Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco

 

raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne

 

(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)

 

Vol. VII, Ed. 1909, 905 p.

 

 

 

PROTESTA DELL'AUTORE

 

                Conformandomi ai decreti di Urbano VIII, del 13 marzo 1625 e del 5 giugno 1631, come ancora ai decreti della Sacra Congregazione dei Riti, dichiaro solennemente che, salvo i domini, le dottrine e tutto ciò che la Santa Romana Chiesa ha definito, in tutt'altro che riguardi miracoli, apparizioni e Santi non ancora canonizzati, non intendo di prestare, nè richiedere altra fede che l'umana. In nessun modo voglio, prevenire il giudizio della Sede Apostolica, della quale mi professo e mi glorio di essere figlio obbedientissimo.

 

 

CAPO I. 1862 Guarigione di D. Bosco - Le strenne della Madonna ai giovani dell'Oratorio - Un registro che può spiegare un fatto sorprendente - Una curiosità delusa - Consegna delle strenne e loro effetto - Tenore di alcune strenne - Due testimonianze.

 

                Gloria filiorum, patres eorum: Nostra gloria, D. Giovanni Bosco! Giorno memorabile il 24 luglio 1907, nel quale la Santa Madre Chiesa lo ha dichiarato VENERABILE SERVO DI DIO! Egli, il servo buono e fedele, che ha saputo trafficare i talenti a lui consegnati. I suoi pensieri, i suoi affetti erano all'unissono con quelli del suo Signore, del quale sta scritto ne' libri sacri: Misericordiam et veritatem diligit Deus. Infatti tutte le opere di D. Bosco furono misericordia e verità, non quali piacciono al mondo, ma tali da meritarsi il premio eterno. “Se piacessi agli uomini, così San Paolo ai Galati, non sarei servo di Cristo”. Ed è questo il ricordo che infinite volte D. Bosco ripeteva ai suoi alunni colle parole di Tobia: - Servite di cuor verace il Signore e studiatevi di fare quello che piace a lui.

                Ciò premesso, torniamo a rivedere il nostro Venerabile in atto di dar prova di ciò che abbiamo asserito, notando, a nostro modo di giudicare, come quel Dio che ama la verità, svelasse a lui gli ignoti e occulti misteri di sua sapienza. [2] Sul fine del sesto volume di queste Memorie abbiamo scritto, che dopo le feste Natalizie, egli, infermo di risipola, aveva per alcuni giorni tenuto il letto. Alzatosi però il 31 dicembre, alla sera, contro il parere di tutti, che temevano una recrudescenza del male, era sceso nel parlatorio per salutare tutti i suoi cari giovani ivi radunati e porgere loro consigli per l'anno 1862 come strenna generale. Nello stesso tempo aveva promesso di dare a ciascuno di essi, il domani, un'altra strenna particolare, meravigliosa, straordinaria.

                Spuntò il primo gennaio 1862, e, ciò che in questo giorno accadde lo raccogliamo dalle cronache di D. Ruffino e di D. Bonetti, le quali vanno intieramente d'accordo.

                “Al suono della levata, ovvero dell'Ave Maria, D. Bosco ricevette il comando (ciò asserì egli stesso, ma non volle dire da chi) di andare immediatamente in chiesa a celebrare la santa Messa. Così fece. Dopo venne in refettorio a prendere il caffè: andò pure a pranzo cogli altri; e certo della guarigione mandò via tutte le medicine e licenziò il medico.

                Non si può descrivere la commozione, cagionata dalla promessa di D. Bosco, che intanto agitava tutti i giovanetti. Con quale impazienza passarono la notte dal 31 dicembre al primo gennaio, ed il giorno seguente! Con quale ansietà aspettarono la sera per udire quanto loro avrebbe detto il buon padre!

                Finalmente dopo le orazioni i giovani in silenzio profondo attesero D. Bosco, il quale salita la cattedra svelò il mistero e disse: - la strenna che vi dò non è mia. Che direste se la Madonna stessa in persona venisse ad uno per uno di voi a dirvi una parola? Se Ella avesse preparato per ciascuno un suo biglietto per indicargli ciò di cui egli più abbisogna, o quello che Essa vuole da lui? Ebbene, la cosa è appunto cosi. La Madonna dà a ciascuno una strenna!

                Prima di tutto però io voglio mettervi alcune condizioni. La prima si è che non si divulghi il fatto fuori di casa, perchè [3] io potrei essere compromesso; la seconda è questa: chi vuole credervi vi creda: se poi qualcuno non vuole credere, stracci il suo biglietto e non ci dia retta: ma non se ne burli per niente, si guardi dal metterlo in ridicolo.

                Veggo che alcuno vorrà sapere e domanderà: - Come è avvenuto questo? La Madonna ha scritto essa i biglietti? La Madonna in persona ha parlato a D. Bosco? D. Bosco è il segretario della Madonna ? - Io rispondo: non vi dico niente di più di ciò che vi ho detto. I biglietti gli ho scritti io, ma come ciò sia avvenuto non lo posso dire: nè vi sia alcuno che si prenda l'incarico d'interrogarmi, perchè mi metterebbe negli imbrogli. Ciascuno si contenti di sapere che il biglietto viene dalla Madonna.

                È una cosa singolare! Sono più anni che domando questa grazia e finalmente l'ho ottenuta. Ognuno di voi perciò consideri quell'avviso come se procedesse dalla bocca stessa di Maria Vergine.

                Venite dunque in mia camera e darò a ciascuno il proprio biglietto. Mi raccomando che ciascuno legga il suo, lo comunichi anche ad un suo amico, lo stracci anche, se vuole, dopo d'averlo letto, ma si prenda guardia dal metterlo in burla.

                Tuttavia vi esorto a conservarlo con gran cura, perchè io non ne posso tener copia. Vi assicuro che neanche io so quel che vi è scritto su ogni singolo biglietto e quale appartenga ad ognuno di voi in particolare. Io li ho scritti sovra ad un quaderno; accanto al biglietto avvi il nome di ciaschedun giovane; taglio il biglietto e non tengo altro che i nomi, dimodochè chi lo perde o dimentica tutto è finito, nessuno ne sa più nulla. Siccome la cosa è molto lunga, così in questa sera potranno passare in mia camera tutti i preti, i chierici, ed anche i filosofi secolari. Dormite bene”. -

                I chierici, i preti, i salesiani laici accompagnarono Don Bosco in sua camera ed ebbero, parte la stessa sera, parte nella seguente, le primizie di quelle strenne preziose. D. Bonetti [4] ricevuto il listino di carta a lui intestato, lesse: Accresci il numero de' miei figli. - Tosto trascrisse nella sua cronaca tale raccomandazione e vi aggiunse: - “Voi intanto, dolcissima Mamma mia, che mi deste un sì caro consiglio, datemi pure i mezzi per metterlo in esecuzione, e fate che io accresca veramente questo bel numero, ma che vi sia io pure compreso. - 2 - 1862”.

                Ma che cosa era dunque succeduto in quella notte memorabile? Che cosa aveva visto D. Bosco?

                Il quaderno cui D. Bosco accennava, che si conserva negli archivii e noi attentamente abbiamo esaminato, consiste in un grosso e vecchio registro in foglio, ossia centone di sue memorie autografe senza ordine. In primo luogo vi sono qua e là notate le pattuite rette mensili già soddisfatte; e le somme sborsate ai creditori dell'Oratorio nel 1853, 1854 e 1855. Poi si leggono i voti che molti ricoverati meritarono per studio, profitto nell'arte e condotta in varii anni, e i motivi pei quali alcuni furono licenziati dalla Casa. Vi è l'elenco dei nomi degli alunni, anno per anno, che furono nell'Oratorio dal 1853 al 1858, e mancano interamente quelli degli accettati dal 1859 al 1862.

                Ora, esaminando il complesso di questo registro, si può ragionevolmente riprodurre ciò che accadde e che da Don Bosco non si potè sapere. Egli si trovava seduto al tavolino prima della mezzanotte, quando un'improvvisa apparizione e un comando gli fece dar di piglio in fretta al primo quaderno che gli venne alla mano. Quindi scrisse sotto dettato currenti calamo il nome di tutti i giovani e di tutte le altre persone, che si trovavano nell'Oratorio, ma senza alcun ordine alfabetico. A mano a mano che era scritto un nome, scriveva la strenna corrispondente che gli veniva suggerita: nome e strenna erano contenuti sempre in una sola riga. Tali righe occuparono un venti e più fogli da una sola parte, e a salti, perchè alcune pagine erano già interamente, ovvero per [5] metà ingombre. Sono 573 sentenze, o motti od avvisi, che si vogliano chiamare, intorno a cosa da praticarsi, o da fuggirsi, precisi, diversi, adattati al bisogno di ciascheduno; incoraggiamento ai buoni, rimproveri ai cattivi o ai trascurati. È  un lavoro non indifferente, e diremmo una cosa impossibile in una notte, pensare avvisi singolari e così a proposito. Si comprende che se la sua mano scriveva, un'altra era la mente che dettava. Infatti, come vedrassi, certe strenne svelarono segreti da far meditare coloro che le ricevettero.

                Un caso strano accadde in quei giorni. Come D. Bosco ebbe annunziato che aveva una strenna così sorprendente da distribuire, dall'annunzio alla distribuzione completa passò qualche giorno. Quindi due giovani discoli (cosi narrò più volte D. Bosco) congiurarono di andare nella camera del Superiore, quando esso ne fosse uscito, per involargli il quaderno, osservare se nulla vi fosse sul loro conto, o almeno per leggere le strenne prima che fossero distribuite. Erano spinti da un po' di malignità, o curiosità, o desiderio di mettere in burla i compagni, conosciuti i loro segreti. E tanto fecero che riuscirono ad avere in mano quel quaderno. Avidamente voltarono e rivoltarono le pagine, ma con loro sorpresa le videro tutte bianche: perciò riposero il quaderno al suo posto, senza aver potuto scoprire proprio nulla. Don Bosco narrò poi a tutti i giovani radunati come quei due curiosi fossero stati puniti da Dio, D. Berto Gioachino, anni dopo, udì confermare eziandio la stessa cosa, dalla sua bocca.

                I giovani intanto si affrettavano ad affollarsi, con una certa qual ansietà, sulla porta della camera di D. Bosco, per ricevere il proprio biglietto.

                Grandissima fu l'impressione che destò questa strenna e il bene che produsse non si può immaginare, In quei giorni, chi era fuori di sè dalla gioia, chi era pensieroso, chi piangeva, chi se ne stava solitario. Qualcuno fece vedere la propria strenna ai compagni, ma altri la tennero gelosamente nascosta. [6]

                Il Chierico Ruffino Domenico si diede premura di raccogliere quel maggior numero di biglietti che potè per tracopiarli e tenerne memoria: e 48 si arresero alle sue preghiere. Gli altri 525, fatta una piccola eccezione, che diremo più sotto, o non furono richiesti, o tennero per sè il misterioso biglietto; e sicuramente fra questi vi erano i più caratteristici, i più chiari, o per profezia minacciosa, o per rivelazione di coscienza. L'accostarsi continuo della folla di giovani al tribunale di penitenza fu il primo effetto della strenna.

                Ecco il tenore dei biglietti raccolti e conservati. In alcuni, per i dovuti riguardi, sostituiremo i nomi con lineette.

                D. Alasonatti - Colla pazienza e col coraggio aumenterai il numero de' miei figli.

                Rua - Ricorri a me con fiducia nei bisogni dell'anima tua.

                Durando - Il mondo vuole darti l'assalto.

                Provera. - Colla benignità mi farai molti figli.

                Dassano. - Il mondo ti riempie il cuore di terra.

                Costamagna. - Prendi norma dai buoni nell'operare.

                Perino. Confida in me che sono tua madre.

                Pelazza. Cercati un vero amico, e, quando l'avrai trovato ascoltalo in tutto ciò che ti dice.

                Cottino. - Perchè ricorri così di rado a me?

                Ruffino. - Pratica e promuovi la virtù dell'umiltà.

                Boggero. - Fa santi i tuoi discorsi.

                Pellegrini. - Pazienza, Pazienza! Ma bisogna unirla colla carità e col fervore.

                Parigi. - Fa coraggio a perseverare; spera più in me che negli aiuti umani.

                Momo. - Pratica l'umiltà e sarai caro a me ed al mio Figlio.

                Chiapale. - Non sai ancora che cosa sia l'ubbidienza.

                Buratto. - Rifletti su te e ricorri a me.

                Perucatti Giacinto. - Pensa che le spine in vita sono rose in morte. [7]

                Chiariglione. - In tutto quello che fai pensa se hai di mira la gloria di Dio.

                Arcostanzo. - Non si va in Paradiso in mezzo alle delizie.

                Galetti Felice. - Perchè non dai ascolto a chi ti vorrebbe rendere felice?

                Mona. - Più fatti e meno parole.

                Quattrocolo. - Hai alcuni confidenti pericolosi: confida più in me che in essi.

                Damiasso I. - Puoi fare e non fai: allontana da te l'accidia.

                Damiasso II. - Se non ricorri più spesso a me lavori invano per l'anima e pel corpo.

                Capello. - Guardati da non tornar indietro; prega meglio.

                Galliano Matteo. - Lavora di più pel cielo e ti avanzerai nello studio.

                Rebuffo. - Se confidi in te guasti tutto. Confida più in me ed in chi ti guida.

                Baietto. - Perchè temi tanto la fatica? Non ti sarà ricompensata? Confida più in me.

                Perazza (esterno). - Lavori invano per l'anima e pel corpo se non ti cerchi un buon consigliere.

                Macocco. - Accostati spesso al pane degli angioli e acquista la regina delle virtù.

                Mosselli. - Se fai quanto puoi io ti aiuterò; ma prega meglio.

                Protti. - Il paradiso non è fatto per i poltroni: perchè scialacqui tanto tempo?

                Ansaldi. - Coraggio! cibati spesso del pane dei forti, e ricorri spesso a me.

                Panetti. - Perchè ricorri cosi di rado a me?

                Peire. - Sii più assiduo al tuo dovere e pregami più volentieri.

                Demagistris Ignazio. - Non occupi tutto il tuo ingegno: la virtù ne perde, e l'anima? [8]

                Ghella. - Se non puoi primeggiare nello studio, lo puoi nella pietà.

                 - C.C.C.

                 - Non perdere la più bella delle virtù.

                 - Il mondo ti riempie il cuore di terra.

                 - Studia bene che cosa sia la carità e l'umiltà.

                 - Finchè il tuo cuore sarà pieno di terra, non entrerà il vero amore di Dio.

                 - Sta attento per non tornare indietro. Ascolta l'amico dell'anima.

                 - Il tuo operare mi è una spina al cuore.

                 - Sei schiavo del demonio; sei però ancora in tempo.

                 - Sei piccolo, ma la tua malizia è grande: emendati presto.

                 - Castità, carità, confidenza.

                 - Oh se tu sapessi il gran premio che sta preparato alla regina delle virtù! Coraggio!

                Alle strenne suddette noi ne possiamo aggiungere quattro, che ci furono consegnate da poco tempo.

                Anglois. - Raddoppia l'impegno; ricorri più spesso a me; e va avanti,

                Garino. - Ricordati di me, che sono tua madre.

                B. - Non pretendere di farti santo tutto d'un colpo.

                S. - Bisogna tutti i giorni fare un passo verso il paradiso.

                Per più giorni durò il concorso dei giovanetti alla camera di D. Bosco per avere la propria strenna. Ma prima ancora che tutti l'avessero, rallentò la foga e la curiosità di ricevere e conoscere. Vedendo l'effetto prodotto nei compagni, persuadendosi che non era uno scherzo, timorosi per i rimproveri della propria coscienza, pusillanimi nel mettersi al servizio di Dio, in sull'ultimo un certo numero non voleva più andare a ritirare il proprio biglietto, temendo di leggervi qualche verità troppo cruda. Alcuni di costoro invitati da D. Bosco dopo qualche esitanza si arresero e andarono a prendere la strenna, ma tredici non si presentarono. [9] Di costoro sta ancora il biglietto in quel libro famoso attaccato al proprio nome. Noi qui li riportiamo omettendo i nomi.

                 - Potresti fare assai più pel bene dell'anima tua.

                - La negligenza congiunta alla poca pietà mi spiace: svegliati.

                 - Ricorri più spesso a me; combatti; io ti aiuterò a vincere.

                 - Hai un verme che ti rode l'anima e il corpo: guai se non lo distruggi.

                 - Scegliti migliori compagni: fuggi la negligenza; prega meglio.

                 - Con un migliore avvenire studia di riparare al passato: che ritardi?

                 - Tu ami l'ozio, vuoi piacere alla gola, ma dispiaci a me ed al mio figliuolo - G. C. Guai se non ti emendi.

                 - La tua trascuratezza rende inutili le tue fatiche; fuggi l'ozio; studia e prega.

                 - Frequenta i Santi Sacramenti: prega meglio; sii più ubbidiente.

                 - Aggiusta bene le cose di coscienza: occupa più il tempo; prega meglio.

                 - L'ozio e la gola fanno temere di te; emendati; prega meglio.

                 - Pensi molto al corpo, poco all'anima: la morte si avvicina, preparati.

                 - Medita di più le cose eterne: sii costante nella pietà; perchè ricorri tanto di rado a me?

                “Tali strenne, scrisse D. Dalmazzo Francesco, manifestavano quanto fosse grande in D. Bosco il dono della scrutazione dei cuori (e donde gli venisse una simile virtù) avendo egli indovinato il debole di ciascuno, come io per mia stessa esperienza potei provare. Ad un giovane che era stato mio compagno di scuola in rettorica, consegnò nella strenna queste precise parole: - Colle idee rivoluzionarie non si va [10] in Cielo. - Questa espressione fu profetica. Uscito dall'Oratorio e divenuto professore, andò in Isvizzera, ove mercè l'aiuto delle sêtte fu ben presto direttore di un collegio cantonale. Più tardi divenne lancia spezzata dei più accaniti rivoluzionari e giovandosi della eloquente ed affascinante sua parola, dominava come tribuno le adunanze popolari. Morì poco più che trentenne, in braccio dei demagoghi privo de' Sacramenti”.

                D. Ruffino Domenico racconta altro fatto. “Un giovane falegname sui ventidue anni era venuto nell'Oratorio sul finire dell'anno antecedente. Come gli altri ricevette la sua strenna, della quale però non conobbi il tenore. Avuto quegli in mano il biglietto, trovandosi in mezzo ai compagni saltò sulle furie, e diceva di, volerlo portare al curato della parrocchia, perchè giudicasse di quell'ingiusto rimprovero. Declamava di essere sempre andato a confessarsi, di aver sempre adempiuto agli obblighi di un cristiano. Quindi recavasi dal Prefetto della casa per licenziarsi dall'Oratorio. D. Bosco, saputa quella diatriba, gli mandò a dire che portasse un biglietto del parroco, che testificasse la sua religiosa condotta al paese.

                 - Ma io andava a confessarmi a Pasqua, ma non dal parroco.

                E D. Bosco di rimando: - Ditegli che mi porti un solo biglietto di Pasqua.

                 - Che? egli rispose al messo di D. Bosco: Io sono sempre andato a fai la Pasqua. - Così dicendo si allontanò proferendo mille improperii. Passò quel giorno ed egli aveva riflettuto seriamente. Il domani si presentò a D. Bosco con un contegno umile e commosso.

                 - Ebbene? gli disse amorosamente il Servo di Dio.

                 - Padre! Vedo che ha ragione; ora voglio tutto aggiustare con lei”.

 

 

CAPO II. Un'arte di D. Bosco nella direzione spirituale dei figli del popolo - Le conferenze annesso all'Opera di S. Vincenzo de' Paoli negli Oratorii festivi - Rendiconto della conferenza annessa dell'Angelo Custode in Vanchiglia riguardo al suo operato nel 1861: i Premii ai clienti: frequenza alla Comunione: libri cattivi distrutti: le orazioni del mattino e della sera: offerta di una madre in riconoscenza della buona condotta di suo figlio.

 

                Lo zelo di D. Bosco pel bene spirituale de' suoi alunni, la divozione ardente che sapeva istillare nel cuor loro per la Regina del Cielo, la cooperazione di questa nel rendere efficaci le sante industrie, che dovevano portar frutti di salute eterna, tenevano vive e facevano fiorire nella Casa di Valdocco le varie Compagnie e i quattro Oratorii festivi della città. Di questi pure, benchè avesse ormai assicurato il valente aiuto di preti, chierici e secolari per l'assistenza e l'istruzione religiosa, egli stesso in persona continuava a prendersi una gran cura specie nel tribunale di penitenza.

                Gli artigiani più adulti lo preferivano ad ogni altro confessore, perchè lì trattava con tanta carità, parlava loro di Dio, della sua misericordia, della vita eterna con una unzione che, li commoveva; e aveva pronti certi modi e certe frasi, varie all'infinito, singolari, inaspettate per far rivivere sodi proponimenti nelle loro anime. A questo proposito D. Turchi [12] Giovanni scrisse: “Mi narrava un giovane già adulto, che stette nell'Oratorio più anni, ed è tuttora vivente in Torino, (1895) e sempre uomo di religione, che andato alla sera, come soleva, a confessarsi da D. Bosco, era rimasto l'ultimo di quanti l'attorniavano. Già incominciava a farsi buio, e D. Bosco, udita la sua confessione, gli disse: - Hai fiammiferi? - Sì, che ne ho! - rispose quegli, e già li ricercava in tasca, credendo che D. Bosco volesse accendere un lume. Ma D. Bosco gli soggiunse: - Ebbene: accendi un po' d'amor di Dio nel tuo cuore”.

                Per le ragioni sopra esposte non era cessata, e per più anni ancora durò nei tre Oratorii festivi l'Opera delle Conferenze annesse alla Società di S. Vincenzo de' Paoli. I numerosi loro membri con varii socii delle Conferenze maggiori, si radunavano presieduti da D. Bosco, secondo il costume di ogni anno, per rendere conto del bene fatto nell'anno antecedente. Tali relazioni pur troppo andarono tutte smarrite, anche quelle riguardanti il 1861, lette nel 1862 dai Relatori delle Conferenze di S. Francesco di Sales in Valdocco, e di S. Giuseppe a Borgo Nuovo. Ci fu però conservato il rendiconto di quella meno numerosa, stabilita nell'Oratorio dell'Angelo Custode in Vanchiglia, del quale era Direttore D. Rua.

 

                               Carissimi Confratelli,

 

                Nel consesso delle numerose Conferenze di S. Francesco di Sales e di S. Giuseppe, la piccola e quasi microscopica Conferenza dell'Angelo Custode non oserebbe pur comparire; ma giacchè si ebbe la bontà di volerla prendere in considerazione e di farle onorevole invito d'intervenirvi, prende coraggio e si presenta per fare il suo breve rendiconto dell'anno 1861. Nè grandi nè numerose i certamente sono le opere compiutesi dalla nostra Conferenza, tuttavia, malgrado la nostra fiacchezza e picciol numero, dobbiamo ringraziare Iddio, che pare aver voluto anche di noi servirsi per operare un po' di bene.

                La Conferenza conta una decina di confratelli e una ventina di clienti. Nel corso dell'anno si tennero assiduamente le conferenze [13] alla domenica, che furono costantemente frequentate da non meno di 8 confratelli. Si fecero pure le questue, e benchè la borsa dei nostri confratelli sia molto meschina e piena per la maggior parte d'aria, ciò non ostante in tutto l'anno si raccolse la somma di L. 24,48, che, unite al fondo di L. 5,60 avanzo dell'anno precedente, diedero la somma di L. 30,08. Il nostro obolo non avrebbe bastato alle spese necessarie  per provvedere i premi pei nostri clienti; ed in nostro soccorso venne il Consiglio centrale colla somma di L. 10, vennero pure L. 8, quota della questua fattasi nell'adunanza generale delle Conferenze annesse; e con ciò potemmo essere in grado di non mai far sospirare i premii ai piccoli clienti, che di quando in quando, presentandosi coi loro venti bolli sul libretto festivo, giustamente, sebbene rispettosa niente, facevano valere il loro diritto ad una ricompensa; e mostrando i loro abiti sdrusciti e la punta dei piedi che faceva capolino fuori delle scarpe, non davano campo a dilazione alcuna. Pertanto le spese per i premii furono di L. 41,80 impiegate tutte in oggetti di vestiario. Sebbene: piccolo sia il nostro numero, tuttavia consolante fa l'assiduità con cui i confratelli intervennero alle conferenze, consolante il loro impegno per provvedere al bene dei loro clienti e pel buon andamento in generale dell'Oratorio. E l'esperienza di quest'anno ci fece vedere quanto sia necessario per infervorarsi nella carità ed essere costanti nell'intervenire alle Conferenze, l'accostarsi il più spesso che si può ai SS. Sacramenti. E grazie a Dio le loro cure non mancarono di corrispondenza dalla parte dei clienti, che intervennero in generale anch'essi con maggior assiduità all'Oratorio, si accostarono pur essi con maggior frequenza ai SS. Sacramenti e migliorarono la loro condotta. Volendo poi venire ai particolari, merita di essere notato come alcuni dei nostri ragazzi corsero pericolo a motivo dei cattivi libri, che si vanno ovunque diffondendo e che pure erano stati messi nelle loro mani. Essi davansi già incautamente a leggerli, ma scoperti tali libri dai confratelli, furono tosto ritirati e consegnati alle fiamme; mentre per altra parte si pensò a provvedere loro qualche altra tuona lettura.

                Vedendo poi come talvolta si rimaneva in dubbio sul numero dei punti da distribuirsi al clienti fra le deliberazioni che si presero nelle Conferenze, una fu di affidare esclusivamente ai confratelli la cura di catechizzarli ed assisterli in chiesa, onde meglio assicurarci del loro intervento e buona condotta. Ora avvenne che si scoprì, appunto durante il Catechismo, la profonda ignoranza in cui si trovava un cliente non solo riguardo alle verità della religione, ma eziandio nelle cose che più comunemente si sanno, vale a dire nelle preghiere del mattino e della sera. Fu interrogato il cliente se la madre non gli insegnasse le orazioni ed egli semplicemente rispose che sua madre non aveva tempo. A ciò non si tenne contento il suo patrono, ma, andando a visitarlo a casa alla domenica, s'informò se veramente la [14] madre non potesse ciò fare; e dalle sue parole proprio brava che non potesse trovare un ritaglio di tempo per insegnargli a pregare. Il patrono avrebbe desiderato fargli imparare le orazioni egli stesso, ma ne' giorni feriali non poteva averlo seco e fargliele dire. Si ricorse ad un altro espediente: si guardò se per caso nel luogo, dove il ragazzo lavorava, fossevi qualche caritatevole persona, che volesse prendersi l'incarico di fargliele ripetere ogni giorno parola per parola. E si trovò appunto una buona vecchia che a ciò si accinse. Ma che? La madre saputo che un'altra donna adempiva verso il suo figlio quest'ufficio sì importante di madre, fu punta da onoratezza e disse: - E come? io penso tutto il giorno per il corpo de' miei figliuoli, e che non abbia a pensare per l'anima loro? In fin dei conti è pur a me che il Signore dimanderà ragione dell'educazione de' miei figli. - Stimolata da tali pensieri si recò a trovare quella buona vecchia, la ringraziò della carità usata al suo figlio e d'allora in poi balzando un po' più presto al mattino dal letto e ritornandoci qualche minuto più tardi alla sera, si mise ad insegnare essa stessa al suo figliuolo le preghiere; e nello scorcio di qualche mese gliele fece imparare.

                Un altro fatto avvenne ancora che ci edificò e ci fece vedere quanto i parenti dei clienti godano, che i confratelli della Conferenza si prendano cura de' loro figliuoli. Durante l'anno scorso avvenne che nella Capella dell'Oratorio si appiccò il fuoco all'altarino della Madonna in un'ora, che quasi nessuno trovavasi all'Oratorio. Fortuna che un confratello della Conferenza, nel desiderio di passare nell'Oratorio tutto il tempo che gli era possibile, già vi si era recato. Pertanto egli pel primo vide il fumo ad uscir per le tegole, e tosto sospettò ciò che potesse essere; laonde accorsovi con altre persone potè per tempo spegnerlo ed impedire danni maggiori. Ciò non ostante, calcolando il guasto di già arrecato, si vide essere montato a più di L. 30. E L. 30 pel nostro Oratorio erano sicuramente una gran somma. Epperò nella predica si raccontò il caso avvenuto e per due domeniche consecutive si domandò l'elemosina per l'altarino. Ciascuno per allora offrì quanto la generosità gli suggeriva e la borsa gli permetteva. Ma parecchie settimane dopo si presenta all'Oratorio la madre d'un cliente e dimandando del Direttore, fu a lui condotta. Giunta da lui fruga per le tasche, trae fuori uno scudo, e commossa per la gioia glielo presenta per le spese  dell'altarino. Era quello scudo frutto dei suoi risparmi. Ella era sommamente contenta, perchè il suo figliuolo da alcuni anni era assistito dai confratelli della Conferenza; era sommamente contenta perchè il suo figliuolo corrispondendo andava facendo progresso nella virtù. Perciò riconoscente all'Oratorio per le cure usate al suo figlio, si credette in dovere a non guardare a privazioni, onde poter anch'essa concorrere ad onorare la Madonna. La sua oblazione non si voleva accettare, ma ella tanto ne pregò il Direttore [15] da fargliela ricevere; solamente mostrò desiderio che si impiegasse, onde provvedere una corona per la statua di Maria, nel che fu prontamente esaudita, giacchè aggiungendo altra piccola somma a quella da lei offerta, si potè comprare una bensì modesta, ma tuttavia discretamente bella corona da fregiare regalmente il capo dell'Immacolata Vergine nel di appunto dell'Immacolata Concezione.

                Ora nel timore d'aver forse già attediata questa rispettabile udienza, terminerà questo rendiconto esternando un vivo desiderio e bisogno nostro, qual si è che altri preghi per noi. E cogliendo questa favorevole occasione noi ci raccomandiamo ai confratelli della Conferenza di S. Francesco di Sales, ai confratelli della Conferenza di S. Giuseppe, a tutti questi rispettabilissimi signori, che si sono degnati di onorarci colla loro presenza e coi loro luminosi esempi ci sono di modello nel bene operare e di stimolo ad esercitare la carità, ci raccomandiamo, dico, caldamente a voler pregare per noi S. Vincenzo de' Paoli, affinchè ci mandi un più copioso numero di confratelli e tutti ci riempia di un santo zelo, onde sopperire agli urgenti spirituali bisogni, che si manifestano nella gioventù di quella parte di Torino, che la nostra Conferenza ha specialmente di mira. E fiduciosi di essere da voi esauditi nel nostro desiderio, auguriamo a tutti voi ogni benedizione del Signore e l'assistenza della Beata Vergine, in tutte le opere che sarete per intraprendere a vostra ed altrui santificazione.

 

 

CAPO III. Udienze -  Morto D. Cafasso cresce a dismisura l'affluenza a D. Bosco d'ogni classe di persone - Stima che si ha dei suoi consigli - La stanza di D. Bosco - Modi coi quali egli accoglie e intrattiene i visitatori - piacevolezza della sua conversazione - Sua franchezza caritatevole co' sacerdoti - Sua prudenza nel trattare di affari - Giustezza delle sue decisioni anche contrarie alle viste umane - Come si regolasse colle persone ciarliere od ignoranti: con quelle che domandavano soccorsi: coi nemici: coi bisognosi di consolazione: cogli insolenti e superbi - Non può soffrire chi bestemmia - Sua cortesia nel congedare i visitatori - Ammirazione per lui di quelli che lo avvicinano.

 

                PROCEDEMMO nelle nostre Memorie biografiche del Venerabile Servo di Dio, siamo sbalorditi nell'osservare la sua eroica e continua attività intellettuale e fisica. Abbiamo già parlato di molte sue virtù e fatiche, ma della sua carità nel dare udienze, finora ci siamo contentati appena di fare qualche cenno. Incominciarono queste fin dal principio, cioè nel - 1846, e crebbero poco a poco, sicchè D. Bosco nel 1857 o 1858 poteva ancora uscir di casa al mattino verso le 10 e mezzo o le undici. Ma nel 1860 divennero cosi affollate, che fu costretto a rimanere in camera tutta la mattina dalle 9 fino quasi alla una pomeridiana; e tale fu il suo costume finchè venne il giorno della sua ultima infermità. [17]

                Alla morte di D. Cafasso, egli, quale crede del suo spirito, era divenuto uno dei principali fattori di quella unione soda e compatta di aristocrazia e borghesia, che attenendosi senz'altro ai dettami della Chiesa e ai buoni principii, tanto influì sul resto della cittadinanza. Si può dire che quanto vi era in Torino di buono, di scelto, di emergente nelle varie e singole classi sociali, tutto metteva capo a D. Bosco per comune consenso e attraimento degli animi; ed egli, divenutone come il capitano, sapeva tutti infiammare e dirigere ovunque fosse del bene da farsi.

                Mons. Cagliero racconta ciò che tutti noi abbiamo osservato. “Durante la mia lunga dimora nell'Oratorio vidi sempre un concorso d'innumerevoli persone, che venivano a visitarlo, tratte dalla persuasione che avevano delle sue rare virtù, dei suoi lumi straordinarii e della sua santità. Venivano a chiedergli il soccorso delle sue preghiere, a ricevere una benedizione, ad esporre la miseria di giovanetti, ad ottenere qualche raccomandazione, a combinare intorno a buone opere da compiere, a trovare il mezzo per rimediare a qualche male, a portargli offerte per la sua istituzione, e non di raro anche solo per vederlo e parlargli.

                E queste persone non erano solo del volgo: erano magistrati, autorità dello Stato e Ministri; erano dotti ecclesiastici, Rettori di Seminarii, Vescovi, Arcivescovi, Cardinali dall'Italia, dall'estero. I principi e i plebei, i ricchi ed i poveri, gli amici e gli estranei, i dotti e gli ignoranti, i buoni e i cattivi, tutti cercavano in lui un consigliere, un consolatore un padre, un amico. Parroci e semplici sacerdoti accorrevano a lui per aver norme nella direzione delle anime; e anche tanti alunni del Convitto di S. Francesco d'Assisi, finito il loro corso di morale, solevano recarsi da D. Bosco, prima di andare ai luoghi ove erano destinati, per sollecitare la sua benedizione”.

                I Superiori di ordini religiosi, i Direttori di monasteri,  [18] frati, suore di ogni specie e colore venivano a consultarlo. D. Giacomo Bosco suo compagno in Seminario, e che fu per ben trent'anni e più padre spirituale delle suore di S. Giuseppe, molto stimato in Diocesi per le sue virtù sacerdotali, lo aveva in conto di gran santo. Molte volte fu udito a dire alle sue religiose, le quali lo richiedevano di un consiglio: - Vadano da D. Bosco, il santo; quello saprà indirizzarle; io sono solamente un bosc d' pouciou! - Colle quali parole piemontesi, l'umile sacerdote voleva indicare una specie di legno di niun conto, che trovasi nelle siepi detto nespolo.

                Villa Giovanni testificò: “Tanto era il numero delle persone, le quali venivano quotidianamente da lui, che noi giovani eravamo edificati da tanta sua carità e spirito di sacrifizio”.

                Verso le 8 ½  D. Bosco dalla Chiesa saliva in camera. L'antica sua stanza serviva d'anticamera; e da questa si passava in una seconda di eguale grandezza con una finestra a mezzogiorno, l'altra a levante, un povero letticciuolo in un angolo e povere suppellettili.

                Il segretario prendeva le debite annotazioni, affinchè si osservasse la precedenza d'entrata e un visitatore non usurpasse il luogo di un altro.

                D. Bosco, sempre franco e leale, benchè non adulasse mai alcuno, nè cercasse per sè le lodi degli uomini, accoglieva ogni visitatore con gran rispetto, come se tutti fossero grandi signori, ed egli avesse bisogno di tutti: non faceva distinzione tra un ricco che avevagli portata una generosa offerta od una povera vedova o una contadinella che gli porgeva pochi soldi, frutto di sacrifizii. Nelle sue parole poi vi era una grande umiltà, accompagnata da modi così, dolci e soavi, che lo rendevano prezioso al cospetto degli angeli e degli uomini. Egli s'interessava di quanto gli veniva esposto e pareva che non avesse in quel momento altro pensiero. Ascoltava con molta attenzione senza mai interrompere; se qualcuno gli [19] troncava il discorso, egli si fermava all'istante. Finchè l'altro non avesse cessato di parlare stava silenzioso; e solo quando aveva finito egli tosto riprendeva il filo del proprio discorso con una presenza di spirito ammirabile.

                “In quella stanza, scrisse l'avv. Carlo Bianchetti[1], vi aleggiava una pace di paradiso. Dire non saprei se noi fossimo fiori, le cui corolle si aprissero a ricevere la consolazione, oppure si chiudessero per non lasciar sfuggire l'alito celestiale, che istantaneo discendeva nel calice dell'anima. Sedeva egli innanzi ad un modesto cancello con cassetti e piccoli tiratoi. Fasci di lettere e carte stavano affastellati innanzi a lui, e talora ad accrescere il cumolo entrava il postino. Di tutto questo però D. Bosco non davasi gran pensiero. Metteva là le carte; egli era d'avviso che anche le piccole cose si debbono fare adagio e bene e che per ciò non occorrono distrazioni. D. Bosco pareva l'uomo che nulla o ben poco avesse da fare.

                Trattava con ognuno come se in quel mattino non avesse avuto altri da udire e da contentare. Egli, con S. Francesco di Sales, teneva per massima che la fretta suol guastare tutte le opere; e non era mai il primo a finire il colloquio; non dimostrava mai voglia di abbreviarlo; anzi talora volendosene andare il suo interlocutore, temendo di essere importuno, D. Bosco lo invitava amorevolmente a starsene ancora un poco. Talvolta il cortese visitatore osservava che molti erano in anticamera che attendevano per entrare. - Abbiano pazienza, rispondeva D. Bosco: io sono come quel barbiere il quale alla gente che sopravviene dice: - Attenda, attenda! È presto fatto! Un piccolo momento! - Ma poi fa il suo dovere colla massima comodità, come se nessuno aspettasse. Caspita, soggiungeva egli, chi paga ha diritto di essere servito e sarebbe bella che il parrucchiere, per fare troppo presto la 1903. [20] barba, la facesse male; e peggio se nella fretta trinciasse a destra e a sinistra. - La semplicità in lui andava congiunta ad un alto sentimento del dovere e protraeva la conversazione finchè l'argomento non fosse, convenientemente esaurito.

                La sua conversazione era piacevolissima. Intrecciava volentieri la barzelletta ed il fatterello. E l'arguzia giungeva sempre a proposito; e, perchè producesse il suo effetto, soleva dire che quei fatterelli erano occorsi a lui o che li aveva appresi da D. Cafasso, oppure dal Teologo Guala o dal Teologo Borel o da questi o da quegli. Il fatterello e l'esempio era bensì il modo di cui servivasi per fare impressione più viva e profonda, ma ciò che più importava si era che calzavano a pennello. Sapeva trattare con grazia, sicchè nessuno potè mai redarguirlo di essere stato meno che delicato e prudente. - Persino i cavadenti, diceva, devono usare belle maniere; in caso diverso povera clientela! - Vi era in Don Bosco una caratteristica rispettosa, bonaria, affettuosa, la quale però non impediva che egli sapesse cavare il dente, o pescasse qualche pesce grosso. - Pescatori, ladri e tiraborse, diceva spesso celiando, sono una cosa sola; ma tutto passa e può passare quando si tratta delle anime. -

                E come riusciva in queste pesche miracolose! Non è agevole immaginare la forza delle sue espressioni, che egli sapeva applicare con accorgimento eccezionale e con intuito meraviglioso. Era Iddio che parlava per lui? Era l'esperienza che gli suggeriva un buon pensiero per ciascuno? Il vero si è che sgranando lemme lemme, una parola dopo l'altra, sciorinava lì un pensiero da santo Padre, detto alla buona, ma ponderatamente e senza ostentazione. Era un motto sulla necessità di buone confessioni, sulla divozione a Maria Santissima, sul paradiso, e cosi pieno d'amor di Dio, che parecchi dissero essere loro accaduto come avvenne ai visitatori di santi; cioè che nel partirsi da lui ognuno si sentiva [21] migliore, fosse figlio del popolo, o persona costituita in dignità; secolare od anche ecclesiastico”.

                A questo ceto infatti di persone soleva indirizzare qualche parola, che riguardava lo spirito sacerdotale e la santificazione delle anime, o la pratica della meditazione, della lettura spirituale tutti i giorni, della visita giornaliera al SS. Sacramento, dell'assiduità al confessionale, dello zelo sul pulpito. “Queste interrogazioni, attestò il Teol. Reviglio, le faceva specialmente ai Parroci e agli altri sacerdoti da lui avviati alla carriera ecclesiastica; come posso dichiarare di aver egli fatto verso di me stesso, dandomi egli in pari tempo norme onde io disimpegnassi santamente il mio ministero”.

                Sovente invitava un ecclesiastico a promuovere il decoro della casa di Dio, la difesa della religione, la diffusione della buona stampa, le vocazioni ecclesiastiche e religiose, il progresso delle missioni tra i popoli infedeli, l'erezione di nuove chiese.

                 - Lei che ha molto ingegno e scienza, diceva a taluno, mi aiuti adunque a preparare un opuscolo su questa o quell'altra materia.

                Ad un prete ricco, influente e generoso ripeteva: - Mi aiuti a salvare anime! - Non chiedeva però elemosine, ma disponeva gli animi a favorire i suoi giovanetti, accennando alle loro necessità.

                E a qualche altro sacerdote: - Ho bisogno di un predicatore o di un confessore per i giovani degli Oratorii! Calcolo su di lei; mi aiuti!

                All'occasione non mancava di fare un rimprovero. Venne un giorno a trovarlo da lontano paese un religioso, il quale temendo forse o l'incomodo, o le burle di qualcuno, aveva deposto il suo abito ed erasi vestito da borghese. In tal guisa a lui si presentò salutandolo, cortesemente. D. Bosco lo riconobbe, ma finse di non sapere chi fosse. L'altro meravigliato e con modo insistente provava come bene si [22] conoscessero. D. Bosco finalmente gli rispose: - Ma possibile! Ella con questo abito? Vada, vada per i suoi affari che io non ho tempo da perdere con lei.

                 - Ma senta! lo temeva di espormi ad insulti; siamo in tempi in cui i religiosi sono così poco rispettati.

                 - Mi lasci in pace; ho altra gente che mi attende. Se vuole che io le dia udienza vada a prendere le sue divise. - Allora quegli vedendo D, Bosco così risoluto, gli domandò perdono, promettendogli che non avrebbe mai più fatto una tale mancanza collo smettere l'abito religioso. Ed allora ebbe udienza.

                Le sue udienze però non erano semplici conversazioni. Richiesto su qualche affare, non rispondeva immediatamente, ma prima interrogava sulle varie circostanze dell'argomento propostogli. Quindi egli era solito alzare gli occhi al Cielo, come chi va cercando da Dio i lumi necessarii. Più volte egli continuava a discorrere di cose meno importanti, mentre colla sua mente esaminava in tutti i suoi lati la questione, e poi, ritornando al punto principale, dava l'avviso che più sembravagli acconcio alla gloria di Dio e al bene delle anime.

                Talvolta però trattandosi di dubbi i più intricati, non fidavasi interamente di sè e riservavasi a dare la risposta dopo qualche giorno, raccomandando a chi ne era interessato di aiutarlo colla preghiera. Nel frattempo consultava autori, oppure ricorreva a uomini competenti nella materia; indirizzava anche i suoi visitatori all'uno o all'altro di questi, e non di rado all'esimio moralista il Teol. Bertagna, perchè a quei sapienti esponessero i loro dubbi. Ma il suo parere difficilmente veniva riformato.

                Talora per questioni che riguardavano anche le leggi civili, mandava D. Rua ad interrogare dotti avvocati, eziandio ecclesiastici. Questi, testimonio continuo di quanto faceva D. Bosco, ci assicurò per iscritto. “Con tal sistema D. Bosco riuscì a distrigare gli affari più complicati, ed io non potrei [23] numerare la quantità di persone, che mi dissero di essere state consolate, sollevate nelle loro afflizioni, soccorse nelle loro difficoltà ed imbarazzi dall'esimia prudenza di lui.

                Sovente però senza ambagi e subito parlava come persona che manifestasse i voleri divini. I suoi consigli sebbene sembrassero talora contrarii alle viste umane, tuttavia accolti e praticati riuscivano a mettere in pace le coscienze, terminavano disgustosi litigi, portavano la concordia nelle famiglie, indirizzavano sopra la retta via persone incerte della loro vocazione. Al contrario ne ho veduti altri che non volendo accogliere le sue decisioni, ebbero a soffrirne in seguito gravi conseguenze. Essi stessi mi confessarono di avere errato, e che la cosa sarebbe riuscita in quella vece felicemente, se avessero fatto come appunto aveva loro suggerito D. Bosco. Tuttavia la massima parte della gente, sicura di ascoltare da lui una parola sincera, riceveva le sue decisioni come oracoli”.

                Venne all'Oratorio una signora affatto sconosciuta per parlare a D. Bosco: stette sull'uscio di sua camera circa due ore e più, aspettandolo. Quando potè parlargli gli narrò le sue pene ed i suoi sgomenti, domandando se poteva stare tranquilla innanzi a Dio. D. Bosco le rispose che andasse pure e senza nulla temere. Quella signora però non sembrava soddisfatta, ma D. Bosco le soggiunse: - Vuole fare la volontà di Dio o la sua propria?

                La signora rispose: - Mille volte la volontà di Dio!

                 - Ebbene faccia come le ho detto e stia tranquilla.

                Essa allora lo ringraziò e partendo diceva: - Ora sono contenta - Fatti simili a questo ne avvenivano tutti i giorni.

                Ma non tutte le visite erano importanti e spiccie, tuttavia D. Bosco non si lagnava mai del fastidio che non di rado gli recavano molte persone, ignoranti, ciarliere, ineducate e talora eccessivamente insistenti, che di nulla si mostravano appagate; e non rimandava mai alcuno da sè per noioso ed importuno che fosse. Fu udito ripetere quattro o cinque volte [24] la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l'ultima volta con tanta tranquillità come la prima. Similmente trattava quelli che andavano a disturbarlo senza motivo, o per chiedere la sua opinione intorno a cose di nessun valore e stravaganti. Ora una madre gli parlava delle sciocche valentie di un suo bambino, un infermo ripetevagli la narrazione circostanziata della sua malattia, un convenuto in giudizio narravagli le particolarità di una sua lite. E D. Bosco non solo ascoltava, ma interrogava, chiedeva spiegazioni, dando ansa a chi desiderava prolungare il suo ragionamento. Così mostrava interessarsi a quanto gli dicevano, come se fosse cosa sua e trovava sempre una parola di lode e di stima per ogni persona. Sapeva però bellamente volgere i discorsi inutili e frivoli in altri riguardanti l'anima e così si serviva della loro importunità per ricavarne gran bene. I suoi consigli portavano sempre buoni frutti; ogni parola era una sentenza che rimaneva impressa, nel che riusciva spontaneo e grazioso. Si può dire che avesse l'arte di convertire in oro di amor di Dio tutto quello che egli diceva e che udiva dagli altri. Basti il fatto seguente.

                Vennero due uomini a domandargli che loro desse alcuni numeri per giocare al lotto, persuasi che li avrebbe dati buoni. Egli con varii ragionamenti cercò distrarli, ma essi impazientiti, perchè si andava per le lunghe, lo interruppero:

                 - Ma non è questo che vogliamo! Vogliamo che ci dica quali numeri dobbiamo giuocare per vincere.

                Allora egli: - Mettete questi tre numeri: il 5, il 10, il 14.

                Contenti lo ringraziarono e volevano tosto partire, ma D. Bosco disse loro: - Aspettate che vi dia la spiegazione.

                 - Eh! Non fa di bisogno, in questo, di nessuna spiegazione.

                 - Eppure se non vi do la spiegazione non saprete giuocare.

                 - Sentiamola adunque.

                 - Eccola: il numero 5 sono i cinque comandamenti della Santa Chiesa: il numero 10 sono i dieci comandamenti di [25] Dio; il numero 14 sono le quattordici opere di misericordia. Giuocate questi numeri e vi guadagnerete un tesoro infinito.

                In altra occasione diede il 4 e il 2, spiegandoli coi quattro novissimi e coi due sacramenti Confessione e Comunione. Molte altre volte uscì in ischerzi somiglianti.

                Da notarsi ancora che la massima parte delle persone venivano non per dare ma per ricevere, ed erano tali che Don Bosco non avrebbe potuto sperare nulla da loro. Ed egli quando poteva dava qualche soccorso. Narrano le cronache:

                “Un giorno D. Bosco essendo attorniato da alcuni chierici, ci raccontò questo fatto a lui stesso accaduto: - Venne a trovarmi un ardente democratico, il quale, trovandosi in gravi angustie, mi pregò di dargli una piccola somma di tre franchi almeno, per andarsi a comperare una camicia, essendo sucida quella che indossava e mi assicurò che sarebbe fra breve passato a rimunerarmi. Tastai la mia borsa ma era quasi vuota. Volsi gli occhi vicino al letto e vidi una camicia bella e pulita che era stata da Rossi preparata per me e che io per dimenticanza non mi ero cangiata i - Ecco, gli dissi: aurum et argentum non est mihi, quod autem habeo tibi do.

                Mi guardò con aria di stupore e mi disse: - Ma, e lei?

                Non si crucci di questo, gli risposi: la Provvidenza che provvede a lei quest'oggi, saprà bene provvedere a me domani!

                A tale atto rimase così commosso che sciolto in lagrime, si gettò a miei piedi, esclamando: - Oh! quanto bene non può mai fare un prete!

                Dopo averci ciò raccontato, soggiunse: - Badate: quegli divenne poi un grande amico dei preti. È in questo modo che dobbiamo guadagnarci i cuori degli uomini.

                Con quelli poi che aveangli recato del male, venendo essi a chiedere qualche aiuto, sempre era pronto a fare del bene, perchè delle offese che toccavano la sua persona non ne faceva caso e le obliava con sacrifizio ammirabile, come attestarono Mons. Cagliero e Mons. Bertagna. Anzi, se qualcuno [26] troppo zelante vedendo entrare in anticamera una di tali persone, avesse creduto bene di avvertirnelo, ricordando le offese, egli aveva una santa destrezza nello sviare il discorso, dicendo del colpevole tutto il bene che egli conosceva.

                Richiesto di cose che non poteva concedere uscivano dalla sua bocca risposte negative, ma piene di tanta carità e cortesia da capacitare il richiedente in guisa che molti dicevano: Pare che D. Bosco non sappia dire di no. - Ed assicuravano di preferire un no da D. Bosco che un sì da altri. E molti esclamavano: - Come tratta bene D. Bosco! - E ciascuno ne rimaneva soddisfatto e partiva pieno di ammirazione.

                Non potendo egli suggerire un rimedio immediato a disgrazie, a sfortune, a persecuzioni, o discordie, consolava e leniva i dolori. Più volte D. Berto Gioachino l'udì ripetere: - il Signore è un buon padre e non permetterà mai che siamo afflitti sopra le nostre forze. - Se i dolenti ricordavano le opere buone che avevano fatte e loro sembrava che Dio le avesse dimenticate, D. Bosco esclamava: - Dio nulla dimentica. Pagherà poi tutto abbondantemente in paradiso. - Altre volte diceva a chi non era corrisposto nelle sue fatiche e premure dai famigliari e dipendenti: - Rammentatevi che il Signore paga non secundum fructum, sed secundum laborem. È  miglior pagatore di quello che lo siano gli uomini!

                La sua pazienza nell'ascoltare le miserie del prossimo non aveva limite e perciò dava animo a tutti di ritornare a lui qualunque volta avessero bisogno di sollievo. Era questa una missione delle più importanti nella quale D. Bosco esercitava tutte le opere di misericordia spirituale, imperocchè insegnava agli ignoranti, ammoniva i peccatori, consolava gli afflitti, e pregava Dio e la Beata Vergine a benedire le anime e i corpi di coloro, che per mezzo suo ne invocavano l'aiuto ed il patrocinio.

                Non tutti i suoi visitatori si presentavano a lui supplichevoli [27] o cortesi; ma taluni venivano per lagnarsi anche aspramente di qualche preteso torto ricevuto da lui o dai suoi e talvolta osavano insultarlo o minacciarlo. Senonchè D. Bosco li trattava con tanta mansuetudine che finivano sempre per andarsene non solo riconciliati, ma suoi amici.

                Altri pieni di se stessi, facilmente irritabili, persuasi di meritarsi ogni riguardo, si degnavano di esporgli il loro progetto per lo scioglimento di qualche, negozio, chiedendo il suo parere. E D. Bosco non urtava mai nei loro sentimenti altezzosi, ma in bel modo esponeva la convenienza di un suo, espediente che suggeriva, rimettendosi però alla saggezza di chi lo aveva interrogato.

                Talvolta per opinioni contrarie sull'equità di un principio o di un fatto, qualcuno rendevasi molesto colla sua insolenza e D. Bosco interrogato poi, perchè si fosse mostrato così lunganime con que' impronti, più volte egli rispose: Costoro bisogna trattarli da ammalati.

                In un sol caso egli riusciva difficilmente a contenersi, quando cioè si trattava dell'onore di Dio. In fatti il 21 febbraio 1863, egli raccontava ai suoi alunni un fatto accadutogli due giorni prima. - Venne in mia camera un uomo, il, quale, non potendo ottenere quello che voleva, si mise a bestemmiare in modo che faceva orrore. Io che lo aveva sino allora tollerato, a tali bestemmie più non potei trattenermi. Mi avvicinai alla stufa, presi le molle e afferrato per le vestimenta il bestemmiatore: - Parta tosto di qui, gridai, altrimenti le do una lezione!

                 - Mi scusi, riprese quell'uomo, se ho usato qualche modo incivile.

                 - Nessuna scusa: non voglio un demonio tale in camera mia. Questo non è il modo di trattare Iddio; - e urtandolo lo misi fuori. Quando io sento bestemmiare e specialmente quando si aggiunge al nome santo di Dio qualche epiteto indecoroso, oh! allora io mi lascio veramente smonta re, e se [28] non fosse della grazia di Dio che mi trattiene, trascenderei a certi atti, dei quali forse mi dovrei poscia pentire.

                Tolto questo unico e raro caso non permetteva che alcuno

partisse da lui sconsolato. Dopo che aveva data piena soddisfazione al suo interlocutore, secondo la sua cortese abitudine, lo accompagnava sino alla soglia. La sua affabilità e benignità traspariva così splendidamente dal suo contegno, che molti dopo avergli parlato anche solo per pochi istanti, oppure averlo solamente visto, confessavano che se avessero dovuto figurarsi la persona e la bontà del Divin Salvatore, si sarebbero, colla dovuta proporzione e riverenza, figurato il contegno di D. Bosco.

                “Una volta era venuto a visitarlo un ricchissimo negoziante senza fede, narrò D. Dalmazzo Francesco, ed unicamente per curiosità: lo vidi poi uscire tutto confuso e l'udii esclamare per tre o quattro volte di seguito: - Che uomo, che uomo è questo! - Ed interrogatolo io che cosa gli avesse detto D. Bosco, mi rispose che aveva udite tante belle cose, che dagli altri preti non si sentono; e che poi l'aveva congedato con queste parole: - Guardiamo che un giorno lei coi suoi denari ed io colla mia povertà ci possiamo trovare in paradiso.

                Soggiunse Bisio Giovanni: “Per dare un'idea di quello che sapeva dire e fare D. Bosco, ricordo che accompagnai da lui un ebreo sui cinquant'anni, che mi aveva esternato il desiderio di conoscerlo. Quello che sia passato tra loro io non lo so, ma quell'ebreo uscendo dall'Oratorio mi disse, che se in ogni città ci fosse stato un D. Bosco, tutto il mondo si sarebbe convertito. Seppi ancora dal parroco del mio paese che un Rabbino d'Alessandria gli disse: - Fui già due volte a trovare D. Bosco, e non ci vado più la terza volta, perchè mi troverei costretto a restare con lui! - Tanto erano efficaci le belle ed insinuanti parole che sapeva dire a quelli che lo avvicinavano. - Ciò spiega anche come i giovani gli fossero affezionati e come sapesse renderli buoni”.

 

 

CAPO IV. Patimenti di D. Bosco nel dare udienze - Sua risposta a chi lo consigliava di congedare i visitatori indiscreti - Raccomanda ai suoi coadiutori un gran rispetto alle persone nel dare udienze; un vero impegno di non mandar via nessuno malcontento, se fosse possibile; spirito di sacrifizio; prudenza - Lezione pratica - D. Bosco pronto a conferire ovunque vada con chiunque voglia parlargli - Come facesse per accaparrarsi le simpatie di tutti - Disbrigo dell'epistolario Risposte di D. Bosco a lettere ingiuriose.

 

                LE udienze erano per D. Bosco una croce tormentosa e meritoria. Il più delle volte sottostava a grave disagio fisico, perchè, cagionevole di salute, debole di stomaco, soggetto a gravi infiammazioni, doveva continuamente vociferare. Dopo alcun tempo sentivasi come mancare il respiro e bruciare la lingua. Talora era così stanco, che non poteva più far sentire il suono della sua voce. Altre volte, pel lungo pensare nello sciogliere quesiti di grave importanza, venivagli a dolere talmente il capo, che metteva compassione in chi l'osservava; e non di meno proseguiva in cosi penosa occupazione. Il Padre Giuseppe Oreglia della Compagnia di Gesù affermava, che se D. Bosco non avesse fatta altra penitenza in vita sua, questa sarebbegli bastata per dichiarare eroica la sua virtù.

                Infatti la vita di D. Bosco fa un continuo dare udienza e per le vie di Torino e ne' suoi viaggi e ne' varii paesi nei quali [30] si recava. Consigliato a liberarsi da una cosi grave fatica, rispondeva sempre: - Non conviene!... Non me ne sento il coraggio!... Son povera gente!... Molti vengono anche da lontano; hanno anch'essi i loro affari!... E poi debbo compiere la mia missione. - E soggiungeva: - Poveretti! Hanno pene da confidarmi... aspettano in anticamera da tanto tempo... mi fanno compassione, e bisogna bene appagarli... e poi... e poi... si finisce con fare un po' di bene.

                Anche in queste circostanze sapeva scherzare: - Ma non ci sarà un mezzo, interpellavalo qualche suo prete, per diminuirle lo strapazzo di tante udienze che sono veramente inutili?

                Egli rispondeva: - Oh sì, che ci sarebbe un mezzo per liberarmi da tanta gente!

                 - E quale?

                 - Per esempio, se io mi fingessi mezzo pazzo od ebete: allora la gente cesserebbe subito dal venire; farebbe correre la voce: - Povero D. Bosco! non ha più la testa a posto: non intende più niente; non sa più quello che si dica. - Ma questo ripiego sarebbe disapprovevole e dannoso alla Pia Società, perchè noi abbiamo bisogno di tutti; quindi conviene lasciare aperta la strada alla Divina Provvidenza.

                Per tal modo non rifiutava nessuno, qualunque ora del giorno fosse venuto, e ancorchè suonato mezzogiorno non scendeva se non dopo aver dato soddisfazione a tutti. Finito il pranzo, alcuni già domandavano di parlargli. - E lasciatemi andare, ei diceva ai suoi chierici che cercavano di trattenerlo; soffro un peso enorme nel vedere quella gente aspettare!

                I chierici un giorno lo esortarono a farsi un orario per dare udienze; e a non ascoltare sempre ed in qualsivoglia momento coloro che si presentavano, poichè, insistevano, continuando a questo modo si sarebbe rovinato. Egli rispondeva: - Eh! Il Signore ci ha messi in questo mondo per gli altri. [31] Perciò raccomandando a' suoi dipendenti, costituiti in autorità, la vita di continuo sacrifizio pel bene del prossimo, esortavali a non trascurare, venuta l'occasione, questo mezzo delle udienze per esercitare la carità con qualsiasi classe di persone. Raccomandava che per tutti avessero un gran rispetto, e, come usava dire S. Vincenzo de' Paoli, in ogni stato faceva veder loro Gesù Cristo. Nel Papa e nei Vescovi Gesù Pontefice, nei preti Gesù Sacerdote, nei Re Gesù Sovrano, nei gentiluomini Gesù della nobilissima stirpe di David, nei magistrati Gesù Giudice, nei commercianti Gesù il buon Samaritano. E additavalo operaio negli artigiani, povero nei mendici, infermo negli ammalati. E così nelle parabole il padre di famiglia, lo sposo, il vignaiuolo, il proprietario, ecc.

                Indicava loro di farsi un grande studio nel non rimandare mai alcuno malcontento. Soleva dare con altri avvisi, anche il seguente al suo segretario: - Procura di fare quanto puoi per contentare la gente, come fa Don Bosco. - Il segretario pertanto si mise di proposito a seguire quel consiglio; ma, passati alcuni giorni, si presentò a D. Bosco dicendo essergli impossibile di poter accontentare tutti; e lo pregò che gli suggerisse il modo.

                Don Bosco, dopo qualche istante di riflessione, gli rispose:

                - Tutti? Impossibile! Senti: stamane venne da me una signora per esporre i suoi affari, ma pretendeva, con vive insistenze, che scendessi in chiesa per trattarli in confessionale. - Ma veda, le risposi io; non ho tempo; e poi queste cose non appartengono al confessionale.

                - La signora però scattava, dicendo: - San Francesco di Sales non faceva così co' suoi penitenti.

                - Ed io: - Se S. Francesco si fosse incontrato con lei in questa circostanza, le avrebbe dato la mia stessa risposta. E quella buona signora non volle persuadersi e partì rannuvolata. Tuttavia, in queste occasioni la calma, senza alcuna acrimonia, toglie o diminuisce di molto un'impressione [32] disgustosa. Ma per ottenere quest'effetto è necessaria un'abitudine di preparazione: cioè preghiera, matura riflessione, amabilità di modi, congiunta ad una grande pazienza e amore della verità.

                Nello stesso tempo soggiungeva: - Siate prudenti; ma non dimentichiamo che la nostra prudenza deve consistere nel mettere sempre in salvo la fede, la coscienza, l'anima nostra.

                Del resto, chierici, preti e alunni ricevevano una lezione pratica del come si deve dare un'udienza che riesca fruttuosa, quando essi stessi entrando in sua camera a parlargli, ammiravano il modo col quale si diportava.

                Nel trattare colle persone ne conosceva a prima vista il naturale, le propensioni, i difetti e le belle qualità; e sapeva nel parlare regolarsi in modo che tutti ne rimanevano appagati. Chiesto del come si avesse a fare per introdursi, come egli faceva, nel cuore degli uomini e guadagnarsi la loro stima, egli suggeriva questo mezzo: - Interrogare molto e portare il discorso sullo stato, sull'arte o professione dell'individuo con cui si parla. Al contadino chiedere notizia delle campagne, ad un soldato della vita militare, ad un medico de' suoi infermi, ad un negoziante delle fiere e dei mercati, ad un padre della sua famiglia, ad un fanciullo della scuola e dei giuochi. Consumato nella grande arte di accomodarsi a tutti i caratteri e di eguagliarsi a tutte le capacità, teneva perfino conversazione coi bambini, e direi quasi balbettava con essi, mentre nelle discussioni poco importanti, lasciava che l'uomo di mediocre levatura si credesse alla sua portata nella scienza e nel maneggio dei grandi affari.

                A pari passo colle udienze andava il disbrigo dell'epistolario. Ma per leggere i fasci di lettere, che gli giungevano ad ogni ora, egli per non essere disturbato, nel dopo pranzo si ritirava o nel Convitto o in un caffè vicino al Santuario della Consolata. Di qui non si moveva finchè non avesse postillato [33] quei fogli. Ritornato a casa, per circa vent'anni era costretto a passare metà delle notti a scrivere le risposte. Un simile lavoro esigeva sovente una grande attenzione, per i consigli che doveva dare, o le questioni da sciogliersi. Ma era sempre ispirato a grande prudenza il modo che usava nel rispondere a domande, che per iscritto gli facevano persone sconosciute. Se dalle loro esposizioni non poteva farsi un concetto ben determinato del soggetto, o l'argomento era troppo delicato, egli rispondeva loro che si rivolgessero al proprio parroco, o al direttore di spirito, oppure ad altro ecclesiastico o secolare istruito ed esperto in tali materie, e se ne stessero al loro giudizio.

                Ma le lettere non meno che le udienze gli porgevano occasione di esercitare la pazienza e l'umiltà. Era solito a dire che alle lettere irose od offensive, una risposta dolce, con attestazione di stima scritta immediatamente, dà sempre una sicura vittoria e muta i nemici in amici. Responsio mollis frangit iram: così nei Proverbi. Egli ne aveva fatto cento volte la prova.

                Accadde verso l'anno 1863 che un nobilissimo signore, da lui conosciuto non altrimenti che per fama, gli scrivesse una lettera per un affare di certa importanza. D. Bosco avendo in quel momento una complicatissima corrispondenza da sbrigare e non trattandosi di cosa di confidenza, incaricò un suo prete di fare quella risposta. Quel signore, che aveva una gran stima di sè e dei riguardi che gli si dovevano, al ricevere quel foglio, fu sdegnato oltre ogni dire e, presala penna, riscrisse con mille insolenze: - D. Bosco non dover ignorare chi fosse colui che aveagli scritto onorandolo di un suo autografo. Egli saper benissimo chi era D. Bosco ...; per conseguenza non riconoscendo la distanza pel grado sociale esistente tra sè e lui, D. Bosco aver commesso un'indegnità col non degnarsi di rispondere di proprio pugno. Egli aver scritto più volte al Re, al Papa, e ad altri potentissimi [34] personaggi e da tutti aver ricevute risposte autografe e non per mezzo di segretarii. E D. Bosco temeva forse di umiliarsi facendo egli stesso la risposta? Si crede di essere più del Re, più del Papa? Sarebbe stato suo dovere recargli una risposta in persona... - E così andava avanti di questo passo.

                D. Bosco non si commosse punto nel leggere una lettera così villana e di suo proprio pugno rispose: - Che lo ringraziava del suo grazioso foglio. Averlo conosciuto prima come uomo istruito e di gran levatura, ma non aver creduto mai che possedesse così maestrevolmente l'arte di scherzare come appariva da quella lettera. Ringraziarlo della famigliarità colla quale aveagli scritto, che gli rivelava un amico sincero. Quindi essere desso troppo onorato di quell'amicizia e non voler lasciare sfuggire quell'occasione per raffermarla maggiormente. Perciò non potendo in quel momento scrivere più a lungo, si riserbava di venire a pranzo da lui un tal giorno, alla tal ora, per discorrere con tutta tranquillità del noto affare.

                Quel signore, essendogli passato quel momento di furia, non potè a meno che riconoscere lo sproposito che aveva fatto e vergognarsene. D. Bosco andò a pranzo da lui che attendevalo in cima alle scale. Sul principio era alquanto imbarazzato, ma dopo pochi minuti divenne aperto e lieto, poichè D. Bosco sembrava che realmente avesse presa quella lettera come una cordiale e fine facezia per provocare la sua venuta. Si pranzò, si rise: Don Bosco colla sua amabilità fu ben presto padrone del cuore del suo ospite, il quale da quel punto divenne amico e sostenitore dell'Oratorio.

                Un parroco della Diocesi di Saluzzo, dopo una lunga corrispondenza con D. Bosco, irritato per non essere favorito in un suo progetto, riscrisse una lettera di sette pagine con termini di fuoco che sembravano studiati per offendere. Don Bosco gli rispose: che gli rincresceva di averlo disgustato così gravemente: che egli aveva esposte alcune idee e progetti, credendo non fossero contrarii a' suoi desiderii; che però [35] ritrattava qualunque frase avesse potuto spiacergli; che si rimetteva tutto nelle sue mani e gli chiedeva scusa se in qualche modo, senza intenzione, l'avesse offeso. - Quel parroco all'inaspettata risposta venne a sensi più miti. Chiese perdono per lettera; pregò Don Bosco a stracciare quel foglio malaugurato; lo supplicò a volersene dimenticare come se non fosse stato scritto; si proferse in tutto e per tutto a prestare quei servigi di cui D. Bosco avrebbe potuto avere bisogno. E mantenne la sua parola generosamente.

                Un altro distinto ecclesiastico aveva scritta una lettera a D. Bosco che, essendo fuori di Torino, non aveva potuto riceverla. Quegli non vedendo giungere risposta s'inviperì credendo che D. Bosco non volesse degnarsi di tener con lui corrispondenza. Perciò irritato sbraitava in pubblico essere D. Bosco un superbo, un orgoglioso; e aggiungeva: - Se tale è il Superiore della nuova Congregazione, quale razza di gente dovranno essere i Salesiani! - E muoveva contro di essi varie accuse, dicendo che aspettava da D. Bosco una discolpa, avendogli egli scritto di buon inchiostro. D. Bosco avvisato di queste dicerie mandò una lettera a quel signore, dicendogli che non attendesse una sua giustificazione contro le imputazioni da lui fattegli, perchè egli si dichiarava colpevole di quanto era stato accusato e di colpe ancora maggiori; solo lo pregava, essendo ogni uomo in pericolo continuo di morire da un momento all'altro, di volergli accordare il desiderato suo prezioso perdono, acciocchè per parte sua potesse presentarsi tranquillamente al tribunale di Dio. A questa lettera quell'ecclesiastico restò confuso, scrisse esprimendo un gran pentimento per le sue sgarbate e calunniose invettive e concluse asserendo, non restargli altra cosa da fare fuorchè venire a Torino e gettarsi ai piedi di D. Bosco e chiedergli perdono.

                Avea perciò piena ragione D. Bosco nel ripetere che così nello scrivere come nel parlare è sempre perdente chi con ingiurie risponde alle ingiurie, perchè sermo durus suscitat furorem.

 

 

CAPO V. Discorsi sconvenevoli e fiamma misteriosa in una camerata - Dicerie e timore - D. Bosco dà spiegazione del fatto, ed esorta i giovani a non essere restii a quell'avviso di Maria SS. - La strenna, la fiamma, la visita alle coscienze - Come la Madonna veda tutto quel che vuole, e soglia apparire in questo mondo - Canto di Maria SS. in una visione - Bene prodotto fra gli alunni da quella fiamma - Una causa per la quale D. Bosco attende indefessamente al confessionale.

 

                IN ogni sua opera, in ogni sua fatica D. Bosco aveva di mira solo la gloria di Dio e il bene delle anime e perciò non deve parer cosa strana che la Vergine benedetta lo aiutasse di persona nel compiere i suoi ufficii e nel vegliare sopra i giovani dell'Oratorio. Infatti che vi sia comunicazione col mondo soprassensibile nessun uomo ragionevole può negarlo. I fenomeni soprannaturali, avverati in grandissimo numero nel corso de' secoli, sono tali avvenimenti, che cadono nel dominio della storia. Ad ogni critico spassionato è però libero il campo di esaminarli, discuterli, accettarli, e noi rimettiamo ad essi l'esame di quanto esporremo. Notiamo intanto che i fatti mirabili, che s'intrecciano colla vita del Venerabile D. Giovanni Bosco e le sue parole, ebbero testimonii in quest'anno 500 alunni e con essi preti, chierici e altri della casa.

                Or dunque entriamo in argomento e diremo come realmente la Madonna continuasse la, sua generosa assistenza all'Oratorio. [37] D. Bonetti Giovanni così narra nella sua cronaca. “Giovedì 9 gennaio 1862. Verso le 9 di sera, tre giovani, Vallania, Sciolli e Finelli, erano andati a coricarsi prima di tempo nella loro camerata di S. Luigi, posta nella parte nuova della Casa. Mentre raccontavano delle frottole (o meglio facevano discorsi non molto buoni), invece di venire cogli altri alle preghiere comuni, odono una scossa come di terremoto e di poi un fischio di vento gagliardo che si avvicina. Ed ecco ad una finestra della loro camerata sul davanzale esterno presentarsi una fiammella a guisa di un globo di fuoco. Sebbene la finestra fosse chiusa, penetrò attraverso di essa con un po' di rumore. Passata sulle loro teste percorse la sala da una estremità all'altra; quindi, fermatasi nel mezzo, cessò di formare un globo solo, ma si divise e si sparse in tante fiamme per tutta l'estensione della camera, che rimase per un istante interamente illuminata anche in ogni suo angolo. In questo stesso mentre udivasi un rumore, quasi passo d'uomo che camminasse. Dopo qualche istante la luce si adunò di nuovo in un solo globo, si portò alla detta finestra e ne uscì, lasciando pieni di spavento quei tre giovani, i quali, appena poterono riprender fiato, si nascosero sotto le coperte.

                Una cosa così straordinaria non potè rimanere nascosta: e Vallania me la raccontò, assicurandomi della verità di un fatto per lui non troppo onorevole. Come un lampo se ne sparse la notizia; corsero varie dicerie. Quel lume stesso scintillante di vivissima e straordinaria luce, era stato veduto da D. Rua e da D. Savio mentre uscivano da una scuola, ma lo credettero un fuoco fatuo. Il Chierico Provera si trovava dietro alla casa, sul terrazzo vicino alla finestra e di qui lo vide comparire all'altezza di circa due metri sopra il suo capo. Mentre stavalo osservando, quello scoppiava senza fragore con gran sprazzo di scintille; e, dopo un sommo splendore, egli si trovò involto in dense tenebre. Vi fu eziandio chi [38] asserì aver visto un globo di fuoco sulla camera di D. Bosco. Altre voci, ma senza fondamento, di misteriose apparizioni correvano fra gli alunni, i quali, compresi da un sacro timore, desideravano che D. Bosco desse spiegazione di quel fatto.

                E D. Bosco il 12 gennaio domenica, alla sera, a tutti gli alunni radunati studenti ed artigiani, narrò l'avvenimento di quel lume e lo descrisse e lo spiegò ne' suoi più minuti particolari. Quindi proseguì: -

 

                Questo è il fatto: abbiamo qui presenti quelli che ne furono testimoni, i quali lo raccontano - come io ve lo esposi. Aggiungerò che quel globo dalla camerata passò in altra stanza, dove lasciò notizia che in quel luogo della casa si parlava male. Non molto dopo lo videro D. Rua, D. Savio e il chierico Provera.

                “- In questi giorni si fece un gran rumore fra i giovani per questo lume. Alcuni domandano: - Che cosa è? È forse l'anima di Martano che ha bisogno delle nostre preghiere? - Altri: - È  forse un bolide od una stella errante? - Lasciamo stare da parte tutte queste domande; io sono in grado di dirvi quello che sia veramente. Ecco: vi sono in questa casa certi cuori ostinati, che resistono alla grazia di Dio. Essi hanno provocata su di loro l'ira del Signore, che ci minacciava di qualche singolare castigo. Maria SS., che si è sempre dimostrata protettrice di questa casa, con un segno sensibile tenne indietro questi castighi, in quel modo che noi abbiamo veduto; limitandosi ad avvertire pietosamente quei tali che si fanno vedere di cuore inespugnabile.

                - Io vi assicuro che quando penso sullo stato di taluni io piango di dolore. Dopo tanti favori del cielo, vedere certuni così indifferenti, trascurati dell'anima propria! Se costoro non si risolvono a questo in tempo, di romperla una volta col peccato e di darsi al Signore, forse non avranno mai più in tutta la loro vita una grazia tale di convertirsi. Stiano attenti questi tali, che io voglio dar loro un consiglio, ed è questo: Se essi non vogliono lasciare il peccato, vadano via da questa casa, vadano via presto, altrimenti se loro accadrà poi qualche infortunio, io non ne sarò garante. Ciascuno ci pensi. Taluni hanno da fare confessioni generali; altri hanno peccati taciuti in confessione e già da molto tempo; altri hanno imbrogli, e sempre dicono farò, farò e non mai si mettono da forti. Costoro temano pure che hanno ragione. Ma quelli che hanno la coscienza tranquilla non abbiano alcuna paura; posso io loro assicurare che non ci accadrà alcun male, perchè abbiamo con noi Maria SS. che ci protegge. Qualunque rumore si oda, qualunque lume vediate se siete in grazia di Dio non abbiate alcuna paura. [39] Poco tempo fa vi fu una minutissima visita al vostro cuore e nessuno se ne accorse. Ma per i buoni deve essere di grande conforto, e pegno di sicurezza per l'anima loro. Agli spensierati invece deve porgere occasione di serie riflessioni.

                - Diceva uno quest'oggi: - Io voglio andar via da questa Casa; non vo' più starei con questi fatti. - Buon giovane. Forse che quando la mano di Dio vuol trarci a lui, non ci trova in ogni angolo della terra? Dice Davidde: Se ascenderà in cielo sulle stelle, tu ci sei; se discenderò sotto terra, nell'inferno, colà io ti troverò: se metterà le ali e volerò alle ultime estremità dei mari, anche di là mi ricondurrà e mi terrà la tua destra.

                - Intanto domani voi tutti pregate il Signore e la Madonna che ci concedano tutte quelle grazie, che sono necessarie all'anima nostra. Io la pregherò pel bene dell'anima mia ed anche per quello delle vostre. Ora andate a dormire e dormite bene.

 

                Come ebbe finito di parlare il giovane Vallania si avvicinò a me (D. Bonetti) assicurandomi, che il racconto di Don Bosco rispondeva esattamente a quanto egli aveva visto nella camerata.

                Molti commentavano quella frase. Poco tempo la vi fu una minutissima visita al vostro cuore e nessuno se ne accorse e giudicavano che evidentemente alludeva alle strenne o biglietti distribuiti alcuni giorni prima sopra dei quali ciascun giovane era appuntino definito secondo il suo stato morale; quindi quella strenna e quel lume o globo essere come una sola cosa diretta allo stesso fine o meglio questo essere conseguenza di quella. Così la pensavano i giovani, mentre davano a D. Bosco la buona notte.

                Essendo gli alunni andati a dormire una gran parte dei chierici e alcuni secolari si strinsero intorno a D. Bosco, per fargli alcune domande. Fra le altre cose chiesero la spiegazione di quelle sue parole: Il globo quindi passò altrove dove lasciò notizia che là non si parlava molto bene. - D. Bosco però non volle spiegar niente, ma ci lasciò intendere con parole equivoche, che il globo era passato propriamente in camera sua e che quivi egli aveva saputo tante altre cose. [40]

                Ci disse poscia come suole la Madonna comparire in questo mondo. Dopo averci dato qualche saggio della profonda cognizione che aveva di Teologia, collo spiegarci, come umanamente si può, la visione intuitiva di Dio, per cui i santi guardando in Dio come in uno specchio, secondo il suo beneplacito, vedono tutto il passato, il presente, l'avvenire, tutti i punti dell'Universo e perciò come essi pure trovinsi in tutti i punti del mondo; passò a direi che la Madonna volendo trovarsi in qualche luogo particolare, ha solo da fare un atto di volontà di essere in quel tal posto, ed allora vi si trova realmente. Ella compare, per lo più, vestita secondo il costume di quel tal paese in cui essa si vuol trovare; alcune, volte compare e dà segno della sua presenza locale per mezzo di un emblema.

                Noi restammo ammirati nel sentirlo parlare così bene e con tanta facilità di cose mistiche, ed alcuni gli domandarono se avesse già qualche volta provate e godute simili visioni. Egli rispose di aver ciò imparato sugli autori. Essendo libri che parlano di cose speculative ed appartenenti piuttosto a chi vuol fare vita contemplativa, D. Rua domandò se nella casa vi fossero dei giovani ai quali sarebbero stati adattati tali libri. D. Bosco sorridendo gli diede del curioso e soggiunse: - Coloro che potrebbero leggere questi libri ed essere capaci di comprenderli, non si credono tali, poichè se si stimassero da tanto, guai a loro: Iddio permetterebbe che fossero umiliati.” Gli si domandò come fare a non cadere indietro e conservarsi nella virtù. Ei rispose Fare quel che possiamo: stimarci un nulla avanti al Signore, e persuaderci bene, che senza di Lui non possiamo fare altro che peccati”.

                Fin qui la cronaca.

                È in questa apparizione che probabilmente D. Bosco udì aggiungersi in sogno da Maria SS. alcune strofe finali alla canzone di Silvio Pellico: Cuor di Maria che gli Angioli. Gli sembrava [41] di intonare egli stesso questa laude e che a lui si unisse un immenso coro con armonia celestiale continuandola sino alla fine.

                A me venite, o  figli                            Intorno a me stringetevi

                (Così Maria risponde)                       Siatemi sempre accanto,

                Chi tante preci effonde                     Vi coprirò col manto,

                Respingere io non so.                         Difesa a voi sarà.

 

                Come il coro ebbe finito e si fece tutto intorno un profondo silenzio, Maria SS. sciolse da sola un canto di armonia e dolcezza ineffabile. D. Bosco conservò in mente il senso di que' versi; anzi, benchè non volesse mai svelare altre particolarità di questa visione, confidò ad alcuni suoi intimi, averne di quello come potè tenuta memoria per iscritto. Non ci poteva essere nessun dubbio sulla veracità della sua asserzione. Perciò, dopo la morte del Servo di Dio, esaminando attentamente le sue carte, ne abbiamo trovato una ingiallita, dal tempo, che porta scritte dalla mano di D. Bosco null'altro che sei strofe, sullo stesso metro, della sovracitata poesia di Silvio Pellico. Anzi ne sembra una continuazione, poichè si intende essere la Madonna che prosegue a dare incoraggiamento e consiglio ad un suo servo fedele.

                Sarà questa la carta da noi ricercata? Comunque sia noi la riproduciamo, perchè quanto appartiene a D. Bosco è per noi cosa preziosa.

 

                Alma ambasciata, calmati,                             Religion sostengati

                Labbro fedel tel dice;                                        Nei dubbi della vita;

                Tu vita avrai felice                                             Se al ciel domandi aita

                Se ascolti i detti miei.                                        Sicura avrai mercè.

                Pace goder se brami                                           Quando dei giorni l'ultimo

                Al rio piacer fa guerra.                                       Verrà e in polve avvolto

                E tosto e cielo e terra,                                        Il corpo andrà sepolto.

                Costanti amici avrai.                                         Nè uom più pensa a te,

                Di gran saper non curati,                                   Allor pieno di giubilo,

                Cerca la scienza fida,                                        Perchè fu giusto e pio,

                Quella che al ciel ti guida;                                 Lo spirto andrà con Dio

                Sol questa è un vero ben.                                  Godendo il vero ben. [42]

 

                Ed ora ripigliamo la cronaca di D. Bonetti.

                “Il bene che produsse l'apparizione di quel lume nei giovani non si può calcolare. Molti che erano trascurati si misero di buon animo, fecero la loro confessione generale, si risolsero di frequentare i SS. Sacramenti. La stessa sera andavano a gara, domandando ad un chierico e all'altro medaglie da mettersi al collo; dando segno i buoni di camminare con perseveranza e maggior fervore nella strada della virtù, i cattivi di emendarsi, come fecero”.

                Ma simile eccitamento a conversione non avrebbe prodotti tutti i suoi salutari effetti, se non fosse stata permanente in D. Bosco una cognizione soprannaturale delle coscienze.

                “Essendo egli uscito, così la cronaca, un di questi giorni dall'Oratorio coi chierici Provera e Durando venne in questo discorso: - Io faceva conto di sminuirmi alquanto la fatica di confessare, invitando il Teologo Marengo, che si presta molto volentieri, a venire più sovente ad ascoltare i giovani nel tribunale di penitenza: dello stesso sacro ministero incaricai D. Rocchietti. Ma che farci? Mi accorsi di gravi inconvenienti dei quali non potevano avvedersi quei due eccellenti sacerdoti. Perciò a quando a quando fui obbligato a  chiamare in mia camera certi giovani. Loro domandava: - Ma, e quando verrai ad aggiustare i tuoi conti?” Mi si rispondeva: - Sono andato solamente l'altro giorno da D. Rocchietti, o dal Teologo Marengo; ho fatto persino la confessione generale.

                - Ma pure e questa e quell'altra cosa l'hai manifestata? Rimanevano lì, chè non sapevano che dirsi, e rispondevano: È vero: non ho osato a confessarla”.

                A questa nota della Cronaca noi aggiungeremo: Don Bosco era assistito da quegli del quale disse S. Giovanni nel suo Vangelo: - Ipse enim sciebat quid esset in homine[2].

 

 

CAPO VI. Risposta di Pio IX ad una lettera di D. Bosco - Rescritto pontificio per indulgenze - Capitolo aggiunto alle regole dell'Oratorio festivo - Accettazione di socii nella Pia Società: conferenza sull'obbedienza - D. Bosco commenta ai Chierici un versicolo di S. Giovanni: dolcezza che prova chi lavora per le anime - Dissuade D. Allievi dall'istituire una Congregazione religiosa - Sue parole agli alunni: modo di passar bene il carnevale: mezzi per farsi santi: avviso per imminenti battaglie spirituali - D. Bosco non vuol vedere giovani appartati o seduti in tempo di ricreazione - Scopre da lontano i nascosti giuocatori di soldi Una battaglia a palle di neve e il  perdono di D. Bosco.

 

                IL cuore di D. Bosco era con insistenza rivolto a Roma e sul finir dell'anno 1861 aveva scritta una lettera a Pio IX, della quale, come di altre confidenziali, non tenne copia. I suoi scritti erano sempre gratissimi per varii motivi al Sommo Pontefice. In questo foglio D. Bosco gli chiedeva alcuni favori che gli vennero subito concessi, con un rescritto incluso nella seguente lettera, la quale, come il rescritto, porta la firma autografa del Santo Padre.

 

PIO PP. IX.

 

DILETTO FIGLIO, SALUTE ED APOSTOLICA BENEDIZIONE.

 

                Con vera gioia abbiamo ricevuto la tua lettera dei 25 scorso dicembre, scritta pure a nome di molti sacerdoti, chierici e pii secolari, e ripiena dell'ossequio e dell'amore che tu e i detti ecclesiastici e [44] laici professate verso di Noi e verso questa Cattedra di Pietro. Senza dubbio tu stesso potrai facilmente immaginare con quanto dolore e tristezza dell'animo Nostro abbiamo appreso quale micidiale guerra ora siasi dichiarata alla santissima nostra religione, specialmente nella infelice Italia, dai figli delle tenebre, che per mezzo di libri pestilenziali, coi giornali, colle scuole e col danaro ed altre funeste insidie ed astuzie d'ogni genere, si sforzano di allontanare i popoli di Italia dal culto cattolico, farli cadere in perniciosissimi errori d'ogni sorta, corromperli in modo miserando e con malizia veramente infernale mettere a pericolo la loro eterna salute. Tuttavia in tanta afflizione e in questa terribile congiura degli empii contro la Chiesa Cattolica, ci torna di non piccola consolazione certamente il vedere con quanta fortezza e costanza i nostri Venerabili Fratelli i Vescovi, come esige la loro Episcopale dignità, valorosamente difendono la causa, i diritti e la dottrina di Dio e della santa sua Chiesa, e con quale alacrità tanti fedelissimi sacerdoti, strettamente uniti a Noi ed ai loro Vescovi, coraggiosamente combattono le battaglie del Signore, e finalmente qual figliale amore tanti popoli fedeli si glorino di portate a questa Sede Apostolica e si oppongano agli sforzi degli empii. Quindi fra le gravissime pene che ci opprimono, con vero conforto dell'animo Nostro veniamo a conoscere dalla tua lettera con quanto zelo tu, o diletto Figliuolo, ed i sullodati sacerdoti e laici vi adopriate a procurare la salute dei fedeli, ed a scoprire e mandare a vuoto le insidie e gli errori dei nemici. Perciò, mentre di gran cuore ce ne congratuliamo con Te e con cotesti Ecclesiastici e secolari, esortiamole ed essi tutti a continuare con zelo sempre più ardente nel propugnare la causa della divina nostra religione. Facciamo poi ardenti voti perchè tu ed i tuoi innalziate continue e ferventissime preghiere a Dio ricco in misericordia, affinchè sorga, prenda a difendere la sua causa e col suo potentissimo aiuto assista Noi e soccorra la sua Chiesa. Dal rescritto poi che qui è annesso, apprenderai con quanto piacere Noi accondiscendiamo a tutti i tuoi desiderii. Finalmente a Te ed a tutti gli Ecclesiastici e secolari suddetti con tutta effusione di cuore, impartiamo l'Apostolica Benedizione auspice di tutte le grazie celesti e qual pegno della nostra singolare benevolenza verso di voi.

                Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 13 di Gennaio 1862. Anno Decimosesto del Nostro Pontificato.

 

Pio PP. IX

Al Diletto Figlio, Sacerdote Giovanni Bosco - Torino[3]. [45]

 

                Il rescritto incluso colla domanda fatta da D. Bosco era il seguente:

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Il sacerdote Bosco Giovanni Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino (Piemonte) si prostra ai piedi di V. B. supplicandola di accordare i seguenti spirituali favori:

 

 

Dilecto filio Praesbytero Ioanni Bosco

Augustam Taurinorum. [46]

 

                I° Celebrare le tre Messe nella mezzanotte del Santo Natale e distribuire la Santa Comunione a quelli, che prendono parte a questa sacra funzione, AD SEPTENNIUM

                2° Indulgenza Plenaria a chi in quella occasione si accosta ai Santi Sacramenti della Confessione e Comunione;

                3 ° La medesima Indulgenza una volta al mese, quando i giovani si accostano ai Santi Sacramenti, facendo l'esercizio della buona Morte;

                4° Indulgenza Plenaria in articulo mortis ai giovani ORA ESISTENTI di questa Casa ed alli Benefattori ATTUALI della medesima.

                Che della grazia ecc.

                A Sua Santità PIO PP. IX.

 

                Pro gratia serv. servandis.

 

PIUS PP. IX.

 

                NB. Le parole in maiuscoletto furono aggiunte dallo stesso Pio IX nella supplica soprascritta.

 

                D. Bosco annunziava a' suoi giovani anche esterni le benigne concessioni della S. Sede, e queste gli porgevano occasione di aggiungere alla Parte seconda del Regolamento dell'Oratorio festivo un Capitolo, nel quale conferma le pratiche divote già in uso per la settimana santa e pel mese di maggio[4]. [47]

                La lettera del Pontefice fu letta a tutti i membri della Pia Società, i quali nel gennaio del 1862, compreso D. Bosco, erano trentotto, uniti in Domino: cioè 5 preti, 28 chierici, e 5 laici.

                Vennero proposti quindi due ottimi postulanti per la loro accettazione all'anno di prova e dei quali si legge nei verbali del Capitolo:

 

                Li 20 gennaio 1862 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales radunato dal Signor Rettore D. Bosco, fece colle solite formalità l'accettazione del suddiacono Fusero Bartolomeo da Caramagna, figlio di Clemente e del Chierico Racca Pietro di Volvera, figlio di Giacomo. Avendo tutti e due ottenuti i voti favorevoli furono ammessi nella società.

 

                Dopo la votazione così narra la cronaca di Bonetti:

                “D. Bosco parlò dei voti. Lasciando da parte la povertà e la castità, fece qualche riflessione sull'obbedienza. - Essa è Voluntas prompta se tradendi ad ea quae pertinent ad Dei famulatum. Questa definizione coincide con quella della divozione. Noi abbiamo bisogno che ciascheduno sia disposto a fare grandi sacrifizii di volontà: non di sanità, non di danaro non di macerazioni e penitenza, non di astinenze straordinarie nel cibo, ma di volontà. Perciò uno adesso deve essere pronto ora a salire in pulpito ed ora ad andar in cucina: ora a fare scuola ed ora a scopare; ora a fare il catechismo, o pregare in chiesa ed ora assistere nelle ricreazioni; ora a studiare tranquillo nella sua cella ed ora accompagnare i giovani alle passeggiate; ora a comandare ed ora ad obbedire.[48]

                Con tale disposizione di animo operando avremo la benedizione di Dio, perchè saremo veri e fedeli suoi discepoli e servi. Domanda forse il Signore, diceva Samuele a Saulle, degli olocausti o delle vittime e non piuttosto che si obbedisca alla sua voce? Melior est enim obedientia quam victimae; et auscultare magis quam offere adipem arietum. Dobbiamo perciò ascoltare e seguire con generosità la voce del Superiore, che rappresenta Dio e la voce del dovere. Seguendo questa raggiungeremo il fine della nostra vocazione, ci faremo de' gran meriti e salveremo le anime nostre e quelle degli altri -”.

                Sovente egli tornava a parlare sull'argomento dell'obbedienza, facendo osservare il gran premio che attende i religiosi obbedienti, anche su questa terra, cioè la fortuna di poter salvare delle anime. Continua la Cronaca di Bonetti. “Il 23 gennaio trovandosi D. Bosco al mattino in mezzo ai suoi chierici alla recita del Testamentino, scuola che ha luogo ogni giovedì, pregato di ricavare dal sacro testo qualche moralità, si fermò su quelle parole di S. Giovanni qui facit veritatem venit ad lucem e, fra le altre cose che disse, svolse questo pensiero. - Ah fortunato quel chierico, il quale abbia gustato quanto sia dolce il lavorare per la salute delle anime! Egli allora più non teme nè freddo, nè caldo, nè fame, nè sete, nè dispiaceri, nè affronti e nè anco la morte. Ogni cosa egli sacrifica, purchè possa guadagnare anime al Signore! Qui facil veritatem venit ad lucem. Colui che fa il bene viene ben tosto ad ammirarne lo splendore. Provate e vedrete -”.

                Mentre D. Bosco cercava d'istillare il suo spirito nell'anima de' suoi chierici, un certo numero dei quali non apparteneva alla Pia Società, venne all'Oratorio e vi si trattenne qualche giorno D. Serafino Allievi, uomo dotto, e pieno di zelo sacerdotale, vero apostolo della gioventù, che in Milano operava un gran bene, dirigendo quell'Oratorio di S. Luigi. D. Bosco,  [49] che era stato suo ospite nel 1850, lo accolse con molte feste e una sera lo fece parlare a tutti i giovani dopo le orazioni. D. Allievi aveva il progetto di fondare una casa per i fanciulli bisognosi di ricovero; e per custodirli ed educarli dare principio ad una Congregazione Religiosa. Perciò chiese il consiglio di D. Bosco, il quale, conoscendo le gravi difficoltà di simili imprese, gli domandò se in qualche modo avesse per sè, per sua sicurezza, qualche fatto o qualche invito soprannaturale, che lo accertasse del volere, di Dio. D. Allievi gli rispose che no; e allora D. Bosco lo dissuase da simile tentativo, e lo incoraggiò a continuare indefessamente l'opera sua primitiva. D. Allievi gli fu grato dell'avviso; fece però qualche prova per tradurre le sue idee in atto, ma non approdò a gran cosa. Egli aveva confidate le parole di D. Bosco al Sac. Francesco Rainoni, ora (1908) assistente al Santuario della B. V. in Treviglio, il quale le palesava poi a Don Giovanni Garino.

                Ma D. Bosco, che aveva per sè le promesse divine, non trascurava un istante perchè i suoi alunni eli queste si rendessero degni. “Il 22 gennaio salito sulla cattedra dopo le orazioni della sera, interrogato da un chierico intorno al modo di passar bene il carnevale, rispose: - I° Tutto quello che farete durante questo tempo indirizzatelo tutto a onore e gloria di Maria. - 2° Tutto quello che farete a gloria di Maria fatelo anche per suffragare le anime del purgatorio. - Disse poi, notò D. Bonetti, molte altre cose che non ho tempo a scrivere: e annunziò la morte di Bianciotti Luigi da Cantalupo che era nei 17 anni, avvenuta il 21 gennaio nell'Ospedale di S. Giovanni”.

                “Nei giorni seguenti trovandosi in un crocchio di giovanetti, disse loro:

                - Volete farvi santi? Ecco! La confessione è la serratura; la chiave è la confidenza nel confessore. Questo è il mezzo per entrare per le porte del paradiso. [50]

                Altra volta disse pure: - Due sono le ali per volare a cielo, la confessione e la comunione.

                Tal'altra sussurava all'occhio di uno: - Coraggio, mio caro; il tempo della prova è vicino. - Ciò bastava chè i giovani stessi, premuniti, si accorgessero dei lacci preparati dall'uomo nemico”.

                In ricreazione non soffriva che alcuni stessero appartati da tutti gli altri compagni; nè permetteva che vi fossero panche per sedersi. Un giorno, ci narrò nel 1905 D. Anglois allora studente nell'Oratorio e poi sacerdote e cappellano nelle carceri delle donne in Torino, tre alunni si erano seduti in tempo di ricreazione sopra un grosso trave, che doveva servire per una costruzione. D. Bosco si avvicinò e disse loro con molta amorevolezza: - Separati siete tre ottimi giovani, uniti siete tre biricchini. - E quei giovani corsero a fare ricreazione.

                Egli aveva eziandio per la sorveglianza un udito speciale. Era prescritto che il danaro personale mandato dai parenti fosse consegnato al Prefetto, che l'avrebbe somministrato con prudenza secondo la domanda di chi ne era padrone. Misura ragionevole per ovviare molti disordini. Ora “D. Bosco il 31 gennaio, - è la Cronaca di D. Bonetti che parla, dopo pranzo passeggiava sotto i portici con alcuni giovani, quando tutto ad un tratto si fermò e chiamato a sè il Diacono Cagliero Giovanni, gli disse sottovoce: - Sento suonare i danari e non so in qual parte si giuochi. Va, cerca questi tre giovani (e gliene disse i nomi) e li troverai giuocando.

                - Io tosto mi posi a cercare, così narrava lo stesso Cagliero, da una parte e dall'altra e non riusciva a poterli trovare; quando ecco vedo comparire uno dei tre. Tosto gli domandai: - Donde vieni, e dove ti eri ficcato, mentre è tanto, tempo che ti cerco e non ti trovo?

                - Era in quel luogo così e così. Che cosa facevi colà? [51]

                - Giuocavo ai birilli.

                - Con chi?

                - Coi tali N. e R.

                - Giuocavate per danaro eh?

                Il giovane ingarbugliò qualche parola, ma non negò che giocava di danari.

                - Allora andai in quel posto indicatomi che era molto nascosto, ma non trovai più gli altri. Continuai ad indagare e venni a sapere di certo, che quei tali un 10 minuti prima erano molto scaldati in un giuoco d'interesse. Allora portai la risposta a D. Bosco. - D. Bosco raccontò all'indomani che nella notte precedente aveva veduti quei tre nel sogno a giocare da disperati”.

                Cosi finiva il mese di gennaio ricco di fatti sorprendenti, i quali però noti avevano impedito - qualche piccolo inconveniente come narra fra gli altri il suddetto D. Anglois. Essendo caduta molta neve gli studenti e gli artigiani costrussero con questa due torri, che rappresentavano due campi, l'un contro l'altro armato; e gli uni assalivano le fortificazioni degli altri. In principio fu un divertimento innocuo che occupava con intenso piacere gli alunni; e si tollerò. Ma la notte seguente dagli studenti fu eguagliata al suolo la torre degli artigiani, i quali al mattino, gridando al tradimento, la ricostrussero e vi stabilirono le sentinelle. Gli animi si erano accesi di spirito bellicoso, tanto più che tra due classi, diverse di alunni accade talvolta che vi sia qualche ragione o pretesto di animosità! Ed ecco al mattino del terzo giorno gli artigiani, armati di bastoni, corsero all'assalto della torre degli studenti ben guernita di difensori, mentre le trombe suonavano il passo di carica. L'assalto e la difesa erano accanite. Le palle di neve volavano da tutte le parti. Accorsero D. Alasonatti, D. Anfossi, Buzzetti e Rossi: si gettarono in mezzo a quel tumulto ordinando che si deponessero le armi. Ci fu alquanta riluttanza nell'obbedire, ma suonata la [52] campana gli uni andarono nelle scuole e gli altri nei laboratorii. Buzzetti con varii famigli s'affrettò a distruggere ledue trincee.

                I giovani intanto, riflettendo, avevano riconosciuto il loro torto. Venne mezzogiorno; e unitisi gli studenti cogli artigiani, si presentarono a D. Bosco mentre discendeva pel pranzo. Chiedendogli perdono, promettevano di andare silenziosamente in refettorio, e che non avrebbero più fatto chiassi simili a quelli del mattino. D. Bosco si fermò a guardarli. - Un superiore, che gli stava a fianco, insisteva perchè desse qualche esempio; D. Bosco gli rispose:

                 - Ma non vedi che domandano perdono? - E dopo qualche istante di riflessione continuò: - Dal momento che han chiesto perdono, basta. Sì, perdono; vadano e stiano in silenzio nel refettorio. - E così venne fatto. Alla sera D. Bosco proibì quelle battagliucce ed esortò tutti a recitare con maggior fervore nelle orazioni comuni l'Ave Maria per la pace della casa.

 

 

CAPO VII. Ricompensa retribuita dal Signore a Don Bosco pel suo desiderio efficace d'istruire cristianamente i giovani dati allo studio - Un pensionato presso l'Oratorio - La scuola elementare per gli esterni in Valdocco e suo regolamento Compimento delle Scuole Cattoliche a Porta Nuova: Don Bosco ad Ivrea per la scelta de' maestri elementari; accoglienze del Vescovo e del Clero Una tipografia nell'Oratorio di S. Francesco di Sales Sentenza del Card. Pie sulla cattiva stampa - Pratiche di D. Bosco per ottenere dall'Autorità civile il permesso di iniziare la tipografia Letture Cattoliche: Lettera agli associati - D. Bosco a nome de' tipografi annunzia ai benefattori il nuovo laboratorio Destini della tipografia di Valdocco.

 

                LA carità apostolica di D. Bosco abbracciava con efficace desiderio di salvezza tutta la gioventù del mondo. Vedeva e prevedeva le insidie che a lei si tendevano e si sarebbero poi tese da scuole eretiche, irreligiose e pestifere. Spesse volte se ne lamentava co' suoi collaboratori, dimostrando loro la necessità di aprire numerose scuole cattoliche, e pregava il Signore a volerlo aiutate anche in questa impresa. Dio lo esaudì oltre ogni sua speranza. Noi lo vedremo, trascorsi non molti anni, fondare quasi un migliaio di scuole per i giovanetti, e per le fanciulle; per sua iniziativa in Europa ed in America; per sua indicazione in Africa ed in Asia; e con risveglio meraviglioso di fede nel [54] popolo, come or ci attestano continuamente i primarii personaggi di que' paesi.

                Chi avrebbe potuto credere tale portento nel 1862?

                E fu il premio per lo zelo di D. Bosco, il quale, appoggiato alle promesse di Maria SS., non aveva negletti i mezzi anche più esegui posti in sua mano per fare quel maggior bene che poteva ad ogni ceto di giovanetti col fine primario dell'istruzione religiosa. Oltre le prime classi rudimentali negli Oratorii Festivi e nell'Ospizio, aveva incominciato sul bel principio a a raccogliere in Valdocco gran numero di studenti della città, per le ricreazioni del giovedì. Interessandosi della loro istruzione, raccomandava alle famiglie che li mandassero ad istituti ove era sicuro l'insegnamento cristiano; si recava a visitarli in pubbliche scuole, i professori delle quali gli erano amici, per catechizzarli; ne ammetteva un certo numero a frequentare regolarmente il suo ginnasio; per loro vantaggio rialzava il collegio di Giaveno; e più tardi istituiva per essi, nei quattro mesi delle vacanze d'autunno, scuole speciali per ripetizioni e preparazione agli esami.

                Aveva eziandio aperto nel 1861 a sue spese un convitto a giovani, che per età o altro motivo non potevano essere ammessi nell'Ospizio, allogandoli in un appartamento di casa Bellezza, ossia dell'antica Giardiniera. Il maestro Giacomo Miglietti, al quale aveali affidati, li conduceva ogni mattina nell'attigua chiesa di S. Francesco per assistere nei giorni Festivi a tutte le funzioni con i giovanetti dell'Oratorio, e ogni mattina dei giorni feriali per ascoltare la santa messa celebrata a parte. Lungo il giorno nella sala presso la porteria faceva loro scuola unitamente ad altri fanciulli, che andava, raccogliendo qua e là ne' dintorni. Alla sera poi accorreva a lui gran numero di giovani popolani per imparare a leggere, scrivere, fare conti.

                La scuola elementare serale e diurna contava sedici anni di vita producendo molti e buoni frutti, mentre D. Bosco era [55] andato elaborando a poco a poco e facendo mettere in pratica un Regolamento che infine dopo molti anni dava alle stampe. Doveva servir di norma per le scuole di tutti i futuri oratorii festivi, e venne aggiunto a quello di Valdocco col titolo: Parte terza: Delle scuole elementari diurne e serali)[5].

                Nell'anno 1862, superate non leggiere difficoltà ed opposizioni, aveva anche ultimato l'impianto modesto di scuole cattoliche sul corso Vittorio Emanuele in Torino, per contrapporle alle scuole protestanti. Nel dicembre del 1857 Don Bosco aveva presentato questo suo disegno nella radunanza generale delle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e a quando a quando erasi condotto ad Ivrea per consultare su questa impresa il Vescovo Mons. Moreno.

                Si legge nella cronaca di D. Bonetti: “D. Bosco il giorno 18 Febbraio andò ad Ivrea per aggiustarsi con quel Vescovo sul personale da mettere nelle scuole Cattoliche che stanno per aprirsi, essendo quella diocesi fornita di eccellenti maestri. Stette quattro giorni sebbene avesse intenzione di fermarsi poco: chè ciò non gli era stato possibile. Il Vescovo godeva tanto di intrattenersi seco lui, che non gli permetteva di partire e sempre metteva incagli alla sua fretta. Al Venerdì mattina però D. Bosco era risoluto di ritornare ad ogni costo in Torino, come fece. Chiesto il Vescovo quanto tempo ci andasse per recarsi alla ferrovia, rispose: - Un quarto d'ora!

                - Ebbene è tempo che io mi parta, osservò D. Bosco.

                - Sonvi ancora cinque minuti da aspettare, riprese Monsignore: mi permetta almeno che goda ancora seco lei questo breve momento.

                Uscito D. Bosco fuori dalla stanza del Vescovo, vi erano già molti sacerdoti, parroci, vicecurati, tra i quali il can. Tea, che lo attendevano per parlargli, ma egli non aveva più tempo di fermarsi. Ciascuno allora s'industriò di potergli [56] parlare lungo quel tratto di via che eravi dalla casa del Vescovo alla stazione. Cinque o sei non ancora contenti presero il biglietto della ferrovia e montati sul convoglio, col solo fine di conversare con lui, lo accompagnarono sino a Chivasso”.

                Ma D. Bosco non aveva trattato con quel Vescovo solamente delle scuole; sibbene anche di una tipografia, per edizioni di classici greci, latini ed italiani e di vocabolari, purgate da tutto ciò che poteva nuocere al buon costume: e specialmente per le Letture Cattoliche e per la diffusione più attiva della buona stampa per il popolo.

                Il Vescovo e D. Bosco erano dell'opinione del Cardinale Pie, il quale scriveva: “Quando tutta una popolazione, fosse anche la più devota ed assidua alla Chiesa ed alle prediche, non leggesse che giornali cattivi in meno di trent'anni diventerebbe un popolo di empi e di rivoltosi. Umanamente parlando non vi è predicazione di sorta che valga contro la forza della stampa cattiva”.

                D. Bosco per undici anni aveva vagheggiata l'idea di una tipografia di sua proprietà e negli ultimi mesi del 1861 il suo desiderio diveniva realtà. Nel settembre aveva ordinato al Maestro Miglietti di traslocarsi colla sua scolaresca, dalla sala presso la porteria del cortile, in un stanzone a pian terreno nel lato a levante della casa comprata da' Signori Filippi. E nel locale sgombrato collocava due vecchie macchine a ruota, con un torchio, compra d'occasione; e un banco e le cassette per i caratteri, lavoro de' falegnami della casa. Ripeteva intanto a suoi giovani: - Vedrete! avremo una tipografia, due tipografie, dieci tipografie. Vedrete! - Già pareva le contemplasse in Sampierdarena, in Nizza Marittima, in Barcellona, Marsiglia, Buenos Aires, Montevideo e in altri paesi ancora.

                Egli intanto scriveva la seguente domanda al Governatore della Provincia di Torino. [57]

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Il sac. Bosco Giovanni Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales espone rispettosamente a V. S. come il numero accresciuto de' giovani ricoverati in questa casa, importerebbe di avere qualche altra professione oltre quelle che già ivi si esercitano di falegname, sarto, calzolaio e legatore da libri. Sembra che tornerebbe di vistosa utilità l'iniziare una piccola tipografia.

                A tale oggetto ricorre a V. S. Ill.ma per essere autorizzato:

                I°) Di aprire in questa casa una tipografia sotto al titolo di Tipografia dell'Oratorio di San Francesco di Sales.

                2°) Atteso lo scopo di questa piccola tipografia esclusivamente benefico, e la tenuità dei mezzi e dei lavori cui quella deve restringersi, permettere che si apra in casa del Direttore dell'Oratorio medesimo.

                3°) Prima di dare incominciamento ai lavori tipografici, il ricorrente si obbliga di provvedere una persona dell'arte, che possa garantire i lavori che si dovessero intraprendere.

                Siccome questa piccola tipografia tende a dar lavoro ed a beneficare i giovani più poveri e più abbandonati della società, il sottoscritto confidando nella nota di Lei bontà, spera che la sua dimanda sarà presa in benigna e favorevole considerazione, mentre colla massima stima ha l'onore di professarsi di V. S. Ill.ma

Torino, 26 Ottobre 1861

Umile ricorrente

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Il Governatore così gli faceva rispondere:

 

                D. VI, N.° Pr. 2725                                                                       Torino, addì 29 Ottobre 1861.

 

                A nome della legge 13 novembre 1859 non possono accordarsi permessi per stabilimenti di tipografie, litografie etc. che a quelle persone le quali, oltre le altre condizioni prescritte dagli articoli 128 e 129 della suddetta legge, abbiano fatto un tirocinio di tre anni presso un qualche tipografo, litografo etc. approvato dal Governo, ed abbiano da questi ottenuto un certificato di idoneità nell'arte, e che le tipografie, litografie etc. siano stabilite in luogo esposto al pubblico.

                Ad ottenere quindi il permesso instato dal Sig. D. Bosco Giovanni, direttore dell'Istituzione sotto il titolo di - Oratorio di S. Francesco di Sales - per una tipografia in quello stabilimento, è necessario che la domanda sia fatta da persona, che abbia tutte le qualità statuite dalla citata legge, e che il locale ove s'intenda esercire la detta tipografia sia esposto a seconda del prescritto dalla legge medesima.

P. il Governatore

VIANI. [58]

 

                D. Bosco rispondeva al Governatore, chiedendo di poter essere egli stesso il titolare legale della tipografia. Nel Superiore egli tendeva sempre a concentrare ogni supremazia.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Secondo la lettera del 29 scorso ottobre V. S. Ill.ma permetterebbe di aprire una tipografia sotto il titolo Tipografia dell'Oratorio a favore de' giovani ricoverati in questa casa, purchè la dimanda fosse fatta in capo a persona approvata nell'arte, e che il locale desse adito al pubblico.

                La seconda condizione si accetta senza riserva.

                Farei soltanto rispettosa preghiera, affinchè fosse in via di favore modificata la prima, permettendo che fosse aperta in capo al Direttore di questa casa, che si obbligherebbe di presentate un individuo pratico ed approvato in questa arte, quando siano terminati i preparativi e si debba dare cominciamento ai lavori tipografici. Così mi fu assicurato praticarsi in Genova nello stabilimento dei Sordo - Muti e nell'Opera degli Artigianelli ed anche in Monza nel piccolo ricovero di carità.

                Il gravarne che se ne avrebbe aprendola in capo ad un terzo e l'incertezza della durata, la maggior spesa da assegnarsi al proto tipografico, sono due cose che renderebbero incerto il vantaggio morale dei giovani e nullo il vantaggio materiale.

                Pieno di fiducia nella nota di Lei bontà con la massima stima ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 18 Novembre 1861.

 

Obbl.mo Ricorrente

Sac. BOSCO GIOVANNI.

Direttore.

 

                Il Conte Pasolini Giuseppe senatore del regno, Prefetto della Provincia, poichè il titolo di Governatore era stato mutato in quello di Prefetto, rispondeva a D. Bosco, dandogli norme per compiere l'affare in vertenza; e D. Bosco gli scriveva:

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Dopo l'ultima lettera di V. S. Ill.ma riguardante alla piccola tipografia, credo che ogni cosa sia secondo il prudente e legale di Lei parere nel modo seguente: I°) L'adito è rivolto al pubblico. 2°) Avrà il [59] titolo: Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. 3°) Sarà aperta sotto la direzione del Signor Andrea Giardino, di cui si uniscono i necessarii documenti, ma proprietà del Sac. Bosco Giovanni direttore dell'Oratorio suddetto. Sono pieno di fiducia nella nota di Lei bontà, e spero di presto effettuare quanto sopra per così porgere pane e lavoro ad una parte de' poveri giovanetti ricoverati in questa casa.

                Coi sentimenti della più sentita gratitudine ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Ill.ma

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                La licenza di aprire una tipografia era finalmente accordata colla firma di due signori, che avevano preso parte alle perquisizioni nell'Oratorio l'anno 1860.

 

                N.° Prot. Gen. 3472

                Noi Prefetto della Provincia di Torino,

 

                Visto la domanda del Rev.do Sig. D. Bosco Giovanni del 26 p. p. Ottobre tendente ad ottenere il permesso di aprire nella casa sotto il titolo di - Oratorio di S. Francesco di Sales - un esercizio di Tipografia sotto la materiale direzione del Sig. Giardino Andrea;

                Visto li documenti da quest'ultimo all'indicato scopo prodotti a quest'ufficio di Prefettura col mezzo del Sudd. Sig. D. Bosco sotto la data del 27 spirante Dicembre,

                Visto li articoli 128 - 129 della legge di S. P. 13 Novembre 1859;

                Abbiamo accordato ed accordiamo al Sig. D. Bosco predetto il permesso di aprire nel suddetto suo stabilimento un'esercizio tipografico servendosi dell'opera del precitato Sig. Andrea Giardino, con che si conformi esattamente alle prescrizioni dell'Art. 128 della succitata legge 13 Novembre 1859.

                Torino, 31 Dicembre 1861.

 

P. il Prefetto

RADICATI

 

                31 Dicembre 1861: Visto e registrato alla Questura di Torino

 

Il Questore

CHIAPUSSI. [60]

                UFFICIO di P. SICUREZZA SEZIONE BORGO DORA.

 

Torino, il 2 Gennaio 1862.

 

                               M. R. Signore,

 

                In senso alla precedente recomi ad onore di trasmetterle il permesso, di aprire un esercizio tipografico col N.° 3472 del Prot, Gen. dell'Ufficio di Prefettura e N.° 6373 dell'Ufficio Questura.

                Un suo segno alla presente terrà luogo di ricevuta. Pregiomi essere di V. S. M. R.

 

L'Ispettore

Avv. TUA.

 

                Mentre si facevano queste pratiche presso le Autorità del Regno, Paravia preparava il fascicolo delle Letture per Febbraio col titolo: La giovane Siberiana, ossia L'amore figliale, per Zaverio De Maistre: Traduzione libera. Narra di una giovanetta, che partì dalla Siberia a piedi, andò fino a Pietroburgo, e riuscì ad ottenere la grazia per suo padre, condannato all'esiglio in perpetuo.

                Un indirizzo agli associati leggevasi prima del frontispizio di questo libretto.

 

Agli associati e lettori delle Letture Cattoliche.

 

                Col fascicolo che pubblicheremo nel prossimo mese di Marzo, le Letture Cattoliche entrano nel decimo anno di loro vita.

                Noi speriamo che i nostri amici continueranno a sostenerci coni loro aiuti e consigli; e che i nostri lettori ci continueranno eziandio il loro favore. L'opera nostra è opera morale in tutta l’estensione dei termini; il bene che ne speriamo è tutto a vantaggio della religione e della Società.

                Estranei ad ogni partito e ad ogni principio che non sia rigorosamente cattolico, nulla abbiamo a temere dai cattivi e speriamo tutto dai buoni. Da questi solamente imploriamo aiuto per la maggior diffusione possibile dei nostri opuscoli; in essi abbiamo tutta la fiducia per credere che vorranno adoperarsi con tutto lo zelo, affinchè i sani principii della cattolica religione e della moralità siano ognor più nel popolo propagati. Tanto più che non si tratta che di far conoscere e propagare con tenuissima spesa libri che ora sotto aspetto di amene letture [61], ora di cattoliche istruzioni, ora di consigli e pratiche religiose, ma sempre morali, sono dirette a civilizzare il popolo, il quale, avido di sapere, sovente si guasta il cuore e lo spirito con libri immorali, solamente perchè o ignora o non può avere libri buoni.

                Possano queste poche parole, e la tenuità del sacrificio che chiediamo, portare quel frutto che desideriamo per la gloria di Dio e pel bene del nostro prossimo....

                Le associazioni si ricevono in Torino all'ufficio, Via S. Domenico N.°II. I vaglia postali devono unicamente essere intestati al Direttore delle Letture Cattoliche.

                N.B. - Presso l'Ufficio trovasi l'elenco delle operette vendibili che furono pubblicate nella presente collezione.

 

                Le seguenti Letture Cattoliche furono ancor stampate da Paravia.

                Pel Marzo: - Gli orfani ebrei, traduzione dal francese con alcune canzoncine per la festa della Santa Infanzia.

                Fra queste canzoncine ve ne sono alcune di Silvio Pellico; per la festa dell'invenzione di Santa Croce, giorno anniversario della fondazione dell'Opera, e per la festa di S. Francesco Zaverio protettore della stessa Opera.

                Il racconto tratta di due giovani fratello e sorella convertiti alla fede, osteggiati dai loro vendicativi correligionarii e finalmente fatti degni della grazia del battesimo.

                Pel mese d'Aprile: - L'Orfano di Fénelon ossia gli effetti di una educazione cristiana. Le norme fondamentali di questa educazione sono tratte dal Pater noster.

                Pei mesi di maggio e di giugno: - Diario Mariano ovvero eccitamento alla divozione della Vergine Maria SS. in ciascun giorno dell'anno per cura di un suo divoto.

                Dice l'autore anonimo: “Io tanto più m'indussi a dettare questo libretto, in quanto che grande è la gratitudine che io professo alla Vergine SS. per speciali favori e benefizi dal suo possente patrocinio ottenuti in gravissime circostanze della mia vita. Quindi non è egli giusto, che essendo stato così favorito da Lei, io pure mi adoperassi con ogni mia possa a farla onorare ed amare anche dagli altri? [62]

                L'opuscolo incomincia con brevi cenni della vita di Maria SS.; quindi ogni giorno è contrassegnato da una giaculatoria sempre nuova, da un atto di ossequio per ottenere l'aiuto della celeste Madre a classi distinte di ogni genere di persone, da una sentenza tratta dai santi Padri in onore di Lei; dalle sue solennità, apparizioni, santuarii, grazie ai popoli, vittorie sulle eresie; e da svariatissime pratiche di devozione colle quali onorarono la Vergine benedetta i Papi, i Santi, le Sante e i grandi ed illustri personaggi. È  nominato il Cottolengo, Don Cafasso, Savio Domenico, Magone Michele; e ciò scopre la mano di D. Bosco.

                Il libro finiva con questa raccomandazione: “Dire un Ave Maria pel compilatore di questo libretto Mariano e per tutti coloro che cooperarono con lui, onde possano ottenere il perdono dei loro peccati, essere sempre divoti di Maria e poscia essere un giorno ammessi a godere l'eterna felicità con Maria in Cielo”.

                Intanto la tipografia dell'Oratorio venne inaugurata. Andrea Giardino fu il primo Capo d'arte o Proto. Alcuni giovani destinati quale a fare il compositore e quale lo stampatore avevano imparato con vivo impegno l'arte loro e non tardarono a rendersi abili operai. Buzzetti Giuseppe per più di un anno li ebbe sotto la sua custodia e poi il Cav. Oreglia di Santo Stefano fu incaricato dell'assistenza e della direzione, mentre da lui continuava a dipendere il laboratorio de' legatori.

                Disposte così le cose, D. Bosco si era affrettato a scrivere una lettera circolare in nome de' suoi giovani, annunziando ai benefattori l'iniziamento del nuovo laboratorio.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Noi giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales con grande piacere partecipiamo a V. S. benemerita essersi in questa casa iniziata una tipografia collo scopo di dar lavoro ad un maggior numero de' nostri compagni, Ma siamo poi grandemente lieti di poter indirizzare i primi lavori della novella officina tipografica ad esprimere la [63] sentita gratitudine del nostro cuore verso de' nostri benefattori, tra cui fortunatamente ci è dato di annoverare la rispettabile di lei persona.

                In questa occasione abbiamo a comunicarle una notizia, che speriamo le sia per tornare assai gradita. Il sommo Pontefice Pio IX, che ci ha già in diversi tempi ed in più modi beneficati, degnavasi testè d'inviare l'apostolica benedizione coll'Indulgenza plenaria in articolo di morte a tutti i benefattori di questa casa, e perciò anche a lei, nostro venerato benefattore.

                Ella intanto si degni di continuarci la sua beneficenza; e noi con una condotta buona e laboriosa continueremo ad esserle ognor più grati e riconoscenti; nè mai dimenticheremo i benefizi ricevuti; anzi non lasceremo passar giorno senza invocare dal cielo sopra di lei vita felice e copiose benedizioni.

                Persuasi che nella sua bontà voglia gradire questi sinceri nostri sentimenti di gratitudine, godiamo assai di poterci rispettosamente professare

                Di V. S. benemerita

 

Obbligatissimi beneficati

e a nome di tutti

Il Sac. GIOVANNI BOSCO

 

                Torino 1862 - Tip. dell'Oratorio di S. Frane. di Sales.

 

                I benefattori a voce e per lettera si congratularono con lui, ma chi allora avrebbe potuto prevedere che la minuscola tipografia colle due ruote fatte girare a braccia, si sarebbe allargata tanto da avere a sua disposizione oltre a quattro torchi, dodici scelte macchine mosse successivamente dal vapore, da forza d'acqua, dal gaz, dall'energia elettrica, con l'annessa stereotipia, fonderia di caratteri e calcografia? Le somme enormi che la Providenza avrebbe fornite a D. Bosco, per acquisto di materiale e per opere di pubblicazioni che non potevano essere compensate da guadagni ? Il numero diremmo quasi sterminato di libri e fogli anche in lingue straniere, che vennero alla luce vivente ancora D. Bosco ? Le onorificenze segnalatissime riportate nelle principali esposizioni d'Europa come per es. alla Vaticana di Roma, all'Italiana di Londra, all'internazionale di Bruxelles, a quella di Torino e ad altre ancora?

 

 

CAPO VIII. Abiure di Valdesi in mano a D. Bosco - Sua disputa cogli eretici: il culto esterno - Assicura i novelli convertiti che li provvederà delle cose necessarie alla vita - Pensa a collocare i figli de' più bisognosi e sua prudente condotta Le infestazioni diaboliche tormentano D. Bosco - Ritorna ad Ivrea per cercar sollievo in quei travaglio - Lo spirito maligno contro D. Bosco e contro i suoi alunni - Effetto delle preghiere - Rimembranza delle sofferenze di questi giorni.

 

                RIPIGLIAMO la cronaca di D. Bonetti: “Molte sono le famiglie protestanti che in questi giorni vengono alla vera Chiesa. D. Bosco ha frequente corrispondenza con un ministro valdese di nome Wolf, il quale è già cattolico in cuore, sebbene non abbia ancor fatta l'abiura. Questi a quando a quando viene a fargli visita e conduce seco de' suoi correligionarii, che restano convinti di essere nell'errore dalle ragioni di D. Bosco e volentieri abbracciano la Cattolica Religione.

                Giovedì 13 febbraio recitando i chierici il testamentino, ossia i dieci versicoli del Nuovo Testamento, trovandosi D. Bosco in mezzo a noi, sopra quelle parole di S. Giovanni: Sed venit hora quando veri adoratores adorabunt Patrem in spiritu et veritate, ci fece notare come i protestanti interpretino malamente tali parole, da esse prendendo argomento per escludere ogni culto esterno. Quindi ci raccontò come cinque ovvero sei giorni fa i protestanti gli avessero dato, in una casa [65] di Torino, un gagliardo assalto. - Io, disse, incominciai a domandar loro se sapevano ciò che volesse dire in spiritu.

                Mi risposero: - Vuol dire che Dio va adorato colla purità e fervore degli atti interni, non colle superstizioni come fanno i cattolici. - E chiamavano mascherate dei cattolici, quanto noi usiamo nel culto esterno.

                - Se si trattasse, io ribattei, di superstizioni e mascherate, andremmo d'accordo. Si tratta però di ben altro! Ma andiamo avanti. Ed in verità che cosa Vuol significare?

                - Vuol dire che bisogna adorare Iddio con cose reali e non vane. - Allora io dissi: - Dunque ammettete cl - le si deve adorare Iddio con cose vere e reali?

                - Sì, questo lo ammettiamo.

                - Ma queste cose vere e reali stanno esse nell'interno, nello spirito?

                Un po' ingarbugliati gli oppositori mi risposero: - Ma se sono cose sensibili, materiali, non possono stare nell'interno.

                - Dunque, replicai, dobbiamo dire che quella parola verità, indichi pure qualche cosa di esterno, che si debba e si possa usare nell'adorazione di Dio. In spiritu et veritale manifesta eziandio un contrapposto di idee e di fatti, fra i riti e le cerimonie giudaiche e i riti del Cristianesimo. Quelle parole vogliono significare che sarebbero cessate tutte le cerimonie, i riti usati nei sacrifizi dell'antica legge, che erano altrettante figure delle cerimonie e dei riti del sacrificio della nuova: e che sarebbero succeduti riti reali, veri, accetti a Dio. Leggete il capo primo, del Vangelo di S. Luca e voi vedrete la celebrazione di un magnifico sacrificio con tutte le cerimonie, con tutti i riti esterni; vedrete l'altare, il turibolo, l'incenso ecc. Era una figura, un'ombra della messa solenne che era la cosa figurata, la realtà, la verità. Leggete il capo primo degli Atti de' santi Apostoli, e troverete che questi coi discepoli si univano a pregare insieme nel cenacolo. Leggete il capo [66] secondo degli stessi Atti, e vedrete che in quel cenacolo si offriva il sacrificio dell'ostia santa e si distribuiva la comunione eucaristica. Leggete le storie autentiche de' primi tre secoli del Cristianesimo e vedrete che i cristiani, seguendo le prescrizioni apostoliche celebravano la santa messa con altari, riti solenni, canti di salmi, fiori, incensi, lampade accese. Se poi volete di più, leggete il capo quarto e i seguenti dell'Apocalisse e vedrete descritta una sacra funzione, con tutte le sue particolarità, sicchè vi pare di vedere un sacrifizio, quale si celebra in una delle nostre chiese. Vedrete l'altare, il turibolo, l'incenso, i candelabri, i lumi, i nappi d'oro pieni di profumi, le corone d'oro ossia mitre in capo ai seniori, le prostrazioni, le cetre, i cantici e il corteggio de' vergini vestiti di bianco: insomma tutto quanto adopera la Chiesa nelle sue cerimonie.

                Come ebbi finito si cercò da que' protestanti il libro del Nuovo Testamento, ma non avevano altra traduzione fuor di quella adulterata dal Diodati. Nondimeno lasciai che esaminassero quel libro eretico, perchè era sicuro che vi avrebbero trovato ancora quanto bastava a persuaderli. Lessero i luoghi citati, e alcuni altri che loro additai, spiegandoli; e poi dissero: - Non avevamo ancora posto mente con attenzione a questi tratti della S. Scrittura.

                Ed io continuai: - Ora ditemi: quale analogia hanno i vostri templi con quello antico di Gerusalemme? Avete voi nel vostro tempio l'altare, avete il turibolo, avete l'incenso, avete i candelabri? Quale analogia vi ètra ciò che fate voi per onorar Dio, con quanto fecero gli apostoli e fanno gli angeli stessi nel cielo? Non pare a voi che noi possiamo imitare i santi e gli angeli del cielo nell'adorare Iddio?

                - Certamente; e noi abbiamo nulla di quanto voi dite.

                Allora uno di essi, che era Pastore Evangelico, concluse: - Questo è un punto degno di considerazione.

                Il dialogo, quella specie di dubitazione del Pastore, recò [67] un grave colpo all'eresia, sicchè i protestanti in questi giorni vengono in bel numero alla verità.

                Fin qui D. Bosco il quale ha per le mani un nuovo lavoro per confutare gli errori dei Valdesi.

                Non contentasi però di sole istruzioni ed opuscoli. Egli invita molte famiglie povere ritornate alla Chiesa Cattolica a venirsi a stanziare vicino all'Oratorio, assicurandole che loro non lascierebbe mancare niente di ciò che è necessario alla vita. Ed è questa una cosa mirabile, perchè innumerevoli e grandi sono le altre spese che deve fare, sia col provvedere a circa 570 alunni, sia coll'erigere nuove fabbriche.

                Noi aggiungeremo che di queste famiglie curava eziandio il collocamento de' figliuoli e delle figliuole, quando ne riconosceva il bisogno. In una lettera alla Marchesa Fassati scrive di una fanciulla che, ricoverata momentaneamente presso una persona caritatevole, riusciva a quella di peso e di fastidio.

 

                               Ill.ma Signora Marchesa,

 

                Finora siamo in aspettativa. Da quanto parmi non è un erpete, ma sembra piuttosto scabbia. Faccia adunque quanto può per questa povera ragazza. Se non si può ricevere altrove, la raccomanderemo al Cottolengo e credo sarà ricevuta con facilità.

                Oggi non potrei occuparmi di questo affare, eppure di 14 attendono con impazienza di essere esonerati da quel disturbo. Povera ragazza, almeno avesse già ricevuto il battesimo!

                Il Signore doni buona giornata a Lei e a tutta la sua famiglia e mi creda

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 22marzo 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIO.

 

                La prudenza però guidava ogni passo di D. Bosco, il quale in certi casi per ovviare ogni possibile contestazione dei parenti o anche sopruso da parte degli eretici, facevasi sempre [68] stendere in carta l'autorizzazione da coloro che aveano diritto in faccia alle leggi civili[6].

                Per queste perdite il demonio si mostrava talmente indispettito contro D. Bosco, che più non lasciavalo dormire di notte.

                “Fu una vera vessazione diabolica, scrive Mons. Cagliero, incominciata coi primi giorni di febbraio. Noi ci eravamo accorti [69] che la sanità del Servo di Dio andava di giorno in giorno deperendo; e lo vedevamo pallido, sparuto, abbattuto, stanco più del solito, e bisognoso di riposo. Gli si domandò qual fosse la causa di così grande spossatezza e se non si sentisse bene. Allora egli rispose: - Avrei bisogno di dormire! Sono quattro o cinque notti che non chiudo più gli occhi.

                - E dorma, gli dicemmo noi; e di notte lasci ogni lavoro.

                - Oh! non è che io vegli volontariamente, ma vi è chi mi fa vegliare contro voglia.

                - E come va la cosa?

                - Da parecchie notti, rispose, lo spirito folletto si diverte a spese del povero D. Bosco e non lo lascia dormire; e vedete se ha proprio buon tempo. Appena addormentato mi sento un vocione all'orecchio che mi stordisce, ed anche un soffio che mi scuote come una bufera, intanto che mi rovista, disperde le carte e mi disordina i libri. Correggendo a sera tarda il fascicolo delle Letture Cattoliche intitolato La Podestà delle tenebre e tenendolo per ciò sul tavolino, levandomi all'alba, talora lo trovai per terra, e tal'altra era scomparso e doveva cercarlo or di qua or di là per la stanza. È  curiosa questa storia. Sembra che il demonio ami di starsene co' suoi amici, con quelli che scrivono di lui. - A questo punto sorrise e poi continuò: - Sono tre notti che sento spaccar le legna che stanno presso il mio franklin. Stanotte poi essendo spenta la stufa, il fuoco si accese di per sè e una fiamma terribile pareva che volesse incendiare la casa. Altra volta essendomi gettato sul letto e spento il lume incominciava a sonnecchiare, quand'ecco le coperte tirate come da mano misteriosa, muoversi lentamente verso i piedi, lasciando a poco a poco metà della mia persona scoperta. Benchè la sponda del letto alle due estremità fosse alta, pure sulle prime volli credere che quel fenomeno venisse prodotto da causa naturale; quindi preso il lembo della coperta me la tirava addosso; ma non appena avevala aggiustata, di bel nuovo sentiva che [70] essa andava scivolando sulla mia persona. Allora sospettando ciò che poteva essere, accesi il lume, scesi dal letto, visitai minutamente ogni angolo della stanza, ma trovai nessuno e ritornai a coricarmi abbandonandomi alla divina bontà. Finchè il lume era acceso nulla accadeva di straordinario, ma, spento il lume dopo qualche minuto ecco muoversi le coperte. Preso da misterioso ribrezzo riaccendeva la candela e tosto cessava quel fenomeno per ricominciare quando la stanza ritornava al buio. Una volta vidi spegnersi da un potente soffio la lucerna. Talora il capezzale incominciava a dondolare sotto il mio capo, proprio nel momento che stava per pigliare sonno. Io mi faceva il segno della santa Croce e cessava quella molestia. Recitata qualche preghiera di nuovo mi componeva sperando di dormire almeno per qualche minuto; ma appena incominciava ad assopirmi il letto era scosso da una potenza invisibile.  La porta della mia camera gemeva e pareva che cedesse sotto l'urto di un vento impetuoso. Spesso udiva insoliti e spaventevoli rumori sopra la mia camera come di ruote di molti carri correnti. Talora un acutissimo grido improvviso mi faceva trasalire; ed una notte vidi spalancarsi l'uscio della mia camera ed entrare colle fauci aperte un orribile mostro, il quale si avanzava per divorarmi. Fattomi il segno della croce il mostro disparve.

                Fin qui il racconto di D. Bosco, udito con me dai principali superiori dell'Oratorio. Di tutto questo fracasso non si erano accorti coloro che stavano nelle vicine camere. Una notte però D. Savio Angelo, avendo risoluto di vegliare nell'anticamera di D. Bosco, per accertarsi di quel fenomeno, verso la mezzanotte udito all'improvviso un strano fragore, non potè resistere allo spavento che lo incolse, e pieno di orrore fuggi nella propria stanza. Egli era un uomo fra i più coraggiosi e si era dimostrato impavido in molte occasioni, uomo che non temeva ostacoli e nemici, pronto ad affrontare ogni pericolo. [71]

                D. Bosco avrebbe desiderato che qualcheduno vegliasse con lui, ma nessuno ne ebbe il coraggio. Il chierico Bonetti andò una volta col Ch. Ruffino per passare la notte nell'attigua biblioteca; ma dopo pochi minuti dovettero ritirarsi presi da tremito. Perciò dovette rassegnarsi a starsene solo, aspettando ove andasse a finire quella noiosa infestazione”.

                Fin qui Mons. Cagliero. Ma D. Bonetti scrisse, si può dire, i bollettini ufficiali di questa guerra, che durò più mesi interi; e noi riportiamo la sua cronaca.

                “12 Febbraio. D. Bosco ci raccontò quanto segue: - La notte del 6, o 7 di questo mese, ero appena coricato e già incominciava ad assopirmi, quando mi sento prendere per le spalle e darmi un crollo tale che mi spaventò grandemente: - Ma chi sei? - mi posi a gridare. Accesi tosto il lume e mi vestii, guardai sotto il letto, e in tutti gli angoli della stanza per vedere se vi fosse nascosto qualcuno, causa di quello scherzo; ma nulla trovai. Esaminai l'uscio di mia camera ed era chiuso. Esaminai parimente l'uscio della biblioteca; tutto era chiuso e tranquillo. Ritorni ai pertanto a coricarmi. Ero appena assopito quando mi sento dare un altro crollo che tutto mi sconvolse. Voleva suonare il campanello e chiamare Rossi o Reano: - Ma no, dissi tra me, non voglio disturbare alcuno! - E intanto mi posi a dormire supino; quando mi sento su lo stomaco un peso enorme che mi opprimeva, e quasi m'impediva il respiro. Non potei tenermi dal gridare - Che cosa c'è? - - e diedi ad un tempo un forte pugno: ma nulla toccai. Mi posi sull'altra parte e si rinnovò quell'oppressione. In tale miserando stato passai tutta quella notte. La sera dopo prima di coricarmi, volli dare la benedizione al letto; ma a nulla valse e continuò quel brutto giuoco, che da quattro o cinque notti si rinnova continuamente. Questa notte vedrò un poco! - (Era la sera di mercoledì 12 Febbraio vigilia dell'esercizio della buona morte e all'indomani per la prima volta lucravasi l'indulgenza plenaria concessa [72] dal Beatissimo Padre Pio IX, il 13 gennaio di questo anno 1862”.

                “15 Febbraio. - Questa sera trovandosi alcuni chierici e preti col Cav. Oreglia intorno a D. Bosco dopo cena, tosto lo interrogarono se fosse stato lasciato tranquillo di notte; ed egli raccontò quanto segue: - L'altra sera sono andato in camera e vidi il tavolino da notte ballare e battere: tak, tak, tak, tak. - Oh questa è bella! - dissi fra me, e mi avvicinai e lo interrogai:

                E sicchè, che cosa vuoi? - Ed egli continuava: tak, tak, tak, tak. Mi poneva a passeggiare per la camera ed egli taceva; andavagli vicino ed egli ballava e batteva. Vi assicuro che se io avessi udito a raccontare quanto ho veduto o sentito, non avrei certamente creduto. E non ci pare di vedere i fatti delle streghe che ci raccontava la nonna? Se io narrassi mai simili cose ai giovani, guai! Morirebbero di paura.

                Noi lo pregammo di volerci raccontare qualche cosa di più. Sulle prime non voleva saperne di continuare quel discorso, rispondendo: - Quando si ha da raccontare qualche cosa, bisogna vedere se quel racconto sia di gloria di Dio e vantaggioso per la salute delle anime: ora questo mio racconto sarebbe inutile.

                Io (Ch. Bonetti) gli feci osservare: - E chi sa se non sarà pel bene delle anime nostre? - E instando ancora gli altri, egli continuò: - Essendo andato a letto vedeva ora la forma di un orso, ora di una tigre, ora di un lupo, ora di un grosso serpentaccio, ma di un aspetto orribile; li vedeva muoversi per la stanza, arrampicarsi pel letto e stavano lì. Io li lasciava fare un poco e poi esclamava: O bone Jesu! e tosto con un soffio ogni larva spariva. - In questo modo passai la notte”.

                “16 Febbraio. - Questa sera alcuni osservarono che Don Bosco da cinque o sei giorni non prendeva più latte nel caffè, al mattino. Argomentarono che in quei giorni avesse digiunato per ottenere dal Signore la liberazione dal tormento notturno [73] che accennammo sopra. Pertanto interrogato D. Bosco se la notte scorsa fosse stato più tranquillo, rispose: - Sì; un poco”

                “17 Febbraio. - Questa mattina, lunedì, alcuni di noi eravamo intorno a D. Bosco mentre prendeva il caffè, e gli domandammo se nella notte era stato ancora disturbato. Ei disse: - Il tavolino continuò a saltare e fece cadere il cappello del lume. Mi coricai, quand'ecco che sento passarmi sulla fronte come un freddo pennello, che leggermente fosse maneggiato. Allora io mi tirai giù la berretta da notte, ma quella mano misteriosa mi faceva passare il pennello sul naso e sulla bocca molestando le narici, cosicchè non mi lasciò dormire e chiudere occhio per un solo istante. Ciò mi accadde altre volte, anzi invece di una penna, mi sembrò che fosse una coda così puzzolente, che mi svegliava di soprassalto. Stamane mi sentiva oppresso dalla stanchezza.

                La notte seguente fu pure disturbato fino allo spuntar dell'alba. Il capezzale si agitava e sollevavasi tosto chè era per addormentarsi”.

                “22 Febbraio. - Il Cav. Oreglia gli domandò se essendo angustiato in quel modo dal maligno non avesse paura. Egli rispose: - Ribrezzo sì; paura no. - Siccome non ho timore di tutti gli angioli del cielo, essendo io, come spero, amico di Dio, così non ne ho di tutti i demoni dell'inferno, essendo io nemico di tali nemici di Dio, che saprà difendermi. Faccia pure quel che vuole Satana; ora è il suo tempo; ma verrà pure anche il mio”.

                “23 Febbraio. - Oggi Domenica, D. Bosco, trovandosi moltissimo stanco, fu costretto a porsi a letto, cosa per lui più che insolita. Non era ancora un quarto d'ora che vi si era messo che andò il Cav. Oreglia a chiamarlo, perchè andasse a vedere in una vicina abitazione un ammalato che lo chiedeva. Si alzò all'istante, andò a confessarlo e lo confortò. Giunto a casa si pose di bel nuovo a letto. D. Rua Michele alla sera andatolo a trovare, lo interrogò come stesse: - Mi [74] sento molto, molto stanco, rispose, non posso riposare; sono di continuo disturbato. La notte passata fu una continua alternazione di assopirmi e di svegliarmi. Non appena incominciava a chiudere gli occhi, che sentiva battere un martello sotto al capezzale. Mi sedeva sul letto e tutto cessava: mi adagiava di nuovo, e di nuovo sentiva a battere. Fu un vero tormento. Sospiravo il giorno. Quando io narro alcunchè di queste cose, le espongo ridendo: ma ti assicuro che non rido di cuore, perchè mi danno molto a pensare. L'anno scorso è stato per l'Oratorio un anno eteroclito, straordinario; ma questo lo è ancora di più.

                - Ma se è cosi esorcizzi questo malo spirito.

                - Oh, dopo domani andrò a passare alcuni giorni col Vescovo d'Ivrea. Al mio ritorno se questo démone verrà di nuovo a seccarmi col continuo disturbo notturno, saprò io cosa fare; adopererò un mezzo che non usai ancora.

                - Quale sarebbe?

                - Lo interpellerò in nome di Gesù Cristo, lo provocherò a parlare e a dirmi se venga dalla parte di Dio che mi vuole assoggettato a questa prova, o da parte di Lucifero, che intende d'impedire lo svolgimento di quel bene che abbiamo incominciato. Di qui non può sfuggire.

                - E se non volesse parlare?

                - Lo costringerò e dovrà rispondere.

                - Ed ella che cosa gli dirà?

                - Dirò così: Adiuro te: in nomine Jesu Christi, die mihi quis sis et quid vis.

                - Ma lei non conosce ancora il motivo di questi disturbi?

                Ei rispose: - Dubito non volere il demonio che si aprano le scuole cattoliche a Porta Nuova, contrapposte a quelle de' Protestanti.

                - Ma è forse ella sola che le abbia stabilite?

                - Io le ho consigliate, le ho promosse, ho procurato di incominciare le pratiche per l'acquisto del terreno, e mi sono [75] impegnato di cercarne e provvederne il personale e di pagare coloro che vi saranno destinati……Oh no! Il maligno non potrà impedirle!”.

                “26 Febbraio. - D. Bosco ritornò ad Ivrea presso Mons. Moreno, ove era stato pochi giorni prima con suo grande sollievo, per vedere se poteva essere libero da quella infestazione notturna. Ormai era un mese intiero di angosciosa insonnia. Per la prima notte potè riposare con suo mirabile ristoro. Era cessato ogni disturbo.

                Una sera protrasse con Monsignore la conversazione da un'ora all'altra fino al tocco dopo mezzanotte; e andò a riposarsi tranquillo, pensando che il demonio avesse perdute le sue tracce. Ma ecco che spento il lume, il cuscino incomincia a dondolare come a Torino, e poi gli si presenta a piedi del letto un mostro spaventoso in atto di avventarsi sopra di lui. A tale apparizione egli mandò un grido da svegliare tutti quelli che erano nell'Episcopio. Corsero i servi, corse il segretario del Vescovo, il Vicario generale, il Vescovo stesso, temendo che a D. Bosco fosse accaduta qualche disgrazia. Lo trovarono prostrato di forze ma tranquillo. Tutti gli chiedevano ansiosamente che cosa fosse stato. D. Bosco sorridendo rispondeva: È  nulla, è nulla... È  stato un sogno... non si spaventino... ritornino a riposare, vadano a dormire.

                All'indomani però narrava ogni cosa al Vescovo.”

                “4 Marzo. - D. Bosco da più giorni reduce da Ivrea è di continuo disturbato. - La notte del 3 al 4 marzo, ci raccontò egli, il demonio mi prese la lettiera, la sollevò in alto, quindi lasciolla cadere sì forte che mi scosse per tutta la vita, sicchè parevami volesse uscire il sangue dal capo. Verso il mattino, dopo avermi disturbato tutta la notte, ora scuotendo gli usci ora le finestre, prese il cartello sopra cui è scritto: Ogni minuto di tempo è un tesoro e diede un colpo sì forte in terra, che pareva uno sparo di fucile. Levandomi trovai il cartello in mezzo alla camera.  [76]

                Noi con ogni istanza lo pregammo che mantenesse la promessa che aveva fatta, di scongiurare il demonio e mandarlo via, tosto che egli fosse ritornato da Ivrea.

                - Se io lo mando via da me, disse, egli si attacca ai giovani.

                Allora il Chierico Provera domandò: - Dunque vuol dire che quando Lei era a Ivrea e fu lasciato libero una notte avrà fatto qualche strage ne' giovani?

                - Sì; fece molto male.

                - Ma, noi proseguimmo, ma almeno lo interroghi che cosa vuole.

                Ed egli: - E chi lo sa, se non lo abbia ancora interrogato !

                Allora noi: - Ci dica, ci dica che cosa gli ha detto; gridammo ad una voce. Egli volse ad altro il discorso e non ci fu più mezzo di trargli altra parola fuori di questa: - Pregate! -”.

                E i giovani pregarono sicchè a poco a poco potè ripigliare le forze perdute. Tuttavia quella lotta collo spirito delle tenebre durò ad intervalli fino al 1864.

                Una sera del 1865 D. Bosco narrava ad un gruppo di giovani le terribili notti di questi tempi. Noi stessi eravamo presenti.

                 - Oh! io non ho paura del diavolo! interruppe un giovane.

                 - Taci ! non dir questo; rispose D. Bosco con voce vibrata che colpi tutti. Tu non sai qual potenza abbia il demonio, se il Signore gli desse licenza di operare.

                 - Sì, sì! Se lo vedessi lo prenderei pel collo e avrebbe da fare con me.

                 - Ma non dire sciocchezze, caro mio; moriresti dalla paura al primo vederlo.

                 - Ma io mi farei il segno della croce.

                 - Varrebbe per un solo momento.

                 - E lei come faceva a respingerlo?

                 - Oh! io l'ho ben trovato il mezzo per farlo fuggire e per un buon pezzo non comparir più. [77]

                - E qual è questo mezzo? Il segno della croce certamente. Sì, ma non bastava! Ci Vuol altro! Il segno della croce valeva solo per quel momento.

                 - Coll'acqua benedetta?

                 - In certi momenti anche l'acqua benedetta non basta.

                 - Quale è dunque questo rimedio che ha trovato?

                 - L'ho trovato! E di quale efficacia esso fu!... Quindi tacque e non volle dire altro. Poscia concluse: - Quello che è certo si e che non auguro a nessuno di trovarsi in momenti terribili come mi Son trovato io; e bisogna pregare il Signore che non permetta mai al nostro nemico di farei simili scherzi.

 

 

CAPO IX. E preso un'altra volta il ritratto a D. Bosco - Suo desiderio, della vita futura - - Suoi incomodi di sanità - Inquietudini de' suoi coadiutori - Costante mortificazione di D. Bosco: una cena - Migliaia di giovani che D. Bosco vuole con sè in paradiso - Dolore nel vedere il raffreddamento di alcuni nel servizio di Dio - Elogi di D. Bosco alla purità'  - Sua condotta e sue parole per accendere negli alunni l'amore a questa virtù: consigli per conservarla - Precauzioni consigliate ai preti e ai chierici - D. Bosco commenta il versicolo 34 al capo IV del Vangelo di S. Giovanni Una grazia da chiedere ad una santa scrivendo la sua vita - D. Bosco serve la S. Messa. - avviso a chi la celebra con troppa fretta - Dono del Card. Corsi - Questioni gravi tra l'Austria e la Prussia - Preghiere dei giovani per la pace di Europa - Previsioni di D. Bosco.

 

                NEI primi giorni di Febbraio, racconta la cronaca di D. Bonetti, venne a far visita a D. Bosco ed ai suoi antichi condiscepoli ed amici il giovane Bellisio, valente pittore che aveva acquistato fama come ritrattista. Il Cav. Oreglia e D. Savio colta quell'opportunità, pregarono D. Bosco a voler concedere qualche momento di udienza privata a quel caro figlio in sua camera, permettendogli, non di prendere il suo ritratto, perchè già era stato preso altra volta, ma di fissarne in carta solo le linee principali del volto e della testa. Dopo calde preghiere e vive istanze, D. Bosco acconsentì, ma adagiandosi sulla sedia a tal [79] uopo recata, trasse dal cuore un profondo sospiro e disse: - Questi sono gli atti più violenti di mia vita! - Bellisio colla sua matita ritrasse un'altra volta rapidamente le fattezze del Servo di Dio; e data loro una diligente ritoccata, che animò d'un ideale che stava scolpito nel suo cuore, consegnò il suo lavoro a D. Savio.

                La causa di questo nuovo ritratto era una certa inquietudine risvegliatasi nei figli dell'Oratorio. In questi giorni Don Bosco parla sovente delle miserie della povera nostra vita mortale e delle bellezze del paradiso; dice che desidera di andarvi presto e di toglierei l'incomodo della sua poco utile presenza; di non aver più forze per fare quelle opere, che avrebbe intenzione di compiere; rimettersi in tutto al beneplacito del Signore, il quale per la sua gloria ha molti altri istrumenti migliori di lui. - Le sue parole sono per noi argomento di molti discorsi e tengono l'animo nostro in gran rammarico. Noi temiamo forte che presto ci abbandoni. Che Dio ci scampi da tanta sciagura! Egli continua ad essere malaticcio. Lo sputo pare che bruci il suo fazzoletto. I medici asseriscono che, se egli non uscisse tutti i giorni di casa, avrebbe termine la sua vita in tempo non lontano”.

                 Tuttavia D. Bosco assoggettavasi alle privazioni ordinarie imposte dalla regola comune, non accettando le ordinazioni dei medici, che prescrivevano cibi più confacenti al suo stomaco.

                Il giovane Giacomo Reano così scrisse a D. Bonetti.

                La vigilia di una solennità, D. Bosco aveva confessato fino quasi a mezzanotte e scese in cucina per cenare. Il cuoco era a letto, la minestra e la pietanza per D. Bosco stavano nel forno del potagè col fuoco già spento da ore. La pietanza di legumi era fredda, la minestra era divenuta densa essendo di semola. Io ammirai D. Bosco. Non fece lamento nè del cuoco, nè delle vivande. Lo aveva accompagnato il Ch. Francesia e qualcun altro. Quando D. Bosco ebbe innanzi la minestra, che il Ch. Francesia gli aveva portata, la toccò col [80] cucchiaio, si provò a mangiare, ma, tra la consistenza di essa, e lo stomaco stanco del lungo confessare, non poteva tranguggiarla. Disse allora al Ch. Francesia: - Va a prendere un bicchiere d'acqua! - Quando l'ebbe, la versò nella scodella, rimescolò quella poltiglia e ridendo la mangiò tutta, dicendo: - Non è troppo calda, ma la mangio con buona intenzione e fa bene egualmente.

                Più volte il cibo era condito con un motto poco cortese. Una sera l'inserviente disse al cuoco, che almeno desse un po' più calda la roba destinata per D. Bosco. Ma quegli, ruvido di carattere, rispose: - E chi è D. Bosco? È come un altro qualunque della casa! - Vi fu chi riferì a D. Bosco quella risposta insolente, ma il buon Servo di Dio osservò con tutta calma: - Il cuoco ha ragione” !

                E questo distacco da tutto ciò, che poteagli riuscire di sollievo, era un sacrifizio continuo che offriva a Dio per la santificazione de' suoi figliuoli.

                Notava D. Bonetti nella sua Cronaca.

                “8 Febbraio. - Trovandosi D. Bosco in refettorio con diversi chierici e secolari della casa e parlando loro delle miserie fra le quali si trovava l'uomo in questo mondo, concluse: - Ah! nulla importa purchè possa andare in paradiso io coi miei giovani e con Bonetti insieme (imperocchè io eragli vicino ed egli aveva gli sguardi a me rivolti).

                - Quanti vuole averne insieme? tosto gli domandai.

                - Brami saperlo quanti ne voglio insieme? Ho dimandato al Signore il posto almeno per dieci mila. - Difatti questo l'aveva già detto e lo ripeteva di quando in quando, sicchè tale voce erasi già sparsa in varii paesi; ed una madre di Caramagna venne a Torino per chiedere a D. Bosco la grazia, che mettesse nel numero dei diecimila suo figlio, sebbene non potesse mandarlo ad abitare nell'Oratorio.

                Io intanto continuai a chiedergli: - Quanti ve ne sono già presentemente in paradiso? [81]

                - Circa duecento! rispose.

                Io proseguii: - Contando quelli che già furono da lei indirizzati alla via del paradiso e che ancora vivono e quelli che furono e sono presentemente nell'Oratorio, quanti arriveranno alla meta e andranno ad occupare il loro posto?

                - Oh mio caro; mi domandi una cosa che non so. Chi può mai fidarsi della buona condotta di un giovane? Alcune volte vedo dei giovani bene avviati sul sentiero della virtù che è una delizia; e poi eccoli non di rado raffreddarsi e tenere una condotta che mi cava le lagrime. Potrei dire uno per uno i giovani della casa che sono presentemente in grazia di Dio, ma non saprei dire se essi persevereranno sino alla fine”.

                Alla sera dalla cattedra, quasi armeggiasse contro l'immondo spirito che lo assediava così crudelmente, non si stancava di far trionfare la virtù della purità. Ne descriveva i pregi e le bellezze con, tanta eloquenza, e specialmente riserbo, che era un incanto l'udirlo. Per molti anni non osava trattare della bruttezza del vizio opposto tanto gli era in abborrimento; e solo in ultimo vedendo essere cresciuta continuamente la malizia nei giovani, i quali fin da bambini erano stati vittime o spettatori di cose nefande, per due o tre volte si indusse a svelare le spaventose conseguenze di tale colpa.

                Ma più delle parole valea sul cuore degli alunni l'aura di purezza, che circondava il loro caro padre. Il solo suo trovarsi in mezzo a loro, lo sguardo, il gesto, il sorriso, tutta la sua persona, rivelavano il modello da imitare. Come era edificante l'usuale carezza, che egli faceva ad un giovanetto col porgli leggermente la mano sul capo e dirgli nello stesso tempo: - Che Dio ti benedica!

                Attestò D. Berto Gioachino: “lo gli sono stato attorno, l'ho servito per oltre venti anni e posso affermare che la virtù della modestia negli sguardi, nelle parole, nei tratti fu da lui portata al più sublime grado di perfezione. Il segreto che egli adoperò per raggiungere questa perfezione, fu la continua [82] occupazione di mente, l'eccessiva fatica di giorno e di notte, e una calma imperturbabile. Da lui si diffondeva un'influenza vivificante. Io stesso posso dire che, stando vicino a lui, la sua presenza allontanava da me ogni pensiero molesto”.

                Ciò era effetto dell'amor che gli ardeva nell'anima pel suo Signore, col quale stava sempre in intimi colloqui. Le giaculatorie però rare volte potevan essere avvertite e forse solo quando intendeva dare ad alcuno norma da seguirsi in circostanze simili a quelle nelle quali egli si trovava.

                Un giorno un certo D. Merlone accompagnava al Rifugio D. Bosco, il quale prima di entrare, esclamò sottovoce: Pac Domine ut servem cor et corpus meum immaculatum tibi ut non confundar. - E rivoltosi a D. Merlone, gli disse: - Vedi mio caro; un sacerdote fedele alla sua vocazione è un angelo; e chi non è tale, che cosa è? Diventa un oggetto di compassione e spregio per tutti.

                Egli bramava che angioli fossero tutti i suoi figli e loro andava ripetendo i consigli da lui stesso praticati, premonendoli di ciò che poteva riuscire dannoso all'anima loro. La cronaca di D. Bonetti del mese di Febbraio ci conservò alcune di queste esortazioni.

                “10 Febbraio. - Questa sera D. Bosco dando a tutti i giovani alcuni avvisi per conservare la virtù della modestia, li compendiò con due versi, che disse aver letti nel Foresti circa 25 anni fa: - Abstrahe ligna foco si vis extinguere flammam; Si carnis motus; otia, vina, dapes”.

                “11 Febbraio. - D. Bosco prima che i giovani andassero a riposo li esortò a non perdere un minuto delle loro giornate, ma di occuparle interamente per non dare luogo al demonio tentatore. In tempo di preghiera o di Chiesa, si preghi; in tempo di studio, si studii; in tempo di ricreazione, si giuochi allegramente; in tempo di riposo, se tarda il sonno a venire, si lavori colla mente, per es. ripetendo la lezione da recitarsi per l'indomani, riandando una traduzione, ordinando le idee [83] di una composizione: - Io, egli disse, quando ero giovane e non poteva dormire recitava intieri canti di Dante; talora numerava dall'uno fino al diecimila; tal altra pregava ed è ciò che io vi consiglio. Se tardate a pigliar sonno e molto più se vi assalisse una tentazione, vi raccomando, qual mezzo sicuro di vincere, che vi proponiate la recita di cinquanta Ave Maria. Incominciandole subito, contatele sulle dita di mano in mano che andate ripetendole. Vi assicuro che la grazia di Dio, e la protezione della Madonna vi recheranno infallibilmente aiuto; e lo sforzo della memoria nel contare quelle Ave vi concilierà il sonno prima ancora che giungiate alla metà, o anche ad un terzo di queste preghiere.

                “12 Febbraio. - D. Bosco raccomanda particolarmente e con calore la divozione a Maria SS. e la visita frequente al SS. Sacramento”.

                “14 Febbraio. - Stassera dopo le orazioni D. Bosco suggerì ai giovani un altro mezzo per conservare la virtù della purità.

                 - Rendetevi famigliare l'uso delle giaculatorie. Quando vi sentite tentati, rivolgete tosto i vostri occhi a Maria:

                 - O Maria, esclamate, mia cara Madre, aiutatemi. Oppure dite la preghiera che ci mette in bocca la S. Chiesa: - Santa Maria, Madre di Dio, pregate per me peccatore adesso e nell'ora della mia morte. - Oppure fate il segno della Santa Croce, il quale è molto trascurato da alcuni Cristiani e non gli si dà l'importanza dovuta. Io vi assicuro che se voi in quel momento domandate come uno, il Signore ve ne dà come dieci. Se poi volete ancora di più domandate questa virtù nella S. Messa. Guardate! Fin dal principio dell'Oratorio io ho stabilito che, giunta la Messa all'elevazione, cessasse ogni rumore e canto e orazioni vocali. Volete che vi dica il perchè? Appunto perchè ciascuno in quel momento prezioso avesse la comodità, senza distrazioni, di chiedere al Signore la virtù della modestia. Ah! miei cari giovani, credetemi, se [84] voi domandate al Signore questa grazia in quel tempo solenne, il Signore ve la darà sicuramente”.

                “16 Febbraio. - In questa Domenica alla sera diede ai giovani un altro mezzo per conservare la virtù della modestia: - Confessatevi, disse, ogni quindici giorni od una volta al mese: non lasciate mai passare il mese. Di più; quelli che hanno la comodità, prendano il consiglio di quel grande amico della gioventù, S. Filippo Neri, il quale raccomandava ai suoi figli: - Confessatevi ogni otto giorni e fate la Comunione più spesso, secondo l'avviso del vostro Confessore. - Così io dico pure a voi: Confessatevi ogni otto giorni, ma non più spesso: perchè, tenete bene a mente, non sono le frequenti confessioni che fanno buoni, ma è il frutto che si ricava dalle confessioni. Eccettuo però il caso in cui taluno avesse da fare la Comunione, ed avesse qualche cosa che gli facesse pena, allora può accostarsi al confessore, esporgli la sua inquietudine, domandargli un consiglio: questo non sarebbe propriamente confessarsi ma riconciliarsi.

                - Tenete intanto a mente queste due cose che sono fondamentali: I° Abbiate un confessore che conosca bene il vostro cuore e non cangiatelo mai per timore che sappia qualche vostra caduta. È  vero che non è peccato il cangiar confessore, quando non si osa confessargli qualche colpa, ma è però molto pericoloso per la virtù della modestia. Perocchè voi ritornando da lui, ed egli non conoscendo bene lo stato dell'anima vostra, non potrà mai darvi quei consigli opportuni per questa virtù.

                2° Ascoltate e mettete in pratica i consigli che il confessore vi dà; sarà un avviso solo, sarà una sola parola; ma questa, datavi in confessione, è, tutta addattata ai bisogni dell'anima vostra. Miei cari giovani, S. Filippo Neri con questi consigli ha, fatto molti santi. E chi sa!…… Se noi li metteremo in pratica, avremo anche la bella sorte di farei tutti buoni, di farci tutti santi”. -  [85]

                “Anche a' suoi preti e chierici D. Bosco disse in una conferenza, che si guardassero da ogni minima cosa benchè lecita, ma che possa in qualche modo essere occasione di scandalo agli altri: raccomandò che si osservassero le regole della temperanza, non si mangiasse o si bevesse fuori di pasto, e che nessuno si preparasse in camera il caffè colla macchinetta. Aggiungeva: - Nessuno vada mai a casa sua o dei parenti, o di amici, o di conoscenti, se non per l'interesse della Congregazione o per esercitare un atto di carità. Per qualsiasi pretesto non si accettino mai inviti ai festini di nozze o ad altri pranzi secolareschi di qualunque genere siano. Per quanto è possibile non si viaggi mai di festa, e mai con persone di sesso diverso. Nel convoglio non si stia in ozio, ma si dica il breviario, si reciti la corona della Madonna, o si legga qualche buon libro.

                “Il mattino del 5 Marzo, scrive D. Bonetti continuando la sua cronaca, giorno delle sacre ceneri, abbiamo recitato il Testamentino, ove si narra dell'incontro di Gesù colla Samaritana al pozzo di Sichem. D. Bosco si trovava in mezzo a noi e ci esortò a preferire il cibo delle anime a quello del corpo e che ci preparassimo un grande appettito di questo cibo squisito. - Noi pure, ei disse, abbiamo la messe matura, in questo e negli altri Oratorii. Abbiamo i giovani della casa e gli esterni, ai quali possiamo fare molto bene, se ci mettiamo di buon animo. -

                 In ogni occasione raccomandava ai chierici in pubblico ed in privato, lo zelo per la salute delle anime. I catechismi quadragesimali in quest'anno incominciano il 10 marzo e vi si promette un grande impegno.

                In questi giorni D. Bosco mi dava a rivedere, con varii documenti ed una biografia, la vita della beata Caterina da Racconigi, che egli aveva annotata, ma raccomandommi che prima di scrivere facessi un patto colla santa.

                Io gli domandai: - - Che patto dovrò fare? [86]

                Rispose: - Che ti ottenga la grazia che quante saranno le pagine, che comporranno la sua vita, altrettante anime tu possa guadagnare al Signore: ma che al frontispizio metta l'anima tua”.

                Questo amore alle anime eragli certamente ispirato dallo amore che D. Bosco portava al santo sacrifizio dell'altare. Abbiamo già detto del modo col quale celebrava la Santa Messa; e qui osserveremo come egli la servisse molto volentieri.

                Proprio a quest'anno e a questi giorni si riferisce ciò che scriveva D. Bonetti. “Il Conte di Camburzano uscendo dalla camera di D. Bosco e fermatosi a parlare con alcuni della casa, narrò il seguente fatto: - D. Bosco un giorno era entrato nel Santuario della Consolata per fare una visita a Maria SS. Mentre così stava, sente dare i tocchi convenzionali del campanello che chiamava qualcuno dalle vie o case circostanti a servire la S. Messa. Si alza, va in sagrestia, prende il messale e serve messa. Finita la messa ed essendo già partito D. Bosco, qualcuno fece notare al Sacerdote che aveva celebrato, come avesse avuto D. Bosco a servirgli la messa. Quegli fuori di sè per la meraviglia gli corse dietro per ringraziarlo, ma non lo potè più trovare”.

                 - Ma i preti ai quali D. Bosco serviva la santa Messa erano da lui caritatevolmente avvisati, se in qualche modo avessero trascurata la rubrica.

                “In una di queste mattine, continua la cronaca, D. Bosco parlando della precipitazione colla quale alcuni dicono la Santa Messa, ci raccontò quanto segue: - Andai un mattino a servir messa ad un sacerdote, il quale così frettolosamente diceva le parole, che niente se ne poteva capire. Incominciò adunque con tutto impeto: In nomine Patris et Filii etc. Ed io adagio più del solito: Ad Deum qui laetificat juventutem meam. Io non aveva ancor terminato queste parole, che l'altro aveva già recitato il versetto seguente; e così di seguito giunse [87] al Confiteor, senza che io avessi avuto tempo di rispondere ai versetti precedenti. Io gli lasciai dire il Confiteor e poi cominciai dove era io rimasto a rispondere, e con maggior chiarezza e lentezza ancora proseguii: Sicut erat in principio et nunc et semper etc. Allora quegli si accorse del suo errore e si mise a recitare il rimanente con chiarezza, facendo tutti i suoi sforzi affine di riuscirvi. Dopo la messa mi disse: - Non sa che mi ha fatto sudare per dire bene e chiaramente quelle parole? - È per questo che ai miei giovani inculco sempre, invigilo e fo invigilare, che imparino bene le parole di rito e le dicano chiaramente e distintamente”. - Aggiunse:

                “Una volta un Chierico dell'Oratorio andò a servire la messa ad un prete molto frettoloso, il quale, sia per abito, sia per qualche altro motivo, smozzicava le parole per metà. Il Chierico invece rispondeva con tutta calma. Allora il prete gli disse: - Fa un po' più presto! - Ed il giovane: - Faccia un po' più adagio! - E così fu. Questo fatto lo raccontò poi quel prete medesimo, mostrandosi molto edificato della savia ammonizione di quel giovane chierico. La regola che io dò per dire Messa si è di impiegarvi dai 22 ai 27 minuti, ma non di meno”.

                Per questo suo amore alla Santa Messa gli riusciva graditissimo il dono mandatogli dal Cardinal Corsi; cioè una magnifica pianeta che anche oggi giorno conta fra i più preziosi paramenti della Chiesa di Maria Ausiliatrice. Era accompagnata dalla seguente lettera.

 

                               Carissimo Sig. D. Bosco Gio.

 

                Indimenticabile è rimasta nella mia memoria la visita da me fatta nel 1860 all'ammmirabile casa pia da Lei diretta e vive sempre la consolazione che ne provò il mio cuore allora, e che tutt'ora quasi per così dire si ringiovanisce e riproduce nello spirito, quante volte mi veggo favorito dagli utilissimi parti della di Lei penna e zelo. Facendo tale ricordo, mi sento spronato a prendermi l'ardire di spedirle una pianeta, onde più di sovente possano Ella e i da Lei ricoverati avere stimolo [88] ed eccitamento a pregare per la mia diocesi e cose di mia spettanza; preci all'Altissimo affinchè ricevano da Lui la benedizione, il calore e l'efficacia. Colle assicurazioni della più alta stima mi confermo

                Di lei Sig. D. Bosco,

 

                Pisa, 12 Marzo 1862.

 

Aff.mo pel Signore

C. Cardinale ADOLFO Arc. di Pisa.

 

                La fiducia del Cardinale nelle preghiere degli alunni dell'Oratorio non era certamente mal posta.

                “Sul principio di Febbraio 1862, racconta D. Bonetti, D. Bosco ci esortò una sera dopo le orazioni a pregare, per ottenere una grazia singolare dal Signore: che se l'avessimo ottenuta, ci avrebbe detto quale fosse. I giovani si fecero una premura particolare di secondar questa esortazione e frequentavano più dell'Ordinario i SS. Sacramenti. Noi intanto stavamo aspettando che D. Bosco ci dicesse l'esito delle nostre povere preghiere, ma vedendo che nulla ci diceva glielo domandammo. Allora egli raccontò e disse: - In quei giorni erano nati dissapori tra l'Austria e la Prussia. Io vedeva che qualora queste discordie avessero continuato, la rivoluzione avrebbe trionfato e chi sa come sarebbero andate le cose di Roma. Dissi tra me: voglio mettere alla prova le preghiere dei nostri giovani; e vi esortai perciò a pregare, chè il Signore ponesse egli fine a questi dissapori tra le due Corti; e stava ad aspettare l'esito delle cose. Per due o tre giorni le notizie continuavano ad essere gravi; i due giornali ufficiali si mordevano a vicenda. Dopo qualche giorno incominciarono a calmarsi, sempre più pacifiche venivano le notizie e fino al punto, che ora regna la concordia, che ci fa sperare molto bene. Quando vi esortai a pregare per questo motivo, ne feci menzione al Marchese Dovando. Ora avendo egli veduto questo avvicinamento ed aggiustamento fra le due Corti; mandommi a dire che desidera parlarmi di questo e che mi aspetta in sua casa. [89]

                Questo D. Bosco non volle dirlo in pubblico, ma lo disse solo in privato con alcuni chierici, raccomandandosi loro di non propalarlo”.

                Noi aggiungeremo una spiegazione alle parole di D. Bosco.

                Gravi dissidii da anni, regnavano tra Berlino e Vienna. I settarii volevano dare a Berlino il primato tenuto così lungamente da Vienna; e fondare l'unità Alemanna sulle rovine dell'Austria e de' minori stati Tedeschi, valendosi della Prussia, come la rivoluzione italiana si era valsa del Piemonte. Il governo Prussiano era anche spinto ad ingrandire lo Stato da Potenze nemiche dell'Austriaco, e studiavasi di formare una nuova confederazione, senza rompere apertamente la più vasta, che già esisteva fra gli stati Alemanni, ma annientando di fatto la Dieta di Francfort, come inutile. Perciò non tralasciava di coltivare le occasioni di ridurre con alleanze sotto la sua direzione diplomatica e militare i minori Stati tedeschi, salvando però l'autonomia dei medesimi: e vi riusciva. Nell'Assia Cassel intanto per la Costituzione sospesa nel 1852 e mutata nel 1860 dal Grati Duca Elettore con l'appoggio della Dieta Germanica, i democratici che meditavano annessioni, con imprese rivoluzionarie, osteggiavano in più modi il loro Sovrano e quindi la Dieta, incoraggiati dalle promesse Prussiane. Ma l'Austria era stanca e sdegnata di quelle insidie, come pur lo erano la Baviera, il Wurtemberg, l'Annover, l'Assia Darmstadt e Nassau e vi fu un momento nel quale la guerra sembrò inevitabile. Senonchè, verso il fine di Febbraio, il Ministero Prussiano vedendosi in pericolo di essere cacciato dalle sette sul pendio rovinoso della rivoluzione democratica, ristette e veline a pratiche di accordo coll'Austria per un'azione comune sulla questione Costituzionale di Assia Cassel, e così la pace per allora non fu turbata.

                E qui sono da notarsi le fine previsioni di D. Bosco. Aveva detto: Se quelle discordie avessero continuato, la rivoluzione avrebbe trionfato e chi sa come sarebbero andate le cose di Roma. [90] E infatti la guerra vittoriosa che Austria e Prussia alleate mossero alla Danimarca nel 1864, fece sorgere fra loro nuovi e gravi dissidii sul modo di spartirsi l'Holstein e lo Schleswig; e finirono nel 1866 colla battaglia di Sadowa perla quale la Prussia divenne padrona della Germania e l'Austria fu esclusa dalla nuova confederazione. Ma l'indebolimento dell'Austria rendeva possibile la spaventosa invasione dei Prussiani in Francia, la loro conquista dell'Alsazia e della Lorena; e l'occupazione di Roma permessa da Bismarck all'Italia in compenso della sua neutralità.

 

 

CAPO X. Lotteria 1862 - Note e Documenti. Perchè D. Bosco era insistente nel chiedere la carità - La sua parola persuasiva ottiene quanto egli ha di bisogno - La Pubblica beneficenza risvegliata in molti luoghi da' suoi appelli - Una nuova Lotteria: lettera circolare - Adesione de' benefattori - Perquisizione nel palazzo del Conte Cays - Invito stampato per la lotteria e motivi di questa: Piano di regolamento - D. Bosco si rivolge ai Principi Reali perchè accettino la presidenza della lotteria: i principi non possono accettare: accetta il Sindaco di Torino - - Nomi de' membri della Commissione per la lotteria.

