ieri finalmente abbiamo visto il S. Padre, ma non ancora in udienza privata. L'abbiamo visto alla funzione della beatificazione del De la Salle. Pareva proprio una figura sovrumana. Dopo detta funzione fummo a riverire Mons. Della Volpe che si mostrò secondo il solito tanto benevolo. Si diceva fortunato d'aver ricevuta l'ultima lettera scritta da Don Bosco di suo pugno, encomiando la santa memoria del compianto e venerato nostro Padre. Poi ci fissò l'udienza per martedì mattina [845] alle 10½ conchè quando tu aprirai questa mia facilmente avrò già potuto prostrarmi ai piedi di Sua Santità e domandargli una copiosa benedizione per tutta la nostra Pia Società, ma sopratutto per i Superiori del Capitolo e quindi anche pel caro Don Bonetti. Va bene così?

                Licenziatici da Mons. Della Volpe fummo dal Card. Rampolla che mi dimostrò una bontà, una affabilità singolare e si degnò benedirci, benedicendo in noi tutti i Salesiani e loro alunni. Egli pure manifestò per Don Bosco una grande venerazione. Poi nell'anticamera del Seg. di Stato mi sono incontrato con Mons, Jacobini Arcivescovo di Tiro, che tra l'altre cose mi chiamò molto particolarmente notizie del caro Mons. Cagliero e che lo attende tanto con piacere.

                Si compiaceva d'aver potuto vedere ancora due volte l'amatissimo Don Bosco, nell'ultima gita fatta a Roma per la consecrazione del Sacro Cuore, e d'avergli porto il braccio accompagnandolo in camera.

                In ultimo fummo da Mons. Caprara Promotore della Fede per avere schiarimenti precisi sul modo di procedere per promuovere la causa del venerato nostro Padre Bosco. Sua Eminenza R.ma il Card. Parocchi medesimo ci aveva a lui indirizzati. Egli mi accolse molto gentilmente e con vero interesse mi diede norme particolari su tutto esibendosi in qualunque bisogno. Di tutto quello che disse se ne è preso memoria e quindi potremo, arrivati a casa, concertare tutto comodamente. La cosa principale su cui insistette fu che procurassimo di raccogliere il maggior numero di dati per i miracoli e grazie ottenute dopo la morte del servo di Dio e raccoglierli con tutti i migliori documenti possibili. Ma di tutto ne parleremo a voce.

                Del resto, avuta che avremo l'udienza dal S. Padre, di quella sera stessa o al più tardi dell'indomani, cioè Mercoledì, c'incammineremo per ritornare al nido. Il desiderio di presto poterlo fare non so se maggior il mio o il vostro: certo il mio è grandissimo.

                Intanto se avrò tempo darò ancora una scorsa all'Esposizione Vaticana, ove i nostri oggetti fanno davvero una bella mostra ammirata da tutti, sopratutto gli oggetti della Patagonia e il disegno di Vespignani. A tutti fa meraviglia come sia questo un lavoro tutto a penna. Anche i lavori tipografici dagli intelligenti sono molto lodati. Da quanto ho potuto vedere, se Mons. Cagliero potrà presentarne al S. Padre una bella copia, ben legata, gli tornerà assai gradita, Anzi se potessimo presentarne un esemplare a diversi Cardinali e Monsignori mi parrebbe ben fatto.

                Addio, carissimo, il Signore ci benedica tutti e Maria Ausiliatrice continui sopra di noi la sua materna protezione.

 

In G. C. tuo aff.mo

S. MICHELE RUA [846]

 

107.

 

a) Don Rua annunzia alle Case la sua elezione

alla carica di Rettor Maggiore e descrive l'udienza di Leone XIII.

 

                                Carissimi Figli in G. C.,

 

                Dopo la lettera spedita a tutte le case salesiane dal nostro Ven.do Capitolo Superiore oggi per la prima volta vi scrivo nella nuova mia qualità di Rettor Maggiore, a cui malgrado la mia indegnità venni dalla Divina Provvidenza innalzato nel modo che in quella a voi tutti fu manifesto. Mi presento sotto gli auspizii di S. Giuseppe di cui corre in questo giorno la solennità; e nutro fiducia che questo gran Santo, Patrono della Chiesa universale, vorrà colla sua Sposa Santissima essere altresì il Protettore speciale dell'umile nostra Società ed assistermi benignamente nel disimpegno del mio uffizio.

                Avrei molte cose a dirvi, ma per questa volta giudico di fare cosa molto a voi gradita e profittevole raccontandovi l'udienza avuta da S.S. Leone XIII il giorno 21 Febbraio. Voi ne troverete più sotto apposita relazione. Da quella voi potrete rilevare in quale alto concetto fosse tenuto l'amatissimo nostro Fondatore dal Vicario di nostro Signor Gesù Cristo.

                Eguale stima posso pur dire che godeva presso gli Eminentissimi Cardinali ed altri distinti personaggi che ebbi l'onore di visitare; tutti parlavano del compianto Don Bosco coi più grandi encomii, anzi parecchi fra essi mi esortarono ad iniziare al più presto la causa per la sua beatificazione. In modo particolare il Cardinal Vicario nostro benevolo Protettore, il quale me ne aveva già fatto scrivere in proposito prima che andassi a Roma. Colà Egli me ne parlò con molto interesse nelle due udienze che mi diede, e, prendendo da lui congedo, le ultime sue parole furono: Le raccomando la causa di Don Bosco: le raccomando la causa di Don Bosco.

                Le espressioni del Sommo Pontefice e le dette raccomandazioni dell'Em.o suo Vicario destarono in me due pensieri: Uno si è di mettersi tosto all'opera per raccogliere le memorie riguardanti la vita del nostro caro Padre.

                Pertanto esorto caldamente tutti i confratelli a scrivere quanto essi conoscono di particolare sui fatti della sua vita, sulle sue virtù teologali, cardinali e morali, sui suoi doni soprannaturali, su guarigioni o profezie o visioni e simili. Siffatte dichiarazioni dovranno essere inviate al Direttore Spirituale, il Sac. Don Bonetti, incaricato di raccoglierle e farne base all'iniziamento della causa. Per norma dei relatori noto eziandio che a suo tempo essi potranno essere chiamati a prestare giuramento su quanto riferiscono, e perciò raccomando la più grande fedeltà ed esattezza. [847]

                L'altro pensiero che mi rimane fisso in mente fu che noi dobbiamo stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò nostra sollecitudine dev'essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora più le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati, e nel nostro modo di parlare e di operare cercare di imitare il modello che il Signore nella sua bontà ci ha in lui somministrato. Questo, o Figli carissimi, sarà il programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la mira e lo studio di ciascuno dei Salesiani.

                Ora una parola di ringraziamento mi resta a dirvi. Molti di voi individualmente o collettivamente dopo la dolorosa perdita sofferta mi scrissero lettere piene di sentimenti di rispetto e d'affezione, facendomi le più belle promesse di obbedienza e piena sudditanza. Intendo colla presente di ringraziarne cordialmente gli autori e tutti quelli che vi presero ed avrebbero voluto prendervi parte. Tali testimonianze di attaccamento e di religiosa soggezione riuscirono di non leggiero alleviamento al mio dolore ed infusero nel mio cuore la fiducia di trovar meno scabroso il mio cammino.

                Ciò non ostante non posso nascondere nè a me nè a voi il grande bisogno che ho delle vostre preghiere. Alla vostra carità pertanto mi raccomando, affinchè tutti mi sosteniate colle valide vostre orazioni. Dal canto mio vi assicuro che tenendovi tutti nel mio cuore, ogni giorno nella S. Messa vi raccomanderò al Signore, amnchè vi assista colla sua santa grazia, vi difenda da ogni pericolo, e sovratutto ci conceda di trovarci un giorno tutti insieme, nessuno escluso, a cantare le sue lodi in Paradiso, dove ci attende, siccome ce lo scrisse, il nostro amatissimo Padre Don Bosco. Coraggio, cari figli in G. C., coll'aiuto di Dio e colla fedeltà a perseverare nella nostra vocazione riusciremo in questo affare così importante. Diffidando però di noi medesimi, ricorriamo concordemente alla nostra Celeste Madre Maria Ausiliatrice, al suo purissimo sposo S. Giuseppe ed al nostro Patrono S. Francesco di Sales: essi non mancheranno di venirci in aiuto.

                Nei Cuori dolcissimi di G. e di M. abbiatemi sempre quale mi professo

 

                Torino, 19 marzo 1888.

 

Vostro affezionatissimo Amico

Sac. MICHELE RUA.

 

h) Prima udienza avuta dal S. Padre

dopo la morte di D. Bosco.

 

                Era il giorno 21 di Febbraio dell'anno corrente 1888. Ammesso pel primo all'udienza di quel dì verso le 10 antim., il S. Padre Leone XIII mi accolse con grande bontà e chiamandomi per nome mi disse: - Don Rua,    voi siete il successore di Don Bosco; mi condolgo con [848] voi per la perdita che avete fatta, ma mi rallegro perchè Bosco era un santo e dal Cielo non mancherà di assistervi. - Io risposi al S. Padre: - Santità, io la ringrazio di queste consolanti parole che mi infondono grande coraggio. Intanto per la prima volta che ho la fortuna di presentarmi a V. S. nella qualità di Rettor Maggiore Le offro gli omaggi miei e di tutta la Pia Società di S. Francesco di Sales. Tutti i Salesiani vogliono essere sempre figli devoti, rispettosi, obbedienti, affezionati di V. S. e della Chiesa, continuando a lavorare quanto possono alla gloria di Dio ed al bene delle anime, sostenendo le opere iniziate dal compianto nostro Fondatore. - Bene, rispose il Papa, continuate quelle sante imprese, ma per ora procurate di assodarle bene. Per qualche tempo non abbiate premura di estendervi, bensì di sostener bene e sviluppare le fondazioni già fatte. - È precisamente, risposi, la raccomandazione fattami per iscritto dal nostro caro Don Bosco, che in un Promemoria fra le altre cose mi notò di sospendere per qualche tempo l'apertura di nuove case per completare il personale in quelle già esistenti. - Sì, sì, disse Sua Santità, conviene fare in questo modo, tanto pei Salesiani quanto per le Figlie di Maria Ausiliatrice; affinchè non vi avvenga come a qualche altro Istituto che si estese troppo rapidamente e poi non potè sostenersi in modo convenevole; mandando solo due o tre persone a fondare nuove Case ed abbandonandole a se stesse fecero poco buona riuscita. - Qui io feci notare al Santo Padre che i Salesiani devono secondo la Regola inserta dalla S. Sede nelle loro Costituzioni essere in numero di sei per ogni nuova fondazione e che questo era una buona salvaguardia.

                Il Papa continuando il suo ragionamento soggiunse: Sovratutto procurate che le persone che dovete mandare nelle varie Case siano ben ferme nella virtù. Al che si deve provvedere specialmente nel noviziato. E voi lo fate far bene il noviziato? Per quanto tempo? S. Padre, risposi, il noviziato si suol fare da noi per un anno dagli aspiranti alla carriera Sacerdotale e due anni dai coadiutori. - Va bene, soggiunse Sua Beatitudine, ma raccomandate a chi li dirige, di attendere diligentemente alla riforma della vita dei novizi. Questi, quando entrano portano con sè della scoria; e quindi hanno bisogno di esserne purgati e venir rimpastati allo spirito di abnegazione, di obbedienza, di umiltà e semplicità e delle altre virtù necessarie alla vita religiosa; e perciò nel noviziato lo studio principale e direi unico dev'essere di attendere alla propria perfezione. E quando non riescono a correggersi, non abbiate timore di allontanarli. Meglio qualche membro di meno, che avere individui che non abbiano lo spirito e le virtù religiose.

- Santità, la ringrazio di questi santi consigli e procureremo di farne tesoro, come provenienti dal Capo della Chiesa, dal Vicario di G. C., a cui il nostro amato Don Bosco c'inculcava cotanto di professare [849] la più illimitata obbedienza, rispetto ed affezione. Anzi ricordiamo benissimo, come in quest'ultima malattia, anche quando non aveva più che un filo di voce, di tratto in tratto parlando ai Superiori, che circondavano il suo letto, lor diceva: - Dovunque vadano i Salesiani procurino sempre di sostenere l'autorità  del Sommo Pontefice, e di insinuare ed inculcare rispetto, obbedienza ed affetto alla Chiesa ed al suo Capo. - A queste parole il S. Padre parve commuoversi e disse: - Oh! si vede che il vostro Don Bosco era un santo simile in questo a S. Francesco d'Assisi, che quando venne a morire raccomandò caldamente ai suoi religiosi di essere sempre figli devoti e sostegno della Chiesa Romana e del suo Capo. Praticate queste raccomandazioni del vostro Fondatore e il Signore non mancherà di benedirvi.

                Domandò poi notizie delle Case d'Italia, di Francia, Spagna, d'Inghilterra, Austria ed America fermandosi con particolare compiacenza a parlare delle Missioni della Patagonia e della Terra del Fuoco. Mi chiese pure se conosceva tutte quelle Case, specialmente quelle d'Italia: udita la risposta affermativa, dimandò notizie di Mons. Cagliero. Risposi che Mons. Cagliero per devozione al S. Padre, per partecipare al suo Giubileo sacerdotale erasi recato in  Italia, e che il Signore lo aveva ricompensato con fargli avere la consolazione di poter assistere l'amato nostro Padre nella sua ultima infermità e nella sua morte, raccogliendo dal suo labbro le ultime raccomandazioni e consigli; anzi di potergli amministrare i Sacramenti. - Ma c'eravate anche voi? - Sì, Santo Padre, anch'io l'ho assistito: ma essendo Vescovo Mons. Cagliero, ho creduto conveniente lasciare a lui tale incarico. - Bene, era a proposito.

                A questo punto io ripresi la parola per ringraziare S. S. della benevolenza usata finora alla nostra pia Società ed anche delle parole piene di bontà indirizzate a nome suo dall'Em.o Card. Rampolla Segretario di Stato nell'occasione della morte di Don Bosco, ed intanto pregarla di continuarci l'alta sua benevolenza. Il S. Padre rispose: - Ho sentito anch'io vivamente la perdita del vostro Padre, e quando il Cardinal Segretario di Stato ne diede da parte vostra la notizia, ho voluto indicargli precisamente le parole che avrebbe avuto ad usare nella risposta. Ora tutto l'affetto e benevolenza che io portava a Bosco l'avrò per voi e per la Società da lui fondata. - La ringrazio tanto Santità: e queste parole mi sono del più grande conforto. Ora la prego rispettosamente a voler benedire me, i miei cari confratelli, tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice, tutti i Cooperatori e le Cooperatrici Salesiane, come pure tutti i nostri allievi e dipendenti. Si, volontieri e di cuore benedico voi, i vostri confratelli, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i vostri buoni Cooperatori e Cooperatrici, e tutti quelli che vi stanno a cuore. - Santità, se permettete, chiamerò [850] a ricevere la benedizione anche il nostro Procuratore Generale ed il mio Segretario, che sono nell'anticamera ad aspettare. - Si, chiamateli che vengano anche essi. - Suonato un campanello, si fecero venir avanti. A Don Cagliero Procuratore e Direttore della Casa di Roma il S. Padre disse: - Noi ci siamo già visti? - Si, Santità, sono il Procuratore Generale dei Salesiani e Direttore della Casa del Sacro Cuore qui in Roma. - Allora il Santo Padre soggiunse: - Procurate che la Casa di Roma sia una Casa modello, poichè essa è molto importante. - Io osservai: - Fu appunto questo l'argomento della conferenza che ho tenuto ai confratelli di detta Casa in       questi giorni. - Il S. Padre soggiunse: - Eh già, poichè la Casa di Roma è dove sta il Papa, sotto ai suoi occhi,  si può dire; a lui può esser subito riferito quanto in essa avviene. - D. Cagliero rispose: - Santità, procureremo       di fare il possibile per corrispondere all'alta sua bontà e ai sapienti suoi avvisi. - Sì, fate in modo di procurar sempre consolazioni al Papa, soggiunse accentuando bene quest'ultima parola. - Ciò detto con effusione di cuore il S. Padre c'impartì l'implorata benedizione; dopo cui, avendogli noi baciato nuovamente il sacro Piede e la mano, ci congedò.

 

                Roma, 21 Febbraio 1888.

Sac. michele rua

 

108.

 

                Udienza di Leone XIII

a mons. Cagliero.

 

 

                                Carissimo Sig. Don Lazzero,

 

                Torniamo in questo momento dall'udienza del S. Padre. Ci ricevette alle 12 m. noi due soli con affetto veramente paterno. Volle subito che noi stessi stendessimo sotto i suoi piedi la pelle di guanaco dei nostri Patagoni. Gradì sommamente il volume (legato a S. Benigno) delle tre Encicliche e lo esaminò attentamente: gradì pure il libro di Don Cerruti, Les idées de Don Bosco, la vita di Mamma Margherita, ed un opuscolo di Buenos Aires. Fu oltremodo tocco da questa offerta e incaricò Monsignore di dire a tutti i giovani queste sue precise parole: lo li abbraccio tutti con affetto e li benedico.

                Parlammo dell'unione costante di tutti i Salesiani dopo la morte di Don Bosco e disse che questo era un suo timore che aveva avuto, ma che ora era contentissimo.

                Lo ringraziammo d'averci dato a Rettore Don Rua. Domani manderò un articoletto per l'Unità Cattolica. [851]

Da Buenos Aires in data 20 febbraio scrive Don Costamagna che tuttora non sapevano nulla della morte di Don Bosco. Favorisca mandare qualche persona fidata a verificare se il telegramma spedito da Monsignore il giorno stesso della morte, fu o no spedito da Torino e ce ne faccia sapere qualche cosa qui stesso in Roma.

                Monsignore saluta tutti, e sta assai bene.

                Baci per me la mano al Sig. Don Rua, riverisca i Superiori e preghi per chi le vuol tanto bene nel Signore

 

                Roma Sacro Cuore di Gesù 22, 3, 1888.

Aff.mo

D. ANTONIO RICCARDI. [852]

 

 

DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI

 

I.

 

Don Bosco a Oropa nel 1863.

 

                Un documento inedito ci la conoscere un episodio accaduto a Don Bosco nella sua visita del 1863 al celebre santuario biellese. A una lettera del padre Gioachino Sella, cugino del celebre Quintino e superiore dei Filippini di Biella, al padre Carlo Vercellone, biellese di Sordevolo, barnabita, notissimo fra gli studiosi di scienze bibliche. La possiede il barnabita padre Giuseppe Roberti, egli pure biellese di Rioglio. Il padre Sella il 10 agosto 1863, pochi giorni quindi dopo la partenza di Don Bosco da Oropa (cfr. LEMOYNE, M. B., voll. IV, pag. 526 e VII, pag. 497) riferiva al suddetto padre sull'intenzione manifestatagli da Don Bosco di scrivere la storia del Santuario oropense; quindi proseguiva:

                Mentre si trovava vicino alla Santa Cappella, vede tra gli altri che giravano attorno a contemplare i santi voti, alcuni signori del giorno, che andavano bestemmiando e scherzando sulla credulità e goffaggine dei popoli nel ricevere come tante verità quanto dai preti si spacciava... sulla verità dei miracoli occorsi e ivi rappresentati. E mentre così dicevano a voce abbastanza chiara perchè il Sig. Don Bosco ivi presente li intendesse, con gli occhi fissi lo invitavano a entrare seco loro in questione. Allora egli, colla sua solita bonarietà, loro richiese di potere tranquillamente visitarli nella loro abitazione e, concordata ogni cosa, fu dai medesimi prevenuto e visitato in propria camera, ove, dopo alquanti complimenti, protestandosi d'essere buoni cattolici, rinnovarono le loro difficoltà insormontabili su tutte le predette mirabili cose. Il Sig. Don Bosco, in mezzo ai suoi tre aggressori assiso e tranquillo li lasciò dir tutto e poi, volgendosi al principale di essi, con mirabile dolcezza cominciò a farsi confessare che la cosa non era impossibile, facendogli passare uno per uno i vari prodigi e fatti che si trovano nella Sacra Scrittura istessa: Apparizioni di Angeli, risurrezioni di morti etc. etc.

                Ottenuta questa possibilità, venne poi a domandare il motivo [853] per cui non si vorrebbe credere ai medesimi e simili altri fatti avvenuti, creduti, veduti pubblicamente, privatamente in Oropa e ammessi da persone dotte... da Ecclesiastici... secolari, Generali etc.

                A questo inaspettato argomento, messisi a ridere, si licenziarono garbatamente non sapendosi che dire in contrario e dandogli ragione d'ogni cosa. Qui però non finì tutto. Ecco alla sera stessa di quel giorno il principale di quei tre si fa incontro a Don Bosco e chiede di confessarsi e si confessa con indicibile sua consolazione. Interrogato dal medesimo Don Bosco della causa impulsiva di detta confessione: - Ho veduto, disse, dopo il congresso tra di noi avuto, in realtà varie grazie fatte attestate da colonnelli, generali di armata, e dissi fra me: Questi non sono uomini credenzoni; dunque sono io fuori di strada etc. etc.

 

                Il racconto del padre Sella è abbozzato alla semplice; ma, come scrive il canonico Buscaglia in Eco del Santuario d'Oropa (aprile 1936), “appare luminosa la caratteristica figura di San Giovanni Bosco, sempre tranquillo e pieno di bonarietà e di mirabile dolcezza, ma sempre pronto a difendere la fede cristiana e le pie credenze riguardanti specialmente i miracoli e le grazie della Vergine SS.ma, e sempre efficace nell'indurre anche i più avversi ad aprirgli il cuore nel Sacramento della Confessione per riconciliarli con Dio”.

 

II..

 

Lettera di Don Bosco

alla contessa Crotti di Costigliole.

 

                Questa lettera accompagnava alcune copie di una circolare con cui Don Bosco faceva appello alla carità dei benefattori per i lavori della chiesa di Maria Ausiliatrice (LEM., M. B., vol. VII, pag. 734 in nota).

 

                                Ill.ma Signora,

 

                Eccole, Sig.a Contessa, alcuni programmi della nostra chiesa di Maria Auxilium Christianorum. Io li mando, ma è la Santa Vergine che a Lei si raccomanda, affinchè li diffonda e li faccia fruttare per condurre a buon termine la sua casa materiale in questo mondo, con certezza che Ella pagherà generosamente a suo tempo con preparare a Lei ed alla sua famiglia un bell'alloggio nel paradiso.

                Il Sig. D. Scaglia e il Sig. Conte Alessandro la potranno coadiuvare; ed il Sig. Conte Michele? Lo faccia pagare e lo lasci in pace intorno ai vetri ed alle punte di diamante.

                Dio doni sanità e grazia a Lei, signora Contessa, e a tutta la rispettabile [854] sua famiglia; aggiungano la carità di pregare per me e per li miei poveri giovani e mi creda nel Signore

                Di V. S. Ill'ma.

 

                Torino, 8 sett. 64.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Gio.

 

III.

 

Tre lettere alla nobile famiglia Capelletti di Roma.

 

                Le due Prime sono indirizzate alla baronessa Luisa Capelletti, nata marchesa Cavalletti; la terza al barone Filippo, suo marito. Saverio, nominato nella seconda, è, il figlio, a cui si accenna nella prima. L'intrepido fratello senatore”, lodato nella seconda è il marchese Francesco Cavalletti, ultimo senatore della Roma papale fino al 1870; aveva sposata Maria dei marchesi Durazzo di Genova. Gli autografi sono Posseduti dalla marchesa Maria Neirotto Cambiaso, figlia dei baroni Filippo e Maria Capelletti.

 

A.

 

                Benemerita Signora,

 

                La ringrazio di cuore della offerta che fa a favore di questi miei poveri giovanetti e specialmente per continuare i lavori della chiesa in onore di Maria Ausiliatrice. Il sacro edifizio nella parte esterna volge al suo termine, speriamo nella Divina Provvidenza pel resto.

                In quanto al cholèra non tema niente; vada a Roma, rimanga a Frascati, avvi nulla a temere per lei. Niuno di questi che aiutano a costruire la chiesa di Maria Ausiliatrice in Valdocco sarà vittima del morbo micidiale, purchè riponga in lei la sua fiducia.

                Se a Dio piacerà, farò la mia gita a Roma tra Dicembre e Gennaio prossimo.

                Ottimo divisamento l'aver messo il suo figliuolo a Mondragone. Colà i Maestri, assistenti e direttori cercano il vero bene, quello dell'anima.

                Dio benedica Lei e la sua famiglia, preghi per me che con gratitudine mi professo

                Di V. S. B.

 

                Torino, 22 ott. 66.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco Gio. [855]

 

B.

 

                                Benemerita Signora Marchesa,

 

                Da una parte mi tornano assai gradite le notizie che mi dà, ma dall'altra mi fanno pena le inquietudini cagionate dal buon Saverio. Si è però ricorso al buon filo del bandolo, alla preghiera, e di buon grado mi unisco seco loro a pregare e meco si associano i miei giovanetti.

                Da qualche giorno ho mandato un libro a Saverio a Mondragone; se mai si giudicasse di suggerirgli di scrivermi una lettera, dimandarmi qualche consiglio, io procurerei di rettificargli qualche idea; egli mi mostrava molta stima e molta deferenza quando fui a Roma; chi sa se non possa cagionargli buona sensazione una voce nuova. È un mio pensiero.

                Ho partecipata la cosa al cav. Oreglia, il quale prega pure con noi, e procurerà di fare una novena di comunioni a questo scopo.

                Le fo rispettosa preghiera di salutar da parte mia la Sig. March. Cavalletti; l'intrepido fratello senatore, sua moglie e tutta la famiglia. Dio li benedica tutti e a tutti conceda il dono della perseveranza. Preghino per me e mi creda nel Signore

 

                Torino, 25 - 5 - 68.

Obbl.mo Servitore

Sac. G. Bosco.

 

C.

 

                                Ill.mo Sig. Barone,

 

                Stasera debbo trovarmi dal card. Antonelli alle sei ore; perciò debbo rinunciare al piacere di intervenire a pranzo a casa di V. S. Ill.ma secondo il grazioso invito che si compiacque di farmi.

                Quod differtur non aufertur; perciò spero di scegliere una sera della sett. prossima per godere della sua cortesia.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; preghi per me che con gratitudine mi professo

                Di V. S. Ill.ma

 

                Roma, 23 - 69.

Obbl.mo servitore

Sac. G. BOSCO.

 

IV.

 

Lettera di ringraziamento.

 

                Questa lettera fu indirizzata da Don Bosco al notaio Giuseppe Borgogna di Arigliano nel circondario di Vercelli. Chi ci trasmise l'originale, vi unì pure la ricevuta di Don Bosco per oltre lire cinquanta speditegli dal medesimo il 30 luglio seguente.  [856]

 

                                Stimabilissimo Signore,

 

                Con animo riconoscente ho ricevuto la somma di cento franchi che la carità di V. S. offre in ossequio di Maria SS. Ausiliatrice pei nostri crescenti bisogni. Quale piccolo segno di gratitudine ho celebrata la santa Messa colle preghiere e colle comunioni dei nostri ragazzi all'altare di Maria secondo la pia di Lei intenzione e per invocare copiose benedizioni dal cielo sopra tutta la sua rispettabile famiglia.

                Io sarei grandemente consolato, se venendo a Torino Ella ci onorasse di una visita personale. Vedrebbe in questo solo istituto oltre a mille fanciulli da Lei beneficati, i quali coi mestieri o collo studio si preparano ad essere col tempo in grado di guadagnarsi onestamente il pane della vita.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; li conservi tutti in buona salute, ed aggiunga un atto di carità pregando per me che le sarò sempre in N.S.G.C.

 

                Torino, 30 maggio 1880

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

V.

 

Il soggiorno di Don Bosco ad Avignone nel 1883.

 

                Il padre Victor Vieille, gesuita, scrivendo il 12 aprile 1883 da Avignone a monsignor Michele Rosset, vescovo di S. Giovanni di Moriana in Savoia, faceva questo cenno sul passaggio di Don Bosco per quella città:

 

                Nous avons reçu ici la visite de Dom Bosco se rendant à Lille. Ce saint prêtre a produit dans Avignon une impression profonde. Logé dans la maison de Monsieur Michel Bent, il s'est trouvé assailli toute la journée par une foule immense qui venait lui demander, les uns des conseils, les autres des prières, d'autres la santé pour eux ou pour quelque membre de leur famille. Méme en ce siècle la sainteté exerce une attraetion irrésistible.

 

VI.

 

Don Bosco in Francia.

 

                Dal periodico St - Andrew's Magazines, febbraio 1912, il salesiano Don Franco ha tradotto questo tratto.

 

                Don Bosco era già molto vecchio e cieco quando io ebbi il privilegio di assistere ad una delle sue funzioni nel Sud della Francia. [857]

                Egli stava allora facendo una serie di visite nei vari centri onde ottenere i fondi necessari pel mantenimento e lo sviluppo delle sue numerose opere. Dopo un caloroso discorso, commoventissimo nella sua eloquente semplicità e zelo ardente e genuino, egli guidato da uno de' suoi orfanelli scese il pulpito ed incominciò lui stesso a raccogliere l'elemosina attraverso tutta la chiesa in quell'occasione piena zeppa di fedeli i quali al suo lento avanzarsi muovevano le loro sedie onde lasciarlo passare come si suol fare nelle chiese francesi quando si sta facendo la colletta. - Le offerte per cui aveva fatto il caloroso appello furono fatte con vera generosità, trovandosi quasi nessuno in quella gran folla che potesse mirare senza sentirsi profondamente commosso il volto di questo santo prete e grande filantropo: là la sua grande anima si rifletteva non come su lineamenti statuari, ma bensì in rara bellezza spirituale accoppiata a straordinaria energia.

                Su tutto il volto regnava un'espressione di calma mansueta e di umiltà messa in risalto dagli occhi socchiusi.

 

Miss

WOLLASTON WHITE.

 

VII.

 

Lettera alla contessa Teresa Mastai - Ferretti.

 

                L'originale è presso la Figlia, contessa Belgard a Livorno.

 

                                Benemerita Sig. Contessa,

 

                È un po' singolare la lettera che ha la bontà di scrivermi. Non vuole essere cooperatrice Salesiana e intanto fa da promotrice colle lett. Catt. e colla limosina di F. 50 (?) ci vuole di più? No certamente. In questa associazione non vi è alcuna obbligazione. È tutto volontario nè avvi ombra di colpa se non lo fa. Adunque permetta che la lasciamo notata tra i Cooperatori tra cui avvi lo stesso S. Padre ed altre signore Romane.

                Dio la benedica, e le conceda sanità stabile, vita felice, ed il prezioso dono della perseveranza nel bene. Aggiunga la carità di pregare anche per me e per li  miei ventimila ragazzi e mi creda in G. C.

 

                Roma 23 genn. 1878 - Torre de' Specchi 36.

 

Umile servitore

S. Gio. Bosco.

 

                PS. Se mai per qualche speciale motivo delibera che assolutamente si tolga il suo nome dai cooperatori, senz'altro lo farò tostamente. [858]

 

VIII.

 

Don Bosco al signor Rostand Presidente della Sociefa Beaujour.

 

                Di questa lèttera Don Bosco fete la minuta, che poi diede a copiare al conte Cays andato con i Savperiori del Capitolo a incontrare Don Bosco nel collegio di Alassio. Il Santo veniva dalla Francia e doveva. proseguire, direttamente per Roma.

 

Alassio, 7 février 1879.

 

                Monsieur Jules Rostand,

                A la conclusion de notre affaire comme vous étiez à Paris je n'ai pas pu vous faire mes respectueux hommages et vous remercier de la bonté ou mieux de la charité que vous avez bien voulu nous faire. Notre reconnaissance sera éternelle, et les enfants patronnés adres­seront tous les jours une fervente prière au Bon Dieu pour qu'il se charge de vous recompenser selon ses divines promesses.

                Dans mon voyage j'ai touché à Saint-Cyr où j'ai trouvé Mr l'Abbé Vincent qui nous attendait comme la manne du ciel. Il a toujours avec lui un cinquante d'orphelins, qui lui font augmenter les dettes chaque jour. Il a signé sans difficulté notre compromis en disant que " dès ce jour il n'aurait plus fait aucune dépense sans nous en avertir.  Parmi les enfants il y en a 24 qui ne touchent pas encore l'âge de dix ans; deux, trois, cinq, six années voilà leur âge; et comme à cet âge il leur faut avant tout, une assistance réellement maternelle, nous nous sommes entendus qu'il les aurait renvoyés à leurs parents. Cette ferme est de go hectares. Le terrain est bon, mais envahi par le chiendent. Il y a defaut d'engrais, de pré et de bestiaux.

                Les choses sont mieux à la Navarre. Il y a déjà 7 mois que j'y ai envoyé d'ici deux prêtres et quatre clercs qui surveillent une cin­quantaine de, jeunes hommes dont quelques'uns fréquentent les classes, ou les atéliers; les autres guidés par des maîtres laboureurs travaillent à la campagne. On y a acheté déjà une cinquantaine de têtes dé bestiaux, mais c'est encore trop peu en rapport de l'extension de la ferme, qui monte à 230 hectares. Le sol est très bon,; le blé, le raisin, les oliviers, les quercus suber (chaine à bouchons) y croissent à merveille.

                Dans les deux fermes de S. Cyr et de Navarre, il y a beaucoup de dépenses à faire pour quelques années, mais depuis elles suffiront à entretenir et nourrir plus de Zoo garçons, sans avoir besoin de recourrir à personne.

                Très respectable Monsieur, j'ai desiré vous donner ces renseignements, [859] pour vous mettre au courant de l'importance des œuvres à qui vous avez si puissament prêté votre appui, à pouvoir les dire, produits de votre grande charité. je suis parti de Marseille, mais en la quittant mort coeur est resté à l'Oratoire de St Léon. Les pauvres orphelins recueillis, les ateliers commencés, la Maîtrise qui augmente, nos projets qui nous poussent, exigent des aggrandissements. Je ferais tout mon possible, je me confie sans bornes dans vos mains; et dans vos mains est le bonheur de la maison Beaujour.

                Que le Bon Dieu vous bénisse, charitable Mr Jules Rostand et vous conserve en bonne santé bien long temps, pour être témoin des fruits de vos bonnes œuvres. Que le Bon Dieu répande ses grâces sur tous les membres de la Société Beaujour, et sur toute votre digne famille vers qui j'ai un grand. dette de reconnaissance. je suis en route pour Rome, "où j'espere de dire bien des choses de la Société Beaujour,. et obtenir du St. Père une particulière bénédiction.

                Veuillez bien agréer les plus sincères expressions de reconnais-sance de

Votre très obligé Serviteur

Abbé JEAN BOSCO.

                A Monsieur Jules Rostand.

 

IX.

 

Lettera al Direttore della casa di Parigi.

 

                                Mio caro D. Bellarny,

 

                Vi mando qui copia della lettera che io conto di mandare ai nostri Cooperatori di Parigi.

                Io vi raccomando di leggerla, e se la trovate a proposito, la tradurrete e poi me la manderete affinchè la stampiamo in buon francese.

                In fine stampate e tutte da me firmate saranno a voi indirizzate affinchè le mettiate alla posta con l'indirizzo a ciascun cooperatore.

                Ho ricevuto a suo tempo le lettere che mi avete scritto, e mi avete fatto un gran piacere. Io sono contento di quello che fate, ma abbiatevi molto riguardo per la vostra sanità e per la sanità di tutti i vostri confratelli. Quando avete occasione di parlare con qualche nostro benefattore o semplicemente nostro cooperatore, voi lo saluterete da parte mia assicurando tutti che io pregherò tanto per loro.

                Dio vi benedica e con voi benedica tutta la famiglia dei nostri confratelli, e vogliate tutti pregare per me che vi sarò ora e sempre in G. C.

 

                Torino, 18 - 85.

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco. [860]

 

X.

 

Avvisi confidenziali di Don Bosco a due Direttori.

 

                Il primo di questi due Direttori sembra che fosse quello di Varazze e il secondo quello di Lanzo.

 

A.

 

                1° Una predica sullo spirito di carità ed unione fraterna. Un Dio, un solo padrone, un solo superiore, una sola Congregazione.

                2° Il rendiconto mensile; convocare il Capitolo; fare e raccomandare caldamente la meditazione pratica. P. e. non si conservi danaro a proprio uso, nè si facciano spese senza il consenso del Capitolo.

                3° Non mai biasimare ciò che si faceva prima nelle scuole o fuori di scuola in Varazze. Non vantare in pubblico od in privato quello che si fa o che si è fatto.

                4° Evitare le conversazioni, le visite e le relazioni non necessarie, fuggire la famigliarità colle persone di diverso sesso. Qualcuno mi nota la tua troppo lungo dimora a Nizza.

                5° Rispettare e temere molto il clero ligure[477]; perciò lodarlo, non mai biasimarlo, o vantarsi in qualche cosa sopra gli altri nel pulpito o altrimenti.

                6° Fare il bene che si può senza comparire. La violetta sta nascosta, ma si conosce e si trova all'odore.

                Leggi, pratica, e ce ne parleremo. Accetta tutto dal tuo

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Gio. Bosco.

 

B.

 

                                Carissimo,

 

                Nel corso di questi esercizi ho parlato con varii esercitandi dei nostri collegi e notai quello che mi sembrò degno di seria osservazione. Chiama pertanto il prefetto e leggete insieme:

                1° Non dimenticare quello che ho caldamente raccomandato quando mi avete accompagnato a S. Ignazio.

                2° E l'uno e l'altro vi allontanate troppo facilmente dal collegio, andate a casa dei giovani e dei privati.

                3° Gravi lamenti sulla nettezza personale degli abiti e dei luoghi dove si dimora. Gravi lamenti intorno alla disciplina. Sono due cose [861] fondamentali. A chi sono affidati? Il Direttore ed il Prefetto fanno la parte loro? Preferiscano questa ad ogni altra esterna occupazione.

                 4° Molti parenti si lagnano a motivo dell'amministrazione: molti giovani troppo malcontenti, altri troppo accarezzati ecc. ecc.

                Dio ci aiuti. Lavorate per le anime e specialmente per la vostra. Amen.

 

                Vigilia dell'Annunciazione.

Sac. Gio. Bosco.

 

XI.

 

Argomenti pei predicatori dei nostri santi esercizi.

 

                Don Rua incaricò, non sappiamo in quale anno, Don Barberis di distribuire ai predicatori dei nostri esercizi questi argomenti, tratti da una minuta di Don Bosco.

 

                1. Pazienza nel sopportare i difetti dei Confratelli; avvisarli, correggerli con carità, ma prontamente.

                2. Evitare le critiche, il biasimo; difenderci a vicenda, aiutarci materialmente e spiritualmente.

                3. Non mai lagnarci nelle cose comandate, nei rifiuti o negli apprestamenti di tavola, di abiti, nella scelta dei lavori, nei malori della vita, nella qualità degli impieghi

                4. Somma cura nel fuggire e far fuggire qualunque opera, parola scandalosa, o che si possa interpretare come tale.

                5. Non mai il Salesiano ricordi qualche ingiuria ricevuta per farne rimprovero o vendicarla.

                6. Le cose (passate e già quasi generalmente)[478] dimenticate non vengano più richiamate per farne biasimo.

                7. Sollecitudine e sforzo generale per rendere i Salesiani capaci a compiere esemplarmente i doveri del proprio stato.

 

XII.

 

Trentotto brevi scritti di Don Bosco.

 

                Questi scrittarelli furono copiati dal suo segretario Don Berto. Per lo più il Servo di Dio li aveva apposti a immagini sacre, accompagnandoli con la sua firma consueta.

 

I.

 

                Dio benedica e ricompensi largamente la carità dei benefattori dei nostri orfanelli.

Sac. Gio. Bosco. [862]

 

2.

 

Noi pregheremo ogni dì per tutti i nostri benefattori.

 

Sac. Gio. Bosco.

3.

 

Donnez au orphelins sur la terre et le bon Dieu vous fera riche un jour dans le Paradis.

 

Abbé Jean Bosco.

4-.

 

Les prières des pauvres seront toujours exaucées, et

trouveront misericorde.

 

Abbé J. Bosco.

5-.

 

Que Dieu bénisse vous, vos parents, et tous vos amis.

 

Abbé J. Bosco.

 

6.

 

Dio vi faccia tutti ricchi del santo timor di Dio.

 

7.

 

O Marie, protégez la France et tous les Français.

 

8.

 

Dio detesta il peccato e chi lo commette; ma la sua misericordia è senza limite.

 

9.

 

Fate presto opere buone, perchè può mancarvi il tempo e così restare ingannati.

 

10.

 

Chi fa bene in vita trova bene in morte. Qualis vita, finis ita.

 

II.