 

                La formazione delle scuole cattoliche, l'impianto di una tipografia, le dispute co' protestanti il ricevimento delle abiure dei loro adepti, le lotte collo spirito delle tenebre, le abituali infermità, le cure necessarie dirette a preservare gli alunni dal male non avevano infiacchito l'animo di D. Bosco nella ricerca di grandi somme, per sopperire alle tante spese richieste dalle sue opere già iniziate e per l'innalzamento di nuovi edifizii nell'Oratorio di Valdocco.

                Scrisse il Teologo Reviglio. “La sollecitudine di D. Bosco nell'andar questuando cresceva col moltiplicarsi delle sue opere e de' suoi giovani; e la sua vita fu tutta quanta nel provvederli del necessario per l'anima e pel corpo. Talora usciva per andare a battere alle porte dei benefattori,  [92] povero al punto di essere ridotto a chiedere qualche soldo al signor Rossi Giuseppe, per le eventuali lemosine da distribuirsi strada facendo, Ma le primarie famiglie Torinesi, capacissime di scorgere la virtù negli uomini, avevano riconosciuto in D. Bosco un sacerdote incaricato dal cielo di una missione speciale e la stima che gli professavano cresceva a misura che lo avvicinavano. Presentandosi egli, non solo otteneva soccorsi, ma riceveva tali dimostrazioni di devozione e di rispetto, che maggiore, parmi, non si potevano professare ad un santo”.

                Qualche persona tacciò D. Bosco di essere troppo insistente nel chiedere la carità; egli però era solito a dire che bisognava fare il bene ed averne i mezzi. Ex nihilo, nihil. Senza denaro, non potersi far niente o ben poco.. Anche i più grandi saliti ne avevano avuto di bisogno. Ed egli era abilissimo a raccoglierne, perchè Dio evidentemente aveagli dato un tale dono.

                La sua parala produceva miracoli di persuasione. Un giorno aveva predicato sul distacco dai beni temporali e, pochi minuti dopo essere sceso dal pulpito, si vide comparire innanzi un signore che la mattina stessa gli aveva portato in imprestito dodicimila lire.

                 - Ecco, gli disse quel signore, presentandogli la ricevuta; questo è un biglietto che lei può stracciare; io non ne ho più bisogno. 1 miei occhi, per le sue parole, si sono aperti alla vera luce. Dio solo, non c'è altro che Dio. - Dopo qualche anno, quel benefattore abbandonava il secolo e rinunziava ad una beffa fortuna per farsi povero e vivere in povertà con D. Bosco.

                Qualcuno tentando di menomare il merito di D. Bosco, osò dire: - Egli ha operato il bene col danaro altrui. - Ma ciò è appunto che deve farlo ammirare. Se egli fosse stato milionario ed avesse eretto co' proprii mezzi le sue case, non vi sarebbe motivo di meraviglia. Avrebbe dato un po' della ricchezza [93] a lui da Dio largita. Ma egli con nulla interessò i ricchi a favore del povero, ampliò la beneficenza, rese partecipi del suo merito i benefattori, strinse più intimamente il legame di fratellanza fra quelli che molto posseggono e quelli che vivono nella miseria.:E per questo che l'opera sua sorpassa le forze umane!

                Dio benedetto, oltre l'efficacia della parola, rendeva efficaci i suoi scritti. Non alle sole famiglie di una città, ma alle provincie, ai regni, al mondo intero doveva fare appello per raggiungere il suo scopo che era mondiale. Per ciò necessaria la pubblicità. Egli ardito, tenace in ogni manifestazione dei suoi disegni, non si trincerava dietro una taciturna modestia. Umile e modesto in se stesso, sapeva di essere obbligato a far palese a tutti la sua missione. Nello stesso tempo colle sue opere persuadeva molte popolazioni, che non avevano coraggio di metter mano in tempi di miserie a nuove Istituzioni, a riconoscere la propria potenza caritativa e ad innalzare ospizii colossali.

                D. Bosco adunque ricorreva alla stampa. Così aveva fatto nel passato non ostante la disapprovazione di molti, i quali poi saran costretti ad imitarlo; così farà per l'avvenire, ed ora nel 1862 bandiva una nuova lotteria colla seguente lettera litografata.

 

Charitas benigna est, patiens est.

La carità è benigna e paziente.

S. Paolo.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                La carità di Nostro Signore Gesù Cristo che in ogni cosa è benigna e paziente, mi fa sperare da V. S. Ill.ma benevolo compatimento al disturbo che le sono per cagionare. Le cose che la Divina Provvidenza mi pose tra le mani mi mettono in quest'anno nella necessità di ricorrere alla piccola e pubblica beneficenza mediante una lotteria di oggetti. Questo mezzo, è vero, essendo da qualche tempo assai spesso praticato, divenne presso a taluno meno gradito, tuttavia non seppi trovarne altro più compatibile ai tempi e più acconcio al bisogno. [94] Affinchè Ella abbia un giusto concetto del genere di spese cui trattasi di sopperire, ne darò qui breve cenno.

                Primieramente sono i tre Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova, del S. Angelo Custode in Vanchiglia. In queste tre chiese si fanno le sacre funzioni mattino e sera, si amministrano i santi Sacramenti, e si istruiscono i giovanetti più pericolanti, i quali numerosi vi intervengono. Questi giovani, cui spesso tocca somministrare vitto e vestito, per quanto si può, vengono collocati a padrone per apprendere un mestiere. Ma le tre chiese non hanno reddito fisso per provvedere quanto è necessario pel Divin culto e sono sprovvedute degli arredi indispensabili. Di più i locali di Vanchiglia e di Porta Nuova sono a pigione, il primo a f. 650 annui, il secondo a f. 500. Oltre il fitto corrente vi sono alcuni arretrati, che dovrebbero già essere prima d'ora pagati. In questi locali stessi, e per le scuole diurne e per le scuole serali, si dovettero fare molte riparazioni indispensabili, in gran parte ancor da pagare. Avvi pure un ragguardevole numero di giovani artisti e anche di studenti, ricoverati nella casa annessa all'Oratorio di Valdocco, cui si provvede pane, istruzione, vestito, alloggio e mestiere; per costoro la spesa è assai grave.

                Accennato così lo scopo della lotteria, io fo umile invito a V. S. Ill.ma a volermi venire in aiuto;

                I° Per raccogliere quegli oggetti che caritatevoli persone le volessero consegnare, dando poi mano a distribuire alcuni biglietti a tempo opportuno.

                2° Qualora Ella conoscesse chi volesse accettare il benefico incarico di promotore o di promotrice di questa lotteria, massime se secolari, usasse la bontà di indicarmene il nome, il cognome e la dimora; di poi io stesso ne farei regolare invito.

                3° Che se V. S. per qualche speciale motivo non giudicasse che il suo nome comparisse notato nel catalogo dei promotori e delle promotrici, la pregherei rispettosamente di volermelo significare in quel modo che a Lei riuscirà di minor disturbo.

                Spero di poterle presto trasmettere l'analogo piano di regolamento insieme colle altre notizie che riguardano a questa lotteria, che in modo particolare alla nota e provata di lei carità raccomando.

                Il Signore Iddio, che è infinitamente ricco in favori, largamente la ricompensi concedendole sanità e copiose benedizioni. Intanto da parte mia e a nome dei giovani beneficati, le offro i più sentiti ringraziamenti, mentre con pienezza di stima ho l'onore di professarmi Di V. S. Ill.ma

                Torino, 30 Gennaio 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI. [95]

                Le persone benefiche da ogni parte si affrettavano a dimostrare la loro simpatia per l'Opera degli Oratorii, e bastino fra tante le due lettere che presentiamo ai lettori.

Nizza, li 9 Febbraio 1862.

                Signor Abbate,

 

                Ho ricevuta la lettera che V. S. ebbe la bontà di indirizzarmi, e l'ho letta col vivo interesse che m'ispirano le sue opere. Nessuno meglio del Conte di Camburzano e di me stessa è convinto della importanza de' suoi istituti e della loro immensa utilità al punto di vista cattolico e sociale.

                Non ostante il progresso delle dottrine empie, non ostante la strage desolante che fa l'immoralità in mezzo delle nostre popolazioni, Ella va preparando una tribù eletta di giovani, le cui virtù, i cui fermi principii e l'innocenza dei costumi consolano le anime di fede e danno esempi i più edificanti.

                ...... noi faremo quanto potremo per la lotteria e ci stimeremo felici di poterle per tal modo provare quanto abbiamo a cuore le sue opere. La ringrazio poi delle preghiere che promette di fare per noi, perchè io ho una grande fiducia nelle medesime.

                Voglia gradire, Signor Abate, insieme cogli omaggi del Conte di Camburzano, l'espressione della mia più alta stima e del mio profondo rispetto.

 

                CONTESSA DI CAMBURZANO

 

                Ad un foglio del Barone Ricci dimorante in Cuneo rispondeva D. Bosco.

 

                               Car.mo Sig. Barone,

 

                Probabilmente La potrò servire di un buon domestico e tic parleremo all'occasione che Ella farà una gita a Torino.

                Ogni tempo, purchè io sia in casa, è a sua disposizione. Le ore più tranquille sono generalmente dalle 9 alle 12 mattutine.

                La ringrazio delle buone disposizioni che manifesta per la nostra Lotteria. Spero che avrà buon esito..

                Oggi dalle io mattino alle 3 pomeridiane fu fatta una solenne perquisizione al conte Cays, come Presidente della società di S. Vincenzo de' Paoli etc.

                Il Signore doni a Lei ed alla Sig. sua moglie sanità e grazia mentre con pienezza di stima mi professo di V. S. Car.ma

                Torino, 9 Febbraio 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI. [96]

                Spiegando l'eccettera di D. Bosco, diremo che la Domenica 9 Febbraio, per ordine del Questore, un delegato con una frotta d'impiegati e di agenti di polizia aveva invaso il palazzo del Conte Cays di Giletta, per sequestrargli alcune lettere pervenutegli dal Presidente del Consiglio generale di Parigi della Società di S. Vincenzo de' Paoli, signor Baudon. Frugarono e rifrugarono con rigoroso esame armadii, tavolini, scanzie, carte, lettere, tutti i documenti della Conferenza, ma nulla trovarono che potesse porgere il minimo sospetto di cospirazioni contro l'ordine stabilito in Italia e in Francia. Dove credevano di trovare scritto: politica, si trovò ovunque carità e sola carità ai poverelli di Gesù Cristo. Il Conte Cays infatti, non essendo più deputato al Parlamento, dal 186o, lasciata ogni altra cura, era sempre tra i primi ogni qual volta trattavasi di compiere un bene o di impedire un male. Si occupava nell’impiantare e presiedere le conferenze di S, Vincenzo de' Paoli in città e fuori, nel visitare gli infermi nelle case e negli ospedali, nel soccorrere i poveri più derelitti, nel catechizzare i fanciulli.

                E in queste lotterie egli fu sempre di grande aiuto a Don Bosco; il quale andava preparando il programma di quest'ultima, consegnandolo alle stampe per averne migliaia di copie[7]. [97]

                Stampato il programma, il 22 febbraio, D. Bosco supplicava i principi reali Umberto ed Amedeo ad accettare la presidenza della lotteria; ma non potè essere compiaciuto. [98]

 

CASE D'EDUCAZIONE DEI REALI PRINCIPI.

 

Moncalieri, - 24 Febbraio 1862.

                               Ill.mo e Molto Rev. Signore,

 

                Onde distogliere il meno possibile i giovani Principi dai loro studii ordinarii venne stabilito in massima che, finchè dura la loro educazione, Essi non possano accettare d'essere Presidenti di veruna Società ed Istituto, eccetto in casi rarissimi e col consenso di S. M. da ottenersi direttamente dai richiedenti. [99]

                Laonde finchè questa circostanza non si realizzi, devono Essi, Loro malgrado, rinunciare alla fatta offerta della Presidenza della Lotteria a favore dei tre Oratorii menzionati dalla S. V. Molto Rev.da: ma si riservano però di soccorrere quei pii Istituti acquistando biglietti della Lotteria col peculio della loro cassetta particolare.

 

Il Governatore dei Reali Principi Rossi.

 

                Si rivolse allora al Sindaco di Torino, Lucerna di Rorà Marchese Emanuele, il quale accettò la presidenza della Commissione, così formata:

 

                Lucerna di Rorà, marchese Emanuele, Sindaco di Torino, presidente.

                Duprè cav. Giuseppe, vice - presidente.

                Cotta comm. Giuseppe senatore del Regno, cassiere.

                Oreglia cav. Federico, segretario. [100]

                Baricco teol. cav. Pietro, assessore del Municipio.

                Biandrate di S. Giorgio, conte.

                Bosco di Ruffino cav. Alleramo.

                Bosco sac. Giovanni, direttore degli Oratorii.

                Cays di Giletta conte Carlo, Caselette.

                Chiala Cesare, impiegato.

                Costa della Torre conte Francesco.

                Fassati march. Domenico.

                Ferrari di Castelnuovo march. Evasio, Castelnuovo Scrivia.

                Galleani d'Agliano cav. Lorenzo.

                Gonella avv. cav. Marco, Chieri.

                Migliassi Giuseppe, negoziante.

                Montù cav. Giuseppe, negoziante.

                Provana di Collegno conte Alessandro.

                Roasenda di Roasenda cav. Giuseppe, Sciolze.

                Scarampi di Pruney march. Lodovico.

                Seyssel d'Aix conte Aymar.

                Solaro della Margherita conte Alberto.

                Villa di Monpascale conte Giuseppe.

 

 

CAPO XI. Lotteria 1862 - Note e Documenti. Si lavora per la lotteria - Scherzevole commento di D. Bosco ad una parola di un chierico in sua lode - Rimprovero a chi rammentava un suo fatto prodigioso - Umiltà abituale - Estimo degli oggetti raccolti per la lotteria - D. Bosco domanda al Prefetto di Torino che autorizzi la lotteria: decreto d'approvazione - Inaugurazione della lotteria - D. Bosco ottiene Per quest'anno dal Ministero un biglietto gratuito Per viaggiar in ferrovia - D. Bosco a Vercelli - Discorsi di D. Bosco sul treno ritornando a Torino e rispetto che gli dimostrano i viaggiatori - Apparecchi ultimi Per la lotteria: promotori e promotrici - Il Ministro delle finanze sospende la lotteria - Circolare di D. Bosco ai benefattori per annunziare l’ordine del Ministro - Morte di Mons. Fransoni.

 

                NELL'ORATORIO, scrive D. Bonetti, ferveva l'opera nel ricevere doni e disporli in ordine nelle sale del secondo piano, a levante della scala centrale (ove ora è l'infermeria). D. Bosco era tutto in pensieri, e il giorno 3 marzo in sul mattino, trovandosi con alcuni chierici e laici, domandò sorridendo ad uno: - Fra tutte quelle cose che hai vedute durante la tua vita, quale è quella che più ti abbia piaciuto?

                Quegli rispose: - È il signor D. Bosco. - Allora D. Bosco prese a raccontare il fatto seguente [102]

                Nell'ultima lotteria che abbiamo aperta venne a visitare gli oggetti un contadino con sua moglie ed alcuni suoi figli. Io lo conduceva per quelle grandi sale dell'esposizione. Mentre altri visitatori talora si fermavano a guardare qualche oggetto ammirandone la bellezza e la preziosità, quel buon paesano non dava mai segno di ammirazione; niente lo colpiva. Io diceva tra me: - Possibile che fra tanti oggetti alcuno non ve ne sia che possa piacergli? - Andammo ancora un poco, finchè venimmo ad un posto, ove trovavasi fra i doni un bello e grosso salame: - Ah! questi sì che è proprio bello, esclamò allora il paesano, restando attonito per la meraviglia.

                Noi ci mettemmo tutti a ridere a tale racconto: ed alcuni dissero sotto voce: - Vuole forse paragonar se stesso ad un salame?”.

                Queste parole sonavano come uno scherzo, ma rispecchiavano fedelmente l'umile concetto che D. Bosco aveva di sè e che nessun elogio potea solleticare il suo cuore.

                Infatti “uno di questi giorni D. Rua, sedendo a pranzo, narrava a coloro che gli erano vicini, come i Romani, quando egli trovavasi in quella città con D. Bosco, gli raccontassero il miracolo fatto a Torino dallo stesso D. Bosco, alcuni anni prima, mostrandosi così benissimo informati di ciò che era accaduto. D. Bosco, sebbene sedesse un poco discosto, nondimeno, prestava attenzione a tutto questo racconto e noi osservavamo come venisse molto rosso in volto. A un tratto voltosi al narratore lo interrompe e gli dice con voce sostenuta: - Taci: non ho mai detto che fossi io, e nessuno deve saperlo!”

                D. Bongiovanni Domenico osservò: “D. Bosco era proprio indifferente alle lodi ed ai biasimi. Parlando a noi suoi antichi allievi nell'occasione della sua festa annuale, mentre tutti noi riconoscevamo le grandi opere da lui fatte, egli in bei modi attribuiva a noi il bene operato ed in specie a' suoi [103] coadiutori. Io stesso nell'occasione della prima messa di mio fratello Giuseppe, il 21 Dicembre 1862, elogiando D. Bosco, attorniato dai giovani dell'Oratorio e dicendogli: - E il Papa parlando di te ha già usato la parola santo, non vidi in lui alcun mutamento di viso, nè segno di compiacenza. Gli osservatori bene attenti mai sorpresero in lui, in somiglianti circostanze, il menomo indizio di amor proprio lusingato”.

                I premii intanto raccolti ormai erano 383 e il più cospicuo era un quadro dipinto ad olio, che rappresentava la tentazione di S. Antonio, valutato lire 6000, opera del cav. Federico Peschiera, professore dell'Accademia Ligustica di Genova. Gli estimatori ufficiali fecero l'elenco di tutti gli oggetti in quaderni di carte bollate da 50 centesimi caduna e quindi consegnarono la loro dichiarazione[8].

                Lo stesso giorno, 14 marzo, D. Bosco mandava la domanda al Prefetto della Provincia per l'autorizzazione della lotteria[9] [104] e vi univa il modulo dei biglietti, i nomi dei membri della Commissione, il Programma, il piano di regolamento, l'elenco degli oggetti e l'estimo di Volpato e di Buzzetti.

                Una settimana dopo dalla Prefettura si comunicava a D. Bosco il chiesto decreto.

 

                IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI TORINO.

                N. 35. Div. 5. N. 3229. P. G.

 

                Visto il ricorso presentato dal Sig. Sacerdote Bosco Giovanni con cui chiede l'autorizzazione di aprire una lotteria di oggetti stati donati dalla generosità cittadina, destinandone il prodotto a favore degli [105] Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Portanuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia;

                Visto l'annesso programma e piano della Lotteria;

                Visto l'elenco degli oggetti donati in numero di Trecento ottanta tre, il cui valore ascenderebbe a L. Trentaquattro mila novecento trenta nove, centesimi sessanta, giusta la perizia dei signori Professore Giovanni Volpato e Buzzetti Giuseppe in data 14 corrente mese;

                Visto il Regolamento approvato con R.° Decreto in data 4 marzo 1855, N.° 6o6;

 

DECRETA

 

                Articolo 1° È autorizzata l'apertura della lotteria suddetta in conformità del proposto piano e coll'emissione di Sessanta nove mila ottocento ottanta biglietti al prezzo di centesimi cinquanta caduno; i quali dovranno prima di essere distaccati e distribuiti, essere numerati e debitamente sottoposti al marchio esistente presso l'ufficio del R.° Lotto nel ministero di Finanze e firmati da un membro della Commissione della Lotteria.

                Articolo 2°. Il prodotto dei biglietti sarà di mano in mano versato nella cassa della Commissione per essere poi destinato all'uso indicato nel memoriale programma e piano relativo.

                Articolo 3°. Nell'annunzio al Pubblico della presente Lotteria si dovrà far conoscere il tenore del presente decreto.

                Articolo 4° Il giorno per l'estrazione di detta lotteria è fissato pel giorno 1° di Luglio e nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, alla presenza dei membri della Commissione e del Sindaco della città di Torino, il quale è incaricato di vegliare all'esatta osservanza delle avanti tenorizzate condizioni, e di quelle che in avvenire credesse questo Ufficio opportune di prescrivere, la cui innosservanza renderà nulla e di niun effetto la lotteria.

                Articolo 5°. Non si potrà aumentare il numero dei biglietti, nè differire l'estrazione della lotteria senza la previa superiore approvazione.

                Torino, 21 Marzo 1862.

 

Per il Prefetto

RADICATI.

 

                Intanto la sala coi doni, che andavano ogni giorno crescendo, era all'ordine. Perciò la domenica 23 marzo celebrandosi nell'Oratorio la cara festa di S. Giuseppe, così D. Bonetti,  [106] si fece l'inaugurazione della lotteria. Il Consigliere Municipale Galvagno venne a rappresentare il Sindaco. Moltissimi signori erano stati invitati, ma nessuno o quasi nessuno comparve nell'Oratorio, poichè in quel giorno cadeva in gran copia la neve. Ebbe luogo un po' di accademia, si cantò il melodramma di D. Cagliero: Il Poeta ed il filosofo e si declamarono alcuni componimenti d'occasione. Tuttavia non potè darsi una giornata più uggiosa di quella”.

                D. Bosco aveva deciso di recarsi dopo questa inaugurazione in varie città del Piemonte, per promuovere più efficacemente di persona gli interessi della lotteria. Ma siccome questi viaggi avrebbero richiesta una forte spesa, egli tempo prima presentava domanda al Ricasoli, Ministro dell'Interno, per ottenere la rinnovazione del biglietto circolare gratuito in seconda classe, statogli concesso solamente per l'anno 1861. Egli aveva sperato che, il suo ricorso sarebbe stato accolto favorevolmente, tanto più che aveva dato ricovero a qualche giovane a lui raccomandato dallo stesso Ministro. Alla sua lettera era stata fatta la seguente risposta:

 

                MINISTERO DELL'INTERNO                                                            Torino, addì 20 Febbraio 1862.

                Div. 2° Sez. I°. N. 4633 - 1298] Il sottoscritto, mentre porge le dovute grazie per le favorevoli intenzioni espresse rispetto al ricovero dell'orfanello Giovanni Fissore, Le partecipa di aver in oggi disposto che lo stesso orfanello si presenti presso cotesto stabilimento per le opportune verificazioni, di cui il pregiato di Lei foglio 8 corrente mese.

                Siccome poi nell'ultima parte della sua lettera Ella si raccomanda per ottenere un viglietto di favore della ferrovia, il Sottoscritto, nello scopo di secondare, per quanto gli è possibile, l'esternato desiderio, La prega a voler segnalare la ferrovia, cui allude e citare la data ed il numero della superiore disposizione, in virtù della quale nello scorso anno conseguiva simile favore.

Il Direttore Generale

SALINO.

 

                D. Bosco aveva scritte le chieste spiegazioni a questo Ministero, il quale trasmessele a quello dei Lavori Pubblici, finiva [107] col dichiarare a Don Bosco non potersi aderire alla sua domanda[10].

                D. Bosco allora pensò, di ottenere per altra via simile favore, tanto più che come Presidente dei Ministri, a Ricasoli, che aveva date le sue dimissioni il 3 marzo, era successo Urbano Rattazzi, anche titolare del Ministero dell'Interno. Infatti ottenne quel che desiderava dal Comm. Bona Bartolomeo, senatore del Regno e Direttore generale delle strade ferrate.

                Uno dei primi suoi viaggi fu a Vercelli per trattenersi di affari coll'Arcivescovo, col Canonico Arciprete della Metropolitana Pietro Degaudenzi, e col Parroco di S. Maria Maggiore D. Giovanni Momo. Nel ritorno ebbe, come sempre, un incontro da notarsi, e a noi venne raccontato da quello stesso che gli fu compagno di viaggio, il parroco di Rossignano Monsignor Bonelli.

                “Salii a Vercelli diretto a Casale col mio predicatore della quaresima, che era Genovese. 1 posti erano quasi tutti occupati dai viaggiatori, quando entrò un altro prete, giovane all'apparenza. Il controllore venne a verificare i biglietti ed io notai come il giovane prete gli presentasse un foglio bianco che indicava essere un biglietto di favore. Ciò mi mise in sospetto e mentre fissavo quel prete, quegli senz'altro mi interrogò: - Scusi, chi è lei? [108]

                - Perdoni, risposi, prima che io le dica chi sono, favorisca lei di dirmi il suo nome.

                - Io sono un povero prete che poco le importerà conoscere.

                - Forse di Torino.

                - Non sono di Torino, ma di un paese non molto distante, di Castelnuovo d'Asti.

                - Oh! io ne conosco alcuni di Castelnuovo. Fra gli altri D. Bertagna è stato mio compagno di scuola. E lei conoscerà forse D. Bosco!

                - Sì, lo conosco abbastanza.

                - Sento che sta per aprire un collegio a Mirabello.

                - Sono informato della cosa.

                „ - E crede lei che riuscirà bene in questo impegno?

                - Oh là! Vedremo che cosa saprà fare! È un'impresa, a dir il vero, un po' ardita questa nella quale si mette quel buon uomo. Le cose andranno come potranno.

                - Io invece, replicai, credo che tutto andrà bene, perchè D. Bosco riuscì sempre in qualunque impresa.

                - Io ne dubito là vedremo che cosa saprà fare.” - Però a Torino so che le scuole procedono a maraviglia e che ha valenti professori. È certo che li manderà anche a Mirabello. Lei, che mi sembra bene informato delle cose di Don Bosco, saprà dirmi se tutti questi professori sono, patentati.

                - Alcuni hanno titoli equipollenti, ma tutti di grande ingegno, scienza e studio. Ha perfino un giovane sui diciotto anni che fa scuola di prima rettorica.

                Il Predicatore, che fino a questo punto era stato ad ascoltare in silenzio, allora esclamò con alquanta ironia: - Oh questo poi! Un professore di diciotto anni e di rettorica! Senta, signore, prima di piantar carote bisogna almeno misurarle. È  troppo grossa questa.

                - Veda, replicò quel prete, vada a Torino, chiami questo giovane, gli dia pure l'esame di latino, di greco, di storia, di [109] letteratura e vedrà se non dico il vero. (Questo insegnante era il Ch. Francesco Cerruti).

                - Che un giovane a diciotto anni possa essere uno scolaro di rettorica mediocre ne sono persuaso. E poi, se vogliamo concederò che al massimo sia ottimo; ma professore? le torno a ripetere che prima di piantar carote bisogna misurarle.

                Siccome l'accento del predicatore si era fatto sempre più ironico e tutti i viaggiatori stavano ad ascoltare quel dialogo, gli troncai le parole in bocca e senz'altro  lei, dissi al prete, quanti anni ha?

                - Quarantasette.

                - Dunque lei è D. Bosco.

                - Sissignore, io sono D. Bosco. - Questi aveva appena pronunciato il suo nome, che tutti gli altri viaggiatori si tolsero il cappello salutandolo. Il predicatore, restò per un istante interdetto e poi: - Scusi se fui alquanto ardito nelle mie espressioni. Io non sapevo con chi avessi l'onore di parlare: ma ora che so lei essere D. Bosco stesso, protesto di credere pienamente a ciò che ha detto.

                Io poi predicando ai chierici raccontava questo aneddoto per concludere: - Se i preti non sono rispettati talora è colpa loro. I veri preti hanno sempre molti che li stimano, per non dire tutti. Infatti al nome di D. Bosco, anche coloro che non lo conoscevano, lo salutarono”.

                D. Bosco rientrava nell'Oratorio ma non ancora erano aperte le sale della lotteria per l'esposizione dei premii. L'opera però era continua. D. Bosco Aveva stabiliti centri per ricevere premii e distribuire biglietti in molte città e paesi dell'Italia settentrionale e centrale, sicchè i Promotori erano 327 e le Promotrici 208, tra cui un gran numero di persone della prima nobiltà. Quand'ecco la Prefettura comunicare a D. Bosco una disposizione del Ministro delle Finanze che pel momento non permettevagli di aprire la lotteria. [110]

 

                PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI TORINO.

N. 3745 - 597

Torino, addì 4 Aprile 1862.

 

                Il Ministro delle Finanze, cui venne rassegnata l'istanza del Sacerdote Bosco, tendente ad ottenere l'autorizzazione della lotteria al margine indicata, con sua nota in data 1° corrente mese, ha partecipato a quest'Ufficio che giusta il disposto dell'articolo 3° del Regolamento, sancito con Regio decreto 4 Marzo 1855, e fin tanto che non si troverà compiuta la Lotteria di beneficenza, attualmente in corso ed autorizzata a favore dei feriti nella guerra Italiana, la di cui estrazione dovrà aver luogo il 18 p. v. Giugno, non potrebbe annuire alla domanda del predetto Signor Sacerdote onde aprire quella da esso divisata, non essendo massima di accordare autorizzazioni preventive.

                Nel portare quanto sopra a cognizione del sunnominato Sacerdote Bosco, il Sottoscritto a nome del prelodato Ministero pregiasi soggiungergli, che il medesimo non ha veruna difficoltà d'autorizzare la lotteria, di cui si tratta, appena sarà trascorso il suindicato termine.

                Si ritornano intanto tutte le carte relative.

P. il Prefetto

RADICATI.

 

                Per Don Bosco era vantaggioso il temporeggiare e spediva una circolare stampata ai promotori.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Mi fo dovere di comunicare a V. S. benemerita che la pubblica esposizione della Lotteria, raccomandata alla carità di Lei, deve alquanto differirsi per la coincidenza di un'altra lotteria di simil genere, iniziata in questa città. Spero per altro che tra breve se ne potrà fissare il giorno ed allora mi farò premura di rendermela consapevole.

                Intanto per guadagnare tempo nelle varie incombenze che rimangono a compiersi, la prego rispettosamente a voler far pervenire al luogo destinato per l'esposizione quegli oggetti che V. S. od altre caritatevoli persone volessero donare per questo bisogno.

                Siccome poi un ragguardevole numero di oggetti descritti e stimati furono presentati ed approvati dalla Prefettura generale di questa città, così comincio, ad inviarle biglietti N.° …….a fine di recare qualche soccorso a questi Oratorii, che versano in vere strettezze. Non potendosi ancora fare la pubblica esposizione, noi possiamo soltanto dare smercio ai biglietti privatamente. [111] A norma di ogni occorrenza Le noto che dovendo fare spese per questa Lotteria Ella può prelevarle sopra il provento che speriamo di ricavare dai biglietti della medesima.

                Voglia gradire che Le auguri ogni bene dal cielo, mentre con pienezza di stima ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Benemerita

                Torino, aprile 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Come appare, D. Bosco non diminuiva la sua attività per la lotteria, mentre in que' giorni un gravissimo dolore avealo ferito.

                Il 26 marzo 1862 moriva santamente in Lione l'Arcivescovo di Torino Monsignor Luigi de' Marchesi Fransoni, benedicendo i suoi amici e i suoi nemici. Egli potè ripetere con San Gregorio VII: Dilexi iustitiam et odivi iniquitatem; propterea morior in exilio.

                Il Capitolo della Metropolitana Torinese eleggeva a Vicario capitolare il Canonico Zappata.

                Nell'Oratorio si pregò molto per l'anima dell'invitto e glorioso Prelato. Benchè spoglio delle rendite della mensa, aveva assottigliato di molto le parchissime spese, ch'egli usava fare pel suo sostentamento, impiegando i risparmi a sollievo dei poveri ed anche degli, Oratori di D. Bosco. Questi non dimenticarono l'amato Pastore.

                La sua memoria è e sarà sempre venerata e in benedizione nella Pia Società di S. Francesco di Sales, e il suo nome si ripeterà con plauso in ogni parte della terra ovunque sarà ricordato D. Bosco. Se questi riuscì nel fondare le sue opere è al santo Arcivescovo che va attribuito il merito specialissimo: Egli ne fu il consigliere, il difensore, il benefattore, il padre.

 

 

CAPO XII. Un debito urgente da pagare - Largizione del Re ai chierici dell'Oratorio - Nuovo edifizio lungo la via della Giardiniera - D. Bosco è certo dell'aiuto della divina provvidenza - Perchè nelle costruzioni non si eseguì un disegno regolare e prestabilito: Dio non promette soccorsi per le spese superflue - Elemosina straordinaria - Altri lavori - Il laboratorio de' fabbri ferrai - Disposizione di tutti i laboratorii: nuovi regolamenti - Disordine represso - Importanza della scelta di buoni maestri d'arte - Fine disgraziata di un operaio - Un eccellente capo dei fabbri.

 

                SOSPESA la lotteria, D. Bosco non interruppe l'esecuzione del disegno di innalzare un nuovo edificio nell'Oratorio, benchè si trovasse sempre al secco di moneta e aggravato di grossi debiti. Ciò argomentiamo da una lettera scritta alla Marchesa Fassati, che certamente ebbe una generosa risposta.

Torino, 26 Marzo 1862,

 

                               Benemerita Signora Marchesa,

 

                Questa mattina mi trovo in un vero imbarazzo. Ho bisogno di pagare una somma pel cui totale mi mancano quattrocento franchi e non ne posso differire il pagamento. Se mai Ella potesse dire una parola al Sig. Marchese, perchè me li volesse dare in limosina, o semplicemente imprestarli, farebbe una vera opera di carità: in questo secondo caso potrei far fronte coi proventi che spero di ottenere dalla lotteria. Compatisca questo disturbo; il Signore non mancherà di dare largo compenso a Lei, al Sig. Marchese e a tutta la famiglia.

                Con pienezza di gratitudine me Le professo rispettosamente.

                Di V. S. Benemerita

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio. [113]

 

                Nello stesso tempo indirizzava una Supplica al Re sottoscritta da tutti i suoi chierici.

 

                               Sacra Real Maestà,

 

                I Chierici infrascritti espongono rispettosamente che essendo orfani o figli di genitori poveri ebbero nell'impossibilità di progredire nello stato cui loro sembra essere da Dio chiamati. Per loro buona ventura furono caritatevolmente accolti nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; ma ora si trovano in grande bisogno sia per provvedersi gli abiti opportuni nelle sacre funzioni ed anche per uso ordinario, sia anche per dare aiuto al sacerdote Bosco Giovanni loro superiore, che in questo momento pei molti giovani ricoverati sanno trovarsi in gravi strettezze.

                Per questo motivo ricorrono alla nota bontà di V. S. R. M. supplicandola a voler loro accordare sopra la cassa dell'Economato quel maggiore caritatevole sussidio che a Lei sarà beneviso; o in capo di ciascuno degli infrascritti, oppure in capo del loro Superiore Sac. Bosco.

                Pregando il cielo a voler spandere copiose benedizioni sopra di V. S. R. M. e sopra tutta la Real famiglia, colla massima gratitudine si professano.

                1862.

Umili Supplicanti.

(Seguono le firme).

                Venne una risposta favorevole.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DE' CULTI

Div. 4 - N. 26241

 Torino, addì 23 Aprile 1862.

 

                Il sottoscritto partecipa a V. S. M. Rev.da che sua Maestà in udienza del 21 corrente mese si è degnata di assegnare, a favore di varii giovani chierici ricoverati presso codesto stabilimento, un sussidio sul Regio Economato generale di lire 400 pagabili però alla S. V.

 

D'ordine del Ministro,

 

Il Direttore Superiore

A. MAURI.

 

A Don Bosco. [114]

                La nuova costruzione doveva innalzarsi lungo la via della Giardiniera ombreggiata da un filare di gelsi, cioè sullo stesso spazio occupato dalla tettoia appigionata un tempo dal Filippi al Visca ed ora proprietà di D. Bosco. Il nuovo edificio, alquanto più lungo della tettoia, doveva misurare metri 60 circa di lunghezza, 7, 20 di larghezza e 12 di altezza. Il pian terreno era destinato per la tipografia con numero duplicato di macchine, per il magazzeno delle somministranze, e per il laboratorio de' falegnami. Il secondo piano e le soffitte per dormitorii. In capo di questo edifizio a levante si doveva aprire una nuova comoda porteria coll'ingresso per i carri, colla sala di ricevimento per i parenti degli alunni, e l'abitazione del portinaio. La vecchia porteria, coll'androne e la sala annessa, chiuso il passaggio all'esterno, ridotta ad un sol corpo, doveva contenere un laboratorio ed il deposito della carta tipografica e de' libri stampati.

                Era questo un lavoro di non lieve costo, ma D. Bosco avea detto sul principio dell'anno: - Quando io debbo fare una cosa che è di gloria a Dio, non mi regolo mai dal denaro che ho, ma solo dal bisogno in cui mi trovo; poichè son certo che la Divina Provvidenza in tal caso ci soccorre. Finora non ci venne mai meno.

                D. Dalmazzo Francesco l'udì spesse volte ripetere fin dal 1861: che la piccola casa di Valdocco si sarebbe tramutata in una costruzione colossale con lunghi portici: che di qui la sua Pia Società si sarebbe diffusa nelle varie parti del mondo, che tanti suoi giovani divenuti sacerdoti sarebbero andati missionarii nella lontana America.

                Il capo mastro Buzzetti Carlo, al quale Don Bosco aveva fatto conseguire la patente di costruttore, poneva mano all'opera.

                Sarebbe stato grandemente vantaggioso il seguir fin dal principio un disegno generale di tutte le costruzioni future, e, secondo le linee regolari di questo, ingrandire a poco a poco [115] l'Ospizio. E D. Bosco l'aveva in mente questo progetto ma, avendo fretta, fu necessario che si addattasse alle esigenze impostegli dall'economia, dalle angustie dell'area e da' bisogni speciali e pressanti. Quindi la fondamenta e una parte delle mura della tettoia sopraccennata furono conservate e sopra di esse sorse la fabbrica. Come ora si vede, coll'ingrandimento dell'Oratorio verso mezzogiorno, questa forma quasi una diagonale in mezzo ai cortili. D. Bosco disse poi più volte come quell'edifizio sarebbe coll'andar del tempo atterrato, qual deturpatore della simetria interna dell'Oratorio: ma che egli finchè fosse vissuto non avrebbe tollerato tale spreco. - Il Signore ci ha promesso, diceva, e ci dà tutti i mezzi necessarii per un'opera gigantesca, ma non li promette per le imprese di ornamento superfluo.

                E i mezzi non mancarono. Narrava lo stesso D. Bosco ai suoi giovani nelle vacanze autunnali del 1862 un fatto accaduto nel mese di giugno, invero strepitoso o almeno provvidenziale comunque si spieghi. Il Capo mastro muratore erasi portato a lui chiedendo alcune migliaia di lire onde pagare i suoi subalterni. D. Bosco sapeva con certezza assoluta di non aver danaro, nondimeno non osò dargli risposta negativa, conoscendo le strettezze di Buzzetti. Poco dopo saliva in camera pensando in qual modo potesse trovare la somma richiesta; e mentre seduto al tavolino rivolgeva carte, lettere, stamponi, ecco affacciarsi un plico, del quale ignorava la provenienza. Lo apre e vi trova 5000 lire, che abbisognavano al Capo mastro, e con tranquillità discese e gliele consegnò. Tal fatto non può che dimostrare la gran cura che Dio ha de' suoi servi, sia che egli abbia ispirato qualcuno a portare segretamente que' danari, sia diciamolo pure, che prodigiosamente gli abbia fatti colà comparire. E tanto buono Iddio! D. Bosco però non potè mai sapere da qual mano gli venisse un tal dono.

                Di un altro lavoro era incaricato Buzzetti. Una baracca [116] di legno aperta, con tetto coperto di tegole, serviva per deposito degli attrezzi de' muratori e della calcina, sotto le finestre delle stanze di D. Bosco a mezzogiorno. Quivi si doveva innalzare un portico di pilastri, di metri 14 per lunghezza, alto 4, e largo 6, 75, che sosteneva un terrazzo a volte. Chiusi con muro gli spazii tra pilastro e pilastro ne riusciva una bella sala dove sarebbero state trasportate le macchine della prima tipografia, finchè fosse pronto il nuovo locale per esse destinato; e poscia la fonderia dei caratteri vi avrebbe occupato il suo posto.

                Questi disegni furono a suo tempo eseguiti, ma richiedendo essi gran quantità di lavori in ferro, D. Bosco iniziava l'officina de' fabbri ferrai. Per questi destinò lo stanzone, ove, come abbiamo già esposto, il Maestro Miglietti aveva emigrato dalla vecchia portieria co' suoi alunni esterni; e a lui per scuola veniva assegnata una stanza nei primi portici a fianco de' laboratorii dei legatori de' Vibri, de' calzolai e de' falegnami. I  sarti lavoravano al primo piano dietro l'ufficio di D. Alasonatti e in un pianterreno della casa, una volta di Filippi, lavoravano alcuni tintori e cappellai.

                Questo aumento progressivo di laboratorii induceva Don Bosco a modificare due successivi regolamenti anteriori, che attribuivano ai Capi d'arte la responsabilità del lavoro, dell'economia, della disciplina e della moralità degli allievi.

                Quindi ne preparava un nuovo, col quale affidava del tutto ogni laboratorio ad un assistente laico della casa, il quale però doveva essere coadiuvato dal Capo d'arte[11]. Fra i primi assistenti furono Rossi Giuseppe e Buzzetti Giuseppe. [117]

                Il Cav. Federico Oreglia di S. Stefano poco tempo dopo era messo a capo della tipografia e della legatoria.

Con questa modificazione di regolamento non erano ancora stabilite definitivamente tutte le norme per il buon ordine degli artigiani. Crescendo il numero di questi e l'importanza dei loro lavori, la parte disciplinare e morale venne affidata a' chierici ai quali fu dato il titolo di assistente, mentre ai laici confratelli rimaneva la direzione materiale ed economica [118].

                Quindi D. Bosco formolò un quarto regolamento che non fu, in sostanza, più mutato, ed è quello che nel 1877 fu stampato per le Case della Pia Società di S.Francesco di Sales.

                Ma che intanto nel 1862 fosse necessario l'ordinamento dei laboratori lo dimostrò il fatto. Nell'officina dei fabbri ferrai accadde un grave disordine contro l'articolo 3 del regolamento.

                Avvicinandosi la festa di S Eligio, protettore di quell'arte, i due operai esterni e i loro apprendisti si accordarono di celebrare quella ricorrenza con un buon pranzo o merenda che fosse. Si quotarono e si provvidero di vino e di commestibili. D. Bosco, avuto sentore della cosa, la vietò anche per i disordini che poteva cagionare; e perchè altri laboratorii avrebbero preteso in simile occasione di fare altrettanto, se avessero sperata una inconsulta tolleranza. Ma que' fabbri, in parte entrati da poco tempo nell'Oratorio e non ancora avvezzi all’obbedienza e insofferenti di giogo, spalleggiati da chi doveva contenerli, usando qualche precauzione, vollero egualmente fare baldoria.

                D. Bosco però, che era così blando nel dare ordini, se la necessità lo costringeva a fare uso di un comando risoluto, allora sapeva far valere la sua autorità, nè tollerava impunita la resistenza. Tuttavia abborriva da ogni maniera precipitata e violenta; e atteso il domani diede i suoi ordini al Prefetto. Questi, chiamati i giovani colpevoli, dopo un rimprovero ragionato e calmo, li rimandò alle loro case. Fu una giusta ed utile lezione anche per altri dell'Oratorio, che avessero [119] nutrita qualche velleità di ribellarsi al comando de' superiori, sicchè per molti anni - non accaddero trasgressioni importanti e collettive alle regole. Pestilente flagellato stultus sapientior erit, dice lo Spirito Santo (Prov. XIX, 25).

                Tuttavia D. Bosco essendo stato supplicato da quegli artigiani espulsi che domandavano perdono e promettevano obbedienza ne riaccettò la maggior parte; ma stette fermo a non più ammettere in casa i due operai esterni. E ne aveva ben donde. Il Maestro d'arte ha più di ogni altro influenza sui giovani sia nel bene, sia nel male, perchè da lui direttamente dipende il loro avvenire professionale. Perciò D. Bosco doveva essere oculato in tale scelta e rigoroso nel togliere quell'ufficio a chi se ne fosse reso indegno. E talora parve che Dio confermasse la sua sentenza.

                “Mi incontrai, narrava Giuseppe Reano, presso la chiesa di S. Dalmazzo con un capo d'arte congedato dall'Oratorio, il quale mi disse: - Reano, devi sapere che D. Bosco e Don Savio avranno da fare con me!

                E perchè mi viene ora a parlare di queste cose? io risposi; sarei contento di saperne nulla, perchè soffro molto nell'udirle. -

                Ma l'altro essendosi riscaldato nelle sue recriminazioni, gli replicai: - Senta, signore, ascolti un mio consiglio: ciò che è stato, è stato ed io non posso erigermi a giudice del fatto. A lei non manca lavoro, lasci adunque andare l'acqua alla china. Vorrebbe dichiararsi avversario di D. Bosco? lo non avrei tanto coraggio, nemmeno per tutto l'oro di questo mondo.

                Alle mie parole questi andò sulle furie e venne al punto di offendere anche me, sicchè ci separammo sgarbatamente.

                Ma dopo pochi mesi la moglie di costui fuggì dal tetto coniugale, e quindi dopo alcune settimane gli fuggì di casa il figlio maggiore. Sei mesi dopo queste fughe, fu assalito da un colpo apopletico per cui gli rimase paralizzata una gamba,  [120] costringendolo a camminare appoggiato ad un bastone. Tra scorso un anno un altro colpo apopletico lo tolse di vita. Il suo secondo figlio, rimasto privo di padre e di madre, campava a gran stento la misera vita, soccorso talvolta da Don Bosco”.

                La Divina Provvidenza intanto aiutava D. Bosco mandandogli buoni capi d'arte ed alcuni veramente eccellenti, dei quali a suo tempo faremo menzione onorevole. Per ora ci contentiamo di nominare un solo, quello dei fabbri ferrai Garando Giovanni Battista. Era un bravo cristiano all'antica e vero artista nel suo mestiere. Per varii anni aveva accettati nella sua officina giovani raccomandati da D. Bosco e tutti furono molto contenti di un tale maestro. Per mancanza di committenti però e per disgrazie finanziarie aveva dovuto chiudere la sua bottega, costretto a lavorare come semplice operaio presso un padrone. Nel 1863 Pietro Enria che aveva lavorato per tre anni sotto la sua maestranza, lo incontrò per Torino, e fattegli molte feste gli chiese sue notizie. Quegli rispose che di sanità grazie a Dio non c'era male: - Ma vedi, gli soggiunse, a che punto sono ridotto a 7o anni! Mi tocca fare il garzone d'officina. - Enria gli rispose: - Caro Battista; vuol venire con me all'Oratorio? Sono sicuro che D. Bosco lo accetterà subito in casa tanto più che stenta ad avviare un laboratorio di fabbri. - Ahi esclamò Garando; se il Signore e la Madonna mi faranno questa grazia, io non verrò mai più via da quel luogo. -

                D. Bosco l'accettò e il buon artista era così contento, che andava ripetendo: - Ma io sono entrato in paradiso! - Lavorava come un giovane sui vent'anni, addestrava con diligenza i suoi allievi, e vigilava perchè non dessero mai alcun dispiacere a D. Bosco. Fu egli che preparò poi tutte le ferramenta della Chiesa di Maria Ausiliatrice e specialmente le finestre. Visse quattro anni nell'Oratorio ripetendo fino nella estrema ora della sua Vita: Benedetto quel giorno nel quale D. Bosco mi accettò nella sua casa.

 

 

CAPO XIII. Carità di D. Bosco nel visitare gli infermi in città: sollievo che loro procura; come tranquillizza le loro coscienze - Sue maniere nel disporre un ammalato a morire - Ad una signora, ridotta agli estremi e risanata dalla sua benedizione, predice che farà il suo purgatorio in questo mondo - Predizione di morte: un sogno; uno spettro; la citazione ad un giovane per l'eternità; una bara - Essendo morto un alunno D. Bosco annunzia non essere costui quello del sogno, del cui nome svela la lettera iniziale.

 

                DON Bosco continuava ad esercitare le sue opere di carità anche fuori dell'Oratorio, specialmente nel visitare gli infermi. Andando nei palazzi, o nelle case dei borghesi e dei poveri, se veniva a sapere che vi fossero degli ammalati, appartenenti alla famiglia del padrone, o alla servitù, chiedeva di vederli per dir loro una parola di conforto spirituale. Era così conosciuta questa sua costumanza, che era chiamato sovente al loro letto.

                “Gli infermi, così la cronaca di D. Bonetti, sembrano essere sollevati dai loro mali, quando possono avere D. Bosco vicino, e lo desiderano quasi per essere più sicuri del paradiso. La contessa Lazzari trovandosi costretta al letto oggi, 14 marzo, venerdì, lo mandò a chiamare nell'Oratorio. Il domestico non avendolo trovato a casa, sapendo quanto viva fosse l'impaziente aspettazione della sua signora, chiese in qual parte di Torino avrebbe potuto rintracciarlo; ed essendogli [122] indicata si recò in fretta da lui e lo condusse presso la contessa. Quell'ottima signora e fervente cristiana si consolò al vederlo, e pretendeva ad ogni costo, che D. Bosco le dicesse se morendo in quello stato, ella sarebbe andata in paradiso; e gli domandava: - Le mie confessioni sono state tutte buone? - Sorrideva D. Bosco vedendo come la signora lo credesse da tanto, ma egli, come disse aver fatto in altre simili circostanze, cercò in bel modo di svignarsela, facendo qualche interrogazione da porlo in grado di metterle il cuore in pace”.

                Anche agli infermi aggravati molto dal male D. Bosco sapeva porgere inestimabile conforto.

                “Il giorno 16 marzo, parlando della morte a noi chierici, fece notare come questo passo tremendo avesse spaventati anche i più buoni, anzi i più gran santi. - Io però, egli disse, quando vado a vedere qualche ammalato grave non istò a dirgli che bisogna prepararsi, che può essere che non muoia e guarisca: son modi che non diminuiscono punto l'affanno della morte. Io invece gli fo' notare che siamo nelle mani di Dio, che è un padre il più buono che ci sia, che veglia di continuo al nostro bene e sa quel che è meglio per noi e quello che non lo è. Perciò lo esorto ad abbandonarsi nelle sue mani, come un figlio si abbandona nelle mani di suo padre ed a stare quivi tranquillo. In questo modo l'ammalato resta sollevato da quell'affanno di morte, trova un supremo piacere nel pensare che la sua sorte è nelle mani di Dio, e sta in pace e si prepara aspettando quello che nella sua bontà infinita voglia disporre di lui”.

                Ma presso il letto de' sofferenti D. Bosco arrecava ben altro di più che parole di conforto e di consolazione. La signora Delfina Marengo ci scrisse:

 

                Nell'inverno dell'anno 1962 mia madre, che allora contava quarant'anni, cadde gravemente ammalata di tifo e polmonite e dopo circa due mesi di malattia fu ridotta in fin di vita. Ricevuti i Sacramenti [123], compreso quello dell'estrema unzione, fu visitata dal servo di Dio D. Bosco per desiderio ed invito del teologo Felice Golzio confessore dell'inferma.

                Appena D. Bosco si avvicinò al letto, affabilmente le domandò come si sentisse, e lei, che conservava piena lucidità di mente, lo riconobbe e lo ringraziò. Allora il sant'uomo fece recitare a me ed a mia sorella tre Ave Maria assieme con Lui, finite le quali si volse a me, che ero la maggiore e mi disse: Sta di buon animo; tua madre non morrà, perchè voi due siete troppo giovani e anche avete bisogno grande di lei. - Poi volto all'inferma soggiunse: - Però io ho detto al Signore che le faccia fare qui il suo purgatorio; adunque non si meravigli se sarà molto tribolata. - Mia madre, che era una santa donna, con un filo di voce rispose. - Io voglio fare la volontà di Dio! - E D. Bosco: - Così va bene. - La benedisse e partì.

                Da quel punto mia madre cominciò a migliorare e all'indomani domandò al medico il permesso di succhiare uno sparagio. Il dottore che si era meravigliato di trovarla ancora viva, mettendole la mano al polso, le rispose: - Non uno sparagio, ma un pezzetto di pollo. La convalescenza fu lunga e difficile, ma la guarigione perfetta, tanto che per trent'anni circa non cadde più ammalata.

                Le sue tribolazioni furono abbondanti massime per il morale, e ogni volta che se ne presentava una nuova, mia madre soleva dire celiando: - Ecco un biglietto di visita di D. Bosco.

                Quando venne per lei il momento della morte, che la rapì a settantacinque anni, il sacerdote D. Valimberti, vice parroco del Carmine che l'assistette, senza sapere niente di ciò che D. Bosco aveva detto tanti anni prima, mi consolò dicendomi, che per quanto a lui sembrava mia madre aveva fatto il suo Purgatorio in questo mondo e che c'era fondamento a sperare che fosse subito andata in Paradiso.

 

                D. Bosco non era meno meraviglioso nell'Oratorio. “Il 21 marzo alla sera, scrive D. Bonetti, saliva la piccola cattedra per dare la buona notte ai giovani. Rimasto qualche istante in silenzio, quasi per prendere un po' di respiro, incominciò:

 

                Debbo raccontarvi un sogno. Figuratevi l'ora della ricreazione nell'Oratorio, che risuona di grida animatissime e liete. Mi sembrava di essere appoggiato alla finestra della mia camera e di stare osservando i miei giovani che nel cortile andavano, venivano, si divertivano allegramente giuocando, correndo, saltando. Quando udii un gran strepito alla soglia della porteria e rivolti colà i miei sguardi, vidi entrare nel cortile un personaggio, alto di statura, colla fronte spaziosa, cogli occhi stranamente infossati, con lunga barba bianca e [124] con pochi capelli pur essi candidi, che dal capo calvo ondeggianti gli scendeano sugli omeri. Pareva avvolto in un lenzuolo funereo che colla mano sinistra teneva stretto al corpo e nella mano destra aveva una fiaccola con fiamma fosco - azzurra. Camminava a passi lenti e gravi. Talora si fermava e chino il capo e la persona, andava miranda attorno come chi cerca qualche cosa perduta. Percorse così il cortile facendo alcuni gin e passando in mezzo ai giovani che continuavano la loro ricreazione. Io stupefatto, non sapendo chi mai fosse, non lo perdeva di vista. Arrivato là ove presentemente si entra nel laboratorio dei falegnami, si ferma avanti ad un giovane che era in atto, di avventarsi contro uno della parte avversa, giuocando bara rotta, e steso il suo lungo braccio avvicina la fiaccola alla faccia del giovine. - È  proprio costui - disse; e chinò e sollevò bruscamente per due o tre volte il capo, Senz'altro lo fermò in quell'angolo e gli presentò un biglietto, che trasse dalle pieghe del mantello. Il giovane prese il biglietto, lo aperse, lesse e intanto cangiava colore e diveniva pallido e domandò. - E quando? Presto o tardi?

                E quel vecchione con voce sepolcrale rispose: - Vieni; l'ora per te è suonata.

                 - Almeno posso continuare il giuoco?

                 - Anche giuocando puoi essere sorpreso. - Con ciò indicava una morte improvvisa. Il giovane, tremava, voleva parlare, scusarsi, ma non poteva. Allora lo spettro, lasciando cadere un lembo della sua veste indicò colla sinistra mano il porticato: - Là, vedi? disse al giovane; quella bara è per te. Presto vieni. - Si vedeva la cassa posta nel mezzo del portone che mette nell'orto. - Non son preparato, sono ancora troppo giovane, andava gridando il giovane. Ma l'altro senza più proferire parola, più in fretta di quello che era entrato, se ne uscì dall'Oratorio.

                Uscito lo spettro, mentre io andava ripensando chi mai fosse, mi sono svegliato.

                Da quello che ho detto, voi già potete arguire che uno di voi deve prepararsi, perchè il Signore lo chiamerà presto all'eternità. Io che fui spettatore di quella scena, so chi è costui e lo conosco perchè ho visto quando gli fu da quello sconosciuto presentato il biglietto; egli è qui presente che mi ascolta; ma non lo dirò a nessuno, finchè egli sia morto. Non tralascerò però nulla di ciò che posso per prepararlo a ben morire. Ora ciascuno ci pensi, perchè mentre egli dice: - Chi sa chi sia questo tale ! - può essere egli stesso. Io vi ho detto la cosa come sta, perchè se ciò non avessi fatto, il Signore mi avrebbe poi domandato conto, dicendomi; - Cane! perchè non abbai quando è tempo? - Ognuno vi pensi a mettersi in buono stato e specialmente in questi tre giorni che restano ancora della novena della SS. Annunziata. Si facciano preghiere speciali per questo fine e ciascuno in questi tre giorni [125] dica almeno una Salve a Maria SS. per quel tale che deve morire. Cosi egli all'uscir di questa vita troverà poi parecchie centinaia di Salve, che gli saranno di grande aiuto.

 

                Sceso dalla cattedra alcuni gli domandarono in privato che ei dicesse almeno, giacchè non voleva dire chi fosse costui, se presto o tardi dovesse morire. Rispose che non avrebbe sicuramente passato due solennità che incominciassero per la lettera P. - Potrebbe darsi soggiunse che egli non ne passasse nè anche più una, e morisse di qui a due o tre settimane.

                Questo racconto aveva messo un brivido per le vene di tutti, ognuno temendo di essere quel tale. Come già altre volte ciò fece un grandissimo bene e siccome ciascheduno pensava ai fatti suoi, all'indomani le confessioni incominciarono ad essere assai più numerose dell'usato”.

                Molti giovani per più giorni si appressarono a D. Bosco interrogandolo per conto proprio, cioè se fossero essi i destinati a morire. Vive durarono le insistenze, ma D. Bosco deviava i discorsi e nulla disse. Due idee restavano intanto fisse nella mente. Che quella morte sarebbe stata improvvisa: che accadrebbe prima che si celebrassero le due solennità il cui titolo incomincia colla lettera P cioè Pasqua e Pentecoste. La prima cadeva in quest'anno il 20 di aprile.

                “Nell'Oratorio vi era una grande aspettazione, quando il mercoledì 16 aprile, continua la cronaca di D. Bonetti, moriva a casa sua il giovane Fornasio Luigi di Borgaro Torinese in età di 12 anni. Sonvi alcune cose da notare a suo riguardo. Quando D. Bosco disse che uno doveva morire, questo giovane sebbene dapprima non cattivo, prese a condurre una vita veramente esemplare. Nei primi giorni domandava a D. Bosco che gli lasciasse fare la confessione generale. D. Bosco non voleva perchè l'aveva già fatta una volta, ma egli avendogli chiesto di udirlo, come per grazia speciale gli fu concesso. La fece in due o tre volte. In quel giorno stesso che [126] chiese tale grazia o nel giorno in cui incominciò la confessione, incominciò pure a non sentirsi bene; stette alcuni giorni all'Oratorio sempre incomodato. Venuti due suoi fratelli a vederlo e saputo del suo malessere, chiesero a D. Bosco che lasciasse andare Luigi a casa, per qualche tempo. Don Bosco diede il permesso. In quel giorno stesso o il giorno prima, Fornasio aveva finito di fare la sua confessione generale ed aveva ricevuta la S. Comunione. Andò a casa, stette ancora alcuni giorni alzato, ma poi si coricò. Il male si fece grave, lo prese nel capo, gli tolse la parola e a pochi intervalli lasciavagli l'uso della ragione. Fatto sta che non potè più nè confessarsi, nè comunicarsi. Il buon padre Don Bosco andò a Borgaro per vederlo. Fornasio ancor lo riconobbe, voleva parlare, e non potendo, pel dolore si mise a piangere e con esso tutta la sua famiglia. Il giorno dopo moriva.

                Giunta nell'Oratorio la notizia di questa morte, varii chierici domandarono a Don Bosco se Fornasio fosse colui che aveva nel sogno ricevuto quel biglietto, e il Servo di Dio, lasciò travedere non essere lui. Nondimeno alcuni in questo giorno tenevano che la profezia si fosse adempiuta in Fornasio.

                In questa stessa sera (16 aprile) D. Bosco annunziò agli alunni e descrisse quella morte, facendo osservare che dava a tutti una grande lezione. - Chi ha tempo non aspetti tempo: non lasciamoci ingannare dal demonio colle speranze di aggiustare le cose dell'anima nostra al punto di morte. Interrogato pubblicamente se Fornasio fosse colui che doveva morire, rispose che per allora voleva dir nulla. Soggiunse però essere costume nell'Oratorio che i giovani muoiano a due a due, e che uno chiami l'altro: e perciò stessimo noi ancora in guardia, e mettessimo bene in pratica l'avviso del Signore, di star preparati. Estote parati quia qua hora non putatis filius hominis veniet. [127]

                Sceso dalla cattedra disse chiaramente in privato a qualche prete e chierico non essere Fornasio quegli che nel sogno aveva dallo spettro ricevuto il biglietto.

                Il 17 di aprile in tempo di ricreazione dopo il pranzo D. Bosco era in cortile circondato da un numero di giovani, i quali curiosamente lo interrogavano: - Ci dica il nome di chi deve morire! - D. Bosco sorridendo faceva segno col capo che non lo avrebbe detto. Ma i giovani insistevano:

                - Se non lo Vuol dire a noi lo dica almeno a D. Rua. D. Bosco continuava a far segno che no.

                - Allora ci dica l'iniziale del nome, lo pressarono alcuni.

                - Volete proprio saperlo? In quanto a questo vi contenterò, disse D. Bosco. Colui che ha ricevuto il biglietto da quel misterioso vecchione porta un nome che incomincia colle stesse iniziali del nome di Maria.

                La parola di D. Bosco non tardò un istante a sapersi da tutta la casa. Si voleva indovinare, ma era cosa difficile, perchè più di trenta alunni avevano il cognome che incominciava colla lettera M.

                Non mancarono però alcuni spiriti diffidenti. Era in casa un ammalato grave di nome Marchisio Luigi, del quale molto si dubitava che sarebbe guarito; e infatti il 18 aprile era condotto in seno alla propria famiglia. Sospettando che D. Bosco alludesse a Marchisio, dicevano: - Se fosse così, saprei anch'io indovinare che uno deve morire e che il suo nome principia colle iniziali del nome di Maria!” -

 

 

CAPO XIV. La Pasqua: stanchezza di D. Bosco - Ricorda le confessioni de' giovani esterni ne' primi anni dell'Oratorio - Suo orrore per la bestemmia - La Commissione per raccogliere i fatti e le parole di D. Bosco continua nel sito officio - Morte improvvisa del giovane indicato nel sogno - Varie circostanze che precedono ed accompagnano questa morte - Mistero svelato - - Perfetto avveramento del sogno - Don Cagliero Giovanni conosceva il segreto di D. Bosco - - D. Bosco rallegra i giovani con ameni discorsi: il cane grigio talora a lui solo visibile - Predica di D. Bosco nella Domenica in Albis.

 

 

                PROSEGUIAMO colla Cronaca di D. Bonetti. “Il 20 aprile giorno della SS. Pasqua D. Bosco stette molto male e non poteva più reggersi in piedi. Sentendosi lo stomaco rotto, a stento riusciva a proferir le parole. Nondimeno discese in Chiesa e confessò i giovani dalle 6 ½  sino alle g. Gli facemmo notare che era in obbligo di conservarsi e non lavorar tanto. Egli ci rispose: - Oh! miei cari, è ora il tempo di lavorare; quando non ci sarò più io, vi saranno altri che faranno meglio di me. La gran quantità di giovani forestieri che ieri mattina mi circondavano, mi faceva venire alla memoria quando dodici o quattordici anni fa avevo alle volte intorno 150 e più giovani dell'Oratorio festivo, che tutti volevano confessarsi da me. Quanto mi amavano e quanto bene si potea far loro! -  [129]

                Quindi prese a parlare del gran frutto che producono i catechismi nella quaresima, dando a noi chierici alcune regole da seguirsi nel trattare di certi argomenti. In quanto alla bestemmia ci diceva, che usassimo grande cautela parlando coi giovani, non ripetendo mai gli epititi orrendi aggiunti al nome santo di Dio; sebbene negli avvisi o catechismi ci paresse doverli pronunciare per avere o dare uno schiarimento o una riprensione.

                E quasi colle lagrime agli occhi ci assicurava: - Mi fa più pena il sentire una di tali bestemmie, che il ricevere un forte schiaffo: ed anche nello ascoltare le confessioni, dopo avere udito due o tre di questi peccati, io mi sento il cuore talmente oppresso, che non ne posso più. -

                Noi gli abbiamo fatto osservare come il Teologo Borel sul pulpito non di rado, quando parlava delle bestemmie, le proferiva nel modo che usa il popolaccio.

                D. Bosco alle nostre osservazioni, rispose: - Il Teol. Borel è zelantissimo ed è innegabile essere innumerevoli le conversioni, che egli produce colle sue prediche, ricche di racconti e dialoghi vivacissimi. Tuttavia io non reggo nell'udirlo pronunciare quelle frasi. Più volte l'ho avvisato, anzi pregato, che procurasse di emendarsi di un tale difetto, ma si vede che l'abitudine e la foga nel dire talvolta non glielo permettono”. Fin qui D. Bonetti.

                A questo punto della Cronaca noi leggiamo la seguente nota.

                “21 aprile. Questa quaresima per essere stati molto occupati chi da una parte, chi dall'altra nel fare i catechismi ed in diverse incombenze, non abbiamo più potuto nè scrivere, nè radunarci in Commissione. Ora intraprendiamo di bel nuovo per la gloria di Dio l'opera nostra, rubando i ritagli di tempo per iscrivere quelle cose, che ci paiono più rimarchevoli nella vita di D. Bosco. E incominciamo subito dal notare l'avveramento del sogno”. [130]

                Queste poche parole ci assicurano che la Commissione, formatasi per raccogliere i fatti della vita di D. Bosco, aveva ne' due anni scorsi continuato a compiere il suo ufficio, esaminando, approvando o correggendo quanto era stato scritto da Bonetti, da Ruffino e da qualche altro de' suoi membri.

                D. Bonetti adunque riempiute nella Cronaca le lacune dei mesi di marzo e aprile, ripiglia le sue narrazioni col notare l'avveramento della predizione fatta col sogno del 21 marzo.

                “Dall'annunzio di quella era trascorso un mese e andava scemando in alcuni l'apprensione salutare prodotta dalle parole di D. Bosco. Molti però andavano ripetendo: - Chi morrà? Quando morrà? - La festa di Pasqua, il primo P è passato!

                Ed ecco il 25 aprile, morire all'improvviso, colpito d'apoplessia, Maestro Vittorio di anni 13, nativo di Viora, Mondovì. Era un giovane di specchiata virtù, che si comunicava più volte la settimana. Fino al giorno della predizione aveva goduta una perfetta sanità; ma ora da due settimane affliggevalo un po' di male agli occhi, e alla sera gli si offuscava la vista; da due o tre giorni sentivasi anche qualche leggero dolore allo stomaco. Il medico gli ordinò che al mattino non si alzasse cogli altri dal letto, ma che riposasse fino ad ora più tarda.

                D. Bosco un mattino incontratolo per le scale aveagli domandato: - Vuoi andare in paradiso ?

                - Sì, sì; rispose Maestro.

                - Dunque preparati! soggiunse D. Bosco. - Il giovane lo fissò con un po' di turbamento, ma credendo che quella parola fosse detta per facezia, subito si ricompose. - D. Bosco per altro, standogli attorno per alcuni giorni, lo andava, preparando con prudenti avvisi e lo induceva a fare la confessione generale, della quale Maestro rimase contentissimo.

                Il 24 aprile un giovanetto, visto Maestro seduto sul poggiuolo dell'infermeria, ebbe una singolare idea e si avvicinò a D. Bosco, dicendogli: - È vero che colui che vuol morire [131] è Maestro? - Che cosa ne so io! rispose D. Bosco; domandalo a lui!

                Il giovanetto salì al poggiuolo ed interrogò Maestro: Maestro si mise a ridere e andò a pregare D. Bosco, perchè gli permettesse di passare alcun tempo in famiglia. - Volentieri, gli rispose D. Bosco; prima però di partire fatti fare un certificato dal medico della tua infermità - Questa risposta consolò molto il giovane, il quale così ragionava: Uno deve morire nell'Oratorio. Se vado a casa è segno che non sono io; farò le vacanze più lunghe e ritornerò guarito.

                Il 25 venerdì Maestro, levatosi al mattino cogli altri e ascoltata la S. Messa, ritornava in camerata; e, sentendosi molto stanco, si rimetteva a letto, manifestando ai compagni il piacere che provava di andare a casa.

                Intanto alle 9 suonava il campanello della scuola e i compagni, salutato Maestro e augurategli le buone vacanze e il felice ritorno, andarono nella propria classe ed egli restò solo nel dormitorio. Verso le 10 l'infermiere passò avvertendo Maestro che il Dottore sarebbe giunto fra brevi istanti e che perciò si alzasse e venisse nell'infermeria a parlargli e a chiedere il biglietto convenuto con D. Bosco.

                Poco dopo ecco il segnale della venuta del medico e un giovane della camerata attigua, anch'egli indisposto, si mise all'uscio del dormitorio di Maestro, e disse forte: - Maestro, Maestro, è tempo che andiamo alla visita. - Lo chiama una volta, lo chiama due e Maestro non risponde. Il compagno credette che si fosse addormentato. Allora si accosta al letto lo prende per un braccio, lo chiama, lo scuote, e l'altro immobile. Non si può spiegare lo spavento di quel compagno; mandò fuori il grido: - Maestro è morto! - - Corse tosto a dar novella e per primo s'imbattè in D. Rua, il quale affrettandosi arrivò per assolverlo mentre mandava l'ultimo respiro. Fu subito avvertito D. Alasonatti, ed io (Bonetti) chiamai D. Bosco. [132]

                La notizia di quella morte si sparse come un lampo nelle scuole e ne' laboratorii. Molti accorsero e si inginocchiarono pregando per l'anima del defunto. Alcuni speravano che Maestro fosse ancor vivo e vennero intorno al letto con scaldaletti e liquori forti. Ma tutto fu inutile. Sopraggiunto D. Bosco, subito che lo vide perdette ogni speranza: la vita era spenta. Il cuore di tutti fu pieno di rincrescimento, specialmente perchè Maestro era partito da questo mondo senza avere neanco un amico vicino al letto. D. Bosco vedendo i giovani costernati li assicurò della salute eterna di Maestro. Egli aveva fatta la sua comunione mercoledì; e specialmente dalla festa di Ognissanti fino a quel giorno, aveva tenuta una condotta tale da essere disposto e preparato alla morte. I chierici e i giovani si succedettero nell'andare a vedere l'estinto e, compiangendolo, riconoscevano colla sua morte avverato il sogno.

                D. Bosco alla sera fece una commovente parlata che trasse a tutti le lagrime. Fece notare come Iddio ci avesse tolti due compagni nello spazio di nove o dieci giorni e senza che nè l'uno ne l'altro avessero potuto ricevere gli ultimi conforti di nostra santa Religione! - Quanto sono mai ingannati, esclamava, quelli che dicono di voler aspettare ad aggiustare le cose della loro coscienza al fine della vita! Ma ringraziamo il Signore che con siffatta morte ha chiamati all'eternità due compagni, i quali, siamo sicuri, essersi trovati in buono stato di anima. Quanto maggiore dolore sarebbe il nostro, se il Signore avesse permesso che ci fossero stati tolti altri, i quali nella casa tengono una condotta poco soddisfacente!

                Questa morte fu una benedizione del Signore. Al mattino ed alla sera del sabato i giovani in gran numero domandavano di fare la confessione generale. D. Bosco con due sole parole li metteva in pace. Disse poi francamente: - Maestro è quegli che ho visto nel sogno ricevere quel tal biglietto. Ciò che molto mi consola si è che egli, come varii mi assicurano, erasi accostato [133] ai SS. Sacramenti eziandio nello stesso mattino del venerdì, sicchè la sua morte fu bensì repentina, ma non improvvisa.

                Nelle ore antimeridiane della Domenica 27 aprile fu portato al cimitero il cadavere di Maestro. Si notò una circostanza per la quale appuntino si verificava la profezia di quella morte. Quando D. Bosco sognò quel personaggio o spettro presentare il biglietto a Maestro, lo vide sotto il porticato in faccia all'androne che mette agli orti. Da quel luogo egli indicò al giovane la cassa, che si trovava sotto l'androne, pochi passi da lui distante.

                Venuti i becchini, passando per la scala centrale, trasportarono la bara sotto i portici all'entrata dell'androne e domandate delle sedie sovra queste la deposero, aspettando il prete e gli alunni che dovevano accompagnarla al Campo Santo.”

                Dobbiamo ancora aggiungere che D. Cagliero Giovanni sopraggiunto, visto il feretro in quel sito, mentre usavasi negli altri funerali porlo all'estremità dei portici presso la porta della scala vicina alla Chiesa, provò rincrescimento per quella novità; e tanto più quando seppe che gli stessi becchini avevano fatto quivi trasportare le sedie già preparate nel solito posto. Quindi insistette perchè la cassa fosse portata nel luogo consueto; ma i becchini brontolarono stizziti e non vollero rimuoverla.

                In quel mentre D. Bosco usciva dalla Chiesa e osservando commosso questa bara: - Guardate! disse a D. Francesia e ad altri, che gli erano vicini; combinazione!…… nel sogno l'ho veduta proprio qui.

                Questi fatti furono anche descritti in una relazione di D. Secondo Merlone.

                Ma se nessuno degli alunni era giunto a conoscere che Maestro fosse il morituro, vi erano due della casa che ne conoscevano il nome e aveano saputo anche qualche cosa di più. [134]

                Sulla fine di febbraio era morto un alunno, da qualche tempo uscito dall'Oratorio. Due chierici anziani già in sacris, uno de' quali D. Cagliero Giovanni, avutane notizia, un mattino salendo le scale avevano incontrato D. Bosco, che discendeva nel cortile, e gli annunziarono questa perdita per lui sempre dolorosa. D. Bosco rispose: - Non sarà il solo; prima che passino due mesi, altri due dovranno morire. - E loro ne palesava il nome. Non di raro il Servo di Dio faceva simili confidenze e sotto segreto, a chi egli conosceva fornito di grande saviezza, perchè, senza che i giovani indicati se ne addassero, fossero da lui animati amichevolmente a tener buona condotta, a frequentare i sacramenti; e nello stesso tempo li sorvegliasse per tenerli lontani da ogni pericolo dell'anima.

                I due chierici assunsero volentieri quell'ufficio da angelo custode, ma intanto presa una carta vi scrissero la profezia, la data del giorno nel quale D. Bosco l'aveva annunciata, i due nomi e la firmarono. Quindi recatisi in Prefettura e appostivi i sigilli, ivi la depositarono perchè fosse gelosamente custodita.

                Mons. Cagliero dopo quaranta sette anni trascorsi da quel giorno, conferma quanto abbiam descritto e rammenta ancora la compassione che provava nel vedere que' due giovanetti correre allegramente su e giù pel cortile e giuocare, senza pensiero al mondo della sorte, benchè non infelice, che loro sovrastava; il compimento della profezia nel tempo fissato; e la commozione provata anche dal Prefetto quando fu dissigillato il biglietto scritto due mesi prima.

                “In que' giorni, continua D. Bonetti, gli alunni, che avevano bisogno di divertire la propria mente dalle idee funebri, presero a parlare a D. Bosco di quel cane misterioso, che in varii incontri avealo salvato da tante aggressioni dei malvagi. E D. Bosco con molte lepidezze, dopo aver raccontato varii episodii della sua vita, venne a descrivere la valentia del famoso [135] cane grigio, sicchè gli alunni ne erano entusiasmati e ridevano saporitamente.

                Gli domandarono se fosse lungo tempo da che non l'avea più veduto ed ei rispose, che lo vide e fu da lui accompagnato solamente l'anno scorso, una sera molto avanzata, trovandosi egli senza compagno.

                - Una volta, proseguì, me lo vidi innanzi all'improvviso sulla strada da Buttigliera a Moncucco, essendo già tarda la sera e mi difese da grossi cani, che, usciti da una prossima cascina, mi erano venuti incontro poco garbatamente.”

                Possiamo ben dire che la storia di questo cane è qualche cosa di ben curioso ed insieme di sovrumano, tanto più che a quel che sembra talora appariva visibile al solo D. Bosco.

                Infatti ci scrisse D. Garino Giovanni. “Nel 1862, un sabato dopo pranzo verso le ore 2, D. Bosco mi chiamò con sè, perchè lo accompagnassi in Torino. Giunto alla porteria fa per mettere il piede sulla soglia, ma io che gli era dietro, vedeva che stentava ad uscire e per quanto cercasse e da una parte e dall'altra, non riusciva ad incamminarsi. A un tratto si volge indietro e dice: - Non posso uscire; il Grigio non me lo permette! - E non potendo superare quell'insistente impedimento, tornò indietro e per quel giorno non uscì.

                L'indomani io sentiva essersi sparsa una voce come il giorno prima alcuno stesse in agguato per fare su D. Bosco qualche brutto tiro”.

                Colla comunione generale e colla sepoltura di Maestro veniva adunque nell'Oratorio osservata santamente la Domenica in Albis. “Alla sera, narra la cronaca, mancò il predicatore e dovette perciò salire in pulpito D. Bosco. La sua fu predica da santo. Gli cadevano dagli occhi le lagrime e trasse le nostre. Parlò delle feste che anticamente facevansi e si dicevano feste Pasquali, essendo tutti gli otto giorni feste di precetto. Poscia spiegò perchè questa Domenica si chiami in albis, cioè perchè in questa i catecumeni, stati vestiti [136] di bianco nel giorno del battesimo, deponevano la veste candida. Quindi passò a narrare dell'apparizione di Gesù agli Apostoli, dell'istituzione del Sacramento della penitenza. Per conclusione prese quel saluto di Gesù: Pax vobis. Disse di essere tempo di far pace col Signore, esaltò la misericordia di Dio, che offeso ci offre pel primo la pace, mentre a noi toccherebbe offrirla a lui, anzi con calde lagrime a lui domandarla. - Saravvi alcuno in questa chiesa, disse, che vedendo un Dio da lui oltraggiato offrirgli pel primo la pace, voglia nondimeno intimargli la guerra? Suvvia, miei cari giovani, accettiamo questa pace. Verrà il fine della nostra vita e se noi avremo fatto pace con Dio in questo giorno, Gesù Cristo, in quel punto tremendo della morte, ci farà risuonare all'orecchio questo bel saluto: Pax vobis. Sarà poi una pace eterna”.

 

 

CAPO XV. Malumore a Giaveno contro D. Bosco - Dialogo diplomatico D. Bosco si ritira dalla direzione del piccolo Seminario Alcuni de' suoi chierici allettati dalle promesse dei Superiori del Seminario acconsentono a rimanervi; altri ritornano all'Oratorio - Maneggi per indurre parecchi della Congregazione ad abbandonare D. Bosco - D. Bosco tratta bene quelli che lo trattano male - D. Bosco e la Curia Arcivescovile - Chi la fa, l'aspetti - Il Governo restituisce alla diocesi di Torino il Seminario Metropolitano e le sue rendite - Dimenticanza deplorevole e sue conseguenze - Deterioramento dal Seminario di Giaveno - Mons. Lorenzo Gastaldi s'informa delle norme date da D. Bosco per far rivivere quel Seminario, le approva e le prescrive al Rettore da lui eletto - D. Giuseppe Aniceto - Splendida e duratura prosperità del piccolo Seminario - D. Bosco gode di quel trionfo da lui iniziato.

 

                SE D. BOSCO amava tanto le anime de' giovanetti educati nel suo Oratorio non portava minore affetto a quelle degli alunni del piccolo Seminario di Giaveno, delle quali era pur responsabile al cospetto del Signore. Sul principiar dell'anno scolastico e nel mese di gennaio del 1862, era andato a visitarli con gran vantaggio dello studio, delle vocazioni e del rifiorimento delle più elette virtù. Le sue parole erano state accolte come uscite dalla bocca di un santo ed ei si era prestato a confessare tutta la comunità. Ma certi cuori gretti e ignoranti le vie del Signore non [138] potevano soffrire l'influenza salutare, che egli esercitava sopra que' giovani, la confidenza che questi avevano in lui e sopratutto certe norme e certi consigli, che credeva doveroso suggerire a coloro, che egli stesso aveva messi alla direzione del Seminario. Quindi malumori e critiche.

                Persona ecclesiastica di autorità in varie occasioni aveva scritto a D. Bosco, bellamente insinuandogli non, essere conveniente che si immischiasse troppo in quella direzione, e che procurasse invece di tenersi a parte per non dare ombra al Rettore. D. Bosco, ben sapendo chi ispirava quelle lettere, rispondeva sorvolando tale questione. Egli non ignorava che secondo il Concilio di Trento un Seminario dipendeva dall'autorità Diocesana, ma questa non aveva ancora osato revocare un mandato, che a lui aveva conferito con tanta pienezza di poteri.

                Intanto moriva l'Arcivescovo suo principale appoggio; e alcuni del clero di Giaveno sobbillati dai malcontenti andavano dicendo che D. Bosco col suo predominio in collegio, faceva perdere alla Curia quel prestigio, che a lei sola doveva appartenere. In questo senso scrissero al Canonico Vogliotti, presentandogli lo stato delle cose in modo da ferirne l'amor proprio. I signori della Curia presero in considerazione quelle rimostranze e soddisfatti, perchè in Giaveno era stato, rimesso l'antico onore, decisero di pregare D. Bosco a non più occuparsi del Seminario.

                Uno di questi venne infatti in Valdocco e prese a dirgli: - Signor D. Bosco, le siamo troppo riconoscenti di ciò che ha fatto per noi; ma capirà bene che, trattandosi di un Seminario della diocesi, sarebbe cosa desiderabile che a Giaveno vi fosse una direzione uniforme con quella che vige in varii altri nostri Seminarii.

                 - E che cosa trova di difforme e che cosa le dispiace nella nostra direzione? osservò D. Bosco.

                 - A noi sembra che vi domini una pietà troppo spinta fra [139] i giovani e troppa frequenza de' sacramenti. Vi è chi critica questa frequenza come un abuso.

                 - E quale altro mezzo si vorrebbe sostituire a questo per la vera educazione della gioventù, e per lo sviluppo e la sodezza delle vocazioni ecclesiastiche?

                 - Pare che bastino gli ordinamenti antichi tuttora vigenti e tante comunioni sanno un po' troppo di sistema gesuitico.

                 - Gesuitico! Ma se i gesuiti avessero trovato ciò esser meglio per l'educazione della gioventù, io mi metto subito dalla parte loro.

                 - Ma capisce! ... I tempi in cui viviamo così contrarii ad ogni apparenza di fanatismo religioso ....; il sistema suo così diverso da quello che governa la formazione dei chierici in tutti i Seminarii del Piemonte ...; i partiti avversi che accusano e cercano di screditarci presso la popolazione, con insinuazioni velenose, ironie, sarcasmi per causa di nuove divozioni .....

                 - Sì! Hanno ragione, l'interruppe D. Bosco; intendo bene ove vada a parare questo suo ragionamento... Io ho dovuto faticar molto e assoggettarmi a sacrifizii per quel piccolo Seminario…… Io vi ho mandato un gran numero di giovani, che senza il mio invito sarebbero andati altrove, oppure non si sarebbero mossi dalle loro case.... Io ho provvisto il personale dirigente…… E tutto ciò per condiscendere ed obbedire, ad un loro invito formale, che mi prometteva piena libertà d'azione.... Ed ora vogliono mettermi da banda. Sia pure....

                 - Oh questo poi no!

                 - No ? Mio caro Signore, non sono tanto cieco da non vedere, …… da non capire.

                 - Non prenda le cose in mala parte. S'immagini se vogliamo escluderlo! Lei sarebbe sempre quegli che ne terrebbe l'alta direzione, considereremo sempre Lei come un insigne benefattore…… Solamente poi la pregheremmo a, lasciar fare gli altri…… a non impicciarsi in ciò che riguarda l'azione di quel Rettore…… Del resto saranno meno disturbi per lei... - E [140] finì col fargli intendere essere meglio, per amor della pace, che per qualche tempo si astenesse dal mettere piede nel piccolo Seminario.

                D. Bosco senza fare osservazioni, rispose risoluto ma calmo: - Se è così, io mi ritiro!

                Il giorno dopo di quel colloquio il Canonico Vogliotti andò a Giaveno. Dopo aver annunziato al Rettore D. Grassino l'atteso e deciso ritiro di D. Bosco dalla direzione, chiamò a sè il Ch. Vaschetti e tante gliene disse, con promessa di assegnargli un patrimonio ecclesiastico e di anticipargli di un anno l'ordinazione sacerdotale, che quegli acconsentì a continuare l'opera sua nel piccolo Seminario. Il Ch. Vaschetti amava molto D. Bosco, ma non era legato a lui con obblighi speciali; d'altra parte desiderava di ottenere una posizione stabile in diocesi e suo ideale era una parrocchia dove esercitare con zelo il sacro ministero.

                Il Ch. Ruffino intanto, essendo di Giaveno, venne a conoscere i particolari delle trame che da più di un anno si erano ordite contro D. Bosco e non potè a meno di esclamare: È un vero tradimento!

                Con simile persuasione un chierico de' più anziani dell'Oratorio scrisse a Vaschetti una lettera molto pungente, il quale la mandò a D. Bosco lamentandosene. E D. Bosco gli rispose da buon padre, pacificandolo e ancora oggidì (1909) egli conserva questo biglietto per suo conforto e giustificazione. Don Bosco aveva scritto ai chierici, che gli appartenevano, di ritornare all'Oratorio; ma D. Grassino, eseguendo le istruzioni avute loro fece la proposta di abbracciare apertamente il suo partito. Boggero e Bongiovanni preferirono obbedire a D. Bosco e senza frappore indugi, non avendo danari per pagare la vettura, partirono a piedi da Giaveno e ritornarono nell'Oratorio. Si noti che que' chierici nei due anni avevano prestate gratuitamente le loro fatiche senza il menomo compenso pecuniario. [141] Lo stesso D. Bosco pago di aver conservato all'Archidiocesi un istituto di tante speranze, dopo averlo reso fiorentissimo con gravi sollecitudini, erasi ritirato senza pretendere nessuna retribuzione.

                Ciò non ostante in quel tempo e poi per anni parecchi sembrava che una congiura fosse ordita contro di lui. Ogni volta che all'Oratorio eravi un sacerdote o un chierico d'ingegno o di virtù speciale, non mancava chi cercasse di allettarlo con larghe promesse ad abbandonare chi tanto aveva fatto per mantenerlo ed istruirlo, amandolo qual carissimo figliuolo. Nutriva forse quel consigliere le più buone intenzioni del mondo, ma intanto D. Bosco non di rado vedeasi strappare dal fianco quelli sui quali aveva riposte le sue speranze.

                D. Bosco però non conservava rancori. Tutti coloro che, ebbero disparità di sentimenti o di interessi con il Servo di Dio, in questioni anche gravi, è cosa mirabile l'udirli a parlare di lui con profonda commozione e a ricordare la benevolenza colla quale egli continuava a trattarli. D. Grassino affermava alla nostra presenza e a quella di D. Vaschetti, che D. Bosco dopo i fatti di Giaveno più volte aveagli detto con molta affezione di cuore, che davagli il diritto di prendere alloggio nell'Oratorio e di sedervi a mensa ogni qualvolta gli fosse piaciuto.

                Eziandio colla Curia Arcivescovile non mantenne dissapori. D. Rua Michele testificò con giuramento: “Dopo la morte di Mons. Fransoni, D. Bosco si trovò nella necessità di sovvenire l'opera sua contro esigenze, che ne sarebbero state la rovina, come pure sostenere diritti, che erangli stati concessi del defunto Arcivescovo, o dallo stesso Sommo Pontefice, ma si mostrò sempre pieno di rispetto e sottomissione e in tutto ciò, che non era contrario alla vita della sua Istituzione. Qualche differenza sorgeva a quando a quando per ragione dei chierici; ora perchè volevasi che questi passassero i loro corsi come interni nel Seminario della diocesi,  [142] ora perchè insistevasi che almeno frequentassero la scuola di cerimonie col clero della città. Ma D. Bosco, senza muovere doglianza su tali pretese, faceva conoscere in quanto alla prima aver egli provveduto ai chierici con tanti sacrifizii, perchè ne aveva sommo bisogno e per altra parte gli sarebbero mancati i mezzi per mantenerli in Seminario. In pari tempo procurava che i suoi chierici frequentassero le scuole del Seminario di Torino come esterni e per la scuola di cerimonie procurava loro come maestri alcuni di quelli, che erano maestri del Clero della città; e quando non poteva averli suppliva con qualche ecclesiastico capace e beneviso dalla Curia stessa. E così capacitava, i Vicarii o Provicarii, che muovevangli tali difficoltà.

                „ In questo modo si procedette fino alla venuta in Torino dell'Arcivescovo Mons. Riccardi di Netro nel 1867”.

                Ma intanto quali erano state le sorti del piccolo Seminario di Giaveno? Abbiamo più sopra esposto fedelmente quanto ci narrò il nostro compagno Vaschetti e ora Canonico Prevosto e Vicario Foraneo di Volpiano; e sotto la sua scorta continuiamo la nostra narrazione.

                D. Grassino si era avveduto ben presto dello sproposito che aveva fatto respingendo il valido appoggio, prestatogli da Don Bosco. Il Ch. Vaschetti però con un coraggio eroico sosteneva il suo Rettore, ricordandogli continuamente i consigli essenziali che D. Bosco aveva loro ripetutamente inculcati, e disimpegnava senza risparmiarsi le accresciute e già prima molteplici occupazioni; ma sul finire del 1863, stanco di quella vita, volle ritirarsi. Il Can. Vogliotti cercò di smuoverlo dal suo proposito con nuove promesse, col dargli un grazioso compenso pecuniario pel suo servizio gratuito di tre anni; gli fece vere, benchè amorevoli, pressioni morali, ma egli tenne fermo. Entrò nel Convitto Ecclesiastico e per due anni tutte le domeniche veniva all'Oratorio per fare il catechismo ai giovani e per intrattenersi con D. Bosco. [143]

                In quanto a Giaveno, la Curia poteva sostenere finanziariamente quel Seminario e anche gli altri di Bra, Chieri e Torino, perchè il Governo, che aveva in odio il  Vicario Generale Can. Fissore, risoluto come Mons. Fransoni nel sostenere/i diritti della Chiesa, aveva gradita l'elezione del Vicario Capitolate Can. Zappata in fama di essere più conciliante. A questi perciò rendeva non solo il maestoso edifizio del Seminario maggiore, ma tutte le sue rendite, sicchè molti chierici ebbero pensioni gratuite.

                I soli mezzi materiali però non bastano a far, prosperare una comunità. Il Rettore di Giaveno col suo naturale impetuoso guastava tutto per non aver più chi lo frenasse o avvertisse; anzi parve che avesse interamente dimenticato Don Bosco e i suoi consigli. D. Turchi Giovanni andatovi come professore di ginnasio l'anno 1863 - 1864, con sua meraviglia non vide cosa, non udì parola che rammentasse le benemerenze del Servo di Dio.

                Quel Rettore vedendo ogni anno diminuire maggiormente il numero de' suoi alunni, dovette nel 1866 dare le sue dimissioni. I Rettori che gli successero fino al 1872, non furono più fortunati di lui, sicchè gli alunni diminuirono talmente da essere ridotti a poche decine.

                Non è però da far meraviglia di queste vicende, perchè le istituzioni umane più o meno vanno soggette a tali alti e bassi, ma non tardano a risorgere quelle, che, appartenendo alla Chiesa, hanno in sè un alito della sua vita.

                Così accadde al piccolo Seminario di Giaveno. Da tre anni Mons. Lorenzo Gastaldi governava l'Archidiocesi di Torino, quando mandò un giorno a chiamare D. Vaschetti già parroco a Volpiano e si fece raccontare tutta la storia del passato intorno al Seminario di Giaveno; la causa della sua prima decadenza, i mezzi adoperati da D. Bosco per rialzarlo, le condizioni da lui poste alla Curia accettandone la direzione, i motivi per i quali era stato costretto a dimettersi. Don [144] Vaschetti diede una esatta relazione a Monsignore, il quale approvò pienamente la condotta di D. Bosco e poi gli disse di volere assolutamente che nel Seminario di Giaveno si addottassero i sistemi di educazione introdotti da D. Bosco.

                Nell'udir queste lodi, D. Vaschetti, pensando alle questioni già sorte tra l'Arcivescovo e D. Bosco, si azzardò ad interrogare: - Ma perchè, Monsignore, combatte D. Bosco?

                 - Perchè voglio conservare quel tesoro per la nostra Diocesi, e non che si estenda a servizio di altri. - E poi soggiunse: - Sono i mezzi che D. Bosco adopera per ritenere i chierici per sè, che non mi piacciono.

                D. Vaschetti rispose: - Non è così, Monsignore: Veda: vengo ora dall'Oratorio, ove ho cinque giovani della mia parrocchia, che presto metteranno la veste clericale in Seminario.

                Dopo queste informazioni, Mons. Gastaldi pose mano alla riforma del piccolo Seminario di Giaveno, e prima cosa vi nominava Rettore l'egregio Sacerdote Giuseppe D. Aniceto nativo di Susa, che stabilivasi nel nuovo ufficio il settembre del 1875. Educato nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, per disposizione del Can. Anglesio aveva frequentati con altri suoi compagni le classi ginnasiali dell'Oratorio; e D. Bosco nel 1857 alla solenne chiusura dell'anno scolastico nel porgergli il primo premio gli aveva detto: - Ricordati che il Signore ha su di te grandi disegni. - Egli oltre a belle doti di educatore, aveva una grande esperienza per essere stato prima assistente e poi professore in quel Seminario. Mons. Gastaldi, secondo l'idea di D. Bosco, gli aveva concessa una piena autorità nell'interno dell'Istituto; e per suo ordine D. Aniceto rimise in vigore quanto facevasi nell'Oratorio di Valdocco per la direzione spirituale, tutte le pratiche di pietà quivi in uso, e specialmente le frequentissime comunioni. Così riusciva in poco tempo a far fiorire quell'Istituto ecclesiastico a benefizio della Diocesi. Nei 24 anni che fu Rettore gli alunni [145] sorpassarono ogni anno il numero di 250. Dovette perciò innalzare nuovi edifizii e mettere le fondamenta di una maestosa cappella. Severissimo nell'espellere i giovani bacati nella moralità, coltivò grandissimo numero di vocazioni. Mons. Pechenino, che per molti anni visitava quel Seminario come direttore degli studi, soleva dire che là parevagli di trovarsi all'Oratorio. Lo stesso attestarono i professori Salesiani Don Durando Celestino e D. Francesia Gio. Batt., che erano spesso invitati a dare gli esami agli alunni.

                D. Bosco godeva del gran bene che si faceva a Giaveno, e che si sarebbe fatto da successori di D. Aniceto per l'impulso che egli aveagli dato fin dal principio. Egli poteva ripetere, come ripetè in tante altre occasioni, le parole di S. Paolo: Quid enim? Dum omni modo, sive per occasionem, sive per veritatem Christus annuntietur; et in hoc gaudeo, sed et gaudebo[12].

 

 

CAPO XVI. Il Collegio di Dogliani offerto a D.Bosco - Come la D. Bosco a scegliere il personale che dovrà dirigere un suo Istituto - Non fondar case senza ottener licenza dall'Ordinario diocesano - D. Bosco è soprappensiero - Va a Dogliani: predica alle Domenicane: accetta la convenzione col Municipio per l'apertura di quel collegio - D. Bosco si, reca a Mondovì e recede da quel contratto condiscendendo alle osservazioni  di Mons. Ghilardi. - Rispetto di D. Bosco ai Vescovi - Delibera di far stampare le Letture Cattoliche dalla tipografia dell'Oratorio - Benemerenze del Vescovo d'Ivrea verso l'associazione - Il suo rappresentante amministratore di questa in Torino nell'ufficio centrale - D. Bosco intende lasciar erede delle Letture Cattoliche la Pia Società - Nell'Oratorio si dà principio alla stampa dei fascicoli - Lettera scritta a D. Bosco in nome del Vescovo d'Ivrea negandogli il diritto di proprietà su queste Letture - Motivi che ispirano tale lettera - Risposta di D. Bosco in difesa del sito diritto - I primi quattro fascicoli stampati nell'Oratorio - IL, PONTIFICATO DI S. FELICE PRIMO E DI S. EUTICHIANO PAPI E MARTIRI - NOVELLA AMENA DI UN VECCHIO SGARBATO DI NAPOLEONE I - L'amministrazione rimane ancor affidata al rappresentante del Vescovo.

 

                DON Bosco già nell'anno 1861 aveva preveduto il suo ritiro da Giaveno e sentivasi spinto da un vivo desiderio di stabilirsi in qualche altro collegio del Piemonte. Voleva che i suoi chierici avessero un nuovo campo [147] per esercitare la loro zelante attività. E in buon punto il Municipio di Dogliani, nella Diocesi di Mondovì, invitavalo a prendere la direzione di quel Collegio Convitto Civico e delle Scuole.

                Ed ecco come andò il fatto secondo la relazione che ne fece a noi per iscritto il nostro venerato amico Canonico Anfossi. “L'anno 1861, essendo io chierico, fui dal Sig. Teol. Francesco Reggio, Prevosto di Vigone, condotto ad un piccolo viaggio. Fummo a Dogliani ospiti dell'ottima famiglia Bruno. In que' giorni, si era sul finire di Agosto, il Comune di Dogliani trattava del riordinamento delle scuole e del Collegio - Convitto e non sapeva a qual partito appigliarsi per dargli vita e buon indirizzo. L'Avvocato Bruno, capo della famiglia, nella quale eravamo ospitati io e il mio Prevosto, apparteneva al Consiglio Comunale e parlò delle difficoltà in cui si trovava il Comune. Il Prevosto Reggio disse: - Si rivolgano a D. Bosco e vedranno il loro collegio col ginnasio fiorire per numero e per buoni studii. - Fu accettato il suggerimento e dal Consiglio io fui incaricato a farne parola a D. Bosco. Dopo una gita al Santuario io feci ritorno all'Oratorio e comunicai a D. Bosco l'incarico avuto”.

                “D. Bosco, sottentra qui all'Anfossi la cronaca di D. Bonetti, gradiva questa domanda appoggiata dal Parroco dei SS. Quirico e Paolo Can. Drochi Alfonso e avviava le pratiche per una convenzione. Una sera sul principio di maggio del 1862, trovandosi in mezzo ai chierici, espresse un gran desiderio di avere il collegio di Dogliani, li assicurò essere quel collegio quasi accettato da lui e che già egli pensava alle persone le quali avrebbe dovuto mandare: - Io prego molto, disse loro, e faccio pregare affine di sapere a quali chierici debba essere affidata tale missione. Ed ecco come mi regolo per determinarmi ad una scelta. Prima penso ad uno di voi; dopo lo scrivo sopra una lista; poi mi rivolgo al Signore; in fine ne parlo con quel tale ogni cosa esaminando per essere sicuro. Quindi [148] passo ad un altro e così di seguito. Ma ciò non è tutto. Io non voglio nè ora, nè poi aprir casa senza mettermi prima ben d'accordo coll'Autorità Ecclesiastica, andando personalmente a farle visita, o scrivendo; e finchè non abbia il suo esplicito consenso nulla deciderò”.

                Così si regolarono e si regolano i santi per assicurarsi di fare la volontà di Dio.

                “La sera del 26 maggio D. Bosco si raccomandò tanto alle preghiere de suoi giovani, affermando di trovarsi in gravi imbrogli. Non sappiamo bene quali possano essere. Alcuni suppongono che trovi opposizioni e difficoltà nell'accettare il Collegio di Dogliani, insorte per parte del Vescovo della Diocesi. Da un canto D. Bosco avrebbe già dato parola al Municipio; dall'altro non vorrebbe operare con dispiacere del Vescovo. Altri vogliono gli diano fastidio le cose di Giaveno e vi è chi asserisce esservi questioni per l'aria relative alla direzione delle Letture Cattoliche”.

                “E D. Bosco, ripiglia il Canonico Anfossi, bramoso di espandere l'opera sua, dopo aver temporeggiato per qualche tempo e scambiate varie lettere, presomi insieme, partì per Dogliani. L'Avvocato Bruno si riputò fortunato di accoglierci; il giorno seguente si radunò il Consiglio Municipale; si udirono le proposte dall'una parte e dall'altra, le quali erano abbastanza favorevoli. A D. Bosco, fatte le debite riparazioni, si dava il locale pubblico delle scuole maschili elementari e ginnasiali, e l'edifizio per il Convitto; lire 14.000 annue per il personale assistente ed insegnante, il quale però sarebbe stato nominato da Don Bosco o dal Direttore che egli vi avrebbe stabilito.

                Nel mattino seguente mentre il Consiglio Comunale deliberava, D. Bosco andò nel Monastero delle monache Domenicane, che era in Dogliani Superiore, per celebrarvi la Santa Messa. L'accompagnò il parroco D. Drochi, che godeva stima di santità ed era predicatore valente: io li seguii [149] per servire. Ricordo che dopo la Messa D. Bosco tenne alle suore un bellissimo discorso facendo un confronto tra il loro Monastero e il Paradiso terrestre, quale ci è descritto dalla sacra Scrittura e secondo l'interpretazione dei Santi Padri.

                Discesi quindi in casa Bruno, si ebbe una visita della Giunta che riferì le condizioni colle quali volentieri si sarebbe affidato a D. Bosco il Convitto colle scuole. Egli uditele vi aggiunse alcune osservazioni. Il Sindaco sollecitava D. Bosco ad accettare definitivamente quella direzione; ed egli concluse dicendo: - Accetto: una sola condizione però ancora mi riservo e si è che il Vescovo di Mondovì, Mons. Ghilardi, approvi l'opera mia; perciò intendo di recarmi tosto di qui a lui per averne il parere e l'assenso. - I membri della Giunta, ammirando la prudenza del Servo di Dio, e persuasi della convenienza del suo suggerimento, acconsentirono.

                Senza frappore indugio l'avv. Bruno dispose che si pranzasse e subito dopo si potè partire per Mondovì. Io fui il compagno di viaggio. Monsignore ci accolse molto bene: era grande la stima, che questo insigne e dotto Vescovo sentiva per D. Bosco; ci diede ospitalità, si cenò, si ebbe una bella camera per la notte.

                Ma ora è importante che io ricordi la conversazione relativa allo scopo del nostro viaggio. D. Bosco espose i desiderii del Sindaco e dei consiglieri di Dogliani, e l'intenzione sua d'accettare per avere mezzo di far del bene alla gioventù, principalmente coltivando le vocazioni ecclesiastiche. Monsignore riconobbe che l'opera di D. Bosco sarebbe certamente riuscita bene, conoscendo l'andamento dell'Oratorio di Valdocco, dove non mancava mai di venire ogni qualvolta si recasse a Torno; - ma, continuò, se ella, mio caro D. Bosco, si stabilisce a Dogliani, in pochi anni mi vuota il mio piccolo Seminario! Prenda invece sotto la sua direzione i miei Seminarii; io sono disposto ad affidarglieli; ma per farmi piacere non vada a Dogliani. - D. Bosco osservò rispettosamente che [150] non ne sarebbe avvenuto alcun danno al Seminario, che anzi prevedeva l'opposto. Ad ogni modo insistendo Mons. Ghilardi nella sua idea, D. Bosco retrocedette dalla convenzione già quasi stabilita col Consiglio Municipale di Dogliani, e incaricò me di scrivere in proposito all'avvocato Bruno. Ignoro se abbia scritto ancor egli. Questo fatto addimostra quanto D. Bosco fosse sottomesso non solo alla volontà, ma anche ai desiderii dei Vescovi sebbene con suo danno.

                Di tutto questo fui io testimonio. Can. G. B. ANFOSSI”.

                D. Bosco infatti ebbe sempre la massima deferenza ed ogni maggior rispetto verso le autorità Ecclesiastiche. Dovendo passare per qualche città Vescovile, fatta una visita al SS. Sacramento in qualche Chiesa, andava subito ad ossequiare pel primo l'Ordinario, e partendo ne implorava in ginocchio e con grande umiltà la benedizione sovra di sè e de' suoi.

                Ma questa umile ed affettuosa deferenza non valse a dissipare que' gravi dispiaceri che da parecchio tempo l'angustiavano e pei quali erasi raccomandato alle preghiere de' suoi giovani il 26 maggio. Si trattava delle Letture Cattoliche, che D. Bosco aveva risoluto di far stampare da qui innanzi nella tipografia dell'Oratorio. Di queste per maggior chiarezza è conveniente rifare un po' di storia.

                La pubblicazione dei fascicoli era stata fin da principio in grande prosperità per il numero degli associati, che in ogni anno, dal 1853 al 1862, furono oltre a novemila. D. Bosco l'aveva ideata e la riteneva come opera che gli appartenesse; ma essendosi associato con Mons. Moreno, Vescovo d'Ivrea, e di comune accordo avendola fondata, dovette attribuirgli una ingerenza quale richiedeva la dignità vescovile, l'attività, la scienza, l'interesse e l'amicizia della quale da tanto tempo onoravalo quel Prelato. E Monsignore si tenne per confondatore e comproprietario; e ben si meritava di essere per tale riguardato sia per una maggior importanza che dava a quella collezione di fascicoli col proteggerla, sia pel numero di associati [151] raccolti nella sua diocesi. E questo suo titolo dovette dare maggior garanzia all'imprestito di una somma abbastanza vistosa, fatto dal Marchese Birago, per assicurare i fondi necessarii pel bilancio di previsione. Nel 1856 permetteva che si vendesse una sua cartella del reddito di 425 lire in favore delle Letture Cattoliche, riserbando però il suo diritto sul valore di quella cedola: firmava eziandio qualche cambiale. Ma i danari erano da lui somministrati, dietro richiesta, al Canonico onorario della Cattedrale Francesco Teologo Valinotti, al quale era stata affidata la gestione materiale delle Letture Cattoliche. Egli rappresentava il Vescovo d'Ivrea ed era con lui una cosa sola.

                L'ufficio delle Letture, come si ricava dal fascicolo di Gennaio 1854, primieramente ebbe la sua sede in Torino, Via Bogino, porta N.3, piano secondo. Dì qui, il primo ottobre 1855, la direzione passava in via S. Domenico, N. II. Quivi si conservavano i cataloghi degli associati e i registri per la riscossione degli abbonamenti. Il Teologo più volte alla settimana veniva in Torino, incassava il danaro, iscriveva i nuovi associati e rispondeva alle lettere. A lui spettavano i contratti coi tipografi, la revisione de' lavori ed i convenuti pagamenti. Per aiuto nello scrivere aveva qualche impiegato. Giuseppe Buzzetti ed altri giovanotti dell'Oratorio andavano per mettere l'indirizzo ai fascicoli e ad aiutare la spedizione.

                Il Teologo Valinotti, anche per le firme che era autorizzato dal Vescovo a porre in vece sua, reputavasi che fosse il terzo confondatore e comproprietario e non andò molto tempo che il suo ufficio divenne nel fatto il centro della direzione; ed egli a far da padrone e a credersi tale. Sui programmi e su molte copertine dei fascicoli si leggevano varie avvertenze. “Le associazioni si ricevono in Torino, all'ufficio via S. Domenico N. Le - I vaglia postali devono essere unicamente intestati al Direttore delle Letture Cattoliche. - Per tutto ciò che riguarda le Letture Cattoliche, lettere, pieghi, reclami ecc. [152] deve essere diretto unicamente alla Direzione delle Letture Cattoliche, via S. Domenico N. II, Torino. Diversamente la medesima reclina ogni responsabilità. - Le domande delle operette già uscite nelle Letture Cattoliche degli anni antecedenti devono essere fatte per lettere affrancate, col vaglia postale del prezzo delle opere richieste unicamente alla Direzione centrale delle Letture Cattoliche, via S. Domenicco N. II, Torino”.

                A questo ufficio il Vescovo e D. Bosco dovevano trasmettere quanto lo riguardava per la regolarità dei conti. Di questi conti il Vescovo mai si era informato ed era ignaro di tutto avendo una confidenza illimitata nel suo rappresentante. D. Bosco, del quale era tutta la fatica, poichè esso preparava i libretti, talvolta chiedeva amichevolmente notizie di questa contabilità, ma ottenne risposta che vi erano serii debiti da pagare e che le spese della stampa superavano le entrate.

                D. Bosco per riguardo al Vescovo accettava o pareva accettare simili rendiconti, per non rompere un'amicizia che durava da tanti anni, ed anche perchè odiava ogni discordia, che avrebbe potuto recar danno a quella sua prediletta associazione. Ma nello stesso tempo ei meditava di renderla duratura, lasciandola in eredità alla Congregazione salesiana, e consolidarne in sè la proprietà. Essendo in ordine la sua tipografia aveva intanto deciso che questa avrebbe avuto l'incarico di pubblicare i fascicoli delle Letture Cattoliche. La cosa parlava da sè in suo favore, tuttavia egli con grande prudenza aveva con lettere e con visite cercato di persuadere il Vescovo della necessità di questa risoluzione: in primo luogo per l'occupazione continua che avrebbero avuta i suoi alunni; in secondo luogo per la maggior economia colla quale que' lavori sarebbero eseguiti.

                Il Vescovo approvò; quand'ecco nei primi di maggio giungere a D. Bosco una lettera a nome di Monsignore scritta dal Can. Teol. Avv. Pinoli Angelo, Provicario generale, in cui gli si rimproverava l'innovazione eseguita, per far la quale [153] asserivasi mancargli il diritto di proprietario. Che cosa dunque aveva mutato l'animo del Vescovo? Probabilmente chi aveva interesse in questa faccenda. Si ebbe sospetto che D. Bosco facesse un primo passo per sottrarsi ad una tutela non voluta, ma tollerata; si temette che tolto a Paravia l'incarico di quelle stampe, il tipografo avrebbe chiesto per lo meno il pagamento de' suoi crediti, senza più accordar dilazioni; si vide il pericolo di dover presentare un resoconto dell'attivo e del passivo che per varie cause non potevasi in que' giorni determinare e regolare. Per queste ragioni si trovò l'espediente di sostenere presso il Vescovo, che D. Bosco non aveva considerato i suoi diritti, appartenere a lui la proprietà delle Letture Cattoliche; che senza il suo appoggio D. Bosco sarebbe riuscito a poco, e che il cambiamento di tipografia poteva essere pericoloso alle Letture stesse.

                Questi furono i motivi che avevano ispirato la lettera del Canonico Pinoli, il quale, essendo amico di D. Bosco, pareva che probabilmente avesse dovuto scriverla mentre altri la dettava.

                Il Teol. Valinotti erasi incaricato di mandarla all'Oratorio e D. Bosco faceva la risposta a questo Teologo.

 

                               Carissimo Sig. Teologo,

 

                Non può immaginarsi, sig. Teologo, quale dolorosa sensazione mi abbia cagionato la lettera che mi ha comunicato riguardante le Letture Cattoliche, sia per la materia trattata, sia per la persona cui si riferiva. Più volte ieri mi provai per rispondere, ma l'agitazione me l'ha sempre impedito. Questa mattina soltanto dopo aver celebrato il Sacrificio della S. Messa e raccomandato ogni cosa al Signore, rispondo semplicemente narrando le cose nel reale loro aspetto.

                Io non mi sono mai pensato che le Letture Cattoliche fossero proprietà altrui. Io ho fatto il programma, ho cominciato la stampa, l'ho sempre assistita, corretta colla massima diligenza; ogni fascicolo fu da me composto o redatto a stile e dicitura adattata. Io sono sempre stato responsabile di quanto si stampò. Feci viaggi, scrissi e feci scrivere lettere per la propagazione delle medesime. L'opinione pubblica, il medesimo S. Padre in tre lettere indirizzatemi considera me come autore delle Letture Cattoliche. [154] Arbitro sempre di quanto faceva, ho sempre lasciato ad altri, con mia dipendenza, che fu però trascurata, la sollecitudine materiale della spedizione e della contabilità.

                Vedendo ultimamente il continuo ritardo nella stampa, ho cominciato a far stampare qualche fascicolo alla Tipografia Ferrando; nè potendosi tuttavia ottenere regolarità nella stampa mi sono risolto a provvedere qui una tipografia. Ho fatto fare caratteri, carta, formati, ampiezza della macchina, adattata alle stampe di Paravia. La stampa è cominciata, ho la materia preparata per tutti i fascicoli di quest'anno. Io adunque intendo di continuare la stampa in questa casa e così dar lavoro ai nostri poveri giovani.

                Ella stessa signor Teologo, mel disse più volte con queste parole: - Faccia presto, D. Bosco, a mettere una tipografia, affinchè ci togliamo dagli impicci della stampa.

                Credo la lettera del sig. avvocato Pinoli non sia stata di consenso con Monsignore, imperocchè esso mi disse più volte ad Ivrea ed anche a Torino queste formali parole: - Da queste Letture non dobbiamo cercare alcun utile materiale; che se ci Verrà qualche vantaggio, sarà buono per l'Oratorio che si trova certamente di averne bisogno. Avrei certamente un bel vantaggio, se dopo aver duramente faticato io anni per queste Letture senza un soldo di corrispettivo, potessi adesso nemmanco aver quello di darle come lavoro ai miei giovanetti! Ma niuno mai mi contrastò la padronanza di una cosa da me cominciata, continuata con tanta fatica e tanto dispendio.

                Potrà dirsi: ci sono debiti a pagare. Si paghino. Lavoro da dieci anni e non ho cercato un soldo; nemmeno adesso il voglio, perocchè il sordido interesse non lui guiderà mai nelle cose che si riferiscono alla gloria di Dio.

                Io temo molto che il demonio metta la coda in questo affare e che sotto l'aspetto di materiali interessi, riesca a mettere scissura fra gli individui e fare, ciò che lamentiamo in molti, danno a quel poco di bene, che tolto l'impegno e l'interesse, si potrebbe promuovere a vantaggio delle anime.

                Ho scritto colla mente molto agitata da quella benedetta lettera dell'avvocato sig. Canonico Pinoli, onde se fosse occorsa qualche espressione che potesse sembrare mordace, non è voluta; anzi posso assicurarlo che non ho scritto altro se non quello che mi sembra di maggiore gloria di Dio e bene delle anime.

                Abbia la bontà, signor Teologo, di dare comunicazione della presente al prelodato sig. Canonico Pinoli, e se crede bene allo stesso Monsignor Moreno, che credo comprenderanno ambidue di leggieri, spero, la ragionevolezza delle mie deliberazioni.

                Ella poi voglia sempre annoverarmi tra quelli che l'amano nel Signore, mentre con tutta stima e venerazione mi professo di V. S. Carissima

 

                Torino, 10 Maggio 1862.

 

Dev.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI. [155]

                Scritta questa lettera non desistette dal suo disegno e consegnò a' suoi giovanetti, che incominciavano a comporre per benino, i manoscritti preparati per le Letture Cattoliche che dovevano uscire alla luce dalla Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Il primo destinato pel mese di Luglio fu: Teofilo ossia il giovane romito, ameno racconto del Canonico Cristoloro Schmid. - Una tempesta getta Teofilo sopra un isolotto disabitato in mezzo al mare. Per tre anni la Provvidenza Divina gli fa trovare mezzi per aiutarsi nelle sue necessità e infine maravigliosamente lo riconduce alla sua spiaggia nativa. Con ciò si dimostra che colui il quale prega conferma il proverbio; che il bene nasce dal male e Dio sa tutto acconciare pel meglio.

                Il secondo fascicolo pel mese d'Agosto: - Il Pontificato di S. Felice Primo e di S. Eutichiano Papi e martiri per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (M). Si dimostra la visibilità della vera Chiesa. Si descrivono anche i patimenti di varii gloriosi martiri contemporanei. In appendice si narrano i tormenti sopportati da S. Caritone Abate per la fede, le sue virtù, e la fondazione di varie Laure, ossia monasteri d'eremiti da lui fatte nella Palestina.

                Il terzo fascicolo che usciva dalla Tipografia dell'Oratorio pel mese di settembre: - La podestà delle tenebre ossia osservazioni dommatiche - morali sopra ali spiriti malefici e gli uomini maledici, seguite dalla relazione di una infestazione diabolica avvenuta nell'anno 1858 in Val della Torre.

                Si descrive il potere esterno dei demonii sopra gli oggetti esterni; le loro tentazioni, ossessioni; la magia, il magnetismo, le tavole giranti e scriventi. Autore dell'Operetta è Fra Carlo Filippo da Poirino sacerdote Cappuccino.

                Pel mese di ottobre il fascicolo portava il titolo: Le due, orfanelle, ossia le consolazioni nella cattolica religione. È  la storia di una signora inglese ed anglicana, la quale commossa allo spettacolo di una fanciulletta, che si prepara alla prima [156] comunione, tratta a poco a poco dalla grazia celeste con soavità e fortezza alla conoscenza della vera Chiesa, ottiene la conversione del marito morente e fatta anch'essa l'abiura si chiude fra le carmelitane. D. Bosco vi aggiunse tre spaventevoli esempi di castighi divini, i quali colpirono in questi anni gli spregiatori di Dio, del Papa, e dei Vescovi. In ultimo egli pone il regolamento della pia Società delle comunioni mensili pei presenti bisogni di Santa Chiesa, eretta Canonicamente in Roma nella parrocchia di S. Lorenzo in Damaso.

                D. Bosco intanto mentre i suoi tipografi incominciavano alacremente la stampa di questi libretti, adoperavasi nell'attenuare i malumori d'Ivrea. Quindi benchè temesse uno sbilancio nell'amministrazione per inettitudine o per negligenza, giudicò opportuno il silenzio sulla contabilità. Il Teologo continuò indisturbato nel suo ufficio come prima tenendo presso di sè tutti i registri, con questa sola innovazione che la Tipografia dell'Oratorio aveva preso il luogo di Paravia nei lavori e negli utili, quantunque all'antico suo tipografo D. Bosco avesse stabilito di dare ancora ordinazioni.

                Così procedette la cosa per due anni e i fascicoli continuarono ad annunziare l'ufficio di Via S. Domenico colle avvertenze sopra notate delle edizioni di Paravia.

                Le attinenze però di D. Bosco con Mons. Moreno avevano, ricevuta una grave scossa.

 

 

CAPO XVII. Un orto liberato dai bruchi - Un chierico guarito dalla febbre - Un segreto desiderio svelato e soddisfatto - Parlate di D. Bosco: raccomanda tre cose ai giovani: allude ad una morte non lontana: anima i giovani ed i membri della Congregazione ad amare e difendere il Papa - D. Bosco prepara i suoi Salesiani alla professione religiosa - Dalla fanciullezza ha fatto volo di entrare in religione - I primi voti formali emessi nella Pia Società di S. Francesco di Sales: parole d'incoraggiamento e gioia di D. Bosco - Morte predetta ed edificante di altro alunno - Un secondo biglietto profetico - La Madonna di Spoleto - Persone che vengono da lontano per confessarsi da D. Bosco - Egli esorta i giovani a terminar bene il mese di Maria ed a pregare per que' compagni che stanno ancora lontani da Dio - Sua predica sulla purità.

 

                I GIORNI del Venerabile Servo di Dio, fossero pure a lui apportatori di fastidii, erano sempre segnati da fatti piacevoli e singolari.

                Con atto del 9 novembre 1861, rogato dal notaio Turvano, D. Bosco costretto dal bisogno di danaro aveva venduto a  Giacomo Berlaita una pezza di prato dell'estenzione di ettari 0,35,4, Ossia giornate 0,92,24 per il prezzo dichiarato di lire 4480,20. Apparteneva una volta alla proprietà Filippi ed era confinante colla cinta dell'Oratorio a settentrione. Berlaita, essendo ortolano, aveva piantati nel 1862 in quel [158] suo nuovo podere una grande quantità di cavoli che promettevano una buona raccolta. Ed ecco comparire i bruchi in numero incredibile minacciando di distruggere ogni sua speranza. Egli corse tutto desolato a chiamare D. Bosco, perchè venisse a recitare gli scongiuri del rituale. D. Bosco andò e benedisse, e si fermò per qualche tempo a confabulare col Berlaita. In quel mentre succedeva un fatto singolare. Tutti i bruchi si mettono in movimento. Scendono dai cavoli e s'avviavano verso la piccola porta aperta della cinta dell'Oratorio. Davanti a questa vi era un lungo fosso pieno, d'acqua corrente scavalcato da un asse; i bruchi in massa si spingono su questo, si avviano verso il muro della cappella di San Luigi, lo salgono, entrano nel finestrone sopra l'altare e quindi vanno ad attaccarsi al cornicione ed alle mura di detta cappella.

                Le muraglie apparivano tutte nere per la gran quantità di bruchi morti che le coprivano, e più volte si dovettero spazzare. Tutti in casa erano meravigliati di quella inesplicabile novità. Ma l'orto del Berlaita era stato intieramente liberato. D. Rua ne fa testimonianza.

                Ci raccontò D. Giovanni Garino: “Era l'anno 1862 ed io mi trovava preso da lenta febbre, che ogni di più mi indeboliva per modo da non potermi io occupare nei miei studii di filosofia. D. Bosco il seppe e mi diede una scatoletta con nove pillole, dicendomi di prenderne tre per mattina e recitando un'Ave Maria ogni pillola. Feci quanto mi comandò e le febbri sparirono tosto completamente. Aggiungo che d'allora in poi sino al presente (6 maggio 1888) non ebbi mai più a soffrir febbri”.

                Una distinta signora di Torino, nota D. Bonetti, espose quanto segue di D. Bosco. “Il Servo di Dio, dopo molte istanze, era venuto un giorno a pranzo con noi. Io aveva un giovane da raccomandargli, perchè lo accettasse nel suo Oratorio, ma non osava parlargliene per tema che un'altra volta egli [159] non venisse più a casa mia per sfuggire simili seccature. Mentre in mia mente rivolgeva questo pensiero, Don Bosco all'improvviso uscì a dirmi: - In quanto poi a quel giovane, e me ne disse il nome, me lo conduca poi a casa sul fine di questo mese. - A tali parole io rimasi fuori di me, non potendomi persuadere che egli non mi avesse letto il pensiero in mente”.

                Con questa nota D. Bonetti ripigliava la Cronaca, esponendo il sunto di qualche parlata di D. Bosco agli alunni nel maggio e ciò che in questo mese accadde di memorabile nell'Oratorio.

                “2 maggio. - D. Bosco salì sul pulpito del parlatorio e disse di voler inculcare tre cose: allegria, lavoro, pietà. Ripetè più volte quel detto di S. Filippo Neri a' suoi giovani: - Quando è tempo correte, saltate, divertitevi pure finchè volete, ma per carità non fate peccati”.

                “4 maggio, Domenica. - D. Bosco parlava ai giovani del modo col quale desiderava che si passasse il mese di Maria, quando tutto ad un tratto cambia argomento e dice: Mi viene adesso un pensiero che non posso tenermi dal palesarvi. Chi sa se durante questo mese non ci toccherà di fare qualche funerale?... staremo a vedere! - E quindi ripigliò il primo argomento, lasciandoci tutti meravigliati per quell'insolito modo di parlare”.

                “6 maggio. - Non si potrebbe dire quanto sia grande l'affezione di D. Bosco alla Santa Sede e al Papa. Egli faceva oggi osservare ai suoi giovanetti come il Papa Pio IX, sebbene attorniato dagli affari di tutto il mondo, nondimeno di frequente volgesse i suoi pensieri e le sue cure ai figli poveretti dell'Oratorio, nascosti in un angolo di Torino; e loro mandasse la sua apostolica benedizione, colmandoli in ogni guisa di favori. Prese quindi occasione ad animarci ad amarlo, e non tanto come Pio IX, ma sibbene come Papa, stabilito da Gesù Cristo sopra la Chiesa. Finì dicendo: - Vorrei che Pio IX [160] avesse in ciascun giovane dell'Oratorio uno zelante difensore in qualunque angolo della terra egli si trovi”.

                “Alcuni giorni dopo, parlando ai membri della sua Congregazione, venne a dire: - Il Cattolicismo va via via perdendo ogni giorno i mezzi materiali per far del bene, l'appoggio delle Potenze e molte anime che le sono strappate dalla perfidia de' suoi nemici. È tempo ormai che ci stringiamo sempre più intorno a Pio IX e con lui combattiamo se fia d’uopo fino alla morte. Diranno gli stolti che certe idee sono un capriccio ostinato di Pio IX: non importa; ci sarà più caro andare in paradiso con Pio IX per un tale suo capriccio, che andare all'inferno con tutte le speciosità e le grandezze del mondo”.

                “8 maggio. - D. Bosco radunò in camera sua alla sera dopo le orazioni, que' preti, chierici e giovani, i quali conosceva disposti a rimanere con lui nell'Oratorio e a far parte della Pia Società. Incominciò a descrivere quanto nobile, meritoria, divina fosse la missione di chi è chiamato a salvare le anime; provò quanto grande fosse l'amore di Gesù Cristo ai fanciulli; ci animò a lavorare indefessamente per la gioventù; fece notare che la messe era abbondantissima e che la divina Provvidenza avrebbe benedette meravigliosamente le nostre fatiche. Quindi ci propose di fare una prova, unendoci al Divin Salvatore con vincoli più stretti d'amore, cioè di promettere a Dio l'osservanza delle Regole, facendo voto di povertà, castità ed obbedienza per tre anni.

                Noi per un anno intero ci eravamo preparati a questa grande azione e all'invito di D. Bosco nessuno avendo fatta difficoltà, fu deciso che il mercoledì prossimo avremmo emessi i nostri voti”.

                La Madonna aveva preparata a D. Bosco, in questo mese a Lei consecrato, la più grande delle consolazioni. Il Servo di Dio avrebbe anche adempiuto il suo voto, fatto essendo ancora fanciullo, di entrare in religione.

                14 maggio 1862. - Giorno memorando! Si legge nei verbali [161] del Capitolo. “I confratelli della - Società di S. Francesco di Sales furono convocati dal Rettore e la maggior parte di essi si confermarono nella nascente Società coll'emettere formalmente i voti triennali. Questo si fece nel modo seguente:

                Il sig. D. Bosco Rettore, vestito di cotta, invitò ognuno ad inginocchiarsi, ed inginocchiatosi egli pure, incominciò la recita, del Veni Creator, che si continuò alternativamente sino al fine. Detto l'Oremus dello Spirito Santo, si recitarono le Litanie della Beata Vergine coll'Oremus. Quindi si disse un Pater, Ave e Gloria a S. Francesco di Sales a cui si aggiunse l'invocazione propria e l'Oremus. Finite queste preghiere, i confratelli in sacris D. Alasonatti Vittorio, D. Rua Michele, D. Savio Angelo, D. Rocchietti Giuseppe, D. Cagliero Giovanni, D. Francesia Giov. Batt., D. Ruffino Domenico; i chierici Durando Celestino, Anfossi Giov. Batt., Boggero Giovanni, Bonetti Giovanni, Ghivarello Carlo, Cerruti Francesco, Chiapale Luigi, Bongiovanni Giuseppe, Lazzero Giuseppe, Provera Francesco, Garino Giovanni, Jarac Luigi, Albera Paolo; i laici Cav. Oreglia Federico di S. Stefano, Gaia Giuseppe pronunciarono ad alta voce e chiaramente tutti insieme la formola dei voti che incomincia: Conoscendo l'instabilità della volontà mia ecc. Ciò fatto ciascuno si sottoscrisse in apposito libro”.

                D. Bonetti scrisse: - “14 maggio. - Questa sera dopo molti desiderii, si emisero la prima volta formalmente i voti di povertà, di castità, di obbedienza dai varii membri della Pia Società novellamente costituita, che avevano compiuto l'anno di noviziato e che a ciò si sentivano chiamati. Oh come bello sarebbe il descrivere in quali umili modi si compiesse questo atto memorando! Ci trovammo stretti stretti in una angusta cameretta, ove non avevamo scanni per sederci. La maggior parte dei membri si trovava nel fior degli anni, chi nella rettorica, chi nel primo e secondo anno di filosofia, alcuni nel primi corsi di Teologia e pochi nei sacri ordini. Qualche laico [162] avrebbe potuto trarre felici i suoi giorni nel seno della propria famiglia! Un delizioso avvenire ci si parava innanzi, il mondo colle sue promesse, colle sue lusinghe a sè c'invitava. Ma avanti agli occhi nostri stava sopra un tavolino fra due ceri accesi, un crocifisso, quasi aspettando l'offerta del nostro cuore, il sacrifizio della nostra vita. Sì, Gesù colle sue attrattive celesti a lui ci chiamava. Noi formavamo un piccolo gregge, che scompariva agli occhi del mondo, e dai più della casa stessa sconosciuto. Nondimeno questi umili principii non ci facevano perdere, d'animo, che anzi ci aprivano il cuore alle più alte speranze, ben sapendo quello che dice l'Apostolo Paolo, che Iddio elegge le cose deboli per abbattere le forti, le stolte per confondere i sapienti, le ignobili e le spregievoli e quelle che non sono per distruggere quelle che sono.

                Facemmo dunque in numero di 22, non compreso D. Bosco, che in mezzo a noi stava inginocchiato presso il tavolino su cui era il crocifisso, i nostri voti secondo il Regolamento. Essendo in molti ripetemmo insieme la formola a mano a mano che D. Rua la leggeva.

                Dopo ciò D. Bosco alzatosi in piedi, si volse verso di noi che eravamo ancora inginocchiati e ci indirizzò alcune parole per nostra tranquillità e per infonderci maggiormente coraggio per l'avvenire. Fra le altre cose ci disse: - Questo voto che ora avete fatto, io intendo che non vi imponga altra obbligazione che quella di osservare ciò che fin ora avete osservato, cioè le regole della Casa. Desidero grandemente che nessuno si lasci poi prendere da qualche timore, da qualche inquietudine. Ciascuno in ogni occorrenza mi venga tosto ad aprire il suo cuore, mi esponga i suoi dubbii, le sue angustie. Vi dico questo perchè potrebbe darsi che il demonio, vedendo il bene che potete fare stando in questa Società, vi metta in capo qualche tentazione cercando di farvene allontanare contro la volontà di Dio. Ma se io sarò tosto da voi informato, potrò essere in grado di esaminare la cosa, e mettere la pace [163] nei vostri cuori ed anche sciogliervi dai voti, qualora vedessi tale essere la volontà di Dio ed il bene delle anime.

                Ma qualcuno mi dirà: - D. Bosco ha egli pure fatti questi voti? - Ecco: mentre voi facevate a me questi voti, io li facevo pure a questo Crocifisso per tutta la mia vita; offrendomi in sacrificio al Signore, pronto ad ogni cosa, affine di procurare la sua maggior gloria e la salute delle anime, specialmente pel bene della gioventù. Ci aiuti il Signore a mantenere fedelmente le nostre promesse.

                Pronunciate che ebbe queste memorabili parole, ci siamo tutti alzati in piedi ed egli riprese: - Miei cari, viviamo in tempi torbidi e pare quasi una presunzione in questi malaugurati momenti cercare di metterci in una nuova comunità religiosa, mentre il mondo e l'inferno a tutto potere si adoperano per schiantare dalla terra quelle che già esistono. Ma non importa; io ho non solo probabili, ma sicuri argomenti essere volontà di Dio che la nostra Società incominci e prosegua.

                Molti già sono gli sforzi che si fecero per impedirla, ma tutti riuscirono vani, anzi alcuni che più ostinatamente le si vollero opporre, l'ebbero a pagar cara. Non è molto che una persona distinta, che per varii motivi non nomino, forse per zelo, si oppose grandemente a questa Società. Ebbene; fu presa da un grave malore ed in pochi giorni se ne andò all'eternità.

                Non la finirei di questa sera se vi volessi poi raccontare gli atti speciali di protezione che avemmo dal cielo, dacchè ebbe principio il nostro Oratorio. Tutto ci fa argomentare che con noi abbiamo Iddio. Possiamo nelle nostre imprese andare innanzi con fidanza, sapendo di fare la sua santa volontà!

                Ma non sono ancora questi gli argomenti che mi fanno sperar bene di questa Società; altri maggiori ve ne sono fra i quali v'è l'unico scopo che ci siamo proposti, che è la maggior gloria di Dio e la salute delle anime. Chi sa che il Signore non voglia servirsi di questa nostra Società per fare molto [164] bene nella sua Chiesa i Da qui a venticinque o trent'anni, se il Signore continua ad aiutarci, come fece finora, la nostra Società sparsa per diverse parti del mondo potrà anche ascendere al numero di mille socii. Di questi alcuni intenti colle prediche ad istruire il basso popolo, altri all'educazione dei ragazzi abbandonati, taluni a fare scuola, tal' altri a scrivere e diffondere buoni libri, tutti insomma a sostenere, come generosi cristiani, la dignità del Romano Pontefice e dei ministri  della Chiesa: quanto bene non si farà!

                Pio IX si crede che noi siamo già in tutto punto ordinati: eccoci adunque questa sera in ordine; combattiamo con lui per la causa della Chiesa, che è quella di Dio. Facciamoci coraggio, lavoriamo di cuore, Iddio saprà pagarci da buon padrone. L'eternità sarà abbastanza lunga per riposarci, ecc.

                Abbiamo osservato che in questa sera D. Bosco mostrava una contentezza inesprimibile, non sapeva allontanarsi da noi, assicurandoci che avrebbe passata in pia conversazione tutta la notte. Ci raccontò ancora tante belle cose specialmente riguardanti il principio dell'Oratorio. Ci narrò la tragica fine di alcune persone che volevano impedirgli di radunare la gioventù”.

                “23 maggio. - Dopo le orazioni D. Bosco annunziò la morte di un nostro compagno, Marchisio Luigi di 22 anni, nativo di Calliano, passato all'eternità nella propria casa, il giorno 19 del corrente mese.

                Così giusta il suo pensiero espressoci una sera con modo insolito, non era terminato il mese di Maria senza un funerale ad un nostro compagno.

                Chi sa se in quell'istante D. Bosco non ricevesse qualche lume particolare? Dall'accaduto pare che si potrebbe dedurre. Questo nostro amico era già ammalato quando andossene in patria. D. Bosco ci raccontò un colloquio con lui tenuto qualche tempo prima, il quale dimostra come quel giovane fosse rassegnato alla morte ed anche quale sia l'industria di D. Bosco [165] stesso nell'infondere nel cuore degli ammalati l'amore del paradiso e farli partire da questa vita con vivo desiderio di esso.

                Ecco il dialogo. - Marchisio, dissegli D. Bosco, quando sii giunto in paradiso fammi una commissione.

                - Sì, ben volentieri purchè io possa, gli rispose il giovane.

                - Appena sii giunto in quella gloria celeste fa un saluto a Maria SS. da parte mia, e da parte di tutti i giovani dell'Oratorio.

                - Lo farò sicuramente; ed altro?

                - Dille che versi dal cielo ogni celeste benedizione sopra questo Oratorio.

                - Glielo dirò pure.

                D. Bosco continuò: - Vieni poi a farei qualche visita, a raccontarci cosa facciano e come stiano i giovani dell'Oratorio. Ed egli: - Il Signore mi lascierà venire?

                - Glielo domanderai; se te lo permette bene, se no, ti contenterai di guardarci dal cielo pregando per noi, chè tutti possiamo presto venirti a fare compagnia.

                Insomma egli parlava in modo di riempire di consolazione chiunque lo avesse sentito. Il parroco stesso, che scrive ed annunzia la sua morte, dice che egli lo andava a quando a quando a visitare, non tanto per edificarlo, ma per essere da lui edificato. Fu grande la sua pazienza sino all'ultimo e nutrì fino agli estremi aneliti una grande divozione alla Madonna. È in questo modo che imparano a morire quei giovani fortunati, che hanno la bella sorte di stare con D. Bosco”.

                “La morte di questo giovane, spiega la Cronaca di D. Ruffino, era stata segnalata da una delle solite previsioni di Don Bosco. Sul principiare all'incirca, del mese di marzo, una sera dopo cena D. Bosco era nel refettorio in mezzo aduna folta corona di giovani e aveva detto che uno della casa sarebbe andato all'eternità verso il fine di maggio. Tutti domandarono chi fosse costui, ma D. Bosco non volle dirlo. Allora lo pregarono a volerne scrivere il nome in un biglietto da [166] chiudersi in una busta e da aprirsi solamente trascorso il tempo fissato. D. Rua Michele alle istanze dei giovani aggiunse le sue e allora D. Bosco non seppe negarsi, e scritto quel nome e sigillatolo, lo consegnò a Ferdinando Imoda, uomo fidato nel conservare un segreto. Non passò molto tempo e il giovane Marchisio s i ammalò. Nell'aprile morivano Fornasio e Maestro con meravigliose circostanze; tuttavia il biglietto di D. Bosco non fu aperto. Ma appena si ebbe notizia della morte di Marchisio, gli alunni corsero da Imoda, perchè dissigillasse il misterioso biglietto. Così si fece essendo testimonio D. Rua. Sovra quella carta era scritto per mano di D. Bosco: Marchisio”.

                Ritorniamo alla Cronaca di D. Bonetti. “24 maggio. -

                D. Bosco annunzia alla sera con sua grande contentezza la prodigiosa manifestazione di un'immagine di Maria avvenuta nelle vicinanze di Spoleto”.

                Nell'aperta campagna esiste sulla vetta di una piccola collina un pilastro con una nicchia, nella quale nel 1570 fu dipinta a fresco un'immagine di Maria SS. nell'atteggiamento di abbracciare il Bambino Gesù. Sussiste tutt'ora un avanzo di muro che fa vedere esser quivi esistita in tempi antichi una chiesa. Quel luogo totalmente dimenticato era ridotto a covo di rettili e particolarmente di serpi.

                Ed ecco un bel giorno di quest'anno un fanciullo, non ancora di cinque anni nominato Enrico, essendosi recato a divertirsi presso quelle macerie, si udì chiamare per nome. Ritornato ne' giorni successivi in quel luogo, più volte udì una voce dolcissima ripetere: - Enrico! Enrico! - Avendolo sua madre smarrito, e non potendolo trovare, benchè lo cercasse in varie parti, finalmente lo rinvenne presso le rovine della chiesa e del pilastro. Il suo bambino le aveva già prima narrato della voce che aveva udita, della Madonna che gli era comparsa, ma non sapeva esprimersi in che modo l'avesse veduta. Si parlò fra que' terrazzani di ciò che diceva Enrico, ma non gli si diede, come dovevasi, alcun credito ed importanza. [167] Ma la Vergine SS. aveva indicato il luogo dal quale intendeva arricchire i cristiani co' suoi favori, e questo attirò l'attenzione del popolo il 19 marzo. Un giovane contadino, aggravato da molti inali cronici, e abbandonato dai medici, sentissi ispirato di recarsi a venerare la suddetta immagine. Andò, si raccomandò alla SS, Vergine e senz'altro ritornò in perfetta sanità. Da questo punto incominciò un gran concorso di fedeli, anche delle altre diocesi circonvicine, sicchè nei di festivi intorno a quel sacro pilastro si vedono inginocchiate da cinque a seimila persone. Gli stessi nemici della Chiesa  sono costretti a confessare non potersi dar spiegazione di questo sacro entusiasmo de' popoli.

                È  un continuo succedersi di prodigiose e singolari grazie spirituali e corporali. Taluni increduli, essendosi recati a visitare la SS. Immagine per dileggiarla, giunti al luogo, contro ogni loro idea, hanno sentito il bisogno di inginocchiarsi e pregare; e sono ritornati con tutt'altri sentimenti, parlando pubblicamente de' prodigi di Maria. L'Arcivescovo di Spoleto ha già commesso a valenti artisti il disegno di un bel tempio; e siccome la divota immagine non aveva alcun titolo proprio, giudicò che fosse venerata sotto il nome di Auxilium Christianorum[13].

                “25 maggio. - La fama della scienza e santità di D. Bosco attira a lui non pochi penitenti anche da' paesi lontani. Oggi si trovavano nella sagrestia dell'Oratorio quattro persone venute una da Chieri, l'altra da Fossano, la terza da Verzuolo, la quarta da Mondovì per confessarsi dal Servo di Dio”.

                “26 maggio. - Alla sera dopo le orazioni D. Bosco ci raccomandò che domani avessimo domandato alla Madonna che ci aiutasse sempre in vita, ma che spiegasse poi in modo particolare la sua protezione nel punto di nostra morte. Ci esortò vivamente tutti a terminare santamente il mese di Maria, ed [168] insistette in modo speciale, perchè si mettessero di buona voglia coloro che, sebbene pochi, finora si mostrarono ostinati: disse che tutto quel bene, che domani si sarebbe fatto in Chiesa, fosse indirizzato a Maria con questo fine, cioè perchè ammollisca i cuori di que' tali, li faccia entrare in se stessi e si convertano una volta sinceramente e con ferma risoluzione a Dio.

                Ci promise in fine di direi qualche bella - cosa l'ultimo o il penultimo giorno del mese”.

                29 maggio. - Giorno dell'Ascensione di N. S. G. C. al cielo. Questa mattina D. Bosco raccontando secondo il solito dal pulpito la storia Ecclesiastica, venne a parlare delle Vestali fra i pagani. C'intrattenne intorno alla virtù della purità. Sempre belle sono le sue parole, sempre care le sue prediche, ma non pare più un uomo sibbene un angelo quando viene a parlare di questa regina delle virtù. Vorrei scrivere qualche suo pensiero, ma temo scemargli quella bellezza, quella forza che riceve da lui: prescindo dal farlo. Basti il dire che egli porta non solo il nome del discepolo prediletto di Gesù, ma pur anco il celeste suo candore; e perciò non è da stupire se tanto bene egli sappia parlare di questa preziosa virtù. Sono sette anni che ebbi dal cielo la grazia di essere suo figlio spirituale, di abitare con lui, di accogliere dal celeste suo labbro parole di vita. Più volte dal pulpito l'ho udito parlare di questo argomento, ma sempre, una volta più dell'altra, lo confesso, sperimentai la forza delle sue parole, e sentivami spinto ad ogni sacrifizio, per amore di così inestimabile tesoro. Questo non sono io solo a dirlo, ma ho il testimonio di quanti con me l'udivano.

                Usciti di Chiesa molti venivano meravigliati ad esclamare con me e con altri: - Oh che belle cose disse mai stamane D. Bosco! Io passerei il giorno e la notte per ascoltarlo! Oh quanto bramerei che Iddio mi concedesse il dono di poter io pure, quando sarò sacerdote, innamorare in tal modo il cuore della gioventù e di tutti per questa sì bella virtù.”

 

 

CAPO XVIII. Sogno: i futuri avvenimenti della Chiesa: le due colonne in mezzo al mare: la nave del Papa assalita e sua strepitosa vittoria - Spiegazione del sogno - Difficoltà che incontrano i fedeli raccoglitori delle parole di D. Bosco - Una questione insoluta riguardo al sogno - Padre Passaglia e la tentata ribellione del Clero contro il Papa - D. Bosco, Padre Passaglia e Nicomede Bianchi - Ritrattazione di un sacerdote apostata.

 

                DON Bosco il 26 maggio aveva promesso ai giovani di raccontar loro qualche bella cosa nell'ultimo o nel penultimo giorno del mese.

                Il 30 maggio adunque raccontò alla sera una parabola o similitudine come egli volle appellarla.

 

                Vi voglio raccontare un sogno. È vero che chi sogna non ragiona, tuttavia io, che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti e far cadere la casa, ve lo racconto per vostra utilità spirituale. Il sogno l'ho fatto sono alcuni giorni.

                Figuratevi di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio, sopra uno scoglio isolato e di non vedere altro spazio di terra, se non quello che vista sotto i piedi. In tutta quella vasta superficie delle acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, le prore delle quali sono terminate da un rostro di ferro acuto a mo' di strale, che ove è spinto ferisce e trapassa ogni cosa. Queste navi sono armate di cannoni, cariche di fucili, di altre armi di ogni genere, di materie incendiarie, e anche di libri, e si avanzano contro una nave molto più grossa e più alta di tutte loro, tentando di urtarla col rostro, di incendiarla o altrimenti di farle ogni guasto possibile.

                A quella maestosa nave arredata di tutto punto, fanno scorta molte [170] navicelle, che da lei ricevono i segnali di comando ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalle flotte avversarie. Il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici.

                In mezzo all'immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l'una dall'altra. Sovra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, a' cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: - Auxilium Christianorum; - sull'altra, che è molto più alta e grossa, sta un'Ostia di grandezza proporzionata alla colonna e sotto un altro cartello colle parole: Salus credentium.

                Il comandante supremo sulla gran nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, pensa di convocare intorno a sè i piloti delle navi secondarie per tener consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando il vento sempre più e la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi.

                Fattasi un po' di bonaccia, il Papa raduna per la seconda volta intorno a sè i piloti, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa.

                Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portar la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte áncore e grossi ganci attaccati a catene.

                Le navi nemiche si muovono tutte ad assalirla e tentano ogni modo per arrestarla e farla sommergere. Le une cogli scritti, coi libri, con materie incendiarie di cui sono ripiene e che cercano di gettarle a bordo; le altre coi cannoni, coi fucili e coi rostri: il combattimento si fa sempre più accanito. Le prore nemiche l'urtano violentemente, ma inutili riescono i loro sforzi e il loro impeto. Invano ritentano la prova e sciupano ogni loro fatica e munizione: la gran nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta ne' suoi fianchi larga e profonda fessura, ma non appena è fatto il guasto spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano.

                E scoppiano intanto i cannoni degli assalitori, si spezzano i fucili, ogni altra arma ed i rostri; si sconquassan molte navi e si sprofondano nel mare. Allora i nemici furibondi prendono a combattere ad armi corte; e colle mani, coi pugni, colle bestemmie e colle maledizioni.

                Quand'ecco che il Papa, colpito gravemente, cade. Subito coloro, che stanno insieme con lui, corrono ad aiutarlo e lo rialzano. Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. Senonchè appena morto il Pontefice un altro Papa sottentra al suo posto. I Piloti radunati lo hanno eletto così subitamente, che la [171] notizia della morte del Papa giunge colla notizia dell'elezione del successore. Gli avversarii incominciano a perdersi di coraggio.

                Il nuovo Papa sbaragliando e superando ogni ostacolo, guida la nave sino alle due colonne e giunto in mezzo ad esse, la lega con una catenella che pendeva dalla prora ad un'áncora della colonna su cui stava l'Ostia; e con un'altra catenella che pendeva a poppa la lega dalla parte opposta ad un'altra áncora appesa alla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.

                Allora succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel punto avevano combattuto quella su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre. Alcune navicelle che hanno combattuto valorosamente col Papa vengono per le prime a legarsi a quelle colonne.

                Molte altre navi che, ritiratesi per timore della battaglia si trovano in gran lontananza, stanno prudentemente osservando, finchè dileguati nei gorghi del mare i rottami di tutte le navi disfatte, a gran lena vogano alla volta di quelle due colonne, ove arrivate si attaccano ai ganci pendenti dalle medesime, ed ivi rimangono tranquille e sicure, insieme colla nave principale su cui sta il Papa. Nel mare regna una gran calma.

                D. Bosco a questo punto interrogò D. Rua: - Che cosa pensi tu di questo racconto?

                D. Rua rispose: - Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui esso è il Capo: le navi gli uomini, il mare questo mondo. Quei che difendono la grossa nave sono i buoni affezionati alla santa Sede, gli altri i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salute mi sembra che siano la divozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento dell'Eucarestia. -

                D. Rua non parlò del Papa caduto e morto e D. Bosco tacque pure su di ciò. Solo soggiunse: - Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un'espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora fu, è quasi nulla a petto di ciò che deve accadere. I suoi nemici sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se loro riuscisse, la nave principale. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio! - Divozione a Maria SS. - frequenza alla Comunione, adoperando ogni modo e facendo del nostro meglio per praticarli e farli praticare dovunque e da tutti.

                Buona notte !

 

                Le congetture che fecero i giovani intorno a questo sogno furono moltissime, specialmente riguardo ai Papa; ma Don Bosco non aggiunse altre spiegazioni. [172] Intanto i chierici Boggero, Ruffino, Merlone e il signor Chiala Cesare descrissero questo sogno e ci rimangono i loro manoscritti. Due furono compilati il giorno dopo la narrazione di D. Bosco, e gli altri due trascorso maggior tempo: ma vanno perfettamente d'accordo e variano solamente per qualche circostanza, che l'uno omette e l'altro nota.

                Tuttavia è da osservarsi come in questo caso e in altri di simil genere, benchè il racconto fatto da D. Bosco fosse scritto subito colla maggiore fedeltà possibile, pure non poteva schivarsi qualche imperfezione. Un discorso durato mezz'ora e talvolta un'ora, naturalmente doveva rimaner compendiato in pochi fogli, raccolte le sole principali idee. Qualche frase non aveva potuto esser percepita dall'orecchio, qualche altra: non era più ricordata; la mente si stancava, l'ordine dei fatti si confondeva, quindi piuttosto che azzardare una amplificazione, si ommettevano quelle cose delle quali non si era certi.

                Di qui ne venivano oscurità in argomenti già di loro natura in molti punti oscuri, in specie se riguardanti cose future; perciò dispute e spiegazioni diverse e contradditorie. E ciò, accadde anche riguardo al sogno o parabola da noi sopra riferita. Qualcuno disse che i Papi, i quali si succedettero nel comando della nave, furono tre e non due. Di questo parere è il Can. D. Bourlot Giovanni Maria, che fu parroco di Cambiano, il quale, essendo studente di filosofia nel 1862, era presente quando D. Bosco raccontò il sogno suddetto. Venuto, nell'Oratorio l'anno 1886, parlando con D. Bosco in tempo di pranzo delle impressioni rimastegli della sua gioventù, asserendo di essere sicuro della fedeltà della sua memoria, prese a descrivere il sogno delle due colonne in mezzo al mare, affermando che i Papi caduti furono due. Alla caduta del primo, aver esclamato i piloti: - Affrettiamoci: È presto fatto rimpiazzarlo. - E alla caduta del secondo essere accorsi i piloti, ma senza pronunciar questa frase.

                Chi scrive queste memorie in quel momento era distratto,  [173] conversando col suo vicino di tavola: e D. Bosco gli disse: Ascolta e sta attento a ciò che dice D. Bourlot.

                Quegli avendogli risposto di conoscere abbastanza bene quel fatto per i documenti che possedeva, e che secondo lui i Papi della nave erano solamente due, D. Bosco gli replicò: - Ti dico che sai niente.

                Nel 1907 D. Bourlot ritornato nell'Oratorio ripeteva, con, esattezza, segno di sua buona memoria, dopo 48 anni, il racconto del sogno, sosteneva il numero dei Papi essere tre, rammentava la nostra contestazione alle sue affermazioni e le parole di D. Bosco a noi dirette.

                Con tutto ciò di queste due versioni quale sarà la genuina? quella della Cronaca oppure quella del Can. Bourlot? Forse gli, avvenimenti daranno la soluzione del dubbio.

                Dobbiamo però concludere dicendo che Cesare Chiala cogli altri, sono le sue precise parole, l'intese per una vera visione e profezia, benchè D. Bosco nel raccontarla non paresse aver altro scopo che d'indurre i giovani a pregare per la Chiesa e pel Sommo Pontefice, e di attirarli alla divozione verso il SS. Sacramento e verso Maria Immacolata.

                E di queste preghiere e divozioni efficacissime vi era necessità, imperversando senza tregua la guerra contro la S. Sede; e specialmente per il bisogno che tutto il clero fedele continuasse a sostenere i diritti del Papa, insidiati anche e combattuti da un certo numero di sacerdoti indegni. Il Gesuita Padre Carlo Passaglia per superbia di mente, causa prelature e ufficii ambiti e non ottenuti, essendosi accostato al partito liberale romano, era stato espulso dalla Compagnia. Venuto a Torino per invito di Cavour, erasi accordato con lui anche sul da farsi quando morto Pio IX si radunasse il conclave per l'elezione del successore; e ritornato a Roma cercò di corrompere, ma invano alcuni prelati per averli complici nel riuscire ad indurre il Papa alla rinunzia de' suoi diritti. Verso la metà del 18 - 61 pubblicò in Firenze un appello ai Vescovi, intitolato [174] Pro caussa italica, loro volendo insegnare le sue massime sul dominio temporale dei Papi; deposto quindi l'abito ecclesiastico, ritornò a Torino a farsi capo degli avversari di quel dominio.

                Ottenuta la cattedra di filosofia morale nel Regio Ateneo, aveva fondato il Mediatore per trarre in inganno quelli del Clero, che, ingenui o liberali, pensavano che la Chiesa si potesse conciliare colla rivoluzione.

                Quindi pubblicò un indirizzo al clero, perchè sottoscrivesse un'istanza al Papa, con minaccia di scisma, per indurlo a smettere il potere temporale. Una combriccola d'apostati istituita in Torino, sotto l'egida e spese del Governo, si era messa all'opera. Le autorità subalterne dovevano incoraggiare con ogni assistenza i preti ribelli ai proprii Vescovi ed alla Santa Sede. Emissarii, con sottana e senza, correvano per tutta l'Italia con un modulo di petizione che presentavano ai preti delle singole città e borgate; e dove colle minaccie a mano armata, dove colla prospettiva della carcere, dove con infami seduzioni, dove con promesse e dove a danari contanti carpirono ed ottennero le firme di parecchie centinaia di ecclesiastici. Il loro periodico ufficiale ne pubblicò 1943, senonchè molti protestarono di non aver dato il loro nome, di altri nulla si potè sapere, perchè erano invenzioni; molti erano stati ingannati, molti si ritrattarono saputa la condanna fulminata dalla Chiesa.

                Si erano anche formate in varie città associazioni clerico - scismatiche - liberali - italiane composte di apostati, razzolati qua e là nel fango delle umane miserie. Di esse tutte era stato eletto, il 21 dicembre 1861, Presidente onorario Mons. Michele Caputo, Vescovo d'Ariano, che accettò. Cappellano maggiore di Garibaldi fu l'unico Vescovo ribelle al Papa. Si temeva con fondamento che fosse messo a capo della vagheggiata Chiesa Nazionale, colla celebrazione della messa in lingua italiana e con massime che puzzavano di gnosticismo e di [175] protestantesimo, ma Iddio lo tolse dal mondo il 6 settembre del 1862 e impenitente moriva a Napoli.

                D. Bosco sentendo parlare o di defezioni alla Chiesa di persone autorevoli o di altri pubblici scandali, esclamava, parlando a' suoi discepoli: - Non dovete maravigliarvi di niente; dove sono uomini vi sono miserie. Però la Chiesa non ha nulla a temere e se anche tutti congiurassero per gettarla a terra, vi è sempre lo Spirito Santo per sostenerla.

                Egli però continuava senza mai scoraggiarsi ad avvicinare quegli erranti, nei quali sperava di poter infondere un buon seme di rescipiscenza. E in questo mese di Maggio cercava di attirare a sè per restituirli a Dio due preti ed un secolare. Uno di essi corrispose agli inviti della sua carità, gli altri si convertirono in fin di vita. Le sue preghiere e quelle de' suoi giovanetti non avranno influito alla loro salvezza eterna?

                Il primo fu Passaglia. D. Bonetti così scrive nella sua cronaca:

                “Nel maggio ferveva lo sforzo per indurre il clero a sacrilega ribellione, quando il Professore di Rettorica, signor Dini, già protestante ed ora fervente Cattolico, avendo parlato di D. Bosco col famigerato Passaglia, questi con una delle solite sue frasi ampollose gli disse: - D. Bosco, possiede tutti i carismi dello Spirito Santo. - E aggiunse che sarebbe andato a trovarlo in Valdocco, ma che mandava ad altri tempi la visita, temendo ora di rimaner vinto. Essendo state riferite dal professore queste parole a, D. Bosco, egli fece osservare a' chierici: che per Passaglia era necessario un colpo straordinario della grazia; che le parole degli uomini a nulla valevano con lui, e che essi pregassero il Signore a volerlo ricondurre sul buon sentiero”.

                Tuttavia trattandosi di un'anima di sacerdote che tanto scandalo recava alla Chiesa, come aveva fatto con Grignaschi ed altri, così fece con Passaglia. Cercò di avvicinarlo ed ebbe più colloquii con lui condotti con isquisita prudenza, per non [176] irritarlo. Quel poveretto, conveniva di essere sulla falsa via, ma D. Bosco capì che non si sarebbe indotto a riconoscere pubblicamente il suo torto. Vedutolo avido di lodi e rispettose dimostrazioni di stima, gli fu largo di meritati elogi pel suo Commentario sopra l'Immacolata Concezione, stampato pel 1854, opera dottissima e celeberrima: e incontrandolo anche nelle vie più frequentate della città, gli prestava pubblicamente ossequio.

                Eletto deputato al Parlamento, propose ancora una legge che obbligava il clero al giuramento di fedeltà al Re e allo Statuto e di non osteggiare l'unità d'Italia; ma la Camera non le fece buon viso. Dopo non lungo tempo però ridottosi a migliori consigli, ritiratosi a vita privata, dalla sua cattedra di Filosofia morale, più non si pronunziò contro la Chiesa ed i suoi diritti. Compose anche e pubblicò parecchie opere utilissime, come la confutazione della Vita di Gesù dell'empio Renan, e una conferenza contro il divorzio. Con tutto ciò, benchè agitato da vivi rimorsi, non si poteva indurre a formolare una domanda di perdono al Papa. Ma in fine, nel 1887, vedendosi vicino a morire, faceva ampia ritrattazione; e, ricevuti i Sacramenti, con molta pietà, passava di vita il 12 marzo.

                Il secondo fu Nicomede Bianchi, Modenese, il quale dopo aver cospirato contro il suo Sovrano e servito alle sette, era venuto in Torino. Qui ebbe uffici nel Municipio e fu Direttore degli Archivi di Stato.

                “Il 12 maggio alla sera si recitava nell'Oratorio la Commedia latina Minerval, dice la Cronaca: si erano fatti inviti, come altre volte, e il fiore de' professori della città si era certi che sarebbe accorso; ma il tempo fu tutto il giorno noioso per una pioggia dirotta.”

                Aveva pur ricevuto l'invito Nicomede Bianchi e il domani D. - Bosco riceveva il seguente biglietto: [177] PRESIDENZA DEL LICEO DEL CARMINE.

 

                               Reverendissimo Signore,

 

                Il cattivo tempo mi tolse, giovedì 12 dello Stante, il piacere di godere nell'istituto della S. V. Ill.ma un grato trattenimento. Desidero però che Ella abbia i miei più cordiali ringraziamenti per il gentilissimo invito. Colgo questa occasione per professarmi con istima

 

                13 Maggio 1862.

 

Dev.mo Servo

NICOMEDE BIANCHI.

 

                Con questo signore, avverso quanto altri mai agli Istituti religiosi di educazione, ebbe poi D. Bosco più volte in lunghi anni questioni spinose, riguardanti le sue Opere; ma personalmente lo trattò sempre con quella cortesia amorevole che gli procurava tanti amici, anche fra gli avversarii.

                Nicomede Bianchi scrisse la storia della Diplomazia Italiana in Europa ad uso della rivoluzione e antipapale. Collo stesso intento incominciò a scrivere la Storia della Monarchia Piemontese, ma non la potè condurre a termine. Però verso il cadere de' suoi giorni tornò a ravvedimento, frequentò le chiese, e morì cristianamente.

                Il terzo fu un ecclesiastico che D. Bosco ricondusse al seno della Chiesa come lo prova il seguente documento.

 

                Mi credo in dovere di coscienza dare al pubblico questa mia ritrattazione. Illuso dal pastore valdese di Torino abbandonai la Religione cattolica romana e mi aggregai alla sua Chiesa, della quale feci parte come Evangelista. Ma ben ponderati questi punti:

                I°. La nessuna carità cristiana che regna nella Chiesa valdese: e sia prova di ciò la scandalosa disunione che regna tra i due principali pastori di Torino;

                2°. Visto che predicano che anche il battesimo non è di necessità di mezzo alla nostra eterna salvazione, e perciò la Chiesa valdese non sarebbe cristiana;

                3°. Conosciuti tutti gli altri errori che ammettono contro lo stesso santo Evangelo; [178] Intendo di abbandonare detta Babilonia di Chiesa valdese, facendo ritorno alla Chiesa Cattolica Romana, sacrificando alla professione e sostegno della medesima, se farà di bisogno, la vita, le sostanze, l'onore.

                In fede di ciò mi dichiaro

                Torino, li 22 Maggio 1862.

 

Sacerdote ANDREA TARANELLI

Cattolico romano.

 

                GIUSEPPE BARLONI - DINI

                fui presente e testimone.

 

Testimonio per quanto sopra

FEDERICO OREGLIA

Cav. di Santo Stefano.

 

 

CAPO XIX. I viaggi di D. Bosco sono apostolati - Le preghiere mantengono la pace in Roma - La canonizzazione de' martiri Giapponesi - Sacra ordinazione Sacerdotale di D. Cagliero e di D. Francesia: gioia de' giovani: lettura di una composizione memorabile - Discorsi famigliari degli alunni con D. Bosco: dubbio sull'avveramento di una predizione: se in qualche caso debba reputarsi libera la vocazione allo stato ecclesiastico: la strenna della Madonna, il lume misterioso in camerata e conseguenze: misericordie di Dio per chi viene nell'Oratorio: il bene si diffonde fuori della casa: conversione di protestanti: l'Oratorio quanto più si nasconde tanto più va bene - Un ritorno alla Chiesa Cattolica.

 

                ABBIAMO visto negli anni passati assentarsi D. Bosco a quando a quando dall'Oratorio per recarsi in città e paesi del Piemonte e della Lombardia. Da qui innanzi però più frequenti e più lunghe dovranno essere le sue peregrinazioni, ma sempre chiamato dagli interessi della gloria di Dio e della salute delle anime. Egli infatti ovunque si recasse, incontravasi in persone desiderose di confessarsi da lui. Perciò, benchè il Papa gli avesse concessa a voce la facoltà di confessare in ogni luogo del mondo, pure egli aveva creduto bene di chiedere a Roma di poter assolvere dai casi contemplati dalla pagella della Sacra Penitenzieria; e la sua domanda era stata appagata il 3 maggio 1862. In quanto alla facoltà pei casi riservati dai Vescovi, già da tempo, o per richiesta [180] o spontaneamente, molti gliela avevano concessa amplissima o gliela concedevano al primo suo metter piede nelle loro diocesi.

                Mentre D. Bosco pensava alla scelta de' suoi itinerarii, a Roma si preparavano solennissime feste per la Canonizzazione dei Martiri Giapponesi; e la Contessa di Camburzano scriveva da Nizza Marittima a D. Bosco il 4 giugno.

                “Voi avete fatto certamente un grande sacrifizio, signor Abate, non andando a Roma; ma le vostre ferventi preghiere e quelle de' vostri fanciulli contribuiscono senza alcun dubbio alla pace che gode la Santa Città, e a questo primo trionfo della Chiesa. È impossibile non riconoscerlo in questa imponente riunione di Vescovi, di preti, e di fedeli; e a noi sembra un pegno di quella vittoria del Papato che affrettiamo con tutti i nostri voti”.

                La canonizzazione si celebrò l'8 giugno, essendo presenti 43 Cardinali, 5 Patriarchi e Primati, 52 Arcivescovi e 168 Vescovi. Mancavano tutti i Vescovi italiani, avendo loro proibito il Governo di recarsi presso il Papa. Essi però con lettere ed indirizzi protestarono la loro fedeltà, ossequio, ed affetto alla Cattedra di Pietro. Nello stesso tempo manifestavano quanto fosse amareggiato il loro cuore nell'essere stata chiusa ad essi la via di prostrarsi al cospetto del Vicario di Gesù. Cristo.

                Alla gioia che D. Bosco provò per le feste di Roma e per le nuove glorie della Chiesa Cattolica, un'altra se ne aggiunse da lui egualmente sentita per un avvenimento sospirato e domestico dell'Oratorio. Il 14 giugno, sabato delle quattro tempora, venivano ordinati sacerdoti da Mons. Balma tre suoi Diaconi, D. Fusero Bartolomeo, D. Cagliero Giovanni, D. Francesia Giovanni Battista. Questi lesse al Vescovo, per ringraziarlo, un componimento a nome degli ordinati, religiosi o ascritti alla diocesi, i quali lo avevano pregato di esprimere i loro sentimenti. In queste occasioni toccava sempre ad un salesiano tale incarico, poichè dicevasi essere i figli di D. Bosco fatti per la letteratura. [181] Il domani, mentre D. Fusero celebrava la prima messa in Caramagna sua patria, D. Francesia e D. Cagliero con giubilo di tutta la Comunità celebravano nell'Oratorio, il primo quella della Comunione generale, il secondo la cantata in musica.

                Nel dopo pranzo vi fu accademia sotto i portici in loro onore. Musiche, canti, componimenti in poesia ed in prosa, applausi frenetici resero testimonianza dell'affetto e della stima degli alunni per i neo - sacerdoti. IL Chierico Berruti, ora Vescovo di Vigevano, incominciò il suo complimento col testo d'Isaia. Dedi te in lucem gentium ut portes nomen meum usque ad fines terrae. Fu un presagio del futuro, fondato però sopra lo zelo attivo di D. Cagliero e sulla preminenza che aveva sempre tenuta fra i compagni. Fin da quando era studente si era acquistato talmente il loro affetto e la loro confidenza, che alla sera data la buona notte a D. Bosco, passavano ad augurarla anche a lui.

                Dopo le funzioni dei vespri, D. Bosco in tempo di ricreazione fu circondato da un numero di giovanetti, da chierici e da preti. Abbiamo già fatto cenno altrove dei dialogi famigliari e interessanti, che si svolgevano in queste circostanze. Gli alunni avevano sempre domande da fare e si succedevano non già con un nesso logico, ma sibbene secondo le idee che frullavano in testa di chi interrogava; e talvolta da lungo tempo meditate, aspettando l'occasione opportuna per esporle al Servo di Dio. Queste erano una prova che non dimenticavano nessuna delle sue parole, sicchè egli parlando non poteva arrischiare ad essere preso in fallo, cosa che d'altra parte la sua stessa coscienza gli avrebbe vietato. Le richieste erano tanto più libere, in quanto che la libertà e la confidenza loro accordata era quella di un padre amantissimo.

                I giovani pertanto, dopo che ebbero parlato della cara festa poc'anzi goduta, incominciarono ad esporre un loro dubbio sopra una predizione di D. Bosco dell'anno passato, poichè erano sicuri dell'avveramento di tutte quelle annunziate in [182] questo anno. Quindi gettarono un motto, rinnovando la domanda fatta il 10 settembre 1861.

                La Cronaca di D. Ruffino ci narra per esteso la svariata conversazione.

                “Uno dei giovani interrogò D. Bosco: - Si ricorda quanto lei disse l'anno scorso il giorno 3 del mese di giugno nell'occasione dell'esercizio di buona morte, cioè che uno di noi non l'avrebbe più fatto un'altra volta? Or bene; come si è avverato il suo annunzio?.... Noi non ce ne siamo accorti!

                D. Bosco rispose: - L'esercizio della buona morte - quel tale non l'ha fatto. Io non ebbi più notizie di lui, ma sto a vedere dove egli andrà a, terminare. Ti dirà poi tutto.

                Così egli parlò con serietà; ma concluse scherzando e sorridendo: - E se anche non si avverasse che importa?

                Risero i giovani, divagarono in altri discorsi, finchè uno de' più adulti chiese: - Mi permette D. Bosco?

                - Parla pure.

                - Giudicando secondo la nostra corta intelligenza, pare che talora la scelta della nostra vocazione non sia del tutto libera, o almeno non senza morale costringimento: per es.: il suo nipote Luigi non si sentì chiamato allo stato Ecclesiastico e fu costretto a lavorare la terra, mentre non gli fu lasciata libera nessuna strada per altra carriera. Un secondo esempio: quando Rigamonti andò a casa, dicendo che non si sentiva chiamato allo stato Ecclesiastico, i suoi parenti gli risposero: - Bene; se è così, ti metterai a lavorare con noi. - Venuta questa decisione a sua notizia lei approvolla, dicendo: - Essere questo il vero modo di fare.

                D. Bosco ascoltò; poi rispose: L'elezione dello stato qui nella casa è pienamente libera, e senza tutti i necessarii requisiti, per esempio, nessuno è ammesso a vestire l'abito clericale. Chi fu vestito di questo ha un segno di vocazione; ma chi non è chiamato a questo stato nei tempi miserabili in cui viviamo, io giudico assai meglio che lavori la terra. Per quello [183] che spetta agli esempi addotti, a Bosco Luigi furono date le norme intorno all'elezione dello stato; finito l'anno di rettorica disse che non sentivasi di farsi prete, andò a casa, fu messo a lavorare la terra, ma nemmeno allora seppe decidere quale carriera più aggradisse. Rigamonti poi ha i suoi parenti contadini: questo è da badare; perchè se fosse un giovane nato di civil condizione, non sarebbe conveniente il metterlo a lavorare la campagna; ma uno stato tolto dai campi e mandato allo studio per vedere se il Signore lo chiamasse, posto che non corrisponda, non gli si fa torto, ed è meglio per lui, rimandandolo a lavorare la terra.

                La memoria e il frutto della strenna data al principio dell'anno durava ancora, e un altro allievo, come D. Bosco ebbe finito di parlare, gli disse: - Intorno alla strenna non si può proprio sapere nulla di più di quello che ci disse? Vuole proprio seppellire tutto? Dica qualche cosa a me!

                D. Bosco rispose: - Tutto quello che era necessario alla maggior gloria di Dio si è già detto; se non fossi io compromesso direi qualche cosa, ma siccome sono cose personali non conviene dirle.

                - Dica almeno: il fatto del lume ha connessione colla strenna?

                - Ma!... può essere.... Il fatto sta che la Madonna vuole la casa pulita e perciò dopo il Natale quasi 20 giovani partirono dall'Oratorio senza essere mandati. Quel Batt….. era proprio una spina per la casa; sventuratamente esistevano motivi per non poterlo mandar via: aveva la protezione del Conte X. e il suo stato era un serio impedimento, perchè espulso sarebbesi trovato in mezzo alla strada. Tutto ciò non mi lasciava prendere la determinazione di allontanarlo, quantunque col suo esempio facesse male agli altri, e fingesse continuamente. Ebbene: avvenne che andò via da se...Vi sono poi certi uni cui nulla valse quanto si fece e si disse in tutto l'anno scorso; ammonizioni pubbliche e private; tutto [184] fu nulla. Ma furono vinti da que' biglietti della strenna ed indotti ad aggiustare la loro coscienza.

                - Bisogna confessarlo, esclamò un giovane: quante grazie fa il Signore a chi viene accolto in questa casa.

                - C'è proprio da ringraziare la misericordia di Dio. Conoscevate il giovane Delma...! Poco tempo fa venne in casa. Io ero già stato prevenuto intorno alla sua passata condotta; tale qual si può immaginare di uno, che erasi arruolato ed aveva militato sotto Garibaldi. Giunto qui si aggirava di qua e di là, stava all'erta guardando se era spiato, pensava con chi avesse potuto parlare a fidanza, ma dapertutto trovava aria e terreno a lui non confacente. Da ogni parte si vedeva osservato. Finalmente venne una sera a visitarmi. Io gli domandai:

                - Come ti chiami?

                Ed egli: - Delma....

                - Come ti chiami?

                - Delma .....

                - Come ti chiami?

                - Delma...

                - Io chi sono?

                - D. Bosco!

                - Io chi sono?

                - D. Bosco!

                - Ripeti ancora una volta: io chi sono?

                - Lei non è D. Bosco?

                - Sai perchè ti faccio ripetere tre volte queste parole? Perchè tre sono le parole che ti dice il Signore: cioè: lascia il peccato; aggiusta gli imbrogli di tua coscienza; datti a Dio che è tempo. A rivederci.

                Delma se ne partì tutto turbato, andò a dormire e passò tutto l'indomani sopra questi pensieri, che io gli aveva espressi. Alla sera me lo veggo giungere in mia camera tutto fuori di sè. Io credevo al primo vederlo che avesse altercato [185] con qualcuno, ma egli piangendo, mi disse: - D. Bosco io sono nelle sue mani; mi aiuti a salvarmi l'anima.

                - Ma il bene non si ferma nella casa, osservò un altro giovane: e le Letture Cattoliche?.... e i protestanti convertiti?....

                - Oh sì. E avrei bisogno di un po' di tempo libero dalle cure della casa per lavorare intorno ai Protestanti. Vi è tra essi un grande movimento verso il Cattolicismo. L'altro giorno ricevei un biglietto da uno dei loro capi, in cui mi si diceva che egli da diciotto anni aveva abbandonata la vera Chiesa e che ora voleva fare la sua confessione. Sabato debbo portarmi a trovarne un altro per questo stesso motivo. Saranno forse una ventina che faranno la loro abiura insieme.