 

O Maria, otteneteci da Gesù la sanità del corpo, se essa è bene per l'anima, ma assicurateci la salvezza eterna.

 

12.

 

O Vergine pia, l'aiuto tuo forte

Da' all'anima mia in punto di morte. [863]

 

13.

 

O Santa Maria

L'aiuto tuo forte

Dà all'anima mia

In punto di morte.

 

14.

 

Chi ritarda di darsi a Dio, è in gran pericolo di perdere l'anima.

 

15.

 

Io prego ogni giorno per voi e voi pregate anche per la salvezza dell'anima mia.

 

16.

 

I giovanetti sono la delizia di Gesù e di Maria.

 

17.

 

Se facciamo bene, troveremo bene in questa vita e nell'altra.

 

18.

 

In Paradiso si godono tutti i beni in eterno.

 

19.

 

O Maria, siate la salvezza mia.

 

20.

 

Il più gran nemico di Dio è il peccato.

 

21.

 

Que Dieu vous bénisse et que la Sainte Vierge soit votre guide dans tous les dangers de la vie.

 

22.

 

Chi protegge i poveri, sarà largamente da Dio ricompensato al suo divin tribunale. [864]

 

23.

 

Beati coloro che si danno a Dio per tempo nella gioventù!

 

24.

 

Figliuoli miei, conservate il tempo e il tempo conserverà voi in eterno.

 

25.

 

Date et dabitur vobis.

 

26.

 

Gesù sia nei pericoli sempre vostra guida fino al Cielo.

 

27.

 

Chi protegge gli orfanelli, sarà benedetto da Dio nei pericoli della vita e protetto da Maria in morte.

 

28.

 

Quanti volevano darsi a Dio e restarono ingannati, perchè loro mancò il tempo.

 

29.

 

In fine della vita si raccoglie il frutto delle buone opere.

 

30.

 

Dio benedica e ricompensi tutti i nostri benefattori.

 

31.

 

Che grande ricompensa avremo di tutto il bene che facciamo in vita!

 

32.

 

Dio ci benedica e ci scampi da ogni male.

 

33.

 

Al pensier di Dio presente Fa' che il labbro, il cuor, la mente Di virtù seguan la via, O gran Vergine Maria. [865]

 

34[479].

 

Et cognovi quod non esset melius nisi laetari et lacere bene in vita sua (Eccl., III, 12).

 

35.

 

Non nelle mie preghiere, ma confidate in quelle dei nostri orfanelli, che sono in modo particolare protetti dalla S. Vergine Ausiliatrice.

Dio benedica e ricompensi largamente tutti i nostri benefattori.

 

36.

 

Maria ti porti la santa benedizione e ti difenda dai pericoli in vita ed in morte. Così sia. (A Viglietti studente).

 

37.

 

Adde quotidie scientiam scientiae, virtutem virtuti, et dominus dabit tibi mercedem magnam nimis (A Viglietti chierico, nel suo onomastico; 1884).

 

38.

 

Aiutami come figlio, io ti amerò sempre come padre e pregherò molto che tu possa un giorno volare al cielo accompagnato dalle anime da te salvate (A Don Viglietti prete, nel suo onomastico) 1887.

 

 

XIII.

 

Memorandum del Card. Cagliero.

 

                Aurei consigli tratti dai ricordi e dall'esempio del nostro Venerabile Padre Don Bosco, ed offerti al personale dirigente, insegnante ed assistente nelle Case e Missioni della Patagonia.

 

                I. Qui praesunt, ideo praesunt ut prosint (S. Aug.). Chi sta in alto, vi sta, perchè sia di giovamento a chi sta in basso. - I° Ciascheduno si consideri responsabile dell'ufficio che gli fu affidato, e pensi al conto che della sua gestione deve dare a Dio ed alla Congregazione. - 2° La previdenza, la vigilanza e la diligenza sieno le nostre compagne inseparabili nella saggia direzione della casa, collegio o scuola e loro retta amministrazione. - 3° La vita comune, la preghiera, [866] il lavoro ed il sacrificio: ecco le prerogative ed il privilegio della nostra superiorità e della nostra punto invidiabile dignità.

 

                II. Exemplum dedit nobis ut sequamur vestigia eius (S. Petr.). I° Come quello del Ven. Don Bosco, il nostro, tratto sia sempre e con tutti nobile, colto e benigno, non arcigno, nè volgare nè, maligno. 2° Il nostro parlare poi sia ognora dolce, grazioso e prudente; non mai pungente, incolto od irruente. - 3° Ed ogni nostro atto sia ancor esso molto e molto riservato; guai se irato, libero o smodato.

 

                III. Apparuit benignitas Salvatoris nostri erudiens nos (S. Paul.). - I° Più che testa di superiore, conviene avere cuore di padre. 2° Procuriamo di farci amare piuttosto che temere. - 3° Sappiamo farci ubbidire senza comandare.

 

                IV. Charitas non agit perperam (non agisce sconsigliatamente). - I° Non siamo precipitosi nel correggere. - 2° Non aspri, ma dolci nell'ammonire. - 3° Non si umiliino, nè si mortifichino mai i subalterni.

 

                V. Si vis amari, esto amabilis (S. Jo. Chys.). - Non conviene essere troppo rigorosi nel pretendere l'obbedienza e la osservanza comune: l'ottimo è nemico del bene. - 2° Sappiamo compatire e dissimulare i difetti e il carattere dei nostri figliuoli. - 3° Non si facciano le riprensioni, se non quando lo spirito sia calmo, l'animo tranquillo ed il cuore in pace.

 

                VI. Discite a me quia mitis sum (S. Matt.). - I° La commozione nei Superiori è cattiva compagna e peggiore consigliera. - 2° La mitezza, la pazienza e la indulgenza siano il distintivo della nostra autorità. - 3° La nostra parola suona, il nostro esempio tuona.

 

                VII. Labia tua lac et mel, et eloquium tuum dulce (Cant.). I° La orazione ci fa videnti e prudenti. - 2° La dolcezza ci rende accetti e amabili. - 3° La bontà ci fa amanti e amati.

 

                VIII. Magis docendo quam iubendo, magis amando quam minando. Nec aspere nec duriter; si quid minarum, cum dolore, ne nos ipsi in nostra potestate, sed Deus in nostro sermone timeatur (S. Aug.). I° Lo zelo sia sempre accompagnato dalla dolcezza, sicchè nella nostra bocca sieno amabili le stesse minacce. - 2° Tengasi sempre presente non potersi con aspri modi, con durezza e con impetuosità correggere nè il peccato nè il peccatore. - 3° E quando è pur forza di usare le minacce ed il rigore, lo si faccia a malincuore e con pena, dimostrando l'interno rammarico, per significare in tal modo che non si vuole incutere timore di sè o della propria autorità, ma del Signore cui si offende. [867]

                Poscenda fides, ut vincatur mundus cum suis erroribus, cum suis amatoribus, cum suis tortoribus (S. Aug.).

                Finis scientiarum est, ut aedificetur fides, ut honorificetur Deus, ut componantur mores, ut haurientur consolationes, ut animae salventur (S. Bonav.).

                Charitas fraternitatis maneat in vobis (Ad Hebr, ).

                S. José di Costa Rica, addì 22 marzo 1912.

 

+ Gio. Arcivescovo.

 

XIV.

 

Pubblica ritrattazione del can. Chiuso.

 

                Il giorno di Maria Ausiliatrice, 24 maggio 1891, dopo il solenne pontificale nel Santuario, S. E. Davide dei Conti - Riccardi, Arcivescovo di Torino, fece trovare la sua carrozza vicino alla sacrestia in atto di volersi recare immediatamente all'Arcivescovado. Io, che ero addetto all'anticamera del Signor Don Rua, mi accostai alla carrozza per baciare l'anello all'amatissimo arcivescovo, ma in realtà per sapere quali erano le sue intenzioni.

                Appena egli mi vide, mi fece cenno di avvicinarmi: - Dica a Don Rua, mi avvertì, che vado in Arcivescovado a prendere una persona che mi aspetta e che a tavola tenga preparato un posto di più.

                Avvisai subito il sig. Don Rua, il quale si mostrò un po' meravigliato, non potendo immaginare chi sarebbe stato il compagno di S.E.

                Intanto dopo mezz'ora circa ecco giungere la carrozza dell'Arcivescovo, che sceso, si avviò direttamente all'anticamera del sig. Don Rua seguito da un venerando sacerdote. - Io spalancai la porta: l'arcivescovo abbracciò con effusione di affetto Don Rua. - Ho condotto, disse, un sacerdote che da molto tempo non vede più, ma la sua presenza quest'oggi le sarà molto gradita. - lo non sentii altro. Chiusi la porta; tutti andarono a tavola ed io pure scesi nel mio refettorio.

                Dopo pranzo mi incontrai col carissimo Ing. Rodolfo Sella. Era più giulivo del solito. - Quest'oggi, mi disse, ho provato una delle più grandi consolazioni che si possano provare su questa terra. Allevar della mensa S. E. brindò con elevatissime parole al prodigioso sviluppo della Congregazione Salesiana che sotto la illuminata e ferma direzione di Don Rua continua le orme apostoliche di Don Bosco superando ogni difficoltà conchiudendo: “Godo, disse, immensamente di presentare quest'oggi sacro all'Ausiliatrice in questa solenne adunanza il Rev. Don Chiuso, il quale intende di chiudere un periodo quanto mai spinoso e durato anche troppo a lungo, e dimostrare coi fatti il grande suo attaccamento e la grande sua stima a Don Bosco, al degnissimo successore Don Rua, a tutta la Congregazione Salesiana”. [868] Prese la parola in un religioso e commosso silenzio il Rev. Don Chiuso, il quale fece una dignitosa e sentita ritrattazione dell'opera da lui svolta nel contrasto doloroso che per lunghi anni mise a dura prova la santità di Don Bosco e strappò lacrime di consolazione a tutti gli astanti. Ma il più contento era Don Rua che vedeva ancora. una volta esaltata la virtù di Don Bosco. Abbracciò con affetto il Rev. Don Chiuso e corse al Santuario a 'ringraziare l'Ausiliatrice.

                Torino-Valsalice

                19 gennaio 1937-XV.

In fede

Sac. MAROCCO MELCHIORRE

 

XV.

 

Mi primera confesión general con Don Bosco.

 

                Era el año 1882. En agosto llegó el P. Bosco á San Benigno Ca­navese para los Santos Ejercicios de los novicios y hermanos. El P. Director Don Julio Barberis nos avisó, y nos animó ir á confesarnos con Don Bosco, proponiéndonos haceR los que tuvieran deseo ó necesidad, la confesión general. Yo que había entrado en San Benigno en abril de ese mismo año, determiné aprovechar, aunque ignorara en aquel entonces los dones que el Señor le concedía. Me preparé lo mejor posible, y me presenté. Mis primeras palabras fueron: Padre, hacen unos cinco meses que entré, en el Colegio, y desearía hacer mi con­fesión general para estar más seguro.

- Muy bien, me dijo el Padre. ¿Estás preparado?

- Creo que sí; contesté, he hecho cuanto he podido para hacer el examen de conciencia.

- Bien, bien, Dime, ¿deseas decir tu los pecados ó quieres que yo te diga los que has cometido?

- Mejor. me los diga Vd., estaré mas conforme. - Muy bien ¿como te llamas?

- G. Z. le dije.

- ¿Como?

- G. Z.

- ¿No puedo comprenderlo bien, ¿como?

- G. Z.

- Tu vees, no puedo comprender, repítelo.

                Y siguiendo así me hizo repetir el nombre unas siete u ocho veces. Entonces fué que me vino la idea de hacerme conocer de otra manera. - Vea, Padre, le dije, soy el sobrino del Cura Párroco del Sagrado Corazón en Roma, D. Cagnoli.

- Ah, comprendo, ahora se quien eres. Pues, mira, tu has hecho el tal pecado en tal lugar, con tal compañero. [869] - Es verdad, Padre. - De esta manera me dijo todos los pecados con pelos y señas, circunstancias de lugar, tiempo y compañía. Me dijo que la la Comunión la había hecho bastante bien, pero que habría podido ser mejor y terminado la letanía, a la que siempre tuve que contestar: Sí, Padre, es verdad, añadió: Ya no tienes nada más, quédate tranquilo; ahora procura portarte así y asá, haz esto y aquello, y estarás contento. No recuerdo si me habló de mi porvenir, creo que no, porque no me hizo ninguna impresión. Lo que tengo en confuso fué que creo me dijo: Veremos lo que es capaz de hacer este hijo de Dios-- En los seis años que pasé entre S. Benigno y Turín me volví a confesarme con Don Bosco unas dos ó tres veces, pero nada de particular. Creo haber sido el ultimo de los jóvenes del . Oratorio que le besó la mano, aún vivo, á las 8 de la noche del 31 enero de 1888.

                Cuanto espongo es la pura verdad.

P. ZACARIAS GENGHINI

Salesiano nel Cile.

 

XVI.

 

Testimonianza sul " Grigio ".

 

                Non bisogna lasciar cadere nessuna testimonianza di fatti riguardanti le origini dell'Opera di Don Bosco. Questa sul famoso Grigio è riferita dal salesiano Don Aliberti, presentemente Ispettore a Magallanes.

 

                En vísperas de partir para Turin el año 192o, el P. Víctor Durando, misionero en Magallanes, me encargó de llevar un saluto a un hermano suyo, Don Felipe Durando, distinguido sacerdote turinés.

                Llegado a Turín, fué mi primer cuidado ir a visitar a dicho sacerdote en compañía del P. Mayorino Borgatello.

                Don Felipe, que vivía en los altos de una casa en vía S. Martino, nos recibió. con exquisita cortesía y nos ofreció una copa de vino generoso. Entre tanto nos decía como por su avanzada edad había conseguido del Cardenal Arzobispo de Turín el privilegio de celebrar en su propia casa, pues apenas podía caminar.

                El venerando sacerdote hablónos con mucho afecto de Don Bosco, á' quien había conocido y tratado familiarmente. Habiendo caído la conversación sobre el perro « gris », nos dijo: - Yo alcancé a conocer ese animal misterioso; he aquí cómo: Un día habiéndome encontrado Don Bosco en la calle de la Consolata después de medio día me convidó a almorzar con él en el Oratorio, a lo que accedí de buen grado. Como llegamos tarde, hubimos de comer solos. Mientras conversábamos, al levantar la vista vi de repente al lado de Don Bosco al perro gris que lo miraba y meneaba la cola como [870] esperando alguna cosa. También Don Bosco fijó sus ojos en el animal y diciéndole: - Muy bien, gris, te has portado siempre bien con Don Bosco -, le dió un pedacito de pan. El' perro lo olfateó y no lo comió. Tomó entonces Don Bosco el pedazo de pan, lo empapó en el jugo de la comida y nuevamente lo ofreció al perro, el cual por segunda vez se rehusó a comerlo. - Ya comprendo, dijo entonces Don Bosco, ya comprendo, gris, lo que quieres decirme: Don Bosco no puede recompensarte como mereces, sinó que ' esperas galardón mayor, de aquel que te lo pueda dar.

                Los dos comensales seguimos departiendo amablemente haciendo caso omiso del perro. Acabado el almuerzo, no vi más al animal: había desaparecido misteriosamente.

Don ALIBERTI

Ispettore salesiano di Magallanes.

 

XVII.

 

Per la storia della chiesa di S. Giovanni Evangelista.

 

                Il Corriere Nazionale di Torino, nel numero del 9 febbraio 1888, in occasione dei funerali di Don Bosco nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, pubblicava il seguente articolo:

 

                Oggi, 9 febbraio, nella chiesa di S. Giovanni Evangelista ha luogo, come sanno i nostri lettori, una messa di suffragio pel nostro venerando Don Bosco, e subito dopo si farà la conferenza pei cooperatori e cooperatrici salesiani.

                È bene che i nostri lettori sappiano in parte quanti sacrifizi, quante noie, e quante pene costò questa chiesa al pio sacerdote.

                In quella medesima località anni prima esisteva per opera sua l'Oratorio di S. Luigi, ove raccoglieva centinaia e centinaia di ragazzi. Quando poi, crescendo Torino ed abbellendosi straordinariamente, venne l'idea di far la chiesa di S. Giovanni Ev., come monumento a Pio IX, che ne portava il bel nome dal S. Battesimo, Don Bosco, trovò impedimenti da tutte parti. Una striscia di terreno apparteneva ad un protestante, e non era possibile ottenerla per proposte che gli si facessero e sotto mille forme, e da qualunque parte esse venissero. Finalmente si ricorse alla ragione di utilità pubblica, e così obbligare quel settario a desistere dalle soverchie esigenze.

                A Torino imperava al Municipio Luigi Ferraris, ed alla Prefettura il conte Zoppi, che aveva altro a fare con certa gente che fu poi portata sul banco delle Assise, e nè l'uno nè l'altro vollero vedere l'utilità pubblica, anzi con occhio maligno fecero gli interessi dei Protestanti assicurando con regolare risposta al Ministero, che nessuno voleva quella chiesa, se invece non era molto combattuta. Dunque non se ne [871] parli più. Ma Don Bosco era il veramente tenax propositi vir, di cui parlava Orazio, e disposto a sostenere anche le rovine del mondo, non indietreggiava dinanzi a difficoltà, quando o la gloria di Dio esigeva l'opera sua, o la carità del suo prossimo. Qui vedeva l'una e l'altra causa impegnata.

                Il Municipio e la Prefettura gli rispondono che il loro parere era di desistere, ed il Ministero dei Lavori pubblici gli fa tenere una risposta identica. Che fa Don Bosco? Ricorre al Consiglio di Stato... Ma questo non riceve mai la sua memoria e non può trattarne, sebbene si preveda che non sarebbe diversa la decisione. Don Bosco erasi recato a Roma, se non erriamo, nel principio del 1876, e con altre faccende, si studiava di penetrare nelle segrete cose, e venir a conoscere perchè tanta opposizione, perchè tanta guerra. Sapeva che le carte spedite per essere trasmesse al Consiglio di Stato si dicevano smarrite, anzi perdute, e che qualcuno aveva interesse a lasciarle nel dimenticatoio. Si cercava di addormentare Don Bosco, stancarlo e torgli dal capo l'idea di edificare la chiesa di S. Giovanni Ev.

                Un bel dì ei viene a conoscere, che le sue carte, malgrado i buoni uffizi del ministro (Spaventa) dei Lavori pubblici di farne dimenticare ogni traccia, erano arrivate al Consiglio di Stato, e che se ne doveva trattare alla dimane. Prende allora coraggio, e, da uomo prudente, cerca di sapere chi siano coloro che hanno a giudicare. Saputine alcuni ne va a cercarli a casa, per raccomandar loro la pratica. Tra gli altri un buon romano, che da tempo desiderava di conoscere Don Bosco. Chi può dire le feste che egli fece quando se lo vide davanti e con quella eloquenza semplice e persuasiva gli domandava il suo appoggio per cosa tanto sacra e bella? L'esito fu favorevole, e due sere dopo il Consigliere stesso di Stato glielo comunicava.

                Io che scrivo mi trovai nell'umile cameretta di Don Bosco quando quasi con il medesimo corriere riceveva una lettera da Roma, ed un'altra dalla Prefettura di Torino. Quella di Roma veniva dal Segretario di Stato, e gli annunziava che il S. P. Pio IX mandava l'offerta di due mila lire per la chiesa di San Giovanni, e quella di Torino, scritta dal Zoppi e passata credo dal Municipio, o viceversa, gli comunicava che il Governo stimava di utilità pubblica la costruzione di quella chiesa, e che si poteva procedere anche ad espropriazione forzata! lo vidi il pio sacerdote contento e pieno di riconoscenza a Dio che finalmente l'aveva tolto da quell'imbroglio. Mi venne voglia di interrogarlo come quelle carte invita universa (sic) erano passate al Consiglio di Stato; ed Egli, alzato gli occhi al cielo, disse che era opera di quel Dio che suole scherzare in mezzo degli uomini

                L'apostolo diletto, di cui fu così divoto il grand'uomo di Dio, ascolti le preghiere che oggi si fanno nella sua Chiesa, monumento di arte e di pietà, e se non fosse ancora tra gli eletti nel cielo, lo faccia andare quandochessia fra le beate genti. [872]

 

XVIII.

 

Storia interessante.

 

                Tutto questo racconto fu steso da Don Lemoyne, che lo lasciò in bozze con l'intenzione di farne un capitolo nel volume che avrebbe chiuso le Memorie biografiche, se il Signore gli avesse lasciato il tempo di condurle a termine.