                - A questo modo l'Oratorio acquisterà un bel nome, saltò su a dire un piccolino, quando si sapranno tutte queste cose.

                - Ho conosciuto, rispose D. Bosco, che quanto più l'Oratorio sta nascosto, tanto più va bene. Spesso ci sono cose, le quali, pubblicate, paiono promuovere la gloria di Dio, ma poscia vedo che tornano a danno”.

                Così finiva questa conversazione, che ci lasciò anche memoria dell'opera di D. Bosco per la conversione degli eretici. Di uno di questi, ecco l'abiura.

                “Io sottoscritto avendo conosciuto che era caduto in una Chiesa d'orrore e di superstizione, ben diversa dalla Santa Madre Chiesa nella quale era stato educato da' miei genitori, tanto io, come tutta la mia famiglia, siamo pronti: prima di chiedere di cuore perdono a Dio, perchè ci conceda la sua santa grazia e di poter fare una nuova professione di fede; e poi di osservare i comandamenti della legge di Dio e della Santa Madre Chiesa, di credere tutto ciò che Dio ha rivelato. Perciò proponiamo e promettiamo, mediante la grazia del Signore e di Maria SS. sua Madre, di voler vivere e morire nella Santa Religione Cattolica e Apostolica, nella quale siamo nati e battezzati. Quindi vogliamo sperare che Lei (D. Bosco) ci raccomanderà nelle sue preghiere e nella S. Messa a Dio, perchè ci abbia misericordia, perdonandoci i nostri peccati commessi coll'abbandonare la sua Chiesa. Per ciò crediamo e confidiamo nella bontà del Signore di essere ancora accettati nel grembo della sua Chiesa, nella riunione de' suoi fedeli.

                Mi affermo

 

ROVEDA GIOVANNI.

 

 

CAPO XX. Commedia latina Capitolo della Pia Società ed accettazione di socii - L'Onomastico di D. Bosco: gli omaggi più graditi: una lettera affettuosa fatta scrivere da D. Bosco ad un alunno infermiccio a casa in risposta ai suoi augurii - Parlate di D. Bosco alla sera: riprensione fruttuosa ad un bestemmiatore: uno schernitore della sorella gravemente inferma Perchè si confessa, punito con misericordia dal Signore - La festa di S. Luigi: la divozione alla Madonna che ricompensa chi tiene una lampada accesa in suo onore - Avvisi ai sacerdoti: premunire i giovani dai pericoli che li attendono ad una certa età: come regolarsi coi recidivi e cogli scandalosi: penitenze medicinali: chiedere a Dio la grazia per riuscire a salvar le anime col sacro ministero: confessioni sacrileghe - Previsioni di D. Bosco manifestato al Papa Garibaldi e Aspromonte.

 

                IN que' giorni mentre si compievano nell'Oratorio le sei domeniche in onore di S. Luigi Gonzaga, si dava principio con molta divozione alla novena che precedeva la festa dell'angelico giovane. Questa si celebrava il 29 giugno, perchè vi fosse un certo lasso di tempo da quella di S. Giovanni Battista.

                Tuttavia non volendo D. Bosco che passasse inosservato il giorno 21, raccomandò ai giovani nella sera precedente la [187] santa comunione per il domani con tanto calore, che riuscì quasi generale.

                Pel dopo pranzo era preparata la recita di una commedia latina e intervennero alla rappresentazione molti esimii letterati della città.

                L'invito era scritto da D. Francesia[14].

                La domenica terzo giorno della novena di S. Luigi, succedeva un altra modesta, ma sempre cara radunanza. Si legge nei verbali del Capitolo:

 

                Li 22 Giugno 1862 il Sig. D. Bosco Rettore, radunato il Capitolo, dopo la solita preghiera allo Spirito Santo, propose all'accettazione i due giovani studenti, Cagliero Giuseppe di Castelnuovo figlio di Giacomo e Peracchio Luigi di Vignale figlio di Giovanni. Ambedue ebbero i voti favorevoli e furono ricevuti nella Società.

 

                Il giorno dopo alla sera, vigilia della festa di S. Giovanni Battista, si celebrava il fausto onomastico di D. Bosco. Così descrisse l'Avvocato Comm. Carlo Bianchetti questo lietissimo annuale avvenimento, nel suo discorso pronunziato nella solenne commemorazione di D. Bosco, il 24 giugno 1903.

                “Oh ci pare ancora vederlo il venerato e venerando D. Giovanni! Il fabbricato interno era tutto pavesato; iscrizioni, [188] bandiere, banderuole, nastri, lumi e lumicini multicolori attestavano la gioia comune. Qua e là si affollavano i sacerdoti, gli studenti, gli artigiani interni, poi si aggiungevano i benefattori, i cooperatori, gli amici e gran codazzo di curiosi. Era un dolce sussurro, un bisbiglio, una letizia universale. Tutto ad un tratto giù uno scroscio di musica, con trombe e tromboni, timpani e tamburi, segnanti l'apparizione del caro festeggiato, tutto umile e quasi mortificato. Allora scoppiavano battimani! erano salve di gioia, evviva, cappelli e fazzoletti agitati per l'aria già elettrizzata; seguiva un discorso, indi nuovi battimani; poi un dialogo; indi battimani, poi una poesia, indi altri battimani; poi una nuova musica e replicati battimani.... E D. Bosco era là, dimesso, , confuso, raggiante di modestia e di grazia; sorridente a tutti, quasi oppresso dalla soverchia dimostrazione. E non sapeva chè dire; tentennava il capo, guardava come trasognato a diritta e sinistra, sorrideva, salutava, ringraziava; infine metteva insieme due parole appropriate per assicurare tutti e ciascuno che quella festa gli era andata fino al cuore, e che non sapeva come dimostrare la sua riconoscenza”.

                Il giorno 24 tra i doni degli alunni e de' benefattori il più gradito a D. Bosco fu l'attestato del Seminario sull'esito degli esami finali de' suoi chierici, parte salesiani, parte stati a lui confidati da varie diocesi. Ventitre erano studenti di Teologia, ventinove di Filosofia, e a lui presentarono 10 egregie, 9 peroptime, 18 optime, 4 fere optime, e 7 bene. Un solo aveva meritato un medie e questi non era salesiano. D. Cagliero Giovanni gli aveva preparato, per segno d'omaggio, quella sua famosa messa funebre, che ancora oggigiorno viene stimata un gioiello di fede e di armonia.

                Non è a dire quanto rimanesse commosso D. Bosco a que' segni di riconoscenza e di affetto che gli davano i suoi cari alunni e una prova di questo è una lettera che egli faceva scrivere (28 Giugno 1862) dal Chierico Jarac Luigi al giovane [189] Rostagno Severino[15]. Questo buon figliuolo, già altre volte nominato, moriva a Pinerolo, il 12 marzo 1863.

                Intanto procedendo la novena di S. Luigi al suo termine, Don Bosco aveva ogni sera un bel racconto da interessare i giovani. Il 25 giugno, scrive D. Bonetti, ei diceva:

 

                Un giorno viaggiando in vettura mi trovava seduto vicino al vetturino, che sovente profanava il Nome santo di Gesù Cristo. Io lo avvisai più volte con molta grazia che non volesse in tal modo profanare questo augusto Nome. Quel disgraziato ripeteva di non essere capace di astenersi dalla bestemmia, perchè la lunga abitudine lo spingeva a ciò. Allora io gli promisi di dargli una pezza da otto soldi (una mutta) se si fosse astenuto dal proferire tali parole fino a Torino. Farà la prova; - disse il vetturino; e si mise di proposito. A quando a quando gli usciva di bocca la prima sillaba di quel Nome, ma tosto accorgendosi troncava la parola a metà; e tanto fece che giunse a Torino senza che gli fosse mai sfuggita quella bestemmia. Allora io dandogli la moneta promessagli, gli dissi: - Veda un poco; per guadagnare otto soldi ha potuto astenersi dal bestemmiare; perchè adunque non farà altrettanto per guadagnarsi il paradiso? Qual conto non dovrà rendere al Signore se non si emenda da questo vizio! [190]

                Queste parole produssero un tale effetto nel cuore di quell'uomo, che dopo qualche tempo venne nell'Oratorio a confessarsi.

                Le abitudini cattive si ponno vincere da chi si mette alla prova con buona volontà.

 

                Il giovedì 26 giugno alla sera, nota Ruffino nella cronaca D. Bosco raccontava il seguente fatto:

 

                Sul principio di questo mese fui chiamato ad assistere un'inferma. Nel mentre che ella faceva la sua confessione, entra in casa il fratello, il quale pur troppo non aveva molta religione. Sentii che nell'altra camera si cercava di trattenerlo, finchè sua sorella si fosse confessata; ma egli non ne volle sapere. - E ci fosse anche l'Imperatore che importa a me? - e così dicendo entrò nella stanza ove giaceva la sorella; e, visto me, prese a motteggiarla, perchè si rompesse la testa colla malattia addosso. Ma la sorella lo pregava di lasciarla aggiustare le partite della sua coscienza. - L'hai fatto venir tu? - Sì, son io che l'ho cercato, mi sento vicina all'eternità, desidero terminare i miei conti. - L'altro brontolando e dicendo tutto quel che gli veniva in capo contro i preti e contro la religione, lasciò che la sorella terminasse di confessarsi. Dopo io m'alzai, e quando fui nell'altra camera, quel disgraziato mi disse: - Se vengo malato io spero che non le darà anto disturbo!

                 - Fortunato te, esclamò dall'altra stanza la sorella che aveva sentito, fortunato te, se il Signore ti farà la grazia di morire con un prete accanto al letto. Pregalo che non ti avvenga di averne bisogno e di non poterlo trovare.

                Questo si passava, credo, il 31 di Maggio in sabbato. La Domenica appresso quel fratello parte per un paese lontano. Là giunto, alla sera lo prende una gran febbre che lo mise in pericolo di vita.

                In quel punto si pose a gridare che gli si cercasse un prete, che il male lo strozzava, che si sentiva nell'inferno. Venne il Prevosto del luogo, lo confortò, lo confessò e quando stette per andarsene, l'altro il trattenne scongiurandolo che per carità nol lasciasse in mezzo alle fiamme ed ai demoni.

                Al lunedì sera egli era cadavere. Quel che lascia credere che Iddio gli abbia usata misericordia sono i sentimenti con cui spirò. - Predichi, egli diceva al Prevosto, predichi dappertutto questo fatto. L'altra sera appena, io beffava mia sorella che aveva voluto chiedere un prete per confessarsi; ella mi avvertì di non prendere a giuoco la cosa, perchè avrebbe potuto darsi che io dovessi morirmene desiderando un prete senza poter avermelo accanto. Il Signore non volle così; mi ha usata misericordia. Predichi che si burlino pure di tutto, ma per carità non si burlino di nessuna cosa che riguardi la religione. [191] Il Prevosto scrisse l'accaduto alla sorella ed ella quest'oggi mi fece vedere quella lettera. E anch'io: - Guardatevi di beffare o di parlar male di tutto ciò che riguarda al culto di Dio. Non criticate il contegno, la frequenza ai Sacramenti, la lontananza dai compagni dissipati che scorgerete nei vostri compagni buoni; tutte queste beffe s'attirano la maledizione di Dio.

 

                Il 29 si celebrava dai giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales la Festa di S. Luigi Gonzaga. Al benemerito loro Priore il sig. Trivella Giovanni era dedicato un sonetto che si conserva ne' nostri archivi. Secondo l'usanza, che mai s'interruppe, si fece la processione e si accesero i fuochi artifiziali.

                Alla sera, ripiglia D. Ruffino, D. Bosco dopo aver parlato della divozione di S. Luigi per la Madonna, delle grazie da lui ottenute senza numero da questa buona madre, e di quelle che stanno preparate anche per i giovani, se sapranno domandarle con fede, uscì in queste parole:

 

                 - Ieri mi raccontarono questo fatto. Una buona madre di famiglia era travagliata da una infermità Fece pertanto promessa alla Madonna di accenderle ogni sabato una lampada e di consumarvi lui soldo di olio, se la liberasse dai suoi dolori. Infatti guarì. Il marito non vedeva molto  di buon occhio quella spesa: tant'è che sabbato scorso si pose a darle la baia, dicendo: - Beh! adesso che hai sprecato quel soldo di olio, te lo restituirà la Madonna? - E l'altra: - Ebbene si! Vedi, son dieci mesi che io accendo ogni sabato questo, lumicino e non soli mai più stata inferma, e credo che fra il medico che più non ebbe a visitarmi, le medicine che più non ebbi a comperare, il tempo che non dovetti più perdere in letto, la Madonna mi abbia ripagata beli ad usura del soldo che consumo per Lei ogni settimana. - Va là che hai ragione! - esclamò il marito. Ed egli stesso mi raccontò ieri quel suo diverbio, dicendomi: - Son contento che mia moglie mi abbia data quella risposta; me la meritava proprio; ed ora manifesto e glorifico la protezione di Maria.

                Questo ci deve essere di stimolo a confidare nella Madonna e a non pensare di non essere esauditi, perchè non ci avvengono le cose, come desideriamo Altrimenti faremo come quel marito che aspettava che la Madonna rendesse il soldo alla moglie e non vedeva che la Madonna glielo restituiva a cento doppi, preservandola dal medico e dalle medicine. [192] Così col nome della Madonna terminava la Festa di S. Luigi, poichè D. Bosco voleva che di Lei fossero degni i suoi figliuoli; e a questo fine s'intratteneva non di rado anche co' suoi preti. La Cronaca di D. Bonetti espone qualche consiglio dato ad essi:

                “30 giugno 1862. - Bisogna premunire i giovani per quando avranno 17, o 18 anni. Dir loro: - Guarda verrà un'età molto pericolosa per te; il demonio ti prepara lacci per farti cadere. In primo luogo ti dirà che la comunione frequente è cosa da piccoli e non da grandi, che basta andarvi di raro. E poi farà di tutto per trarti lontano dalle prediche e metterti noia della parola di Dio. Ti farà credere che certe cose non sono peccato. Infine i compagni, il rispetto umano, le letture, le passioni ecc. ecc. Sta all'erta! Non permettere che il demonio ti rubi quella pace, quel candore di anima che ora ti rende amico di Dio! - I giovani non dimenticano queste parole! Quando poi fatti grandi e usciti nel mondo noi gli incontreremo, diremo loro: - Ti ricordi quello che io ti diceva una volta?

                - Ah! è vero! - rispondono. E questa reminiscenza farà del bene”.

                “Alcun tempo prima radunati i confessori della Casa, loro raccomandò molta cautela nell'interrogare i ragazzi sulle cose lubriche, per non insegnar loro quello che non sanno; di non privare dell'assoluzione neppure i recidivi ed abituati se mostrano qualche disposizione ad emendarsi, ma di negare l'assoluzione o la comunione qualora questo mezzo serva a scuoterli e farli ravvedere; di usare molta severità ed anche negare l'assoluzione al complice agente, e in questo di essere tutti d'accordo, per impedire ai lupi di menare strage nel gregge; di ingiungere al complice vittima o sedotto, di palesare ai superiori il lupo od i lupi, in quel modo che la prudenza suggerirà per impedire l'offesa di Dio e lo scandalo e la rovina degli altri. Suggerì due avvertenze: che loro non rincrescesse di impiegare [193] il tempo necessario per disporre con zelo i penitenti che non fossero disposti: che riflettessero sullo stato spaventoso di un anima che stia anche un'ora sola in peccato mortale. In fine raccomandò ai confessori di non dar penitenze leggere per peccati gravi, ma fissarne qualcuna adattata a guarire il male ed a prevenirlo. Per es. qualche meditazione che si trova nel Giovane Provveduto, per ciascun giorno della settimana; o qualche altra considerazione, come l'esercizio di buona morte; o pratica di pietà, come sarebbe la Via Crucis, la visita al SS. Sacramento, la Corona di Maria Addolorata ecc., ecc., che si trovano esposte nel medesimo libro. Si cerchi insomma di fermare il loro spirito su qualche punto o verità ivi contenuta. Così le penitenze torneranno proficue.”

                “Nella prima settimana di luglio, intrattenendosi di bel nuovo co' suoi preti, raccomandava loro una grande carità e pazienza nel confessare i fanciulli per non perdere la loro confidenza; e nello stesso tempo assicuravali come la prudenza necessaria e l'efficacia della parola per rendersi padroni dei cuori, erano doni del Signore, e che bisognava ottenerli con molte preghiere, con perfetta purità d'intenzione ed anche con atti di penitenza e di sacrifizio, come fanno i confessori zelanti. Quindi venne a parlare delle confessioni sacrileghe dei giovani, cagionate specialmente dal tacere a bella posta cose che dovrebbero assolutamente palesarsi; e raccontava un fatto accaduto a lui stesso: Una notte sognai e vidi nel sogno un giovane che aveva il cuore rosicchiato dai vermi, che egli colla mano strappava e gettava via. Non diedi retta al sogno. Ma ecco che la notte seguente vidi il medesimo giovane, il quale aveva accanto un grosso cane che gli mordeva il cuore. Non dubitai più che il Signore avesse qualche grazia speciale per quel giovane e che il poveretto avesse qualche pasticcio sulla coscienza. Perciò lo teneva d'occhio. Un giorno lo presi alle strette e gli dissi: - Vuoi farmi un piacere?

                - Sì, sì; purch'io possa. [194]

                - Se vuoi, puoi farmelo.

                - Ebbene domandi pure che io glielo farò.

                - Ma sicuramente?

                - Sicuramente!

                - Dimmi: non hai mai taciuto niente in confessione?

                Egli voleva negare, ma subito gli dissi: - Ma questa è quell'altra cosa perchè non la confessi? - Allora mi guardò in faccia e si mise a piangere e rispose: - Ha ragione: sono due anni che voglio confessarla e da una volta all'altra non ho mai osato! - Allora gli feci coraggio e gli dissi quello che doveva fare per mettersi in pace con Dio.”

                Così D. Bosco mentre porgeva saggi avvisi ai suoi coadiutori, perchè riuscissero nell'arte difficile di salvare le anime, ed era continuamente intento a formare dei suoi giovani altrettanti figliuoli di Dio, si addensava una nuova tempesta contro la nave di Pietro.

                Nel marzo del 1861, narra la cronaca, D. Bosco aveva scritto a Pio IX, che sarà una grazia speciale della Madonna se non dovrà abbandonare Roma. E d ecco nel 1862, il 28 giugno, Garibaldi, partito per Caprera, sbarcava a Palermo, accolto dalla plebe con un turbine di clamori. 1 suoi discorsi erano stomachevoli per empietà quando riguardavano la religione e il Papa. Egli contando anche sulle promesse del Governo inglese, giurava che fra poco, presto presto muoverebbe al riscatto di Roma. Il Governo italiano, che pareva fargli opposizione, gli spediva di soppiatto navi cariche di armi e di munizioni.. Da Londra aveva ricevuto un sussidio di tre milioni, un milione da Torino. Da ogni parte d'Italia accorrevano lui giovani e venturieri assoldati.

                Intanto i battaglioni dell'esercito regio attraversavano la Toscana appressandosi ai confini delle provincie rimaste al Pontefice, per entrare in Roma onde reprimere i preveduti eccessi dei Garibaldini, se questi fossero riusciti a penetrarvi, e rimanervi come padroni. [195]

                Ma Garibaldi accompagnato dai precipui Capi della setta mazziniana, aveva fatto conto di valersi della connivenza del Governo e del suo danaro, per soppiantare primo di tutti lui medesimo e poscia acquistare a sè e al partito repubblicano l'Italia, Roma e ogni cosa.

                A Palermo gli applausi frenetici de' suoi aderenti gli fecero girare il cervello e, perduto ogni ritegno, finì con prorompere più volte in furiose contumelie contro ]'Imperatore dei francesi, perchè occupava Roma. Gravissima commozione eccitarono tali esorbitanze a Parigi e a Torino, sicchè i Ministri del Re con molta fretta riprovarono quelle fiere parole. E fu giocoforza che invitassero Garibaldi a deporre le armi, mentre Vittorio Emanuele con un suo proclama lo dichiarava ribelle.

                Allora i mazziniani, che in Sicilia incominciavano ad avere un deciso sopravvento, si preparavano ad insorgere, se il governo si fosse opposto alla marcia di Garibaldi. E questi con 500 volontarii si muoveva verso l'interno dell'isola, visitando le popolazioni per commuoverle con discorsi violenti contro il Papa e col grido continuamente ripetuto: Roma è nostra! O Roma, o morte! E nelle città di terra ferma le plebi prezzolate ripetevano tumultuosamente questo grido, per far credere al mondo che tale fosse il voto di tutta la nazione. Si cercava di mettere Napoleone nella necessità morale di abbandonare Roma alla mercè dei rivoluzionarii. Intanto le truppe regolari, con l'ordine di evitare ogni scontro, fingevano di inseguire Garibaldi, il quale, accolto però con ogni sorta di onori da rappresentanti del Governo e dai Municipii, il giorno 18 agosto giungeva a Catania. Quivi egli assunse il pieno esercizio delle funzioni da Dittatore, e così rivelavasi, il pericolo di un rivolgimento repubblicano contro la monarchia. Allora il Ministero il giorno 20 decretò e pubblicò lo stato d'assedio e il blocco marittimo effettivo di tutta la Sicilia, dandone partecipazione ufficiale ai ministri delle potenze straniere. [196]

                Il 25 agosto Garibaldi potè sbarcare in Calabria con 2000 uomini, perchè la flotta, che manovrava nello stretto, col pretesto di dover impedire quello sbarco, aveva consegna di lasciarlo passare. Egli aveva pubblicato un bando col quale protestava di voler ubbidire al Re, ma non ad un ministero che tradiva la nazione; essere egli risoluto o di entrare vincitore in Roma, o a morire sotto le sue mura.

                Il Generale La Marmora, avuto di ciò notizia, rinforzate le guarnigioni di molte migliaia di soldati, bandì lo stato d'assedio in tutte le provincie del Napoletano, eseguendo gli ordini ricevuti da Torino.

                Si era venuto in chiaro come Napoleone, non volendo inimicarsi i cattolici francesi, del favore dei quali aveva bisogno per le nuove elezioni del 1863, assicurasse il Papa che egli non avrebbe permesso mai che si toccasse l'attuale Stato della Chiesa; avesse dato ordine al generale Montebello Comandante dei Francesi in Roma, di unire i suoi soldati ai Zuavi Pontificii per ributtare ogni assalto. Continuar dunque l'impresa era lo stesso che mandare a precipizio ogni cosa e d'altra parte si aveva la certezza che Garibaldi non avrebbe desistito dal suo proposito. Perciò si decise di abbarrare quel torrente minaccioso.

                Ma Garibaldi non persuaso che il Governo facesse davvero, rassicurato da lettera in cifra scambiata col Re, come egli andava dicendo; illuso dalla speranza che i battaglioni Francesi si sarebbero dileguati da Roma; fiducioso sulla promessa del Comitato d'azione, che cioè avrebbe commosso Roma e che gli sarebbe venuto incontro col popolo, si mise co' suoi in marcia verso Reggio. Ma qui trovate le truppe pronte a respingerlo, prendeva le montagne e il 29 agosto assalito ad Aspromonte da alcuni battaglioni di linea e di bersaglieri, dopo breve fucilata, ferito gravemente al collo del piede, era condotto prigioniero alla Spezia. Trattato con ogni attenzione, guarito, messo in libertà da un'amnistia, ritornava a Caprera. [197] Così il sopravvento minaccioso che aveva preso il partito mazziniano e repubblicano, qualche monito di Napoleone offeso, il bisogno che aveva il Governo del Re di mostrarsi forte nel reprimere quelle esorbitanze e coprire la sua complicità, furono le cause per le quali Roma allora fu salva.

 

 

CAPO XXI. Lotteria 1862 - Note e Documenti. Si riprende la lotteria - Incoraggiamenti: L'Armonia: lettere del Vescovo d'Iglesias e de' Cardinali   Vannicelli e Marini - Doni del Papa - Circolare di D. Bosco che dà spiegazione de' biglietti rossi della lotteria - Richiesta al Prefetto del permesso di aprire l'esposizione de' premii ed l'aumentare il numero de' biglietti - Decreto favorevole annunzio di questo ai benefattori - Il fascicolo dell'elenco de' premii - Apertura dell'esposizione: visita del Sindaco e sua risposta alle parole di omaggio di un allievo - I benefattori sono invitati a visitare l'esposizione - Il Sindaco raccomanda con circolari i biglietti di lotteria ai Sindaci della Provincia ed a varii Prefetti del regno: spedizioni e recapito alla Prefettura di Torino - Lettere dello stesso con serie di biglietti al Ministro de' Lavori pubblici, dell'Istruzione, della Marina, dell'Interno, e delle Finanze: loro risposte - Lettera di D. Bosco con offerta di biglietti ai principi di casa Savoia e risposte: il Principe Tommaso Duca di Genova; il Principe di Carignano: la Principessa Pia - Il Re Vittorio Emanuele accetta mille biglietti.

 

                LA Lotteria autorizzata in favore dei feriti nella guerra italiana terminava il 18 di giugno e prima di questo giorno D. Bosco non poteva aprire l'esposizione dei premii per la sua.

                Egli però non aveva un istante solo cessato di darle incremento [199] e riceveva continuamente lettere che lo incoraggiavano e lodavano con promesse di aiuto. Fra i più illustri personaggi del patriziato vi fu il Conte Federico Sclopis; e fra i Vescovi quelli di Tortona, Mandovì e Iglesias[16].

                I giornali avevano ripigliato a parlare dell'Opera degli Oratorii e l'Armonia il 28 maggio, riportando i nomi de' membri della Commissione per la lotteria e il prezzo de' biglietti, stampava:

 

                Lotteria per gli Oratorii di D. Bosco. - I nostri lettori non hanno bisogno che loro facciamo conoscere chi sia D. Bosco, e che cosa siano i suoi Oratorii. Si sa che questo degnissimo sacerdote è tutto dedicato a sottrarre dalla miseria e dall'abbandono i poveri ragazzi, che lasciati a sè stessi sarebbero rovinati o per l'anima o pel corpo, o per amendue. D. Bosco per alimentare, alloggiare, vestire parecchie centinaia di giovani non ha altro sussidio che la sua confidenza in Dio e nella carità dei buoni cristiani. Ora egli ottenne la necessaria approvazione per fare una lotteria di oggetti che si esporranno al pubblico nella casa dell'Oratorio in Valdocco di questa Capitale. Una Commissione a questo fine venne nominata….. Siamo certi che questo semplice annunzio procaccierà allo zelante sacerdote una abbondante raccolta di oggetti ed uno spaccio grandissimo di biglietti. [200] Infatti alle lettere di D. Bosco eransi degnati di rispondere due Eminentissimi Cardinali, l'Em.mo Vannicelli Arciv. di Ferrara e l'Em.mo Marini[17]. [201]

                Anche il Sommo Pontefice volle dar segno di approvazione alle intraprese di D. Bosco. L'Armonia ne dava notizia il martedì 24 giugno.

                Pio IX e la lotteria di D. Bosco. - L'animo di Pio IX è quello d'un padre tenerissimo, il quale, sebbene oggidì, come tutti sanno, abbisogni egli stesso di soccorso, non di meno sempre accorre ove si tratti di promuovere qualche opera pia, o di sollevare il poverello. Di fatto come ebbe notizia della lotteria d'oggetti testè aperta in Torino a favore degli Oratorii di San Francesco di Sales, di San Luigi e dell'Angelo Custode, degnossi inviare insieme con paterne espressioni due oggetti al tutto preziosi e per sè e per la mano onde provengono. Son essi due bellissimi cammei, con cornice d'oro squisitamente lavorati sulla schiuma, inclusi in eleganti custodie, e rappresentanti l'uno S. Pietro e S. Paolo l'altro. Anzichè sperare vogliamo credere che la pietà di tanti buoni cattolici, cui verranno lette le nostre parole, avvalorata a sì nobile esempio, si recherà a gloria e vorrà gareggiare in vedersi rappresentata al lato dei doni del Padre comune di tutti i fedeli dividendone così i sentimenti e le opere.

                Intanto essendo nati dei dubbi in molti compratori di biglietti sul valore di questi, D. Bosco scriveva la seguente circolare e la dava alle stampe.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Per impedire alcuni equivoci, che presso taluni sono avvenuti, intorno ai biglietti rossi della Lotteria alla carità di Lei raccomandata, stimo bene dare ai medesimi qualche spiegazione.

                Essi adunque contengono ciascuno la venticinquina, cioè una serie equivalente ai 25 biglietti gialli che a cent. 50 caduno fanno franchi 12, 50, che è l'ammontare di ciascun biglietto di premio assicurato.

                I ventiquattro primi numeri racchiusi nel biglietto rosso hanno l'eventualità di guadagnare o no, siccome tutti gli altri della Lotteria in generale; il venticinquesimo poi, l'ultimo dei 25, ha il premio sicuro. Perciò dopo l'estrazione a chi presenterà un biglietto rosso, gli sarà dato senz'altro, un oggetto più o meno prezioso, secondo che sarà stato favorito dalla sorte.

                In questa stessa occasione le partecipo che è in corso di stampa l'Elenco dei promotori ed il catalogo degli oggetti della Lotteria, che spero poterle fra breve mandare, coll'indicazione del giorno dalla Commissione fissato per la pubblica esposizione degli oggetti.

                Con vera consolazione poi Le noto che gli oggetti già pervenuti alla [202]

                Lotteria sono assai considerevoli e nel numero e nel pregio. La qual cosa ci fa sperare un esito felice della nostra pia impresa.

                In fine se mai V. S. od altri di sua attinenza avessero oggetti destinati per quest'opera di carità, Le farei umile preghiera di farli pervenire al luogo dell'esposizione con quel mezzo che Le tornerà di minore incomodo. In questo modo gli oggetti possono a tempo essere descritti per le opportune incombenze e debitamente collocati nel giorno della pubblica mostra.

                Abbia la bontà di dare benigno compatimento a questo novello disturbo e voglia gradire che Le auguri ogni bene dal Cielo, mentre colla più sentita gratitudine ho l'onore di professarmi.

                Di V. S. Ill.ma

                Torino …..giugno 1862.

 

Obbligatissimo servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Ma ciò che importava in quel momento era la facoltà di aprire l'esposizione de' premii, aumentare lo spaccio de' biglietti e chiedere alcuni favori. D. Bosco a questo fine si rivolgeva alla Prefettura.

 

                               Illustrissimo Sig. Prefetto della Provincia di Torino,

 

                La Commissione instituita a promuovere la Lotteria iniziata a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta nuova, dell'Angelo Custode in Vanchiglia, espone rispettosamente come, pel prorogamento d'un'altra Lotteria dello stesso genere, non potè aver luogo la progettata pubblica esposizione. Ora essendo cessata la difficoltà che si opponeva, spera che V. S. Ill.ma nella nota sua bontà vorrà concedere i seguenti favori:

                I.° Che la pubblica esposizione possa cominciare il giorno 3 luglio prossimo 1862 e duri due mesi.

                2.° Oltre all'emissione dei biglietti già presentati, essendo stati offerti molti altri doni che uniti agli antecedenti montano al N° di 1820, i quali, secondo il prezzo notato in margine dai periti, formerebbero fr. 64, 133, 60 corrispondenti a biglietti 128.268, se ne domanda facoltà per lo smercio.

                3.° Per agevolare lo smercio dei biglietti dandosi l'undecimo gratuito, si avrebbe la diminuizione del decimo sul prezzo degli oggetti, quindi a titolo di speciale favore si supplica di poter accrescere del 10 per % il valore dei doni, che perciò invece di franchi 64, 133, 60 sarebbero lire 70,546 corrispondenti ai biglietti 141.092. In questo modo [203] avrebbesi anche un compenso per le spese che occorrono per la stampa e per l'avviamento della Lotteria.

                4° Siccome nelle lotterie antecedenti (con decreto dell'Intend. Gen. delli 7 marzo 1854) fu permessa la sostituzione del bollo della Commissione a quello a secco delle R. Finanze, così per agevolare le molte incombenze, la Commissione fa umile preghiera per ottenere lo stesso favore.

                La parte favorevole che V. S. Ill.ma ha sempre preso in tutte le cose che riguardano al bene di questi poveri e pericolanti giovanetti, fa sperare alla Commissione che Voglia coadiuvarla a condurre a felice risultato l'opera di beneficenza che a null'altro tende, che a migliorare la parte più bisognosa e più essenziale della umana società.

                Colla più sentita gratitudine

                Torino, 17 giugno 1862.

 

                A nome di tutti i membri della Commissione

 

Il Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                A questa domanda univa un secondo elenco de' premii, dal N.° 384 al 1820, registrati in un quaderno di carte da bollo da 50 cent. colle necessarie perizie[18].

                La richiesta fu accolta favorevolmente.

 

                PREFETTURA

                Torino, addì 9 Luglio 1862

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                Div. 5 ° N.° di prot. 8839 - N° di reg. 309.

 

                Avendo il Ministero delle Finanze approvato, in senso dei disposto dell'artic. 8 del regolamento 4 Marzo 1855, il Decreto di questo ufficio delli 2 Luglio1 col quale viene autorizzata l'esecuzione della [204] progettata Lotteria d’oggetti mobili donati a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales, di San Luigi e dell'Angelo Custode eretti in questa città, il Sottoscritto si pregia di trasmettere il relativo incarto al Signor Sacerdote Bosco Giovanni ad opportuna di lui norma.

Il Prefetto F. PASOLINI. [205]

 

                Ma D. Bosco non aspettò che gli fosse recapitato il decreto ed appena ebbe notizia del suo tenore fece dare alle stampe un'altra circolare.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Partecipo con piacere a V. S. benemerita che gli oggetti destinati per la Lotteria alla carità di Lei raccomandata, secondo la deliberazione presa dai benemeriti signori della Commissione e secondo il decreto della Prefettura di questa città, comincieranno ad esporsi pubblicamente il giorno 3 prossimo luglio.

                Se in quel giorno Ella potesse onorarci della sua presenza ci farebbe un vero favore e servirebbe a dare utile movimento all'Opera che Ella prese a promuovere.

                La sala dell'esposizione rimane ogni giorno aperta al pubblico dalle ore 9 alle 12 del mattino, e dalle 4 e ½  alle 7 di sera.

                Tanto il numero dei doni quanto lo smercio dei biglietti sono molto soddisfacenti; ed Ella pure si unirà con noi a sperare bene, quando ci abbia favoriti di una sua visita personale.

                Se mai tenesse ancora qualche dono destinato a questo scopo, Le fo umile preghiera di farlo pervenire a destinazione per collocarlo in ordine cogli altri per la pubblica mostra.

                Voglia gradire i sentimenti della mia viva gratitudine con cui reputo ad onore di potermi professare

                Di V. S. benemerita

 

                Giugno 1862

Obbligatissimo servitore per la Commissione

Sac. GIOVANNI BOSCO

 

                In questo tempo D. Bosco aveva fatto stampare dal Tipografo Speirani l'elenco degli oggetti ricevuti in dono e posti in lotteria, coi nomi de' donatori. In testa riportavasi l'appello di D. Bosco a tutte le persone di cuore, il piano di regolamento per la lotteria, il nome dei membri della Commissione, l'elenco e l'indirizzo dei promotori e delle promotrici. Era un fascicolo di 104 facciate, e si dava al prezzo di 50 centesimi. Fu pubblicato sul fine di giugno avendo i doni raggiunto il numero di 2430. I doni che sarebbero arrivati ulteriormente dovevano stamparsi in un altro catalogo a parte e furono [206] circa 570. Fra questi vi erano dei candelieri in composizione offerti dai giovani degli Oratorii di S. Luigi e dell'Angelo Custode. Vi furono eziandio oggetti regalati con facoltà di ritenerli ad uso degli Oratorii e non computati tra i premii della, Lotteria. Ai visitatori dell'Esposizione si indicava trovarsi l'Oratorio di S. Francesco di Sales sul fine di Via Cottolengo.

                Il giorno 2 di luglio festa della Visitazione di Maria SS. si inaugurava l'esposizione. Narra l'Armonia del 3 luglio:

 

                Lotteria di D. Bosco. - Ieri, 2 Luglio, alle ore 9 ½ del mattino il marchese Lucerna di Rorà, Sindaco della città di Torino e presidente della Commissione della lotteria a favore degli Oratorii di S. Francese di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e dei S. Angelo Custode in Vanchiglia, unitamente agli altri membri della Commissione andò a ad inaugurare la pubblica esposizione degli oggetti posti in lotteria nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, la quale per due mesi sarà aperta dalle ore 9 alle 12 meridiane e dalle 4 e ½  alle 7 di sera.

 

                Erasi convenuto, narra la cronaca, che in questa circostanza si sarebbe rinnovata una festicciuola d'inaugurazione, essendo così mal riuscita per la neve la prima fatta nel mese di marzo. Il tempo era bellissimo. Il Sindaco fu ricevuto alla, porta da D. Bosco. Come ebbe visitato l'esposizione, la casa, ed i laboratorii sceso sotto i portici trovò i giovani schierati e un seggio preparato per lui. La banda die' fiato agli strumenti e si cantò un inno. Quindi il giovanetto Ramognini si presentò al Sindaco e gli lesse un breve, ma grazioso indirizzo composto, da D. Bosco.

 

                               Illustrissimo Signor Sindaco e benemeriti Signori,

 

                Prima che voi partiate dal nostro umile recinto, Illustrissimo Signor Sindaco e Voi Benemeriti Signori, permettete che io, da parte de' miei amati compagni, vi esprima alcuni sentimenti di gratitudine la più sincera, quale noi tutti sentiamo in cuore in questo fortunatissimo momento. I miei Superiori, tutti questi miei compagni vorrebbero dirvi qualche cosa. Chi vorrebbe ringraziarvi dell'onore fattoci [207] in questo giorno, chi annoverare i benefizii in molte occasioni da voi ricevuti, chi raccomandarsi di continuarci sempre la vostra protezione, la vostra benevolenza. Tutti poi bramerebbero supplicarvi a volervi ognora ricordare di noi; a volerci favorire, assistere e proteggere.

                In mezzo a questo comun desiderio di esprimere gli affetti del cuore, permettete, o Illustrissimo Signor Sindaco, e voi Benemeriti Signori che a nome de' miei venerati Superiori, io raccolga, e vi esponga i pensieri de' miei amati compagni. Sappiano le S. V. che in mezzo alla gioia siamo confusi, perchè la nostra condizione (noi siamo poveri giovanetti) il tempo e il luogo non hanno permesso di farvi la desiderata accoglienza, perciocchè noi avremmo voluto che le strade fossero tutte coperte di tappeti, le mura, ogni angolo della casa fosse inghirlandato di fiori, per significare le belle virtù di cui le S. V. vanno adorne. Questo non abbiam potuto fare non per mancanza di buon volere, che certamente in noi è grande, ma per nostra insufficienza. Solo ci vien dato di potervi offrire questi pochi fiori e con essi intendiamo di offerirvi i più caldi affetti del nostro cuore; a cui aggiungiamo una medaglia di S. Luigi per assicurarvi che noi non mancheremo di invocare ogni giorno dal Cielo le più elette benedizioni sopra di voi, Illustrissimo Signor Sindaco, e sopra di voi, Benemeriti Signori. In mezzo però alla nostra confusione ci consola l'animo il pensiero, che quella bontà, che le S. V. hanno usato venendo fra noi, farà dare benigno compatimento alla pochezza nostra. Di una cosa tuttavia possiamo assicurarvi, ed è che noi riguarderemo mai sempre questo giorno fra i più belli di nostra vita ed ognora benediremo quella pietosa Provvidenza, che si degnò di condurvi qui fra noi.

 

                Il Sindaco ascoltò con visibile compiacenza e quindi volse ai giovani un conciso, ma stupendo discorso. Esso era un valente oratore: parlando di D. Bosco disse: - Egli prepara le feste a - ] i altri, ma chi le merita se non lui? - Egli attribuisce agli altri il merito di queste grandiose imprese, ma non è forse Lui che fa tutto? È largo di elogi agli altri, ma a Chi si debbono tributare se non a lui? Ed io son ben contento di poterlo ringraziare a nome di Torino, che egli benefica con tanta generosità.

                Concludeva dicendo! - Giovani, volete un giorno essere buoni cittadini? Obbedite a D. Bosco! - Inaugurata la lotteria D. Bosco diffondeva un nuovo invito a' suoi benefattori. [208]

 

                               Benemerito Signore,

 

                Per parte della Commissione della Lotteria fo rispettoso invito a V. S. benemerita onde voglia venire a vedere la pubblica esposizione degli oggetti, che durerà nella casa annessa all'Oratorio di San Francesco di Sales fino ai primi giorni di settembre.

                Nella medesima occasione Le partecipo che per dar principio alla sistemazione della contabilità relativa, e più ancora per far fronte ad alcuni urgenti bisogni dell'Opera degli Oratorii, farebbe un vero piacere, anzi vera carità, se si compiacesse di farmi pervenire al più presto possibile l'importo dei biglietti che Ella già potè esitate, con quel mezzo che Le parrà più facile e benevolo fosse anche con vaglia postale.

                Persuaso della esperimentata di Lei sollecitudine nel corrispondere a questo desiderio della Commissione, La ringrazio a nome della medesima ed ho intanto l'onore di protestarmi con perfetta stima.

                Della S. V. Illustrissima

 

Obbligatissimo servitore

Cav. OREGLIA di S. Stefano, Segretario.

 

                Proporzioni collossali aveva preso il lavoro per mandar lettere e biglietti di Lotteria ad ogni ceto di persone non solo in Torino, ma nelle provincie. Il Prefetto ed il Sindaco caldeggiavano l'opera.

                Il Sindaco di Torino mandava una lettera stampata nell'Oratorio ai sindaci di questa Provincia.

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Nella qualità di Presidente della Commissione stabilita per la Lotteria, di cui le unisco programma, mi fo animo di ricorrere a V. S. illustrissima per un'opera di pubblica beneficenza.

                A fine di ultimare questa Lotteria rimanendo ancora biglietti a smerciare, fu risoluto di raccomandarne N°……decine alla, S. V. Illustrissima e per mezzo di Lei ai Signori di questo Municipio. La Commissione si è a ciò deliberata, perchè l'opera cui si vuole beneficare è in particolar modo diretta a favorire i giovanetti dei paesi e delle città di provincia. Noi speriamo buon esito dalla nostra raccomandazione - qualora per altro Ella stimasse di rimandare una parte degli uniti biglietti si prega di volerne fare un piego segnato col bollo Municipale e col semplice indirizzo - All'Ill.mo signor Prefetto della Provincia di Torino. Lo stesso Ella può fare del provento dei biglietti, a meno che Le tornasse di maggior comodità il trasmetterlo a qualcuno [209] dei recapiti notati nel mentovato programma; o meglio ancora se Ella od altri di sua conoscenza volessero servirsi di tale occasione per venire a visitare la pubblica esposizione; sarebbero certamente i benvenuti e verrebbero accolti con vero piacere.

                La pubblica esposizione poi che si trova nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, non ebbe luogo nel tempo notato nel programma, ma potè soltanto cominciare col 3 corrente luglio e durerà due mesi. Per norma della Commissione e pel bene della Lotteria le aggiungo la preghiera, di voler rinviare quei biglietti che non intendesse ritenere entro quindici giorni dalla ricevuta del piego.

                Piena di fiducia nella bontà di Lei, la Commissione le anticipa i dovuti ringraziamenti, intanto che con, gratitudine ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Illustrissima

 

Obbl.mo servitore

March. EMANUELE DI RORÀ .

                Torino, luglio 1862.

 

                Una simile lettera era eziandio fatta spedire da quel nobile signore ai Prefetti delle Provincie degli antichi Stati.

 

                               Illustrissimo Signor Prefetto,

 

                E Governo di S. M. avendo autorizzato testè una Lotteria per un'opera di pubblica beneficenza, di cui Le unisco programma, venne questa affidata ad una apposita Commissione presieduta dal Sindaco di questa Capitale. Animato dalla cortese cooperazione del Governo e segnatamente dal signor Prefetto di Torino, che si assunse l'incarico di recapitare alquante decine di biglietti ai Sindaci della Provincia per parte della Commissione stessa, mi fo pure animo di pregarla di consimile favore pei Sindaci del suo Circondario, affinchè possano godere il beneficio della franchigia postale.

                Tanto io spero dalla di Lei gentilezza, per cui Le acchiudo copia della lettera diretta ai Signori Sindaci. Qualora per altro Ella stimasse di rimandare qualche pacco degli uniti biglietti, Le si farebbe rispettosa preghiera di volerlo indirizzare al signor Prefetto della Provincia di Torino. A nome di tutta la Commissione La ringrazio ce. ecc.

 

                Il Conte Radicati primo consigliere di Prefettura, grande amico di D. Bosco, lo aiutava colla sua influenza e con tutte le sue forze. Aveva messo in Prefettura un impiegato a posta per sbrigare le cose della Lotteria. [210] Anche ai Ministri di Stato il Marchese Rorà scrisse chiedendo che prendessero parte alla Lotteria.

 

A Sua Eccellenza il Ministro de'Lavori Pubblici.

 

Torino, I agosto 1862.

 

                               Eccellenza,

 

                La parte che la S. V. suole prendere nelle opere di pubblica beneficenza, specialmente quando tendono a sollevare la classe più bisognosa del popolo, mi danno animo a fare eziandio ricorso per invitarla a dar mano a compierne una che, come può vedere dall'unito programma, ha il nobile scopo di togliere dalla via del disordine i più pericolanti giovanetti di codesta nostra Capitale per avviarli al lavoro ed alla moralità.

                So che codesto Ministero venne più volte in aiuto di quest'opera, che favorì ogni qual volta si porgeva opportuna occasione; perciò in qualità di presidente ed a nome della Commissione fo umile ma caldo invito alla E. V. di voler largire qualche dipinto o qualsiasi altro dono, che nella conosciuta di Lei filantropia sembrasse beneviso.

                La Casa Reale, S. A. R. il Principe Eugenio e il Principe. Tommaso vi hanno già preso parte generosamente. Nella fiducia che Ella sia pure per annuire a questo invito, Le mando biglietti N. 300 facendole preghiera di volerli ritenere distribuendoli alle varie divisioni di codesto Ministero.

                Pieno di speranza e colla più sentita gratitudine reputo alto onore di potermi professare colla più perfetta stima e rispetto

                Di V. Eccellenza

 

Obb.mo servitore

RORÀ .

 

                Il Ministero dei Lavori Pubblici acquista N. 100 biglietti della lotteria di cui è cenno nella presente e ne restituisce dugento corrispondendo l'importo di quelli acquistati in lire cinquanta, delle quali ne richiede ricevuta.

                Il 18 settembre 1862.

 

D'ordine PAUTRIER.

 

                Anche altri Ministri rispondevano alle lettere del Sindaco. [211]

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE.

                Divis. 1°, Sez. Ia, N° di Posiz. 2. N° del Protoc. Gen. 20540

                               N° di Partenza 3691.

 

Torino, addì II agosto 1862.

 

                Dispiace molto al Sottoscritto che lo stato in che si trova il Bilancio di questo Ministero renda impossibile di fare quanto si vorrebbe, specialmente in servigio di cotesta veramente santa e civile istituzione. Il sottoscritto non può se non ritenere 20 de' biglietti che la S. V. gli mandò e che saranno pagati fra breve al Cassiere dell'Oratorio. Gli altri 130 si restituiscono. Con ciò lo scrivente dichiara alla S. V. la sua singolare considerazione

 

per il Ministro

BRIOSCHI.

 

                MINISTERO DELLA MARINA

                Gabinetto del Ministro

                               N.° 2131.

 

Torino, addì 12 Agosto 1862.

 

                Dei 150 biglietti per la lotteria di cui tratta il foglio di V. S. Ill.ma il corrente, per ragione di economia, questo Ministero non può ritenerne che il solo numero di venti.

                E mentre di questi le spedisce unitamente al presente lo importo in L. 10, le ritorna altresì i rimanenti 30 biglietti.

 

Per il Ministro

Il FF. di Segretario Gen.le MONTANO.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

Torino, addì 21 agosto 1862

                Segretario Generate

 

                Div. 3a, Sez. Ia, N° 15 - 13469] Il sottoscritto nel partecipare alla S. V. che il Ministero ritiene i 600 biglietti della Lotteria per l'Oratorio di S. Francesco di Sales, le fa pure conoscere che furono date le opportune disposizioni perchè ne sia pagato il prezzo di L. 300 con mandato intestato alla S. V. e riscuotibile fra 10 o 12 giorni alla Tesoreria centrale.

 

Pel Ministro

CAPRIOLO [212]

                MINISTERO DELLE FINANZE

                Segretariato Generale                                      Torino, 11 agosto 1862] 3a Div. - Gabinetto e servizio interno

                               N° 22525 - 3893.

 

                Quantunque il sottoscritto desideri il migliore risultato dall'opera di beneficenza a favore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino, che V.S. Ill.ma ha preso a dirigere, pure per le ben note circostanze in cui versa il pubblico erario, è dispiacente non potervi contribuire che in misura assai limitata, mancando fondi all'uopo disponibili. Per conto del Ministero trattengonsi pertanto 100 dei biglietti trasmessi il prezzo dei quali sarà pagato con mandato su questa Tesoreria a favore del cassiere dell'Opera pia suddetta; e nel restituire a V. S. Ill.ma gli altri 200 biglietti, lo scrivente le dichiara altresì che il Ministero delle Finanze, non avendo oggetti da poter offrire per la Lotteria a pro dell'Oratorio summentovato, è nell'impossibilità di concorrere anche in questa maniera allo scopo dal signor Sindaco ideato.

Il Ministro

A. SELLA.

 

                Il Marchese di Rorà aveva scritto ai Ministri come la Casa reale avesse preso parte alla Lotteria dell'Oratorio. Infatti D. Bosco faceva istanza presso i Principi ed otteneva il suo intento. Riferiamo le risposte, ma sono perdute alcune lettere.

 

                CASA DI S. A. R.

                IL PRINC. TOMMASO DI SAVOIA                                                            Torino, addì 25 Giugno 1862

                DUCA DI GENOVA

                                N° 91

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                Concorrendo la Casa di S. A. R. il Principe Tommaso di Savoia Duca di Genova alla Lotteria di beneficenza che la S. V. Molto Rev. apre a favore dell'utilissimo Instituto da Lei fondato, Le trasmetto gl'infrassegnati oggetti per premi e nello stesso tempo La prevengo che si prenderanno trecento biglietti.

                Oggetti per premi: I° Canestro vimini. - 2° Un paio vasi di cristallo. - 3° Un calamaio. - 4° Una statuetta rappresentante S. Vincenzo de' Paoli. - 5° Un servizio tête - à - tête in porcellana. - 6° Un [213] boite a timbre uso Corame. - 7° Un Caché pot monté bronzé et doré.

                Gradisca l'espressione della mia più distinta stima e considerazione.

L'intendente Generale

RANDONE.

 

AL PRINCIPE EUGENIO.

 

                               Altezza,

 

                La Lotteria che Vostra Altezza nella sua grande munificenza favorì di tanti preziosi doni, si trova al suo termine col più soddisfacente risultato. Ma ci rimane ancora una notevole quantità di biglietti a smerciare.

                Lo mi fo animo di raccomandarne un pacco di sessanta decine alla tante volte esperimentata carità di V. A. con preghiera di volerli ritenere a favore di questi poveri giovanetti, che Ella ha già in tante guise beneficati, assicurandola che non saremo già per dimenticare i benefizii ricevuti; ed ogni giorno invocheremo sopra di Lei copiose benedizioni dal cielo.

                Permetta in fine che io abbia l'alto onore di potermi professare con pienezza di riconoscenza,

                Di Vostra Altezza,

                Torino, 20 agosto 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Al Cav. CAMPORA intendente della Casa di Sua A. R. il Principe Eugenio.

 

                La bontà con cui ha favorita la nostra Lotteria, mercè i preziosi doni che S. A. a di Lei intercessione ci inviava, lui fa animo a raccomandarmi per la continuazione de' suoi buoni uffizi presso Sua Altezza medesima, affinchè si degni di accogliere i biglietti uniti.

                I Reali Principi ne mandarono a prendere cento decine, io ne acchiudo qui sessanta. Chi sa che una buona ispirazione di Sua Altezza congiunta ad una buona parola di V. S. Ill.ma non faccia che siano ritenuti?

                Con questa fiducia auguro ogni bene dal cielo a Lei ed a Sua Altezza, mentre con pienezza di stima e di gratitudine mi professo,

                Di V. S. Benemerita,

                Torino, 21 agosto 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI. [214]

                CASA DI S. A. R.

                IL                                                                          Torino, il 29 agosto 1862.

                PRINCIPE DI CARIGNANO.

 

                               Ill.mo e M. Rev.do Signore,

 

                S. A. R. avendo stabilito di prendere N.° 12 decine dei biglietti della lotteria da lei diretta, qui unito ritorno a V. S. Ill.ma il pacco contenente le sessanta da Lei trasmessemi, pregandola di rimettere al latore del presente dette 12 decine, coi biglietti gratis in aggiunta, secondo il programma, contro pagamento del loro importo in lire 72, come ne tiene l'ordine.

                Ho l'onore di raffermarmi con distinta stima

Suo Dev.mo Servitore

CARLO CAMPORA.

 

                La famiglia regnante era in festa per essere stato conchiuso il trattato di nozze tra la principessa Maria Pia di Savoia col Re di Portogallo D. Luigi I. D. Bosco mandava i biglietti della sua lotteria alla nuova Regina.

 

ALLA PRINCIPESSA PIA.

 

                               Altezza Reale,

 

                Nella comune esultanza per le feste nuziali che meritamente si stanno preparando a V. A. R. mi fo animo di raccomandarle un'opera di beneficenza sostenuta dalla carità dell'Augusto di Lei genitore, della sempre compianta di Lei genitrice e dalla munificenza di Vostra Altezza medesima.

                Sono sessanta decine di biglietti che umilmente raccomando alla esperimentata di Lei carità, facendole umile preghiera di volerle ritenere a favore di questi poveri giovani, che oltre la più sentita gratitudine, invocheranno ogni giorno sopra di Lei e sopra l'Augusto di Lei sposo, copiose benedizioni dal cielo.

                Dio La benedica e La colmi di sue grazie e permetta che anche a nome dei giovani già più volte beneficati abbia l'alto onore di potermi professare colla massima venerazione,

                Di V. A. R.

                Torino, 21 agosto 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI. [215]

 

A S. E. LA CONTESSA VILLAMARINA.

 

                               Eccellenza.

 

                La bontà con cui V. E. promosse più volte il bene di questi nostri poveri giovani, mi fa sperate la continuazione dei suoi favori anche nel presente bisogno.

                La prego pertanto di voler dire una parola in nostro favore a S. A. R. la Principessa Pia, affinchè si degni di accogliere i biglietti di Lotteria ivi acchiusi.

                I Reali Principi ne mandarono a prendere cento decine; qui io ne ho acchiuso sessanta, che raccomando all'efficace di Lei protezione e alla carità della Reale Principessa.

                Pieno di fiducia di essere favorito, prego Iddio che conceda sanità e grazia a Lei e a tutta la rispettabile di Lei famiglia, mentre La prego di permettermi l'onore di professarmi di V. E.

                Torino 21 agosto 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

Torino, 15 settembre 1862.

 

                               Ill.mo Signor Cav. Oreglia,

 

                La persona da me incaricata di rimettere a V. S. Ill.ma il pacco contenente i biglietti della Lotteria a favore degli Oratorii, inviatimi in data 20 agosto, è il segretario privato di S. R. A. come si disse; e questo venne eseguito di mio ordine per non avere la prefata A. S. fondi a ciò destinati come già le fecero conoscere.

                Egli potrà, Sig. Cavaliere, se così crede, rivolgersi al Ministero della R. Casa dove potranno essere accettati in nome della prefata A. R.

                La Dama Governatrice delle Reali Principesse

 

Contessa CAROLINA di VILLAMARINA.

 

                Anche al Re Vittorio Emanuele D. Bosco aveva rivolta la sua domanda e il Sovrano lo accontentava.

 

GABINETTO PARTICOLARE DI SUA MAESTÀ.

 

Torino, 15 Ottobre 1862.

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                Ho avuto l'onore di rassegnare a S. M. il desiderio da V. S. Molto Rev.da espresso perchè accettasse i mille biglietti trasmessimi della [216] Lotteria di oggetti, che venne aperta a benefizio degli Oratorii maschili di questa città, de' quali Ella è alla direzione; e godo nel significarle essersi la Maestà del Re degnata di aderirvi.

                In adempimento di tale generosa determinazione del munifico nostro Sovrano, mi faccio gradita, premura di notificarle aver già dati gli ordini opportuni per la spedizione del mandato per Lire 500, importo dei suindicati mille biglietti, che potrà quando che sia ritirare dalla tesoreria della Real Casa.

                Le offro intanto, Molto Rev.do Signore, gli atti della mia ben distinta stima.

 

Il Ministro della Real Casa

NIGRA.

 

 

CAPO XXII. D. Bosco annunzia un funerale pel mese di luglio - Sogno: il cavallo rosso - Rivoluzione: sventare le sue furie coll'ispirare ai popoli stima ed amore al Papa - Come giudicare se un libro sia buono o cattivo - Non può scrivere di D. Bosco chi non ha studiato il suo affetto pel Papa prudenza di D. Bosco nel parlare di politica ecclesiastica.

 

                LE cronache del mese di luglio notano nuove meraviglie di D. Bosco.

                D. Ruffino scrisse. “I luglio 1862. - D. Bosco disse a pochi che gli stavano attorno dopo pranzo: - In questo mese ci toccherà fare un funerale. - Altre volte ripetè la stessa cosa, ma sempre a pochi”.

                Queste confidenze accendevano nei chierici una grande curiosità, sicchè nelle ore di ricreazione, permettendolo i loro doveri, si stringevano intorno a D. Bosco ripromettendosi di udire qualche novità, e una di queste fu come, più tardi compresero, il disegno di fondare istituti anche per le fanciulle. Infatti così ebbero a scrivere D. Bonetti e Chiala Cesare. Il 6 di luglio D. Bosco raccontò ad alcuni il seguente sogno fatto da lui nella notte dal 5 al 6 luglio. Erano presenti Francesia, Savio, Rua, Cerruti, Fusero, Bonetti, Cav. Oreglia, Anfossi, Durando, Provera e qualche altro.

 

                Stanotte ho fatto un sogno singolare. Sognai di trovarmi insieme colla Marchesa di Barolo e passeggiavamo su di una piazzetta che metteva in una grande pianura. Io vedeva i giovani dell'Oratorio a correre [218], a saltare, a ricrearsi allegramente. Io voleva dare la destra alla Marchesa, ma ella mi disse: - No; resti dov'è.

                Quindi si mise a discorrere dei miei giovani e mi diceva: - Va tanto bene che ella si occupi dei giovani, ma lasci a me soltanto la cura di occuparmi delle figlie; così andremo d'accordo. -

                 - Io le risposi: - Ma, mi dica un poco; nostro Signore Gesù Cristo è venuto al mondo solo per redimere i giovanetti o non anche le ragazze ?

                 - Lo so, ella mi rispondeva, che N. S. ha redenti tutti, ragazzi e ragazze.

                 - Ebbene; io debbo procurare che il suo sangue non sia sparso inutilmente, tanto pei giovani, quanto per le fanciulle.

                Mentre tenevamo questi discorsi ecco fra i miei giovani, che stavano sulla piazzetta, farsi un cupo silenzio. Tutti lasciano i loro trastulli e si mettono a fuggire, chi da una parte, chi dall'altra, pieni di spavento.

                Io e la Marchesa arrestammo il passo e rimanemmo per un istante immobili. Cerco il motivo di quel terrore e quindi vo innanzi colla Marchesa. Alzo alquanto gli occhi ed ecco là in fondo nella pianura scorgo discendere a terra un cavallo grosso... ma così grosso!!.... Rimasi col sangue agghiacciato per la paura.

                 - Era grosso come questa stanza? esclamò D. Francesia?

                 - Ohi assai più, rispose D. Bosco. Sarà stato alto e grosso tre, o quattro volte di più del palazzo Madama. Insomma era una cosa straordinaria. Mentre io voleva fuggire, temendo che seguisse qualche catastrofe, la Marchesa di Barolo svenne e cadde per terra. Io quasi non poteva reggermi in piedi, tanto mi tremavano le ginocchia. Corsi a nascondermi dietro ad un casolare, che era non molto distante, ma di là mi scacciarono, gridando: - Vada, vada! Non venga qui! - Intanto io diceva fra me: - Chi sa che diavolo sia questo cavallo! Non voglio più fuggire, voglio farmi avanti ed osservarlo più da vicino, benchè tutto tremante, mi feci coraggio, ritornai indietro e mi avanzai.

                Uh! che orrore! Con quelle orecchie ritte, con quel musaccio! Ora pareami che avesse tante gente addosso, ora che avesse le ali, cosicchè io esclamai: - Ma questo è un demonio!

                Mentre lo contemplavo siccome ero accompagnato da altri, chiesi ad uno: - Che cosa è questo cavallaccio?

                Mi fu risposto . - Questo è il cavallo rosso equus ruffis dell'Apocalisse.

                Dopo mi svegliai e mi trovai sul letto tutto spaventato, e tutta questa mattina, dicendo messa, nel confessionale, aveva sempre davanti quella figuraccia. Adesso voglio che alcuno cerchi se questo equus rufus è veramente nominato nelle S. Scritture, e quale ne sia il significato. [219] E lasciò a Don Durando che cercasse di risolvere il problema. D. Rua osservò che veramente nell'Apocalisse al capo VI versicolo IV si parla del cavallo Rufo, simbolo della persecuzione sanguinosa contro la Chiesa come spiega nelle note alla Sacra Scrittura Mons. Martini. Così sta scritto: Et cum aperuisset sigillum secundum, audivi secundum animal, dicens: Veni et vide. Et exivit alius equus rufus: et qui sedebat super illum datum est ei ut sumeret pacem de terra, et ut invicem se interficiant et datus est ei gladius magnus.

                Nel sogno di D. Bosco pare che il cavallo rosso rappresentasse la democrazia settaria, che, sbuffando per furore contro la Chiesa, si avanzava in danno dell'ordine sociale, senza arrestarsi di un passo; s'imponeva ai Governi, alle scuole, ai municipii, ai tribunali, e anelava a compiere l'opera devastatrice incominciata dalle sue complici autorità costituite, a danno d'ogni società religiosa, di ogni pio istituto, e del diritto comune di proprietà. D. Bosco diceva: - Bisognerebbe che tutti i buoni e anche noi, nel nostro piccolo, , con zelo e coraggio, procurassimo di torre un freno a questa bestia, che irrompe nei campi senza cavezza.

                E in che modo? Mettendo in guardia i popoli coll'esercizio della carità e colle buone stampe, contro le false dottrine di tale mostro, volgendo le loro menti e i loro cuori alla cattedra di Pietro. Qui è il fondamento inconcusso di ogni autorità che viene da Dio, la chiave maestra che lega ogni ordine sociale, il codice immutabile dei doveri e dei diritti degli uomini, la luce divina che sfolgora gli errori delle malnate passioni; qui il fedele custode e tutore possente della morale evangelica e della naturale, qui la conferma della sanzione immutabile di premii eterni per chi osserva la legge del Signore e di pene egualmente eterne per i trasgressori. Ma Chiesa, Cattedra di S. Pietro e Papa sono la stessa cosa. Quindi per rendere accette tali verità, D. Bosco voleva che si facesse ogni sforzo, per sfatare le calunnie contro il Papa, si recassero le [220] prove degli immensi beneficii da lui recati alla vita sociale, e si cercasse di accendere in tutti riconoscenza, fedeltà e amore verso di lui.

                Così faceva D. Bosco che nell'amore al Sommo Pontefice, nei fatti e nelle parole, si mostrava veramente grande. Egli diceva che avrebbe baciato una per una le pagine della storia ecclesiastica del Salzano, appunto perchè questo storico italiano si mostrava in essa amante del Papa. Parlando ai chierici dei libri sospetti, dava loro fra le altre questa norma per giudicare se un libro fosse buono o cattivo: - Quando vedete che un autore scrive poco bene del Papa, sappiate che il suo non è un libro da leggersi. “Quando parla ai giovani dei Papi, scrisse D. Bonetti in questo stesso anno 1862, più non la finirebbe; ha sempre da dire cose in loro lode, e le dice così belle e così attraenti che infiamma tutti quelli che lo ascoltano. In due argomenti specialmente egli si mostra ammirabile nel parlare: quando ragiona della virtù della modestia, e dei Papi. Allora ognuno rimane estatico, compreso di meraviglia. Di ciò potrà di leggieri convincersi chiunque leggerà le sue opere e specialmente le vite dei Sommi Pontefici, alle quali tutte noi rimandiamo colui, che dalla Divina Provvidenza sarà destinato a scrivere la biografia di questo suo servo fedele”.

                Regolavasi però con certo riserbo nel parlare con persone ostili al Papato, perchè ubi non est auditus, nec effundas sermonem, ed anche perchè ragionevolmente temeva che taluni fossero mandati ad interrogarlo ut caperent eum in sermone.

                Frattanto il grido: - Vogliamo Roma; o Roma o morte udivasi ruggire da ogni parte d'Italia. Era quasi impossibile poter schivare questioni sul potere temporale del Papa. “Quindi noi, chierici e i preti, si legge nella Cronaca di D. Bonetti, il 7 luglio alla sera dopo cena trovandoci con D. Bosco, cercammo di farlo entrare in ragionamento, affine di imparare il modo col quale dobbiamo regolarci, parlando in questi [221] tempi così calamitosi; e senza che egli se ne accorgesse venimmo a trargli di bocca quanto segue: - Quest'oggi mi sono trovato in una casa dove ero circondato da una schiera di democratici e alcuni di questi Passagliani in sottana. Dopo aver parlato di diverse cose indifferenti, il discorso cadde sulle cose politiche del giorno. Quei liberaloni volevano sapere che cosa pensasse D. Bosco dell'andata dei Piemontesi a Roma e di ciò lo interrogavano apertamente. D. Bosco, vedendo che il mettersi a discorrere di tali cose e con gente tale era lo stesso che sfiatarsi senza trarne nessun vantaggio, rispose recisamente: - Io loro dirò subito quel che penso: io sono col Papa, son Cattolico, obbedisco al Papa ciecamente. Se il Papa dicesse ai Piemontesi: - Venite a Roma! - Io pure direi: - Andate! - Se il Papa dice che l'andata dei Piemontesi a Roma è, un latrocinio, allora io pure dico lo stesso.

                - Ma, si posero a gridare, sit rationabile obsequium vestrum !

                - Si; sia pure ragionevole il vostro ossequio, ma nel modo che dice S. Paolo; cioè, sia razionale il culto che prestate a Dio, il quale consiste nello spirito dei riti e nella santità della vita. Sia razionale nel modo, per es., col quale dobbiamo dire le nostre orazioni mattina e sera, nel modo che dobbiamo tenere nel fare un po' di meditazione ogni giorno; nell'ascoltare o celebrare la messa; in queste ed altre simili cose sit rationabile obsequium vestrum; ma in cose che riguardano un dogma di fede, o un precetto di morale, allora se vogliamo essere Cattolici, dobbiamo pensare a credere come pensa e crede il Papa.

                - Ma dica almeno quello che pensa sulla possibilità di questa andata.

                - Ecco quello che io penso e quel che loro dico: è un sogno che i Piemontesi vadano a Roma; è un sogno che i Piemontesi qualora andassero vi possano rimanere; e infine dico che alcune volte anche sognando uno può rompersi la testa. –  [222]

                Tutti diedero in uno scroscio di risa e si mostrarono soddisfatti. - Questo è il modo di riportar vittoria senza entrare nelle questioni, dalle quali uno che sia contrario ai vostri principii, non esce se non colla testa scaldata e coll'animo ieppiù ostinato!

                Un'altra volta vi fu chi voleva discorrere meco sul potere temporale del Papa. Era uomo governativo, ma di poco comprendonio. Io subito gli domandai: - Vuole che trattiamo la questione in senso storico, o in senso teologico, o in senso filosofico, o in senso oratorio?

                L'altro rispose: - Non capisco che cosa voglia dire con queste parole. -

                Veda, replicai io, tale questione può essere trattata  secondo la storia, o secondo la teologia, o secondo la filosofia, o secondo l'arte oratoria.

                Il mio oppositore soggiunse: - Ma io non ho mai studiate tali cose!

                Allora io gli dissi: - Ebbene; procuri di istruirsi su tale questione e poi venga e parleremo: ma metterci a discorrere su due piedi di una cosa, di cui non abbiamo cognizione, è un volersi porre nel pericolo di dire errori uno più grosso dell'altro. Se bramasse studiare una tale questione io potrei indicarle gli autori che ne parlano. - E così quel signore si tacque”.

 

 

CAPO XXIII. Tranquillità allegra di D. Bosco nel patire - D. Bosco va a S. Ignazio sopra Lanzo - Annunzia in modo inesplicabile la morte del giovane Casalegno a Chieri - Vede da que' monti tre alunni in Torino che vanno a nuotare - Sua lettera ai giovani dell'Oratorio: narra il suo viaggio a S. Ignazio svela ciò che accade nell'Ospizio - Altra sua lettera - Sua nota segreta di alcuni nomi non palesati nella lettera - Suo ritorno nell'Oratorio - Dà ai giovani spiegazione di ciò che ha visto e scritto da Lanzo: le sferzate sulle spalle di quelli che nuotavano - Prove di questi colpi di titano invisibile - D. Bosco predicando narra la conversione di una traviata moribonda - Buona e commovente morte di un giovanetto guasto da un compagno - Parlata di D. Bosco sul finire dell'anno scolastico: dare buon esempio in famiglia - Il tenor di vita da praticarsi nelle vacanze.

 

                DON Bosco, mentre in questi giorni appariva così spiritoso e disinvolto, pure si trovava assai incomodato, di sanità. “La sua pazienza, scrisse D. Bonetti, è veramente da santo. Basta vedere lui in tale stato conservare una faccia ognora allegra, per sentirei spinti ad abbracciare anche noi con pace i più gravi patimenti. È in questa circostanza che pregato da qualche giovane, affinchè supplicasse il Signore a liberarlo da quelli incomodi, ripetè: Se sapessi che una sola giaculatoria bastasse per farmi guarire, non la direi. - [224]

                Non ostante questo malessere, continua a scrivere D. Bonetti, il 15 luglio D. Bosco partì per S. Ignazio sovra Lanzo, ove starà pel tempo degli esercizi. Quivi succedettero diverse cose degne di memoria. Già fin dal principio di luglio, D. Bosco aveva detto che in questo mese un giovane della casa doveva partire per l'eternità. Ora Casalegno Bernardo di Chieri moriva mentre D. Bosco si trovava a S. Ignazio, il venerdì 18 luglio, in sua patria e moriva della morte del giusto: contava soli 18 anni. D. Bosco disse il venerdì stesso ai giovani della casa con lui a S. Ignazio, che egli si era trovato al letto di Casalegno Bernardo, e lo aveva assistito negli ultimi momenti. Noi a Torino ancora sapevamo nulla, ed egli già scriveva al sig. D. Alasonatti la morte di Casalegno, ordinando preghiere. Quando poi giunse a casa, (D. Bonetti) interrogai quelli che erano con lui agli esercizii e dopo varie interrogazioni potemmo conoscere aver D. Bosco annunziata quella morte dopo breve ora che di fatto era accaduta: la quale cosa era impossibile sapersi umanamente, stante la lontananza dei luoghi di oltre 21 miglia.

                Non è da maravigliare che Iddio abbia voluto rinnovare in questa circostanza, quello che già fece con molti altri santi; e ciò tanto più facilmente credo, sapendo quanto fosse vivo il desiderio di quel bravo giovane di vedere ancora una volta D. Bosco prima di morire e di averlo al fianco nell'ora della sua morte; e quanto fosse l'amore di D. Bosco per lui”.

                Noi aggiungiamo che il padre stesso, Cav. Geom. Giuseppe Casalegno, confermò al Sac. Bartolomeo Gaido, come D. Bosco, trovandosi lontano, annunziasse pubblicamente la morte del figlio nel momento stesso che spirava.

                “Non meno meraviglioso è il fatto seguente. Alcuni giovani artigiani della casa Davit, Tinelli e Panico, sapendo che D. Bosco non era nell'Oratorio e sperando perciò di farla più facilmente franca, mancarono nella Domenica 20 luglio dalle sacre funzioni della sera, ed usciti di soppiatto [225] dall'Istituto andarono a nuotare nelle acque del canale presso la Dora.

                Malgrado la vigilanza di D. Alasonatti e degli assistenti, nessuno, stante la moltitudine de' giovani interni ed esterni, se n'era accorto. Finì quel giorno e il giorno seguente e nell'Oratorio nulla sapeasi di questa solenne mancanza. I colpevoli stavansi tranquilli, ma furono delusi nella loro sperata impunità. Erano stati veduti ed osservati da D. Bosco, il quale nel lunedì 21, al mattino per tempo, spediva una bellissima lettera a tutti i giovani, nella quale, fra le altre cose, accennava a que' tre colpevoli senza farne il nome”.

                Ecco la lettera di D. Bosco:

 

                               Carissimi Figliuoli

 

                So che voi, figliuoli amatissimi, desiderate delle mie notizie, ed io stesso, avendo dovuto partire da casa senza potervi dare un comune addio, sento il bisogno di parlarvi con questa mia lettera. Io parlerò colla sincerità di padre che dice tutto il suo cuore ai teneri ed amati suoi figliuoli. C'è da ridere e c'è da piangere.

                La sera del 15 corrente luglio, poco bene in salute, recavami alla vettura per alla volta di S. Ignazio. Fino a Caselle ho potuto godere il sole, che mi dava bagni a vapore gratis essendo sull'imperiale, ovvero sulla parte superiore della vettura. Da Caselle poi a S. Maurizio ho avuto per mia compagnia un vento prima fresco, poscia freddo, poi burrascoso; poi tuoni, poi fulmini, quindi la pioggia. Da S. Maurizio a Ciriè la pioggia mista ad un po' di grandine fu soltanto per burla. Ma da Ciriè a Lanzo, che è lo spazio di cinque miglia, fu un dirotto piovere, un grandinare, un tuonare, un vento freddissimo, che impediva fino il respiro. I cavalli a stento traevano a lento passo la vettura. Io ero tutt'ora sull'imperiale ma tutt'altro che da imperatore. Con me erano parecchi altri. Tenevansi aperti due ombrelli (parapioggia), i quali paravano coloro che li aveano in mano; ma io, che ero nel mezzo del sedile, non avea altro benefizio se non quello di ricevere sopra le spalle lo scolo o meglio la scarica d'acqua da ambedue gli ombrelli, sicchè io giunsi a Lanzo gelato pel freddo senza un filo di abito asciutto.

                Voi, o cari giovani, avreste veduto D. Bosco discendere dalla vettura tutto inzuppato, simile a quei grossi sorci, (ratti) che spesso vi accade di osservare uscire dalla bealera dietro al cortile. Se ci fosse stato D. Francesia avrebbe avuto un bel tema per fare alcune rime sopra di lui bagnato. [226] Doveva giungere in Lanzo alle 7 e invece giunsi alle 8 e 314 pel che non potendo continuare il cammino per S. Ignazio, ho domandato se nell'ufficio della vettura fossevi un buco per cangiarmi gli abiti. Fummi risposto esservi la sola camera d'ufficio. Allora diedi ordine di portarmi il sacco in parrocchia e subito rivolsi il passo colà. Io giunsi ma il sacco non veniva: ma il parroco (V. Albert), tutto bontà e generosità, mi somministrò quanto occorreva e non avendo una talare a mio dosso, mi vestì di un fraccone alla canonica a segno che sembrava un Abate di professione. Messomi così all'asciutto, ristoratomi con una minestra me ne andai tosto a letto, di che sentivami grave bisogno. Fra il viaggio, la stanchezza, il mio tumore al naso, il mal di capo, non ho potuto dormire, sebbene avessi buon letto, buona camera e fossi ben coperto.

                Al mattino alle 7 mi levai e cercatomi un somarello, che tosto fu ai miei cenni, l'indirizzai al mio cammino a S. Ignazio, ove si giunse dopo tre miglia di salita per rapida montagna. Mercoledì, giovedì e venerdì fui molto male in salute; ma verso la sera di questo giorno il mio tumore cominciò a suporare e potei riposare un poco. Il sabato poi mi trovai molto meglio e la B. Vergine mi aiutò in modo, che la Domenica era ritornato il D. Bosco di una volta senza incomodi essenziali.

                Fino ad ora ho parlato di me; ora è bene che io parli di voi. Cominciamo da Casalegno Bernardo nostro amato compagno. Dopo molti incomodi, dopo aver ricevuto i SS. Sacramenti in modo veramente esemplare, senza lasciarsi fare paura dalla morte, pieno di confidenza nella protezione della B. Vergine Maria, egli cessava di vivere venerdì 18 corrente. Egli si preparava da molto tempo a questo passo e la serenità del suo volto, il sorriso fatto negli estremi, la sua vita, la sua preparazione al paradiso ci fanno fondatamente sperare che egli sia andato a trovare Savio Domenico in cielo. Il suo cadavere sabato era portato alla sepoltura; a Chieri si pregò per lui; ieri voi faceste altrettanto nell'Oratorio, ed io dal primo giorno di questo mese ho indirizzato tutto il bene che si faceva nella casa pel bisogno di questo nostro compagno, che il Signore voleva chiamare a sè. Requiescat in pace. Dio ci aiuti a fare anche noi una buona morte.

                Sono già andato più volte a visitare l'Oratorio ed ho trovato un poco di belle ed lui poco di male. Ho veduto quattro lupi che correvano qua e là in mezzo ai giovani, ed alcuni furono morsi dai loro denti. Forse questi lupi rapaci non si troveranno più tutti nell'Oratorio, ma se ci sono ancora voglio strappar loro di dosso la pelle d'agnello di cui si vogliono vestire.

                In un'altra visita ho veduti alcuni che al tempo della preghiera della sera, stavano chiacchierando sul terrazzo accanto al campanile. Altri su per la scala piccola della casa nuova. Provera ne snidò alcuni che erano al pian terreno, ma non vide quelli che erano nei piani superiori [227]. Ho pure veduti alcuni uscire al mattino di Domenica e perdere una parte delle funzioni religiose. Ma fui non poco sdegnato che taluni nel tempo delle funzioni della sera siano fuggiti per andare a nuotare! Poveri giovani! Quanto poco pensano all'anima loro!

                Ho pure veduti molti giovani, che aveano un serpente, il quale attorcigliandosi alla loro persona, lì andava a mordere nella gola. Alcuni di essi piangevano dicendo: - Inique egimus. - Altri ridevano, cantando: - Fecimus hoc: quid accidit nobis? - - Ma intanto gonfiando ad essi la gola loro mancava quasi il respiro. Quest'oggi poi vedo il demonio che fa molta strage coll'ozio.

                Coraggio, giovani miei, presto sarò con voi e mi unirò con D. Alasonatti e con tutti gli altri preti e chierici, e per sino colla barba del Cavaliere per cacciare i lupi, i serpenti e l'ozio dalla nostra casa. Vi dirò poi tutto.

                Vorrei ancora dirvi molte cose ma non ho più tempo. Ho ricevuto molte lettere dai giovani che mi hanno fatto molto piacere: mi rincresce di non poter rispondere a ciascuno. Li ringrazio tutti e se mi rimane un bricciolo di tempo farò loro l'analoga risposta. Venerdì mattina (25) coll'aiuto del Signore spero di essere di nuovo con voi. La grazia di nostro, Signore Gesù Cristo sia sempre con noi e la SS, Vergine ci conservi suoi e sempre suoi. Amen.

                S. Ignazio presso Lanzo, 21 Luglio 1862.

 

Vostro aff.mo nel Signore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                NB. - D. Rua o D. Alasonatti la legga ai giovani dopo le orazioni.

 

                Unita a questa vi era una lettera pel Cavaliere Oreglia di S. Stefano.

 

                               Carissimo Signor Cavaliere,

 

                Ho ricevute le sue due lettere. Va bene. Cerchi danaro smerci biglietti, raccolga oggetti e questo va bene.

                Ella poi si faccia coraggio ed un grande coraggio. Rumores fuge, altrimenti ne rimane assordato.

                Intanto ella favorisca di dare delle mie notizie a Mad. Gastaldi, ed a Mad. Massarola, salutandole e ringraziandole da parte mia di quanto fanno per la Lotteria. Dica lo stesso al benemerito Sig. Grosso. Un vale a Boggero, a Bonetti, a Cuffia, ai due Perucatti, a Morando, a Bongiovanni Maggiore, a Pelazza, a D. Francesia i quali mi hanno scritto. [228] Dica a D. Alasonatti che prepari danaro ecc.

                La passeggiata a Morialdo forse non sarà opportuna.

                Se il Signore vorrà, venerdì sarò con lei all'Oratorio in buon essere di salute. Vale in Domino.

                Lanzo, 21 Luglio 1862.

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco GIOVANNI

 

                Alla sera di quel giorno D. Alasonatti lesse a tutta la comunità radunata la lettera di D. Bosco. Quelle manifestazioni riempirono ognuno di meraviglia, non sapendosi spiegare come avesse D. Bosco potuto conoscere da S. Ignazio tali cose. Benchè non avesse fatto il nome dei colpevoli, pure questi erano pieni di timore.

I loro nomi però erano stati da lui notati sopra un foglio e distinti in due categorie: Deceptores et illusi. Dal loro numero si capisce che un Superiore non deve mai lusingarsi colla persuasione, che in una comunità vi sia nulla di male; che anzi talora una calma apparente può essere indizio di una tempesta che sta preparandosi.

                Tutti intanto lo aspettavano ansiosamente per udirlo spiegare quanto era scritto nella sua lettera.

                Il venerdì 25 luglio, D. Bosco arrivò all'Oratorio. Dopo le orazioni della sera saliva sul pulpitino.

                “Interrogato da D. Rua, dice la Cronaca, e pregato a darci schiarimenti, disse schiettamente che da S. Ignazio aveva veduti quei tre giovani partirsene dall'Oratorio, mancare alle funzioni e andarsi a bagnare. Ma accorgendosi a tale confessione che noi rimanevamo compresi d'alta ammirazione, continuò sorridendo: - Forse qualcuno di voi domanderà, ma come ha fatto D. Bosco a sapere tali cose? - lo vi rispondo; io lo seppi per mezzo del mio telegrafo. Per mezzo del mio filo telegrafico io, comunque da lontano, stabilisco la mia comunicazione e veggo e conosco quanto può ridondare ad onore e gloria di Dio e alla salute delle anime. [229]

                Vi dico ora cose che non dovrei dirvi, ma credo bene il dirvele tuttavia, affinchè nessuno si creda di poterla fare franca quando io sono lontano dall'Oratorio: perchè egli s'inganna a partito se credesse di non essere veduto. Badate però che io non voglio già che vi asteniate dal male solo per paura di essere veduti e scoperti da D. Bosco, ma bensì perchè siete veduti da quel Dio che nel giorno del giudizio vi domanderà rigorosissimo conto.

                Adesso io avrei bisogno di poter parlare con ciascheduno di voi e dirgli tante cose, ma veggo che mi manca il tempo. Vi dirò in breve che io da S. Ignazio ho veduto qual sia il nemico principale di tutti e singoli i miei giovani. Procurerò di mano in mano, che avrò qualche ritaglio di tempo, di parlare con ciascuno in particolare e dargli quelle norme che gli saranno necessarie. Tanto è l'amore, o miei carissimi figliuoli, che io porto alle vostre anime, che non finirei di parlare e dirvi tante belle cose che potessero contribuire alla vostra salute.

                Il Signor Cavaliere Oreglia, volle ancor sapere da D. Bosco se per mezzo del suo filo telegrafico non avrebbe potuto da lontano, oltre il vedere, fare qualche altra cosa. Don Bosco ridendo, rispose: - Eh! avrei potuto dare qualche sferzata a quei tali, qualche colpo del filo elettrico sulle loro spalle. E questa sferzata, sia per mezzo del mio filo misterioso, sia con altro, se lo sentirono quei tre, i quali mentre si trovavano nell'acqua, provarono sulla loro pelle un colpo che li fece sbalzare: e tosto domandarono ad un soldato che con loro nuotava, che cosa fosse stato e perchè li avesse percossi.

                Mentre D. Bosco finiva di parlare, il giovane Tinelli si volse ad un suo amico che gli era vicino, e al quale aveva già detta in segreto quella sua scappata, ed esclamò sotto voce: - Adesso ho capito da chi mi vennero sulle spalle que' colpi così forti e dolorosi. Ed io mi bisticciai con un soldato, il quale si bagnava alquanto lontano, sospettando che fosse lui. Io (Bonetti), che gli era alle spalle, udite queste parole, lo [230] presi per mano e lo condussi a D. Alasonatti; Tinelli narrò schiettamente il fatto, e palesò il nome dei due camerata. Da tutti tre si ebbe la conferma del racconto di D. Bosco, poichè confessarono di aver rivevute quelle botte, di essere usciti subito dall'acqua senza vedere alcuno, e pieni di spavento, indossati gli abiti, essere ritornati nell'Oratorio.

                Iddio è meraviglioso nell'aiutare i suoi servi, specialmente quelli che sono tutto zelo per l'amor suo e per la salute delle anime.

                Tinelli dopo pochi giorni se ne andò via dall'Oratorio, mentre gli studenti subivano l'esame finale”.

                D. Bosco negli ultimi giorni dell'anno scolastico, continua la cronaca, soleva fare un triduo in chiesa, predicando per tre giorni consecutivi alla sera. Ciò serviva per mandare i giovani in vacanza giustificati e premuniti. In una di queste prediche, l'anno 1862, narrava il seguente fatto accadutogli in quella stessa settimana.

                Un dopo pranzo, mentre era ancora in ricreazione, entrò nell'Oratorio un uomo, che, avvicinandosi a lui, pregavalo di voler affrettarsi ad assistere una povera moribonda che era ormai agli estremi. D. Bosco fissò quell'uomo ed entrato in sospetto gli disse. - È quello un luogo dove possa andare un prete?

                 - Si tratta di una infelice, ma è sola in casa, rispose quell'uomo.

                D. Bosco andò, e appena entrato nella camera dell'inferma, la vide smunta quasi uno scheletro che alzando le braccia: Ah un prete! dunque il Signore mi usa ancora misericordia! Dunque potrò almeno salvare l'anima mia! - Faceva profonda compassione lo stato di quella poveretta, che contava soli diciotto anni.

                D. Bosco fatta ritirare una donna che assistevala e rianimate le speranze dell'inferma nella bontà infinità di Dio, la confessò. Costei coi sensi del più profondo dolore, usciva [231] poscia in gemiti e preghiere verso Dio. Di quando in quando però era presa come da un parossismo convulsivo e allora gli si drizzavano i capelli in capo e rompeva in grida e maledizioni contro coloro che l'avevano tradita. Imprecava specialmente alla donna che era rientrata dopo la confessione e che era stata strumento di sua rovina. - Sì, o scellerati, la vendetta di Dio deve cadere sopra di voi, i fulmini del cielo dovrebbero annientarvi... voi, voi, foste la causa di tutte le mie sventure.

                D. Bosco cercava di calmarla. - No, no, figliuola: non pensiamo a vendette; il passato non è più. Il Signore vi ha perdonato, perdonate anche voi.

                Quella poveretta ritornava in sè e gli rispondeva: - Ha ragione; ho perdonato e perdono di cuore.... Ma.... ricordo il giorno che sono fuggita dalla mia casa, ho abbandonato e disonorati i miei parenti. Appena fui qui, nei primi giorni voleva ritornare presso mia madre, piangeva, ma voi, rivolgendosi alla donna, me lo avete impedito, mi avete afferrata per un braccio per trattenermi. Ed ora è per causa vostra che provo tanti rimorsi…… -

                E così continuava a lamentarsi, ma D. Bosco colle sue parole riusciva a farla pensare solamente al Signore.

                Entrava in agonia, tutto era silenzio in quella camera: l'inferma affondata la testa nei guanciali stava immobile quasi senza respiro. A un tratto si alza a sedere sul letto, gira intorno gli occhi già quasi spenti, solleva in alto il crocifisso che teneva nella destra e grida: - Scandalosi! vi aspetto al tribunale di Dio! - Ricadde quindi sui guanciali. Era morta.

                Il modo col quale Don Bosco raccontò questo fatto fu cosi vibrato, che gli stessi preti rimasero esterrefatti.

                Un altro simile caso - D. Bosco aveva raccontato alcun tempo prima. Egli era stato chiamato in premura a confessare un giovanetto sui sedici anni, che aveva frequentato l'Oratorio festivo, il quale si trovava agli estremi, consunto [232] dall'etisia. Abitava in una casa vicina a S. Rocco. D. Bosco andò. Quel poveretto lo accolse con molte feste, si confessò e quindi entrarono nella camera suo padre e sua madre, ponendosi ai lati del letticciuolo. D. Bosco rimase vicino al capezzale. Sul viso del morente era comparsa un'espressione di profonda melanconia e a un tratto si rivolse alla madre e le disse: - Vi prego di invitare quel giovane, stato mio amico, che abita il piano inferiore di questa casa, a venirmi a fare una visita sul momento.

                 - Ma perchè desideri vederlo? gli disse la madre.

                 - Lo so io il perchè! Debbo dirgli una parola.

                Sembrando a D. Bosco che tale visita ripugnasse ai genitori - Non agitarti così, gli soggiunse; che bisogno c'è di farlo chiamare ?

                 - Voglio salutarlo per l'ultima volta.

                Questi non tardò a giungere; gettato uno sguardo quasi di terrore sull'infermo, si avvicinò ai piedi del letto. Il morente si sforzò di alzarsi a sedere e i parenti lo aiutarono mettendogli un altro cuscino sotto le spalle. Allora egli fissò uno sguardo di angoscia inesprimibile sul compagno, tese la mano destra verso di lui, appuntandogli il dito indice e con voce stentata: - Tu!.. gli disse, e riprese un po' di fiato, dopo un violento assalto di tosse.... tu, proseguì, sei quello che mi hai assassinato….. Maledetto sia il momento nel quale io t'incontrai per la prima volta.... È colpa tua se ora io muoio così giovane!.... Tu mi hai insegnato ciò che non sapeva.... Tu mi hai tradito... Tu mi hai fatta perdere la grazia di Dio... Sono i tuoi discorsi, sono i tuoi cattivi esempi, che mi hanno spinto al male e che ora riempiono di amarezza l'anima mia.

                Oh! avessi seguito il consiglio, il comando di chi mi aveva esortato a fuggirti ….. - .

                Tutti piangevano a queste parole.

                Il tristo compagno tremante, più pallido del morente sentendosi venir meno, sostenevasi al ferro della sponda del letto. [233] Basta, basta, calmati! disse D. Bosco all'infermo. E adesso perchè vuoi angustiarti così? Ciò che è stato è stato, ora non è più... Non pensarci.... Tu hai fatta bene la tua confessione ed hai più nulla a temere…..Tutto è scancellato e dimenticato.

                Dio è tanto buono!……

                Sì, è vero! Ma intanto se non fosse per lui, io sarei ancora innocente io sarei felice non mi troverei ridotto a questo punto.

                 - Là.... perdonagli! soggiunse D. Bosco; il Signore ha già perdonato a te! Il tuo perdono otterrà anche a lui misericordia.

                 - Sì, sì gli perdono! esclamò quel poveretto. E coprendosi colle mani il volto, ruppe in pianto e ricadde sul guanciale.

                Nessuno poteva più reggere a questa scena straziante. Don Bosco fece segno ai parenti che conducessero via quel compagno, il quale singhiozzava senza poter pronunciare una parola. Non reggendosi sulle gambe fu d'uopo sostenerlo. Intanto D. Bosco con alcune di quelle parole che sapeva dir lui, ricondusse piena calma nel povero cuore di quel tradito e lo assistè fino all'estremo momento.

                Uno degli ultimi discorsi di D. Bosco, prima che i giovani andassero alle case loro, fu il 27 luglio. Raccomandò il buon esempio. - Date buon esempio, quando sarete alle vostre case; fate vedere che avete la fede; ora che siamo in tempo di libertà, usate della libertà col fare del bene, col professarvi veri cristiani, e coll'obbedienza esatta alle leggi di Dio e delle Chiesa. Vi voglio raccontare l'effetto del buon esempio di un nostro studente, ancora assai giovane. Avendo costui terminato l'anno scolastico, si recò a casa nel tempo delle vacanze. Il primo giorno del suo arrivo, andato a mensa coi suoi genitori, prima di sedersi fece il segno della santa croce. I parenti suoi nel vedere quell'atto religioso del loro piccolo figliuolo, rimasero stupiti e dissero fra loro: - Ecco il figlio nostro che ci dà buon esempio; ciò che dovremmo fare noi per [234] i primi, lo fa lui stesso e c'insegna. - E da quel giorno quei genitori presero la santa abitudine di fare anch'essi il segno della santa croce ogni qual volta sedevano a mensa. Chiuso l'anno scolastico colla distribuzione de' premi, ogni alunno ebbe da D. Bosco il seguente ricordo:

 

                                Tenor di vita nelle vacanze.

 

                1° Ogni giorno. Servire la S. Messa se si può; meditazione ed un po' di lettura spirituale; fuga dell'ozio; buon esempio ovunque. 2° Ogni settimana. Confessione e comunione. 3° Giorno festivo. Messa, predica, benedizione e Ogni momento. Fuga del peccato: Dio ci vede: Dio ci giudicherà. Le scuole si ricomincieranno il 16 agosto.

 

 

CAPO XXIV. D. Bosco e l'onomastico degli alunni - Predizione di malattie - Solo l'amore di Dio può unire a D. Bosco i suoi alunni - D. Bosco narra la morte di una pubblica peccatrice, che si converte: suggerisce ai giovani - la mortificazione de' sensi ed una preghiera - Una morte che accadrà dopo tre lune; un infermo grave è assicurato da D. Bosco che non morrà - Sogno: il serpente ed il Rosario - Spiegazione del sogno - La recita del Santo Rosario raccomandata sempre e voluta da D. Bosco - I figli continuano le tradizioni paterne.

 

                BENCHÈ tempo di vacanze molti alunni rimanevano nell'Oratorio e D. Bonetti e D. Ruffino raccoglievano nelle loro cronache qualche tratto notabile della loro conversazione con D. Bosco. Anche D. Garino Giovanni e D. Provera Francesco ci lasciarono qualche memoria importante di questo mese.

                D. Bonetti “Il 3 agosto, il Ch. Bongiovanni Domenico gli (a D. Bosco) domandò: - Domani è il mio giorno onomastico. Mi faccia adunque un regalo in onore di S. Domenico, come è Solito a fare a' suoi giovani in simile circostanza. - E D. Bosco gli rispose: - Il regalo che ti faccio è una corona di spine.

                La sera dello stesso giorno Bongiovanni si coricò, per un certo malessere che il domani divenne seria malattia: i dolori lo presero alla testa, la quale gli doleva tutto intorno a guisa di cerchio, e lo tennero in vaneggiamento per parecchi giorni. [236]

                Questa non fu la sola volta che annunziò a diversi giovani di prepararsi a soffrire malattie. Fra i molti annunziò al Ch. Ballesio, sotto la figura di una veste nera, una malattia, che lo incolse gravemente tre o quattro giorni dopo.

                Ogni volta che D. Bosco scende a mensa, quando gli altri superiori hanno già finito il loro pranzo e sono usciti in cortile, i giovani irrompono in refettorio. Si può dire che l'opprimono tale è la loro calca. Un giorno mentre D. Bosco, pranzava e parlava, un chierico sporse il proprio capo vicina al suo per udir meglio quel che dicesse. D. Bosco stesa la mano, toccò il capo del chierico all'improvviso, sicchè legger mente lo fece urtare nel suo. Il Chierico gli disse: - Si, sì, metta in comunicazione le due teste. - D. Bosco gli rispose: - L'amor di Dio solamente le può unire”.

                D. Ruffino: - Parola di D. Bosco ai giovani nella sera del 6 agosto.

 

                 - Oggi alla ½  venne uno in mia camera a recarmi un biglietto cui mi si dava l'indirizzo d'una persona gravemente inferma.

                Il latore m'aveva una faccia affatto sconosciuta. Uscii e dopo fatta un'altra commissione di breve durata, mi recai nel luogo indicatomi. Entro; era una casa cattiva. - A qui che c'è un infermo che mi ha fatto domandare?

                 - Sì, venga qua. - E mi condussero in una camera e io avevo paura, perchè il demonio si vedeva chiaro che faceva da padrone in quella casa. Posto il piede nella camera vidi l'ammalata, che allungando le mani, prese le mie, dicendo: - Mi salvi l'anima, .... mi salverò io?...

                 - Lo spero, le risposi. Poi detto alle altre donne di scostarsi, ne udii la confessione; ed era tempo perchè presto fu agli estremi. Finito che ebbi, uscendo dalla camera, le altre compagne mi si affollarono attorno: - Ebbene, guarirà?

                 - Oh sì guarirà!... ancora pochi momenti e poi sarà all'eternità.

                 - Oh poveretta! Oh disgraziata!... - E qui ad affannarsi, e piangere.

                 - Non dite disgraziata lei, soggiunsi io, dite piuttosto disgraziate voi, che siete proprio nell'anticamera dell'inferno. - E qui presi a far loro una predica quale non avevano mai sentita. Ed esse. - Come fare? Come fare? Lei dice bene. Ma come fare?

                 - Prima di tutto fuggitevene di qui ..... [237]

                - Ma i sacramenti glieli porteranno?

                 - Oh lo pensate voi? temerei, se entrasse qui il Signore, che sprofonderebbe tutta la casa con quanti ci sono.

                 - E allora?

                 - Adesso mi reco dal Parroco e lui farà come crede. Così detto uscii, corsi dal Parroco, gli raccontai la storia. - Lasci fare a me, disse; prendo su di me la cura di ciò. - Si recò dell'ammalata: ebbe appena il tempo di somministrarle l'Olio santo e pochi istanti dopo se ne morì. Alla sera più nessuno eravi in quella casa. Fortunata quella figlia, cui Dio concedette tempo di fare la sua confessione. I sentimenti che manifestò fanno sperare molto della sua eterna salute. Ma bisognerebbe essere stato là a vedere quelle altre compagne coi capelli ritti, le labbra livide, gli occhi stralunati, per capacitarsi che terribile flagello sia il peccato per chi lo ha in seno, massime quando si ha la morte davanti. D. Cafasso diceva, che se il peccato non avesse altra punizione che il rimorso che lascia a chi lo commette, sol per questo sarebbe da fuggire. È impossibile che un uomo possa durare in uno stato così inquieto come è quello di un'anima, che fermandosi brevi istanti a pensare a’ casi suoi, sente la coscienza squarciata dai rimorsi dei peccati.

                In questa sera D. Bosco suggerì per l'avvenire di fare qualche cosa in onore della Madonna, come sarebbe, fuggire gli sguardi pericolosi o le letture cattive ecc., e di recitare a questo fine ogni giorno una Salve, Regina. Amen!

 

                D. Garino: “Il 15 agosto moriva all'ospedale S. Giovanni (Torino) il giovane Petiti Giovanni da Fossano in età di 14 anni. È di lui che Don Bosco, parlando, me presente, ad alcuni in privato, avea predetto alcun tempo prima, come non sarebbero passate tre lune che uno degli alunni sarebbe morto. Ora in quei tre mesi un artigiano sarto nato a Novara nel 1843, di nome Quadrelli David, erasi ammalato gravemente. Sapendo della profezia temeva forte di dover morire. D. Bosco andò a trovarlo per dargli conforto, ed anche vedere se fosse il caso di amministrargli i Sacramenti. Quadrelli appena lo vide esclamò: - Ma io non voglio morire!...  D. Bosco lo fissò con sguardo amorevole e gli rispose: - Ebbene tu guarirai…… un altro morirà in tua vece….. -  Quindi lo benedisse. E Quadrelli si rimise pienamente in salute”.

                D. Provera: “D. Bosco ebbe una nuova prova degli assalti [238] continui mossi dal demonio contro le anime, dei danni che arreca, della necessità di continue battaglie per respingerlo, e strappargli le prede fatte. Militia est vita hominis super terram. Un centinaio di alunni erano tornati da casa pel mese di ripetizione e preparazione al prossimo anno scolastico. Il 20 agosto 1862 recitate le preghiere della sera D. Bosco, dopo dati alcuni avvisi spettanti l'ordine della casa, disse:

 

                Voglio contarvi un mio sogno fatto poche notti sono. (Deve essere la notte che precedeva la festa dell'Assunzione di Maria SS.)

                Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d'Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch'io non sapeva chi fosse, e mi invita ad andar con lui. Lo seguii e menommi in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l'erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e diuna grossezza straordinaria. Inorridii a tal vista e voleva fuggirmene: - No, no, mi disse quel tale; non fugga; venga qui e veda.

                 - E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia? Non sai che è capace d'avventarmisi addosso e divorarmi in un istante ?

                 - Non abbia paura non le recherà alcun male; venga con me.

                 - Ah! non son così pazzo di andarmi a gettare in tal pericolo.

                 - Allora, continuò quello sconosciuto, si fermi qui! - E poi andò a prendere una corda e con questa in mano ritornò presso di me e disse:

                 - Prenda questa corda per un capo e lo tenga ben stretto fra le mani; io prenderà l'altro capo e andrò alla parte opposta e così sospenderemo la corda sul serpente.

                 - E poi?

                 - E poi gliela lascieremo cadere attraverso la schiena.

                 - Ah! no per carità! Perchè, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi.

                 - No, no; lasci fare da me.

                 - La, là! Io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita. - E già me ne voleva fuggire. Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicurò che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto male alcuno e tanto disse che io rimasi e acconsentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall'altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa diede una sferzata sulla schiena del serpe. Il serpente fa un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l'aveva percosso, ma invece di mordere la corda, resta da essa allacciato come in cappio corsoio. Allora mi gridò quell'uomo: - Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda. - E corse ad un pero che [239] era là vicino, e legò a quello il capo di corda che aveva tra le mani: corse quindi da me, mi tolse il mio capo di corda e andò a legarlo all'inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dimenava, si dibatteva furiosamente e dava giù tali colpi in terra colla testa e colle immani sue spire, che laceravansi le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finchè ebbe vita; e morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato.

                Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la corda dall'albero e dalla finestra, la trasse a sè, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse: - Stia attento neh! - Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. 1 giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l'occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole Ave Maria! - Ma come vai ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa ed ora è così ordinata.

                 - Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l'Ave Maria o piuttosto il Rosario che è una continuazione di Ave Maria, colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demonii dell'inferno.

                Fin qui, concluse D. Bosco, è la prima parte del sogno. V'è n'è un'altra parte, la quale sarà, ancor più curiosa e interessante per tutti. Ma l'ora è già tarda e perciò differiremo a contarla domani a sera. Frattanto teniamo in considerazione ciò che disse quel mio amico riguardo all'Ave Maria ed al Rosario. Recitiamola divotamente ad ogni assalto di tentazione, sicuri di uscirne sempre vittoriosi. Buona notte!

 

                E qui domandiamo che ci si permettano alcuni commenti, giacchè D. Bosco non diede su questa scena alcuna interpretazione.

                Il Pero di cui si tratta nel sogno è quello stesso al quale D. Bosco fanciullo aveva tante volte attaccata una fune, assicurandone l'altra estremità ad un secondo albero poco distante, per intrattenere co' giuochi di ginnastica i conterrazzani e così obbligarli ad ascoltare i suoi catechismi. Questo pero ci pare di poterlo raffrontare con quella pianta, della quale si legge nel Cantico dei Cantici, al Capitolo II, versicolo 3. Sicut malus inter ligna silvarum, sic dilectus meus inter filios. Il Tirino e molti altri celebri commentatori della Sacra Scrittura, notano che il melo è qui posto per qualunque pianta che [240] porti frutto. Simile pianta, che spande un'ombra gradita e salubre, è un simbolo di Gesù Cristo, della, sua croce, dalla virtù della quale viene l'efficacia della preghiera e la sicurezza della vittoria. Sarà questo il motivo pel quale un capo della corda, fatale al serpe, è primieramente assicurato al pero? E l'altra estremità annodata alle spranghe della finestra non può essere indizio che all'abitante di quella casa ed a' suoi figli era affidata la missione di propagare la pratica del Rosario.

                E D. Bosco da tempo l'aveva intesa.

                Egli ai Becchi ne aveva istituita la festa annuale; ogni giorno volle che ne fosse recitata una terza parte dagli alunni di tutte le sue case; e colle prediche e colle stampe cercò di rimetterne l'antica usanza nelle famiglie. Ei reputava essere il Rosario un'arma che avrebbe data la vittoria non solo agli individui, ma anche alla Chiesa. Perciò da' suoi discepoli furono poi pubblicate tutte le Encicliche di Leone XIII su questa preghiera così cara a Maria; e col Bollettino Salesiano caldeggiarono l'esecuzione dei voti del Vicario di Gesù Cristo.[19]

 

 

CAPO XXV. D. Bosco svela la seconda parte del sogno  Le carni del serpe, l'avvelenamento di chi ne mangia, il rimedio che può richiamare in vita - La verità nella storia - Nostre riflessioni sulla seconda parte del sogno - Fioretti per la novena della Natività di Maria SS.: non commettere peccati: dare un buon consiglio: correggere gli abiti cattivi e aver  confidenza ne' superiori: confessione generale per chi non l'ha latta ancora: amiamo Gesù per essere amati dalla Madonna: compostezza in Chiesa: obbedienza - D. Bosco è invitato a predicare e a benedire un quadro del Sacro Cuore di Maria   in Montemagno: per lettere chiede informazioni e suggerisce le previdenze necessarie - Predicazione a Montemagno del Can. Galletti e di D. Bosco - Lodi di D. Bosco alla santità e alla zelante parola del Canonico - Pubblico sacrilegi o in Torino - Discorso famigliare di D. Bosco: si vedranno giovani dell'Oratorio elevati all'onore degli altari: il mezzo più facile per farci santi: sua sollecitudine pel bene dell'anima de' giovani - Terza edizione della Storia d'Italia e la Civiltà Cattolica.

 

                ESPOSTE ai lettori di queste pagine le nostre povere idee intorno al significato della casetta di Morialdo e dell'albero della sua aia, riprendiamo il memoriale di D. Provera, che ci racconta altre circostanze del sogno ed altre parole di D. Bosco.

                “Il 21 agosto alla sera, recitate le comuni orazioni, eravamo tutti impazienti di sentire la seconda parte del sogno che [242] D. Bosco aveva detta curiosa ed interessante per tutti: ma i nostri desideri non furono soddisfatti. D. Bosco salì sulla solita tribuna e disse: - Ieri sera vi annunziai che oggi vi avrei raccontata la seconda parte del sogno, ma mio malgrado non credo opportuno mantener la parola.

                A questo punto levossi da ogni parte un sussurro che indicava rincrescimento e scontentezza. D. Bosco lasciato alquanto sedare quel mormorio, ripigliò: - Che mai volete? Ci pensai iersera, ci pensai quest'oggi ed ho visto non essere cosa conveniente raccontare il restante del sogno; poichè esso contiene cose che io non vorrei che si sapessero fuori di casa. Contentatevi perciò di trarre profitto di quanto vi dissi della prima parte.

                Il domani 22 agosto, lo pregammo più volte a volerci raccontare se non in pubblico, almeno in privato quella parte di sogno che aveva taciuta. Non voleva accondiscendere. Dopo però molte suppliche si piegò e disse che alla sera avrebbe ancor parlato del sogno. Così fece. Dette le orazioni, incominciò:

 

                Dietro molte vostre istanze racconterò la seconda parte del sogno.

                Se non tutta, almeno vi dirò quel tanto che potrò raccontarvi. Ma prima debbo premettere una condizione, cioè che nessuno scriva o dica fuori di casa quello che io racconterò. Parlatene tra di voi, ridetene, fatene tutto quel che volete, ma fra di voi soli.

                Mentre adunque io e quel personaggio parlavamo della corda, del serpente e dei loro significati, mi volgo indietro e vedo giovani che raccoglievano di quei pezzi di carne del serpente e mangiavano. Io allora gridai subito: - Ma che cosa fate? Pazzi che siete! Non sapete che quella carne è velenosa e vi farà molto male?

                - No, no, mi rispondevano i giovani: è tanto buona!

                Ma intanto, mangiato che avevano, cadevano in terra, gonfiavano e restavano duri come pietra. Io non sapeva darmi pace, perchè non ostante quello spettacolo altri e altri giovani continuavano a mangiare. Io gridava all'uno, gridava all'altro; dava schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero: ma inutilmente. Qui uno cadeva, là un altro si metteva a mangiare. Allora chiamai i chierici in aiuto e dissi loro che si mettessero in mezzo ai giovani e si adoperassero in ogni modo perchè più nessuno mangiasse di quella carne. Il mio ordine non ottenne l'effetto desiderato, che anzi alcuni degli [243] stessi chierici si misero a mangiare le carni del serpe e caddero egualmente che gli altri. Io era fuori di me stesso, allorchè vidi tutto intorno a me un gran numero di giovani distesi per terra in quello stato miserando.

                Mi rivolsi allora A quello sconosciuto e gli dissi: - Ma che cosa vuol dire ciò? Questi giovani conoscono che - quella carne reca loro la morte, tuttavia la vogliono mangiare! E perchè?

                Egli rispose: - Sai bene: che animalis homo non percipit ea quae Dei sunt.

                 - Ma e ora non c'è più rimedio per riaver di nuovo questi giovani?

                 - Sì che c'è

                 - Quale sarebbe?

                 - Non vi è altro che l'incudine ed il martello.

                 - L'incudine? il martello? E che cosa fare di tali cose?

                 - Bisogna sottoporre i giovani alle azioni di questi strumenti.

                 - Come ? Debbo forse io metterli su di un incudine e poi batterli con un martello?

                Allora l'altro spiegando il suo pensiero, disse: - Ecco; il martello significa la confessione; l'incudine la S. Comunione: bisogna fare uso di questi due mezzi. - Mi misi all'opera e trovai giovevolissimo questo rimedio, ma non per tutti. Moltissimi ritornavano in vita e guarivano, ma per alcuni il rimedio fu inutile. Questi sono coloro che non facevano buone confessioni.

 

                Come i giovani si furono ritirati nelle camerate, io chiesi privatamente a D. Bosco perchè il suo ordine ai chierici, di impedire ai giovani che mangiassero le carni del serpe, non avesse ottenuto l'effetto desiderato. Mi rispose: - Non fui obbedito da tutti: anzi vidi alcuni degli stessi chierici, come ho già detto, a mangiare quelle carni”.

                Questi sogni in buona sostanza rappresentano la realtà della vita e colle parole e fatti di D. Bosco manifestano lo stato intimo di una, di cento comunità, ove in mezzo a preziosissime virtù si trovano non poche miserie. E non è da farne le meraviglie. Pur troppo che il vizio di sua natura si espande assai più che la virtù, quindi la necessità di una vigilanza continua.

                Qualcuno potrebbe osservare che sarebbe stato conveniente attenuare od anche omettere qualche descrizione [244] troppo disgustosa, ma non è tale il nostro parere. Se la storia deve effettivamente adempiere al suo nobile ufficio di maestra della vita, essa deve descrivere la vita passata quale fu realmente, acciocchè le future generazioni possano non solo trarre coraggio e fervore dalle virtù di quelli che li precedettero, ma al tempo stesso dai loro mancamenti ed errori imparino con quale prudenza debbano regolarsi. Una narrazione che rappresenti un lato solo della realtà storica  non può condurre che ad un falso concetto. Errori e difetti altre volte commessi, quando non siano conosciuti o non riconosciuti come tali, torneranno ad essere commessi, senza emendazione. Una malintesa apologia, non giova nulla ai benevoli e non converte i mal disposti, potendo sola una franchezza illimitata generare credito e fiducia.

                Quindi noi per esporre tutto il nostro pensiero, diremo di vantaggio come D. Bosco avesse dato al sogno le spiegazioni più ovvie all'intelligenza de' giovani, ma che però altre ne lasciava travedere di non minore importanza. Non le svelò perchè forse in quel momento non li riguardavano. Infatti ne' sogni lo vediamo tratteggiare non solo il presente, ma anche l'avvenire lontano, come in quello della Ruota e in altri che verremo esponendo. Ma intanto le carni imputridite di quel mostro non potrebbero indicare scandalo che fa perdere la fede, lettura di libri immorali, irreligiosi? Che cosa indica la disobbedienza al Superiore, la caduta, la gonfiezza, la durezza come di pietra, se non colpa, superbia, ostinazione, malizia ?

                È il veleno che in loro ha trasfuso quel cibo maledetto, quel dragone descritto da Giobbe nel Capo XLI, che asseriscono i Santi Padri essere figura di Lucifero. Il versicolo 15° dice così: Il cuore di lui è duro come la Pietra. E cosi diventa il cuore dei miseri avvelenati, ribelle e ostinato nel male. E quale sarà il rimedio a tale durezza? D. Bosco si esprime con un simbolo alquanto oscuro, ma che in sostanza indica un aiuto soprannaturale. A noi sembra che si possa spiegare così: Essere necessario [245] che la grazia preveniente, ottenuta colla preghiera e coi sacrifizii de' buoni, accenda i cuori induriti e li renda malleabili; che i due sacramenti, cioè il martello dell'umiltà e l'incudine dell'eucaristia sulla quale il ferro riceve una forma costante, artistica per essere poi temperato, possano esercitare la loro efficacia divina; che il martello che batte, e l'incudine che sostiene, concorrano insieme a compiere l'opera che nel nostro caso è la riforma di un cuore ulcerato, ma divenuto docile. Ed è allora che questo, circondato come da un nimbo di splendenti scintille, ritorna ad essere quel che era una volta.

                Espressa così la nostra idea, ripigliamo le cronache. Colla protezione di Maria SS., D. Bosco era sicuro nel sostenere e vincere gli urti del nemico infernale, e quindi preparava i suoi alunni alla festa della Natività della Madre di Dio. Il 29 agosto diede il primo fioretto e quindi altri cinque nelle sere successive. D. Bonetti li trascrisse.

 

                I.° Tutti facciamo uno sforzo per passar questa novena senza commettere alcun peccato, nè mortale nè veniale.

                2° Dare un buon consiglio ad un amico.

                Egli la sera dopo lo diede pure a tutti in generale e disse che ci facessimo una generosa violenza per correggere i nostri cattivi abiti mentre siamo ancora giovani; e che avessimo coi superiori una grande confidenza, sia nelle cose dell'anima, sia anche nelle cose del corpo.

                3.° Pensare se sia bene di fare una confessione generale, e ciò per quelli che non l'hanno ancor fatta; quelli che l'hanno già fatta procurino di recitare un atto di contrizione per tutti i peccati della vita passata.

                4° Ci raccontò quello che disse una volta Don Cafasso ad un brentatore, il quale gli aveva domandato qual cosa piacesse più alla Madonna. Interrogò egli il brentatore: - Quale è la cosa che molto piace alle madri?

                L'altro rispose: - Alle madri molto piace che si accarezzino i loro figli.

                 - Bravo, riprese D. Cafasso; hai risposto bene. Se adunque vuoi fare una cosa molto gradevole alla Madonna, fa molte carezze al suo Divin figliuolo Gesù, prima col mezzo di una santa Comunione, quindi col tener lontano dal tuo cuore ogni sorta di peccato anche solo veniale. - Così disse D. Cafasso a quel tale e così io dico a voi tutti. [246]

                5° Domani nelle orazioni si faccia ogni possibile per non appoggiarsi o sulle calcagna, o sui banchi, o cercare qualche altra comodità, e questo sia detto specialmente per coloro che sono soliti fare altrimenti. Per tutti poi sia questo il fioretto; di parlare sempre italiano e di avvisarci di farlo se taluno non si ricorda.

                6° Obbedienza perfetta e in tutto. Domani facciamoci nè anche avvisare per osservare le regole della casa, nè per adempiere ai proprii doveri. Se alcuno poi venisse in particolare comandato di fare qualche cosa, la faccia con tutto piacere e prontamente. Vi assicuro che questo sarà il più bel fioretto che possiamo presentare a questa nostra Madre celeste. Così facendo noi ci meriteremo il titolo di suoi figli ed ella come madre amorosa c'insegnerà il santo timore di Dio, come essa stessa per bocca della Chiesa ci promette: Fili, audite me; timorem Domini docebo vos.

 

                Così parlava D. Bosco a' suoi figliuoli, dai quali doveva allontanarsi in que' giorni per andare a Montemagno ove nel giorno 8 settembre sarebbesi celebrata la festa del Sacro Cuore di Maria.

                La Marchesa Fassati aveva provvisto un magnifico quadro dipinto dal Lorenzoni per l'altare della Madonna e disponeva di un reddito di 400 lire annuali da pagarsi al Pievano, per un prete da lui scelto che ogni sabato facesse per tempo una funzione a quell'altare. Questa doveva consistere nella celebrazione della S. Messa, nel canto delle litanie della B V. e nella benedizione col SS. Sacramento. Si era anche stabilito di erigere la confraternita del Sacro Cuore di Maria, e si desiderava un triduo di prediche a modo di esercizi spirituali in preparazione a questo grande atto.

                La Marchesa fin dal principio di agosto aveva trattato della cosa con D. Bosco, il quale volentieri acconsentiva e rispondeva ad una lettera della Marchesina Azelia, che gli aveva scritto per ordine della madre:

 

                               Dillettissima in Gesù e Maria,

 

                È inteso col Can. Galletti che andiamo a Montemagno in onore di Maria. - Abbiamo soltanto bisogno di sapere.

                I° Quando si comincia e quante prediche. [247]

                2° Se l'uso è di predicare italiano o piemontese.

                La ringrazio molto delle belle notizie che mi dà; rincresce che io non possa scrivere molto. Le raccomando soltanto di essere la consolazione di Papà e di Mamma e l'esempio di Emanuele con una condotta veramente cristiana. Il nemico delle anime vorrà anche metterla alla prova; non tema, obbedisca, speri in Gesù Sacramentato ed in Maria Immacolata.

                La benedizione del Signore sia sopra di Lei, sopra Papà e Maman e sopra il mio amicone Emanuele. Preghino anche per me che di tutti mi professo

                Torino, 15 agosto 1862

 Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                E alla Marchesa spediva il seguente

 

                               Benemerita Sig. Marchesa,

 

                Tutto come ha scritto. Abbia ancora la bontà di aggiungere alcuni schiarimenti.

                Se partendo da qui alle 11 del 6 Settembre giungeremo ancora a tempo per la predica di quella sera.

                Se per Domenica e Lunedì il Prevosto stima a proposito che si facciano tre prediche.

                Se il Prevosto ama meglio che si predichi italiano o piemontese; per noi è cosa indifferente.

                Il Sig. Prevosto abbia là bontà d'intendersi col Sig. Vicario Gen. per le opportune facoltà essendo noi di Diocesi diversa.

                Il medesimo sig. Prevosto pensi ai confessori, giacchè in simili occasioni si penuria sempre di tempo e di sacerdoti per ascoltare le confessioni.

                La Santa Vergine Immacolata ci conservi tutti suoi, e la grazia di nostro S. G. C. discenda copiosa sopra di Lei, sopra il sig. Marchese e sopra tutta la venerata di Lei famiglia, mentre con la più viva gratitudine ho l'onore di professarmi di V. S. Benemerita,

                Torino, 29 agosto 1862

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

                Il Can. Eugenio Galletti e D. Bosco giunsero adunque a Montemagno nel giorno stabilito e incominciarono la loro predicazione, che fu, non è a dire, ricca di messe ubertosa, quale [248] poteva aspettarsi dalla parola di due santi sacerdoti. D. Porta Luigi ci raccontò che il Canonico Galletti sembrava un serafino parlando di Maria. Eziandio D. Bosco, affermò D. Rua, parlava poi con viva ammirazione della virtù, dell'austerità le dell'unzione delle prediche del Canonico; ed in guisa da parer egli ben lontano dalla perfezione di quel servo di Dio. Eppure anche le sue prediche erano ascoltate con entusiasmo dalla moltitudine che riempiva la Chiesa.

                Ma nello stesso tempo che D. Bosco a Montemagno benediceva il quadro del Sacro Cuore di Maria, un orrendo misfatto funestava la città di Torino nel di 8 settembre. Tra grande folla di popolo incominciava a sfilare dalla Cattedrale la processione che, secondo il prescritto delle leggi dello Stato, si faceva ogni anno in questo giorno, per commemorare la liberazione di Torino dall'assedio dei Francesi nel 1706. Ad un tratto un uomo si slanciò sul trono ove era la statua di Maria SS. col bambino in braccio, che si doveva portare in processione. Trattasi di sotto all'abito un accetta, prese a menar colpi furiosi contro la statua di Maria Vergine di rame argentato e contro il bambino. La testa ed un braccio del bambino spiccati caddero. Il descrivere le grida, i pianti, la confusione, il tumulto che destossi nella vasta Chiesa è cosa impossibile. Un carabiniere accorso fece stramazzare con una sciabolata quel miserabile che continuava a menar colpi contro la Madonna. Grondante sangue, legato, difeso dalle guardie perchè il popolo si avventava contro di lui per farlo a pezzi, gridava: - Me lo hanno fatto fare; mi hanno pagato per fare questo colpo. Il ribaldo non era mai stato pazzo, ma avendo bisogno l'Autorità pubblica di velare le scelleraggini di un partito del quale aveva paura, tale lo fece dichiarare e lo mandò diritto al manicomio.

                Un solenne triduo espiatorio di quella profanazione fu celebrato prima nella Cattedrale e poi nel Santuario della Consolata e a questo prese parte D. Bosco ritornato da Montemagno. [249] I giovani dell'Oratorio lo avevano atteso e D. Bosco non cercava altro che di averti attorno a sè. D. Bonetti nota nella sua cronaca - “13 settembre. A stare vicino a D. Bosco sempre si impara e dai suoi discorsi, anzi da una sola parola si ricevono grandi stimoli per correre sulla strada della virtù. Un giorno dopo pranzo ci eravamo a lui avvicinati attorniandolo, ansiosi di udire, qualche bell'ammaestramento. Il discorso venne a cadere sul modo di farei santi ed osservavamo come tutti i veri servi di Dio amassero e praticassero la penitenza, come faceva pure il nostro Savio Domenico.

                Dopo aver buona pezza di ciò parlato, recando l'esempio or dell'uno or dell'altro, D. Bosco venne a dire: - Quello che vi assicuro si è, che noi avremo dei giovani della - casa elevati agli onori degli altari. Se Savio Domenico continua così a fare miracoli, io non dubito punto, se sarò ancora in vita e possa promuovere la sua causa, che la Santa Chiesa ne permetta il culto almeno per l'Oratorio. - Oh giorno fortunato, si esclamò da tutti, quale festa non sarà mai per noi!

                Quindi D. Bosco fece questa domanda al Ch. Anfossi: Quale credi che sia il mezzo più facile a noi per farci santi?

                Gliene furono detti parecchi, ma egli dopo aver udito in silenzio senza interrompere, disse. - È  il seguente. Riconoscere la volontà di Dio in quella dei nostri Superiori in tutto ciò che ci comandano e in tutto quello che ci accade lungo la vita. Alcune volte ci pare proprio, proseguì egli, che le cose non debbano essere così. Allora è tempo di farci coraggio e dire a noi stessi; mi fu detto così, perciò andiamo avanti. Altre volte ci sentiamo oppressi da qualche calamità od angustia di corpo o di spirito: non ci perdiamo di coraggio, confortiamoci col dolce pensiero che tutto è ordinato da quel pietoso nostro Padre che è nei cieli e per nostro bene: a lui tutto offriamo, noi e le cose nostre. Questo è il mezzo più acconcio per arrivare con somma facilità alla più alta perfezione. Vi sarà per es. chi vuole fare penitenza, digiunare [250]; il Superiore lo consiglia a ciò non fare: ebbene, ubbidiamo, chè cosi saremo sicuri di fare la volontà di Dio e saliremo un gradino sulla scala della santità.

                Una volta parlando egli del desiderio che aveva di salvare le anime de' suoi giovani, venne a dire: - Se io mettessi tanta sollecitudine pel bene dell'anima mia come ne metto pel bene delle anime altrui, potrei essere sicuro di salvarla. - Altra volta dicendo come desiderasse di possedere il cuore de' suoi giovani, soggiunse: - Tutto io darei per guadagnare il cuore dei giovani e così poterli regalare al Signore”.

                Intanto in quest'anno 1862 D. Bosco aveva fatta stampare la terza edizione della sua Storia d'Italia dalla Tipografia di Luigi Ferrando con una carta geografica della penisola: e la Civiltà Cattolica serie V, vol. III, pag. 474 così davane giudizio.

                In un tempo come il nostro nel quale della menzogna storica si fà un manicaretto per avvelenare le menti giovanili, molto importa rendere note le opere che nell'educazione della gioventù possono servire d'antidoto alle predette corruttele. E che tale sia questo veramente egregio libro del chiarissimo D. Bosco non ci bisogna provarlo alla lunga. Altrove parlando di questa storia notammo i meriti particolari che in se contiene[20]; e che sono di assai cresciuti nella nuova edizione che annunziamo.

                Per lo scopo che l'autore si propone, che è d'insegnare la storia patria ai giovanetti Italiani con facilità, con brevità, con chiarezza, noi non esitiamo ad affermare che il libro nel suo genere non ha forse pari in Italia. È  composto con grande accuratezza e con una pienezza rara a trovarsi nei compendii.

                Tutto il lavoro è diviso in quattro epoche, la prima delle quali incomincia dai primi abitatori della penisola; e l'ultima giunge fino alla guerra del 1859. Un breve studio di storia antica con un confronto dei nomi geografici dell'Italia vetusta coi nomi moderni, chiude il libro a maniera di appendice. Sotto la penna dell'ottimo D. Bosco la storia non si tramuta in pretesto di bandir idee di una politica subdola e principii di una ipocrita libertà, come pur troppo avviene di certi altri compilatori di Epiloghi, di Sommarii, di Compendii che corrono [251] l'Italia e brulicano ancora per molte scuole godenti riputazione di buone. Alla veracità dei fatti, alla copia della materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell'ordine, l'autore accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime, vuoi morali, vuoi religiose, vuoi politiche. E questa è la qualità che ci sprona a raccomandare caldamente questo bel libro a quei padri di famiglia, a quei maestri, a quegli istitutori che desiderano di avere figliuoli e discepoli eruditi nella germana istoria patria, ma non dalla falsa storia patria attossicati.

                Ecco di fatto come l'egregio autore rende ragione del modo da sè serbato nel compilare e scegliere ed ordinare questo suo prezioso ristretto. “Attenendomi ai fatti certi e più fecondi di moralità, e di utili ammaestramenti, tralascio le cose incerte, le frivole congetture le troppo frequenti citazioni di autori, come pure le troppo elevate discussioni politiche, le quali tornano inutili e talora dannose alla gioventù. Posso non pertanto accertare il lettore che non scrissi un periodo senza confrontarlo coi più accreditati autori e, per quanto mi fu possibile, contemporanei o vicini al tempo cui si riferiscono gli avvenimenti. Nemmeno risparmiai fatica nel leggere i moderni scrittori delle cose d'Italia, ricavando da ciascuno quanto parve convenire al mio intento”.

                Convien pur dirlo, giacchè è per nostra sciagura troppo vero. Quella colluvie di scritti elementari e pedagogici, che ora allaga la nostra penisola, è per la massima parte appestata dagli errori moderni contro il Papato, contro la Chiesa, contro il Clero, contro l'autorità divina ed umana. La diabolica congiura dei figliuoli delle tenebre contro la Luce eterna opera indefessamente a guastare fino dal seme le tenere anime dei giovanetti. Quindi noi stimiamo di fare un atto d'amicizia suggerendo ai cattolici nostri lettoti un libro elementare, il quale nè procede da un congiurato contro la verità, nè ha le magagne che corrompono ai di nostri le menti inesperte.

                In prova delle quali asserzioni, e come per saggio dello spirito sodamente cattolico, che anima tutto questo lavoro, porremo sotto l'occhio dei lettori, i sugosi e sapientissimi ammonimenti coi quali l'autore conchiude tutta la sua esposizione.

                “Noi pertanto porremo qui termine ai racconti sulla storia d'Italia, ma, per conclusione di quanto vi ho finora esposto, vorrei che v'imprimeste bene in mente alcuni ricordi da non mai dimenticarsi e che voi potete applicare a qualsiasi altra storia che siate per leggere.

                Ricordatevi adunque che la storia è una terribile e grande maestra dell'uomo. Maestra terribile, perchè espone le azioni degli uomini tali quali sono state fatte, senza avere alcun riguardo alla dignità, grandezza e ricchezza di coloro a cui si riferiscono. Compiuta un'azione la storia è in diritto di esporla, approvarla o biasimarla secondo che merita. Perciò dobbiamo temer grandemente quello che altri saranno [252] per dire intorno alle nostre azioni, e vivere in modo che gli uomini abbiano argomento di parlar bene di noi.

                La storia è eziandio una grande maestra per le cose che insegna. Essa insegna come in ogni tempo è stata amata la virtù e furono sempre venerati quelli che l'hanno praticata; al contrario fu sempre biasimato il vizio e furono disprezzati i viziosi. La qual cosa deve essere a noi di eccitamento a fuggire costantemente il vizio e praticare la virtù.

                Finalmente vi rimanga altamente radicato nell'animo il pensiero che la religione fu in ogni tempo riputata il sostegno dell'umana società e delle famiglie, e che dove non vi è religione, non vi è che immoralità e disordine; che perciò noi dobbiamo adoperarci per promuoverla, amarla e farla amare anche dai nostri simili e guardarci cautamente da quelli che non la onorano o la disprezzano.

                Gesù Cristo nostro Salvatore ha fondata la sua Chiesa e unicamente in questa Chiesa conservasi la vera religione. Questa religione è la Cattolica, unica vera, unica santa, fuori di cui niuno può salvarsi.

                Amiamo pertanto questa religione, dico di nuovo, e pratichiamola: amiamola colla fermezza nel credere, pratichiamola coll'adempimento, de' suoi precetti. E poichè avvi un solo Dio, una sola fede ed una sola religione, uniamoci anche noi in un solo vincolo di fede e di carità per aiutarci nei bisogni della presente vita; sicchè, l'uno dall'altro a vicenda confortati nel corpo e nello spirito, possiamo pervenire un giorno a regnare eternamente con Dio nella patria dei beati in cielo.”

 

 

CAPO XXVI. Lotteria 1862 - Note e Documenti. Terza ripresa della Lotteria - Domanda al Prefetto di Torino per una seconda proroga dell'estrazione della Lotteria e per un aumento di biglietti - Decreto favorevole del Ministero delle Finanze e della Prefettura - L'Armonia: Una visita all'esposizione de' Premii - L'Opera pia di S. Paolo e il Municipio di Torino non possono accettare biglietti di Lotteria - Contribuzione del Vescovo di Guastalla - Graziosa lettera di D. Bosco ad un Signore al quale erano stati mandati per la seconda volta molti biglietti di Lotteria - Generosità dell'Arcivescovo di Firenze - È raccomandata la Lotteria ai Ministri delle Corti straniere presso il Re d'Italia.  SUL principio di settembre doveva porsi termine alla lotteria, ma Don Bosco volendo approfittarsi quanto maggiormente poteva delle favorevoli circostanze che secondavano i suoi disegni, d'accordo coi Sindaco Presidente, fece scrivere al Prefetto della Provincia la seguente lettera:

 

                               Ill.mo Signor Preletto,

 

                La benigna accoglienza fatta dal pubblico alla Lotteria da V. S. Ill.ma approvata con decreto del 2 luglio anno corrente ed il vistoso numero degli oggetti offerti a favore della medesima, hanno messo la Commissione nel bisogno di dovere novellamente ricorrere alla esperimentata di Lei cortesia affine di ottenere ulteriori favori.

                I° Che venga approvato l'estimo degli oggetti compresi dal, N. 1821 [254] al 2835 inclusivo, sommanti al N. di 1014 Oggetti, formanti il complessivo valore di lire 28, 014 come da perizia dei Sig. estimatori in fine sottoscritti: aggiungendovi il decimo pel biglietto gratuito ogni decina, siccome fu già conceduto col precedente citato decreto di questa Prefettura, importerebbe un totale di lire 30, 815, e equivalente al numero 61,630 di biglietti, di cui si prega di volerne autorizzare l'emissione.

                2° Che sia accordata la facoltà di tenere aperta, la pubblica esposizione sino al 23 del prossimo settembre per aver campo a smerciare i biglietti di cui chiedesi l'autorizzazione.

                Nella fiducia di essere esaudita, la Commissione porge a V. S. Ill.ma i suoi più sentiti ringraziamenti, mentre a nome della medesima mi professo con distinta stima e considerazione.

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 26 agosto 1862.

 

Pel Presidente assente il segretario

FEDERICO Cav. OREGLIA.

 

                Unita a questa domanda vi era un terzo elenco di oggetti in carte bollate, dal numero 1821 al 2835 con le relative perizie[21]

                Pure questa richiesta fu accolta favorevolmente.

 

                PREFETTURA DELLA PROV. DI TORINO

                Divisione 5°                                         Torino, addì 25 settembre 1862.

                Prot. N.° 12129 - Reg° N° 664] Debitamente autorizzato dal Ministero di Finanze il Sottoscritto, si pregia di trasmettere al Signor Sacerdote Bosco il Decreto di quest'ufficio delli 21 andante mese[22], con cui viene autorizzata un'aggiunta [255] di premii, un aumento di biglietti e proroga all'estrazione della Lotteria a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales ed altri eretti in Torino, come veniva domandato con apposito ricorso delli 26 Agosto passato.

                Si compiega pure il relativo 3° elenco d'oggetti donati per quegli ulteriori provvedimenti che al riguardo occorrono.

Pel Prefetto

RADICATI.

 

                Un mese guadagnato non era poca cosa per D. Bosco e l'Armonia del 3 settembre pubblicava un articolo intitolato:

 

                Bella Mostra di una Lotteria. - Ieri abbiamo con nostro piacere visitato la pubblica esposizione degli oggetti posti in lotteria a favore dei tre Oratorii maschili di S. Francesco di Sales, di S. Luigi e del Santo Angelo Custode. Fummo pieni di ammirazione e di sorpresa nel vedere la elegante numerosa e svariata quantità di doni provenienti da vari paesi, e da ogni classe di persone. Primeggiano fra gli altri due preziosissimi, rappresentanti uno S. Pietro, l'altro S. Paolo, offerti dalla munificenza del regnante Pio IX. Copiosi e ricchi sono specialmente i doni di S. A. R. il Principe Eugenio, quelli del Principe Tommaso, duca di Genova, del Sindaco di Torino e di molti altri che non è possibile tutti nominare tanto meno descrivere. [256]

                Abbiamo saputo che i Reali Principi prima della loro partenza dalla Capitale mandarono a prendere un vistoso numero di biglietti. Anche il Ministro dell'Interno concorse generosamente per acquisto de' medesimi. Molti benemeriti promotori e molte zelanti promotrici concorsero alla raccolta de' doni ed allo spaccio dei biglietti.

                Rimanendo tuttavia a smerciarsi buona quantità di biglietti, l'estrazione che doveva avere luogo oggi (3) venne differita fino al 23 del corrente settembre. Noi speriamo che gli amatori dei poveri figli del popolo vorranno concorrere a quest'opera di beneficenza. Ognuno sa che questi Oratorii tendono ad avviare i giovanetti più pericolanti alla moralità ed al lavoro. Quale opera può tornare più utile all'umana società? Il prezzo di ciascun biglietto e di centesimi 50; chi ne prende una decina ha l'undecimo gratuito; chi ne prende 25 ha un premio sicuro. I biglietti a premio sicuro hanno la venticinquena, cioè, la serie di 25 biglietti che è di color rosso, e costa fr. 12, 50.

 

                Era continuo lo studio di D. Bosco per far indirizzare, e raccomandare dalla Commissione i pacchi de' suoi biglietti a persone, o Istituti che fossero stati dimenticati; ed anche a quelli che sapeva non li avrebbero ritenuti. Se non otteneva danari aveva almeno il vantaggio di far conoscere l'Opera degli Oratorii.

                La direzione delle Opere Pie di S. Paolo restituiva al Segretario della Commissione i biglietti.

                Notiamo però che il Direttore, quale amico di D. Bosco e membro della Commissione per la lotteria, ne aveva tempo prima acquistate e pagate più decine.

                Torino, addì 30 Agosto 1862

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Questa Direzione concorre anche con sovvenzione a promuovere l'istruzione religiosa in Istituti di beneficenza e ad un tal fine già più d'una volta furono favorevolmente accolte domande all'uopo ad essa inoltrate sia per cotesto Oratorio che, per quelli di S. Luigi e dell'Angelo Custode.

                Non potendo però prender parte alle lotterie che si fanno a beneficio degli Istituti medesimi, mentre non ha in bilancio somme che possano divertirsi in tale uso, il sottoscritto si trova suo malgrado costretto a restituire alla S. V. Ill.ma i 216 biglietti della lotteria apertasi in [257] favore dei tre Oratorii anzidetti, ai quali Ella presiede, che furono alla lodata Direzione trasmessi unitamente ad un esemplare del programma.

                Pregiasi frattanto chi scrive dichiararsi con distinta considerazione della S. V. Ill.ma

Dev.mo Servitore

pel presidente della Direzione

il Direttore DUPRÈ.

 

                Anche al Municipio di Torino facevasi spedizione di biglietti.

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Ogni volta che in passato mi trovai in bisogno eccezionale e feci ricorso a codesto rispettabile Municipio, ho sempre incontrato un valido appoggio.

                Ora alcuni gravi bisogni avendomi consigliato di ricorrere alla pubblica beneficenza, col mezzo di una Lotteria di oggetti, che già trovasi verso il suo termine, e rimanendo ancora a smerciare parecchi biglietti, mi fo animo di raccomandarne sessanta decine, con preghiera di volerli ritenere a favore de' poveri giovani che frequentano gli Oratorii, che formano l'oggetto di questa Lotteria.

                Pieno di fiducia nel favore, auguro a Lei e a tutti i Signori del Municipio ogni bene dal cielo mentre colla più sentita gratitudine mi professo

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 5 sett. 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

 

                Dal Municipio gli veniva risposto:

 

                CITTÀ DI TORINO

                3° Ufficio                                                                            Torino, addì 12. sett. 1862

                Protocollo dell'Ufficio N. 824

                Risposta a Lettera del 5 settembre.

 

                L'istanza presentata da cotesta direzione della Lotteria di beneficenza a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales e di S. Luigi, diretta ad ottenere l'acquisto per parte del Municipio di N° 60 decine di biglietti di detta Lotteria, fu dal sottoscritto riferita alla Giunta Municipale.

                La prefata Giunta in seduta delli 9 corrente, ritenuto che a motivo [258] del continuo succedersi di siffatte lotterie di beneficenza, la Civica Amministrazione non ha mai fatto acquisto di biglietti; e considerata la convenienza per l'interesse dell'erario Municipale (che altrimenti verrebbe a sopportare gravi e ripetuti pesi imprevveduti) di mantenere tale massima in osservanza, deliberava di non accogliere con favore la presentata istanza.

                Il sottoscritto nel parteciparle la presa determinazione, le trasmette di ritorno le 60 decine di biglietti della Lotteria ed ha l'onore di dirsi

 

Per il Sindaco

FARCITO Ass.

 

                Non ritenuto da convenienze economiche rispondeva all'appello del Marchese di Rorà il buon Vescovo di Guastalla Mons. Pietro Rota.

Modena, 10 settembre 1862.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Avendo ricevuto un ossequiato dispaccio a stampa del p. p. agosto, con entro cento biglietti della Lotteria a favore dei tre oratorii, pei fanciulli di codesta città, io spedisco alla Sig. V. Ill.ma, che me, l'inviava e che tanto meritamente presiede la Commissione stabilita per quella Lotteria, un biglietto di banca del valore di lire cinquanta corrispondente all'importare dei biglietti medesimi.

                Nel desiderio che sia abbondante il lucro che si ricaverà da questa pia industria, per sostenere quei così utili stabilimenti, io colgo con piacere l'incontro di attestarle la mia viva soddisfazione per vedere così degno personaggio occupato di così santi e veramente cristiani pensieri e per protestarmi con somma stima e profondo rispetto

                Della S. V. Ill.ma

Umil.mo, e dev.mo servo

+ PIETRO Vescovo di GUASTALLA.

 

                Ma D. Bosco, non avendo esauriti tutti i biglietti, a molti generosi suoi benefattori ne aveva fatta un seconda spedizione. Gli uni li accettarono, gli altri li respinsero. Qualcuno che li ritenne non mancò di fare qualche affettuoso rimprovero al Servo di Dio. D. Bosco scusò la propria indiscrezione con lettere che sono di una sorprendente e gentile amorevolezza. Ne possediamo una ricevuta a Cuneo dal Barone Feliciano Ricci. [259] Charitas benigna est, patiens est (S. Paolo).

 

Torino, 5 Settembre 1862.

 

                               Car.mo Sig. Barone,

 

                La parrucca fu per me ed io sono contento perchè ha ritenuto i biglietti a favore dei poveri nostri giovani.

                La Signora Baronessa ci ha rimandati i biglietti. Ci pensi bene; che se mi troverò in assoluto bisogno io ricorrerò egualmente alla sua carità ed ella nella sua bontà non saprà rifiutarsi. Così ella mi manderà poi denaro senza che io le possa più dare biglietti di lotteria.

                Accetto il giovane Cavallo che Ella compiacquesi raccomandarmi colla tangente mensile di fr. 15 dalla madre. Ella si offre di aggiungerci qualche cosa di sua saccoccia. Io non fisso niente: accetto come limosina qualunque cosa ed in qualunque misura Ella voglia fare pei nostri poveri giovanetti.

                Riceverà unitamente a questa lettera biglietti di Lotteria N ........

                o che sproposito!. e già dimenticava la parrucca fatta testè?

                Perdoni la celia. Dio benedica Lei e la pia di Lei consorte e mi creda sempre con gratitudine di V. S. Car.ma

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni.

 

                Una sorpresa simile a quella del Barone Ricci, era toccata all'Arcivescovo di Firenze. D. Bosco e il Marchese di Rorà ambedue per conto proprio gli avevano mandato circolari e biglietti: ed il generoso prelato ritenne i biglietti dell'uno e dell'altro. Ei scriveva a D. Bosco:

 

                               Molto Rev. e Pregiatissimo Signore,

 

                Ella mi fece tempo fa pervenire io decine di biglietti della Lotteria d'oggetti a favore dei tre Oratorii da Lei diretti, più un biglietto equivalente a 25 e così in tutto 125 biglietti . Da altra parte il Presidente di codesta Commissione me ne inviò 100. Siccome spedisco a lui il valore di questi, così mando a Lei il valore di quelli nell'accluso vaglia postale, col quale Ella potrà ritirare costì in Torino italiane lire 62 e cent. 50 che sono appunto il prezzo dei 125 biglietti.

                Ben volentieri concorro a codesta opera sì caritatevole, quantunque non siano nè pochi nè lievi i bisogni che ogni di van crescendo anche in questa città, e che richiedono non piccoli sacrifizii. [260] Ma mi consolerò nel pensiero che il nostro Divin Salvatore, si degnerà di far sì che anche in questo caso si verifichino quelle sue belle parole: Beati misericordes quoniam misericordiam consequentur.

                Desiderandole intanto ogni bene e raccomandandomi alle sue orazioni passo a confermarmi con perfetta stima ed ossequio

                Di Lei preg.mo Signore,

 

                Firenze, il 21 settembre 1862.

 

Dev.mo ed Obbl.mo servo

GIOACCHINO, Arcivescovo di Firenze.

 

                Nello stesso tempo mandava un suo foglio al Marchese Emanuele di Rorà presidente della Commissione per la Lotteria[23].

                Ad una sola classe di persone non era ancora stato, fatto l'invito di partecipare alla Lotteria, cioè ai Ministri delle Corti straniere presso S. M. il Re d'Italia. Il Cav. Federico Oreglia ne ebbe l'incarico e scrisse una lettera al Signor Kalergis Demetrio inviato straordinario e ministro plenipotenziario della Grecia. [261]

Torino, 20 settembre 1862.

 

                Sta aperta una Lotteria a favore degli Istituti maschili eretti in questa città, sotto il nome di Oratorii. Dal qui unito programma V. E. può argomentare quanto vantaggio da questi ne derivi alla classe povera al cui sollievo sussistono.

                Il Signor Sindaco della città di Torino, quale presidente della Commissione per la Lotteria suddetta, m'incarica fare rispettosa preghiera a V. E. di accogliere e ritenere per sè numero 10 decine biglietti della medesima.

                Fiducioso che la conosciuta filantropia di V. F. sarà per accogliere benignamente questa preghiera, Le porgo i più vivi ringraziamenti a nome del Signor Sindaco suddetto e dell'intera Commissione e mi professo colla massima stima e rispetto

                Di V. E.

 

Obbl.mo Servitore.

Cav. FEDERICO OREGLIA

Segretario della Commis.

 

                Altri simili fogli indirizzò alle varie Legazioni delle quali si conservano solo alcune risposte.

 

                LEGATION DES PAYS BAS A TURIN

                Protocollo generale N. 5925.

Turin, ce 21 Septembre 1862.

 

                               Monsieur le Président,

 

                J'ai l'honneur de vous restituer ci - joint les 50 billets de la Loterie en faveur des Oratoires que en date d'hier, M. Stefano Oreglia Secrétaire de la Commission a bien voulu m'adresser en votre nom.

                Regrettant, Monsieur le Président que d'autres misères à soulager ne me permettent pas de m'associer à la bonne œuvre que vous patronnez, je saisis avec empressement cette occasion pour vous offrir l'assurance de ma considération très distinguée

 

HELDERWIER IKHR.

 

                LEGACION DE ESPANA EN TURIN

 

Torino, li 28 settembre 1862.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Ogni qualvolta si è trattato di atti filantropici in sollievo della classe necessitosa, la Legazione di Spagna non è mai venuta meno a concorrervi [262] colle sue offerte, epperciò accetto col massimo piacere i quaranta biglietti della lotteria che la S. V. Ill.ma si compiacque di acchiudere al di Lei foglio del 20 corrente e qui unita mi pregio rimetterle la somma di lire venti, ammontare dalle suddette 4 decine.

                Gradisca intanto i sensi della mia più distinta stima e pari considerazione.

 

L'Incaricato d'affari di Spagna

A. de DURO.

 

                PORTUGAL, LEGACAO DE S. M. F. EM TURIM.

 

Turin, ce 21 octobre 1862.

 

                               Monsíeur,

 

                Mes innombrables occupations dans ces derniers temps m'ayant empêché de répondre à une quantité de lettres qui m'ont été adressées, ce n'est que maintenant que je puis accuser la réception de votre lettre du 20 du mois passé, ainsi que de cinq douzaines de billets de la Loterie en faveur des Instituts masculins dits Oratori, et vous envoyer 30 fr., montant desdits billets.

                Toujours heureux de pouvoir concourir ali soulagement des malheureux, je vous prie, Monsieur de vouloir agréer l'expression de mes sentiments distingués

CASTRO.

 

 

CAPO XXVII. Lotteria 1862 - Documenti e Note. La Commissione delibera l'estrazione dei numeri per i premii della Lotteria, ed espone al Sindaco un suo desiderio - Risposta del Sindaco - Circolare, e un articolo dell'Armonia che annunziano il giorno dell'estrazione - Verbale dell'estrazione compiuta - Circolare che annunzia i numeri vincitori - L'Armonia pubblica il tempo utile per ritirare i premi - Ingrata sorpresa: un biglietto duplicato assegna a due vincitori lo stesso primo premio - La Commissione per la Lotteria si raduna e propone il modo di accomodare quell'incidente - D. Bosco sborsa cinque mila lire ad uno dei vincitori - Consegna degli altri premi vinti: biglietto della Duchessa Melzi Sardi da Roma - D. Bosco non accetta la proposta di far riconoscere dal Governo l'Oratorio come Opera pia.

 

                ERA ormai terminato lo spaccio dei biglietti e radunatasi la Commissione, deliberava il giorno e il luogo per l'estrazione dei numeri che avrebbero guadagnati i premii. Il Segretario ne dava notizia al Sindaco per ottenere il suo consenso e interpellai lo sul modo di compiere quell'atto importante con qualche solennità.

                Torino, addì 22 settembre 1862

 

                               Ill.mo Sig. Sindaco,

 

                Con sua seduta del 16 corrente mese la Commissione per la Lotteria a favore degli Oratorii esistenti in Torino, fissava il giorno 30 per l'estrazione dei prendi dalle ore 9 alle 10 mattina. [264] In pari tempo e per uniformarsi a quanto fu praticato nelle precedenti lotterie e per maggiore soddisfazione del pubblico, avrebbe pure esternato il desiderio che l'estrazione avesse luogo in una sala del palazzo civico, purchè la S. V. Ill.ma avesse creduto poter accondiscendere a questa domanda.

                A questo fine Le faccio preghiera affinchè si degni concederci il chiesto favore, come anche sia fatta facoltà ai giovani musici dell'Oratorio di aprire la pubblica estrazione con alcune sinfonie.

                Nella fiducia che Ella sarà per accordare l'implorato favore, mi professo colla massima considerazione

 

Obbl.mo Servitore

Cav. FEDERICO OREGLIA.

 

                Il Sindaco rispondevagli:

 

                CITTÀ DI TORINO

                Protocollo dell'Ufficio N. 849.

                Torino, addì 26 sett. 1862.

                Risposta a lettera del 22 settembre.

 

                In riscontro alla nota controdistinta il Sottoscritto partecipa alla S. V. che per parte di questa Civica Amministrazione non si ha difficoltà di permettere che l'estrazione della Lotteria si faccia in una sala del palazzo civico; solo è necessario che due giorni prima della estrazione una persona dalla S. V. incaricata si rechi a quest'ufficio per i relativi concerti.

                Rincresce al sottoscritto di non potere del pari assecondare la seconda domanda, quella cioè di pur permettere ai giovani musici dell'Oratorio di aprire la estrazione con alcune sinfonie.

                Siffatta permissione aumenterebbe il non poco disturbo agli impiegati, i quali già da oltre tre mesi sono di continuo interrotti nelle loro occupazioni a cagione dei lavori di riattamento che si stanno compiendo per gli uffizii municipali.

Il Sindaco

RORÀ .

 

                Le decisioni della Commissione con una circolare diffusa a migliaia di copie erano state annunziate alla cittadinanza.

 

                               Benemerito Signore,

 

                La Commissione stabilita per la Lotteria a favore degli Oratorii maschili di questa città, radunatasi il 16 del corrente mese, prendeva le seguenti deliberazioni che mi affretto di comunicarle per sua norma.

                I° L'esposizione degli oggetti rimane aperta al pubblico fino a tutto il 23 corrente settembre. Dopo vi saranno quattro giorni per ritirare [265] il provento dei biglietti, e raccogliere quelli che non fossero stati smerciati.

                2° Se Ella potesse dare spaccio ancora ad alcuni biglietti che esistono presso di Lei, o di quelli che rimangono nella sala dell'esposizione, avrebbe tempo utile fino al giorno 27 corrente.

                I biglietti non consegnati in tale spazio di tempo s'intendono ritenuti a benefizio della Lotteria.

                Qualora non avesse altro mezzo più facile per farei pervenire quanto è del caso, Ella potrebbe inviarlo in forma di piego al Sig. Prefetto della provincia di Torino.

                3° Dal 27 al 30 si faranno gli opportuni preparativi per la pubblica estrazione. Pertanto nel giorno 30 del corrente nella sala Municipale di questa città, in presenza del Sindaco, sig. Marchese di Rorà, benemerito e zelante Presidente della Lotteria, si procederà alla pubblica estrazione dei numeri vincitori, secondo le norme stabilite per le estrazioni del debito pubblico. Gli oggetti da vincersi sommano a 3000.

                Mentre le dò comunicazione di queste deliberazioni sono pure incaricato dalla Commissione di esternarle i dovuti ringraziamenti per le sollecitudini spiegate in quest'opera di beneficenza, facendole preghiera di continuare la sua cooperazione per condurla a felice compimento.

                Mi voglia in fine credere, coi sentimenti della massima stima con cui mi reputo ad onore di potermi professare

 

Dev.mo ed Obbl.mo Servitore

FEDERICO OREGLIA di S. Stefano.

 

                L'Armonia del 19 settembre pubblicava pure una lettera circolare comunicatale dal Cavaliere Oreglia[24]. [266]

                Finalmente si fece l'estrazione ed eccone il verbale:

 

                L'anno del Signore 1862 allì 30 del mese di Settembre, secondo l'autorizzazione e le norme fissate dal Signor Prefetto di questa Provincia per la Lotteria iniziata e promossa a favore degli Oratorii di San Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e del Santo Angelo Custode in Vanchiglia, si procedeva alla pubblica estrazione dei numeri vincitori degli oggetti alla medesima Lotteria destinati.

                A tale scopo il benemerito Signor Marchese Di Rorà Presidente della Commissione, il Cav. Giuseppe Luigi Duprè Vice - Presidente, il Cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, Segretario, il Sacerdote Giovanni Bosco Direttore degli Oratorii si radunarono in pubblica sala del palazzo municipale e procedevano alle loro operazioni nel modo esposto nel piano di regolamento della lotteria.

                Si prepararono sei urne. Cinque erano, destinate alle pallottole portanti i numeri sino a duecento otto mila, che corrispondono al numero di biglietti approvati; si verificarono le urne e le pallottole e si trovarono precise e nel numero di esse e nel risultato della combinazione fortuita dei numeri da comporsi.

                La sesta urna fu preparata pei biglietti di premio sicuro e siccome tali biglietti che vennero spiccati dalla rispettiva matrice risultarono ascendere al numero di 1600, così furono deposti nell'urna summentovata altrettanti biglietti, ciascuno dei quali veniva interpolatamente estratto cogli altri ed erano certi del premio.

                Le cose così disposte, il Benemerito Signor Marchese di Rorà quale presidente della Commissione e come incaricato dal Ministero di presiedere nella sua qualità di Sindaco della Città, dava principio alla seduta e dichiarava aprirsi il tiraggio, che fu continuato fino alle dieci ore di sera con brevissima interruzione per riposare.

                Un essendosi però potuto terminare in detto giorno tutta l'estrazione, così il primo di Ottobre alle ore 7 di mattino si dava di nuovo principio a questa, previa verificazione delle urne e delle pallottole che furono riconosciute esatte in tutte le loro parti. Alle undici ore della mattina stessa veniva estratto l'ultimo numero. Così compiuta l'operazione del tiraggio se ne è redatto il presente erbale da presentarsi all'Ill.mo Signor Prefetto della Provincia di Torino, con riserva di pure presentargli copia autentica dei numeri estratti tosto che saranno compiuti gli incombenti dell'ordinamento progressivo dei numeri vincitori suddetti.

                Torino, 3 ottobre 1862.

 

RORÀ

GIUSEPPE DUPRÈ

BOSCO GIOVANNI

Cav. FEDERICO OREGLIA Segr. [267]

 

                Un supplemento al numero 245 della Gazzetta ufficiale del Regno pubblicava i numeri vincitori della Lotteria d'oggetti a favore dei tre Oratorii di D. Bosco; il quale si affrettava a mandarne copia a tutti gli interessati.

 

                               Benemerito Signore,

 

                La Lotteria più volte raccomandata alla carità di V. S. Benemerita è terminata col più soddisfacente risultato, sia pel numero d'oggetti raccolti, sia pei biglietti smerciati. Ora Le trasmetto l'Elenco dei numeri sortiti nella pubblica estrazione de' premii; da questo Ella ed i suoi amici potranno verificare se i biglietti ritenuti siano stati da qualche vincita favoriti.

                Posso dirle anche a nome della Commissione che si fece quanto si è potuto affinchè ognuno rimanesse soddisfatto. Tuttavia se involontariamente fosse avvenuta qualche mancanza di riguardo o qualche dimanda non appagata, si attribuisca alla sola impotenza cagionata dalle molte incombenze che si dovettero compiere, ed io Le dimando benigno compatimento di ogni disturbo cagionato e di ogni cosa che possa essere tornata di minor gradimento.

                In questa medesima occasione mi fo' animo di assicurarla che quanto Ella fece per quest'opera di beneficenza non sarà giammai dimenticato nè da me nè dai giovani beneficati, anzi ci uniremo tutti insieme per invocare le benedizioni del Signore sopra di Lei e sopra tutti quelli cui Ella intende augurare belli dal cielo.

                Prima di chiudere le relazioni di questa Lotteria, Le voglio ancora fare rispettosa preghiera di volermi cioè continuare i suoi favori nelle caritatevoli di Lei largizioni, e di voler anche pregare per me e per questi giovanetti in certo modo dalla Divina Provvidenza a me affidati, affinchè coll'aiuto di Dio possano diventar tutti buoni cittadini e buoni cristiani in questa vita per poter poi un giorno ringraziare di presenza i loro benefattori nella patria dei beati in Paradiso.

                In fine permetta che con pienezza di stima e colla più sentita gratitudine abbia l'onore di professarmi ora e sempre

                Di V. S. benemerita

 

                Torino, 10 ottobre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI

 

                L'Armonia, il mercoledì 12 novembre pubblicava un importante avviso:

 

                Si previene chi di ragione che il tempo utile per ritirare gli oggetti vinti nella Lotteria degli Oratorii maschili di Valdocco, di Vanchiglia [268] e di Porta Nuova, scade collo spirare del corrente mese di novembre. La Commissione si reca perciò a dovere di avvertire tutti gl'interessati, che gli oggetti non ritirati a quell'epoca s'intendono donati alla pia opera a cui favore questa Lotteria si è compiuta.

 

                Fu una magnifica e fruttuosa Lotteria, ma siccome non vi ha rosa senza spine, era accaduto un grave inconveniente. Due signori si presentarono per ritirare il primo premio, cioè il magnifico quadro di S. Antonio, dono del Cav. Federico Peschiera professore dell'Accademia Ligustica di, Genova. Era stimato pel valore di 5000 lire. Ambedue possedevano un biglietto, riconosciuto autentico, duplicato evidentemente da coloro che ne avevano fatta la stampa.

                Come sia andato il fatto si narra dalla relazione che presentiamo.

 

                In seguito ad invito dell'Ill. Sindaco della città di Torino, il Marchese di Lucerna di Rorà, quale Presidente della Commissione per la Lotteria a favore dei tre Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia, radunavasi il giorno 23 corrente novembre la detta Commissione nella sala del palazzo municipale di questa città. Aprivasi la seduta alle ore tre pomeridiane e vi prendevano parte gli infra descritti membri. Erano presenti i Signori Cav. Giuseppe Duprè Vice - presidente, Com. Giuseppe Cotta Senatore del Regno Cassiere, Marchese Lodovico Scarampi di Pruney, Cav. Lodovico Lorenzo Galleano d'Agliano, Signor Giuseppe Migliassi Neg.te, D. Giovanni Bosco Sacerdote, Direttore degli Oratorii ed il Cav. Federico Oreglia, segretario.

                Apertasi la seduta alle ore tre pomeridiane si dava comunicazione d'una lettera del signor Sindaco in cui per impreveduta occupazione era nella obbligazione di assentarsi dalla seduta.

                Il Vice presidente dava allora cognizione del motivo della radunanza consistente nell'essersi rinvenuti nella distribuzione dei premi della Lotteria due cartolari a matrice di biglietti smerciati aventi lo stesso numero progressivo; in questa serie appunto trovavasi il numero vincitore del primo premio, il quale perciò ebbe due vincitori riconosciuti nei signori Negro Neg.te in panni nella via del Seminario e il Signor Silvetti Fondachiere sull'angolo delle vie San Maurizio e Barbaroux. Amendue pretendendo il premio per sè, e per essere un quadro di valore non essendo possibile il duplicarlo, come si fece di altri premi caduti nella stessa serie, così invitavasi i membri della Commissione [269] a dare il loro parere sopra il modo di aggiustare con equità i due pretendenti.

                Dopo gli opportuni schiarimenti dati dal Segretario e la presentazione dei due registri a matrice i quali si riconobbero identici, quantunque l'uno dei due portasse una correzione progressiva nel numero che costituiva l'identicità, perchè il segretario fece constare che tale correzione fu fatta dopo l'estrazione dei numeri vincitori e quando già i biglietti staccati da detta matrìce erano stati tutti distribuiti; sentito il parere dei singoli membri si deliberò di dover stare alle seguenti conclusioni esposte dal Signor Comm. Giuseppe Cotta:

                I° Che i due registri a matrice, essendo identici li due biglietti ritenuti dalli Signori Negro Neg. e Silvetti Fondachiere, hanno ugual diritto al premio designato per tale numero.

                2° Che erasi da esperimentare presso li detti Signori vincitori la via conciliativa di estrarre a sorte fra essi due il premio in questione, assegnando al non vincente le lire cinque cento che la Commissione riteneva per l'opera, dietro largizione appositamente fatta e formante parte del premio primo, come risulta dal piano di regolamento, articolo quinto.

                3° Che ove la proposta conciliativa non avesse avuto buon esito si dovesse far estimare, o dai Professori dell'accademia in genere o particolarmente da uno nominando dal tribunale, il valore dei quadro; e ponendosi a fronte dei dipinto la somma estimata se ne venisse all'estrazione, la quale definirebbe nella via più equa e legale possibile il vincitore del quadro.

                4° Finalmente con unanime voto si delegava il Comm. Giuseppe Cotta a voler incaricarsi di comunicare allo signor Negro e Silvetti queste decisioni, confidando alla sua operosa carità che avrebbe condotto a buon termine questo sgraziato incidente

 

Cav. FEDERICO OREGLIA.

 

                Non essendosi potuto venire ad accordi, uno dei vincitori ebbe il quadro e all'altro D. Bosco dovette sborsare 5000 lire. Fu per lui una perdita sensibile, ma la Divina Provvidenza voleva metterlo a queste prove per dargli poi inaspettati compensi.

                Egli intanto ebbe ancora per più mesi un gran da fare per le conseguenze della Lotteria; cioè rispondere alle lettere e spedire i premi vinti. Ce ne dà prova il biglietto da lui conservato di una sua benefattrice: [270] La D.ssa Melzi Sardi presenta i suoi rispetti al Rev. D. G iovanni Bosco e nel mandarle per parte del Marchese Patrizi Giovanni scudi 100, desidererebbe sapere se, fra i Numeri Premiati della Lotteria, di cui le mandò da Torino i biglietti, ve n'era nessuno fra il 701 e il 750 che Ella prese. Potrà rispondere nello spedire la ricevuta al M. Patrizi e, se vi fosse qualche premio, pregare la Sig.ra Marchesa Fassati se volesse tenerlo in deposito. - Si raccomanda alle sue orazioni. -

 

                Roma, 7 Febbraio 1863.

 

                Ma in vista dell'ampliazione dell'Oratorio e dell'esito della lotteria, molti personaggi, anche politici, si adoperarono per indurre D. Bosco a far riconoscere il suo Istituto e i suoi oratorii come ente morale approvato dal Governo, dal quale a questo fine aveva già avuti eccitamenti e quasi disturbi. Lo stesso impegno avean preso con insistenza il banchiere Comm. Cotta e altri suoi amici. Spesso enumeravano a D. Bosco gli immensi vantaggi che gliene sarebbero venuti; la protezione assicurata delle Autorità; il credito che acquisterebbe l'opera presso la cittadinanza; la maggior fiducia degli oblatori nel lasciare legati e testamenti; la certezza che nessuno con pretesti legali avrebbe potuto contestare le eredità; la diminuzione dei diritti del fisco per i trapassi; l'esenzione da certi pesi e tasse. Quindi gli mettevano sott'occhio un aumento incalcolabile di soccorsi, come ogni giorno verificavasi per la pia opera del Cottolengo. Aggiungevano, come i parroci ed i notai avrebbero potuto con maggior franchezza raccomandare la sua istituzione a coloro che desideravano beneficare morendo qualche Opera di carità. Gli facevano eziandio osservare ripetutamente che durante la sua vita sarebbe stato l'unico e libero amministratore, e che in conseguenza, per la maggiore abbondanza di mezzi, avrebbe potuto procurarsi un esistenza più comoda e più tranquilla.

                D. Bosco però non si lasciò persuadere, sicchè ne venne perfino un po' di freddezza fra lui e questi suoi buoni amici. Ma gli avvenimenti fecero vedere con quanta prudenza di [271] ordine superiore egli si fosse governato in tale affare. Infatti egli intravide e fors'anco nell'apparizione del Cavallo rosso, i tempi che si preparavano. Amando Dio e non se stesso, amava la povertà e sapeva che sarebbe stato obbligato a conservare case, terreni, o capitali che gli fossero pervenuti in favore dell'Oratorio, con pericolo di eccitare le cupidigie dei democratici. Temeva che i Governanti per mezzo della Commissione legale, finirebbero poi collo spadroneggiare in casa sua mutandone l'indirizzo e lo scopo. Prevedeva lo sperpero dei beni delle opere pie e fors'anche la legge Crispi del 1892, che avrebbe ordinato l'accentramento delle varie istituzioni aventi lo stesso scopo.

                D. Bosco sopratutto voleva per le sue opere tutta la possibile indipendenza e libertà e si rifiutava di sottostare a nessuna influenza estranea a quella della Santa Sede, ad aiuto e difesa della quale egli aveva posta interamente la sua Congregazione. Ed era cosa tanto evidente, che non ebbe mai in eredità soccorsi di grande importanza per solo spirito di umana filantropia. “Distinti personaggi, afferma D. Rua, vollero indurlo a mutare indirizzo delle sue imprese, riducendole a solo scopo filantropico, ma egli non si lasciò smuovere; e per questa ragione non rare volte perdette eredità di grande importanza, che certamente egli avrebbe conseguite”.

                Per questa regola seguita da D. Bosco molti superiori di altre Istituzioni religiose, di ogni parte del mondo, sovente si presentavano a lui per formarsi un concetto giusto del suo modo di pensare e di agire in tale importantissima questione.

 

 

CAPO XXVIII. La passeggiata autunnale - Fallisce il disegno di andare a Vigevano - Severa e paterna lezione ad un insolente - Don Bosco conforta quelli che non possono prender parte alla passeggiata - I Becchi: predica memorabile di D. Cagliero: una voce misteriosa: occhio vigilante - Castelnuovo - Un giorno piovoso e rifugio a Piea - Villa S. Secondo: la Compagnia di S. Luigi - Calliano: ospitalità generosa non preveduta: un alunno in vacanza - Montemagno: Luigi Lasagna - Vignale: una predica di Don Bosco in lode del S. Cuore di Maria: profezia avverata di morte imminente: una grande benefattrice delle Opere Salesiane Casorso: un prete che non veste l'abito ecclesiastico - Concessione gratuita di due vagoni sulle ferrovie dello Stato Cantagna - Mirabello: ultime disposizioni per l'erezione del Collegio - Castelletto - Alessandria: visite alle Chiese, alla cittadella e al campo della battaglia di Marengo - A Torino.

 

                DON Bosco sul finire della Lotteria prendeva le necessarie disposizioni per la grande passeggiata autunnale. Aveva pensato sulle prime di spingersi fino a Vigevano, e spediva la seguente lettera.

 

                               Al Can. Prevosto Colli Cantone Ludovico di Vigevano.

 

                Qualche settimana fa scriveva a Lei una lettera che forse non Le pervenne per mancanza di giusto indirizzo. L'anno scorso Ella mi accennava la possibilità di fare costà una camminata con una porzione dei [273] nostri giovani. Ora avrei bisogno di sapere se potrebbonsi alloggiare militarmente, cioè sopra di un paglione, una settantina di giovani per quattro o cinque giorni e se avvi mezzo di somministrare loro pane e minestra, giacchè il resto si può comprare facilmente altrove.

                Se Ella mi farà in breve qualche risposta l'avrò come un favore. Il giovanetto Albasio gode buona salute e fa bene.

                Le auguro ogni belle dal cielo e mi professo con gratitudine Di V. S. Car.ma

                Torino. 20 settembre 1862.

 

Obblig.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Informato però che non era possibile ottenere ospitalità per ragioni che non conosciamo, dovette cangiar disegni.

                Il 25 settembre partiva dall'Oratorio, una piccola squadra con qualche chierico e prete alla volta dei Becchi, per incominciare la novella del Salito Rosario. Il grosso della compagna li doveva raggiungere la vigilia della festa.

                Questa passeggiata era un mezzo scelto da D. Bosco per dare un premio ai più buoni fra i suoi allievi; per esercitare nella virtù dell'obbedienza e della mortificazione quelli che il dovere riteneva nell'Oratorio e per infliggere una meritata punizione a chi lungo l'anno non aveva dato prova di buona condotta.

                Fra coloro che erano soliti ad accompagnare Don Bosco n'era uno, lavoratore indefesso e industrioso, meccanico, cuoco, barbiere, e che per i bisogni dell'Oratorio aveva imparato i principii di varii mestieri, Nelle passeggiate appariva un vero factotum; cantore, suonatore, comico, apprestatore delle mense, benvisto da tutti i compagni, bene accolto nelle case ove si presentava. Ma tanta abilità era offuscata da non leggeri difetti, che D. Bosco non potea lasciare impuniti, come lo stesso giovane ci confessò per iscritto.

 

                Eravamo ai primi di giugno del 1862, ed un giorno D. Bosco passandomi vicino, mi disse: Mio caro Pietro, io non son più contento di te: ho sentite tante lagnanze sul tuo conto! - Già parecchie altre [274] volte mi aveva ammonito e benchè io soffrissi terribilmente nell'udire quelle rimostranze, pure mi era sempre contenuto, rimanendo silenzioso. In quel giorno, non so quel che avessi pel capo, invece di rispondergli che mi sarei da qui innanzi regolato in maniera da non recargli alcun dispiacere, stizzito e in un modo villano, sbottai. - Insomma! Non sa, che io sono stanco di vedermi sempre preso di mira, di sentire sempre rimproveri? Son pentito di aver imparato a fare tanti mestieri in servizio dell'Oratorio! - Un altro Superiore all'udire queste insolenze mi avrebbe preso a schiaffi e messo fuori di casa; ma Don Bosco, che amava la mia anima, si contentò di dirmi: - E tu disimparali i mestieri imparati! - E si ritirò nella sua camera, lasciandomi a pensare sulle sue parole. Ma appena si fu allontanato, io rimasi sbalordito e diceva fra me: - Che cosa ho mai fatto! Oh me infelice

                Rispondere a quel modo ad un padre così buono!

                D. Bosco in quel giorno dovette partire da Torino per raccogliere elemosine e spacciare biglietti della lotteria e stette fuori parecchio tempo. Quando rientrò tutti gli corremmo incontro ed egli a tutti faceva un sorriso ed un saluto. Io gli presi la mano per baciarla, ma egli fece le finte di neppure vedermi, e voltosi ad un altro giovane gli disse qualche amorevole parola. Io vedendo che non badava a me, fui persuaso non essere più degno di quella grazia e del suo amore; andato nella mia stanza piansi tutto il giorno.

                Da quel punto D. Bosco non mi chiamò più a radergli la barba, come soleva tutte le settimane. Passati però due mesi mi fece chiamare perchè gli rendessi quel servizio, ma non mi disse un sol motto. Io soffriva, ma non aveva ancor pensato di riparare al mio errore, chiedendo perdono.

                Venne l'autunno, il tempo della lunga passeggiata, alla quale negli anni antecedenti io aveva sempre preso parte, come uno della banda de' suonatori e membro della compagnia drammatica. Buzzetti Giuseppe presentò a D. Bosco la lista di coloro che sembravano meritarsi di essere prescelti. D. Bosco l'esaminò e visto il mio nome vi tirò sopra una riga.

                Alla vigilia della partenza per Castelnuovo si lessero alla sera, secondo il solito, i nomi eli coloro che dovevano accompagnare D. Bosco ed il nome che tutti credevano di udire non si udì. Non si può immaginare come io restassi nel vedermi escluso, tanto più quando seppi da Buzzetti che D. Bosco stesso lui aveva scancellato. Era la prima volta che ciò mi accadeva. D. Bosco però non disse il motivo di quell'esclusione e nessuno lo conobbe. Ed io dovetti rimanere nell'Oratorio.

                Partiva la felice brigata in compagnia di Buzzetti Giuseppe, Pelazza Andrea, Gastini Carlo e di alcuni superiori; e D. Bosco giunto che fu al primo paese, forse Chieri, mi fece scrivere da un mio amico un biglietto a suo nome, in questi termini: “Caro Pietro, io ho nulla contro di te. [275] D. Bosco è sempre tuo amico, ti vuole sempre bene, e non cerca altro che la salvezza dell'anima tua. Ciò che ho fatto si è perchè tu impari a parlare. Ricordati di non rispondere mai con insolenza a' tuoi Superiori. Prega per me, che ti raccomando tutti i giorni nella santa Messa. Sta allegro”. Questa lettera mi consolò alquanto nel mio dolore, ma continuava a dire a me stesso: - Come ho potuto io maltrattare un padre così buono?

 

                D. Bosco il 2 ottobre giungeva ai Becchi; il 5 celebrava la festa del Santo Rosario e scriveva al Cavaliere Oreglia da lui invitato a venire ai Becchi.

 

                               Carissimo Sig. Cavaliere,

 

                L'invito fatto è solo in caso che le cose il comportassero; ma nel caso che mi espone rimanga pure all'opera col nostro caro Suttil.

                Quelli de' chierici o borghesi non compresi nella partita non si inquietino; di essi eravi bisogno a casa, oppure eravi ragionevole motivo di disporre così.

                Mentre scrivo giunse Suttil ed ella se la cavi come può.

                Dio l'aiuti ad essere perseverante nel bene operare e mi creda tutto

                Castelnuovo, 5 Ottobre 1862.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Nel dopo pranzo prima della benedizione col SS. Sacramento, D. Cagliero, sopra un pergamo improvvisato nel cortile della casa paterna di D. Bosco, recitava innanzi ad una moltitudine dei suoi conterrazzani, le glorie del S. Rosario. A un certo punto del suo popolare e vivacissimo discorso, venne a dire che quella piccola vetta di collina doveva essere da tutti loro guardata con amore, e che sarebbe stata forse un di rinomata per aver colà avuti i natali il venerato loro D. Bosco. - Ecchè, esclamava, sarò io considerato ammiratore cieco di colui, che devo chiamare mio secondo padre?

                Non voglia il Signore che io esageri nel riconoscere i suoi meriti; ma io vedo nel vostro medesimo concorso in questo luogo una qualche ragione e speranza di ciò che io credo [276] faranno i nostri posteri. - Piacque assai alla moltitudine la felice allusione di un altro tempo più glorioso per D. Bosco e fu saviamente interpretata ed applaudita.

                In que' giorni accadde un fatto sorprendente. Un alunno si era allontanato dalla casa e soletto inoltrossi in un bosco. Qui all'improvviso trovò persona che gli volse indegni discorsi. Il giovane come intontito capiva e non capiva; ma subito udì una voce che distintamente lo chiamò due volte per nome. Egli corse all'istante dal suo professore, poichè sua gli era parsa quella voce, chiedendogli perchè lo avesse chiamato. Il Professore gli rispose non aver egli chiamato nessuno. Allora si fece luce nella sua mente, capì qua! pericolo aveva corso, intese la voce salvatrice non essere stata voce semplicemente umana, e si recò ove trovavasi D. Bosco in mezzo ai giovani. Questi fissò in lui lo sguardo con tale insistenza ed espressione, accompagnato da un sorriso così significante, che il giovanetto fu persuaso aver D. Bosco visto quanto gli era accaduto.

                Altra volta una sera mentre gli alunni dopo la loro cena riempivano la camera ove D. Bosco mangiava la sua minestra, ad un tratto egli aveva chiesto: - Andatemi a chiamare Marcora, Salvi, Daniele! - Alcuni corsero a cercare di quei tre: erano andati, senza permesso, a giuocare fuori di casa. D. Bosco ciò aveva detto per far comprendere che nulla poteva sfuggirgli di ciò che accadeva; e gli alunni dopo essersi interrogati a vicenda, per conoscere se qualcuno avesse dato avviso a D. Bosco, esclamarono: - Come ha fatto a saperlo?

                In quante altre simili circostanze si udì ripetere questa esclamazione!

                Il lunedì 6 ottobre era fissata la partenza verso più lontane regioni. Quel mattino fitta ed uggiosa cadeva la pioggia. I giovani erano impazienti e dissero a D. Bosco, uscito dalla cappella: - Ed ora che cosa facciamo? [277] Quello che facevano i nostri buoni vecchi, rispose Don Bosco.

                 - E che cosa facevano?

                 - Lasciavano piovere.

                Alle 9 fu distribuita la colazione. Apparve un po' di sole e fu salutato con un generale applauso. - Tutti gli occhi erano rivolti a Don Bosco: - Dunque si va' - D. Bosco riflettè alquanto e poi sorridendo: - Ho con me soldati valorosi: niente paura: si parta!

                 - Evviva D. Bosco, si gridò: musica avanti. - E tutti si mossero. Verso le 11 si arrivò a Castelnuovo.

                Il Teol. Cinzano, riboccante di gioia, aveva imbandite lautamente le solite mense e finito il pranzo la comitiva si rimetteva in cammino per Villa S. Secondo. In quel frattempo aveva piovuto ed il cielo si manteneva minaccioso. Perciò alcuni alunni, di costituzione più delicata, ebbero ordine di fermarsi a Castelnuovo e di ritornare poi a Morialdo.

                Intanto si vide D. Bosco in un calesse aperto ove un buon signore avevalo fatto salire, perchè non andasse a piedi per quelle vie fangose. I giovani si fecero da banda per lasciarlo passare, rompendo in evviva e battendo le mani: ed egli salutandoli ed agitando il cappello, diceva loro: - Vi precedo per andarvi a preparare la cena. -

                Quei buoni figliuoli continuarono il viaggio verso la meta. Il sole si affacciò a rallegrarli, ma, passato Mondonio, li sorprendeva una dirottissima pioggia che durò più ore. La via si cambiò in un torrente, il fango, tutto argilla, rendeva difficile il passo, rattenendo tenacemente le scarpe; ma ciò non ostante quei coraggiosi arrivarono a Piea. Ormai era notte; e andando a Villa S. Secondo, con quelle tenebre, temevano smarrire la via.

                 - Che cosa fare adesso? esclamarono alcuni.

                 - Sentite, disse un prete, al quale Don Bosco, previsto il caso, aveva date le istruzioni necessarie: Piea è paese [278] di nostra conoscenza. Andiamo al Castello a chiedere ospitalità.

                 - Andiamo, tutti risposero.

                Il castello è collocato sulla cima di una collinetta di tufo e quindi la salita liscia e sdrucciolevole fu lenta e faticosa, e causa di qualche capitombolo. Ma un tratto si udirono voci amiche che invitavano quella turba a salire: e sulla porta spalancata i servitori dicevano ai giovani: - D. Bosco vi aspetta. - Egli era giunto un'ora prima annunziando al Cav. Gonella l'arrivo de' suoi alunni.

                Il Cavaliere li accolse a festa e colla sua famiglia si diede d'attorno per far loro mutare gli abiti, i quali non avevano filo che fosse asciutto. La guardaroba di casa, del fattore, dei massari, fu tutta fuori. I giovani apparvero camuffatti nelle più strane guise. Chi era in zoccoli, chi in pantofole, chi in stivali e chi in scarpe più larghe dei loro piede. Questi indossava una giubba da contadino, quegli una veste da camera. Uno vestiva una vecchia marsina, l'altro un camiciotto e altri un lungo pastrano. Chi era involto in una coperta, chi in un soprabito da viaggio. Acceso un gran fuoco si fecero asciugare i vestiti deposti. Tutti ridevano a crepapelle nel vedersi in que' abbigliamenti. In cucina intanto si preparava minestra, pietanza, e una grande polenta che tutti assalirono con quell'appetito che Dio vi dica. Verso le 10, essendo cessata la pioggia, D. Bosco voleva partire, ma il Cavaliere non volle assolutamente e fece entrare tutti i giovani in un gran salone al piano superiore. Qui si cantò, si suonò, Bongiovanni fece il Gianduia. Suttil cantò una canzone Veneziana: e una romanza da lui composta, intitolata:. Il ponte della pietà. Si tenne conversazione famigliare fino a mezzanotte con piacere infinito di que' nobili signori, che avevano preparate coperte in abbondanza, perchè i giovani non soffrissero dormendo.

                Intanto due giovanotti erano andati a Villa S. Secondo,  [279] ove D. Bosco era aspettato per una funzione religiosa fissata pel domani. Così fu levato d'imbarazzo quel buon parroco coll'assicurazione che anche la pioggia non avrebbe impedito a D. Bosco e a suoi di arrivare all'ora convenuta.

                Infatti il martedì si partì da Piea. Il tempo erasi rabbonacciato e verso le 10 la banda suonava entrando in Villa San Secondo, mentre il sole splendeva in un cielo sereno.

                Qui si celebrò in Chiesa una cara funzione per la compagnia di S. Luigi, composta di molti giovanetti del paese. Don Bosco benedisse un loro quadro rappresentante l'angelico patrono della gioventù, dipinto da Tomatis; e predicò, dimostrando quanto S. Luigi doveva ora essere contento per aver amato Pio nella sua giovinezza. Alla sera si diede una piccola rappresentazione teatrale, interrotta dalla pioggia.

                Il mercoledì, 8 ottobre, a mezzo giorno, D. Bosco dopo la refezione e la recita dell'Angelus, lasciò Villa S. Secondo. L'aria era infuocata dal sole. Alle 3 e ½ i giovani tutti in sudore stanchi, trafelati ascendevano una collina. Via facendo un signore, che aveva cooperato attivamente alle annessioni del 1860, visto D. Bosco lo aveva chiamato dalla cinta del suo giardino. D. Bosco ne riconobbe la voce, ma voltosi ad un suo prete, che gli camminava a fianco: - Non guardiamo, gli disse, non rispondiamo. Non conviene fermarci!

                Finalmente la banda suonava all'entrata di Calliano. Il Vicario Foraneo Teologo Sereno Giuseppe col suo coadiutore venne incontro a D. Bosco, il quale in quella stessa mattina avevagli mandato un biglietto con preghiera di trovargli pane necessario per quelli che lo accompagnavano. Il Prevosto adunque gli offerse subito cordialmente la sua nuova casa parrocchiale, della quale in quell'anno era finita la costruzione, per alloggiarvi i giovani. Qui in un momento fece disporre tavole e panche pel refettorio, e preparare per tutti un vero pranzo con una buona minestra. Ma volle con sè D. Bosco nella vecchia sua abitazione. Il Servo di Dio voleva ripartire [280] dopo breve ora, ma quell'eccellente sacerdote non glielo permise. Quindi alla sera si diede una benedizione solenne coi canti a grande orchestra; e alle nove il teatro per tutta la popolazione in un cortile illuminato con molte fiaccole e lanterne ad olio. I ragazzi del paese specialmente godettero una serata indimenticabile. Intanto il parroco con un alto strato di paglia battuta formava nella casa nuova i letti per la notte.

                Il mattino seguente, 9 giovedì, i giovani dell'Oratorio diedero al paese uno spettacolo edificante in Chiesa, coll'ascoltare devotamente la S. Messa e fare in gran numero la Comunione.

                Alle 10 si partì e verso le 12, presso la piccola borgata San Desiderio, i giovani s'incontrarono con un loro compagno che era in vacanza. Da ogni parte si gridò: - Accomasso, Accomasso! - e quegli fattosi largo fra i condiscepoli che lo applaudivano, arrivò alla presenza di D. Bosco, gli baciò la mano e lo invitò anche a nome dei suoi parenti ad entrare per qualche momento in sua casa, dicendosi felicissimo di aver D. Bosco con sè. Egli aveva preparato per i suoi amici una buona merenda all'aria aperta.

                Ripresa la marcia si passò per Grana, e si volse il passo a Montemagno per visitare il Marchese Domenico Fassati e la Signora Marchesa.

                Mentre la comitiva avvicinavasi alle abitazioni un giovanetto sui dodici anni, vivacissimo, di famiglia benestante, stava in quel momento giuocando in una valle con alcuni compagni presso un piccolo santuario, detto la Madonna di Valino. A un tratto ode un rullo di tamburo, e quindi lo squillar delle trombe. - Che cosa è? esclama. Andiamo a vedere! - E senza altro lasciando nel prato il cappello, le scarpe, la giubba, che si era tolta, corre a precipizio coi compagni verso il luogo donde partiva la musica. D. Bosco co' suoi era entrato in paese e si era fermato sulla piazza. Il giovanetto si fa largo fra la moltitudine e a furia di spintoni giunge in prima fila e va a piantarsi davanti a D. Bosco. Il santo prete fu subito [281] colpito dall'arditezza del suo sguardo e dalla fisonomia che palesavagli un'anima aperta; e: - Chi sei tu, gli disse.

                 - Io sono Lasagna Luigi.

                 - Vuoi venire con me a Torino?

                 - E a che cosa fare?

                 - A studiare con tutti questi compagni.

                 - E perchè no?

                 - Se vuoi venire, di a tua madre che venga a parlarmi domattina in Vignale in casa del Vicario.

                La musica e i giovani salivano intanto al Castello e il Marchese scendeva incontro a D. Bosco, grato che avesse voluto fargli una simile improvvisata. Suo figlio fece subito preparare dai servi un ristoro sostanzioso per i pellegrini. La Marchesa madre gli aveva detto: - Emanuele, fatti onore!

                D. Cagliero suonò il pianoforte, si cantò, si recitò qualche verso in ringraziamento a quei cari ospiti; e la banda che aveva fatte udire nel cortile le sue sinfonie, le continuò uscendo dalla casa dell'insigne benefattore e percorrendo la strada che metteva a Vignale. Questo paese sta in faccia a Montemagno sovra una delle più alte colline del Monferrato.

                A Vignale attendevano D. Bosco nel loro Castello il Conte e la Contessa Callori. Questa nobile signora nel 1861 erasi trovata a pranzo a Montemagno colla Marchesa Fassati, mentre vi era giunto D. Bosco. Quivi la Contessa invitollo a venire a Vignale co' suoi giovani per l'anno venturo. D. Bosco le rispose:

                 - Ma Lei mi fa l'invito con serietà?

                 - Certamente e sarà per me un gran piacere.

                 - Ed io ci vengo.

                La Contessa poi avendo molti fastidii e molte croci, disse a D. Bosco: - Lei preghi perchè cessino le mie tribolazioni.

                D. Bosco alzò gli occhi al cielo per un istante, come era solito a fare, e poi rispose: - Oh no, io non prego per questo fine.

                 - Dunque vuol dire che continueranno? [282]

                 - Continueranno.

                 - E cresceranno forse?

                 - Cresceranno.

                 - Pazienza! - E D. Bosco aveva preveduto il suo avvenire.

                D. Bosco adunque fu a Vignale verso le 8 di sera. La moltitudine di contadini era tale che le file dei giovani furono disordinate: il Conte Federico Callori venuto loro incontro, non potè arrivare ove era D. Bosco; e fermatosi alla testa dei musicanti, risalì guidandoli al Castello con molto stento. Don Bosco era in mezzo a tutta quella gente che lo stringeva in modo, che appena si poteva muovere, scortato però da alcuni robusti giovani, i quali colle loro spalle impedivano che fosse sbalzato qua e là. Molte torce accese illuminavano la via. Finalmente il Contino primogenito, Giulio Cesare, lavorando di gomiti con grandi sforzi aperse un passaggio a D. Bosco e lo introdusse con tutti suoi nel magnifico castello, le cui sale e corridoi erano vagamente illuminati. Egli stesso introdusse gli alunni alle mense preparate con grande magnificenza, e quindi li fece salire alle stanze dell'ultimo piano, ove si trovarono provvisti di tutto per dormire comodamente.

                Il 10 venerdì: D. Bosco celebrò la messa nella bellissima cappella del Castello, alla presenza dei nobili ospiti e degli alunni; i quali dovettero pregare nella sala attigua innanzi alla porta, non essendovi spazio per tutti.

                In questi giorni il Professore Celestino Durando, in una stanza che aveagli assegnata il Conte, dava l'esame a que' giovani, che i parenti avevano presentati a D. Bosco, perchè li accettasse nell'Oratorio come studenti.

                Fra questi vi fu il giovanetto Lasagna Luigi che sua madre aveva accompagnato a Vignale. Il Vicario Foraneo di Montemagno, D. Beccaris Evasio, lo presentò a D. Bosco con tre altri de' suoi compagni. D. Bosco osservandolo, disse: Degli altri tre non posso dir nulla: ma posso assicurare che quegli dei cappelli rossi (il Lasagna) farà buona riuscita.  [283] Que' giovani vennero adunque accettati da D. Bosco per gli studii.

                Sabato gli alunni furono condotti dal Contino, a visitare le rovine dell'antico castello, ove circondata da alti cipressi, è la cappella mortuaria della nobile famiglia Callori.

                La Domenica, 12 ottobre, si celebrava in parrocchia la festa del Sacro Cuore di Maria. D. Bosco e altri sacerdoti confessarono per quattro ore. Ci fu la comunione generale. Alle 10 messa cantata da un prete dell'Oratorio e servita da dieci giovani del piccolo clero. D. Cagliero dirigeva l'orchestra. Dopo i vespri D. Bosco predicò in dialetto. La Chiesa di una sola navata, maestosa e vastissima, era zeppa di popolo. Narrò D. Bosco la storia dell'Arciconfraternita del Sacro Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, e fece osservazioni così efficaci sopra questo argomento, che tutto l'uditorio si vedeva profondamente commosso.

                Il Vicario Foraneo D. Goria Giuseppe che assisteva in mozzetta, attentissimo sovra tutti, non distoglieva gli occhi pieni di lagrime dal predicatore, il quale parlò per un'ora e più e non parve lungo. D. Bosco terminata la predica discendeva dal pulpito; e il parroco entrato in sagrestia piena di gente, si presentò a lui piangendo e gli baciò la mano, ringraziandolo del bene che aveva fatto ai suoi parrocchiani e specialmente all'anima sua.

                Dopo la predica si cantarono le litanie, si diede la benedizione e quindi teatro, fuochi artificiali e ascensione di molti palloni.

                Ma un fatto ancor più memorabile accadeva quella stessa sera. Un certo numero di giovani erano attorno a D. Bosco fra i quali Buzzetti Giuseppe e lo studente Davico Modesto. Quand'ecco D. Bosco sta alcuni momenti sovra pensiero e quindi dice: - Mettiamoci in ginocchio e recitiamo un'Ave Maria ed un De profundis per quello dei vostri compagni che stanotte deve morire.

                Pensate lo stupore dei giovani! Si misero tutti in ginocchio [284] e recitarono quelle preghiere. Davico allora alzandosi: Ma contacc, esclamò volgendosi a D. Bosco; questa si che è bella! Ci porta alla passeggiata e poi ci annunzia che dobbiam morire!

                D. Bosco volgendosi a tutti i giovani: - Qui Davico ha paura eh? Teme di esser lui!

                 - Io non ho paura; ma non son queste notizie che accomodano lo stomaco.

                 - Rasserenatevi, che nessuno di coloro che sono qui presenti è destinato a morire. Chi deve morire è in questo momento all'Oratorio, sano, allegro, che corre in ricreazione cogli altri compagni, e non sa che prima che sia giorno dovrà presentarsi al tribunale di Dio!

                “Dopo la cena, ci scrisse Gerolamo Suttil nel 1888, eravamo, tutti raccolti nella cappella per le orazioni ed erano presenti i padroni di casa.

                Finite le solite preghiere D. Bosco, che stava in ginocchio, sul gradino dell'altare si alzò, si voltò e disse ad alta ed intelligibile voce: - Preghiamo per uno dei nostri che sta molto male all'Oratorio.

                All'indomani conoscemmo un fatto che ci fece strabigliare. Erano le dieci di sera, quando D. Bosco ci raccomandò il moribondo. Nella notte la posta non porta lettere. Vignale non aveva il telegrafo. Malgrado ciò l'indomani alle 5 del mattino raccoltici tutti nella cappella per le orazioni, D. Bosco prima ancora di indossare le paramenta per la messa, si volse come la sera precedente, e ci disse: - Recitiamo un De profundis per l'anima del ragazzo che morì stanotte nell'Oratorio.

                Il giorno appresso, cioè martedì, giungeva lettera di Don Alasonatti che annunziava la morte avvenuta nella notte indicata. Garantisco la precisione del fatto non avendone mai potuto perdere la memoria, tanto mi colpi. Monsignor Cagliero e altri che erano alla passeggiata se ne ricordano e ne faranno fede con me”. [285]

                Leggiamo nelle tavole necrologiche dell'Oratorio: “Ottobre 12, 1862, muore all'improvviso Pappalardo Rosario, nativo di, Giarre, provincia di Catania”. Era un giovanetto di 10 anni grasso, bianco e rosso, bassotto di statura che vestiva una piccola uniforme da cannoniere. Così lo descrisse Sandrone Giuseppe suo conoscente e compagno che, presente alla profezia di D. Bosco, conferma il meraviglioso caso. Era andato alla sera a coricarsi sano e vispo e al mattino fu trovato morto nel letto.

                Il giorno 13 ottobre dopo il pranzo i giovani ebbero licenza di visitare i dintorni di Vignale, ordinati in piccole brigate; ed il 14 D. Bosco recossi con tutti a Casorzo, invitato da quel parroco, Bova D. Felice, uomo zelantissimo, che lo accolse con una benevolenza e generosità da non potersi desiderar maggiore. Musica, canto, rappresentazione drammatica rallegrarono l'intero paese. Qui D. Bosco ebbe occasione di mostrare il suo zelo non solo pel bene delle anime dei giovani, e di ogni classe di persone, ma anche dei sacerdoti.

                Era in sul lasciare Casorzo, quando un sacerdote di ricca famiglia, vestito elegantemente, più da secolare che da prete, con stivaletti verniciati, cravattina ed aureo spillo, sicchè pareva un damerino, si presentò a lui onde farne la conoscenza. Incominciò a congratularsi con lui, del bel numero de' suoi giovanetti, a rallegrarsi della loro buona condotta, e con un lungo elogio gli faceva i suoi complimenti per l'educazione che loro veniva impartita. D. Bosco lasciò spiovere tutta quella eloquenza, non guardò mai in faccia quel sacerdote, nè fece segno di attendere alle sue parole; ma quando ebbe finito, come se non l'avesse nè veduto, nè ascoltato: - Chi è lei? gli disse: Donde viene?

                 - Io sono astigiano, si udì rispondere, e avendo saputo che lei era di passaggio per questo paese, mi feci un dovere di conoscere un tanto uomo.

                 - Come! esclamò D. Bosco: ella ha osato portarsi fin qui da Asti vestito in quel modo? [286]

                 - Sì, ed è molto tempo che vesto così, nè da alcuno mi fu mossa ancora lagnanza.

                - Ecchè replicò D. Bosco; e il Vicario Capitolare di Asti non le ha fatto proibizione di tal cosa? - E con gran calore prese a dimostrargli il male che commetteva diportandosi in quel modo.  Fu un dialogo piuttosto lungo, e dopo ragioni e scuse, quel Sacerdote fini con accogliere riverentemente le ammonizioni di D. Bosco. Al domani andò a Vignale in veste talare, intrattenendosi con D. Bosco, per assicurarlo che da qui innanzi avrebbe seguiti i suoi salutari consigli.

                Don Bosco intanto pensando al modo di ritornare a Torin mandava il Ch. Giov. Batt. Anfossi al Comm. Bona, Direttore generale delle ferrovie, per chiedergli due vagoni gratuitamente di terza classe per quella destinazione che avrebbe richiesto l'itinerario della passeggiata. Il Comm. lo accolse benevolmente, udì la richiesta e disse al Chierico di ritornare la mattina seguente per la risposta. E questa fu una lettera nella quale, ricordando le grandissime benemerenze di Don Bosco verso la Società e lo Stato, gli concedeva quel favore. Il suo foglio doveva presentarsi a qualsivoglia Capo Stazione al quale veniva ordinato di mettere a disposizione di que' dell'Oratorio i due vagoni gratuitamente, e per qualunque linea fosse indicata. Questo favore fu rinnovato per le passeggiate del 1863 e 1864.

                Assicurato D. Bosco dalla lettera del Comm. Bona decise di partire da Vignale, ove la sua amabilità e sodezza nel parlare avevagli guadagnato ogni cuore.

                Questi suoi ospiti generosi si devono annoverare fra i più larghi e costanti benefattori di tutte le opere Salesiane. La Signora Contessa aveva promesso a D. Bosco di concorrere con una grossa somma alla costruzione del Collegio di Mirabello, e mantenne più di quello che avesse promesso. E per lui fu sempre una vera madre. Egli soleva chiederle consiglio in molte cose, e in linea generale andavan d'accordo,  [287] poichè ella conosceva perfettamente lo spirito ed i fini del Servo di Dio.

                Quando egli ebbe decisa l'erezione del tempio di Maria SS. Ausiliatrice, gliene fece parola senza palesargliene il titolo; e le domandò:

                - A chi dedicheremo questa chiesa?

                - A Maria Aiuto dei cristiani! rispose subito la Contessa.

                Così pure ella poi suggerì di dare il nome di S. Giovanni Evangelista alla Chiesa sul corso del Re, titolo che D. Bosco aveva già fissato in cuore. Mentre egli però intendeva di erigere un monumento a Pio IX, era intenzione della Contessa di perpetuare il nome di D. Bosco.

                Martedì adunque a tarda mattina, D. Bosco partiva da Vignale. La Contessa aveagli donato 1000 lire in oro per le spese occorrenti nel viaggio. A Camagna il parroco D, Varvelli Pietro aveva preparato un rinfresco a tutta la comitiva, la quale alla sera entrava in Mirabello, ove dormì una sola notte, ospitata dal Signor Provera. Con lui, che già aveva fatto preparare il disegno del nuovo collegio e radunati molti materiali, D. Bosco stabilì che si affrettassero i lavori, cosicchè per l'anno venturo le costruzioni fossero terminate.

                Il 15 fu percorso la lunga via da Mirabello ad Alessandria. A metà strada si fece una fermata nel paese di Castelletto Scazzoso, prendendo un ristoro apprestato dal parroco.

                Arrivati i giovani ad Alessandria a notte avanzata, andarono silenziosi al Seminario, ove il Rettore Parnisetti Pietro accolse festosamente D. Bosco, dichiarandolo padrone assoluto di casa. Si cenò ed ognuno ebbe per dormire una cella dei seminaristi, i quali erano ancora in vacanze.

                Il 16 Giovedì i giovani fatte le solite divozioni nella bellissima cappella del Seminario, non tralasciarono di visitare tutte le chiese e i monumenti della città, mentre D. Bosco andava a fare ossequio al Vicario generale Capitolare il Can. Teologo,  [288] prevosto della Cattedrale, Ansaldi Filippo e a qualche altro cospicuo personaggio del Clero e dei laicato.

                Il 17 Venerdì nella mattinata, si visitò la formidabile cittadella, per licenza straordinaria concessa dal Generale Conte Radicati; e nel dopo pranzo i giovani andarono a Marengo per vedere il campo della famosa vittoria di Bonaparte, primo Console, sugli Austriaci, ottenuta il 17 giugno 1800. Entrarono nel palazzo dove si custodisce, colla carrozza di Napoleone I, un museo d'armi e di oggetti che riguardano quell'avvenimento: e del quale D. Bosco espose loro minutamente il racconto. La sera nel Seminario vi fu lo spettacolo del teatro con l'intervento di molti invitati.

                Il sabato mattina, 18 ottobre, D. Bosco andò a salutare in duomo la Madonna detta della Salve con tutti i suoi allievi e dopo il pranzo suonando la musica per le strade furono alla stazione della ferrovia. Li precedeva col suo bastone, come un capo tamburo, il parroco di S. Pietro, Grossi Teol. Lorenzo. Questi aveva invitato D. Bosco a venire co' suoi alunni ad Alessandria, aveva loro ottenuta ampia licenza di suonare per le vie della città, ed era andato ad incontrarli all'arrivo. D. Bosco sopraggiunse accompagnato da molti sacerdoti, dai Canonici Bolla Vittorio e Braggione Carlo suoi amici e cooperatori: e tosto si recò a riverire il Capo Stazione. Giunto il convoglio, i giovani salirono, e con evviva e suoni salutarono Alessandria.

                Sul far della sera e al suono delle trombe i viaggiatori entrarono nell'Oratorio già pieno di alunni, o novelli o ritornati dalle vacanze, i quali corsero intorno a D. Bosco per baciargli la mano. Quindi circondarono i reduci dalla passeggiata, tolsero loro di spalla i fagotti, e con mille interrogazioni, che poi si continuarono per più settimane, vollero udire le loro avventure.

                D. Bosco mentre cenava venne informato che il povero Pietro il quale come abbiam detto, non aveva preso parte a [289] quella passeggiata, era ammalato da qualche giorno per febbri. Nella sera stessa egli andò a visitarlo nell'infermeria. “Venne subito, scrisse il giovane,  mi consolò, mi confessò, mi diede la sua benedizione e non mi parlò mai più della mia mancanza. Rimasi infermiccio più mesi, anche pel dispiacere provato di avere offeso D. Bosco, ma finalmente mi riebbi”.

 

 

CAPO XXIX. Ricognizione della salma del Ven. D. Cafasso - D. Bosco è mandato da Dio per i giovani - Letture Cattoliche: Ricordi ai giovani: Miseria dell'infingardo - NOVELLA AMENA DI UN VECCHIO SOLDATO DI NAPOLEONE - D. Pestarino Domenico viene nell'Oratorio e si consacra indissolubilmente alle opere di D. Bosco - Chi era D. Pestarino - D. Bosco prevede il futuro Istituto delle figlie di Maria Ausiliatrice - Progetto presentato da D. Bosco al Ministro dell'Interno per l'erezione di un Ospizio in favore dei fanciulli poveri inferiori di età ai dodici anni - Suoi fini con questo progetto - Il Ministro della Guerra dona all'Oratorio vestiarii militari.

 

                IL bisogno di trovarsi all'apertura dell'anno scolastico e una cara e mesta funzione avevano anche richiamato D. Bosco a Torino. Agli ammiratori di Don Cafasso era parso affatto sconveniente che la sua salma rimanesse sepolta in una fossa ordinaria in piena terra, e si pensò circondarla di un muro. Ottenuta perciò l'autorizzazione dalle autorità competenti, si estrasse dal sepolcro la bara, la quale era tutt'ora in ottimo stato, ed al canto del Miserere si portò nella chiesetta del Cimitero dove rimase tutta la notte.

                Il mattino seguente si cantò Messa di suffragio colle relative esequie alla presenza di molte persone, che si erano procurate il biglietto d'ingresso. Quindi s'intonò di nuovo il Miserere e si riportò la bara al sito primitivo. Durante la funzione la fossa era stata tutt'attorno murata, e collocati alcuni sostegni [291], perchè la cassa non avesse a toccare la nuda terra e così fosse meglio preservata dall'umidità. Giunti sul luogo si rinnovarono le assoluzioni e fu scoperta la salma. Con meraviglia di tutti si trovò intatta e quale vi era stata collocata due anni e quattro mesi prima, ad eccezione di un orecchio alquanto guasto, e dei capelli che erano cresciuti di alcuni centimetri. Il Can. Galletti pronunciò alcune parole d'elogio, poi la bara si coprì, si chiuse a chiave e si collocò nel sito primiero, mentre gli astanti la coprivano di fiori che avevano portato seco. Qualche settimana dopo vi si collocò un basso rilievo con un'iscrizione.

                Nella seconda ricognizione, fatta nel 1891 si rinvenne il solo scheletro.

                Mentre D. Bosco dava segno di sua figliale affezione al santo e venerato maestro, si ultimava la spedizione delle Letture Cattoliche per novembre ed egli consegnava al tipografo quelle destinate pel dicembre, che aveva esaminate e in parte corrette in tempo della passeggiata autunnale.

                D. Ruffino scrisse nella Cronaca il 28 ottobre: “D. Bosco ha detto: - Il Signore mi ha mandato per i giovani; perciò bisogna che mi risparmi nelle altre cose estranee e conservi la mia salute per loro. - Ma in quale cose egli risparmiavasi, mentre in tutto o direttamente o indirettamente vedeva i giovani?”

                Per essi pure stampava le Letture Cattoliche. Paravia pel mese di novembre aveva pubblicato: Germano l'ebanista o gli effetti di un buon consiglio[25]. La conclusione di questo racconto era che nelle famiglie degli operai amanti della Religione regna la felicità; e regna la miseria e la desolazione in quelle che non amano Dio.

                D. Bosco vi aggiungeva un'appendice indirizzata al bene di que' giovani che stanno in famiglia e in mezzo ai pericoli del mondo. [292]

 

RICORDI.

 

                I° Procurate di vincere quella illusione che a tutti i giovanetti suol fare la vostra età, di pensar sempre cioè: che avete ancora da campar molto. Questo è troppo incerto, miei cari figliuoli, quando invece è certo e sicuro che dovete morire, e che, se morite male, siete perduti per sempre. Siate dunque più solleciti di prepararvi alla morte, col tenervi in grazia di Dio, che di qualunque altra cosa.

                2° Se fate qualche poco di bene, il demonio e la vostra accidia vi diranno che è troppo e forse il mondo vi taccierà di bigottismo e di scrupolosità; ma voi pensate che in morte vi parrà troppo poco e troppo mal fatto, e vedrete allora come foste ingannati. Sforzatevi di conoscerlo ora.

                3° Una delle cose, cui dovrebbero sempre pensare e studiare i giovanetti, si è la elezione dello stato. Per loro disgrazia ci pensano poco e perciò la più parte la sbagliano; si fanno infelici in vita, e si mettono a gran rischio di essere infelici per tutta la eternità. Voi pensateci molto, e pregate sempre perchè Dio vi illumini e non la sbaglierete.

                4° Due cose vi sono che non si combattono e non si vincono mai troppo; la nostra carne e gli umani rispetti. Beati voi se vi assuefate a combatterli ed a vincerli nella tenera età.

                5° Un poco di ricreazione non sarebbe cattiva, ma è difficile farne la scelta e poi moderarsi. Fate dunque così. Le vostre ricreazioni e tutti i vostri divertimenti fateli sempre approvare dal vostro confessore, ed anche di questi non ve ne saziate mai; e quando ve ne asterrete per vincervi, sappiate che avete fatto una gran vincita e un bel guadagno.

                6° Fintantochè non andiate volentieri a confessarvi ed a comunicarvi, e finchè non vi piacciono i libri divoti ei divoti compagni, non crediate di avere ancora una sincera divozione.

                7° Quel giovanetto che non è ancora capace a sopportare una ingiuria senza farne vendetta, e che non sa tollerare le riprensioni, anche ingiuste, de' suoi superiori, massime de' suoi genitori, è ancora troppo indietro nella virtù.

                8° Ogni veleno è meno fatale alla gioventù dei libri cattivi. A' giorni nostri sono tanto più da temersi quanto sono più frequenti o più mascherati di religione. Se vi è cara la fede, se vi è cara l'anima, non ne leggete, se prima non vi sono approvati dal confessore o da altre persone di conosciuta dottrina e di distinta pietà; ma distinta e conosciuta, rapitelo bene.

                9° Finchè non temete e non schivate le cattive compagnie, non solo dovete credervi in pericolo e grande; ma temete di essere cattivi voi pure.

                10° Gli amici ed i compagni sceglieteli sempre fra i buoni ben conosciuti, e tra questi i migliori; ed anche nei migliori imitate il buono e l'ottimo, e schivatene i difetti, perchè tutti ne abbiamo. [293]

                11° Nel vostro fare non siate ostinati, ma nemmeno siate incostanti. Ho sempre veduto che gli incostanti, che facilmente variano risoluzione senza gravi motivi che li determinino, fanno cattiva riuscita in tutto.

                12. Una delle più grandi pazzie d'un cristiano è quella di aspettare sempre a mettersi sulla buona strada, dicendo poi, poi, quasi fosse sicuro del tempo avvenire e come se poco importasse il farlo presto e mettersi in sicuro. Siate dunque voi saggi ed ordinatevi subito come se foste certi che poi nol farete più. Confessarvi ogni quindici giorni al più tardi: un poco di meditazione e di lettura spirituale tutti i giorni; l'esame della coscienza tutte le sere; la visita al Santissimo Sacramento e alla Madonna; la Congregazione; la protesta della buona morte; ma sopratutto una grande, una tenera, verace e costante devozione a Maria SS. Oh! se sapeste che importa questa devozione; non la cambiereste con tutto l'oro del mondo! Abbiatela, e spero che direte un giorno: Venerunt omnia mihi bona Pariter cum illa.

 

                In questi ricordi si fa cenno della Congregazione, cioè delle radunanze dei giovani studenti nei giorni festivi per soddisfare o in chiesa propria e nella parrocchiale all'obbligo della S. Messa e a quello dell'istruzione religiosa. In molte scuole anche pubbliche erano ancora in vita quest'anno, ma languivano per la noncuranza dell'Autorità scolastica; e ben presto il soffio della rivoluzione doveva estinguerle specialmente ne' grandi centri.

                Pel dicembre la tipografia dell'Armonia, via della Zecca, casa Birago, stampava l'Opuscolo Il lavoro, discorso del famoso oratore alla Metropolitana di Parigi il Padre Felix d. C. d. G. alla gioventù studiosa, in occasione di una solenne distribuzione dei premi. Vi sono esposti argomenti che tante volte noi udimmo ripetere da D. Bosco a' suoi alunni. Il lavoro sia materiale sia intellettuale obbligare tutti gli uomini: mediante il sudore della tua fronte mangerai il tuo pane. L'ozio essere il padre di tutti i vizii e di sventure senza numero. Se il lavoro forma l'uomo, l'ozio lo getta nell'impotenza di prevedere, debilitando l'intelletto e producendo lo scadimento della volontà. Lo Spirito Santo descrive l'ozioso nel libro dei Proverbi: - Il pigro vuole e non vuole. - I desiderii [294] uccidono il pigro, perchè le mani di lui non han voluto far nulla. - Il pigro nasconde la sua mano sotto l'ascella e non la porta fino alla sua bocca. - Come l'uscio si volge sopra i suoi cardini (senza muoversi dal suo luogo), così i 1 pigro nel suo letto. - La pigrizia fa venire il sonno e l'anima negligente patirà la fame. - Il (vano) timore abbatte il pigro; e dice (per scusare la sua inerzia): Fuori avvi un leone: sarò ucciso in mezzo alla piazza. La strada dei pigri è quasi cinta di spine.

                Il Padre Felix svolte le sentenze scritturali sopranotate, ne dava una sua ai giovani studenti volenterosi di arricchire la propria intelligenza.

                “La scienza estesa, chiaroveggente e profonda non si acquista senza ostinato lavoro. L'uomo non sa tranne ciò che ritiene; non ritiene tranne ciò che impara: e non impara fuori di ciò che accumula e fa suo per forza col lavoro di sua mente: ecco, s'io non erro, quale è il vero e filosofico senso di questa tanto semplice quanto profonda parola: imparare”.

                A questo fascicolo, per completare il numero delle pagine determinato dal programma, si univa l'opuscolo, stampato all'Oratorio, col titolo: Novella amena di un vecchio soldato di Napoleone I, esposta dal sacerdote Bosco Giovanni. È  uno dei moltissimi racconti che D. Bosco esponeva ai giovani in ricreazione, al quale egli aggiunse in appendice un breve cenno sulla vita e sul martirio di due Cattolici Annamiti.

                D. Bosco intanto, appena rientrato nell'Oratorio, ebbe la consolazione d'incontrarsi con D. Pestarino Domenico. Di questo esimio sacerdote nato in Mornese, diocesi d'Acqui, il 5 gennaio 1817, è necessario dare qualche cenno biografico. Giovanetto di un gran cuore, compieva nel Seminario di Genova tutti i corsi elementari, ginnasiali, filosofici e teologici. Era un modello di mortificazione e amava appassionatamente Gesù Crocifisso e la Vergine Addolorata. Ancora chierico e poi sacerdote, prefetto dei seminaristi, colla sua dolcezza si era guadagnato il cuore di tutti, sicchè fece rifiorire la pietà e la [295] frequenza ai SS. Sacramenti. I suoi intimi amici, il dotto sacerdote Alimonda Gaetano, il priore di S. Sabina, Frassinetti, D. Sturla, il zelante missionario, ne parlavano sempre come di un prete modello. Preso in mira dai settarii, nel 1849 rimpatriava, ma trovò che in Mornese era spenta la divozione, rarissima la frequenza dei sacramenti e, quello che è peggio, regnavano disordini nella gioventù con grande scandalo di tutto il paese.

                Il suo apostolico zelo però in poco tempo mutava l'aspetto delle cose, sicchè Mons. Modesto Contratto nella visita pastorale a quel paese ebbe a dire: - Mornese è il giardino della mia diocesi. - Quando D. Pestarino aveva fatto ritorno a Mornese cagionava meraviglia taluno che si accostasse alla S. Comunione lungo la settimana; pochi anni dopo la maggior parte degli uomini e delle donne si vedevano ogni giorno alla sacra mensa. Egli era tutto a tutti, ma pel bene della gioventù aveva un trasporto speciale. Basti accennare alle industrie che usava negli ultimi giorni di Carnovale per allontanare i giovani dai disordini e dai pericoli. Li radunava tutti in casa sua, preparava a sue spese l'occorrente per trattenerli con diversi giuochi onesti, con un po' di canto, con qualche commedia morale; e poi bottiglie, confetti e tutto ciò che era necessario ad una cordiale allegria; e D. Pestarino era sempre con loro. Ad un'ora discreta della sera andavano tutti insieme alla Chiesa parrocchiale per recitare le preghiere; e quindi ognuno si recava tranquillamente a riposo dopo essere stato invitato pel domani ad intervenire alla Santa Messa, a recitare il rosario e ad accostarsi ai Sacramenti. Gli stessi svaghi procurava per le ragazze in altra casa sotto la direzione della Maestra Maccagno e tutto sempre a sue spese.

                Questa buona maestra, guidata da lui nelle cose di spirito, in età di 18 anni, nel 1850, erasi determinata di darsi intieramente a Dio, senza abbracciare la vita religiosa, rimanendosi nel secolo. Cercatesi altre compagne pronte a seguire il suo tenor [296] di vita, formava la pia unione delle figlie di Maria SS. Immacolata e davale principio in Mornese l'8 dicembre 1855. Era questo un Istituto secolare nel quale le ascritte, anche rimanendo nelle loro famiglie o in mezzo al mondo, per quanto è fattibile, avrebbero avuto in pronto i mezzi più opportuni per conseguire la perfezione cristiana ed esercitare lo zelo per la salute eterna delle persone in mezzo alle quali dovevano vivere.

                La pia unione era fondata all'intento di supplire all'impossibilità in cui si trovavano tante zitelle di essere ammesse negli Istituti religiosi, o per mancanza di dote o per altri impedimenti di persona e di famiglia. In questa sarebbero state ascritte solamente le zitelle desiderose di conseguire la perfezione cristiana colla pratica dei tre consigli evangelici, povertà, obbedienza e castità; ma non ne avrebbero fatto voto, nè si sarebbero assunte alcun altro obbligo di coscienza, al quale mancando potessero commettere peccato neanche veniale. La pia unione ebbe un regolamento molto semplice, che contiene i doveri delle zitelle, per la consecuzione del doppio fine; la norma per le loro radunanze, che debbono essere private a modo di conversazione spirituale; e il metodo di vita che devono tenere. Il 20 maggio 1857 Mons. Modesto Contratto Vescovo d'Acqui dava il suo pieno assenso alla pia associazione ne approvava i Capitoli, ed essa si propagò con tanta rapidità che nel 1862 era stabilita in quasi tutte le provincie d'Italia[26].

                Alla fondatrice adunque di questa pia unione, D. Pestarino aveva commessa la cura di tutta la gioventù femminile di Mornese, dalla quale egli era amato ed obbedito, allo stesso modo che dai giovani. Egli era indefesso nel predicare e nel confessare tanto di giorno come di notte. Gli avvenne talora [297] di passare quindici ore continue nel confessionale. Amava tutti, faceva del bene a tutti, e da tutti era grandemente riamato, cosicchè poteva chiamarsi il vero amico del popolo. I suoi compaesani lo elessero varie volte consigliere municipale; ed egli corrispose alla loro fiducia promovendone costantemente il bene spirituale e temporale: e non solo i Mornesini, ma anche i paesi d'intorno non prendevano alcuna importante deliberazione senza interpellarlo.

                Tale era D. Pestarino, il quale avendo udito parlare di Don Bosco, s'invogliò di conoscerlo. Ma prima di partire per Torino andò al Santuario della Madonna delle Rocchette col Teologo Raimondo Olivieri, Arciprete di Lerma, che gli aveva suggerito quel pellegrinaggio, per supplicare la celeste Madre a manifestargli la sua volontà. E sentissi ispirato a consecrare vita e sostanze, che erano copiose, per D. Bosco. Giunto a tal fine in Torino rimaneva talmente stupito dello zelo e della carità di D. Bosco, che strinse con lui amicizia. Innamorato dello spirito della pia Società Salesiana, volle subito alla medesima dare il suo nome, cominciando a praticarne le regole nel modo più esemplare. Prometteva a D. Bosco illimitata obbedienza, pronto a stabilirsi nell'Oratorio. Ma il Servo di Dio in vista del gran bene che operava nel secolo, volle che egli continuasse a rimanere nella sua patria.

                Aveva conosciuta anche la necessità di non privare l'Unione delle Figlie di Maria Immacolata in Mornese e altrove di un così pio e saggio Direttore.

                D. Bosco previde allora che passati dieci anni, da quelle giovani di Mornese avrebbe scelte alcune fra le più virtuose per dar principio alla Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice?

                Pare che sì, poichè nel 1863 la signora Carolina Provera di Mirabello, sorella del nostro Francesco, desiderosa di entrare in qualche Congregazione religiosa, ne fece parola a D. Bosco, il quale le rispose: - Se volete aspettare un po' di tempo anche [298] D. Bosco avrà le suore Salesiane come adesso ha i suoi chierici ed i suoi preti. - Ma essa non giudicò bene di attendere; andò in Francia, si legò coi voti alla Congregazione delle Fedeli compagne; e a D. Rabagliati Evasio, che la trovò a Parigi nel 1890 fra le Superiore di Rue de la Santé, la buona suora narrava le parole udite dalle labbra di D. Bosco.

                D. Pestarino ritornava a Mornese, mentre D. Bosco attendeva la risposta ad un suo ricorso indirizzato al Ministro degli Interni Urbano Rattazzi, che per la lotteria aveagli donate 5oo lire. Nella sua mente prodigiosa trovava sempre nuovi disegni per giovare ai fanciulli, e nuovi aspetti in uno stesso disegno per ampliare la sua opera e rinnovare le domande per sussidii.

 

                               Eccellenza,

 

                Il sottoscritto espone rispettosamente a V. E. un bisogno che da qualche tempo si fa gravemente sentire fra noi: esso riguarda ai giovanetti di età inferiori agli anni dodici.

                A quelli che hanno raggiunta tale età si provvede colla casa di questo Oratorio e con altre case analoghe di pubblica beneficenza. Ma spesso s'incontrano ragazzini assolutamente poveri ed abbandonati, cui non evvi mezzo di provvedere, siccome questo medesimo Ministero si trovò più volte nel caso pratico.

                L'esponente, mosso dal vivo desiderio di dare all'uopo provvedimento, avrebbe divisato di aprire un Ospizio vicino a questa casa, ma con regolamento e disciplina tutta propria e diversa da quella praticata da questi giovani che sono più grandicelli.

                Nell'ideato ospizio si accoglierebbero ragazzi da 6 a 12 anni. Ivi con apposita istruzione ed educazione verrebbero preparati per quell'arte o mestiere cui si mostrassero maggiormente inclinati e compatibilmente colle loro forze.

                Raggiunta poi l'età di 12 anni sarebbero accolti nell'Oratorio di San Francesco di Sales.

                La principale difficoltà consiste nel - trovare mezzi pel primo impianto e per questo io domanderei a codesto Ministero un mutuo di L. cinque mila che si estinguerebbe con altrettanti poveri giovanetti che venissero da Lei indirizzati a questo Ospizio.

                La spesa ben calcolata sarebbe limitata a centesimi 65 al giorno per ciascuno dei ragazzi, compresa la scuola, il vitto, vestito ed assistenza. [299] il Governo pagherebbe soltanto centesimi 40 al giorno; e venticinque ragazzi servirebbero ad estinguere il debito col medesimo Governo contratto.

                L'Eccellenza Vostra, che cotanto ama e promuove il vantaggio morale della povera gioventù, vorrà gradire il presente progetto che Ella può a piacimento modificare.

                In ogni caso l'esponente La prega di voler dare benigno compatimento a questo disturbo, assicurandola che il solo amore di fare del bene al suo simile l'ha a ciò determinato.

                Colla massima stima ha l'onore di professarsi dell'E. V.

                Torino, 2 Ottobre 1862.

 

Umile esponente

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                D. Bosco probabilmente era persuaso che il suo progetto non sarebbe stato preso in considerazione, come di fatti nol fu; ma la sua domanda era presentata ad un Ministro, che nutriva per lui stima grandissima e aveva sempre protetti i suoi Oratorii e il suo ospizio. Non trattavasi quindi altro che di una esposizione di pensieri, la quale egli era certo che non sarebbe oggetto di critica. Siccome più volte era stato costretto a non accettare giovanetti poveri raccomandati dal Ministero e a non poter aderire a replicate istanze, perchè quelli non avevano raggiunta l'età prescritta dal regolamento; così proponeva un mezzo ovvio per render possibile l'accettazione di coloro, che per varii motivi non potevano accumunarsi cogli altri allievi più adulti. Al Maestro Miglietti, come già abbiamo narrato, aveva ceduto un appartamento nella casa Bellezza da lui presa in affitto: a questo si poteva aggiungere altro quartiere e così dar principio d'esecuzione al suo progetto. Per la vigilanza degli alunni era pronto qualche assistente o chierico o secolare. Nello stesso tempo D. Bosco senza parere, metteva le condizioni per la pensione che si sarebbe dovuta pagare per que' giovanetti inferiori agli undici anni; e il vantaggio fu che quantunque non accettata la proposta, non pochi bambini raccomandati erano da lui accolti e rimessi al maestro Miglietti. [300] Egli aveva anche mandata una supplica al Luogotenente generale Conte Petitti Agostino, Ministro della Guerra, chiedendogli vestiarii dimessi dai soldati per riparare i suoi ricoverati dai rigori dell'inverno. E il Ministro accondiscendeva cortesemente alla sua domanda.

 

                MINISTERO DELLA GUERRA.

                N. 10483.

 

Torino, addì 25 Novembre 1862.

 

                A gradevole a questo Ministero il poter accorrere a sollievo del Pio Istituto dalla S. V. diretto, ed è per ciò che si affretta a partecipare di avere ordinato alla Direzione del Magazzino generale di questa città che vengano posti a di lei disposizione gli oggetti qui sotto descritti.

                Tovaglie                                                               113

                Asciugatoi                                                               9

                Cappotti panno barban isabella                    100

                Cappotti tournon                                                                50

                Pantaloni id.                                                          80

                Coperte lana bigia                                             100

                Id. da campo                                                      100

                Resta quindi a cura della S. V. di farli di colà ritirare da persona munita della debita autorizzazione.

 

Il Maggiore Generale

incaricato della Direzione generale

de' servizi amministrativi

INCISA.

 

 

CAPO XXX. L'Oratorio si ripopola - Alcune notevoli accettazioni di giovani - Sono molti, ma il Signore li manterrà - D. Bosco li prova e fa la scelta: ripete che uno di essi sarà Vescovo Luigi Lasagna - Un giovane che non la per l'Oratorio Si aprono le scuole: insegnanti senza diploma - Tolleranza dell'Autorità scolastica nell'anno passato - D. Bosco fa preparare i chierici pel conseguimento dei titoli legali - Scrive a questo fine al provicario, perchè dispensi in quest'anno i suoi insegnanti dagli esami di Teologia - Procura il - patrimonio ecclesiastico agli ordinandi - A D. Cagliero Giovanni è affidata la predicazione della Domenica sera - L'uso del dialetto sul pulpito - D. Bosco dalle parti di Alba per una predica: ospitalità sulle prime gretta e poi graziosa - La Contessa vecchia - Il Galantuomo: cessa dal far profezie.

 

                AL  ritorno di D. Bosco l'Oratorio si riempiva di alunni, il cui numero oltrepassava i seicento. Fra questi era il giovanetto Berto Gioachino di Villar Almese, che già conosceva D. Bosco per fama fin dalla sua prima puerizia, e che poi Salesiano e prete destinavalo la Divina Provvidenza ad essere segretario e famigliare di D. Bosco, quale persona di intima fiducia, dal 1866 al 1886. A lui la Congregazione andrà debitrice di molte memorie raccolte intorno alla vita del Venerabile Servo di Dio. Entravano anche quelli accettati da D. Bosco personalmente a Montemagno, a Vignale e in altri paesi, che egli aveva percorsi nella passeggiata autunnale. [302] Ed ora egli ricordavasi di qualche povero giovane di Torino, al quale aveva promesso d'aiutarlo.

                Bernocco Secondo era garzone in un caffè di piazza Carlina, e D. Bosco una sera mandò Belmonte Domenico, che allora faceva rettorica, a dirgli che venisse nell'Oratorio. Belmonte andò; e chiesto del giovane, gli disse: - Prendi il tuo fagotto e vieni con me all'Oratorio.

                 - Ti manda D. Bosco?

                 - Sì. - E senz'altro il giovane venne all'Oratorio, studiò e laureato in belle lettere ebbe una cattedra a Roma. Morì sul fine del 1889.

                Nel vedere quella moltitudine di giovani qualcuno della casa domandò a D. Bosco: - Ma come farà a mantenerli.

                D. Bosco disse sorridendo: - Eh! Il Signore che me li ha mandati me li mantenga! - E si compiaceva di scendere nel cortile in mezzo a loro e di intrattenerli colle sue mirabili industrie; mentre studiava attentamente la loro indole, le inclinazioni, le deficienze, i progressi e regressi nel bene, qual vocazione appariva in ciascuno; studio che noi diremmo essere come il primo grado di quella grazia, che dona il Signore ad un suo servo per la discrezione degli spiriti. E questa si ottiene colla prudenza, preghiera e paziente carità. Perciò D. Bosco faceva suo quel motto di S. Paolo ai Tessalonicensi, che risuonava sovente sulle sue labbra, come un monito in ogni circostanza e affare, ai suoi coadiutori: Omnia probate, quod bonum est tenete.

                Egli però aveva sempre qualche episodio o qualche parola che interessava e distraeva i suoi piccoli amici.

                Di una parola detta da lui ci scrisse Suttil Gerolamo il 21 novembre 1884. “Verso il finir dell'autunno dell'anno 1862 un dopo pranzo, prima delle ore due, D. Bosco era appoggiato al pilastro, che sta tra la scala e l'atrio, proprio sotto il becco del gaz. Eravamo diversi giovanotti e ragazzi intorno a lui in semicircolo. Non potrei precisare chi ci fosse con me; parmi però di poter dire con sicurezza che vi fossero D. Cagliero,  [303] i chierici Durando, Jarac, il ragazzo Lasagna ed altri. D. Bosco (mi pare ancor di vederlo) girò il dito indice attorno, senza fermarsi davanti a nessuno, e disse queste precise parole: - Uno di voi un giorno sarà Vescovo. Tali parole mi restarono sempre impresse, come tutte le altre di D. Bosco, e quando D. Rua mi scrisse a Parigi annunziandomi la partenza di D. Cagliero per l'America, ricordandomi subito della profezia, esclamai: - Ecco il Vescovo profetato da Don Bosco, tanto la profezia fatta quel giorno mi colpì! Ma siccome io non posso sapere la spiegazione delle profezie di D. Bosco, e non potrei giurare che D. Cagliero fosse presente, così quella profezia potrebbe riguardare altri, forse anche qualche ragazzo, forse Lasagna stesso. Chi sa!”

                Era presente Luigi Lasagna, giovanetto di 12 anni, il quale tutte le volte che il buon padre compariva in mezzo ai suoi figli, sentivasi subito attirato verso di lui, riputando a gran ventura se gli rivolgeva la parola o almeno uno sguardo benigno. Nei primi giorni però, essendo di un indole vivacissima e quasi indomabile, nelle ricreazioni voleva esser padrone del campo in mezzo a quel mondo di vispi giovanetti, sicchè non erano state rare le risse clamorose che aveva fatte nascere per sostenere sue ragioni. Assuefatto alla vita libera dei campi, eragli parso pesante il giogo della regola, che fissavagli il tempo pe' suoi doveri e talvolta aveva dato prova ai compagni di questa sua ripugnanza. Di fibra sensibilissima e di viva immaginazione, preso dalla nostalgia del paese nativo, aveva trovato modo di fuggire dall'Oratorio e ritornare a Montemagno; ma ricondotto immediatamente dai parenti in Valdocco, D. Bosco lo aveva accolto senza fargli rimproveri per quella scappata; lo trattò con tanta amorevolezza di incoraggiamenti e ammonizioni paterne, che fu guadagnato a Dio ed alla salute de' suoi fratelli.

                D. Bosco aveva intraviste subito le sue rare doti. Egli era franco, ingenuo, generoso, di una forza di volontà straordinaria [304], di un cuore affettuosissimo, di grande memoria ed ingegno: e sovente D. Bosco fu udito ripetere fin d'allora: In lui c'è buona stoffa; vedrete. - C'era la stoffa della quale si fanno i vescovi.

                Era anche mirabile l'intuito col quale D. Bosco sapeva discernere e giudicare quali giovani facessero o meno perla sua casa. Ci lasciò scritto D. Provera Francesco.

                “Un cotale voleva mettere suo figlio all'Oratorio, ma Don Bosco non lo voleva accettare per nessun costo. Tuttavia le istanze furono così vive che fu quasi costretto a dire di sì. Il padre condusse il ragazzo che all'aspetto sembrava un buon figliuolo, e D. Bosco lo chiamò a sè, dicendogli: - Ti piacerà stare qui con me?

                - Sì sì; rispose il giovane: l'ho tanto desiderato.

                - Ebbene ascolta; e chinandosi continuò a dirgli in un orecchio: per stare qui, bisogna che tu non faccia questa e quell'altra cosa. - Il giovane allora alzò il capo come spaventato: - Ma! e chi le ha detto queste cose?

                - Chi me le ha dette? Io le so!

                - Ah! io non voglio star qui: no, no!

                - Ma e perchè?

                - Perchè se ella sa già tali cose, io non voglio più stare. E corse da suo padre e non ci fu mezzo per farlo rimanere”.

                Nel giorno stabilito si era dato principio alle scuole e a Don Michele Rua D. Bosco affidava la direzione degli studi. Gli insegnanti però non erano forniti di titoli legali. Nel tempo passato le autorità scolastiche non recavano disturbi a Don Bosco, ma nell'anno scolastico 1861 - 62 avevano incominciato a farsi vive. Egli era stato messo sull'avviso dalla seguente lettera del Provveditore agli studii, Giovanni Francesco Muratori. [305]

 

                R. PROVV. AGLI STUDI DELLA PROVINCIA DI TORINO.

                N. 613. - Oggetto - Statistica - Circolare N. 19. Serie 2°.

 

Torino, addì 28 Marzo 1862.

 

                Nei due quadri uniti alla presente circolare sono indicati particolari, che al Ministro della Pubblica Istruzione preme di avere sia intorno al personale direttivo insegnante ed inserviente di cotesto ginnasio, sia intorno al numero degli alunni ed uditori per ogni classe, alla spesa e alla provenienza dei fondi nel medesimo.

                Lo scrivente prega pertanto V. S. di voler porgere siffatte indicazioni, con riempiere e rinviare dentro un termine non maggiore di giorni cinque a questo ufficio i moduli qui compiegati.

                Laddove poi non possano in essi capire tutti i riscontri e riflessi cui Ella stimi opportuno di comunicare, sarà sua cura di farne argomento, di uno speciale rapporto.

 

Il R. Provveditore agli studii

MURATORI.

 

                D. Bosco adunque mandò al Regio Provveditore un dettagliato resoconto delle sue scuole private, dal quale risultò che i maestri non erano forniti di titolo legale per insegnare. Ma fu lasciato per qualche tempo tranquillo dietro sua dichiarazione di essere disposto a ricevere maestri che gli venissero assegnati dal Ministero: facendo però osservare che non avrebbe potuto loro assegnare altro stipendio, che un posto in paradiso, se avessero lavorato per la gloria di Dio.

                Il Provveditore si contentò della promessa che D. Bosco avrebbe procurato di mettersi in regola colle leggi. Non appare che i due Ministri dell'Istruzione Pubblica che nell'anno tennero il portafoglio, prima Mancini poi Matteucci, pensassero a misure odiose contro l'Oratorio. Fors'anco Urbano, Rattazzi, Presidente del Ministero dal 4 marzo col portafoglio degli affari Esteri e degli Interni, aveva fatto valere in Consiglio la sua opinione favorevole all'opera di D. Bosco.

                Questi intanto per l'anno scolastico 1861 - 62 non ebbe a soffrire altra molestia. Prevedendo egli però che le leggi sulla pubblica istruzione lo avrebbero da un momento all'altro [306] messo in gravissimi imbarazzi, aveva già disposto che alcuni chierici studiassero le materie necessarie per l'insegnamento nel ginnasio, onde conseguirne il regolare diploma.

                Già aveva mandato a subire gli esami di licenza ginnasiale i chierici Durando Celestino e Anfossi Giov. Batt. nel luglio 1857 C il Ch. Francesco Cerruti nel 1859, che in appresso presentava alla Regia Università di Torino come uditori. Don Francesia Giov. Batt. già da qualche tempo la frequentava. Erano insegnanti per la letteratura latina il prof. Tommaso Vallauri, per l'Italiana Michele Coppino, perla greca Bartolomeo Prieri. I chierici di D. Bosco, interrogati pubblicamente su varii punti delle cose insegnate, avevano dato buon saggio del loro profitto. I professori avevano rilasciato loro ben volentieri gli attestati di frequenza.

                Pel 1862 - 63 era deciso che avrebbero continuato a frequentare l'Università come uditori e, diciamolo subito, anche quest'anno accademico doveva procurar loro gran profitto negli studii e grande stima da parte degli insegnanti. Ma Don Bosco aveva bisogno che questi suoi collaboratori avessero maggior tempo per occuparsi dei classici delle tre letterature, quindi ne scriveva al Cali. Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario. Nello stesso tempo chiedeva varie licenze e favori per i chierici e per altri giovani aspiranti allo stato ecclesiastico.

 

                               III.mo e M. R. Signore,

 

                Volevo andarle a parlare personalmente perchè ho millanta cose da esporle, ma in questi giorni non mi fu possibile. Dirò qui tutto in breve. Ella poi dica sì o no siccome Le sembrerà di maggior gloria di Dio.

                I°) I chierici Durando, Anfossi e Cerruti (con D. Francesia) hanno in vista di prendere l'esame di belle lettere in quest'anno, cominciando nel p. Novembre. A tale scopo dimanderebbero di essere dispensati dagli esami, concedendo loro di studiare gli opportuni trattati nelle future vacanze del 1863.

                2°) Ghivarello essendo già in età di anni ventotto supplica di poter aggiungere pel prossimo esame i trattati del 5° anno di teologia, nella [307] speranza di essere ammesso alle sacre Ordinazioni nell'anno corrente che sarebbe solo il 4° di Teologia.

                3°) Il chierico Lazzero dimanderebbe di poter aggiungere qualche trattato ai prescritti pel p. esame col medesimo scopo, essendo già in età di 26 anni. Sono ambedue di lodevole ed esemplare condotta morale e preparati sopra la materia dell'esame.

                4°) Il chierico Racca, essendo in età di 20 anni, supplicherebbe pure di poter unire al pr. esame i trattati di fisica, che egli ha studiato nel corso delle spiranti vacanze, quindi cominciare il corso di teol. nell'entrante anno scolastico.

                5°) Rimarebbero qui nell'Oratorio fra i novelli chierici Baracco, Cagliero, Do, Ferrero Antonio d'Airasca, Peracchio, diocesi di Casale, Giuganino e Pignolo già seminaristi di Chieri.

                6°) Domandano di andare a scuola in Seminario vestiti in borghese, perchè non possono comprarsi l'abito clericale, Chicco, Cinzano, Croserio De Paoli, Righetti, Rebuffo. Forse alcuni di essi saranno vestiti nei primi mesi dell'anno scolastico.

                7°) Fra i Fisici avvi anche Bourlot che, per impotenza di pagarsi la pensione, chiede di rimaner (lui nell'Oratorio.

                8°) Non so se Sona abbia chiesto di andare in Seminario, oppure intenda di far dimanda per venir qui. Se ne parlò, ma non si è fatta conclusione.

                9°) Il portatore di questa lettera è il Chierico Rolle commendevolissimo per pietà e studio. A costui bisogna o che conceda la pensione in Seminario totalmente gratis, o che mi aiuti anche in piccola quota Ella medesima, onde possa ritenerlo qui nella casa. Egli può pagare nulla.

                La mia parte è fatta; ora Ella metta in opera la sua pazienza ed io in compenso del disturbo Le farò dire un'Ave Maria, augurandole dal cielo copiose benedizioni e professandomi

                Di V. S. Ill.ma e R.ma

                Torino, 30 ottobre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                A mano a mano che questi chierici dovevano ricevere gli ordini maggiori, D. Bosco non avea mancato di provvedere il patrimonio ecclesiastico a coloro le, cui famiglie, ed erano la maggior parte, si trovavano in povertà. Finchè potè non cessò di aprire le pratiche presso il Ministero di Grazia Giustizia e Culti. Il Chierico Ruffino perciò, consigliato da D. Bosco [308] porse una supplica al Ministro Conforti per ottenere il titolo o beneficio ecclesiastico, o sopra la Cassa dell'Economato o in qualunque altro modo fosse beneviso alla bontà di Sua Eccellenza.

                D. Bosco accompagnava la supplica del Chierico col seguente attestato.

 

                Il sottoscritto dichiara che il Chierico Ruffino Domenico di Giaveno, da sette anni in questa casa, tenne sempre lodevole condotta. Egli si prestò ognora con zelo a fare catechismo e scuola ai poveri ragazzi che intervengono a questo Oratorio; si rese utile alla casa coll'assistenza prestata e che tutt'ora presta ai giovani ricoverati ed applicati ne' varii laboratorii di questo stabilimento e sempre con vantaggio morale e materiale degli allievi. In mezzo alle non leggere sue occupazioni, trovò tempo per distinguersi tra i suoi colleghi nello studio e riportò sempre voto d'encomio ne' suoi esami.

                Per questi motivi caldamente si raccomanda alla clemenza Sovrana, onde sia favorito nella sua domanda, tanto più che il beneficio fatto al supplicante tornerebbe eziandio utile a tutti i poveri giovani di questa casa.

                Torino, 29 Ottobre 1862.

 

Sac. Bosco GIOVANNI, Direttore

 

                Queste sue premure riuscivano anche in favore della Diocesi Torinese. D. Rocchietti dopo l'ordinazione sacerdotale erasi fermato per un anno nell'Oratorio, ma aveva dovuto uscirne per le continue sofferenze corporali. Ciò non ostante vi ritornava per l'amore che portava a D. Bosco, anzi ascrivevasi alla Pia Società; e vi stette finchè vi fu bisogno dell'opera sua. Confessava i giovanetti e teneva la conferenza domenicale alla sera. Era mirabile la semplicità e l'ordine delle sue prediche. Ma non potendo adattarsi alla vita comune, per l'accresciuta acerbità de' suoi mali, fu costretto di bel nuovo a ritirarsi con licenza di D. Bosco e ad aggregarsi al clero della diocesi. La Curia lo mandò nel dicembre del 1862 nel piccolo Seminario di Giaveno come Direttore spirituale. L'Oratorio aveva dato un apostolo alla diocesi. Destinato alla piccola parrocchia di San [309] Gilio fu per molti anni parroco zelantissimo anche nel promuovere le vocazioni allo stato ecclesiastico; e finiva santamente i suoi giorni pochi mesi dopo che era entrato come novizio nei Lazzaristi di Chieri.

                Nell'Oratorio mancato D. Rocchietti, D. Bosco affidava la predica domenicale della sera a D. Cagliero Giovanni, il quale incominciò le sue prediche nella solennità di Tutti i Santi e colla commemorazione di tutti i fedeli defunti, con un brillante esito, che svelò un valente oratore. E così continuò tutte le sere nelle domeniche, finchè non ebbe da partire per le missioni della Repubblica Argentina. Nei primi tre anni, seguendo la consuetudine generale in Piemonte, predicò in dialetto; ma poi usò la lingua italiana, quando D. Bosco prescrisse che nell'Oratorio fosse escluso il dialetto. Ormai le scuole, sia per gli studenti, come per gli artigiani, davano alla casa aspetto di vero collegio. Anche D. Bosco in quello stesso anno, 1865, che fino allora aveva predicato in piemontese, prese a parlare italiano esponendo la vita dei Papi.

                D. Bosco, il 2 novembre, Domenica, faceva una breve escursione, della quale a noi ricordò le vicende D. Savio Angelo, che gli fu compagno. Era andato a predicare in lui paese della diocesi d'Alba, distante dalla ferrovia Torino - Cuneo. Nel ritorno scendeva col suo prete da quelle colline per andare alla stazione di Bra; ma avevano smarrita la via, l'ora si faceva tarda e incominciò a piovere. Accortosi D. Bosco che non sarebbero giunti in tempo al treno, pensò di chiedere ospitalità ad un cappellano, la chiesa del quale sorgeva sopra un poggio a fianco della strada. Andò pertanto a bussare a quella porta, ma ci volle tempo prima che si aprisse. La pioggia veniva giù a furia. Fu accolto con un' po' di malumore. Egli fece sue scuse, dimostrò il dispiacere di essere venuto a dare incomodo ed espose l'urgente necessità che avealo spinto col suo compagno a chiedere ricovero. Quel signore lo fece sedere e quindi domandò chi fossero. [310]

                 - Due poveri preti di Torino.

                 - E quale uffizio esercitano?

                - Io sono sagrestano in una chiesa dalle parti di Valdocco.

                - E avranno ancora da cenare?

                - Se nella sua carità vorrà darci qualche cosa, la prenderemo volentieri.

                 - Mi rincresce che mi trovo senza niente in casa; loro darà qualche po' di formaggio, del pane...

                 - Ma sì: anche troppo: tutto va bene; gliene sarò riconoscentissimo.

                Il cappellano diede ordine alla fantesca, la quale portò quanto gli era stato comandato. Assisi a tavola incominciarono la magra cena, mentre il padrone continuava:

                 - E stasera farebbero assegnamento di fermarsi qui a dormire?

                 - Vede bene, rispose D. Bosco, con questo tempo indiavolato non saprei dove andare in cerca di altro alloggio.

                - Già! L'è che io non ho letti disponibili, non saprei dove metterli a dormire.

                 - In quanto a questo si rimedia subito: due sedie bastano, tanto più che domani facciamo conto di partire per tempo.

                 - Se è così, si accomodino; mi dispiace, doverli trattare a questo modo! - Quindi proseguì: - Essi dunque vengono da Torino!

                 - Sissignore.

                 - Conoscono per caso un certo D. Giovanni Bosco ?

                 - Sì, un poco, rispose D. Bosco, mentre D. Savio che era alquanto stizzito per così gretta accoglienza, incominciava a rider a fior di labbra, dando un'occhiata al Servo di Dio.

                Quel sacerdote che di nulla si era accorto perchè il cappello del lume proiettava la sua ombra sul viso di D.Savio, proseguì: - Io non mi son mai incontrato con D. Bosco; ma ora mi trovo in circostanze di doverlo pregare di un favore. È facile a prestar servizio a chi si rivolge a lui? [311]

                - Quando egli possa, rispose D. Bosco, si fa un piacere di esser utile agli altri.

                 - Io aveva designato di scrivergli domani una lettera.

                 - In quanto alla lettera, scappò a dire D. Savio, può risparmiarsi la pena di scrivere. Dica a questo sacerdote ciò che desidera chiedere a D. Bosco.

                 - Lei adunque è molto amico con D. Bosco?

                 - Abbastanza, rispose D. Bosco sorridendo.

                 - Ma è qui D. Bosco stesso in persona! replicò D. Savio, che non poteva più frenar le risa.

                Lei D. Bosco? - esclamò quel cappellano meravigliato, arrossendo, confuso: - D. Bosco! Se me lo avesse detto subito appena entrato in casa.... Mi perdoni se non l'ho trattato bene... il suo arrivo mi fu così improvviso, inaspettato.... Lasci stare quel formaggio. Mi ricordo ora di aver posto in serbo qualche cosa a pranzo.... Lasci fare a me. - E corse ad un armadio, trasse fuori un mezzo pollo arrosto, comandò alla fantesca di far cuocere alcune uova al tegame, e stese una tovaglia sulla mensa.

                D. Bosco sorrideva graziosamente e D. Savio godeva dell'affannarsi dell'ospite in quell'apparecchio.

                Si finì la cena venne l'ora di dormire e il cappellano trovò un materasso da mettere sopra alcune sedie ed un sofà fu mutato in letto.

                D. Bosco colla sua amorevolezza aveva sgombrata dall'animo di quel reverendo ogni confusione e chiestolo di ciò che desiderasse da lui, si mostrò dispostissimo a favorirlo. Si trattava di ricoverare un giovanetto nell'Oratorio, e fu accettato. Egli però non lasciava mai di dare un avviso quando lo credeva necessario pel bene degli altri. Nel congedarsi al mattino lo prese per mano e ringraziandolo affettuosamente, mentre l'altro rinnovava le sue scuse! - Veda, gli disse, con D. Bosco non è il caso di chiedere scuse, però prendiamo lezioni da tutto ciò che ci accade. Se abbiamo nulla diamo nulla,  [312] se poco diamo poco, se molto diamo ciò che si crede conveniente. Ma lasciamoci sempre guidare dalla carità, la quale in fine dei conti tornerà sempre a nostro vantaggio.

                D. Bosco giunto a Bra salì con D. Savio in ferrovia per ritornare in Torino e dopo aver pregato e letta qualche lettera, volle raccontare al suo compagno un fatto ameno, che gli era occorso qualche tempo prima su quella stessa linea. Più volte egli aveva udito parlare di una contessa, persona molto ricca e molto religiosa e desiderava trarla ad aiutarlo nelle sue opere, ma le circostanze avevano impedito che stringesse relazioni. Ora costei aveva una compatibile debolezza donnesca. Si offendeva acerbamente solo che qualcuno accennasse alla sua età avanzata: e siccome aveva una figlia che oltrepassava i trent'anni, era per lei cosa insopportabile l'udirsi indicare coll'appellativo di Contessa vecchia.

                Ora accadde che un giorno essendo D. Bosco salito in ferrovia, s'imbattè nello stesso compartimento con questa contessa. Raccolto ne' suoi pensieri si assise senza avvedersi di lei, la quale però appena il treno fu in moto gli volse la parola: - Scusi sarebbe forse D. Bosco?

                 - Per obbedirla, signora! E da chi ho l'onore di essere interrogato?

                 - Sono la Contessa X...

                D. Bosco allora: - Son proprio felice di questo incontro. E la la signora Contessa sua madre come sta?

                 - Mia madre! È un pezzo che il Signore l'ha presa con sè.

                 - Ma come? Poche settimane sono, venne a mia cognizione che stava benissimo.

                 - Ma lei ha preso errore, sa. Mi ha forse scambiata con mia figlia. Io sono la Contessa madre!

                D. Bosco replicò, - Davvero? Ma lei è così prosperosa e ben portante, che uno è scusabile se prende abbaglio.

                 - Cosa vuole! soggiunse la Contessa, sorridendo con visibile compiacenza, mi mantengo come meglio posso; non ho mai [313] fatto disordini in vita mia, e quindi godo di tutta la mia sanità.

                 - Ed io prego il Signore, concluse D, Bosco, che la conservi ancora per molti anni.

                Il dialogo si prolungò fino ad una vicina stazione alla quale D. Bosco discese. Da quel momento la Contessa X... fu tutta per D. Bosco e finchè visse continuò a beneficarlo.

                Verso i primi di novembre D. Bosco pubblicava l'Almanacco pel 1863 intitolato: Il Galantuomo e le sue novelle[27]. Del Ch. Celestino Durando sono le brevi notizie de' ventisei martiri Giapponesi canonizzati il giorno 8 giugno 1862, colla descrizione di questa solennità. Tre bei racconti, due stupende canzoni del Sac. G. Peragallo, la romanza l'Orfanello che aveva musicata D. Cagliero, brevi cenni sul nuovo servizio postale compievano il libretto.

                Dopo l'indice vi si leggeva una nota: “Quest'anno il Galantuomo per gravi motivi non dà l'interpretazione delle sue profezie, nè espone quelle che gli potrebbe dettare il suo strano cervello”.

                Motivi di prudenza avevano dettata questa nota. Se i vaticinii degli anni antecedenti avevano destato rumore in Torino e nelle altre città del Piemonte, quelli del 1861 avevano dato eziandio causa a molte dicerie, messo addosso il malumore a certi crocchi di liberali e accresciuti i sospetti che in certi Ministeri vi fossero impiegati infedeli o imprudenti. Si vedeva che D. Bosco sapeva più di quello che si sarebbe voluto e non si poteva conoscere con quale mezzo penetrasse i segreti governativi e settarii. Noi sappiamo come da varii sogni egli apprendesse, almeno in gran parte le sue previsioni; prima ancora di stamparle ne aveva palesate alcune a' suoi giovani, dandone spiegazioni chiare e precise e gli avvenimenti non smentirono i suoi annunzi. Di ciò abbiamo testimoni ancora viventi. [314]

                Il Governo impensierito sulla fine 1859 avealo fatto avvertire di non compromettersi con certe rivelazioni e D. Bosco prometteva di usar prudenza. Tuttavia aveva continuato nel 1860 e nel 1861, ma con certi riguardi, come appare da alcune predizioni abbastanza oscure, e da certe applicazioni dei fatti avvenuti alle profezie, che sono un po' stentate. Per es. dove nel Galantuomo aveva predetto pel 1860: Vedrete il vino a miglior prezzo, ma il pane più caro sembra che la spiegazione più naturale dovrebbe dire: Che per guerre micidiali la scarsità o mancanza di bevitori avrebbe fatto vendere il vino a miglior prezzo; e i campi incolti o devastati non avrebbero prodotto il grano necessario. Ma D. Bosco sapeva quel che diceva e aveva i suoi perchè nel dire.

                Nel Galantuomo poi del 1861 dice chiaramente: Motivi di prudenza e di rispetto mi persuadono a differire i miei racconti ad un tempo più sereno in cui non vi sia più pericolo di temporali, di grandine, di turbini e di uragani. Ma non ostante questa dichiarazione aveva detto anche troppo, perciò il Governo, prima che finisse quell'anno, volle assicurarsi che il Galantuomo non gli avrebbe più dato alcun disturbo. Perciò il Cav. A. Buglione di Monale aveva mandato a chiamare D. Bosco a nome del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli diceva:

                 - Senta D. Bosco: tutti le vogliamo bene, ma il suo Galantuomo ci mette negli impicci. Da ogni parte ci vien domandato: come fa D. Bosco a sapere certe cose? Si fanno castelli in aria, si deducono conseguenze strane; si vuol sapere, si vuol interrogare l'uno l'altro, insomma è un putiferio insopportabile. Per conseguenza prenda in buona parte il mio consiglio: è meglio cessare dallo scrivere certe cose nel suo almanacco.

                D. Bosco intese come fosse quella una proibizione in piena forma, benchè cortese nei modi, e da quel punto cessò dallo stampare le sue previsioni.

 

 

CAPO XXXI. Nuovi fastidii - Piano di guerra degli avversarii per far chiudere il ginnasio dell'Oratorio - Il Cav. Gatti capo de' malevoli: maligna cortesia - Domanda inascoltata di D. Bosco al Ministero, perchè siano ammessi gl'insegnanti dell'Oratorio ad un, esame di idoneità - Udienza non ottenuta dal Ministro dell'Istruzione Pubblica - Bastonate e vita dell'Oratorio - Massime umili e confortanti di Don Bosco - Il Comm. Selmi nuovo Provveditore agli studii: suppliche e dinieghi - D. Bosco alla presenza di Selmi - Dialogo: biografia di Savio Domenico: storia d'Italia: Duca di Parma - Domanda, visita ufficiale, approvazione degli insegnanti.

 

                DON Bosco, da chiari indizi e da segreti avvisi informato, prevedeva una tempesta che stava per cadere sull'Oratorio. Il Ministero Rattazzi per le continue invettive, le accuse e le minacce de' suoi avversari e rivali politici, non poteva più avere lunga esistenza, anzi da un giorno all'altro aspettavasi che lasciasse il potere. Perciò il suo, qualunque fosse, appoggio veniva mancando a D. Bosco.

                Abbiamo già narrato il grave pericolo al quale D. Bosco andò incontro per le calunnie di alcuni malevoli, che, lo accusarono di professare una politica contraria al Governo; ed abbiamo esposto in pari tempo, come avendo egli potuto fare udire personalmente le proprie difese, alla presenza degli stessi Ministri, salvasse dalla minacciata violenza se medesimo e tutti [316] i suoi alunni con grande confusione e dispetto di coloro i quali eransi confederati alla rovina dell'Oratorio.

                Ma costoro che parte lo combattevano per massima e per servire alla rivoluzione e parte per farsi un nome e progredire in carriera, non si diedero per vinti; perciò, dopo due anni di tregua, ritornarono contro D. Bosco alla riscossa e sulla fine del 1862 ricominciarono a dargli nuovi fastidii e nuove angustie. E qui confessiamo di essere dolenti in dover segnalare al pubblico alcuni atti poco onorevoli per taluni di essi, ma lo facciamo senza mal'animo e solo per servire alla storia. Anzi ci consola il pensiero di poterli almeno in parte scusare dicendo che non sapevano quello che si facessero. Per verità alcuni di loro, non appena conobbero meglio le cose, da nemici si fecero amici, e taluno persino avvocato di D. Bosco e de' suoi fanciulli. Ma tiriamo innanzi.

                Alla testa dei malevoli stava il Cav. Stefano Gatti, Capo di Divisione al Ministero della Pubblica Istruzione, già nota abbastanza ai nostri lettori.

                Questa volta gli avversarii non presero più a pretesto la politica, ma la legalità dell'insegnamento che si dava nelle scuole dell'Oratorio. Nel loro piano di battaglia essi ragionavano così: - Don Bosco per tenere le sue scuole aperte si giova di professori sforniti di legale diploma; in questo momento pagarne e sopratutto trovarne dei patentati non può, perchè il suo Istituto vive di carità e l'anno scolastico è già incominciato; dunque obblighiamolo a provvedersi di tali professori, e così riusciremo a fargli chiudere le scuole. - Stabilito il loro piano, quei signori, avendone in mano il potere, aspettarono il momento per cominciarne la facile esecuzione.

                Ma D. Bosco conoscendo le loro intenzioni e vistosi a sì mala parata, senz'altro pensò di andare a parlare col cav. Gatti per cercare di abbonirlo. Questi lo accolse fingendo, affabilità e cortesia e suggerì che presentasse i suoi maestri all'esame d'idoneità all'insegnamento cui attendevano. Costui [317] così rispose, perchè credeva che i maestri dell'Oratorio fossero lontani le mille miglia dall'essere preparati a subire, quasi su due piedi, esami difficilissimi; e quando seppe che eglino erano pronti alla prova e domandavano di sottoporvisi, ne fece a D. Bosco calde congratulazioni. Ma da quel punto torturò il cervello in cercare appigli, perchè non fossero ammessi a quelli esami, come vedremo tra poco.

                D. Bosco non si era lasciato illudere da quelle lustre, ma aveva inteso benissimo quale unica via gli fosse aperta, per giungere al conseguimento del suo scopo. L'aveva già preveduta scrivendo al Can. Vogliotti, ed ora indirizzava una supplica al Ministero, perchè autorizzasse i suoi insegnanti a presentarsi ad un esame, che giudicasse della loro idoneità.

 

                               Eccellenza,

 

                Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma, come nel vivo desiderio di promuovere l'istruzione secondaria nella classe meno agiata del popolo, da alcuni anni, oltre alle classi elementari che hanno luogo pei poveri giovanetti, ho aperto anche una piccola scuola col corso Ginnasiale.

                Privo di redditi fissi, ed i giovani accogliendosi per lo più gratuitamente, o ad una assai modica pensione, non avrei potuto proseguire in questa opera senza l'altrui materiale e personale aiuto.

                Quattro giovani abbastanza istruiti mi vennero in soccorso e accettarono gratuitamente la carica di insegnanti nelle varie classi.

                I loro nomi sono.

                Sac. Francesia Gio. Batta. di Giacomo di San Giorgio per la quinta Ginnasiale.

                Il Chierico Cerruti Francesco fu Luigi da Saluggia, studente del 2° anno di Teologia per la quarta Ginnasiale.

                Il Chierico Durando Celestino di Francesco da Farigliano, studente del 4° anno di Teologia sostituito della quinta ed insegnante nella terza.

                Il Chierico Anfossi Gio. Battista fu Luigi da Vigone, studente del 4° anno di Teologia sostituito della quarta Ginnasiale, ed insegnante nella seconda.

                I risultati ottenuti riuscirono quanto mai si può desiderare soddisfacenti. La loro sollecitudine, il loro zelo fu sempre per ogni riguardo commendevole. Questi benemeriti reggenti mentre compivano i doveri di insegnanti, trovarono modo di frequentate le lezioni di Lettere Greche, Latine ed Italiane nella nostra Regia Università. [318] La disciplina osservata nelle nostre scuole è sempre stata secondo le disposizioni governative, e furono sempre mai seguiti i Programmi pubblicati dal Ministero per le classi Ginnasiali. I regii Provveditori agli studii, gli Ispettori ed altri insigni Professori si compiacquero di visitare più volte le nostre classi e, se ne dimostrarono sempre soddisfatti.

                Sua Eccellenza il Ministro di Pubblica Istruzione ha eziandio veduto ognor con bontà questo sforzo di diffondere l'istruzione secondaria fra i giovanetti meno agiati, ma commendevoli per ingegno e per virtù; ha più volte detto parole d'incoraggiamento a me ed ai maestri delle classi, largì anche sussidii pecuniari, e talvolta scrisse lettere benevole con cui assicurava essere disposto a favorire queste scuole con tutti quei mezzi che erano in suo potere. Ma il medesimo sig. Ministro mi ha più volte animato a studiare il mezzo per mettere nelle rispettive classi i maestri approvati, affinchè, egli diceva, questo Ministero con più regolarità si possa prestare con mezzi materiali e morali.

                Per secondare il mentovato desiderio del Signor Ministro, cioè di aver maestri titolati nello insegnamento, fu già provveduto a tutte le classi elementari, mercè gli esami sostenuti da alcuni giovani di questa casa medesima, i quali in parte sono maestri in altri paesi, e gli altri continuano come maestri patentati a prestar gratuitamente l'opera loro ai poveri giovani che intervengono a queste scuole. Rimane ancora a compiere il suggerimento del Sig. Ministro riguardo alle classi Ginnasiali: ed appunto per questo fo umile preghiera onde i suddetti benemeriti maestri, approvati indirettamente dal Ministero, siano considerati come Reggenti, e sia loro fatta facoltà di presentarsi all'esame di Belle Lettere in questa Regia Università.

                Eglino hanno fatto regolarmente i loro studii Ginnasiali ed Universitarii, ed a giudizio dei loro Professori sarebbero idonei a subire l'esame, cui domandano di essere ammessi.

                Questo è il favore che domando a Vostra Eccellenza, favore che sarà un vero incoraggiamento ed in certo modo un compenso a questi benemeriti insegnanti, e nel tempo stesso sarà un novello benefizio, che con gratitudine ricorderà questa casa, che si sostiene con sola privata e pubblica beneficenza.

                Dio spanda copiose benedizioni, sopra l'Eccellenza Vostra e sopra tutti quelli che si occupano per educare ed istruire la gioventù, mentre reputo al più alto onore di potermi colla più sentita gratitudine professare

                Di Vostra Eccellenza

 

                Torino, II Novembre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [319]

 

                La sua lettera non ebbe risposta. Allora tentò di avere un udienza dal Ministro della Pubblica Istruzione, Matteucci Prof. Carlo, Senatore del regno e non potè riuscire ad averla.

                D. Bosco in uno di que' giorni fu udito a fare questa veridica osservazione: - L'Oratorio di S. Francesco di Sales nacque dalle bastonate, crebbe sotto le bastonate, e in mezzo alle bastonate continua la sua vita. - Infatti dai maltrattamenti e dalle percosse del sagrestano di S. Francesco d'Assisi in Torino ad un povero giovanetto, colse D. Bosco occasione di cominciare l'opera degli Oratorii a vantaggio della gioventù abbandonata e pericolante. Mentre quest'opera medesima, mediante la sollecitudine di lui e la carità dei benefattori, andava sviluppandosi, venne or dalle private, or dalle pubbliche persone osteggiata e combattuta sino al punto che, come abbiamo detto, fu ad un pelo di cadere estinta; e d'allora in poi e ad intervalli, più o meno brevi, non mancarono contro di essa assalti di altri nemici non meno audaci e potenti.

                D. Bosco però soleva, dire ad alcuni de' suoi, sfiduciati da tante difficoltà e persecuzioni: - Non dubitiamo di nulla; io ho esperimentato che quanto più mancano gli appoggi umani, tanto più Dio vi mette del suo. - Altre volte diceva: - In mezzo alle prove più dure ci vuole una gran fede in Dio. - Spessissimo usciva in questa invocazione: - Se l'Opera è vostra, o Signore, voi la sosterrete; se l'opera è mia sono contento che cada.

                Intanto il I° dicembre Rattazzi annunziava alla Camera aver dato con tutto il Ministero le sue dimissioni ed averle il Re accettate. Questi chiamava a comporre il nuovo Ministero Carlo Farini e Giuseppe Pasolini e l'8 dicembre era composto. Farini ne fu il Presidente, ma senza portafoglio. Il Senatore Professore Micheli Amari ebbe quello della Pubblica Istruzione. Al Professore Muratori, Provveditore agli studi per la Provincia di Torino, era successo il Comm. Francesco Selmi,  [320] farmacista modenese, donde era stato condotto da Carlo Farini, già dittatore a Modena.

                Il nuovo regio Provveditore, che pur egli col Cav. Stefano Gatti, aveva concepita trista idea delle cose di D. Bosco, entrò subito in campo contro l'Oratorio domandando a Don Bosco i titoli legali dei suoi maestri. Questi mandò il loro nome e cognome, e in quanto al titolo osservò che erano in via di provvederselo, perchè frequentavano già le lezioni di lettere italiane, latine e greche alla regia Università di Torino. In pari tempo faceva notare, che essendo scuole di carità e di beneficenza a vantaggio dei poveri giovanetti, erano state pel corso di più anni raccomandate e incoraggiate dall'Autorità scolastica, dai regi Provveditori e dallo stesso Ministro della Pubblica Istruzione, col lasciare piena libertà ai maestri d'insegnare, senza esigere che fossero patentati; citava poi - una lettera del Ministro Giovanni Lanza, in data del 20 aprile 1857, nella quale si diceva che - quel Ministero desiderava di concorrere con tutti i mezzi che erano in suo potere, affinchè coteste scuole avessero il maggiore sviluppo. - Addotti questi motivi, Don Bosco domandava quindi al Provveditore che volesse approvare per l'insegnamento quegli stessi professori, almeno sino a che avessero subìto gli esami a cui aspiravano. Ma il Selmi non ascoltò ragioni, si mostrò inflessibile alle suppliche, respinse con disdegno chi voleva fare da mediatore, ed insistette che D. Bosco o si provvedesse fin di quell'anno di maestri patentati, o chiudesse le scuole.

                Ma questi risolse di ritentare la prova presso di Selmi. Aveva pensato: - Se possiamo ripararci dal colpo mortale per un anno, il tempo e il bisogno ci suggeriranno il modo di schermircene in appresso.

                Egli pertanto non scrisse più, nè mandò intermediarii, ma recitata la solita Ave Maria, si presentò in persona al Regio Provveditore. Era uno dei primi giorni del mese di dicembre. Dopo più ore di anticamera, finalmente D. Bosco venne introdotto [321] alla sua presenza. In seguito a pazienti ricerche e da persona che si trovò a parte del fatto, abbiamo saputo circostanze, che ci mettono in grado di esporre la sostanza dell'intrattenimento.

                Pomposamente seduto sopra un seggiolone, il Provveditore ordinò al povero prete di porsi di fronte a lui in piedi; poscia cominciò così:

                 - Dunque... Dunque ho l'onore di avere innanzi a me un famoso Gesuita, anzi il maestro dei Gesuiti. - E con ciò intendeva dire che D. Bosco era un nemico delle moderne istituzioni.

                Dopo questo preambolo continuò a discorrere per buona pezza contro dei preti, dei frati, del Papa, di D. Bosco, delle sue scuole e dei suoi libri, e parlava con tanta acrimonia e adoperava termini tali, che avrebbero fatto perdere la pazienza a Giobbe. D. Bosco, ricordando forse le parole di Gesù Cristo, colle quali esorta i fedeli a godere agli insulti che si riceverebbero per amor suo, raccoglieva tutta quella tempesta d'improperii con animo calmo e con un dolce sorriso sulle labbra. Questo dignitoso contegno di D. Bosco, così opposto al suo, diede fortemente sui nervi al Selmi, che, fissandogli in volto due occhi di bragia, gli disse quasi furioso:

                 - Come? io sono delirante di rabbia e lei si ride di me?

                 - Signor Commendatore, rispose D. Bosco, io non rido in disprezzo di lei, ma perchè ella parla di cose che non mi riguardano.

                 - Ecchè? Non è lei D. Bosco?

                 - Sì, lo sono.

                 - Non è lei il direttore delle scuole di Valdocco?

                 - Lo sono altresì.

                 - Non è lei D. Bosco, famoso Gesuita e gesuitante?

                 - Non capisco.

                 - Ma è forse lei un imbecille?

                 - Lascio alla Signoria Vostra il farne giudizio. Se ancor io volessi usare consimili termini avrei materia e ragioni sufficienti [322] a cui ispirarmi, ma la qualità di onesto cittadino, il rispetto dovuto a tutte le Autorità, il bisogno di provvedere a più centinaia di poveri orfanelli, mi consigliano di tacere, anzi di prendere tutto con indifferenza e di pregare la S. V. che mi usi la bontà di ascoltarmi.

                Queste parole, spiranti profumo di una pazienza e di una carità ammirabile, portarono un po' di calma nell'animo esaltato del Provveditore, che, ritornato a migliori sentimenti, prese a dire:

                 - Che cosa sono adunque queste sue scuole per cui domanda favori?

                 - Sono la riunione di poveri fanciulli, raccolti da varie parti d'Italia e di altre nazioni, avviati gli uni allo studio, gli altri ad un'arte o mestiere, con cui potersi un giorno guadagnare onestamente il pane della vita.

                 - Ne ha molti?

                 - Contando gli esterni ne ho oltre ad un migliaio.

                - Oh che diavolo! oltre ad un migliaio! E chi stipendia lei per ricoverare tanti giovani?

                 - Io non sono stipendiato da alcuno; la mia mercede l'attendo da Dio solo, giusto rimuneratore delle opere buone. Neppure ho reddito per mantenere questi fanciulli e perciò fatico da mane a sera per provvedere loro vitto e vestito.

                A queste parole il Provveditore, divenendo non solo sempre più calmo, ma anche cortese, fece sedere D. Bosco e proseguì:

                 - Ascolti, signor D. Bosco; io la credeva un imbecille, ma mi accorgo che ho preso un abbaglio, perchè un imbecille non è capace di dirigere tale impresa. Ma perchè mai ella si mostra così avversa al Governo e alle sue Autorità?

                 - Io mi trovo, signor Commendatore, in dovere di protestare contro a quest'ultima sua asserzione. Sono oltre a vent'anni che dimoro in questa città, ed ho sempre goduto la benevolenza dei miei compatriotti e di tutte le classi di cittadini, nè mai mi venne fatto rimprovero d'insubordinazione alle pubbliche [323] Autorità. Di ciò chiamo in testimonio la mia vita, le mie parole, le mie prediche, i miei libri. Fino a tanto che la rivoluzione non si impadronì dei miei compatriotti e le pubbliche cariche stettero in mano loro, l'opera mia fu sempre stimata da tutti; soltanto dacchè molti impieghi sono caduti in mani straniere (non intendo parlare di lei), io divenni il bersaglio dei tristi. Costoro, incapaci di provvedere essi medesimi alla sventura dei figli del popolo, osteggiano e vilipendono quelli che vi provvedono, anzi congiurano alla rovina di opere che ci costarono sostanze, fatiche e sudori. - A queste parole troppo chiare per non essere intese, il Provveditore, che era appunto uno straniero, interruppe Don Bosco e - Aspetti un momento, disse: pensa ella forse che come forestiere io sia un suo nemico?

                 - No, signor Commendatore, ed appunto per questo io l'ho eccettuata. Io intendo parlare di certi uomini, che sacrificano il benessere dei loro concittadini in deferire menzogne allo scopo di fare un passo innanzi nell'impiego, o per guadagnare danaro. Questi uomini indegni sono la rovina della civile società.

                Qui il Selmi si accorse che D. Bosco andava toccando certi tasti, che mandavano un suono poco grato alle sue orecchie; onde cercò di volgere altrove il discorso, e facendo una destra evoluzione, disse:

                 Lei parla bene; in ciò le sono perfettamente d'accordo; ma debbo dirle che mi piacciono assai poco i suoi libri. -

                Come vede il lettore qui i libri di D. Bosco non avevano nulla a che fare, ed entravano, per così dire, come il cavolo a merenda, tuttavia nella fiducia di portare un po' di luce nelle tenebre e trarre il suo interlocutore sopra un buon terreno, egli assecondò il deviamento della conversazione, e rispose:

                 - Mi rincresce che i miei poveri scritti non abbiano la fortuna di tornarle graditi, ma se la S. V. si degnasse di notarmene i difetti ne terrei conto nelle future edizioni. [324]

                 - È  ben lei l'autore della biografia del giovanetto Domenico Savio?

                 - Per l'appunto.

                 - Ebbene quel libro è pieno di fanatismo; lo lesse mio figlio e ne fu talmente preso, che ad ogni ora domanda di essere condotto da D. Bosco, e temo quasi che gli dia volta il cervello.

                 - Ciò vorrebbe dire che i fatti ivi contenuti sono chiaramente esposti ed ameni, da essere con facilità intesi dai giovanetti e da incontrare il loro gusto; questo appunto era il mio divisamento. Ma intorno alla lingua e allo stile vi ha ella trovato qualche difetto a correggere?

                 - Di questo no: anzi vi ho scorto purezza e proprietà di lingua ed uno stile facile e popolare. Ma lasciando a parte il libretto accennato perchè di poca mole, non posso passarle per buona la sua Storia d'Italia, che va tra le mani di tutti. Per far disapprovare quest'opera sua basterebbe quanto ella scrisse di Ferdinando Carlo III, Duca di Parma[28]. Di quello [325] scellerato, che ne ha commesse di ogni colore, lei ne ha fatto un eroe, un martire. Le so dire che erano due mila, i quali eransi offerti e legati con giuramento per assassinarlo l'uno in mancanza dell'altro.

                 - Io non sapeva quest'ultima particolarità; ma ancorchè l'avessi conosciuta, non potrei assicurare se l'avrei accennata, perocchè io ho scritto un compendio di storia e ad uso della gioventù, e perciò dovea restringermi in certi limiti, e scegliere quei fatti soltanto, che potessero tornare di qualche morale utilità ai miei lettori. Del resto di quel principe non ho tessuto una biografia, ma narrato solamente la tragica morte, che dissi morte di un buon cristiano, perchè egli morì di fatto rassegnato ai divini voleri, munito dei conforti religiosi, e perdonando al suo assassino.

                 - Basta, io la consiglierei a correggere questa Storia prima di ristamparla.

                 - Se lei, sig. Commendatore, volesse essermi tanto cortese di notarmi o farmi notare le modificazioni o le correzioni da introdursi, l'assicuro che ne farei tesoro per la nuova ristampa.

                 - Mi piace questa sua condiscendenza; lei non si mostra ostinata nelle sue idee; questo mi piace. Ma ora passiamo ad altro, e mi dica che imbarazzo incontri per le sue scuole, e quale difficoltà trovi nel sottomettersi all'Autorità scolastica.

                 - In ciò io non trovo alcuna difficoltà; dimando solo che la S. V. voglia concedere che gli attuali maestri possano continuare il loro insegnamento nella rispettiva classe, cui sono presentemente addetti.

                 - Quali sono questi maestri? [326]

                - Sono Francesia, Durando, Cerruti ed Anfossi.

                 - Da chi sono pagati?

                 - Non sono pagati da alcuno. Furono anch'essi allievi dell'Istituto, ed ora godono d'impiegare le proprie fatiche a benefizio altrui, come altri un tempo le impiegò per loro.

                 - Io non vedo in ciò nessuna difficoltà. Se la cosa sta così, io li approvo senz'altro. Ella mi faccia soltanto una formale domanda, indicando il nome dei maestri e la classe in cui insegnano, ed io le spedirò tantosto apposito decreto di approvazione.

                 - Io la ringrazio di cuore, signor Commendatore, e di tale benefizio le serberò profonda gratitudine. Prima però di congedarmi vorrei ancora pregarla di un favore, ed è ch'ella si degni di prendere i miei fanciulli sotto la sua protezione, e che un giorno o l'altro venga ad onorarci di sua presenza. Sono persuaso che la S. V., amante qual è del povero popolo, proverà grande soddisfazione al vedere colà raccolto un migliaio dei più bisognosi suoi figli. -

                A queste parole di D. Bosco, il Selmi fu tocco nel più profondo dell'animo; onde guardandolo con occhio di compiacenza,

                 - Caro D. Bosco, disse: lei è un angiolo della terra. L'assicuro che d'ora innanzi farò tutto ciò che è in mio potere a pro dei suoi giovanetti, e quanto prima insieme colla mia famiglia renderò al suo Istituto una visita amichevole. Spero poi che in avvenire le nostre conversazioni avranno altro condimento che non ebbe da principio questa prima. Sono nondimeno contento di averla veduta e conosciuta. Dunque siamo intesi e a bel rivederci.

                Questo, la Dio mercè, fu il termine della esposta visita, che da prima minacciava una dolorosa conclusione. D'allora in poi il Provveditore Selmi, convinto del bene che l'Oratorio faceva alla povera gente, lo trattò sempre con molta benevolenza e lo favorì nei limiti di sua autorità. [327] Giunto a casa D. BOSCO gli inviò tosto domanda formale per l'approvazione degli insegnanti, secondo le anteriori intelligenze.

 

                               Ill.mo Sig. Provveditore,

 

                Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma come nel desiderio di promuovere l'istruzione secondaria nella classe meno agiata del popolo, ho iniziati i corsi ginnasiali per li poveri giovani accolti in questa casa, a fine di provvedere a chi colle arti o mestieri, a chi collo studio, un mezzo di guadagnarsi onestamente il pane della vita. Pel passato gli insegnamenti si uniformarono mai sempre ai Programmi ed alle discipline governative. Ma ora desiderando di ottenere una regolare approvazione di queste scuole, fo a Lei, Ill.mo Signor Provveditore, rispettosa preghiera affinchè le medesime vengano approvate come Istituto privato a norma dell'Articolo 246 della Legge sulla Pubblica Istruzione.

                L'insegnamento sarà secondo i Programmi, e secondo le discipline governative in conformità all'art. sopracitato, siccome si è già sinora praticato.

                Riguardo agl'Insegnanti per la Ia Ginnasiale proporrei il Sac. Alasonatti Vittorio, patentato per la 4a Latina secondo l'altra Nomenclatura.

                Per l'Aritmetica il Sac. Savio Angelo Maestro patentato per la 4a Elementare.

                Per la seconda Ginnasiale il Ch. Anfossi Giovanni.

                Per la terza Ginnasiale il Chierico Durando Celestino.

                Per la quarta Ginnasiale il Chierico Cerruti Francesco.

                Per la quinta Ginnasiale il Sac. Francesia Giovanni.

                Per questi quattro ultimi non ho altri titoli che la dichiarazione de' loro professori, perocchè oltre la scuola che da sei anni fanno nella rispettiva classe, frequentano eziandio le lezioni di lettere Greche e Latine nella Regia nostra Università. I giovani loro allievi ne riportarono vistoso vantaggio. Niuno è stipendiato e tutti questi insegnanti impiegano caritatevolmente le loro fatiche. Per questi quattro ultimi dimando un'approvazione provvisoria riservandomi, pel tempo che lui sarà fissato, di presentare gli stessi oppure altri, ma con tutti i titoli voluti dalla Legge.

                Gli studii poi sarebbero sotto la direzione del benemerito Sig. Prof. di rettorica D. Matteo Picco, come sono sempre stati finora.

                Noto qui di passaggio che lo scopo di questa Casa si è che queste scuole Ginnasiali siano una specie di piccolo Seminario, ove possano trovare un mezzo per fare i loro studii quei giovanetti, che hanno il [328] merito dell'ingegno e della virtù, ma che sono privi o scarsi di mezzi di fortuna.

                Pieno di fiducia che l'umile mia domanda sia presa in benigna considerazione, reputo ad onore di potermi dichiarare

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 4 Dicembre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Il Provveditore però prima di accordare la chiesta approvazione, forse per regolarsi con piena cognizione di causa e per far conoscere che egli non si lasciava condurre alla cieca, scriveva a D. Bosco.

 

Torino addì II dicembre 1862.

 

                 Il sottoscritto avendo delegato al Segretario di questo ufficio Signor Dottore Camillo Vigna la facoltà di visitare il locale di cotesto suo Istituto di cui Ella chiede l'approvazione, ne dà avviso alla S. V. Ill.ma onde le piaccia disporre, affinchè, qualora egli vi si recasse in un giorno in M. V. S. fosse assente, non abbia ad incontrare ostacoli nell'adempimento dell'ufficio commessogli.

 

Il R. Provveditore

F. SELMI.

 

                Venne il Dottore Camillo Vigna; fu soddisfatto dei locali e del contegno dei giovani e dopo ciò il Provveditore, in data del 21 dicembre, emanò il promesso decreto, pel quale le scuole dell'Oratorio furono per quell'anno al sicuro da ogni attentato.

                Il R. Provveditore poco dopo chiedeva una statistica del ginnasio dell'Oratorio, nell'anno scolastico 1861 - 62, che Don Bosco non tardava a rimettergli[29].

 

 

CAPO XXXII. Dal dolore santificato nascono grandi cose - Letture Cattoliche CENNI STORICI INTORNO ALLA VITA DELLA BEATA CATERINA DE MATTEI DA RACCONIGI - Elogio dell'Armonia - La novena dell'Immacolata: fioretti dati da D. Bosco Notti paurose di un giovane che non, vuole convertirsi per le questioni scolastiche D. Bosco non può andare a Cumiana - D. Bosco palesa ad alcuni suoi confidenti l'ispirazione avuta di incominciare la costruzione di una Chiesa in onore di Maria SS. Ausiliatrice - La festa dell'Immacolata - Discorso famigliare: l'anno venturo si aprirà il collegio di Mirabello: iscrizione vista in sogno sulla casa di Valdocco: aspre contrarietà sofferte nei primi tempi dell'Oratorio - Una Conferenza di D. Bosco ai Salesiani: sogno: un erto monte da salire: splendide mense preparate sulla vetta: i primi suoi coadiutori stanchi si rifiutano di ascendere: toccheranno quella cima i giovani da lui educati - Sacre ordinazioni.

 

                GESU' crocifisso dà solenni insegnamenti a chi è capace di comprenderli: dal solo dolore nascono le grandi cose e sorgono i forti caratteri come i fiori dalle spine. D. Bosco, tenendo gli occhi sempre fissi in alto al suo divino modello, intese e praticò quelli insegnamenti, soffrì e stentò per quasi tutta la sua vita; nei patimenti fortificò il suo carattere, che mai non piegò dalla via che gli era stata indicata e perciò potè compiere grandi e meravigliose [330] imprese. E il dolore ei sopportava con calma imperturbabile e colla pazienza che il dolore converte in merito e in conforto; perchè per esso l'uomo si conforma al volere di Dio.

                Della nostra asserzione ne abbiamo anche prova in queste ultime settimane dell'anno 1862, che ad anime deboli avrebbero portato un mortale scoraggiamento.

                Primieramente diremo che D. Bosco curava la stampa di un fascicolo delle Letture Cattoliche destinato pei mesi di gennaio e di febbraio del 1863, messo in macchina nell'Oratorio. Il suo titolo era: Cenni storici intorno alla vita della Beata Caterina De - Mattei, da Racconigi dell'Ordine delle penitenti di S. Domenico, per cura del Sacerdote Bosco Giovanni.

                È una biografia meravigliosa intrecciata di fatti soprannaturali. D. Bosco in questi termini ne avvertiva il lettore: “Chi legge troverà certamente cose non comuni nelle vite dei santi. Ma Dio nelle più strepitose opere che compie ne' suoi servi, manifesta in tutte la sua infinita Santità a beneficio del genere umano .......

                Egli per l'intercessione di questa Beata faccia che si moltiplichino specialmente in questi tempi i suoi favori, affinchè possano aver pace tra loro i principi Cristiani, sia estirpata l'eresia, trionfi la santa cattolica Chiesa di Gesù Cristo, si radunino rispettosi gli uomini di tutto il mondo intorno al Sommo Pontefice, si formi sulla terra un solo ovile ed un solo pastore”.

                D. Bosco raccomandava a' suoi lettori fervorosa preghiera, opere buone, frequenza alla S. Comunione e una tenera divozione a Maria SS. quali mezzi per mantenersi fedeli a Dio, ed osservava: “La vita dell'uomo è breve; i nostri giorni passano come un'ombra, come un'onda, come un lampo, cose tutte che più non ritornano. Deh, non perdiamo inutilmente que' giorni che Dio ci dà per guadagnarci i beni eterni, facciamo del bene mentre siamo in tempo”.

                D. Bosco nutriva divozione a S. Caterina e si recava a Caramagna [331] per venerarla nelle stanze, ove essa abitò per tanti anni e morì, e dove si conserva in prezioso reliquiario un suo braccio. Di questo fascicolo faceva l'elogio l'Armonia il 28 gennaio 1863[30].

                Nel frattempo era incominciata la novena che precedeva la festa dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine SS.; e D. Bosco, mentre esortava i suoi alunni a celebrarla con molta pietà, scriveva i fioretti da praticarsi in que' giorni. Ogni sera ne veniva proposto e spiegato uno, ora da lui stesso, ora, essendo egli impedito, da D. Rua Michele.

                Ecco il manoscritto di D. Bosco.

 

NOVE CUSTODI DELLA SANTA VIRTU' DELLA PURITÀ .

 

                I°) Fuga dell'ozio.

                2°) Fuga dei cattivi compagni.

                3°) Frequenza dei buoni compagni.

                4°) Frequente confessione.

                5°) Frequente comunione.

                6°) Frequente ricorso a Maria.

                7°) Udir bene la Santa Messa.

                8°) Rivista su' difetti delle confessioni passate.

                9°) Piccole ma frequenti mortificazioni in onor di Maria. Il massimo e più potente custode della purità è il pensiero della presenza di Dio.

 

                La Madonna gradiva le preghiere ed i fioretti dei buoni figliuoli ed in varii modi allontanava in tutte le sue novene [332] dall'Oratorio, chi non meritava la sua protezione. Ciò accadde anche in questo tempo ad un infelice, il quale colla fantasia accesa dai rimorsi, pure non voleva risolversi a fare bene. Don Belmonte Domenico ci narrò, che essendo egli ancora studente, un giovane della sua classe di nome Ton.... di condotta pessima non aveva mai voluto andarsi a confessare. Fuggiva sempre D. Bosco e invano i buoni compagni cercavano di avvicinarlo al Superiore. Una sera egli fece a Belmonte una confidenza: - Senti: debbo palesarti in segreto un fatto che mi succede da varie notti. Ad una certa ora mi sembra che una mano afferri le mie coperte e le tiri verso i piedi del letto. Io svegliandomi tento invano di rimetterle a posto. Esse mi vengono di bel nuovo tolte di dosso lentamente. Ho una paura che non posso spiegare.

                 - Sarà un sogno, un'immaginazione, rispose Belmonte.

                 - Un sogno? Io sono svegliato come adesso. Vedi! Non solo colle mani ho tentato di fare resistenza, ma afferrai eziandio, coi denti il lembo della coperta. Tutto invano. E la coperta vicino all'orlo è stracciata per la violenza della lotta.

                Belmonte andò a verificare e trovò che realmente la coperta era stracciata in quel modo.

                E Ton.... gli disse: - Domanda tu a D. Bosco la causa di questo fenomeno.

                 - Chiedila tu stesso a D. Bosco, rispose Belmonte: sai quanto egli desidera che tu gli parli.

                 - Domandargliela io! Mai?……Ma che cosa sarà?

                - Oh bella? Il diavolo!

                - E che cosa debbo fare io?

                 - Una buona confessione! replicò Belmonte.

                E il giovane se ne andò dall'Oratorio.

                Si era al quarto giorno della novena, mentre tutto congiurava per costringere D. Bosco a chiudere il suo ginnasio. Egli aveva promesso al Conte Zaverio Provana di Collegno di recarsi il giorno dopo a Cumiana, festa dell'Apostolo delle Indie,  [333] ma non potendo in circostanze così critiche allontanarsi da Torino, gli scriveva una lettera. Da questa traspare la tranquillità del suo animo.

 

                               Car.mo Sig. Cavaliere,

 

                Il cav. Oreglia mio fortunato rappresentante, dirà i varii motivi che m'impediscono di potermi recare a Cumiana per godere della bella giornata di S. Francesco Zaverio. Pazienza: spero di potermi poi rifare quando Ella sarà colla famiglia a Torino.

                Tuttavia non voglio che la mia permanenza all'Oratorio Le torni inutile; i nostri giovani hanno eziandio molta divozione a questo santo, onde stasera e domani mattina vi saranno molte confessioni. Le comunioni poi che avranno luogo domani, e la messa che coll'aiuto del Signore io spero di celebrare, sarà tutto offerto a Dio secondo la santa di Lei intenzione. Questo è l'umile bocchetto che io ed i giovani di questa casa offriremo a Lei per onorare il bell'onomastico di Lei giorno.

                Le unisco qui alcune immaginette che Ella potrà distribuire come meglio crederà. - Voglia sig. cavaliere, gradire questi piccoli segni della mia affezione e gratitudine verso di Lei e di tutta la sua famiglia, , ed augurando a tutti ogni celeste benedizione, ho l'onore di professarmi con pienezza di stima

                Di V. S. Car.ma

 

Aff.mo Servitore, Amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Ma calmatasi la tempesta scolastica, la Vergine benedetta, compiva la sua grazia con nuova ispirazione di opera immortale. Così ci riferiva D. Albera Paolo. Un sabato del mese di dicembre, forse il giorno 6, D. Bosco avendo finito di confessare i giovani verso le II di notte, scese a cena nel refettorio vicino alla cucina. D. Bosco era soprapensiero. Il chierico Albera era solo con lui, quando D. Bosco a un tratto prese a dirgli. - Io ho confessato tanto e per verità quasi non so che cosa abbia detto o fatto, tanto mi preoccupava un'idea, che distraendomi mi traeva irresistibilmente fuori di me. Io pensavo: La nostra chiesa è troppo piccola; non capisce tutti i giovani o pure vi stanno addossati l'uno all'altro. Quindi ne fabbricheremo un'altra più bella, più grande, che sia magnifica [334]. Le daremo il titolo: Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Io non ho un soldo, non so dove prenderò il denaro, ma ciò non importa. Se Dio la vuole si farà. Io tenterò la prova e se non si farà, che la vergogna dell'insuccesso sia tutta per Don Bosco. Dica pure la gente: Caepit aedificare et non potuit consummare.

                Il Ch. Albera tenne la confidenza per sè, ma dopo breve tempo, nel 1863, D. Alasonatti, al quale esso faceva da segretario, gli disse: - Sai ! D. Bosco mi ha confidato che vuote edificare una gran chiesa. Adesso ha già cominciato a lavorare in proposito. Qui c'è una domanda di sussidio al gran Magistrato dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per questo fine. Fammi il piacere di copiarla.

                Manifestava questo suo disegno anche a D. Cagliero Giovanni, il quale così asseriva: “Nel 1862 D. Bosco mi disse, che meditava l'erezione di una chiesa grandiosa e degna della Vergine SS. - Sinora, soggiungeva, abbiamo celebrato con solennità e pompa la festa dell'Immacolata, ed in questo giorno sonosi incominciate le prime nostre opere degli oratorii festivi. Ma la Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: i tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine SS. ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana. E sai tu un altro perchè?

                - Credo, risposi io, che sarà la Chiesa Madre della nostra futura Congregazione, ed il centro dal quale emaneranno tutte le altre opere nostre a favore della gioventù.

                - Hai indovinato, mi disse: Maria SS. è la fondatrice e sarà la sostenitrice delle nostre opere”.

                La festa dell'Immacolata si celebrò nell'Oratorio con grande gioia specialmente perchè la questione per le scuole quest'anno era appianata. “Nella sera di questo giorno, notò D. Bonetti nella cronaca, trovandosi D. Bosco con alcuni suoi giovani e chierici, venne a discorrere di più cose riguardanti l'Oratorio. Si noti che fin dal principio della sua fondazione [335] D. Bosco il giorno dell'Immacolata tenne sempre tutti gli anni una speciale conferenza a' suoi collaboratori. Essendo caduto il discorso sul Collegio che dovrassi per l'anno venturo aprire in Mirabello, si Deus dederit, il Chierico Provera gli domandò se non vedesse già qualche persona, esterna e di merito la quale dovesse aggiungersi ai suoi coadiutori e alla Congregazione. D. Bosco rispose che il Signore avrebbe operato tutto per mezzo dei giovani stati allievi nell'Oratorio e intanto ci raccontò (e noi ampiamente abbiamo già descritto a suo tempo) come egli, essendo ancora al Rifugio, aveva veduta una casa fabbricata sulla stessa foggia della presente, e sopra di essa scritto a caratteri cubitali. - Hic nomen incum. Hinc inde exibit gloria mea.

                Avendogli noi domandato di chi fossero tali parole, ci rispose essere del Signore, e che egli le avrebbe già fatte scrivere su questa casa, se non fosse per non porgere occasione a qualcuno di darci la taccia di superbi. Da queste parole essere proceduta quella sua costanza, che egli chiama testardaggine, per cui sebbene da tutti, persino dà più intimi amici, abbandonato e messo in canzone, non mai cedette. Finalmente avergli il Signore concessa quella casa prevista, che è la presente.

                Ci raccontò pure le guerre sostenute; come quei medesimi che un dì erano suoi coadiutori nel radunare i giovani, dopo facessero il loro possibile per allontanarli da lui; come vi fossero riusciti, poichè di 500 e più giovani che aveva nei giorni festivi non gliene rimasero più di sette od otto; queste guerre esser incominciate nel 1848, allorquando D. Bosco non volle ad ogni costo prendere parte co' suoi giovani a certe feste dette nazionali.

                In quei tempi alcuno dei suoi cooperatori avendo condotti a tali feste i giovani dell'Oratorio di Porta Nuova, D. Bosco fecegli sentire come voleva che la cosa avesse un sol principio; che si stesse ai suoi ordini, e che non aveva più bisogno [336] del suo aiuto avendoli egli in tal modo trasgrediti. Di qui le guerre, di qui le calunnie, di qui ogni sorta di villanie sopra la sua condotta, la più mite delle quali fu che D. Bosco era mezzo pazzo”.

                D. Bosco più volte andava ripetendo che il Signore avrebbe operato tutto, per mezzo di giovani stati allevati nell'Oratorio.

                Egli, aveva continuate le sue conferenze ai confratelli della Pia Società. D. Albera Paolo ne ricorda una di que' tempi, la quale produsse immenso effetto nei congregati. Narrò di aver fatto un sogno nel quale gli parve che stessero intorno a lui giovani e preti. Avendo egli fatto loro la proposta di mettersi in cammino e di salire un'alta montagna poco distante, tutti accondiscesero. Sulla vetta di quella erano preparate le mense per un magnifico convito, che doveva essere rallegrato da musiche e da splendide feste. Si misero adunque tutti in viaggio. La salita era ripida e faticosa, si incontrarono ostacoli di vario genere, talora difficili a superarsi e talora noiosi per chi era già stanco, sicchè a un certo punto tutti sedettero. D. Bosco pure si assise e dopo aver esortati i suoi compagni a farsi coraggio e a continuare l'ascesa, si alzò e si rimise in cammino andando con passo affrettato. Ma ad un certo punto, voltosi per osservare i suoi seguaci, vide che tutti erano tornati indietro, ed egli rimasto solo. Discese tosto il monte e andò a cercarsi altri compagni; li trovò, li guidò per quelle alture talvolta dirupate e di bel nuovo tutti scomparvero.

                 - Allora, continuò D. Bosco, io pensai: ma pure io debbo giungere lassù e non già solo, ma accompagnato da altri molti.

                È  quella la mia meta è questa la mia missione           E come farò a compierla? .... Intendo! I primi furono seguaci raccogliticci, virtuosi, con buona volontà, ma non provati e del mio spirito, non assuefatti a superare gli ardui sentieri, non stretti fra loro e con me da vincoli speciali….. Ed è per questo che mi abbandonarono …..Ma io rimedierò allo sconcio. [337] Fu troppo amaro il mio disinganno……Vedo quello che debbo fare…..Io non posso far conto se non sopra quelli che avrò formati io stesso.... Perciò ritornerò alle falde del monte, radunerò molti fanciulli, mi farò amare da essi, li addestrerò a sostenere coraggiosamente prove e sacrifizii.….mi obbediranno volentieri... saliremo insieme il monte del Signore. -

                E volgendosi all'improvviso ai radunati, diceva aver egli in essi riposte le sue speranze; e per lunga ora con voce affocata li incoraggiava ad essere fedeli alla loro vocazione, in vista delle grazie senza numero che la Madonna avrebbe fatto, loro e del premio immancabile che il Signore aveva loro preparato.

                Fra quei molti che avevano risposto e da tempo con sacro entusiasmo all'appello di D. Bosco vi era il diacono Bongiovanni Giuseppe, il promotore della Compagnia dell'Immacolata, il fondatore e capo della Compagnia del SS. Sacramento e del piccolo Clero, che doveva essere ordinato sacerdote nelle prossime tempora, il 20 dicembre. In quest'anno per D. Bongiovanni e per altri chierici vi era stato un ritardo da parte del Ministero de' Culti riguardo alla concessione del Regio Placet, e D. Bosco ne scriveva al Can. Vogliotti.

 

                               Illustrissimo Signore,

 

                Sono andato questa mattina al Ministero di Grazia e di Giustizia per sapere se avvi già deliberazione intorno ai rescritti pontifici degli ordinandi; mi si rimandò la risposta a questa sera.

                Ora mi è detto che non avvi difficoltà per nessuno e non essendosi ancora potuto compiere il relativo decreto reale, dimani (Venerdì) si farà d'uffizio una lettera complessiva a Mons. Vicario Gen.

                Questo Le significo per sua norma, mentre con pienezza di stima e di gratitudine ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, II Dicembre sera 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

 

CAPO XXXIII. Le ultime visite del fratello di D. Bosco all'Oratorio: sua bontà e sua pietà - Giuseppe cade infermo e muore ai Becchi assistito da D. Bosco - La famiglia del fratello - L'Oratorio ottiene la facoltà di conservare e amministrare l'Olio Santo previsioni e conseguenze di due vocazioni non seguite Sogno di D. Bosco mentre si avvera la sua predizione sulla morte di un alunno - Nuove disposizioni civico per le sepolture - Il Santo Natale: D. Bosco legge nella coscienza di un giovane - Altra predizione di morte avverata in memorabili e commoventi circostanze - Il rosaio fiorito - nell'inverno intorno alla finestra di una stanza ove Don Bosco è ospitato.

 

                ABBIAMO già detto in altro volume quanto si amassero i due fratelli D. Giovanni e Giuseppe Bosco. I giovani dell'Oratorio portavano anche essi un grande affetto a Giuseppe e sia che andassero ai Becchi, sia che egli venisse a Torino gli erano sempre attorno. Volevano udire da lui il racconto dei fatti ameni di D. Bosco e delle sue virtù quando era ancor fanciullo; e Giuseppe aveva cento aneddoti da esporre. Descriveva suo fratello quando, ora conduceva le vacche alla pastura, ora vangava la terra delle vigne, potava le viti, tagliava il fieno, mieteva il frumento, faceva e raccoglieva i covoni, batteva e puliva il grano sull'aia. - Ma sempre e dappertutto, ei soggiungeva, aveva con sè un compagno indivisibile; un libro. Guidasse o custodisse l'armento [339] al pascolo, andasse o venisse dalla campagna, a piedi o sul carro, si vedeva sempre studiare col libro alla mano. Nelle ore in cui gli altri prendevano un po' di ristoro egli faceva altrettanto, ma con una mano teneva una pagnotta e coll'altra il libro leggendo. Alla fine della giornata ritornato a casa e reficiato alquanto lo stomaco, quando ognuno andava a riposo, egli entrato nella sua cameretta vi passava ancora più ore allo studio. Per alcun tempo egli si portava al mattino prestissimo a pigliare lezione dal Cappellano di Morialdo, facendo il compito di notte. - Giuseppe inoltre non dimenticava le scuole di Castelnuovo, il collegio e il Seminario di Chieri, ma taceva dei grandi sacrifizi da lui stesso fatti, perchè D. Bosco riuscisse ad essere prete.

                Erano ghiotti gli alunni di queste sue narrazioni sempre istruttive, ma potevano goderne raramente, poichè Giuseppe solo due o tre volte all'anno veniva all'Oratorio e per pochi giorni. Il lavoro lo tratteneva a Morialdo e sovra tutto gli affari. In Castelnuovo e nei dintorni era conosciuto come uomo di singolari talenti, di virtù e di generosità senza pari. Quindi le più astruse e complicate liti si componevano amichevolmente col portarle al suo giudizio e tutti si rimettevano senza repliche alla sua decisione. Se qualcuno era angustiato da debiti, egli, se poteva, soddisfaceva il creditore, onde era amato da tutti e reputato l'angelo consolatore delle famiglie.

                L'educazione cristiana ricevuta da sua madre aveva fatte germogliare nel suo cuore le più amabili virtù. Esso non viveva per le cose della terra, ma anelava alle ricchezze del paradiso. Si può dire aver egli prevista la sua morte. Un giorno in novembre comparve inaspettato all'Oratorio. Aveva in Torino qualche piccolo conto da aggiustare e lo aggiustò; e in quel giorno stesso volle confessarsi e fare la SS. Comunione.

                 - Ma perchè, gli disse D. Bosco, sei venuto in questa stagione nella quale non sei solito ad allontanarti da casa?

                 - Perchè, rispose Giuseppe, mi sentiva un gran desiderio [340] dì saldare tutti i miei debiti e di confessarmi. Mi pare.... mi pare.... che una voce mi dica di far presto.

                D. Bosco voleva tenerlo con sè per qualche giorno, ma egli volle assolutamente partire. Senonchè dopo breve tempo ritornò: - Sei di nuovo qui? esclamò D. Bosco al primo vederlo; c'è qualche cosa di nuovo a casa?

                 - Oh no, ma son venuto per domandarti un consiglio. Sai che mi son reso garante pel tale: ora mi nacque un dubbio. Se vivo non mi ritiro: son pronto a pagare e pagherò: ma se morissi?

                 - Se muori, tutto fatto, osservò D. Bosco sorridendo; paghi chi resta.

                 - Ma io non vorrei che il creditore dovesse perdere, dopo essersi fidato della mia parola.

                 - In quanto a ciò riposa tranquillo. Se tu non potrai pagare entrerò io mallevadore.

                 - Ti ringrazio; cosi va: e ora non penso più a niente.

                Ritornato a casa dava sesto a tutte le cose sue come se fosse certo di dover partire per l'eternità. Era perfettamente sano. Quand'ecco dopo breve settimana, costretto a coricarsi, in poco d'ora fu ridotto agli estremi. All'infausta notizia giunta alla sera del giorno II dicembre, D. Bosco immediatamente noleggiata una vettura, si portò ai Becchi per assisterlo, accompagnato dall'alunno Cuffia Francesco. Appena entrato nella camera dell'infermo, questi gli domandò:

                 - Don Bosco, che cosa mi porti da Torino?

                 - Ed egli rispose: - Ti porto il regno di Dio.

                Lo assistette fino agli estremi momenti, ebbe la consolazione di procurargli tutti i conforti della religione, e Giuseppe tranquillamente, come un santo, dalle braccia del fratello passò nelle braccia di Dio il 12 dicembre 1862.

                Ai Becchi sta ancora il suo ritratto eseguito da Tomatis con perfetta somiglianza.

                D. Bosco si occupò quindi dei figli del primogenito di Giuseppe [341], dando ai medesimi ne' suoi collegi ed educatori un'istruzione ed educazione adattata al loro stato, di guisa che il figlio riuscì esso pure, come il padre, un buon contadino e delle cinque figlie, tre si consecrarono al Signore tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, una passò a nozze e l'altra morì giovane.

                L'altro nipote Luigi, educato nell'Oratorio, rinviato alla casa paterna perchè attendesse alla campagna, non avendo voluto adattarsi a quella vita faticosa e desiderando intraprendere una carriera civile, suo padre lo aveva mandato agli studi in una vicina città e riusciva cancelliere di pretura. D. Bosco non tralasciò mai di dargli consigli e qualche volta i dovuti rimproveri, quando cioè lo vide non corrispondere ai doveri di buon cristiano; ma non volle mai concorrere per lui in nulla, affermando per simile scopo ei non possedere i mezzi.

                Ritornato D. Bosco da Castelnuovo vide soddisfatta dalla Curia una sua domanda, che gli stava molto a cuore. Il parroco di S. Simone e Giuda, sotto la cui giurisdizione stava l'Oratorio, aveva scritto al Vicario Capitolare:

                Il Curato sottoscritto non ha osservazioni in contrario a che dall'Ill.mo e Rev.mo Signor Superiore Ecclesiastico, seppure nella sua saviezza lo giudica pel meglio, si conceda all'Oratorio di Valdocco sotto l'invocazione di S. Francesco di Sales, la facoltà di conservare ed amministrare l'Olio Santo; desidererebbe solo che alla grazia implorata si unissero le seguenti condizioni.

                I°. La facoltà sia accordata unicamente per l'interno dello stabilimento, e ciò a scanso di abusi.

                2° L'Oratorio debba provvedersi dell'Olio Santo nella Settimana Santa dalla chiesa parrocchiale, e ciò in segno di dipendenza.

                3° L'Oratorio sia in obbligo di avvertire la parrocchia, quando si trova nel medesimo qualche persona gravemente inferma, e ciò per l'esercizio dei diritti e dei doveri parrocchiali.

                 Lo scrivente però si riferisce in tutto alle zelanti e prudenti disposizioni dell'Ill.mo e Rev.mo Signor Vicario Generale Capitolare.

 

                Borgo Dora, 13 dicembre 1862.

 

                GATTINO, Curato. [342]

 

                Questa concessione, che aveva carattere di privilegio, il quale non sarebbe più revocato, toglieva D. Bosco da molte ansietà, specialmente ne' casi d'urgenza. Il gran numero degli alunni, e sempre crescente, costituiva dell'Oratorio quasi una parrocchia.

                Intanto era incominciata la novella del Santo Natale, che doveva essere rallegrata nel giorno 21, Domenica IV di Avvento, dalla prima messa di D. Bongiovanni Giuseppe. La sicurezza che D. Bosco aveva della perseveranza in Congregazione di questo eccellente figliuolo, lo consolava della poca corrispondenza di due altri chierici al suo affetto e a suoi sacrifizi pel loro bene. È forse questo pensiero che ispirò un dialogo tra D. Bosco ed uno dei suoi Salesiani, il quale lo tramandava a noi scritto in un foglio. Mons. Cagliero che era presente ci assicurò dell'esattezza di questa relazione e, D. Albera Paolo ci confermò l'avveramento di ciò che D. Bosco espose.

                Trascriviamo questo foglio: “Sono frequenti i fatti che ci danno a conoscere come D. Bosco sia dotato di spirito profetico, massime per ciò che riflette le cose spirituali, o veramente affari temporali che vanno collegati cogli spirituali. Il 19 dicembre 1862 eravamo a tavola e gli dissi: - Abbiamo il Ch. Da….. che è ben servito.

                - Non ne so nulla! rispose D. Bosco.

                - Mi disse il dottore che lo visita a Bra, dove trovasi in Seminarlo, essere egli minacciato di una fistola in bocca, ed essere perciò venuto ora a Torino per consultarsi con qualche esperto dentista, poichè la sede del male sarebbe in un dente cariato.

                - Il medico disse niente altro?

                - Mi disse solamente che lo aveva diretto ai Cappuccini del Monte. Crede ella che questo male peggiorerà?

                - Certamente: Da vuol fare a modo suo, ma non riuscirà nell'intento.

                „ - La pregherei a spiegarmi queste parole. [343]

                - Sa già i precedenti?

                - Assai confusamente.

                - Veda; egli volle entrare in Congregazione e lo ammisi; vi stette infino a che vestito l'abito clericale, gli ebbi trovata una persona che lo prese a proteggere, nel fornirlo di quanto gli occorreva in vestiti, libri ecc., oltre alla buona volontà di fargli a suo tempo il patrimonio ecclesiastico. Quando si credette sicuro di essere temporalmente provveduto, volle uscire dalla Congregazione. Io conobbi l'errore del giovane; lo avvertii, e lo feci avvertire da varii suoi compagni e particolarmente da D. Cagliero che gli era amicissimo, come il Signore lo avrebbe punito nel temporale, ove egli persistesse nel suo errore. Ma egli stette fermo nel suo proposito ed il Signore lo ammonì con una enfiagione alle glandole, con suporazione lunghissima e dolorosa. Ebbe a soffrire per tutto l'autunno del 1861 e continuò nell'inverno del 1862. Replicai gli avvisi, e finalmente vedendosi così tormentato, mi chiese se lo avrei guarito interamente, ove si fosse arreso alle mie parole. Lo invitai a provare la bontà del Signore con questo consiglio: - Mettiti sulla strada per la quale il Signore ti chiama ed io ti prometto in otto giorni l'intera guarigione di tutti i tuoi mali . - Cedette e si arrese pronto a seguire i miei consigli e fu effettivamente guarito entro gli otto giorni. Dopo aver continuato sano e nel nuovo proponimento per qualche tempo, forse il vedersi così prosperoso, gli fece scordare le sue promesse e nuovamente si ritirò dai suoi impegni. Ed ecco una seconda volta gli ritornò il male alla gola, che poi continuò sempre anche quando fu a casa e quando andò in Seminario a Bra, fino ad oggi che sento essere minacciato da una fistola.

                - Poveretto, dissi io, Dio voglia che non abbia a finir male.

                - Tolto il suo errore, per tutto il resto è un buon giovane.

                - Ma chi sa, se poi il Signore non si stancherà e abbandonandolo non abbia a riuscire un cattivo prete!

                - Oh! questo non accadrà mai. [344]

                - Deporrà l'abito ecclesiastico?

                - No.

                - Morirà?

                - Morirà prima di deporlo. - E pronunciando queste parole fece un segno affermativo col capo.

                Vedendolo così disposto a parlare, io studiava come fargli qualche altra interrogazione, quando egli soggiunse: - Avremo presto un terribile esempio di un altro chierico che finirà peggio.

                - Potrei sapere chi sia costui?

                - Oh! Altro! È il Ch. Ca Egli è pure della Congregazione e nelle vacanze scorse, quando era a sua casa, gli feci scrivere da D. Rua che provvedesse ai casi suoi, perchè sapevo non essere egli più contento di stare in Congregazione. Mi rispose che anzi era contentissimo e che voleva continuare per la strada intrapresa. Lo lasciai venire, ed egli mentre ora si regola malissimo, crede che nessuno sappia le cose sue e di darla ad intendere a D. Bosco.

                - Mi rincresce, io dissi: sarà forse un cattivo prete? Perderà la vocazione? Sarà un cattivo secolare? Si farà protestante?

                - Vorrà finir male! concluse D. Bosco”.

                Noi osserveremo che questo secondo chierico messo poi da D. Bosco fuori dell'Oratorio, perchè insopportabile mentre studiava filosofia; accettato nel Seminario, ordinato prete, laureato in Teologia, finì coll'andare nell'America del Nord senza che più di lui avessimo notizia. Ma del primo chierico possiamo constatare l'avveramento della predizione. Ei ritenne la veste ecclesiastica, fu sacerdote, maestro di teologia morale, preposto alla cura di anime, piissimo e di vita intemerata, ma dovette portare la sua croce temporale predetta, poichè progredendo la tubercolosi morì consunto giovane ancora.

                Ma ben altre predizioni doveva fare D. Bosco in que' giorni, Così ci scrive Suttil Gerolamo. “Il Sabato 20 dicembre, Don Bosco, dopo le solite orazioni della sera, disse ai giovani queste [345] precise parole: - Pel giorno di Natale uno di noi andrà in paradiso. - L'infermeria era assolutamente vuota e ciascuno di noi pensava con una certa inquietudine ai fatti proprii. La Domenica 21 passò senza novità; l'infermeria sempre vuota; molti andarono a visitarla per assicurarsi. Alla sera nel teatrino si recitava il dramma: Cosimo II alla visita delle carceri. Il giorno 22, dopo la funzione in chiesa per la novena del Santo Natale, Blangino Giuseppe, ottimo giovane di anni 10, di S. Albano, incominciò a sentirsi male e si recò nell'infermeria. In poche ore la malattia si fece seria e il medico perdette ogni speranza”.

                D. Provera Francesco continua il racconto per iscritto: “La sera del 23 dicembre si portò il santo Viatico al giovanetto Blangino. Verso le 10 D. Bosco era nell'infermeria e parlava del pericolo di morte nel quale trovavasi il piccolo ammalato. D. Rua gli disse: - Se D. Bosco vuole che io passi qui la notte, in caso che questo figliuolo avesse bisogno degli ultimi conforti della religione, io sono pronto.

                - Non fa bisogno, rispose D. Bosco: fino alle due antimeridiane non c'è pericolo; vatti pure a coricare tranquillo: lascia solo ordine che alle 2 ore ti vengano a chiamare, poichè allora ci sarà bisogno.

                Alle 2 ore infatti il giovane ebbe l'estrema unzione, e alle due e mezzo aveva già resa l'anima a Dio.

                Fattosi giorno D. Bosco raccontò come in quella notte avesse sognato il fanciullo moribondo. Disse: - Sognai che il Prefetto D. Alasonatti, mia madre (morta da sei anni) ed io assistevamo Blangino. D. Alasonatti era inginocchiato che pregava, mia madre aggiustava alcune cose intorno al letto, ed io ero seduto un po' distante dal letto stesso. Mia madre si avvicina al giovanetto e dice: - È morto!

                - È morto? - dissi io.

                - Sì, è morto!

                - Guardate un po' che ora è? [346]

                - Sono tosto le tre.

                Il Prefetto intanto esclamò: - Oh! piacesse al Signore che tutti i nostri giovani facessero una morte così tranquilla.

                Dopo ciò mi svegliai. Appena desto sento un fortissimo colpo come se uno battesse con un cartello verso il muro. Io subito esclamai: - Blangino parte ora per l'eternità. - Apro gli occhi per vedere se appariva luce, ma vidi niente. Recitai allora il De Profundis, persuaso che il giovane era morto e mentre pregava suonarono le due e mezzo[31]

                Nella notte del Santo Natale un numero consolantissimo di Comunioni suffragò l'anima del caro defunto, e i giovani, come avveniva in simili casi, si stringevano sempre più intorno a D. Bosco.

                Il 28 dicembre uno di loro si avvicinò a lui e gli disse - Mi dia un consiglio.

                D. Bosco sorrise e gli rispose:

                - Quale consiglio vuoi?

                - Mi dia un consiglio che riguardi l'anima mia!

                - Ebbene ascolta; sono tre anni e mezzo che tu sei in peccato mortale.

                - Oh possibile! Se io vo sempre confessarmi da D. Savio!

                - Eppure senti! - E gli parlò di forse cinquanta cose che egli aveva sempre taciute in confessione. Ad ogni peccato che D. Bosco ricordava; il giovanetto confuso rispondeva: - Si è vero: l'ho commesso e non l'ho confessato. - Terminò con promettere che si sarebbe accusato di tutto”. [347] Così D. Provera Francesco.

                Ma un fatto più strepitoso accadeva sul finire dell'anno 1862 del quale, come della predizione su Blangino, i testimoni furono più di 600.

                Studiava all'Oratorio un giovane forte ed aitante della persona, di 16 anni, C…..Alberto di….., il quale, mutato da quello di una volta, si era messo per una cattiva strada.

                Un compagno di nome G Felice, suo compatriota e suo condiscepolo nell'Oratorio fu causa del suo pervertimento.

                Come soleva avvenire in questi casi, Alberto fuggiva in tutti i modi D. Bosco, il quale più volte lo mandò a chiamare in sua camera, ma quegli sempre si rifiutò. Finalmente un giorno, s'imbattè cori D. Bosco su per le scale, mentre le scendeva precipitosamente e divenuto tutto fuoco nella faccia, tentò di sfuggirne l'incontro, ma non potè. D. Bosco lo aveva preso per mano e gli diceva: - Alberto, perchè mi sfuggi sempre quando mi vedi? Poverino! Fuggi D. Bosco che ti vuole fare del bene. Tu hai bisogno di confessarti e di farlo al più presto. - E vedendo che egli non rispondeva, aggiunse con aria severa: - Tu non vuoi? Verrà un tempo in cui tu mi cercherai e non mi troverai.... Pensaci seriamente. -

                Questo succedeva in novembre.

                D. Bosco poi nel primo lunedì di dicembre, salito la bigoncia alla sera dopo le orazioni, raccomandò ai giovani di  far ben l'esercizio della buona morte, perchè un alunno della casa sarebbe morto prima che si ripetesse altra volta questo pio esercizio. - Egli è qui presente fra di voi, diceva, e sempre mi scappa; sta lontano da me. Ho cercato di avvicinarlo per parlargli dell'anima sua, ma non ci sono mai riuscito. Eppure verrà un giorno nel quale mi chiamerà ed io non ci sarò. Negli ultimi momenti cercherà di D. Bosco e D. Bosco non si troverà. Invano lo desidererà, perchè in quell'istante sarà lontano e morrà senza vederlo. Avrei tanto bisogno di parlargli per aiutarlo a farsi buono in questo poco tempo! Ma non si lascia [348] vedere! Io però gli metterò attorno un angelo custode, il quale me lo condurrà; e glielo porrò al fianco senza che egli se ne avveda. Egli non sa e non vuol saperne di morire, ma il decreto è tale e non si muterà. Noi lo prepareremo, noi lo avviseremo. Vi è la festa dell'Immacolata in questo mese, vi è quella del Santo Natale; sono due occasioni; e nell'una o nell'altra speriamo che si lascerà cogliere a fare una buona confessione. Ma costui si ricordi bene che l'esercizio di buona morte del mese venturo non avrà più tempo a farlo.

                Il domani l'Oratorio era pieno di questa profezia, la quale aveva prodotto in tutti una grande impressione. D. Bosco intanto diede allo studente ed infermiere Cuffia Francesco l'incarico di mettersi prudentemente attorno ad Alberto per sorvegliarlo e per cercare d'indurlo a frequentare i sacramenti; anzi di farlo confessare il più presto possibile, perchè forse non sarebbe stato più a tempo. Cuffia intese il segreto affidatogli, cercò di fare la sua parte di angelo custode, ma vide andare a vuoto le sue raccomandazioni e i suoi inviti.

                Alberto non ostante quell'annunzio terribile viveva tranquillo. Ragionava così: - Affermasi che D. Bosco sia profeta: or bene, egli ha detto che colui il quale deve morire sarebbe stato da qualcuno condotto a lui, e che egli lo avrebbe avvisato; ma io non mi lascerò cogliere, non mi lascerò condurre, nè avvisare; dunque non sono io quegli che deve morire.

                Riuscì infatti nel suo disgraziato proponimento. D. Bosco in tutto il mese non potè incontrarlo, nè vederlo, nè dirgli una sola parola. Passa la festa dell'Immacolata, passa quella del Santo Natale e Alberto nè pensa a mutar vita, nè va a confessarsi. L'esercizio di buona morte per usanza antica si faceva il I° giorno dell'anno. D. Bosco stava all'erta; attendeva se non altro di avvicinarlo negli ultimi istanti, quando la Duchessa di Montmorency, benefattrice esimia dell'Oratorio, per compiacere il parroco di Borgo Cornalense, borgata di sua proprietà e dimora, lo invita a predicare in quella [349] le quarant'ore, che avevano luogo il 31 dicembre 1862 e I, 2 gennaio 1863. Era un invito nella forma, ma un comando nella sostanza, poichè questa signora non soffriva ripulse.

                 - Veda, le disse D. Bosco, questa volta io non posso; ho varii urgentissimi affari….. mi perdoni…..altra volta mi farò premura di obbedirla, ma ora circostanze impreviste ... ...

                 - Allora si ricordi, lo interruppe la Duchessa, che quando venisse ancora da me per chiedere soccorsi per i suoi giovani io pure le risponderò: non posso!

                Tuttavia D. Bosco osò ancora replicare: - Ho l'esercizio della buona morte in casa, c'è la comunione generale, debbo confessare tutti i giovani, se lei avesse la bontà .... .

                - No, no! concluse imperiosamente la Duchessa.

                D. Bosco allora abbassò il capo e rispose: - Quando è così verrò.

                Al mattino del mercoledì 31, D. Bosco chiamati a sè il Cav. Oreglia e D. Alasonatti, che sapevano della sua andata a Borgo, disse loro: - Vado a passeggio per tre giorni. Posso andare? In infermeria c'è nessuno?

                 - Vada pure tranquillamente. Infermi non ne abbiamo. L'infermeria è vuota.

                D. Bosco partì.

                Era dunque il mercoledì 31 dicembre. Alberto stava benissimo, era allegro. Mentre era in camerata ricevette una lettera di un suo amico chierico in seminario, che l'anno prima tra uscito dall'Oratorio, di nome Moisio, il quale scrivevagli “Sei vivo o sei morto? E se sei vivo perchè hai lasciato passare tanto tempo senza darmi tue notizie?” Alberto lesse ai compagni quella lettera, dicendo: - Voglio scrivergli che sono morto!

                E così fece: scrisse e mandò ad impostare la lettera. Tutti i compagni ridevano. Era tranquillo: al dopo pranzo va a passeggio cogli altri, va a cena va alla scuola di canto. A merenda essendo destinato ad andare a prendere il pane da distribuirsi [350] ai giovani, trovatolo fresco, ne mangiò con pesci salati fuor di misura, bevendovi sopra molta acqua. Suonano le orazioni della sera. Egli va ove gli altri sono radunati, ma sul finire di queste sente un malessere che gli toglie le forze il suo compagno Felice G.... lo sostiene e coll'aiuto di un altro allievo lo conduce in infermeria. Lo mettono sovra il letto, e appena coricato lo assalgono atroci dolori di viscere e gli si gonfia il collo. Chiamasi il medico, si fa ciò che l'arte suggerisce, ma il male progrediva a gran passi, sicchè il dottore stesso constatò non esservi da perdere tempo per amministrargli i sacramenti. L'infermiere avvisò subito l'ammalato di prepararsi, e il poveretto sentendosi ridotto agli estremi, pentito della condotta fino allora tenuta, domandò di confessarsi. Vado a chiamare D. Alasonatti? disse chi l'assisteva; - No, rispose Alberto, voglio D. Bosco! - Alcuni corsero a cercarlo in ogni parte della casa, mentre egli andava ripetendo: - Voglio D. Bosco, voglio D. Bosco!

                Grande fu la sua costernazione quando gli si annunziò che D. Bosco era fuori di Torino. Mandò un grido di straziante dolore, diede in dirotto pianto, ricordandosi di quello che Don Bosco aveva predetto un mese prima, ed esclamò: - Son perduto; muoio e non vedrà più D. Bosco! Io ho sempre sfuggita la sua vista, aveva tanta riluttanza a parlare con lui e Dio mi castiga. - Chiese quindi un altro sacerdote.

                Felice G... corse allora a chiamare D. Rua, che andò in fretta e al quale Alberto si confessò con viva compunzione. Venne pure avvisato D. Alasonatti, che fu subito nell'infermeria.

                Aggiustate le cose dell'anima sua, Alberto si volgeva ai due superiori che erano ai fianchi del letto e con voce lamentevole - Dicano a D. Bosco che io muoio pentito: gli dicano che non merito il suo perdono, ma spero che me lo concederà, come spero in quello della misericordia di Dio. Muoio pentito! mi perdonino tutti....

                Verso le II e ½  gli fu portato il SS. Viatico e amministrata [351] l'estrema unzione e la benedizione papale, che ricevette in un modo edificante.

                Il compagno intanto, che prima si era dato d'attorno per chiamare gli uni e gli altri, erasi fermato nel corridoio e a quando a quando sporgeva la testa dalla porta per vedere che cosa accadeva, e come stesse il compagno; Alberto lo vide e lo chiamò: - Felice, vieni avanti! - Felice entrò e si fermò ai piedi del letto. Il tono di voce del morente suonava rimprovero; e continuò: - È colpa tua se io muoio senza vedere D. Bosco! Io ti perdono come desidero il perdono di Dio, perchè tu lo sai chi fu la cagione dell'esser io diventato cattivo……Ma, non più di ciò…… Tu vedrai mio padre, mia madre e dirai loro che io sono morto pentito e che li aspetto in paradiso: ma tu!…..tu…… Tua colpa se D. Bosco non mi consola in questo momento!

                Felice era pallido, stranamente pallido, e non proferì parola.

                Alberto moriva verso le 3 antimeridiane del i Gennaio 1863. Lo stesso giorno l'amico Moisio a Casale ricevette la lettera che dicevagli: - “Io sono morto!”

                Il cadavere stette in casa 48 ore. Il Sabato alle 4 e ½  pomeridiane doveva farsi la sepoltura, ma D. Cagliero e D. Francesia pregarono la parrocchia a venire un'ora prima, perchè arrivando D. Bosco da Borgo, non si incontrasse in quella bara. Quando egli entrò nell'Oratorio ogni cosa era tranquilla.

                Andò subito a confessare, poichè l'esercizio della buona morte era stato rimandato alla domenica, causa le quarantaore a Borgo. Dopo le confessioni ascese in camera ove gli portarono la cena. Era stato informato di tutto: profondamente mesto, dagli occhi gli scorrevano le lagrime. D. Rua, il Cav. Oreglia ed altri gli erano attorno. Ce ne volle per tranquillarlo. Il Cavaliere gli disse finalmente: - Ma se queste morti le danno pena, quali saranno quelle che la consoleranno? Quali debbono essere le morti belle se questa la lascia tanto afflitto? - Dopo molte spiegazioni D. Bosco si calmò. [352] Felice andò a casa, e qualche tempo dopo ferito da un rivale, moriva perdonando al feritore, chiedendo perdono a Dio, e con una lettera commoventissima domandando perdono a Don Bosco.

                Scrissero relazione del fatto suesposto i testimonii: Mons. Cagliero Giovanni, D. Rua Michele, D. Cerruti Francesco, D. Dalmazzo Francesco ed Enria Pietro.

                Un'altro fatto meraviglioso, accaduto all'incirca in questi giorni, coronava l'anno 1862. D. Bosco essendo andato a far visita alla Marchesa di Sommariva nel suo castello, fu messo a dormire in una stanza, intorno alla finestra della quale, sulla parte esterna del muro, si arrampicava un magnifico rosaio, tutto brullo e secco in quella rigida stagione. Era caduta molta neve. Ma al mattino seguente il rosaio era fiorito con meraviglia degli abitanti del paese. Il servo andato ad aprire la finestra della camera, mentre D. Bosco celebrava la Santa Messa, corse a dar notizia del portento alla sua nobile padrona, la quale accorse e constatò una fioritura non vista o udita in tanti anni.

                Noi non abbiamo mai udito D. Bosco a narrare questo avvenimento. Solo molto tempo dopo ne corse una voce confusa. Morto l'uomo di Dio, la signora contessa Carolina di Soresina Vidoni Soranzo, interpellata da D. Garino Giovanni il 19 aprile 1888 intorno ad alcuni fatti portentosi relativi a D. Bosco e noti a detta Signora, gli rispose fra le altre cose: “In quanto al miracolo del rosaio fiorito nel dicembre 1862, se non erro, o al più tardi 1863, ne sono sicurissima, essendomi stato narrato dalla defunta mia zia Marchesa Sommariva del Bosco, donna degnissima di fede.

                Anche Mons. Appollonio di felice memoria, Vescovo di Treviso. amico delle due nobili famiglie e di D. Bosco, narrò a D. Tullio De Agostini, parroco di S. Pietro in Padova, il fatto meraviglioso del rosaio. Egli era persuasissimo della verità del miracolo, come di cosa non discutibile.

 

 

CAPO XXXIV. 1863 - Numero - lei membri della Pia Società - Suppliche per soccorsi al Ministero di Grazia e Giustizia: ai Principi della Casa reale: al Sovrano: al Regio Elemosiniere - La strenna di D. Bosco agli alunni - Sogno: la madre di D. Bosco: la statuetta della Madonna: un elefante nell'Oratorio, in chiesa, in cottile ove la strage dè giovani: il manto della Madonna rifugio de' minacciati e dei feriti: i partigiani dei mostro e i difensori degli alunni: il mostro e i suoi complici sprofondati in una voragine: iscrizioni sul manto della Madonna: il vessillo di una processione: Parole di Maria SS. ai giovani - Effetti salutari della strenna: i giovani comprovano che non è sogno, ma visione - Don Bosco svela il segreto di una lettera - Un antico allievo attesta l'avveramento di una predizione fattagli da D. Bosco riguardo al sogno - Tre verbali del Capitolo: accettazione di nuovi ascritti e professioni triennali.

 

                IL primo di gennaio dei 1863 la Pia Società di S. Francesco di Sales constava di trentanove membri compreso D. Bosco. La massima parte era di chierici dei quali ventidue consacrati a Dio co' voti triennali. Si aggiungano cinque sacerdoti professi, ed uno solamente ascritto.

                D. Bosco incominciava l'anno chiedendo soccorsi. Il ricavo della Lotteria, per quanto considerevole, non poteva bastare da solo a pagare le spese della fabbrica nuova lungo la via della Giardiniera, a provvedere al mantenimento di tanti [354] giovani ricoverati e a realizzare alcuni grandiosi progetti, che da qualche tempo aveva in mente. Da prima si rivolgeva ad eminenti personaggi dello Stato esponendo diversi motivi, secondo le diverse persone. Scriveva adunque su carta da bollo di 22 centesimi al Ministro di Grazia Giustizia e Culti; e in carta libera e di rispetto ai singoli principi della Casa reale, al Re Vittorio Emanuele e all'abate Camillo Peletta di Cortanzone, incaricato di reggere l'Uffizio di primo Elemosiniere del Sovrano[32].[356] qualche cosa di straordinario pel bene delle loro anime. Le morti predette sul finir dell'anno avevano trionfato di molti cuori ma non di tutti. Un numero di nuovi alunni e alcuni degli antichi non avevano ancor voluto far pace con Dio e continuavano a vivere spensieratamente, mentre il Signore abbondava con essi di misericordia. “Il Signore è buono e giusto, si legge nel salmo 24; per questo ei darà ai peccatori la legge della via da tenere (per ritornare a Lui). Condurrà gli umili (ma non i superbi) alla giustizia, insegnerà le sue vie ai mansueti”.

                E ciò che abbiamo già veduto e vedremo ancora.

                D. Bosco adunque non avendo potuto dare l'ultimo giorno dell'anno la strenna ai suoi alunni, ritornato da Borgo Cornalense, il giorno 4, Domenica, aveva promesso loro di darla la sera della festa dell'Epifania.

                Era il 6 del mese di gennaio 1863 e tutti i giovani, artigiani e studenti, radunati nel medesimo parlatorio, aspettavano ansiosi la strenna.

                Recitate le orazioni, il buon padre salì sulla tribuna solita e così prese a dire:

 

                Ecco la sera della strenna. Ogni anno sino dalle feste Natalizie, soglio innalzare a Dio preghiere, perchè voglia ispirarmi qualche strenna, che possa esservi di giovamento. Ma quest'anno raddoppiai le preghiere stante il cresciuto numero dei giovani. Scorse però l'ultimo giorno dell'anno, venne il giovedì, il venerdì e nulla di nuovo. La sera del venerdì vado a letto, stanco delle fatiche del giorno, nè mi fu dato prendere sonno lungo la notte, di modo che al mattino mi levai spossato, quasi semimorto. Non mi conturbai per questo, anzi mi rallegrai, poichè sapeva che ordinariamente quando il Signore è per manifestarmi qualche cosa, passo malissimo la notte antecedente. Continuai le mie solite occupazioni nel paese di Borgo Cornalense e la sera del sabato giunsi qui tra voi. Dopo aver confessato mi posi a letto, e per la stanchezza cagionata dalla predicazione e dalle confessioni a Borgo, e dal poco riposo della notte antecedente facilmente mi addormentai. Ecco, qui comincia il sogno da cui riceverete la strenna.

                Cari giovani, sognai che era giorno di festa, dopo pranzo, nelle ore di ricreazione e voi eravate intenti a divertirvi in mille modi. Mi parve di essere nella mia camera col Cav. Vallauri, professore di belle lettere: avevamo discorso di parecchie cose letterarie e di altre riguardanti la [357] religione, quando improvvisamente sento all'uscio un ticc, tacc di chi bussava.

                Corro a vedere. Era mia madre, morta da sei anni, che affannata mi chiamava. - Vieni a vedere, vieni a vedere.

                 - Che c'è? risposi.

                 - Vieni, vieni! replicò.

                A queste istanze mi portai sul balcone ed ecco in cortile veggo in mezzo ai giovani un elefante di smisurata grandezza.

                 - Ma come va? esclamai! Corriamo sotto! - E sbigottito mi rivolgeva al Cav. Vallauri, ed egli a me, come per interrogarci in qual modo fosse entrata quella belva mostruosa. Scendemmo tosto precipitosi nel porticato col professore.

                Molti di voi, come è naturale, erano accorsi a vederla. Quell'elefante sembrava mite, docile: si divertiva correndo coi giovani; li accarezzava colla proboscide: era tanto intelligente che obbediva ai comandi, come se fosse stato ammaestrato ed allevato qui nell'Oratorio dalla sua prima età, di modo che era sempre seguito ed accarezzato da un gran numero di giovani. Non tutti però eravate intorno a lui vidi che la maggior parte spaventati fuggivate qua e là, cercando un luogo ove ricoverarvi e infine vi siete rifugiati in Chiesa. Io pure cercai d'entrarvi per l'uscio che mette nel cortile; ma nel passare vicino alla statua della Vergine, collocata presso la pompa, avendo io toccato l'estremità del suo manto, come in segno d'invocarne il patrocinio, essa alzò il braccio destro. Vallauri volle imitare il mio atto dall'altra parte e la Vergine mosse il braccio sinistro.

                Io rimasi sorpreso non sapendo come spiegare un fatto così straordinario.

                Venne intanto l'ora delle sacre funzioni e voi, o giovanetti, andaste tutti in Chiesa, lo pure entrai, e vidi l'elefante ritto in fondo vicino alla porta. Si cantarono i vespri, e dopo la predica andai all'altare assistito dal Sac. D. Alasonatti e da D. Savio per impartire la benedizione col SS. Sacramento. Ma nel momento solenne nel quale tutti erano profondamente inchinati ad adorare il Santo dei santi, vidi sempre al fondo della Chiesa, in mezzo al passaggio, fra le due file dei banchi, l'elefante inginocchiato e inchinato in senso inverso, col muso cioè e le orribili zane rivolte alla porta principale.

                Terminate le funzioni io voleva subito uscire nel cortile per osservare ciò che avvenisse, ma trattenuto da alcuno in sacrestia che bramava darmi qualche avviso, dovetti indugiare.

                Esco dopo breve tempo, sotto i portici e voi nel cortile per incominciare i divertimenti come prima. L'elefante uscito di chiesa si avanzò nel secondo cortile intorno al quale sono in costruzione gli edifizii. Notate bene questa circostanza, poichè in quel cortile, accadde la scena straziante che ora vi descriverò. [358]

                In quel mentre là al fondo compariva uno stendardo, su cui stava scritto a caratteri cubitali: Sancta Maria succurre miseris e lo seguivano i giovani processionalmente. Quando a un tratto, all'impensata di tutti, vidi quel brutto animale, che prima pareva tanto gentile, avventarsi con furiosi barriti in mezzo agli alunni circostanti e prendendo i più vicini colla proboscide scagliarli in alto, sfracellarli sbattendoli in terra, e co' piedi farne uno strazio orrendo. Tuttavia quelli che erano siffattamente maltrattati non rimanevano morti, ma in uno stato da poter guarire, quantunque le ferite fossero orribili. Era un fuggi fuggi generale; chi gridava, chi piangeva, e chi ferito invocava l'aiuto dei compagni: mentre, cosa straziante, alcuni giovani risparmiati dall'elefante, invece di aiutare e soccorrere i feriti, avevano fatta alleanza col mostro per procacciargli altre vittime.

                Mentre avvenivano queste cose (ed io mi trovava nel secondo arco del porticato presso la pompa) quella statuetta che vedete là (indicava la statua della SS. Vergine) si animò e s'ingrandì, divenne persona di alta statura, alzò le braccia ed aperse il manto, nel quale erano intessute con arte stupenda molte iscrizioni. Questo poi si allargò smisuratamente tanto, da coprire tutti coloro che vi si ricoveravano sotto: quivi erano sicuri della vita, pel primo un numero scelto de' più buoni corse a quel refugio. Ma vedendo Maria SS. che molti non si prendevano cura di affrettarsi a Lei, gridava ad alta voce: Venite ad me omnes, ed ecco che cresceva la folla dei giovanetti sotto il manto che sempre si allargava. Alcuni però invece di ricoverarsi sotto il manto, correvano da una parte all'altra e venivano feriti prima che fosse loro dato di ripararsi al sicuro. La Vergine SS. affannata, rossa in viso, continuava a gridare, ma più rari si vedevano quelli i quali correvano a Lei. L'elefante seguitava la strage e parecchi giovani, che maneggiando una spada, chi due, sparsi qua e là, impedivano ai compagni, che ancora si trovavano nel cortile, col minacciarli e col ferirli, di andare a Maria. E costoro l'elefante non li toccava menomamente.

                Alcuni dei giovani ricoverati vicino a Maria e da lei incoraggiati, facevano intanto rapide scorrerie. Strappavano all'elefante qualche preda e trasportavano il ferito sotto il manto della statua misteriosa e quegli subito restava guarito. E quindi ripartivano correndo a nuove conquiste. Varii armati di bastone allontanavano l'elefante dalle sue vittime, e si opponevano ai suoi complici. E non cessarono, anche a rischio della loro vita da quel lavoro, finchè quasi tutti li ebbero seco loro condotti in salvo.

                Il cortile ormai era deserto. Alcuni erano distesi a terra pressochè morti. Da una parte presso i portici una moltitudine di fanciulli sotto il manto della Vergine. Dall'altra in distanza l'elefante col quale erano rimasti solamente un dieci o dodici giovani, che lo avevano coadiuvato a far tanto male e che insolentemente imperterriti brandivano le spade. [359] Quand'ecco quell'elefante sollevatosi sulle gambe posteriori, cambiarsi in un fantasma orribile con lunghe corna; e preso un nero copertone o rete che fosse, avviluppò que' miseri, che avevano parteggiato con lui, e mandò un ruggito, Allora un denso fumo tutti li involse e si sprofondarono e sparirono col mostro in una voragine improvvisamente apertasi sotto i loro piedi.

                Terminata questa orrenda scena mi guardai attorno per esporre qualche mia riflessione a mia madre ed al Cav. Vallauri, ma più non li vidi.

                Mi rivolsi a Maria, desideroso di leggere le iscrizioni, che apparivano intessute sovra il suo manto e vidi che parecchie erano tratte letteralmente dalla Sacra Scrittura e altre pure scritturali, ma alquanto modificate. Ne lessi alcune: - Qui elucidant me vitám aeternam habebunt: qui me invenerit inveniet vitam si quis est parvulus veniat ad me: refugium peccatorum: salus credentium: plena omnis pietatis, mansuetudinis et misericordiae. Beati qui custodiunt vias meas.

                Dopo la scomparsa dell'elefante tutto era tranquillo. La Vergine pareva quasi stanca dal suo lungo gridare. Dopo breve silenzio, rivolse ai giovani belle parole di conforto, di speranza; e, ripetendo quelle parole che là vedete sotto quella nicchia, fatte scrivere da me: Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt, disse: - Voi che avete ascoltata la mia voce, e siete sfuggiti dalla strage del demonio, avete veduto ed avete potuto osservare que' vostri compagni sfracellati. Volete sapere quale è la cagione della loro perdita? Sunt colloquia prava; sono i cattivi discorsi contro la purità, quelle opere disoneste che tennero immediatamente dietro ai cattivi discorsi. Avete pur veduto que' vostri compagni armati colla spada: ecco quelli che cercano la vostra dannazione, allontanandovi da me e che cagionarono la perdita di tanti vostri condiscepoli. Ma quos diutius expectat durius damnat. Quelli che Dio più a lungo aspetta più severamente punisce: e quel demonio infernale avviluppatili, seco li condusse all'eterna perdizione. Ora voi andatevene tranquilli ma ricordatevi delle mie parole: Fuggite que' compagni amici di Satana, fuggite i cattivi discorsi specialmente contro la purità abbiate in me una illimitata confidenza ed il mio manto saravvi ognora sicuro rifugio.

                Dette queste ed altre simili parole, si dileguò e null'altro rimase al solito posto, se non la nostra cara statuetta. Allora mi vidi ricomparire la defunta mia madre, di bel nuovo si innalzò lo stendardo colla scritta: Sancta Maria succurre miseris; tutti i giovani si ordinarono dietro a questo in processione ed intonarono il canto - Lodate Maria, o lingue fedeli.

                Ma non andò molto che il canto incominciò ad illanguidirsi, poi svanì tutto quello spettacolo ed io mi svegliai bagnato interamente di sudore. Ecco! Questo è quanto ho sognato. [360]

                O figli miei; ricavate voi stessi la strenna: chi era sotto il manto chi era gettato in alto dall'elefante, e chi aveva la spada se ne accorgerà dall'esaminare la propria coscienza. Io non vi ripeto che le parole della Vergine SS.: Venite ad me omnes; ricorrete tutti a Lei, in ogni pericolo invocate Maria e vi assicuro che sarete esauditi. Del resto pensino  coloro che furono sì maltrattati dalla belva a fuggire i cattivi discersi, i cattivi  compagni; e quelli che cercavano di allontanare gli altri da Maria, o mutino vita o partano subito da questa Casa. Chi poi vorrà sapere il posto che teneva, venga da me anche nella mia camera, ed io glielo manifesterò. Ma lo ripeto; i ministri di Satana o cambiare o partire. Buona notte!

 

                Queste parole furono pronunziate con tanta unzione e commozione di cuore, che i giovani meditando tal sogno per una settimana più non lo lasciarono in pace. Al mattino molte confessioni, dopo pranzo quasi tutti da lui per sapere qual luogo tenessero in quel sogno misterioso.

                E che non fosse sogno, ma visione, lo aveva pure indirettamente affermato D. Bosco stesso, dicendo: - Quando il Signore è per manifestarmi qualche cosa, passo ecc.;……Soglio innalzare a Dio preghiere, perchè voglia ispirarmi……e poi col proibire che fece qualunque scherzo intorno a questa narrazione.

                Ma vi è ancora di più.

                Questa volta egli stesso scriveva in un foglietto il nome degli alunni, che nel sogno aveva visti feriti, di quelli che maneggiavano una spada, e di altri che ne maneggiavano due: e lo consegnò a D. Celestino Durando, dandogli incarico di sorvegliarli. D. Durando ci trasmise questa lista e l'abbiamo sottocchio. I feriti sono 13 quelli probabilmente che non furono ricoverati sotto il manto della Madonna, quelli che avevano una spada erano diciassette; quelli che ne avevano due si riducevano a tre. Qualche nota a fianco di un nome indica mutazione di condotta. Si osservi ancora che il sogno, come vedremo, non rappresentava solamente il tempo presente, ma riguardava anche il futuro.

                Ma sopratutto che questo sogno abbia dato nel segno lo [361] comprovarono gli stessi giovani. Uno di questi riferiva: “Non credevo che D. Bosco così mi conoscesse; mi ha manifestato lo stato dell'anima mia, le tentazioni cui sono soggetto con tale precisione, che nulla potrei aggiungere. Due altri giovani cui D. Bosco aveva detto che portavano la spada - Ah! sì, è vero, dicevano, è molto tempo che me ne sono accorto; lo sapeva anch'io. - E mutarono condotta.

                Un giorno dopo pranzo egli parlava del suo sogno, e dopo di aver riferito come alcuni già eran partiti ed altri dovevano partire per allontanare la loro spada dalla Casa, venne a discorrere della sua furberia, come egli diceva, ed a tal proposito riferiva questo fatto. - Un giovane scriveva, è poco tempo, a casa sua appioppando alle persone dell'Oratorio più degne di stima, come a superiori e a preti, gravi calunnie ed insulti. Temendo che D. Bosco potesse vedere quel foglio, cercò, studiò finchè gli fu possibile impostarlo senza, che alcuno lo sapesse. La lettera partì. Dopo pranzo lo mandai a chiamare: si presenta nella mia camera ed io, dopo di avergli mostrato il suo fallo, lo interrogava che cosa lo avesse indotto a scrivere tante menzogne. Egli negò sfacciatamente il fatto, io lo lasciai parlare, poscia, cominciando dalla prima parola, gli recitai tutta la lettera. Confuso allora e spaventato, piangendo si gettò ai miei piedi, dicendo: - Non è dunque andata la mia lettera? - - Sì, gli risposi, a quest'ora sarà a casa tua, ma pensa tu di ripararvi. - Gli alunni lo interrogarono in qual modo avesse ciò saputo. - Oh! la mia furbizia, rispose ridendo...”.

                Questa furbizia doveva essere quella stessa del sogno, il quale riguardava non solo il presente stato, ma la vita futura di ciascun giovane, uno dei quali, in stretta relazione con Don Rua, cosi gli scriveva molti anni dopo. Si noti che il foglio porta il nome e cognome dello scrivente, col titolo della strada e il numero della sua abitazione in Torino. [362]

 

                               Carissimo D. Rua,

 

                ......Fra le altre cose mi ricordo di una visione, che D. Bosco ebbe nel 1863, mentre io era ritirato nella sua casa; nella quale vide la vita fu tura di tutti i suoi, e raccontataci da lui stesso dopo le orazioni della sera. Fu il sogno dell'elefante. (Qui descritto quanto sopra abbiamo esposto, continua): Don Bosco terminata la sua narrazione ci disse: -

                Se voi desiderate sapere dove vi siete trovati venite da me nella mia camera, ed io ve lo dirò.

                Dunque anch'io andai. - Tu, mi disse, eri uno di coloro che correvi appresso all'elefante prima e dopo le funzioni, quindi naturalmente fosti sua preda; fosti lanciato in alto colla proboscide e cadendo rimanesti malconcio in modo, che non potevi più fuggire, ancorchè facessi ogni sforzo. Quando un tuo compagno sacerdote, a te incognito, viene ti prende per un braccio e ti trasporta sotto il manto della Madonna. Fosti salvo.

                Questo non sogno, come diceva D. Bosco, ma vera rivelazione del futuro che il Signore faceva al suo Servo, avvenne nel secondo anno che io era nell'Oratorio, in un tempo che io era di esempio a' miei compagni sì nello studio che nella pietà; eppure Don Bosco mi vide in quello stato.

                Vennero le vacanze scolastiche del 1863. Andai in vacanza per motivi di salute e non ritornai più all'Oratorio. Aveva 13 anni compiuti. Vanno seguente il mio padre mi mise ad imparare il mestiere da calzolaio. Due anni dopo (1866) mi recai in Francia per ultimare d'imparare il mio mestiere. Quivi m'incontrai con gente settaria e poco per volta lasciai la chiesa e le pratiche religiose, principiai a leggere libri scettici ed arrivai al punto di abborrire la S. Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, come la più pestifera delle religioni.