 

                Don Bosco aveva molta relazione col Marchese Ignazio Pallavicini il quale aveagli promessa una somma per soccorrere la Casa di Sampierdarena. Alcune persone influenti avendo saputo le intenzioni del Marchese entrarono in mal punto a consigliarlo: non essere conveniente  soccorrere uno straniero, un piemontese a preferenza di un Genovese: essere meglio beneficare una delle tante opere che vi erano in Genova. E infatti così fu. Verso Don Bosco il Marchese conservò animo benevolo ma nulla gli lasciò dopo morte.

                Don Bosco venuto a Genova si presentò alla Marchesa sua figlia che si era sposata col marchese Durazzo la quale era erede universale dei beni del Padre e le disse: - Vengo da lei signora Marchesa per ricordarle l'intenzione di suo padre di beneficare la casa di Sampierdarena. Io non ho nessun diritto e non pretendo di averne Però lui sembra che lei potrebbe in qualche maniera, come le pare meglio, venire in aiuto di quei poveri giovani.

- Io rispose la Signora con un tono lui po' asciutto, so che mio padre così aveva pensato, ma so anche aver egli poscia modificata la sua volontà. Credo che si trattasse circa di un quaranta mila lire.

- Io nulla pretendo: osservò Don Bosco: ma so certamente che il marchese suo padre voleva fare qualche cosa per noi; non chieggo quaranta o cinquanta mila lire, ma almeno qualche piccolo soccorso, un due, un quattro mila lire, per onorare la memoria del Marchese e perchè la casa di Sampierdarena si trova in grandi strettezze.

- Io, almeno per ora, posso fare nulla per lei.

- Lei è padrona: ma le dirò che così facendo non si attira certamente le benedizioni di Dio e se ne accorgerà.

                A questa misteriosa minaccia la Marchesa punta al vivo uscì in qualche parola mordace, la quale se non poteva offendere l'amor proprio di un santo, feriva però il cuore di chi chiedeva la carità per i suoi poverelli.

                Don Bosco uscì da quella casa e la Marchesa diede ordine che se Don Bosco si fosse ancor presentato non venisse più introdotto.

                Don Bosco giunto a Torino prese una lettera che il Marchese Pallavicini gli aveva scritta con promessa di ricordarsi di lui nel testamento e gliela mandò: la lettera non fu più restituita e non ne ebbe risposta. [873]

                Da quel momento sembrò davvero che le disgrazie fossero entrate in quella casa. Dopo una serie di cose spiacenti e dolorose il marito divenne cieco, poi accadde la divisione (divorzio) tra suo figlio e la marchesa sua moglie. Il Marchese Durazzo suo figlio implicato in varie operazioni commerciali, e specialmente per gli affari della Veloce, aveva fatto grosse perdite. La Marchesa fu obbligata a firmare cambiali su cambiali. Si trattava di somme enormi, di milioni e milioni, sicchè il notaio, che era un uomo espertissimo nel suo mestiere, le disse un giorno che le presentava una cambiale da firmare, credo di un milione: - Perdoni Signora Marchesa, sa Lei che cosa firma?

- Si, lo so, rispose.

- Quando è così; basta: conchiuse il notaio.

                Intanto si era visto in Sampierdarena la necessità di comprare una possessione del Marchese vicina all'Ospizio, perchè se altri ne fosse venuto possessore avrebbe potuto innalzare una fabbrica e, dominando i nostri cortili e la casa, renderebbe impossibile colà la nostra permanenza.

                Percìò bisognava indurre la Marchesa a vendere. Di ciò fu incaricato il sig. De Amicis. Questo signore un giorno si presentò adunque alla Marchesa e aspettato il momento opportuno le disse come Don Belmonte Direttore di Sampierdarena fosse venuto a pregarlo di fare questa parte: - Io rispose la Marchesa non voglio aver nulla da fare con Don Bosco.

- E perchè?

- Perchè Don Bosco è una di quelle persone che... e usò espressioni che indicavano non solo freddura ma disistima

- Ma se è lecito interrogarla, mi dica; su quali argomenti si basa per pensare così sinistramente di Don Bosco?

                E la Marchesa gli narrò il dialogo avuto con Don Bosco. De Amicis ascoltava meravigliando senza darlo a divedere, di quella profezia di Don Bosco che per la Marchesa era un argomento di sdegno.

- Signora Marchesa, io sono di opinione contraria alla sua, disse De Amicis, Conosco Don Bosco, vedo le sue opere e non posso indurmi a credere Don Bosco tale come essa mi dice.

 - Ebbene; e lei si tenga la sua opinione ed io mi tengo la mia.

- Sì; ma veda io sono in unione con moltissimi, per non dire con tutti nel pensare in favore di Don Bosco; mentre lei ha nessuno o pochi che abbiano la sua opinione.

- Basta non me ne parli più; per Don Bosco farò nulla, l'interruppe la Marchesa.

                E il Signor De Amicis riferì a Don Belmonte il cattivo esito della sua ambasciata.

                Intanto avveniva la divisione del matrimonio La marchesa lo mandò a chiamare in sua camera che, aveva l'alcova pel letto: era una magnificenza. I mobili tutti indorati, sicchè, sembrava un tempio, [874] con candelabri, sete, damaschi, tappeti, e oggetti preziosi a profusione. Essa era appoggiata sulla scrivania e piangeva dirottamente.

                De Amicis entrò. La Marchesa gli disse: sono? - Vedete a che punto

- Signora: comprendo tutta la forza del suo dolore; abbia pazienza, rimettiamo le cose nelle mani di Dio: ora non c'è più rimedio; si tranquillizzi, si rassegni, io però vorrei suggerirle .....

- Non parlatemi di Don Bosco, scappò a dirgli la Marchesa, con un gesto che significava: - Sta indietro dieci passi, ricordati la distanza che corre tra te e me.

                De Amicis si ritirò risoluto di non più presentarsi a Lei se non chiamato. E solo dopo 15 giorni essa lo mandò a chiamare.

                De Amicis vedendo la Signora Marchesa così ostinata, disse finalmente a Don Bosco incontrandolo un giorno: - Non ne facciamo niente sa!

- Si sì rispose Don Bosco: il contratto si farà ma quando io non ci sarò più; e lei servirà d'intermediario

                De Amicis ritenne la frase, benchè in quel momento avesse perduta ogni speranza.

                Don Bosco intanto veniva ammalato. De Amicis partì subito per vederlo e lo trovò che stava molto male. Nel congedarsi gli disse: - Devo andare a Roma col pellegrinaggio italiano. Sono costretto a partire e mi rincresce lasciarlo in questo stato. Ma tornerò a vederlo? - E la sua frase indicava come temesse di non rivederlo più.

- Vada pure, rispose sorridendo Don Bosco. Stia tranquillo; mi vedrà ed assisterà al mio funerale.

                A questo Signore, che era ricco Don Bosco aveva già detto: - Lei è destinato a fare molto bene. E altra volta che gli chiedeva se si sarebbe salvato, - Sì, ma scenderà quasi sull'orlo del precipizio e poi sorgerà e si salverà.

                De Amicis adunque ritornava a Genova e si presentò alla Marchesa che esso doveva accompagnare a Roma, e le disse: Vengo da Torino a visitare Don Bosco.

- E come sta?

- Molto male.

- Poveretto me ne rincresce! - Questa signora era di fondo molto buona e di carità, ma aveva troppe prevenzioni contro Don Bosco.

                Andata a Roma entrava con De Amicis nelle sale Vaticane per l'udienza. Appena il Papa vide De Amicis, avendo saputo che era stato a Torino, gli chiese con premura: Ebbene mi dica come sta Don Bosco? - De Amicis gli diede le notizie ed il Papa dimostrava vivissimo interesse per Don Bosco. La Marchesa ne restò colpita e quando uscì disse al De Amicis:

- Quale stima per Don Bosco il Papa! [875]

- Giustamente Signora Marchesa, non mi fa meraviglia Il Papa conosce chi è Don Bosco.

                De Amicis tornato a Genova, si affrettò a venire a Torino a veder Don Bosco che aveva saputo morto dai telegrammi e dai giornali. Si avverò appuntino la predizione. Giunse pochi momenti prima che si chiudesse la cassa, potè vedere le sembianze del suo amico, baciargli ancora una volta la mano ed assistette al suo funerale,

                Don Rua occupati i primi mesi del 1888 nell'ordinare gli affari materiali della Congregazione e regolati i diritti di successione col governo, rivolse i suoi primi pensieri alla compra della possessione Durazzo, per liberare l'Ospizio di Sampierdarena da una vessazione che forse non sarebbe stata lontana pel continuo crescere delle fabbriche in quella città.

                Don Bosco prima di morire aveva interposte altre persone influenti presso la Marchesa per indurla a vendere. Essa prima rispose che intendeva di vendere quel terreno come spazio fabbricabile. Poi che la somma infima che esigeva erano duecento mila franchi da pagarsi in rogito. E si trattava di vendere solamente una parte di quel terreno. Finalmente rispose a chi la importunava che se avesse voluto vendere non voleva contrattare se non a patto di vendere tutta intiera la possessione. La conclusione però di questa proposta era sempre una negativa assoluta, e a chi gliene chiese la cagione disse una volta: Perchè Don Bosco promette di pagare e poi non pagherà.

                Don Bosco finalmente aveva fatto proporre alla Marchesa che fissasse una qualunque somma, anche calcolata sul prezzo d'affezione, che egli immancabilmente l'avrebbe soddisfatta. Don Bosco era pronto a pagare anche 300.000 lire. Diceva: - È spesa necessaria e la Provvidenza provvederà. - La Marchesa non volle  saperne.

                Morto Don Bosco gli affari della Marchesa precipitavano. La Veloce per varie cagioni era costata gravi sacrifizi al Marchese suo figlio. In città si parlava e si sapeva anche di qualche suo fallimento possibile.

                Don Marenco chiamato da Don Rua nei primi mesi del 1889 venne a Torino per vedere il modo di indurre la Marchesa a quella cessione.

                Esaminato lo stato delle cose si concluse che trattare per lettera a nulla avrebbe approdato e che era meglio Don Marenco si presentasse in persona alla Marchesa. E così si fece. D. Marenco fattosi annunziare fu subito ricevuto. E ciò recò sorpresa, perchè si diceva che se fosse venuto lo stesso Don Bosco in persona non sarebbe stato ammesso.

                La Marchesa restò colpita dalle maniere del Direttore di Sampierdarena, benchè intendesse subito qual fine lo avesse condotto. Don Marenco espose lo stato della propria casa e disse senz'altro che era venuto da Lei come quella persona dalla quale dipendeva l'assicurare l'avvenire dell'Ospizio. [876]

- Veda, rispose la Marchesa: benchè io non volessi vendere a Don Bosco, pure intendevo come, vendendo  ad altri, avrei rovinato il suo Ospizio, e l'ho detto al marchese mio figlio: Poveri Salesiani, se noi vendessimo ad altri quella possessione noi rovineremmo per sempre l'Ospizio di S. Gaetano, e li costringeremmo a cercarsi altrove un luogo. Non volli venderlo a Don Bosco, ma neppure l'avrei venduto ad altri.

                Don Marenco la ringraziò vivamente ed instò nella sua preghiera.

- Ma veda, rispose la Marchesa: nello stato in cui siamo e colle voci che corrono di qualche nostro dissesto finanziario, se noi vendessimo quella possessione, si direbbe che la necessità di aver danaro ci costringe a privarci di quel terreno... che abbiamo incominciato a vendere. Ciò metterebbe in allarmi i nostri creditori: sulla piazza il nome di mio figlio sarebbe compromesso.

- Non è il caso questo, osservò Don Marenco, che altri prendano come necessità di vendita, ciò che sarebbe una vera opera di carità verso di noi. Tutti vedono, tutti conoscono la necessità che noi abbiamo di quel terreno, e quindi non sarebbe un guadagno, ma un sacrifizio da parte sua. Il Signore, si persuada, la ricompenserà largamente.

- Quando è così, replicò la Marchesa, io non avrei obbiezioni da fare. Tutto sta che mio figlio sia del mio parere. Se esso acconsente, come spero, tenga la cosa per fatta.

D. Marenco si ritirò col cuore molto consolato.

                Nella Signora Marchesa si era compito un cambiamento miracoloso istantaneo Essa aveva negli anni prima esposta al figlio la domanda di Don Bosco e quindi gli fece parola anche di quest'ultima. Intanto  alcuni speculatori, sapute queste pratiche, fecero varie volte progetti al Marchese per comprare quel terreno. Erano pronti a dare 200.000 lire. Essi intendevano di approfittarsi della necessità dei Salesiani per avere un guadagno di 50 o 100.000 lire. Progettavano di incominciare a gettare le fondamenta di una fabbrica cosicchè i Salesiani vedendo che si faceva davvero, che presto sarebbero rimasti con inquilini vicini di ogni specie, i quali avrebbero visto ed udito quanto si faceva in casa, avrebbero pagato qualunque somma per liberarsi da un tale pericolo. E il capo di costoro era uno in fama di buon Cattolico che frequentava la chiesa, che era tutto Papa e religione. Questa maniera poco delicata non sembra conformarsi ai sentimenti religiosi che professava. Il sensale manifestò al De Amicis questo progetto tutt'altro che generoso.

                Un bel mattino il Marchese Marcello Durazzo chiama a se De Amicis e gli dice: - Venga, andiamo a Sampierdarena all'Ospizio di S. Gaetano. Per quella nostra possessione ormai non mi lasciano un momento di pace; prevedo che sono capaci di perseguitarmi finchè io viva. Ormai voglio levarmi questa noia. Lei, che brigò già tanto come intermediario in questo affare, abbia la bontà di accompagnarmi. [877]

                De Amicis salì sulla vettura già preparata e lieto in cuor suo fu a Sampierdarena. Entrati nell'Ospizio si incontrarono sotto i portici con Don Marenco che accolse il Marchese con molta cortesia e gli fece visitare i laboratorii, le scuole, i dormitorii. Ogni cosa piacque molto al Marchese che si dimostrò contentissimo. Quindi salirono sul terrazzo sorretto dai portici e si fermarono quasi in faccia alla camera di Don Bosco.

                Qui il Marchese voltosi a D. Marenco: dunque quello là gli disse, il terreno che le fa di bisogno?

- Sissignore, veda, dieci metri in qua di quelle colonnine che sorreggono quel pergolato.

- Sta bene, facciamo dunque il contratto. Per 5o.ooo lire in rogito.

- Oh Signor Marchese, quanti ringraziamenti!

- E dica, Signor Direttore, ma perchè vuole comprare solo quella parte di possessione. Non potrebbe comprarla tutta?

- Signor Marchese! Certo che sarebbe una bella cosa, ma intende bene che i denari non saprei dove trovarli; fino ad un certo punto posso andare e li ho! Ma più in là.

 - Accetti, accetti, soggiunse De Amicis.

 - Compri tutto  le domando solo altre 5o.ooo lire da pagarsi in rate per varii anni, nel giorno che fisseremo; replicò il Marchese.

                Non so se D. Marenco abbia udite le ultime parole. Si sentì venir meno, i suoi occhi per un istante più nulla videro e si appoggio alla ringhiera per sostenersi. Il Marchese lo contemplava e due grosse lagrime gli scorreano per le guancie.

                Come D. Marenco fu rinvenuto da quello sbalordimento, il Marchese Marcello - continuò: - Ma da buoni negozianti bisogna che trattiamo gli affari in regola. Quale caparra mi dà?

- Oh signor Marchese, disse con prontezza di spirito D. Marenco. Quale caparra potrò darle? Una sola Verrò un giorno a far colazione con lei a Pegli.

- Benissimo e venga con tutti i suoi giovani.

                E strettasi la mano si divisero; il Marchese e il De Amicis risalirono sul landò.  - Signor Marchese, gli disse De Amicis, ha fatto davvero un'opera buona consolando i Salesiani. Sono certo che non potran mancargli le benedizioni del Signore. Don Bosco come sarà contento!

                A queste parole un fremito scosse tutta la persona del Marchese, e due lagrime più grosse delle prime spuntarono sulle sue ciglia.

- Io non l'ho mai visto piangere, e credo che nella sua vita non abbia mai sparso una lagrima, diceva De Amicis. Il Marchese si dimostrò pieno di una gioia straordinaria in quel giorno e la manifestava in molte maniere.

                Venne intanto il giorno fissato per fare la colazione a Pegli. Tutti [878] i giovani colla loro banda musicale salirono sul vapore. Furono accolti con mille feste. Un lauto pranzo era preparato per loro. Le tavole distese in luogo amenissimo di quel magnifico giardino famoso in tutto il mondo. Il Marchese e la Marchesa sedettero con Don Marenco e con tutti i giovani. Fu una giornata delle più belle. La stessa Marchesa era così mutata che pareva aver sempre professato tutto il suo affetto per i Salesiani e per i loro fanciulli.

                Venne finalmente il giorno del contratto. De Amicis si vedeva un po' contrariato, perchè non era stato invitato a presenziare il contratto. Quando ecco comparire il Marchese: - Signor De Amicis; favorisca di    venire a passare la giornata con noi. Così presenzierà il contratto, per condurre il quale a buon termine ha impiegato tanto l'opera sua, e nello stesso tempo servirà di testimonio. Così il suo nome sull'atto notarile sarà perpetuato a memoria e testimonianza di questo fatto. - E De Amicis tutto contento andò.

                D. Marenco aveva portati i 50.000 franchi. Il notaio lesse l'atto e quando si venne al punto delle altre 50.000 lire da pagarsi in rate divisi in dieci anni il Marchese rivolto a D. Marenco:

- Eh! già, gli disse: queste 50 lire posso far conto che non mi saranno mai pagate, perchè essi non ne hanno da pagarmi, ma non importa. Intendo però assolutamente che la prima rata nel giorno in cui cade, lei Signor Direttore venga a pagarmela. 50.000 Con ciò indicava essere sua intenzione favorire dell'altro la cosa.

                E il contratto venne firmato. Così si avverarono le parole dette da Don Bosco al De Amicis. - Il contratto si farà quando io non ci sarò più, e lei sarà l'intermediario.

                Ma il Signore in quello stesso giorno benediceva il Signor Marchese in un modo strepitoso. Esso aveva azzardata una speculazione finanziaria, che gli era riuscita bene. Col guadagno pagò tutte le sue cambiali e quindi le estinse pel valore, si dice di circa otto milioni, e gli restò in cassa il guadagno netto di un milione e trecento mila lire in oro.

 



[1] Chi sa quanti col tempo stenteranno a comprendere come mai un uomo quale fu D. Bosco andasse tanto alla buona perfino con i ragazzi da contar loro le cose della propria vita; ma non comprenderà mai Don Bosco chi non riesca a figurarselo come un padre in mezzo ai figli. Un vecchio Salesiano ricorda di aver udito dalle sue labbra uno di questi aneddoti intimi, mentr'egli e vari suoi compagni lo attorniavano passeggiando nel cortile dell'Oratorio. Non sa più la circostanza che diede occasione al racconto; ma il racconto gli è ben presente alla memoria. Un giorno in Francia Don Bosco, poco prima delle dodici, si recava a pranzo da una famiglia che l'aveva invitato per quell'ora. Lungo la strada chi l'accompagnava si rammentò che egli aveva promesso pure ad altri signori di pranzare da loro alle due, e glielo disse. Don Bosco senza scomporsi gli rispose: - Lascia fare, contenteremo anche quelli. - A questo punto della narrazione un giovane saltò su a domandare se ci fossero poi veramente andati. - Ma sicuro, diss'egli, e anche là ci siamo fatto onore. - Quindi piacevolmente spiegò in che modo subito dopo un pranzo si fossero trovati disposti a cominciarne un secondo e lodò la grande carità degli uni e degli altri invitatori verso le sue opere. Ecco qui un esempio della naturalezza con cui Don Bosco diveniva fonte di notizie per la sua biografia.

                Don Andrea Scotton, arciprete di Breganze, in una lettera del 26 febbraio 1891 a Don Rua scriveva di Don Bosco: In lui edificava anche ciò che spiace negli altri. Egli parlava spesso di se medesimo e delle cose sue, ma con tanta semplicità e con tanta unzione ch'era una meraviglia il sentirlo ”.

                Don Lemoyne (Mem. biog. v. 11, p. 30) scrive: Don Bosco era felicissimo in questa narrazione e nel ricordare ogni più piccola circostanza di esse. Ricordava, sorrideva, gioiva, si compiaceva di quei tempi passati ” .