                Dopo due anni ritornai in patria e qui pure continuai sempre a leggere libri empii e sempre più lui allontanavo dalla vera Chiesa.

                In tutto questo tempo però non ho mai tralasciato di pregare il Signore Iddio Padre a nome di G. C., affinchè mi illuminasse e mi facesse conoscere la vera religione.

                Durarono questi tempi ben 13 anni, durante i quali io faceva ogni sforzo per rialzarmi, ma era ferito, era preda dell'elefante, non mi poteva muovere.

                Sul finire dell'anno 1878 si diede una missione spirituale in una parrocchia. Molti intervenivano a queste istruzioni ed anch'io cominciai ad andarci tanto per sentire quei famosi oratori.

                Trovai tutte cose belle, verità inconstestabili, e finalmente l'ultima predica che trattava appunto del SS. Sacramento, ultimo punto e principale che mi restava in dubbio (poichè io non credeva più alla presenza [363] di G. C. nel SS. Sacramento, nè reale, nè spirituale) seppe l'oratore sì bene spiegare la verità, confutare gli errori e convincermi, che io tocco dalla grazia del Signore mi decisi a fare la mia confessione e ritornare sotto il manto della B. Vergine. D'allora in poi non tralascio più di ringraziare Dio e la B. Vergine della grazia ricevuta.

                Noti bene che a compimento della visione, seppi poi che quell'oratore missionario era mio compagno nell'Oratorio di D. Bosco.

                Torino, 25 febbraio 1891.

 

DOMENICO N...

 

                PS. - Se la S. V. Rev. crede bene di pubblicare questa mia, Le do ampia facoltà anche di ritoccarla, purchè non si scambi il senso essendo questa la pura verità. Rispettosamente Le bacio la mano, caro Don Rua, intendendo con questo bacio di baciare quella del nostro amato D. Bosco.

 

                Ma da questo sogno D. Bosco aveva certamente ricevuto eziandio lume per poter giudicare le vocazioni allo stato religioso o ecclesiastico, le attitudine degli uni e degli altri nel fare in vario modo il bene. Aveva visti que' coraggiosi che affrontavano l'elefante e i suoi partigiani per salvare i compagni e strappar loro i feriti per portarli sotto il manto della Madonna. Egli perciò continuava ad accogliere le domande di quelli fra costoro, che desideravano far parte della Pia Società, oppure ad ammetterli, essendo già ascritti, a pronunciare i voti triennali. E per loro sarà in eterno titolo onorifico la scelta che ne fece D. Bosco. Una parte di questi non pronunciò i voti o compiuta la triennale promessa, uscì dall'Oratorio; ma è un fatto che questi perseverarono quasi tutti nella, loro missione di salvare ed istruire la gioventù o come preti in diocesi o come professori secolari nelle regie scuole.

                I loro nomi stanno nei tre seguenti verbali del Capitolo Salesiano.

 

                Li 12 gennaio 1863 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales, premessa la solita preghiera, fece l'accettazione formale dei seguenti individui proposti dal Sig. D. Bosco Rettore: Lagorio Giovanni, Finino Gio. Battista, Bongiovanni Domenico, Chicco Stefano, Nasi Gio. Battista [364], Alessio Felice, Cuffia Francesco, Delù Luigi, Ravetti Giovanni, Pellegrini Giovanni, Ricchiardi Chiaffredo.

 

                Li 18 gennaio 1863 il Sig. D. Bosco Rettore radunò tutti i confratelli della Società di S. Francesco di Sales, per la cerimonia dei voti che emisero cinque confratelli. Il Sig. D. Bosco vestito di cotta invitò i confratelli ad inginocchiarsi ed alternativamente con essi recitò il Veni Creator, a cui tenne dietro l'Oremus dello Spirito Santo, la recita delle Litanie della Beata Vergine; un Pater, Ave, Gloria a S. Francesco di Sales coll'invocazione propria ed Oremus. Dopo questo D. Fusero Bartolomeo, inginocchiato in mezzo ai due professi D. Alasonatti e Don Rua, innanzi ad una immagine della Madonna con due candellieri accesi, pronunziò in presenza del Rettore con voce chiara e distinta la formola dei voti. Quindi scrisse il suo nome nel libro dei Professi.

                Lo stesso fece successivamente il Chierico Rovetto Antonio, Mignone Giuseppe, Racca Pietro, Fabre Alessandro, i quali tutti, dopo pronunziata la formola prescritta innanzi al Rettore, scrissero il proprio nome nel libro dei Professi.

 

                Li 8 febbraio 1863 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales, dopo essersi radunato, fatta la solita invocazione allo Spirito Santo, fece, secondo le regole, l'accettazione dei seguenti giovani: Fagnano Giuseppe, Croserio Augusto, Belmonte Domenico, Morielli Giuseppe. Nasi Angelo, Buratto Vincenzo.

 

 

CAPO XXXV. Diffusione de' buoni libri - Terza ristampa della Storia Sacra L'allocuzione del Papa e l'indirizzo dell'Episcopato nella canonizzazione dei martiri Giapponesi - Altra ristampa della Storia d'Italia: l'Armonia - Letture Cattoliche di marzo: indirizzo agli associati - Riguardi che D. Bosco vuole che si usino ai prelati che si associano a queste Letture - Lettere di A Bosco agli Ordinarii di molte diocesi d'Italia per raccomandare tale associazione e loro risposte.

 

                PARI all'impegno che Don Bosco assumevasi per la salute eterna e il progresso de' suoi giovani nella virtù e per l'incremento della Pia Società di San Francesco di Sales, era quello che animavalo a scrivere e a diffondere in ogni modo i buoni libri.

                Egli trovava tempo in quest'anno 1863 a rifare la Storia Sacra, pubblicandone una terza edizione, con analoghe incisioni, per uso delle scuole, secondo il programma del Ministero della Pubblica Istruzione. Oltre non poche correzioni di frasi, aggiunte di periodi, di paragrafi, di alcuni fatti, ci di sana pianta arricchisce di cinque intieri capi l'epoca settima. Con questo lavoro difende le verità della Chiesa cattolica e confuta le menzogne e le abberrazioni degli eretici. Scrive in ultimo: - S. Pietro, capo della Chiesa, partì da Antiochia e condottosi a Roma, capitale allora del mondo intero, vi stabilì la sua sede. I suoi successori continuarono a farvi residenza, che per causa delle persecuzioni doveva essere nelle catacombe. Dopo il terzo secolo dell'era cristiana l'imperatore [366] Costantino abbracciò la religione di Gesù Cristo, fondò, chiese in Roma e le fornì di dote. Appresso trasportò il suo seggio imperiale in Costantinopoli da lui fondata. D'allora in poi gli imperatori, i re che dominarono in Italia, non soggiornarono più in Roma, ma solamente la traversarono come viaggiatori, risiedendo a Ravenna o a Pavia, o a Milano. Così Roma divenne per Divina Provvidenza la città del Vi cario di Gesù Cristo”.

                In questa ristampa D. Bosco tolse dalla prefazione la citazione di Feccia e di Aporti, vi riportò l'elenco dei nomi di geografia sacra, confrontati coi nomi moderni, con molte aggiunte a quello del 1855. Completò il volume col quadro delle monete, pesi e misure ebraiche, confrontate colle monete, pesi e misure del sistema metrico decimale; con un trattatello sulla geografia della terra santa e dei regni confinatiti; con un cenno degli imperi che la dominarono, e cori una carta geografica della Palestina.

                Notiamo che altre edizioni furono posteriori a questa e sempre con aggiunte e correzioni di D. Bosco, che indicano l'amore col quale ei prediligeva questa storia.

                Intanto pieno di gioia per l'unanime adesione dell'Episcopato ai desiderii del Santo Padre; per l'ammirabile unione con Roma del clero e laicato cattolico prussiano, dalla quale doveva sorgere il Centro Parlamentare, che tante vittorie legislative doveva ottenere a vantaggio della Chiesa; per il danaro di S. Pietro, che da ogni parte del mondo cercava sollevare con milioni l'augusta povertà del Pontefice, faceva stampare nell'Oratorio un opuscolo annunziato dall'Armonia il 5 marzo.

 

                L'allocuzione del Papa e l'indirizzo dell'Episcopato nell'occasione della canonizzazione dei Martiri Giapponesi, sono due documenti che fanno epoca nella storia. Quindi crediamo opportuno che siano conosciuti e diffusi dai fedeli. A questo scopo se n'è fatto una bella edizione in Italiano dalla Tipografia dell'Oratorio di San Francesco di Sales, in Torino, al prezzo di centesimi 20 franco per la posta. [367] Nello stesso tempo faceva pubblicare un'altra edizione della sua Storia d'Italia, affidandone la vendita per comodità della gioventù Torinese, oltre all'Oratorio, alle tipografie di Paravia, del Cav. Pietro Marietti, di Giacinto Marietti, e alla libreria di Moglia Giuseppe, Via Barbaroux. Così annunziava l'Armonia il 5 aprile.

 

                La Storia d'Italia raccontata alla gioventù. - Il solo titolo soprascritto basterebbe già a raccomandare il bel lavoro dell'ottimo sacerdote D. Bosco, Questo nome infatti è ormai conosciuto per tutta l'Italia, e il poter dire che questa storia ebbe già in sì breve tempo l'onore di ben quattro edizioni, è tal gloria che molti possono, ambire, ma pochi raggiungere. Non vogliamo tuttavia pretermettere che i pregi grandissimi di questa storia riscossero le più lusinghiere lodi non solo dalla Civiltà Cattolica, che la encomiò più volte e, non è ancora gran tempo, con uno di que' suoi incomparabili articoli; ma eziandio da un uomo il cui giudizio quanto meno è sospetto, tanto è più autorevole, massime in questa materia, vogliamo dire dell'Illustre Sig. Nicolò Tommaseo. Si aggiunga che la presente opera tende ancora a procurare l'occasione di compiere un atto della più squisita carità, giacchè essa si vende esclusivamente a beneficio degli Oratorii di S. Luigi, dell'Angelo Custode e di S. Francesco di Sales. Si aggiunge infine che ove si guardi alla grossezza del volume, alla nitidezza dei tipi, alla correzione della stampa e alla bellezza dell'edizione, il prezzo non potrebbe essere più tenue. Esso è di sole L. 2, 50 a Torino e di lire 2 e 75 nelle provincie per la posta.

 

                Altri lavori tenevano occupato D. Bosco al suo tavolino come presto vedremo, ma ciò che urgeva di più era il fascicolo delle Letture Cattoliche pel mese di Marzo.

                Queste presentavano ai lettori il fascicolo: Dialoghi popolari sopra alcuni errori del giorno in fatto di religione. I dialoghi sono quattro, e confutano i soliti spropositi che i protestanti spargevano nei paeselli contro le verità cattoliche. Il libretto è stampato dal Tipografo Paravia, ma sul frontispizio si legge: - Torino 1863 - Presso la Direzione delle Letture Cattoliche, via San Domenico N. II.

                Nell'ultima pagina, nel piano d'associazione si nota che i vaglia devono essere intestati alla Direzione.

                Il fascicolo portava un indirizzo agli associati. [368]

 

                Ai nostri benemeriti corrispondenti e cortesi lettori,

 

                Con grande nostra consolazione, benemeriti corrispondenti e cortesi lettori, vi annunciamo il termine dell'anno 10 delle Letture Cattoliche. Crediamo che sia reciproco il motivo di consolazione, perchè le nostre e le vostre sollecitudini furono da buon successo coronate, sia per l'aumento del numero dei lettori, sia pel frutto che speriamo ne sia tornato al bene delle anime.

                Siccome per altro da qualche tempo in qua si fa più grave sentire il male, che si va cagionando colle stampe perverse, così coll'annunciarvi l'anno II delle nostre pubblicazioni ci facciamo animo, benemeriti corrispondenti e cortesi lettori, a raccomandarvi che vogliate con noi raddoppiare lo zelo e la sollecitudine. Dal nostro canto nulla risparmieremo di quanto può contribuire all'esattezza della stampa, alla puntualità delle spedizioni, all'amenità della materia, all'utilità e scelta degli argomenti. Per ottenere questo scopo voi potete coadiuvarci efficacemente, sopratutto coll'incoraggiare gli associati a continuarci il loro favore e collo studiare il modo per diffondere questi libretti in quei luoghi dove non fossero ancora conosciuti, specialmente là dove i protestanti avessero tentato, oppure tutt'ora tentassero, di spargere il veleno dell'errore tra i popoli cattolici. Dal programma più sotto unito si vedrà come nulla siasi cangiato dagli anni scorsi. Crediamo bene eziandio di riprodurre le parole del supremo gerarca Pio IX e alcuni fragmenti di pastorali di Vescovi e Vicarii generali[33], che si compiacquero di raccomandare ai fedeli la maggior diffusione possibile delle Letture Cattoliche. Dio benedica  a tutti quelli che in questi calamitosi tempi si adoperarono per la diffusione dei buoni libri, e benedica in ispecie voi benemeriti corrispondenti e cortesi lettori; e mentre vi offriamo i sentimenti della più viva nostra gratitudine, preghiamo il cielo a prosperarvi colla pienezza dei suoi favori.

                Torino, I Marzo 1863.

 

LA DIREZIONE.[369]

 

                D. Bosco faceva eziandio, come aveva stabilito negli anni antecedenti, pubblicare l'elenco dei fascicoli stampati nelle Letture Cattoliche, perchè fossero distribuiti e comprati, o donati alle popolazioni. Nello stesso tempo, per raccomandare le sue Letture, indirizzava una lettera a dieci Cardinali, a 85 Vescovi, e 60 Vicarii Generali o Capitolari di tutta l'Italia. Si conserva la nota fatta scrivere e corretta da lui. Egli intanto raccomandava ai suoi incaricati, che non si mandassero mai i conti dell'associazione ai benefattori insigni, ai Vescovi, ai Cardinali; e perciò esigeva che i loro nomi fossero scritti in un registro a parte. - Costoro, diceva, resterebbero offesi ricevendo le pagelle, mentre con una sola offerta ricompensano ampiamente la Casa.

                Ecco adunque la circolare che variava negli indirizzi secondo richiedeva la dignità dei personaggi che dovevano riceverla.

 

                               Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore,

 

                Il bisogno che si fa ogni giorno sentire più grave della diffusione di buoni libri, è quello che mi eccita di scrivere a V. S. Ill.ma e Rev.ma per avere un appoggio. Credo che Le sia ben noto come da dieci anni [370] si pubblicano in questa città alcuni libretti mensili sotto al nome di Letture Cattoliche. La modicità del prezzo, la popolarità e la scelta degli argomenti, la raccomandazione dei Vescovi ed ancora assai più la Benedizione e la raccomandazione dello stesso Sommo Pontefice il Regnante Pio IX, fecero sì che numerose ne fossero le associazioni e se ne mostrassero assai soddisfatti i lettori.

                Ora desidero ardentemente che siano vieppiù diffuse in cotesta Diocesi dalla Divina Provvidenza alle caritatevoli di Lei cure affidata; perciò se nell'alta sua prudenza e saviezza stimasse di dire una parola a favore di queste Letture, credo che farebbe cosa utile per la gloria di Dio, aiuterebbe a mettere un antidoto alle stampe immorali ed irreligiose, che in tante guise si propagano, e sarebbe nel tempo stesso di non lieve eccitamento a coloro che si occupano per la stampa o per la diffusione delle medesime.

                Quanto qui Le dico è una semplice preghiera che fo a nome della Direzione; e sono sempre contento comunque Ella giudichi meglio di fare.

                Dal canto mio La prego rispettosamente a voler gradire che di cuore Le auguri dal Cielo sanità ed abbondanza di grazie, e mentre mi raccomando alla carità delle divote di Lei preghiere, reputo al massimo onore di potermi professare con pienezza di stima.

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma.

 

                Torino, 20 Gennaio 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                I varii Vescovi non tardarono a far risposta all'appello di Don Bosco. Noi conserviamo ancora alcune di queste lettere[34].

 

 

CAPO XXXVI. Don Bosco incomincia a parlare della costruzione di una nuova Chiesa in Valdocco e del suo titolo - Indica il terreno sul quale verrà innalzata e predice il concorso de' fedeli La Madonna provvederà i mezzi - Il campo de' sogni non appartiene a D. Bosco - Si pensa di fabbricare la Chiesa altrove, ma non si riesce a comprare il terreno - Pratiche fallite per l'acquisto del campo de' sogni - I fioretti per la novena di S. Francesco di Sales - Discorsi di D. Bosco in privato: sua indifferenza alle lodi ed ai biasimi: un'intrapresa riuscirà se ha per fine la vera gloria di Dio: non gli restano più che due anni di vita; e gliela potranno prolungare l'aiuto dei Salesiani nel combattere il peccato e le preghiere dei giovani - Annunzia a tutta la Comunità una vittoria sopra il demonio - Suppliche ad ottenere sussidii per la costruzione della Chiesa al Conte Cibrario e all'Ordine Mauriziano, al Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, al Sindaco di Torino - Circolari per lo stesso fine ai fedeli d'Italia - Alcuni temono che D. Bosco non riuscirà, altri sono persuasi che per lui nulla è impossibile - D. Bosco prende possesso del campo de' sogni - Testimonianza sulla fiducia dei fedeli nelle preghiere di D. Bosco e sulla sua potenza d'intercessione presso Maria SS.

 

                NELL'ORATORIO si era già sparsa la voce di un nuovo tempio che D. Bosco aveva deciso di costrurre, e trovatosi egli un giorno in mezzo a' suoi giovanetti aveva domandato loro sotto qual titolo si sarebbe dovuta invocare la Madonna cui sarebbe dedicato. Uno rispose: - All'Immacolata [372] Concezione - Altri: - Alla Madonna del Carmine. - A quella del Santo Rosario. - D. Bosco lasciò dire e dopo un istante manifestava l'idea di invocarla sotto il titolo di Auxilium Christianorum E da varie parole che aggiunse, i giovani avean potuto farsi la persuasione, che egli volesse così ravvivare nel popolo Cristiano la fede nel trionfo della Chiesa, nella lotta che essa sostiene in questi tempi.

                “Un altro giorno, narra il Can. Anfossi, trovandomi con lui nel viale lungo la nostra casa, e avendogli domandato dove avrebbe costrutto il tempio di Maria Ausiliatrice, mi indicò il sito in un campo vicino quasi in faccia alla nostra Chiesa di S. Francesco di Sales e col gesto segnò larghe proporzioni di terreno. Si noti che una strada separava quell'area dall'Oratorio. - E dove passeremo, domandai ancora, per entrare nell'Oratorio?

                 - Questa strada sulla quale siamo, sarà annullata e noi entreremo per la via Cottolengo prolungata. - E replicando io: - Ma sarà molto ampia la Chiesa? - Egli rispose: - Senza dubbio, e qui verranno molti ad invocare la potenza di Maria Vergine. - Ed alla mia continuata insistenza per sapere se già possedesse le somme necessarie, aveva risposto: - È la Madonna che vuole la Chiesa; essa penserà a pagare”.

                Villa Giovanni l'udì ripetere in mezzo ai giovani: - Io non ho danaro, ma sono sicuro che Maria SS. mi aiuterà a compierla. - Quanto disse si realizzò appuntino: e il tempio doveva in breve riuscire uno dei primi santuarii della Cristianità.

                D. Bosco era adunque sempre fisso nella grandiosa idea di un tempio da erigersi in Valdocco in onore di Maria Santissima Ausiliatrice. Avealo visto in sogno diciassette anni addietro.

                Ma il campo dei sogni non era più di sua proprietà da otto anni, per essere stato da lui venduto ai Rosminiani il 10 aprile 1854. Su questo terreno, dove già si era progettato di alzare l'edifizio per una tipografia, doveva sorgere una casa per l'Istituto [373] della Carità; ma dopo la morte dell'Abate Rosmini i suoi religiosi aveano smesso tale disegno.

                D. Bosco era deciso di ricomprare quel terreno; ma D. Savio Angelo economo dell'Oratorio, sulle prime aveva pensato, e suggerito con altri, di edificare il sacro edifizio in un luogo più in vista, e più comodo alla popolazione, cioè in fondo al corso Valdocco, ove era una bella palazzina dei signori Filippi con vastissimo cortile, attigua, a levante, alla proprietà che avevano quegli stessi signori venduta a D. Bosco. Qui infatti una larga strada, partendo dall'ampio Rondò detto allora di San Massimo, circondato di altissimi e folti alberi, avrebbe dato un accesso maestoso alla Chiesa, invece per accedere al terreno dei Rosminiani non vi erano allora che stradicciole o sentieri, alcuno dei quali lo intersecava; e intorno fossi e ripe.

                 - Eppure, disse anni dopo a noi stessi D. Bosco, io aveva veduto che la Chiesa doveva sorgere nel luogo preciso del martirio dei santi Solutore, Avventore ed Ottavio; avevo osservato eziandio qui tutto il futuro Oratorio colla facciata in forma di ferro di cavallo; e la chiesa nel mezzo. Ma di ciò non parlai a D. Savio, e lasciai che andasse dai signori Filippi. -

                Furono incominciate le pratiche per quella compra. Il contratto era già stato concluso verbalmente alla presenza di testimonii, si era stabilito il giorno per fare scrittura e già prevenuto il notaio, quand'ecco ai proprietarii saltar in capo di non star più alle condizioni stabilite. Si ruppero adunque le trattative. - Aggiunge la cronaca di D. Bonetti: “Ci siamo accorti in questi giorni quanto grande sia la pacatezza di Don Bosco nelle cose avverse e quanto desideri di mantenere la pace con tutti. Come egli seppe tale notizia, esclamò: - Pazienza ! Il Signore ci aiuterà in altro modo! - Lo si consigliava a ricorrere al tribunale, poichè i signori Filippi non potevano negare di aver già aderito, con data parola, al contratto. Ma D. Bosco rispose: - Ahi noi Va solamente loro sapere, disse a D. Savio, che a me rincrebbe molto questa loro risoluzione,  [374] ma che nondimeno desidero di mantenermi sempre con essi in buona relazione.

                Alcuni giorni dopo avendogli io domandato che ne pensasse di questo fatto, rispose: - Eh! vedi? La nostra casa ha sempre dovuto camminare nella contraddizione ed anche questa volta il demonio viene ad intorbidare le cose. Ma il, Signore ci aiuterà”. - Ed era cosi; e nessuno di coloro i quali erano incaricati di quell'impresa, neppur sognavano di essere gli strumenti della Provvidenza.

                D. Savio infatti, costretto dalla necessità di avere un'area spaziosa e presso l'Oratorio, dovette rivolgersi ai Rosminiani. Eranvi però varie difficoltà da superare, e la più seria era una condizione troppo onerosa che voleva porre il Procuratore di quei religiosi. Siccome il valore del fondo, per i mutati disegni edilizii della regione Valdocco, era quasi diminuito di otto decimi, dal giorno che D.. Bosco avealo venduto, perciò si esigeva che il compratore oltre il prezzo di estimo, rimborsasse un vistoso compenso. D. Savio si ritirò. Quanto abbiamo narrato accadeva nelle prime settimane di gennaio.

                intanto il 23 di questo mese incominciava la novena di S. Francesco di Sales. La festa si celebrava in quest'anno, il i' di febbraio, cioè la prima Domenica dopo il 29 gennaio, come era l'uso costante degli anni trascorsi. D. Bosco scriveva e spiegava agli alunni i seguenti fioretti.

 

                Fioretti per la novena di S. Francesco di Sales nell'anno 1863.

 

                I° Voglio abbandonare il peccato; farò un atto di contrizione proponendo di evitare L'occasione del peccato.

                2° Dato il segno della levata mi alzerà tosto da letto.

                3° Voglio essere puntualmente obbediente in tutti i miei doveri e far volentieri le cose che mi sono di poco gusto.

                4° Obbedienza pronta in tutte le cose che mi saranno comandate.

                5° Buon esempio in Chiesa in riparazione dello scandalo dato pel passato nel luogo santo.

                6° Perdonare tutte le ingiurie ricevute; dire un Pater per quelli che mi hanno fatto del male. [375]

                7° Rivedere ed aggiustare le cose della vita passata, come se fossi in punto di morte.

                8° Imitare S. Francesco di. Sales nella fuga dei cattivi compagni e nella frequenza dei buoni.

                9° Tre Salve a Maria per ottenere la sua assistenza in punto di morte.

 

IL GIORNO DELLA FESTA.

 

                Confessione e comunione in onore del Santo, dimandandogli la grazia di perseverare nel bene.

 

                Nel tempo stesso di questa novena incominciarono a giungere a D. Bosco lettere dei Vescovi, che rispondevano al suo appello per le Letture Cattoliche; e D. Bonetti lasciò scritto nella sua cronaca colla data del 31 gennaio, sabato:

                “Questa sera trovandoci noi in buon numero in camera di D. Bosco mentre cenava, dopo aver confessato dalle 5 fino alle 9 e ½, egli si facea leggere una lettera scrittagli dal Vescovo di Spoleto. In questa il Prelato gli rendeva grandi encomii, dicendogli fra le altre cose che sebbene non avesse l'onore di conoscerlo in persona, nondimeno la fama del suo nome essere pervenuta sino alle sue orecchie, e che riconosceva in lui uno zelo grande per la gloria di Dio e uno spirito di vero ecclesiastico. D. Francesia, che gli è quasi sempre ai fianchi, sorridendo gli domandò: - E non s'insuperbisce nel sentirsi a fare tali panegirici?

                Ed egli: - Eh! vedi; sono assuefatto a sentirmene di tutte sorta: tanto mi fa il leggere una lettera piena di lodi, come un'altra piena di insulti. Quando ricevo qualche lettera che mi loda, alcune volte mi prendo il piacere di metterla in confronto a qualchedun'altra o di un facchino o simili, piena di villanie e poi dico: Ecco come sono discordi i giudizii degli uomini. Ma dicano un po' quel che vogliono altro non sono se non quel che sono davanti a Dio.

                Venendo in questa medesima sera a parlare della Chiesa che ha in pensiero di fabbricare, qualcuno gli disse: - Questo è [376] uno stomaco di bronzo che ha D. Bosco; senza denaro, in un secolo così avaro ed interessato, innalzare una Chiesa! Questo è uno sfidare la Provvidenza! Non teme ella di restare poi a metà dell'impresa?

                Egli rispose Quando vogliamo fare qualche cosa esaminiamo prima se sia di maggior gloria di Dio; conosciuta essere tale, andiamo avanti, non arrestiamoci, e riusciremo!

                 - Altre molte cose ci disse le quali dimostrano la sua grande ed illimitata confidenza in Dio”.

                 - Faceva meraviglia questa sua confidenza, mentre intraprendeva un'opera colossale, trovandosi in cattivo stato di sanità e logoro per tante fatiche. Egli infatti ogni giorno più sentivasi diminuire le forze.

                D. Bonetti continuava a scrivere:

                “Il I° di febbraio, giorno della festa di S. Francesco di Sales, trovandosi D. Bosco con alcuni chierici e giovani laici, venne a parlare della morte, e con grande nostro rammarico ci assicurò che presto egli aveva da lasciarci e che la sua vita era limitata a poco tempo: - lo non ho più ci disse, che due anni di vita. - Anche prima d'adesso, or con uno or con l'altro, era andato ripetendo quelle parole dell'Apostolo Paolo: Ego iam delibor, et tempus resolutionis meae instat. Noi gli dicemmo, pregasse il Signore che gli desse almeno, per nostra consolazione, venti anni ancora di vita, e gli domandammo che cosa dovessero fare i suoi giovani per ottenere questa longevità.

                Egli ci rispose che lo aiutassimo nella battaglia che ha da sostenere col nemico delle anime; e poi soggiunse: - Se mi lasciate solo, mi consumerò più presto, perchè ho risoluto di non cedere a costo di cader morto sul campo. Aiutatemi adunque a far guerra al peccato. Io vi assicuro che rimango sì fattamente oppresso quando veggo il demonio nascondersi in qualche angolo della casa a far commettere peccato, che non so se si possa dar martirio più grave di quello che io soffro allora. [377] Io sono così fatto: quando vedo l'offesa di Dio, se avessi ben anco un'armata contro, io non la cedo.

                Ed allora vedendo i suoi fidi figliuoli afflitti, tra i quali alcuni chierici vicini agli ordini, conchiuse: - Pregate il Signore ed io ho la speranza di potervi poi assistere tutti quando direte la prima Messa.

                Queste parole, divolgate subito nella casa, destarono un vero fermento fra i giovani, che si decisero di far di tutto per conservare in vita il loro padre e maestro.

                Era un gran bene, che si toccava con mano, e che ci faceva vedere come era potente l'autorità morale di D. Bosco sui giovani dell'Oratorio.

                “Alla sera di questo giorno solenne, D. Bosco annunziò a tutta la Comunità radunata nel parlatorio, qualche grande vittoria contro il nemico delle anime con queste parole: Si tratta nientemeno che di far recitare il suscipiat dal diavolo. Per ora pregate: spero di spiegarvi poi ogni cosa”.

                Ed egli colla data di questo stesso giorno, aveva posto mano risolutamente alle prime disposizioni per la nuova Chiesa. Benchè non possedesse ancora un terreno sul quale edificarla, spediva un gran numero di circolari, chiedendo il concorso de' suoi benefattori. Incominciava col rivolgersi alle Autorità e presentava una supplica al Conte Cibrario.

 

                               Eccellenza,

 

                Fra le sezioni di questa città ove la popolazione sia in modo straordinario cresciuta è certamente quella di Valdocco. Dalla Chiesa Parrocchiale di Borgo Dora, piegando verso al manicomio fino al Borgo S. Donato ed alla R. Fucina delle Canne, le isole ed i caseggiati formano pressochè un solo aggregato di case quasi tutte di recente costruzione.

                Ma in questo largo e popolatissimo spazio non esiste nè Chiesa, nè Cappella pubblica, ove gli abitanti possano partecipare alle pratiche del divin culto. Avvi bensì l'Oratorio di S. Francesco di Sales, che per qualche tempo fu indistintamente aperto al pubblico; ma attualmente questo venne frequentato a segno che capisce appena [378] in parte i giovani che intervengono, quindi incapace di giovare agli adulti.

                Per soddisfare a questo pubblico bisogno, l'esponente avrebbe divisato di tentare la costruzione di una Chiesa in terreno di sua proprietà situato nella via Cottolengo, nel ripiano della discesa del Circolo di Valdocco. Questa chiesa sarebbe specialmente destinata ai giovani esterni che potrebbero intervenire liberamente, ma abbastanza spaziosa da servire eziandio per gli adulti.

                Già alcuni benefattori sono disposti a fare largizioni in proposito; ed a tale scopo fa anche umile ricorso all'E. V. facendo calda preghiera onde venga eziandio in aiuto con quel maggior caritatevole sussidio che a Lei sarà beneviso pel caso eccezionale della costruzione di una pubblica Chiesa.

                La sollecitudine da cui V. E. è animata per tutte le cose che tendono al pubblico morale e materiale vantaggio, siccome questa casa ha già più volte esperimentato, fa sperare benevole accoglienza alla domanda del ricorrente.

                Pregando dal Cielo copiose benedizioni sopra di Lei, sopra l'Augusto nostro Sovrano e sopra tutti i Signori dell'Ordine Mauriziano, reputa ad alto onore di potersi professare

                Di V. S.

                I Febbraio 1863.

 

Obbl.mo Umil.mo e Devot.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Una simile lettera indirizzava al Ministro di Grazia e Giustizia supplicandolo a venire in suo aiuto, coll'assegnargli sopra la cassa del Regio Economato quel maggior caritatevole sussidio che fosse a S. E. beneviso.

                Nello stesso tempo presentava una supplica al Sindaco di Torino, pregandolo caldamente ad aiutarlo, pel caso eccezionale della costruzione di una pubblica Chiesa; e invocava dal cielo copiose benedizioni sopra tutti i Signori del Municipio.

                Quindi affrettavasi a spedire la seguente circolare a: quanti Signori conosceva in Torino e in altre città d'Italia. [379]

 

                INVITO PER CONCORRENTI ALLA COSTRUZIONE DI UNA CHIESA IN ONORE

                DELLA BEATA VERGINE SOTTO AL TITOLO DI C MARIA AUXILIUM

                CHRISTIANORUM.”

 

Maria Auxilium Christianorum. Ora pro nobis!

 

                               Benemerito Signore,

 

                Prova certamente un cattolico grande consolazione quando gli occorre di vedere gran numero di fedeli radunati nella Casa di Dio per assistere ai Divini Uffizi ed ascoltare la divina parola. Ma è poi cagione di sensibile rincrescimento qualora i fedeli accorrendo alle sacre funzioni dovessero esserne esclusi per mancanza di sito capace. Questo è appunto quello di cui debbo io stesso essere dolente spettatore.

                Sono circa dieci anni da che gettavansi le fondamenta di una Chiesa a lato di questa casa; coll'aiuto di caritatevoli persone prestamente compievasi e consacravasi al divin culto. Quell'edifizio peraltro, che allora sembrava bastasse, ora non può contenere che una piccola parte dei giovanetti che sono disposti ad intervenire; il maggior numero non Ti può più entrare. Di più avvi qui attorno una popolazione di oltre a ventimila abitanti nel cui mezzo, non esiste nè Chiesa, nè Cappella, nemmanco pubblica Scuola, in cui, ad eccezione della nostra, si facciano Sacre Funzioni, o si compartisca l'insegnamento religioso.

                In vista di questo morale e religioso bisogno, vennemi in pensiero di tentare un novello edifizio da consacrarsi al Divin Culto, in onore della 13. V. Immacolata sotto il titolo di, Maria Auxilium Christianorum: il quale edilizio sia scevro di ogni eleganza, ma di capacità sufficiente per accogliere i giovanetti che volessero intervenire, con bastante spazio per gli adulti del vicinato; e da potersi anche erigere in Parrocchia, qualora il Superiore Ecclesiastico giudicasse a proposito.

                Questo sarebbe il divisamento cui mercè si potrebbe provvedere ad un pubblico e grave bisogno. Se non che per effettuarlo ci occorrebbero non lievi spese per cui in questi giorni non saprei a quale partito appigliarmi. Fila mi ha già fatto provare gli effetti della sua beneficenza. Chi sa che in quest'occasione il Signore Le inspiri di venire eziandio in aiuto di un'opera eminentemente cattolica, la quale certamente può contribuire alla salute di molte anime?

                Non intendo di invitarla ad assumersi il peso dell'intera costruzione; faccia soltanto ciò che le sue sostanze e la sua carità Le suggerisce. In qualunque misura Ella cooperi, io Le professerò sempre la più sentita gratitudine, pregando il Signore Iddio a volerla un dì nella celeste Gerusalemme largamente ricompensare di quanto Ella fece pel decoro, della sua santa casa sopra la terra. [380] La prego di voler dare benigno compatimento al disturbo che Le cagiono ed in pari tempo gradire che Le auguri dal cielo sanità e grazia, mentre ho l'onore di professarmi con pienezza di stima.

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, I Febbraio 1863.

 

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Circolari stampate e lettere innumerevoli manoscritte continuarono a dare la notizia del gran progetto in ogni parte. A questo annunzio gli stessi suoi alunni più antichi, i quali conoscevano le sue strettezze finanziarie, se vedendo il suo desiderio continuo di ingrandire l'Oratorio e le altre sue opere, qualche volta avean creduto che si azzardasse troppo e che fosse poi costretto a desistere per mancanza di mezzi, ora più non sapevano che cosa dirsi.

                Molti personaggi della città, anche ecclesiastici, lo credettero temerario nell'intraprendere sempre nuove opere e qualcuno gli scrisse: - Finchè ci siete voi colla vostra fama, sosterrete le vostre opere, ma quando il Signore vi abbia chiamato all'altra vita, esse dovranno cadere o rimarranno incomplete.

                Ma un gran numero di altre persone avevano un'assoluta fiducia nelle parole di D. Bosco. Fra questi il Professore di Rettorica D. Matteo Picco, il quale, conoscendolo intimamente, aveva del Servo di Dio una stima grande e lo reputava uomo straordinario. Meravigliavasi sopratutto del vederlo riuscire in cose che sembravano quasi impossibili. Perciò quando udiva D. Bosco manifestare qualche suo grande progetto, per es. quello della nuova Chiesa, soleva esclamare: - Oh!' Possibile?... Ma pure lo dice D. Bosco e sarà così!

                E così doveva essere, perchè l'Opera sua era opera di Dio e perchè, come disse a D. Rua il Card. Agostini, Patriarca di Venezia, Iddio non suole compiere opere grandiose se non per mezzo de' suoi santi.

                I Rosminiani intanto si erano risoluti a vendere il loro [381] campo in Valdocco, poichè non solo non ne ritraevano alcun profitto, ma ne dovevano pagare l'imposta. Avevano pubblicato il prezzo di vendita, ma siccome era troppo alto nessun compratore si era presentato. Il loro Procuratore però e alcuni altri avevano stabilito che quella cessione di proprietà non si sarebbe mai fatta a D. Bosco, conservando contro di lui una certa freddezza per non essersi D. Savio piegato alle loro proposte.

                Allora D. Bosco si servì del sig. Tortone Francesco suo insigne amico, il quale fece la pratica come se egli stesso volesse comprarlo, ma realmente per cederlo a D. Bosco. Esso fissò il prezzo e le condizioni come meglio gli piaceva e gli altri acconsentirono. Venne il giorno del contratto. Il Sig. Tortone e l'incaricato dei Rosminiani si presentarono nello studio del notaio Cav. Turvano. Ed ecco all'improvviso comparire D. Bosco. L'incaricato allora protestò che non era Don Bosco colui col quale aveva inteso trattate, che anzi il proprietario era contrario alla vendita del fondo se si trattava di D. Bosco.

                Il sig. Tortone allora disse: - Sono io che lo compro questo fondo e non avrò diritto di cederlo a chi mi pare?

                L'incaricato rispose che trattandosi di un contratto di simil genere, esso non avea le istruzioni e non poteva firmarlo.

                 - Ebbene, replicò il signor Tortone; e voi scrivete ai vostri mandanti chiedendo istruzioni.

                 - Scriverò a Stresa. - Concluse l'incaricato.

                E scrisse. L'affare però avea acquistata tanta pubblicità che gli interessati non vollero aver la taccia di essere ostili a Don Bosco. Sarebbe stata da parte loro una piccolezza e che avrebbe dato campo a mormorazioni. Risposero quindi all'incaricato che firmasse pure il contratto colle condizioni messe dal sig. Tortone.

                Quindi, con atto rogato l'11 febbraio 1863, il Teol. Pietro Bertetti, quale erede dell'Abate Antonio Rosmini, vendeva a D. Bosco quel pezzo di terreno posto in Valdocco di ettari [382] 0, 9,48 per il prezzo dichiarato di lire 1558,40. E così quel podere ritornò in proprietà di D. Bosco.

                Intanto le risposte di quelli, cm erano pervenute le circolari, attestavano non solo la loro divozione a Maria, ma la confidenza nelle preghiere di D. Bosco.

                “Infatti, asserisce il Can. Ballesio, D. Bosco era in fama di ottenere da Maria SS. Ausiliatrice molte grazie a favore di coloro, che a lui si raccomandavano. E questa fiducia aveva un fondamento sicuro, perchè da quanto io ricordo, nel mio soggiorno di otto anni nell'Oratorio, ed in seguito tutte le volte che ebbi a trattare col Servo di Dio, conobbi che egli aveva nella Madonna piena fiducia e che col suo aiuto era certo di ottenere moltissimo, anche quello che umanamente parlando pareva impossibile. La Madonna fu sempre la sua tesoriera, la sua difesa ed il suo aiuto, sia a favore di quelli che a lei ricorrevano per mezzo del Servo di Dio, sia a favore delle opere Salesiane”.

 

 

CAPO XXXVII. D. Bosco scrive perchè da Roma gli sia mandato il Dizionario Ecclesiastico del Moroni - La biblioteca dell'Oratorio - Ringraziamenti per la spedizione del Moroni - Il biglietto di un amico - Lettera di D. Bosco a Pio IX - Letture Cattoliche: II, PONTIFICATO DI S. CAIO PAPA E MARTIRE. - Giudizio di D. Bosco sulla storia popolare dei papi del Chantrel - Sua avvertenza sull'uso da farsi nelle scuole delle storie sacre tradotte da lingue straniere.

 

                DON Bosco doveva essere ben lieto di aver acquistato il campo dei sogni. Dopo tante vicende di trattative, di compre vendite e altre compre ancora; di ipoteche, proposte esorbitanti e rifiuti la promessa della Madonna era adempiuta; il suo celeste disegno stava per essere eseguito. A quel che sembra il demonio aveva recitato il suscipiat.

                Condotto a termine questo negozio. D. Bosco passava ad altri affari, che gli stavano a cuore e consegnava due sue lettere alla Marchesa e al Marchese Landi, i quali partivano per Roma. Una di quelle lettere era diretta al Barone Ricci, che già si trovava nell'eterna città, per chiedergli un'Opera insigne, a lui necessaria, per compilare certe sue Letture Cattoliche; e la seconda al Romano Pontefice.

                La prima era di questo tenore:

 

Torino, 13 Febbraio 1863.

 

                               Ca.mo Sig. Barone,

 

                Approfitto dell'occasione che la Sig. Marchesa Landi va a Roma per richiederla dei favori di cui voleva pregarla prima della partenza. [384] Abbiamo bisogno in questa casa dell'opera del Moroni, di cui abbiamo già i primi volumi. La prego caldamente di volersi dare questo incomodo e completarla a norma della memoria che quivi Le unisco. E portarla seco è troppo grave disturbo; perciò servasi pure del mezzo con cui suole mandarsi la Civiltà Cattolica e così diminuirà molti disturbi. Il Reverendo Padre Oreglia spero che Le presterà la mano. La mia dimanda è limitata al disturbo; al suo ritorno sarà indennizzata di di quanto ha speso.

                La prego di offrire i miei rispettosi saluti alla Signora Baronessa di Lei consorte.

                Procurerò nella mia pochezza di ricompensarla, pregando il Signore Iddio a voler spander le copiose sue benedizioni sopra di Lei e sopra tutta l'amata di Lei famiglia, affinchè a tutti conceda sanità e grazie per la vita presente e per la futura.

                Nella sua bontà voglia gradire che colla più sentita gratitudine mi professi nel Signore

                Di V. S. Ca.ma

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI

 

                Ma oltre il bisogno che D. Bosco aveva del Moroni pe' suoi studi, aveva risoluto di fornire a poco a poco l'Oratorio di una biblioteca, che potesse stare alla pari con quelle di altri istituti religiosi. E vi riuscì coll'aiuto degli amici ed anche co' suoi sacrifizi, sicchè i suoi preti e chierici ebbero alla mano tutte quelle opere non solo necessarie, ma anche semplicemente covenienti per ogni ramo de' loro studi.

                Non corsero molti anni che due vaste sale e tre camere custodirono circa 30.000 volumi. Ogni scienza ebbe la sua propria scansia e queste furono ventidue.

                Oltre a ciò D. Bosco ricevette in dono molte opere in lingue straniere su varii argomenti, ed alcuni preziosi cimelii.

                Nel 1863 però la biblioteca dell'Oratorio, benchè l'esecuzione di questo progetto fosse incipiente consisteva già in una vasta sala e ben provvista di volumi. Un libro di più per lui era, un tesoro. Ciò si scorge da un'altra lettera al Barone Ricci. [385]

                Torino, Aprile 1863

 

                               Benemerito e Car.mo Sig. Barone,

 

                Ho ricevuto finalmente la cassa che Ella mi annunziò e che fece molte stazioni prima di giungere alla Capitale. Tutto per altro fu trovato come avea scritto e ne ho subito fatto le debite parti e mandate a destinazione.

                La ringrazio del Moroni, ma io intendo di tenerlo a servizio di questa casa, sia per il prezzo a cui Ella potè acquistarlo, sia pel bisogno che veramente ne abbiamo. Onde professandole tutta la gratitudine pel disturbo sofferto a questo proposito, me ne dichiaro debitore di quanto ha speso a Roma per tutta l'opera.

                Il porto, commissioni, dogana, fu pagato tutto da noi qui a Torino.

                La santa Vergine accompagni Lei, la Signora Baronessa di Lei consorte e doni a tutta la famiglia un felice viaggio in Patria.

                E mi creda quale con pienezza di stima ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Benemerita

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Unita a questa spedizione di libri vi era un biglietto di un suo caro amico.

 

                               Mio Reverendo Signore,

 

                La prego a ricevere questo tenue pegno di venerazione e di stima verso la S. Vostra.

                Le domando a titolo di grazia che reciti per me un'Ave Maria a Maria SS., sede e maestra di verace sapienza.

                Mi creda con cordiale affetto

                Di V. S. Rev.da

 

                Roma, Col. Rom. 21 Marzo 1863.

 

Umile servo

ANTONIO ANGELINI

P. della compagnia di Gesù.

 

                NB. Con due pacchetti di libri ed i saluti di Protasi.

 

                Il Marchese Landi aveva intanto presentata al S. Padre la lettera di D. Bosco, copiata da D. Cagliero, nella quale spicca [386] il profondo rispetto, l'affezione figliale, l'intimità col Vicario di Gesù Cristo; e nello stesso tempo il sentimento vivissimo del suo appartenere alla Chiesa, ed essere anche suoi la vita, i dolori, i trionfi della stessa.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                Voglia degnarsi Vostra Santità di usare la solita sua bontà col permettere che io povero, ma affezionatissimo figlio di Santa Madre Chiesa per mezzo dello zelante Cattolico Marchese Landi, abbia la più cara delle consolazioni di prostrarmi ai sacri di Lei piedi ed esprimere alcuni figliali affetti del mio cuore.

                Prima di tutto presento i più vivi segni di gratitudine da parte mia, di molti miei colleghi e giovanetti pei molti favori spirituali che in parecchie occasioni ci ha compartito. Questi favori furono per noi potente stimolo di adoperarci per corrispondere, e colle preghiere e colle sollecitudini, al fine di promuovere nella nostra pochezza la gloria di Dio e il bene delle anime.

                Le cose di religione ed i sacri Ministri da due anni in, qua furono esposti a gravi cimenti ne' nostri paesi, sia per le solite largizioni de' protestanti, per le minacce ed eziandio per le oppressioni delle, autorità, sia pel traviamento di non pochi di coloro che da Dio erano stati posti alla custodia della casa del Signore. A questo si aggiunge l'istruzione acattolica della gioventù nelle scuole primarie e secondarie, la qual cosa produsse due tristissimi effetti: contribuì alla smania di leggere scritti seducenti ed irreligiosi, a rifiutare quello che è fondamento nella religione: quindi una sensibilissima diminuzione delle vocazioni allo stato ecclesiastico e religioso ed un dileggio per coloro che se ne sentissero chiamati.

                I giornali e i libri empì continuarono a stamparsi, a moltiplicarsi, a diffondersi, ma con esito molto meno felice al nemici della Religione. Ciò avvenne a motivo dell'aumento dei giornali e dei libri buoni e della maggiore sollecitudine che i Cattolici si danno nel promuoverne la stampa e propagarli.

                Ma in mezzo a tanti motivi di afflizione abbiamo anche di che consolarci.. Il rispetto e la venerazione per Vostra Santità crebbe assai presso i buoni; si sostenne ed aumentò assai presso al medesimi nemici della fede. Ciò è dovuto alla condotta intangibile, alle belle opere, alla fermezza di Vostra Santità. Omnia ad majorem Dei gloriam.

                La morte, l'esiglio di non pochi Vescovi ha messo in diffidenza i meno fervorosi e fece sì che il clero si strinse vie più tra sè, portando esclusivamente e direttamente il pensiero al centro della verità, al Vicario [387] di Gesù Cristo. I Vescovi continuano ad essere sempre uniti; il clero del Piemonte ha un solo pensiero coi Vescovi e con Roma; il clero delle altre provincie (flens dico) si è disonorato non in piccol numero. L'unica consolazione a questo disastro si è la fermezza e la prudenza dei Vescovi con cui riuscirono  ad impedire la caduta di molti e procurarono il ravvedimento di non pochi. Dirà cosa strana ma credo vera. In questo momento sembra che i Vescovi facciano maggior bene dal loro esiglio e dalle loro carceri, che forse non farebbero nella loro sede; giacchè col fatto pubblicano e difendono il principio dell'autorità Divina nel suo capo visibile, che è la base di nostra santa Cattolica Religione.

                Sebbene dobbiamo essere testimoni di frequenti spogliazioni di luoghi e di persone sacre, tuttavia nulla finora si lasciò mancare di quanto riguarda al Divin culto. Molte chiese furono poste in costruzione o si vanno ristorando. Nella sola città di Torino quattro chiese destinate a parrocchie sono in via di costruzione, delle quali una a Maria A uxilium Christianorum.

                Giacchè V. Santità ebbe già altra volta la grande degnazione di udire a parlare degli Oratorii, dirò anche qualche cosa dei medesimi. Il numero di essi è di cinque, in cui vi è la più soddisfacente affluenza di giovani che intervengono ad ascoltare la parola di Dio ed a frequentare i santi Sacramenti. Il numero di quelli che intervengono nei giorni festivi eccede regolarmente i tre mila. Nell'Oratorio di S. Francesco di Sales sonovi ricovero, scuole, e frequenza di giovani da ogni parte della città nei giorni festivi. I ricoverati in questa nostra casa sono settecento; di essi cinquecento cinquanta aspirano allo stato Ecclesiastico; ogni anno parecchi giungono al Sacerdozio e vanno in vari paesi ad esercitare il santo Ministero.

                Intanto, Beatissimo Padre, i giovani dei nostri Oratorii continuano a pregare per la conservazione dei giorni preziosi di V. Santità e pel trionfo di Santa Madre Chiesa. Ogni giorno, si fa un considerevole numero di Comunioni, mattina e sera si innalzano preghiere alla Beata Vergine, Immacolata; lungo il giorno frequenti visite al Santissimo Sacramento; e ciò per invocare la divina Misericordia onde Iddio si degni di mitigare i flagelli, che da parecchi anni si fanno in modo grave, terribile sentire ne' nostri paesi; e restituisca i bei giorni di pace per la Chiesa e per i popoli.

                Ma pur troppo, Beatissimo Padre, dobbiamo ancora fare il gran passaggio per ignem et aquam, e questo passaggio che sembrava lontano ora si è fatto vicino, Vostra Santità secondi l'alto pensiero che Iddio Le inspira nel cuore proclamando ovunque possa la venerazione al SS. Sacramento e la divozione alla Beata Vergine, che sono le due ancore di salute per la misera umanità. Molti fedeli pregano per Lei, Beatissimo Padre, affinchè, e ne sia certo, nel tempo della prova la Santa Vergine Le torni di appoggio; e Gesù Sacramentato Lo scampi dai pericoli. [388]

                Avuta la grande consolazione di aver potuto così parlare con V. Santità, La prego di voler dare benigno compatimento all'ardimento a cui sono stato spinto dal grande affetto che noi qui portiamo alla sacra di Lei persona.

                Si degni infin di aggiungere ancora un tratto di speciale bontà, compartendo la sua santa benedizione sopra un numeroso stuolo di Sacerdoti, Chierici, Laici e di giovanetti che tutti si uniscono a me per invocarla umilmente, mentre a nome di tutti ho la più grande consolazione di potermi prostrare ai piedi

                Di Vostra Santità

 

                Torino, 13 Febbraio 1863.

 

Povero ma aff.mo figliuolo

Sac. Bosco GIOVANNI

 

                Il Ven. Servo di Dio mentre si era consolato col Papa del maggior sviluppo preso dalla buona stampa, scriveva egli stesso il fascicolo delle Letture per l'aprile. Portava il titolo: Il Pontificato di S. Caio Papa e martire Per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (N). Vi è descritto anche il martirio di molti contemporanei illustri confessori della fede.

                Mentre D. Bosco lavorava sulla Storia Ecclesiastica, usciva dalla tipografia dell'Immacolata in Modena la seconda edizione della storia popolare dei Papi, opera di G. Chantrel, volgarizzata da A. Somazzi. D. Bosco aveva già letta tutta quest'opera nella prima edizione e l'editore aveagli scritto pregandolo a volersi occupare nel promuovere le associazioni e la diffusione di questi 24 volumetti.

                D. Bosco rispondeva:

 

                               Carissimo Signore,

 

                Volentieri io mi occupo a promuovere associazioni e diffusione dell'Opera: Storia popolare dei Papi del Chantrel, ma vorrei che qualcheduno si occupasse di migliorare il testo, che segue soltanto le tracce di autori Francesi e in più luoghi, con buona volontà se si vuole, travisa la verità e omette le cose più importanti.

                In una lettera non posso dirle molte cose; ma per es. la Chiesa Cattolica fece l'Ufficio con lezioni, messa, epoca, azioni diverse intorno [389] a S. Cleto ed a S. Anacleto ed egli ne fa un solo con un pasticcio che mette la storia dei Papi in vera confusione. Veggasi a questo proposito, Baronio Vol. I, Navaes vol. I, il libro del Pontificale Romano ecc.[35].

                Segue la cronologia de' Gallicani, quindi va contro agli eruditi Italiani, Baronio, Giaconio, Sandini, Orsi ecc.

                Si perde in cose amene, ma non importanti e poi tralascia, si può dire, di tutti i papi cose veramente essenziali: per es. gli atti del martirio di S. Clemente I, di S. Alessandro I sono saltati di passo, mentre sono tenuti autentici dai Bollandisti, Surio, Ruinart ecc..

                Le belle cose che S. Ambrogio scrive di S. Cajo e che sono riportate negli atti dei S. Gabinio, Susanna, Sebastiano e compagni, dal Chantrel sono neanche accennati.

                Dico soltanto questo in generale perchè una lettera non comporta di più; ma confrontando questo autore coi fonti storici, come sono Eusebio di Cesarea, Teodoreto, Socrate, Sozomene, Niceforo, Calisto, Evagrio, e con quelli che scrissero più tardi, si conosce ad evidenza che ci vuole una radicale modificazione nel testo dell'autore.

                Il traduttore potrebbe rendere questo importante servizio alla storia qualora volesse prendere tra mano il Baronio ed il suo continuatore, specialmente per la cronologia;

                Il Giaconio che ha raccolto giudiziosamente le cose più accreditate intorno alle azioni dei Pontefici;

                Il Surius, Brevis notitia Summorum Pontificum in cui sono brevemente esposte le istruzioni dei Papi;

                Il Bernini Storia delle eresie in cui nota le fatiche dei Pontefici per combattere le eresie.

                Riducendo il Chantrel conforme a queste fonti, il lavoro può sostenere la critica, altrimenti ci mettiamo in gran pericolo di essere censurati dai Protestanti, senza che si possa loro dare alcuna vittoriosa risposta.

                Come Ella ben vede io parlo con Lei col cuore alla mano e dico il mio povero parere, lasciando ogni cosa a miglior giudizio.

                Per me io sono contento che mi doni, benigno compatimento, siccome chiedo, e di gradire che Le auguri ogni bene dal cielo mentre ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 8 aprile 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [390]

 

                Con altra lettera egli aveva risposto ad un insegnante, che lo aveva interrogato intorno alle storie sacre tradotte da lingue straniere. Egli notava come si debba procedere ben cauti nello discernimento ditali opere, poichè; in generale, mancano di qualche dote e di quella riserbatezza tanto necessaria mi un libro che debba andare in mano alla gioventù[36].

 

 

CAPO XXXVIII. Circolari del Provveditore agli studii - D. Bosco risponde con nota degli insegnanti nell'Oratorio e statistica de' suoi studenti - Visita il Cav. Gatti che non ammette insegnanti senza diploma - Gatti contro il Provveditore che approvò per un anno gli insegnanti dell'Oratorio - Tra due contendenti il terzo gode - Il Ministero e il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione nega a D. Bosco e a' suoi figli la chiesta ammissione agli esami di idoneità - D. Bosco espone per lettera sue ragioni anche legali al Ministro Amari rinnovando le sue preghiere - Nuovo rifiuto del Ministero - Ripulse con false gentilezze e segni di stima.

 

                DA quanto abbiamo scritto nei precedenti capitoli riguardo ai primi mesi del 1863 parrebbe che D. Bosco abbia passati i suoi giorni occupatissimo, ma tranquillo anche per l'avvenire delle sue scuole. Il Regio Provveditore agli studii gli aveva mandato due circolari, le quali avevano per oggetto Notizie per l'annuario e Notizie statistiche. Erano d'ordine generale per tutti i ginnasii e convitti della Provincia.

                Ecco il tenore della seconda circolare.

 

                R. PROVVEDITORE AGLI STUDI

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                                               N. 251.

 

Torino, addì 31 Gennaio 1863.

 

                Il Sottoscritto invita V. S. Ill.ma ad inviare a questo ufficio, con la maggior sollecitudine possibile:

                I° Lo stato del personale del ginnasio con l'esatta indicazione - del [394] nome, prenome, qualità e distinzioni accademiche e cavalleresche di ciascuna persona, riempiendone l'acchiuso modulo.

                2° Uno stato numerico degli studenti pel 1862 - 63, diviso nei cinque anni di corso.

                La S. V. vorrà curare che nella compilazione di questi stati sia usata la maggior diligenza e precisione, per modo che si possa fare pieno assegnamento sulla loro esattezza.

 

Il R. Provveditore

F. SELMI.

 

                D. Bosco gli rispondeva il 4 febbraio, e dalla sua lettera si viene a conoscere lo stato dell'Oratorio in quest'anno per la parte degli studenti.

                Dopo un breve periodo che esprimeva il suo rispetto pel.

                Provveditore, così riferivagli i dati della statistica

 

                INSEGNANTI: - Direttore Picco Matteo Sac. Prof.

                                               5a Classe. Francesia Giovanni Sac.

                                               4a Classe. Cerruti Francesco chierico.

                                               3a Classe. Durando Celestino chierico.

                                               2a Classe. Anfossi Gio. Battista chierico.

                                               Ia Classe. Alasonatti Vittorio Sac. Maestro.

                Aritmetica e Geografia, Savio Angelo Sac. Maestro.

 

                ALLIEVI: -          5a classe 64          2a classe 53

                                               4a classe 40          1a  classe 90

                                               3a classe 94

                Nota. - Questi maestri prestano gratuitamente l'opera loro in pro dei giovani accolti e l'autorizzazione loro sta a mente del Rescritto di codesto R. Ufficio dello scorso dicembre pel corrente anno scolastico.

 

                Ma non ostante che pel suddetto atto dell'Autorità scolastica della Provincia fosse scongiurato il prossimo pericolo della chiusura delle scuole dell’Oratorio, pur tuttavia D. Bosco non trascurò i mezzi che la prudenza suggeriva per sempre meglio premunirle, e perciò riprese le pratiche già incominciate onde avere eziandio l'appoggio del Ministero e presto fossero forniti di legale patente i prelodati insegnanti. Quantunque sapesse il mal talento del cav. Gatti, che in quei giorni negli uffizi del Ministero [395] faceva e disfaceva, a sua posta, pure sul principio del 1863 si era presentato a lui dimandando risposta della supplica inoltrata al Ministero della Pubblica Istruzione sin dall'II novembre dell'anno precedente. Appena uditolo:

                 - Mi rincresce assai, mio caro D. Bosco, gli disse il Gatti; ho fatto quanto ho potuto, perchè ella fosse favorita, ma non si può andare contro all'imperio delle leggi. I suoi attuali maestri non possono essere nè approvati, nè ammessi ai pubblici esami.

                 - Se ne potrebbe sapere la ragione? domandò D. Bosco.

                 - Sì, che si può sapere. Essi non hanno frequentato regolarmente le scuole della regia Università.

                 - Ma sì che le hanno frequentate, e in questo uffizio già esistono i certificati che dichiarano questa loro frequenza per oltre quattro anni.

                 - Sì, ma soltanto come uditori, e senza prendere le regolari iscrizioni, e senza pagare le tasse prescritte.

                 - Pel passato bastava frequentare regolarmente l'Università per essere ammessi agli esami, e se ne hanno molti esempi. Se poi è mestieri pagare le tasse volute dalla legge, mi offro a farlo quando che sia.

                 - Non è più a tempo. Gli esempi sono favori eccezionali, che non possono addursi contro il disposto della legge.

                 - Come adunque può concepirsi questo? Il Ministero, per mezzo di lei medesima, tempo fa avvisò i miei maestri di subire i pubblici esami, per essere abilitati all'insegnamento che danno, e adesso non si vuol concedere che li subiscano. Mi scusi la S. V., ma qui io scorgo una vera contraddizione.

                 - Il Ministero quando diè l'ordine accennato non aveva ancora studiato a fondo la questione; ma ora si è verificato che, per essere ammesso agli esami pubblici, fa d'uopo avere non solo assistito alle lezioni dei rispettivi corsi universitarii, ma aver ciò fatto dopo presane regolare iscrizione.

                Se è così, si compiaccia, signor cavaliere, di darmi un [396] consiglio da vero amico. Che cosa dovrei io fare al presente? - Cercarsi professori patentati per quattro anni, e fare immediatamente inscrivere all'Università i maestri attuali. Solo in questo modo ella può provvedere alle sue scuole.

                 - Ma non è possibile trovare sull'istante quattro professori patentati, e quand'anche li trovassi non avrei onde pagarli.

                 - Mi rincresce.

                 - E dunque?

                 - Chiuda le scuole.

                 - Per quest'anno io credo di poterle tenere aperte; per l'anno prossimo provvederò.

                 - E con quale autorità vorrebbe lei tenere aperte le sue scuole anche in quest'anno?

                 - Coll'autorità del regio Provveditore.

                 - E il Provveditore potrà egli concedere quello che non può il Ministero? Il Provveditore non può immischiarsi in questi affari.

                 - Eppure il Provveditore mi autorizzò gli attuali maestri per l'anno scolastico corrente.

                 - Ma egli non può fare questo. Ha lei qualche suo scritto?

                 - Sì, ed eccole copia del suo decreto.

                 - Ma egli non può, ripetè il Gatti più volte leggendo, non può, non può; questa non è cosa di sua spettanza. Vado subito a scrivergli e a rimproverargli l'abuso di potere. Egli è un ignorante, e bisogna metterlo all'ordine.

                 - Io non conosco i limiti dei loro poteri, conchiuse Don Bosco; so per altro che, per gli affari scolastici della Provincia di Torino, tutti fanno capo al Provveditore. Adunque per ora io me ne vado a casa tranquillo, ma ad ogni modo, se la S. V. avrà qualche ordine contrario a questo decreto, la prego a volermene avvertire per mia norma.

                Al vedere lo sdegno concepito dal Gatti, D. Bosco ebbe forte motivo a temere da lui qualche dolorosa sorpresa; onde partito [397] dal Ministero andò tosto dal Provveditore, cui riferì ogni cosa. Questi, all'udire le parole mandate dal Gatti al suo indirizzo, montò sulle furie. - Io ignorante! prese a dire il Selmi; io ignorante!... Lui ignorante ed imbecille! Fu sempre rimandato agli esami, ottenne il titolo di professore non per merito ma per grazia e per biglietto regio. Salì al posto che occupa a forza d'inchini e di cortigianerie, ed osa chiamare ignorante gli altri? Ma lasciamo queste cose a parte. Lei, signor D. Bosco, vada pure a casa quieto. Autorizzando i suoi maestri ho fatto quello che poteva e doveva. Se taluno emanasse ordini contrarii alla mia approvazione non tema che saprò ben io toglierla d'imbroglio.

                Come si vede accadde allora il contrario di quanto avvenne già tra Erode e Pilato, che da nemici divennero amici. Il Gatti invece ed il Selmi da amici si fecero nemici, ma questa inimicizia, nè prevista nè voluta da D. Bosco, tornò per divina disposizione all'istituto di grande vantaggio, avverandosi il proverbio che dice: Tra due contendenti il terzo gode; e il terzo a godere fu l'Oratorio. Di fatto il Gatti scrisse più lettere risentite al Selmi, e questi gli rispose per le rime; ma mentre i due impiegati del Governo si accapigliavano tra di loro le scuole di Valdocco tiravano innanzi, e il decreto di approvazione aveva suo pieno vigore.

                In quanto però all'ammissione dei maestri agli esami d'idoneità, D. Bosco riceveva dal Ministero una negativa, basata sulle futili ragioni già dal Gatti verbalmente manifestate; circostanza questa, la quale faceva supporre che la risposta fosse dettata da lui medesimo, quantunque non portasse la sua firma; anzi, per togliere ogni speranza a D. Bosco, A cav. Gatti fece addurre in conferma del rifiuto il parere del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica, ligio ai suoi voleri. [398]

 

                1556 Torino, addì 2 marzo 1863.

 

                Sentito il parere del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione sulla dimanda della S. V. perchè i giovani sacerdoti e chierici insegnanti nell'Istituto da Lei diretto in questa Capitale siano ammessi agli esami universitari per la patente di professore nelle materie d'insegnamento secondario, questo Ministero con suo rincrescimento deve significarle non potersi accogliere la domanda medesima per le seguenti ragioni:

                I° La legge 13 novembre 1859 e i successivi regolamenti dispongono che niuno possa ammettersi agli esami universitarii senza che, abbia preso le necessarie iscrizioni e frequentati i corsi prescritti, mentre gli individui, di cui si chiede l'ammissione, frequentarono i corsi delle tre letterature come semplici uditori.

                2° Dalla legge Casati si derogò al R. Biglietto 12 dicembre 1835 che riteneva l'abilitazione con privati studii all'insegnamento filosofico e letterario, come titolo all'ammissione agli esami nel conseguimento delle cattedre.

                3° Il potere discrezionale del Magistrato della Riforma di ammettere ai detti esami, non può più dal Ministero assumersi, nè gli sarebbe più consentito dall'attuale sistema.

                4° Sarebbe inevitabile uno sconvolgimento economico del presente ordinamento, qualora bastasse l'essere chiamato senza legale idoneità all'insegnamento privato o l'avere irregolarmente atteso agli studi per essere ammesso ad un esame pel conseguimento della patente di professore.

                5° Nè di alcun giovamento alla domanda entro scritta è il Decreto d'autorizzazione provvisoria emesso dal R. Provveditore in data 21 dicembre p. p. (posteriore alla domanda) perchè al medesimo si oppongono gli articoli 246, 247 e 254 della legge 13 novembre 1859, a norma dei quali non può aprirsi istituto privato senza che oltre alle condizioni prescritte dell'articolo 246 si aggiunga la idoneità degli insegnanti.

                Mentre il sottoscritto per i suaccennati motivi non può accogliere la domanda della S. V., ha voluto però questi minutamente indicarle, perchè meglio la S. V. sia persuasa che alla sola impossibilità in cui è lo scrivente di assecondare la fatta domanda vuolsi attribuire un rifiuto, reso più spiacente al Ministero stesso, per la benemerenza di cui rendesi degna la S. V. nel così lodevolmente dirigere codesto filantropico istituto.

 

Pel Ministro

REZASCO. [399]

 

                Ma a questo rifiuto Don Bosco non si perdette d'animo e nella speranza di far giungere la sua voce alle orecchie del Ministro Amari mandava una nuova istanza.

 

                               Eccellenza,

 

                Prego rispettosamente V. E. a leggere con bontà questo scritto diretto a chiedere un favore per la povera studiosa gioventù.

                Nel vivo desiderio di promuovere l'istruzione secondaria nella classe dei giovani poveri o meno agiati, ho iniziato una specie di piccolo seminario o ginnasio a benefizio dei giovani ricoverati nella casa detta: Oratorio di S. Francesco di Sales. In questa guisa alle arti meccaniche aggiungevansi le belle lettere come novello mezzo, con cui questi giovani avrebbero potuto procurarsi il pane della vita.

                Il Ministero della Pubblica Istruzione vide sempre con occhio paterno queste scuole; disse più volte parole d'incoraggiamento venne anche in aiuto con sussidii pecuniarii, e con lettera in data 29 aprile 1857, n. 1585, mi era significato come codesto Ministero desiderava che queste nostre scuole avessero il maggiore loro sviluppo, disposto a concorrere con quei mezzi che sono in suo potere.

                L'anno scorso (1862), sempre dietro il consiglio dei Ministero, ne fu, domandata regolare approvazione, ed il regio Provveditore benignamente appagando la domanda, con decreto del 21 dicembre prossimo passato approvava queste scuole nella persona degli attuali insegnanti. Questi maestri da oltre a sette anni prestano gratuitamente l'opera loro a benefizio di questi nostri ricoverati, che ne riportarono profitto veramente soddisfacente, a segno che molti di essi ora si guadagnano onesto sostentamento o come maestri di scuola, o come tipografi, o come graduati militari, o come sacerdoti, ed alcuni eziandio come pubblici impiegati. Ma mentre attendono all'insegnamento essi frequentano da cinque anni le scuole universitarie quali uditoti, come risulta dal certificato ivi unito.

                Ora l'approvazione del regio Provveditore essendo soltanto provvisoria per mancanza di maestri titolati, sarebbe di tutta necessità che questi insegnanti subissero un regolare esame, di cui a giudizio dei loro rispettivi professori si credono capaci.

                A questo scopo io supplicava per ottenerne l'opportuna facoltà, Ma con lettera in data 2 corrente marzo, mi era risposto che detti insegnanti non potevano ammettersi agli esami rischiesti, perchè frequentarono i corsi universitarii di lettere greche, latine ed italiane, come semplici uditori senza le necessarie iscrizioni. Tali iscrizioni non furono prese per l'unico motivo che questi maestri essendo poveri, e lavorando [400] e vivendo in una casa che si sostiene di sola beneficenza, non si potevano pagare le tasse stabilite dalle leggi 13 novembre 1859.

                Ciò premesso, io supplico V. E. a voler prendere in benigna considerazione:

                I° L'appoggio morale ed anche materiale, che il Ministero della Pubblica Istruzione ha sempre dato a queste scuole;

                2° L'idoneità riconosciuta dal regio Provveditore negli insegnanti delle rispettive classi ginnasiali;

                3° Le dichiarazioni dei rispettivi professori dell'Università, con cui attestano la frequenza ed il profitto dai medesimi riportato;

                4° Il caritatevole servizio che da oltre a sette anni prestano a favore dei poveri giovani di questa casa.

                Per questi riflessi e più ancora per la grande propensione che V. E. ha di beneficare le persone e le istituzioni che tendono a promuovere la pubblica istruzione, dimanderei umilmente che la frequenza di detti giovani alla regia Università fosse convalidata, sebbene non abbiano prese le necessarie iscrizioni, e che quindi possano essere ammessi agli esami di Lettere.

                Qualora per altro V. E. giudicasse essere troppo grande l'implorato favore, voglia almeno per via eccezionale a questi insegnanti concedere quello che la legge 719, art. 5°, concede all'Università di Napoli ove è stabilito che, “Chiunque volesse in quella Università esporsi agli esami pel conseguimento dei gradi accademici, senza essersi precedentemente iscritto ai corsi universitarii, potrà esservi, ammesso mediante il pagamento di una somma eguale a quella stabilita per le corrispondenti tasse di iscrizione;” purchè col pagamento di queste tasse siano dispensati dal tempo materiale, che dovrebbero ripetere frequentando i medesimi corsi, che hanno già frequentato come uditori.

                Pieno di speranza che V. E. sia per appagare questa umile mia domanda, l'assicuro che i giovani beneficati conserveranno incancellabile verso di Lei la più grata rimembranza; mentre unito ad essi Le auguro di cuore ogni bene dal Cielo, professandomi con pienezza di stima.

                Della E. V.

 

                Torino, 9 Marzo 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO

 

                Questa medesima supplica era appoggiata dalle raccomandazioni del Ministro Peruzzi, al quale D. Bosco erasi pure rivolto; ma non ebbe miglior sorte. Il Ministro dell'Interno in data del 23 marzo informavalo con queste parole: [401] Spiacque a questo Ministero, che non abbiano potuto ottenere il desiderato effetto le calde raccomandazioni, colle quali si faceva premura di accompagnare a quello della Pubblica Istruzione l'istanza da lei qui presentata, onde i giovani sacerdoti e chierici docenti presso codesto Istituto fossero ammessi agli esami universitarii di abilitazione al secondario insegnamento.

                Dolse non meno al Ministero della Pubblica Istruzione di non aver potuto emettere in proposito un favorevole provvedimento cui ostavano le leggi, non che il parere del Consiglio Superiore dell'Istruzione pubblica, al quale fu deferita la cosa come già consta che le venne direttamente significato.

                Con questo cenno il sottoscritto si fa debito di riscontrare dal canto suo la domanda in discorso e di rendere qui uniti i relativi allegati.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

                Era disperante la gentilezza, l'urbanità calcolata colla quale continuamente venivano respinte le domande di Don Bosco. Lo stesso Cav. Gatti lo trattava con grande affabilità; approvava e lodava a cielo il suo ginnasio, a condizione però che gli insegnanti avessero i titoli legali. D. Bosco era tra l'incudine e il martello. I suoi maestri erano obbligati a subire i pubblici esami sotto pena della chiusura delle scuole, mentre un divieto dello stesso Ministro, ossia del Cav. Gatti, aveva disposto che a tali esami non fossero ammessi. D. Bosco andava pazientemente dall'Università al Provveditore, dal Ministero dell'Istruzione Pubblica a quello degli Interni. Le visite che egli fece ai più illustri personaggi di Stato non si ponno numerare. Ma se que' Signori a tutti i costi volevano chiuse le sue scuole, egli a tutti i costi era risoluto di tenerle aperte: - Coraggio, ei diceva a quando a quando a' suoi coadiutori; non abbiate paura; la misericordia di Dio è infinita!

 

 

CAPO XXXIX. D. Bosco annunzia che due alunni saranno chiamati all'eternità prima che facciano un'altra volta l'esercizio della Buona Morte - Parole di D. Bosco: È da preferirsi la compagnia dei giovani più trascurati dagli altri: necessità di un manuale pei confessori dei giovanetti: conferenza sulla povertà religiosa: non dare incomodo ai cucinieri col ritardo nel venire a mensa: un alunno in angoscia per avere abbandonato l'Oratorio - D. Bosco oppresso dalla stanchezza confessa in camera un vecchio operaio - Supplica al S. Padre che risponde con un suo autografo - I Chierici dell'Oratorio nella Settimana Santa servono in Cattedrale e in altre Chiese Il Ch. Leggero guarisce dall'epilessia per la benedizione di D. Bosco - Prudenti parole di D. Bosco per far cessare un disgustoso malumore nella Comunità - A Mirabello si fabbrica il collegio - D. Bosco in Asti - Sua lettera al Vicario Capitolare che gli raccomanda i chierici e i giovani astigiani accolti nell'Oratorio, divenuto per essi un piccolo Seminario.

 

                LA SICUREZZA tranquilla di D. Bosco, come di persona che sa quel che dice, si trasfondeva nell'animo di quanti lo aiutavano nell'Oratorio. Per motivi che non conosciamo e probabilmente per l'assenza straordinaria di D. Bosco negli ultimi giorni di Carnevale, non si era fatto, almeno in tutta forma, il solito esercizio della buona morte. Perciò rientrato in Casa il Servo di Dio nel giorno delle Sacre [403] Ceneri, stabiliva che gli artigiani facessero quell'esercizio il giorno 22 febbraio, prima Domenica di Quaresima.

                Leggiamo nella cronaca di D. Bonetti: “18 febbraio: - D. Bosco raccomandando agli artigiani che facessero bene l'esercizio di buona morte, soggiunse: - Tanto più che vi è un giovane il quale non lo farà più un'altra volta. Io so chi è e potrei nominarlo, ma non lo nomino. Perciò ciascuno di voi si prepari.

                Ora staremo a vedere se come le altre volte egli indovina”.

                E D. Bosco indovinò. Noi leggiamo infatti nelle tavole necrologiche dell'Oratorio. “Il 23 marzo muore a casa sua Negro Giovanni Battista da Frassinetto Po in età di 15 anni”.

                Per gli studenti si era deciso che l'esercizio di buona morte avesse luogo il giovedì 5 marzo e D. Bosco lo annunziava nella seconda Domenica di quaresima.

                D. Ruffino scrisse nella sua cronaca - “I° di Marzo: D. Bosco annunzia in pubblico alla sera agli studenti esservi nella Casa un giovane il quale farà solamente più un esercizio della buona morte”.

                Ed il nostro necrologio riporta “Il giorno 3 del mese di Aprile passava all'eternità in sua patria, il giovane Scaglietti Giuseppe di Camagna in età di 13 anni”.

                Mentre gli alunni attendevano l'avveramento delle previsioni di D. Bosco, questi, come se l'Oratorio non fosse minacciato da nessun avversario, non tralasciava le ordina rie sue occupazioni.

                La cronaca di D. Bonetti racconta con grande semplicità:

                “I° Marzo. In una conferenza tenuta da D. Bosco in questa domenica a tutti i chierici, venendo egli a parlare della sollecitudine che dobbiamo avere per far del bene alla gioventù, con grande effusione di cuore, ci esortò a cercare di preferenza que' fanciulli che ci paiono più abbandonati dagli altri per i loro difetti; e che non ricusassimo di trattenerci con quelli la cui [404] compagnia possa recarci noia e fastidio. Uscì in fine con queste parole: - Anche costoro hanno un'anima che dobbiamo ad ogni costo salvare.

                Rimasto io solo una sera nella camera con D. Bosco, presi a parlare della buona accoglienza che si faceva da tutti alla sua Storia d'Italia, e dissi: - D. Cafasso ha pensato bene quando le diede il consiglio di scrivere la Storia d'Italia, piuttostochè il manuale che lei intendeva comporre sulla maniera di confessare i giovani.

                D. Bosco mi rispose: - Ho seguito il consiglio del mio venerato maestro. E pure anche questo manuale è necessario. Povero me! Io trovo che le confessioni di molti giovani non possono reggere colle norme date dalla Teologia. Per lo più non si fa conto di quei mancamenti commessi dagli otto ai dodici anni; e se un confessore non va propriamente a cercare, ad interrogarli, essi ci passano sopra e vanno avanti fabbricando così su falso terreno”.

                D. Ruffino prosegue: “5 marzo. Si fece la conferenza della Pia Società. Lette prima alcune regole, si domandò a D. Bosco se uno entrando in Società può ritenersi la proprietà di alcuna cosa che abbia seco portata. D. Bosco rispose: - Di quelle cose che non furono poste in società, sì: di quelle che furono messe in comunità già s'intende che no. Bisogna che colui il quale di queste vuole servirsi, ritenendole come sue, ne parli al Superiore, il quale difficilmente ne concederà licenza, essendo ciò gravoso alla casa.

                Si domandò pure se un prete potrebbe applicare qualche messa per i suoi parenti senza ricevere l'elemosina. D. Bosco rispose che no, se non chiede il permesso al Superiore.

                Parlandosi poi di alcuni della Casa che coll'andare a predica al mattino nelle chiese della città in tempo di quaresima recavano incomodo agli uomini della cucina, venendo in ritardo al pranzo della Comunità, D. Bosco rispose: - Se fosse sopra di me questo incomodo, vada pure, lo porterei volentieri; [405] ma sopra i cuochi nol posso permettere; il loro lavoro è già troppo gravoso”.

                “7 marzo, sabato. - Presso le 10 di sera, terminate le confessioni che avevano durato circa quattro ore, D. Bosco ad alcuni chierici e preti, che lo avevano aspettato per fargli compagnia in tempo di cena, raccontava secondo il solito qualche cosa che potesse istruirli e giovare alla salute delle anime. Il suo discorso era caduto a caso sopra un giovane che, partito dall'Oratorio per capriccio, trovavasi in Toscana. Ci narrò come pentito quel giovane del suo passo imprudente, scrivessegli lettere di dolore e di disperazione per essersi allontanato da chi poteva salvarlo dai pericoli del mondo. Oh!, soggiunse D. Bosco, io prevedeva tutto ciò, e per trattenerlo gli aveva concesso quanto poteva desiderare; ho fatto ogni tentativo perchè non partisse dall'Oratorio, ma volle andarsene. Ed eccolo tutto angosciato significarmi quanto io già prevedeva”.

                “8 marzo, Domenica. - Lo zelo di D. Bosco si manifesta in ogni sua azione. Stanco dalle confessioni del mattino protratte sino verso le 9, benchè con molta difficoltà riuscisse a parlare, alle 10 era sul pulpito per continuare la narrazione della vita dei Papi, che con tanta maestria espone a' suoi giovani. Terminava quell'istruzione presso le 10 e ¾  ed era appena entrato nella camera, dalla quale scendevasi al pulpito[37], che cadeva privo di forze sopra una sedia. Dopo brevissimo riposo, senza proferir lamento, si portava nella sua stanza, e non potendo reggersi sulla persona e nello stesso tempo volendo lavorare, si mise sul letto e prese a correggere bozze di stampa. Suonavano le II e ½ e sentendo bussare alla porta scende ad aprire, ma è costretto a riporsi sul letto che è molto basso. Era un vecchio operaio che desiderava confessarsi [406]. D. Bosco, commosso, lo ascoltò volentieri e lo rimandò consolato”.

                Alla sera di questo stesso giorno da alcuni suoi sacerdoti egli faceva indirizzare al Papa la seguente supplica.

 

                               Beatissimo Padre,

 

                I Sacerdoti Savio Angelo, Rua Michele, Cagliero Giovanni, Francesia Giovanni, Fusero Bartolomeo e Bongiovanni Giuseppe della Diocesi di Torino (Piemonte) nel desiderio di poter adoperarsi maggiormente nel sacro Ministero per la gloria di Dio e la salute delle anime, prostrati al bacio del S.to Piede, umilmente implorano dalla Santità Vostra di poter celebrare un'ora prima dall'aurora ed una dopo il mezzogiorno, concorrendovi una giusta e ragionevole causa.

                Parimenti nel desiderio di promuovere lo spirito di divozione nei fedeli, i suddetti Sacerdoti in un col Sacerdote Alasonatti Vittorio, che è pure della Diocesi di Torino, implorano dalla Santità Vostra la facoltà di benedire corone del SS. Rosario, croci, medaglie, immagini e simili. Stante poi la difficoltà delle comunicazioni dimanderebbero la suddetta facoltà ad septennium.

                Che della grazia

 

                Torino, li 8 Marzo 1863.

 

                Questa supplica procurava, a D. Bosco una delle più sentite consolazioni, poichè il sommo Pontefice, la firmava di proprio pugno, come si può vedere presso l'Ill.mo sig. Bosco di Ruffino Alerame, che domandò ed ottenne il prezioso autografo.

 

                Die 26 aprilis 1863

                Pro gratia, juxta petita

 

Pius Pp. IX.

 

                D. Bosco in quel mentre aveva fatto pratiche, perchè il suo chierico Pietro Leggero venisse ammesso agli ordini sacri, e dalla Curia Arcivescovile gli si mandava risposta: [407]

 

Torino, 9 Marzo 1863,

 

                               Molto Reverendo Signor mio,

 

                Debbo partecipare a V. S. che il Sig. Vicario Generale, dopo aver attentamente considerato l'affare dei Chierico Leggero, e tenuto conto delle informazioni da cui risulta, che nella linea della di Lui parentela materna avvi casi di epilessia, ha creduto dover prescindere dallo scrivere alla S. R. Congregazione; poichè esponendo la cosa in tutta la sua estensione, ne verrebbe certamente una risposta in senso negativo, cioè non doversi ordinare, conte soggetto a probabile ricaduta nella epilessia, e perciò irregolare. È  adunque necessario, che V. S. con belle maniere e buone ragioni, persuada detto chierico ad intraprendere qualche altra carriera a lui più conveniente. Io ne sono dolentissimo; tuttavia non posso a meno che associarmi al giudizio dei Sig. Vicario Gen. - e sono dello stesso avviso.

                Prego V. S. di tener memoria di destinare conte negli anni precedenti due dei suoi Chierici per servire alle sacre funzioni della settimana santa nella Metropolitana, e desidero che sieno dei più esperti nelle cerimonie.

                Prego pure V. S. a nome del Monastero del B. Pastore di destinare due e se potesse anche tre Chierici pel servizio della stessa settimana santa, come già fece (per due) negli anni precedenti, osservandole che siccome le funzioni ivi si fanno di buon'ora, i detti Chierici potranno più tardi arrivare in soccorso a qualche altra Chiesa.

                Le rammento che Mercoledì a sera cominciano gli esercizi per tutti i Chierici di Torino; procuri che anche i suoi allievi vi intervengano nel maggior numero possibile, giacchè si dà vacanza a questo fine.

                Le sono intanto con distinta stinta

 

Dev.mo Obbl.mo Servitore

AL. VOGLIOTTI, Prov. Generale.

 

                PS. - Ho deliberato di concorrere per qualche dozzina di mattoni alla Chiesa ad onore di Maria SS. Auxilium Christianorum, e ciò quando sia cominciata.

 

                Riportiamo questa lettera perchè ci ricorda una delle tante guarigioni repentine operate dalla benedizione di. D. Bosco. Sul fine dei 1861 era venuto nell'Oratorio dal Seminario di Bra il Chierico Pietro Leggero. Colpito da epilessia per un grande spavento cagionatogli dalla caduta dei fulmine, aveva dovuto abbandonare gli studi per la frequenza degli accessi [408] di quel brutto male. Egli tuttavia nutriva ancora in animo una viva fiducia che il Signore venisse in suo aiuto, e di poter essere liberato dal suo male in modo da riprendere gli studii. Presentatosi al Servo di Dio, questi lo accettò in casa e gli disse: - Facciamo insieme una novena; prega tu e pregherò ancor io e vedrai che Maria SS. ci farà la grazia. - Quindi lo benedisse. Da quel punto il buon chierico incominciò a migliorare, in modo che in poco tempo fu libero e per tutto un anno non diede più segni della grave malattia.

                D. Bosco era certo che la Madonna aveva concessa una grazia duratura e gli ottenne dalla Curia la facoltà di poter riprendere gli studi teologici. Quindi non ostante la suddetta risposta negativa del Provicario, prevedendo ciò che sarebbe riuscito a fare nel campo evangelico questo buon chierico, tanto si adoperò che finalmente lo vide ordinato prete. E riusciva un sacerdote pio e dotto. Fu prima parroco a Candiolo. Leone XIII voleva nominarlo Vescovo, ma si arrese alle ragioni addotte dal Leggero per essere dispensato da quell'onore di troppa responsabilità. Finalmente nel 1887 fu scelto a Canonico Curato della Metropolitana di Torino e sedeva negli stalli del coro collo stesso Canonico Vogliotti. Ci attesta il Can. Anfossi: - Di questo fatto io stesso ne fui testimonio e mi venne confermato dal Rev.mo Leggero, il quale riconosceva essere stata la sua guarigione un vero miracolo del Servo di Dio: e mi soggiungeva: - D. Bosco fu per me un secondo padre!

                In questi giorni D. Bosco alle prove di sua bontà, aggiungeva quelle della sua prudenza e giustizia. Ei non tollerava le mancanze di rispetto a chi era investito di autorità. Avvenne adunque che un assistente, non visto bene dai giovani, fosse da alcuni di questi schernito e che irritato alzasse le mani. Quella violenza aveva suscitato un gran fermento nella Comunità, non assuefatta a tali repressioni. Nei giovani quella sera eravi una viva aspettazione di ciò che avrebbe detto D. Bosco,  [409] il quale dopo aver ammonito in privato l'assistente, salì la cattedra. Molto serio in volto ei prese a dire come tutti conoscessero quanto a lui recasse disgusto non solo il sapere che un giovane avesse ricevuta qualche percossa, ma anche che fosse stato ripreso con severità eccessiva. Egli vietare assolutamente simili maniere. Quindi passò ad osservare come certe irriverenze e certi schemi avessero irritato un povero chierico e che da lui non si poteva pretendere, anche se avesse torto, una sopportazione, che doveva essere frutto di virtù quasi eroica. D'altra parte gli atti e le parole di qualche alunno doversi giudicare come una vera insubordinazione, che in altre circostanze non avrebbe potuto rimanere impunita. Tuttavia essere meglio rimediare pacificamente quel disordine. Quindi da una parte non vi siano mai più villanie, dall'altra mai più violenze. - A questo punto sospese il discorso: il suo viso si rischiarò e col suo affabile sorriso ripigliava: - Vorrei per l'affetto che porto a tutti fare anche l'impossibile....

                Mi rincresce delle botte che avete prese, ma non ve le posso levare. - A questa conclusione tutti risero, si dissipò quel malumore, e si può dire che: justitia et pax osculatae sunt.

                Questo fatto che in sè non ha molto importanza, noi qui lo abbiamo inserito per affermare una volta di più, come queste centinaia di testimonii della vita di D. Bosco fossero svegliati, arditi, non sofferenti di soprusi, compresi del rispetto che loro era dovuto. All'Oratorio non potea esservi altro mezzo di governo, che una parola dominante che persuadesse.

                Intanto a Mirabello sorgeva il vasto edifizio ad uso collegio convitto, o piccolo Seminario per la Diocesi di Casale, che D. Bosco aveva designato. Nell'autunno del 1862 si eran incominciati a fare gli scavi e gettare le prime fondamenta: e nel marzo di quest'anno il capo mastro Giosuè Buzzetti metteva mano ad erigere le mura per terminare le costruzioni nel mese di agosto. La spesa doveva ammontare a più di [410] 100,000 lire. Ma D. Bosco si era abbandonato nelle braccia della divina Provvidenza. A qualche spesa provvedeva la famiglia Provera, mentre con generose elemosine la Contessa Callori gli veniva in aiuto.

                 D. Bosco, che era stato da quelle parti, scendeva in Asti a perorare la causa dei giovanetti e chierici dell'Oratorio, appartenenti a quella diocesi, presso Mons. Sossi Vicario generale Capitolate, al quale poi scriveva:

 

                               Carissimo Sig. Vicario,

 

                Desiderava di poter in quel giorno parlare con V. S. Car.ma, ma la coincidenza di dover Ella venire a Torino, nel punto stesso del mio arrivo, me l'ha impedito in gran parte. Sono eziandio passato più volte per parlare al Sig. Teol. Magnone, ma non ho avuto il piacere di trovarlo in casa, laonde Le comunico qui per iscritto quanto è più essenziale, riguardo ai nostri interessi.

                Con lettera di Lei in ottobre 1861 concedeva al Chierico F……la pensione intera in fr. 40; ai due fratelli P……25 caduno.

                Nello scorso autunno, non so se per lettera o verbalmente era concessa anche l'intera pensione a questi due ultimi. Riguardo al Preda tutto come fu notato dal Sig. Teol. Magnone. Avvi eziandio il parroco di Tigliole che mi scrisse lettera in cui mi dice, che, dietro a colloquio avuto con Lei, Ella avrebbe fatto a questa casa l'offerta di Fr. 100 annui pel giovanetto Gay Domenico di quel paese, e studente di 2a latina nelle nostre classi.

                Riguardo a costoro credo che siamo stati intesi in quel poco di tempo che ebbi l'onore di poterle parlare, che per quest'anno non si fanno cangiamenti; perchè io non potrei a metà dell'anno far nuove intelligenze co' parenti dei giovani. Negli anni successivi il Seminario d'Asti farà quello che può, ed io mi presterà anche fin dove giungeranno le sempre esauste mie finanze.

                Oltre ai giovanetti mentovati ne ho ancora 32 Astesi tutti di buone speranze; di essi la maggior parte sono gratis: alcuni pagano parte di pensione, niuno la paga intera. Era mio scopo di pregare Lei a venire in aiuto di questi giovanetti che fanno di loro sperare assai bene; ma stante le finanze ristrette in cui mi accennò trovarsi l'amministrazione del Seminario, non ne ho più fatta parola. Proporrei soltanto il giovane Prete Luigi di Agliano studente di 2° Rettorica, bramosissimo, di vestire al più presto l'abito clericale. Gli anni addietro i parenti pagarono una tal quale pensione; in quest'anno i parenti vennero per [411] ritirarlo e condurlo a casa, perchè non potevano più pagare nulla; io scrissi una lettera e poi un'altra a V. S. esponendo il caso e dimandando pel medesimo appoggio e protezione, ma mi si dice che tali lettere non Le siano pervenute; credo che questa la perverrà e con essa glielo raccomando.

                L'anno venturo 1863 - 64 aprendo Ella un piccolo Seminario potrà aggiustare le cose iversamente, ed io farò pure i miei calcoli quid valeant humeri: - che se il Sig. Teol. Magnone potesse per ora saldare la nota, che gli ho fatto trasmettere dal Sig. Can.co Ballario, lui farà speciale favore attesi i bisogni, in cui attualmente versa questa casa.

                Dio Le doni sanità e grazia e mi creda quale con pienezza di stima .e di affetto ho l'onore di professarmi

                Di V. S. Car.ma

 

                Torino, 30 marzo 1863

Aff.mo Servo ed Amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                L'Oratorio era dunque da tre anni piccolo Seminario per la Diocesi di Asti.

 

 

CAPO XL. La settimana Santa - D. Bosco sviene in sagrestia - Sua risposta a chi lo consiglia di riposarsi - Ricorda che un uomo vale per uno - Virtù di alcuni giovani - Preghiere esaudite di chi per dar sollievo a D. Bosco è, pronto ad accettare il suo male - Testimonianze di questo fatto - D. Bosco presiede alla conferenza della Compagnia dell'Immacolata e raccomanda gli alunni che ritornano dalle vacanze - Una lettera del Card. Marini afferma l'affezione che il Papa ha per D. Bosco - Il Can. Gastaldi e i chierici dell'Oratorio: sua Lettura Cattolica: il Canonico rimprovera i detrattori di D. Bosco - D. Bosco non aspetta la mercede dal mondo - Egli soccorre anche le sante imprese che non gli appartengono - Chiede soccorsi per lettera al Marchese Fassati - Gli esercizi spirituali nell'Oratorio: avvisi e consigli di D. Bosco ai giovani: orario - Una coscienza tranquillata dalla Madonna - D. Bosco la pronostici sull'avvenire di alcuni alunni - Sua parlata alla sera: spiegazione di un globo di fuoco visto sull'Oratorio: qualcuno non ha fatto bene gli esercizi: egli conobbe chiaramente lo stato di tutte le coscienze - Testimonianze - Ricordi ad un giovane che ha fatto la prima comunione - Suffragi per due alunni defunti - Nuovi confratelli accettati dal Capitolo.

 

                DAL 25 febbraio eransi fatti con gran zelo i catechismi della quaresima nei varii Oratorii festivi ed il 29 marzo ricorreva la Domenica delle Palme. Il mercoledì I° aprile una grande parte di alunni andava in vacanza [413] a' proprii paesi per otto giorni dopo aver soddisfatto al precetto pasquale. Da più anni si celebravano regolarmente le funzioni della settimana santa nella Chiesa di S. Francesco di Sales e D. Alasonatti era sempre il celebrante divoto ed appassionato. D. Bosco riservava a sè la messa del giovedì santo e la lavanda dei piedi, mentre nelle altre funzioni assisteva ognora puntualmente.

                In questo anno essendo molto affaticato per le confessioni senza numero degli esterni, il sabato santo svenne in sagrestia. Ma appena riavutosi andò a prendere un po' di latte e poi continuò nelle sue occupazioni, benchè i medici lo costringessero a rimanere qualche tempo in camera.

                 - Ma potrebbe prendersi un po' di riposo! gli dicevano i giovani.

                 - Come volete, rispondeva loro, che io mi pigli riposo, mentre il demonio non riposa mai?

           Tuttavia soggiungeva ai chierici: - Un uomo solo vale per uno. Niuno deve sforzarsi a fare per due, altrimenti si logora troppo presto e si riduce ad essere incapace, proprio quando sarebbe tempo Ai fare il miglior bene.

                Ma il suo esempio contraddiceva per necessità alle sue parole; tuttavia eragli a quando a quando di notevole sollievo la carità de' suoi alunni. Abbiamo già detto come negli anni anteriori D. Bosco vedendo qualche alunno oppresso da gravi dolori, per sollevarlo pregasse il Signore a voler mandare a lui que' mali; e fosse esaudito. Ora accadde che i giovanetti lo contraccambiassero degli antichi sacrifizii per i suoi allievi, quando scorgevano che le infermità, gli impedivano di proseguire ne' suoi lavori opprimenti.

                Si legge nella cronaca di D. Bonetti. “La sera del 9 aprile D. Bosco parlando del suo star meglio in salute, disse: - Le preghiere dei giovani sono potenti. C'è uno specialmente il quale, soltanto che preghi, ottiene in un subito che il male fugga da me e vada addosso a lui medesimo. Io poi lo raccomando [414] a Savio Domenico perchè lo faccia guarire, ed in breve tempo ambedue ci troviamo a star bene.

                Disse ancora: - Abbiamo nella casa alcuni giovani ed anche chierici i quali sono di tale virtù, da lasciare indietro lo stesso S. Luigi, qualora continuino nella via che battono. Quasi ogni giorno io veggo nella casa cose tali, che non si crederebbero se si leggessero nei libri: eppure Iddio si compiace di farle fra di noi”.

                D. Bonetti nota nelle sue memorie: “Io conosco quel giovane fortunato che ha la bella sorte di ottenere da Dio la guarigione temporanea di questo nostro amantissimo Padre e di caricarsi del suo male. Egli mi è molto amico e vedendolo a quando a quando male in salute una volta ne parlai a Don Bosco e fra le altre cose gli dissi: - Io temo che lei non lo allevi questo giovane, ma presto lo abbia a perdere. Giovane come egli è, e già di così cagionevole salute, non la può durare a lungo. - La sera dello stesso giorno facendo coraggio a quel caro amico, ei mi disse: - Domani sarò guarito; me lo disse D. Bosco. - E così fu: il giorno dopo andò a scuola, venne a pranzo cogli altri, mentre il giorno prima poteva a mala pena reggere il caffè sullo stomaco. Ne fui grandemente maravigliato, come colui che più da vicino degli altri suoi compagni conosceva il pessimo stato di sua sanità. Io tuttavia nulla ancora dubitava che egli venisse ammalato del male di D. Bosco, quando una sera trovandomi con D. Bosco In sua camera ed avendogli chiesto come stesse di salute (poichè il giorno prima era molto incomodato) mi rispose star meglio e soggiunse: - C'è N. N. che si prende il mio male. - Allora incominciai a capire un po' meglio quei repentini cangiamenti di salute e dell'uno e dell'altro e mi convinsi che Dio si compiace talvolta scherzare colle anime amanti di lui.”

                Di un fatto simile testifica D. Francesia. D. Bosco un mattino aveva male agli occhi e questi qualche ora dopo pranzo,  erano perfettamente sani. Fu interrogato della causa di così [415] repentina guarigione ed egli rispose,  he il male suo era passato negli occhi di un altro, il quale aveva pregato il Signore a mandarglielo per sollevare D. Bosco.

                D. Sala Antonio volle avere una prova di questo singolare fenomeno. Molte volte ci raccontò ciò che accadde a lui stesso. Era a Roma con D. Bosco, il quale doveva un mattino parlar in una conferenza, ma preso da fortissimo male di capo sentivasi tanto abbattuto, che non gli sarebbe stato possibile uscir di casa. Dovea trattare di cose sommamente importanti, e D. Sala vedendolo in quello stato gli disse: - Oh D. Bosco se bastasse pregare il Signore che trasferisse a me il suo male, io lo prenderei volentieri, perchè lei rimanesse in libertà.

                 - Povero D. Sala! rispose D. Bosco ...: ebbene ti cedo il mio male, finchè sia finita la conferenza. - D. Bosco uscì di casa e un atroce mal di capo prese a tormentare D. Sala, cessando solamente al ritorno di D. Bosco. Ciò accadde varie volte ad altri.

                “Nello stesso giorno 9 aprile giovedì, contigua D. Bonetti, mentre i giovani ritornavano dalle vacanze pasquali, D. Bosco era andato a presiedere la conferenza dell'Immacolata Concezione. Sul fine prese la parola e, fra le altre cose, ci raccomandò queste due pel bene dei nostri clienti: - I° Ciascuno di voi stia attento quando arriva il suo cliente dalle vacanze pasquali; e sia egli il primo ad andarlo a salutare e a ricominciare la relazione d'amicizia. Osservi se il suo patrocinato abbisogni d'avvisi e glieli dia e ciò si faccia in questi giorni specialmente. Di più in ogni giorno di vacanza, e al giovedì in modo particolare, ciascuno procuri di trovar modo di trattenersi più spesso col suo cliente; e in generale qualunque volta egli conosca essergli necessaria un'ammonizione non la trascuri, e vada, lo cerchi, lo tiri a parte e con carità gli dica quello che occorre. - 2° Un'altra cosa ancora vi raccomando ed è che ciascuno quando ha da andarsi a confessare cerchi di condurre insieme, con lui anche il suo cliente. Ditegli per es.: - Ho volontà di andarmi a confessare, ma mi rincresce di andar [416] solo; vieni tu a farmi compagnia. - Per lo più egli va e così si mette nell'occasione di parlare col suo confessore e qualora non essendo disposto, non ricevesse l'assoluzione, riceverà nondimeno dal confessore alcuni avvisi che gli faranno sempre bene. - Infine disse che considerava questa Compagnia come la sua guardia imperiale e siccome un imperatore si tiene sempre sicuro in trono e mette in fuga i suoi nemici, finchè si mantiene in piedi e forte la guardia imperiale, così egli sperava col mezzo nostro di sbaragliare i nemici delle anime e conservare nella casa il trono del Signore”.

                Nobili signori piemontesi e sacerdoti in que' giorni erano tornati da Roma, ove, per raccomandazioni ricevute da Don Bosco, avevano potuto assistere a loro agio alle funzioni della Settimana Santa in S. Pietro.

                Di uno di questi rimasto ancora a Roma, così scriveva a D. Bosco il Card. Marini:

 

                               Reverendo mio Signore,

 

                Le persone che mi vengono raccomandate da V. S. mi sono care come D. Giovanni Bosco; perciò con vero piacere ho accolto il Sig. Canonico Davicino, il quale per meglio vedere le funzioni della Settimana Santa mi ha fatto da caudatario.

                Nel prossimo lunedì spero di presentare al S. Padre il suo raccomandato; e La ringrazio che mi abbia dato occasione di conoscere un degno ecclesiastico.

                Mi congratulo del sempre felice prosperamento delle opere di vera carità, ch'Ella promove e sostiene a Torino: non potendo contribuirvi in altro modo pregò Iddio che sempre La benedica. Il Santo Padre si è degnato parlarmi con grande affetto della di Lei persona, ed avendogli parlato del Canonico Davicino e del servizio che ha voluto prestarmi facendo da caudatario, il Santo Padre lo chiamava: Pro Bosco.

                Sempre desideroso di servirla, ove possa valere la povera mia persona, accolga intanto la protesta della mia più sincera stima con che mi confermo

                Dì V. S. R.

 

                Roma, 18 Aprile 1863.

 

Servitore ed amico aff.mo

P. Card. MARINI. [417]

                Intanto il Canonico Lorenzo Gastaldi, uscito dalla Congregazione Rosminiana, si recava frequentemente a predicare la Domenica in Valdocco facendo gran bene; e dietro invito e preghiera di D. Bosco per due mesi, una volta alla settimana, era venuto a fare una lezione di sacra eloquenza ai chierici e ai preti. Il suo insegnamento era molto vantaggioso per le idee esatte e chiare che esponeva.

                Si compiaceva talvolta entrare in polemiche religiose. Egli nelle sue missioni in Inghilterra aveva potuto occuparsi in studii profondi sulle presenti condizioni del Protestantesimo, sulla stretta parentela della rivoluzione coll'eresia, sull'indole dei tempi presenti e sui mali morali che affliggono la moderna società.

                Chierici e sacerdoti insegnanti, col consenso di D. Bosco, molto facilmente si recavano a casa del Canonico per avere da lui indirizzo negli studii teologici, per udire ripetizioni di morale, ed anche per confessarsi. Fra questi vi erano D. Anfossi e D. Bongiovanni Domenico.

                Il Can. Gastaldi mostrava una gran benevolenza a D. Bosco e alle sue Istituzioni.

                Pei mesi di maggio e giugno aveva preparato il fascicolo delle Letture Cattoliche, soddisfacendo al desiderio di Don Bosco: Cenni storici sulla vita del sacerdote Giovanni Maria Vianney Parroco d'Ars, raccolti dal Sacerdote Canonico Lorenzo Gastaldi Teologo Collegiato. Un'appendice conteneva molti pensieri sopra le principali verità della nostra santa fede, espressi da quel Servo di Dio ne' suoi catechismi e sermoni.

                “Il Canonico, scrive D. Bonetti, era uno di que' distinti personaggi di merito superiore ad ogni encomio, i quali avevano una gran stima di D. Bosco. In un giorno della settimana dopo la Domenica in Albis, egli si trovò in una compagnia di Ecclesiastici e laici. Dopo varii discorsi si venne a parlare di D. Bosco e a criticare e disapprovare e lui e quel che faceva. Il Canonico sempre si tacque. Quando vide che gli altri avevano [418] detto quanto volevano, così prese la parola: - Scusino un momento; stimo bene di far loro una breve risposta a quanto hanno detto finora. Io conosco D. Bosco da lungo tempo, io frequento il suo stabilimento e perciò con tutta franchezza rispondo con queste sole parole: Tutto quello che hanno detto è tutto falso. Io stava attento se almeno avessero dettò qualche cosa di vero; ma non la dissero. Perciò, o essi sono bene ignoranti di D. Bosco e delle sue cose, o pure sono buoni calunniatori. E che cuore hanno le Signorie vostre di criticare in tal modo un uomo, che si sacrifica pel bene della gioventù? Facciano essi altrettanto, se sono capaci!

                I chierici saputo il fatto, riferirono a D. Bosco che taluno parlava male di lui. Allora D. Bosco senza punto turbarsi, disse: - Io non mi stupisco niente che sianvi alcuni i quali parlino male di me. Chi più santo di un Canonico Anglesio? Io sfido il più rigido Teologo a trovare in quest'uomo un'azione degna di rimprovero. E pure non sono rare le volte che io debbo sentire a parlare contro di lui nel modo più maligno; che egli è un superbo, che è severo, che è senza compassione e cose simili. È impossibile piacere al mondo. Il migliore consiglio si è di fare bene quanto possiamo e poi non aspettarci la mercede dal mondo, ma da Dio solo”.

                Con questo pensiero egli faceva bene quanto meglio poteva  D. Ruffino scrisse, nel mese di aprile 1863, la seguente nota: “Innumerevoli sono le spese alle quali D. Bosco deve fare fronte in quest'anno. Nuove fabbriche nell'Oratorio di Valdocco, la nuova Chiesa della quale stanno per porsi le fondamenta, il collegio di Mirabello che è in via di costruzione; senza tutte le altre spese ordinarie. Ciò non ostante mentre si crederebbe che D. Bosco non debba cercare più modi per spendere danaro, pure trova ancora mezzi per venire in soccorso ad altre pie opere. Nel Borgo di S. Salvario si sta innalzando una Chiesa parrocchiale colle oblazioni di persone generose. Si tratta di concorrere a salvare anime; di provvedere [419] il necessario alimento spirituale a tante persone, che, nella città di Torino così popolata, per mancanza di questo corrono grave pericolo della salute spirituale. Tale motivo è più che sufficiente perchè D. Bosco non badando ai proprii bisogni mandi anch'esso a quel parroco, Teol. Arpino, quanto può raggranellare nella sua borsa; Cioè 200 lire, oltre molti biglietti ritenuti e pagati alla Commissione della Lotteria, aperta in favore di quel nuovo tempio”.

                Prova delle strettezze di D. Bosco è una sua lettera al Marchese Fassati.

 

                               Ill.mo e Car.mo sig. Marchese,

 

                Se far vuole il giubileo Sig. Marchese vi è un tempo opportunissimo; io mi trovo nel bisogno di pagare tre mila franchi al panettiere dimani mattina prima delle dieci e finora non ho ancora un soldo. Io mi raccomando alla sua carità, affinchè faccia quello che può in questo bisogno eccezionale; è proprio un dar da mangiare ai poveri affamati. Nel corso della giornata passerò da Lei ed Ella mi darà quello che il Signore e la Santa Vergine Le ispireranno in cuore.

                Dio benedica Lei, Sig. Marchese, la sig. Marchesa ed Azelia e doni a tutti sanità e grazia con un bel premio nella patria dei beati. Amen.

                Con pienezza di stima mi professo

                Di S. V. Stim.ma e car.ma

 

                Torino, 18 aprile 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Il giorno dopo che D. Bosco aveva scritto la lettera al Marchese, e chi sa quante altre a' suoi benefattori, dovevano incominciare nell'Oratorio i santi spirituali esercizi.

                D. Ruffino dice nella cronaca: - “Domenica a sera, 19 aprile, si dava principio agli esercizi. D. Bosco parlò dopo le orazioni della sera. Raccomandò rigoroso silenzio, eccettuati i tempi di ricreazione, in cui proibì i giuochi di schiamazzo, compreso il giuoco del pallone: ma permise [420] la barra rotta. Una cosa domandò ai giovani e fu che, durante gli esercizi, desiderava che ciascuno gli scrivesse un foglietto nel quale, si notassero due cose: I° Ciò che ciascuno vuol fuggire; 2° Ciò che vuol praticare. - Ed aggiunse: - Io questi biglietti li conservo: primieramente per memoria degli esercizi: in secondo luogo quando qualcheduno non starà alle promesse fatte, io prenderò il biglietto e glielo farò leggere. Vedete; io conservo ancorai biglietti che mi scrissero i giovani nel 1845. Tutti questi biglietti vado ora leggendoli di quando in quando.

                - Finalmente ciò che vi raccomando molto si è l'esattezza nell'eseguire l'orario, nel portarvi in Chiesa; e poi fare tutti in modo che i predicatori, i quali sono venuti qui per farvi del bene, siano contenti di voi. Essi sono disposti a fare del bene alla casa, non solo spiritualmente ma anche materialmente ed ho bisogno che vedano che siete bene educati; perciò incontrandoli nel cortile o nei corridoi, salutateli; ma non con aria truce, sibbene con aria allegra. Vedete; io sono un po' superbo, che si dica i miei giovani essere buoni e bene educati; ma per questo è necessario che vi facciate veder tali e che per conseguenza procuriate di esserlo.

                - Riguardo al da farsi, state a quello che vi diranno i predicatori e perciò procurate di star attenti alle prediche, e badate che specialmente il Canonico Gastaldi, uno dei predicatori, durante la ricreazione interrogherà forse qualcuno intorno alla predica e non vorrei che non sapeste rispondere[38].[421]

                Gli esercizi si fecero con grande fervore: un alunno mantenne il proponimento di non parlare.

                Come ricordo di questi giorni di salute ci fu comunicato un biglietto scritto da un buon giovane, ora sacerdote, nel 1863.

                “Nei tre giorni degli esercizi spirituali dei giovani studenti in questo stesso anno, facendo io allora la prima ginnasiale, sebbene D. Bosco in confessione mi dicesse di non più pensare al passato e di star tranquillo su tutto, e lasciassi a lui ogni responsabilità, pure io mi trovava sempre in una profonda inquietudine, nel timore che i peccati della mia vita passata non mi fossero ancora stati perdonati. Ma la notte seguente la mia confessione, mi apparve in sogno una Signora di bell'aspetto, vestita da contadina e con volto lieto ed ilare; e vedendomi così melanconico, mi disse: - Dall'istante che hai promesso d'essermi divoto e hai risoluto di consecrarti a me per tutta la vita, tutto ti è stato rimesso. Non inquietarti più del passato. Procura solo di essere sempre fedele alla tua promessa e non temere più di nulla. - Detto questo essa scomparve ed io mi svegliai. Questo non è che un sogno, ma mi rimase molto impresso e mi consolò e tranquillizzò assai, perchè era una conferma delle parole di D. Bosco”.

                “Il 20 aprile, continua D. Ruffino, dopo pranzo D. Bosco era nel refettorio vicino alla cucina attorniato, secondo il solito, da un bel numero di giovani e chierici, che avidamente accoglievano ogni sua parola. Egli trattenevali in dolce ricreazione colle sue arguzie e morali lepidezze: quando tutto ad un tratto interruppe il discorso di cose indifferenti, li guardò sorridendo e disse: - Oh quanto io godo nel pensare al bene che voi farete nella Chiesa! [422]

                Uno dei giovani lo interrogò dicendo: - Vi sarà qualcheduno fra di noi che si distinguerà in modo particolare?

                D. Bosco girò lo sguardo attorno a sè, osservando chi fosse presente, fissandoli in fronte ad uno ad uno; e rispose: - Sentite! Fra quelli che ora sono qui, due si distingueranno nella scienza e nella pietà, due nel male. - Tutti fecero le meraviglie di questa risposta ed egli soggiunse:

                - Per giudicare di quello che dissi, bisogna aspettare fra dieci anni. Allora direte: quando vi era ancora D. Bosco, un giorno ci disse questo e questo; e allora vedrete quelli che si distingueranno.

                I giovani restarono un poco contristati nell'udire quelle parole. - Due si distingueranno nel male - e Berto Gioacchino, studente di I° ginnasiale, quasi piangendo si fece più vicino a D. Bosco e gli chiese in un orecchio: - Sono forse io uno di quelli che dovranno distinguersi nel male? - D. Bosco stringendo tra le sue mani e al suo cuore il capo del giovane, con grande affetto, gli rispose sorridente all'orecchio: - Anzi da te spero molto”.

                D. Ruffino in questa sua relazione del suddetto trattenimento di D. Bosco coi giovani, aggiunse la seguente nota.

                “I giovani che erano presenti sono: D. Bongiovanni Giuseppe da Torino; Ruffino Domenico e Giacomo fratelli; Chicco Stefano ch. da Sommariva; Racca Pietro da Volvera; Lupotto Simone da Cambiano; Costa Augusto da. Pinerolo; Costa Giovanni da Spezia; Barberis Giulio da Mathi, Cottino (artigiano); Berto Gioachino; Ternavasio Oddone da Brà; Buratto ch. Selvatico; Pittaluga Giuseppe da Tortona; Gorelli Guglielmo; Ecclesia da None; Tamietti; Baccolla; Sandrone; Patarchi Filippo da Roma; Martina; Croserio Augusto; ch. Gallo, venuto da Chivasso ove è assistente Nasi”.

                “Il 23 Aprile, nota D. Ruffino Domenico, terminati gli Esercizi spirituali D. Bosco venne alla sera a parlare ai giovani dopo le orazioni ed incominciò così: [423] Ieri sera si vide sulla casa nostra un globo di fuoco. Di questo molti mi chiedono spiegazione.Io dirò che anticamente quando su qualcuno cadeva il fuoco era un segno di castigo. Ciò non ostante io non voglio credere che il Signore vorrà castigare la nostra casa. Tuttavia se volete che io ne tragga un qualche significato ve lo posso dare; ed è che parecchi non hanno fatto bene gli esercizi spirituali. Questo forse sarà un segno che il Signore vuole ancora dar loro tempo perchè si convertano.

                Ho un'altra cosa a dirvi ed è che durante questi esercizi io mi trovai, per rispetto ai giovani, in uno stato, nel quale fui mai per lo addietro ad eccezione di una volta. Io in tutti questi giorni vedeva nel cuore dei giovani nel modo stesso che se leggessi in un libro: vedeva ben chiarì e - distinti tutti i loro peccati ed i loro imbrogli; quindi tanto era per me l'udire da loro i peccati quanto il dirli io; con questa differenza che se lasciava dir loro era come se leggessero una parola in principio un'altra sul fine di quel libro, che io aveva davanti; mentre invece se diceva io poteva dire ad essi tutti i loro peccati in modo ordinato e chiaro. Anzi di più sul fine della loro confessione io poteva suggerire ad essi un ricordo che era la vera definizione di tutti i loro bisogni. Passati questi giorni io ritornai all'oscuro; mi provai questa sera, ma non era più così: io ero come nelle tenebre.

                Qualcuno mi chiederà: D. Bosco si ricorderà ancora di quello che vide nel cuore di ciascuno? ed io rispondo he non ricordo più che qualche cosa in confuso, come quando uno, letto una sola volta un libro, di ciò che ha letto non si ricorda più, se non in confuso. Io perciò adesso vi raccomando che ciascuno ricordi bene quelli avvisi od anche quel solo consiglio che ebbe da me nella confessione di questi giorni e procuri di metterli bene in pratica. Se questo fatto mi arrecò grandi consolazioni, io ebbi anche un grave dispiacere ed è che molti i quali io attendeva non vennero; li feci cercare ma non fu possibile per me il trovarli; altri da me invitati promisero di venire e non vennero. Non voglio dire che costoro abbiano fatto male gli esercizi, tutt'altro! ma se fossero venuti da me io avrei potuto meglio aggiustare gli affari della loro anima. -

 

                In conferma di quanto disse D. Bosco, io Ruffino Domenica, posso attestare come un giovane mi abbia riferito che andatosi a confessare a D. Bosco avesse solo intenzione di fare una confessione particolare; ma D. Bosco gli disse essere meglio che la facesse generale. Quel giovane rispose che l'avrebbe fatta, ma che per allora non era preparato . Allora D. Bosco gli, disse: - Non crucciarti di ciò; quello che non dici tu lo dirò [424] io. - Quindi D. Bosco incominciò ad enumerargli i peccati, e glieli fece passare tutti, senza dirne uno di troppo.

                Un altro giovane mi attestò pure che andatosi a confessare di un peccato la cui manifestazione cagionavagli grande vergogna, D. Bosco non solo glielo svelò, ma di più gli manifestò certe circostanze, che era impossibile fossero conosciute per scienza umana”.

                Continua D. Ruffino: “25 aprile. - D. Bosco fu interrogato da me se il suo leggere chiaramente nel cuore dei giovani era un fatto che avvenisse solo in tempo di confessione, oppure anche in altro tempo. Egli rispose: - In ogni ora del giorno anche fuori delle confessioni”.

                In que' giorni ad un figlio del Cav. Zaverio Collegno di Provana D. Bosco scriveva:

 

RIMEMBRANZE DELLA PRIMA COMUNIONE.

 

                I° Fuga dell'Ozio - Diligenza nei proprii doveri.

                2° Obbedienza ai Superiori e specialmente al sig. padre.

                3° Divozione in Chiesa, carità in casa, rispetto a tutti.

                4° Confessione e Comunione frequente.

 

Torino, 23 aprile 1863

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                D. Bosco dopo la festa del Patrocinio di S. Giuseppe doveva raccomandare ai suoi alunni le anime di due loro compagni.

                Il 27 aprile era spirato all'Ospedale Cottolengo il diciottenne Cucco Paolo di Chivasso; e nello stesso mese mancava ai vivi in Villafaletto Damasco Giuseppe di anni 20.

                Sul cominciare del mese consacrato a Maria alcuni alunni chiedevano di far parte della Pia Società. Nei Verbali del Capitolo si legge: “Li 8 maggio 1863 furono accettati dal capitolo Gallo Giuseppe, Baracco, Birocco Giovanni Antonio, Pelazza Andrea, Tamietti Giovanni.”

 

 

CAPO XLI. D. Bosco la edificare un edificio per le scuole - Iscrizioni ne' portici di questo - Continuano le opposizioni perchè gli insegnanti dell'Oratorio non proseguano legalmente i corsi de Belle Lettere: si esige da loro l'esame di licenza liceale - L'esame di Filosofia in Seminario equipollente alla licenza liceale - Supplica dei maestri dell'Oratorio al Rettore dell'Università - Attestato dell'esame di Filosofia - Dichiarazione e raccomandazione di D. Bosco al Rettore dell'Università - Dimanda respinta - Ricotti e D. Bosco - Un intercessore - Sono concessi gli esami d'ammissione all'Università.

 

                ABBIAMO detto come D. Bosco fosse risoluto di tenere aperto il suo ginnasio a qualunque costo poichè sentiva di essere sostenuto da una forza soprannaturale. Infatti, cosa sorprendente, mentre ferveva la questione coll'autorità scolastica, D. Bosco imperterrito faceva innalzare un nuovo edifizio destinato per le scuole. Il muro di confine a levante, tra la proprietà dell'Oratorio e il vasto cortile della palazzina del Signor Filippi, circa alla metà formava un angolo ottuso, aperto verso ponente; e da qui andava a congiungersi in linea retta, coll'estremità del fabbricato costrutto recentemente lungo la via della Giardiniera, ove era stabilita la nuova porteria.

                Dalla casa adunque ove era la gran sala dello studio fino all'angolo suddetto si costruivano le scuole. [426] L'edifizio alto metri 14.24 lungo 39, e largo 10, fu di due piani, oltre le soffitte ed il pianterreno, il quale in tutta la sua lunghezza fu diviso metà in sale e metà in portici. I giovani in tempo di ricreazione portavano con entusiasmo i mattoni sui ponti e poi le tegole sul tetto. Tutto il lavoro proseguito in quest'anno venne ultimato sul principio del 1864

                D. Bosco sotto que' portici fece porre quattro iscrizioni.

 

I.

 

                Ne tradas bestiis animas confitentes tibi et animas pauperum tuorum ne obliviscaris in finem. Psal. LXXIII. 19.

                Non dare in potere delle bestie le anime di quelli che ti confessano, e non ti scordare per sempre delle anime de' tuoi poveri.

 

II.

 

                Praeoccupemus faciem ejus in confessione et in psalmis jubilemus ei. Psal. XCIV, 2.

                Corriamo, a presentarci davanti a Lui coll'orazione e coi salmi celebriamo le sue lodi.

 

III.

 

                Qui abscondit scelera sua non dirigetur: qui autem confessus fuerit et reliquerit ea, misericordiam consequetur. Prov. cap. XXVIII, 13.

                Chi nasconde i suoi delitti non avrà bene: ma chi li confessa e li abbandona, otterrà misericordia.

 

IV.

 

                Non confundaris confiteri peccata tua et ne subjicias le omni homini pro peccato. Eccl. capo IV, 31

                Non ti vergognare di confessare i tuoi peccati, ma non ti soggettare a verun uomo per far peccato.

 

                Mentre alacremente si lavora ad innalzare la fabbrica, Don Bosco in mezzo a quella fosca successione di tempi, ricevuta [427] il 23 marzo l'ultima isposta dal Ministero, vedeva che l'unico mezzo per conservare le sue scuole era quello di tenersi alla legalità. Venne quindi nella deliberazione d'inscrivere i suoi chierici regolarmente all'Università. Ma allora fu dichiarato essere necessario che gli alunni di D. Bosco si assoggettassero all'esame di licenza liceale.

                Tante difficoltà sorgevano una dopo l'altra di mano in mano che si presentavano nuove ragioni. Calcolatamente si opponevano gli ostacoli in modo che D. Bosco dovesse stancarsi e desistere.

                Egli però trovava un'altra via e legale che lo traesse da quelle angustie. I maestri di ginnasio nell'Oratorio avevano compiuto il corso di Filosofia in Seminario sotto insegnanti laureati nella Regia Università: ora l'esame di detta materia preso nel Seminario sembrava potesse bastare, secondo certe disposizioni legali antiche, o almeno secondo l'interpretazione loro data da più anni, a supplire all'esame di licenza liceale. Infatti varii sacerdoti erano stati ammessi all'anno accademico con questo solo titolo.

                Oltre a ciò D. Bosco mirava, per quanto le leggi lo permettevano, ad abbreviare i corsi dei suoi insegnanti. E i n questo senso faceva da loro presentare un ricorso al Rettore dell'Università,[39]. [428]

                A questa domanda egli univa un attestato, in carta bollata e col sigillo del Capitolo della Chiesa Metropolitana, degli studii fatti dai ricorrenti nel Seminario.

 

                Giuseppe Zappata Dottore Coll. in Teol. Can. Arciprete nella Metropolitana di Torino, Uffiziale dell'Ordine Mauriziano e, vacando la sede Arcivescovile, Vicario Gen. Capitolare.

                A chiunque fa d'uopo certifichiamo ed attestiamo che li signori, Don Giovanni Francesia da S. Giorgio e chierici Francesco Cerruti da Saluggia, Celestino Durando da Farigliano e Giovanni Anfossi da Vigone, hanno fatto il corso di Filosofia frequentando le scuole di questo Seminario Arcivescovile e ci consta che li medesimi subirono con esito assai favorevole li prescritti esami, tanto nella metà che in fine di ogni anno e si comportarono ognora in modo lodevole ed irreprensibile.

                Torino, li 27 marzo 1863,

 

GIUSEPPE ZAPPATA Vic. Gen. Cap.

Teol. GAUDE pro Cancelliere.

 

                Al precedente attestato D. Bosco aveva aggiunta una sua dichiarazione essa pure in carta da bollo indirizzata al Rettore dell'Università.

 

DICHIARAZIONE.

 

                Il sottoscritto dichiara che gli insegnanti Francesia Giovanni, Cerruti Francesco, Durando Celestino ed Anfossi Giovanni da sette anni [429] prestano gratuitamente l'opera loro in qualità d'insegnanti a favore dei poveri giovani accolti in questa casa, detta Oratorio di S. Francesco di Sales. Essi sono in modo particolare commendevoli per la loro esemplare condotta morale e per le molte fatiche con alacrità sostenute, perciocchè mentre insegnarono nelle rispettive classi, fecero eziandio regolarmente i loro studii teologici, e frequentarono da cinque anni in qualità di uditori le lezioni di lettere greche, latine ed italiane e da un anno anche di storia.

                Per questi motivi si raccomandano caldamente alla nota bontà dell'Ill.mo sig. Rettore della R. Università di Torino, affinchè voglia loro concedere tutti quei favori che nella sua prudenza e saviezza ravviserà compatibili colle vigenti leggi.

                Si fa rispettosamente notare a V. S. Ill.ma che ogni favore concesso ai supplicanti ridonda totalmente a vantaggio di un'opera di pubblica beneficenza, che ha per oggetto di usare tutti i mezzi possibili per porre la gioventù povera o meno agiata in uno stato da potersi guadagnare onestamente il pane della vita.

 

                Torino, 28 marzo 1863.

 

Sac. Bosco GIOVANNI Direttore.

 

                A questo nuovo ricorso fu risposto che le disposizioni citate degli antichi regolamenti si potevano ritenere per abrogate.

                Il Rettore dell'Università di Torino, Ercole Ricotti, Professore di Storia moderna e di arte critica, non era stato l'ultimo ad essere visitato da D. Bosco. Ricotti, autore di molte opere storiche, di una storia d'Europa e specialmente d'Italia, godeva gran fama nel campo liberale. Aveva letto la Storia d'Italia ad uso della gioventù, stampata da D. Bosco ed aveva ascritto a pochezza d'ingegno ed a lieve coltura, quello che era aurea semplicità di stile e di dettato, come ebbe a dirne il Tommaseo. Gli facevano eziandio velo alla mente le sue idee avverse alla Chiesa. Varie volte D. Bosco erasi recato all'Università e alla sua casa, ma eragli sempre stata negata l'udienza. Ricotti si teneva personalmente offeso per certi giudizi di D. Bosco intorno alle sue Opere, che alcuni impiegati gli avevano calunniosamente: riferiti. [430] Per tentare un'ultima prova andò a trovarlo all'Università. Si attendeva secondo il solito di sentirsi rispondere che il Rettore era occupato e non poteva riceverlo, quando una circostanza favorevole venne in suo aiuto. In quell'istante si aperse la porta dell'ufficio del Rettore e usciva Ricotti in persona per dare un ordine al bidello. D. Bosco fu lesto a piantarsi innanzi a quell'uscio pel quale il Rettore doveva rientrare.Infatti non tardò a ricomparire. Egli conosceva D. Bosco, perchè più di una volta nei tempi andati si era trattenuto con lui, ma fe' vista di non riconoscerlo.

                D. Bosco appena gli venne innanzi, gli disse: Mi permette una parola? Con chi ho l'onor di parlare?

                 - Sono il povero D. Bosco.

                 - Ah! sì, si! D. Bosco! Quel prete che ha parlato male di me ed ha screditata la mia Storia d'Europa!

                 - Signor Professore! Ella s'inganna a gran partito. Io non ho mai scritto male della sua opera.

                 - Sì, sì! Lei ha pubblicato che la mia storia è menzognera... su! non ricorriamo a sotterfugi, parliamoci chiaro, .... intendiamoci subito e bene, .... confessi candidamente ciò che io affermo... - E dicendo queste parole introduceva D. Bosco, nel suo ufficio, e fattolo sedere e sedutosi a lui vicino, continuò:

                 - È vero sì o no, che ella si è permessa di proferire parole sconvenienti riguardo alla mia opera?

                 - Io l'assicuro che non ho mai fatto, detto, scritto cosa qualsiasi contraria all'opera sua.

                 - Ma intendiamoci; replicò il Rettore; approva ella sì o, no, ciò che io espongo nella mia Storia d'Europa?

                 - Oh! questo poi no, signor Professore.

                 - Aaah!... è qui che io la voleva, ripigliò il Ricotti; è qui! E perchè, sig. D. Bosco, questa sua disapprovazione?

                 - Perchè ella contraddice apertamente alla verità. Senza discorrere vagamente in generale, veniamo subito a qualche [431] particolarità. Veda, signor professore, ella parlando di Leone X, mi dice che colle frodi riuscì ad occupare il Pontificato; e, benchè menasse vita ipocrita e inoperosa, pure sì ebbe il nome di Magno dai suoi cortigiani; e, contro i suoi meriti, il suo secolo prese il nome da Lui. Ora conosce ella il Voit? Ebbene costui è un autore Protestante, eppure parlando di questo Pontefice mi dice, che per la sua vita piena di opere belle e buone onorò grandemente il Pontificato, che niuno meritò quanto lui del suo secolo, che giustamente e necessariamente il medesimo secolo dovette prendere il nome da lui: e gli tributa omaggio ed elogi ammirabili. Ora, mi dica lei, signor Professore, a chi debbo io credere di preferenza? A lei che si professa cristiano e mi scredita sì malamente un Pontefice così grande, oppure ad uno che, avendo ogni interesse a screditarlo, lo innalza e lo sublima con panegirici i più entusiastici? Il Professore si trovò imbarazzato a rispondere: cercò ragioni, scuse, ma dovette convenire che D. Bosco non aveva torto. - Passò quindi a fare le meraviglie per la non mai, come esso diceva, abbastanza apprezzata opera di D. Bosco sulla Storia d'Italia e dicevagli: - Come mai la S. V. con tante e così gravi occupazioni, ha potuto ideare e riuscire in cosi mirabile modo in un lavoro così bello e così difficile?

                D. Bosco però che non era venuto per sentire elogi, che capiva non esser sinceri, non tardò a parlare delle sue scuole, che si volevano chiudere, dei suoi professori che non si volevano ammettere all'esame, e della necessità per lui di avere quanto prima insegnanti approvati. Ricotti lo ascoltò con molta benignità e promise da parte sua ogni protezione, protestando che l'opera di provvidenza intrapresa in favore dei giovanetti poveri ed abbandonati si meritava ed aveva tutta la sua benevolenza.

                D. Bosco sperò di avere il suo appoggio, ma la risposta tardava, perchè Ricotti non ammetteva per legale l'esame di [432] Filosofia preso in Seminario e l'abbreviare i corsi di Università.

                Ma quando ogni ostacolo sembrava insormontabile, il Preside della Facoltà Filosofico - Letteraria, Prieri Bartolomeo, professore di Letteratura Greca, s'interpose presso Ricotti, perchè gli alunni di D. Bosco, in vista delle lezioni frequentate all'Università, fossero dispensati dall'esame di licenza liceale; e colla sua influenza fece desistere gli oppositori dell'Oratorio da tale pretenzione.

                Infatti in risposta al ricorso presentato dagli insegnanti dell'Istituto del S. Francesco di Sales in Valdocco, giungeva a D. Bosco dalla Regia Università la seguente determinazione.

 

                Visto il voto del Consiglio accademico e la proposta del sig. Rettore di questa Regia Università, il Ministero dell'Istruzione Pubblica consente che i ricorrenti siano ammessi ai corsi della facoltà di lettere con dispensa dall'obbligo di presentare la licenza liceale, ma purchè sostengano con buon successo l'esame di ammissione.

                Si restituiscono le carte e titoli presentati a corredo.

                Torino, li 3 maggio 1863.

 

Il Rettore

RICOTTI.

 

 

CAPO XLII. Cortesia di D. Bosco nel prestarsi a raccomandare ai suoi conoscenti coloro che si recano in altri paesi - Sua longanimità, anche delusa, ma paziente, nell'attendere che i proprii debitori mantengano le loro promesse - Letture Cattoliche - D. Bosco continua a preparar fascicoli sulle vite dei Papi - Dona copie della sua Storia d'Italia a personaggi del Governo - Risposte alte lettere di D. Bosco chiedente sussidii: del segretario generale del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, del Conte Cibrario primo segretario di S. M. nel gran Magistero dell'Ordine Mauriziano, del deputato Spaventa pel Ministro dell'Interno - D. .Bosco chiede e non ottiene dal Ministero il titolo di Barone per un signore pronto a beneficare l'Oratorio - Il Re assegna una cospicua somma per il tempio erigendo in Valdocco Afflizioni della Chiesa in Italia.

 

                SUL principio del mese di Maggio, da D. Bosco consecrato con tanto amore a, Maria SS., si erano calmate alquanto le questioni scolastiche. Nelle cronache dell'Oratorio non vi ha emoria di fioretti, di parlate, di fatti coi quali ricordare la divozione di D. Bosco e de' suoi giovanetti alla celeste Madre.

                Ci limitiamo pertanto a riferire qualche lettera che abbiamo raccolta, o ricevuta o scritta da lui in questo mese, dalla quale comparisce qualche sua amabile virtù non men bella [434] per quanto ordinaria, ma importantissima pel buon vivere sociale.

                A lui ricorrevano molte e molte persone per ottenere raccomandazioni e indirizzi, perchè sapevasi quanto già fossero estese le sue attinenze. Ed egli con quella gentilezza e cordialità, che rendevalo così amabile, mai si rifiutava; anzi non rare volte si offeriva non chiesto a rendere loro questo servizio e ad ogni classe di persona. Così diportossi in tutta la sua vita e le prove che ne abbiamo sarebbe, come ognuno capisce, cosa troppo noiosa il riferirle. Questo però ci rammenta una lettera scritta a D. Bosco nei primi giorni di maggio da un Canonico di Nizza Marittima, quello stesso forse che nel 1858 doveva ospitarlo, quando egli aveva pensato di ritornare in Roma. Don Bosco gli aveva raccomandato il Conte di Ciriè[40]. [435]

                Un'altra virtù non mai abbastanza notata era la calma di D. Bosco nel trattare gli affari materiali. Già più lettere noi abbiamo pubblicate da lui scritte, che confermano quanto asseriamo. E questa calma non si alterava, neppur quando veniva leso, o defraudato ne' suoi interessi anche solo deluso nell'aspettazione del tempo fissato per un pagamento, quantunque egli si trovasse in gravi angustie finanziarie. Il suo cuore non aveva il minimo attacco al denaro, benchè non trascurasse di far valere il suo buon diritto, quando la giustizia glielo imponeva. Questa giustizia aveva sempre di mira l'impedire un danno pe' suoi ricoverati. Tuttavia ogni anno erano somme rilevanti inesigibili, di pensioni ridotte al minimo non pagate dai parenti o dai tutori, sovente per disgrazie sopravvenute alle famiglie e anche per mala fede. Però i giovani convittori di buona condotta non erano rimandati alle loro case. Anche da istituti e associazioni civili o di beneficenza acconsentiva talvolta di accettare giovani, che altrimenti sarebbero rimasti derelitti, benchè prevedesse trattative noiose, contestazioni di spese, domande di rendiconti, equivoci nelle intenzioni, diffidenze, garanzie prestate e non mantenute. Ma la sua grande bontà tutto sopportava. Anche qualche Seminario, che aveagli mandati chierici o giovanetti da educare al Santuario, per i tempi calamitosi, per le imposte gravose, per il sequestro di beni ecclesiastici, per bisogni urgenti della diocesi, ai quali occorreva provvedere, era in certi momenti nell'impossibilità di mantenere gli impegni con D. Bosco. Ma egli quantunque dovesse coprire del suo molte spese era di una longanimità sorprendente.

                Perciò scriveva all'Ill.mo e Rev.mo Monsignore Canonico Sossi Vicario Generale Capitolare della città e diocesi di Asti. [436]

 

                               Carissimo Signore,

 

                Mi trovo in vero bisogno; se può saldarmi l'anno 1862, più il semestre dell'anno corrente mi farebbe un favore e nel tempo stesso una carità. Qualora assolutamente non si potesse procuri almeno di saldare quanto è scaduto.

                Mi rincresce molto di dare a Lei questi disturbi; e se sapessi di poter pari are al Sig. Canonico Magnone andrei, subito in Asti: ma l'incertezza di poterlo vedere, o che al medesimo pervengano le lettere, hannomi deciso di scrivere direttamente a Lei.

                Coraggio, caro Sig. Vicario, siamo in battaglia. Preghiamo! Speriamo e andiamo avanti.

                Gradisca i saluti di D. Alasonatti, del Cav. Oreglia e di tutta la nostra casa al cui nome mi professo

                Di V. S. Carissima

 

                Torino, 4 Maggio 1863

Aff.mo ed Obbl.mo amico

Sac. Bosco GIOVANNI

 

                In questo tempo andava scegliendo e ordinando i fascicoli delle Letture Cattoliche che dovevano essere pubblicati.

                Pel luglio: Vita ed Istituto di S. Angela Merici per Giuseppe Frassinetti priore a S. Sabina in Genova. In appendice dà notizia della Pia unione delle figlie di Maria SS. Immacolata fondata in Mornese nel 1855 e in poco tempo diffusa in tutta l'Italia. Conclude esponendo in che cosa consista l'Associazione del Rosario vivente, solennemente approvata da S. S. Gregorio XVI, e arricchita di preziosissime indulgenze.

                Per agosto: Antonio ossia il buon padre di famiglia. Versione Italiana del Sacerdote Pietro Bazetti. IE la vita commovente di un povero operaio, che fedele ai doveri del suo stato, pieno di fiducia nella Divina Provvidenza, sopporta la miseria, le malattie, l'abbandono di un figlio ingrato, e finalmente, senza uscire dalla sua umile condizione, riceve la ricompensa delle sue virtù.

                Pel settembre: L'esistenza reale di Gesù Cristo nel SS. Sacramento del padre Huguet e di altri accreditati autori. [437]

                Questo dogma viene dimostrato colla S. Scrittura e coi miracoli che avvennero in tutti i secoli. D. Bosco corresse le bozze del fascicolo e nella prefazione stampò una sentenza consolante: “Dopo la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione, sembra essersi in modo meraviglioso risvegliata da per tutto la venerazione e la confidenza verso il SS. Sacramento”.

                Per ottobre: Cenni storici intorno al giovane Ezio Gherardi di Lucca. Fu un santo chierico e morì suddiacono a 21 anno nel 1861. Egli erasi dedicato specialmente ad insegnare la Dottrina cristiana ai giovanetti; recavasi nelle domeniche ad ammaestrarli nella Chiesa parrocchiale, ed ogni giorno prestava la ua opera nella scuola notturna di Maria SS. del Gonfalone, ora, per mutazione del luogo, chiamata della Croce.

                L'Armonia il 6 ottobre annunziava questo fascicolo in un articoletto, che D. Bosco le aveva mandato, con una bella conclusione: “Giovani leviti italiani, ecco qua un vostro compagno, un vostro fratello, che, sebbene cinto della: stessa carne ed esposto agli stessi pericoli che voi, pure, come un raggio di sole in mezzo al sudiciume, visse innocente e piissima vita. O generosi e cari giovanetti, specchiatevi in sì bell'esemplare, e confidando in quel Dio, che a sè vi chiama, adornatevi anche voi delle stupende ed amabili virtù, che resero degno il Gherardi di affrettare il volo alla seconda vita”.

                Senonchè mentre D. Bosco faceva stampare dalla tipografia dell'Oratorio questi fascicoli di varii autori, pensava a prepararne egli stesso altri, sempre bene accetti agli associati. Perciò scriveva al Sig. D. Frattini, Prefetto dei Tommasini nella Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino.

 

                               Carissimo D. Frattini,

 

                Nel mio lavoro sulla vita dei Papi ho come per testo il Baronio. Ora trovandomi in principio del 4° secolo, ho cercato al Convitto di avere il 3° T. di questo autore, che segue quello che ho tuttora sul tavolino [438], e mi fu detto che era alla Piccola Casa. La cosa stando così, io mi dichiaro ritentore del 2° Tomo, ma avrei bisogno che tu pregassi il Sig. Padre da parte mia a fare a me ed ai Papi, alla cui gloria mi sforzo di scrivere, il favore di imprestarmi il 3° Tomo. Nota per altro che io lo uso con riguardo, ma che ho bisogno di tenerlo qui per servirmene all'uopo durante il tempo compreso in quel volume.

                Ogni bene sia sopra di te, sopra il venerato Sig. P. Anglesio e sopra tutta la Piccola Casa. Amen.

 

                Torino, 12 Maggio 1863.

 

Tuo aff.mo. Amico

Sac. Bosco GIOVANNI

 

                In questi giorni finalmente le Autorità civili rispondevano alle suppliche, che D. Bosco aveva loro presentate in iscritto nel mese di febbraio.

 

                MINISTERO DI GRAZIA GIUSTIZIA E DEI CULTI.

 

Torino, 23 Maggio 1863.

 

                               Ill.mo e Molto Rev. Signore,

 

                Ho l'onore di restituire alla S. V. Rev.da il ricorso diretto al Sindaco di questa città e di assicurarla che sarò lietissimo se potrà ottenerle, come spero, sui fondi dell'Economato il sussidio necessario per attuare l'utilissima e pia opera da Lei designata.

                Si compiaccia poi di gradire i miei ben distinti ringraziamenti pel pregievolissimo dono ch'Ella ebbe la cortesia di, farmi; leggerò quel dotto volume con vero piacere ed imparerò così ad amare e stimare sempre più un uomo, che per la sua virtù, pel suo ingegno e per le angeliche sue doti è uno dei più belli ornamenti di questa nostra Torino.

                Aggradisca, Signore, gli atti della mia rispettosa stima e mi creda qual mi dichiaro,

                Di V. S. M. Rev.da

Dev.mo servo

EULA Seg. Generale.

 

                L'opera pia a cui allude nel primo periodo si è la Chiesa erigenda; il dono a cui accenna è la Storia d'Italia, edizione quarta.

                Anche il Ministro Pisanelli riceveva in omaggio un simile regalo. [439]

 

                MINISTERO DI GRAZIA GIUSTIZIA E DEI CULTI.

 

Torino, il 26 Maggio 1863.

 

                Il Ministro Guardasigilli mi ordina di ringraziare la S. V. del gentil pensiero avuto nell'inviargli una copia della sua Storia d'Italia.

                Adempio volentieri a tale obbligo e La prego credermi di Lei,

 

Devotissimo

L. BRANCACCIA.

 

                Silvio Spaventa, deputato di Vasto, sempre alto impiegato al Ministero dell'Interno, qualche tempo dopo ringraziava pure D. Bosco per una duplice cortesia che aveagli usata.

 

                MINISTERO DELL'INTERNO.

 

Torino, 30 Agosto 1863.

 

                               Rev.mo Signore,

 

                Le sono assai tenuto della gentilezza usatami coll'invio della Storia d'Italia da Lei compendiata a prò della gioventù; e La ringrazio pure dell'avviso contemporaneamente datomi dell'ammessione del Copperi in codesta pia Casa.

                Gradisca un novello attestato di quella piena stima e considerazione con cui godo segnarmi

 

Suo dev.mo Servo

S. SPAVENTA.

 

                E' ammirabile la franchezza colla quale D. Bosco continuava a donar copie della sua Storia d'Italia ai primarii personaggi politici anche suoi avversarii. Quella Storia era stata malignamente incriminata dalla Gazzetta del popolo, criticata per i principii cattolici dalle Autorità dello Stato, eppure veniva accettata con piacere dalle sue mani.

                La seconda lettera che riceveva D. Bosco in risposta alla sua di febbraio era la seguente. [440]

 

                IL GRAN MAGISTERO DELL'ORDINE DEI SS. MAURIZIO E LAZZARO.

                               N° 2152.

 

Torino, il 29 Maggio 1863.

 

                Le molte largizioni già state accordate in quest'anno per ristauri e costruzioni di Chiese e quelle già promesse alla Basilica di Pavia e alla Chiesa Cattolica di Londra, avendo esaurito il fondo stanziato nel Bilancio Mauriziano per essere erogato in pie sovvenzioni, io lui trovo per ora nell'impossibilità di promuovere da Sua Maestà il Re, Generale Gran Mastro, una largizione sul tesoro di quest'Ordine per la Costruzione di una Chiesa in Valdocco.

                Nel venturo anno però vedrò modo di appagare il di Lei desiderio, coll'ottenere da S. Maestà la concessione di un sussidio sul Bilancio 1864, quale concorso dell'Ordine Mauriziano nell'attuazione del pio divisamento di V. S. Ill.ma e M. R.

                Pregiomi intanto rinnovare gli atti della mia distinta considerazione.

 

Il Ministro di Stato

Primo segretario di S. M. - Senatore del Regno.

CIBRARIO.

 

                D. Bosco finora non aveva ottenuto altro che promesse, ma non cessava in giugno di battere alle porte del Ministero e a quelle del palazzo reale.

                Il Ministro Peruzzi gli faceva rispondere:

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Divis. VI, Sez. II. N.° 3773.

 

Torino, addì 13 luglio 1863.

 

                Il favore che la S, V. ha domandato colla lettera 26 scorso Giugno per un sussidio di una somma, valevole a toglierla dagli imbarazzi in cui versa, esce assolutamente dalle facoltà del Ministero, il quale ha una somma relativamente assai tenne a disporre per gli Istituti di tutta l'Italia: e fra essi quello di S. Francesco di Sales conseguisce già annualmente una parte rilevante.

                Avrei ben voluto poter accorrere in suo sussidio, conscio come sono della carità con cui Ella si adopera in ogni modo per dar ricovero vitto ed educazione a quanti giovanetti Le si presentano ad invocare la sua protezione, in un numero forse di gran lunga maggiore a quello [441] che permetterebbero le sue forze e quelle dei generosi usati a sussidiarla, mercé cospicue largizioni

                Ho dovuto però considerare che avrei peccato di grave ingiustizia verso gli altri stabilimenti, che non versano in condizioni migliori del suo ed ai quali tuttodì son costretto negare i sussidii che mi vengono cercando, onde serbare pei casi estremi il poco che rimane al Ministero.

                Quanto a me credo di non aver mancato, nel farle corrispondere qualche sovvenzione ogni qualvolta Ella ha aderito all'accettazione di qualche povero giovane da me raccomandato: ed ove mai qualche dimenticanza fosse occorsa, Ella non avrebbe che a rammentarmelo Per l'avvenire non ommetterò di fare altrettanto occorrendo, anche in più larga misura, nelle occasioni che si presentassero, in cui non potessi dispensarmi di proporle l'accettazione di qualche altro derelitto.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

                D. Bosco tentava un'altra via presso lo stesso Ministro, probabilmente per consiglio del Conte Cibrario, cioè che venisse compensata la generosa offerta di un benefattore per l'Oratorio, con un titolo di nobiltà. Il Ministro Peruzzi mandava la risposta per mezzo della Prefettura.

 

                PREFETTURA DELLA PROVINCIA Di TORINO.

 

Torino, addì 17 luglio 63.

 

                Il Ministero dell'Interno con dispaccio 13 corrente ha dichiarato di non aver trovato essere del caso il prendere in considerazione la domanda al medesimo fatta dal Sac. Sig. Giovanni Bosco, perchè fosse concesso il titolo Baronale al Signor G……G……da Saluzzo, che per tale onorificenza avrebbe sborsata la somma di lire 10 mila all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino dal suddetto Sacerdote attualmente diretto.

                Tanto si partecipa al suindicato Sac. Signor Bosco Giovanni ad evasione della suddetta sua domanda.

 

pel Prefetto

RADICATI.

 

                D. Bosco colle sue lettere se non riuscì ad avere sussidii, otteneva almeno di farsi sempre vivo nelle sfere ufficiali,  [442] come rappresentante della pubblica beneficenza e le risposte che gli venivano fatte potevano a tempo e luogo valergli per una raccomandazione. E poi l'umile insistenza per amore della carità non permetteva che fosse sempre rimandato a mani vuote. Infatti il suo ricorso al Re per la nuova chiesa ebbe finalmente un consolante riscontro.

                Il 30 Luglio l'Economo generale Abate Vachetta annunziò a D. Bosco:

 

                Sua Maestà si è degnata concederle su la Tesoreria dell'Economato generale la somma di lire seimila per aiutarla nella costruzione di Una Chiesa in Valdocco, a pagarsi per la metà quando le fondamenta saranno elevate al suolo, e l'altra metà allorchè la chiesa giungerà al coperto, con che vi sia nominata un'apposita Commissione dell'Autorità competente e fatta conoscere all'Economato generale.

 

                Ma di questa somma però si sarebbe sborsata la prima quota nel 1865, e la seconda nel 1868, sicchè D. Bosco non poteva trarre da tale assegno nessun vantaggio immediato, e di più assegno sottoposto al Sindacato del Ministro di Grazia di Giustizia e dei Culti. Il Ministro Pisanelli, nel trasmettere la lettera del Re all'Economo generale, così gli scriveva il 27 luglio:

 

                Gli assegni (di cui in detta lettera) non saranno pagati se non dopo che si sarà fatto risultare a questo Ministero, che siano state nominate dall'Autorità competente apposite Commissioni, inoltre saranno gli assegni stessi corrisposti in due rate la prima quando le fondamenta saranno elevate dal suolo e la seconda quando le due chiese saranno al coperto ecc.

 

                Da simile biglietto si viene a sapere che eziandio il Teol. e parroco Arpino, il quale stava costruendo la Chiesa di San Pietro e Paolo a Portanuova in Torino, aveva ricevuta dal Sovrano e colle stesse condizioni imposte a D. Bosco, un simile assegno.

                Ma nello stesso tempo che si promettevano favori a Don [443] Bosco, in Torino presso il teatro intitolato a Vittorio Emanuele, sopra un terreno ceduto dalla Lista civile, si era messo mano alla fabbrica d'una sinagoga per gli Ebrei: e il Ministero favoreggiava a tutto potere l'istituzione di templi e congreghe protestanti. Il Tanucciano Avvocato Pisanelli Ministro di Grazia, Giustizia e per i Culti, perseguitava accanitamente in tutta l'Italia il clero, che si conservava fedele alle leggi e alla disciplina della gerarchia cattolica. Per certi Te Deum, per l'oremus pro rege omesso nella settimana santa, pel rifiuto di assolvere sacramentalmente gli indegni, per negata sepoltura ecclesiastica ad uno scomunicato, per maligna interpretazione data da un mariuolo qualsiasi a massime evangeliche esposte dal pergamo; minacce, perquisizioni, prigionie, multe. Per que' preti sciagurati che avevano sottoscritto l'indirizzo di Passaglia al Papa ed erano sospesi a divinis perchè ostinati nella ribellione, si davano benefizii ecclesiastici, rettorie di chiese vacanti, canonicati, pensioni, cattedre, onorificenze, croci di cavaliere e di commendatore. Sì giunse perfino a minacciare un processo criminale a qualche Vescovo se avesse inflitte loro le pene canoniche, e furono poi gettati in carcere l'Arcivescovo di Spoleto e quello di Urbino. Si voleva uno scisma. Noteremo ancora che il fisco aveva scacciato, dal principio del 1861 fino al giugno 1863, circa 14.000 tra religiosi e monache, da 803 conventi, prendendo possesso de' loro beni, come pur di quelli di 104 chiese collegiate. La sola Sicilia era ancora immune da questo saccheggio, perchè il Governo temeva pel momento qualche terribile resistenza popolare.

 

 

CAPO XLIII. Ispezione nell'Oratorio provocata dal Cav. Gatti - Visita alle scuole - Dante, Guelfi e Ghibellini e il dominio temporale dei Papi - Belle parole e tristi fatti - D. Bosco si presenta al Ministro della Pubblica Istruzione - Gli accusatori messi in confronto con D. Bosco e loro smacco - I consigli del Ministro - Tranquillità assicurata.

 

                UN alto funzionario aveva, detto a D. Bosco in tempo, delle perquisizioni nel 1860, dopo averlo udito parlare di diritti civili e di leggi scolastiche:

                 - Ma lei ne sa più di un avvocato! Ha forse studiato legge?

                 - Ho letto qualche cosa! - rispondeva D. Bosco.

                Egli infatti, benchè pieno di fiducia in Dio, da parte sua nulla rimetteva al caso, ma aveva letto qualche cosa anche nel 1863. Infatti, come abbiamo visto, nelle ultime questioni sui diplomi, erasi occupato nello studio delle sue ragioni e de' mezzi per farle valere. Quindi è anche questo il motivo del decreto di approvazione concesso dal Regio Provveditore Selmi a favore delle sue scuole; e in gran parte dell'ottenuto esame di ammissione alla facoltà di lettere per i suoi insegnanti.

                Ma queste vittorie riportate da D. Bosco parve che togliessero il sonno al Cav. Gatti, il quale, nella speranza di spuntarla pur una volta, provocò dal Ministero una nuova visita ed ispezione nell'Oratorio. Si era sulla fine di maggio, quando un mattino verso le nove un signore elegantemente [445] vestito si presenta all'Oratorio e domanda di D. Bosco. Era costui il Sig. Ferri, professore di filosofia, ispettore delle scuole secondarie classiche per la parte scientifica. Fatti i primi convenevoli, il professore gli annunzia come fosse incaricato, dal Ministro di Pubblica Istruzione di fare una ispezione alle scuole dell'Istituto; e ne mostra il mandato.

                D. Bosco non tralasciò di fare qualche riflesso sulla convenienza di ripetute inquisizioni nella casa di un libero cittadino, che albergava caritatevolmente e gratuitamente istruiva più centinaia di poveri giovanetti del popolo, ma in ossequio dell'Autorità che la S. V. rappresenta, egli soggiunse, io passo sopra ad ogni osservazione, ed ella eseguisca pure il suo mandato. Mi raccomando solamente che non si facciano ai giovani domande inopportune e non si getti lo sgomento nei loro animi. - E in cortesi parole gli venne promesso.

                Troppo lungo sarebbe il riferire le domande fatte dall'ispettore e le risposte date dagli allievi in ciascuna delle cinque classi del ginnasio, e perciò ne daremo solo un semplice cenno. Notiamo anzitutto che il professore sebbene si mostrasse con D. Bosco, coi maestri e cogli allievi cortese e garbato, dava tuttavia a divedere che ei faceva una visita con un piano preconcetto, non per esaminare, ma per iscoprire, non per sapere se gli alunni erano istruiti, ma per sorprenderli, non per conoscere la legalità dell'insegnamento, ma le idee ed opinioni politiche, che da essi erano professate. Lasciando a parte la letteratura latina, egli scelse di trattenersi su materia più acconcia alla sua capziosa ispezione. Nelle classi superiori i nterrogò sopra Dante Alighieri, e nelle inferiori sulla geografia d'Italia; anzi in alcune scuole, chiamati a sè presso la cattedra alcuni dei giovani, spinse le sue indagini sin nel santuario della coscienza.

                Nella 1a e 2 a rettorica, ossia in 4a e in 5 a classe ginnasiale, si fermò mattino e sera sopra la prima Cantica della Divina Commedia, e a tutti gli altri preferì quei canti e quelle terzine,  [446] dove il poeta per mire politiche e personali inveisce ingiustamente contro i Papi e specialmente contro Bonifacio VIII, che reputava cagione di sua cacciata da Firenze. L'ispettore pertanto domandò l'origine dei Guelfi e dei Ghibellini, quali le idee degli uni e degli altri, a quali partiti corrisponderebbero oggidì in Italia, a quali dei due apparteneva Dante, che opinione avesse egli intorno al dominio temporale del Papa, se i Papi avessero fatto del bene o del male all'Italia, ed altre consimili interrogazioni più o meno insidiose. Con queste pare che egli mirasse a trarre dai giovani qualche risposta poco considerata, la quale gli servisse almeno, di pretesto per riferire che la istruzione, che s'impartiva nell'Oratorio, era avversa alle moderne istituzioni del Governo; ma per la Dio mercé e per la corretta condotta e prudenza dei professori e degli alunni ei fu deluso nella sua speranza.

                Nelle classi del ginnasio inferiore interrogando sulla geografia d'Italia, trovò finalmente di che rallegrarsi. Un giovane della prima nel dire la divisione dell'Alta Italia, si lasciò sfuggire, quasi per abitudine, l'antica denominazione di Lombardo Veneto, siccome appartenente all'Impero Austriaco. Ciò udito, il signor ispettore diede tosto segno di grande stupore e disapprovazione, e disse: - Come? E non sa ancora che dal 1859 la Lombardia è disgiunta dal Veneto, ed appartiene al Regno d'Italia? E le importa si poco il conoscere le glorie della patria comune? - Al riflesso fatto tosto dal maestro che quello era un errore di lingua, cagionato più da consuetudine che da ignoranza, l'ispettore mostrò di crederlo, ma poi in difetto d'altro non tralasciò di segnalare questo fatto innocentissimo nella sua relazione e farne un aggravio all'Oratorio presso il Ministero.

                Ma una cosa, forse a suo malgrado, lo riempì veramente di maraviglia, e fu il silenzio, la disciplina, il buon ordine che trovò in tutte le scuole. Fra le altre la 3 a ginnasiale, composta [447] di oltre a 124 alunni, lo convinse che tal disciplina non era passeggera e fittizia, ma soda e reale. Terminata la visita, il maestro in segno di gentilezza volle accompagnarlo nell'altra scuola, ma l'ispettore cercò di dissuaderlo, adducendo per ragione che la sua assenza dalla classe, ancorchè solo momentanea, avrebbe dato a tanti vispi giovanetti ansa a levare rumore e mettersi in disordine. - Non tema, signor professore, rispose il maestro, perchè io sono sicuro, che niuno di essi aprirà bocca o si muoverà di posto. - Questo mi pare impossibile, riprese l'ispettore, impossibile che 130 scolari stiano zitti nell'assenza del maestro. - Si lasciò nondimeno accompagnare per un tratto e poi: - Ritorniamo indietro, disse, e andiamo ad ascoltare se fanno il silenzio che ella dice; e così dicendo si accostò pian pianino all'uscio della scuola, origliò e spiò dal buco della serratura, e trovò appunto tutta la numerosa scolaresca immobile e silenziosa, come se il professore sedesse in cattedra. A tal vista si allontanò di là, ripetendo: - Non, l'avrei mai creduto, non l'avrei mai creduto! Questa è una meraviglia e fa onore a lei e ai suoi scolari. Il professore era il chierico Celestino Durando.

                Quello che era una maraviglia per l'ispettore governativo, per quei della Casa era cosa usuale e succedeva in tutte le scuole; imperocchè i giovani dell'Oratorio apprendevano a fare il bene e a fuggire il male, non già pel riguardo dell'uomo, ma per riguardo di Dio; non pel premio o pel castigo del maestro o del superiore, ma per dovere di coscienza.

                L'ispezione del professore suddetto durò ben due giorni. Congedandosi ei si mostrò con D. Bosco grandemente soddisfatto, usando espressioni che facevano credere che la sua relazione al Ministero gli sarebbe stata favorevolissima. Oltre a questa testimonianza, D. Bosco aveva motivo ad aspettarla tale, e perchè i giovani avevano di fatto risposto adeguatamente, e perchè il detto ispettore godeva stima di uomo onesto e giudicavasi incapace di fare studiosamente un torto. [448]

                Ma a parole buone non corrisposero i fatti. In verità alcuni giorni dopo, con grande suo stupore e dolorosa sorpresa, D. Bosco venne a sapere da persona amica, che il signor Ispettore stava per presentare al Ministro una relazione malevolissima. Secondo questa: nell'Oratorio tutto era disordine, immoralità, reazione. - Noti, Vostra Eccellenza, scriveva il relatore tra le altre cose al signor Ministro, noti che avvi uno spirito così ostile al Governo, che in tutto quel vasto stabilimento non si rinviene il ritratto del nostro augusto Sovrano e signore. - All'udire tal cosa, fuvvi tosto chi disse: - Se la relazione è fatta in questo modo, è fuor di dubbio che vi entra la zampa del Gatti. - Nè questo era punto un giudizio temerario, poichè, oltre a quello che aveva già fatto contro l'Oratorio, dava ragione a sospettare di lui un suo confidente, che spesso lo rimproverava e cercava di ridurlo a sani consigli. Questi assicurò D. Bosco che quando il Gatti poteva rompere una lancia a danno di istituti governati da preti o da monache, ne menava vanto come di una prodezza, e ne andava in festa.

                Ma chiunque fosse il precipuo autore di cotale falsità, Don Bosco, appena avutone sentore, studiò di prevenirne le conseguenze, di spegnere cioè, come egli si esprimeva, i fulmini prima che ne succedesse lo scoppio, e di scongiurare il temporale prima che ne cadesse la grandine. A quest'uopo portossi al palazzo del Ministero e domandò di parlare coi Ministro della Pubblica. Istruzione Michele Amari, cui doveva essere presentata la relazione famosa. Era un giorno del mese di giugno. Ottenuta a stento l'udienza verso sera, ebbe luogo la seguente conversazione, accompagnata da un lepido episodio.

                 - In che cosa potrei servirla, mio caro abate? domandò il Ministro.

                 - Io sono continuamente vessato da perquisizioni, rispose Don Bosco, e non ne posso sapere la ragione. Prego perciò la E. V che me la voglia notificare. Io sono sempre stato [449] suddito fedele al mio Sovrano, e se mai fu trovato in me qualche fallo, desidero vivamente di conoscerlo per potermene guardare.

                 - In buona grazia chi è lei?

                 - Io sono il sac. Giovanni Bosco, direttore dell'Istituto detto Oratorio di San Francesco di Sales, avente per iscopo di raccogliere poveri ragazzi, per educarli ed istruirli e provvederli di una onesta carriera.

                 - Godo di poterla conoscere, e mi congratulo con lei del nobile ministero che esercita; ma ella non deve allontanarsi dalla lodevole meta che si è prefissa. Si dice che il suo filantropico Istituto abbia degenerato, e siasi convertito in una congrega di reazionarii, e che lei ricusi persino di sottomettersi agli ordini dell'Autorità scolastica. Ecco la ragione per cui venne ordinata una visita alle sue scuole. Credo peraltro che il signor ispettore abbia usato i riguardi dovuti a lei ed ai suoi allievi, come ho appunto ordinato.

                 - Ignoro gli ordini dati dell'E. V., ma posso dirle che si spinse la ispezione sino nei pensieri dei giovani; si fecero dimande spettanti più alla politica che alla materia d'insegnamento, e alcuni allievi furono fin anche interrogati sopra cose di confessione. Il simile aveva già fatto il cav. Gatti tre anni sono, meritando la disapprovazione dello stesso Ministro Mamiani.

                 - Questa non era di certo la missione del cav. Gatti, ne del professore da me incaricato. Essi devono presentarmi la relazione dell'ispezione da me ordinata, e da loro potrò avere le informazioni che ne attendo.

                Qui il Ministro suonò il campanello, e presentatosi un usciere lo mandò a chiamare i due mentovati signori. Venuti l'un dopo l'altro, nel crepuscolo della sera, , non si accorsero essi della presenza di D. Bosco, onde invitati si sedettero presso di lui per discorrere col Ministro, che, rivolto all'ispettore, domandò: [450]

                 - Come riuscì la visita fatta alle scuole di Don Bosco?

                 -  Come era da aspettarsi, Eccellenza. Dalla relazione che avrò l'onore di presentarle, la E. V. potrà avere una chiara idea del cattivo spirito, che domina in quell'Istituto.

                 - Per mezzo del cav. Gatti io l'aveva incaricata di esaminare la legalità degli insegnanti e della materia insegnata; orbene, come risultarono questi due punti?

                 - Poco soddisfacenti, Eccellenza; s'immagini che in quell'Istituto non vi ho neppur trovato il ritratto dell'augusto nostro Sovrano.

                 - Ma sulla legalità degli insegnanti e dell'insegnamento che cosa ha da dirmi? - riprese il signor Ministro un po' stizzito, perchè vedeva l'ispettore uscire affettatamente di carreggiata, e non rispondere a tono.

                 - A questo riguardo Don Bosco ha carpito un decreto di approvazione al regio Provveditore, che per quest'anno tollera quelle scuole.

                 - Dunque per la parte legale non havvi a ridire.

                 - Stiamo per altro carteggiando, disse qui il cav. Gatti, col regio Provveditore, e pare che il decreto da lui lasciato a Don Bosco non sia legale.

                 - Se pare solo che non sia legale, è segno che non è ancora deciso che non lo sia, e finchè la questione è pendente non dobbiamo inquietar alcuno. Ma D. Bosco si è lagnato che si fecero ai suoi giovani domande indiscrete ed inopportune, e questo mi rincresce.

                 - La E. V. avrà la bontà di persuadersi che ciò non è vero, riprese l'ispettore.

                 - Abbiamo qui lo stesso D. Bosco, soggiunse il Ministro; lasciamolo parlare, e così verrà appurata la verità; e guai ai menzogneri, ripetè con forza, guai agli impostori, che non tollererò giammai che mi traggano in inganno.

                Qui ognuno può figurarsi lo sbalordimento dell'ispettore e del Gatti, quando si accorsero di trovarsi con D. Bosco, e [451] udirono le risolute parole del signor Ministro. Non è iperbole il dire che il primo diventò rosso come lo scarlatto, per la vergogna di essersi di propria bocca dato a divedere uomo di due faccie, lodando a cielo le scuole dell'Oratorio alla presenza di D. Bosco e dei suoi maestri, e poi coprendole d'infamia alla presenza del Ministro; e che al secondo saltarono i brividi della febbre, pel timore che venissero finalmente scoperte le sue gherminelle contro dell'Oratorio e contro di tanti istituti di simil natura. Il fatto sta che il Gatti non sentendosi l'animo di sostenere quell'inaspettato incontro, sotto pretesto di dover spicciare affari di premura, domandò di allontanarsi per un momento e più non comparve, lasciando solo nell'impaccio il suo collega.

                E qui avvenne un episodio che vogliamo ricordare per far vedere quanto poco costi al Signore l'umiliare un uomo superbo, ancorchè potente. Tanta fu la confusione che in quel momento incolse il povero Gatti, che nell'uscire dalla sala sbagliò direzione, e invece di aprire l'uscio aperse un armadio. A quell'atto il Ministro sorrise, e adagio, adagio, disse, signor cavaliere; quello è un armadio; torni indietro; - ed alzatosi andò egli stesso ad aprirgli la porta. Il professore poi volendo mutar sito e scostarsi alquanto da D. Bosco, inciampò col piede nel piccolo strato, e per poco non cadde.

                Intanto partito il Gatti e postosi a sedere l'ispettore, Don Bosco, invitato dal signor Ministro, prese a parlare:

                 - Eccellenza, io la ringrazio della facoltà che mi dà di parlate. Io non intendo di accusare alcuno, ma di difendere: la mia causa e la causa dei miei fanciulli. Questi fanciulli furono interrogati indiscretamente, furono torturati con domande insidiose, con indegne insinuazioni contro ai loro superiori, e con parole che è bello il tacere. Una tale inquisizione è contraria allo Statuto, è contraria alla stessa onestà naturale, e se fosse conosciuta ecciterebbe la pubblica riprovazione. Aggiungo altro, ed è: Il signor ispettore alla presenza [452] mia, alla presenza di più altre persone dell'Istituto, confessò che le nostre classi potevano proporsi per modello di studio, di moralità e di disciplina, e che non vi aveva trovato che ridire: anzi soggiunse che sarebbe a desiderare che le pubbliche scuole fossero regolate come le nostre; e poi qui in faccia all'E. V. asserisce tutto il contrario. Dice che nel mio Istituto non si trova il ritratto dei Sovrano ed invece ne osservò ben tre in tre distinte camere.

                 - Sì, ma sono ritratti bruttissimi, riprese il professore.

                - Se sono brutti, replicò D. Bosco, la colpa non è mia, ma di chi li ha incisi o dipinti; se fossero più belli piacerebbero più anche a me. Ma una cosa non può piacere a nessuno ed è il nascondere il vero e travisare i fatti al cospetto delle pubbliche Autorità, a danno di chi consacra la propria vita a sollievo delle umane miserie e sopratutto a vantaggio della gioventù abbandonata. Questa è una congiura contro la verità e la giustizia, questo è un opprimere l'innocenza, questo è un ingannare il Governo.

                Dalla franchezza con cui parlava Don Bosco e dalle contraddizioni e dai cavilli dei relatori, il Ministro non tardò ad intendere da che parte stesse la ragione, onde: - Basta, disse, basta così; ho capito tutto. Ho capito che furono trasgrediti i miei ordini, e che per soprappiù mi si vorrebbe trarre in errore. Questo poi no. Ella, signor professore, vada pure in uffizio; ci riparleremo in altro tempo.

                Uscito l'ispettore il sig. Ministro prosegui a discorrere con Don Bosco, e disse:

                 - Non mi pensava di essere così malamente servito. Questo per altro mi è di norma per conoscere chi mi circonda. Ma intanto, per passare ad altro, ella, sig. D. Bosco, mi dica un poco su qual fondamento poggiano tante dicerie, che corrono così sfavorevoli a lei e al suo Istituto. Qualsiasi segreto, qualsiasi fatto, anche compromettente me lo confidi come ad [453] amico, e l'assicuro che non ne avrà danno, anzi, occorrendo, le darò opportuno consiglio.

                 - Mille grazie, Eccellenza, io le rendo della cortesia e della bontà con cui mi parla. Confidenza domanda confidenza. Orbene da quanto ha udito poc'anzi dai due relatori, ella può argomentare di tutte le altre imputazioni. La malignità e l'ignoranza accumularono menzogne sopra menzogne; queste furono segnalate dalla stampa, avversa ai sacerdoti e agli istituti di cristiana educazione; alcuni impiegati governativi le raccolsero e le vollero ritenere per verità, e in tal modo si andò formando una falsa opinione a mio danno, o meglio a danno dei miei giovanetti, che si vorrebbero da me allontanati, cacciati e dispersi. Ecco l'origine, ecco il fondamento delle male dicerie. Finora io non fui e non sono combattuto che colle armi della calunnia, e lo dico e lo affermo senza timore di essere smentito. Sono tanti anni che dimoro in Torino, ora sfido chiunque a citarmi una parola, una linea, un fatto che meriti biasimo in faccia alle Autorità, in faccia alle leggi, e ove si citi e si provi sono contento di essere severamente punito. Debbo invece aggiungere con dolore, che sono malamente corrisposto da chi dovrei essere, se non rimunerato, almeno rispettato e lasciato tranquillo. Non parlo dei capi del Governo, non parlo della E. V.; ma di certi subalterni i quali o per la vanagloria di essere creduti zelanti e progredire in carriera, o per un futile puntiglio, o per un sordido guadagno, si giovano del loro posto per tribolare gli onesti concittadini, a costo financo di compromettere i reggitori della pubblica cosa.

                Il Ministro lo guardava commosso. D. Bosco, quando sentiva in sè qualche contrasto di passione, allora pareva che la natura si lamentasse e il suo accento aveva qualche cosa di così dolce e di affettuoso, che piegava al suo volere chi lo ascoltava.

                 - Mi piace, proseguì il Ministro, questo schietto parlare e le ripeto che questa sua confidenza non rimarrà senza effetto: ma non ha ella pubblicata una Storia d'Italia, che mi dicono [454] contenere principii e massime incompatibili coi tempi nostri? - La Storia d'Italia, a cui fa cenno la E. V., fu scritta colla miglior volontà di un cittadino. Appena stampata ne mandai copia al Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Lanza, il quale la fece esaminate, e, trovatala preferibile a tutte quelle che correvano per le scuole, la encomiò, diede un premio di mille lire all'umile autore, e poco dopo venne annoverata tra i libri da distribuirsi in premio nelle pubbliche scuole. Essa fu presa ad esame e lodata da uomini competenti in materia, e tra gli altri da Nicolò Tommaseo. Ora non capisco, come un libro cotanto beneviso al Ministero e lodato da uomini di tal fatta, sia divenuto pericoloso allo Stato.

                 - Io ne ho letto una parte, e davvero che non vi ho trovato quel malaccio che taluni vanno dicendo. Notai però un capitolo in favore del potere temporale dei Papi.

                 - Io ho narrata la storia esponendo l'origine di questo potere, il suo ampliamento consecutivo, i vantaggi dai Papi recati all'Italia. Sfido di smentirmi in questo; e non ho col mio racconto detto parola contro l'attuale stato delle cose.

                - Sta bene; tuttavia dacchè ne, uscì la prima edizione, i tempi subirono un radicale cambiamento, le idee vestirono nuova forma, e parmi, che sarebbe anche bene, che ogni volta che il pollo vieti portato in tavola fosse pure diversamente condito e accompagnato con novello intingolo. Che ne pare a lei?

                 - Che ciò si faccia coi polli da portarsi a mensa, non ho che ridire, ma giudico che questo non si possa praticare coi fatti storici. La storia è sempre la stessa, perchè il vero non può essere falso, come il bianco non può essere nero. I fatti avvenuti una volta non mutano col mutare dei tempi, e perciò vanno presentati al pubblico come sono succeduti, e non già travisati o ravvolti in, abiti oppure in intingoli, che li facciano apparire tutt'altro da quello che sono; altrimenti la storia, cangiando col cangiar di gusto o di testa di chi la racconta [455] o di chi la scrive, invece di farsi stabile e verace maestra della vita, diverrebbe una mascherata, una contraddizione, una congiura contro la verità.

                 - È vero; le idee degli uomini variano, mentre i fatti tramandati dalla storia veridica ed imparziale non variano più. Tuttavia io consiglio la S. V. a rileggere la sua storia, e riscontrando certi riflessi, che pugnano troppo apertamente colle idee del giorno, li modifichi a segno che non offendano la suscettibilità di taluni. Mi ha ella compreso?

                 - Ho compreso benissimo, signor Ministro, e se la E: V. si degnerà di farmi notare le cose meritevoli di modificazioni, le do parola di farne tesoro per la prima ristampa del povero, mio lavoro.

                 - Siamo dunque d'accordo; ed ora lei vada tranquillo, che niuno andrà più a recarle disturbo. Nascendo difficoltà intorno alle sue scuole, venga pure direttamente dame e non dubiti. Finchè io sarò al Ministero della Pubblica Istruzione, lei avrà il mio appoggio e la mia protezione.

                 - Ringrazio V. E., conchiuse D. Bosco, di sua alta benevolenza, e io non potendo altro pregherò e farà pregare i miei giovanetti, giovanetti, che Iddio le conceda in compenso una vita lunga e felice, e a suo tempo una morte preziosa.

                 - Addio, o mio caro Abate, rispose il Ministro, stringendogli la mano.

 

 

CAPO XLIV. Don Bosco modello per fortezza di carattere - Soppressione del Collegio di S. Primitivo - I giornali contro gli ordini religiosi insegnanti - Traccia di lettere mandate da D. Bosco ai Ministri dell'Interno e dell'Istruzione pubblica in sua giustificazione - Il dolce dall'amaro - Stima dei giovani per D. Bosco guida dei loro studii - D. Bosco collabora nel formare la carta geografica postale del regno La festa di S. Giovanni - Felice esame de' chierici in Seminario - Splendidi esami di ammissione all'Universitá degli insegnanti nell'Oratorio.

 

                DA quanto abbiamo fin qui raccontato apparisce quale sia stata la fortezza di D. Bosco nel sostenere in tutta la sua vita tante batoste, ed era così evidente da essere apprezzata anche dalle persone del mondo profano. “Mi ricordo sempre, scrisse D. Cerruti Francesco, come il mio Professore di Rettorica, D. Matteo Picco, proponesse un giorno D. Bosco a tutta la sua scolaresca quale modello di fortezza, mentre ci esponeva la storia antica di Roma. E questa lode gli venne data anche da altri illustri personaggi. Ad esempio l'Alfani nel suo libro Battaglie e Vittorie ha un capo su D. Bosco e lo presenta come modello per fortezza di carattere”.

                Egli in verità non si era mai lasciato nè vincere, nè smuovere dalle opinioni correnti del giorno, si era fatto un piano di azione fin dal principio del suo apostolato, lo aveva [457] seguito nei tempi di vertigine liberale e lo continuava anche quando tutto minacciava travolgimenti repentini.

                In quanto alle sue opere era solito a dire: - Quando io incontro una difficoltà, sia pure delle più grandi, faccio come colui che andando per la strada ad un punto la trova sbarrata da un grosso macigno. Se non posso levarlo di mezzo ci monto sopra, o per un sentiero più lungo vi giro attorno. Oppure lasciata imperfetta l'impresa incominciata, per non perdere inutilmente il tempo nell'aspettare, dà subito mano ad altro. Non perdo però mai di vista l'opera primitiva interrotta. Intanto col tempo le nespole maturano, gli uomini cangiano, le difficoltà si appianano. -

                Questa costanza, che ha per fine la gloria di Dio, è propria solamente dei santi e il nostro Venerabile raggiungeva la mèta, perchè il suo spirito di sacrifizio non temeva gli incomodi, le fatiche e le umiliazioni; la sua anima generosa non si spaventava, mentre un timido ne avrebbe avuto ben donde in questi giorni.

                Infatti in Torino accadeva un deplorevole avvenimento.

                Il 16 giugno la Gazzetta ufficiale aveva pubblicato un decreto del Ministro Amari, col quale veniva chiuso il floridissimo Collegio Convitto dei Fratelli della Dottrina Cristiana intitolato da S. Primitivo. Non si adduceva altra causa se non il parere del Consiglio provinciale scolastico e dei Consiglio superiore di pubblica istruzione. Da molti anni si erano poste in opera ogni sorta di macchine per sterminare da Torino i Fratelli. Più inquisizioni  avviate a loro carico, riuscirono tutte a porne vie meglio in luce il merito e la virtù. Ma la perizia nell'istruire cristianamente la gioventù, indirizzata agli studii appropriati alle arti ed all'industria, meritava tutto l'odio dei nemici della Chiesa.

                Tornato vano ogni espediente, si ricorse a quello che suoi tornare sempre efficace, cioè ad accuse infami. Centinaia di famiglie degli alunni protestarono in favore degli imputati. [458] Vi fu processo e alcune condanne. Ma il vero motivo era che l'ottima riuscita dei giovanetti nel Collegio dava gran fastidio ai moralisti della Gazzetta del Popolo e tornava di peso intollerabile a coloro, che volevano della pubblica istruzione fare un monopolio del Governo: e il Diritto nel numero 164, dopo larga lode al provvedimento contro il Collegio di S. Primitivo, stampava: “So da qualche parte bisogna intraprendere la conquista di Roma, incominciamo dal toglierle la mente e l'anima dei nostri figliuoli. Noi domandiamo la soppressione degli ordini religiosi insegnanti”. Si volevano escludere gli ecclesiastici dall'insegnamento, per impedire che i giovani fossero allevati secondo la fede e la morale cattolica, poichè la ragione del Diritto tanto valeva per i buoni preti quanto pei religiosi.

                D. Bosco adunque, benchè superata l'ultima trama de' suoi avversarii, per assicurarsi sempre meglio la benevolenza del Ministro Amari e del Ministro Peruzzi, col quale pure aveva avuto un abboccamento scriveva al primo una lettera, al secondo un promemoria. Di questi due scritti non ci rimasero che traccie non finite e non corrette, ma noi crediamo bene di riprodurle, perchè si abbia un argomento di più intorno al modo col quale D. Bosco sapeva produrre sue difese in tempi così disastrosi per i buoni; all'arte colla quale confutava i suoi accusatori; alla tattica che usava per schivare certe questioni e non urtare in qualche scoglio.

                Esponiamo adunque pel primo l'abbozzo del promemoria mandato al Ministro dell'Interno Peruzzi.

 

                               Eccellenza,

 

                Sebbene io riposi tranquillo sopra quanto V. S. Illma. mi disse, cioè che occorrendo qualche osservazione a farsi su questa Casa, l'avrebbe senz'altro fatta a me stesso; tuttavia avendomi Ella parlato di alcune relazioni malevoli a Lei presentate e ciò avendo avuto qualche pubblicità ne' giornali, credo bene di notare qui alcune voci che vaghe e senza fondamento, giunsero a preoccupare il Provveditore [459] degli studii, il Ministro della Pubblica Istruzione e la stessa V. S. Esporrò le dicerie e loro darò risposta.

                I° Gli studii e lo spirito dei nostri chierici non è in armonia colle attuali istituzioni governative.

                R. I trattati, studii e disciplina dei chierici è quella stessa della diocesi e i nostri chierici frequentano regolarmente le scuole del Seminario Torinese ad eccezione di alcune istruzioni scientifiche, le quali, non potendosi avere in Seminario, vanno a riceverle nella nostra Regia Università. Credo che in ciò non vi sarà alcuna cosa da riprovare.

                2° Non vi è l'immagine del Re.

                R. Io potrei dire che non v'è nè manco quella del Papa e del Vescovo: potrei anche dire, non v'è alcuna legge che comandi o consigli tale cosa. Ma io posso dire e dico che questa seconda diceria è totalmente priva di fondamento. Il ritratto del Re vi è in più camere; e nelle tre camere d'ufficio vi è in tutte e tre un quadro rappresentante in effigie il nostro sovrano. Vi è questo ritratto nelle migliaia di giovani che, usciti da questa casa, adesso servono onoratamente la patria nelle file dell'esercito; vi è nel cuore dei giovani di questa casa, che mattino, e sera fanno speciali preghiere in comune pel loro Sovrano, e per chi con lui si occupa pel bene dello Stato.

                3° Ma la Storia d'Italia non è secondo lo spirito che si vuole.

                R. Questa Storia d'Italia non è libro di scuola. D'altronde io l'ho scritta invitato dal Ministro di Pubblica Istruzione, si è stampata sotto i suoi occhi e mi diede un regalo di franchi 300 alla prima copia che gli ho portata. Si ristampò già quattro volte, ma sempre sotto gli occhi del ministero, che, non è molto, con decreto speciale la riconosceva, o meglio, la annoverava tra i libri di premio. - È vero che nelle edizioni anteriori vi erano espressioni da variarsi dopo gli avvenimenti dei 1860, 61, 62 e queste espressioni furono modificate come ognuno può vedere nella quarta edizione che si è in quest'anno pubblicata.

                Qualora poi ci fosse qualche cosa che si meritasse disapprovazione mi si dica, e nella prossima edizione sarà corretta ........

                Presentemente io non domando dal Governo nè impiego, nè onori, nè danaro; domando soltanto il suo appoggio morale e il suo aiuto, affinchè di comune accordo io possa promuovere e dare il necessario sviluppo ad un'opera, che tende unicamente ad impedire che i giovanetti abbandonati vadano a popolare le carceri e che quelli i quali escono di colà non abbiano più a ritornarvi. Le quali cose mi sembrano tutte necessarie nell'interesse del Governo, ecc, ecc. ecc.

 

                Le modificazioni introdotte da D. Bosco nella Storia d'Italia, e che era pronto ad introdurvi non erano tali da mutare di un solo iota i suoi principii religiosi e il suo attaccamento [460] al Romano Pontefice. Abbiamo già visto come stampata la prima edizione, si assoggettasse a gravissima perdita piuttostochè togliere alcuni periodi che gli erano stati indicati. Su questo punto non avrebbe mai transatto; e lo faceva intendere abbastanza chiaramente al Ministro Amari nei colloquio avuto con lui, come pure nella lettera di cui abbiamo la traccia.

 

                               Eccellenza

 

                Pochi giorni or sono V. S. degnavasi di accettarmi all'udienza e mi dava segni di speciale bontà, esternandomi alcune cose a Lei riferite come non convenienti ed antipatriotiche.

                La stima ed il rispetto che ho verso V. E. non mi permisero di poterle esporre le cose nel vero senso ed è perciò che La prego di leggere ui con bontà quanto allora di passaggio Le accennava.

                Ella pertanto mi notava intorno alla Storia esservi cose non vere. Parlando a persona di scienza posso dire che Ella intenda non vere nel modo d'intenderle: perchè in quanto alla verità storica io mi sono fatto uno scrupolo per seguire gli autori più accreditati siano antichi, siano moderni. Riguardo poi al modo di intendere le cose, ovvero lo spirito della storia, le dirò che fra i diversi libri fatti stampare col mio nome hannovi la Storia Sacra, la Storia Ecclesiastica, e la Storia d'Italia. Queste tre operette furono tutte scritte sotto gli occhi e colla revisione dei Governo. Portai copia a tutte le autorità di ogni edizione appena terminata; e siccome il mio scopo ognuno può vederlo, in tutti i capi, di infondere cioè pensieri morali e condurre il giovane lettore alla considerazione della legge divina, che obbliga ogni uomo all'osservanza della legge umana, così non ebbi che parole d'incoraggiamento. Gli augusti figli di Vittorio Emanuele accettarono volentieri l'umile dono di que' scritti ecc. ecc.

                E qui probabilmente continuava ad esporre ciò che aveva scritto al Ministro dell'Interno.

                Queste lettere e sovratutto il colloquio col Ministro della Pubblica Istruzione, scongiurarono non solo la minacciata tempesta, ma posero la corona all'edifizio, o, per meglio dire, assicurarono il frutto della vittoria alle scuole ginnasiali di Valdocco, anzi a tutto l'Oratorio. Imperocchè il Prof. Amari [461] si persuase che D. Bosco, non avendo altro di mira che il giovare alla gioventù povera ed abbandonata, non era uomo da incutere timore al Governo e intanto si premunì contro i calunniatori. Il Gatti a sua volta cominciò ad esperimentare la verità del proverbio che dice: Tanto va la gatta al lardo che vi lascia lo zampino, e potè capire che se quel giorno ebbe a, confondersi così da entrare persino in un armadio, avrebbe potuto in altra occasione cader di seggio e rompersi la testa, e quindi rallentò, benchè non smettesse, la guerra ingiusta e vile ad un tempo che muoveva contro l'Oratorio.

                Interrogato da D. Bosco sui fatti riferiti fu udito più volte a dire: - Dio è buono, Dio è grande, Dio è onnipotente. Egli spesso permette tribolazioni, ma per trarne maggior bene, e mostrare la sua misericordia e la sua possanza. Gravi disturbi ci recarono le perquisizioni, ma finirono con nostro vantaggio, e dall'amaro ne uscì il dolce.

                E così fu realmente. Anzi tutto le Autorità si mostrarono meno ostinate nei loro sospetti, e se non sempre favorirono D. Bosco, lo lasciarono per altro abbastanza libero di fare il bene secondo il suo scopo.

                Vantaggio da non passare sotto silenzio fu eziandio il gran credito, che d'allora in poi andò acquistando l'Oratorio nella pubblica opinione; imperocchè i buoni vedendolo vessato al pari di tanti altri rinomati ed ottimi Istituti, gli conservarono ed accrebbero la stima che già ne avevano, ed i cattivi o gli avversari scorgendo che, non ostante il gran chiasso fatto dalla pubblica stampa e le più minute inquisizioni praticate dallo stesso Governo, allo stringere dei conti non erasi trovato alcun che di biasimevole, deposero il mal animo che in buona o mala fede avevano contro di lui concepito, e lo riconobbero non immeritevole di loro simpatia.

                Così D. Bosco per divina bontà potè continuare a raccogliere le migliaia di giovanetti, i quali riconoscevano in lui non solo l'uomo di Dio, sibbene, anche l'uomo della scienza, la [462] guida de' loro studii, il creatore del loro avvenire fortunato. Scrisse il Canonico Ballesio facendosi eco di tutti i suoi compagni: “D. Bosco aveva studiata molto la letteratura specialmente latina. Discorrendo con noi recitava pro re nata i versi di Orazio, di Ovidio, di Virgilio ecc. ecc., anche quando la sua testa doveva essere piena di un mondo di cose tutt'altro he poetiche. Conversando con lui i chierici, parecchi de' quali dotati d'ingegno e molto studiosi, trovavano il Servo di Dio al corrente di tutto; musica, aritmetica, grammatica, poesia italiana e latina, storia ecclesiastica e civile, teologia sia dogmatica sia morale. Per noi come era il maestro del ben vivere cristiano, così era il maestro, il giudice nelle nostre giovanili discussioni scientifiche e letterarie. Anche nelle materie che sembravano più lontane dalla sua competenza, pure col suo ingegno versatile, con quel suo intuito speciale, sapeva tenere il suo bel posto ed a noi non veniva neppure in mente di trovarlo nuovo o di metterlo in soggezione.

                Egli colla sua scienza geografica assicurava una splendida posizione sociale al giovane Marchisio alunno dell'Oratorio. In Torino nel mese di luglio 1863 si pubblicava una carta generale dell'Italia, contenente l'indicazione di tutti gli uffici di posta, delle vie comuni, ferrate e marittime per le quali fra loro comunicano, eseguita per uso degli ufficiali di posta, a, cura della Direzione generale delle poste del regno. All'orario delle comunicazioni postali, faceano seguito altre otto carte geografiche, che comprendevano tutte le provincie del Regno. Queste varie carte e le loro indicazioni erano frutto di lunghi anni di lavoro paziente del Marchisio. D. Bosco lo aveva consigliato ad intraprendere quella occupazione, ed eccitato a condurla a compimento. Marchisio veniva sovente in Valdocco pel disegnare le sue carte sotto la scorta di D. Bosco. Ne ebbe in premio che la Direzione delle poste, alla quale vennero presentate, le accettò, le approvò, ne fece la stampa, le dichiarò [463] edizione ufficiale e più tardi conferì all'autore l'ufficio di Direttore generale delle poste in Roma.

                La corrispondenza degli alunni ai benefizii di D. Bosco si era manifestata colle dimostrazioni di cristiana allegrezza per l'ordinazione sacerdotale di D. Ruffino Domenico, colla fervente pietà nel celebrare le sei Domeniche in onore di S. Luigi e con la festa oltre modo lieta di S. Giovanni Battista.

                I chierici studenti di Filosofia e di Teologia il giorno 23 di giugno avevano subiti i loro esami nel Seminario di Torino. Erano 55. Sette avevano meritato un egregie: ventotto, optime; undici il fere optime: un solo bene. Quattro erano assenti e quattro infermi. Ma altra maggiore consolazione era preparata per D. Bosco.

                Il 6 luglio i maestri dell'Oratorio, già più volte nominati, cioè il Ch. Cerruti Francesco, Durando Celestino, D. Francesia Giov. Batt. e D. Anfossi Giov. Batt. si presentavano a subire nell'Università l'esame di ammissione alla facoltà di Lettere. Essi aprivano una nuova via ai giovani dell'Oratorio e per amore di questo si erano esposti a lavori non indifferenti. Erano compatiti da certi professori e considerati come vittime generose di un'idea, ma sempre vittime. Si era detto che D. Bosco aveva di loro un troppo alto concetto, ma che in realtà appena appena sarebbero stati allievi nelle prime classi del ginnasio. Ma le due Commissioni disposte per essi soli, così mal preparate a loro riguardo, dovettero ben tosto cambiar di giudizio. Per grazia di Dio l'esame riuscì splendidamente per tutti. Andò pel primo il Ch. Cerruti, il quale fece meravigliare gli esaminatori colle sue isposte, che palesavano la vastità e profondità del suo sapere.

                Il famoso pedagogista Abate Rayneri, presiedeva una delle Commissioni esaminatrici. Visto egli nell'aula il Professore Vallauri, lasciò il suo seggio e gli andò vicino. Il Vallauri, perchè dicevasi troppo ligio a D. Bosco, si era disposto che non esaminasse come avrebbe dovuto, i maestri dell'Oratorio. [464] Rayneri gli fece con vivacità una strana domanda: - Ditemi, professore, ditemi, che voto debbo dare agli insegnanti di D. Bosco?

                 - Oh bella! - rispose Vallauri - non li avete esaminati voi?

                 - Il busillis è che sanno, sapete, sanno!

                 - Lo dite a me? soggiunse il celebre latinista  sono i migliori del mio corso.

                Tutti i quattro candidati ottenero i pieni voti assoluti e Francesia e Cerruti ebbero anche la lode.

                Questi bravi figli di Don Bosco furono poi oggetto di una improvvisa e cordiale ovazione nell'uscire dall'aula, dai numerosi compagni studenti dell'Università; che si congratulavano sinceramente del loro splendido successo. Era una specie di compenso al cuore di D. Bosco, che in quei giorni sentiva in se stesso le ansietà e le pene de' suoi figliuoli, che cosi dividevano con lui il lavoro e l'umile gloria della sua missione. Questo esame fece un po' di rumore anche fuori dell'Università, e tra i professori non si cessava di ammirare il buon esito avuto. Il professore Prieri, preside della Facoltà della seconda Commissione, entusiasmato della bellissima prova di sapere, alla quale aveva assistito, uscì dall'aula con uno dei suoi esaminati, dicendogli: - Oh sì! che da D. Bosco si studia! Ma vedete, credetemi, non tutti i nemici vostri sono solamente nell'Università. Ne avete anche altrove.... e potentissimi... - Intanto passava colà il poeta Prati. - Giovanni, gli disse il professore Prieri, venite qui, sentitemi. È un peccato che stamattina non vi siate trovato all'Università; avreste presenziato al bellissimo esame di questo signore. Sappiate che da D. Bosco si studia e si studia davvero.

 

 

CAPO XLV. Chiesa di Maria Ausiliatrice: Dio la vuole - L'Ingegnere Spezia prepara il disegno - Grata Sorpresa di D. Bosco Il denaro verrà da sè - Incoraggiamento del Municipio a D. Bosco - Qualcuno vorrebbe mutato il titolo della Chiesa - li disegno è approvato dagli edili: motto spiritoso di Don Bosco - Antica divozione in Torino a Maria Ausiliatrice - Impresario per la nuova chiesa e spese preparatorie D. Bosco ordina che si dia principio ai lavori perchè la provvidenza divina farà qualche cosa - Primi scavi - Soccorso della Madonna per pagare la prima quindicina agli operai.

 

                ORMAI erano finiti i lavori per la costruzione del Collegio di Mirabello e condotti eziandio a buon punto quelli;dell'edifizio per le scuole nell'Oratorio. Ma ciò che in tutto quest'anno, in mezzo a tante occupazioni e disturbi, non aveva D. Bosco dimenticato per un solo istante era il proposito di erigere un tempio grandioso in Valdocco in onore di Maria Ausiliatrice. Aveva radunato nei primi giorni dell'anno una Commissione di architetti suoi amici, perchè facesse e presentasse il disegno dell'edifizio. Varii furono i progetti, si tennero molte conferenze; ma ciascun architetto non approvava il disegno degli altri colleghi e voleva che assolutamente fosse eseguito il proprio. Nessuno si addattava a fare modificazioni. Le questioni senza alcun risultato durarono più mesi. Il tempo trascorreva inutilmente; D. Bosco era [466] soprappensiero, e un giorno ad uno di quei signori, suo intimo amico, che, quasi trovasse opportuno il ritardo, gli diceva di non arrischiarsi troppo in quell'impresa, rispondeva: - Che vuole? Lo vedo anch'io, ma sento che il tempo stringe e che Dio la vuole e la vuole da me.

                Perciò troncando risolutamente ogni indugio, senza dir niente a nessuno, chiamò a sè il valente ingegnere Antonio Spezia e lo incaricò di fare il disegno della Chiesa; e che fosse in tali proporzioni che potesse accogliere un gran numero di devoti, a rendere l'onore dovuto all'Augusta Regina del cielo. Spezia era quel giovane, che, presa da pochi giorni la laurea, aveva incontrato D. Bosco in Valdocco e per suo invito aveva fatto l'estimo della somma che poteva valere la Casa Pinardi. D. Bosco aveagli detto allora: - Veda; altra volta avrò bisogno di lei. - Questa altra volta era venuta, trascorsi dodici anni; e il buon ingegnere, senza alcun corrispettivo d'onorario, preparò un bel disegno in relazione al vasto concetto di Don Bosco: e lo svilluppò in forma di croce latina sopra una superficie di 1200 metri quadrati.

                Due bassi campanili fiancheggiavano la facciata sporgente. Per entrare in chiesa si passava per un atrio che sosteneva l'orchestra. Una maestosa cupola con sedici finestroni torreggiava sull'edifizio. Dalla prima base alla massima altezza si misuravano metri settanta. Da una parte e dall'altra dell'altar maggiore, dietro al quale girava uno stretto ambulacro, era una sagrestia, dalla cui porta si entrava nell'imponente presbiterio. Alle estremità del braccio traversale due grandi altari; e due altri, in cappelle, a metà del braccio inferiore.

                D. Bosco esaminato il disegno si rallegrò molto e disse.

                Senza che io accennassi all'ingegnere nessuna mia intenzione speciale che regolasse la fabbrica della nuova chiesa, vidi che una cappella riuscirà nel luogo preciso che la Beata Vergine mi aveva additato. E in questa si consacrò un altare ai SS. Martiri Torinesi. [467] Qualcuno dei suoi più famigliari gli muoveva ancora qualche dubbio e lo consigliava a non incominciare un'impresa così grande senza quattrini in casa; ed egli rispondevagli tosto: - No, non temere; bisogna che noi facciamo, e poi Dio ci aiuterà ed il danaro verrà da sè.

                Presentatosi D. Bosco al Palazzo di Città per fare le prime pratiche presso i reggitori del Municipio, esponendo il suo progetto, ottenne non solo approvazione ed incoraggiamento, ma eziandio promessa verbale che il Municipio avrebbe concorso per 30,000 lire, sussidio solito ad accordarsi per ogni costruzione di nuova chiesa parrocchiale in Torino.

                Quindi si recò all'uffizio degli edili col suo disegno appena abbozzato, col titolo, Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Un capo degli architetti visto quel titolo, scosse il capo dicendo, che era impopolare, inopportuno e che sapeva troppo di bigottismo: - Perchè questo titolo ? Le pare? Maria Ausiliatrice!

                D. Bosco rispose: - Signor architetto, ella forse nelle tante sue occupazioni non ha avuto tempo da studiare l'origine di questo nome. Esso rammenta la vittoria riportata dagli Italiani e dagli Spagnuoli a Lepanto contro i Turchi; e poi ricorda la liberazione di Vienna, e il nome del principe Eugenio di Savoia.

                Sarà, ma non lo troviamo addattato ai tempi.

                Ebbene; me ne suggerisca lei un migliore.

                E non potrebbe chiamarla la sua chiesa del Carmine, del Rosario, della Pace?

                 - In quanto a ciò è cosa che si accomoda facilmente.

                 - Si, sì, muti, muti il titolo. Quell'Ausiliatrice sembra, che non suoni troppo bene... è titolo nuovo in Torino..e poi potrebbe far supporre... insomma la Madonna ne ha tanti titoli!

                 - Certo che qualunque titolo glorioso si dia alla Madonna, tutti a Lei convengono, e per quanto si dica, non si dice mai abbastanza. Del resto studieremo. [468]

                 - Sì; ne prenda un altro titolo; muti questo; segua il mio consiglio.

                E l'approvazione di quel progetto fu rimandata ad altro tempo, perchè si desiderava aver sott'occhio il disegno compiuto, e non un semplice abbozzo, quale D. Bosco aveva presentato impaziente di incominciare i lavori.

                Ma intanto quel titolo suonava a certe orecchie come una specie di sfida. Si travedeva un non so che di opposizione alle massime della rivoluzione e a' suoi trionfi: pareva come una nuova bandiera che si levasse nel campo della Chiesa.

                D. Bosco che intendeva più di quello che era stato detto, lasciò passare qualche settimana e fatto stendere dallo Spezia il progetto tutto i ntero, lo ripresentò al Municipio. Non si parlava di Maria Ausiliatrice, ma solamente di una Chiesa in Valdocco senza far parola del titolo. Gli edili strabigliarono nel vedere quella grandiosità e approvandola, dissero a D. Bosco: - Ma qui ci vuole un milione! E come farà lei, che nulla possiede, a portare a compimento una simile mole?

                 - Ne lascino a me il pensiero, rispose D. Bosco. Io non domando danaro, ma l'approvazione.

                 - E qual titolo avrà questa chiesa?

                 - Il titolo spetta a me di trovarlo e ci penso. Ad essi tocca soltanto di concedere che in questo determinato luogo si innalzi un dato edifizio.

                Il disegno fu approvato in tutta forma e giunse all'Oratorio il permesso per iscritto di costrurre la Chiesa. D. Bosco andò allora a ringraziare il capo ingegnere, il quale gli disse:

                 - Mi pareva che D. Bosco non sarebbe stato così tenace nelle sue opinioni e che si sarebbe arreso a mutar un titolo che suona troppo male.

                 - Signore, rispose D. Bosco, vedendo che ella non era contenta di quel titolo, io non ne ho dato nessuno a questa chiesa; ciò vuol dire che sono sempre in libertà di darle il titolo che mi sembrerà migliore. [469]

                 - Ma questo è dunque un inganno!

                 - Qui non c'entra inganno. Ella non voleva approvare quel titolo e non l'approvò; io voleva darglielo e glielo dò. Così siamo contenti tutti e due, perchè tutti e due abbiamo compiuti i nostri desiderii.

                L'ingegnere sorrise, e si lasciò vedere soddisfatto, sebbene forse non ne avesse voglia. Ma la ragione era dalla parte di D. Bosco, e quei del Municipio l'avevano intesa perfettamente. La Chiesa ebbe infatti il titolo di Maria SS. Ausiliatrice. D. Bosco non rinunziava a quel titolo, perchè era quello voluto da Maria SS.

                Egli con ciò risvegliava una gloria piemontese. Antica era in Torino la devozione a Maria SS. Ausiliatrice. Questa città era stata una delle prime ad aggregarsi alla confraternita di Monaco in Baviera eretta sotto questo titolo per commemorare la liberazione di Vienna. Ma pel numero stragrande dei confratelli si era dovuto istituire nella Chiesa di S. Francesco da Paola un'altra confraternita speciale, che Pio VI, con rescritto 9 febbraio 1798, aveva approvata ed arricchita di molte indulgenze e favori spirituali. Inoltre una cappella con altare e bellissima statua di marmo prezioso, era già stata fatta costrurre e dedicare a Maria Ausiliatrice nella stessa Chiesa dal Cardinal Maurizio Principe di Savoia morto nel 1657.

                Perciò da Torino in questi ultimi tempi la divozione a Maria Ausiliatrice doveva essere proclamata, e divenir mondiale per gli strepitosi e innumerevoli favori che la Vergine SS. avrebbe concesso a chi con quel titolo l'avesse invocata.

                D. Bosco, appena ottenuta la licenza dal Municipio, affidò a Carlo Buzzetti l'impresa e tosto si incominciarono i lavori di preparazione.

                Il terreno da fabbricarsi doveva avere una cinta di assi da tre lati rimanendo in parte scoperto dalla parte della via della Giardiniera pel passaggio dei carri. Nel maggio fra la [470] compra del campo e la provvista degli assi per lo steccato si erano già spese quattro mila lire.

                Chiamato l'economo D. Savio, che già aveva esaminato il grandioso disegno, D. Bosco gli disse che facesse incominciare i lavori.

                 - Ma D. Bosco, come farò? gli rispose D. Savio: non si tratta di una cappella, ma di una chiesa molto grande e molto costosa. Stamane non avevamo in casa di che pagare le lettere spedite alla posta.

                E D. Bosco replicò: - Comincia a fare gli scavi: quando mai abbiamo cominciato un'opera avendo già i danari pronti? Bisogna bene lasciar fare qualche cosa alla Divina Provvidenza!

                D. Savio eseguì gli ordini, ma siccome si trattava di lasciare sotto il pavimento della Chiesa il sotterraneo, oltre gli sterri delle fondamenta, si doveva scavare interamente e per due metri e mezzo di profondità un terreno di circa 1200 metri quadrati. Stante l'enorme trasporto di terra per mezzo di carri, in luogo fissato dal Municipio, si potè eseguire in questo anno solo una parte di quel lavoro.

                Intanto la Provvidenza faceva qualche cosa. Sul principio alcuni agiati cittadini avevano promesse vistose largizioni, ma alcuni cangiato divisamento, impiegavano altrove la loro beneficenza; altri volevano far le loro oblazioni ma a lavoro inoltrato. D. Bosco si trovava negli imbarazzi Gli scavi erano cominciati e si avvicinava il giorno della prima quindicina. Gli abbisognavano 1000 lire. Ed ecco, a motivo del sacro ministero, D. Bosco essere chiamato al letto di persona gravemente inferma. Giaceva immobile da tre mesi, travagliata da tosse e febbre con grave sfinimento di stomaco. Se mai, ella prese a dire, io potessi riacquistare un poco di sanità, sarei disposta a fare qualunque preghiera, qualunque sacrifizio; sarebbe per me un gran favore se potessi anche solo alzarmi dal letto. [471]

                - Che cosa intenderebbe di fare? le chiese D. Bosco.

                 - Quanto mi dirà.

                 - Faccia una novena a Maria Ausiliatrice.

                 - Che cosa dire?

                 - Per nove giorni reciti tre Pater Ave e Gloria al SS. Sacramento con tre Salve Regina alla Beata Vergine.

                - Questo lo farò: e quale opera di carità?

                - Se giudica bene e se otterrà un vero miglioramento farà qualche offerta per la Chiesa di Maria Ausiliatrice che si sta cominciando in Valdocco.

                 - Sì, sì; ben volentieri. Se nel corso di questa novena io otterrò solamente di potermi alzare da letto e fare alcuni passi per questa camera, farò un offerta per la chiesa di cui mi parla.

                Si incominciò la novena ed eravamo già all'ultimo giorno. D. Bosco doveva dare in quella sera non meno di mille franchi ai terrazzieri. Andò pertanto a visitare quell'ammalata. La fantesca gli apre e con gioia gli annunzia che la sua padrona era perfettamente guarita, aveva già fatte due passeggiate ed era già andata in Chiesa per ringraziare il Signore.

                Mentre la fantesca in fretta quelle cose raccontava, si avanza giubilante la stessa padrona, dicendo: - Io sono guarita, sono già andata a ringraziare la Madonna Santissima venga; ecco il pacco che le ho preparato; è questa la prima offerta, ma non sarà certamente l'ultima .

                D. Bosco prese il pacco, andò a casa, lo verificò e vi trovò cinquanta napoleoni d'oro, che formarono appunto i mille franchi di cui abbisognava.

                Da questo momento, come vedremo, tali e tante furono le grazie della Madonna a coloro i quali cooperavano alla costruzione della sua chiesa in Valdocco, che ben si può dire averla essa stessa edificata. Aedificavit sibi domum Maria.

 

 

CAPO XLVI. Sogno: ogni alunno estrae un biglietto da una borsa che gli vien presentata: D. Bosco palesa ciò che sta scritto nei biglietti - Necessità di ottenere una proroga ai professori dell'Oratorio per fare scuola - Colloquio di D. Bosco con Selmi: osservazioni e spiegazioni. - politica: Letture Cattoliche - Lettera di A Bosco a Selmi - Incertezze - Speranze e afflizioni - Pio IX si lamenta perchè D. Bosco non gli scrive - D. Bosco in un suo foglio gli predice la futura sorte di Roma - Lettera del Papa a D. Bosco.

 

                NELLA Mente e nel cuore di D. Bosco primeggiava sempre l'amabilissima figura di Maria SS. e una sera nei primi giorni di luglio, annunziava di aver visto in sogno una persona ( e pare fosse la Vergine Benedetta) passare in mezzo ai giovani e presentare loro una borsa riccamente lavorata, perchè ciascuno tirasse a sorte un bigliettino fra i molti che vi erano rinchiusi. D. Bosco le si mise a fianco. Di mano in mano che un giovane estraeva il biglietto, egli notava la frase o la parola che su quello era scritta. Finì il suo breve racconto col dire che tutti presero il loro biglietto, fuorchè uno il quale non andò e stette in disparte; e avendo D. Bosco voluto vedere ciò che era scritto sulla cartolina rimasta in fondo alla borsa, vi lesse: Morte.

                Intanto egli invitò ciascuno a venirgli a domandare ciò che era scritto nel suo biglietto. Cosa che riempie di meraviglia! I giovani in casa erano circa 700 e ad ognuno ripetè un motto [473] o di consiglio o profetico, svariatissimo, conciso e secondo il bisogno. E ciò che sorprende di più è che dopo molti anni si ricordava di quanto aveva detto ai singoli giovani.

                D. Mussetti Sebastiano, della Collegiata di Carmagnola, allora giovanetto, ebbe da D. Bosco, che sopra il suo biglietto vi era scritto Costanza; e incontratolo molti anni dopo si senti ripetere con solennità: - Oh! ricordati: Costanza.

                Ma vi ha ancora di più, asserisce il Canonico. Un gruppo di giovani si mise di sentinella, tenendo nota di quanti si presentavano a D. Bosco per chiedergli del proprio biglietto e ve ne fu un solo che non andò. Questi fu un giovane d'Ivrea che finiva gli studii del ginnasio.

                D. Mussetti è pronto a dare giuramento se fosse chiesto per testificare questi fatti.

                D. Bosco, appoggiato alla protezione della celeste Madre, pensava intanto al modo di far rinnovare le concessioni ottenute dall'Autorità scolastica. L'approvazione degli insegnanti nel suo ginnasio era temporanea cioè pel solo anno scolastico 1862 - 63 e con l'obbligo di provvedere professori muniti del titolo legale per l'anno 1863 - 64. Gli esami di ammissione all'Università, per quanto avessero manifestato un vero valore letterario nei quattro aspiranti ai gradi accademici, non conferivano diritto all'insegnamento. Era quindi, necessario non lasciar passare un tempo troppo prezioso per ottenere un nuovo permesso.

                D. Bosco pertanto si recò a far visita al Provveditore, e trovò che Selmi gli continuava la sua benevolenza. Prese pertanto a parlargli delle sue cose scolastiche, ma da lui, che aveva letta la relazione del Prof. Ferri, fu ammonito a non dare appiglio a nessuna delle accuse, che gli erano state apposte ed a modificare qualche giudizio nella Storia d'Italia.

                D. Bosco gli ripetè ciò che altra volta avea detto, cioè che egli e i suoi sapevano conciliare il dovere di buoni cattolici [474] con quello di onesti cittadini; che egli non aveva mai avuto relazioni compromettenti, contrarie alla tranquillità dello Stato, col Papa, coi Vescovi e coi Gesuiti, e che era invenzione di mentitori solenni che questi personaggi facessero cosa disdicevole al loro carattere; essere suo sistema, costantemente osservato, di non immischiarsi in politica ne prò nè contro, perchè la politica non è pane per i giovani e perchè un superiore, un maestro, un capo d'arte non deve essere uomo di partito, ma avere per unico fine dell'opera sua la savia istruzione e la morale educazione de' suoi allievi.

                Il Provveditore volle anche consigliarlo di cessare dalla propagazione delle Letture Cattoliche, quasi fosse cosa disdicevole alla dignità di educatore.

                - E perchè? gli chiese D. Bosco.

                - Veda, gli rispose Selmi, que' suoi libretti, specialmente le biografie di certi giovani, non corrispondono agli ideali de' nostri giorni. E purtroppo la sua maniera di scrivere, l'importanza che dà ai ragazzi lodandoli della loro semplicità, e mettendo in rilievo le loro piccole e tenere virtù, li fa compiacere tanto di se stessi, che ne restano come affascinati, fanno proprie le sue opinioni e invidiano quelli che stanno con lei.

                - Questo non è un male, replicò D. Bosco; per altra parte se vostra Signoria vuole avere la bontà di leggere quei libri attentamente, si persuaderà che non si tratta di politica. Se vi trovasse però degli errori di grammatica, di ortografia e di senso, le do parola di galantuomo, che io correggerò tutto.

                Selmi non replicò a questa uscita di D. Bosco. In ogni imputazione di que' signori entrava sempre quella benedetta politica, la quale però, secondo essi, comprendeva gravissime questioni religiose; ma per D. Bosco la politica era semplicemente politica e questa in un paese dove si proclamava la libertà di pensiero e discussione. Nell'Oratorio però si faceva a meno di tale conquista moderna. Ciascuno era libero di tenere in politica un'opinione più che un'altra, purchè acconsentita [475] dalla Chiesa, ma a niuno era permesso di farne in casa soggetto di disputa o trattarne pubblicamente coi giovani. Fuori di casa i tempi, i luoghi e la prudenza dovevano suggerire quando tali prescrizioni, avrebbero dovuto essere modificate, Poichè, e tanto più in tempi di partiti, è troppo facile lasciarsi sfuggire espressioni, le quali a chi siede al Governo possono dare pretesto per malignare contro l'intero istituto.

                D. Bosco, che ad un amabile fermezza univa una somma prudenza, ritornato all'Oratorio dalla sua visita a Selmi, così gli scriveva:

 

                               Ill.mo Signor Provveditore,

 

                Ringrazio di tutto cuore V. S. Ill.ma che si degnò di palesarmi chiaramente le cose che, postane la realtà, metterebbero le scuole dei nostri poveri giovani in opposizione agli ordinamenti governativi. Io credo che Ella voglia eziandio ammettere come sincere le osservazioni da me fatte, quindi le divergenze, come Ella compiacevasi di esprimermi, si ridurrebbero ad alcune cose accidentali, e che mi sembrano non dover cagionare alcuna apprensione.

                Tuttavia desiderando che Ella comprenda bene quanto lo diceva di passaggio alle venerate di Lei osservazioni, La prego di volermi permettere che qui le riduca a pochi periodi la iuta professione di fede politica.

                Sono 23 anni da che sono in Tornio ed ho sempre impiegate le mie poche sostanze e le mie forze nelle carceri, negli ospedali, nelle piazze a favore dei ragazzi abbandonati. Ma né colla predicazione, né cogli scritti, che pur sono tutti stampati col mio nome, né in alcun altro modo ho mai voluto mischiarmi in politica. Perciò l'associazione ai giornali di qualunque colore è proibita per sistema in questa casa. Quanto si dice diversamente sono voci aghe e prive di fondamento. Riguardo alle cose accidentali che mi notava Le dirò:

                I° L'istruzione dei chierici che si vorrebbe dire avversa al governo, non lo è, perchè non hanno qui altra istruzione se non quella greca e latina. Per tutto ciò che riguarda alla filosofia, ebraico, Bibbia, Teologia, vanno al Seminario regolarmente.

                2° La Storia d'Italia non è usata nelle nostre classi se non per la Storia Romana.. Riguardo al Duca di Parma ed altri personaggi di cui tacqui alcune azioni biasimevoli, ho ciò fatto per secondare il principio stabilito dai celebri educatori Girard e Aporti, i quali raccomandano di tacere nei libri destinati pei fanciulli tutto quello che può [476] cagionare sinistra impressione nelle tenere e mobili menti dei giovanetti. E ciò non ostante nella prossima ristampa io modificherò ed anche toglierà tutti quei brani che Ella mi ha accennati o che volesse ancora indicarmi.

                3° I programmi delle scuole non sono altro che i governativi, come poterono osservare il Sig. Ispettore cav. Ferri e il Sig. Dott, Vigna di Lei segretario.

                4° Le Letture Cattoliche non si possono dire antipatriottiche giacchè ivi non si parla mai di politica. Se ci sono cose che a taluno sembrino inesatte, deve ciò condonarsi ad un povero storico che fa quanto può per iscrivere la verità e spesse volte non può appagare il lettore, perchè le cose non sono di suo gusto, o perchè attinte a fonti non abbastanza depurate. Ma anche in questo io mi sottometto a quanto le ho verbalmente accennato. Noti per altro che lo sono un semplice collaboratore delle Letture Cattoliche. L'ufficio è in Torino e la direzione è composta d'altri individui. Nè ho agio di sorta se non quello della stampa che serve a dar lavoro ai nostri poveri giovani.

                5° Si fece poi accusa che tra noi non abbiamo il ritratto del Re. Questo è del tutto inesatto, perciocchè esso esiste in più siti: nelle tre camere, di ufficio, di segretaria e di udienza, ve ne esiste uno per sito. Sarà difficile trovare casa d'educazione dove si preghi più di noi e pel Re e per tutta la Reale famiglia.

                Riguardo alle scuole se mi lascierà continuare così finchè gli attuali maestri reggenti abbiano ultimati i loro esami, sarà un bene che si fa ai poveri giovani; altrimenti devo cercarmene dei titolati e perciò rifiutare ricovero ad un determinato numero di poveri giovani. Ma spero molto nella continuazione dei suoi favori.

                Del resto pensi che siamo ambidue persone pubbliche. Ella per autorità, io per carità. Ella di nulla abbisogna da me, io molto da Lei. Ma ambidue possiamo meritarci la benedizione di Dio, la gratitudine degli uomini, beneficando e togliendo dalle piazze poveri giovanetti.

                Il cielo mandi copiose benedizioni sopra di Lei e sopra tutta la sua famiglia; mi compatisca la rinnovazione del disturbo e mi creda con pienezza di stima,

 

                Torino, 13 luglio 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                La risposta del Provveditore non doveva essere stata pienamente conforme ai suoi desiderii. Non è improbabile che la consorteria del Cav. Gatti, molto numerosa, cercasse di far desistere Selmi dalla protezione accordata a D. Bosco; [477] fors'anco gli articoli rabbiosi dei giornali contro i Fratelli delle Scuole Cristiane, gli facevano temere che finissero col sollevare contro di lui la così detta pubblica opinione. Può darsi quindi che Selmi per allora non volesse prendere una deliberazione, aspettando consiglio dal tempo. Lo stesso Don Bosco può essere che dagli amici impiegati nei Ministeri ricevesse notizie poco rassicuranti. Il fatto sta che egli per due mesi visse in penosa incertezza, come consta da una sua lettera, scritta alla Marchesa Fassati.

 

                               Benemerita Signora Marchesa,

 

                Faccende sopra faccende mi hanno impedito di rispondere prontamente alla lettera che la virtuosa Azelia mi scriveva a nome della S. V. Benemerita.

                Le dirò adunque che il Savio può venire quando che sia, purchè non oltrepassi il 20 del p. ottobre. Riguardo al Marchisio io non aveva data risposta definitiva, dicendogli che l'avrebbe poi ricevuta da Lei.

                Difatto Ella può dire al medesimo che può venire col medesimo Savio, quella Divina Provvidenza che ci aiutò in tante guise ci aiuterà anche per questo novello aspirante levita.

                Signora Marchesa, se fa tempo in cui abbia avuto bisogno delle sue preghiere certamente è questo. Il demonio ha dichiarato guerra aperta a questo Oratorio, e sono minacciato di chiusura, se non lo porto all'altezza dei tempi secondo lo spirito del Governo. La Santa Vergine ha assicurato che ciò non sarà; ma tuttavia Dio può trovarci degni di castigo e fra gli altri permettere questo.

                Sono alcune settimane che io vivo di speranza e di afflizioni. Ella adunque aggiunga le divote sue preghiere a quelle che facciamo in questa casa e mettiamoci nelle mani della Provvidenza.

                La Santa Vergine in questa sua solennità regali a Lei la rosa della Carità, ad Azelia la violetta dell'Umiltà, ad Emanuele il giglio della Modestia e ci conservi tutti sotto la sua potente protezione. Amen.

                Con gratitudine e stima mi professo

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, 3 settembre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P.S. Ho veduto alcune volte il Marchese che è in salute. Ci promise di venire a fare un giorno un lauto pranzo con noi, ma finora non è venuto. [478]

 

                In questo tempo però D. Bosco provava una di quelle consolazioni che a lui erano più care.

                Pochi giorni dopo aver scritto al Provveditore per gli studi, era consegnata a D. Bosco una lettera del Sommo Pontefice in risposta, se non andiamo errati, ad una sua, della quale ci conviene fare qui un po' di storia. Pio IX desiderava di avere spesso da D. Bosco, oltre alcuni consigli, eziandio previsioni sui futuri sforzi della rivoluzione riguardo a Roma.

                Una domenica del mese di giugno il Marchese Scarampi, ritornato da Roma, era venuto all'Oratorio per fare il catechismo ai giovani, essendo egli il più assiduo fra i catechisti. D. Bosco lo trattenne e gli chiese notizie del Santo Padre.

                Come seppe che S. S. aveva parlato di Lui e chieste notizie e nello stesso tempo si fosse lamentato, perchè erano ormai  due mesi che non gli aveva più scritto una sola riga:

                 - Quando ritornerà a Roma, sig. Marchese gli rispose D. Bosco.

                 - Da qui a quindici giorni.

                 - Ebbene io preparerò una lettera pel Santo Padre.

                Il Marchese infatti ripartì latore di una lettera di D. Bosco a Pio IX. Il Pontefice l'aperse subito e la lesse in presenza del Marchese e poi: - Come! esclamò, volgendo e rivolgendo il foglio tra le sue mani. Come! Che cosa mi scrive D. Bosco! Non mi aspettava una simile lettera! - Quindi rimase pensoso piegò il foglio e più non disse.

                Il Marchese Scarampi colpito da quella esclamazione, appena fu di ritorno da Roma, passò all'Oratorio, narrò a D. Bosco della lettera consegnata al Papa e dello stupore manifestato da S. S. nel leggerla; e gli aggiunse, che se la domanda non era indiscreta, nutrir esso viva curiosità di conoscere che cosa quella lettera contenesse. D. Bosco gli rispose: - Glielo, dico subito: Ho scritto al Papa che non si lusinghi di queste apparenze di pace; che si prepari a fare il sacrifizio della sua Roma, poichè essa sarà preda della rivoluzione. [479]

                Queste parole furono anche udite da D. Francesia e da Don Cagliero, tanto più rimarchevoli, perchè non sembrava allora verisimile che i settarii potessero riuscire nei loro intenti.

                Il Papa era tranquillo in mezzo all'affetto ed alla venerazione de' Romani: ed all'affluenza di migliaia di pellegrini che accorrevano a Roma. La rivoluzione aveva fatta una sosta nella sua marcia. Gli avvenimenti in Italia dipendevano dalla volontà del Sire Francese, che non palesava mai per intero i suoi disegni, ma che era sdegnato contro l'Inghilterra, che, per far paghi i voti dell'Italia, aveva dichiarato necessario lo sgombro delle truppe francesi da Roma; e offerta Malta al Papa per sua residenza con promessa di generosa e splendida ospitalità. Il Papa era sostenuto dalla presenza dell'esercito imperiale; e visitando le poche provincie che gli erano rimaste, all'entusiasmo dei popoli si univa la scorta della brillante ufficialità francese, che ne accompagnava la carrozza. La France pubblicava: - “L'Italia non avrà mai una capitale a spese dell'indipendenza del Papato. Il Ministro degli affari esteri annunzia che la Francia è decisa a guarentire il presente territorio della Santa Sede”. Nel senato francese si era detto quanto fosse meglio in Italia una confederazione onesta, che una violenta unità. In un indirizzo dei Corpo legislativo all'Imperatore leggevasi: - “Non lasciate di proteggere l'indipendenza del Santo Padre”. - E O Quin membro della Commissione della Camera dei Deputati, che aveva combinato l'indirizzo, dichiarava che un grande interesse religioso e politico comandava alla Francia di conservare Roma alla S. Sede. - Il contegno del Governo francese, le dichiarazioni del Ministro Billault, i documenti ufficiali pubblicati dal Moniteur i voti della Camera elettiva e del Senato e forse una parola venuta da Parigi parvero consecrare questo principio, e avean tolto ogni speranza ai moderati non meno che ai mazziniani.

                Minacce atroci erano scagliate contro Napoleone dai giornali [480] delle sette; ma erano scomparse dalle frontiere pontificie le bande armate.

                Ecco adunque la lettera che il Santo Padre aveva scritto a D. Bosco.

 

PIO PAPA IX[41]

 

Diletto figlio - Salute ed Apostolica benedizione,

 

                Ci era nota per molti e preclari argomenti la tua pietà ed il tuo zelo; perciò ricevemmo con vivo piacere la nuova testimonianza di devozione che con ossequentissima lettera c'inviasti. Ci rallegriamo eziandio nel sentire che per cura ed industria di anime pie si diano alla luce ottimi libri, adatti a promuovere la pietà e preghiamo Iddio di secondare questi principii e di coronarli col risultato che se ne desidera.

                Pur troppo non ci tornarono nuove ed inopinate le cose che ci scrivi intorno alla guerra accanita che si muove alla chiesa. Ma come ben sai Noi dobbiamo mettere ogni nostra fiducia in Dio che ha cura di noi. Egli non vien mai meno a coloro che confidano in lui; perciò in [481] lui riposa ogni nostra speranza, corroborata specialmente dalla intercessione della Vergine Madre, nel cui aiuto abbiamo illimitata fiducia.

                Intanto mentre esortiamo la tua pietà a venirci in aiuto con ferventi preghiere, qual pegno del nostro paterno affetto, impartiamo di cuore a te ed a tutti quelli che, come scrivi, sono impegnati a diffondere le sane dottrine, l'Apostolica Benedizione.

                Dato a Roma, presso S. Pietro, il 15 Luglio 1863. - Del nostro Pontificato anno XVIII.

 

PIO PP. IX.

 

Al diletto figlio

Sacerdote Giovanni Bosco

Torino

 

 

CAPO XLVII. Ricordo del sogno della Ruota e del campo di grano - D. Bosco andrà ad Oropa per la scelta del personale da mandarsi a Mirabello: nell'Oratorio tutti indicano Don Rua come Direttore - Difficoltà Per la mancanza di patenti - il Ministro decreta una sessione straordinaria per esami a chi vuole conseguire il diploma di professore per le tre prime classi ginnasiali - D. Bosco esorta parecchi de' suoi a Prepararvisi - Studii generosi e indefessi - Parole memorabili di D. Bosco sul lavoro incessante per la gloria di Dio - Lettere di D. Bosco da S. Ignazio a dite chierici - Solite percosse misteriose a chi va nella Dora ed uno schiaffo da mano invisibile: testimonianze - D. Bosco ritorna da Lanzo - Sua lettera di consiglio ad un signore conosciuto a S. Ignazio.

 

                ERA tante incertezze e pene regnava salda la speranza. La cronaca di D. Ruffino asserisce: “Nel mese di luglio D. Bosco ricordando il famoso sogno della lente sulla ruota e del campo di grano coperto di spighe, ci confermò essere quello una manifestazione del volere divino, che ci assicurava della sua protezione sulla Pia Società” Disse pure che dopo gli esercizi di S. Ignazio egli sarebbe andato a Biella al Santuario della Madonna di Oropa per fare colà la scelta delle persone da mandarsi nel collegio di Mirabello”.

                Si doveva in quest'anno aprire quel Collegio del quale le costruzioni erano ormai  condotte a termine. Siccome l'ultimo [483] piano era ancora molto umido fu disposta per abitazione anche una casa colonica attigua, che apparteneva alla proprietà di D. Bosco.

                Era necessario adunque stabilire il personale dirigente ed insegnante. Pel Direttore l'occhio di tutti si portava su D. Rua e nessuno più di lui si credeva idoneo a riprodurre la mente e la volontà di D. Bosco nel fare cioè in modo che egli fosse il D. Bosco di Mirabello. Ma anche qui sorgeva la questione dei professori. Si era combinato con Monsignor di Calabiana che il Collegio sarebbe detto Piccolo Seminario, e perciò di esclusiva dipendenza dal Vescovo di Casale; mentre col tempo se fosse stato d'uopo, si sarebbero provvedute persone con titoli legali. Questa idea però si temeva che a nulla giovasse  si prevedeva che per l'approvazione dell'Istituto si sarebbero richiesti dall'Autorità scolastica almeno due che avessero qualche diploma da professore o qualche titolo equipollente. Ci erano parecchi chierici e preti, che avevano la scienza necessaria per subire l'esame da professore e di più avevano già fatto il loro tirocinio nell'insegnamento ma non avevano i necessari requisiti. Ora come fare? Da molti anni non si davano più gli esami straordinarii pel conseguimento di tali diplomi. Era d'uopo aver pazienza e far il corso di Belle Lettere all'Università, il che importava un periodo di almeno quattro anni, prima che si potesse aprire regolarmente il ginnasio. Un tale ritardo portava sconcerto alla nuova Casa: ma siccome era opera di Dio, non mancò il suo aiuto. Al mese di luglio, mentre più nessuno se l'attendeva, viene pubblicato l'annunzio che in vista della deficienza di professori di ginnasio, in quell'anno 1863 ed in seguito, ci sarebbe stata una sessione straordinaria, nel mese di settembre, per chi volesse conseguire il diploma da professore. A tale annunzio D. Bosco non potè che riconoscere l'intervento della Provvidenza divina, ed esortò parecchi dell'Oratorio a prepararvisi. Il tempo stringeva, non vi erano neppure due mesi per fare almeno una preparazione prossima [484] sulle molte materie prescritte, e sebbene fossero chi più chi meno tutti al corrente di tale studio, tuttavia sgomentava alquanto la poca distanza dell'epoca degli esami. Ma quella era l'epoca in cui tutti per amore di Dio, per affezione alla causa degli Oratorii, mettevano volontieri anche la loro vita in pericolo, se fosse stato di mestieri, per un sì lodevole scopo. Perciò D. Bosco trovò diversi che i diedero con tutto l'ardore a ripassare quanto era necessario per tali esami, malgrado che si trovassero già stanchi per le fatiche dell'anno scolastico poco prima passato. Uno di essi si mise alla testa, ed assegnando le lezioni ed i compiti quotidiani, comunicando insieme quanto studiavano giorno per giorno, si trovarono al principio di settembre preparati in modo da potersi presentare con tranquillità.

                Avevano seguito l'esempio del loro caro padre e modello D. Bosco, il quale invitato a prendersi un po' di riposo nelle sue incessanti fatiche ed occupazioni, soleva rispondere: - Ciò che si può fare quest'oggi non rimandarlo a domani!

                Dava pure quest'altro consiglio: - Bisogna operare come se non si dovesse morire mai e vivere come se si dovesse morire ogni giorno. Quotidie morior.

                “Trovando noi stanchi ed affaticati, scrisse Mons. Cagliero: coraggio, diceva, lavoriamo, lavoriamo sempre, perchè lassù avremo un riposo eterno. E quando avverrà che un Salesiano cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la Congregazione ha riportato un grande trionfo, e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del cielo”.

                D. Dalmazzo Francesco fu presente ad un dialogo che noi trascriviamo dalle sue note di Collegio. Si deve però osservare che D. Bosco parlava di quel lavoro, che era necessario assolutamente per compiere i disegni di Dio.

                 - I suoi figli lavorano troppo, diceva un benefattore a Don Bosco.

                 - Siamo qui per lavorare, sa! rispose D. Bosco. [485] Sta bene, ma la corda troppo tesa si rompe! Essi avrebbero bisogno di quando in quando di un po' di riposo.

                 - Si riposeranno in paradiso.

                 - Ma intanto pel troppo lavoro essi perdono la sanità.

                 - Non è una perdita, ma un guadagno.

                 - Ma non vede che si accorcieranno taluni la vita e moriranno giovani!

                 - Avranno il premio più presto. Fortunato colui che muore per così bella cagione.

                D. Bosco con queste parole dipingeva con verità l'animo generoso de' suoi valenti coadiutori, ai quali ricordava sovente le parole di S. Paolo nelle sue lettere: “Non è Dio ingiusto onde si dimentichi dell'opera vostra e della vostra carità. Ognuno riceverà la sua mercede a proporzione di sua fatica”.

                D. Bosco partiva quindi per Lanzo e da S. Ignazio scriveva una lettera al Signor chierico Bonetti Giovanni in Torino. Certe sue frasi si riferiscono a lotte interne per la vocazione.

 

                               Bonetti mio carissimo,

 

                Non darti la minima inquietudine su quanto mi scrivi. Il demonio vede che gli vuoi scappare definitivamente dalle mani, perciò si sforza d'ingannarti.

                Seguita i miei consigli e va' avanti con tranquillità. Intanto potrai farti passare la malinconia cantando questa canzone di S. Paolo: Si delectat magnitudo proemiorum, non deterreat multitudo laborum. Non coronabitur nisi qui legitime certaverit. Esto bonus miles Christi et ipse coronabit te.

                Oppure canta con S. Francesco d'Assisi:

                Tanto è il bene che io m'aspetto

                Che ogni pena m'è diletto,

                Il dolor si fa piacere,

                Ogni affanno è un bel godere,

                Ogni angoscia allegra il cuor.

                Del resto prega per me ed io non mancherò di pregare anche per te e fare quanto posso per renderti felice nel tempo e nell'eternità. Amen.

 

                S. Ignazio, 20 luglio 1863.

 

Tuo aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI. [486]

 

                Oltre questa letterina D. Bosco ne scrisse altre a chierici e giovanetti, ma una sola ci fu consegnata.

 

                               Carissimo Garino,

 

                La tua ultima lettera ha dato nel segno. Fa' come hai scritto e vedrai che saremo ambidue contenti; ma come ti dissi già altra volta, io ho bisogno da te di una confidenza illimitata, cosa che certamente mi concederai, se pensi alle sollecitudini usate e che vieppiù userò in avvenire in tutto ciò che può contribuire al bene dell'anima tua ed anche al tuo benessere temporale.

                Intanto ricordati questi tre avvisi: fuga dell'ozio, fuga dei compagni dissipati e frequenza dei compagni dati alla pietà; per te questo è tutto.

                Prega per me che ti sarò sempre,

                S. Ignazio 1863.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Anche in quest'anno 1863 si rinnovò un fatto misterioso inesplicabile, mentre D. Bosco si trovava agli esercizi spirituati a S. Ignazio. “Si direbbe, scrisse D. Rua, che più di una volta D. Bosco avesse il dono della bilocazione. Alla Domenica due giovani dell'Oratorio in tempo di predica andarono di nascosto a bagnarsi nella Dora poco lungi dalla fucina delle canne da fucili. Deposte le vesti e dopo aver diguazzato nella poca acqua corrente si sdraiarono sulla sabbia. Ad un tratto si sentono replicatamente cadere sul dorso una palmata data da mano pesante, che lasciò loro sulla pelle l'impronta delle dita. Guardando attorno e non vedendo nessuno, sentendosi bruciar le spalle con vivo dolore, si ricordarono, benchè troppo tardi, di ciò che era accaduto nell'anno scorso e in quelle vicinanze a tre dei loro compagni e si misero ambedue a gridare: - Ecco D. Bosco! - Vestiti in fretta ritornarono correndo all'Oratorio, credendosi inseguiti. Giunsero a casa pallidi come la morte; entrati con precauzione per la porta della Chiesa, andarono a nascondersi in una camerata”. [487]

                Il domani mattina, ci raccontò D. Dalmazzo, giungeva da S. Ignazio un biglietto a D. Alasonatti scritto da D. Bosco: “Ho veduto in questo momento i giovani Bastia e Vezzetti, fuggire, oggi domenica, dall'Oratorio per andare a bagnarsi nelle acque del fiume Dora. Là ascoltai che avevano incominciato discorsi poco convenienti e diedi loro un ricordo che dovrà durare per un pezzo. Lei, signor Prefetto, li chiami e li interroghi se hanno sentito o ricevuto nulla mentre erano sulla sponda del fiume”.

                D. Alasonatti colla lettera in mano andò in cerca dei due colpevoli, e trovatili lesse ad essi quel foglio: - D. Bosco mi ha scritto, disse loro: non l'avete fatta franca! Avete sentito qualche cosa nella Dora da farvi poco piacere. - I due giovani confessarono che loro ancor dolevano le spalle.

                Anche il Ch. Bonetti li interrogò e si persuase esso pure che D. Bosco aveva scritto il vero. Eziandio ad Enria Pietro, che li conosceva personalmente, confermarono le carezze ricevute..

                D. Alasonatti aveva detto a Vezzetti: - Prepara il baule che ritornerai a casa tua. - Il giovane mentre scendeva le scale della Prefettura, s'incontrò col giovane Fiocchi, del quale era molto amico per essere nativo della stessa regione, e gli narrò il suo caso; quindi lo interrogò come D. Bosco avesse conosciuta la sua scappata, essendo impossibile che in qualche modo gli fosse giunta notizia dall'Oratorio. - E gli soggiunse: - Sai.... mi vennero sopra, senza che io vedessi alcuno, tre colpi; e il terzo fu veramente terribile e doloroso.

                I due giovani però vennero riammessi e fecero giudizio.

                “Dell'avvenimento suesposto sono stato io testimonio, scrisse D. Dalmazzo Francesco. Ricordo parimente, a conferma di questi fatti, che D. Bosco domandò una volta ad un giovane: - Non ti ricordi di aver ricevuto da mano invisibile uno schiaffo nel tal giorno? - E confessando egli di sì, molto meravigliato come D. Bosco il sapesse, aggiunse: E che cosa facevi in quel momento? [488]

                Essendosi il giovane fatto rosso come bragia in viso, D. Bosco presolo in disparte gli disse una parolina all'orecchio. A questo fatto con me si trovavano presenti parecchi miei compagni”.

                D. Bosco ritornava da S. Ignazio, ove incontravasi sempre con vecchi amici, e nuove amicizie contraeva coi moltissimi che da lui erano andati a confessarsi. Ciò importava poi una viva corrispondenza per consigli spirituali, la quale naturalmente andò distrutta. Qualche rara sua lettera però ci fu consegnata ed una di quest'anno, scritta all'Ill.mo Cav. Grimaldi di Bellino, patrizio di Asti. Questo signore frequentava gli esercizi spirituali di S. Ignazio, dove conobbe D. Bosco e con lui aveva stretta affettuosa famigliarità. Stava a Maretto, diocesi di Asti, ove era parroco D. Giovanni Ciattino.

 

                               Carissimo Sig. Cavaliere,

 

                Abbia pazienza se non rispondo, come vorrei, alle sue lettere; mi manca proprio il tempo. Ella è a Maretto ed è con un sant'uomo; ne segua pure gli esempi ed i consigli e farà la volontà del Signore.

                Ho letto e fatto leggere le famose profezie, ma non sembrano tornare a gloria di Dio pubblicandole. Io non entro nel merito delle medesime, ma io non vedo in esse lo spirito del Signore che è tutto carità e pazienza. Io le trasmetterò ove Ella mi dirà.

                Vuole che facciamo una prova pel giovane Vaianeo? Metà caduno. La pensione ordinaria di L. 30 io la ridurrei a 15 ed Ella pensi pel resto. Se darà buone speranze, lo faremo andare avanti, del resto si farà quello che il Signore farà conoscere di sua maggior gloria.

                Noi preghiamo per Lei, Sig. Cavaliere, Ella preghi anche per noi; faccia da parte mia affettuosi saluti al caro D. Ciattino suo principale. La Santa Vergine della Mercede ci benedica tutti in terra e ci renda degni dell'eternità in cielo. Amen.

 

                Torino, 24 Settembre 1863.

 

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

 

CAPO XLVIII. Fine dell'anno scolastico - Uno Sguardo retrospettivo - Il Caffè della Consolata: scortesia e carità: un alunno di più nell'Oratorio: tre anni con D. Bosco: riconoscenza: perseveranza nel bene - Besucco Francesco: suoi primi colloquii con D. Bosco: la riconoscenza ai benefattori: ingenuità: alcune sue virtù - D. Bosco non permette le passeggiate nelle vigilie delle feste.

 

                NEGLI ultimi giorni di luglio cogli esami finali e colla solenne distribuzione de' premii finiva l'anno scolastico 1862 - 63. Molti alunni dovevano restituirsi alle loro famiglie, per ritornare poi all'Oratorio nel tempo fissato: altri stavano per allontanarsi da quell'asilo di pace per entrare in Seminario, o per attendere a qualche arte liberale, o al commercio, ovvero ad impieghi già promessi. Tutti riconoscevano aver loro D. Bosco aperta una via onorata per entrare in società, ed assicurato l'avvenire. Un gran numero aveva ricevuto per anni il nutrimento del corpo, dell'intelletto e la vita dell'anima. Perciò con vivo affetto si stringevano intorno a lui prendendo congedo.

                Fra questi uno vi era che più degli altri pareva sentire la riconoscenza, avendo riguardato per tre anni nel Servo di Dio un vero padre. Ed ora doveva lasciarlo. Di questo giovane daremo qualche cenno perchè è come il rappresentante di cento e cento altri suoi compagni, i quali come lui furono salvati dalla carità di D. Bosco, corrisposero all'educazione loro impartita, vissero e morirono da buoni cristiani. Veniamo al fatto. D. Bosco nell'autunno, del 1860 entrava nella bottega da [490] caffè, così detta della Consolata, perchè presso al celebre Santuario di tal nome, e prendeva posto in una stanza appartata per leggere con tranquillità la corrispondenza che soleva recar seco. In quella bottega un tavoleggiante disinvolto e cortese serviva li avventori. Si chiamava Cotella Giovanni Paolo, nativo di Cavour (Torino), dell'età di 13 anni. Era fuggito da casa nell'estate di quell'anno stesso, perchè insofferente de' rimproveri e della severità de' suoi genitori. Lasciamo a lui la descrizione del suo incontro con Don Bosco, come la narrò a D. Cerruti Francesco.

                “Una sera, raccontò egli, il padrone mi disse: - Porta una tazza di caffè ad un prete che è nella camera di là.

                - Io portare il caffè ad un prete? - soggiunsi tosto come trasecolato. I preti erano allora malveduti come adesso, anzi più, che adesso. Ne aveva sentite e lette di tutti i colori e mi era quindi formato de' preti un pessimo concetto.

                Andato con aria beffarda:

                - Che vuole da me, lei prete? - chiesi malamente a Don Bosco. Ed egli guardandomi fisso:

                - Desidero da te, bravo giovane, una tazza di caffè; mi rispose con grande amabilità,  ma con un patto.

                - Quale?

                - Che me la porti tu stesso.

                Quelle parole e quello sguardo mi vinsero e dissi fra me:

                - Questo non è un prete come gli altri.

                Gli portai il caffè; una forza arcana mi teneva presso di lui, che prese ad interrogarmi, sempre colla più grande amorevolezza, sul mio paese natio, la mia età, le mie occupazioni e sopratutto perchè fossi fuggito di casa. Poi:

                - Vuoi venire con me? mi disse.

                - Dove?

                - All'Oratorio di D. Bosco. Questo luogo e questo servizio non fanno per te.

                - E quando sarà là? [491]

                - Se ti piace, potrai studiare. Ma lei mi terrà bene?

                - Oh, pensa! Là si giuoca, si sta allegri, ci si diverte...

                - Bene, bene, risposi: vengo.

                - Ma quando?

                - Subito? Domani?

                - Di stassera, soggiunse D. Bosco.

                Mi licenziai dal padrone, che avrebbe voluto mi fermassi ancora alcuni giorni, ed io, presi i miei pochi cenci, andai nella stessa sera all'Oratorio. Il domani D. Bosco scrisse a miei genitori per rassicurarli sul conto mio, e invitandoli a recarsi da lui per le necessarie intelligenze intorno al concorso loro per vitto e spese relative. Venne infatti mia madre cui, dopo aver ascoltato quanto espose intorno alle condizioni della famiglia: - Bene, concluse D. Bosco, facciamo così; lei paghi 12 lire al mese, il resto lo metterà D. Bosco.

                Ammirai in questo, non solo la squisita carità, ma la prudenza di D. Bosco. La mia famiglia non era ricca, ma godeva di sufficiente benestare. Se quindi egli mi avesse accettato affatto gratuitamente, non avrebbe fatto bene, perchè questo sarebbe stato di danno ad altri più bisognosi di me”.

                Per due anni i suoi parenti avevano mantenuto l'accordo con D. Bosco riguardo alla pensione, ma sul principio del terzo cessarono di pagare e più non ne vollero sapere: Il giovane, pur essendo vivace in sommo grado, era aperto, schietto, buono di cuore, di una condotta esemplare, e faceva molto profitto nello studio. Ora in quest'anno scolastico (1862 - 63) essendo per entrare nella quarta classe, timoroso di dover troncare gli studii, se ne aperse con D. Bosco, il quale gli rispose: - E che importa se i tuoi non vogliono più pagare ? Non ci sono io? Sta' sicuro che D. Bosco non ti abbandonerà. - E infatti, finchè stette nell'Oratorio, D. Bosco lo provvide di tutto il necessario.

                Compiuta la quarta ginnasiale e superatine felicemente gli [492] esami, s'impiegò; e i primi denari che potè mettere insieme col suo lavoro, li mandò a costo di privazioni e a piccole rate a D. Bosco per fare il saldo di quella poca pensione che i parenti nell'ultimo anno dell'Oratorio avevan tralasciato di pagare.

                Visse da buon cristiano, zelò la diffusione delle Letture, Cattoliche, fu tra i primi ad aggregarsi all'unione degli antichi, allievi e si tenne sempre in continua attinenza co' suoi antichi superiori. Morendo nel maggio dei 1908, volle avere accanto al letto il suo antico professore Dott. D. Francesco Cerruti e il venerando D. Michele Rua.

                Ma se col Cotella D. Bosco vedeva partire da sè tanti altri cari e buoni figliuoli, ne acquistava uno che veramente si potè definire un fiore di paradiso.

                Il 2 agosto entrava nell'Oratorio come alunno il giovanetto tredicenne Besucco Francesco, nativo dell'alpestre villagio di Argentera in Piemonte. Per la riverenza e l'affezione ai parenti, per l'insigne pietà ed innocenza di vita, per il profitto nella scuola, era stato l'oggetto di ammirazione de' suoi conterrazzani. Avendo udito parlare dell'Oratorio, desideroso di esservi accolto, e conoscendo non essere cosa facile per l'estrema povertà de' genitori, un giorno dopo la santa, Comunione avendo supplicata Maria SS., udì una voce misteriosa che lo riempì d'immensa contentezza: - Fa' cuore, Francesco, chè il tuo desiderio sarà soddisfatto.

                D. Bosco così descrisse il suo primo incontro con Besucco.

                “Egli aveva già passato alcuni giorni nell'Oratorio, ed io non l'aveva ancor veduto nè altro sapeva di lui se non quel tanto, che l'Arciprete Pepino per lettera mi aveva comunicato. Un giorno io faceva ricreazione in mezzo ai giovani di questa casa, quando vidi uno vestito quasi a foggia di montanaro di mediocre corporatura, di aspetto rozzo, col volto lenticchioso. Egli stava cogli occhi spalancati rimirando i suoi compagni a trastullarsi. Come il suo sguardo s'incontrò col mio, fece un rispettoso sorriso portandosi verso di me. [493]

                - Chi sei tu ? gli dissi sorridendo.

                - Io sono Besucco Francesco dell'Argentera.

                - Quanti anni hai?

                - Ho presto quattordici anni.

                - Sei venuto tra noi per istudiare o imparare un mestiere?

                - Io desidero tanto tanto di studiare.

                - Che scuola hai fatto?

                - Ho fatto le scuole elementari del mio paese.

                - Con quale intenzione tu vorresti continuare gli studi e non intraprendere un mestiere?

                - Ah! il mio vivo, il mio gran desiderio si è poter abbracciare lo stato ecclesiastico.

                - Chi ti ha mai dato questo consiglio?

                - Ho sempre avuto questo nel cuore ed ho sempre pregato il Signore, che mi aiutasse per appagare questa mia volontà.

                - Hai, già dimandato consiglio a qualcheduno?

                - Sì, ne ho già parlato più Volte con mio padrino; sì, con mio padrino…… - Ciò detto apparve tutto commosso; cominciavano a spuntargli sugli occhi le lagrime.

                - Chi è tuo padrino ?

                - Mio padrino è il mio prevosto, l'Arciprete dell'Argentera, che mi vuole tanto bene. Egli mi ha insegnato il catechismo, mi ha fatto scuola, mi ha vestito, mi ha mantenuto. Egli è tanto buono, mi ha fatto tanti benefizi, e dopo d'avermi fatto scuola quasi due anni mi ha raccomandato a lei, affinchè mi ricevesse nell'Oratorio. Quanto mai è buono mio padrino! quanto mai egli mi Vuol bene!

                Ciò detto si mise di nuovo a piangere. Questa sensibilità ai benefizi ricevuti, questo affetto al suo benefattore fecemi concepire una buona idea dell'indole e della bontà di cuore, del giovanetto. Allora richiamai eziandio alla memoria le belle raccomandazioni, che di lui eranmi state fatte dal suo parroco e dal Luogo - tenente Eysautier; e dissi tosto tra me: Questo giovanetto mediante coltura farà eccellente riuscita nella sua [494] morale educazione. Imperciocchè è provato dall'esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire: al contrario coloro che dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sollecitudini a loro vantaggio prodigate, rimangono insensibili agli avvisi, ai consigli, alla religione e sono perciò di educazione difficile, di riuscita incerta. Dissi pertanto a Francesco: - Sono molto contento che tu porti grande affetto a tuo padrino, ma non voglio che ti affanni. Amalo nel Signore, prega per lui, e se vuoi fargli cosa veramente grata, procura di tenere tale condotta che io possa mandargli buone notizie, oppure possa essere egli soddisfatto del tuo profitto e della tua condotta venendo a Torino. Intanto va' co' tuoi compagni a fare ricreazione. - Asciugandosi le lagrime mi salutò con affettuoso sorriso quindi andò a prendere parte ai trastulli co' suoi compagni.

                Pochi giorni dopo me lo vidi nuovamente venire incontro con aspetto turbato. - Che hai, gli dissi, mio caro Besucco?

                - Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni, io vorrei farmi molto buono al par di loro, ma non so come fare, ed ho bisogno ch'ella mi aiuti.

                - Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili. Se vuoi farti buono, pratica tre sole cose e tutto andrà bene.

                - Quali sono queste tre cose?

                - Eccole: Allegria, Studio, Pietà. È questo il grande programma, il quale praticando, tu potrai vivere felice, e fare molto bene all'anima tua.

                - Allegria... Allegria... Io sono fin troppo allegro. Se lo stare allegro basta per farmi buono io andrò a trastullarmi da mattina a sera. Farò bene?

                 - Non da mattino a sera, ma solamente nelle ore in cui. è permessa la ricreazione.”

                E Besucco nella persuasione di far cosa grata a Dio trastullandosi, in tempo di ricreazione gettavasi a corpo perduto in mezzo ai settecento suoi compagni, tutti intenti in varii [495] giuochi. Ma che ? Non essendo pratico di certi esercizi ricreativi, ne avveniva che spesso gli urti, i capitomboli, gli stramazzoni erano la conclusione de' suoi divertimenti.

                “Un giorno, continua Don Bosco, mi si avvicinò tutto zoppicante ed impensierito.

                - Che hai, Besucco, gli dissi?

                - Ho la vita tutta pesta, mi rispose.

                - Che ti è accaduto?

                - Son poco pratico dei trastulli di questa casa, perciò cado urtando ora col capo, ora colle braccia o colle gambe. Ieri correndo ho battuto colla mia faccia in quella di un compagno, e ci siam fatto insanguinare il naso ambidue.

                - Poverino! usati qualche riguardo, e sii un po' più moderato.

                 - Ma ella mi dice che questa ricreazione piace al Signore, ed io vorrei abituarmi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i miei compagni.

                - Non intenderla così, mio caro; i giuochi ed i trastulli devono impararsi poco alla volta di mano in mano che ne sarai capace, sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione, ma non mai di oppressione al corpo.

                Entrato la prima volta in mia camera lesse sopra un cartello queste parole: Ogni momento di tempo è un tesoro.

                - Non capisco mi chiese con ansietà, che cosa vogliano significare queste parole. Come noi possiamo in ogni momento di tempo guadagnare un tesoro?

                - È proprio così. In ogni momento di tempo noi possiamo acquistarci qualche cognizione scientifica o religiosa, possiamo praticare qualche virtù, fare un atto di amor di Dio, le quali cose avanti al Signore sono altrettanti tesori, che ci gioveranno pel tempo e per l'eternità.

                Non proferì più alcuna parola, ma scrisse sopra un pezzetto di carta quel detto: di poi soggiunse: Ho capito.”

                Noi riportiamo queste sole pagine perchè risalti sempre più [496] la dolce famigliarità di D. Bosco co' suoi alunni. In quanto alle ammirabili virtù di Besucco noi rimandiamo i lettori alla biografia, che di lui scrisse D. Bosco stesso. Possedeva in sommo grado lo spirito di preghiera e soleva porsi in ginocchioni nel luogo preciso dove Savio Domenico pregava dinanzi all'altare della Vergine Maria. Essendo proibito di far penitenza, corporale, egli esercitava i lavori più umili della casa e prestava ai compagni ogni aiuto materiale e spirituale suggerito dalla carità. Nello stesso tempo, oltre la custodia dei sensi esterni e specialmente degli occhi, egli considerava come penitenza la diligenza nello studio, l'attenzione nella scuola, l'ubbidire al superiori, il sopportare gli incomodi della vita, quali sono caldo, freddo, vento, fame, sete. Ogni atto di adorazione al SS. Sacramento, la confessione e la comunione erano la sua delizia.

                Questo suo amore ardente a Gesù Sacramentato era anche effetto, come abbiamo già riferito molte volte, delle accese istruzioni di D. Bosco[42], del suo zelo per togliere ogni ostacolo che potesse diminuire la frequenza ai Sacramenti.

                Scrisse D. Gioachino Berto:

                “Accadendo qualche volta che in tempo delle vacanze autunnali si conducessero i giovani di qualche scuola a fare una passeggiata al sabato od alla vigilia di qualche solennità, e ritardando essi perciò alla sera alquanto più del solito a venirsi a confessare, D. Bosco ne richiedeva ripetutamente e con insistenza la ragione, e poi al sentire il motivo, tutto corrucciato soleva dire: - Ma questa è una pazzia!…… Come è mai possibile che i giovani dopo il passeggio possano ancor raccogliersi per le confessioni e non siano distratti ? Questo è un grave inconveniente, è un disordine che va assolutamente rimediato. -

                Ordinava quindi a chi di ragione, affinchè non fosse più ripetuto”.

 

 

CAPO XLIX. D. Bosco va al santuario d'Oropa - Sua lettera agli studenti dell'Oratorio: concorso dei divoti a quel santuario: preghiere che egli la per i suoi giovani - D. Bosco in Asti: confessa, tiene conferenze, consola un infermo - D. Bosco a Montemagno - Accetta due giovani per raccomandazione della Prefettura e del' Ministero de' Lavori Pubblici - Prima domanda alla Direzione delle Ferrovie per ribasso di tariffe nel trasporto dei materiali della nuova Chiesa.

 

                DON Bosco come aveva stabilito, recavasi al santuario d’Oropa per raccomandare alla Madonna la fondazione in Mirabello dei suo primo collegio. Ivi dinanzi a quell'effigie taumaturga celebrava la santa Messa e pregava lungamente. Forse in cuore senti una voce rassicurante, anzi imperiosa che rammentavagli il, detto de' Proverbi capo V, ver. 16: Deriventur fontes tui foras et in plateas aquas tuas divide. “Si diramino le tue fonti al di fuori e le tue acque si spandano per le piazze”. E le sue acque di sapienza cristiana e di carità incominceranno a spandersi dall'Oratorio in Mirabello e continueranno a scorrere per ogni parte della terra in numerosi collegi.

                A' piedi di Maria D. Bosco domandò anche consiglio per la scelta di coloro, che avrebbe dovuti mandare a dirigere la casa di Mirabello e si risolse secondo l'ispirazione che ricevette.

                Mentre egli dava per qualche giorno sfogo alla sua divozione, così scrisse ai giovani dell'Oratorio: [498]

 

                               Carissimi figliuoli studenti,

 

                Se voi, o miei cari figliuoli, vi trovaste sopra questo monte ne sareste certamente commossi. Un grande edifizio, nel cui centro havvi una divota chiesa, forma quello che comunemente si appella Santuario d'Oropa. Qui havvi un continuo andirivieni di gente. Chi ringrazia la Santa Vergine per grazie da lei ottenute, chi dimanda di essere liberato da un male spirituale o temporale, chi prega la Santa Vergine che l'aiuti a perseverare nel bene, chi a fare una santa morte. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, contadini e signori, cavalieri, conti, marchesi artigiani, mercanti, uomini, donne, vaccari, studenti d'ogni condizione si vedono continuamente in gran numero accostarsi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione e andare di poi ai pie' d'una stupenda statua di Maria SS. per implorare il celeste di lei aiuto.

                Ma in mezzo a tanta gente il mio cuore provava un vivo rincrescimento. Perchè? Non vedeva i miei cari giovani studenti. Ah! Sì, perchè non posso avere i miei figli qui, condurli tutti ai pie' di Maria, offerirli a Lei, metterli tutti sotto alla potente di Lei protezione, farli tutti come Savio Domenico o altrettanti S. Luigi.

                Per trovare un conforto al mio cuore sono andato dinanzi al prodigioso altare di Lei e le ho promesso che giunto a Torino, avrei fatto quanto avrei potuto per insinuare nei vostri cuori la divozione a Maria. E raccomandandomi a Lei ho dimandato queste grazie speciali per voi. - Maria, le dissi, benedite tutta la nostra casa, allontanate dal cuore dei nostri giovani fin l'ombra del peccato; siate la guida degli studenti, siate per loro la sede della vera Sapienza. Siano tutti vostri, sempre vostri, e abbiateli sempre per vostri figliuoli e conservateli sempre fra i vostri divoti. - Credo che la Santa Vergine mi avrà esaudito e spero che voi mi darete mano, affinchè possiamo corrispondere alla voce di Maria, alla grazia del Signore.

                La Santa Vergine Maria benedica me, benedica tutti i sacerdoti e chierici e tutti quelli che impiegano le loro fatiche per la nostra casa; benedica tutti voi, Ella dal cielo ci aiuti, e noi faremo ogni sforzo per meritarci la sua santa, protezione in vita ed in morte. Così sia.

 

                Dal Santuario d'Oropa, 6 Agosto 1863.

 

Aff.mo Amico in Gesù C.

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                D. Bosco, narra la cronaca, dopo aver visitato in Biella il Vescovo Mons. Losana, ritornava a Torino per ripartire alla volta di Montemagno. Quivi D. Bosco era invitato a fare [499] un triduo di prediche in preparazione alla festa di Maria SS. Assunta in cielo. Giunto in Asti, ove era atteso da molti, col primo treno del mattino, si recò subito presso il parroco di S. Maria Nuova, ove dovette mettersi in confessionale ed ascoltare un numero non piccolo di penitenti. Andato quindi in casa del suo amico signor Cerrato, prima di pranzo dovette confessare alcune persone e poi tenne una conferenza per la diffusione delle Letture Cattoliche. Dopo pranzo fu chiamato in una chiesa vicina, ove altri e poi altri vollero confessarsi da lui. D. Bosco li ascoltò, rincrescendogli rifiutarsi, ma affrettandosi poi per giungere alla vettura, che alle 3 doveva partire per Montemagno, trovò che questa, dopo averlo atteso per un po' di tempo, era andata via. Le 4 erano ormai  sullo scoccare.

                D. Bosco aveva già pagato il suo posto e quella stessa sera era atteso infallantemente a Montemagno, per fare la prima predica d'introduzione al triduo. Egli perciò era in angustie ed entrò nell'ufficio delle vetture per vedere se vi fosse modo di trovare un calesse. Si cercò, ma subito non si potè avere e il padrone gli fece conoscere come partendo a quell'ora non gli fosse possibile di giungere in tempo per salire in pulpito; tanto più che una erta e lunga salita impediva ai cavalli di correre: quindi essere meglio rimandare la partenza al domani. Durarono un'ora buona queste trattative, e il Signor Cerrato che attendeva pazientemente, contento che D. Bosco non potesse partire, lo condusse a visitare un povero infermo. Costui avuta notizia fin dal mattino dell'arrivo di D. Bosco, aveva mandato ansiosamente una persona perchè glielo conducesse; ma Don Bosco, essendo risoluto di partire, erasi scusato. L'infermo per questo rifiuto si era lasciato andare a grande tristezza, sicchè quelli di sua famiglia non sapevano come quietarlo. La Provvidenza però aveva predisposti gli avvenimenti per consolarlo, e non si può dire con quale gioia fu dall'infermo accolto Don Bosco al suo comparire. Piangeva per la contentezza; la presenza [500] di D. Bosco era per lui come la presenza di un angelo: si confessò, aggiustò tranquillamente i suoi affari, e dichiarò che visto D. Bosco più nulla aveva da desiderare a questo mondo.

                Quella sera fu ancora a visitare la signora Pulciani, presso la quale tenne conferenza sull'opera degli Oratorii, e sbrigò varii affari per i quali era aspettato. Ebbe ancora a confessare prima di andare a riposo e il domani al mattino partiva per Montemagno, accolto a festa dal paese e dalla famiglia del Marchese Fassati, del quale era sempre ospite carissimo. La vigilia della festa giungeva D. Michele Rua per aiutarlo nel tribunale di penitenza.

                A D. Bosco rientrato nell'Oratorio erano presentate due domande per accettazione di giovanetti; una della Prefettura l'altra del Ministero dei Lavori Pubblici. Noi qui le accenniamo, perchè non è fuor di luogo il ricordare a quando a quando le attinenze benevoli del Servo di Dio con uno o coll'altro dei Ministeri dello Stato e colle varie autorità Provinciali o Municipali, per causa de' giovani da ricoverarsi; benchè in tempi così procellosi da varie parti sorgessero, non di rado, aspre opposizioni alla sua opera.

                Il foglio della Prefettura della Provincia di Torino, div. 5 Numero 12974 - 847, era scritto in questi termini.

 

Torino, addì 17 agosto 1863.

 

                Trovansi nella città di Savigliano li due orfani Tommaso e Giuseppe fratelli Trabucco, il primo dell'età di anni 12 ed il secondo dell'età di anni io, i quali, per essere senza beni di fortuna e poveri, sono stati provvisoriamente ritirati presso un loro zio materno Giuseppe Mina. Ma essendo questi pure in istrettezze da non poter soccorrere a lungo li sgraziati nipoti e non esistendo in Savigliano un adatto stabilimento per essi, si ebbe ricorso a questa Prefettura pel loro ricovero in qualche stabilimento di Torino.

                Secondando di buon grado una tale istanza, il sottoscritto si rivolge al benemerito sig. Sacerdote Bosco Direttore dell'Istituto di S. Francesco [501] di Sales in questa città, e comunicandogli alcuni documenti comprovanti il misero stato e l'età dei suddetti orfani, lo prega a volergli significare se gli fosse possibile ed all'uopo mediante qualche offerta, comecchè però assai tenue, accogliere nel suo istituto li detti due orfani Tommaso e Giuseppe Trabucco od almeno l'uno di essi.

 

Per il Prefetto

RADICATI.

 

                D. Bosco accettava il più grandicello per sole lire 100 una volta tanto, ma colla condizione che letto e vestiario fossero provvisti dai parenti. Un altro orfano da lui accettato eragli condotto dalla madre che presentavagli il seguente biglietto.

 

                MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI

                DIREZIONE GEN. STRADE FERRATE

 

                Torino, 15 Settembre 1863] L'esibitrice è la vedova Nattino, che presentasi a consegnare il figlio Federico d'anni io, che viene ricoverato nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

Il Direttore Capo di Div. Personale

Strade Ferrate

EVRARD

 

                D. Bosco accoglieva volentieri fra i suoi alunni gli orfanelli degli impiegati alle ferrovie e intanto pensava al materiale di costruzione per la nuova chiesa e al suo trasporto a Torino. Ne aveva parlato al Direttore generale delle strade ferrate, Bona comm. Bartolomeo, che nutriva per lui grande stima ed affetto, per ottenere ribassi sulle tariffe; e la risposta era stata favorevole.

 

 

CAPO L. Parlate di D. Bosco a' suoi giovani: motivi di aver confidenza nel superiore: facilità nell'Oratorio di fare il bene: non dir menzogne denigrando l'Oratorio e non disonorarlo colla cattiva condotta: un'anima da salvare: un consiglio, un amico, un pensiero. - Attenzioni paterne di D. Bosco per gli alunni: come annunzi ad uno di questi la morte del Padre - Varie raccomandazioni ai maestri ed assistenti - Prendere in buona parte anche un avviso errato dei superiori - Danno dal non osservare le regole - Tre lettere di D. Bosco al Can. Vogliotti, riguardo ai giovani che aspirano alla vestizione clericale; al servizio delle sacre funzioni in duomo; all'aiuto da porgersi ad un sacerdote pericolante e a qualche chierico - Don Bosco manda assistenti in altri convitti od ospizii.

 

                NEI primi giorni di Agosto era entrato nell'Oratorio almeno un centinaio di nuovi alunni, che avevano bisogno di frequentare una scuola preparatoria alla prima classe di ginnasio. In molti villaggi non vi era maestro oltre quello di terza elementare ed era quindi per loro conveniente una serie di esercizi della quarta. A questi si aggiungevano altri che dal 15 agosto al 15 settembre, interrotte le vacanze, venivano per aver ripetizioni, o per cercare di abilitarsi ad una classe superiore a quella nella quale erano già dichiarati idonei. Altri poi non si erano mossi dall'Oratorio. Grande quindi era il loro numero.

                E D. Bosco ripigliava i suoi discorsetti alla comunità radunata [503] alla sera, avendo specialmente di mira i nuovi alunni, dei quali si prendeva gran cura per avviarli alla frequenza de' Sacramenti.

                D. Bonetti ce ne lasciò alcune traccie senza indicare il giorno.

 

I.

 

                Siamo tutti insieme per correre un arringo e guadagnarci una bella corona. Tutti voi avete desiderio di fare una buona riuscita. Dunque mettiamoci in cammino. Io vi guiderò, voi mi seguirete. Prima però bisogna che ci intendiamo nei patti. Patti chiari, amicizia lunga; dice il proverbio. Io non sono qui per guadagnar denari, per acquistarmi un nome, per gloriarmi nel vostro numero, sono qui per niente altro che per far del bene a voi. Perciò fate conto che quanto io sono, sono tutto per voi, giorno e notte, mattino e sera: in qualunque momento. Io non ho altra mira che di procurare il vostro vantaggio morale, intellettuale e fisico. Ma per riuscire in questo ho bisogno dei vostro aiuto: se voi me lo date, io vi assicuro che quello del Signore non ci mancherà ed allora tenete per certo che faremo grandi cose.

                Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro Superiore quanto vostro amico. Perciò non abbiate nessun timore di me, nessuna paura, ma invece molta confidenza, che è quella che io desidero che vi domando, come mi aspetto da veri amici. Io, ve lo dico schiettamente, abborrisco i castighi, non mi piace dare un avviso coll'intimare punizioni a chi mancherà: non è il mio sistema. Anche quando qualcheduno ha mancato, se posso correggerlo con una buona parola, se chi ha commesso il fallo si emenda, io non pretendo di più. Anzi se dovessi castigare un di voi, il castigo più terribile sarebbe per me, perchè io soffrirei troppo. Quando un padre ha un figliuolo insubordinato sovente si sdegna, dà anche mano alla sferza che in certe circostanze è necessario adoperarla. E fa bene perchè qui parcit virgae odit filium suum. Nondimeno il mio cuore non reggerebbe non che a battere neppure a vedere. Non già che io tolleri i disordini; oh no! specialmente se si trattasse di certuni che dessero scandalo ai compagni: in questo caso per forza io dovrei dirgli: - Tu non puoi stare in mezzo a noi! - Ma c'è un mezzo per antivenire ogni dispiacere mio e vostro. Formiamo tutti un solo cuore! io son qui pronto per aiutarvi in ogni circostanza. Voi abbiate buona volontà. Siate franchi, siate schietti come io lo sono con voi. Chi fosse in pericolo si lasci sostenere me lo dica; chi avesse mancato non cerchi di coprirsi, ma invece procuri di rimediare al mal fatto. Se io so le cose e da voi stessi, allora procurerò di trovar ripieghi, perchè tutto proceda pel vostro meglio spirituale e temporale. Non sono io che voglio condannare coloro cui Dio avesse perdonato ecc. ecc. [504]

 

II.

 

                Ho da dirvi una cosa di molta importanza e questa si è che mi aiutiate in una impresa, in un affare, il quale tanto mi sta a cuore: quello di salvare le anime vostre. Questo è non solo il principale, ma l'unico motivo, per cui venni qui. Ma senza il vostro aiuto non posso far nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d'accordo e che fra me e voi regni vera amicizia e confidenza.

                Guardate quale fortuna per voi è l'essere stati accolti nell'Oratorio. A casa se volevate assistere ad una messa bisognava o andar lontano, o levarvi presto, o aspettare molto tardi: qui invece siete a pochi passi dalla Chiesa e potete ascoltarla tutti i giorni senza doverne soffrire nessun incomodo. A casa se volevate confessarvi bisognava aspettare alla Domenica, tante volte bisognava fare un lungo cammino, talora il prete non si poteva trovare: qui invece tutti i sabbati, tutte le Domeniche e anche tutti i giorni, avete il Sacerdote pronto ad ascoltarvi. A casa se volevate fare la Comunione, spesso non vi era nessuno a comunicare o bisognava attendere, o far chiamare il prete; spesso forse vi erano compagni che non aspettavano altro se non che andaste a fare la Comunione per burlarsi di voi; qui invece potete andare alla Comunione quanto più spesso volete, non c'è nessuno che vi burli, nessuno che vi osservi e vi noti quando andate e quando non andate. In paese se volevate andare a fare una visita a Gesù Sacramentato, bisognava partirsi da casa ora per pioggia, ora per sole: talora la Chiesa era chiusa, talvolta i parenti gridavano perchè avevano bisogno del vostro lavoro; qui invece chi vi proibisce in tempo di ricreazione di entrare in Chiesa a  visitare Gesù, Maria SS., recitare un Pater ed Ave, e poi ritornare a divertirvi? Qui avete amici buoni, esempi santi, consiglieri sicuri; alle case vostre avevate altrettanto? Qui vi sono tutte le comodità possibili per fare un po' di bene all'anima vostra: i superiori non hanno altro impegno che di aiutarvi.

                Qualcheduno potrà chiedere: A che cosa ci gioverà trarre profitto da questi mezzi?

                Vi rispondo: - Il non approfittarne è lo stesso come uno il quale si trovasse ad una tavola e gli venissero apprestati i più lauti cibi e i più squisiti liquori, ma egli invece di mangiare e bere stesse osservando le mosche e il soffitto.

                 - Ma perchè non  mangi?

                - Sì, sì angerò angerò poi domani!

                 - Ma domani non ci sarà più questa tavola!

                 - Ma lasciatemi un po' stare, che seccature!

                Ah miei cari giovani! Mi chiedete se vi giovano le pratiche di pietà? E potete dubitarne? In prima vi giovano per salvarvi eternamente e andare in paradiso; e poi vi giovano moltissimo per gli studii. Io ho [505] già per più anni notato questo. Vi è un giovane che sia assiduo di suoi doveri di pietà? Egli è amato dai compagni, dai superiori, si distingue nella scuola, al paese è la consolazione de' suoi genitori e del parroco. Al contrario quelli i quali, non vogliono saperne di pietà, sono la disperazione dei superiori, non sono amati dai compagni, poichè a questo tolgono la roba, con quell'altro rissano, col terzo adoperano villanie, prepotenze; al paese sono il disonore della famiglia, l'oggetto di disprezzo per tutti. E quando saranno grandi? Costui avrà perduti i suoi anni e si troverà colle mani vuote ..........

 

III.

 

                Una cosa di cui debbo avvisarvi si è che scrivendo a casa non si scrivano menzogne, ma sibbene si dicano le cose come sono. Benchè si dia pane a volontà e se ne trovino pur troppo dei tozzi e mezze pagnotte intere dappertutto, vi è chi osa scrivere che qui si fan patire di fame i giovani. Ve ne è qualcheduno, il quale non avendo studiato e non essendo stato promosso, fa sapere ai parenti che si sono commesse ingiustizie a suo carico e che i maestri e gli assistenti lo trattano male. Certuni annoiati della regola, poltroni, amanti solo di mangiare e di bere, trovano a dire su tutto perchè nessuna cosa li contenta. Ma perchè fare così, o cari figliuoli? Perchè dire cose contrarie alla verità? Se il vostro occhio è torbido e vede tutte le cose di brutto colore, che cosa ci possiamo fare noi? Io non fo qui la difesa della casa, perchè la casa non ne ha bisogno e centinaia di giovani sono contentissimi di star qui con noi, con D. Bosco! Del resto se qualcheduno non ci si trova bene, sappia che non teniamo nessuno per forza. Chi non è contento della prima tavola si faccia mettere dai parenti all'altra pensione, ovvero scriva a quelli di sua casa che vengano a ritirarlo. Qui c'è nulla di male, facciano come stimano meglio. Stiano, vadano; ma che si proceda sempre con sincerità.

                Ma non è solamente per i brontoloni ch'io parlo stassera: ma eziandio per quelli i quali non lo dicono colle parole, sibbene coi fatti, che l'Oratorio non è luogo per loro. Ascoltatemi. Un proverbio dice: la secchia a forza di andare nel pozzo vi lascia i cerchi. Vi sono dei giovani i quali cercano di farla franca, sicchè restino occulte le loro gherminelle. Vanno a nascondersi qua e là per sfuggire la scuola e lo studio, van rubacchiando ai compagni quello che hanno riposto nel baule, fanno certi discorsi che un giovane cristiano non dovrebbe fare: e vivono sicuri di sè, dicendo. Nessuno ci ha veduti. Costoro badino che ancorchè nessun superiore se ne accorgesse, vi è Dio onnipotente che ha veduto e loro ne domanderà stretta ragione. Ma poi sarà vero che i superiori sapranno nulla? Stiano certi che forse la faranno franca per la prima volta o per la seconda, ma non di più. Ci sono troppi occhi qui nell'Oratorio per non vedere e il diavolo fa la pentola ma non fa i [506] coperchi. Dunque anche costoro facciano giudizio, perchè sono ancora in tempo, e coi fatti diano prova di star volontieri nell'Oratorio: altrimenti bisogna dir loro che vadano a casa.

                Pertanto sia gli uni che gli altri si mettano ad operare con maggior lealtà. Io apro a voi tutti il mio cuore, se ho qualche cosa che non mi piaccia la manifesto, se ho qualche avviso da darvi ve lo do subito o in pubblico o in privato. Non vi faccio mai nessun mistero: ciò che è nel cuore l'ho sulle labbra. Così fate anche voi, o miei cari figliuoli. Se c'è qualche cosa che non vi piaccia, parlatemene; si combinerà quello che sarà meglio: se aveste fatto qualche sproposito, confidatemelo prima che altri lo sappia e vedremo di rimediare a tutto. Se voi mi ascolterete e farete così, allora sapete che cosa avverrà? Ne avverrà che finchè starete qui nell'Oratorio sarete contenti, e quando partirete pel vostro paese, andrete via di buona grazia erberete buona memoria degli uni e degli altri e saremo sempre amici.

 

IV.

 

                Si legge nella storia che un potente imperatore mandò al Pontefice Innocenzo XI ambasciatori, pregandolo di aderire a certi suoi desiderii contrarii alla giustizia. L'ambasciatore sfoderò tutta la sua eloquenza per dimostrare al Papa la convenienza di non disgustare un tanto principe. Il Papa ascoltava in silenzio.

                 - Santità, proseguiva l'ambasciatore; il mio sovrano promette di fare un gran bene alla religione e di proteggere la Chiesa.

                 - Non posso; rispose finalmente il Papa.

                 - Santità, pensate che esso possiede immense ricchezze e doterà largamente le basiliche e potrà largheggiare anche con voi se ne avrete bisogno.

                 - Non posso.

                 - Santità, se i vostri nemici vi recheranno insulto esso è pronto a difendervi con tutti i suoi eserciti.

                 - Non posso.

                 - Santità, il mio sovrano potrebbe sdegnarsi e tardi vi pentireste di aver incorso nel suo sdegno.

                 - Non posso.

                 - Dunque .....

                 - Dunque poichè tanto insistete, ritornate al vostro imperatore e parlategli così: il Papa dice: - Se io avessi due anime ne darei volentieri una per lui e quindi alla perdizione, e mi contenterei di salvar l'altra: ma io ne ho una sola.

                Gran pensiero è questo e degno del Papa! Lo stesso io dico a voi, cari figliuoli. Abbiamo un'anima sola. Se ne avessimo due potremmo una darla al demonio col contentare le nostre passioni. Ma ne abbiamo una sola! Quale dunque sarà la nostra conclusione? Darla al demonio [507] perchè se la prenda? Eh, no! Darla al Signore affinchè ce la salvi in eterno: quindi per darla al Signore, siccome ci sono molte cose a praticarsi e molte a fuggirsi, il nostro impegno è di studiare quali sono queste cose per poterle praticare o fuggire. Io ve le ho già in gran parte insegnate e spero che farete profitto de' miei avvisi. Dovete adunque dire al demonio quando vi chiede qualche cosa contro coscienza: - Non posso, non posso, perchè ho un'anima sola! - Questa è la vera logica cristiana, questo è un ragionamento migliore che non tutti quelli dei sapienti secondo il mondo. Ma notate però che il demonio ragiona anche lui. Egli ha studiato la filosofia, la storia, la teologia, la geografia e sa ragionare con sottigliezze che presenta sotto aspetto seducente per ingannare. Egli concede che abbiamo un'anima sola, ma soggiunge: - L'uomo è nato per godere; il tempo del godere è specialmente quello della gioventù, perciò coronemus nos rosis.

                Ma chiediamogli un poco: - In avvenire che cosa sarà di noi?

                 - Oh! egli dice; lascia l'avvenire ensa al presente.

                 - Ma quando ti avrò compiaciuto che cosa mi darai nell'altra vita?

                 - Oh di questo non ne parliamo! - E con questa parola egli sottintende: Fa' il male adesso e nell'altra vita so io cosa fare: saprò bene io aggiustarti. - Così ragiona il demonio e tanti si lasciano rovinare.

                Ma noi invece ragioniamo col Signore che ci paga in questa e nell'altra vita. Quando S. Nazario andò a convertire i Genovesi loro parlava dell'anima, della religione, del paradiso, ma non ne volevano sapere. Allora disse il santo: - Ascoltatemi: se voi servirete al vero Dio egli vi darà il cento per uno. - I Genovesi che erano negozianti: - Come! esclamarono; noi stentiamo ad avere il 5 per cento e questo Dio ci darà il cento per uno? - E senz'altro si fecero cristiani. Anche noi, o figliuoli, pensiamo al centuplo, ma spirituale, che Dio ci tien preparato! Oh quanto sarete fortunati se in tutto il corso della vostra vita terrete fisso sempre nella mente questo pensiero: Abbiamo un'anima sola. Se questa si salva è salva per sempre; se questa si perde è perduta per sempre.

 

V.

 

                D. Bosco diede tre ricordi in questi termini: Un consiglio, un amico, un pensiero. I° Confessione frequente; 2° Gesù Cristo  tutto ciò che lo riguarda; 3° Il paradiso.

 

                Le sue parole trovavano le vie dei cuori, poichè la verità che annunziavano, la grazia che accompagnavale, erano avvalorate da una carità che prendeasi cura di ogni bisogno degli alunni. Non sfuggivano al suo occhio attento le infermità, le malinconie, gli scoraggiamenti e cercava di procurare [508] a tutti il conforto necessario. Se gli giungevano notizie dispiacenti dalle famiglie de' suoi figliuoli, egli stesso le comunicava loro con una impareggiabile delicatezza. Le cento volte si assunse l'impegno di annunziare a qualche giovanetto la morte del padre o della madre.

                Verso la fine di settembre moriva quasi improvvisamente al suo paese, Monticelli d'Olgiate, il padre del giovane Sala Antonio, che in que' giorni assisteva in porteria. D. Bosco dopo il pranzo lo mandò a chiamare che venisse nel refettorio. Stupito Sala andò subito e gli chiese: - Che cosa desidera?

                 - Voglio prendere il caffè in tua compagnia! - e gliene porse una tazza con molta amorevolezza. Sorbito il caffè a poco a poco gli diede la dolorosa notizia. Sala diede in un dirotto pianto, ma D. Alasonatti sorreggendolo gli sussurava all'orecchio: - Ti è morto un padre e te ne rimane un altro.

                D. Bosco finì con assicurarlo che se la sua famiglia non avesse potuto pagare la modica pensione, egli era pronto a tenerlo con sè gratuitamente per tutto il tempo de' suoi studii. Il giovane andò subito a casa sua per il disbrigo di varii affari e di là scriveva a D. Bosco: “Creda: le lagrime che io spargo per la perdita di mio padre, se penso a Lei, in un istante si cambiano in altrettante lagrime di consolazione e di gioia”.

                Sala Antonio fu sacerdote, Economo generale della Pia Società; e ripeteva gli ammirabili tratti di bontà usatigli da D. Bosco in così dolorosa circostanza.

                Oltre alle parlate che D. Bosco tenne coi giovani, D. Bonetti raccolse alcuni importanti consigli da lui dati ai preti ed ai chierici o in conferenza, o trovandosi con essi in refettorio, o nel cortile in crocchio: - Guardatevi, disse, dal parlare con disprezzo di un giovane per qualche suo difetto, massime alla sua presenza o dei compagni. - Se dovrete dare un avvertimento, datelo da solo a solo, in segreto, e colla massima dolcezza. - In generale, cioè tolto qualche raro caso, non si lascino mai moltiplicare gli atti difettosi, prima di fare una correzione. [509] Si parli subito e schiettamente. Lodare chi si corregge ed incoraggiare gli indolenti. - Per la pace della Casa siate umili e tolleranti. Anche quando un Superiore per rapporti ricevuti, avvisa di una cosa o esagerata, o male intesa, o falsa, si accolga sempre con rispetto la sua osservazione: e in questi casi si tenga l'avviso come rimedio preventivo. - Un superiore deve esser padre, medico, giudice, ma pronto a sopportare e a dimenticare.

                Raccomandò un giorno l'osservanza delle regole e a non trascurarne per varii pretesti alcuna, se voleasi avere sull'Oratorio la benedizione di Dio. In prova leggeva un tratto di lettera a lui scritta il giorno 2 del mese di settembre da una Benedittina dal Monastero di S. Maria del Fiore, presso Firenze: “Per conservare la sanità delle monache si sono modificate le regole riguardo al coro, e la sanità nel monastero da allora in poi andò deteriorando specialmente nelle suore giovani. Da più di cinque anni non si è vestita alcuna monaca e nel frattempo, ne morirono tredici e varie sono gravemente ammalate. Pare quasi toccar con mano che tali modificazioni alle regole non siano di gradimento al Signore”.

                Nel settembre D. Bosco doveva anche pensare a que' suoi giovani che avevano scelto di abbracciare lo stato ecclesiastico. Erano la pupilla degli occhi suoi, come pure lo erano eziandio i chierici che appartenevano alla diocesi di Torino, i quali, non sapendo ove ritirarsi in tempo di vacanza, o non potendo essere provveduti dai parenti poveri, venivano a chiedere ricovero a D. Bosco. Ed egli accoglievali paternamente; e per circa quattro mesi procurava loro gratuitamente quanto era necessario alla vita.

                Scriveva intanto al Rev.mo Can. Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario dell'Archidiocesi, anche per scusarsi di un rimprovero che eragli stato fatto dallo stesso canonico. [510]

 

                               Ill.mo e Molto R.do Sig. Rettore,

 

                Le trasmetto qui la copia dei voti sulla condotta scolastica dei candidati per la Vestizione chiericale, siccome fu espressa da tutti i Superiori di questa casa radunati. Se mai il Ghella Antonio non eccedesse di molto il numero degli errori fissati, vorrei chiederle favore pel medesimo; sia per la sua veramente esemplare condotta, sia per la morale certezza che porge della continuazione de' suoi studii.

                I giovani Birocco Antonio, Cuffia Francesco, Nasi Angelo della diocesi d'Ivrea, Alessio Felice La pregano per mezzo mio a volerli aggregare alla diocesi di Torino.

                Sebbene poveri non darebbero disturbo alcuno, giacchè io li terrei volentieri in casa e li provvederei di quanto loro occorre pel servizio che potrebbero prestare all'Oratorio.

                In questa medesima occasione Le noto che i due madornali difetti di cerimonie in Duomo (appoggiando il gomito sull'altare e non aiutando a svestire i piviali in sagrestia) non sarebbero da imputarsi ai nostri dell'Oratorio, ma a due del Seminario di Chieri attualmente in questa casa. Così mi fu detto. Ciò nullameno non mancherò animare energicamente i nostri chierici e maestri affinchè si diano sempre maggior sollecitudine per rendersi capaci di quanto riguarda al divino servizio.

                La Santa Vergine La conservi in sanità e mi creda con pienezza di stima.

                Di V. S. Ill.ma e M. R.

                Torino, 2 settembre 1863:

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Ma non solo ei procurava di far gli interessi de' suoi alunni, ma eziandio quelli di, sacerdoti extradiocesani, come consta dalle due seguenti lettere indirizzate allo stesso canonico Vogliotti alcun tempo dopo.

 

                               Ill.mo e M. R.do Signore,

 

                Il giovane Berardi, di cui ieri V. S. Ill.ma parlava, è veramente quello di cui aveva reminiscenza. Egli fu in questa casa con una condotta abbastanza buona, tanto per ciò che riguarda allo studio, quanto per ciò che riguarda alla moralità. E fu di sua spontanea volontà che partì da questa casa, dicendo che voleva abbandonare lo studio; di [511] poi ne ho saputo più nulla. Ora godo che siasi presentato per l'esame dei chierici, perchè è segno che si è conservato buono.

                C'è Don F…… che mi visita quasi tutti i giorni, dimandandomi appoggio e pecunia. Se mai potesse condurre la sua pratica a qualche buon risultato mi farebbe un favore e sarebbe una vera carità per questo sacerdote pericolante.

                Le acchiudo qui la lettera del chierico Duina Antonio, già allievo di questa casa. Faccia quanto Le pare bene nel Signore.

                Sempre miserie, sempre miserie. Il Signore La faccia ricco di grazie, di benedizioni, e Le doni un giorno le ricchezze del Paradiso, amen. Mi creda tutto

 

                Torino, 21 ottobre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                               Ill.mo e M. R. Signore,

 

                Oggi sabato non posso recarmi in Curia come vorrei; e dovendo dar sesto ad alcune cose di premura, mi fo lecito pregarla col presente scritto.

                I°) Abbia la bontà leggere la lettera di Mons. Caccia e di aggiungere due linee di commendatizia o almeno di legalizzazione della firma per l'affare F…… per così terminar un affare che ci ha già dato millanta disturbi.

                2°) Veda se può promuovere la remissione a favore del Ch. Provera Secondo, che mi rinnova Mons. Vescovo di Casale: prenda con bontà questo disturbo ed io Le farò dire stassera un'Ave Maria da tutti i nostri giovanetti, mentre con vera gratitudine mi professo.

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 14 Novembre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                La cronaca nota ancora un'altra sua carità. “Spesso in questi tempi ricorrevano a D. Bosco i Rettori di collegi e di Ospizi per avere insegnanti ed assistenti. Egli, potendo, accondiscendeva alle loro domande per collocare chierici i quali non sentivansi chiamati alla vita dell'Oratorio, e non appartenevano alla diocesi di Torino  ovvero erano esitanti sulla loro vocazione. Al Canonico Domenico Costa che domanda un assistente pel suo convitto di S. Filippo in Chiavari, propone il Ch. Turletti di Vemante, studente di i' Filosofia, in età di 18 anni”.

 

 

CAPO LI. Sessione straordinaria nell'Università per i diplomi d'insegnante nel ginnasio inferiore - Ricotti non ammette agli esami i chierici e i preti dell'Oratorio - Un suo viaggio provvidenziale alla campagna - Il Preside supplente ritiene valevoli i certificati del Seminario - Cinque diplomi di professore meritati da quei dell'Oratorio - Tre difficili ma splendidi esami di licenza liceale e nuove ammissioni all'Università - D. Bosco tiene in grande onore gli studi - I suoi alunni e i loro memorabili esami di licenza ginnasiale: testimonianze di illustri professori - Disgrazie e morte del Comm. Gatti.

 

                INTANTO si avvicinava il tempo fissato alla sessione straordinaria nell'Università per coloro che volessero conseguire il diploma di professore delle tre prime classi ginnasiali. Si erano preparati con speranza di buona riuscita i sacerdoti D. Rua Michele, D. Fusero Bartolomeo, D. Ruffino Domenico; e i due chierici Bonetti Giovanni e Ballesio Giacinto. Essi avevano dato opera a preparare tutti i certificati necessari, ma fra questi si richiedeva quello di promozione all'esame di licenza liceale. I cinque aspiranti, avevano subito felicemente l'esame di Filosofia nel Seminario di Torino, il quale come abbiamo detto, per più anni erasi riguardato equivalente al liceale. Di questo adunque presentavano i certificati della Curia. Ma il Comm. Ricotti, Rettore dell'Università, il quale continuava ad avere prevenzioni contro l'opera di D. Bosco, non li riconobbe validi e [513] non volle ammetterli. Forse egli e qualche altro provavano dispetto di aver dispensati dall'esame di licenza liceale i quattro ammessi al corso di lettere nel mese di luglio. Così svaniva la speranza che l'Oratorio e Mirabello potessero avere insegnanti legali.

                Che fare? Il tempo incalzava, né vi era modo di avere altri certificati. Solamente la preghiera poteva spianare questa difficoltà, e di fatto la spianò. Qualche giorno dopo si venne a sapere che il Rettore era andato in campagna e perciò doveva succedergli a reggere l'Università, in sua assenza, il più anziano fra i presidi delle varie facoltà. E questi fu quello della facoltà teologica Serafino Angelo, professore di Teologia speculativa. Ritentata perciò la prova, il supplente, persona molto assennata e dabbene, visitate tutte le carte dei candidati dell'Oratorio, non credette accampare alcuna difficoltà. Anzi soggiunse: - In Seminario so che si fanno gli studi con maggior coscienza che in certi Collegi Governativi. Vennero ammessi tutti quanti. Gli esami furono dati dal giorno 15 al 20 settembre. Qualcuno riportò i pieni voti e gli altri ottennero votazioni molto soddisfacenti.

                Era questo per l'Oratorio un secondo trionfo; ma D. Bosco toccando con mano che sarebbe stato impossibile nell'avvenire giovarsi dei certificati del Seminario per la filosofia, onde conseguire diplomi o farsi ascrivere all'Università, aveva deciso di presentare da qui innanzi i suoi alunni all'esame di licenza liceale.

                E incominciò nel 1864, destinando a questa prova Jarac Tommaso Luigi, Perucatti Placido e Rinaudo Costanzo.

                Egli però sapendo come avrebbe incontrato impedimenti al suo progetto pel malo animo de' suoi avversarii, andava da Nicomede Bianchi, preside allora del liceo del Carmine, per renderselo meno ostile. Come D. Bosco gli ebbe detto che veniva per raccomandare alla sua bontà tre alunni, egli, facendo pompa d'imparzialità, rispose che non poteva accettare raccomandazioni [514], e che l'unica raccomandazione possibile era la scienza e lo studio dei giovani esaminandi; la legge essere chiara; esso tenersi strettamente alla legge; i giovani adempiano a quanto prescrive la stessa legge e l'esito del loro esame sarà sicuro. D. Bosco ripigliò essere egli venuto a bella posta per supplicarlo di voler tutelare i giovani in conformità della legge stessa; se essere informato come nella commissione esaminatrice vi fosse qualcuno mal prevenuto contro i suoi alunni, quindi raccomandarsi alla conosciuta lealtà e rettitudine del preside, perchè dissipasse ogni pregiudizio dalla mente degli esaminatori: essere venuto pure per dare tutti quelli schiarimenti che fossero creduti necessarii sul metodo del suo insegnamento e sulla legalità dei suoi insegnanti; concludeva non aver bisogno di favori, non voler chiedere eccezioni, perchè era persuaso i suoi giovani non averne di bisogno.

                 - Quando è così, osservò Nicomede Bianchi, la cosa non potrà andare che bene. Stia tranquillo, faccia coraggio ai giovani: ed io le assicuro che non saranno fatte parzialità di sorta. - Intrattenutosi alquanto e con molta affabilità a chiedere varie notizie intorno all'Oratorio, rinnovò le sue promesse quando D. Bosco prese congedo. Erano però sospette. Rinaudo infatti si presenta ai lavori in iscritto di lingua latina e questo lavoro è rigettato. Se ne chiede il motivo e si ha per risposta che essendo troppo ben fatto deve senz'altro essere stato copiato. D. Bosco negava quest'asserzione e per i suoi molti impegni Rinaudo fu ammesso all'esame verbale; ma quivi gli vien rimproverato quel lavoro come non fosse opera sua. Rinaudo assicura e protesta che è suo e dopo le sue vive istanze gli esaminatori decidono che rifaccia la composizione in quella stessa sala. Rinaudo prende subito la penna. Il tema era invariato. Lo rifà con nuovi argomenti, nuovo svolgimento di idee, nuove frasi, sicchè quella seconda prova riuscì di gran lunga migliore della prima. Allora gli esaminatori meravigliati [515] furono costretti a promuoverlo con pieni voti. Anche per gli altri due l'esame fu molto severo, ma ottennero essi pure una bella promozione.

                Tempo dopo questi tre si presentarono per l'esame d'ammissione al corso di Lettere e superarono con gran lode la prova. Questi fatti dimostravano, a chi voleva intenderla, come nell'Oratorio si tenessero in grande onore gli studi classici ed erano una smentita solenne a certe gazzette e a certi inquisitori.

                E qui per dimostrare con quale ardore si studiasse nell'Oratorio, faremo una digressione. Negli anni seguenti altri alunni di D. Bosco si presentarono nei licei di Torino e destarono l'ammirazione degli esaminatori. Oltre a ciò D. Bosco, benchè allora non fosse obbligatorio l'esame di licenza ginnasiale, mandava non di rado sul finir dell'anno scolastico i più distinti de' suoi studenti a subire l'esame di Rettorica nei pubblici ginnasii, dove essi riportarono sempre splendide promozioni. Ne fece testimonianza anche il Professore Bacchialoni Carlo, Direttore del Ginnasio di S. Francesco di Paola. Quando poi l'esame di licenza ginnasiale venne imposto per legge, come necessario per entrare in liceo, tutti gli anni i giovani dell'Oratorio si presentavano in numero di trenta, quaranta e più agli esaminatori governativi, e riuscivano non di rado i primi, superando nei voti che ottenevano gli allievi di tutte le scuole pubbliche e private di Torino.

                Il professore Antonino Parato, Direttore del Ginnasio Monviso, ora Massimo d'Azeglio, era pieno d'entusiasmo per la riuscita degli studenti dell'Oratorio, i quali in maggior numero erano esaminati dalla sua Commissione. Oltre essere diligentemente preparati su tutte le materie, un certo numero di essi, animati dai loro professori con qualche volumetto di premio, avevano studiato a memoria autori classici, prosatori e poeti. Lo studio era la loro occupazione continua.

                Il suddetto professore ripetè molte volte a Don Celestino [516] Durando, parlando di questi esami dei giovani dell'Oratorio, non potersi immaginare il vantaggio immenso che avevano causato agli alunni delle scuole civiche destando l'emulazione: questi però non essere riusciti a superar quelli.

                Di tanto fiorire dell'Oratorio, evidente benedizione di Dio, ne erano spettatori quelli stessi che avevano ordinate od eseguite le perquisizioni. Di alcuni di costoro noi abbiamo narrate le sciagurate vicende che funestarono la loro vita; e qui non ci pare fuor di luogo il segnalate eziandio un avvenimento, nel quale si scorge la giustizia di Dio aver fatto pesare tremenda la sua mano sopra colui, che più colpevolmente attentò alla distruzione dell'Opera di D. Bosco. Narrando le disgrazie che gli accaddero, lo facciamo con profonda commiserazione e coll'unico scopo che servano di utile ammaestramento a chi legge e a quelle persone o pubbliche o private, che volessero opporsi alle opere di Dio.

                Chi aveva spiegato contro l'Oratorio uno zelo veramente degno di miglior causa era stato il Cavaliere, indi Commendatore Stefano Gatti. Cominciò egli a darne prova sino dal 1860, come abbiamo a suo luogo narrato, e D. Bosco non fu di certo debitore alla sua benevolenza se allora e di poi le sue scuole non furon chiuse, e disperse più centinaia di poveri giovanetti dell'Oratorio. Sempre largo in parole di cortesia e promesse di protezione, in segreto fece tutto il male che potè. Si diede a pubblicare calunnie sui giornali ostili alla religione e alla morale. Richiese alcune copie della vita di Savio Domenico “per edificarmi, scriveva, con quelle eroiche virtù” ma in realtà per farne tema di burla e disprezzo, con molti articoli pubblicati nel giornale Astigiano detto Il Cittadino. Egli si argomentava di riuscire alla rovina dell'Oratorio, come pur troppo era riuscito alla rovina di molti altri Istituti non dissimili, ma il poveretto fu deluso nella sua speranza. Dal giorno che egli confuso, non trovando più la porta, andò a mettere il capo nell'armadio, pare che la fortuna gli volgesse [517] le spalle, ed un poeta direbbe che quell'armadio fu per lui un vaso di Pandora, contenente tutti i malanni del mondo. Infatti alcun tempo dopo cominciò ad avere una dolorosa sventura nella sua moglie, che, rotolando da una scala, si ruppe tutta la vita.

                Nel trasporto poi della capitale da Torino, indi da Firenze a Roma, il Gatti sperava di migliorare ancor la sua sorte, e la sua attività l'avrebbe meritato, ma egli aveva dei conti aperti colla divina Provvidenza; quindi è che, caduto in uggia ai superiori ed agli eguali non solo non progredì in carriera, ma ne andò discendendo ogni di più. Anzi, dopo alcun tempo, per le mene di un suo competitore, si vide financo privato d'impiego e posto in disponibilità. Questo inatteso contraccolpo, questo crudele disinganno influì sinistramente sopra le sue facoltà mentali; ed il pover'uomo si fece da prima cupo e melanconico; di poi ebete e folle, e infine perdette affatto il bene dell'intelletto. In questo stato ora piangeva come un ragazzo, ora smaniava come un energumeno, sicchè muoveva alla più alta compassione quanti lo vedevano e lo udivano.

                Avendo sempre innanzi l'ombra del suo nemico, non rifiniva di gridare: Ah! mi hai rovinato. Più volte tentò suicidarsi.

                Condotto ad una casetta presso Felizzano, sua patria, che in altri tempi gli aveva servito di amena villeggiatura, invece di migliorare, il mentecatto peggiorò al pulito che divenne furioso. Colà, in un momento di maggiore alienazione, diede un terribile calcio alta sua povera consorte, e poscia presala per la testa, la sbattè più volte e sì fortemente nel muro, che l'uccise, sfracellandole il cranio. Poco dopo finiva egli pure sua vita, privo di ogni umano conforto.

                Potremmo qui rammentare la catena dolorosa delle sventure piombate sul capo di quelli che più irosamente assaltarono l'esistenza dell'Oratorio; ma facciamo punto per ora, bastando [518] il sin qui esposto a raffermare il giudizio già espresso altrove, cioè che parve Iddio aver promesso anche a D. Bosco quello che già prometteva al patriarca Abramo: - Benedirò quei che ti benedicono e maledirò quei che ti maledicono: Benedicam benedicentibus tibi, et maledicam maledicentibus tibi[43].

 

 

CAPO LII. Il piccolo Seminario di Mirabello - D. Bosco scrive il primo Regolamento de' suoi collegi: conto nel quale deve essere tenuto - Spirito di questo regole - Il programma e sua diffusione - Scelta del personale e consigli dati da D. Bosco - Il quaderno dell'esperienza - Il piccolo Seminario in ordine - Gli avvisi in iscritto per un Direttore dati da Don Bosco a D. Rua - Letture Cattoliche - Il Galantuomo: una prefazione un po' misteriosa - D. Ambrogio - Le sassate contro l'Oratorio.

 

                UNO e non ultimo studio di D. Bosco in quest'anno era stata la fondazione del Collegio di Mirabello. Ne aveva scritto il regolamento, mettendo per base quello dell'Oratorio, specificando tutti i doveri dei singoli superiori e degli alunni, mutando ciò che non era adattato alla natura dell'Istituto; e conservando oltre ai capitoli che riguardano i capi dormitori, e le persone di servizio[44], tutti interi i capitoli della seconda parte che trattano della disciplina[45]. Questo regolamento doveva essere come lo [520] statuto fondamentale, anche di tutte le altre case che col tempo sarebbonsi aperte[46].

                Esigeva che se ne facesse gran conto.

                Quindi stabiliva che sul principio di ogni anno scolastico, seguendo l'usanza dell'Oratorio, si leggessero queste regole ai giovani del Collegio radunati nella sala dello studio, alla presenza di tutto il corpo dirigente ed insegnante; e che non si omettessero gli articoli che riguardavano gli uffizi ed i doveri dei singoli superiori, compresi quelli dello stesso Direttore. D. Bosco affermava che gli alunni dovevano riconoscere come eziandio i superiori fossero soggetti al Regolamento, che facevano il loro dovere, e non ad arbitrio quando esigevano obbedienza, prendevano misure di sorveglianza, rimproveravano, ed anche nella necessità costringevano. Tale lettura doveva costituire gli alunni testimoni della fedeltà dei superiori ai loro doveri, sicchè questi, come modelli, potessero dir loro francamente: - Obbedisco io; obbedite anche voi.

                A qualcuno non dava nel genio tale disposizione, ma Don Bosco, interrogato più tardi da noi, confermò esser questa lettura da lui voluta, e da lui praticata nell'Oratorio finchè gli fu possibile.

                Ma il regolamento doveva essere interpretato secondo lo spirito delle tradizioni dell'Oratorio, le quali ponevano come fondamento dell'educazione degli alunni la frequenza de' sacramenti E perchè questa avesse il primato d'onore in un collegio, D. Bosco aveva stabilito che il direttore spirituale, nella persona del Superiore, fosse la prima dignità ed autorità. Egli doveva predicare, far scuola di Teologia, tenere il breve sermoncino alla sera dopo le orazioni. Era il confessore ordinario della Comunità. Doveva trovarsi puntualmente al confessionale ogni mattina durante la messa e alla sera di ogni [521] vigilia di giorno festivo o dell'esercizio di buona morte, ossia ricopiare in sè lo zelo di D. Bosco per la salute delle anime.

                Nello stesso tempo però ogni settimana, e in certe occasioni più sovente, dovevano essere invitati confessori esterni. Piena libertà era concessa ai giovani nella scelta del confessore, non obbligati alla santa comunione, sibbene incoraggiati a farla, porgendone loro ogni comodità. In occasione di comunioni generali non si prescriveva nessun ordine nel lasciare i banchi per accedere all'altare, sicchè non fosse notato chi non si comunicava.

                L'ufficio dei Direttore era paterno e perciò atto a guadagnare il cuore e la confidenza dei giovani e per nessun motivo doveva assumersi una benchè minima incombenza odiosa. Queste spettavano agli altri superiori.

                Al Prefetto era assegnata la gestione materiale, la disciplina di tutto il collegio, il ricevere e distribuire, spedire la corrispondenza postale, il congedare un alunno. Per evitare certi rapporti tra il Direttore e i parenti degli allievi, il solo Prefetto teneva ufficio presso la porteria, ove conservava tutti i registri e dava udienza.

                Al Catechista era affidata la sorveglianza sulla condotta morale e religiosa; la chiesa, le camerate, l'infermeria: l'azienda scolastica, le passeggiate, il teatrino al Direttore degli studi.

                Questi tre superiori con alcuni altri consiglieri davano i voti di condotta; e a tale radunanza il Direttore della Casa non interveniva mai, essendo ciò constatato dagli alunni, che lo vedevano in quel tempo in mezzo a loro.

                Tale sistema appariva ottimo, e frutto speciale e continuo furono una meravigliosa e incontestabile confidenza degli alunni nel Direttore, una frequenza consolantissima ai sacramenti e le numerose vocazioni ecclesiastiche e religiose. Ma ciò che era necessario per stabilire la Pia Società, non fu giudicato più conveniente dopo la morte di D. Bosco alla podestà [522] suprema della Chiesa, e siccome la parola del Pontefice è parola di Gesù Cristo, i suoi decreti furono obbediti.

                D. Bosco, preparato il Regolamento, che per varii anni rimase manoscritto, si occupò nello stendere il programma del nuovo collegio. Datolo alle stampe ne mandava copia a tutti i parroci della Diocesi di Casale e confinanti[47]. Su questo furono poi modellati quelli di molti altri suoi collegi.

                Dopo questi preliminari, D. Bosco, ritornato dal santuario d'Oropa, sceglieva coloro che dovevano reggere il piccolo Seminario, dopo averne studiati i caratteri e le abilità, per assegnare a ciascuno gli uffizi convenienti. In ciò aveva un tatto finissimo e infatti le persone destinate risposero all'aspettazione di tutti.

                Non ostante però la giustezza delle sue vedute, volle consigliarsi col suo Capitolo, come fece sempre in simili occasioni.

                E fu nominato Direttore D. Rua Michele, Prefetto il Ch. Provera Francesco, Catechista il ch. Bonetti Giovanni, Direttore degli studi il ch. Cerruti Francesco.

                Furono destinati per loro compagni i chierici Albera Paolo, Dalmazzo Francesco, Cuffia Francesco, e i giovani aspiranti allo stato ecclesiastico Belmonte Domenico, Nasi Angelo e Alessio Felice.

                A questi suoi diletti figliuoli D. Bosco inculcava di aver particolarmente di mira le vocazioni ecclesiastiche. Ricordava loro di essere ossequenti ed affezionati al Vescovo, di prestarsi volentieri a quanto fossero da esso richiesti, e che si adoperassero per conciliargli il rispetto e l'obbedienza de' diocesani. Raccomandava una piena deferenza all'autorità del parroco, invitandolo p. e. a venire o mandare qualche suo prete a confessare, a celebrare la messa; ad assistere a qualche funzione, alle istruzioni catechistiche, alle accademie, ai teatrini: se richiesti, di concedere i cantori alla [523] parrocchia nella festa titolare, e anche i preti in servigio dell'altare o delle anime. Che insomma facessero quanto era compatibile coll'ordine del collegio, e che si guardassero bene da ogni puntiglio. Indicava eziandio ai Superiori il dovere appena giunti di presentarsi per prima cosa al Vescovo ed al parroco per ossequiarli; ed eziandio di trattare col dovuto rispetto le autorità civili.

                A D. Rua e a' suoi compagni dava ancora un altro importante consiglio da lui messo continuamente in pratica. Farsi cioè un quaderno intitolato: l'Esperienza e in questo registrare tutti gli inconvenienti, i disordini, gli sbagli mano a mano che occorrono; nelle scuole, nelle camerate, nel passeggio, nelle relazioni tra giovani e giovani, tra superiori e inferiori, tra i superiori stessi; nei rapporti del Collegio coi parenti dei giovani, colle persone estranee, colle autorità scolastiche, o civili, o ecclesiastiche. Notare eziandio le disposizioni che si videro necessarie per ovviare a molti sconcerti nelle feste straordinarie; e così via discorrendo. Come pure tener conto dei motivi di cambiamenti o d'orario, o di funzioni, o di vacanze, o di scuole in certe circostanze. Quindi leggere a quando a quando e studiare le proprie note; e specialmente, ricorrendo eguali circostanze, riandare quanto altra volta si fece per regolare con prudenti misure ogni cosa, e gli errori nei quali si era incorsi, e la maniera di rimediarvi. Raccomandò pure che per gli inviti a feste o teatrini si tenesse scritta la nota dei nomi di quelle persone che è necessario o conveniente invitare.

                A D. Rua poi in particolare dava norme sapientissime per riuscir bene nell'importante ufficio di Direttore: promettendogli che dopo qualche settimana gliele manderebbe scritte di sua mano. Presentiamo al lettore questo importante documento. [524]

 

Al suo amatissimo figlio D. Rua Michele

il Sacerdote Bosco Giovanni salute nel Signore.

 

                Poichè la Divina Provvidenza dispose di poter aprire una casa destinata a promuovere il bene della gioventù in Mirabello, ho pensato, tornare a maggior gloria di Dio il fidarne a te la direzione.

                Ma siccome non posso trovarmi sempre al tuo fianco per darti o, meglio ripeterti quelle cose che tu forse avrai già veduto praticarsi, così stimo farti cosa grata scrivendoti qui alcuni avvisi che potranno, servirti di norma nell'operare.

                Ti parlo colla voce di un tenero padre che apre il cuore ad uno de' più cari suoi figliuoli.

                Ricevili adunque scritti di mia mano come pegno dell'affetto che io ti porto, e come atto esterno del mio vivo desiderio che tu guadagni molte anime al Signore.

 

I.

 

Con te stesso.

 

                I° Niente ti turbi.

                2° A te raccomando di evitare le mortificazioni nel cibo e in ciascuna notte non fare meno di sei ore di riposo. Questo è necessario per conservare la sanità e promuovere il bene delle anime.

                3° Celebra la Santa Messa e recita il breviario pie, devote, attente. Questo procura di praticarlo tu ed insinuarlo anche nei tuoi dipendenti.

                4° Ogni mattina un poco di meditazione, lungo il giorno una visita al SS. Sacramento. Il rimanente come è disposto dalle regole della Società.

                5° Studia di farti amare prima di farti temere; nel comandare e correggere fa sempre conoscere che tu desideri il bene e non mai il tuo capriccio. Tollera ogni cosa quando si tratta di impedire il peccato, ogni tuo sforzo sia diretto al bene delle anime de' giovanetti a te affidati.

                6° Pensaci alquanto prima di deliberare in cose d'importanza e ne' dubbi appigliati sempre a quelle cose che sembrano di maggior gloria di Dio.

                7° Quando ti è fatto rapporto intorno a qualcheduno, procura di rischiarare bene il fatto prima di giudicare. Spesso ti saranno dette cose che sembrano travi e sono soltanto paglie.

 

Coi Maestri.

 

                I° Procura che ai maestri nulla manchi di quanto loro è necessario pel vitto e per il riposo. Tien conto delle loro fatiche; ed essendo ammalati [525] o semplicemente incomodati, manda tosto un supplente nella loro classe.

                2° Procura di parlare spesso con loro o separatamente o simultaneamente; osserva se non hanno troppe occupazioni, se loro mancano abiti, libri; se hanno qualche pena morale o fisica; oppure trovansi in classe allievi che abbiano bisogno di correzione odi speciale riguardo nel grado o nel modo d'insegnamento. - Conosciuto qualche bisogno fa quanto puoi per provvedervi.

                3° In conferenza apposita raccomanda che interroghino indistintamente tutti i giovani della classe, leggano per turno qualche lavoro di ciascuno; fuggano L’amicizia particolare e la parzialità fra i loro allievi; quando occorre solennità, novena od anche semplice festa in onore di Maria SS. se ne dia cenno in classe con un semplice annunzio.

 

Cogli assistenti o capi di camerata.

 

                I° Quanto si è detto pei maestri si può in gran parte applicare agli assistenti e capi di camerata.

                2° Procura che loro nulla manchi perchè possano continuare i loro studi; perciò fa in modo che qualcuno faccia loro scuola ed abbiano tempo per studiare.

                3° Procura di trattenerti con essi per udirne il parere sulla condotta dei giovani loro affidati. Si trovino puntuali al loro dovere: facciano la loro ricreazione coi giovani.

                4° Se tu scorgerai che taluno di essi formi amicizia particolare o te ne accorgi anche di lontano la sua moralità essere in pericolo, con prudenza lo cangerai di sito, se occorre gli darai altra occupazione; e se mettesse in pericolo la moralità di qualche compagno o di qualche giovane lo toglierai tosto dall'impiego e mi parteciperai tosto la cosa.

                5° Radunerai qualche volta i maestri, gli assistenti, i capi di camerata e passeggiata e a tutti dirai che si sforzino per impedire i cattivi discorsi, allontanare ogni libro, scritto, immagine, hic scientia est, e qualsiasi cosa che metta in pericolo la regina della virtù, la purità. Diano dei buoni consigli, usino carità coi giovani, conoscendo qualche allievo pericoloso ai compagni, te lo dicano e se ne faccia oggetto delle comuni sollecitudini.

 

Colle persone di servizio.

 

                I° Non abbiano molta famigliarità coi giovani e fa in modo che possano ogni mattina ascoltare la S. Messa ed accostarsi ai Santi Sacramenti ogni quindici giorni od una volta al mese.

                2° Usa sempre carità nel comandare ed in ogni circostanza fa sempre conoscere che desideri il bene dell'anima loro. Non si permetta che entrino donne ne' dormitori de' giovani od in cucina, nè trattino con alcuno della casa se non per cose di carità o di necessità.

                3° Nascendo dissensioni tra le persone di servizio ed i giovani od [526] altri del Seminario, ascolta ognuno con bontà; ma per via ordinaria dirai separatamente il tuo parere in modo che uno non sappia quanto si dice all'altro, ad eccezione che intervengano circostanze che persuadano diversamente.

                4° Sia stabilito un capo alle persone di servizio di probità conosciuta; costui invigili specialmente sul lavoro e sulla moralità dei subalterni e si adoperi con zelo, affinchè non succedano furti e non si facciano cattivi discorsi.

 

Coi giovani studenti.

 

                I° Per nissun motivo non mai accettare un giovane che sia stato cacciato da altri collegi o che ti consti altrimenti essere di mali costumi. Se malgrado la debita precauzione accadrà di accettarne qualcheduno di tal genere, dagli subito un compagno sicuro che non lo abbandoni mai. Qualora egli manchi, sia appena una volta, corretto e la seconda immediatamente mandato via dal Seminario.

                2° Fa quanto puoi per passare in mezzo ai giovani tutto il tempo della ricreazione; e procura di dire all'orecchio qualche affettuosa parola, che tu sai, di mano in mano si presenta l'occasione e tu ne scorgerai il bisogno. Questo è il gran segreto per renderti padrone del cuore dei giovani.

                3° Offriti pronto ad ascoltare le confessioni dei giovani, ma dà loro libertà di confessarsi da altri se lo desiderano. Procura di allontanare fin l'ombra di sospetto che ricordi quanto fu detto in confessione. Nè siavi ombra di parzialità a chi si confessa da uno a preferenza di un altro.

                4° Procura d'iniziare la Società dell'Immacolata Concezione, ma ne sarai soltanto promotore e non direttore; considera tal cosa come opera dei giovani.

 

Cogli esterni.

 

                I° La carità e la cortesia siano le note caratteristiche di un Direttore tanto verso gli interni quanto verso gli esterni.

                2° In caso di questioni intorno a cose materiali accondiscendi in tutto quello che è possibile anche con qualche danno, purchè si conservi la carità.

                3° Se poi trattasi di cose spirituali o semplicemente morali, allora le dissenzioni devono sempre risolversi nel senso che tornano a maggior gloria di Dio e bene delle anime. Impegni, puntigli, spirito di vendetta, amor proprio, ragione, pretensioni ed anche l'onore, tutto deve sacrificarsi in questo caso.

                4° Se per altro la cosa fosse di grave importanza è bene di chiedere tempo per pregare e domandare consiglio a qualche pia e prudente persona. [527] D. Rua doveva partire per Mirabello dopo la festa del S. Rosario, accompagnato dalla sua buona e generosa madre che avrebbe avuta cura della biancheria degli alunni. Intanto D. Provera nel mese di settembre erasi occupato nel disporre tutte le masserizie necessarie, mandate da Torino per quel vasto locale, fare i contratti coi provveditori, accettare e iscrivere gli allievi. Il paese aspettava D. Bosco che aveva deciso di visitarlo, facendo la passeggiata autunnale. Egli però prima di partire disponeva per le Letture Cattoliche.

                I tipografi lavoravano a preparare i fascicoli per gli ultimi due mesi dell'anno.

                Pel novembre: Dialoghetti sui comandamenti della Chiesa del Sac. Giuseppe Frassinetti, Priore di S. Sabina in Genova.

                Pel dicembre: L'uomo propone e Dio dispone. Versione Italiana del Sacerdote Pietro Bazetti. Si narra la restituzione di una eredità usurpata, causa prima dei castighi di Dio sopra una famiglia; e poi di pace e di consolazione al colpevole, che adempie al suo dovere. In appendice D. Bosco aggiungeva due guarigioni meravigliose, ottenute ad intercessione di Savio Domenico. Egli aveva grande fiducia in questo santo giovinetto: esortava coloro che volevano a lui raccomandarsi, di fare una novena recitando ogni sera un Pater ed un Ave in onore del SS. Sacramento ed una Salve regina alla Beata Vergine, di cui Savio era grandemente devoto; e li confortava a sperare nella bontà del Signore.

                Con questi due fascicoli veniva edito: Il Galantuomo, strenna offerta ai Cattolici Italiani: Almanacco per l'anno bisestile 1864. Eccone la prefazione:

 

                Il Galantuomo si presenta quest'anno vestito di nuovo e paffuto che è una delizia e spera che non gli verrà fatta sgarbata accoglienza. Quantunque da undici anni abbia fatto conoscenza col rispettabile pubblico, egli è non ostante tuttora timido, assai e facile a spaventarsi. Se qualcuno gli venisse a fare dei visacci ei ne potrebbe impaurire e, poverino! morirsene di dolore. Invece se non lo si avrà a male che il Galantuomo continui a sedersi al banchetto delle strenne, (e chi potrebbe [528] guardar di mal occhio un galantuomo?) egli promette che ritornerà l'anno venturo ad attestare la sua riconoscenza e, se non gli verrà data ragione di corruccio, assicura di venir tutto festoso e ridente. A: lui non piace per niun conto altercare e vorrebbe stringere la mano a tutti in segno di mutua comunanza d'idee e di affetti. Faccia Iddio che ei si possa avere l'anno venturo una sì dolce consolazione.

                Amici cari, statemi sani, allegri con ogni ben di Dio. Leggetemi, fatemi leggere e vivete felici.

 

                Da questa prefazione facilmente si intende come fosse ognor viva la questione sulla proprietà delle Letture Cattoliche. La Direzione sempre in mano a quelli d'Ivrea amministrava le entrate senza controllo, e non poteva rassegnarsi che la stampa dei fascicoli si facesse nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Di qui certe voci che si facevano correre su questi dissidii, reputati dannosi alla continuazione di quelle buone opere.

                Ma il Galantuomo non badando a tali miserie, dopo la prefazione, con varii bellissimi racconti e massime importanti, una raccomandazione ai fedeli per l'opera delle lampade da tenersi accese innanzi agli altari ove sta il SS. Sacramento, con dodici riflessioni una per mese, che esponevano verità osteggiate dagli eretici e dai mondani, pubblicava un solenne appello al popolo.

                Convien sapere che in quel tempo dava e diede poi per molti anni triste spettacolo di sè, sulle piazze e ne' trivii, un sacerdote della Diocesi di Mondovì, D. Giuseppe. Ambrogio. Vestito mezzo da prete e mezzo da secolare, colla barba ispida e lunga, con aria da spiritato, vagava impunemente di città in città ed anche ne' paesi di campagna a riscaldare il popolazzo contro la religione e a screditare il sacerdozio. In qualche luogo ebbe le accoglienze che si meritava e venne fatto fuggire ignominiosamente. I carabinieri, che erano incaricati della sua difesa, molte volte dovettero condurlo in carcere per metterlo al sicuro dalle ire del popolo, stomacato della sua sfrontatezza e delle sue bestemmie. Egli aveva intenzione di andar a Castelnuovo, ma non ebbe il coraggio di penetrarvi. I Castelnovesi appena seppero che l'apostata dirigevasi al [529] loro paese per appestarlo colle sue dottrine, si ricordarono opportunamente della scena del 1857 contro i Protestanti. Perciò gli fecero dire che pensasse a prendere un'altra direzione, se non voleva vedersi ripetere le accoglienze toccate altrove e se amava la sua pelle. Non si parlò a' sordi; il messaggero del demonio mutò consiglio e portò altrove le sue sciocche invettive contro la Chiesa.

                Ma nelle città popolose, spalleggiato dai settarii, che lo retribuivano con cinque lire al giorno, e dai piazzaiuoli, la durava a lungo. In Torino fu lasciato debaccare per molti anni contro l'autorità Pontificia, il purgatorio, la confessione e la Messa. Quando vi era qualche festa solennissima, o una pubblica processione si era certi che o sulla piazza della Chiesa o nelle adiacenze compariva D. Ambrogio. Qualche volta però un ricorso alla polizia lo faceva tacere ed allontanare.

                Il Galantuomo adunque, per ribattere le tante bestemmie di quel disgraziato, faceva un quesito circa la vita di Don Ambrogio, dicendo che non era certamente quella di un santo prete, perchè sospeso da lungo tempo dal suo Vescovo per gravissime ragioni; dava alcuni cenni intorno alla sua dottrina e notava che i suoi errori, frutto di superbia e di ignoranza, non erano nuovi e già erano stati combattuti vittoriosamente dagli scrittori cattolici. Svelava la stupidaggine di certe sue diatribe contro il Papa, e conchiudeva con una magnifica apologia del prete cattolico da lui calunniato, ricordando specialmente le opere mirabili del Can. Cottolengo.

                Tale appello dovette saper ostico ai patroni di D. Ambrogio e un'accozzaglia dell'infima plebe, a cui egli colla sua condotta erasi accomunato, per questo o altri motivi, scendeva di notte nei pressi della Giardiniera e la Camerata posta sulla tipografia era l'obbiettivo dei loro sassi. Questa infestazione durò quasi un mese. Una delle prime notti i vetri andarono quasi tutti in frantumi e perciò le finestre si dovettero difendere da ingraticolate.

 

 

CAPO LIII. Lettera di D. Bosco ad un nobile giovanetto che va in collegio - D. Bosco ai Becchi co' suoi alunni per la festa del S. Rosario - Sua lettera di scusa ad un esimio benefattore - La passeggiata autunnale: due carrozzoni concessi gratuitamente dalla Direzione delle ferrovie - Asti e Tortona - ospitalità nel Seminario - Dal Vescovo Visita alle Chiese e alle rovine dell'antica cittadella Rappresentazioni teatrali - Giornata in una casa Patrizia - A Broni e Torre Garofoli - A Villalvernia: una benefattrice - A Mirabello - Ritorno a Torino - La Madonna paga la quindicina agli operai della nuova Chiesa - Predizioni di D. Bosco esattamente avverate Distacco doloroso dei chierici che vanno a Mirabello - Tutto il personale a suo posto nel piccolo Seminario Le scuole: principii faticosi: ardore ammirabile: frutto abbondante di vocazioni ecclesiastiche - I figli imitano il padre - Lettera di D. Bosco a D. Rua.

 

                IL I° ottobre al figlio del Marchese Fassati era consegnata una lettera che D. Bosco aveva scritta per lui, allorchè dimorava in Montemagno. Doveva essere rimessa in sue mani quando fosse giunto il giorno di andare nel collegio di Mongré in Francia, per incominciare gli studii convenienti alla sua posizione sociale. Ivi erano educati circa quattrocento giovani di varia nazionalità, ma specialmente italiani, tutti di famiglie signorili. [531]

 

                               Caro Emanuele,

 

                Prima di partire, o caro Emanuele, ascolta due parole di un amico dell'anima tua.

                Giunto che sarai al Collegio, fissato dalla prudenza de' tuoi Genitori, procura di mettere in pratica questi avvisi.

                I° Avrai grande confidenza co' tuoi Superiori.

                2° Adoperati di mettere in pratica i consigli del confessore.

                3° Fuggi l'ozio e que' compagni che per avventura tu udissi parlar male.

                4° Prega ogni giorno la santa Vergine che ti permetta qualunque male, ma non mai di cadere in peccato grave.

                Dio ti benedica e ti conservi in sanità ed in grazia sua fino al novello rivederci dell'Agosto 1864, se saremo ancora in vita. Amen.

                Dalla tua villeggiatura di Montemagno, I ottob. 1863.

 

Tuo aff.mo in G. C.

Sac. Bosco Gio.

 

                Al Sig. Marchesino Emanuele Fassati,

                               Montemagno.

 

                Il 3 di ottobre al mattino presto partivano da Torino molti giovani scelti per la passeggiata autunnale con una parte de' musici. Passando da Chieri tutta la comitiva faceva sosta presso il Cav. Marco Gonella, che, sotto un'ampia e comodissima tettoia nel cortile del suo palazzo, aveva disposte le tavole per il pranzo.

                In ora più tarda nello stesso giorno, D. Bosco con trenta altri alunni andava alla stazione di Porta Nuova. Il Senatore Bona gli aveva concessi gratuitamente due carrozzoni di terza classe per tutto il tempo di quella passeggiata. La méta era Tortona. D. Bosco co' suoi salì in uno di que' vagoni, scese a Villanova d'Asti e per i entieri delle colline fu ai Becchi.

                Il nipote Francesco gli era venuto incontro, accogliendolo con vivo piacere. D. Bosco ricordò commosso il suo fratello Giuseppe e poi disse al nipote: - Siamo tuoi ospiti ora; guarda di farti onore, sai, perchè tutti noi veniamo qui per farei onore a tue spese. [532] D. Bosco visitò e la cappella e la casa e trovò ogni cosa in ordine. D. Cagliero aveva predicata la novena con gran frutto di confessioni e comunioni, ogni mattina, insistendo nel raccomandare la recita giornaliera del S. Rosario in famiglia. Doveva anche fare il panegirico il domani, e pareva che que' bravi contadini non volessero ascoltare altri, tanto ne erano entusiasmati.

                La Domenica 4 ottobre si celebrava ai Becchi la festa di Maria SS. del Rosario. Il lunedì tutti i giovani furono condotti a passar la giornata a Castelnuovo, per contentare il Vicario D. Cinzano, che li attendeva. Colla solita generosità aveva preparato - un pranzo per essi e per D. Bosco con invito ai preti della Vicaria. Ritornato ai Becchi, D. Bosco spediva una lettera a Cuneo indirizzata al Barone Feliciano Ricci.

 

                               Benemerito e Car.mo Sig. Barone,

 

                Ho ricevuto f. 60 che V. S. B. mi inviava a favore del giovane Pasquale da parte del tutore del medesimo. Ho dato ordine che, se non sono ancora terminati i libretti di cui fu fatta intelligenza, lo siano al più presto e se non sono ancora spediti lo saranno al più presto possibile, se non tutti, almeno una parte.

                Ha ragione: ho già progettato più volte di andare a farle una visita, ma non ho ancora potuto effettuarlo; lo sarà però fra breve. Ciò nulladimeno non ho mai cessato, come continuo a fare, di invocare ogni giorno sanità, e grazie dal cielo sopra di Lei sopra la rispettabile di l'ei moglie e sopra tutti i suoi figli.

                La santa Vergine ci conservi tutti suoi e sempre suoi. Amen.

                Faccia la carità di pregare per me e per li miei giovanetti e mi creda tutto suo nel Signore.

                Castelnuovo d'Asti, 5 Ottobre 1863.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P.S. Compatisca questa lettera; l'ho scritta colla camera piena di giovani, perciò ecc.

 

                Il domani l'intera brigata di quasi cento alunni lasciò i Becchi e scendendo dalle colline per sei chilometri giunse alla stazione [533] di Villanova d'Asti. Quivi erano pronti i due carrozzoni che furono attaccati al primo convoglio diretto ad Alessandria. Scesero ad Asti e andarono a visitare la città e specialmente il Duomo. Li accompagnava il Signor Cerrato presso il quale presero la loro refezione.

                Ad Alessandria la musica salutò il Capo stazione e D. Bosco scese ad ossequiarlo e ad intendersela con lui. Finalmente ecco Tortona la méta dei viaggio.

                Alla stazione venne il Rettore del Seminario Can. Ferlosio a dare il benvenuto a D. Bosco anche a nome del Vescovo Mons. Negri Giovanni; e si trovò pure il Professore Anfossi inviato da D. Bosco in casa del Barone Garofoli per fare ripetizione ai suoi figli in quel tempo di ferie.

                Entrando in città al suono della banda, benchè l'ora fosse avanzata, la gente accorse numerosa al passaggio dei figli di D. Bosco. Furono alloggiati nel seminario e, distribuita la cena e dette le orazioni, ciascuno ebbe una camera. Alla mattina dopo la Santa Messa, D. Bosco volle che si facesse un giro per la città visitando le chiese, ed egli si recò a far riverenza al Vescovo che lo aspettava. Nel dopo pranzo condusse i suoi alunni a vedere il sito dell'antica fortezza, famosa per l'eroica resistenza che fece nel 1170 a Federico Barbarossa. D. Bosco esaminati i ruderi, che ancora esistono, incominciò a narrare come i francesi, dopo la vittoria di Marengo, avessero distrutta la cittadella e la cinta di solide mura coi suoi nove bastioni. Parlò quindi dell'antichità di Tortona, descrisse l'assedio postole da Barbarossa, narrò della lega Lombarda, e concluse che il Papa era stato per l'Italia la salvezza nei secoli passati, come presentemente ne è l'unica vera gloria. Alla sera si recitò dagli alunni in Seminario un dramma grandioso; e piacque immensamente la romanza musicata da D. Cagliero: Il figlio dell'esule. Fra i numerosi spettatori vi era il Barone Cavalchini Garofoli, il quale invitò a pranzo D. Bosco e i suoi giovani. [534] Il palazzo Guidobono Cavalchini Garofoli, che una settimana prima aveva ospitati il Ministro della guerra Della Rovere, il generale La Marmora, Gualterio, Doria, e i figli di Cardenas, accoglieva i poveri alunni dell'Oratorio. Il Barone era ammiratore di D. Bosco e delle sue opere; la Baronessa lo diceva un santo.

                Quindi ricevettero con grande piacere e generosità D. Bosco ed i suoi, che portavano un po' di gioia vivace fra quelle nobili mura, rimaste quasi deserte. Erano partiti in que' giorni pel Collegio di Mongré i figli del Barone e si erano celebrate le nozze tra la damigella Antonia Garofoli e il Conte Luigi Cays, figlio del Conte Carlo, l'esimio benefattore e amico di D. Bosco.

                Il Barone volle egli stesso presiedere agli apparecchi delle mense, perchè i giovani fossero ben serviti e quindi introdusse D. Bosco e i suoi sacerdoti e chierici nella sala da pranzo. I signori senz'altro sedettero; D. Bosco invece fattosi il segno della S. Croce recitò la preghiera solita. Allora que' signori si alzarono e ne imitarono l'esempio. Dopo il pranzo, essendovi nella sala un grande itratto del Cardinal Cavalchini, Don Bosco fece grandi elogi di quell'illustre porporato, il quale, se non era pel veto dell'Austria, alla morte di Pio VII sarebbe stato eletto sommo Pontefice. In fine ci fu un'accademia musicale poichè la pioggia impediva agli alunni di sollazzarsi nel giardino.

                In quei giorni D. Bosco condusse i giovani a fare varie escursioni, come ci narrò il Can. Anfossi. Andarono in ferrovia a Broni passando per Voghera, dove avevali invitati l'arciprete della Collegiata; a Torre Garofoli luogo delle tombe della nobile famiglia di quel nome; a Villalvernia paese tra Tortona e Novi. Quivi salirono al Castello della marchesa Passalacqua vedova del generale morto nella battaglia di Novara. La Marchesa che andava sempre vestita a lutto, vivendo solo di preghiere e di buone opere, aveva fatta dolce violenza a D. Bosco,  [535] perchè volesse onorarla con tutta la sua famiglia. Il Servo di Dio aveva accondisceso per sentimento di vera gratitudine pei larghi soccorsi da lei ricevuti. Accompagnato dalla Signora, il primo suo passo fu alla cappella del castello dove pregò pel riposo eterno del buon generale, che aveva la pia costumanza di recitare tutte le sere il rosario anche in mezzo al fragore delle armi. La Marchesa fece vedere ai giovani la corona, che era stata rinvenuta sul corpo dell'ucciso, e a lei consegnata da mano amica. A mezzogiorno i domestici avevano preparato il pranzo e la comitiva ripartì per tempo dovendo in quella sera dare una rappresentazione in Seminario.

                Alla sera del lunedì, dopo cena, D. Bosco annunziò che il domani si partirebbe.

                Andato a ringraziare mons. Vescovo, verso le 9 antimeridiane la comitiva partiva per Alessandria e di qui si avviava a Mirabello. D. Rua vi si trovava dal giorno 12; il collegio era tutto in ordine e ancor vuoto di alunni. Perciò i giovani dell'Oratorio poterono riposarsi comodamente. Quivi si fermarono due giorni, trattati con ogni affettuosa cortesia dal parroco, dalla famiglia Provera e dalla popolazione; mentre alla loro volta ricrearono il paese con una rappresentazione in collegio.

                Il 17 ottobre D. Bosco e i suoi si rimettevano in marcia per Alessandria e sul mezzo giorno arrivavano a Torino.

                L'Intera comunità dell'Oratorio, capitanata da D. Arrò, che aveva colle sue parole infiammati i cuori di santo entusiasmo, aspettava D. Bosco per festeggiare il suo arrivo. Ma egli, appena sceso dal convoglio, era andato per Torino a far visita ad una signora. Questa divenuta intieramente sorda avevalo mandato a chiamare, essendo egli sulle mosse per andare a Morialdo. Il Servo di Dio la benedisse invocando Maria SS. Ausiliatrice e con segni le fece promessa che al suo ritorno la troverebbe guarita. Così era avvenuto e quella buona signora donava a D. Bosco la somma necessaria, perchè [536] Buzzetti Carlo potesse pagare la quindicina agli operai, che lavoravano agli scavi della chiesa.

                D. Bosco rientrava in casa alla sera mentre i giovani erano allo studio e un di essi lo vide casualmente dalla finestra. Ecco D. Bosco, disse sotto voce, e produsse l'effetto di una scintilla elettrica. Si volsero tutti al Capo studio, che fece un atto di assenso, e tosto corsero giù per le scale, lo circondarono plaudendo, baciandogli la mano, e ripetendo: - Viva Don Bosco. - Quante volte abbiamo visto questi improvvisi scatti di entusiasmo irrefrenabile. Gli artigiani erano venuti sulle porte dei laboratorii e facevano eco agli studenti.

                In mezzo a quella turba festante D. Bosco giunse sotto i portici e fatto segno che voleva parlare, disse: - Miei cari! domani è la festa della purità di Maria SS. e noi dobbiamo celebrarla bene, vado a consegnarmi al Prefetto e poi discendo subito in coro. Molti allora corsero in chiesa per confessarsi, gli altri ritornarono nello studio.

                Alla sera della Domenica, 18 ottobre, D. Bosco, per completare il numero del personale di Mirabello in proporzione del bisogno, imponeva l'abito clericale ai giovani Belmonte, Alessio e Nasi.

                A questa devota cerimonia era presente la madre di Belmonte Domenico, che, profondamente commossa, disse a Don Bosco: - Ho avuto adesso una grande consolazione, ma certo non avrò quella di ascoltare la sua Messa. Temo di non poter più vivere tanto da veder mio figlio prete! - D. Bosco sorridendo le rispose: - Non tema: non solamente lo vedrà celebrare la Santa Messa, ma si confesserà anche da lui. - Alla buona donna ed al figlio sembrò affatto strana e impossibile quella previsione. Venne il tempo delle sacre ordinazioni e il A settembre 1870 Belmonte fu ordinato sacerdote, appartenendo egli ancora al collegio di Mirabello. Sua madre era fuor di sè dalla gioia assistendo alla prima messa del figlio. E molte altre volte ebbe questa fortuna, e dovette riconoscere [537] che la prima parte della profezia di D. Bosco si era compiuta. Della seconda parte però pareva assai più difficile l'avveramento, perchè D. Belmonte Domenico era sempre occupato in paesi lontani dalla casa paterna e di raro vedeva i suoi genitori. Ed ecco nel 1878, mentre egli era Direttore nel collegio di Borgo S. Martino, la madre sua, che stava bene in sanità, andata sopra al solaio di sua casa a stendere la biancheria fu punta da un insetto e le si manifestò il carbonchio. D. Belmonte chiamato per telegrafo accorre in fretta a Genola. La malattia durò appena due giorni. L'inferma aveva ricevuti tutti i sacramenti, ma vicina a morire pregò il figlio prete di farle chiamare il suo confessore, dicendo di avere ancora qualche cosa da confidargli. Ma il parroco era fuori di casa e non fu ritrovato. Allora ella disse a D. Belmonte: - Ebbene; ascoltami tu! - E si confessò dal figlio. Poco dopo moriva. D. Belmonte meravigliato, rammentò allora la profezia di D. Bosco, che vedeva così inaspettatamente avverata, e a noi più volte ripetè questo fatto commovente.

                D. Bosco aveagli eziandio predetto quanto avrebbe durato la sua vita. Nel 1900 D. Belmonte diceva a D. Pietro Cogliolo: - lo ho più solo un anno di vita, perchè D. Bosco mi disse che avrei vissuto 57 anni! - Infatti egli moriva il 18 febbraio 1901 improvvisamente di meningite. Era nato l'8 settembre 1843.

                Altre predizioni di vario genere aveva fatte D. Bosco in questi tempi.

                Il Prof. Teol. Felice Alessio, uno di quelli che con D. Belmonte furono mandati a Mirabello, ci trasmise la seguente notizia in data 2 Marzo 1891.

                “Mi faccio premura di scriverle un fatto dell'incomparabile e santo D. Bosco che mi è sempre presente alla mente e al cuore. Il fatto che narro è tutta verità, e lo narro perciò tacto pectore, essendo io sacerdote.

                Nel 1863 aveva terminati i corsi ginnasiali nell'Oratorio,  [538] e doveva indossare l'abito chiericale; ne dimandai, per ordine di D. Bosco, il permesso al mio Vescovo. Questi ricusò concedermelo. Mi voleva in Diocesi, nè voleva assegnarmi, come avrei avuto diritto;, un posto gratuito in Seminario, e neanche permettermi di godere della carità di D. Bosco. Che anzi (e fu D. Bosco istesso che me lo disse in refettorio dei Chierici una sera di ottobre), prese a inveire contro D. Bosco che gli toglieva i Chierici e scrisse per soprapiù una lettera contro di lui. Questi narrandomi il fatto aggiunse: - Io gli perdono, ma non sarà così di Dio, che gli toglierà l'uso delle mani. - Ed allora, pur troppo, Monsignore fu colpito da chiragra acuta, e morì con quel male. Tale fatto io l'ho sempre ritenuto una profezia di Don Bosco.

                A ciò aggiungo, che sebbene abbia avuto nel tempo del mio chiericato una vita piena di traversie e sia stato sollecitato a deporre l'abito, anche con promessa di buon impiego, sempre rifiutai, perchè aveva non so quale convinzione che quegli cui D. Bosco aveva messo l'abito, come a me, più nol doveva deporre”.

                Il Can. Ballesio, parroco a Moncalieri, scrisse pure: “A me stesso, che un mattino lo assisteva mentre prendeva il caffè ed io percorreva il primo o il secondo anno di filosofia, pensando per nulla che sarei uscito dall'Oratorio, a me stesso, dico, discorrendo come era solito de' nostri studi, saltò fuori a dire: - Tu sarai parroco e canonico! - parole che destarono ilarità in me e ne' miei compagni. E queste parole le ricordo benissimo come se le udissi presentemente (1906) e mi ricorsero alla mente, quando l'evento, per disposizione della Provvidenza, ebbe ad avverarsi”.

                Ripigliamo il racconto. Dopo Don Rua anche gli altri si trovarono al loro posto. Commovente fu la scena della separazione di questi buoni figliuoli dal padre loro e non senza lagrime. Più volte la sera, antecedente alla partenza ritornarono in camera sua per vederlo, parlargli ancora e salutarlo. Era [539] la prima volta che si distaccavano dall'Oratorio per andare a stabilirsi per un tempo notabile lontani da lui: essi, ai quali sembrava impossibile poter vivere senza D. Bosco.

                Il giorno 20 ottobre fu aperto il collegio di Mirabello e dato principio alle scuole così distribuite. Le ginnasiali: 4a e 5a a Cerruti, 3a a Bonetti, 2a a Cuffia, Ia a Nasi; le elementari: 3a a Dalmazzo; 2a ad Alessio.

                I maestri si misero all'opera con zelo ammirabile. Erano tutti giovani, ma, come disse D. Bosco, avevano lo spirito di Gesù Cristo, il quale, essendo eterno, rende prudente l'attività generosa dei giovani.

                Questi erano pochi, e D. Rua il solo prete, finchè non fu ordinato sacerdote D. Bonetti Giovanni nel maggio del 1864. Perciò dovettero sudar molto perchè le cose procedessero con ordine; ma lo spirito di sacrifizio non si illanguidiva. Scuole con molteplici materie da insegnare, assistenza continua per mancanza di personale, cura talvolta persino della pulizia della casa; maneggiando all'occorrenza la scopa, e facendo un po' di tutto e trovandosi dappertutto, ecco le loro giornate.

                Solo nel 1876, affermò D. Bosco, si può dire che siansi superate le difficoltà, e alleggerite le fatiche del personale. Ma il collegio fu così bene avviato e diretto, che in breve produsse ammirabili frutti. Quando fu aperto, il grande Seminario di Casale non contava neppure una ventina di chierici fra studenti di teologia e di filosofia; ma pochi anni dopo, per il numero degli alunni di Mirabello, che abbracciavano lo stato ecclesiastico, giungevano a 120.

                Egli intanto, circa la metà di ottobre, aveva spediti a Mirabello parecchi ottimi alunni dell'Oratorio, perchè fossero come il buon lievito nella nuova comunità; e D. Savio Angelo perchè giudicasse della convenienza di certi lavori. Scriveva poi una lettera di risposta a D. Rua. [540]

 

                               Don Rua carissimo,

 

                Ti lamenti che non ti ho ancora scritto, mentre vado ogni giorno a farti visita.

                Ti mando giù un'altra piccola carovana. Occorrendo ti manderò altri, secondochè mi dirai. In casi di questo genere va pure avanti come meglio ti sembra nel Signore, e quando scrivi dimmi sempre il numero dei giovani, delle dimande. - Allarga il locale - Boido non va e il suo numero fu dato a Razzetti piccolo, che andrà giù venerdì o sabato. Oggi o dimani ci vanno anche i due Bioglio di cui uno è il gigante Golia. - D. Cagliero promette di provvedere quanto dimandi. - Rincresce che Peracchio sia ammalato; bisogna farlo guarire. - In caso di necessità si potrebbero mettere a Mirabello una decina di giovanetti oltre a quelli che già vi si trovano?

                I sarti ed i calzolai possono fare con una sola camera. Qualora occorresse un numero duplicato nel vestiario di qualcheduno, si aggiunga ad uno il bis.

                Ad ogni momento noi parliamo di Mirabello e dei Mirabellesi; e ci uniamo ad augurare a tuffi ogni bene del cielo.

                In questo momento giunge D. Savio e mi dà buone notizie. Deo gratias. Porta pure le accettazioni al numero di cento e vedrai che tra quelli che non vengono, o dovranno rimandarsi, o andranno volontariamente, resterai con una ottantina. Stabilisci per base di non accettare alcuno lungo l'anno, se non in casi veramente eccezionali.

                Se tra quelli che sono già costà, o che vanno, o che andranno, vi sarà taluno che non faccia pel piccolo Seminario, oppure sia di troppo, fammelo subito sapere, oppure mandalo con un biglietto e si occuperà, e si provvederà per lui qui nella casa come sarà espediente.

                A rivederci presto: tutti i Santi del Paradiso facciano santi tutti quelli che abitano od abiteranno codesta casa. Amen.

                Tutto tuo nel Signore

 

                Torino, 28 ottobre 1863.

 

Aff.mo Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Speciali saluti a tutta la famiglia Provera ed alla tua maman.

 

                Narra la cronaca di D. Ruffino:

                “D. Rua a Mirabello si diporta come D. Bosco a Torino. È sempre attorniato dai giovani, attratti dalla sua amabilità e anche perchè loro racconta sempre cose nuove. Sul principio dell'anno scolastico raccomandò ai maestri che non fossero [541] per allora troppo esigenti, che non pigliassero a sgridare gli alunni per qualche loro negligenza o Vivacità, ma che tollerassero molto. Al dopo pranzo fa anch'egli ricreazione sempre in mezzo ai giovani, giuocando o cantando laudi. Nello studio comune tutti i maestri e gli assistenti hanno il loro posto ad una tavola riservata per loro. I decurioni tengono un cassetto chiuso a chiave.

                Gli alunni vanno alla passeggiata tutti insieme a due a due: sono circa novanta. Li guidano un assistente ed un professore. Ne' paesi circonvicini sono spesso invitati ad andar in casa dell'uno e dell'altro per far merenda o per bere. Ma D. Rua non permette di andar da nessuno, perchè andare da tutti è un inconveniente troppo grave; andare solamente da alcuni cagiona offesa e malumori. E  nelle feste predica due volte. Al mattino racconta la storia sacra e alla sera spiega le virtù teologali. È  da notare che allorquando alla sera parla ai giovani si esprime in modo sempre faceto ed ilare.

                .... Il Ch. Belmonte incominciò la scuola di canto e i suoi allievi non tarderanno a salite in orchestra”.

 

 

CAPO LIV. Nuova destinazione dei locali nell'Oratorio per le officine: personale dirigente: Compagnie - La tipografia e un bel libretto - Il Seminario Metropolitano è restituito alla Diocisi - Il R. Provveditore richiede le statistiche del ginnasio - D. Bosco gli offre la scelta degli insegnanti - Il R. Provveditore chiede documenti e diplomi - Decreto di approvazione per l'anno 1863 - 1864 - Eroismo di D. Alasonatti - Disinteresse di D. Bosco - Dono di vestiarii del Ministro della guerra - L'Arcivescovo di Cagliari e il Teol. Margotti - D. Bosco sogna di accompagnare un feretro alla sepoltura - Raccomanda preghiere per un alunno che dopo qualche tempo dovrà passare all'altra vita - Esercizio di Buona Morte e Mons. Losana - Sogno: il serpente in un pozzo: riflessioni.