[2] Questa revisione era così assidua, che, quando Don Bosco e Don Rua viaggiavano alla volta di Spagna, Don Bonetti, come vedremo, spedì loro le bozze della puntata che doveva uscire prossimamente sul periodico, e Don Rua gliele rimandò con le osservazioni di Don Bosco.

[3] Intorno alla storia dei primi anni aveva cominciato a lavorare, vivente ancora Don Bosco. Del suo lavoro scriveva il 24 marzo 1886 a monsignor Cagliero: Questa vita si svolge a poco a poco così soave, magnifica, meravigliosa, varia che difficilmente vi potrà esser libro più dilettevole ”.

[4] Più volte Don Bosco fu udito ripetere: - Una quinta parte della mia vita non si potrà mai narrare, avendo io distrutto o essendosi perduti i documenti,

[5] Mons. GEREMIA BONOMELLI, Questioni religiose - morali - sociali del giorno. Vol. 1, pag. 310. Milano, Cogliati.

[6] Renato Bazin, in una pubblicazione postuma che contiene note intime della sua vita (Etapes de ma vie, Paris, Calmann - Lèvy, 1936), scrive nell'ottobre del 1913 che “correre alla difesa della religione, rifare le anime religiose, fortificare attorno a noi la dottrina, preparare apostoli - operai e apostoli - contadini per mezzo delle opere ” gli sembra una “bella missione ” che “bene adempita, senza occuparsi di politica, non sarà senza influsso politico ” .

[7] Anno 1888, vol. I, pag. 498.

[8] L’Eco di Bergamo, 2 febbraio 1888.

[9] Lett. di Paolo Boselli a Don Francesia, Roma 3 febbraio 1888.

[10] Cfr. vol. XVII, pag. 520.

[11] Sono i seguenti: I° Brunet Carlo da Bardonecchia, di Iª ginnasiale superiore (9 marzo). - 2° Ranzani Carlo da Borgo Castano Primo, di 2ª ginnasiale (13 aprile). - 3° Enria Antonio da Torino, calcografo (4 maggio). 4° Trogu Antonio da Carloforte, legatore (28 maggio). - 5° Ferrari Giovanni da Vigevano, legatore (5 luglio). - 6° Alladio Giacomo da Busca, fabbro (21 settembre). In gennaio morì a casa sua anche Gonino Carlo da Druent, sarto; ma era partito per malattia il 27 dicembre, cosicchè non si trovava presente alla strenna.

[12] Erano Tomasetti Tito, morto sacerdote salesiano, e Franchini Giovanni  vivente, anche lui sacerdote salesiano. Il diario di Don Viglietti introduce Garassino, che invece era rimasto nello studio; ma il diarista non si era trovato presente al fatto.

[13] Tutto il discorso fu pubblicato in due puntate sul Bollettino di marzo e di aprile.

[14] App., Doc. I.

[15] Ivi,  DOC. 2.

[16] App., Doc. 3.

[17] Ivi, DOC. 4

[18] Ivi, pag. 10 - 11.

[19] La mostrò al prefetto Don Aime; la lesse in una conferenza ai chierici, come ricordava Don Pirola; la fece leggere a Missionari passati di là poco prima dell'arrivo di Don Bosco; poi col tempo gli andò smarrita. Don Rua depose nei Processi: “Io era a Torino in quei giorni, e il giorno appresso a quell'apparizione Don Bosco, discorrendo con me, mi disse che nella notte aveva fatto una visita a Don Branda e parmi abbia ordinato di chiedergli per lettera se avesse eseguito i suoi ordini. Io in quel momento non feci gran caso delle sue parole ed eseguendo l'ordine avuto più non pensai ad altro. Quando poi pochi mesi dopo accompagnai Don Bosco nella Spagna, Don Branda che ci venne ad incontrare alla frontiera, mi raccontò chiaramente l'avvenuto ed allora intesi quale visita gli avesse fatta Don Bosco ”.

[20] L'Amico del popolo di Prato, 20 marzo 1886.

[21] Il signor Primo Arona, Vegima per Voltri, 21 marzo 1886.

[22] L'Eco d'Italia, 15 marzo 1886.

[23] App., Doc. 5.

[24] App., Doc. 6.

[25] Scene morali di famiglia nella vita di Margherita Bosco, Torino, 1886, Tip. Salesiana. Il 19 aprile Viglietti scriveva da Sarrià a Don Lemoyne: “D. Bosco dice che riguardo alle particolarità della morte di mamma Margherita potrà con frutto interrogare D. Giacomelli ”.

[26] App., Doc. 7.

[27] Allora fu che raccontò l'episodio dell'argenteria da tavola a Aix in casa del barone Martini, come riferisce Don Viglietti nel diario (cfr. vol. XIV, pag. 30).

[28] Monsignor Spinola, prima titolare di Milo e ordinario di Coria, poi Vescovo di Malaga, Arcivescovo di Siviglia e infine Cardinale, era Prelato di così santa vita che è in corso il processo per la sua beatificazione e canonizzazione. Con l'intuito dei Santi egli comprese a pieno la santità di Don Bosco e la grandezza della sua missione, come appare anche dal suo libro Don Bosco y su Obra.

[29] Num. 708, 709, 710.

[30] Introducción, pag. 10.

[31] Ne diamo un saggio in App., Doc. 8.

[32] L'abate Guiol aveva festeggiato con i novizi alla Provvidenza San Francesco di Sales, manifestando poi alle signore del comitato le sue impressioni nella seduta del 5 febbraio. Quello che disse è molto interessante. “Ces enfants étaient vraiment admirables et pénétrés de cet esprit de Don Bosco, qui est un esprit particulier. Don Bosco a voulu faire servir la jeunesse par la jeunesse et une jeunesse pieuse, ou par ses prêtres élevés dans son esprit et formés par lui; les enfants, grandis dans cette atmosphère, pénétrés de ces idées, sont admirablement disposés à l'apostolat. Ils sont formés à la pénitence, à la prière, au renoncement, vertus éminemment requises pour faire un bon prêtre, et préparer ensuite la jeunesse au devoir et à la vie chrétienne: c'est l'oeuvre que le comité a la mission et la consolation de soutenir, et pour laquelle son dévouement doit s'employer ”.

[33] Relazione del sig. Gio. Batt. Montobbio Villavecchia all'Ispettore Don Calasauz, Barcelona, 6 Junio 1934. Il sig. Montobbio, vivente e oriundo genovese, è il viaggiatore qui sopra menzionato.

[34] Quel giorno, 9 aprile, scrivendo a Don Bonetti, cominciava la lettera così: “Muy querido Don Bonetti. En el viaje yo pude leer al amado Padre nuestro la historia del Oratorio. El ha sido mucho severo, y me sugerió varias modificaciones, corno tú encontrarás en las estampas; entre otras la de suprimir el nombre y hasta la inicial del Professor que vino a visitarnos, y la historia de la muerte de Farini y de Cavour ”. Erano bozze della Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, parte seconda, capo XVI, uscito poi nel Bollettino di agosto. Come si vede, la pubblicazione di Don Bonetti era sorvegliata da Don Bosco e da Don Rua. Il nome del professore si può leggere in LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 445. Della fine dei due uomini politici si narra ivi, vol. VI, pag. 688, e pag. 962 - 63.

[35] Di quella terra Don Bosco per ischerzo aveva creato conte il coadiutore Rossi.

[36] Lett. di Don Rabagliati a Don Bosco, Concepción del Cile, 14 maggio 1887

[37] Lett. a Don Lemoyne, Barcellona, 10 aprile 1888.

[38] App., Doc. 9.

[39] Il Viglietti, fattoselo date, lo portò a Torino; ma noi ne abbiamo trovato solamente la traduzione italiana (App., Doc. 10).

[40] Per un caso simile. cfr. vol. XVI, pag. 203.

[41] App., Doc. II.

[42] App., Doc. 12.

[43] Il cancelliere svedese Ozenstiern a suo figlio che non voleva per timidezza accettare l'ufficio di primo plenipotenziario della Svezia al Congresso di Müster (1648) avrebbe detto: Videbis, fili mi, quam parva sapientia regitur mundus.

[44] Acta de la Sesión solemne celebrada en 15 de Abril de 1886 por la Associación de Católicos de Barcelona para imponer la insignia de la Corporación al ilustre y venerable presbítero Sr. D. JUAN BOSCO, Fundador de los Talleres Salesianos, Barcelona, Tipografía Católica, 1886.

[45] App., Doc. 13.

[46] App., Doc. 14.

[47] Nella lettera diceva: Mas de pronto diga eso a D. Bosco, esa seflora hacía muchísimos afios que no podía dar un paso y ahora sale ya ed casa ”.

[48] Si era recato nella Spagna per fare la visita canonica alla casa filiale di là; lo accompagnava come segretario Don Andrea Malet, allora neosacerdote e oggi abate a Santa Maria del Deserto.

[49] Il Diario de Barcelona del I° maggio, dopo la relazione della cerimonia, parlava dei buoni effetti prodotti dalla presenza di Don Bosco a Sarrià (App. Doc. 15).

[50] Hac die magna Paschatis nobilis puella Maria de la Soledad Pascual y de Slanza scientia et virtute precoci, aetatis annorum novem, prima vice ad coenam Angelorum in ecclesia asceterii Salesiani Barcinonensis accessit. Parentes Don Manuel M. Pascual de Boffarul y Maria de la Soledad de Slanza de Pascual gaudentes et benedicentes Dominum ad perennem rei memoriam gratulanti animo pasuerunt, 1886.

[51] Lett. di Don Roberto Vidal, monaco della Badia del Deserto, alla Direzione del Bollettino francese, Bellegarde (Haute Garonne), 20 novembre 1936.

[52] HENRI GHÈON, Saint Jean Bosco. Collezione “Les grands Coeurs ”. Parigi, Flammarion. Pag. 186.

[53] Cfr. sopra, pag. 100, in nota.

[54] Chan. CLÉMENT TOURNIER, Le bienheureux Don Bosco à Toulouse. Toulouse, Impr. Berthoumieu, 1929. Pag. 87.

[55] App., Doc. 16.

[56] Il Viglietti scrisse d'aver portato a Torino quell'incartamento; ma noi ignoriamo dove sia andato poi a finire.

[57] Relazione della teste, signora Giuseppa Ferrea, vedova Pons, Barcellona 18 luglio 1909.

[58] MATT., IV, 9.

[59] MARC., VIII, 33.

[60] App., Doc. 17.

[61] Nella chiesa della Mercede, ai lato sinistro dell'altare dedicato a Santa Maria de Cervellón ed eretto nella navata destra della crociera, si legge sopra una lapide marmorea un'iscrizione latina che ricorda il fatto della donazione ivi avvenuta.

[62] Diario de Barcelona, 30 maggio 1886 (App., Doc. 18).

[63] Lett. a Don Lazzero, Patagones 26 maggio 1886.

[64] Diario de Barcelona, 1° maggio 1886.

[65] Relazione di Don Eugenio Magni, direttore della casa salesiana di Gerona (5 maggio 1936). Cfr. anche Mensajerito de Maria Auxiliadora di Gerona, (5 maggio 1936). Le date qui e altrove indicano che certe notizie sono state inserite quando il volume era già in tipografia.

[66] App., Doc. 19.

[67] Cfr. vol. XVII, pag. 56.

[68] In una lettera alla sua parente, Madre Eulalia Bosco, delle suore di Maria Ausiliatrice, essa scriveva da Pradines il 21 novembre 1929, accennando a questa andata e al proprio padre: “Il devait être très estimé; j'avais remarqué que le vieilles personnes qui l'avaient connu à Castelnuovo, quand on leur disait: - Voilà la fille de François Bosco - joignaient les mains et disaient: - Oh! Oh! - Elles me regardaient avec une tendresse respectueuse ”.

[69] A farla accettare nel convento si adoperò l'abate Gervais, Vicario Generale di Montpellier, mosso dall'affetto grandissimo che portava a Don Bosco.

[70] Dobbiamo queste informazioni parte a suor Maria Joseph della Trappa d'Espira de l'Agly nei Pirenei orientali, che le inviò a Don Lemoyne il 5 aprile 1899, parte alla stessa madre Maria Eleonora per via di una sua relazione mandata a Madre Eleonora con la lettera citata.

[71] App., Doc. 20.

[72] LEMOYNE, Vita del Venerabile Don Bosco, vol. II, pag. 311.

[73] D. B. FASCIE, Il metodo educativo di Don Bosco, S.E.I., pag. 20 - 22

[74] Cfr. sopra, pag. 57 e vol. XVII, pag. 223.

[75] Summ. dei Proc. dioc., num. XVIII, § 185.

[76] App., Doc. 2 1. Nella ripartizione della preda alla mensa di Don Bosco, a lui toccò il bicchiere che, facendosi monaco, donò alla propria famiglia, che religiosamente lo conserva. Nelle feste della beatificazione e della canonizzazione fu portato a tavola e ognuno vi bevve un sorso di vino.

[77] La voce di Monte Oliveto, marzo - aprile 1932.

[78] Lettera di Don Lazzero a Monsignor Cagliero, Torino 17 maggio 1886.

[79] App., DOC. 22.

[80] App., Doc. 23.

[81] Verbali dei Comitato femminile marsigliese, seduta del 13 maggio 1886.

[82] Mentre correggiamo le bozze (4 dic. 1936) Satana incarnato nel bolscevismo russo, dopo aver atterrato centinaia di chiese e assassinati 14.000 preti, minaccia di fare nella Spagna il concentramento delle forze infernali per annientare l'Europa cristiana e civile... se l'arcangelo S. Michele non lo ricaccerà prima negli abissi da cui è uscito.

[83] Bollettino Salesiano, luglio 1886.

[84] Scherzevolmente voleva dire un uomo abile che sapesse procedere, con accortezza.

[85] Intende l'arcipelago di Chiloe, dove Ancud è il porto più attivo, nel Cile meridionale.

[86] App., DOC. 24.

[87] Lucido Maria Parocchi, nato a Mantova il 13 agosto 1833, fece il ginnasio e il liceo nel patrio Seminario. Per la teologia passò a Roma nell'Università Gregoriana. Tornato a Mantova, insegnò ai chierici teologia morale, diritto canonico e storia. Fu parroco dei Santi Gervasio e Protasio. Nel 1871 Pio IX lo fece Vescovo di Pavia e nel 1877 Arcivescovo di Bologna; ma nell'una e nell'altra sede il Governo gli negò l'exequatur, sicchè dovette abitare nel Seminario, aspettando dal Papa le provvigioni dovutegli dallo Stato. Pio IX lo creò Cardinale nel Concistoro del 22 luglio 1877, e nel 1882 Leone XIII lo chiamò a Roma; nel 1884 lo elesse suo Vicario Generale per Roma. Nel 1889 passò dall'Ordine dei Preti a quello dei Vescovi, occupando la sede suburbicaria di Albano. Costretto da infermità, lasciò nel 1896 il Vicariato per l'ufficio più tranquillo di Vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa. Morì nel dicembre del 1902.

[88] App., Doc. 25.

[89] Pubblichiamo alcune risposte nell'Appendice (Doc. 26 A - B - C - D).

[90] Lettera a monsignor Cagliero, Torino [5 luglio?] 1886

[91] App., Doc. 27. Cfr. sopra, pag. 58.

[92] Nel dì onomastico del Reverendissimo D. Giovanni Bosco gli antichi allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Torino, 1886. Tip. Salesiana. Pp. 6 - 7.

[93] Il Consiglio dell'Associazione barcellonese indirizzò poi a Don Bosco una lettera affettuosa e riconoscente per le accoglienze fatte al suo segretario (App., Doc. 28).

[94] I due telegrammi erano stati riportati anche dall'Unità Cattolica del 18 giugno.

[95] Anche di Pio X si sa che si fece terziario francescano quand'era a Salzano parroco, ma non se ne sa altro, mancando i documenti (Fr. V. FACCHINETTI, L'anima di Pio decimo. Milano, Soc. E d. “Vita e Pensiero ”, 193 5 Pag. 371).

[96] App., Doc. 29.

[97] Le catholique dans le monde. Nice, Patronage St - Pierre, 1886.

[98] App., Doc. 30 e 31.

[99] Cfr, voi. XVII, pag. 684.

[100] App., Doc. 32.

[101] Bollettino Salesiano, febbraio 1887.

[102] Notizie riguardanti le Figlie di Maria Ausiliatrice si leggono in una lettera di Don Bonetti a monsignor Cagliero, che pubblichiamo in Appendice (Doc. 33).

[103] L'Eco d'Italia, 6 giugno 1880.

[104] Il pio desiderio di Don Bosco è rammentato da monsignor Cesano, che era appunto quel segretario del Vescovo, in un Numero unico per l'inaugurazione della luce e dell'acqua a Monte Oliveto (Torino, Soc. Ed. Interi. 1923), pag. 6.

[105] Henri Ghèon, Saint Jean Bosco. Flammarion, Paris. Pag. 22.

[106] Nota all'art. 3, capo VI.

[107] Capo IX, art. 10.

[108] Prima di venir via da Torino aveva scritto al Papa, umiliandogli devoti auguri per S. Gioachino, onomastico di Leone XIII. Il 24 ricevette da Roma il seguente telegramma: “Sacerdote Bosco. S. Benigno. Ringraziandola per auguri e invocando pienezza dei celesti doni sugli orfanelli diretti dai benemeriti Salesiani, Santo Padre imparte a tutti Apostolica Benedizione. L. Card. JACOBINI”.

[109] App., Doc. 34. Degli altri due Ispettori, quello ligure, Don Cerruti, era dal 1885 Consigliere del Capitolo Superiore, e l'argentino, Don Costamagna, mancava.

[110] Lett. a monsignor Cagliero, S. Benigno 28 agosto 1886.

[111] L. c.: “Rincresce, dico da parte di D. Rua, che dall'America sia solo venuto D. Lasagna. Si aspettavano con piacere anche D. Costamagna, D. Fagnano e qualche altro ”. Don Rua stesso aveva scritto l'11 agosto a Don Riccardi, segretario di monsignor Cagliero: “Siamo assai disgustati dei Superiori d'America ci venga solo D. Lasagna al Capitolo Generale. Ne aspettavamo almeno due. Pazienza ”. E Doli Lasagna a monsignor Cagliero (S. Benigno, 26 agosto): “D. Bosco si afflisse molto perchè non sia venuto D. Fagnano e D. Costamagna ” .

[112] Proposte per una conferenza ai direttori.

           I. Insistere sull'osservanza del voto di povertà, specie nei viaggi, vestiario e riparazioni e costruzioni materiali.

           2. Raccomandare l'esemplarità nella vita comune, specialmente nel vitto, bibite separate, ecc.

           3. Rispondano con prestezza e pienezza alle circolari dell'Ispettore.

           4. Si faccia bene e regolarmente l'esercizio della Buona Morte, ma proprio per i confratelli e non solo per i giovani.

           5. Così pure i rendiconti mensuali di coscienza.

           6. Ricordino che prima di tutto debbono assistere, amare e aiutare i proprii confratelli e poi i giovani.

                7. E questo sovratutto riguardo ai giovani chierici provenienti da S. Benigno, i quali hanno bisogno che si continui loro l'assistenza paterna e la gran carità che colà si usa nelle pratiche di pietà e della Congregazione; si istruiscano ad essere buoni maestri ed assistenti coi sistema preventivo di educazione leggendolo e spiegandolo; e si sostengano nelle difficoltà che incontrano nel loro ufficio e che sono talvolta la causa prima della loro defezione.

                8. Le deliberazioni Capitolari si leggano tutte al principio dell'anno, poi un poco ogni giorno. Le regole un capo ogni mese nell'esercizio di Buona Morte.

                Don Cerruti (Torino, 12 ottobre 1886) gli scriverà: “Le vostre proposte arrivarono qui due giorni dopo la chiusura del Capitolo Generale, vale a dire la sera del 9 settembre. Vedo però dalla lettura di esse che per due terzi son quelle pure della maggioranza de' confratelli e già adottate nel Capitolo Generale. Per l'altro terzo ne terrò conto volentieri nella revisione e stampa delle deliberazioni emesse, e pel valore loro intrinseco e perchè provenienti da coloro, i quali, come sono i missionari, costituiscono la gloria e il sostegno principale della Congregazione ”.

[113] G. B. FRANCESIA, Vita popolare del Reato Don Giovanni Bosco. Torino, Soc. Ed. Intern. 35° migliaio, pag. 216.