 

                ANCHE nell'Oratorio si andava disponendo ogni cosa pel nuovo anno scolastico. Il locale ultimato per le scuole doveva ben presto accogliere tutti gli studenti del ginnasio. Direttore degli studi, succeduto a D. Rua, era D. Ruffino Domenico, incaricato della Compagnia dell'Immacolata. Presiedeva alle Compagnie di S. Luigi, del SS. Sacramento e al piccolo clero D. Bongiovanni Giuseppe, che si occupava con vivo ardore nell'esercizio del sacro Ministero. Sebbene fosse poco favorito nella voce, riusciva tuttavia a farsi ascoltare molto volentieri nelle prediche e nelle conferenze per la bellezza varia della materia e per l'unzione nell'esporla. [543]

                La Compagnia di S. Giuseppe animava al bene gli artigiani, pei quali si prepararono alcuni nuovi e più vasti laboratorii. Ai falegnami ed ai fabbri ferrai avevano dato un gran lavoro il collegio di Mirabello e le costruzioni dell'Oratorio; e molto più loro ne apprestava la chiesa di Maria Ausiliatrice. Nelle stanze della vecchia porteria, rimasta sgombra, furono collocati i calzolai ed i sarti che avevano il loro da fare per tener calzati e vestiti tanti compagni. Li sorvegliava Rossi Giuseppe.

                La tipografia affidata al Cav. Oreglia era stata traslocata in una sala a pian terreno del fabbricato lungo la via della Giardiniera. Tre nuove macchine erano comprate e messe a posto, alle quali ben presto si pensava di aggiungerne altre due. Urgeva la necessità di fare una spesa così grave. Oltre la stampa delle Letture Cattoliche, e le edizioni incominciate di libri di scuola, i sostenitori della causa cattolica si rivolgevano a D. Bosco perchè pubblicasse qualche loro scritto o storico o polemico. E in questi stessi giorni si andava componendo un lavoro, adatto a promuovere le vocazioni ne' giovani e a fare conoscere ai chierici la dignità alla quale il Signore gli aveva chiamati.

 

                L'Armonia lo annunziava l'II novembre 1863.

 

                Dalla Tipografia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales è uscito alla luce un grazioso discorsetto sull'Eccellenza del Sacerdozio cattolico, nel quale alla varia erudizione e alla bella disposizione degli argomenti, si accoppiano dolcezza di affetto e non poche rettoriche bellezze.

                Ci congratuliamo ben di cuore coll'autore sig. Don Fontana Giambattista, prevosto di Saluggia[48] e tanto più perchè sappiamo che egli [544] ne ha dedicato il prezzo a beneficio del danaro di S. Pietro e dell'Oratorio di San Francesco di Sales. Si vende al prezzo di centesimi 70 in detto Oratorio, e dal libraio Barberis in Vercelli e presso l'autore in Saluggia

 

                In quanto ai chierici noi diremo che il Governo avendo restituito il Seminario di Torino colle sue rendite alla Diocesi, questo in novembre incominciò ad accogliere i pochi suoi chierici, che in piccol numero albergavano in case private, e [545] altri più numerosi che vi si trasferirono dall'Oratorio. Alcuni lasciarono D. Bosco in impiccio dovendo essere surrogati in qualche loro ufficio, ed egli continuò a mandare i rimasti con lui a tutte le lezioni che ivi si dettavano dai dotti e provetti insegnanti, già da noi altrove nominati. Tra gli alunni del Seminario e quelli di D. Bosco v'era perfetta armonia. “Ricordo, affermò il Teol. Can. Ballesio, che noi avevamo per i chierici della Diocesi molti riguardi e grande deferenza, secondando i sentimenti che da D. Bosco ci erano ispirati; ed è da notarsi che anche negli anni seguenti molti dei chierici diocesani avevano vissuto da fanciulli nella Casa di Valdocco”.

                Tutte queste disposizioni che D. Bosco dava nei mesi di settembre e di ottobre, si venivano complicando per le esigenze dell'autorità scolastica e le pratiche, perchè venissero approvati per l'insegnamento due professori che non avevano il diploma.

                Il 9 settembre un foglio col numero 2185 invitava D. Bosco a presentare la statistica del suo ginnasio.

 

                “Nell'atto in cui si trasmettono i moduli per la statistica, come in quest'anno furono determinati dall'Autorità Centrale, la S. V. Ill.ma è invitata a rispondere adeguatamente alle domande in essi espresse, avvertendo che le notizie statistiche del 1861 - 62 siano in foglio separato da quelle del 1862 - 63, e che sia notato nelle colonne delle osservazioni entro quali limiti estremi corra l'età degli alunni per ciascheduna classe.

                Il sottoscritto sarà tanto più grato alla S. V. Ill.ma quanto maggiore sarà la sollecitudine impiegata.

 

Per il R. Provveditore

VIGNA.

 

                Intanto D. Bosco scriveva al Provveditore:

 

                               Ill.mo Sig. Provveditore,

 

                L'anno 1862 - 63 otteneva l'approvazione provvisoria di poter fare insegnare il corso ginnasiale ai poveri giovani accolti in questa casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales. Per condizione si notava che [546] passato l'anno si dovessero presentare maestri titolati; ma gli insegnanti provvisoriamente approvati non avendo potuto ottenere il favore di essere ammessi agli esami finali di Lettere, dovettero limitarsi a quello di ammissione, cui di fatto si presentarono e furono inscritti al corso di Lettere.

                Ora trattandosi di continuare le medesime classi si fa rispettosa domanda che gli insegnanti destinati per ciascuna classe siano approvati come segue:

                Alla 5a ginnasiale il Sac. Francesia Giovanni approvato l'anno scorso perla stessa classe, già da cinque anni uditore alle lezioni di lettere nella Regia nostra Università ed ammesso con lode al corso regolare.

                Alla 4a ginnasiale il chierico Durando Celestino del 5° anno di Teologia, approvato uditore come sopra ed ammesso al corso di lettere con pieni voti.

                Qualora tornasse di maggior gradimento al sig. Provveditore si proporrebbe per la medesima classe il professore Ballesio Giacinto autorizzato con diploma per l'insegnamento Ginnasiale inferiore.

                Alla 3a, Anfossi Giovanni del 5° anno di Teologia approvato, uditore, ammesso come sopra con pieni voti allo studio di lettere.

                Se havvi difficoltà in questo insegnante si propone il Sac. Fusero Bartolomeo, maestro di 45 elementare e professore del corso Ginnasiale inferiore approvato con diploma.

                Alla 2a il Sac. Ruffino Domenico maestro di 4a elementare, approvato con diploma pel corso Ginnasiale inferiore.

                Alla Ia il Sac. Alasonatti Vittorio, Maestro elementare, e approvato con diploma per l'insegnamento delle prime due classi latine.

                Per l'aritmetica il Sac. Savio Angelo maestro di quarta elementare.

                L'anno scorso notavasi eziandio che una scuola non appariva di sufficiente altezza per dare libera ventilazione secondo le regole igieniche e a questo si è provveduto colla costruzione di apposito locale dove gli allievi saranno traslocati appena che le mura del medesimo siano abbastanza asciutte.

                Avendo per quanto fu possibile adempiuto ciò che V. S. Ill.ma compiacevasi di prescrivere l'anno scorso, spero che in quest'anno otterrà novella approvazione: tanto più se Ella si degnerà di considerare lo scopo benefico cui tendono queste classi. Imperciocchè hanno per unico scopo di beneficare poveri giovani, che hanno il merito dell'ingegno e della moralità, ma affatto privi o quasi del tutto privi di mezzi di fortuna, per coltivare quell'ingegno che la Divina Provvidenza ha loro largito.

                Così mentre una ragguardevole parte dei giovani di questa casa attendono al lavoro delle mani per apprendere un mestiere, altri faticano [547] per procurarsi un grado di scienza che loro valga a guadagnarsi col tempo onoratamente il pane della vita.

                Con pienezza di stima ho l'onore di potermi professare di V. S. Ill.ma,

 

                Ottobre, 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Il Regio Provveditore rispondevagli con foglio portante il numero 2564.

 

Torino, addì 20 ottobre 1863.

 

                V. S. è invitata a trasmettere a quest'ufficio i documenti seguenti:

                Pel sac. Francesia Giovanni proposto per la 5a classe ginnasiale,

                I° La carta di ammissione al corso di lettere.

                2° L'attestato dei professori comprovante la di lui frequenza alle lezioni di lettere in qualità di uditore.

                Pel ch. Durando Celestino proposto alla 4a ginnasiale i certificati analoghi ai precedenti.

                Pei Sac. Fusero Bartolomeo alla 3a classe, Ruffino Domenico alla 2°, e Alasonatti Vittorio alla Ia. i loro diplomi di abilitazione all'insegnamento cui vogliono attendere.

 

Il Regio Provveditore

P. SELMI.

 

                Furono tosto mandati i richiesti documenti e il R. Provveditore non tardava di rilasciare il seguente decreto col n° 2743.

 

Torino, addì 2 novembre 1863.

 

                Il sottoscritto, sentito l'avviso del Consiglio Provinciale sopra le scuole nella tornata del 16 ottobre ultimo scorso, approva nel corrente anno scolastico, a condizione che Ella debba uniformarsi intieramente alla legge per l'anno accademico venturo, il personale insegnante di cui seguono i nomi;

                               Per la 5a classe Francesia Sac. Giovanni

                               Per la 4a    „       Durando ch. Celestino

                               Per la 3a   „      Fusero Sac. Bartolomeo

                               Per la 2a   „      Ruffino Sac. Domenico

                               Per la 1a     „     Alasonatti Sac. Vittorio

 

Il R. Provveditore

P. SELM.[548]

 

                In tutti gli affari era di gran sollievo a D. Bosco il Prefetto D. Alasonatti Vittorio e nella direzione materiale interna ed esterna e disciplinare della Casa. Il Servo di Dio però, come abbiamo detto già altrove, cercava di sgravarlo per quanto poteva dal faticoso incarico. Malgrado ciò col moltiplicarsi il numero dei giovani si accrescevano parimente altre nuove cure per il Prefetto, che non risparmiavasi nè fatiche, nè penitenze per ottenere da Dio ogni benedizione sopra l'Oratorio. D. Bosco era stato costretto a proibirgli ogni astinenza, ad imporgli l'uso del vino e ad ingiungergli in virtù di santa obbedienza di aver cura della sua sanità, almeno per poter lavorare più langamente alla gloria di Dio: e siccome ei teneva il suo letto nell'ufficio sempre occupato dai visitatori, condannandosi a non poter prendere un minuto di riposo lungo il giorno, lo costrinse a trasportarlo in altra camera meno incomoda e più tranquilla.

                Ma sovratutto D. Bosco divideva con lui varie occupazioni e specialmente collo scrivere, lettere e col dare udienze ai parenti e ai benefattori che si presentavano per fare accettare i giovanetti. È in questa occasione, narra la cronaca, che in sul finir dell'ottobre, parlandogli un sacerdote della somma esigua che avrebbe pagata mensilmente un bravo signore per un suo protetto se fosse stato accettato nell'Oratorio, ci rispondeva: - Più me ne danno, più mi aiutano ad andare avanti: del resto non è il danaro che faccia: viviamo di Provvidenza.

                E infatti alcuni giorni dopo il Ministro della guerra, generale Della Rovere, accordavagli un soccorso, non dispregievole, da lui domandato.

 

                MINISTERO DELLA GUERRA.

                DIVISIONE VESTIARIO. N. 13342.

 

Torino, 14 Novembre 1863.

 

                Questo Ministero volendo in qualche modo concorrere al sollievo ed alle strettezze dei numerosi giovani accolti nella casa di beneficenza dalla S. V. diretta, ha dato le opportune disposizioni a che dal Regio [549] Magazzino dell'Amministrazione della guerra in questa città, siano tenuti a disposizione di V. S. gli oggetti in calce della presente notati.

                Voglia perciò disporre per il ritiro degli oggetti stessi presso il suddetto magazzino, mediante il rilascio di apposita ricevuta.

                Tanto mi pregio significare in risposta al foglio di V. S. delli 26 scorso mese di settembre.

                                Cappotti di panno              200

                                Coperte diverse                   200

                                Farsetti a maglia                 120

Il Maggior Generale

incaricato della direzione generale

de' servizi amministrativi

INCISA.

 

                Frattanto si eran ordinate con lieti auspici le classi del ginnasio.

                Veniva nell'Oratorio l'Arcivescovo di Sassari per conoscere personalmente D. Bosco, col quale era da tempo in corrispondenza epistolare; visitava la casa, e s'intratteneva per molto tempo coi giovani che si affollavano a baciargli la mano. Il Teol. Giacomo Margotti, strenuo e dotto difensore del Papa e della Chiesa, che da quasi due mesi aveva cessato di scrivere nell'Armonia, istituiva l'Unità Cattolica, annunziando a D. Bosco che metteva la propria penna e il giornale a suo servizio. L'Unità incominciava a pubblicarsi il I° novembre.

                In que' giorni anche un nuovo collaboratore erasi unito a D. Bosco, non tanto per stare con lui nell'Oratorio, quanto per indurlo ad aprire un collegio in sua patria. Era l'avvocato Sacerdote Ignazio Arrò - Carroccio di Lanzo che poteva fare bella messe di anime con la parola viva ed ardente che gli prorompeva dal petto. Gli effetti che con questa produceva nel popolo si ponno argomentare dalla missione che'ei diede col Can. Gastaldi nella cattedrale di Asti. A memoria d'uomo non si era mai veduto uno spettacolo eguale, operato dalla magica, franca e animata parola di questo sacerdote. [550] Intanto D. Ruffino ripigliava da solo la cronaca poichè D. Bonetti, mandato a Mirabello aveva cessato di scrivere le proprie note. Abbiamo però molti altri testimonii che lo suppliranno.

                “Il 28 ottobre muore all'ospedale di S. Luigi in età di 24 anni lo studente Brunerotto Sebastiano di Lucerna”.

                “Il I° novembre, D. Bosco, alla sera raccontò ai giovani in modo quasi di scherzo un breve sogno con queste parole: Non so se fosse per causa del pensiero della festa dei Santi, e della commemorazione dei morti, fatto si sta che la notte scorsa sognai essere morto un giovane e che io lo accompagnai fino alla sepoltura. Non voglio dire che questo sia indizio che qualcuno di voi debba morire; ma ebbi già parecchi di questi sogni e per caso si avverarono sempre”.

                “Due giorni dopo (il 3) D. Bosco ritornò a parlare sull'argomento della morte e disse: - Noi siamo soliti a fare sempre un po' di bene e preparare un fondo di preghiere, per quegli che fra noi sarà il primo a morire. Così anche adesso dobbiamo farlo. Non voglio dire che molto presto debba accadere il passaggio all'eternità di chi gioverassi di questo deposito spirituale, ma tardi tardi nemmanco. Perciò a costui prepariamo un capitale che gli renda frutto. Chi resterà, sarà contento di essere ancor vivo; colui che deve morire sarà contento di trovare quel bene preparato”.

                “12 novembre. Si fece l'esercizio della buona morte e distribuì la SS. Eucaristia Mons. Losana Vescovo di Biella”.

                Alla sera del giorno 13 D. Bosco così parlò:

 

                Ieri mattina abbiamo fatto l'esercizio della buona morte. Io fui occupato tutto il giorno da questo pensiero cioè dal buon frutto che ne sarebbe nato. Temo però che qualcheduno di voi non l'abbia fatto bene: questa notte ebbi un sogno, che vi racconterò.

                Io mi trovava nel cortile con tutti i giovani della casa che si divertivano saltando qua e là. Siamo usciti dall'Oratorio per andare a passeggio e dopo qualche tempo ci fermammo in un prato. Colà i giovani ripresero i loro giuochi e ciascuno andava a gara cogli altri nel far [551] salti, quando nel mezzo del prato io scorgo un pozzo senza sponda. Mi accosto per osservarlo e assicurarmi che non presentasse qualche pericolo per i miei giovani e vedo in fondo ad esso un terribile serpentaccio. La sua grossezza era come quella di un cavallo, anzi di un elefante. Era corto sicchè appariva informe, e tutto chiazzato di macchie giallastre.

                Tosto mi ritirai alquanto pieno di tremore ed osservava i giovani che non già tutti, ma in buona parte, avevano preso a saltare da una parte all'altra di quel pozzo, e cosa strana, senza che mi venisse in capo di proibirli ed avvisarli del pericolo. Vedeva alcuni piccolini che erano così snelli da saltarlo senza alcuna difficoltà. Altri poi più adulti, essendo più pesanti, spiccavano il salto con maggior sforzo e meno alto, e spesso andavano a cadere sull'orlo: ed ecco sporgersi e poi scomparire la testa serpentina di quel mostro spaventevole, che li mordeva quale in un piede, quale in una gamba, e altri in altre membra. Ciò nonostante questi incauti erano così temerarii che saltavano più volte di seguito e quasi mai restavano illesi. Allora un giovane mi disse accennandomi un compagno. - Ecco: costui salterà una volta e salterà male: salterà la seconda volta e vi resterà.

                Ma faceva intanto compassione il vedere giovani distesi per terra, questo con una piaga in una gamba, quello piagato in un braccio e altri nel cuore. E andava loro chiedendo: - Perchè correvate a saltare là sopra quel pozzo con tanto pericolo? Perchè dopo essere stati piagati una e due volte ritornavate a quel giuoco funesto?

                Ed essi rispondevano, accompagnando le parole con un sospiro:

                 - Non siamo ancora abituati a saltare.

                Ed io - Ma dunque non bisognava saltare!

                Ed essi di nuovo: - Che vuole? Non siamo abituati. Non credevamo d'incontrare questo male.

                Ma uno sopra tutti mi colpì e mi fece tremare: quello che mi era stato indicato. Ritentò il salto e precipitò dentro. Dopo qualche istante il mostro lo sputò fuori del pozzo, nero come un carbone, ma non era ancor morto e continuava a parlare. Io ed altri stavamo là guardandolo pieni di spavento ed interrogandolo.

 

                Fin qui D. Ruffino e nulla aggiunge di più. Tace dell'interpretazione del sogno e degli avvisi che D. Bosco immancabilmente avrà dato ai giovani in generale ed in particolare, tanto più necessarii in quanto che si era sul principio dell'anno scolastico. E che cosa diremo noi? Possiamo esporre una spiegazione?

                Il pozzo è quello detto dal libro dei Proverbi: Fovea profunda,  [552] puteus angustus e che finisce in puteum interitus come asserisce il Salmo LIV. Fossa profonda, pozzo stretto, pozzo di perdizione. In questo sta il demone dell'impurità, come spiega S. Gerolamo nell'Omelia XI in i ad Corinthios. Nel sogno non pare si tratti di anime già schiave del peccato, ma sibbene di quelle che si mettono in pericolo di commetterlo. Incomincia colla spensieratezza e colla gioia di una ricreazione e quindi tranquillità di coscienza; ma presto cambia scena. I piccolini saltano incolumi e con sicurezza il pozzo, perchè tacciono ancora in essi le passioni, nulla intendono del male, il divertimento assorbe tutti i loro pensieri e l'angelo dei Signore protegge la loro innocenza e semplicità. Non fu detto però che ritornassero a saltare in quel luogo, poichè forse udirono obbedienti l'avviso di un amico.

                Gli altri giovani più grandi si accingono al salto. Non hanno esperienza. Non sono snelli come i piccolini; sentono il peso delle prime lotte per conservar la virtù; il serpente sta nascosto: - È  forse pericolo mortale arrischiarsi a saltare quel pozzo? Pare che dicano: e incominciano i loro salti. È  un primo salto contrarre certi amicizie particolari, accettare un libro non purgato, accogliere in cuore un'affezione troppo accesa. È un salto abituarsi a tratti troppo liberi e sguaiati, l'assentarsi dei buoni compagni, trasgredire certe piccole regole o ammonizioni alle quali i superiori danno seria importanza pei buoni costumi.

                Ma al primo salto ecco la prima ferita dal dente uncinato del serpe. Qualcuno ne riusciva incolume e reso prudente non ritentava la prova; ma fra questi vi era pur anco chi disprezzando il pericolo conosciuto, temerariamente, ma a suo danno, tornava ad affrontarlo. Chi precipitò nel pozzo e fu gettato fuori sembra la caduta in peccato mortale, rimanendo la speranza di risanare col mezzo dei sacramenti. Di chi resta nel pozzo null'altro a dire se non che, qui amat periculum in illo peribit.

 

 

CAPO LV. Nuova testimonianza che D. Bosco legge nelle coscienze - Fiducia dei giovani nella sua direzione spirituale - Ordine mirabile nell'Oratorio: la sala dello studio in comune: due visite illustri - Elezione del Capitolo della Casa di Mirabello - Nomina di due nuovi membri del Capitolo della Casa di Torino in sostituzione di quelli mandati a Mirabello - Accettazione di Socii ed emissione di voti.

 

                LE  parole di D. Bosco ispiravano anche nei giovani di fresco entrati nell'Oratorio tanta fiducia in lui, che la massima parte di essi lo aveva scelto come stabile confessore, specialmente per conoscere e per conservare la vocazione.

                Scrisse D. Berto Gioachino:

                “Questa scelta fortunata fu sempre il mio sostegno. Appunto perchè D. Bosco mi conosceva, andai sempre volentieri a confessarmi da lui, dalla mia entrata nell'Oratorio, fino alla vigilia della sua ultima infermità. Ai miei tempi era comune fra gli alunni la persuasione che chi andava a confessarsi da D. Bosco era sicuro di fare buone confessioni, a motivo dei lumi soprannaturali che egli aveva da Dio di leggere sulla fronte o nella coscienza i peccati de' suoi penitenti, qualora se ne dimenticassero.

                Nel 1863 un giovane, a me assai noto, una Domenica mattina andato a confessarsi da D. Bosco non aveva manifestata qualche cosa a cui non badava, o della quale non ricordavasi. Terminata l'accusa de' peccati, D. Bosco gli disse: - Pentiti [554] e domanda perdono al Signore anche del tale peccato. Quel giovane al sentirsi svelare tanto chiaramente e specificamente la colpa di cui non erasi accusato, forse per negligenza riconobbe che D. Bosco senza un lume particolare del Signore non poteva averla conosciuta. Perciò ne fu così sorpreso e commosso, che mi assicurava di non aver mai fatta una confessione così lagrimosa ed una comunione tanto fervorosa come quella volta.

                Un giorno dopo le funzioni di Chiesa incontrai nel cortile un giovanetto da poco tempo venuto nell'Oratorio, il quale vedendo passare il Servo di Dio, lo seguì per buon tratto collo sguardo Esso sopra il medesimo; poi rivoltosi a me alquanto turbato, dicevami: - Chi è quel prete?

                 - E perchè domandi questo? soggiunsi io. Non lo conosci ancora?

                 - Perchè stamattina sono andato a confessarmi da lui e mi disse tutti i peccati commessi a casa.

                 - Quel prete, mio buon ragazzo, è D. Bosco nostro comun padre e Superiore, ed il più grande amico dei giovani, specialmente di quelli che vogliono farsi buoni.

                Mi ricordo ancora che nei tre anni del mio ginnasio cioè dal 1862 al 1865, D. Bosco dopo pranzo e dopo cena si trovava sempre circondato da giovani studenti che passavano con lui tutta la ricreazione. Di tratto in tratto egli fissava in volto qualche giovane che sembrava distratto e poi gli dava un forte schiaffo. A quest'atto improvviso quel giovane stava lì come smemorato, ma Don Bosco ridendo gli prendeva il capo tra le sue mani e gli diceva in un orecchio: - Sta tranquillo, non ho battuto te, ma il demonio.

                Un giovane, cosa che accadeva tutti i giorni, gli manifestò come fosse tormentato da pensieri cattivi, e D. Bosco gli disse sottovoce: - Non temere; sta solamente vicino a me.

                Altre volte ripeteva ad uno che si trovava in simile modo angustiato: - Non temere: tutti questi pensieri ed immaginazioni [555] non sono peccati. Sta solo attento alle opere. Ai pensieri non badarci più di quello che vi baderesti se fossero mosche che ronzassero alle tue orecchie; od al rumore di un vespaio. Queste cose provengono dalla tua immaginazione molto apprensiva, ma verrà tempo che con un solo atto della volontà potrai scacciarli e non ti daran più molestia.

                È  per questo motivo che erano accettati dai giovani, colla massima facilità i comandi, i consigli e anche le riprensioni di D. Bosco. E ciò non avveniva sempre riguardo a qualche altro superiore.

                Una volta D. Bosco disse ad un alunno mio intimo confidente: - Guarda, io avrei bisogno che tu facessi l'obbedienza cieca.

                 - Si; a D. Bosco l'ho sempre prestata questa ubbidienza, e la farà sempre a tutti gli ordini e desiderii che, so venire direttamente da Lei, ma dagli altri no.

                 - E perchè a me si e agli altri no?

                 - Perchè so che Lei ha dei lumi soprannaturali e ne ho delle prove, ma gli altri superiori quantunque buoni e santi, finora, che io sappia, non hanno questi lumi e quindi non conoscendo il mio naturale mi rovinerebbero, mi farebbero fare dei fiashi solenni. Perciò verso di loro metterò in pratica il rationabile obsequium vestrum di S. Paolo.

                Qualcuno vi era che in lui non aveva confidenza, ma non poteva nascondergli il suo cuore. Talvolta D. Bosco mi disse: - Vedi, gli ipocriti io li conosco alla loro vicinanza. Appena qualcheduno di questi mi è attorno, ne sento così sensibilmente la loro presenza, che mi cagionano un malessere e una nausea che non so spiegare, malgrado tutte le loro belle e buone parole. Per conoscere poi gli affetti al vizio dell'impurità basta ch'io possa vedere una volta il giovane in faccia. Così pure gli immodesti. Sono certo di non sbagliarmi. E costoro per non essere conosciuti e scoperti fuggivano studiosamente l'incontro con D. Bosco e ne stavano lontani. [556] Questa cosa era tanto conosciuta nel tempo del mio ginnasio dai giovani suddetti, che non si lasciavano vedere da D. Bosco affinchè, dicevano, non potesse leggere i peccati sulla loro fronte. S. Filippo conosceva costoro all'odore, D. Bosco anche alla vista”.

                La stima, l'amore e il rispetto per D. Bosco conservavano l'ordine nell'Oratorio, in ogni luogo e in ogni tempo; e particolarmente il silenzio prescritto, cosa non facile ed ottenersi dalla vivacità dei giovanetti. Ci basti accennare alla sala di studio. Era considerata quasi come luogo sacro. Fin dai principii dell'Oratorio vi regnò un solenne, religioso silenzio.Anche d'inverno quando il freddo era eccessivo, permettendo D. Bosco ai giovani di ritirarsi nello studio a far colazione, .il silenzio, per rispetto al luogo, non era mai turbato. Vi si entrava, diremmo quasi, in punta di piedi e col berretto in mano si prendeva il posto fissato. Dopo un Ave Maria, si rispondeva Ora pro nobis alla giaculatoria Sedes sapientiae, che nel 1867si sostituì con Maria Auxilium Christianorum. D. Bosco di tanto in tanto andava egli pure, per dar buon esempio, a studiare cogli altri nella sala comune.

                Era uno spettacolo meraviglioso. Chiunque fosse entrato e di qualsivoglia dignità nessuno si muoveva dal posto, volgeva il capo, o dava segno di curiosità.

                Di due visite per ora parleremo. Della prima ci lasciarono memoria lo stesso D. Bosco e Pietro Enria. “Due signori inglesi, uno dei quali era Ministro della regina Vittoria, accompagnati da un patrizio di Torino, vennero nell'Oratorio e dato uno sguardo alla casa, vennero condotti da. D. Bosco nella.sala ove facevano studio circa cinquecento giovanotti. Si meravigliarono non poco vedendo tanta moltitudine di fanciulli in perfetto silenzio, con un solo assistente sopra una cattedra. Crebbe ancora la loro maraviglia quando seppero che forse in tutto l'anno non avevasi a lamentare una parola che recasse vero disturbo, non un motivo di infliggere o di [557] minacciare un castigo. - Come è mai possibile, domandò il Ministro, di ottenere tanto silenzio e tanta disciplina? Ditemelo; e voi, aggiunse al compagno che era il suo segretario, scrivete quanto dirà questo sacerdote.

                 - Signore, rispose D. Bosco, il mezzo che si usa tra noi non si può usare fra voi.

                 - Perchè?

                 - Perchè sono arcani solamente svelati ai cattolici.

                 - Quali?

                 - La frequente confessione e comunione e la messa quotidiana bene ascoltata.

                 - Avete proprio ragione, noi manchiamo di questi potenti mezzi di educazione. Non si può supplire con altri mezzi?

                 - Se non si usano questi elementi di religione, bisogna ricorrere alle minacce ed al bastone.

                 - Avete ragione! avete ragione! o religione, o bastone; - voglio raccontarlo a Londra”.

                Della seconda visita fece parola il Prof. Maranzana, stampando un suo omaggio a D. Bosco nel 1893.

                “Una sera d'inverno, più non ricordo in quale anno, tutti i giovani, lasciati i loro trastulli erano ritornati al lavoro, quand'ecco entra nella camera di D. Bosco uno dei primi suoi amici, Mons. Ghilardi, Vescovo di Mondovì, e gli presenta due altri prelati, i quali venivano da paesi molto lontani e volevano conoscere D. Bosco e il suo Oratorio, la cui fama già si spargeva anche fuori di Europa. Eccoli adunque in giro per la casa; passano d'un laboratorio in un altro con visibili segni di soddisfazione e di meraviglia; l'ordine, la pulitezza, il silenzio ed il giocondo aspetto dei giovani operai li rapisce. Quando i venerandi visitatori giunsero sulla soglia dello studio e videro ad un tratto quella lunghissima ed ampia sala, piena zeppa di studenti chinati sui loro libri nel più profondo silenzio, come colpiti da inaspettata visione, si fermarono ad un tratto e poi volevano tornarsene indietro, per [558] timor di turbare colla loro presenza la tranquillità e il raccoglimento dei fanciulli; ma ad un cenno risoluto di D. Bosco si avanzano in punta di piedi fino alla cattedra del Direttore, e quindi Mons. Ghilardi, fatta richiamar l'attenzione con un colpo di campanello, abbracciò con lo sguardo all'ingiro tutta la incantevole scena, e sollevate le mani al cielo, improvvisò un discorsetto, esclamando: - Oh meraviglioso spettacolo! Oh spettacolo veramente stupendo! - E il nostro buon padre umile in tanta gloria, sorrideva di compiacenza per sì splendido elogio tributato a' suoi birichini, i quali non si sapevano rendere ragione di tanta ammirazione in un uomo che doveva già aver vedute tante scuole e tanti istituti di educazione; sicchè i più intesero quelle parole come un gentile incoraggiamento e nulla più. Ma quella esclamazione di meraviglia fu più volte ripetuta da altri uomini versatissimi nella faccenda dell'avviare al bene la gioventù, e noi stessi ammaestrati dall'esperienza, ci persuademmo col tempo che l'entusiasmo di Monsignore era ben giustificato”.

                E D. Bosco in mezzo a questo giovane popolo, organizzando la sua Pia Società, accrescendo il numero de' suoi membri, gli preparava nuove guide e nuovi maestri.

                Stralciamo dai Verbali del Capitolo quanto segue:

 

                “Li 12 novembre 1863 i Confratelli della Società di S. Francesco di Sales si radunavano per eleggere e stabilire nella nuova casa di Mirabello un nuovo Capitolo. Perciò il Sig. D. Bosco Rettore e fondatore cominciò egli medesimo come è prescritto dalle Regole della Società ad eleggere il Direttore che è il Sig. D. Rua Michele. Dopo stabilì prefetto il Ch. Provera Francesco a cui commise anche l'uffizio di Economo. Elesse quindi Catechista il Ch. Bonetti Giovanni. Finalmente ad unanimità di voti si elessero consiglieri Cerruti Francesco ed Albera Paolo. Così fu stabilito il nuovo Capitolo della Casa di Mirabello composto dal Direttore, dal Prefetto che ha pure il titolo di economo, dal Catechista e da due consiglieri.

                La prima scelta di D. Bosco riguardava solamente il personale che doveva dirigere il piccolo seminario come collegio,  [559] ma questa, seconda elezione formava di esso casa religiosa, e quindi imponeva direzione ed obbedienza religiosa ai membri della Pia Società mandati da Torino. D. Bosco ordinava che sen e mandasse a Mirabello notizia officiale.

 

                La grazia del Signore sia con voi.

 

Torino, li 13 novembre 1863.

 

                               Fratelli carissimi,

 

                Ieri sera qui nella Casa Madre si radunarono i Confratelli della Società di S. Francesco di Sales per eleggere e stabilire costì, nella nuova casa di Mirabello, un novello Capitolo. Perciò con grande mio e credo anche vostro piacere, vi participo questa notizia. Il nostro amatissimo Sig. D. Bosco cominciò egli stesso come è prescritto nel regolamento ad eleggere il Direttore che è il Sig. D. Michele Rua; dopo stabilì Prefetto il nostro caro Provera Francesco che già esercitava tale ufficio; gli si aggiunse ancora il titolo di economo: elesse quindi Catechista il caro fratello Bonetti Giovanni. Finalmente si venne all'elezione dei consiglieri e sono essi i nostri cari fratelli Cerruti Francesco ed Albera Paolo.

                Godo intanto farvi i saluti da parte del Sig. D. Bosco, del Capitolo e di tutti i confratelli della casa Madre. Tutti poi ci raccomandiamo alle vostre preghiere, affinchè tutti insieme possiamo formare un cuor solo ed un'anima sola, e servire quel Dio che solo sarà un giorno, speriamo, la nostra felicità per sempre. Io poi augurando a tutti ogni benedizione sono

 

Vostro Um.mo fratello

Ch. GHIVARELLO CARLO.

 

                N.B. Il Signor Direttore è pregato a leggere la presente a tutti i confratelli radunati insieme.

 

                               AI Sig. D.  Michele Rua.

 

                Ciò fatto bisognava completare il Capitolo dell'Oratorio e i verbali di questo ce ne danno relazione.

                Li 15 novembre 1863 nella Casa Madre in Torino si sono radunati i confratelli della Società di S. Francesco di Sales per l'elezione del Direttore Spirituale e del secondo Consigliere, perchè quei che prima sostenevano tale ufficio andarono a comporre un nuovo capitolo [560] nella Casa di Mirabello. Il Sig. D. Bosco Rettore, premessa la solita invocazione e preghiera allo Spirito Santo, dichiarò Direttore spirituale il Sac. D. Ruffino Domenico, che perciò come tale fu da tutti riconosciuto. E Consigliere poi dovendosi eleggere dal voto di tutti, fecesi la votazione in cui la maggioranza fu in favore del Sac. D. Francesia Giovanni onde egli fu riconosciuto e costituito secondo Consigliere.

 

                Nelle seguenti settimane radunavasi ancora il Capitolo per accettare nuovi membri nella Pia Società e per ammettere alcuni ai voti triennali: ed ecco i verbali:

 

                Li 18 novembre 1863 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales si è radunato per l'accettazione del Sac. Avv. Arrò di Lanzo Torinese, il quale fu da tutti volentieri accolto all'anno di prova.

 

                Li 30 dello stesso mese radunatosi il detto Capitolo, premessa la solita invocazione allo Spirito Santo, accettò ed ammise all'anno di prova il ch. Monateri.

 

                Li 13 dicembre 1863 il Rettore della Società di S. Francesco di Sales radunò i confratelli tutti ed ebbe luogo la cerimonia dei voti che emisero i Chierici R. Costanzo e A. Tresso. Tal cerimonia fu eseguita nel modo prescritto dalle regole della Società.

 

 

CAPO LVI. Cause che hanno ritardate le pratiche per l'approvazione della Pia Società - D. Bosco chiede al Vicario Capitolare di Torino e a varii Vescovi lettere commendatizie per la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari - Commendatizia del Vescovo di Cuneo - Alcuni fioretti per la novena dell'Immacolata - Muore un giovane e D. Bosco afferma non essere quello da lui indicato - Due lettere di D. Bosco al Provicario: gli manda la commendatizia del Vescovo di Cuneo: dà notizie di un seminario: si lamenta perchè gli fu tolto un chierico: chiede che vengano dispensati dal servizio della Cattedrale i suoi chierici: li manderà alla scuola in Seminario - D. Bosco presenta al Congresso degli Ordinarii della provincia Eccl. Torinese un memoriale sul proselitismo dei protestanti - Sua lettera a D. Rua: Gli dice che ringrazi il Regio provveditore per l'offerta di un  onorevole incarico, che non è libero di accettare: dà un consiglio: Promette preghiere: annunzia che presto scriverà ciò che ha visto colla mente a Mirabello - Il Municipio di Torino non può concorrere per la fabbrica della Chiesa.

 

                DON Bosco in questi anni aveva sempre fisso in mente e procurato lo svolgimento della Pia Società di San Francesco di Sales. Abbiamo già detto quanto avesse studiato nella compilazione delle sue regole e il metodo da lui tenuto col praticarle esso stesso e facendole praticare. Fin dal 1846 aveva tracciato alcune norme maestre, che ne dovevano formare l'intera ossatura. Ma trattandosi di una impresa [562] vasta e complicata, come aveangli fatto intravvedere i varii sogni, associati i primi suoi collaboratori, aveva lasciato all'Istituzione stessa, con piena confidenza nel Signore, la cura di costituirsi e ordinarsi definitivamente sotto la prova del tempo e dell'esperienza. Infatti costituita una società omogenea di membri stretti da un vincolo facilmente accettabile di comune solidarietà, col figliale consenso di questi era andato a poco a poco aggiungendo ciò che richiedeva la sua vita, la sua attività e i suoi bisogni. Ei si era avvicinato sempre più al suo ideale, ma sempre con grande prudenza. Non scriveva un articolo prima d'aver fatto un passo, ma ad ogni passo un articolo. Egli era persuaso che gli articoli scritti, prima di aver fatto alcun passo, possono restare lettera morta, anzi impedire i passi che altrimenti si potrebbero fare.

                Ciò appare dalle note aggiunte, dalle modificazioni e anche mutazioni dei paragrafi delle Regole prima di andare a Roma; e dopo aver conferito col Sommo Pontefice nel 1858.

                Rimesse le Costituzioni nelle mani di Pio IX, aveva sperato di ottenere in tempo abbastanza breve dalla Santa Sede il decreto generale di collaudo, che era il primo passo necessario a farsi per giungere poi all'approvazione. Ma le pratiche iniziate a Roma nel 1858 erano state interrotte per la morte del Cardinal Gaude. Mons. Fransoni, letto egli stesso il Regolamento del nuovo sodalizio, non ostante il parere contrario di qualche esaminatore sinodale, lo aveva rinviato con lettere di soddisfazione al suo Vicario Generale in Torino, affinchè ne facesse attento esame per venirne poi ad una canonica approvazione. Ma la Divina Provvidenza aveva chiamato il Venerando Arcivescovo dal terrestre esiglio alla patria dei beati, e il Vicario capitolare, che gli succedeva nel l'amministrazione della Diocesi, andava a rilento nel dare un suo giudizio.

                Ammirabile però si manifestava la pazienza di D. Bosco. [563]

                Imperturbabile ed instancabile procedeva con costanza, come uno che sa di essere sicuro nella sua via.

                Nell'agosto del 1863 le dette costituzioni furono mandate per la seconda volta a Roma, ma di là si ebbe per risposta essere necessaria la commendatizia di un certo numero di Vescovi in favore della Pia Società e l'approvazione della Autorità Diocesana.

                A questo fine pertanto D. Bosco indirizzava una prima supplica al Vicario Capitolare della Diocesi di Torino.

 

Torino, settembre 1863.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Mons. Vicario Generale,

 

                Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma e Rev.ma come fin dall'anno 1858 abbia fatto pervenire a S. R. Rev.ma nostro Arcivescovo di felice memoria, il progetto di una Congregazione sotto il titolo di Società di S. Francesco di Sales, diretta a conservare lo spirito ed i modi che dalla pratica si poterono conoscere più utili nell'esercizio del Sacro Ministero a favore de' giovanetti più poveri ed abbandonati.

                S. E. si degnava di leggerlo e con lievi osservazioni lo inviava al Sig. Canonico Fissore, allora nostro Vicario Generale. Esso lo fece ancora esaminare da persone giudicate capaci ed intelligenti in tali materie; Mons. Manzini Vescovo di Cuneo, S. R. il Cardinale de Angelis si compiacquero anche di leggerlo e di proferirne il prudente loro parere, altri e poi altri lo lessero. Ciascuno fece i suoi riflessi e se ne tenne conto prezioso, sia in quanto rendevano il regolamento più conforme allo spirito della Chiesa, sia in quanto ne facilitavano la pratica. In questo progetto io aveva in mira di effettuare un consiglio più volte datomi dalla prelodata Eccellenza Sua e di mettere in pratica un suggerimento, anzi un piano di Società, suggerito da Sua Santità il Regnante Pio IX.

                Nella estensione de' singoli capi ed articoli ho in più cose seguito altre società già dalla Chiesa approvate, le quali hanno uno scopo affine a questo. Tali furono per es. le regole dell'Istituto Gavanis di Venezia, dell'Istituto della Carità, de' Somaschi e degli Oblati di Maria Vergine.

                Mio scopo è di stabilire una Società che mentre in faccia alle autorità governative conserva tutti i diritti civili ne' suoi individui, in faccia alla Chiesa costituisca un vero corpo morale, ossia una Società Religiosa. [564] Ora considerando che vi potrebbero nascere non lievi inconvenienti se la morte mi sorprendesse prima che questa Società fosse dal Superiore Ecclesiastico approvata:

                Ritenuto l'esperimento di queste regole fatto nello spazio di una quindicina di anni, durante i quali si poterono introdurre quelle modificazioni, che dietro a prudenti consigli sembrarono opportune:

                Considerato il vistoso numero de' soci in essa inscritti che tra Sacerdoti, Chierici e Coadiutori giungono a sessanta:

                Avuto eziandio riguardo alla molta e svariata messe evangelica che si offre in questa Capitale, tanto per parte di giovani ricoverati che in questa casa sommano a settecento, quanto per parte delle scuole feriali e delle radunanze festive che hanno luogo nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, dei Santo Angelo Custode in Vanchiglia, di S. Luigi a Porta Nuova, quindi maggior bisogno di un vincolo sicuro e regolare che unisca gli spiriti e si conservino invariabili quelle pratiche le quali poterono conoscersi maggiormente fruttuose al bene delle anime:

                Tenendo anche conto dell'occasione in cui mi trovo per una casa novella che si sta preparando e che a Dio piacendo col beneplacito di Lei si aprirà nel prossimo mese di ottobre in Mirabello presso a Casal Monferrato:

                Per tutti questi motivi, a nome di tutti i membri di questa Società, fo umile preghiera onde siano al più presto appagati i nostri comuni desiderii, degnandosi di approvarla con tutte quelle clausole, osservazioni e condizioni che a Lei sembrassero tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.

                Tutti uniti La ringraziamo anticipatamente del favore che speriamo e di tutto cuore pregando il Signore che Le doni sanità e grazia a fine di poter promuovere il bene di questa nostra Archidiocesi, mi reputo al più alto onore di potermi a nome di tutti professare,

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Quindi si era dato attorno in settembre ed ottobre per ottenere le commendatizie da alcuni Vescovi, mandando loro suppliche modellate su quella del Vicario Capitolare di Torino con alcune leggere modificazioni. Scrisse altre lettere, fece visite, addusse le ragioni delle sue umili domande e diede copia delle Regole, perchè fossero esaminate e giudicate se meritevoli di benigna considerazione.

                “Egli, scrisse D. Ruffino, si raccomandava alle preghiere  [565] dei suoi alunni per affari importanti e riceveva la prima commendatizia, quella del Vescovo di Cuneo in data dei 27 novembre.

 

                Fra le religiose istituzioni che Dio fe' sorgere in mezzo alla sua Chiesa, in questi tempi di materialismo, di corruttela, d'incredulità, vuol essere annoverata anzi ammirata la Società ossia Congregazione di S. Francesco di Sales, istituita in Torino nel sobborgo di Valdocco dall'ottimo Sacerdote D. Giovanni Bosco, il cui precipuo scopo si è d'istruire ed educare cristianamente la povera gioventù e ricevere in apposite case di ricovero i giovanetti abbandonati e dispersi. Sorta essa, come tutte le opere di Dio, da umili principii nel 1841, crebbe già a quest'ora siffattamente, che possiede, oltre la casa madre di Torino presso l'Oratorio di S. Francesco di Sales, con due altri Oratorii in Torino stessa di S. Luigi Gonzaga e dell'Angelo Custode, la casa di Genova e quella di Mirabello, contando sessanta confratelli o congregati tra Sacerdoti e chierici; e ricoverando in Torino settecento sessanta giovani, cento in Genova, ed altrettanti a Mirabello e raccogliendo ne' giorni festivi nei tre soli Oratorii di Torino oltre a tremila giovani.

                La Società è regolata da un corpo di leggi o statuti dettati del pio fondatore, pieni di celeste sapienza e prudenza e affatto adattati ano scopo della medesima. Il bene che già produce nella gioventù di tutte le diocesi del Piemonte la predetta Società è grandissimo e forma la consolazione e l'ammirazione di tutti i buoni, i quali desiderano che essa si consolidi e si propaghi; il che otterrà infallibilmente qualora conseguisca l'approvazione della S. Sede Apostolica e la benedizione del Vicario di Gesù Cristo.

                Egli è per ciò che il sottoscritto e per la stima che professa grandissima al pio Istitutore e per l'intimo convincimento che ha, che questa istituzione sia per essere uno dei mezzi precipui ordinati da Dio a rimediare al guasto spaventoso, che oggidì si cagiona dalle sette alla povera inesperta gioventù e pei non piccoli vantaggi che da essa ne risente sin d'ora anche la sua diocesi, osa raccomandare alla Santa Sede Apostolica la predetta società col suo pio Istitutore, implorando col medesimo che ne vengano approvate le regole ossia gli statuti, con quelle modificazioni ed aggiunte che alla Santità di nostro Signore piacerà d'ordinare.

                Cuneo, addì ventisette del mese di novembre l’anno mille ottocento sessantatrè.

 

+ Fr. CLEMENTE

Vescovo di Cuneo. [566]

 

                Questa commendatizia perveniva a D. Bosco nel principio della novena di Maria SS. Immacolata, che egli celebrava con grande devozione. La cronaca di D. Ruffino, ci dà qualche notizia di ciò che riguarda D. Bosco in questi giorni.

                “D. Bosco ogni sera propose ai giovani un fioretto da praticare. Qual primo fioretto raccomandò le preghiere in suffragio delle anime del purgatorio. Era morto il 25 novembre, nel Collegio di Mirabello il giovane Boriglione Antonio calzolaio, di anni 18, il quale da quasi due mesi era stato mandato colà dall'Oratorio, perchè guarisse la sua malferma salute e nello stesso tempo si occupasse in qualche lavoro manuale. D. Bosco diceva in pubblico non essere ancora Boriglione il designato da lui per l'eternità e che quegli, del quale aveva inteso parlare sul principio di novembre, era già, almeno indirettamente, avvisato di prepararsi.

                Nel secondo giorno propose loro di parlare in lingua italiana. Un altra sera diede eziandio per fioretto: - Trattare con rispetto i Chierici e che perciò i giovani non dessero più a loro del tu; si usasse questo riguardo specialmente co' maestri, coi capi di camerata e con l'assistente di studio. Eccettuò D. Bosco da questa regola solamente coloro che avevano già prima presa l'abitudine di dare del tu a certi chierici, mentre erano ancora condiscepoli laici. A costoro permise di continuare nell'antica famigliarità. - Era necessario questo avviso, perchè il numero ognor crescente degli alunni cessasse da un linguaggio che non era più compatibile col rispetto dovuto all'età e condizione de' Superiori subalterni”.

                In questi giorni D. Bosco avvisava il Provicario Can. Vogliotti, della Commendatizia ricevuta dal Vescovo di Cuneo. Il Canonico lo invitava a recargliela in Curia, e nello stesso tempo lo pregava confidenzialmente a riferirgli ciò che avesse udito intorno al Seminario di Chieri.

                D. Bosco gli mandava la commendatizia, colla seguente lettera: [567]

 

Torino, 6 Dicembre 1863.

 

                               Ill.mo e M. Rev.do Signore,

 

                Trasmetto a V. S. Ill.ma e M. R.da la commendatizia che il Vescovo di Cuneo compiacevasi di fare per la Società di S. Francesco di Sales. Voleva portarla personalmente, ma non avendo potuto, la mando quivi acchiusa.

                Ella mi diceva che se mi fosse venuta qualche cosa a notizia che avesse potuto contribuire al bene morale del Seminario di Chieri glielo avessi comunicato. A questo fine Le trasmetto qui una lettera del Ch. Strumia, non perchè vi siano delle cose gravi, ma perchè conosca quale spirito domini in taluno dei chierici. Bramerei che questa lettera ed altre che mi cadranno nelle mani servano per Lei di norma e non a danno individuale di chi le scrive.

                Bellagarda fu dimandato pel Seminario ed io ne sono contento, ma non posso a meno di dirle che sento il peso di questo rifiuto. È  il solo chierico che io dimandassi mentre quasi tutti quelli che testè entrarono in Seminario partivano da questa casa.

                Dovrò per necessità raccomandarmi ai Vescovi di altre diocesi per avere assistenti nella casa, e fortunatamente trovo molta accondiscendenza. Sia per quelli che dovettero andare a Mirabello, sia per quelli che furono chiamati in Seminario, il numero de' chierici essendo assai ristretto, credo che vorrà dispensarli dal servizio che solevano prestare gli anni addietro nella Metrop. di S. Giovanni.

                La prego di gradire una copia della Storia Sacra testè uscita dalla nostra piccola Tipografia. Prego la Santa Vergine a volerle ottenere dal suo divin Figliuolo sanità durevole: preghi, anche per me che di cuore Le sono

 

Um. Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                D. Bosco aspettava che gli fosse restituita quella commendatizia, quando con sua sorpresa il Provicario scrivevagli di non averla ricevuta. Ei tosto gli rispondeva.

 

                               Ill.mo e Molto Rev.do Signore,

 

                Abbia la bontà di dare ancora un'occhiata se mai esistesse presso di Lei la commendatizia fatta da Mons. Vescovo di Cuneo, altrimenti dovrò cercarla non so dove. Sul mio tavolino non esiste, forse fa spedita [568] chiusa in qualche altro pacco a non so quale indirizzo. Credo però che mi sarà rimandata. Ad ogni buon evento gliene mando una copia che della medesima aveva fatto trascrivere.

                Dimani i nostri chierici si troveranno per la scuola; se non potessero andare anche coloro che sono vestiti in borghese, sarei in un vero imbroglio, essendo già l'anno scolastico oltre all'epoca stabilita per essere accolti in altre scuole; ma anche questo in qualche modi si aggiusterà.

                Mi è sempre caro ogni volta Le posso augurare ogni bene dal Signore e professarmi con pienezza di gratitudine

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 8 Dicembre 1863

 Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Ma un gran pensiero di D. Bosco in questo mese era eziandio quello di impedire il danno che recavano i protestanti alla vigna evangelica. Si dovevano radunare in Torino tutti i Vescovi e i Vicari generali Capitolari della Provincia Ecclesiastica per trattare degli affari delle loro diocesi.

                D. Bosco pertanto scriveva un memoriale ai venerandi prelati, e davalo a copiare a D. Giovanni Cagliero, il quale, ritenuta un'altra copia per gli archivii dell'Oratorio, vi scriveva in calce la seguente postilla:

                “Questa relazione, scritta di propria mano dal Rev. D. Bosco, mi fu consegnata per spedirne copia a Monsignor Vescovo d'Acqui Fra Contratto Cappuccino, nell'occasione che presiedeva alla radunanza fattasi dai Reverendissimi Monsignori Vescovi e Vicarii Generali Capitolari dell'Archidiocesi di Torino nei giorni 10 e II dicembre 1863. - 10 dicembre 1863 - D. Cagliero Giovanni”.

                Oltre agli Ordinarii della Provincia, convennero i Vescovi di Savona, di Biella, e d'Iglesias. Mons. Contratto aveva la presidenza, essendo il decano per la morte poc'anzi avvenuta del Vescovo di Saluzzo. Le deliberazioni principali, che allora si presero, furono di presentare al Senato un memoriale contro il disegno del matrimonio civile, come essi fecero poi [569] nel novembre del 1864, e di condursi in modo uniforme di fronte alle nuove pretese del Governo sui seminarii, messe fuori dal Ministro Pisanelli con lettera circolare del 13 settembre 1863.

                Il 9 dicembre D. Bosco presentava il suo memoriale.

 

                Al Congresso dei Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Torino, radunati dal Decano Vescovo d'Acqui.

 

LAVORO DI PROTESTANTI PER FARE PROSELITI.

 

                Per lo addietro i protestanti lavoravano clamorosamente coi giornali, con promesse e lusinghe di ogni genere; attualmente hanno cangiato mano e lavorano clandestinamente quanto loro è possibile.

                I mezzi da loro usati sono tre:

                I° Largizioni; 2° Catechismi; 3° Libri.

                Per largizioni s'intendono impieghi di commercio, di uffizio, di servizio, di lavoro, somministranze o largizioni di danaro, promesse di ogni genere.

                Per catechismi s'intendono le conferenze che fanno gli Evangelisti nella città e nei paesi di Provincia; scuole infantili scuole elementari, spiegazioni della Bibbia ne' giorni festivi.

                Per libri s'intendono le stampe in giornali, libri, foglietti, almanacchi, Bibbie del Diodati, che i loro venditori (detti colptori) d'accordo cogli evangelisti locali, spacciano ovunque possano e a qualunque prezzo. I principali librai sostenuti dalla Evangelizzazione Inglese sono come segue. (V. Coperta dell'Amico di casa). I venditori ambulanti sono in numero grandissimo. - Sono sparsi in molti paesi. Per es. a Cuneo lavora il prof. Botta, ed il Padre Bonelli ex - frate e segretario presso al Rett. della R. Università. Non possono fare radunanze regolari finora, ma brigano per poterle tenere.

                In Saluzzo vi è il…… Comandante dei RR. Carabinieri, e secretamente (si dice) il P. Francesco ......

                In Alessandria vi è l'evangelista Fanini che tiene conferenze, scuola quotidiana elementare dietro l'albergo dell'Universo via Marengo.

                Pietra Marazzi e Montecastello sono i paesi più travagliati dai protestanti nella diocesi di Alessandria.

                In Acqui non v'è ancora conferenza regolare, spesso va certo Musso ex - fratello delle scuole cristiane di Montechiaro; conta già una trentina di addetti. Lo stesso Musso con un certo Gay lavorano regolarmente nella città e diocesi d'Asti. Il paese più travagliato è [570] Piea. Qui capo delle adunanze è certo Vercelli Veterinario: ogni mercoledì il Musso va a fare una conferenza.

                Queste radunanze (specialmente in Alessandria) sono spesso fatte od assistite da D. Bruschi ex - canonico d'Intra ammogliato e residente in Genova. Ma questi lavori sono un nulla in confronto di quanto si fa nella città e diocesi di Torino. Si dà un cenno della sola capitale. In Borgo S. Donato presso il Sig. Caffarelli si fa scuola e catechismo di questo genere. Così pure a Borgo nuovo, in piazza Vittorio Emanuele etc. A fianco la Chiesa Valdese vi è una scuola elementare di 50 alunni, di cui soltanto dieci sono valdesi, gli altri tutti cattolici.

                In via Dell'Arco havvi altra scuola dell'Evangelista Rossetti, successore del De Sanctis, dove sono circa 80. A poca distanza da questa vi è altra scuola dello stesso genere di circa settanta fanciulle; quindi un'altra sostenuta dal Ministro Bert e da Meile e sono 60 circa. Nella loro scuola infantile sono più di cento. Questi ragazzi hanno palle, minestra, farina, carne, vestiario per allettamento. I parenti dicono che sono piccoli perciò fuori di pericoli. Ma la cosa non è così. Molti toccano già i 10 i 12 anni, alla festa sono tutti obbligati andare al tempio per recitare alcuni versetti del Diodati, che è loro spiegato con serie di errori contro alla religione cattolica.

                Chi sostiene queste scuole è il Ministro Guicciardini che ordinariamente dimora a Firenze e Lord Stuart pastore inglese dimorante a Livorno.

                D. Ambrogio presentemente è pagato dal partito di azione e trovasi a Voghera e a Stradella.

                Sembra che sarebbe molto utile che i Vescovi prendessero ulteriori informazioni; dessero istruzioni ai loro vicarii foranei ai loro parroci. - In generale non si hanno norme da seguirsi I) nel combattere le tre armi dei protestanti cioè largizioni, libri, catechismi; 2) Che deve fare un parroco quando gli viene a notizia che si vogliono introdurre nella sua parrocchia? 3) Come deve regolarsi quando ci fossero?

                Iddio ispiri ai suoi pastori quanto devono fare. La Santa Vergine ci conservi la nostra santa religione.

 

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                D. Bosco aveva finito questo scritto nella novena della Immacolata Concezione di Maria SS. e in que' giorni riceveva da Mirabello una lettera che recavagli novella prova della stima nella quale erano tenuti i suoi alunni dall'autorità scolastica. Il Regio Provveditore degli studi in Susa avendo saputo il merito letterario di D. Rua, credette potergli offrire [571] una cattedra in quel ginnasio governativo. D. Rua avea informato D. Bosco, il quale conoscendone l'animo cosi rispondeva.

 

                               D. Rua carissimo,

 

                Rispondi al Provveditore che lo ringrazii di vivo cuore, ma che avendo accettato l'incarico di Direttore del piccolo Seminario Vescovile, proposto dal Vescovo di quella diocesi, non sei più libero, alme per ora, di accettare l'onorevole incarico che ti propone.

                In quanto alla Sup. prendi la medicina di San Bernardo che di Unde venis, quid agis, quo vadis? Queste parole pesate nella mente umana, possono produrre, come nel passato, gran santi.

                In questa bella solennità di Maria Immacolata ho pregato per te per li tuoi figliuoli e spero che la Santa Vergine li conserverà sempre sotto alla santa ed efficace di Lei protezione.

                Dio benedica te, mio caro Rua, benedica tua madre, casa Provera tutti i tuoi figliuoli. Amen.

                Scriverò presto qualche lettera in cui voglio notare tutto quel che ha veduto nelle vane mie visite che ho fatto colla mente, in vai epoche della settimana ed in ore diverse del giorno.

                Prega per me e per i tuoi amici ed abbimi

 

                Torino, 10 Dicembre 1863.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Il domani gli fu recapitata una risposta poco soddisfacente dal Municipio di Torino da lui pregato, eran ormai sette mesi, a concorrere per la fabbrica della Chiesa di M.ria SS. Ausiliatrice. Gli scavi delle fondamenta erano molto avanzati, ma ora sospesi dall'invernale stagione. Egli ave sperato il sussidio di 30.000 lire, poichè pareva molto probabile che la Chiesa un giorno avrebbe titolo di parrocchia

 

                CITTÀ DI TORINO

                UFFICIO LAVORI PUBBLICI, NUM. 993.

                Torino, addì II Dicembre 1863

                La Giunta Municipale prese in attenta considerazione il memoriale presentato al Municipio nel mese di Maggio p. p. dal Molto Reverendo [572] Sig. Sacerdote Giovanni Bosco diretto ad ottenere una sovvenzione per la costruzione di una Chiesa, che esso intende di erigere in terreno di sua proprietà in via Cottolengo, ed avrebbe provato grande soddisfazione se avesse potuto secondare la domanda; ma non potendosi essa dipartire dalla massima stabilita dal Consiglio comunale di concorrere solamente per l'erezione di Chiese Parrocchiali, ha dovuto con rincrescimento lasciare la domanda inesaudita.

                Il sottoscritto confida che il predetto Rev. Sig. Sacerdote Giovanni Bosco apprezzerà questa ragione ed ama sperare che all'eseguimento dell'utile opera non mancherà l'efficace concorso dei cittadini

 

Il Sindaco

RORÀ.

 

 

CAPO LVII. D. Bosco va a Mirabello: accoglienze festose: ci ripete l'annunzio dato a Torino che un giovane deve morire: esercizio di buona morte - D. Bosco dice ai giovani dell'Oratorio aver egli bisogno che quegli che deve morire si prepari - Parlate: volontà di far bene: l'etimologia della parola pagano - Domanda di soccorsi ad una benefattrice - Richiesta al Ministero dell'Interno perchè siano pagate alcuno pensioni - Ciò che accadrà prima che si celebri due volto la festa dell'Immacolata - Non imparar cosa della quale si abbia, a pentirsi in vecchiaia - Necrologio - D. Bosco annunzia la morte predetta e dice che un altro compagno sarà chiamato all'eternità: promette la strenna: raccomanda l'umiltà - Lettera di D. Bosco ai giovani di Mirabello: li ringrazia delle figliali accoglienze: fece loro altre visite in ispirito e osservò cose che lo rallegrarono e cose che lo amareggiarono: dà alcuni avvisi: prometto preghiere: annunzia avvenuta la morte predetta, ma soggiunge che un altro vuole andare in paradiso - Augurii al Ministro dell'Interno, a nome dei giovani da lui raccomandati - Lettera di augurio ad un amico - D. Bosco ha sempre innanzi il futuro Ultima parlata di D. Bosco ai giovani nel 1863: Previsioni dell'avvenire: che cosa domanda, promette, consiglia per l'anno venturo: un globo sostenuto da due colonne: la strenna ai giovani, ai preti, ai chierici: questa volta non dà strenne particolari - Una strenna data a D. Bosco. [574]

 

                DOPO la festa dell'Immacolata, D. Bosco dato incarico, a D. Arrò di parlate alla sera ai giovani, partiva per visitare la prima volta gli alunni di Mirabello. Era stata una decisione improvvisa ispirata dal cuore, e quindi non ne aveva scritto avviso a D. Rua. Lo accompagnava D. Cagliero Giovanni. Era caduta molta neve, sicchè giunti in Giarole a notte fatta e non trovando vetture alla stazione, furono costretti a cercare albergo in paese. Andarono pertanto a bussare alla canonica. Erano le 8. Come furono introdotti alla presenza del parroco nel suo gabinetto di studio, chiesero un po' di alloggio.

                 - Di dove vengono

                 - Da Torino!

                 - Hanno cenato?

                 - Non ancora.

                 - E dove sono diretti?

                 - A Mirabello.

                 - Sarebbero forse preti di D. Bosco?

                 - Precisamente! rispose D. Bosco.

                 - E D. Bosco è qui presente, continuò D. Cagliero accennandolo.

                Il parroco fece subito gran festa, perchè non erasi mai incontrato con D. Bosco e desiderava ardentemente conoscerlo: - Veda, gli diceva, era per iscriverle raccomandandole un giovanetto del paese; se permette manderò a chiamare suo padre. - E intanto fece preparare la cena. Venne il padre di Luigi Bussi, e il giovane fu accettato.

                All'indomani il parroco instava chè D. Bosco non partisse poichè le strade erano malagevoli, ma D. Bosco, che voleva fare una visita tanto più gradita quanto meno aspettata al piccolo Seminario, esclamò: - Oh noi non abbiamo paura di un po' di neve! - E con D. Cagliero si pose in via.

                Recatisi al piccolo Seminario ebbero accoglienze le più entusiastiche [575].

                Fu giorno di festa memorabile. Gli alunni per quell'istinto mirabile pel quale conoscono chi vuol loro veramente bene, non sapevano staccarsi da lui. Alla sera egli parlò a tutti. Fra i giovani ve n'era un certo numero che egli aveva qui mandati dall'Oratorio. Per questi specialmente ei ripete ciò che aveva annunziato nell'Oratorio, cioè che uno di loro sarebbe presto chiamato da Dio all'eternità: perciò stessero tutti preparati e pregassero. Il giorno dopo si fece l'esercizio di buona morte e una comunione generale.

                Don Bosco ritornava in Torino. I giovani dell'Oratorio aspettavano curiosi che egli, come altre volte, raccontasse ciò che eragli accaduto in quel viaggio, ma D. Bosco rimandò ad altro giorno la narrazione. Sta scritto nella Cronaca: “Alla sera D. Bosco disse in pubblico: - Avrei qualche cosa a narrarvi ma ora non ne ho il tempo. Vi dico solo di avere io di bisogno che quel tale, il quale deve morire, si prepari. Pregate!”

                “15 dicembre - D. Bosco disse alla sera, dopo aver dati i fioretti per la novena del S. Natale, che i giovani dovevano fare come i ballerini sulla corda. Fui tengono in mano il piombino e poi camminano senza guardare nè a destra nè a sinistra. Il nostro piombino è la volontà di far bene”.

                “16 dicembre. - D. Bosco, alla sera parlò del gran mistero della Redenzione del mondo, e del paganesimo. Quindi spiegò la parola pagano. - La parola pagano, disse, nella sua etimologia significa coloro che dimoravano nei villaggi: quindi dicevansi pagani coloro che non erano punto scritti nei cataloghi dei soldati; costoro si dicevano esse in paganico cioè relegati ai campi ed allontanati dal gran mondo. Quindi alcuni, attaccandosi al senso di questa legge, dicono che davasi il nome di pagani ai gentili, perchè non erano arruolati alla milizia Cristiana. Baronio spiegando il significato di questa parola, dice che al tempo degli imperatori Cristiani, incominciando l'idolatria a sparire e a non essere più permessa che nei villaggi, i gentili più attaccati alle tradizioni dei loro [576] padri e più difficili a cambiar religione e a lasciar le loro superstizioni, si ritirarono nelle loro case di campagna dove professavano liberamente coi campagnuoli, essi pure attaccati agli idoli, il loro culto e le loro feste che dicevansi festa paganalia, ferie paganiche. Dicono poi altri che la parola pagano viene immediatamente da pagus villaggio e che si diede tal nome agli idolatri, non perchè si ritirassero alla campagna, ma perchè i discepoli del Salvatore essendosi messi dapprima a predicare nella città, gli abitanti di queste furono convertiti prima di quelli della campagna.

                Con queste digressioni etimologiche, storiche e con altre di svariato genere, D. Bosco alternava alle parlate di cose spirituali, discorsi dilettevoli od istruttivi che togliessero la monotonia di uno stesso argomento, il quale poteva per una parte degli uditori riuscire talvolta stucchevole”.

                Di altre sue parlate in questa novena la Cronaca non fa parola, ma accenna a lettere che egli scriveva dovendo provvedere il necessario alla vita de' suoi giovani.

 

                               Benemerita Signora Marchesa (Fassati),

 

                Le trasmetto un bigliettino per Emanuele pregandola a volerlo rinchiudere in qualche lettera se mai in questi giorni scrivesse al medesimo.

                Ho ricevuto il pacco della Signora Contessa Callori e ne La ringrazio. Ieri mattina ho dato principio alla novena di messe e farà anche pregare i giovani per questo bisogno spirituale.

                Signora Marchesa, ci troviamo nelle strettezze in questi giorni. Ella mi ha già qualche volta accennato qualche sussidio. Se può io passerò questa sera ed Ella lo chiami pensione o largizione per noi è sempre carità che si riceve con gratitudine per pagare il pane consumato dai nostri poveri giovani.

                Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda, Di V. S. Benemerita,

 

                Torino, 22 dicembre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio. [577]

                Per questo stesso motivo egli indirizzava una lettera al Segretario del Ministero dell'Interno.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Per la moltitudine de' giovani che facevano urgente dimanda di essere ammessi in questa casa, non si potè dare corso regolare alla benevola raccomandazione di codesto Ministero a favore di alcuni poveri giovanetti; tuttavia le pratiche non furono mai dimenticate e le cose si effettuarono come segue:

                I° Malabaila Carlo Enrico, raccomandato con lettera 22 settembre, div. 6a, sez. 2a - N. 5826, venne definitivamente accolto il 1° novembre e collocato ad imparare un mestiere.

                2° Benna Giovanni Battista di Biella, raccomandato con lettera 8 ottobre, fu accolto il 20 del passato ovembre e trovandosi in grave bisogno di istruzione fu ammesso a studiare.

                3° Grassero Giuseppe, raccomandato con lettera dei 13 ottobre, N. 6522, è definitivamente accettato e la sua entrata è fissata pel giorno 12 prossimo gennaio.

                4° Ferrero Lorenzo raccomandato con lettera del 5 novembre, atteso lo stato di grave bisogno in cui si trova, è pure accolto ad entrare il giorno 24 in questa casa.

                In questa medesima occasione rinnovo quanto circa la metà d'ottobre scriveva in riscontro alla lettera 22 settembre riguardo al giovane Pivetta. La madre allora era debitrice di L. 330: ora sarebbero da aggiungersi due mesi a fr. 15 caduno che darebbero il totale di fr. 360.

                Qui acchiusa pure havvi la nota che riguarda ai giovani Rissoli Gesualdo napolitano e Durazzo torinese, che non potendo per difetto di età essere accolti in questa casa, dietro a lettera ministeriale furono da me collocati presso al maestro Miglietti a centesimi 65 caduno per ogni giorno. Atteso il bisogno e la domanda del medesimo ho dovuto anticipargli la somma scaduta, sebbene io stesso mi trovi nelle strettezze.

                Nella speranza che mi voglia continuare il suo favore per dar pane ai poveri giovani, che in numero di oltre a settecento sono ivi ricoverati, La prego a voler partecipare da parte mia a S. E. il Ministro dell'Interno, che mi darò sempre la massima sollecitudine per accogliere giovanetti abbandonati e specialmente quelli che in qualunque modo mi fossero da Lui raccomandati.

                Gradisca in fine che in questi giorni d'augurio Le preghi ogni bene dal cielo e mi professi con pienezza di stima,

                Di V. S. Ill.ma

                Torino, 22 dicembre, 1863.

Dev.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [578]

 

                Per dare una spiegazione alla suddetta lettera ricorderemo come nelle vicinanze dell'Oratorio per mezzo del Maestro Giacomo Miglietti avesse iniziato un piccolo convitto pel quale aveva cercato l'appoggio, anzi la cooperazione del Ministero dell'Interno. In questo accoglievansi una trentina di giovani i quali, specialmente per l'età, non avevano le condizioni necessarie per essere accolti nell'Oratorio.

                Il Ministro intanto non era tardo a fargli rispondere.

 

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6a, Sez. 2a N. 8856.  

                Torino 31 dicembre 1863

                Nell’intenzione di soddisfare a tutti gli impegni assunti da questo Ministero nello scorso anno e rimasti finora inadempiuti, ho disposto con decreto in data d'oggi, che sia pagato a favore di codesto Istituto sulla Tesoriera di questa città un sussidio di L. 631.

                Coll'erogazione di un tale sussidio viene compensata la S. V. del ricovero che si è disposta a prestare al giovane Malabaila Carlo Enrico, mediante la corresponsione di L. 150, e rimane eziandio sciolta esuberantemente la promessa fattale di contribuire in parte al pagamento della pensione, di cui la madre dei giovane Pivetta è in debito verso del pio stabilimento.

                La concessione del suindicato sussidio è pure destinata a servire al soddisfacimento del debito incontrato verso il Maestro Miglietti per la pensione dei giovani Rissoli e Durazzo, giusta il conto presentato col foglio 26 cadente mese, quantunque non possa dirsi che il Ministero avesse per quest'ultimo, un obbligo positivo, essendosi solo in modo indiretto ingerito pel suo ricovero, agli oneri (lei quale avrebbe dovuto sottostare il Sindaco di Torino, che molto s'interessa sii questo riguardo.

                Così riceve pieno esaurimento l'istanza rivolta dalla S. V. in data del 22 p.p. dicembre, intorno alla quale occorre per altro di rilevare che nel raccomandare l'ammissione: dei giovane Grassero Giuseppe il Ministero aveva dichiarato che sarebbe stata pagata per tale ricovero da privati benefattori la somma di L. 150 a beneficio del Pio Istituto. Nel caso impertanto che non siasi fatto luogo al suddetto pagamento, ella vorrà dirigersi al Ministero, il quale non mancherà di fare gli uffizi occorrenti a chi di ragione, perchè sia provveduto alla prestazione della sovvenzione promessa.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA. [579]

 

                Ma D. Bosco non lasciava insoluta Una questione, specialmente quando trattavasi dei diritti e degli interessi de' suoi dipendenti.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Ho comunicato al Signor Miglietti la, lettera con cui V. S. Ill.ma (28 scorso dicembre n. 9724), significava che colla somma decretata, 31 dicembre 1863, intendeva a soddisfare a quanto riguardava al giovanetto Durazzo. Ciò egli ammette interamente, ma mi fa osservare che allora si pagò soltanto la nota presentata che si estendeva fino al primo Novembre 1863, e non oltre; per la qual cosa Le trasmetto di nuovo la stessa nota che si giudica essere esatta, e che atteso i bisogni speciali del prefato Maestro, questa Casa ha dovuto prima d'ora anticipare.

                In questa medesima occasione Le rinnovo l'osservazione che i duecento franchi, indicati nella lettera 13 Ottobre 1863 a favore del giovane Grassero Giuseppe non furono finora pagati. Il giovane è tuttora nella casa.

                Ho pure l'onore di parteciparle che l'orfano Giaccio Domenico di Agnone (Abruzzo citeriore), accettato con lettera 27 settembre ultimo scorso, fu definitivamente ivi ritirato. Egli ritardò la sua venuta perchè lungo il viaggio fu colto dal vaiolo per cui è tuttora sofferente.

                I giovanetti di questa casa sono settecento circa, che tutti raccomando alla nota di Lei bontà, mentre ho l'alto onore di potermi professare,

                Di V. S. Ill.ma

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                D. Ruffino nel frattempo aveva continuata la cronaca.

                “26 dicembre. - D. Bosco fu pregato da' suoi chierici e preti a dire qualche cosa intorno al futuro ed egli così manifestò le sue previsioni: - Prima che si celebri due volte la festa dell'Immacolata Concezione gli affari politici in Italia saranno aggiustati. - Noto che D. Bosco un mese prima circa disse in casa Losana: - Prima che sia celebrata tre volte la festa dell'Immacolata Concezione saranno ordinati gli affari d'Italia. La stessa cosa aveva ripetuta a Tortona [579] Ma D. Bosco non lasciava insoluta Una questione, specialmente quando trattavasi dei diritti e degli interessi de' suoi dipendenti.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Ho comunicato al Signor Miglietti la, lettera con cui V. S. Ill.ma (28 scorso dicembre n. 9724), significava che colla somma decretata, 31 dicembre 1863, intendeva a soddisfare a quanto riguardava al giovanetto Durazzo. Ciò egli ammette interamente, ma mi fa osservare che allora si pagò soltanto la nota presentata che si estendeva fino al primo Novembre 1863, e non oltre; per la qual cosa Le trasmetto di nuovo la stessa nota che si giudica essere esatta, e che atteso i bisogni speciali del prefato Maestro, questa Casa ha dovuto prima d'ora anticipare.

                In questa medesima occasione Le rinnovo l'osservazione che i duecento franchi, indicati nella lettera 13 Ottobre 1863 a favore del giovane Grassero Giuseppe non furono finora pagati. Il giovane è tuttora nella casa.

                Ho pure l'onore di parteciparle che l'orfano Giaccio Domenico di Agnone (Abruzzo citeriore), accettato con lettera 27 settembre ultimo scorso, fu definitivamente ivi ritirato. Egli ritardò la sua venuta perchè lungo il viaggio fu colto dal vaiolo per cui è tuttora sofferente.

                I giovanetti di questa casa sono settecento circa, che tutti raccomando alla nota di Lei bontà, mentre ho l'alto onore di potermi professare,

                Di V. S. Ill.ma

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                D. Ruffino nel frattempo aveva continuata la cronaca.

                “26 dicembre. - D. Bosco fu pregato da' suoi chierici e preti a dire qualche cosa intorno al futuro ed egli così manifestò le sue previsioni: - Prima che si celebri due volte la festa dell'Immacolata Concezione gli affari politici in Italia saranno aggiustati. - Noto che D. Bosco un mese prima circa disse in casa Losana: - Prima che sia celebrata tre volte la festa dell'Immacolata Concezione saranno ordinati gli affari d'Italia.  La stessa cosa aveva ripetuta a Tortona [580] nell'ottobre alla presenza del Vescovo e di varii sacerdoti; e ad alcuni che gli domandavano se quel tempo dovesse computarsi dal prossimo 8 dicembre, egli rispondeva: - Tre, tre.

                D. Bosco proseguì: - Avremo la guerra, la peste, la fame; per altro il Signore sotto il nome di questi flagelli, può essere che intenda cose diverse da quelle che intendiamo noi; ma tale è il linguaggio di Dio. - Aggiunse che sulla terra si canterà un solenne Te Deum.

                Da Asti il Vicario ed altri gli mandarono alcune profezie affinchè le facesse stampare. D. Bosco le lesse e poi le rimandò dicendo che si guardassero bene dallo stamparle, poichè erano fandonie, e qualora non lo ascoltassero, egli si metterebbe a scrivere contro di esse”.

                Nel 1865 vennero infatti stabilite le nuove sorti del Veneto. Il nerbo maggiore delle sette anticristiane era da qualche tempo a Berlino. I governanti italiani sapevano che disegno della Massoneria era distruggere od almeno indebolire di assai l'Austria: quindi speravano di ottenere più agevolmente dall'amicizia prussiana Venezia e fors'anche Roma. Napoleone III per sue ragioni segrete conosceva ed approvava i trattati incominciati nell'agosto 1865 tra l'Italia e la Prussia per far guerra all'Austria.

                Nell'ottobre Bismark andava a Parigi ove teneva una lunghissima conferenza col Ministro Drouyn de Lhuys e quindi - si conduceva a Biarritz ove fu ricevuto in udienza da Napoleone. Nulla trapelò di questi colloqui. Corse però voce che a Biarritz si facesse per l'Allemagna, ciò che a Plombières si era fatto per l'Italia.

                La conclusione di questi trattati dava pienamente ragione alle previsioni di D. Bosco.. In quanto alla guerra vedremo il 1866; e in quanto alla peste ce lo dirà il cholera del 1865, 1866 e 1867. Riguardo alla fame in Italia si leggano le cronache dolorose dei giornali del 1866 e 1867. Nel 1867 abbiamo il Centenario dei martirio di S. Pietro e di S. Paolo, celebrato [581] in Vaticano alla presenza di 500 e più Vescovi coll'inno del ringraziamento.

                D. Ruffino prosegue: “Il 26 dicembre muore a Lombriasco, sua patria lo studente Robasto Teresio in età di 19 anni compiuti”. Ma non è questi l'indicato da D. Bosco.

                “27 dicembre. - D. Bosco nella sera disse a tutti i giovani che voleva incominciare a date un ricordo pel fine dell'anno, ma non tuttavia la strenna. Eccolo. Il Re d'Atene Agesilao andò un giorno a visitare una scuola. In sul partire gli scolari le, pregarono di lasciar loro un qualche ricordo della sua visita. Il Re disse allora: - Guardate di imparare quelle cose di cui non avrete a pentirvi quando sarete vecchi”.

                “29 dicembre. - Oggi solamente giunse nell'Oratorio la notizia della morte del giovane Prete ]Luigi di Agliano sui venti anni. D a qualche tempo era ammalato a casa sua. Era passato all'eternità il 5 dicembre. D. Bosco nell'annunziare alla Comunità il fatto, disse: - Prete sarà quel tale di cui vi predissi la morte? Io non dico nè di sì, nè di no. Quel solo che vi dico si è che in questa casa i giovani muoiono sempre a due a due. Non voglio dire con ciò che adesso debba succedere così, ma sibbene che per lo passato fu così. Morto un giovane, dopo 10, o 15 giorni ne moriva un altro. Adesso sta a vedere se morto uno, dopo 10 o 15 giorni, anzi dopo nemmanco 20, ne morrà un altro.

                - Domani a sera vi darà la strenna. Verranno qui anche gli artigiani, perchè io desidererei essere qui con voi e intanto, non mancare di trovarmi in mezzo agli artigiani. Perciò, siccome non mi posso dividere in due, verranno qui gli artigiani.

                Voi intanto incominciate ad avervi questo ricordo particolare: Non vi insuperbite mai di ciò che sapete. Quanto più uno sa, tanto più uno conosce d'essere ignorante. Socrate diceva: - Hoc unum scio me nihil scire. Quindi siate umili: I° Col persuadervi di non sapere nulla; 2° Col non servirvi in male della scienza; 3° Col sapere ciò che c'insegna Gesù Crocifisso [582]; perdonare le ingiurie ricevute, perdonare ai nemici”. “30 dicembre. - D. Bosco scriveva a' suoi nuovi alunni di Mirabello:

 

                               Agli amati miei figliuoli del piccolo Seminario di S. Carlo in  Mirabello.

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

                I segni di figliale affetto che voi, figliuoli amatissimi, avete a me dato quando ebbi il piacere di farvi una visita, mi avevano fatto risolvere di recarmi di nuovo presso di voi in questi giorni di feste e di augurii. Ora per le speciali mie occupazioni non potendo ciò fare, mi limito a scrivervi una lettera per manifestarvi alcuni pensieri del mio paterno cuore.

                Prima di tutto vi ringrazio di quanto avete fatto per me, dei saluti inviatimi, delle preghiere innalzate a Dio per la salute dell'anima mia; come pure vi ringrazio dell'affetto che portate a D. Rua e agli altri Superiori di questo Seminario. Dacchè fini tra voi, essendo più volte andato a vedervi collo spirito, credo bene di dirvi quanto ho osservato in particolare (a questo proposito scrivo biglietti a parte) ed in generale.

                Con vera mia soddisfazione ho osservato più frequenza ai Santi Sacramenti della Confessione e della Comunione, contegno più divoto in chiesa e nella preghiera più specialmente della sera, maggiore carità nel sopportare le molestie dei compagni ed in molti uno sforzo per progredire nello studio e combattere i vizii e le cattive tentazioni. Ho questo osservato con grande mio piacere, tuttavia se me lo permettete, debbo dirvi molte cose che amareggiarono assai l'animo mio.

                Osservai alcuni andare in Chiesa senza dare alcun egno d'entrare in luogo santo; ascoltar la predica (e non son pochi) con distrazione continua, senza nemmeno portare via una massima da praticare pel bene dell'anima loro Osservai parecchi altri cominciare le preghiere, di poi trovarsene alla fine senza che sappiano d'averle dette e per lo più senza aprire le labbra: ne trovai altri che rissarono, altri che non potendo fare vendetta nutrirono la bile e Podio molto tempo verso i loro rivali.

                Havvene poi una serie che scappano dalla fatica, come da enorme macigno che loro stia sopra il capo sospeso; ma quello che più mi ha addolorato sono alcuni che si studiarono d'introdurre massime disoneste e discorsi che S. Paolo vuole che siano nemmanco nominati tra i Cristiani. Ve ne furono poi alcuni, assai pochi, i quali, dovrò dirlo? si accostarono indegnamente al Santi Sacramenti.

                Queste, miei amati figliuoli, sono le cose che ho notate sopra l'andamento del piccolo Seminario di Mirabello. [583] Pensate voi forse che io scriva queste cose per farvi rimprovero? No; le scrivo soltanto per avvisarvi, e così i buoni siano incoraggiati a perseverare, i tiepidi procurino di accendersi e riscaldarsi di amor di Dio, e chi ne ha bisogno si rialzi dallo stato in cui si trova. Qui avrei molte cose a scrivervi, ma mi serbo di farlo alla prossima mia visita che sarà per farvi. Vi dirà per altro quanto il Signore Iddio vuole da voi nel corso di questo anno per meritarvi le sue benedizioni.

                I° Fuga dell'ozio, perciò somma diligenza nell'adempimento dei proprii doveri scolastici e religiosi. L'ozio è padre di tutti i vizi.

                2° La frequente comunione. Che grande verità io vi dico in questo momento! La frequente comunione è la grande colonna che tiene su il, mondo morale e materiale, affinchè non cada in rovina.

                3° Divozione e frequente ricorso a Maria SS. Non si è mai udito al mondo che taluno sia con fiducia ricorso a questa Madre celeste senza che sia stato prontamente esaudito.

                Credetelo, o miei cari figliuoli, io penso di non dire troppo asserendo che la frequente comunione è una grande colonna sopra di cui poggia un polo del mondo; la divozione poi alla Madonna è l'altra colonna sopra cui poggia l'altro polo. Quindi dico a D. Rua agli altri Superiori, maestri, assistenti ai giovani tutti, di raccomandare, praticare, predicare, insistere con tutti gli sforzi della carità di Gesù Cristo, affinchè non siano mai dimenticati questi tre ricordi, che io vi mando a maggior gloria di Dio, a bene delle anime vostre, tanto care al Nostro Signor Gesù Cristo, che col Padre vive e regna nell'unità dello Spirito Santo. Così sia.

                Mentre vi assicuro che ogni giorno vi raccomanderò al Signore nella Santa Messa raccomando anche l'anima mia alla carità delle vostre preghiere. Tutti i giovani di questa casa si raccomandano eziandio alle vostre preghiere e vi augurano ogni bene dal cielo.

                La Santa Vergine ci conservi tutti suoi e sempre suoi. Amen.

                Torino, giorno 30 dicembre 1863.

 

Vostro aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P.S. State tranquilli sul giovane che doveva partire per l'eternità. Egli fu Prete Luigi. Ma notate che le partenze dei nostri giovani sono sempre a due a due: quindi havvi un altro ompagno che lo vuole seguire nella patria dei beati.

 

                “In questa lettera erano acclusi quindici suoi biglietti autografi indirizzati a varii assistenti e giovani in particolare.

                Nello stesso giorno, D. Bosco fece scrivere eziandio una [584] lettera di augurio pel Capo d'anno al Ministro dell'Interno a nome degli alunni da lui raccomandati”.

                Egli poi, che in questo mese era tutto in scrivere lettere di riconoscenza agli amici ed ai benefattori, ne indirizzava una a quel coronaro di Roma, col quale aveva stretta amicizia nel 1858.

 

Torino, 30 dicembre 1863.

 

                               Carissimo Sig. Focardi Canori,

 

                La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. State sicuro che non mancherà di indirizzarvi qualunque amico vada a Roma, come ho sempre fatto negli anni scorsi. Ogni giorno io prego per voi, per la vostra famiglia e vi benedico tutti e di tutto cuore.

                Latore di questa lettera è il Sig. Piola amico nostro e di molta pietà che desidera di riverirvi.

                Continuiamo a pregare: il Signore è con noi; non temiamo. Il paradiso pagherà tutto. La Santa Vergine ci conservi tutti nel santo timore di Dio. Amen.

                Se vedrete D. Zaverio Bacchi, Can. Bertinelli, Mons. Lenti, salutateli da parte mia. Dite loro che li amo molto nel Signore e che preghino per me.

                Vi saluto nel Signore.

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P.S. D. Rua sta bene; predica, confessa ed è Rettore di una casa di dugento giovani che vuole fare tutti santi.

 

                Per verità i giovanetti di Mirabello nel primo anno del collegio non erano precisamente duecento, ma ben presto dovevano sorpassare questo numero, che tale e anche maggiore si mantenne per lungo corso di anni. Noi facciamo questa osservazione perchè si noti come D. Bosco non esagerasse le cose sue scrivendo o parlando, come sembrò a taluno. Egli collo sguardo abbracciava il futuro come se fosse presente, e quanto ora noi vediamo e vedremo ancora di meraviglioso nello svolgimento della Pia Società, di sorprendente nel numero de' suoi allievi, ci lo previde e noi ne siamo testimonii. [585] Tuttavia per non avere aria di profeta talvolta facetamente ei narrava il detto di un vecchio Direttore d'Istituti: - Avete quasi cento giovani? Dite di averne cento e la gente crederà che ne abbiate soli cinquanta. Se ne avete cento dite di averne cento cinquanta; e la gente crederà che ne abbiate cento e crederà il vero.

                Ed eccoci finalmente al 31 dicembre. Scrisse D. Ruffino:

                D. Bosco diede la strenna a tutti i giovani artigiani e studenti ed incominciò così.

                 - In questi giorni nel mondo si vede un continuo avvicendarsi di visite e d'augurii. E gli è un anno che termina ed un altro che incomincierà. Questo pensiero desta negli uomini due sentimenti: Abbiamo terminato un anno in cui abbiamo perduto tanti amici; ne incominciamo un altro che non sappiamo come passerà per noi. Chi sa quanti amici perderemo! Questi sentimenti producono quell'agitazione che si scorge nel mondo.

                Quest'anno nel mondo ci saranno dei gravi sconvolgimenti: non oglio dire che vengano a turbare questa casa, ma turberanno il mondo, o vogliano essere pesti, o guerre, od altro; lasciamolo al Signore.

                Ma restringiamoci più a noi. L'anno scorso vi diceva che quasi per certo al termine dell'anno non ci saremmo più trovati tutti vivi e fu così. Quanti compagni passarono all'eternità! Spesso dicevamo ora il Rosario, ora il De profundis per qualcheduno. Lo stesso diciamo ora al principiar del 64. Molti di noi non saranno più al 65.

                Al cominciare di quest'anno nuovo che cosa debbo io chiedervi? che cosa promettervi e che consigliarvi? Sono tre cose. Quanto a chiedervi non posso altro che domandarvi quanto forma il programma di questa casa e che sta scritto nella mia camera: Da mihi animas caetera tolte. Io non chieggo che le vostre anime, non desidero che il vostro bene spirituale.

                Promettervi? lo vi prometto e vi do tutto quel che sono e quel che ho. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo e per voi sono disposto anche a dare la vita.

                Consigliarvi? Statemi bene attenti ad intendermi. Immaginatevi di vedere un gran globo sospeso pei due poli a due colonne. Sopra urla sta scritto: Regina mundi; sopra l'altra: Panis vitae. Ma notate che il polo appoggiato alla colonna Regina mundi è distaccato da essa mentre l'altro è attaccato alla colonna Panis vitae. Sopra questo globo camminano molti uomini in ogni verso. Ma quelli che stanno presso le due colonne godono di una luce vivissima, mentre gli altri che stanno distanti da esse, cioè nel mezzo del globo sono in oscure tenebre [586]. Ora vorrei che qualcheduno mi spiegasse che cosa voglia dire ciò: per es: Dica il tale! - E dopo qualche risposta non troppo a proposito e ingarbugliata D. Bosco proseguiva.

                Il globo rappresenta il mondo. Le due colonne sono: una Maria SS, l'altra il SS. Sacramento. Esse sono che veramente sostengono il mondo, imperciocchè se non fosse di Maria SS. e del SS. Sacramento a quest'ora il mondo sarebbe già rovinato. E gli uomini che vogliono camminare alla luce, cioè per la via del paradiso, bisogna che si accostino a queste due fonti di luce od almeno, ad una. Coloro poi che da esse si allontanano, camminano in tenebris et in umbra morgis. Ecco quello che io vi consiglio di praticare voi e di farlo praticare agli altri per mezzo dell'esempio, per mezzo dei consigli, per mezzo delle prediche. Notate che suggerendovi la divozione al SS. Sacramento, io intendo l'accostarsi alla Comunione, le visite in Chiesa, l'udire la S. Messa, le giaculatorie ecc.

                Se poi volete che vi suggerisca una cosa da fuggire, essa è l'ozio.

                Intanto io vi auguro di pensare sempre alle anime vostre.

                Ai preti, ai chierici, a tutti gli assistenti zelo, e pazienza.

                Fu interrogato che significasse quell'essere il globo attaccato da una parte alla colonna e dall'altra staccato. Rispose significare che l'una tiene su il mondo per virtù propria e l'altra solo come appoggio.

                Alcuni chiesero che volesse secondo l'uso degli anni scorsi dare loro una strenna a ciascuno in particolare. - D. Bosco rispose che no: - Poichè, disse, ho bisogno che mi aiutiate a mettere in pratica quella che diedi in generale.

                Così finiva l'anno 1863 e quantunque D. Bosco non avesse data una strenna a ciascuno in particolare, più giovani, secondo l'usanza degli anni precedenti, consegnavano la propria a lui in un biglietto, ricevuto con molto gradimento. Un solo di questi ci fu conservato, quello di Cesare Chiala, il quale aiutavalo, come abbiamo già detto, nella compilazione delle Letture Cattoliche. Non è un monito, ma sibbene l'esposizione e l'approvazione di una regola di condotta tenuta da Don Bosco. Eccone il tenore: Interroga libenter et audi tacens verba sanctorum: nec displiceant tibi parabolae seniorum; sino causa enim non proferuntur. (De Imitatione Christi Lib. I. Cap. V.).

 

 

CAPO LVIII. 1864 - Numero dei membri della pia Società - Il primo giorno dell'anno - Amore dei giovani allo studio - Letture Cattoliche: l'Unità Cattolica - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti per ottenere la commendatizia alla Pia Società Salesiana dal Vicario Capitolare - Accettazione di nuovi socii - Morte invidiabile di Besucco Francesco - Conferenza generale: l'aquila e il bue - Sepoltura di Besucco - D. Bosco dice in privato che in tre mesi morranno tre altri giovani.

 

                SUL principio del 1864 il numero dei membri della Pia Società di S. Francesco di Sales era di 61. A quelli dell'anno antecedente si erano aggiunti 8 chierici, 9 studenti, 4 coadiutori. Un sacerdote e sei chierici avevano pronunciati i voti triennali. I preti erano nove.

                Il nuovo anno doveva essere, per questa eletta schiera di Salesiani e pei loro giovanetti, anno, come sempre, di studio e di lavoro, essendo questo lo spirito in loro trasfuso da D. Bosco. Quindi nota la Cronaca: “I° gennaio, venerdì 1864. - Scuola mattino e sera. Alla sera però lectio brevis che finisce alle 3 e ½ . Alle 7  ¼ benedizione, previa lettura spirituale. Questo è l'orario di tutte le feste soppresse”.

                Sembra che il primo giorno dall'anno avrebbe dovuto essere distinto con grande solennità, ma le feste che lo precedettero e quelle imminenti che sopraggiungevano, a causa di lunghe ricreazioni, distraevano non poco gli alunni. Perciò i più [588] diligenti reclamavano dai professori che fossero loro assegnati nuovi compiti, avendo già finito quello della scuola; e tempo dopo si contentarono nei giorni festivi, con un'ora di più per lo studio, fissata prima della messa della comunità. Per molti anni nelle feste il tempo dalla levata alle 7 ½  era solamente occupato nella pulizia della persona e degli abiti e nello scendere in Chiesa per le confessioni, libertà questa non impedita nel tempo di studio.

                Di tale entusiasmo per lo studio ci dà una prova la cronaca. “Durante il freddo eccessivo di questo inverno cessò la scuola di canto; non solamente pel freddo, ma eziandio, per la mancanza del gaz. Non cessava però l'amore allo studio. D. Bosco a coloro che desiderano, e domandano di levarsi di buon ora al mattino per studiare, suole concederlo con alcune condizioni: ma non prima delle 4. E il 4 febbraio, dovendosi i chierici preparare agli esami in Seminario, i giovani furono mandati al passeggio. Siccome l'anno scorso in questo giorno non vi era stato passeggio, quest'ordine destò mormorazioni, perchè anche gli allievi si dovevano preparare all'esame”.

                L'esempio di D. Bosco era un grande stimolo ai giovani nel compiere il proprio dovere. Per lui ogni istante era un tesoro. In questi giorni egli ordinava la spedizione del fascicolo delle Letture Cattoliche, che valeva pei mesi di gennaio - febbraio. Eccone l'argomento: - Sull'autorità del Romano Pontefice, istruzione catechistica del Sacerdote Lorenzo Gastaldi - Teol. Coll. e Can. Onorario della SS. Trinità.

                L'Unità Cattolica del 10 marzo faceva grandi elogi di questo fascicolo.

 

                Il fascicolo di Gennaio e Febbraio delle Letture Cattoliche, le quali si pubblicano dal Sig. D. Bosco, contiene un prezioso scritto sull'Autorità del Sommo Pontefice, in cui con brevità, precisione, chiarezza e solidità si espongono gli attributi principali dell'autorità del Sommo Pontefice tanto nelle materie di dogma e di morale, quanto nella disciplina [589] delle cose politiche. Quando avremo detto che l'autore di questa operetta è il teologo e canonico Lorenzo Gastaldi, i nostri lettori sapranno subito che un argomento di tanta importanza ai giorni nostri non poteva incontrare penna più atta, sia a trattarlo a dovere, quanto alla sostanza, sia a renderla proficua ad ogni maniera di pensare per il modo con cui è condotta. Il dotto e zelante autore dà il nome d'Istruzione Catechistica al suo opuscolo che ha messo in forma di dialogo, come la più atta a rendere questa materia meno arida e più intelligibile alla grande maggioranza del popolo cristiano. Il canonico Gastaldi si è prefisso solamente l'istruzione del popolo: però per questo popolo conviene intendere non solamente la plebe semplice e rozza, ma ancora quei che si piccano di civiltà, di erudizione, di scienza. Imperocchè siamo sicuri che i nove decimi di coloro che si credono istruiti troveranno il libro in gran parte nuovo per loro. Vogliamo notare in modo speciale il Capo IX intitolato: Il Romano Pontefice ha da G. Cristo il diritto di invigilare sullo stato politico dei cristiani, dove l'autore dimostra che la Chiesa, come maestra di morale, è altresì maestra della vera politica. Aggiungeremo che nel sodo e sugoso libro del teologo Gastaldi, anche i predicatori della divina parola troveranno preparati e ben disposti gli argomenti da svolgere al popolo sopra un tema di tanta importanza ai giorni nostri, qual'è l'autorità dei Sommo Pontefice.

                Nello stesso tempo D. Bosco, avendo ricevuta la commendatizia del Vescovo di Acqui, aspettava dal Vicario Capitolare di Torino, la chiesta approvazione o commendatizia per la sua Pia Società; ma finora non aveva ricevuto altro, fuorchè una promessa a voce. Scriveva perciò al Canonico Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario Diocesano.

 

                               Ill.mo e M. Rev.do Signore,

 

                Stante la promessa fatta a me ed a V. S. Ill.ma e M. Rev.da di farmi la nota commendatizia a favore della Società di S. Francesco di Sales, mi raccomando alla sua bontà onde voglia coadiuvare il Sig. Vicario Generale a voler appagare questo mio desiderio prima che la morte venga a rompere i miei disegni.

                Il regnante Pio IX avendomi egli stesso data la traccia ed il suggerimento della Società, credo che il regolamento troverà benevola accoglienza presso il medesimo. Qualora per altro travedesse qualche difficoltà presso il prelodato Sig. Vicario Generale, La prego rispettosamente a volermene dar cenno per norma; giacchè mi sta assai a cuore [590] che questo regolamento o in un modo o in un altro, cioè o dall'Ordinario, o dal Pontefice ottenga qualche approvazione.

                Mi voglia credere con quella pienezza di stima con cui ho l'onore di professarmi,

                Di V. S. Ill.ma e M. Rev.da

 

                Torino, 6 Gennaio del 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Gli stava a cuore di condurre a termine queste pratiche, anche per il numero sempre crescente dei giovani, che intendevano ascriversi a vestir l'abito nel suo Istituto.

                Dai verbali del Capitolo si apprende:

                Li 8 Gennaio 1864, furono accettati nella società di S. Francesco di Sales; Barberis Giulio, Bertinetti Michele, Bertocchio Gio. Batta., Garelli Guglielmo, Finocchio Alfonso, Lambruschini Francesco, Lupotto Simone, Manassero Giuseppe, Marengo Lorenzo, Paglia Francesco, Rostagno Luigi, Vota Domenico.

                Intanto si avverava la predizione fatta da D. Bosco il 29 dicembre, dopo la morte di Prete, con queste parole: - Adesso sta a vedere se, morto uno, dopo 10, o 15 giorni, anzi dopo nemmanco 20, ne morrà un altro.

                Besucco Francesco, per amore di penitenza, avendo lasciato inoltrare la stagione senza coprirsi convenientemente nel letto, fu assalito da congestione catarrale allo stomaco. La sua malattia incominciata il 3 di gennaio fu di solamente sette giorni che per lui furono altrettanti esercizii, ed ai compagni, esempi di pazienza e di cristiana rassegnazione. Il male gli opprimeva il respiro, gli cagionava acuto e continuo mal di capo. Ma tutte le prescrizioni dei medici, tutte le cure non valsero ad alleviarlo.

                Eravamo soltanto al quarto giorno della sua malattia, quando il medico cominciò a temere della vita dei nostro Francesco. Per cominciare a parlargli di quell'ultimo momento D. Bosco gli disse:

                 - Mio caro Besucco, ti piacerebbe di andare in Paradiso? [591] Si immagini se non mi piacerebbe di andare in Paradiso. Ma bisogna guadagnarlo.

                 - Supponi che si tratti di scegliere tra guarire o andare in Paradiso, che sceglieresti?

                 - Son due cose distinte, vivere pel Signore o morire per andate col Signore. La prima mi piace, ma assai più la seconda. Ma chi mi assicura il Paradiso dopo tanti peccati che ho fatto?

                 - Facendoti tale proposta io suppongo che tu sii sicuro di andare al Paradiso, del resto se trattasi di andare altrove, io non voglio che per ora tu ci abbandoni.

                 - Come mai potrò meritarmi il Paradiso?

                 - Ti meriterai il Paradiso pei meriti della passione e della morte di nostro Signore Gesù Cristo.

                 - Ci andrò dunque in Paradiso ?

                 - Ma sicuro e certamente, ben inteso quando al Signore piacerà.

                Allora egli diede uno sguardo a quelli che erano presenti, di poi fregandosi le mani disse con gioia: - Il contratto è fatto: il Paradiso e non altro; al Paradiso e non altrove. Non mi si parli più d'altro che del Paradiso.

                D. Bosco continuò allora: - Sono contento, che tu manifesti questo vivo desiderio pel Paradiso, ma voglio che sii pronto a fare la santa volontà del Signore ......

                Egli interruppe quel discorso, dicendo: - Sì, sì, la santa volontà di Dio sia fatta in ogni cosa in cielo ed in terra......

                Nella sera del quinto giorno, scrisse D. Bosco, “gli si domandò se aveva qualche cosa da raccomandare a qualcheduno. - Oh sì, dicevami; dica a tutti che preghino per me affinchè sia breve il mio purgatorio.

                - Che vuoi ch'io dica a' tuoi compagni da parte tua?

                - Dica loro che fuggano lo scandalo, che procurino di far sempre delle buone confessioni.

                - E ai chierici?

                - Dica ai chierici, che diano buono esempio ai giovani,  [592] e che si adoprino sempre per dar loro (lei buoni avvisi, e dei buoni consigli ogni qual volta sarà occasione.

                - E, a tuoi superiori?

                - Dica a' miei superiori che io li ringrazio tutti della carità che mi hanno usata; che continuino a lavorare per guadagnare molte anime; e quando io sarò in Paradiso pregherò per loro il Signore.

                - E a me che cosa dici?

                A questo parole egli si mostrò commosso e dando uno sguardo fisso: - A Lei chiedo, ripigliò, che mi aiuti a salvarmi l'anima. Da molto tempo prego il Signore che mi faccia morire nelle sue mani: mi raccomando che compia l'opera di carità, e mi assista fino agli ultimi momenti della mia vita.

                Io lo assicurai di non abbandonarlo, sia che egli guarisse, sia che egli stesse ammalato, ed assai più ancora qualora si fosse trovato in punto di morte. Dopo prese un'aria molto allegra, nè ad altro badò più che a prepararsi a ricevere il SS. Viatico”.

                Fatta la comunione si mise a pregare per far il ringraziamento. Richiesto se aveva bisogno di qualche cosa, nulla più rispondeva, che: Preghiamo. Dopo un considerevole ringraziamento chiamò gli astanti a sè e loro si raccomandò di non parlargli più di altro che di Paradiso.

                “Qualche tempo dopo vedendolo tranquillo il richiesi, continua D. Bosco, se aveva qualche commissione da lasciarmi pel suo Arciprete. A questa parola si mostrò turbato. - Il mio Arciprete, rispose, mi ha fatto molto bene; egli ha fatto quanto ha potuto per salvarmi; gli faccia sapere che io non ho mai dimenticato i suoi avvisi. Io non avrò più la consolazione di vederlo in questo mondo, ma spero di andar in Paradiso e di pregare la SS. Vergine, affinchè lo aiuti a conservare buoni tutti i miei compagni e così un giorno io lo possa vedere con tutti i suoi parrocchiani in Paradiso. - Ciò dicendo la commozione gli interruppe il discorso. [593] Dopo alquanto di riposo gli dimandai se non desiderava di vedere i suoi parenti. - Io non li posso più vedere, rispondeva, perchè essi sono molto distanti, sono poveri e non possono fare la spesa del viaggio. Mio padre poi è lontano da casa lavorando nel suo mestiere. Faccia loro sapere, che io muoio rassegnato, allegro e contento. Preghino essi per me, io spero di andarmene in Paradiso; di là li attendo tutti ......

                A mia madre  - e sospese il suo discorso.

                Qualche ora dopo gli dissi: - Avresti forse qualche commissione per tua madre?

                - Dica a mia madre che la sua preghiera fu ascoltata da Dio. Ella mi disse più volte: Caro Franceschino, io desidero che tu viva lungo tempo in questo mondo, ma desidero che tu muoia mille volte piuttosto di vederti divenuto nemico di Dio col peccato. Io spero che i miei peccati saranno stati perdonati, e spero di essere amico di Dio e di poter presto andarlo a godere in eterno. O mio Dio, benedite mia madre, datele coraggio a sopportare con rassegnazione la notizia di mia morte; fate che io la possa vedere con tutta la famiglia in Paradiso a godere la vostra gloria.

                Egli voleva ancora parlare ma io l'ho obbligato a tacere per riposare alquanto. La sera del giorno otto aggravandosi ognora il suo male fu deciso di amministrargli l'Olio Santo. Richiesto se desiderava di ricevere questo Sacramento: - sì, rispose, io lo desidero con tutto il mio cuore.

                - Non hai forse alcuna cosa che ti faccia pena sulla coscienza?

                - Ah! sì, ho una cosa che mi fa molto pena e mi rimorde assai la coscienza!

                - Qual'è mai questa cosa? Desideri di dirla in confessione o altrimenti?

                - Ho una cosa cui ho sempre pensato in mia vita; ma non mi sarei immaginato che dovesse cagionare tanto rincrescimento al punto di morte. [594]

                - Qual'é mai dunque la cosa che ti cagiona questa pena e tanto rincrescimento?

                - Io provo il più amaro rincrescimento perchè in vita mia non ho amato abbastanza il Signore come Egli si merita.

                - Datti pace a questo riguardo, poichè in questo mondo non potremo giammai amare il Signore come si merita. Qui bisogna che facciamo quanto possiamo; ma il luogo dove lo ameremo come dobbiamo è l'altra vita, è il Paradiso. La lo vedremo come Egli è in se stesso, là conosceremo e gusteremo la sua bontà, la sua gloria, il suo amore. Tu fortunato che ira breve avrai questa ineffabile ventura! Ora preparati a ricevere l'Olio Santo che è quel Sacramento che scancella le reliquie dei peccati e ci dà anche la sanità corporale se è bene per la salute dell'anima”.

                Ricevendo l'estrema unzione, volle egli stesso recitare il Confiteor colle altre preghiere che riguardano questo Sacramento, facendo speciale giaculatoria all'unzione di ciascun senso. Infine apparve così stanco, ed i polsi erano così sfiniti, che si temette che rendesse l'ultimo respiro. Poco dopo si riebbe alquanto e in presenza di molti indirizzò queste parole a D. Bosco: “Io ho pregato molto la Beata Vergine che mi facesse morire in un giorno a lei dedicato, e spero che sarò esaudito”.

                Il nove gennaio giorno di sabato fu l'ultimo del caro Besucco. Egli conservò il perfetto uso de' sensi e della ragione in tutta la giornata.

                Circa alle dieci e mezzo di sera pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita; quando egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto. D. Bosco gli prese le mani e le raggiunse insieme affinchè di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e le levò di nuovo in alto con aria ridente, tenendo gli occhi fissi come chi rimira qualche oggetto di somma consolazione. Pensando che forse volesse il crocifisso, D. Bosco glielo pose nelle mani; ma egli lo prese, lo baciò, e lo ripose sul [595] letto, rialzando tosto con impeto di gioia in alto le braccia. In quell'istante la faccia di lui appariva vegeta e rubiconda più che non era nello stato regolare di sua sanità. Gli balenava sul volto una bellezza e un tale splendore che fece scomparire i lumi dell'infermeria.

                Tutti gli astanti che erano in numero di dieci, rimasero non solo spaventati ma sbalorditi, attoniti; e in profondo silenzio tenevano tutti gli sguardi rivolti alla faccia di Besucco.

                Ma crebbe in tutti la meraviglia quando l'infermo elevando alquanto il capo e protendendo le mani quanto poteva, come chi stringe la mano a persona amata, cominciò con voce giuliva e sonora a cantare: Lodate Maria - O lingue fedeli.

                Dopo faceva varii sforzi per sollevare più in alto la persona che di fatto si andava elevando, mentre egli con le mani giunte in forma divota, si pose di nuovo a cantare: O Gesù d'amore acceso - Non vi avessi mai offeso. - L'infermo sembrava divenuto un angiolo cogli Angioli del Paradiso.

                Per rompere lo stupore dei presenti D. Bosco disse: - Io credo che in questo momento il nostro Besucco riceva qualche grazia straordinaria dal Signore o dalla sua celeste Madre, di cui fu tanto divoto in vita. Forse ella venne ad invitare l'anima di lui per condursela seco in cielo.

                Besucco continuò il suo canto, ma le sue parole erano tronche e interrotte, quasi di chi risponde ad amorevoli interrogazioni. Indi si lasciò cadere lentamente sul letto. Cessò la luce meravigliosa, il suo volto ritornò come prima; riapparvero gli altri lumi e l'infermo non dava più segno di vita. Ma accorgendosi che non si pregava più, nè gli si suggerivano più giaculatorie, tosto si voltò a D. Bosco dicendogli: - Mi aiuti; preghiamo.

                Erano le undici quando egli voleva parlare, ma non potendo più disse solo questa parola: Il Crocifisso. Con questa parola egli chiamava la benedizione del Crocifisso con l'indulgenza plenaria in articolo di morte, grazia da lui molte volte richiesta. [596] Datagli questa ultima benedizione, D. Alasonatti si pose a leggere il Proficiscere, mentre gli altri pregavano ginocchioni. Alle undici e un quarto Besucco, fissando D. Bosco collo sguardo, si sforzò di fare un sorriso in forma di saluto, di poi alzò gli occhi al cielo indicando che egli se ne partiva. Pochi istanti dopo l'anima sua lasciava il corpo e se ne volava gloriosa, come fondatamente speriamo, a godere la gloria celeste.

                Non si può esprimere il dolore e il rincrescimento cagionato a tutta la casa dalla perdita di così caro compagno. Furono fatte in quel momento molte preghiere intorno al suo medesimo letto. Spuntando il giorno tutti i giovani si radunarono in chiesa a fine di pregare in suffragio dell'anima di lui. Era Domenica e tutte le comunioni, il rosario, la messa, le pratiche di pietà, che avean luogo nel giorno festivo, furono indirizzate a Dio per il riposo eterno del buon Francesco.

                I condiscepoli nelle ore di ricreazione salivano a vedere quella salma e tutti dicevano parer ad essi di vedere un angelo del cielo. Quella fisonomia era divenuta così avvenente e il volto così rubicondo che non pareva morto. Tutti andavano a gara nel cercar qualche oggetto che gli fosse appartenuto per conservarlo come preziosa reliquia.

                D. Bosco alla sera tenne parola sulle virtù di Besucco e versando assai lagrime narrò quali fossero state le sue ultime parole: - Io muoio col rincrescimento di non aver amato Dio come si meritava. È  impossibile dire l'effetto che produssero queste parole nei giovani.

                “Ritiratisi i giovani nelle loro camerate, dice la cronaca, , si tenne la conferenza generale dei membri della Società di S. Francesco di Sales. D. Bosco lesse un articolo sullo scopo della Società, e quindi parlò assai bene del vincolo della carità che deve unire i confratelli. Portò il paragone del carro di Ezechia tirato da un'aquila e da un bue accoppiati insieme; deducendone che colui il quale ha un temperamento assai focoso e vorrebbe volare, si fermi un poco ed aiuti il compagno,  [597] troppo flemmatico e tardo a tirare il carro; mentre chi ha temperamento freddo e lento si scuota un poco ed anche si sforzi ad un qualche slancio maggiore. L'uno sopporti e aiuti l'altro. Parlò eziandio della carità che debbono usare coloro che comandano e coloro che obbediscono, gli uni rispetto agli altri “.

                “Il lunedì, II gennaio, fu cantata la messa per Besucco da suoi compagni e molti fecero per lui la S. Comunione. Terminata la funebre funzione fu dai condiscepoli accompagnato il feretro alla parrocchia e quindi al campo santo. La fossa che ricevette la cara salma, era segnata col numero 147 nella fila quadrata a ponente.

                Ritornati a casa dal pietoso ufficio, D. Bosco disse privatamente ad alcuni, che di questo mese sarebbe morto un artigiano e fra tre mesi due altri giovani dell'Oratorio”.

 

 

CAPO LIX. D. Bosco continua a lavorare nonostante le sue infermità parlate di D. Bosco alla sera: un alunno andrà in Paradiso prima del termine del carnovale: un poltrone che invidia la sorte di animali al pascolo: conseguenze funeste dei piccoli difetti: il precetto della carità vicendevole: imitare le api per farci dei meriti - Cuore di D. Bosco - Non si permette nessun riguardo nel cibo e riconosce i bisogni degli altri D. Bosco infermo per nutrimento indigesto - Il R. Provveditore di Alessandria muove opposizione al collegio di Mirabello - D. Rua chiede consiglio a D. Bosco e sua risposta per mezzo di D. Ruffino - Altra lettera di D. Bosco a D. Rua: spera di venire a Mirabello prima della metà di quaresima.

 

                DON Bosco era stanco oltre ogni dire: emetteva sangue dalla bocca e con difficoltà digeriva il cibo.

                Tuttavia, sempre ilare, non abbandonava il tribunale di penitenza, sempre più affollato per le sue predizioni; e alla sera continuava a far sentire i suoi paterni ammonimenti.

                “Il giorno II di Gennaio, narra la cronaca, dopo la sepoltura di Besucco, D. Bosco parlò ai giovani dopo le orazioni e disse:

                 - Besucco ha portato via tutto quel poco di bene che avevamo radunato: ora dobbiamo preparare qualche cosa per altri.

                Dunque, voi direte, vi è qualchedun'altro che dovrà morire;

                Sì, vi è un altro che vuole andare a terminare il Carnevale in paradiso. Ad alcuni rincresce che io dica queste cose e vorrebbero [599], per es., che io le dicessi solo a colui cui tocca partire: così quel tale si preparerebbe e gli altri starebbero tranquilli. Ma no! Io non farei il mio dovere se non vi dicessi queste cose. Alcune volte io so che alcuno deve morire e non so chi sia: altre volte so chi è e non conviene dirlo”.

                Altri discorsi tenne D. Bosco in questo mese ai giovani e la cronaca ce ne conservò alcuni, ma senza indicazione di giorno.

 

I.

 

                In Torino vi era un maestro che aveva alcuni giovani da educare. Un giorno li conduceva a passeggio e per la strada si incontrarono in certi animali che erano spinti da un mandriano, al pascolo. Un di quei giovani guardò con occhio attento quegli animali e poi disse ai compagni: - Almeno questi animali non sono obbligati ad andar sempre a scuola, a far tutti i giorni il loro lavoro, a studiar la loro lezione. Guai se noi non compissimo il nostro dovere! Oli la scuola è una gran seccatura: - e continuava le sue lamentazioni quasi che la sorte di quelle bestie fosse migliore della sua. Costui che parlava in questo modo è ancor vivo, è uomo fatto, ebbe una carica in Torino, ma solamente perchè è ricco; del resto la sua carica gli fa spesso fare dei marroni così grossi da dover arrossire di se stesso, dando argomento da ridere agli altri.

                Volli raccontarvi questo aneddoto per far ridere anche voi e per farvi vedere a che punto conduce un giovane la ripugnanza di assoggettarsi ad un po' di disciplina, che pure lo aiuta a farsi un corredo di quelle cognizioni, che gli sono necessarie per adempiere i proprii ufficii in quello stato cui il Signore lo destina. Ma intanto io vi domando; le parole dette da quello spensierato non starebbero forse bene anche in bocca di qualcuno dei nostri giovani? Cioè: chi sa se fra i nostri giovani ce ne sarà qualcuno che si assoggetti mal volentieri alla disciplina, che stia nell'Oratorio di inala voglia? Spero di no: so che tutti voi siete amanti dell'ordine e del vostro dovere. Ma se ci fosse, costui si meriterebbe davvero di essere condotto al pascolo, invece di andare a scuola. Impiegate adunque bene il vostro tempo che così in punto di morte avrete una gran consolazione e mentre vivrete potrete sempre portare la fronte alta ed essere onorati in società. Date gloria a Dio colla vostra condotta, consolazione ai vostri parenti e ai vostri Superiori. Altrimenti un giovane poltrone, indisciplinato, sarà un giovane disgraziato, sarà un giovane di peso ai suoi genitori, di peso ai suoi Superiori, sarà di peso a se stesso. [600]

 

II.

 

                Ho bisogno da voi che mi diate una licenza, ma bisogna che me la diate tutti dal primo all'ultimo; cioè che mi permettiate di farvi il parrucchiere e tagliarvi i capelli a tutti il parrucchiere non è abbastanza abile, bisogna che ve li tagli io. Se non facessi così vi verrebbero tanto lunghi da non potersi più tagliare, perchè uniti insieme formerebbero una corda coi la quale qualcheduno potrebbe tirarvi in qualche precipizio. Vi ricordate che si legge nella storia come avendo i Romani tolte le armi ai Cartaginesi, costoro non avendo corde da mettere agli archi tagliarono i capelli alle loro donne, che li avevano lunghissimi, e intrecciatili ne fecero delle corde. Ora io non voglio che i vostri capelli diventino delle corde. Voi mi domanderete: - Che cosa vuol dire ciò ? - Ecco! S. Teresa dice che anche l'anima ha i suoi capelli, i quali se si lasciano crescere diventeranno corde. Questi capelli dell'anima sono i difetti che ciascuno ha. Sono piccoli da principio, sottili come un capello, ma se non si tagliano quando incominciano a manifestarsi, diverranno in breve così grossi, così lunghi che il demonio ne farà delle corde per tirarvi alla rovina. Questi difetti, questi vizii adesso si possono facilmente tagliare, ma andando avanti diventano abito, mettono profonde radici, diventano corde e come si fa a tagliare le corde con un paio di forbici? Per es.: Ad uno salta la voglia di fumare e fuma nascostamente. È  un piccolo capello che cresce. Se mi ascolta, se si persuade che è cosa dannosa, se lascia questo capriccio, ecco il capello tagliato. Se invece vuol continuare, si sottrae alla vista dei Superiori, si nasconde in luogo appartato, si assuefà ai sotterfugi, viene il giorno che incontra qualche diavolo, ed ecco la corda che lo trae in perdizione; senza contare il danno che può riceverne la sanità. Un altro ama i liquori, cerca di averne provvista nel baule, di quando in quando ne beve un bicchierino. Ecco il capello. Se si lascia guidare da chi gli vuole bene, capirà che con ciò s'infiamma il sangue, e che non sono convenienti simili bibite ad un giovanetto bene educato, ed ecco il capello tagliato. Se invece vuol continuare a dispetto degli avvisi, farà disordini, il sangue si accende, talora sarà mezzo brillo, le tentazioni assaltano, si cede ed ecco la corda. Vi è un tale che quando può avere roba da mangiare, salame, frutta, formaggio, è felice; mangia a tutte le ore: procura di aver sempre la provvista abbondante: se non ne ha, scrive ai parenti che gliene mandino. Ecco il capello. Se obbedisce al superiore che gli dice di mangiare a pasto con certa misura, non fa indigestione, non fa malattie; ma se si lascia vincere dall'appetito, collo stomaco pieno non può più studiare; a poco a poco abborre dall'applicarsi perchè ciò gli fa male, si dà alla poltroneria, l'ozio è il padre di tutti i vizii, ed ecco la corda. Vi sarà un giovane [601] il quale talora ha un po' di rispetto umano nello star composto in Chiesa, nel farsi bene il segno della croce, nell'andare con certa frequenza ai Sacramenti. Poveretto, se non cambi, sappi in primo luogo che Dio conosce l'interno dell'animo tuo e poi questo rispetto umano ti farà trasgredire l'obbligo della messa, del far vigilia, quando sarai fuori dell'Oratorio; ed ecco la corda e che corda! E così andate avanti discorrendo. Si incomincia dal poco e si va al molto. Si incomincia dalla bugia e si finisce col calunniare i compagni quando non si sa come scusarsi. Il capello della disobbedienza finisce colle corde di certi discorsi. Insomma aiutatemi a correggervi delle mancanze leggiere colla vostra buona volontà. Lasciatemi tagliare questi piccoli capelli e il demonio non riuscirà ad afferrarvi e a strascinarvi.

 

III.

 

                Stassera vi dirò una sola parola e poi vi lascio in libertà. Ricordatevi dell'avviso che dava S. Giovanni Evangelista ai suoi discepoli: Diligite alterutrum. Questo amore non è semplice consiglio; è un comando, e perciò, pecca chi non l'osserva. Quindi mai ci siano fra voi parole ingiuriose, risse, invidie, vendette scherni, malignità. Fatevi del bene l'un l'altro e sarà prova che vi amate tutti a vicenda come fratelli.

                Oh! che bel Paradiso terrestre sarebbe questa nostra casa, quanti atti virtuosi si ammirerebbero dagli angioli, quante benedizioni di più il Signore invierebbe sui nostri capi, quale sarebbe la consolazione di Maria SS. se tutti ci mettessimo d'impegno nel compatirci aiutarci, sopportare, perdonare perchè trionfasse sempre la carità. Oh! se ciascuno si mettesse ad imitare Magone e Besucco, nel cercare di accrescere negli altri l'amore di Dio e allontanare gli incauti dal peccato. Tutti possono impedire i cattivi discorsi di un compagno, come ha fatto Savio; tutti possono colle belle maniere calmare gli animi caldi di chi volesse attaccar briglie o già avesse incominciata una rissa. Perchè non farvi amici con qualcuno dei più dissipati per condurli a confessarsi, invitarli a fare qualche visita a Gesù in Sacramento? Questa carità era quella che rendeva più amabili Savio e Besucco. Adocchiati certi compagni, dei quali desideravano trarre le anime al Signore, ora li vedete spiegar loro con ogni pazienza le difficoltà non capite nella scuola; ora ceder loro le proprie mitene vedendo che noi, potevano scrivere pel freddo alle dita; ora in ricreazione mettere sulle spalle ad un compagno leggermente vestito il proprio mantello; ora regalare a chi mangiava pane asciutto, una mela, qualche noce. Sono cose, si dirà, che costano poco, e paiono eziandio cose da niente, eppure con queste impedivano alterchi, erano ricevuti con amore i loro buoni consigli, cessavano le mormorazioni, si prendevano in buona parte gli [602] avvisi di chi chiedeva ad essi l'osservanza della regola. Erano cose da niente, ma più di un giovane per mezzo di queste si salverà, che altrimenti sarebbesi perduto. Sono cose da niente, ma oh! quanto rivelano un'anima gentile, un'anima bella, un'anima santa! Se tutti imitassero Savio e Besucco che bel paradiso sarebbe l'Oratorio. Allora io son sicuro, che riuscirci a farvi tutti santi ed è questo l'unico mio desiderio.

 

IV.

 

                Desidero che impariate a far il miele come lo fanno le api. Sapete come fanno le api a produrre il miele? Con due cose principalmente. I° Non lo fanno ciascuna da sola, ma sono sotto la direzione di una, regina che obbediscono in ogni circostanza; e poi sono tutte insieme e si aiutano a vicenda. 2° La seconda cosa si è che vanno raccogliendo qua e là i succhi dei fiori: ma notate; non raccolgono già tutto quello che trovano, un ora vanno su di un fiore, ora si posano sii di un altro e da ciascheduno pigliano solamente ciò che serve a fare il miele.

                Veniamo all’applicazione. Il miele figura tutto il bene che fate voi colla pietà, collo studio, e coll'allegria, perchè queste tre case vi daranno tante consolazioni, dolci come il miele. Dovete imitare però le api. Primo nell'obbedire alla Regina, cioè alla regola ed ai Superiori.

                Senza obbedienza viene il disordine, il malcontento e si fa più nulla che giovi. Secondariamente, l'essere molti insieme serve molto a far questo miele di allegrezza, pietà e studio. È  questo il vantaggio che reca a voi il trovarvi nell'Oratorio. L'essere molti insieme accresce l'allegria delle vostre ricreazioni, toglie la melanconia quando questa brutta maga volesse entrarvi nel cuore; l'essere molti serve di incoraggiamento a sopportare le fatiche dello studio, serve di stimolo nel vedere il profitto degli altri; uno comunica all'altro le proprie cognizioni, le proprie idee e così uno impara dall'altro. L'essere fra molti che fanno il bene ci anima senza avvedercene. Dovete pure imitare le api nell'andare a raccogliere solo ciò che è buono e non ciò che è cattivo. Ciascheduno osservi nella condotta dei suoi compagni ciò che vi ha di meglio, e poi procuri di imitarli. Da uno si imparerà ad essere umile e a non parlare tanto di se stesso. Si vede un altro che è tra i primi della scuola e da lui s'impari ad adempiere esattamente i proprii doveri. Vedo un compagno che è divoto, raccolto in Chiesa ed io seguo quel buon esempio. Così nell'uno splenderà l'amorevolezza, nell'altro un po' di mortificazione, in questo una gran riservatezza nel parlare, in quello un candore che non cela mai la verità; e andate via discorrendo. Or bene, ciascheduno dica risolutamente: Voglio far mia quella virtù.

                Si raccoglie anche il miele in un altro modo. Fate un piccolo quadernetto per registrarvi i vostri segreti. Qui notate gli avvisi che [603] vi dà il Direttore e il professore, ciò che vi fece più impressione nelle prediche: notate quei fatti più facili ad imitare, quelle massime più necessarie a praticarsi che avete trovate nei libri che si leggono o nello studio, o a tavola, o in camerata, o in Chiesa. A questo modo non tarderete molto a farvi ricchi di miele, cioè di buone cognizioni, di buone opere, e di santa allegria prodotta dalla pace del cuore.

                Queste parole uscivano da un cuore pieno di una tenerezza indescrivibile per quelli che la Divina Provvidenza aveagli affidati. Avremmo esempi senza numero, ma ne richiamiamo uno solo perchè ce lo presenta l'ordine della Cronaca di D. Ruffino.

                “D. Bosco mi diede cinquanta franchi per i miei parenti, mentre io gli consegnava il semestre del patrimonio ecclesiastico e promise di darmeli ogni volta che facessi questa riscossione. Io non gli aveva domandata alcuna cosa. Mi interrogò un giorno sullo stato di mia famiglia e senti che era alquanto in bisogno”.

                Caro D. Bosco! Tanta attenzione per gli altri e nessun riguardo per sè! Egli voleva sempre a mensa il vitto della comunità, non permettendo che si apprestasse per lui qualche cibo più leggero.

                “Eppure, narra il Can. Anfossi, D. Bosco usava riguardi amorevoli per gli altri. Quando io attendeva all'insegnamento nell'Oratorio e nello stesso tempo frequentava l'Università, ritornava a mezzo giorno alquanto affaticato e non poteva indurmi a mangiare la polenta di meliga, che certe volte era apprestata come minestra. D. Bosco, il quale non era meno affaticato di me, si stava mangiando lo stesso cibo e vedendo che io indugiava nel portare il cucchiaio alla bocca, dava ordine al chierico che serviva di portarmi brodo o minestra.

           Gli altri professori fecero rimostranze per lo stesso motivo, e D. Bosco, riconoscendo il loro bisogno, fece dire al cuciniere che a loro richiesta desse del brodo; ma solo ad essi affinchè non ne venissero abusi. [604]

                Egli intanto cadeva ammalato e dovette tenere il letto per aver mangiato di quella polenta. Con tutto ciò non cangiava sistema”.

                Coll'infermità, nuove contraddizioni e quindi nuovi affari sopraggiunsero. Il piccolo Seminario di Mirabello, come dipendenza dall'Autorità ecclesiastica di Casale, riconosciuto e approvato da Mons. di Calabiana, non aveva chiesta l'autorizzazione dal Regio Provveditore degli studi di Alessandria, nè gli aveva data notizia della sua apertura. Il Governo nei piccoli seminari lasciava liberi i Vescovi nella disciplina e nel dare agli alunni quell'istruzione che avessero creduta conveniente allo scopo delle vocazioni ecclesiastiche, e non esigeva diplomi per gli insegnanti. Si riserbava solamente di ordinare ispezioni sia per l'igiene, sia per accertare, che fossero rispettate le istituzioni patrie. Ora il Regio Provveditore, l'avv. Cav. Damasio Ambrogio, avendo incontrato a S. Salvatore una camerata di alunni, e chiesto a quale Istituto appartenesse, venne a conoscere l'esistenza della casa di Mirabello. Chiese tosto per lettera spiegazioni a D. Rua, che ne scrisse a D. Bosco. D. Ruffino ebbe l'incarico di rispondere.

 

Torino, 16 Gennaio 1864.

 

                               Carissimo Confratello,

 

                D. Bosco non può risponderti per quello di cui gli scrivesti, perchè tiene il letto da tre giorni. La cagione di questo male fu un'indigestione; ma ora sta meglio e credo che domani si leverà.

                Egli intanto è di parere, che per l'affare del Provveditore  Mons. Vescovo di Casale scrivesse egli stesso a questo Provveditore e gli dicesse che se si tollerano i seminarii aperti da lungo tempo, vuole dire che non c'è legge in contrario. Ad ogni modo se il Sig. Provveditore crede che un Vescovo non possa aprire un piccolo seminario, favorisca di dirglielo, ed allora egli si indirizzerà all'Autorità Superiore, affinchè gli sia concesso per favore, quanto gli vien negato a titolo di legge. Ed in tal caso tu prega il Sig. Provveditore ad usare espressioni benevoli, qualora venisse richiesto di schiarimenti analoghi.

                D. Bosco, siccome si trova in speciali relazioni coll'Ispettore d'Alessandria [605], gli scrisse una lettera relativamente alle scuole elementari, ed intanto lo pregò d'investigare l'ultima volontà del Provveditore. Questa lettera la scrisse mercoledì scorso, ed attende a giorni una risposta. Appena poi potrà, scriverà anche una lettera Monsignor Vescovo di Casale.

                Abbiamo avuto in questi giorni la morte del giovane Besucco Francesco. Le circostanze di essa furono così preziose al cospetto dei Signore, che D. Bosco giudica bene scriverne la biografia.

                Il Chierico Do sta molto male; ha già ricevuto i SS. Sacramenti, anche l'olio santo, e forse i suoi giorni non saranno più molti ... .

 

D. RUFFINO DOMENICO.

 

                Il Provveditore però giudicava diversamente e non voleva riconoscere nel Collegio di Mirabello il carattere di piccolo seminario. D. Rua ebbe molti fastidi per ribattere le sue contestazioni, ma non moveva passo senza aver prima consultato D. Bosco, del quale noi abbiamo la seguente lettera:

 

                               Caro D. Rua,

 

                Va bene che tu vada col Conte Radicati dal Provveditore. Il tenore dei tuo discorso sarà che ti rincresce dei disturbo datogli, e lo ringrazi della cortesia usata, che Monsignore conta il piccolo Seminario di Mirabello, come una continuazione di quello stato chiuso o meglio occupato per uso militare in Casale. Che questo Seminario di Mirabello incontrava molte difficoltà; ma la beneficenza venne in aiuto; Monsignore chiese a D. Bosco in Torino il personale, che gli fu somministrato e provveduto gratuitamente, e gratuitamente si occupa tuttora.

                Il resto te lo dirà il Signore. Ho parlato ad A.... e credo farà meglio il suo dovere. Hai fatto bene come ti sei regolato coi medesimo.

                A D. Crova ho già scritto io in proposito.

                Nella prima metà di quaresima spero di poter fare una gita costì, ma di ai tuoi giovani che io voglio che stiano molto allegri in quel giorno.

                Dio benedica te, il prefetto, i maestri, gli assistenti e tutti i giovani. Amen.

 

                Torino, 5 Febbraio 1864.

 

Tuo aff.mo in G. C

Sac. Bosco GIOVANNI. [606]

 

                Finiremo con notare che le lunghe pratiche coll'Autorità scolastica di Alessandria ebbero allora ottimo esito per D. Bosco. Ma pur troppo che più tardi il Provveditore Prof. Gioachino Rho, benchè suo condiscepolo a Chieri, non volle riconoscere in quel collegio la qualità di piccolo Seminario e lo costrinse inesorabilmente a provvedersi di Professori con diploma. Altre noie ed altro danno ebbe D. Bosco fin dal principio, anche dall'agente delle tasse che gli impose e mantenne una grave contribuzione di ricchezza mobile sulle esigue pensioni che pagavano gli alunni. Ma torneremo a parlare altrove di queste contrarietà sopportate dal Servo di Dio.

 

 

CAPO LX. Morte della Marchesa di Barolo - Sua carità per D. Bosco ne' principii dell'Oratorio - Gratitudine di D. Bosco e sua continua benevolenza Per gli Istituti fondati dalla Marchesa - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti: lo prega della vendita di una striscia di terreno del Seminario per la sua Chiesa e insisto per avere la commendatizia del Vicario Capitolare - La benedizione del Papa - D. Bosco in cerca dei sussidii per edificare il santuario a M. A. - Largizione del re sul tesoro Mauriziano - Motivo pel quale il Municipio di Torino non può concorrere - Proposta generosa del Cani Gastaldi - Ricorso alla Direzione delle ferrovie per ottenere il trasporto gratuito delle pietre - D. Bosco confida all'infermiere il nome de' due artigiani che morranno prima di Pasqua - Un giovane muore prima del Carnevale siccome era stato predetto Orario della casa nei primi giorni di febbraio - Parlata: modo di santificare il Carnevale: due giovani vogliono andare in paradiso prima di Pasqua - Ottimi esami dei chierici in Seminario - Un dramma: S. Eustachio - Elenco degli invitandi al teatro - Il Carnevale - Il catechismo della Quaresima.

 

                ERANO giorni di lutto. Il 19 gennaio la Marchesa 19 Giulietta di Barolo moriva nel suo palazzo in Torino fra il compianto di tutta la città da lei in tanti modi beneficata. Le sue ultime parole furono le seguenti: - Sia fatta la volontà di Dio in me e per me, nel tempo e nell'eternità. [608]

                Era stata la prima benefattrice di D. Bosco. Una lettera di Silvio Pellico, che ultimamente ci fu consegnata, dimostra la premura che la Marchesa aveva per lui ne' primi tempi della sua dimora al Rifugio.[49]

                Le cordiali attinenze fra la Marchesa e D. Bosco erano svanite per le cause che abbiamo esposte nei precedenti volumi; da più anni non si erano incontrati, nè l'Oratorio aveva ricevuti più soccorsi dall'illustre matrona, che però aveva impiegato tutto il suo colossale patrimonio nella fondazione di opere caritatevoli.

                Tuttavia D. Bosco le si mostrò riconoscente, e i suoi giovani andarono al Refugio nel giorno della trigesima e cantarono la messa funebre di D. Cagliero. Nello stesso tempo [609] prima di questa morte e poi fino al termine della sua vita egli continuò a dar prove di benevolenza alle suore degli Istituti della Marchesa. Per ora basti il seguente foglio indirizzato a D. Bosco.

 

                               Molto Reverendo Padre,

 

                La bontà singolare colla quale V. R. mi favorì nell'accettare il mio vecchio padre nel suo Oratorio fu la cagione della sua salvezza. Fece anche il possibile pel mio fratello onde metterlo sulla strada del Cielo, ma sino ad ora egli non ha corrisposto e lo raccomando perciò alle sue sante orazioni. Le sono anche riconoscente della carità colla quale m'insegnò l'Aritmetica. Tutti questi favori mi impongono l'obbligo per tutto il corso del viver mio, della più viva riconoscenza, della quale io possa essere capace.

                Ora avrei bisogno di una doppia grazia cioè spirituale e temporale perciò imploro una delle, sue Ave Maria. Di più noi abbiamo il bene di avere un'ottima Madre Superiora che noi amiamo teneramente e alla quale desideriamo ogni felicità. Il di 23 corrente è il giorno suo onomastico: fosse un po' vero che la Madre Emanuella avesse la fortuna che ebbe la Madre Eulalia! Che cioè V. P. Rev.ma abbellisse la festa con qualche parola in comune, e poi anche un piccolo quarto d'ora riserbasse per udire la nostra buona Madre che certamente avrà più cose a dirle. Ma nel caso che non abbia tempo pel giorno 23, sia certa V. R. che sarà ancora in tempo se, può disporre di qualche minuto nel giorno di Natale.

                La supplico faccia il possibile; si tratta di consolare una comunità e di liberare la Superiora da un vizio capitale (invidia, ma santa). Termino con presentarle i miei cordialissimi augurii di buone feste Natalizie, buon fine ed ottimo principio di anno. Si degni impartirmi la sua paterna benedizione, perchè riesca nel mio impiego di Maestra delle Maddalenine, a gloria di Dio, a vantaggio dei prossimo ed a salute dell'anima mia. Baciandole rispettosamente la mano mi professo colla massima venerazione.

                Di vostra Paternità Rev.ma

 

                Torino, 16 Dicembre 1864.

Umil.ma figlia e serva in C.

Suor MADDALENA TERESA,

 

                Era stata consegnata a D. Bosco la Commendatizia del Vescovo di Susa il giorno 19 gennaio, ma l'aspettata con vivo [610] desiderio era quella del Vicario Capitolare di Torino. Questi si trovava ad aver dinnanzi un problema da sciogliere che doveva interessare grandemente tutta la diocesi, per tante ragioni facili ad intendersi. Noti dobbiamo omettere che qualche rispettabile ecclesiastico suo consigliere non vedeva di buon occhio la Pia Società. Pertanto D. Bosco che aveva già pregato il Can. Vogliotti a fargli cedere, mediante equo compenso, una striscia di prato in Valdocco, appartenente al Seminario, gli scriveva in questi termini:

 

                               Ill.mo e M. Rev.do Signore,

 

                Fra tanti che continuamente La disturbano annoveri anche me ed abbia pazienza. Se può condurre le trattative del terreno che occorre ancora, per l'area della desiderata chiesa, a qualche buon termine, mi fa molto piacere e mi raccomando.

                Mi raccomando pure per la nota commendatizia per la povera nostra Società; perchè io temo molto che qualche nicchia del Campo Santo venga ad incagliare i miei progetti.

                Compatisca il disturbo e gradisca che Le auguri ogni bene dal Signore e mi professi con pienezza di stima,

                Di V. S. Ill.ma e M.o R.a

 

                Torino, 26 Gennaio 1864.

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                In que' giorni oltre la commendatizia del Vescovo di Susa, gli recava sollievo una lettera di un suo grande amico.

 

                Sia lodato Gesù Cristo nel SS. Sacramento.

 

Roma, 21 Gennaio 1864.

 

                               Molto Rev.do Sig. D. Bosco,

 

                Esco dall'udienza del Santo Padre, il quale sta benissimo e mi trattenne a lungo con molti discorsi. Mi lasciò di scrivere alla S. V., mandandole di cuore la Sua Santa Benedizione da me chiesta pel caro Don Bosco e per tutti i suoi figli spirituali.

                Insieme con questa benedizione Le mando pure cento mila cordialissimi [611] saluti e mi raccomando alle sue preghiere. Se posso qualche cosa mi scriva prima della Quaresima e sarà servito.

                Il Padre Oreglia, nella cui camera scrivo con molta fretta, mi lascia di salutarla insieme col fratello Cavaliere.

                Di cuore tutto suo per Gesù Cristo,

 

Fedelissimo servo

MANACORDA EMILIANO, sacerdote.

 

                Casa Colombo, Via Pane Perna.

 

                La benedizione del Papa, la speranza per la desiderata approvazione della Pia Società, aggiungevano nuova fiamma all'ardore che animavalo per la sua nuova Chiesa. Appena la stagione lo avrebbe permesso si sarebbero ripresi i lavori.

                Fin d'allora si dava attorno per avere i soccorsi necessarii. Ricordava un'antica promessa al Conte Cibrario, il quale rispondevagli:

 

                IL GRAN MAGISTERO

                DELL'ORDINE DEI SANTI MAURIZIO E LAZZARO

 

Torino, il 21 Gennaio 1864.

 

                A seguito di mia proposta e in udienza d'oggi S. M. il Re, Generale Gran Mastro, si è degnata di concedere una largizione straordinaria di L. 250 sul Tesoro Mauriziano, quale concorso dell'Ordine nella costruzione di una nuova Chiesa in Valdocco.

                Mentre mi è grato di avere ad annunziare a V. S. Ill.ma questo nuovo tratto della Reale Munificenza. La prevengo che il relativo mandato di pagamento, spedito in di lei capo, sarà deposto fra pochi giorni presso questa Tesoreria.

                Colgo intanto quest'opportunità per rinnovarle gli atti della mia distinta considerazione.

 

Il Ministro di Stato

Primo Segretario di S. M. Sen. del Regno

CIBRARIO.

 

                D. Bosco aveva anche iterate le sue domande al Municipio di Torino per ottenere il sussidio solito a destinarsi per la costruzione e di una nuova Chiesa parrocchiale. Ma non ebbe risposta favorevole. [612]

 

                CITTÀ DI TORINO

                III ufficio. Protocollo dell'ufficio N. 126.

                Risposta alla lettera del 24 dicembre p. p.

 

Torino, addì 28 Gennaio 1864,

 

                Il Municipio non ha finora preso impegni per concorrere alla costruzione di chiese che non fossero parrocchiali. Nè bastò che i costruttori avessero il disegno o la speranza di ottenere dalla Curia Arcivescovile l'erezione in parrocchia delle loro chiese, per indurre l'Amministrazione Comunale a prestare il suo concorso. Lo stesso sussidio, votato in favore della Chiesa di Vanchiglia, fu preceduto dalla formale assicurazione che quella chiesa sarebbesi eretta in Parrocchia ed il Sig. Curato della SS.ma Annunziata diede ogni guarentigia.

                Il sottoscritto pertanto, non potendo discostarsi dalle deliberazioni prese dal Consiglio, deve con suo rincrescimento dire all'Onorevole Sig. D. Bosco, che allo stato delle cose, non può accogliere con favore la sua domanda.

 

L'Assessore

BARICCO.

 

                Questo non era stato che un tentativo con poca probabilità di riuscita, ma la speranza di D. Bosco si appoggiava sulla carità dei fedeli.

                Fra i primi il Canonico Lorenzo Gastaldi facevagli una generosa proposta.

 

Via Giulio, Torino, 28 Febbraio 1864.

 

                               Molto Rev. Signore e amico mio carissimo,

 

                Ho promesso di dare ad imprestito a V. S. Lire 5000 per 20 anni senza interessi, ad oggetto di erigere una Chiesa pubblica vicino all'Oratorio di S. Francesco di Sales: e manterrò senza dubbio la mia promessa. Ma che direbbe V. S. se io invece le offerissi in proprietà Lire 2000 da pagarsi entro il prossimo giugno, purchè a quel tempo le fondamenta della Chiesa fossero già incominciate? Abbia la bontà di prepararmi una risposta per Venerdì 6 Marzo verso le sette della sera.

                Sempre con tutto il rispetto ed affetto, di V. S. Ill.ma molto reverenda,

 

Dev.mo

Can. LORENZO GASTALDI. [613]

 

                Ma D. Bosco, mentre cercava elemosine, studiava anche il modo di ridurre a meno le spese. Si rivolse pertanto al Commendatore Bona, Direttore generale delle ferrovie, incoraggiato da una promessa che aveva da lui ricevuta. E Commendatore e il Ministero dei Lavori Pubblici continuavano a raccomandare giovanetti[50].

 

                Ricorro a V. S. Chiarissima per un'opera di pubblica beneficenza. Nel popolatissimo quartiere di Valdocco avvi una grande estensione di caseggiati abitati da circa trentamila cittadini, fra cui non vi è Chiesa nè grande nè piccola pel Divin culto.

                Spinto dal bisogno e dal desiderio di provvedere a questa grave deficienza, ho divisato di tentare la costruzione di una Chiesa che possa servire e pei giovani che soglionsi qui radunare nei giorni festivi e pel pubblico che desidera approfittarne. A tale effetto si è già fatto acquisto del terreno e fu già trasmesso agli edili l'analogo disegno.

                Ogni cosa si cominciò e si affidò alla carità cittadina e molti vi hanno già preso parte. Trattandosi ora di dar principio alla costruzione, si fece acquisto di ducentomila miria di pietre in Borgone. Egli è pel trasporto di queste pietre che, eziandio a nome dei cittadini di Valdocco, mi raccomando alla nota bontà di Lei implorando il trasporto gratuito di questi materiali da Borgone a Torino.

                È questa un'opera che riguarda al pubblico vantaggio per cui Ella tanto volentieri ci prende parte. Pertanto pieno di fiducia di essere favorito l'assicuro della gratitudine di tutti i beneficati e specialmente da parte mia, che reputo sempre il massimo degli onori ogni volta che mi è dato di poterle augurare ogni bene dal cielo; e professarmi

                Di V. S. Ill.ma

 

Obbl. Servitore

Il Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

                Le faccende che occupavano D. Bosco per la chiesa non disturbavano l'andamento ordinario, benchè tanto meraviglioso, dell'Oratorio.

                D. Bosco aspettava commendatizie e sussidi, mentre i giovani attendevano l'avveramento delle sue predizioni. Egli l'II gennaio aveva detto che in questo stesso mese sarebbe [614] morto un artigiano e fra tre mesi due altri alunni. In quanto al primo aveva aggiunto che sarebbe andato a terminare il carnevale in paradiso.

                Ora, il 29 gennaio, palesava all'infermiere che assistevalo una circostanza di tempo riguardo ai due altri alunni, della quale abbiamo un prezioso documento in conferma.

 

                Pro memoria. Oratorio di S. Francesco di Sales il 30 gennaio 1864.

 

                Ecco qui sotto vergate le precise parole dettemi dall'Ill.mo e M. Rev.do Sig. D. Bosco, mio padrone e tutore dell'anima mia la sera delli 29 di gennaio, mentre si coricava. - Caro Mancardi! Nota bene: due sono gli artigiani che prima del finire della prossima vegnente quaresima dovranno andare in paradiso. Sono Tarditi e Palo. Sta attento.

 

MANCARDI IGNAZIO

Infermiere.

 

                Questo foglio fu sigillato e consegnato, nello stesso giorno nel quale era stato scritto, nella nostra Prefettura con questo indirizzo:

                Al Chiarissimo Sig. D. Alasonatti, Prefetto. - MANCARDI.

 

                D. Alasonatti Vittorio, ricevuto il plico, avuta confidenzialmente notizia del contenuto, vi scrisse sopra: Predizioni di D. Bosco da aprirsi dopo Pasqua 1864.

                Ma una prima conferma della veridicità di D. Bosco si ebbe in questo stesso giorno. Si legge nelle tavole necrologiche:

                “30 gennaio: Muore all'Ospedale del Cottolengo il giovane Cavaglià Stefano da Santena in età di anni 18”. Il 9 febbraio era l'ultimo giorno di carnevale.

                Ed ora continuiamo a seguire la cronaca di D. Ruffino anche nelle sue minutezze.

                “I  febbraio. - In questa settimana scuole regolari”.

                “2 febbraio. - Purificazione di Maria SS. Benedizione delle Candele”.

                “3 febbraio. - S. Biagio. Benedizione della gola”.

                “4 febbraio. - D. Bosco disse alla sera parlando ai giovani: [615]

                - Voglio che facciamo tre carnovali. Due per noi ed uno per gli altri. Il primo per noi sia del corpo. Voglio che in questi giorni abbiate qualche cosa di più a tavola; ma di ciò lasciamo il pensiero a D. Savio. Il secondo per noi sia per risarcire il Signore delle offese che riceve in questi giorni. S. Geltrude vide Gesù Cristo con accanto S. Giovanni Evangelista che scriveva. Chiese che cosa scrivesse l'Apostolo, e le fu risposto scrivere esso le opere che dai buoni Cristiani si fanno in questi giorni. Il terzo carnovale sia per le anime purganti coll'acquistare le sante Indulgenze. Una cosa ancora che non dovrei dire, ma bisogna che faccia il mio dovere. Prima di Pasqua vi sono nella casa giovani che vogliono andate in Paradiso e sono in numero plurale!

                Privatamente aveva già detto: - Fino ad ora la morte lavorò fra gli studenti; ora lavorerà fra gli artigiani: - Soggiunse poi: - Sono quelli che prima di Pasqua vogliono andare in paradiso”.

                “5 febbraio. - Per le questioni col R. Provveditore degli studii di Alessandria, D. Bosco manda una sua lettera a Mirabello”.

                6 febbraio. - Ventisette chierici, si presentano all'esame in Seminario e ottengono: Uno la lode; tre il per optime: quindici l'optime: sei il fere optime: due, bene. È  indicibile l'interesse che i giovani prendono colle loro preghiere alla buona riuscita di questi esami de' loro maestri ed assistenti”.

                In questa decade l'Oratorio ebbe i suoi speciali sollazzi.

                “Il 7 febbraio Domenica di Quinquagesima si recitò nel teatro S. Eustachio, tragedia, o dramma sacro in versi, di Mons. Allegro. Riuscì in modo da non potersi desiderare di meglio e tutta la rappresentazione terminò alle 9 ½, secondo il volere di D. Bosco”.

                Questa pregievolissima composizione recitata una volta sola tempo prima, nel Seminario di Albenga, era stata dimenticata. Ma D. Bosco facendola presentare più volte, anche [616] negli altri suoi collegi, e dandola alle stampe con più edizioni, le acquistò una fama imperitura perchè meritata. Coloro che intervenivano alle serate teatrali dell'Oratorio erano il fiore della Società di Torino e di altre città. Da un elenco che D. Bosco fece redigere nel 1864, degli invitati alla Comedia latina e feste principali che hanno luogo nel corso dell'anno, nell'Oratorio di S. Francesco di Sales Torino Valdocco, noi leggiamo 245 nomi di personaggi fra i più importanti del Clero, come Vescovi, Canonici, Superiori di ordini religiosi, Direttori d'Istituti, Parroci e sacerdoti; fra i più nobili di famiglie patrizie; fra i più distinti per lauree, cattedre delle scuole pubbliche e della Regia Università; fra i primarii addetti al Ministero dell'Istruzione pubblica e ad altri Ministeri; si aggiungano que' de' banchieri, de' professori, degli avvocati, de' medici e' notai, de' giudici, de' giornalisti Cattolici. Ad ogni nome era scritto in margine l'indirizzo e l'invio  comprendeva anche la famiglia. In questo elenco non mancava il nome di quelli che prima avevano appartenuto all'Oratorio, come il Teologo Carpano Rettore in S. Pietro in Vincoli, D. Turchi Giovanni, professore di Valsalice, D. Grassino G. B., Direttore del Seminario di Giaveno.

                Ad ogni recita chi spediva gli inviti trascriveva questo elenco, che per decessi o per assenze modificavasi ogni anno; ed era tolto ogni pericolo di scordare qualcuno degli invitandi.

                Così i figli del popolo incominciavano il loro carnovale colla più eletta cittadinanza di Torino.

                Continua la Cronaca: “8 febbraio. - Levata alle 6; ci fu scuola mezz'ora più tardi, cioè al mattino alle 9 e ½, alla sera dalle 2 ½, fino alle 4. Non si fece l'esercizio di buona morte perchè l'ultimo era stato fatto da poco tempo. Tuttavia D. Bosco alla sera confessò i giovani e dopo le orazioni raccomandò che il giorno seguente tutti facessero la S. Comunione o Sacramentale o Spirituale; ed aggiunse: - Ciascheduno [617] procuri domani di andare in Chiesa per fare visita al SS. Sacramento: ma non una visita lunga: 4, o 5 minuti, e non più: non voglio che perdiate la ricreazione. - Dopo cena non vi fu scuola di canto. Prima D. Bosco aveva ordinato che si facesse, ma poi sentendo che mancavano alcuni maestri revocò l'ordine. Gli premeva che i giovani in questa sera fossero radunati e non dispersi in cortile “.

                “9 febbraio. - Giorno di carnevale. Al mattino dopo la santa Messa si dà un'ora e mezzo di ricreazione. A pranzo, minestra, vino, pietanza e frutta. Dopo il pranzo il giuoco della pignatta. Per appagare tutti ciascuna scuola ruppe la propria pignatta. I maestri trassero a sorte in iscuola i nomi di coloro che dovranno romperla. Alle 3 si va in chiesa: vespro, dialogo tra il Teologo Borel e D. Cagliero: benedizione col SS. Sacramento. Il teatro termina alle 9. A cena i giovani oltre la minestra ebbero vino e pietanza. Le orazioni si dissero in refettorio”.

                “10 febbraio. - Giorno delle ceneri che sono messe sulla fronte dei giovani. Vacanza come al giovedì”.

                “II febbraio, giovedì. - Scuola regolare. Coloro che debbono andare a far il catechismo della quaresima agli esterni pranzano mezz'ora prima degli altri e quindi si recano alle classi loro destinate. Gli studenti invece di uscire dalle scuole al mezzodì escono al quarto. Nelle scuole di prima e seconda ginnasiale, oltre la solita lezione settimanale di catechismo, se ne dànno altre due ogni settimana”.

 

 

CAPO LXI. D. Bosco si adopera perchè sia approvata da Roma la Pia Società - Fa copiare le Regole - Riceve lettere commendatizio di cinque Vescovi - Scrive al Can. Vogliotti e gli è' consegnata la Commendatizia dei Vicario Capitolare di Torino - Conferenza del Capitolo dell'Oratorio e accettazione di nuovi socii - D. Bosco spediste una sua lettera al Santo Padre, le Regole, le Commendatizie e alcune carte relative alla Pia Società - Il Card. Antonelli riceve il plico con un foglio di D. Bosco - Risposta del Cardinale - I documenti mandati da D. Bosco sono consegnati ali Papa e da lui rimessi alla Sacra Congregazione dei VV. e RR. - Relazione del Consultore sulle Regole della Pia Società alla Sacra Congregazione.

 

                IN una grave ma soave occupazione erasi intrattenuto D. Bosco nei giorni di carnevale e nei seguenti.

                Il 9 febbraio, narra la Cronaca, D. Bosco fa trar copia delle Regole della Pia Società per mandarle al Papà ed ottenerne l'approvazione”[51]

                Le sue Istituzioni però non erano complete interamente e l'ultimo passo doveva essere fatto nel 1875 coll'opera dei cooperatori.

                Intanto alle lettere commendatizie dei Vescovi di Cuneo di [619] Acqui e di Susa si erano aggiunte quelle dei Vescovi di Mondovì e di Casale[52]

                D. Bosco perciò, costretto dalla necessità, ancor una volta si rivolgeva al Can. Vogliotti.

 

                               Ill.mo e M. R.do Signor Rettore,

 

                Venerdì prossimo mattino avrei un'occasione sicura per fare pervenire il mio piego alle mani dei S. Padre; non mi manca più altro che la implorata commendatizia che V. S. Ill.ma e M. Rev.da mi aveva fatto sperare. Se pertanto EIla me la può terininare mi farebbe duplice favore e per la cosa in sè e per l'occasione favorevole che mi si presenta. Voglia perdonarmi il replicato disturbo e mi creda quale con sincera gratitudine ho l'onore di potermi professare,

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

                Torino, 10 Febbraio 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Colla risposta ei riceveva il desiderato documento.

 

COMMENDATIZIA DEL VICARIO GENERALE DI TORINO.

 

                Nei presenti gravi bisogni d'istruzione ed educazione sì religiosa che, civile ci riesce di dolcissima consolazione il Vedere come l'Oratorio di S. Francesco di Sales, fondato or sono tre lustri dal benemerito Sacerdote Bosco D. Giovanni nelle regioni di Valdocco in questa città, non solo si conservi ma fiorisca e vada ampliandosi di casa e di persone.

                 In questo convitto, ossia Oratorio, sono raccolti molti giovani che per difetto di parenti o per mancanza di fortuna, sarebbero quasi abbandonati a se stessi, od almeno sforniti dei mezzi di ricevere un'educazione cristiana e civile adattata alla loro condizione. Molti di questi giovani vengono ammaestrati in qualche arte o mestiere, con cui potersi procacciare onestamente il vitto; altri vengono avviati agli studi inferiori ed addottrinati nelle belle lettere, per intraprendere poi un corso regolare di studi conveniente alla loro condizione e capacità. Fra questi non pochi abbracciarono lo stato Ecclesiastico, e terminato [620] lo studio Teologico furono promossi al Sacerdozio e cooperano con zelo alle sollecitudini del comun loro Padre.

                Dall'Oratorio predetto dipendono pure due altri Oratorii cioè quello detto dell'Angelo Custode nel borgo di Vanchiglia e l'altro di S. Luigi a Porta Nuova, nei quali Oratori si radunano nei di festivi molte persone per udire la S. Messa e l'istruzione della Dottrina Cristiana e vengono esortate alla santificazione delle feste nonchè alla frequenza dei SS. Sacramenti. Tante cure e fatiche adoperate da questo egregio Sacerdote nel rinfrancare i giovanetti buoni nel sentiero della virtù e ritrarre altri dalla via dell'errore e del vizio, tanto zelo per la salute spirituale ed anche temporale del prossimo e per educare al Santuario giovani di buone speranze, meritano certamente i distinti encomii del Superiore Ecclesiastico. Questi novelli Sacerdoti poi e coadiutori del lodato Sacerdote vivono sotto certi regolamenti e con tale regolare condotta he riescono di edificazione agli allievi alla loro cura affidati. Motivo per cui credo degno di essere raccomandato alla S. Sede questo pio Sacerdote, acciò ottenga quelle grazie e favori che possono procurare incremento all'Oratorio e Religiosa in miglia, e recar maggior bene spirituale alla città e diocesi di Torino.

                Quindi è che lo raccomandiamo umilmente e con calore alla bontà del Santo Padre gloriosamente regnante, ben persuasi che le nostre raccomandazioni saranno benignamente accolte e che le benedizioni del Santo Padre porteranno all'Oratorio i più grandi vantaggi

                Torino dalla Curia Arcivescovile, li II febbraio 1864.

 

GIUSEPPE ZAPPATA Vic. Gen. Capii.

T. GIUSTETTI G. Segret.

 

                D. Bosco, appagato quel suo desiderio, radunava in sua camera l'II del mese i membri del Capitolo per dar loro la consolante novella di quelle pratiche fin'ora riuscite, e per loro proporre alcuni alunni che desideravano di far parte della Congregazione. Sì legge nel Verbale del Capitolo:

 

                Li II febbraio 1864 radunatosi il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales furono accettati alla prova: Ansaldi Bernardo, Bonetti Enrico, Cerruti Felice, Grassi Giovanni, Norza Pietro.

                Il giorno dopo ei consegnava ad un messo speciale le commendatizie dei Vescovi, le Regole e una lettera sua indirizzata al sommo Pontefice. [621]

 

                               Santissimo Padre,

 

                Coll'unico scopo e soltanto col desiderio di promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime, umile, mi prostro ai piedi di V. S. per domandare l'approvazione della Società di S. Francesco di Sales. È questo un progetto da me molto meditato e lungo tempo desiderato. L'anno 1858 quando io aveva la felice ventura di potermi presentate a V. S., all'intendere gli sforzi che faceva l'eresia e l'incredulità per insinuarsi nei popoli e sopratutto fra la povera ed inesperta gioventù, accoglieva con segno di gradimento l'idea di una Società, che di quella pericolante porzione del gregge di Gesù Cristo si prendesse cura particolare. La medesima S. V. degnavasi di tracciarmene le basi, che io ho fatto quanto ho potuto per svolgere in questo piano di regolamento. Ma sebbene io abbia avuto ferma volontà e siami secondo le mie deboli forze adoperato per mettere in opera i consigli di V. S., tuttavia nella esecuzione del lavoro temo di essermi di troppo, in cose anche essenziali, allontanato da quanto erami proposto. Per questo motivo io domando piuttosto la correzione di queste progettate costituzioni, anzichè l'approvazione.

                Pertanto Vostra Santità, o chi Ella si degnerà di deputare, corregga, aggiunga, tolga quanto giudicherà tornare a maggior gloria di Dio. Io non farò osservazione di sorta, anzi mentre mi offro di dare qualunque spiegazione, che si ravvisi necessaria ed opportuna, mi professo fin d'ora obbligatissimo verso di chiunque mi aiuterà a perfezionare gli statuti di questa Società e ridurli quanto più possibile, stabili e conformi ai principi di Nostra Santa Cattolica Religione.

                Gli statuti sono composti di 16 capitoli, divisi in brevi articoli di cui unisco una copia. In foglio a parte si dà ragione di alcune cose più importanti.

                I Vescovi di Acqui, di Cuneo, di Mondovì, di Susa, di Casale e il Vicario Capitolare di questa nostra Archidiocesi ebbero la bontà di fare commendatizie in favore della medesima Società. Essa attualmente è composta di oltre settantacinque Socii, tutti deliberati d'impegnare vita e sostanze per la gloria di Dio e per la salute delle anime.

                Mentre noi tutti nella preghiera aspettiamo le decisioni del Supremo Gerarca della Chiesa, di Vostra Santità, ci prostriamo supplicandola di volerci anticipare il segnalato favore coll'impartire ad ognuno la Vostra Santa Apostolica Benedizione, intanto che a nome di tutti ho il massimo degli onori di potermi dichiarare ai piedi di V. S.

 

                Torino, 12 febbraio 1864.

 

Umil.mo, obbl.mo aff.mo figliuolo

di S. Chiesa e di V. Santità

Sac. Bosco Giovanni [622]

 

                Alla lettera univa il seguente foglio:

 

COSE DA NOTARSI INTORNO ALLE COSTITUZIONI DELLA SOCIETÀ

DI SAN FRANCESCO DI SALES

 

                Lo scopo di questa Società, se si considera ne' suoi membri, noti è altro che un invito a volerà unire in ispirito tra di loro per lavorare a maggior gloria di Dio e per la salute delle anime a ciò spinti dal detto di S. Agostino: Divinorum divinissimum est in lucrum animarum operari.

                Se poi si considera in se stessa ha per iscopo la continuazione di quanto da circa 2o anni si fa nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Imperocchè si può dire che qui non si fece quasi altro che ridurre la disciplina, praticata finora in questo Oratorio, ad un'ordinata Costituzione, secondo il consiglio dei Supremo Gerarca della Chiesa.

                In questo regolamento non si parla esplicitamente dei Sommo Pontefice, sebbene sia scopo principale di esso il sostenere e difenderne l'autorità con tutti quei mezzi che i tempi, i luoghi, le persone permetteranno di poter prudentemente usare. Il motivo per cui si esprime meno esplicitamente si è che questa casa essendo già stata più volte perquisita dall’Autorità civile, ad oggetto di trovarvi relazioni compromettenti (si diceva) con Roma, quindi la Società correrebbe rischio di essere posta a repentaglio, qualora questo regolamento, cadendo in mano a taluno vi si trovassero espressioni non opportune

                In quanto al costitutivo delle regole, ho consultato e, per quanto convenne, ho eziandio seguito gli statuti dell'Opera Cavanis di Venezia, le costituzioni dei Rosminiani, gli statuti degli Oblati di Maria Vergine, tutte corporazioni o società religiose approvate dalla S. Sede. I Capitoli 5°, e 7° che riguardano la materia dei voti, furono quasi interamente ricavati dalle costituzioni de' Redentoristi. La formola poi dei voti fu estratta da quella dei Gesuiti.

                Nel capitolo 8°, articolo 2°, si domanda che i chierici siano posti sotto la giurisdizione dei Superiore Generale della Società. - I° Perchè questa società, avendo unione di case di diocesi diverse, non potrebbe disporre de' suoi membri Secondo i varii bisogni, giacchè potrebbero essere dall'Ordinario liberamente inviati altrove a piacimento.

                2° Ne' nostri Stati essendo gli ordini religiosi legalmente soppressi, quei pochi che sono eccettuati non potendo più godere alcun privilegio nel richiamo della leva militare, devono ricorrere ai Vescovi che, secondo le leggi finora conservate, possono richiamarne alcuni, cioè ogni ventimila richiamare annualmente un chierico. Per la qual cosa è di tutta necessità che i membri aspiranti allo Stato Ecclesiastico si [623] possano mandare da una casa ad un'altra secondo che il Vescovo Ordinario della medesima può o non può richiamarli dal servizio militare.

                3° Havvi ancora una terza ragione che riguarda al sacro ministero I membri di essa hanno per iscopo di esercitarlo verso la gioventù che è un lavoro delicato e difficile e che per lo più non s'impara che coll'esperienza e con lungo studio, specialmente vivendo e trattando con coloro stessi di cui si vuole prendere cura. Questa esperienza, questa unità di spirito si potrebbe difficilmente acquistare e mantenere, senza che il Superiore generale abbia piena giurisdizione sopra i membri della Società.

                La persona di fiducia giunta a Roma, secondo le istruzioni ricevute, consegnava al Card. Antonelli il plico ed una lettera di D. Bosco. In questo foglio ei si raccomandava a quell'Eminentissimo, Perchè si degnasse di presentare al Papa i documenti trasmessigli: e nello stesso tempo gli mandava un suo manoscritto con brevi notizie della Pia Società, indirizzato alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari[53].

                Il Cardinale rispondevagli:

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Il desiderio manifestatomi da V. S. Ill.ma col foglio in data 12 dei corrente ebbe pronto effetto con deporsi nelle venerate mani dei S. Padre il regolamento da Lei inviato con corredo di alcune carte relativamente alla Congregazione religiosa, di cui Egli ebbe già a lodare il progetto quando la S. V. trovavasi qui a tenergliene discorso.

                La compiacenza allora espressale dall'Augusto Pontefice sarà bastevole a farle immaginare con quale interesse siensi or da Lui accolti i rassegnatigli documenti.

                Quanto a me non occorre dirle del piacere e della premura nel compiere la raccomandatami onorevole consegna, potendo ben Ella argomentare dalla parte da me presa sul principio, come Ella stessa ricorda nel menzionato foglio, sul commendevole suo intento.

                Nel pregare dall'Altissimo a di Lei riguardo benedizioni e favori corrispondenti al pio e fervoroso zelo ond'Ella tanto si adopera in vantaggio della Religione e della Chiesa, mi è grato confermarle i sensi della mia distinta stima.

                Di V. S. Ill.ma

 

                Roma, 19 Febbraio 1864,

Servitor vero

G. C. ANTONELLI. [624]

 

                Il Papa infatti colla solita bontà, mostrando speciale premura per quei documenti, li trasmise al Cardinale Quaglia, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il Cardinale li fece consegnare al Pro - Segretario della suddetta Sacra Congregazione accompagnati dalla seguente lettera.

 

                               Ill.mo e Rev.mo Sig. P.ne Col.mo,

 

                In adempimento dei venerati comandi del S. Padre mi reco a premura di rimettere qui acchiuso a V. S. Ill.ma e Rev.ina un plico contenente gli statuti della Società di S. Francesco di Sales tracciati dal Sac. Giovanni Bosco di Torino che ne è il fondatore.

                Giusta la mente di S. S. occorre che Ella deputi un consultore di cotesta Sacra Congregazione per prenderli ad esame, e quindi voglia farne alla stessa S. S. la debita relazione.

                In tal congiuntura mi pregio ripeterle i sensi della mia distinta e rispettosa stima.

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

                Li 18 Febbraio 1864.

 

Dev.mo Obbl.mo Servo

LUCA PACIFICI.

 

                Dietro a questo foglio fu scritto: Die 18 feb. 1864. P. Savini Consultori pro voto. - S. Svegliati Pro - Secretarius.

                Il Consultore esaminate le Regole, presentava il suo giudizio alla Sacra Congregazione col seguente scritto.

 

RELAZIONE DI FR. A. SAVINI

SULLE REGOLE DELLA SOCIETÀ DI S. FRANCESCO DI SALES.

 

                Dal benemerito Sac. Gio. Bosco sono circa sei anni, ebbe principio in Torino l'istituto denominato Società di S. Francesco di Sales, nello scopo d'assistere la gioventù, massime povera, con aiuti spirituali e temporali. Si compone esso di Sacerdoti, chierici e laici, legati dai voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, prima temporanei, poscia perpetui, governati da un Rettor maggiore a Vita, assistito da Consultori. Presentemente tale società conta tre case e più di settantacinque individui.

                Avendo il fondatore chiesta alla S. Sede l'approvazione dell'Istituto e relativi statuti, Monsignor Prosegretario ha voluto demandarne [625] l'esame per l'analogo parere al Consultore Fra Angelo Savini Carmelitano. Sembra al medesimo alquanto prematura la domanda d'approvazione per una Società di fresca data, non per anco fornita di un corpo completo di regolamenti, nè decorata di un decreto di lode. Il quale decreto potrebbe senza più accordarsi alla medesima in vista dello scopo santissimo, delle lodi che in due Brevi il Regnante Sommo Pontefice impartì alle buone opere dei Soci non che all'Istituto, e delle raccomandazioni dei Superiori Ecclesiastici di Torino, Casale, Mondovì, Susa, Cuneo, Acqui e intanto comunicare le osservazioni sugli Statuti presentati.

                Statuto N. 3 § I. - I. L'Educazione del clero giovane per disposizione canonica è attributo esclusivo dei Vescovi. In Italia tale legge è ora nel suo pieno vigore e se non fosse converrebbe in tutti i modi richiamarla. Sembra che l'introduzione di un Istituto avente per scopo l'educazione del giovane clero possa generare col tempo gravi difficoltà.

                Statuto N. 3 § 7. - II Non sembra prudente vietare ai Socii di prendere parte a cosa che possa comprometterli in fatto di politica e meglio sarebbe lasciare la cosa secondo le norme del diritto comune.

                Statuto N. 4 § 9. - III. Pare troppo che il Superiore abbia facoltà di sciogliere i voti anche perpetui; sarà meglio obbligare i socii di ricorrere alla Santa Sede, la quale per tale via potrà conoscere meglio lo stato interno del Corpo.

                Statuto N. 5 § 3. - IV. Il Paragrafo 3 del N° 5° in cui si determina quando il precetto del Superiore obbliga sotto colpa mortale potrebbe forse in pratica recare difficoltà e si crederebbe ben fatto cancellarlo interamente.

                Statuto N. 8 § 4. - V. Sembra troppo per ora accordare ad un Istituto nascente il privilegio delle Sacre Ordinazioni, proprio degli Ordini approvati. Ad altri nuovi Istituti è stato negato.

                Statuto N. 9 § 2. - VI. Per i contratti ed alienazioni non si fa motto delle Costituzioni Apostoliche. Sembra ben fatto ricordarle ed inculcarne l'osservanza, accordando qualche larghezza per un tempo determinato.

                Statuto N. 9 § 4. - VII. Nei casi di correzione ed anche deposizione del Rettor Maggiore, in luogo di convocare il Capitolo sarebbe salutare ad un Istituto novello di prescrivere come unico rimedio il ricorso alla S. Sede, da cui otterrebbe le opportune disposizioni reclamate dal caso.

                Statuto N. 10 § 2. - VIII. Come pure la conferma del nuovo eletto Rettor Maggiore, come che a vita, è meglio che sia devoluta alla Sacra Congregazione, non al Vescovo della Casa Madre.

                Statuto N. 12 § I e 2 - IX. Per la fondazione di nuove Case, accettazione di Seminarii Vescovili, recezione all'abito, e professione dei novizii (N. 13 § I. e segg.) non si toccano le licenze necessarie della S. Sede: meglio fia ricordarle, ed ingiungerne la richiesta. [626] Statuto N. 14 § 4. - X. Un'ora sola al giorno di orazione tra mentale e vocale sembra poca, e sarebbe pur bene determinare il numero dei giorni destinati agli Esercizii spirituali, che viene taciuto.