[114] Capo X, art. 9. Nel decimo Capitolo Generale del 1904, fu deliberato che “i Maestri dei Novizi saranno eletti dal Rettor Maggiore coi consenso del suo Capitolo, udito il parere del consiglio ispettoriale ”. Cfr. Deliberazioni del IV Capitolo Generale. S. Benigno Canavese 1905.

[115] Don Lazzero scriveva a monsignor Cagliero (3 settembre 1886): “Prima di ogni votazione si leggeva ad alta voce l'ufficio che l'eletto doveva coprire: venuti ai Consiglieri, si dichiarò l'uno scolastico, l'altro professionale, il terzo incaricato della corrispondenza per le Missioni ”. E Don Cerruti al medesimo (12 ottobre 1886): “Una cosa che consola è il buon ordine con cui fu fatta l'elezione del Capitolo Superiore e tenuto il Capitolo Generale ”.

[116] S. AURELIO AGOSTINO Lettere XXXIII. Traduzione e dichiarazioni del sacerdote Giovanni Nespoli. Torino, Tip. Sal. 1887.

[117] L. c., pag. VI, XIV, XX, XXX, XXVI. Fra le carte di Don Nespoli fu trovato un quaderno di ricordi autobiografici, di cui la morte gl'impedì la continuazione. Lo conserva Don Fascie. Una parte specialmente è per più d'un capo così istruttiva che la pubblichiamo nell'Appendice, tanto più che vi sono disseminati elementi utili alla nostra storia (Doc. 35).

[118] Le deliberazioni in App., Doc. 36.

[119] App., Doc. 37.

[120] App., Doc. 38.

[121] App., Doc. 39.

[122] Don Filippo Rinaldi aveva partecipato soltanto alla seduta delle elezioni, come compagno del Direttore della casa di S. Giovanni Evangelista Don Marenco, avendovi egli titolo di vicedirettore.

[123] I nomi sono disposti secondo la graduatoria dei voti riportati.

[124] Così nelle Deliberazioni, al capo V,

[125] Nel volume sedicesimo (pag. 439 - 447) abbiamo pubblicato un vero trattatello sui castighi. Il manoscritto è certamente di Don Rua, ed è anche suo lo stile; ma chi parla è Don Bosco. Noi pensiamo che Don Rua abbia dato forma di circolare a un abbozzo di Don Bosco su tale argomento e che tale abbozzo fosse destinato alla preparazione dell'annunziato opuscolo. La circolare, rimasta inedita, fu da noi rinvenuta per un caso fortunato nel 1934. Senza dubbio Don Rua non avrebbe mai ardito far parlare così Don Bosco, se Don Bosco non avesse realmente così parlato.

[126] Sac. PAOLO ALBERA. Mons. Luigi Lasagna. Memorie biografiche. S. Benigno Canavese, Scuola tip. sal. 1900. Pag. 214.

[127] Hebr., XVII, 17.

[128] Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Valsalice nel settembre 1883 - 86. S. Benigno Canavese, Tip. Sal. 1887.

[129] App., Doc. 40.

[130] Il Cittadino di Brescia, 7 - 8 settembre 1886.

[131] L. c., 9 - 10 settembre.

[132] Era monsignor Giacomo Corna Pellegrini.

[133] Queste impressioni sono confermate in una lettera di Don Lazzero che li accompagnava. Scriveva infatti a monsignor Cagliero il 16 settembre 1886 da Casale Litta: “I nostri giovani attirarono la simpatia e dei maestri e di ogni altra classe di persone, in una parola di tutta Brescia; erano il gioiello di quelle grandiose feste ”.

[134] Don Bonetti redasse la lettera in nome di Don Bosco.

[135] Don Lasagna aveva scritto a monsignor Cagliero (S. Benigno, 26 agosto): “D. Bosco di salute sta come sempre: debole, cadente 2 quasi sfinito. Ciò nulla meno andrà a Milano ”.

[136] Cfr. sopra, pag. 66.

[137] Cfr. vol. XIII, pag. 614.

[138] L. c., pag. 2 16.

[139] Il Corriere di Torino, 13 settembre 1886.

[140] ALBERA, L. c., pag. 217 (App., Doc. 41). Una seconda conferenza egli fece poi a S. Marco. Infatti in novembre, Don Pasquale Morganti scrisse a Don Rua il 16 novembre 1895: “Monsignor Lasagna può dirsi il primo che abbia attizzato in questa città il fuoco pel movimento salesiano colle sue due conferenze alle Grazie ed a S. Marco ” (L. c., pag. 2 19),

[141] La Palabra di Lisbona, in un articoletto del 22 intitolato “Cura milagrosa ” diede notizia del fatto scrivendo: “A fonte d'onde extrahimos esta noticia è uma carta particular do rev. João Marques Simões, ha un anno residente em Italia ”.

[142] Le povere fanciulle dell'istituto dei ciechi gli avevano scritta una commovente lettera, pregandolo di portare o di mandare loro la sua benedizione (App., Doc. 42).

[143] Bollettino Salesiano, novembre 1886.

[144] App., Doc. 43.

[145] Corriere della sera, 122 - 13 C 13 - 14 settembre.

[146] Perseveranza, 13; Caffè 13 - 141 - Italia, 13 - 14; Pungolo, 13 - 14; Lega Lombarda, 12 - 13 e 13.

[147] Secolo, 13 - 14; Lombardia, 13; Riforma, 17.

[148] Numeri dei 12 e 15 settembre 1886.

[149] Cfr. vol. XIII, pag. 614.

[150] Unità Cattolica, 2 ottobre 1886.

[151] L'opuscolo di dieci paginette, senza indicazione di tipografia, portava per intestazione: Quid agendum? (Avvenimenti al Partito liberale).

[152] I liberali chiamavano Papa nero il Generale dei Gesuiti.

[153] In un suo Diario del 1880, edito nel 1936 dalla Nuova Antologia, il deputato d'allora Alessandro Guiccioli scriveva sotto il 22 agosto: “La Dinastia di Savoia è la sola cosa buona che ancora ci rimanga ed essi [i sovversivi] prendono di mira proprio quella ”  (N. A. 16 giugno 1936, pagina 427).

[154] App., Doc. 44, ABCDE.

[155] L'Eco d'Italia, 31 ottobre 1886. Come documento dei tempi di Don Bosco abbiamo creduto bene esumare quello scritto (App., Doc. 45). Lo riprodusse anche la Gazzetta di Catania, che allora se ne servì nella sua guerra contro i Salesiani. In Sicilia però le Letture Domenicali di Palermo (28 novembre) non solo pubblicarono la “stupenda circolare ”, ma apersero una sottoscrizione per le Missioni Salesiane. Anche in Francia una Semaine anticléricale di Nevers (II novembre) stampò un trafiletto insolente sotto il titolo “La chasse aux écus ”.

[156] Lett. a monsignor Cagliero, 28 marzo 1886.

[157] App., Doc. 46 A - B. La circolare di ottobre e le notizie della spedizione missionaria ispirarono a certi scrocconi l'idea di un tiro mariuolo alla buona fede del prossimo. Organo fu la Staffetta, notiziario settimanale di Napoli. Cadde nel tranello la Sicilia Cattolica di Palermo. Don Bosco e Don Rua agirono con una prudenza che parrebbe financo eccessiva, se la condotta dei Santi non fosse guidata sempre da sovrumana carità. Chi vuol conoscere questo audace tentativo di trufferia, legga i documenti, che parlano da sè (App., Doc. 47 A - B - C - D - E - F).

[158] Canonico Romagnoli e Don Luigi Calcagno, Casale 26 novembre 1886.

[159] L'Italia Reale di Torino del 3 aprile 1893 riferì la cosa con le parole di monsignor Lasagna, che ne aveva fatto pubblicamente il racconto.

[160] Marsiglia, 7 dicembre 1888.

[161] Lett. a Don Bosco, Marsiglia 12 dicembre 1886.

[162] A bordo del Tibet, 23 dicembre 1886.

[163] L'efficace descrizione della burrasca infernale si può leggere sul Bollettino di marzo 1887.

[164] Quattro Salesiani, due della Boca, Don Bourlot, direttore e parroco. e il coadiutore Fabrizi, e due di S. Nicolas, Don Galbusera e Don O Grady, furono colti dal contagio; ma, scriveva Don Costamagna a Don Bosco il 24 novembre, “muniti della medaglia di Don Bosco, vinsero la forza del male ”.

[165] App., Doc. 48 A - B. La lettera al signor Jackson, della quale pure conserviamo copia, dev'essere stata del pari solamente sottoscritta da Don Bosco (App., Doc. 49).

[166] Lett. di Don Riccardi a Don Bosco, Almagro (Buenos Aires) febbraio 1888.

[167] L'autografo è a Parigi presso il principe Pietro d'Orleans - Braganza, figlio della destinataria.

[168] App., Doc. So.

[169] La rivoluzione Scoppiò il 28 marzo, durò pochi giorni e fu soffocata nel sangue.

[170] A queste notizie possono servire di complemento quelle che il suo segretario Don Riccardi scrisse a Don Bosco il 12 marzo (App., Doc. 51).

[171] In luglio Don Costamagna fece a Doti Rua un'interessante relazione sopra questa casa (App., DOC. 52).

[172] A commento di queste parole serva la seguente statistica di Don Costamagna a Don Rua (12 aprile): “Sono 60 le fanciulle interne e 100 le esterne del Collegio di Maria Ausiliatrice di fronte al nostro. Sono 335 i nostri ragazzi di S. Carlo, di Cui 250 interni e gli altri in parte a mezza pensione e in parte esterni. Sono 250 le ragazze della Bocca, 100 quelle di San Isidoro, 100 quelle di Moron; 150 ragazzi alla Bocca; 100 quelli di Santa Caterina. Tutti alle scuole. Poi ci vengono gli Oratorii... Oh che cuccagna! e noi asciutti e secchi... e carichi di debiti! Poi si ha da pensare alla casa della Plata (accettata per forza di S. Giuseppe da Monsignore). Ma personale non ce n'è. Quare conturbas me? Ci raccomandi al Signore perchè teniamo dritto il timone e... o lavorare per Dio solo, o inorir tutti quanti quest'oggi stesso. Baci la mano al nostro papà ”.

[173] Lettera a Don Lemoyne, Carmen de Patagones, 14 maggio 1886.

[174] Non abbiamo trovata quella dell'Indio, ma solo due altre (App., DOC. 53 A - B).

[175] Prov., XVII, 6.

[176] Il cardinale Parocchi gli rispose così:

 

                       Ill.mo e rev.mo Monsignore,

 

                Aderendo alle brame di V. S. Rev.ma compiei sollecitamente il gradito incarico di riferire al S. Padre i felici progressi di codeste Missioni de' buoni Salesiani. Il cuore del sommo Gerarca ne fu visibilmente commosso e consolato ed ebbe parole d'encomio per la S. V. rev.ma e per tutti quelli che con zelo veramente apostolico la coadiuvano nel propagare il regno di Gesù Cristo; mentre loro impartiva l'implorata benedizione.

                Io poi nel parteciparle i sentimenti sovrani, con Lei precipuamente mi congratulo dell'operato, e disposto a quanto si può attendere dal mio ufficio di Protettore, auguro a codeste Missioni sempre maggiore incremento, in quella che a Lei, Monsignore, con profonda ed affettuosa stima bacio riverente le mani.

Di V. S. Rev.ma

 

      Roma, 23 agosto 1886                                                                                                                                         Dev.mo in G. C.

                                                                                                                                                 L. M. CARD. VICARIO

                                                                                                                                                                                         Prot. dei Sal.

[177] Per la prima volta riempì il modulo venuto da Propaganda (App., Doc. 54).

[178] App., Doc. 55.

[179] Tutta questa missione, narrata e descritta da Don Milanesio, si può leggere nel Bollettino di dicembre 1886. Sulle buone disposizioni dei Cacichi è documento la visita fatta a Monsignore dal figlio di Sayuhueque e narrata da Don Piccono (App., Doc. 56).

[180] Vi lavorò attorno specialmente Don Stefenelli, con la collaborazione di Don Milanesio e di Don Savio, sotto la sorveglianza di Monsignore. Fu spedita a Don Bosco il 20 agosto. Non s'intese di fare un lavoro scientifico, ma solamente una guida per uso e utilità dei Missionari e dare ai lontani un'idea della Missione. Non l'abbiamo ritrovata.

[181] Per il 1886 Leone XIII aveva promulgato un Giubileo straordinario.

[182] Il Cabo de, las Vírgines si trova all'imboccatura dello stretto di Magellanos, Don Beauvoir era partito per questa escursione da Santa Cruz, dove stava con Don Savio dal mese di marzo. Questi, come narrammo, vi aveva potuto andare, perchè qualificatosi per agronomo; D. Beauvoir vi era andato come cappellano del Governo.

[183] S. AGOSTINO, De bono viduitatis, 26.

[184] Infatti le aveva scritto:

 

                               Stimabilissima Signora,

 

                La sua di cambio di f. 500 mi è regolarmente pervenuta ed è pei nostri Missionari il più potente aiuto per la loro partenza per la Patagonia. Io debbo in questo momento partire per Foglizzo per vestire da chierici un centinaio di futuri Missionari.

Dopo due giorni sarò di nuovo qui e scriverò di nuovo.

                Dio benedica Lei, sua sorella, i suoi parenti ed amici. Maria ci guidi tutti per la strada del Cielo. Amen.

 

                Torino,  4 novembre 1886.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO

[185] Questo è documentato nella corrispondenza di Don Lazzero con monsignor Cagliero durante il 1885 e 86

[186] Don Cerruti scriveva a monsignor Cagliero il 12 ottobre 1886: “Certo la direzione dell'Oratorio è parte importantissima della Congregazione, e, come è adesso, non si può assolutamente andare avanti ”.

[187] Nei nostri Annuari del 1887 e 88, accanto al nome del prefetto generale Don Belmonte si legge: “Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales ”; e accanto a quello del consigliere generale Don Durando “Inca­ricato dell'uffizio di Prefetto ”.

[188] Cfr. sopra, pag. 64. Egli avrebbe potuto fare il noviziato in patria; ma non volle, perchè là, conoscendolo tutti, gli avrebbero, diceva, usati riguardi, mentre a lui piaceva più conformarsi interamente alla vita comune.

[189] lo sono l'umile ancella mandata dal Signore a guarire il tuo Ludovico infermo. Egli era già chiamato al riposo; ora invece, affinchè si manifesti in lui la gloria di Dio, avrà ancora da pensare all'anima sua e a quelle de' suoi. Io sono l'ancella, alla quale ha fatto cose grandi colui che è potente, e santo è il suo nome. Rifletti attentamente a questo e capirai quello che deve avvenire. Amen.

[190] Continuano le parole di colei, che si era detta l'ancella del Signore: - Negli altissimi cieli io ho la mia stanza, per far ricchi coloro che che amano e riempiere i loro tesori. Tesori dei giovani sono castigate parole e caste azioni. Perciò voi, ministri di Dio, alzate la voce e non stancatevi mai di gridare: Fuggite le cose contrarie, ossia i cattivi discorsi. I discorsi cattivi corrompono i buoni costumi. Coloro che hanno un parlare insensato e lubrico, assai difficilmente si correggono. Se volete farmi cosa molto gradita, procurate di tenere buone conversazioni fra voi e datevi scambievolmente esempio di ben operare. Molti di voi promettono fiori e porgono spine a me e al mio Figlio.

       Perchè fate confessioni così frequenti e il vostro cuore è sempre lontano da me? Dite e fate il bene e non il male. Io sono madre che amo i miei figli e detesto le loro colpe. Ritornerò a voi per condurre alcuni al vero riposo. Mi prenderò cura di essi come la gallina custodisce i suoi pulcini.

                E voi, artigiani, siate artefici di opere buone e non d'iniquità. I cattivi discorsi sono una peste che serpeggia in mezzo a voi. Voi, chiamati ad amministrare l'eredità del Signore, alzate la voce, non vi stancate di gridare finchè venga colui che chiamerà voi a render conto della vostra amministrazione. È mia delizia lo stare con i figliuoli degli uomini. Ma il tempo è breve; dunque, finchè tempo avete, fatevi animo.

[191] Sul noviziato salesiano di Santa Margherita a Marsiglia la Semaine religieuse di Nizza pubblicò nel primo numero di novembre un articolo, che la signora Quisard segnalò a Don Lemoyne, dicendolo scritto da Don Bosco stesso (App., Doc. 57).

[192] S. Benigno Canavese, 1886. La traduzione era del conte Prospero Balbo.

[193] Perchè l'invio sortisse migliore effetto, vi si univa per desiderio espresso da Don Bosco un bigliettino a stampa, nel quale si diceva che “nella fiducia di fare cosa utile il traduttore si prendeva la libertà di mandare copia del libretto con preghiera di un'Ave Maria secondo la sua intenzione”.

[194] Mons. BAUNARD, Le Cardinal Lavigerie. Vol. II, pag. 398.

[195] Don Ronchail fece a Don Lemoyne relazione del discorso di Marsiglia.

[196] App., Doc. 58.

[197] App., Doc. 59.

[198] Summarium, num. X, § 39.

[199] S. PAOLO, II Tim., IV, 6. L'Apostolo vuol dire che sente imminente la sua fine. Riguardando la sua morte come immolazione e alludendo alla libazione con vino poco prima dei sacrifizi, dice: Il mio sangue sarà Presto versato come libazione. Letteralmente: Io sono già offerto in libazione.

[200] Ivi, 5 e 6: L'ora del mio risolvimento è imminente Ho terminata la corsa. Cioè, la mia carriera è compiuta. Immagine della corsa nello stadio.

[201] Ivi, 7 e 8: Ho combattuto il buon combattimento (immagine della lotta nei ludi greci), ho mantenuto la fede (la fedeltà nelle prove dell'aringo). Nel resto mi sta serbata la giusta corona, la quale mi attribuirà in quel giorno il Signore, giusto giudice.

[202] Sac. A. LUCHELLI, Don Francesco Cerruti. Elogio funebre, Torino, Tip. SAID “Buona Stampa ” 1917

[203] Quanta e quale fosse la serietà de' suoi intendimenti si vide prima ancora che una votazione plebiscitaria lo confermasse nel posto assegnatogli pochi mesi avanti da Don Bosco. Nel 1886 ricorreva il XV centenario della conversione di S. Agostino. Ora egli ideò di commemorare l'avvenimento con un'accademia che si tenne a S. Giovanni Evangelista il 10 giugno. Il programma rivela la mentalità dell'uomo. La lettera d'invito, recante la firma di Don Bosco, dev'essere stata scritta da lui (App., Doc. 6o).

[204] Cfr. Unità Cattolica, 2 dicembre 1886,

[205] App., Doc. 61.

[206] Torino, 12 ottobre 1886.

[207] Erano i ricordi che si leggono in LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 524 sgg. Don Rua in una sua del 29 novembre a monsignor Cagliero: “D. Lasagna porta ai Direttori una strenna consistente in una Collana di ricordi confidenziali che il sig. D. Bosco, colla lunga sua esperienza, per loro raccolse. Sappiano tutti trarne il maggior profitto ”.

[208] Il Bollettino francese di giugno 1887 prese occasione dall'annunzio della morte di madame Levrot per fare il nome di Don Cartier come direttore della casa di Nizza, e nel numero seguente pubblicò un suo cenno necrologico sulla pia Cooperatrice.

[209] Non molto dopo la morte di Don Bosco il suo successore tornò nel refettorio comune.

[210] App., Doc. 62 ABCDEF

[211] Mandava lire 40

[212] Relazione di Don Ghione, Bollettino salesiano, ottobre 1925.

[213] App., Doc. 63.

[214] App., Doc. 64.

[215] Alla medesima per il capo d'anno il Santo aveva scritto sopra un biglietto di visita: L'abbè JEAN Bosco vous présente ses respectueux hommages, il prie et fait prier ses orphelins pour vous et à toutes vos intentions, il appelle sur vous et les vòtres les meilleures bénédictions du. ciel. 1 - 1887 ”.

[216] Cfr. vol. XVII, pag. 600 sgg.

[217] Madrid, 11 aprile 1887.

[218] Le altre quattro erano: I° Affidare la direzione delle Suore a uno dei tre Consiglieri dei Capitolo Superiore dei Salesiani. 2° Affidarla al Direttore locale della casa di Nizza. 3° Sotto la dipendenza sempre del Rettor Maggiore e del suo Vicario, la direzione generale fosse esercitata d al Capitolo Superiore salesiano, vale a dire da ciascun membro del Capitolo per quella parte che spettava già a ognuno verso i Salesiani. 4° Si ritenesse detta direzione dal Catechista generale.

[219] La Difesa, lunedì - martedì 7 - 8 febbraio 18

[220] Leonardo da Vinci, 13 febbraio 1887.

[221] Torino 28 febbraio 1887.

[222] App., Doc. 65 A - B.

[223] Cfr. voi. XVII, pag. 886.

[224] App., Doc. 66.

[225] Lett. a Don Riccardi, Torino 3o aprile 1887.

[226] Le petit Nouvelliste de l'Oratoire Saint - Léon. Bulletin triméstral, Nov. 1935

[227] Cfr. vol. XV, pag. 526 - 28.

[228] MATT., XIX, 23 - 4.

[229] Cfr. Sac. LUIGI MORI, Don Bosco a Firenze. Firenze, Libreria Salesiana editrice 1930, pag. 138 - 40.

[230] Rassegna Nazionale, I° febbraio 1915, pag. 366.

[231] Erano Don Angelo Zipoli, rettore del seminario, professore di scienze e più tardi canonico; Don Giuseppe Clacchi, proposto di Bibbiena; Don Domenico Pallotti, insegnante nel seminario; il diacono Angelo Rossi insegnante nel collegio Piano. A quest'ultimo, oggi arciprete di Capannole, dobbiamo parecchie di queste notizie.

[232] Cfr. volumi IV, pag. 419, e XIII, pag. 483.

[233] Lett. a Don Lemoyne, I° maggio 1887.

[234] Il Senatore ne pubblicò un brano nella Stampa della sera (11 dicembre 1935) e ci comunicò che il destinatario era “il cavaliere Resapieri, banchiere e amministratore, in relazione con elementi vaticani ed ecclesiastici, in quel tempo ”.

[235] Cfr. Bollettino di luglio 1887­

[236] Cfr. Unità Cattolica, I° febbraio 1888. Facendosi i funerali di Don Margotti nella chiesa di S. Secondo a Torino, si leggeva sulla porta principale questa scultoria iscrizione, dettata dal celebre letterato padre Mauro Ricci:

 

A GIACOMO MARGOTTI

CONTRO LE OCCULTE INSIDIE E LE APERTE BATTAGLIE

CON LA PAROLA ELOQUENTE E LA ELETTA DOTTRINA

DIFENSORE MAGNANIMO

DELLA CHIESA E DEL ROMANO PONTIFICATO

AL SACERDOTE INCORROTTO

SEGNACOLO PER QUARANT'ANNI

ALLE IRRISIONI DEI DISSENZIENTI

AL RIMPROVERO DEI FALSAMENTE PRUDENTI

AUGURATE PERPETUA NEL CIELO

LA TROPPO BREVE PACE GODUTA IN TERRA

DA LUI NON PIEGATOSI MAI

DINANZI A NESSUN TRIONFO DI NESSUNA MENZOGNA

 

                Dopo il 1870 la sua famosa formola Nè eletti nè elettori suscitò per molti anni molte polemiche in Italia. Parlandone con il direttore del Cittadino di Genova (Citt., 10 maggio 1887), egli disse: “Io sono soldato della Chiesa, non ho mai fatto nulla di mio capo. Quando da chi poteva gerarchicamente comandarmi mi si disse di parlare in quel modo, parlai; quando mi si disse di ritirare le mie parole, le ritirai; quando mi si ordinò nuovamente che nulla doveva essere innovato e di ritornare all'antico programma, vi ritornai. Che importa a me, soldato, se sul mio capo cade poi l'odio od il plauso? So che faccio il mio dovere in faccia a Dio, e questo basta alla mia coscienza ”.

                Fra gli autografi di Don Bosco (num. 664) vi è una sua minuta per un Album d'onore, in cui si legge: “Pei vincoli di amicizia che da più lustri mi legano al T. Margotti; in ossequio ai saldi cattolici principi da Lui intrepidamente propugnati; in unione a tanti pii, dotti personaggi che lo applaudono; in segno di umile ma profonda, incancellabile gratitudine pei benefizi compartiti a me, alle case dalla divina provvidenza a me affidate, ed ai fanciulli nelle medesime raccolti; auguro al T. M. lunghi anni di vita felice nel tempo, e la mercede dei forti nella beata eternità. Amen ”.

                Fra le lettere preparate da Don Bosco perchè fossero spedite dopo la sua morte, vi era la seguente: “Carissimo Signor Teol. Margotti, Io vi ringrazio della carità che avete fatto ai nostri orfanelli e dei sostegno e protezione data alle nostre opere. Dio vi ricompensi largamente. Io vi raccomando di continuare a portarci il vostro aiuto dopo la mia morte. O Maria, proteggete il vostro servo e guidatelo al Cielo.

 

Aff.mo amico

Sac. Gio. Bosco ”.

 

                Questa lettera fu pubblicata nell'Unità Cattolica del 2 febbraio 1888 (2° edizione).

 

[237] Il Cicerone, 8 maggio 1887. Si pubblicava il giovedì e la domenica.

[238] Il Cittadino del 9 diceva: e Destò vera meraviglia l'udire quelle voci infantili, intonate, vellutate, limpidissime ed acute così che a Genova si voleva credere non potersi trovare. Da molti si voleva sostenere che si fossero permesse questa volta le voci femminili e non erano che quelle degli allievi salesiani che echeggiavano per le ampie volte di San Lorenzo. Il maestro Dogliani, anch'egli del Collegio di Don Bosco, dirigeva l'esecuzione e aveva istruiti i cori; a lui è quindi dovuta la massima parte del merito. Chi potè assistere da vicino all'esecuzione, restò meravigliato dell'ordine, del contegno, dell'attenzione che regnava in tanta moltitudine di cantori, che tanto bene influiva anche sui professori d'orchestra, e come ognuno facesse con vera coscienza la sua parte, senza sforzo, senza smorfie, senza quella così detta espressione teatrale che in altre circostanze potè considerarsi un pregio, ma che nella casa d'orazione è al tutto fuor di luogo. Quelle vocine ingenue, fini, delicate, non mai nasali o gutturali come siamo soliti a udire purtroppo nei giovanetti cantori, vennero dette da un tale senza carattere, perchè non di donne, non di ragazzi. Sono voci di angeli, gli rispose un altro, e noi meno poetici diciamo: sono voci di buoni garzoncelli bene istruiti ed educati al sacro canto di chiesa, come sanno istruirli ed educarli i Salesiani ”. E nel numero dell'11: “Noi siamo lieti che Genova abbia potuto finalmente sentire che cosa si voglia quando si dice: educhiamo i ragazzi a cantare la musica sacra, e siamo lietissimi che l'esempio ce lo abbia fornito quell'esemplare di ogni opera buona, mandato dalla Provvidenza Divina a far rifiorire in ogni sua parte lo spirito della Chiesa di Dio che è il venerando Don Bosco ”. Ripigliando l'argomento nel numero del 23, giudicava così l'esecuzione delle Messe: “Tutte e tre le messe incontrarono il gradimento universale; quella forse che piacque di più al popolo fu quella di Haydn. Piacquero specialmente i soprani e i contralti, i quali sorpresero per l'estensione delle loro voci, la loro intonazione, la dolcezza, l'esattezza delle entrate, l'impasto e l'equilibrio delle voci, in una parola pel loro metodo di canto. Si riuscì a udire finalmente un'esecuzione artistica in chiesa, e in cui la piramide musicale apparve in tutta la sua pienezza dalla base al vertice ”.

[239] Bisogna mettere qui la particolarità narrata nel vol. XIV, pag. 575, n. 2.

[240] Un altro signore sembra che non la intendesse a quel modo. Visitando ivi Don Bosco, gli promise centomila lire, se gli otteneva una grazia dalla Madonna.

 - Mi contenterei di una tazza di caffè, gli rispose il Santo.

 - Perchè mai?

 - Perchè è meglio una tazza di caffè oggi, che centomila lire domani.

[241] Sagre Cuneesi a Don Bosco Santo. Gros Monti, Torino 1935. Pag. 2.

[242] Verbali del Cap. Sup., 12 settembre 1887.

[243] Summ. sup. virt. De fama sanctitatis, num. XIX, § 6 (teste Don Dalmazzo).

[244] Questo seppe il Cagliero dal cardinale Guarino, arcivescovo di Messina, e dalla stessa Madre Superiora, e l'attestò nei processi (Ivi, § IO).

[245] App., Doc. 67.

[246] Cfr. vol. XVII, pag. 525.

[247] Don Dalmazzo pubblicò per l'occasione un opuscoletto intitolato: Il Santuario dei Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma, monumento di riconoscenza alla memoria del Pontefice Pio IX, Roma, Tip. Sal., 1887.

[248] Fascic. I° di giugno, pag. 620.

[249] Il Cittadino di Brescia, giovedì - venerdì 11 - 12 agosto 1887. 1, 'articolo  era intitolato: Le opere di Don Bosco.

[250] La conferenza è riassunta largamente nel Bollettino francese del luglio 1887. Le notizie intorno alla dimora di Don Bosco al Sacro Cuore ci provengono dal coadiutore D'Archino nelle parti, in cui egli fu testimonio oculare.

[251] Quando morì Don Bosco, era Elemosiniere Apostolico. Scrisse allora nel suo diario: “Con D. Bosco è passato all'eternità un vero uomo di Dio, un apostolo quale era richiesto dai bisogni delle anime in questi nostri tempi ” (Mons. Vestalli, Il Card. Francesco di Paola Cassetta, pag. 467. Bergamo, Soc. Ed. S. Alessandro, 1933)

[252] App., Doc.. 68.

[253] Vol. XV, pag. 123.

[254] Famiglie di Don Emanuele Pascual e di Donna Dorotea. App., Doc. 69.

[255] Si deve a questo prolungamento l'ampio coro, voluto da Don Bosco, affinchè se con l'andare del tempo la forza delle cose avesse privato della parrocchia i Salesiani, quella parte si potesse isolare in modo da farne una cappella interna. Il che sarebbe sempre possibile, perchè è un corpo di fabbrica eretto su suolo appartenente alla Congregazione.

[256] Dono del principe Torlonia, che lo fece trasportare da una chiesa esistente già presso il suo parco in via Nomentana.

[257] Fu sostituito a un altro del marchese Vitelleschi.

[258] Il Papa aveva approvato la seguente iscrizione da incidersi sulla facciata:

 

templum sacrosancti cordis iesu

a pio ix pont. max.

solo empto inchoatum

sodales salesiani

CULTORUM EIUSDEM SS. CORDIS

studio et conlatione

erigendum

munificentia leonis xiii

et novis piorum subsidiis

fronte adstructa cultuque addito

perficiendum curarunt

anno ch. mdccclxxxvii

[259] Lett. di Don Durando a Don Riccardi, Turino 30 giugno 1887.

[260] Cfr. vol. XVII, pag. 525.

[261] Dai verbali del Comitato femminile di Marsiglia, 20 maggio 1887: L'Eglise terminée a été consacrée il y a quelques jours, et cette merveille de la puissance de Don Bosco remplit de confiance en ses ceuvres, quand on pense aux difficultés que l'on rencontre à Rome, où les dons arrivent mais où l'on n'en regoit pas: aussi Don Bosco dit - il, que cette église a été construite d'aere Gallico ”.

[262] Il coadiutore Leone Lidovani.

[263] Summ. sup. virt. num. XI, De fortitudine, § 119 (teste Don Dalmazzo).

[264] L. c., num. XIX, De pyetioso obilu, § 161 (teste Don Rua).

[265] Purg., XXXII, 102 Dante vuol dire la Roma celeste, di cui Cristo è cittadino, e quindi il paradiso.

[266] Relazione del padre, signor Maggiorino Giorcelli fabbricante. Torino, 25 agosto 1887.

[267] Propriamente, di latta. Frase in piemontese, equivalente a faccia di bronzo, detta di chi non si vergogna di nulla.

[268] Vol. XVII, pgg. 55 - 6.

[269] Gazzetta di Torino, 14 luglio 1887.

[270] App., Doc. 70.

[271] Don Fasani, prefetto nella casa di Nizza Mare, portò con un nobile indirizzo l'omaggio degli amici e dei beneficati di Francia (App., Doc. 71).

[272] Nella fausta ricorrenza dell'onomastico dell'ottimo fra i padri Bosco d. Giovanni gli antichi suoi figli in attestato di riconoscenza. Torino, Tip. sal. 1887.

[273] Bollettino Salesiano, ottobre 1887.

[274] Summ. sup. virt. Num. XVII, De donis supernis et miraculis in vita, 28 (teste Don Rua).

[275] App., Doc. 72 A - B. Sono due lettere solamente firmate da Don Bosco

[276] Torino, 10 agosto 1887.

[277] Verbali del Capitolo Superiore, 29 agosto 1887.

[278] Summ. sup. virt. Num. XI, § 36 (teste Don Piscetta).

[279] Summ. Cfr. anche Summ. del processo apostolico, pag. 790 (teste Don Piscetta).

[280] Num. XIV, De heroica fortitudine, pag. 664.

[281] Questo disse Don Rinaldi a una persona torinese ragguardevole e seria, alla quale egli soleva parlare con la confidenza di un padre; poichè la dirigeva nello spirito.

[282] Riguardo ai debiti del Sacro Cuore, l'economo Don Sala, mandato a Roma per esaminare da vicino la situazione, scoprì che ammontavano a trecentocinquanta mila lire (Verb. del Cap. Sup., 26 ottobre 1887).

[283] Summ. sup. virt. Num. XVIII, De pretioso obitu (teste Don Bar­beris).

[284] Vol. XV, pag. 666.

[285] A ben comprendere le cose che qui si dicono, nulla giova più della bellissima carta della Terra del Fuoco disegnata dal nostro Don De Agostini per la Società Editrice Internazionale.

[286] Nostra fonte principale è qui la corrispondenza dei Missionari salesiani.

[287] Lettera a Don Rua 23 e 24 agosto 1887.

[288] Il detto di lunchs e banchetti l'ho saputo per varie relazioni con comandanti di bastimenti (nota di Don Beauvoir).

[289] Una lega corrisponde a metri 5.154.

[290] Tanto per non dare nell'occhio, egli innalzava sulla sua residenza la bandiera argentina, quando passavano di là bastimenti argentini; innalzava bandiera cilena, quando vi passavano bastimenti cileni; ma fuori di questi casi manteneva inalberata la bandiera inglese. Allorchè il Governo argentino stabilì nella Terra del Fuoco un Governatore del territorio, questi, facendo a bella posta una sorpresa al missionario, lo colse col vessillo issato della Gran Bretagna, che gl'intimò di ammainare.

[291] Lett. a Don Bosco, Patagones, 12 novembre 1886.

[292] Lett. di Don Costamagna a Don Bosco, Buenos Aires 29 novembre 1886.

[293] Patagones, 12 novembre 1886.

[294] RAMON LISTA, Viaje al Pais de los Onas, pag. 74.

[295] L. CARBAJAL, Le Missioni Salesiane, 8. Benigno Canavese 1900, pag. III.

[296] Questa relazione porta la data del 2 gennaio. Comparve in tre puntate sul Bollettino di novembre e dicembre 1887 e di febbraio 1888.

[297] Patagones, 26 gennaio 1887. Fu pubblicata nel Bollettino di febbraio 1888.

[298] Il Governo Argentino solleva periodicamente pubblica protesta per questa occupazione di un territorio che esso considera appartenente alla Repubblica.

[299] S. Nicolas de los Arroyos, 12 ottobre 1886.

[300] App., Doc. 73.

[301] Puntarenas, 7 agosto 1887.

[302] App., Doc. 74­.

[303] App., Doc. 75.

[304] Era nato a Kibea, diocesi di Derry. Aveva fatto il noviziato a San Benigno nel 1882 - 83. Con lui andarono il sacerdote Don Del Turco e il coadiutore Tarable.

[305] App., Doc. 76.

[306] Aveva preso con sè un medico - chirurgo; ma questi, giunto a Chillan, in ferrovia, non si sentì in forze per intraprendere il disastroso viaggio delle Cordigliere.

[307] Corrispondenza da Buenos Aires, 8 luglio 1887, nel Corriere di Torino dell'8 agosto.

[308] Dall'ottobre 1886 il Bollettino spagnuolo si stampava nell'Oratorio. Il “bonariense ”, ridotto da prima a più modeste proporzioni, cessò di uscire nel settembre 1887.

[309] Don Lemoyne pubblicò in forma di “racconto ameno ed edificante ” Le avventure dei Missionari Salesiani in un viaggio al Chilì (Torino, Tip. sal., 1887).

[310] È la lettera pubblicata in App., Doc. 76.

[311] I monsignori Cagliero e Fagnano, Don Costamagna, i sacerdoti Cassini, Allavena, Tomatis, e il coadiutore Belmonte.

[312] Don Antonio Ferrero, chierico Fortunato Griffa e coadiutore Giuseppe Audisio.

[313] Dal 1928 Si chiama Magallanes.

[314] Actas de la Sociedad Cientifica de Chile, tomo VII, pag. 158 in nota.

[315] I miei viaggi nella Terra del Fuoco, pag. 9 in nota. S.E.I.

[316] App., Doc. 77.

[317] Lettera di Don Rabagliati a Don Bosco, Concepción 22 maggio 1887.

[318] Gli altri cinque erano i sacerdoti Don Scavini e Don Daniele, i chierici Amerio e Burzio e un coadiutore.

[319] La descrizione si può leggere nel Bollettino di luglio 1887.

[320] Lett. a Don Bosco, 25 marzo 1887.

[321] Lett. di Don Rabagliati, 22 maggio 1887.

[322] Lett. a Don Lazzero, Patagones, 19 agosto 1887.

[323] Articolo del signor Mendez in un numero di gennaio della Libertad Catolica. Egli scrisse pure il diario del viaggio; una sua parente nel Diario Ilustrado del 10 giugno 1930 pubblicò la parte che si riferisce al 7 dicembre.

[324] Lett. Concepción 24 dicembre 1887.

[325] Nel 1903 uscì a Sarrià una bella vitina (DIEGO DE CASTRO, Biografia de Don Camillo Ortúzar, P.bro de la Ma Societad de San Francisco da Sales).

[326] App., DOC. 78 A - B - C.

[327] Cfr. sopra, pag. 402, n. 2.

[328] App., Doc. 79 A - B.

[329] Cfr. vol. XVI, pgg. 224 - 25.

[330] Viveva a Torino, ma era di Castellazzo Bormida. Morì nel 1897. Godettero grande popolarità, fra gli altri suoi libri, I mesi dell'anno, L'uomo e l'universo, Cento racconti di Storia Sacra.

[331] App., Doc. 80.

[332] App., Doc. 8 1.

[333] Lettere dell'Arcivescovo a Don Bosco, Roma 20 e 26 gennaio, e Parigi 16, 17, 25 febbraio 1887.

[334] Oltre al Direttore, i sacerdoti Don Fusarini, Don Santinelli e Don Mattana, due chierici e due coadiutori.

[335] App., Doc. 82.

[336] Questo particolare si legge in una biografia di Don Calcagno manoscritta, controllata dal suo compagno di viaggio Don Fusarini e conservata nei nostri archivi.

[337] L'originale è nell'archivio arcivescovile di Quito.

[338] App., Doc. 83.

[339] Cfr. vol. XV, pag. 302.

[340] Lett. a Don Durando, Parma 6 giugno 1887.

[341] Abbiamo rinvenuto fra gli autografi di Don Bosco (arch., num. 966) una minuta di una convenzione completa fra lui e la Marchesa per la fondazione di un orfanotrofio in Parma. Non c'è traccia di data; ma deve risalire al 1876. Sebbene la cosa non abbia avuto effetto, tuttavia essendo il documento scritto da Don Bosco e da lui tempestato di correzioni, giudichiamo utile pubblicarlo nell'App. (Doc. 84).

[342] Cfr. vol. XVII, pag. 583.

[343] Ivi, pag. 825.

[344] Cfr. vol. XVII, pag. - 348.

[345] Fu stampato che egli accettò l'ospitalità nell'Oratorio; ma quest'asserzione è inconciliabile con quello che scrisse il 25 marzo 1888 a Don Rua. Dovendosi recare a Roma, lo pregava d'indicargli un buon albergo in Torino, perchè nell'altro viaggio non era rimasto contento di quello scelto.

[346] App., Doc. 8 5.

[347] Liegi, 2 gennaio 1888.

[348] Liegi, 21 gennaio 1888.

[349] Liegi, 25 marzo 1888.

[350] Lett. a Don Rua, Liegi 8 aprile 1889.

[351] Liegi, 15 maggio 1890

[352] Barbara PazdernÍkovÁ, Krestanskè (L'opera della carità cristiana). Praga, 1882.

[353] Il titolo è identico al precedente. Il volumetto ha dieci pagine in più.

[354] An. I, num. 9 (1884).

[355] Prarskè veceruí noviuy (Il giornale della sera), 25 gennaio e 8 febbraio 1888; Lidové lisky (Il Foglio popolare) dell’ aprile.

[356] Uscì a puntate nel Vlast, ann. 1888 - 9.

[357] Cesley lidumil a apostol mládeze P. Klement Petr (Un czeco filantropo ed apostolo della gioventù K. P.). Nella collezione Tivotem (Attraverso la vita).

[358] App., Doc. 86.

[359] La Contessa non ebbe prole. Il titolo di Bodenham e le terre passarono al conte Lubienski, grande ammiratore di Don Bosco e buon cooperatore.

[360] Cfr. vol. XVII, pag. 179.

[361] La lettera, redatta in inglese da Don Redahan e firmata da Don Bosco, si conserva negli archivi del collegio S. Pietro, Bearsden, Glasgow. App., Doc. 87 A - B.

[362] Pron. Báttersi.

[363] Londra, 29 novembre 1881., Non sappiamo bene se a Don Rua o al conte Cays, mancando qualsiasi indicazione.

[364] App., Doc. 88. Il documento è importante perchè contiene la storia dei precedenti. Le aggiunte e modificazioni di Don Rua sono da noi stampate in corsivo.

[365] In Catholic Press del 29 settembre.

[366] Lettere di Don Dalmazzo a Don Bosco, Londra 15 e 21 ottobre 1887.

[367] Pron. Mési con la s aspra come in .

[368] Lett. a Don Rua, Londra 22 novembre 1887.

[369] Vol. XVII, pag. 524.

[370] Londra, 22 novembre 1887.

[371] Lett. cit.

[372] Lettera a Don Rua, Londra 27 dicembre 1887.

[373] Evreux, 7 giugno 1882.

[374] Evreux, 4 giugno 1883.

[375] Cfr. Bollettino francese di novembre 1887.

[376] La Gazzetta Operaia, 15 ottobre 1887.

[377] L'Union Maluine et Dinannaise di St - Malo - Dinan, 23 ottobre 1887.

[378] Cfr. sopra, pag. 381.

[379] Cfr. vol. - XVII, pag. 508.

[380] Diamo in Appendice (Doc. 89) una nota importante di Don Lemoyne sopra alcune vicende occorse in seguito a Don Augusto con la sua famiglia.

[381] Con quanta simpatia si guardasse già ai Salesiani da importanti ambienti polacchi, si scorge da una lettera del gesuita Ladislao Czencz, redattore della Pedakcya Missyi Katolikich di Cracovia, il quale prometteva a Don Bosco di fare propaganda delle opere salesiane (App., Doc. 90).

[382] Lett. a Don Rua. Torino 4 febbraio 1888.

[383] La signora Broquier lo ringraziò il 20 dicembre nell'invio degli auguri natalizi: Merci, mon Père, de quelques lignes affectueuses que vous avez eu la bonté de m'écrire ce mois dernier. Je vous en suis bien reconnaissante, sachant combien vous étes affaibli et combien votre temps est précieux ”.

[384] La Contessa di Camburzano gli scrisse una lettera che documenta l'affettuoso interessamento della buona nobiltà torinese verso la sua persona (App., Doc. 91).

[385] Lett. 5 dicembre 18, 87.

[386] App., Doc. 92.

[387] Circolare di Don Rua alle case, 26 dicembre 1887.

[388] Questa lettera è nell'archivio ispettoriale a Roma.

[389] App., Doc. 93.

[390] Cfr. vol. XV, capo XIX. Il 28 dicembre l'abate Engrand scrisse al segretario di Don Rua: Mademoiselle Louvet d'Aire me charge de faire parvenir à Dom Rua l'expression de sa profonde douleux dans les circonstances présentes. Dom Bosco la traitait en privilégiée et che est affligée comme une enfant qui perd son Père ”.

[391] Summ. Pag. 907.

[392] App., Doc. 94.

[393] Cfr. vol. XVII, pag. 651.

[394] Rispondendo a una lettera di condoglianza scrittale da Don Rua, la figlia del sig. Josse diceva (2 5 gennaio 1888): Vous nous demandez, mon Révérend Père, si nous continnerons à nous occuper de votre belle (Euvre. C'est pour nous un devoir et un véritable bonheur. Nous serons heureuses et fières de continuer la douce tâche que s'était imposée mon Père et de prouver à Dom Bosco notre filiale affection en recueillant pour ses chers orphelins le plus qu'il nous sera possible ”.

[395] Cfr. sopra, pag. 464.

[396] Unità Cattolica, 29 dicembre 1887.

[397] Circolare di Don Rua, 30 dicembre 1887.

[398] Cfr. vol. XV, pag. 308 - 316.

[399] App., Doc. 95.

[400] Veramente i giorni erano diciotto. Ma prima del 21 dicembre sì alzava tardi e si coricava presto.

[401] Cfr. vol. XVII, pag. 525.

[402] Anche per la vestizione dei chierici di Foglizzo Don Augusto aveva aiutato a sostenere le spese. Al panno si era provveduto con cinque mila franchi del conte Colle (cfr. vol. XVI, pag. 723, lett. 76); Don Augusto pensò alla manifattura, come appare da questa letterina scritta da lui due giorni prima di mettersi a letto.

 

Car.mo D. Barberis,

 

Eccoti qua la nota che il nostro provveditore Rossi Giuseppe mi ha presentato, delle spese sostenute per la vestizione dei nostri Chierici. Tu la rimetterai al Sig. Principe Augusto Czartoryski, che salderà ciò che la carità del suo cuore gli inspira.

 

Torino, Oratorio 15 - 12 - 87.

 

Tuo aff.mo in G. C.

  Sac. GIO. BOSCO

[403] Lett. a Don Rua, Roma 23 gennaio 1888.

[404] Nel Bollettino italiano e francese del dicembre 1887 si leggeva la relazione di una visita fatta da monsignor Cagliero al collegio di S. Nicolas e alla colonia italiana dei dintorni. La lettera allude a un passo di quella relazione. Monsignore, vedendo colà una turba di ragazzi, ragazze e bimbi domandava ai genitori se potesse sperare che almeno qualcuno di quegli angioletti sarebbe poi regalato a Don Bosco. - Che dice mai, Monsignore? rispondevano quei buoni cristiani. - Non alcuni, ma tutti; e se il Signore ce ne desse il doppio, tutti vogliamo offrirli a Don Bosco e a Maria Ausiliatrice.

[405] Proc. ap., Summ., pag. 490 e 493.

[406] Durante quest'ultima settimana venne a Torino dal Belgio per consultare Don Bosco sulla Comunione frequente l'abate Temmerman, che non gli potè parlare, ma intese da Don Rua quali fossero le idee di lui sull'argomento. L'abate, durante il Congresso Eucaristico di Anversa nell'agosto 1890, dinanzi un'assemblea di sacerdoti, il giorno 20 riferì l'esito di quel colloquio, come si legge nella sua conferenza pubblicata negli Atti. Sono pagine interessanti (App., Doc. 96).

[407] Erano: I. Cerri Bernardo. - 2. Olivazzo Pietro. - 3. Bressan Gioachino. - 4. Magrinelli Fiorenzo. - S. Orsi Pietro. - 6. Pacchioni Giovanni.

[408] Don Berto nei giorni precedenti aveva avuto la consolazione di sentirsi dire dalle sue labbra: - Tu sarai sempre il mio caro D. Berto.

[409] Don Viglietti, più morto che vivo, ebbe allora ordine di ritirarsi. Andò a riposare presso i parenti, anche per essere curato dal dottor Vignolo, suo zio. Don Rua incaricò Don Bonetti di continuare il diario, raccogliendo almeno le memorie più importanti. Don Lemoyne narra una cosa ben singolare. L'orologio sul campanile della chiesa interna di S. Francesco si era fermato fin dal 1865 e le lance stettero ferme per più anni sulle quattro e venti. Don Lemoyne aveva preso nota dell'ora, pensandosi che potesse avere rapporto con l'ora, in cui l'attività di Don Bosco sarebbe stata arrestata dalla morte. Parecchi anni dopo le sfere si mossero, perchè i giovani esterni, salendo sul campanile, avevano fatto girare le ruote per divertimento. Don Lemoyne però con quell'idea fissa in testa il mattino della morte di Don Bosco andò a osservare l'orologio. Con suo grande stupore vide che dopo tanti rivolgimenti le lance erano ritornate sulle quattro e venti.

[410] I Salesiani d'America vissero per un mese in dolorosa incertezza. Il telegramma era stato spedito all'Arcivescovo di Buenos Aires. Diceva: “Bosco morto, Rua successore. Cagliero ”. Costò circa centoventi lire; ma non giunse a destinazione. L'agenzia Havas lo comunicò sotto suo nome ai giornali. Si dubitò che ci fosse stata frode. Potè anche darsi che l'Arcivescovo fosse assente e che i segretari, non pensando all'importanza di trasmetterglielo subito, se ne dimenticassero poi e quello andasse smarrito.

[411] Quest'ultimo periodo venne soppresso nella traduzione francese.

[412] App., Doc. 97

[413] Quel tal Giustina, del quale dovemmo più volte rintuzzare ingiurie e calunnie vi scrisse “E. A. Giustina direttore Cronaca dei tribunali, memore di essere stato discepolo di un uomo che ha sempre profondamente e since­ramente rispettato ”. Parole che non risponderebbero al vero, se non le s’intendessero nel senso di doverosa ritrattazione. Scrisse un curioso articolo nel suo periodico (4 febbraio). Dobbiamo anche aggiungere che da qualche anno non solo aveva smesso i suoi attacchi, ma aveva fatto conoscere a Don Bosco stesso il rincrescimento del suo prossimo passato. Il poverino si era venduto agli Ebrei.

[414] Lo storico Cesare Cantù scrisse a Don Rua:

 

Rev. Signore,

 

Dopo aver per 40 anni ammirato in D. Giovanni Bosco l'inesauribile carità, il retto senso evangelico, l'inalterabile pazienza, non mi resta che pregarlo, perchè in cielo mi impetri di morire con altrettanta fede e speranza.

 

Il giorno della Purificazione 1888. Milano.

CESARE CANTU'

 

È utile riportare in Appendice almeno un saggio delle lettere di condoglianza (Doc. 98 A - Z). Chi l'aveva incontrato o veduto, amava farne menzione come di una grande fortuna. È una documentazione preziosa per la piena conoscenza del nostro Santo (App., Doc. 99).

[415] '1 Falabràch, 5 febbraio 1888: “Me car Botero, l'è propi vera che vnisend yei ass perd 'l mei e stavolta per fè trop zelo l'evi propi sbagliala ”. Bene l'Unità Cattolica del 3 febbraio: “Gli uomini onesti hanno per massima di tacere di quelle persone, di cui non si può parlar bene; i veri massoni preferiscono di serbare il silenzio su quelle persone, di cui non possono dir male. ”.

[416] Lett. di Bona a Don Rua, 2 febbraio 1888.

[417] App., Doc. 100

[418] Il Corriere Nazionale del 3 febbraio.

[419] Per l'ordine, cfr. App., Doc. 101.

[420] Il cardinale Alimonda la sera del 31 gennaio aveva telegrafato da Genova il suo vivissimo desiderio di recarsi subito a Torino; ma confessava insieme l'impossibilità che le condizioni del suo animo angosciato per la perdita del caro amico gli permettessero di presiedere alla sepoltura.

[421] Proc. op., Summ., pag. 1032.

[422] Questo zelante apostolo dei Moretti e delle Morette aveva chiuso i suoi occhi nella Piccola Casa del Cottolengo.

[423] App., Doc. 102.

[424] Quado il Santo preparò questa lettera, Don Rua non era ancora Vicario con diritto di successione.

[425] App., Doc., 103 A - P.

[426] Eccl. XLIV. 13 - 5

[427] Il 2 gennaio 1891 l'Arcivescovo di Parigi, ricevendo il suo clero per l'omaggio augurale del nuovo anno, quando fu il turno di Don Ronchail, lo abbracciò dicendo: - Ecco qui il superiore della casa del santo Don Bosco. La Chiesa non l'ha ancora proclamato, ma lo farà. - (Lett. di Don Ronchail a Don Belmonte, Parigi 8 gennaio 1891).

[428] Memorie biografiche, vol. VI, Pag. 776

[429] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VI, pag. 247 e 262.

[430] Suor Filomena, eletta poi Vicaria della Casa Madre, ivi morì il 6 aprile 1905.

[431] Il fatto fu anche pubblicato a Roma dall'orionista Don Garbarino sul Bollettino parrocchiale d'Ognissanti, nel numero di dicembre 1926.

[432] Del miracolo la Curia locale fece regolare processo; ma non si sa dove siano andati a finire gli atti.

[433] Vol. XVII, capo X, pag. 273 - 284. Si sopprimano ivi le ultime due righe del capo a pag. 284, dove è occorsa una svista, e si modifichi così la riga precedente: a continuare nella carica dopo terminato il primo periodo.

[434] I nomi delle Case si succedono secondo l'ordine cronologico della loro fondazione, partendo dalle più antiche.

[435] App., Doc. 104.

[436] Al cardinale Ferrieri, morto il 13 gennaio 1887, era succeduto come Prefetto dei Vescovi e Regolari il cardinale Masotti, che da Segretario della stessa Congregazione erasi mostrato abbastanza benevolo a Don Bosco. In qualche luogo fra i Cardinali più officiati da monsignor Manacorda si fa il nome anche del Bartolini; ma egli era morto dal 2 ottobre 1887

[437] Di questo caro Vescovo Don Lemoyne riferisce le seguenti parole, da lui pronunziate nell'Ospizio di S. Giovanni Evangelista e attestate da monsignor Leto, da Don Notario, da Don Brunelli e da altri: “Don Bosco mi voleva bene e io l'ho sempre amato come un padre e sono felice di essere stato lo strumento per superare le difficoltà gravissime che incontrava l'approvazione della sua Regola e d'esservi riuscito. Quanto sarebbe per me bello farmi il promotore della sua causa e morire con la reliquia del Beato Giovanni Bosco sul petto! ”.

[438] App., Doc. 105.

[439] App., Doc. 106.

[440] App., Doc. 107.

[441] Anche il fratello Francesco, scrivendo a Don Rua dalla Francia il 2 febbraio, ricordava con accoramento l'amicizia di Don Bosco per la sua famiglia. La morte dell'amato Don Bosco è per i De Maistre una grave perdita, perchè l'amicizia di quel santo uomo era un impareggiabile tesoro, del quale tutti di casa godevamo immensamente. Nelle prove che alla Divina Provvidenza piaceva mandarci, una riga, una parola di Don Bosco era sempre di sommo conforto ai nostri cuori addolorati ” .

[442] Cfr. vol. XVI, pag. 423.

[443] Questo funerale fu celebrato il 15 febbraio. Rappresentante di Don Rua era l'economo generale Don Sala.

[444] Cfr. vol. XVI, pag. 278.

[445] Cfr. vol. XVII, pag. 596 sgg.

[446] Lettera di Don Riccardi a Don Lazzero, Roma 22 marzo 1888 (App., Doc. 108).

[447] PS. CXVIII (CXVII), 23.

 

 

ERRATA - CORRIGE

 

Nel volume XVII:

       A pag. 138, linea 29, a Passionisti sostituire Redentoristi.

       A pag. 162 - 3, linee ultima e prima, a nella chiesa di Crea presso Casale, appartenente ai religiosi di S. Tommaso, sostituire In una chiesa sopra una tomba.

A pag. 648 in nota, non chiesa, ma cappella.

                Nel vol. XV, il capoverso che comincia Un secondo va modificato così: Un altro sogno, narrato da Don Bosco il 2 luglio 1885, gli aveva dischiuso l'avvenire delle suo Missioni. Ne scrisse così al Conte Il 10 agosto di quell'anno... Dopo la citazione, sopprimere tutto il periodo fino a interprete. Dopo la seconda citazione, sopprimere l'ultimo periodetto.

[448] Cfr. vol. XVII, pag. 646.

[449] J'étais présent à cette scène qui se passait, près du parloir, au pied de grand escalier.

[450] Expression coutumière de madame de Sévigné.

[451] Le carré est composé de quatre séminaristes qui se partagent le ser­vice des quatre tables.

[452] Actuellement curé de Corbas (Isère).

[453] Actuellement curé de Freyzin (Isère).

[454] Actuellement curé-archiprêtre de Vinay (Isère) et Chanoine honoraire.

[455] Bènna, voce piemontese, “capanna ”. Fé la bénna si dice dei polli che hanno i frasconi, cioè trascinano le ali per debolezza e crocchiano; quindi semplicemente “crocchiare ”. Figuratamente, “essere malazzato ”. Anche in italiano “crocchiare ” significa “essere cagionevole ”.

[456] Don Nespoli, destinato nel 1885 a insegnare letteratura nello studentato dei chierici a S. Benigno, partendo da Alassio, si fermò alcuni giorni à Sampierdarena, dove prese a scrivere le sue Memorie autobiografiche, rimaste poi in tronco.

[457] Dopo la morte del padre era andato a stare presso i parenti di sua madre, a Crerunago.

[458] Era prefetto esterno.

[459] Era nativo di Arosio in Brianza.

[460] Allora i chierici facevano il noviziato e lo studentato nell'Oratorio.

[461] Direttore degli studi, come allora si diceva il consigliere scolastico.

[462] Dotto benedettino francese. Forse qui si allude alla sua Storia del l'Antico e del Nuovo Testamento.

[463] Qui termina il manoscritto.

[464] Alle falde delle Cordigliere.

[465] Don Rua scriveva a monsignore il 31 luglio: “Anche il Superiore della Gran Certosa di Grenoblè ha dato un soccorso a Don Bosco in vista delle nostre Missioni. D. Bosco desidera che tu scrivendo qualche lettera faccia sentire che coll'aiuto della generosità dei Certosini avete potuto intraprendere qualche opera ed estendere maggiormente la vostra sfera d'azione. È per tale soccorso, che gli hanno dato, che io posso scriverti che in caso di bisogno puoi imitare D. Fagnano traendo altra cambiale ” . Questo cambio di Don Fagnano era di diecimila lire.

[466] Di Comacchio. Nel 1894 se ne accettò la direzione.

[467] Questo venne aperto ai primi di ottobre del 1899.

[468] La circolare missionaria del 4 novembre.

[469] Era Cameriere di Spada e Cappa.

[470] Don Rua gli aveva mandato: I° Il Giovane Provveduto, segnandovi l'istruzione sulla Comunione frequente. - 2° Il Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales, indicando quello che vi si legge della frequenza dei Sacramenti nell'Appendice sul sistema preventivo (nn. IV e VIII). L'abate dà in nota i passi tradotti in francese.

[471] Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 359 - 363, 502, 548, 675, 695, 731.

[472] Don Massimiliano Franzini, segretario di S. E.

[473] S. Em. era di Piovà, circondario d'Asti.

[474] A questa lettera faceva seguito, due giorni dopo, un biglietto, recato dalla signora damigella Antonia, sorella a S. E. Rev.ma, con le seguenti parole anche di pugno dell'istesso Rev.mo Mons. Celestino Fissore, Arcivescovo di Vercelli: “Al Rev.mo signor D. Rua Michele, Vicario della Congregazione Salesiana, in soccorso dei bisogni che questa possa avere nella dolorosa circostanza della perdita dell'egregio suo fondatore Don Giovanni Bosco, offre l'obolo suo in lire 1000. Lire mille ”, Monsignore era fratello del dottor Fissore, che con esemplarismo disinteresse aveva prestato l'opera sua nell'ultima malattia di Don Bosco.

[475] Fu l'8, non l'II (cfr. vol. XV, pag. 361).

[476] Cfr. sopra, pag. 826.

[477] Per ben comprendere il valore di temere, qui e nei ricordi del 1875 ai Missionari (amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi ”), bisogna mettere questo verbo in rapporto con la frase aver tema, propria del dialetto piemontese popolaresco, quando si parla del timore riverenziale che tiri subalterno qualunque deve avere di fronte, a chi è da più di lui.

[478] Le parole chiuse fra parentesi sono una glossa di Don Rua. Le cose difatto dimenticate non si possono richiamare; ma qui s'intende di cose che si è stabilito di non voler più ricordare.

[479] Sopra un biglietto trovate nel Breviario del Servo di Dio (Nota, del segretario).




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