                Statuto X. 16. - XI. Crederei ben fatto cancellare tutti gli articoli di questo Numero 16, come quelli che presentano una novità nelle affigliazioni all'Istituto di persone estranee, ed un vero pericolo, fatta ragione dei tempi che corrono e dei luoghi poco sicuri.

                Statuto N. 17. - XII. Non sarebbe male che nella formola della Professione si ponesse il nome e cognome del Rettor Maggiore e si togliessero le parole volermi comandare senza riserbo - che potrebbero cambiarsi in queste: - volermi comandare a tenore del nostro regolamento.

                XIII. Come ad altri, così a questo Istituto potrebbe prescriversi il rendiconto triennale alla S. Sede tanto pel materiale, quanto per le cose dello spirito.

 

                Traspontina, 6 aprile 1864.

 

Fr. ANGELO SAVINI Carmelitano.

 

 

CAPO LXII. Lettera a D. Bosco del Superiore dei Concettini Ospedalieri - La Società dei preti secolari di S. Paolo in Roma, Don Bosco, e il Sodalizio del Sacro Cuore di Gesù - La questione sulla proprietà delle Letture Cattoliche - D. Bosco ne trasloca la direzione nell'Oratorio: sue ragioni - Il fascicolo di marzo e primo annunzio del nuovo ordinamento Articolo dell'Unità Cattolica - Circolare agli associati Fascicolo di Aprile: IL PONTIFICATO DI S. MARCELLINO P, DI S. MARCELLO, PAPI E MARTIRI - Diffusione di programmi - Lettere di D. Bosco per affari - Largizione del Vicario Capitolare. DON Bosco aveva spedite a Roma le carte necessarie per ottenere la prima approvazione o collaudo alla Pia Società, mentre di là a lui prevenivano due fogli d'importanza. L'uno riguardava la Congregazione Religiosa dei Concettini, dipendenti nello spirito e nella regolare disciplina dal Padre Generale dei Cappuccini; e l'altro la divozione al Sacro Cuor di Gesù.

 

                Il P. Angelo M. da Jufo, Cappuccino, in data 9 marzo 1864, scriveva a D. Bosco aver udito con sommo piacere come egli avesse fondato in Torino un pio Stabilimento per istruirvi specialmente i giovani poveri ed orfani e così allevarli alla Società e alla N. S. Religione; e nello stesso tempo a lui si raccomandava, che se fra essi trovasse vocazioni per l'Istituto, di cui egli era Direttore, gliene sarebbe stato riconoscentissimo [628]. Lo scopo di questa Istituzione, sorta sotto gli augustissimi auspici del Sommo Pontefice Pio IX, era di servire e di assistere i poveri infermi in qualunque malattia e prodigare ai medesimi tutti gli uffici di carità.

                L'altro foglio si potrebbe ritenere come un augurio della futura Missione in Roma di D. Bosco e de' suoi salesiani. In data del 20 marzo 1864, dalla Società dei preti secolari di San Paolo Apostolo, avente sede presso la Chiesa di Santa Maria della Pace in Roma, con regolare diploma veniva commessa a D. Bosco la facoltà di aggregare al sodalizio del Sacro Cuore di Gesù i figli della chiesa Cattolica Romana in qualunque parte del mondo, e di loro conferire i beni spirituali e le indulgenze dalla Santa Sede Apostolica concessi ai Socii.

                Non meno della Pia Società davano occupazione a D. Bosco le Letture Cattoliche. La questione di chi ne fosse il vero proprietario non era ancora finita, poichè il Vescovo d'Ivrea e il Teol. Valinotti non ammettevano le ragioni colle quali Don Bosco sosteneva il suo diritto. Il Vescovo in buona fede gli contestava a spada tratta questo diritto, ma egli colla solita calma e senza affrettarsi aveva cercato di persuaderlo, risoluto però di rivendicare a sè ciò che realmente era suo.

                Abbiamo già detto come nel luglio 1862 D. Bosco, dopo varie pratiche con quel Prelato, avesse stabilito che la Tipografia dell'Oratorio venisse prescelta alla stampa delle Letture Cattoliche; senza escludere però al momento per intero l'antico tipografo da simile incombenza, il quale, da lui, avrebbe ricevuti i manoscritti. Non mancò qualche reclamo ma egli fece tacere i malcontenti, lasciando he la direzione rimanesse ancora in mano ai rappresentanti del Vescovo d'Ivrea e continuasse in via S. Domenico numero II come prima, la sua gestione.

                Per due anni la tipografia dell'Oratorio aveva stampati i fascicoli, ma quasi tutte le spese erano state a carico di Don Bosco. Egli mandava i conti al Teol. Valinotti, il quale sovente [629] rispondeva non tenere in cassa le somme richieste per aver dovuto estinguere una parte di grossi debiti coi tipografi antichi, e con quelli dai quali si era preso danaro in prestito. Per questi motivi e per altre spese accessorie il suo bilancio non presentare alcun attivo.

                D. Bosco aveva pazientato, quando Buzzetti Giuseppe potè esaminare a tutto suo agio i libri del dare e dell'avere. E trovò che nei primi quattro anni dal 1853 al 1857 ci si capiva nulla in quanto alle entrate, mentre era riconosciuto un grosso debito verso il tipografo De Agostini, per i fascicoli di due annate. Dal 1857 al 1864 i conti parevano più chiari. Buzzetti riferì tosto le conclusioni della sua ricerca a D. Bosco e a, D. Cagliero. Tali irregolarità non potevano attribuirsi a indelicatezze degli impiegati, ma in parte a negligenza o inattitudine e in parte a varie cause, che qui non è luogo di investigare.

                D. Bosco, conosciuto lo stato delle cose e crescendo i debiti del Teol. Valinotti verso la Tipografia dell'Oratorio, vedendosi in perdita, chiese che si verificassero i conti delle entrate. Il Vescovo d'Ivrea rimase offeso da tale domanda, e assolutamente non volle acconsentire, sostenendo non doversi far tale sfregio al suo rappresentante. Ma D. Bosco non accusava nessuno, voleva bensì che fosse pagato alla sua tipografia il lavoro e le spese di carta e di caratteri. Quindi instava, e aggiungeva che non volendosi riconoscere in lui il diritto di proprietà, e non essendo soddisfatto nelle sue giuste richieste avrebbe potuto rifiutarsi di prestare l'opera sua e il suo materiale tipografico. Gli venne fatto osservare che avendo di sua spontanea volontà assunta la stampa dei fascicoli, poteva correre pericolo di una citazione in tribunale. Avendo egli però dichiarato essere pronto ad accettar la lite, trattandosi dell'interesse de' suoi giovanetti, i suoi oppositori s'acquietarono.

                Questa controversia era stata condotta da ambe le parti [630] più per mezzo di incaricati speciali a voce, che per lettera. Il segretario del Vescovo D. Gallenga, amico di D. Bosco per l'anima, cercava di essere l'intermediario presso ambidue gli interessati; ma il Vescovo non voleva accettar transazioni su ciò che potesse menomare anche di un sol punto il diritto che credeva avere di proprietà. Anche il Vicario Generale Can. Pinoli era amicissimo di D. Bosco, ma naturalmente doveva eseguire gli ordini.

                Stando l'affare in questi termini, siccome la tipografia aveva bisogno di danaro per continuare la stampa delle Letture Cattoliche, e muovere una lite sarebbe stato un mezzo disonorevole ed irritante, D. Bosco prese una ferma risoluzione.

                Rimettendo adunque, ad altri tempi la questione sulla proprietà, non richiedendo per ora la consegna dei conti, che d'altra parte non sarebbe stata fatta dalla Direzione di Via S. Domenico, lasciando a questa gli affari in corso, le responsabilità già contratte e i proventi eventuali, in nessun modo palesando al pubblico quella misura e le sue cause, D. Bosco mise in esecuzione il suo piano, che riusciva come una nuova fondazione delle Letture Cattoliche: Stampa e Direzione nell'Oratorio, esclusa ogni persona estranea. Ne aveva dato preavviso ad Ivrea. Col mese di marzo incominciava l'annuale associazione e sul finire del mese di febbraio distribuiva il primo fascicolo di quest'anno. Aveva per titolo: Luisa e Paolina. Conversazioni tra una giovane cattolica ed una giovane protestante. Sulla, copertina di questo libretto D. Bosco dichiarava non aver più la Direzione delle Letture Cattoliche la sua sede in via S. Domenico N. II.

 

AVVISO IMPORTANTE.

 

                Dite cose partecipiamo ai nostri benevoli Corrispondenti e Associati;

                I° Che per l'avvenire la spedizione dei fascicoli si farà dalla tipografia di S. Francesco di Sales e che ogni domanda, ogni invio di Vaglia, di lettere, di libri o simili dovrà essere fatta unicamente; AL DIRETTORE [631] DELLE Letture Cattoliche NELL'ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES - TORINO (Valdocco).

                2° Che le Letture Cattoliche compiendo l'anno undecimo continueranno per l'anno dodicesimo col medesimo Programma e senza variazione di prezzo; anzi promettiamo amenità degli argomenti, regolarità di stampa e puntualità nella spedizione.

                Il giorno 23 di marzo l'Unità Cattolica stampava il seguente articolo:

 

                Letture Cattoliche. - Nel fascicolo del corrente marzo delle Letture Cattoliche del Sacerdote Bosco Giovanni, vediamo con piacere annunciato, come abbia in questo mese principio il duodecimo anno di vita di questa associazione. Davvero che in mezzo a tanta abbondanza di libri pessimi ci consola il vedere che la pubblicazione dei buoni si continui e si accresca ogni giorno per combattere i nemici della Cattolica religione.

                Il soggetto trattato in detto fascicolo è un'amena conversazione di due giovanette, cattolica l'una e l'altra protestante, che dopo avere in varii trattenimenti discusso sulla verità della fede cattolica e sugli errori degli Evangelisti, infine la giovanetta protestante, riconosciuti i suoi errori, li abiura e si converte.

                Operetta questa del zelantissimo Mons. Devie, Vescovo di Belley, tradotta per cura del Sac. Giovanni Bosco.

                Noi raccomandiamo caldamente a tutti i Cattolici di associarsi a queste Letture, che pel tenue prezzo di anticipate L. 2 e 25 annue, si possono da ognuno ricevere franche di posta per tutto lo Stato, e più caldamente ancora raccomandiamo a quelli che le ricevono di farle anche leggere a quanti più possono di amici e di dipendenti, perchè in ciò consiste il merito principale dell'Associato.

                Ad impedire gli inconvenienti possibili si prevengono tutti quelli che avranno lettere, pieghi, domande di associazione o vaglia postali da recapitare per questo scopo, di volere d'ora in avanti rivolgere ogni cosa alla Direzione delle Letture Cattoliche nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino Valdocco, dove si è traslocato l'ufficio, affine di facilitare le operazioni sotto l'immediata direzione del prelodato fondatore delle medesime. Ai Signori associati residenti in Torino si spediranno regolarmente i fascicoli a domicilio, purchè si compiacciano di far tenere all'ufficio in Valdocco l'indirizzo preciso di loro abitazione.

                Due giorni dopo D. Bosco mandava una circolare agli associati, corrispondenti, dei quali un certo numero era già sparso in Francia, in Svizzera, in Austria ed in Germania. [632]

 

Torino, 25 Marzo 1864.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Il Sac. Bosco Giovanni ringrazia V. S. Ill.ma e benemerita dell'infaticabile zelo con cui Ella si adopera per la propagazione delle Letture Cattoliche. Spera e confida di ottenere la continuazione del valido suo appoggio in questo e nei vegnenti anni, mentre si fa un dovere di parteciparle come per semplificare e più direttamente assistere le operazioni occorrenti al buon andamento di dette Letture, si è trasferito l'ufficio della Direzione nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, dove già si stampano i fascicoli e donde per l'avvenire partirà la spedizione. Quindi d'ora innanzi si compiacerà di rivolgere le sue lettere, pieghi, domande di associazione e vaglia all'indirizzo che sta indicato sopra la copertina del fascicolo che riceve.

                Ove ella non abbia difficoltà si prega ancora di indirizzare i vaglia in capo del Sac. Bosco Giovanni, acciò così all'ufficio postale siano tosto esigibili da chi già tiene la procura a questo scopo.

                Pregandole dal Signore ogni benedizione, le offro i nostri umili omaggi e son colla massima considerazione.

 

Suo Obbl.mo servo

Per D. Bosco

FEDERICO OREGLIA.

 

                Nello stesso tempo era stampato il fascicolo d'aprile, sulla copertina del quale si ripeteva l'avviso importante pubblicato nel libretto dei marzo Il fascicolo doveva riuscire di molto gradimento agli associati: Il Pontificato di S, Marcellino e di S. Marcello Papi e martiri pel Sacerdote Bosco Giovanni (0). Vi erano esposte notizie topografiche intorno alla città di Roma; osservazioni sulla supposta caduta di S. Marcellino; miracoli operati dalle reliquie di S. Marcello. In ultimo havvi un'appendice svii martiri della legione Tebea, e si nota il nome di molti che, sfuggiti dal massacro generale, versarono il sangue per la fede qua e là nei varii paesi del Piemonte e della Lombardia. A questo fascicolo e ad altri due, era pure unito un piano di associazione col nuovo indirizzo alla Direzione.

                Quindi ristampato in un foglietto il programma a migliaia [633] di copie, scritte di suo pugno su molte di esse le parole: Se ne raccomanda caldamente la diffusione, le mandò a tutti i paesi, ne' quali vi erano associati. L'articolo 9° diceva: “In Torino si ricevono le associazioni nell'Ufficio delle medesime Letture, che trovasi nell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, come pure presso Carlo Ceretto libraio, via Doragrossa, N° 39.”

                Gli associati rispondevano al suo richiamo e così D. Bosco tenne in sua mano tutta la direzione morale, materiale e finanziaria delle Letture Cattoliche, commettendone l'amministrazione esclusiva a persone della Pia Società, dopo due anni di pazienti pratiche col Vescovo d'Ivrea e col Teol. Valinotti.

                Egli era adunque riconosciuto di fatto qual proprietario delle Letture Cattoliche, quantunque la questione di diritto durasse ancora per ben tre anni, e solo dopo questo tempo si liquidassero i conti della prima amministrazione.

                Mentre egli raggiungeva questo per lui importantissimo scopo, doveva pure studiar modo di provvedere al mantenimento della sua Comunità. Abbiamo due sue lettere indirizzate al sig. Barone Feliciano Ricci in Cuneo, dalle quali apprendiamo come egli trattasse di realizzare la donazione di un podere, di spacciare biglietti in favore di un asilo, di contrarre un mutuo, e di vendere al Governo due piccole case a lui lasciate in eredità presso la Dora, ove dovevasi costrurre un arsenale. A quando a quando presentiamo ai nostri lettori qualche lettera del Servo di Dio, che tratta di interessi materiali, perchè si manifesti anche in ciò la sua diligente attività. Scriveva adunque:

 

                               Carissimo Sig. Barone.

 

                Nel desiderio di fare una gita a Cuneo ho differito di riscontrare intorno al risultato dell'affare col Sig. Toselli.

                Siccome però scrisse egli stesso alla S. V. carissima e a questo fine avranno già potuto abboccarsi, così prescindo di trattarne più a lungo. Piuttosto Le parlo della continuazione della beneficenza. Questo caritatevole [634] cristiano sarebbe disposto di legare o dare fin d'ora giornate venti di terreno, limitrofo a quello che intende dare per Cuneo; e lo darebbe a favore di quest'Oratorio, riserbandosi il solo frutto sua vita durante, con qualche onere da compiersi al momento che non gli si tribuirà più l'usufrutto. Al terreno unirebbe anche una parte di fabbrica bastante per fare mi corpo di cascina.

                Io avrei bisogno che Ella, Sig. Barone, mi aiutasse ad utilizzare questa donazione. Vi sarebbe persona che comprerebbe pel suo prezzo queste venti giornate di terreno? Non si potrebbe unire le dieci che darebbe per l'asilo e farne un corpo solo di cascina? Non sarebbe tal cosa di qualche convenienza anche al Sig. Barone?

                Queste sono le cose che voleva andarle a dire in persona e che da mi piccolo incomodo di salute ne fui impedito. Qui trattasi di tino che voglia comperare, assicurare il suo danaro sopra il terreno, mentre l'opera servirebbe a sostenere le spese che in questa casa occorrono e anche ad impiantare l'asilo progettato.

                Compatisca questo disturbo, gradisca che auguri a Lei alla Sig. Baronessa e a tutta la famiglia ogni belle dal cielo, e mentre raccomando me e li miei giovanetti alla carità delle salite sue preghiere, ho il caro piacere di professarmi con gratitudine,

                Di V. S. Car.ma nel Signore,

 

                Torino, 15 Marzo 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco

 

                               Car.mo Signor Barone,

 

                Ho ricevuta la sua lettera per mano del Sig. Giraudi che mi lasciò alcuni biglietti da distribuire. Io mi unirò al Cav. Oreglia per distribuire i suoi ed i miei. Non so però se potremo distribuirli tutti attese le esclamazioni che tutti fanno pella miseria.

                Riguardo al mutuo che Ella è disposta di fare a favore di questi poveri giovani, sarebbe non più di cinque mila, ma solamente di due mila franchi.

                Imperocchè in questo tempo abbiamo avuto qualche beneficenza ed abbiamo anche esatto qualche somma che era assai incerta. Ora nel desiderio che ho scritto, che l'obbligazione sia fatta colle formole da Lei richieste, io La pregherei di volermela fare ed io la segnerò volentieri.

                In quanto al tempo metta mi anno se vuole; ma è probabile che passino appena alcuni mesi o forse settimane dopo cui siamo in grado di poterne fare la restituzione; giacchè la vendita delle due piccole case al Governo è fatta e dovremo venire quanto prima all'atto dell'istrumento. [635] Grazie di tutta la carità; non mancherà di pregare per Lei, la Sig.:Baronessa e famiglia, mentre con gratitudine ho l'onore di potermi professare,

 

                Maggio 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Ma prima di trattare di affari che avevano sempre per fine la beneficenza, nei primi giorni di marzo erasi rivolto al Ministero di Grazia e Giustizia per ottenere un sussidio ai suoi chierici. La risposta con sua sorpresa gli venne dal Provicario Rettore del Seminario.

 

                SEMINARIO ARCIVESCOVILE DI TORINO.

 

Torino, il 31 marzo 1864.

 

                               Molto Rev. Signore,

 

                Mi fo debito di participare a V. S. M. R. che avendo il Ministero di Grazia e Giustizia trasmessa all'Ill.mo e Rev.mo Sig. Vicario Generale Capitolare la supplica da Lei presentata, per ottenere un sussidio a favore dei Chierici dell'Oratorio, con invito al Prefato Sig. Vicario di fare a tal uopo un assegno sui fondi di questo Seminario, l'Amministrazione sebbene trovasse questa proposizione per più ragioni non troppo conforme all'indole di questo Istituto, tuttavia fu di parere che per quest'anno solamente si potesse accordare un sussidio di lire 400 a favore dei Chierici Diocesani ricoverati in cotesto Oratorio; e ciò specialmente sul riflesso, che compiendosi nella prossima estate i riattamenti di questo Seminario, i Chierici bisognevoli di soccorso potranno esservi ricevuti e così provarne i vantaggi, senza che abbiano a distrarsene altrimenti i fondi.

                In seguito pertanto alla deliberazione presa dal prelodato Sig. Vicario coll'Amministrazione suddetta, ho preparato in capo a V. S. M. Rev. un mandato di pagamento delle suddette lire 400, che Ella potrà riscuotere nella segreteria di questo Seminario mediante quietanza.

                Mi prevalgo intanto di questa propizia occasione per raffermarmi con distinta stima.

 

Dev.mo Servitore

Can. A. VOGLIOTTI Rettore.

 

 

CAPO LXIII. Parlata di D. Bosco: modo di santificare il mese di S. Giuseppe - D. Bosco annunzia tre morti prima di Pasqua - primo, avveramento - Accettazione di Socii e conferenza - L'esame semestrale - L'Oratorio aggregato all'Apostolato della preghiera di Puy in Francia - La lesta di S. Francesco di Sales - Secondo e terzo avveramento - Altra accettazione di Socii - Vacanze pasquali: avvisi agli alunni - D. Bosco, regala immagini della Madonna - Malattie previste - Dà licenza a due giovanetti di andare in paradiso: loro santa morte - Ad un alunno annunzia lunga vita fra i Salesiani - Gesù C. dimostra quanto gradisca le comunioni de' giovani.

 

                OSSERVIAMO i giovani nell'Oratorio colla guida fedele della Cronaca di Ruffino, essendo questa la maniera per conoscere con evidenza l'avveramento di alcune predizioni di D. Bosco e nello stesso tempo per accennare a quanto accadeva ancora in quella casa benedetta nel mese di febbraio e in quello di marzo.

                “La sera del 17 febbraio così parlò D. Bosco ai giovani:

                - Domani incomincia il mese di S. Giuseppe e desidero che voi tutti vi mettiate sotto la sua protezione: se voi lo pregherete di cuore esso vi otterrà qualunque grazia, sia spirituale, sia temporale, della quale possiate aver bisogno. Fra le pratiche di pietà in onore di questo gran Patriarca, sposo di Maria, Padre putativo e custode di Gesù Cristo, Santa Teresa [637] molto raccomanda, come efficace ad ottenerci la sua protezione, il dedicare a lui il mese di marzo, nel quale cade la sua festa. I esidererei che facessimo qualche cosa in comune, ma per ora mi limito a raccomandare a ciascheduno di voi di recitare un Pater, Ave e Gloria in suo onore o prima o dopo la visita che vi consiglio di fare tutti i giorni al SS. Sacramento. Se poi volete che vi suggerisca qualche cosa di più, fate qualche comunione per quell'anima del purgatorio che in vita fu più divota di S. Giuseppe. Potreste eziandio invocarlo con qualche giaculatoria: Per es. nello studio dire nel vostro cuore: San Giuseppe, aiutatemi ad occupare bene il tempo nella scuola. Se viene qualche, tentazione: Sancte Ioseph, ora pro me. Alzandovi al mattino: Gesù, Giuseppe, Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia. Alla sera andandovi a coricare: Gesù Giuseppe, Maria, assistetemi nell'ultima agonia. Non dimenticatevi intanto che esso è il protettore dei giovani che studiano e, se volete passar bene agli esami, pregatelo che vi aiuti”.

                “24 Febbraio. Levata alle 5 e ½ . Alla sera si continua a suonare la cena degli assistenti alle 7 1/2: la scuola di canto incomincia alle 8 e 35 pom. e il fine di questa alle 9, 10 pom.”

                In quest'ora l'Oratorio rivestiva una fisonomia speciale, e dai cortili illuminati da pochi fanali, sovente coperti di neve o involti da nebbia, si udivano da ogni parte in luoghi distinti, le note musicali. La classe della banda che ripeteva allegre sinfonie; gli apprendisti che si esercitavano nel maneggio degli strumenti, o nel monotono suono del tamburo; la classe de' cantori provetti che, imparavano nuove messe e nuovi vespri ed i principianti nel canto che studiavano colla voce i non facili esercizi; la classe del Canto Gregoriano divisa in più sessioni alle quali presiedeva D. Alasonatti: qui scale e là antifone e salmi, gli uni cessavano, gli altri ripigliavano e talora risuonava una confusione generale di musica indescrivibile.

                Sembravano le scuole dei leviti descritte dai Paralipomeni: [638]

                - Tutti quanti, tanto i maggiori quanto i minori, i dotti e gli indotti, erano distribuiti sotto la direzione de' padri loro, che insegnavano a cantare le lodi del Signore al suono delle cette, dei salteri e dei cimbali, e così adempiere gli uffizi nel tempio di Dio[54].

                “25 Febbraio. - D. Bosco parlò in pubblico: - Diremo ancora per qualche giorno il Pater per un compagno infermo e poi diremo il De profundis. Dopo questo ci fermeremo un pochettino e poi ritorneremo a dire il Pater e dopo il De profundis”.

                “27 febbraio. - Muore all'Ospedale di S. Luigi il giovane Palo Pietro da Lagnasco in età di 16 anni. Era stato quattro o cinque mesi nella casa, ma quasi sempre malaticcio. Si noti che prima della Quaresima D. Bosco aveva detto che non due soli, ma tre, sarebbero morti avanti la Pasqua

                Si legge ne' verbali del Capitolo

 

                Stassera 27 febbraio, furono accettati alla prova nella Pia Società Mazzarello Giuseppe, Guidazio Pietro, Dalmazzo Giuseppe. Delfino Giovanni. D. Bosco dà una consolante notizia ai confratelli alla quale si può concepire buone speranze per l'approvazione dell'Istituto Salesiano. Entro nove giorni le Regole partite da Torino, furono consegnate al Card. Antonelli e da lui trasmesse al Santo Padre”.

 

                “28 febbraio. - Incomincia l'esame semestrale. Quest'oggi si diede nelle due rettoriche il lavoro di prova invece di quello dei posti. Le scuole incominciarono alle 8 e ¾ . I temi furono mandati dal Professore D. Picco Matteo”.

                 - “I verbali si diedero poi nelle singole classi nei giorni destinati per l'insegnamento di ciascuna materia sulla quale si esanimavano gli alunni. Numerosissime confessioni e Comunioni, in questi giorni.”

                “Il I° marzo. - L'Oratorio di S. Francesco di Sales veniva aggregato all'Associazione dell'Apostolato della preghiera, il [639] cui scopo è di pregare per la Chiesa universale e in particolare per il sommo Pontefice. Tale Associazione fu eretta canonicamente a Puy in Francia e arricchita di indulgenze da Pio IX nel 1849 e nel 1861. Il Direttore mandò a D. Bosco il diploma direttamente da Le - Puy. In questa città si venera Nostra signora della Francia e vi fu innalzata una statua colossale della Madonna col bronzo di cannoni Russi presi a Sebastopoli”.

                “6 marzo. Domenica IV di quaresima. - Si celebra solennemente la festa di S. Francesco di Sales trasportata a questo giorno, essendo stato impedito D. Bosco di assistere a quella che avrebbe dovuto aver luogo nella Domenica di sessagesima, 31 gennaio”. Ciò consta anche dall'invito sacro mandato ai benefattori.

                “12 marzo. - Muore nell'Ospedale del Cottolengo il giovane Tarditi Vincenzo da Saluzzo in età di anni 16”.

                “14 marzo. - Finisce i suoi giorni in Vigone sua patria il Chierico Do Luigi, socio della nostra Congregazione, avendo compiuti i 22 anni.”

                La Pasqua occorre il 27 di marzo!!

 

                15 marzo. D. Bosco raduna il Capitolo il quale accettò in prova nella Congregazione. Merlone Secondo, Sala Antonio. Ghella Antonio, Gandini Giovanni, Scappini Giuseppe.

 

                Così i Verbali.

                 22 marzo. - Martedì Santo. Incominciano le vacanze Pasquali. Per la partenza dei giovani alle loro case, si dispone che ciascheduno dia il proprio nome ad un prete o chierico stabilito per le singole linee di ferrovia.

                In sul partire si distribuì a ciaschedun giovane due medaglie della Madonna e prima si erano dettati nella scuola i seguenti ricordi dati da D. Bosco.

                Giunti in patria si osservino bene le cose seguenti:

                I. Saluti ai parenti, al parroco, al maestro.

                2. Buon esempio. [640]

                3. Assistenza alle sacre funzioni col libro.

                4. La comunione nel giorno di Pasqua.

                5. Il ritorno nel i' martedì dopo Pasqua. Un franco di multa per ogni giorno di ritardo.

                I giovani che si fermarono nell'Oratorio ebbero ogni giorno la passeggiata ad eccezione del Venerdì Santo”.

                Le vacanze di D. Bosco, dopo che egli ebbe preparati tutti i suoi alunni a far la Pasqua nel lunedì della settimana santa, consistevano nel prestarsi ad ascoltare persone che dalla città venivano al suo tribunale di penitenza. Nei momenti di respiro tra l'una e l'altra sacra funzione scriveva qualche lettera alle famiglie de' benefattori, e mandava qualche immagine della Madonna ai loro figliuoli col suo autografo: “Ti porti in abbondanza le sue sante benedizioni”.

                Una di queste la destinò alla nobile casa Fassati.

 

                               Ill.ma Signora Azelia,

 

                Per non rinnovare la mia dimenticanza dell'immaginetta promessa, la mando chiusa in questa lettera; e spero che con essa Ella avrà la benedizione del Santo Padre e quella dell'Altissimo Iddio.

                La Santa Vergine Le ottenga dal suo Divin figliuolo sanità e grazia. Buone feste a Lei, a Papà e a Mamma; e raccomandandomi alle preghiere di tutti mi professo nel Signore,

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino, 25 marzo 1864.

 

Dev.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                “Il 27 marzo, Pasqua di Risurrezione di N. S. G. C. Oggi D. Alasonatti apriva il biglietto suggellato, che aveagli dato in custodia l'infermiere Mancardi, alla presenza di confratelli i più anziani e vi lesse i nomi di Palo e Tarditi”.

                Nell'oratorio vi era sofferente il giovanetto Pittaluga Giuseppe, vero angelo di pietà e di costumi, uno dei più esemplari nel piccolo clero, del quale D. Bosco stimava la virtù [641] giudicandola non inferiore a quella di Savio Domenico. Or bene; in questo stesso giorno 27 marzo D. Ruffino scriveva nella sua Cronaca.

                “Un mese fa D. Bosco disse a Pittaluga: - Vuoi andare in Paradiso?

                - Oh sì che ci andrei volentieri, rispose il giovanetto.

                - Ma bisogna far prima un poco di penitenza, soggiunse D. Bosco, e poi ci andrai. - Alcuni giorni dopo Pittaluga era tenuto in letto da una sciatica, malore del quale prima d'ora non erasi manifestato verun sintomo.

                - Questa sera poi D. Bosco, discorrendo con me di varie cose, narrò il casuale accidente della malattia di Pittaluga ed aggiunse:

                - Se ascolto il mio presentimento questo giovane non ritornerà più nell'Oratorio. (Era in sul procinto di andare a casa in. Tortona). Pare che la gamba venendo in suppurazione debba tosto guarire ma io credo che non guarirà più.

                Un altro fatto. Il giovane Siravegna quando venne qui in Casa era in ottima sanità. D. Bosco dicevagli quasi sempre ogni volta che lo incontrava: - Siravegna! Prega il Signore che ti dia la sanità.

                Il giovane che stava bene, rispondeva sempre: - Non ho bisogno di questa grazia! - Ma non andò guarì che un improvviso male lo colpì e lo tenne a letto”.

                Il 29 marzo gli alunni andati a casa rientravano nell'Oratorio, ma fra questi due più non comparvero. Di essi pure Don Bosco aveva prevista la fine. D. Tomatis Domenico, salesiano e ora missionario nel Chili, era in quest'anno allievo nell'Oratorio, e affezionato molto a due giovanetti suoi condiscepoli, Francesco Vicini e Paolo Aiachini, ambedue modelli di virtù.

                Un sabato sera tutti tre insieme erano usciti dallo studio per andarsi a confessare ed incontrarono D. Bosco che rientrava nell'Oratorio. Don Bosco mettendo la mano sul capo a Vicini gli chiese: - Sei tu amico di D. Bosco? [642]

                - Pensi, D. Bosco, se non lo sono, rispose Vicini.

                 - Ah! Tu vuoi andare in paradiso? Ebbene, te ne dò il permesso. - Quindi pose la mano sul capo ad Aiachini: - E, tu sei amico di D. Bosco?

                 - Sì che io lo sono. - rispose Aiachini.

                 - E anche tu vuoi andare in paradiso? Ed io te ne dò volentieri il permesso.

                Ciò detto si rivolse a Tomatis: - Lo sei anche tu amico di D. Bosco? Noi due però dobbiamo mangiare insieme molte pagnotte. - E poi disse a tutti e tre: - E dove andavate

                 In chiesa per confessarci; risposero.

                 - Vado adunque in camera a deporre il cappello e scendo subito.

                Aiachini, dopo gli esami semestrali, diveniva malaticcio ed era mandato al proprio paese per riacquistare la sanità. Ed ecco l'ultimo giorno di marzo comparir alla sera D. Durando sulla cattedra ad annunziare: - È  morto un vostro compagno, certo Aiachini. Ha fatto una santa morte.

                Una lettera aveva recata a D. Bosco la mesta novella[55]. [643]

                Tomatis dolente della morte dell'amico aspettava l'arrivo di Vicini il quale non veniva mai. Egli intanto, spinto dalla Provvidenza, senza saperlo disponevasi a poter mangiare molte pagnotte con D. Bosco. Riputando inutile per sè lo studio della lingua latina, e non pensando a farsi prete, mentre in tutte le materie dell'esame aveva ottenuto i pieni voti, nel latino era stato bocciato. Padre Tomatis, Gesuita, suo zio, lo rimproverò e gli fece conoscere l'importanza del possedere la lingua latina per ogni sorta di professione.

                Il giovane allora, che aveva molto ingegno e memoria, studiò l'intiero Donato nello spazio di un sol mese, subì l'esame finale da D. Celestino Durando e ottenne i pieni voti.

                Ritornato nell'Oratorio al principiar delle scuole trovò con sua meraviglia che Vicini non si era ancor fatto vedere. Che cosa era avvenuto? Vicini aveva palesata al padre la propria intenzione di farsi prete e il padre, protestando che ciò non avrebbe mai permesso, non aveva voluto che più ritornasse nell'Oratorio. Da quel punto il giovane prese talmente a deperire che faceva pietà. Il medico dopo qualche giorno di cura, disse al padre: - Io non trovo in lui malattia alcuna, il cuore, il polmone e gli altri visceri sono sanissimi; il medico ha nulla da vedere in questa infermità. A lei, che è padre, tocca adunque l'investigare quale sia la causa morale di questa prostrazione di forze.

                Il padre intese, si recò nella camera del figlio e per acquietarlo gli disse: - Piuttosto che vederti in questo stato preferisco che tu ritorni all'Oratorio.

                Il giovane, alcuni giorni dopo, era perfettamente ristabilito, ma il padre temporeggiava a mantener la sua parola, sperando che il figlio farebbe la sua volontà. Vicini tacque per qualche tempo e poi rinnovò la sua domanda di ritornar all'Oratorio e farsi prete. - Ma non sai, risposegli il padre indispettito, che non voglio la nostra casa disonorata, da un figlio che si fa frate? [644]

                Il giovanetto non - replicò, ma non passò gran tempo che ricadde nello stato di prima. Il medico ripetè al padre: - Lo avverto che suo figlio non ha altro male che qualche grave dispiacere. Lei solo può cercare un rimedio se vuole conservarlo in vita. - Il padre, che pur amava appassionatamente il figlio, questa volta fu vinto, andò presso il letto del suo Francesco e tornò a promettergli che gli avrebbe data, anzi che gli dava licenza di seguire la sua vocazione. - Troppo tardi, rispose il figlio. Andatemi a chiamare il parroco, perchè mi sento in fin di vita. Un solo piacere vi chieggo, che appena sarò morto, scriviate all'Oratorio perchè i miei compagni preghino per me.

                Il padre che non credeva giunto il figlio a tale estremo non si affrettò a hiamare il prete, ma il male alla sera si fece così grave, che il parroco fu chiamato: e Vicini morì in pace, con ogni assistenza religiosa, come aveva chiesto al Signore.

                Nel mese di novembre D. Francesia salì la cattedra del parlatorio una sera dopo le orazioni e Tomatis l'udì annunziare la bella morte di Vicini e raccomandarlo alle preghiere de' giovani. A questo annunzio, come rischiarato da un vivo lampo nella mente, Tomatis si ricordò le due profezie di D. Bosco, delle quali fece a noi il racconto che qui fedelmente abbiamo esposto. Altre cose avremmo da aggiungere, ma le racconteremo a suo tempo.

                Per ora noteremo come Vicini Francesco nei primi mesi di quest'anno era stato testimonio di un fatto sorprendente. D. Bosco un giorno diceva la S. Messa dopo quella della Comunità. Sul principio aveva visto che la pisside era rimasta vuota di ostie consacrate, ma persuaso che non vi fosse più alcuno da comunicare, incominciò senz'altro il Santo Sacrifizio. Senonchè venuto il momento della Comunione due o tre giovani vennero ad inginocchiarsi sul gradino dell'altare. D. Bosco dato uno sguardo per assicurarsi del loro numero, spezzò in tre o quattro parti l'Ostia grande dell'Ostensorio,  [645] e poi colla patena si mise a comunicare i giovani. Il primo era Vicini Francesco. Il giovane Sandrone Giuseppe, che gli stava inginocchiato ai fianchi e quegli che teneva il torchietto, videro con meraviglia altri 10, o 12 giovani accostarsi alla sacra mensa. D. Bosco allora nuovamente spezzò le sacre specie rimaste e continuò a comunicarli tutti con pezzetti d'Ostia abbastanza grandi anzi uguali ai primi. Questo constatarono, perchè le particelle avrebbero dovuto essere sempre più piccole.

                Dì ciò si parlò fra i giovani, ma essi erano assueffatti a vedere in D. Bosco l'uomo dei portenti, e non ne fecero tanto caso.

 

 

CAPO LXIV. D. Bosco anima i suoi preti a lavorare - Asserisce che non accetterà mai collegi di signori - Esercizi spirituali nell'Oratorio: modo di renderli fruttuosi: orario - Carità di Don Bosco nel confessare - Induce un giovane a mettere in ordine la sua coscienza - Segreti dell'anima svelati in questi giorni - Due sogni: corvi che feriscono i giovani e l'unguento per guarir le ferite - Sono ripresi gli scavi per la nuova chiesa - D. Bosco la inserire nella Gazzetta Ufficiale e nell'Unità Cattolica un invito alla pubblica beneficenza - Pone la prima pietra delle fondamenta - La sua impresa è giudicata temeraria - Osservazioni dei Can. Gastaldi sul disegno della Chiesa - Lettera Circolare di Don Bosco ai fedeli per avere oblazioni: schede di sottoscrizioni; zelo dei parroci - Appello alle Signore - Prime offerte Largizione di Pio IX - Sussidio dell'Economato Generale - Letture Cattoliche - EPISODII AMENI E CONTEMPORANEI RICAVATI DAI PUBBLICI MONUMENTI.

 

                DON Bosco da più di un mese, narra la cronaca, era tormentato da un male continuo agli occhi, sicchè, non potendo resistere alla luce viva, dovette portare gli occhiali azzurri. Tuttavia lavorava sempre e diceva ai suoi sacerdoti e chierici, animandoli al lavoro ed al sacrifizio. - Coraggio, lavoriamo con lena pel bene della gioventù; zeliamo la gloria di Dio e la salvezza delle anime, perchè lassù ci sta preparata una grande mercede, quella che fu promessa [647] ad Abramo: Ego ero merces tua magna nimis. Alle volte ci troviamo stanchi, sfiniti, sopraffatti da qualche incomodo; ma facciamoci coraggio; lassù riposeremo e riposeremo per sempre. - E, come era solito a fare, alzava la mano destra verso il cielo, indicando la sua piena fiducia nel Signore.

                Perciò i suoi discepoli s'intrattenevano con lui sulle probabilità del campo nel quale il Signore li avrebbe mandati a lavorare; ed il 3 aprile discorrevano di varii progetti, tra gli altri di avere poi col tempo un collegio di nobili giovani. D. Bosco ascoltava e poi a un tratto ruppe il discorso: - Questo no; non sarà mai finchè vivrò io! Per quanto dipende da me non sarà mai! Se si trattasse di pigliar solo l'amministrazione di simile collegio allora sì, si prenderebbe; ma altrimenti, no. Questa sarebbe la nostra rovina, come fu la rovina di varii illustri ordini religiosi. Avevano per primo scopo l'educazione della gioventù povera e poi la lasciarono e si appigliarono ai nobili. Di qui le invidie, le gelosie, la smania di soppiantarli. Ricchezze ed entrature nelle case de' ricchi fanno gola a tutti; se noi staremo sempre attaccati ai poveri fanciulli, saremo tranquilli; se non altro perchè parte del mondo ci compassionerà e tollererà, e parte ci loderà. Nessuno avrà invidia di noi, perchè dei nostri stracci non sapranno cosa farne”.

                “Il 4 aprile D. Bosco avvisò i giovani per gli esercizi spirituali che sarebbero incominciati all'II del corrente mese. In sostanza diceva: - Per far bene gli esercizi bisogna che incominciate a prepararvi ed acciocchè non producano poi un fuoco di paglia, è necessario che incominciate fin d'ora a stabilire quello che vorrete fare. Uno dirà: - io voglio in questo tempo dormire. - Un altro: - io voglio studiare il modo di passarmela il meglio che potrò con letture amene e qualche merenda. - Un terzo: - voglio approfittarmi di questa occasione per ripassare la grammatica. - Un quarto dice: Io voglio far frutto di santità e pensare alla mia vocazione. - Quest'ultimo ragiona da uomo saggio. Ma di certi uni che [648] cosa si potrà dire? Che cosa dir loro? Miei cari! Questi esercizi possono essere gli ultimi di vostra vita! Pensateci!”

                Il giorno II venne pubblicato l'orario degli esercizi[56]; ai quali fu una delle ultime volte che gli artigiani vi assistettero, poichè per il gran numero degli alunni si dovette per loro fare una muta a parte. Predicava D. Arrò Carroccio.

                D. Bosco stava lunghissime ore nel tribunale di penitenza. “Nel ministero delle confessioni, afferma Mons. Cagliero, fu eccezionale, costante ed ammirabile la sua bontà coi giovanetti e con gli adulti; quasi tutti ci confessavamo da lui, guadagnati dalla sua dolcezza e dalla sua carità sempre benigna e paziente. Più indulgente che severo, ci animava a confidare nel perdono del Signore, mentre infondeva ne' nostri cuori un salutare timore di Dio”.

                “In questo tempo, racconta D. Ruffino, vi era in casa il [649] giovane P che non voleva saperne di sacramenti, nè di alcuna pratica di pietà; e stava per forza nell'Oratorio. Un di finalmente D. Bosco lo prese a parte e gli disse: - Come va che hai sempre dinanzi un cane, che pare arrabbiato e scricchiolando i denti sembra che tenti sempre di morderti?

                - Io non lo vedo.

                - Lo vedo ben io! Dimmi un po' come stanno le cose di tua coscienza?

                Il giovane abbassò il capo; e Don Bosco a soggiungere:

                - Su, coraggio; vieni, accomoderemo tutto.

                E il poveretto divenne amico di D. Bosco e adesso è molto animato nel bene e nell'adempimento dei proprii doveri”.

                “Finiti gli esercizi (13), alla sera, D. Bosco si lamentò che alcuni degli alunni non ne avessero approfittato pel bene dell'anima loro. - Io in questi giorni passati, disse, vedeva così chiaramente i peccati di ciascuno di voi, come se li avessi avuti tutti lì scritti, davanti agli occhi, dimodochè alcuni i quali, facendo la confessione generale, volevano dire essi stessi i peccati, non badando alle mie interrogazioni, mi imbrogliavano le cose. È  una grazia singolare che il Signore mi ha fatto in questi giorni per il vostro bene. Adesso alcuni renitenti al mio consiglio mi domanderanno se non vedo più come prima il loro interno. - Eh! No! debbo loro rispondere: non sono venuti allora, e adesso non sono più a tempo per godere di questo beneficio.”

                “Il 14 Aprile Don Bosco venne a parlare agli studenti e la sera dopo agli artigiani. Raccontò i due sogni seguenti che fece uno prima, l'altro dopo gli esercizi. Egli, come disse, ne rimase sbalordito.

 

                Era la notte precedente alla Domenica in Albis 3 aprile, e parvemi di trovarmi sul balcone osservando i giovani a divertirsi. Quand'ecco vedo apparire un gran lenzuolo bianco, che copriva tutto il cortile e sotto questo si divertivano i giovani. Mentre li stava mirando, vedo,  [650] una gran quantità di corvi venire a svolazzare al di sopra del lenzuolo, girare qua e là e finalmente trovate le estremità di questo, passare sotto e gettarsi addosso ai giovani per beccarli.

                Qui era uno spettacolo di compassione; ad uno cavavano gli occhi ad un altro beccavano la lingua e gliela facevano a pezzi; a questo davano beccate in fronte, a quell'altro straziavano il cuore. Ma il più che recava stupore era, come io diceva fra me stesso, che nessuno gridava o si lamentava ma tutti restavano freddi; come insensibili e non si curavano nemanco di difendersi. - Sogno io forse, diceva fra me, oppure son desto? se non sognassi come mai costoro si lascerebbero tanto piagare senza mandare un grido di dolore? - Ala dopo poco tempo sento un gemito universale, poi vedo quei tali feriti che si agitano, gridano, schiamazzano e vanno a mettersi in disparte dagli altri. Meravigliato di tutto questo, andava congetturando che cosa ciò volesse significare. - Forse, pensava, essendo il Sabato in Albis il Signore vuole mostrarci che intende coprirci tutti colla sua grazia. Quei corvi forse saranno demonii, che dànno l'assalto ai giovani.

                Mentre pensavo a questo, sento un rumore; mi sveglio: già era giorno e qualcuno aveva bussato alla porta della mia camera.

                Ma qual fu poi la mia sorpresa quando vidi al lunedì diminuire le comunioni, al martedì più ancora, al mercoledì poi in modo notabilissimo, sicchè alla metà della messa avevo terminato di confessare. Non volli però dir niente, perchè essendo prossimi gli esercizii spirituali sperava che si sarebbe rimediato a tutto.

                Ieri 13 Aprile ebbi l'altro sogno. Lungo il giorno aveva sempre confessato, quindi la mia mente era tutta occupata dell'anima dei giovani, come lo è quasi di continuo. Alla sera vado a letto ma non poteva dormire; era sempre tra il sonnacchioso, e lo sveglio, finchè dopo qualche ora presi sonno regolare. Allora parvemi di nuovo di trovarmi sulla ringhiera osservando i giovani occupati nel divertimento.

                Scorgeva tutti quelli che erano stati feriti dai corvi e li osservava. Comparve poi un personaggio con un vasetto in mano entro a cui teneva del balsamo. Era accompagnato da un altro che recava un pannolino. Questi due si diedero attorno a medicare le ferite dei giovani, che appena tocchi dal balsamo restavano guariti. Vi furono però parecchi i quali quando videro quei due avvicinarsi a loro, si scostarono e non vollero essere guariti. E quei che più mi spiacque si fu che costoro erano non in numero singolare ma in quantità assai notabile. Mi presi cura di scriverne il nome su di un pezzo di carta, giacchè li conosceva tutti, ma mentre scriveva mi svegliai e mi trovai senza la carta. Ciò tuttavia fece sì che li ebbi impressi nella memoria, ed ora li ricordo quasi tutti. Potrei forse dimenticarne qualcheduno, ma credo ben pochi. Adesso andrò via via parlando a costoro come già parlai ad alcuni e procurerò di indurli a sanate le loro ferite. [651] Date voi il peso che volete a questo sogno; quello che io vi dico si è che se gli date piena fede non fate alcun danno all'anima vostra. Vi raccomando però che queste cose non si mandino fuori dell'Oratorio. Io a voi dico tutto, ma desidero che tutto si tenga qui rinchiuso.

 

                Intanto dal principio di marzo erano stati ripresi i lavori per la nuova chiesa. Fatti gli scavi all'ordinaria profondità, si stava in procinto di gettare giù le prime pietre e la prima calce, quando il Capo Mastro si accorse che le fondamenta avrebbero appoggiato sopra terreno di alluvione e perciò inetto a sostenere le basi di un edifizio di quella fatta. Si dovettero perciò approfondare molto di più gli scavi e piantare una forte palafittata, corrispondente alla periferia della progettata costruzione. Ciò fu cagione, di maggiori spese sia per l'aumento dei lavori, sia per la copia di travi. Questi lavori però furono continuati alacremente, e D. Bosco il 5 aprile scriveva un invito alla beneficenza pubblica per la costruzione della nuova Chiesa e mandò ad inserirlo nella Gazzetta Ufficiale. Fu inserito il 12 aprile 1864 e compendiato dall'Unità Cattolica il giorno seguente.

 

                Costruzione di novella Chiesa in Valdocco. - Siamo pregati d'inserire le seguenti linee.

 

                Uno dei quartieri di questa città - capitale che da alcuni anni divenne popolatissimo è certamente quello di Valdocco. Dalla chiesa parrocchiale di Borgo Dora e dalla Consolata fino al Borgo S. Donato il suolo è tutto coperto di edifizii ove dimorano oltre a trenta mila abitanti; ma in tutto questo largo spazio non avvi chiesa nè poco né molto spaziosa entro cui si eserciti pubblicamente il divin culto.

                A fronte di questo bisogno il sacerdote Bosco avrebbe divisato la costruzione di un nuovo sacro edifizio, in sito appositamente comperato nel piano tra via Cottolengo e l'oratorio di S. Francesco di Sales.

                Questo Oratorio serve da quattordici anni ad accogliere fanciulli ed anche adulti, ma attese il grande bisogno per l'aumento della popolazione, tale chiesa può nemmeno più accogliere la terza parte dei giovanetti che ivi specialmente nei giorni festivi intervengono. La novella chiesa pertanto deve aver capacità ed essere abbastanza spaziosa da poter soddisfare al bisogno dei giovanetti ed anche degli adulti che ne volessero approfittare. Alla chiesa vi sarebbe eziandio annesso [652] un locale per le scuole serali e domenicali ed un recinto pei trastulli e per la ricreazione nei giorni festivi. Alcuni benemeriti cittadini avendo già portata la mano benefica, si potè preparare il sito, il disegno ed una vistosa quantità di materiali. Speriamo che questi primi oblatori avranno generosi seguaci e che l'edifizio potrà condursi a termine con quell'alacrità con cui furono ultimati tanti altri edifizi di pubblica beneficenza, che cotanto onorano questa nostra Capitale.

 

                Sul finir dell'aprile lo sterro fu compiuto, palafittati in gran parte gli scavi, e ogni cosa era pronta per incominciare i lavori di muratura. Il capo mastro Carlo Buzzetti andò a pregare D. Bosco perchè volesse compiacersi di venire a mettere la prima pietra. Il Servo di Dio fu accompagnato dai suoi preti e da numerosi allievi alla piccola funzione, ed appena terminata, egli per esternare la sua compiacenza, rivolto a Carlo Buzzetti, gli disse: - Ti voglio dare subito un acconto per i grandi lavori. Non so se sarà molto, ma sarà tutto quello che ho. - Così dicendo tirò fuori il borsellino, l'aprì e lo versò capovolgendolo nelle mani del capo mastro, che credeva di averle a riempire di marenghi. Quale fu invece la sua meraviglia e quella di tutti coloro che lo avevano accompagnato, quando non si trovarono che otto poveri soldi. E D. Bosco sorridendo soggiunse: - Sta' tranquillo; la Madonna penserà a provvedere il danaro conveniente per la sua chiesa. Io non ne sarò che l'istrumento, il cassiere. - E volgendosi a quelli che erangli intorno, concluse: - Vedrete!!

                Il Marchese Fassati venne ad osservare la grandiosità del disegno ed ebbe a dirgli: - Davvero che lei ha più coraggio di me nell'accingersi a fabbricare. - Persone assennate gli domandavano quante somme avesse di fatto raccolte, e su quali proventi Poteva calcolare, trattandosi di una spesa che si giudicava dovesse oltrepassare il mezzo milione; ed egli rispose: Ho cercato veramente in tutti i miei cassetti ed ho trovato quaranta centesimi.

                Egli però diceva che sarebbero bastate 200,000 lire, mentre ad opera finita avrebbe sborsato circa un milione. Gli sterri,  [653] misurati il 16 luglio dal geometra G. B. Elia, e le sole fondamenta importavano la somma di 35.000 lire.

                La notizia di quella costruzione faceva rumore in città. I cittadini correvano in Valdocco ad assicurarsi coi propri occhi. E non tutti vedevano la cosa per diritto. - Come farà D. Bosco ad andare avanti? chiedeva uno.

                 - Si caricherà di debiti! - diceva l'altro.

                 - Pio IX gli darà i danari! - soggiungeva quegli.

                 - A meno che non abbia trovato un tesoro! - esclamava questi.

                - Finirà con una bancarotta! concludevano.

                Tutti avevano la loro sentenza da dire. Mille dicerie correvano sul conto di D. Bosco. Ma D. Bosco proseguiva nei lavori senza badare alle ciarle.

                Appena incominciate le costruzioni gli era consegnata una lettera del Can. Gastaldi.

 

                Viva Gesù

Via Giulio, 20 - Torino, 5 maggio 1864.

 

                               Carissimo Don Bosco,

 

                Mi rincresce assai che V. S. abbia lasciato dar mano alla fabbrica senza prima avere a voce od in iscritto il mio parere; chè presentemente non si può più fare ogni cosa secondo le nostre previe intenzioni. E mi rincresce anche che quest'oggi, malgrado la nostra intelligenza di trovarci amendue dall'architetto, V. S. se la sia svignata da Torino: che in tal modo non potremmo giammai intenderci su nulla. - Io nullameno fui dall'architetto, e conchiusi con esso: I° di abolire amendue i campanili che sono ora nel disegno, 2° di lasciare così aperta la via alle cappelle laterali dalla porta delle sacrestie, 3° di incorporare l' atrio della chiesa, sostenendo l'orchestra con due colonne in pietra. Riguardo al tamburo della cupola e alle finestre nella volta della navata avremo tempo, a pensarvi.

                La cosa sulla quale V. S. deve immediatamente decidere è il luogo da erigere il campanile; locchè dipende dalla parte in cui si intende di fissare la sacrestia, conciossiachè il campanile debba essere attiguo e quasi incorporato con questa, sia perchè sia facile il suonare le campane, e per quanto è possibile senza che si abbia a uscire dalla sacrestia, sia perchè il sacrestano non abbia da passare troppo spesso innanzi al [654] l'altare del SS. Sacramento. Ora la sacrestia in questa chiesa dovrebbe essere collocata dalla parte di ponente, perchè, se non erro, V. S. erigerà un muro di cinta dalla Chiesa alla punta del suo fabbricato attuale, e quindi dal levante il pubblico non avrà accesso alla sacristia dal di fuori, ma per contro il pubblico avrà dal di fuori solo accesso alla sacrestia dalla parte di ponente: dunque da questa parte si dovrà collocare il campanile.

                V. S. ne parli immediatamente coll'architetto, e mi creda sempre Suo aff.mo servo ed amico

 

L. GASTALDI.

 

                Il 7 maggio il buon Canonico da Bologna, dove avea incominciato una missione nel duomo, scriveva altra lettera a D. Bosco insistendo che fossero adottate le sue proposte, accettate dall'architetto Spezia. Quindi insisteva per ottenere “che si disponessero le porte delle due sacrestie in modo, che si possa andare da queste nel coro e dall'una all'altra senza bisogno di passare in presbiterio, siccome sarebbe il caso quando le aperture della sacrestia verso l'altar maggiore si lasciassero come sono attualmente. Che sia necessario passare dalla sagrestia nel coro, e dall'una sagrestia all'altra senza attraversare il presbiterio, è cosa chiara per due ragioni principali: I° Perchè è cosa che disturba le funzioni e che fa brutto vedere quando la gente va e viene pel presbiterio. 2° Perchè, non si può mai ottenere che chi va e viene innanzi al SS. Sacramento vi genufletta sempre nel debito modo, ecc. ecc.”

                D. Bosco in parte accondiscese ai consigli dell'amico, aggiungendo al disegno due altre porte nelle sagrestie a fianco dell'altar maggiore, sicchè si potesse andare dall'una all'altra passando nello stretto spazio tra questo e il muro. Egli però per ovviare ad altri inconvenienti, pensava di costrurre il coro con due nuove sagrestie laterali, opera non ancor segnata nella mappa e che si sarebbe eseguita quando la chiesa fosse terminata. Incorporò l'atrio alla chiesa, ma non abolì i due campanili, praticando in essi un passaggio per andare alle cappelle. [655] Così accomodato il disegno della Chiesa si rivolse con una lettera circolare ai fedeli e ne mandò copia stampata in quasi tutta l'Italia settentrionale e centrale.

 

                               Benemerito Signore,

 

                Mentre la città di Torino va crescendo, ogni di più di fabbriche, e la sua popolazione aumenta continuamente, cresce eziandio il bisogno di nuovi edificii consacrati all'esercizio della nostra religione. Tra le altre parti della città questo bisogno si fa sentire vivamente nel quartiere denominato Valdocco (I), ove in mezzo a circa 30.000 e più abitanti non è altra Chiesa di mia certa capacità fuorchè la Chiesa parrocchiale del Borgo di Dora (2) la quale tuttavia non può contenere più di un 1500 persone.

                Esistono bensì nel distretto di questa parrocchia le Chiesette della Piccola Casa della Divina Provvidenza e dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove ne' giorni festivi si dà accesso al pubblico, ma sì l'una che l'altra non bastano pure al servizio delle oltre modo numerose comunità per cui esse furono innalzate, ed appena è che vi rimanga luogo per pochi estranei.

                Desiderando adunque di provvedere all'urgente bisogno degli abitanti di Valdocco e di molti giovani, i quali ne' di festivi vengono all'Oratorio dalle varie parti della Città, e che non possono più capire nella Chiesetta attuale, ho deliberato di mettermi all'opera per costruruire una Chiesa abbastanza capace di corrispondere a questo doppio scopo e la quale possa anche coi tempo erigersi in parrocchia, quando  l'autorità ecclesiastica lo giudichi opportuno. Un benemerito ingegnere ne compì il disegno in forma di croce latina, che fu già approvato dall'autorità competente: lo spazio interno sarà di circa 1.000 metri quadrati; la spesa ascenderà a circa L. 200.000.

                La Chiesa sorgerà in via Cottolengo sopra un arca che fu acquistata per la liberalità di alcune pie persone, e che è attigua all'attuale edifizio dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Gli scavi sono già ultimati e si è già dato mano a costrurre le mura delle fondamenta.

                Per condurre a compimento questa Santa Opera non avendo i mezzi necessarii, non posso far altro che mettere ogni mia fiducia nella Divina Provvidenza e raccomandarmi alla carità dei divoti di Maria, fra i quali penso di potere con ragione annoverare la S. V.

                Dico dei divoti di Maria, perchè appunto a onore dell'Immacolata Madre di Gesù Cristo, sotto il titolo di Auxilium Christianorum, ossia aiuto dei Cristiani, sorgerà questo sacro edifizio. Mentre si spera che esso sia per molte persone istrumento di eterna salvezza, sarà pure [656] un tributo della, nostra gratitudine a Maria SS. pei benefici ricevuti ed un invito a questa nostra Madre pietosa di proteggerci sempre per l'avvenire, ed aiutarci a mantenere nella nostra città la fede e la pratica di tutte le virtù cristiane.

                A Lei pertanto io faccio umile ricorso. Qualunque somma di danaro, qualunque oggetto, fossero anche materiali per la costruzione, sarà con viva riconoscenza ricevuto. Ci vorranno tre anni a compiere quest'opera, epperò V. S. se nol può presentemente potrebbe forse concorrere più tardi.

                Le unisco pertanto alcune schede per Lei e per quelle caritatevoli persone che Ella giudicasse proporre a simili opere di pubblica beneficenza.

                Ove qualche scheda fosse segnata secondo il modulo annesso, le fo umile preghiera di volerla spedire al mio indirizzo per norma dei lavori a farsi.

                Qualora non avesse altro mezzo per far pervenire a destinazione quello che la sua carità le inspira, potrebbe farlo per la sicura via di vaglia postale.

                Io l'assicuro che ho viva fiducia che quanto E Ila sarà per fare in questo caso eccezionale, le meriterà certamente copiose benedizioni dalla Beata Vergine Maria nelle cose spirituali ed anche nelle cose temporali.

                Infine la prego di dare benigno compatimento al disturbo che li cagiono, e gradire che li auguri ogni bene dal Cielo, mentre colla più sentita gratitudine reputo a grande onore di potermi professare,

                Di V. S. Benevola

 

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

ANNOTAZIONI.

 

                (I) Questo quartiere si chiama Valdocco dalle iniziali Val. Oc. Vallis occisorum ossia Valle degli uccisi, con cui anticamente denominavasi questa valle per essere stati quivi martirizzati i Santi Avventore ed Ottavio. Ecco il perchè questa parte della città è così benedetta da Dio da essere coperta di pii e caritatevoli istituiti. Essa fu inaffiata dal sangue dei martiri.

                (2) Dalla Chiesa parrocchiale dei Borgo Dora tirando una linea fino alle Chiese della Consolata ed a quella di S. Donato, dipoi volgendo zitta Regia fucina delle canne fino al fiume Dora, havvi uno spazio coperto di case, ove hanno stanza oltre a 35, 000 abitanti tra cui non esiste alcuna pubblica Chiesa. [657] A questa circolare D. Bosco univa una scheda di sottoscrizione[57].

                Abbiamo ancora lettere di parroci e altri sacerdoti che, rispondendo premurosamente rimettevano a D. Bosco le loro generose sottoscrizioni. Egli perfino in certi indirizzi aveva usati titoli e frasi, che lì avevano commossi, come consta da alcune lettere, che possediamo. In una sovrascritta si legge: - Maria SS. Ausiliatrice si raccomanda al suo fedel servo.... Perchè l'aiuti a costrurre la sua Chiesa.

                Nello spedire il pacco delle circolari a coloro che aveva scelti per distribuirle, alle signore più distinte per bontà e religione, indirizzava il seguente biglietto.

                “Maria Ausiliatrice si raccomanda alla sua divota, affinchè si adoperi a spacciare le lettere e le schede unito (di sottoscrizione) e di ritirarle firmate dagli altri suoi divoti. Questa Madre celeste non cederà in generosità verso le sue figlie che per suo onore lavorano in terra, e che Ella attende tutte per premiarle un giorno in cielo”.

                I divoti di Maria corrisposero generosamente; D. Bosco, secondo soleva fare in questi casi, teneva registro delle lettere spedite e poi notava le somme ricevute o promesse. Fra i benefattori che in questo anno concorsero alle prime spese della Chiesa troviamo:

                Sig. Anglesio farmacista                                                   L. 2000 [658]

                Marchesa Maria Fassati                                                  L. 1000

                D. Franco di Troffarello                                                   „    100

                Cav. di Villanova e suoi amici                                          3000

                Madama Raimondo                                                           1000

                Marchese Fassati Domenico                                             1000

                Dam. Vallauri Teresa                                                            500

                Contessa Callori                                                                     900

                Dam. Prato                                                                              500

                Conte Carlo De Maistre                                                        800

                Contessa Sofia de la Piere                                                                   100

                Marchese Brìgnole Sale                                                         100

                Donna Angela Dupraz                                                         1000

                Il Marchese Fassati Domenico pagherà                           8000

                Il Can. Gastaldi darà                                                            2000

                Baron Bianco di Barbania pagherà la porta maggiore colle debite ferramenta.

                Conte Cays Carlo, la campana pel campanile.

                Nico Michele i vetri di tutte le finestre.

                Bosco di Rufino cav. Alerano l'altare maggiore.

                Omettiamo gli oblatori di minor conto per non essere troppo prolissi.

                Ma fra i primi oblatori fu il Sommo Pontefice Pio IX, il quale, informato da D. Bosco della necessità e del divisamento di erigere una chiesa in Valdocco dedicata a Maria SS., aveva mandato tosto la sua preziosa offerta in lire 500 facendo sentire, che Maria Ausiliatrice, sarebbe stato un titolo certamente gradito all'Augusta Regina del Cielo. Accompagnava l'offerta con una speciale benedizione a quelli che colle loro oblazioni fossero per cooperare all'edificazione e al lustro della nuova Chiesa, aggiungendo:

                “La nostra piccola ma cordiale offerta abbia più generosi emulatori, e la Santa Vergine dal cielo moltiplichi le sue benedizioni sopra tutti coloro che dànno mano per edificare la casa del Signore. Sì cooperi a promuovere la gloria della Madre [659] di Dio in terra e così accrescasi il numero di quelli che un giorno le faranno gloriosa corona in cielo”.

                L'Unità Cattolica del I° maggio annunciava la beneficenza di Pio IX e concludeva l'articolo con queste parole: “Si spera che nel mese di maggio verranno gettate le fondamenta dei sacro edifizio, il quale sarà dedicato a Maria Auxilium Christianorum, sia per rendere grazie all'Augusta Madre di Dio pei benefizi ricevuti, sia per meritare ognor più la sua efficace protezione in avvenire. Chi volesse fare qualche offerta per questo oggetto potrebbe con vaglia postale, o con altro mezzo a lui più comodo, farla pervenire al Sacerdote Bosco Giovanni”.

                Anche il Governo di S. Maestà mandava, quantunque per altro scopo, un sussidio.

 

                REGIO ECONOMATO GENERALE

                DEI BENEFIZI ECCLESIASTICI.

 

                L'Economo generale sottoscritto annunzia con premura a V. S. che il Governo di S. Maestà si è degnato concederle sulla tesoreria di questo Economato generale la somma di lire cinquecento, da impiegarsi nei tre Oratorii da lei diretti, con obbligo di far constare all'Economato generale dell'impiego della somma concessa nell'uso sovraccennato ......

 

                Torino, il 21 giugno 1864.

 

L'Economo generale reggente

FENOGLIO.

 

                L'avvocato Fenoglio era succeduto in quella reggenza al Cav. Vacchetta, che, spinto dalle accuse maligne e dagli insulti della Gazzetta dei Popolo, aveva date nel febbraio 1864 le sue dimissioni. Non si voleva più alcun prete nell'azienda economale e così venivano ripagati i servigi resi da lui allo Stato con gran danno della Chiesa e della sua coscienza. Egli però aveva favorito l'Oratorio. Benchè ambizioso, ligio al Governo e altero con tutti, erasi mostrato [660] umile e riverente verso D. Bosco e unicamente di lui volle servirsi per certi ricorsi a Roma. Non gli erano mancati gli avvertimenti dell'uomo di Dio; ed ora disgustato per sì grave affronto e tornato in sè, chiedeva ed otteneva, dopo alcuni giorni di pio ritiro, l'assoluzione dalle censure. E fu sua grande ventura, perchè la morte coglievalo il 21 Agosto di questo stesso anno.

                Intanto la stamperia aveva procurato agli associati delle Letture Cattoliche il fascicolo di maggio: Episodii ameni e contemporanei ricavati dai pubblici monumenti dal Sacerdote Bosco Giovanni. Fra l'altro vi si legge la conversione al Cattolicismo del protestante Giovanni Enrico Beher, alcuni brevi cenni sulla vita del Can. Giuseppe Cottolengo; varii fatti di Pio IX; e alcune grazie della Madonna e specialmente il miracolo di Re nella Valle Vigezzo.

                Pel mese di Giugno si andava stampando il fascicolo intitolato: Il cercatore della. Fortuita (nelle miniere aurifere della California). La conclusione del racconto era: “Le ricchezze non rendono felici gli uomini”. Come appendice havvi una piccola tavola cronologica della Storia sacra e della Storia ecclesiastica; ed una grazia ottenuta per intercessione di Savio Domenico. Anche in questo fascicolo si vede la mano di D. Bosco.

 

 

CAPO LXV. Le scuole elementari diurne, le serali, le festive e quelle di canto nell'Oratorio - Il mese di maggio - D. Bosco parla in pubblico e chiede se tutti i giovani in questo mese onorino la Madonna - In conferenza generale manifesta ai socii la missione celeste a lui affidata - Annunzia quali siano i giovani che non si meritano di stare nell'Oratorio - Accoglie nella Casa un orlano raccomandato dal Conto Cibrario - La Commedia latina - D. Bosco narra di un fanciullo guarito dalla Madonna di Spoleto - Ordinazioni Sacerdotali - Testimonianza di grazia concessa da Maria SS. Ausiliatrice per le benedizioni di D. Bosco - Parlata di D. Bosco: Un giovane causa della morte della propria madre: un alunno il quale prepara una simile sorte al padre suo. Il Municipio di Torino promoveva a tutto suo potere l'istruzione popolare e amava constatarne i progressi anche colle statistiche degli istituti privati della città. Quindi dall'Assessore Municipale Baricco, venivano chieste a D. Bosco notizie delle scuole inferiori dell'Oratorio.

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Desiderando di formare con esattezza la statistica delle scuole dell'anno corrente, mi volgo alla cortesia della S. V. Ill.ma per avere le seguenti indicazioni

                I° Nomi, cognomi, patria ed età degli insegnanti nelle scuole elementari ivi stabilite, delle classi serali e delle scuole festive.

                2° Numero massimo degli alunni e numero delle classi. [662] Non fa d'uopo che gli insegnanti nelle scuole serali e festive abbiano le patenti: queste sole si richiederebbero nelle scuole elementari, diurne; anzi a me basta che vi sia un solo.

                La ringrazio anticipatamente e mi dico, Della S. V.

 

                Torino, 10 aprile 1864.

 

Dev.mo Servo

Ass. BARICCO.

 

                La risposta di D. Bosco, in data del 2o aprile, ci dà un'altra idea particolareggiata dell'Oratorio e del suo ordinamento. Anche di tutte le scuole inferiori era Direttore Don Ruffino Domenico di Giaveno, essendo egli pure maestro Elementare Superiore. Le scuole serali elementari, divise in tre classi, coi proprii maestri contavano 105 scolari. Le scuole festive con quattro classi, ognuna corrispondente ad un progressivo periodo d'istruzione, accoglievano 185 giovani. La scuola elementare, unica, diurna, si divideva in due sezioni con 90 alunni, in una delle quali insegnava Miglietti Giacomo di Occhieppo.

                Le scuole serali di musica vocale, dirette dal Maestro Don Cagliero Giovanni di Castelnuovo d'Asti, erano quattro e gli allievi 83 Quelle di canto Gregoriano sei, e 161 i cantori.

                Quella di musica istrumentale avea 30 allievi, dei quali era maestro Massa Francesco di Torino, membro della musica della Guardia Nazionale, e direttore Buzzetti Giuseppe di Carron Ghiringhello.

                D. Bosco, dopo aver contentato colla solita cortesia l'assessore municipale, ne' primi giorni di maggio aveva dovuto per breve tempo allontanarsi da Torino, mentre nell'Oratorio colla lettura del solito libretto, coi fioretti e colle giaculatorie giornaliere, si dava principio al mese della Madonna. Il Santo Rosario continuava a dirsi al mattino; e alla sera alle ore 7 si andava in chiesa per la benedizione.

                Così leggiamo nella Cronaca, la quale prosegue nella narrazione di ciò che accadde nel mese di maggio. “Appena ritornato [663] a casa, D. Bosco prese a parlare ai giovani alla sera, quando le occupazioni glielo permettevano. Ecco uno di questi discorsetti.

 

                Chi sa se tutti i giovani facciano bene il mese di Maria? Se Maria SS. parlasse da quella statua direbbe che molti lo fanno bene, sono infervorati ed il numero di questi è grandissimo e di molto superiore a tutti gli altri meno amanti di questa buona Madre. Altri fanno qualche cosa per onorarla, ma poco: un giorno saranno tutto fervore e un altro tutto ghiaccio: ora fanno un fioretto, ora trasgrediscono i loro doveri, ora pregano, ora parlano e disturbano in chiesa: vorrebbero servire a due padroni. Altri poi fanno niente di bene: non bestemmiano perchè nessuno li fa andare in collera, non rissano perchè non sanno con chi, non disturbano in chiesa ma neppure pregano. Altri finalmente vanno più avanti; non solo fanno poco, o fanno niente, ma fanno male. Se possono sfuggire dalle pratiche di pietà, lo fanno volentieri; se possono avere un compagno della loro risma, non mancano di mettersi subito a censurare i superiori, le regole ed ogni cosa che loro non vada nel genio. Se si tratta di disobbedire non patiscono scrupoli di coscienza. Ora Maria ai primi fa coraggio e promette un gran bel premio. Ai secondi dice: Lavorate: temete forse che io non sia per pagarvi abbondantemente? Ai terzi dice quasi lo stesso che ai secondi: Non stancatevi, perseverate e sarete contenti. Agli ultimi poi dice nulla, ma volta la faccia indietro, guarda il suo Divin figlio e piange e lo supplica ad usar loro misericordia.

 

                 La Domenica 8 maggio D. Bosco tenne la conferenza generale di tutti i membri della Società di S. Francesco di Sales. Fu una seduta che segna epoca, avendo D. Bosco palesato ciò che prima d'ora non aveva mai detto: - Vi radunai stasera per dirvi alcune cose che riguardano l'origine della nostra società: quello cioè che le diede l'occasione e l'impulso. Premetto per altro che intendo obbligare ciascheduno di voi a non parlarne con altri fuori di quelli della Società. - Quindi prese a dire come fanciullo e poi chierico incominciasse a prendersi cura dei giovanetti, avendo conosciuto fin d'allora il bisogno che avevano di essere coltivati, e la facilità colla quale si lasciano piegare, allorchè vedono che si desidera il loro bene. Descrisse il principio degli Oratorii festivi a S. Francesco d'Assisi, il suo passaggio al Refugio, e poi il suo licenziamento, i sogni [664] (che chiamò visite) i quali mostravangli casa Pinardi, le trasmigrazioni ai Molini di città, a S. Pietro in Vincoli, a casa Moretta, al prato Filippi: le tende piantate stabilmente in casa Pinardi. Narrò come la mano di Dio avesse colpiti tutti coloro che si erano opposti alla sua impresa. Palesò i due sogni nei quali aveva visto i preti, i chierici, i giovani che la Provvidenza avrebbe posto sotto la sua direzione: il primo sogno colla chiesa portante scritto sul frontone, Haec est domus mea: inde exibit gloria mea: il secondo sogno del viale e pergolato di rose. Enumerò tutte le difficoltà sorte in sul principio, ma vinte coll'aiuto di Dio; disse come prima l'Arcivescovo Fransoni chiamatolo presso di lui lo esortasse a perpetuare l'opera degli Oratorii e come Pio IX nel 1858 gli avesse dato esso stesso la base della nostra Società. Concludeva: - Narrai al Papa tutte le cose che ora paleso a voi. Nessun altro mai le seppe. Ma taluno potrà dire: queste cose tornano a gloria di D. Bosco! Niente affatto: a me tocca solo di rendere un conto tremendo intorno a quello che avrò fatto nell'adempiere la volontà divina. Con questo disegno manifestatoci dal Signore io sono sempre andato avanti e questo fu l'unico scopo di quanto fin'ora operai. Questo è il motivo per cui nelle avversità, nelle persecuzioni, in mezzo ai più grandi ostacoli, non mi sono mai lasciato intimorire ed il Signore fu sempre con noi.

                “Non si può descrivere, continua la cronaca, la profonda impressione che fece e l'entusiasmo che destò simile rivelazione”.

                “Il giorno dopo D. Bosco dava agli alunni un importante avviso perchè gli spensierati facessero giudizio.

                Abbiamo più solamente un terzo dell'anno scolastico da passare ed io desidero che lo passiamo bene. Per questo motivo credo sia opportuno il dirvi ciò che faremo in questo tempo, affinchè non vi accada nulla che vi tomi nuovo e siate informati di tutto; eziandio perchè desidero che voi diciate tutto a me, così io dico tutto a voi. [665] Vi dirò adunque che in questo mese nell'Oratorio vi è l'usanza che i professori, gli assistenti, e gli altri superiori, eccettuato D. Bosco, si radunino per un affare particolare. E qual è questo affare particolare? domanderete voi. Si radunano per dare il loro giudizio e il loro voto sii quei giovani che non fanno per la casa e che quindi non saranno più accettati nell'Oratorio per l'anno venturo. Io spero tuttavia, che fra i nostri giovani non ci sarà alcuno il quale si meriti questo brutto regalo. - E chi sono coloro, voi domanderete ancora, che possono essere messi nel numero di quelli che non fanno più per la casa? Vi dirò. I° Tutti coloro i quali ne avessero fatta qualcheduna grossa o per insubordinazione, o per furto, o per altro. Sembra talora che certuni siano tollerati un po' troppo, che si chiuda un occhio, che non si vada a rigor di giustizia. Date tempo al tempo e il sabato viene per tutti. Talora certi riguardi dovuti ai parenti, ai benefattori, alla condizione eziandio del giovane, portano che i superiori agiscano con longanimità.

                2° Quelli che fossero di scandalo agli altri o colle parole o colle opere.

                3° Quelli che dimostrano di non avere più volontà di stare all'Oratorio. E chi sono coloro che vogliono starsene alle case loro? che qui stanno li tal volentieri? Si giudica che stiano mal volentieri quelli che hanno sempre da criticare qualche cosa, ora una disposizione dei superiori, ora un articolo delle regole; ora si lamentano del cibo, ora dell'Oratorio; quelli che cercano sottrarsi alla presenza dei superiori, o che nella scuola non vogliono assolutamente studiare, ovvero recano guasti qua e là nella casa. Tutti costoro si mettono nel numero di quelli che non fanno più per L'Oratorio e da non più accettarsi per l'anno venturo. Il motivo della nostra decisione è questo: noi andiamo avanti con questa regola; noti vogliamo tenere nessuno per forza.

                Chi vuole state stia volentieri: e non basta star volentieri col cuore, bisogna dimostrarlo anche all'esterno, col farsi vedere soddisfatti di tutto ciò che i superiori vanno disponendo. Se D. Bosco stesse qui per guadagnar danaro si potrebbe capire perchè tenga anche giovani brontoloni e cattivi. Ma siccome noi noti lavoriamo per interesse, così vogliamo che i giovani siano tutti buoni, o almeno dimostrino la buona volontà di farsi tali; e siano contenti. Ma, come io diceva, spero che noti ci sarà nessuno il quale andando a casa per le vacanze si veda poi arrivare dietro una lettera diretta ai genitori coll'invito di collocare altrove il loro figliuolo, non essendoci qui più posto per lui. A tutti i modi io non intendo con queste mie parole di gettare in voi lo sgomento. Voglio solo che siate avvisati. Coloro ai quali la coscienza rimproverasse di meritarsi un simile voto, non potrebbero mettersi a tutt'uomo sulla buona strada e cangiar totalmente di condotta? Facciano la prova, si raccomandino alla Madonna. E chi sa che al fin dell'anno noti possano schivare una così brutta figura. [666] Il giorno io un giovane si presentava a D. Bosco consegnandogli un biglietto di raccomandazione.

                “Il Conte Cibrario raccomanda vivamente al Cav. Sac. Bosco la supplica del presente, la cui preghiera è degna di tutti i riguardi che suole usare nei casi di vero bisogno l'illuminata pietà dell'egregio Sacerdote prelodato. - 10 Maggio. Cibrario”.

                Il Conte trattava D. Bosco con un'amicizia confidente, che non temeva ripulse. Infatti D. Bosco accettò quel giovanetto, poichè nulla poteva negare a quel suo benefattore che in tante occasioni lo aveva soccorso, e presso il Re e presso le altre autorità faceva buoni uffizi in suo favore.

                “Giovedì 12 Maggio i giovanetti delle scuole dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dell'ottimo D. Bosco rappresentarono una commedia latina scritta da Monsignor Rosini che fu Vescovo di Pozzuoli. La Commedia ha per titolo Phasmatonices ossia il vincitor delle fantasime e venne Corretta, massime per la parte metrica, dall'egregio filologo latino il Padre Palombo della Compagnia di Gesù. Onorarono lo spettacolo colla loro presenza varii cospicui personaggi fra cui Monsignor Balma vescovo di Tolemaide. Tutti restarono meravigliati nell'udire limpida e schietta la parola dalle labbra di quelli intelligenti giovanetti. Pareva che parlassero nella loro natia favella, tanta era la naturalezza e la disinvoltura con cui erano condotti quei dialoghi. Sappiamo che gran parte del merito vuolsi attribuire al giovane sacerdote Francesia, cultore assiduo delle lettere latine, che preparò i giovanetti attori a quella rappresentazione. In tanto deperimento degli studi classici non possiamo che congratularci col Signor D. Bosco, il quale con tanto zelo li promuove tra i giovani del suo Oratorio”. Così l'Unità Cattolica 14 Maggio 1864.

                La sera seguente, narra la cronaca, D. Bosco raccontava: [667] In una grossa terra dei Bolognese un fanciullo di assai agiata famiglia, di poco oltre ai nove anni in sul cominciare della primavera dell'anno scorso 1863, venne colto da sì violenta febbre sinocale che in pochi giorni lo condusse a termini di morte. L'arte dei medici a nulla più valeva e per la gravità del morbo e perchè non v'era modo di far inghiottire al fanciullo che si fosse. Le cose erano venute a tale punto che ai medici stessi pareva non dovessero rimanere al giovanetto che poche ore di vita. I genitori che niente altro avevano al mondo a cui volessero meglio che a questo figlio, disperando di salvarlo si abbandonavano ad inconsolabile pianto. Quand'ecco alla madre balenare in niente un pensiero certamente ispiratogli da Maria SS.. Donna di religione e pietà singolare aveva letto la narrazione dei prodigi dell'immagine di Maria nelle vicinanze di Spoleto, scritta da quell'illustre Arcivescovo che da più di otto mesi è chiuso in carcere in odio alla religione. Ella tosto pensò che solo la Vergine SS., avrebbe potuto serbare in vita l'amato figliuolo e piena di fede si avvicina all'inferno e dice: - Prometti alla Madonna di Spoleto: che se Ella si degna di risanarti, tu, andrai a visitarla nella sua piccola cappella.

                Aveva appena il fanciullo finito di proferire a stento le parole suggeritegli dalla madre che l'aggravarglisi del male e l'uscire di sentimento fu là medesima cosa. Ma nel suo vaneggiare continuo, egli non parlava d'altro che di questo viaggio. Ora” voleva i panni per la partenza, ora si credeva di essere già in cammino, ora di veder l'altare e venerarne l'immagine santa. Ma ad un tratto tacque e rimase immobile sicchè pareva morto. Cosi tutti avevano creduto; ed ecco come se si scuotesse da un profondo letargo, sorridere agli astanti, muovere gli occhi pieni di vita e riaversi così rapidamente, che in meno di due giorni i medici con loro stupore lo videro guarito. E, fu quindi condotto dai genitori ebbri di gioia a sciogliere il voto. Maria Auxilium Christianorum ora Pro nobis.

 

                “Il 21 maggio in Torino, nella Chiesa de' Lazzaristi, venivano ordinati sacerdoti da, Mons. Balma, D. Carlo Ghivarello, D. Giovanni Boggero, D. Giovanni Bonetti e D. Giovanni B. Anfossi. Nello stesso giorno D. Celestino Durando a Mondovì riceveva l'ordine del presbiterato da Monsignor Ghilardi.

                Frattanto continuavano i lavori nelle fondamenta della Chiesa e la Madonna Ausiliatrice continuava a concedere grazie ai suoi divoti. La Contessa Cravosio Anfossi così scriveva a D. Rua nel 1891 [668]

                Nell'anno 1864 in seguito a varii dispiaceri ho sofferto una fortissima emorragia di sangue al naso: questa si rinnovò più volte, ma la seconda volta pareva che si fosse rotta qualche vena. Non volendo cessare quella perdita di sangue, mi confessai al letto. A forza di rimedi il male cessò, ma al menomo cangiamento di atsmofera o al più piccolo disordine si rinnovava l'emorragia, che mi cagionava un male estremo tanto fisico che morale. Andai a trovare D. Bosco pregandolo di darmi la benedizione della Madonna. D. Bosco mi disse: Ma se cessando quello sfogo succedesse poi altro malanno? - D. Bosco, gli ho risposto, si aggiusti lei con la Madonna, perchè se mi fa la grazia, come spero, la farà completa. - Allora D. Bosco accese due candele; io mi posi in ginocchio, sentiva che il Venerabil Servo di Dio diceva delle orazioni in latino, pregava affinchè Maria SS. liti ottenesse la liberazione da tutti i pericoli del sangue. Piena di fiducia nella bontà della Madre di Dio e nelle preghiere del suo prediletto D. Bosco, era sicura di ottenere la grazia. Di fatti non ebbi mai più a soffrire emorragie di sangue al naso di tanto in tanto nei cangiamenti delle stagioni mi sentiva a cadere due o tre goccioloni di sangue, poi cessare all'istante senz'altro seguito, nè danno della mia salute.

                Quante volte ho sentito a narrare delle guarigioni veramente miracolose da persone autorevoli e degne di fede. La Chiesa di Maria Ausiliatrice è stata edificata a forza di grazie straordinarie, ottenute dalla Madonna per intercessione del nostro Venerato Padre D. Bosco.

                Possa quest'umile esposizione fatta con tutta sincerità e coscienza contribuire ad ottenere ciò che tanti desiderano di cuore, cioè di vedere, quanto prima il Servo di Dio Don Giovanni Bosco venerato su gli altari ed onorato con il culto dei Santi.

CRAVOSIO ANFOSSI.

 

                In questo mese un alunno aveva commessa una grave mancanza, ed era fuggito dall'Oratorio. Il padre lo aveva ricondotto, ma non essendo riaccettato, per mezzo del parroco riusciva poi ad indurre i superiori ad usare clemenza. A in questa occasione che D. Bosco tenne ai giovani un di quei suoi rari discorsi che giustificavano la condotta dei superiori in quel caso, infliggevano il dovuto biasimo al colpevole, e infondevano negli altri alunni un aborrimento salutare a tutto ciò che disonora un giovanetto cristiano. [669]

                Son dodici anni fa che un giovane educato in buoni principi da sua madre, partiva dalla casa paterna per portarsi alla capitale a farvi i suoi studii. Oh quanto alla buona madre stringevasi il cuore per questa partenza. Ella era in grave timore che suo figlio venisse sviato dai retti sentieri della pietà e della religione. Il giovane tentò di rassicurarla e promise che non avrebbe mai dimenticati gli ammonimenti materni. Andò, stette qualche tempo, poi fece ritorno a casa. Il primo incontro colla madre fu tutto di amplessi, di baci, di dimostrazioni di affetto da una parte e dall'altra. Ma il figlio non era più quel di prima: i compagni cattivi e le cattive letture, avevano corrotto l'inesperto giovane. La madre non stette molto ad accorgersene. Non era più obbediente, non voleva più star ritirato, non più accostarsi ai Sacramenti. Desolata la povera madre tentò di correggerlo, ma inutilmente. Ritornò agli studii ed ai primieri amici. La madre si affliggeva, piangeva, spesso gli mandava avvisi i più affettuosi, ma tutto era inutile. La madre finì col logorarsi tanto dal dolore che cadde ammalata. Questa notizia scosse un poco il giovane, ma poi ritornò a divagarsi e alle sue dissipazioni. Tornato a casa si lusingò che la madre sarebbe guarita, ma una notte mentre dormiva sente aprir l'uscio della sua camera e sua sorella gridargli: - Presto, presto, se vuoi vedere ancora una volta la tua madre, prima che muoia. - Si alza in fretta si veste, corre al letto della madre e la vede presso all'agonia fuori dei sensi. Il suo cuore allora si commuove: il pensiero di averle dato tanti disgusti, di essere egli forse la cagione della sua morte lo assale e s'impossessa più e più di lui: guarda la mamma cogli occhi lagrimosi, la chiama le stringe la mano e grida: - Mamma, mamma, mi perdonate le mie mancanze? Ditemi ancora una parola, ditemi che mi perdonate: Poi la guardava, poi si voltava agli astanti e chiedeva con viva ansietà: - Ha detto qualche cosa? Ha detto qualche parola? - Ma nessuno parlava, perchè la madre non aveva risposto che col rantolo dell'agonia. Egli allora supplicando ancora di più con voce straziante: - Mamma! pronunciate questa sola parola: ti perdono! - Ma la madre in quell'istante spirava. Il meschino allora si sente cadere addosso un ferreo peso. Il pensiero di aver accelerata la morte di sua madre lo accompagna dovunque, cerca di distrarsi, intraprende viaggi, si dà a divertimenti, ma il mesto aspetto di sua madre moribonda gli sta sempre innanzi e sono sei anni che continua a ripetere di non poterlo dimenticare.

                Anche noi ne abbiamo uno di questi giovani che sarà certamente la cagione della morte di suo padre. Povero padre! Bisognava vederlo stamattina a chiedere pietà pel suo figlio, il quale doveva ritornare a casa non essendo più qui possibile la sua permanenza. Venne in mia camera, voleva quasi gettarsi in ginocchio, con tanto cuore chiedeva che il figlio fosse perdonato e riaccettato. Il figlio, chè avealo menato seco, [670] stava insensibile, non curante, come non si trattasse di lui. Io che vedeva tanto cruccio dipinto sulla faccia del padre e niente su quella del figlio, considerava come lo scandalo dato fosse tale da non doversi perdonare. Mi sentiva però le lagrime agli occhi e dovetti mandarlo al sig. Prefetto. Quel povero padre si raccomandava a tutti, ai maestri, agli assistenti, perfino al portinaio.

                Figliuoli, ricordatevi che è una gran disgrazia esser cagione di dolore ai proprii parenti. Dio maledice chi li fa piangere.

                Finalmente il povero padre tornato al paese pregò tanto il suo Vicario parrocchiale che lo indusse ad interporre la sua mediazione, e il giovane si riaccettò a patto che riparasse allo scandalo con una penitenza, e col cambiare condotta. Ma adesso sarà convertito? Se il Signore non gli muta il cuore, appena abbia un'occasione, tornerà a fuggire. Le lagrime del padre commossero tutti; lui solo non ne fa commosso; e così finirà coll'essere cagione della morte di suo padre e col perdere se stesso. Povero giovane! fa compassione. Preghiamo per lui perchè il Signore gli tocchi il cuore. Il suo male sta tutto qui; ebbe la disgrazia di frequentate compagni cattivi che gli insegnarono la strada della perdizione. Solo una grazia del Signore potrà cambiare quella testa! Domani perciò e dopo domani qualcuno di voi faccia la santa Comunione per questo compagno traviato e chi sa che il Signore non abbia riguardo alla vostra carità e lo converta. Sarebbe questo per voi un bel guadagno.

 

 

CAPO LXVI. Orario estivo nell'Oratorio - D. Bosco non rimprovera alcuno senza aver prima dato tempo alla riflessione - Guarisce dal male agli occhi per intercessione di Besucco - Conclusione di una sua predica: in punto di morte nessuno è contento del male che ha fatto - La novena della B. V. della Consolata - Epitaffio per una benefattrice - Parlate di D. Bosco: causa della freddezza dei giovani nelle pratiche di pietà e nell'onorare Maria SS. - Annunzia l'esercizio di Buona Morte, che per un alunno sarà l'ultimo di sua vita - Raccomanda tre pensieri - Alcuni giovani hanno fatto male l'esercizio della Buona Morte; chi non è in grazia di Dio vi si metta: i buoni siano perseveranti: nessuno critichi  i compagni per le loro pratiche di pietà - Parole severe a due alunni - Spiega perchè da taluni si la poco conto della confessione - Espone con quale frequenza debba un  giovane accostarsi alla S. Comunione - Avvisa per la  festa della Consolata: per gli esami finali: esorta che si chieda a Maria SS. la grazia di far sempre bene la Comunione, a S. Litigi di tener staccato il cuore dalle cose della terra -Ricorda il dovere di amore e rispetto reciproco: di non disprezzare alcuno: di usare cortesia con tutti, eccettuando  coloro che parlano male - Osservazioni per la lesta di S. Giovanni - D. Bosco dimostra con un fatto la caducità degli onori mondani - Insegna il modo di vincere le proprie passioni. [672]

 

                LEGGIAMO nella Cronaca: “Il I giugno. - Si cambiò l'orario. La levata continua alle S. Nessun mutamento al mattino. Al dopo pranzo dalle 2 alle 3 studio libero nelle scuole: alle 4 ¾  fine della scuola: alle 5 ½  studio fino alle 7 ½   colla solita lettura di un libro: alle 8 ¼ scuola di canto fino alle 8, 37 m.

                Nei giorni festivi la levata alle 5 ¾: alle 7 ½, in chiesa e prima messa: alle 9 seconda messa e predica di D. Bosco: alle II studio. Dopo la benedizione fino all'ora della cena non vi è più studio.

                D. Bosco a coloro che desiderano di alzarsi al mattino di buon'ora per studiare suole concederlo; purchè non si alzino prima delle 4.

                È facile a dare certe ragionevoli dispense, ma non ammette in nessun modo che a sua insaputa venga modificato l'orario, trasgredito il regolamento o trascurata qualche sua prescrizione per tutela della moralità. Non manca mai di avvertire o rimproverare i trasgressori, ma ciò fa con grande calma e si tiene dalle rimostranze quando sente il suo animo agitato.

                Aveva pensato una notte intera sopra una lettera di rimprovero, che voleva scrivere per una mancanza commessa da qualcuno. Levatosi al mattino si mise per scriverla, ma poi disse: - Io sono in collera: questo foglio non sarebbe dettato da me, ma dallo sdegno; questo adunque non è il momento da ciò. - Quindi lasciò stare e si occupò in altro. Più volte lungo il giorno sedette a tavolino per quel fine, ma di bel nuovo lo lasciava. Venne la sera e non aveva scritto nulla, ma conobbe poi aver fatto bene a non manifestare per lettera la sua indegnazione.

                A me stesso (D. Ruffino) D. Bosco manifestò il motivo pel quale non aveva scritto.

                “2 Giugno. - Da più mesi, D. Bosco è infermo negli occhi,  [673] e non ha speranza di vicina guarigione. Egli ha detto che non prega per ottenerla; i giovani al contrario pregano, ma non Scorgono nessun indizio di miglioramento”.

                “Il 7 giugno, martedì, disse a parecchi e poi fece dire da chi parlava in suo luogo alla sera dalla cattedra, di voler mettere Besucco alla prova in questo modo: - Se io guarisco entro tre giorni sarà segno certo che Besucco appena morto andò subito in paradiso; se non guarisco avrò questo argomento di meno per la mia persuasione. - A molti parve un po' temeraria questa prova, come se fosse un tentare il Signore; ed essendo breve il tempo tutti stavano in ansiosa aspettazione. Aveva ancor fatta questa promessa, o meglio dato questo segnale: - Se venerdì sera andrò io a parlare ai giovani, vorrà dire che la grazia fu ottenuta; se no, sarà indizio che le cose non sono mutate”.

                Il giorno 8 mercoledì i suoi occhi andavano peggio, il 9 andavano male, il 10 a mezzo giorno meglio. Era venerdì. Il dopo pranzo alle ore 2 potè occuparsi e continuò tutta la sera a leggere e a scrivere senza occhiali. Dopo cena andò a parlare ai giovani, e appena lo videro fu una commozione universale. - È  guarito, è guarito! - si udiva ripetere da ogni parte. Sali sul pulpito e tutti batterono le mani in segno di allegrezza. Egli quindi annunziò la grazia ottenuta ed in prova fissò per qualche istante la fiamma del becco a gaz, il che da molto tempo non, aveva più potuto fare. Gli era solo rimasto un po' di infiammazione esterna. - La notte però non potè pigliare riposò e il domani, sabato, primo giorno della noi a della Consolata, i suoi occhi erano di nuovo alquanto aggravati ma alla Domenica 12 giugno Si videro di nuovo limpidi”.

                In questa Domenica D. Roseo concludeva la sua predica in questo modo: - Io voglio che stamattina pigliate questo riflesso che mi faccio. Osservate! Io ho già veduto tanti a morire, ho già letto la morte di tanti, ma non ho mai veduto alcuno che al punto della morte si lamentasse di aver fatto [674] troppo bene. Per lo contrario non ho mai udito che uno sia stato contento in pulito di morte del male che aveva commesso. La ragione di ciò è assai chiara. Pensate, o miei cari figliuoli; il male appaga per quel momento breve in cui i si commette, ma poi non lascia più altro che il rimorso. Il bene invece appaga il quote mentre si fa e poi lascia una contentezza che dura tutta la vita. Al pulito poi della morte quale dei due ci farà più piacere ? Al ricordo desolante di aver praticato il male, sovraggiungerà il timore o almeno il dubbio del castigo tremendo di Dio. Il bene invece ci porterà in quel punto la certa speranza del premio. Oh adunque non lasciamoci ingannare dal demonio. Vedete; sebbene il demonio sia tanto furbo, tuttavia in ciò è cosi stolto che, dopo averci fatto commettere il peccato, cerca di farcene comprendere la bruttezza per avvilirci e non lasciarci più il coraggio per rialzarci. Ma voi, o cari figliuoli, ritorcete contro di lui le sue armi. Siete avviliti? Con una buona confessione ritornate subito a riacquistare la perduta gloria di figli di Dio e la colpa non vi sarà più imputata in eterno. Avete perduta la grazia? Basta una parola detta al confessore per farvela interamente riacquistare e poi rispondete al demonio: Se ora che sono sano il peccato mi produce tanta Vergogna, tanto sgomento, tanto rimorso, che cosa sarà in punto di morte? Che cosa sarà se io mi presentassi in questo stato al tribunale di Dio? D. Arrò disse alla sera: - È oggi il secondo giorno della novena dell'invenzione della miracolosa immagine della Beata Vergine della Consolata. Il fioretto che vi do per domani si è di recitare tre Ave Maria per ottenere la grazia di aver piena confidenza ne' Superiori”.

                “In questi giorni D. Bosco dava una dimostrazione di affetto a D. Giacomo Bellia che ancor giovanetto lo aveva aiutato ne' primordi dell'Oratorio, ed era stato tino dei primi suoi quattro chierici.

                “Il giorno 10 giugno moriva sua madre. Questa buona [675] signora era stata di D. Bosco penitente e coadiutrice ed egli fu pregato di scrivere un'epigrafe da porsi sulla sua tomba a Pettinengo Biella. D. Bosco accondiscese[58]

                “13 giugno. - D. Bosco parlò della novena della Consolata.

 

                Ho una cosa da dirvi di molta importanza. Chi sa dirmi la ragione di quanto sono per esporvi? Dopo che il demonio entrò fra di noi in forma di animale immondo io vedo notabilmente diminuita la frequenza ai SS. Sacramenti. Vi è una freddezza in tutta la casa, che non è generale, è solamente particolare, ma questo particolare si è tanto esteso che par quasi generale. Io so che negli altri anni in questa novena vi era sempre un grande fervore e invece in questo anno nulla si vede che indichi uno speciale affetto a Maria. Adunque non sarà più possibile adesso, accendere questo fuoco? non nelle camerate o nello studio, ma nel cuore dei giovani? chi sa che D. Bosco non possegga un segreto per accenderlo? Oh si che lo posseggo, ed è infallibile; ma io avrei bisogno di poter fare una cosa, di poter entrare nel cuore di tatti, come entro nel cuore di, molti e togliervi un pensiero per metterne un altro. Il pensiero che io vorrei mettere è questo: Figliolo mio, hai un'anima sola! Il pensiero che io vorrei levare è quell'altro: Non pensare di salvar quest'anima vivendo col peccato! Se potessi ciò fare io sono sicuro di accendere un po' di fuoco di amore a Dio, di odio al peccato, di frequenza ai Sacramenti. Questo fuoco basterebbe per la riforma di tutta la casa prima, ma poi per la riforma di tutti voi singolarmente. Io vorrei che domani ciascheduno si fermane un momento a fare questo riflesso: - Che cosa ho fatto per lo passato per l'anima mia? Come sto al presente al cospetto del Signore? Se muoio dove andrò? Che cosa voglio fare per l'avvenire? - Questo sia il fioretto di domani. Si faccia questo riflesso per alcuni momenti in Chiesa dopo la meditazione ossia la lettura.

 

                “14 giugno. - D. Bosco annunziò per giovedì l'esercizio di buona morte e poi disse: [676]

                - Avete tanti motivi per farlo bene; per ottenere dal Signore la sanità, l'aiuto per riuscire felicemente negli esami……e poi…… perchè vi è uno fra voi che non lo farà più la seconda volta. Chi sarà costui?

                Sarà io, sarà alcun o di voi! Il fatto sta che egli è uno della casa. Voi forse penserete: chi sa mai chi possa essere! Ed io ve lo potrei dire, ma vi dico solo che lo saprete a suo tempo ed allora direte: - Oli non mi credeva che dovesse morire quello là!

 

                Il 15 giugno D. Bosco dopo aver confessato più ore sia al mattino che al dopo pranzo, così parlava ai giovani.

 

                 - Avant'ieri vi lasciai un pensiero da meditare che dovrebbe essere quello di tutta la vita. Oh se noi meditassimo che abbiamo un'anima sola, che questa perduta è perduta per sempre, sarà ancor possibile che un giovane tenga il peccato sulla coscienza? Lo so che in generale dai giovani si riflette poco, talora si fa il male con una leggerezza inconcepibile, e talora vi si dorme sopra, per molto tempo, sovra un orribile mostro che potrebbe da un momento all'altro sbranarci. Ma quale sarà lo svegliarino che ci rammenti ognora questo gran pensiero dell'anima? Un altro pensiero! Quello della morte! Verrà il tempo in cui debbo morire: sarà presto? sarà tardi? sarà breve? sarà lungo? Sarà quest'anno, questo mese, oggi, stanotte? Ed intanto di quest'Anima che cosa sarà in quell'ora fatale? Se la perdo sarà perduta per sempre! Domani facciamo quell'esercizio spirituale che ha nome esercizio di buona morte. Abbiamo tanti motivi di farlo bene! Nel mese scorgo non lo abbiamo potuto fare e quindi conviene che facciamo questo col maggior impegno.

                Siamo nella novena di Maria SS. Consolatrice, quindi dobbiamo procurarci il suo patrocinio coll'essere tutti in amicizia con Dio. Noi abbiamo bisogno delle grazie del Signore, affinchè egli ci dia sanità, niente, e che eziandio ci aiuti per far bene gli esami. Se vogliamo queste grazie ricorriamo a Maria; ma perchè essa interceda, bisogna che noi ci dimostriamo suoi veri figliuoli, odiando il peccato e tenendolo lontano da noi. Essa allora sarà larga con noi di doni temporali e spirituali, sarà la nostra guida, la nostra maestra, la madre nostra. Tutti i beni del Signore ci vengono per mezzo di Maria.

                S. Maria Maddalena de' Pazzi vide tutti i devoti della Madonna in una barchetta che aveva per nocchiero la regina degli angioli. Soffiava il vento, era agitato il mare, ma la barca vogava tranquillamente sicura.

                Un santo ebbe questa visione. Vide dite scale che partendo da terra giungevano a toccare il cielo; una rossa, l'altra bianca. In capo sulla prima vi era Gesù Cristo e sulla seconda in cima Maria SS. Molte persone si mettevano per salire stilla scala rossa, ma fatti alcuni scalini [677] cadevano ai piedi di essa. Chi cadeva dal terzo, chi dal quarto, chi dal decimo. Ritornavano alla prova e di nuovo cadevano. Nessuno potè giungere fitto alla cima. Allora fu detto a costoro di appigliarsi all'altra scala e tutti con facilità poterono giungere alla cima. Ricordatevelo. È  quasi impossibile andare a Gesù se non ci si va per mezzo di Maria. Dunque raccomandate a lei tutte le cose vostre e specialmente l'anima. Obbeditemi in ciò che vi dico; sia questa vostra obbedienza pronta, allegra, puntuale; sia la vostra volontà, volere ciò che vuole il superiore, il suo giudizio sia il vostro, vostro il suo sentimento. Siamo di un cuor solo, e di un'anima sola per amare Maria e per salvarci.

                “Il 16 giugno al mattino si faceva l'esercizio di buona morte, distribuendosi poi il solito companatico a colazione. D. Bosco colle seguenti parole mandava i giovani a riposo:

                Stamattina avete fatto l'esercizio di buona morte, ed io ne sono stato contento finchè eravate in Chiesa, ma quando usciste di Chiesa non lo fui, perchè ne vidi parecchi uscire col muso da maiale Ciò vuol dire che alcuni non hanno fatto l'esercizio di buona morte, ovvero lo hanno fatto male... Perciò quello che io voglio dirvi si è questo: coloro i quali hanno imbrogli di coscienza da aggiustare lo facciano in questa novena della Consolata. Voi sapete che - questo è un avviso che si dà in tutte le novene. Quelli che noti hanno niente da aggiustare ne ringrazino il Signore e lo preghino a dar loro la santa perseveranza; poichè, non qui incoeperit sed qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit. E come spiega un grati santo: Incipientibus  promittitur, perseverantibus datur.

                Altro avviso voglio darvi ed è che si lasci a tutti la massima libertà nelle pratiche di divozione. Desidererei tanto che quando taluno frequenta i Sacramenti, va a fare qualche visita in chiesa, prega uscendo ed entrando nello studio ecc. ecc. non si mettesse in canzone il modo, il tempo, la persona; si stimino queste cose come si crede bene di stimarle, ma non mai disprezzarle o metterli in burla, perchè il Signore potrebbe castigarli certi critici. Quindi si badi a certi soprannomi che taluni sogliono appiccicare a certi altri ecc.

 

                “Andando a dormire disse a me (D. Ruffino) che lo accompagnava: - Di' a ....che studii di tradurre bene queste, parole; lupus rapax; al giovane……poi: Olim angelus, nunc sus”.

                “D. Bosco continuò a parlare nelle sere seguenti: [678]

17 giugno 1864.

 

                Io parlo a giovani i quali stimano, amano e frequentano il Sacramento della Confessione. E fate ottimamente. Andando pel mondo incontrerete bene spesso di tali, i quali non fanno quel conto che voi fate di questo Sacramento. Ma non vi stupite! Supponete un ubbriaco addormentato sull'orlo del precipizio; andate a gridargli che si levi, perchè vi può cader dentro; non vi capirà mai. Per fargli vedere il pericolo bisogna fargli passare l'ubbriachezza, levargli da osso il vino. Così è di tanti a questo mondo. Sono ubbriachi dei peccati o degli, affari del mondo e non vedono i pericoli dell'anima. Per farli ad essi vedere, bisognerebbe segregarli un po' dalle faccende e dagli interessi, dar loro, qualche medicina che li liberi dall'attaccamento a certi peccati, cioè far loro sentire un po' la parola di Dio e allora conoscerebbero anch'essi che la confessione è una gran bella cosa e vedrebbero la necessità di togliersi on questo Sacramento, dal pericolo di perder l'anima.

                 Infatti che cosa vi ha di più bello e caro della confessione? Qual cosa vi ha mai in cui più ci abbia beneficati il Signore che in questo? Se noi abbiamo un peccato mortale sulla coscienza, siamo in quel momento destinati all'inferno e finchè non ce ne liberiamo confessandolo, il nostro posto è sempre all'inferno. Quindi si ha un bel dire: hai tempo per andarti a confessare, lo farai poi quando sarai vecchio. Ma intanto io sono sospeso sulla bocca di questo inferno orribile ed è il Signore che mi tien sospeso sopra, e lo fa per pura misericordia. Se io continuo ad offenderlo egli può sdegnarsi e lasciarmi cadere.

18 giugno.

 

                Voi mi chiedete forse con quale frequenza dobbiate accostarvi alla santa Comunione? Sentite. Gli ebrei quando erano nel deserto, mangiavano la manna che cadeva tutti i giorni. Ora ci dice il Vangelo che la manna è figura dell'Eucaristia e perciò dobbiamo anche noi mangiarla ogni iorno su questa terra, che è figurata dai 40 anni passati dal popolo Ebreo nel deserto. Quando noi saremo giunti alla terra promessa non l'avremo più a mangiare, perchè vedremo ed avremo sempre Iddio con noi colla sua essenza.

                I primi fedeli si comunicavano tutti i giorni e andando alla messa, quei pochi che per qualche motivo non si potevano comunicare ad un certo punto di essa dovevano uscire. Anche più tardi, ma ancora in quei tre primi secoli, nessuno andava alla messa senza accostarsi alla Comunione. La S. Chiesa poi, radunata nel S. Concilio di Trento, dichiarò essere suo desiderio che i fedeli andando alla Messa tutti si accostassero [679] alla sacra mensa. Difatti se il cibo del corpo si deve pigliare tutti i giorni, perchè non il cibo dell'anima? Così dicono Tertulliano e S. Agostino. - Ma dunque, voi mi osserverete, avremo tutti ad accostarci propriamente ogni giorno? Vi risponderò che il precetto non c'è di accostarci tutti i giorni. Gesù Cristo lo brama ma non lo comanda. Tuttavia per darvi un consiglio che sia adattato alla vostra età, condizione, divozione, preparazione e ringraziamento che sarebbe necessario, io vi dirò: intendetevela col confessore e fate secondo il suo avviso. Se poi volete sapere il mio desiderio, eccovelo: Comunicatevi ogni giorno. Spiritualmente? Il concilio di Trento dice: Sacramentaliter! Dunque? Dunque fate così: quando non potete comunicarvi sacramentalmente, comunicatevi almeno spiritualmente.

                Ma prima di lasciarvi andare a riposo vorrei ancora togliere un inganno grande che è nella mente dei giovani. Dicono alcuni che per comunicarsi spesso bisogna essere santi. Non è vero! Questo C un inganno! La Comunione è per chi vuol farsi santo, non per i santi; i rimedii si danno ai malati; il cibo si dà ai deboli. Oh quanto io sarei fortunato se potessi vedere acceso in voi quel fuoco che il Signore è venuto a portare sulla terra! Ignem veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur!

 

19 giugno.

 

                Domani è la festa della Consolata ed io desidero di raccomandare ad essa la causa dei vostri esami. Debbo dirvi che quest'anno, siccome le scuole sono legalmente approvate, bisogna che si diano gli esami con tutta regolarità. Quindi nessuno si aspetti di aver grazie; non ci sarà rigore, ma neppur indulgenza: si faranno le cose, da padre sì, ma anche da giudice. Quello poi in cui si userà meno d'indulgenza sarà nei voti intorno alla condotta. Questa perciò sarà la grazia che chiederete a IL Maria SS., che vi aiuti cioè negli esami. Per parte mia io desidero che siate tutti promossi, e desidero che possiate fare bene e allegramente le vostre vacanze, con soddisfazione vostra e dei vostri parenti.

                Per domani vi do ancora il fioretto. Chiedete a Maria SS. la grazia di fare con frequenza, ma sempre belle e coll'anima in ordine, la Comunione. Non dico che domani facciate tutti la Comunione no; ma che vi disponiate a farla sempre belle. E per farla bene immaginatevi che non già il Sacerdote ma la stessa Madonna Santissima sia quella che venga a darvi l'Ostia Santa. Nessuno avrà l'ardimento di dare un colpo al cuore di Gesù che sta in braccio a Maria. [680]

20 giugno

 

                Domani è la festa di S. Luigi. Sebbene noi rimandiamo ad altro tempo la solennità, tuttavia domani è proprio il giorno della sua morte. Certamente si potranno chiedere le grazie nel giorno nel quale noi faremo la nostra festa, ma occorrendo che nel giorno anniversario della sua entrata in paradiso ci siano preparate grazie speciali, io desidererei tinto tanto, che voi chiedeste a S. Luigi una grazia speciale, quella cioè di distaccare il vostro cuore dalla cose della terra.

                Pare che non faccia tanto per voi questa domanda perchè i giovani generalmente non hanno il cuore attaccato al danaro, anzi se voi avete un soldo andate subito a spenderlo in ciliege. Eppure questa domanda

fa moltissimo anche per voi. Per distacco del cuore dalle cose della terra, intendo il distacco dalle persone poco buone, dai piaceri illeciti, dalle amicizie troppo particolari, il distacco dai cibi e dalle bevande

che sono a voi occasione di golosità; il distacco non fosse altro, da un vestito, da quattro stracci, pei quali vi dominare dal desiderio di far figura, e comparire leggeri ed ambiziosi di sembrar damerini.

                Se voi avete il cuore attaccato a questi oggetti è gran male per voi.

                Chiedete adunque questa grazia a S. Luigi.

                Oh! quell'infensus hostis come descrive il distaccamento del cuore di S. Luigi da tutte le vanitià del mondo. Chiedetegli adunque di sollevarvi un po' da queste ed innalzare un poco il cuore verso le cose del Cielo.

                Vedete, io vorrei che voi faceste come fanno gli uccelli ancora piccini, quando vogliono snidare. Incominciano ad uscire sull'orlo del nido poi scuotono le aluccie, tentano di alzarsi un poco ed intanto fanno prova delle loro forze. Così dovete far voi: scuotere un poco le ali per alzarvi al ciclo. Non voglio già che voi andiate sulla cima di un albero e poi vi lasciate cadere per terra: incominciate dalle cose piccole e da quelle che sono necessarie per l'eterna salute.

                Io voglio che scuotiate due ali spirituali. Quali sono? mia Se vuoi l'ali del fervore - Sia la Vergine il tuo amore, - Una niente a lei fedele - Si può al cielo sollevar. Oh quante volte voi l'avete cantata questa strofa. Or bene; questa la prima ala. L'altra è la divozione a Gesù Sacramentato Con queste due ali, cioè con queste due devozioni, Maria e Gesù Sacramentato, state certi che non tarderete a sollevarvi verso il cielo. Notate che gli uccelli quando spiccano il volo non volano mai al basso, ma sempre in alto. Così sia di voi; guardatevi dal volare per terra con quelle ali, cioè guardatevi dal praticare queste due divozioni con fini mondani e malamente, cioè per acquistar stima per far solamente piacere ai Superiori, per non dar nell'occhio ai compagni. Oh se io potessi un poco mettere in voi questo grande amore a Maria e a Gesù Sacramentato, quanto sarei fortunato. Vedete, dirò uno [681] sproposito, ma importa niente. Sarei disposto per ottener questo a strisciar colla lingua per terra di qui fino a Superga. È uno sproposito, ma io sarei disposto a farlo. La mia lingua andrebbe a pezzi, ma importa niente: io allora avrei tanti giovani santi.

 

21 giugno.

 

                Una cosa mi preme di raccomandarvi ed è che procuriate di amarvi a vicenda e che non disprezziate nessuno, Perciò accogliete tutti senza eccezione in vostra compagnia e fate a tutti parte volentieri dei vostri trastulli. Via perciò certe antipatie verso qualche compagno, delle quali non si sa quasi rendere ragione. Forse perchè non ha tanti bei modi? forse perchè non è vestito elegante? ovvero è, di poco ingegno, di aspetto sgradevole, insipido nel parlare? Ma Iddio i suoi doni non li dà a chi vuole? che, colpa ne ha un poveretto se Iddio ha dato a lui meno, che a voi? È  una ingiustizia la vostra! Spesso non si vuole accettare un compagno in conversazione: se viene avvicinandosi a noi, ce ne andiamo e lo piantiamo lì facendolo arrossire; se è solo nessuno gli si accosta. E questa è carità? Ascoltatemi! È  dovere dei giovani non solo  bene educati, ma cristiani, il far buone accoglienze a tutti, ed usare cortesia con tutti. Buone accoglienze, e perciò non fuggire quando si accostano a noi. Usare cortesia e perciò farli a parte volentieri dei nostri discorsi e dei nostri divertimenti. Un'eccezione sola io faccio e desidero che la riteniate bene. Dico usare buone accoglienze a tutti, ma badate che se vi si accostasse un giovane che voi conoscete essere solito a fare cattivi discorsi e a volervi indurre al male oh! allora allontanatevi pure da lui che fate bene. È se egli è lontano da voi, lasciatelo solo. Con costui non dovete usare nessuna cortesia o gentilezza, come non sareste obbligati a trattare con un appestato. Ecco perciò il ricordo che io vi lascio stassera: Usate buona accoglienza e cortesia con tutti, ad eccezione di coloro che fanno cattivi discorsi.

 

                “Il 22 giugno, antivigilia della festa di S. Giovanni Battista, D. Arrò parlando della riconoscenza che i giovani dovevano a D. Bosco, notò due cose: I° Non bisogna credere che questa virtù si richiegga solo per i benefizi materiali: no! Non fa elemosina solamente colui che dà pane ai poveri. Domandano pure riconoscenza i benefizi intellettuali e gli spirituali.

                2° La gratitudine non si deve fermar solo alle persone, ma deve andare a Dio rappresentato dalle persone stesse. È  per mezzo di esse che il Signore ci benefica. [682]

                Aggiunse ancora: - In tutti coloro che secondano le viste di Dio si scorgono grandi tratti di somiglianza coi santi dei quali portano il nome; il che dimostra una speciale benedizione di quel santo. Io perciò esorto ciascuno di voi a meritarvi questa benedizione, ad amarlo e pregarlo il vostro santo titolare e protettore, e fare uno studio per ricopiare in voi le sue virtù”.

                Col solito entusiasmo festeggiato nell'Oratorio l'onomastico del benefattore e padre di tanti giovanetti, egli il 25 giugno alla sera così parlava alla comunità:

 

                Un fatto accaduto in Torino in quest'anno nel mese di marzo ci dimostra quanto siano vane le cose del mondo. Una signora aveva un figlio che era tutta la sua delizia, tutto il suo tesoro. Questi toccava già i 28 anni, ed era di bell'apparenza, dato con passione agli studi, e proclive a fare del bene. Ma egli da questo belle ne attendeva quasi solamente la ricompensa dagli uomini. Quindi bramava ardentemente di essere decorato colla croce dei SS. Maurizio e Lazzaro, e a forza di suppliche e di protezioni gli fu promessa. Scrisse allora subito a sua madre, ambiziosa di avere il figlio, cavaliere, dandole il fausto annunzio. La madre che dimorava in un paese di provincia, mentre egli passava l'inverno in Torino, venne subito alla Capitale volendo partecipare alla gioia di quel felice momento, in cui suo figlio sarebbe decorato. Ma la cosa purtroppo andò bene altrimenti. Nel lunedì della settimana santa doveva giungere il decreto, ma tre giorni prima la povera madre muore di apoplessia. P, consegnata al figlio la sospiratissima nomina ma egli non ha tempo a provvedersi la decorazione; pochi giorni dopo una polmonite tronca i suoi giorni: Sic transit gloria mundi.

 

27 giugno.

 

                Vorrei potervi parlare tutte le sere per darvi qualche avviso che vi possa giovare non solo pel tempo che siete qui all'Oratorio ma anche Pel tempo delle vacanze . Una volta venne di lontano una persona per parlare a D. Cafasso e chiedergli come dovesse fare per vincere le proprie passioni. D. Cafasso non gli disse altro che una parola sola: mortificarle. Questo bastò a quell'uomo perchè andasse via contento. Io volli poi esaminare in pratica la forza di questo consiglio e lo trovai sempre mezzo esatto, infallibile per ottenere lo scopo. Si credono alcuni, quando sono tentati da qualche violenta passione, che il mezzo per acquietarla sia il soddisfarla. Questo è un inganno; [683] l'idropico quanto più beve, tanto più sente la sete. Le passioni amo cani arrabbiati che nulla può soddisfarle e più si accendono quanto più si secondano. Chi ha gran voglia di bere vino si pensa che ubbriacandosi gli passerà quella voglia e invece quanto più beve tanto più è smanioso di vino. Volete adunque domare l'intemperanza? Digiunate! Volete vincere la pigrizia? lavorate i Volete togliervi i pensieri disonesti? mortificate gli occhi, la lingua, le orecchie, astenetevi da certi discorsi, da certe Letture. Solo a questa condizione farete tacere le passioni, avrete la vittoria, sarete più tranquilli.

 

                “Il 29 giugno festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, erasi pur commemorato con gran pompa e colla solita processione il nome di S. Luigi Gonzaga”.

 

 

CAPO LXVII. Letture Cattoliche: IL PASTORELLO DELLE ALPI OSSIA VITA DEL GIOVANE BESUCCO FRANCESCO - Indirizzo di D. Bosco ai giovani - Il Sacramento della penitenza e il confessore stabile - Generosità di D. Bosco nel diffondere buoni libri - Il R. Provveditore e la ginnastica nell'Oratorio - D. Bosco chiede gli attrezzi di ginnastica all'Arsenale - Il Ministro dell'Istruzione pubblica ordina che gli sia trasmessa una relazione sulle scuote privato, su quelle rette da Corpi morali e dalle famiglie religiose e sui piccoli Seminari - Decreti, circolari, legge a danno degli Ordini - religiosi, dei Seminarii e dei chierici, i quali non si vogliono più esenti dalla leva militare.

 

                IN quest'anno D. Bosco aveva passato il pomeriggio di molti giorni nel Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi, per intrattenersi su questioni di morale col Teol. Bertagna G. B., col quale aveva intima famigliarità; e per comporre fascicoli delle sue Letture Cattoliche.

                Oltre ai due già summentovati, scritti in quest'anno 1864, nel mese di giugno finiva di comporne un terzo destinato per i mesi di luglio e di agosto. In queste pagine aveva messo tutto il suo cuore di padre, che narra le virtù di uno suo dilettissimo figlio. Lo dice il titolo.

                Il Pastorello delle Alpi, ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, pel Sacerdote Bosco Giovanni. Al frontispizio sotto il ritratto stava scritto: Io muoio col rincresci [685] mento di non aver abbastanza amato Iddio come si meritava. Vi è un appendice sopra il benedetto Crocifisso di Argentera.

                Così D. Bosco offriva il nuovo lavoro ai suoi alunni.

 

                               Carissimi Giovani,

 

                Mentre aveva tra mano a scrivere la vita di un vostro compagno, la morte inaspettata del giovane Besucco Francesco mi fece sospendere quel lavoro per occuparmi di lui medesimo. Egli è per appagare le vive istanze de' suoi compatriotti, de' suoi amici e per secondare le molte vostre dimande, che ho divisato di mettermi a raccogliere le più interessanti notizie di questo compianto vostro compagno, e di presentarvele ordinate in un libretto, persuaso di farvi cosa utile e gradita.

                Taluno di voi potrà chiedere a quali fonti io abbia attinte le notizie, per accertarvi che le cose ivi esposte siano realmente avvenute.

                Vi soddisferò con poche parole. Pel tempo che il giovane Besucco visse in patria, mi sono tenuto alla relazione trasmessami dal suo Parroco, dal suo maestro di scuola e da' suoi parenti ed amici. Si può dire, che io non ho fatto altro, che ordinare e trascrivere le memorie a questo uopo inviatemi. Pel tempo che visse tra noi ho procurato di raccogliere accuratamente le cose avvenute in presenza di mille testimoni oculari; cose tutte scritte e firmate da testimonii degni di fede.

                È  vero che ci sono dei fatti, i quali recano stupore a chi legge, ma questa è appunto la ragione per cui li scrivo con premura particolare; poichè, se fossero soltanto cose di poca importanza, non meriterebbero di essere nemmeno pubblicate. Quando poi osserverete questo giovanetto a manifestare nei suoi discorsi un grado di scienza ordinariamente superiore a questa età, dovete notare che la grande diligenza del Besucco per imparare, la felice memoria nel ritenere le cose udite e lette, e il modo speciale con cui Iddio lo favorì dei suoi lumi, contribuirono potentemente ad arricchirlo di cognizioni certamente superiori alla sua età.

                Una cosa ancora vi prego di notare riguardo a me stesso. Forse troppa compiacenza nello esporre le relazioni che passarono tra me e lui. Questo è vero e ne chiedo benevolo compatimento; vogliate qui ravvisare in me un padre che parla di un figlio teneramente amato un padre, che dà campo ai paterni affetti, mentre parla a' suoi amici figli. Egli loro apre tutto il suo cuore per appagarli, ed anche istruirli nella pratica delle virtù, di cui il Besucco si rese modello. Leggete adunque, o giovani carissimi, e se nel leggere vi sentirete mossi a fuggire qualche vizio, o a praticare qualche virtù, rendetene gloria a Dio, solo Datore di veri beni. [686] Il Signore ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia qui in terra, affinchè possiamo giungere un giorno a benedirlo eternamente in cielo.

 

                In questi preziosi cenni biografici D. Bosco non tralasciò di raccomandare ai giovani, come faceva in ogni occasione, i Sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia e il modo di riceverli con profitto, presentando il caro Besucco qual modello da imitarsi.

                In quanto alla confessione egli dopo aver narrato come il buon giovane consigliasse con lettera un suo amico a confessarsi ogni otto giorni, prosegue, dando un avviso importantissimo.

 

                Mentre lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando coi più vivi affetti del cuore a tutti, ma in ispecial modo alla gioventù i voler fare per tempo la scelta d'un confessore stabile nè mai cangiarlo, se non in caso di necessità. Si eviti il difetto di alcuni che cangiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose di maggior rilievo vanno da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo Facendo così costoro on fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato di loro coscienza. A costoro accadrebbe quello che ad un ammalato il quale in ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male dell'ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi.

                Che se per avventura uesto libretto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza destinato all'educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore. Primieramente inculcare con zelo la frequente confessione, come sostegno della instabile giovanile età, procurando tutti i mezzi che possono agevolare l'assiduità a questo Sacramento. Insistano secondariamente sulla grande utilità della scelta d'un confessore stabile da non cangiarsi senza necessità, ma vi sia copia di confessori, affinchè ognuno possa scegliere colui, che sembri più adattato al bene dell'anima propria. Notino sempre per altro, che chi cangia confessore non fa alcun male, e che è meglio cangiarlo mille volte piuttosto che tacere alcun peccato  in confessione.

                Nè manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto, della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto naturale, ecclesiastico, divino e civile per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male fosse anche la morte. [687] manifestare ad altri cose udite in confessione o servirserne per sè; che anzi può nemmeno pensare alle cose udite in questo Sacramento; che il confessore non fa alcuna meraviglia, nè diminuisce l'affezione per cose

                comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al penitente. Siccome il medico quando scopre tutta la gravezza dei male dell'ammalato gode in cuor suo perchè può applicarvi l'opportuno rimedio; così fa il confessore che è medico dell'anima nostra e a nome di Dio coll'assoluzione guarisce tutte le piaghe dell'anima.

                Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e a dovere spiegate, si otterranno grandi risultati morali fra i giovanetti, e si conoscerà coi fatti qual maraviglioso elemento di moralità abbia la cattolica religione nel Sacramento della penitenza.

 

                La vita di questo ammirabile giovanetto fu accolta con entusiasmo dagli associati alle Letture Cattoliche e come quelle di Comollo, Savio e Magone posta in vendita a parte per pochi soldi, andò a ruba. D. Bosco ci teneva al maggior spaccio possibile dei fascicoli indirizzati alla gioventù. Scrisse D. Ruffino: “Un giorno, aveva rimproverato il Direttore della tipografia perchè avesse tassato con un prezzo troppo alto la biografia di Besucco. Il tipografo rispondeva essere quello il prezzo ordinario delle Letture Cattoliche. Allora D. Bosco replicò: - Io non guardo a nessun prezzo, io guardo solo che si diffondano buoni libri. Noi due non c'intediamo ancora; ella sa che D. Bosco ha bisogno di danaro e perciò vuol dargliene: io so esserci bisogno che i buoni libri si diffondano, perciò non guardo a danari”.

                Egli intanto mentre stava per terminare questo suo lavoro riceveva due circolari dal, R. Provveditore agli studi. Ecco la prima.

 

                REGIO PROVVEDITORE AGLI STUDI

                della Provincia di Torino

                Torino, addì 3 giugno 1864.

                Circolare N. 41. Serie 3°

 

                Il Ministro giustamente apprezzando i benefici effetti che dalla ginnastica provengono alla educazione della gioventù, la fece obbligatoria in tutti i pubblici istituti e ne ottenne soddisfacenti risultati. [688] Ma, per poter conoscere come e quanto venga dalla pubblica opinione apprezzata tale istituzione, desidera sapere in quali e quanti istituti privati siasi stabilita.

                A tal fine si trasmette a V. S. Ill.ma l'acchiuso specchio, pregandola di rispondere alle indicazioni in esso contenute e di restituirlo, dalla S. V. firmato, a questo ufficio.

                Alla colonna decima sia compiacente d'indicare di quali e quanti ordigni sia provveduto cotesto istituto.

 

Il R. Provveditore

F. SELMI

 

                Al Direttore del Ginnasio Convitto dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco - Torino.

 

                Gli attrezzi della ginnastica nell'oratorio non erano troppi, poichè si limitavano alle parallele, all'altalena, al piano d'assalto, al passo volante, ma supplivano i giuochi a corsa delle ricreazioni che erano preferiti dagli alunni e più igienici e più morali. Il 17 giugno D. Alasonatti rispondeva al R. Provveditore, e D. Bosco pensando che la spesa di provvedere gli attrezzi completi di ginnastica sarebbe stata per lui troppo grave, e che nei magazzini del Governo avrebbe potuto trovare quanto era necessario per soddisfare le esigenze del Ministero, in data 5 Agosto scrisse al Direttore dell'arsenale, Colonn. Audisio. Esponeva il suo caso, e mandava l'elenco degli attrezzi che gli mancavano. Il Colonnello gli rispondeva che nell'Arsenale non si trovavano gli oggetti richiesti, d'altronde sarebbe stata necessaria un'autorizzazione del Ministero della guerra.

                D. Bosco per altra via, come vedremo, ottenne ciò che aveva domandato.

                La seconda circolare del Provveditore trattava di più serio argomento. [689]

 

                REGIO PROVVEDITORE ECC.

                Circolare N. 43 - Serie 3°

Torino, addì 10 giugno 1864

                Con recente disposizione del Ministro della Pubblica Istruzione essendo fatto obbligo al sottoscritto di trasmettere al Ministero, non più tardi del 10 agosto venturo, la relazione sull'istruzione privata e sulle scuole rette da Corpi morali, da famiglie religiose e sui Seminarii di studi secondari, egli deve pregare la S. V. Ill.ma a voler compiacersi di trasmettere a questo ufficio, prima che termini il mese di luglio prossimo, la relazione del proprio Istituto.

Il R. Provveditore

P. SELMI.

 

                Queste domande facevano sospettare che il Ministero avesse progetti ostili agli educatori ecclesiastici. 1 giornali della rivoluzione insistevano perchè fossero aboliti i corpi religiosi insegnanti. Il Ministro Pisanelli con decreti e regolamenti prendeva continuamente odiose misure contro la Chiesa; e in gennaio con varii soprusi aveva tentata la secolarizzazione dei seminarii, fatto chiudere quello di Caltanisetta, e proibito in giugno agli Ordini Religiosi di ricevere novizi. E i sospetti dei Cattolici si facevano più gravi perchè il Ministro Amari il 20 luglio ordinava con decreto che fossero abolite le scuole secondarie annesse al Seminario di Bergamo, mentre si tentava di sopprimere con lunghe persecuzioni due collegi diocesani della stessa provincia di Bergamo. Il 13 settembre Pisanelli con una circolare a tutti i Vescovi pretendeva che gli dessero conto esatto de' Seminarii, dei loro professori, del numero degli scolari chierici e non chierici, delle pensioni, delle rendite, del numero delle ordinazioni in un decennio; e colla narrazione dei come procedette per ogni rispetto ciascun Seminario dalla sua fondazione fino ai tempi presenti. Ma la caduta del Ministero il 23 settembre doveva rendere vana la prepotenza di quel tristo avvocato; e nello stesso tempo mettere da parte un odioso progetto di legge che da mesi si andava agitando. [690] Il 28 aprile il Ministro della Guerra, generale Della Rovere, aveva presentato alla Camera il progetto per abolire ogni esenzione dalla leva militare in favore dei chierici; e nel giugno la Commissione, incaricata di esaminare un tal progetto, trovava giuste le premure del Governo e i suoi intendimenti. L'8 di luglio la legge era approvata nella Camera dei deputati con 161 voti contro 4.5. Non si fece verun caso di moltissime petizioni in contrario, firmate da migliaia di cittadini, e dei richiami dei Vescovi. Ma il A luglio, avendo termine le tornate del senato, non si potè discutere ed approvare definitivamente la legge.

 

 

CAPO LXVIII. Trattative di D. Bosco col Municipio di Lanzo per l'apertura di quel Collegio - Il Vicario Albert - D. Bosco va a Lanzo e firma la Capitolazione - Capitolo e accettazione di nuovi socii - Conferenza di D. Bosco: quanti meriti si acquista il religioso obbediente - Sua parlata ai giovani: - conto delle proibizioni de' Superiori - Chiede al R. Provveditore i temi degli esami per iscritto - Predizione avverata - D. Bosco tranquillizza un morente - Nota storica di D. Bosco sul castello di Lanzo - D. Bosco elegge il Direttore del nuovo Collegio e lo conduce a S. Ignazio Nuove costruzioni presso quel Santuario - Il Teol. Golzio succede al Can. Galletti nella direzione del Convitto Ecclesiastico - D. Bosco scrive, ai giovani dell'Oratorio e narra le avventure del suo viaggio a S. Ignazio - Decreto della Deputazione provinciale che approva il contratto fra D. Bosco e il Municipio di Lanzo - Ultime pratiche e disposizioni pel Collegio - Distribuzione de' premi nell'Oratorio e chiusura dell'anno scolastico.

 

                LA ruota del sogno aveva incominciati i suoi giri. Da più mesi que' di Lanzo trattavano con D. Bosco perchè aprisse nel paese una Casa di educazione per la gioventù.

                Sulla vetta di quel colle isolato da due acque, fra i contrafforti delle Alpi, allo sbocco di tre vallate, stava un antico convento di Cappuccini soppresso sul principio del secolo XIX [692] dal Governo francese. Alla caduta di Napoleone I, l'edifizio, la chiesa e il giardino annesso furono occupati dal Municipio. In questo locale aveva fiorito per circa cinquant'anni, sotto diverse e successive direzioni, un collegio convitto; ma da parecchio tempo, per essersi ritirato l'ultimo direttore e per mancanza di alunni, era stato chiuso.

                Si trattava adunque di riaprirlo. Il degnissimo Vicario di Lanzo, Teol. Federico Albert, santo apostolo non solo di quelle valli, ma del Piemonte, pel primo aveva pensato a D. Bosco.

                Egli vedeva con vivo dolore allontanarsi sempre più dalla Chiesa i giovanetti parrocchiani e si accorgeva, che unico mezzo per conservare nei loro cuori la fede era il provvederli di una istruzione religiosa, alla quale fossero obbligati di assistere. Il catechismo nella scuola e nella Chiesa del Collegio nei giorni festivi, li avrebbe spinti ad accostarsi ai Sacramenti. Egli perciò era venuto più volte nell'Oratorio e aveva trattato di questo importantissimo affare. Alle sue vive istanze si erano unite le preghiere di D. Arrò e finalmente si ottenne da D. Bosco la promessa, che egli si assumerebbe quell'impegno. Nello stesso tempo il Vicario Albert trattava col Municipio, il quale accondiscese ad esaminare i patti di quel progetto. Dopo lunghe discussioni si approvò in massima e si formolò la convenzione fra le due partì, della quale riportiamo gli articoli più importanti, che riguardano la gioventù del paese: - Il Municipio si obbliga di pagare a D. Bosco la somma annua di lire 3000 per le scuole elementari e ginnasiali sino alle due rettoriche inclusivamente; e altre 100 lire per la provvista de' premi annuali. - Gli concede l'uso del locale detto del Collegio coi siti, cappella, cortili e giardini annessi, per uso delle scuole, - si obbliga per tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conservazione dell'edificio ed ai locali annessi. - Non potrà licenziare D. Bosco senza avviso preventivo di cinque anni. - Tutte

                le spese d'impianto saranno a carico di D. Bosco. - Il Comune [693] procurerà un mutuo di 12.000 lire a D. Bosco, il quale presterà idonea cauzione - D. Bosco provvederà tre maestri per le scuole elementari muniti della relativa patente, ed insegnanti idonei per le cinque classi ginnasiali. - Gli alunni che frequentano le classi ginnasiali pagheranno un minervale, eccettuati quelli di Lanzo riconosciuti come poveri dalla Giunta. - Per le scuole elementari pagherebbero un minervale gli scolari che non appartengono al Comune. Le scuole saranno aperte col principio dell'anno scolastico 1864 - 65.

                Il minervale riducevasi a poco per la scarsità in paese di studenti pel ginnasio, il mutuo riusciva un onere e la somma fissata dal Muncipio non poteva bastare pel mantenimento dei professori, dei maestri e del rimanente personale. Una spesa gravissima, come a Mirabello, importava la provvista della mobilia per un locale sprovvisto di tutto. Ma D. Bosco non guardò a sacrifizii per tendere pago lo zelo del Vicario Albert, il quale, per conseguire il santo suo fine, aveva già dovuto superare difficoltà materiali e pecuniarie.

                Dopo la festa di S. Luigi D. Bosco recavasi a Lanzo e il Vicario Albert e il Sindaco Tessiore Paolo lo accompagnavano a visitare il Collegio. D. Savio Angelo mandato tempo prima a farvi un'ispezione aveva dato un rapporto non troppo incoraggiante. Quel vecchio edifizio aveva bisogno di alcuni restauri, perchè da qualche anno era disabitato, fatta eccezione di alcune stanze assegnate ai maestri comunali, colle sale per le scuole. Tuttavia Don Bosco non si ritrasse dall'impegno, anche pel suo vivo desiderio di possedere, comunque fosse e a costo di sacrifizi, una terza casa per la Pia Società. Il sindaco però prometteva che avrebbe fatto eseguire certe riparazioni e il Vicario si assumeva di costrurre tre piccole stanze, innalzando il tetto di un lato dell'atrio interno. Don Bosco per allora si contentò. Nel 1851 era Salito su quella vetta con Giuseppe Brosio il bersagliere, come abbiamo già [694] narrato e, osservando lo stupendo panorama dei dintorni, aveva esclamato! - Che bella posizione per un collegio!

                 Il 30 giugno si radunava il Consiglio Comunale in seduta straordinaria, autorizzata con nota della Prefettura il 16 dello stesso mese, per deliberare sulla proposta inoltrata da D. Bosco per la riapertura dell'antico collegio. D. Bosco era presente e si convenne e si stipularono i patti sopra esposti. Questa capitolazione, firmata da D. Bosco, dal sindaco e da due consiglieri, venne spedita senz'altro all'Autorità tutoria della Prefettura perchè fosse approvata.

                Ciò fatto D. Bosco ritornava all'Oratorio..

                Il 4 luglio alla sera radunatosi il Capitolo, accettò alla prova Rossi Spirito e Orsi Stefano i quali avevano domandato di essere ascritti alla Pia Società. In questi giorni Don Bosco teneva anche conferenza ai confratelli. La Cronaca riporta il senso delle sue parole.

 

                L'ubbidienza è il compendio della perfezione di tutta la vita spirituale, è la via men laboriosa, men pericolosa, e la più sicura e la più breve che vi sia, per arricchirei di tutte le virtù e per arrivare al paradiso. S. Teresa era così persuasa di questa verità da dire: che se tutti gli angioli insieme le avessero detta una cosa ed il Superiore le avesse comandato il contrario, avrebbe preferito senza esitare l'ordine del Superiore: - Perchè, ungeva, l'obbedienza al Superiore è comandata da Dio nelle sante Scritture e perciò non vi può essere inganno. Di S. Luigi si legge nella sua vita che non violò mai una sola delle più piccole regole del collegio in cui si trovava; anzi diceva egli stesso di non aver mai disobbedito alla minima disposizione o ordine del Superiore. Chi sa se noi potremo tutti dire la stessa cosa? Il motivo per cui non si pratica rigorosamente l'ubbidienza si è perchè non si conosce il gran pregio di questa virtù. Ascoltate il fatto di S. Dositeo.

                Essendo egli giovane nobile, delicato, aveva concepito gran timore dello stretto conto che Dio gli avrebbe chiesto in fin di vita, ed entrò in religione per apparecchiarsi al gran giudizio. Egli era di debole complessione, e non poteva stare alla vita comune, nè levarsi a recitare a mezzanotte il mattutino cogli altri, nè mangiare i cibi che mangiavano gli altri. Ma non potendo osservare quelle regole, fece seco stesso i suoi conti, e si risolse di dedicarsi tutto all'obbedienza; e colla massima prontezza e diligenza agli uffizi più umili del Monastero a lui [695] affidati dal Superiore. Dopo cinque anni morì e il Signore rivelò all'Abate, che Dositeo aveva conseguito il premio eguale a quello di S. Antonio e di S. Paolo eremita. L'Abate palesava quella rivelazione ai monaci, i quali, non essendo persuasi della cosa, andavano dicendo: - Possibile che un uomo, il quale non ha mai digiunato, allevato nelle comodità e delicatezza, abbia in paradiso ad essere trattato al pari di quelli che per cinquanta, sessanta e più anni portano tutto il peso delle asprezze, penitenze, privazioni, fatiche della vita religiosa? Che cosa adunque abbiamo noi altri guadagnato da più di lui, coll'esserci affaticati tanto, tanto aver fatto, mentre Dositeo passava giorni tranquilli in foresteria? - Ed il Signore per mezzo dell'Abate rispose loro: - Voi non conoscete il merito ed il valore della vera ubbidienza. È per questa virtù che Dositeo in poco tempo, meritò più che altri con lunghi sacrifizii e fatiche.

                La sua era un'obbedienza di esecuzione, di volontà e di giudizio.

                Di esecuzione pronta, allegra, puntuale; di volontà, non volendo altro fuori di quel lo che vuole il Superiore; di giudizio facendo proprio lo stesso sentimento del Superiore.

                È per questa perfezione di ubbidienza che Dositeo ebbe un premio così splendido……Vedete adunque quanti meriti noi abbiamo perduto tutte le volte che abbiamo fatto il nostro capriccio; tutte le volte che abbiamo violata qualche regola della Casa o della Congregazione, od abbiamo lasciato di fare i nostri doveri; tutte le volte che abbiamo mormorato, giudicato di una cosa, di un ordine, non approvando il giudizio del Superiore.

 

                Anche per gli alunni D. Bosco aveva ammonimenti e consigli in questo ultimo scorcio dell'anno scolastico. Parlò per varie sere, ma la Cronaca ci conservò uno solo dei suoi discorsi. È molto tempo che un scellerato avendo ricevuto un amorevole avviso dal Vescovo di Saluzzo se l'ebbe tanto a male che pensò di farne vendetta. Per compiere il suo disegno studiò il modo di avvelenarlo. Un giorno che il Vescovo doveva fare una pubblica, solenne funzione, quello scellerato lo invitò a pranzo in sua casa per avere agio di spegnerlo. Ad un punto determinato del pranzo un domestico portò del vino al Vescovo come per farglielo assaggiare, dicendogli essere quella una bevanda sommamente deliziosa. Il Vescovo appena che l'ebbe gustato, esclamò: - Che vino eccellente! non mi ricordo in vita mia di aver mai assaggiato l'eguale. - I commensali [696] ciò udendo chiesero che se ne portasse anche a loro. Ma il domestico aveva ordine che appena versato il vino al Vescovo, subito andasse a gettare la bottiglia in una gora profonda. I commensali continuavano ad insistere che se ne desse anche a loro di quel vino e non vedendosi contentati, presero ad offendersi altamente. Ma buon per loro che non riuscirono a berne, perchè sarebbe toccata ad essi la sorte che toccò al Vescovo, il quale poco dopo si sentì straziare le viscere da acerbi dolori e poi morì.

                 - Quando lessi questo fatto pensai essere un bell'esempio di ciò che capita ai giovani. Guai se si concedesse loro quello che sovente domandano colle parole o anche coi fatti. Quante volte berrebbero il veleno! E ciò sia detto specialmente per ciò che riguarda la modestia. Vorrebbero andare con certi compagni, desidererebbero continuare certe amicizie, e i Superiori non vogliono. Intatti vi è alcuno che ha un po' di malizia, la lascia travedere agli altri, ed ecco gli innocenti, subito curiosi, chiedono con istanza spiegazioni e pur troppo le travedono a loro danno, e sono anche date da quei disgraziati che fanno le parti del demonio; e intanto gli incauti bevono il veleno. Se pensassero al fatto di Savio Domenico e facessero come lui, non avverrebbe che fossero ingannati. Questo giovane, invitato ad andarsi a bagnare, rispose: Chiederò licenza ai miei parenti.

                 - Oh no; i compagni risposero; eglino non te la darebbero.

                 - Ah dunque è segno che è male il farlo; ed io non, vengo.

                 - Miei cari figliuoli, tenete conto delle proibizioni de' vostri Superiori e se prevedete che essi sarebbero malcontenti di quell'azione che voi siete per fare, non fatela mai. Vi cade nelle mani un libro? e voi prima di leggerlo pensate: - Don Bosco sarà contento che io lo legga? - La coscienza vi darà la risposta. Avete ricevuto un biglietto da qualche compagno: dite a voi stesso: - Se i Superiori lo vedessero, qual concetto si farebbero di me? - Perciò stracciatelo subito, o meglio, consegnatelo [697] all'assistente; ciò sarà pro va della vostra bontà; ma non rispondete mai a simili biglietti. Vedete in un crocchio alcuni che parlano in modo misterioso, occhieggiando se si avvicina qualche superiore? Voi da costoro state lontani come dalla peste. Là è veleno, là è morte. Ricordatevi le mie parole. Talora questo veleno non porta subito la morte eterna, benchè porti sempre la morte dell'anima. Uno può risorgere colla santa Confessione: ma questo veleno lascia sempre orribili conseguenze. Il rimorso, noia nelle cose di pietà, debolezza, cattive inclinazioni che prima non vi erano, deplorabile facilità a nuove cadute, ricordi che amareggiano tutta la vita, timor dei castighi di Dio, maggior violenza nell'eseguire i propri doveri, talora il disonore e la disistima dei compagni. Pensateci prima adunque, per non cadere in simile stato. Vi basti stare agli avvisi dei superiori senza cercar la ragione. Se essi proibiscono una cosa dite pure: - È  veleno, è morte, ed io non voglio morire!

                Intanto D. Bosco pensava agli esami finali e forse desiderava che si potesse fare un confronto tra il profitto fatto negli studi dagli alunni dell'Oratorio e quello degli studenti delle scuole governative.

                Il 10 luglio egli scriveva al R. Provveditore agli Studi, e dalla risposta di questi s'intende quale fosse il suo pensiero.

Torino, addì 13 luglio 1864.

 

                Non può lo scrivente accondiscendere alla domanda per i temi, indirizzata dalla S. V. Chiarissima, dacchè la circolare Ministeriale 149, non concede facoltà di trasmetterli che agli Istituti Regii e parificati.

                Ringrazia per l'invito di assistere alla distribuzione dei premii in codesto Istituto, e qualora non sia impedito da affari non tralascierà di intervenirvi.

 

D R. Provveditore

F. SELMI.

 

                D. Bosco notava in margine: - Si ricordi la vigilia della premiazione. [698]

                Due giorni dopo il 15 luglio, venerdì, alle ore 4 del mattino, moriva nell'Ospedale Mauriziano il giovane Vallino Luigi, torinese, in età di 15 anni. Così avveravasi la predizione fatta da D. Bosco il 14 giugno. Al secondo esercizio di buona morte non prendeva parte il Vallino.

                A questi pare che accenni un foglio staccato della cronaca, senza nominarlo, narrando un fatto che più volte noi abbiamo udito raccontare da Giuseppe Buzzetti, e da Giovanni Bonetti.

                “Il giovane che sospettava essere lui il disegnato, fu condotto all'ospedale. La sua malattia si fece seria, gli si gonfiò stranamente il capo, e fu preso dal delirio. Le parole che proferiva indicavano essere egli persuaso di dover morire; chiamava D. Bosco e gli chiedeva aiuto e perdono. Nessuno dei medici e delle suore poteva trarre costrutto dalle sue frasi sconnesse. D. Bosco saputo il suo stato si affrettò ad andarlo a visitare. Le suore gli narrarono la stranezza del vaneggiamento di quel giovane. D. Bosco rispose: - So io come è la cosa: lascino che gli parli e lo vedranno tranquillato. - Avvicinatosi al letto, come l'infermo udì la sua voce, si sollevò: - Ah D. Bosco! gli disse, non mi legga la sentenza!

                - Ma che cosa vai dicendo! Io son venuto, perchè ti voglio bene e perchè voglio che tu viva: hai inteso? Ora dimmi: vuoi confessarti da D. Bosco?

                - Oh si; non desidero altro; ma purchè non mi legga la sentenza.

                “- Nessuna sentenza, mio caro: voglio che tu stia allegro.

                 - E curvatosi, gli disse una parola all'orecchio che lo rasserenò, togliendogli ogni timore. Quindi lo confessò, gli fece amministrate il viatico e l'estrema unzione, e, ricevuti con gran fede questi sacramenti, il giovane tranquillamente spirava”.

                Avvicinandosi il tempo degli esercizi Spirituali a S. Ignazio, D. Bosco raccoglieva da varii autori, e specialmente [699] dal Casalis alcune note storiche sopra Lanzo e su qualche paese più importante delle sue valli per consegnarle al nuovo Direttore.

                Nel secolo XII fu fabbricato il Castello di, Lanzo a guardia della valle e de' suoi passaggi. Ma il Castello di Lanzo fu espugnato nel 1551 dai francesi. Sul finire dell'anno cacciati i francesi dal Gonzaga capitano delle anni imperiali, da esso fu in allora ripigliato il Canavese. Ma anche il presidio Spagnuolo nel 1552 venne si furiosamente assalito dai nemici che dovette partirsene. Intanto il generale francese Brisacco ordinò la distruzione dei Castello nel 1557. Tornato Emmanuele Filiberto ne' suoi stati, infeudò nel 1570 il Marchesato di Lanzo a D. Filippo d'Este. Cinquanta anni dopo la distruzione dei Castello ulle rovine di esso un Bonesio Bartolomeo pose le fondamenta del convento dei Cappuccini, assegnandogli per primo fondo 2000 scudi. Fece anche innalzare la chiesa in cui fu per la prima volta celebrata la messa nel di di Ognissanti nel 1615.

                L'Eremo è fondato dai Granieri, antica famiglia di Lanzo; nel 1661 lo donò ai Padri Camaldolesi.

                Da quest'eremo venne Colombano Chiaverotti. Nel 1839 vi vennero i Carmelitani.

                Forno di Groscavallo è a 667 metri sopra il livello del mare. La Madonna apparve nel 1630 in un bosco di faggi, platani, frassini. La fontana dell'Arcivescovo Rorà.

                Balangero (Berengarii Castrum), La Madonna dei martiri (Tebei), Piè (plebis Castrum). Berengario II, Marchese d'Ivrea poi Re d'Italia, quivi fece fabbricare un castello, e un altro al di là del Tanaro pure detto Berengarium e detto poi Balangio Blanqua.

                Vallis de Amatis (al presente Mathi). Questo nome era comune a tutta la valle di Lanzo (Matigis).

                Ciriè. Cerreto. Boschetti pieni di cerri di cui ora pochi rimangono. Anticamente si usava eleggere a patroni, santi col nome simile a quello del luogo. Quindi S. Ciriaco è il patrono. Alcuni dicono che qui passò il verno Federico I.

 

                Lunedì 18 luglio D. Bosco partiva per Lanzo, dopo aver incaricato D. Arrò di parlare al giovani alla sera. Conduceva con sè il Sac. Ruffino Domenico, che aveva eletto a Direttore del Collegio di Lanzo, il quale sul partire scriveva un biglietto al compagno Rebuffo. [700] Questo andare a S. Ignazio che io fò, non so se debba riguardarle più come soggetto di contentezza o di tristezza; certamente se io considero il gran bisogno dell'anima di ritirarmi un poco ad aggiustar gli affari della mia coscienza, finora così trasandati e bistrattati, non posso a meno che ringraziarne Iddio e D. Bosco d'avermi procurata questa occasione; ma se d'altra parte io considero che debbo lasciare l'Oratorio, lasciar gli amici, lasciare te; se considero di più che questa breve di partenza sarà forse l'esordio di una più diuturna, io mi sento commosso di tal commozione he noti provai mai nel partire dalla mia propria casa patema, nel lasciare i miei fratelli e sorelle carnali. Oh! quanto sono più stretti i vincoli d'unione spirituale: già prima lo sapeva, ma ora lo provo.

                Caro Rebuffo, saremo divisi per qualche giorno col corpo, ma non lo saremo giammai collo spirito.

 

                D. Bosco arrivava a S. Ignazio, ove nuovi edifizi andavano erigendosi, e alla direzione dell'Opera degli esercizi spirituali era stato preposto un nuovo Rettore.

                Al Can. Eugenio Galletti, che si ritirava a lavorare nella Piccola casa della Divina Provvidenza, succedeva nella Direzione del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi il Teologo Felice Golzio confessore di D. Bosco, il quale continuò anche nel Santuario di S. Ignazio l'opera di D. Cafasso dal 1864 al 1873. Galletti e Golzio, ultimavano la strada carrozzabile che metteva al santuario e costruivano il nuovo magnifico refettorio col fabbricato sovrastante, co' generosi soccorsi della Marchesa Barolo. I Rettori vi posero un cappellano fisso tutto l'anno coll'obbligo del ricevimento dei forestieri, di attendere al Confessionale e compiere le funzioni festive a vantaggio della sottostante Borgata di Tortore e della scuola ai ragazzi.

                Mentre D. Bosco colassù attendeva agli esercizi, non dimenticava i figli dell'Oratorio e loro scriveva una lettera nella quale narrava le avventure del suo viaggio. [701]

                Al sig. Avv. Arrò, se stima bene di leggerla agli studenti ed artigiani radunati.

 

Ai miti cari figliuoli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales,

 

                Persuaso di farvi cosa grata nello scrivervi qualche cosa che vi possa ricreare, ho pensato di darvi un cenno sul mio viaggio da Torino a S. Ignazio dove, grazie a Dio, presentemente mi trovo.

                Lunedì, 18 corrente alle ore 4 recavami alla vettura per la partenza e, siccome il mio stomaco soffre alquanto entro l'omnibus, così io mi era preso posto sull'imperiale ovvero sopra l'omnibus. Ma il mio posto era occupato da un altro. Che fare adunque? Il Sig. Avv. Arrò reclamava i miei diritti, ma con poco risultato. Finalmente un cotale che era sull'Imperiale con aria grave m'indirizzò il discorso e generosamente disse: - Alto là, io sono disposto a cangiare il mio posto, non per far piacere, che certamente noi farei; ma mediante competente mancia. - Io risposi: - Se il denaro aggiusta le cose vi contenterò. Discendete pure. Eccovi una moneta di cui sarete contento.

                E lo fu difatto.

                Montato a mio posto, presi un poco di sole, poi un poco di vento e di polvere e mentre raccontava ai viaggiatori come due anni Addietro in quello stesso giorno aveva gustato un stupendo temporale da Caselle a Lanzo, ecco rannuvolarsi il tempo, tuonare, lampeggiare e cominciare a piovere proprio nel paese di Caselle. Di otto che eravamo nella parte superiore io solo aveva l'ombrello, sicchè tutti amorevolmente si strinsero attorno di me, come appunto fate voi, miei cari figlioli, quando facciamo ricreazione insieme e che ho qualche piccolo regalo a farvi. Ma se prima eravamo animati a discorrere, lo fummo assai più allora essendo costretti di starcene là tutti a tu per tu.

                Vi erano due medici, due avvocati, un letterato e due altri, I nostri discorsi furono intorno alla storia Egiziana, Persiana, Greca ed Italiana; ma il loro scopo era sempre di attaccare D. Bosco contro alla Storia Sacra. Ma a dirla schietta quando furono messi alla prova ho potuto convincermi che sapevano molti spropositi, ma la storia non la sapevano; perciò dopo alcuni schiamazzi dovettero mettere berta in sacco.

                Allora il discorso si portò in filosofia, in teologia; volevano sostenere il panteismo di Spinoza, il dualismo di Manete ecc. ecc., ma dovettero tosto desistere dalle loro proposizioni: allora si misero a schiamazzare e gridare tanto forte contro all'esistenza di Dio, che io ho stimato bene di lasciarli sfogare per poter loro rispondere. Calmatisi alquanto, in modo di scherzo raccontai loro la storia della gallina e dei pollaiuolo, di poi li interrogai così: - A voi, dissi ad un medico; sembra che sia stato fatto prima l'uovo o prima la gallina?

                Certamente fu prima la gallina che ha di poi fatto l'uovo. [702] 

                - Donde nacque la gallina?

                 - Dall'uovo.

                 - Chi ha dunque fatto il primo uovo da cui nacque la gallina?

                Allora il medico voleva rispondere, ma più non sapeva: - Dite voi anche qualche cosa; dissi ai suoi colleghi.

                Ma niuno faceva parola. - Dite pure come a voi sembra più esatto; soggiunsi: fu prima l'uovo o prima la gallina?

                In quel momento egli montò sulle furie e nel trasporto di collera: Vada al diavolo l'uovo e la gallina: io non so più che cosa rispondere.

                Tutti allora si misero a ridere ed a battere le mani: quindi uno degli astanti prese a parlare così: - Io consegnerei l'uovo e la gallina in mani migliori che non sono quelle dei diavolo. Io darei ad un buon cuoco la gallina e l'uovo affinchè li faccia cuocere e ci serva di ristoro dopo questa pioggia. Ma voi, Sig. Dottore, andate pure dall'uovo alla gallina finchè volete, ma dovete conchiudere esservi un Dio che abbia creato o l'uovo o la gallina da cui sia di poi venuto l'uovo. Quindi andiamo pure da padre in figlio, ma dobbiamo terminare con un uomo creato da Dio, cioè con Adamo che è il primo uomo del mondo.

                Qui ebbero termine le questioni; essi domandarono il mio nome, io ho domandato il loro; di poi si discorse dell'Oratorio fino a Lanzo.

                Contava di passare la notte a Lanzo, ma il Teol. Bertagna col capo mastro Felice avendo divisato di continuare il cammino, e diminuendo la pioggia, mi sono unito ad essi alla volta di S. Ignazio. Erano le otto e noi partimmo per un'alta montagna. Dopo breve tratto, oscurandosi il cielo e divenendo notte buia, smarrimmo la strada e ci trovammo tra roccie e macigni. Mentre stavamo pensando che fare, ecco diradarsi le nuvole, apparire la luna che ci dava la nostra direzione. Allora ci siam messi pel cammino e in mezzo a sassi e a mucchi di pietre siamo giunti alla sommità. Niun incidente ci turbò ad eccezione di Felice che si smarrì, nè più lo vedemmo se non in fine della salita. Eravamo stanchi e pesti; erano le dieci. Ma, quale non fu la nostra meraviglia quando giunti al Santuario non ci era possibile di trovare gente viva per farei aprire! A forza di bussare, di battere e perfino di spezzare ci vennero infine ad aprire e ci prepararono una buona cena che atteso il nostro appetito musicale riuscì a meraviglia. Dopo il sonno ci comandava ed essendo mezza notte siamo andati a riposo.

                Buona notte anche a voi.

                Domani spero potervi scrivere cose più importanti. Pregate per me, miei cari figliuoli; io prego anche per voi. La Santa Vergine ci conservi tutti suoi e sempre suoi. Fate una comunione spirituale o sacramentale secondo la mia intenzione. Amen.

 

                S. Ignazio, 22 luglio 1864.

 

                Tutto vostro aff.mo nel Signore [703]

                Non pare che D. Bosco abbia scritta la seconda lettera promessa, non essendo di questa cenno in verun documento. Forse il sacro, Ministero volle per sè tutti que' giorni. D. Arrò adunque, fatti venire gli artigiani nel parlatorio degli studenti, a tutti insieme fece udire ciò che aveva scritto D. Bosco. Sì deve notare che da qualche anno le due categorie di alunni avevano un luogo o sala a parte, per recitare le orazioni della sera e per ascoltare gli avvisi di un superiore loro proprio. Erano convocati insieme quando si doveva dar loro una straordinaria comunicazione.

                Finiti gli esercizi D. Bosco discendeva da S. Ignazio e, come aveva promesso, ritornava in Lanzo per prendere col sindaco qualche accordo e per condurre a termine tutte le pratiche colle Superiori autorità scolastiche.

                Dalla Prefettura di Torino era giunto il decreto della Deputazione Provinciale,:

 

                Visto il verbale del Consiglio Comunale di Lanzo in data 30 giugno prossimo passato portante riapertura dei collegio e capitolazione col signor D. Bosco;

                Sentito il Relatore;

                Ritenuta la convenienza e l'utilità Ai un pubblico collegio in Lanzo;

                La Deputazione Provinciale concede l'approvazione del succitato atto unicamente per quanto riguarda la spesa, dovendo la parte che concerne l'istruzione e la convenzione particolare passata col Don Bosco, essere approvata dalle Autorità scolastiche competenti dalle quali deve intieramente dipendere, sotto l'osservanza delle leggi sulla pubblica istruzione.

 

                Torino, 15 luglio 1864

Il Prefetto Presidente

PASOLINI

 

                Il Segretario

                ZOTTO.

 

                Perciò si stabiliva di mandar con premura al R. Ispettore delle scuole primarie e al R., Provveditore agli studii tutti i documenti voluti dalla legge. D. Bosco avrebbe loro presentato i diplomi dei professori e dei maestri che sarebbero destinati [704]. Per quest'anno prevedendosi che non si avrebbero alunni per le classi di umanità e di rettorica, il Municipio si contentava di tre insegnanti nel ginnasio. In quanto al mutuo D. Bosco dichiarò di non aver nessuna premura, e ritornato a Casa fece stampare e divulgare il programma simile a quello di Mirabello.

                D. Ruffino poi, come direttore degli studii, ordinava nell'Oratorio gli esami finali.

                Il giorno 31 luglio distribuivansi solennemente i premii, e si chiudeva l'anno scolastico. Molti personaggi distinti erano convenuti a quella geniale solennità. D. Bosco aveva anche invitato il Conte Cibrario, dal quale riceveva il seguente biglietto: “Mille grazie al gentilissimo signor D. Bosco, ma con mio dispiacere non posso, per ragione di salute, profittare del suo cortese invito. - 29 luglio - Conte Luigi Cibrario”.

 

 

CAPO LXIX. Decreto di Collaudazione della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari per l'Istituto Salesiano - Tredici osservazioni sulle Regole dell'Istituto - Lettera di D. Bosco in ringraziamento del Decreto al Cardinal Quaglia - Memoriale di D. Bosco alla S. Congregazione sulle tredici osservazioni - Traduzione delle Regole in Lingua Latina.

 

                UNA grande gioia era preparata per D. Bosco in questi giorni. La Sacra Congregazione de' Vescovi e Regolari udito il parere di varii consultori, fatto minuto esame, emanava in data del 23 luglio 1864, colla sanzione del Sommo Pontefice, il Decreto detto di lode ossia di collaudazione, approvando l'esistenza e lo spirito della nuova Società. Si differiva però a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni e, attese le speciali circostanze de' tempi e de' luoghi, costituivasi D. Bosco Superiore Generale a vita, fissando a dodici anni la durata in officio del suo successore.

                Questo decreto, colla consueta lettera, fu indirizzato al Vicario Capitolare di Torino, il quale lo trasmise a D. Bosco.

 

DECRETO

 

della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari per l'Istituto Salesiano.

 

                Mosso a pietà della condizione de' fanciulli più poveri, il sacerdote Giovanni Bosco della Diocesi di Tonno, fin dall'anno 1841, coll'aiuto eziandio di altri Preti, incominciò a raccoglierli insieme, insegnar loro i primi elementi della Cattolica Fede, e soccorrerli con aiuti temporali. Di qui ebbe origine la pia Società, che prendendo nome da San [706] Francesco di Sales, consta di Preti, Chierici e laici. I soci fanno professione coi tre consueti voti semplici di Obbedienza, Povertà e Castità, sono sotto la direzione del Superiore Generale, che viene chiamato Rettor Maggiore, ed oltre la propria santificazione, si propongono per fine principale di attendere ai bisogni sì temporali come spirituali dei giovanetti specialmente più miserabili.

                Sino dal principio della pia Congregazione, con tale studio e diligenza curarono quelle cose, le quali giudicarono poter giovare al loro scopo, che a tutti fu noto il grandissimo vantaggio, che colle loro fatiche recarono alla Cristiana Religione; e moltissimi Vescovi li chiamarono nelle rispettive Diocesi, e li associarono come solerti e laboriosi operai nel coltivare la Vigna del Signore. Ma al prenominato sacerdote Giovanni Bosco, che è Fondatore ed insieme Superiore Generale della Pia Società, sembrò mancar molto a sè ed ai suoi Socii, se non s'aggiungesse alla medesima Società l'Apostolica Sanzione.

                Raccomandato pertanto da moltissimi Vescovi ha testè domandato con umilissime preghiere la prefata Sanzione alla Santità di Nostro Signore Pio Papa IX, e presentò le Costituzioni per l'approvazione. Sua Santità nell'Udienza avuta dal sottoscritto Mons. Pro Segretario, della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in data del i Luglio 1864, la ricordata Società, attese le lettere Commendatizie dei predetti Vescovi, con amplissime parole lodò e commendò, come col tenore del presente Decreto loda e commenda quale Congregazione di voti semplici, sotto il governo del Superiore Generale, salva la giurisdizione degli Ordinarii, secondo il prescritto dei Canoni e delle Apostoliche Costituzioni, differita a tempo più opportuno l'approvazione delle Costituzioni. Inoltre la Santità Sua, attese le circostanze speciali, concedette, siccome col tenore di questo Decreto concede, che l'attuale Superiore Generale, ovvero Rettor Maggiore, rimanga per tutta la vita nella sua carica, quantunque sia stabilito che il Superiore Generale della medesima Pia Società resti in carica soltanto per dodici anni.

 

                Dato in Roma dalla Segreteria della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari in questo giorno 23 Luglio 1864.

 

A. Card. QUAGLIA Prefetto.

STANISLAO  SVEGLIATI Pro - Segretario[59]. [707]

 

                Al surriferito decreto di lode intorno alla Pia Società d S. Francesco di Sales, erano state unite dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari le seguenti tredici osservazioni sulle Costituzioni.

 

                Animadversiones in constitutiones Sociorum sub titulo S. Francisci Salesii in diocesi Taurinensi.

 

                1°. Munus Rectoris Majoris seu superioris Generalis ad duodecim annuos erit duraturum, nec in eo poterit confirmari sine venia S. Sedis. [708]

                2° Consultius erit expungere in Constitutionibus verba quibus sociis prohibetur ne in rebus politicis partes assumant:

                3° Vota quae in hujusmodi Institutis emittuntur sunt S. Sedi reservata, ideoque delendum in Constitutionibus praedicta vota dispensari posse a Superiore Generali.

                4° Permittendum non est, ut Superior Generalis relaxare possit sociis piì Instituti Litteras Dimissoriales ad Ordines suscipiendos, idque pariter in Constitutionibus deleatur.

                5° Reservandum erit Beneplacitum Apostolicum pro alienationibus ac debitis contrahendis ad praescriptum sacrorum canonum. 6º Non expedit remittere arbitrio Sociorum depositionem Rectoris Maioris, seu Superioris Generalis, sed praescribendum erit, ut depositio effectum habere nequeat inconsulta hac Sacra Congregatione. 7° Pro fundatione novarum domorum, et pro suscipienda in posterum ab Ordinariis directione Seminariorum recurrendum erit in singulis casibus ad S. Sedem.

                8° Optandum est ut socii plusquam unius horae spatio orationi vocali et mentali quotidie vacent, et ut quolibet anno per decem dies spiritualia peragant exercitia.

                9° Approbandum non est, ut personae extraneae pio Instituto adscribantur per ita dictam affiliationem.

                10º In formula Professionis addendum erit nomen Rectoris coram quo emittitur Professio, et verbis « volermi comandare senza riserbo » substituantur sequentia alia verba: « e volermi comandare a tenon delle nostre Costituzioni ».

                11° Quolibet triennio Rector Major sen Superior Generalis relationem status proprii Instituti ad hanc Sacram Congregationem trasmittere teneatur, quae quidem relatio complecti debet tam statum materialem et personalem, nempe numerum domorum et sociorum, quam disciplinarum, scilicet Constitutionum un observantiam, nec non quae respiciunt adtninistrationem oeconomicam.

                12° Prout moris est penes pias Praesbyterorum Congregationes Constitutionum traductio e vernacula in latinam linguam fiat.

                13° Ne scrupulis et anxietatibus detur locus, deleantur in Constitutionibus verba, quibus Superioris praeceptum obligare sub culpa statuitur.

 

STANISLAUS SVEGLIATI Pro-Secretarius.

                D. Bosco ricevuto dalla Curia Arcivescovile di Torino il prezioso decreto, indirizzava la seguente lettera al Cardinale Quaglia. [709]

 

                               Eminenza Rev.ma,

 

                Con grande mia consolazione ho ricevuto il decreto di approvazione della Società di S. Francesco di Sales, che con bontà singolare V. E. Rev.ma degnavasi di farmi pervenire. Io sento il dovere di vivamente ringraziarla, e non potendo altrimenti esprimerle la mia gratitudine mi unirò con tutti i membri di questa pia Società e con tutti i giovanetti accolti in questa casa, per invocare ogni giorno le benedizioni del cielo sopra di Lei, affinchè ad multos annos possa continuare nelle sue gravi fatiche a maggior gloria di Dio e della sua Santa Chiesa.

                Intanto io mi occuperò per dare corso alle osservazioni fatte sulle Costituzioni di questa Società: dopo mi raccomanderò nuovamente alla provata di Lei bontà perchè si degni condurre al desiderato termine l'opera sì bene incominciata sotto ai benevoli di Lei auspizii.

                Un novello favore La pregherei di aggiungere ai già concessi, ed è di voler dire al nome mio e di tutti i membri della Società una parola del più vivo, del più sentito atto di gratitudine, che noi tutti nutriamo in cuore, alla sacra e sempre amata persona di Sua Santità. La assicuro che tutti i palpiti del nostro cuore sono diretti ad amare un sì tenero padre che tanto ci aula nel Signore.

                Portatore di questa lettera è il Teologo ed Avvocato Emiliano Manacorda, zelante collaboratore di questa casa. Esso è persona benestante, affezionatissimo alla persona del S. Padre e desideroso di impiegare la sua vita a favore della santa religione cattolica. Se mai Ella potesse valersi di lui in qualche lavoro, egli si offre di tutto cuore per servirla.

                Finalmente nella grande sua carità voglia impartire la santa sua benedizione sopra di me e sopra di tutti i giovani di questa casa, mentre con pienezza di stima reputo il più alto onore di poterle baciare il sacro lembo e professarmi.

                Di V. Em. Rev.ma

 

                Torino, 25 agosto 1864.

 

Umil.mo ed Obbl.mo servitore

Sac. GIOVANNI Bosco.

 

                Era un gran passo nella via della sua formazione che aveva fatto la Pia Società per forza di questo decreto: ma D. Bosco doveva prendere ad esame le tredici osservazioni fatte alle regole, per vedere come potessero addattarsi alle esigenze dei tempi, dei luoghi; alle difficoltà che dovevano sorgere per causa del Governo, e della natura stessa del nuovo Istituto. [710]

                Non pareva che la Sacra Congregazione volesse assolutamente imporre tutte le correzioni. Infatti con un foglio firmato da Mons. Svegliati si notava che alcune di esse, specialmente la quarta che spettava alle dimissorie, si erano fatte perché la Pia Società non era ancora definitivamente approvata. D. Bosco aveva anche ricevuto invito di vedere il modo di inserirle al posto opportuno. Bisognava anche che la loro possibilità fosse messa alla prova colla pratica.

                Ed egli preparava molto posatamente il memoriale che avrebbe più tardi presentato al giudizio dei Padri della Sacra Congregazione. Riportiamo un suo manoscritto.

 

                Supra Animadversiones in Constitutiones Sociorum sub titulo S. Francisci Salesii in Dioecesi Taurinensi.

 

                Anno Domini 1864 die prima julii Sanctitas Domini Nos. Pii Papae IX precibus humillime exhibitis, benigne annuens, Societatem S. Francisti Salesii laudare atque commendare dignabatur ad praescriptum SS. Canonum, dilata tamen ad opportunius tempus Constitutionum adprobatione. Insuper Sanctitas Sua attentis peculiaribus circumstan- . tiis, indulsit, ut Bosco Ioannes Sacerdos, sicuti Superior Generalis in suo munere permaneret quoad vixerit, eodemque tempore constituit ut ejusdem Societatis Superior Generalis in posterum duodecim tantum annis manus suum exerceat.

                Memorato decreto adnectebantur terdecim animadversiones supra ejusdem Societatis constitutiones. Orator gratissimo animo supra dictum decretum et animadversiones eidem annexas accepit, statirnque animum intendit, ut ejusdem animadversiones ad praxim traduceret, ut si qua difficultas adpareret, cognosceret, cognitamque explanaret. Omnibus itaque perpensis quae ad majorem Dei gloriam et lucrum animarum conferre sibi visum est, supra memoratis animadversionibus hac ratione censetur esse obtemperandum.

                Animadversio prima. - « Munus Rectoris Maioris, seu Superioris Generalis ad duodecim tantum annos erit duraturum, nec in eo poterit confirmari sine venia S. Sedis ».

                Adnotatur. -Animadversio haec integra et absque ulla observatione admittitur. Ideo adjunctum fuit quod in constitutionibus ad hoc erat adjungendum atque mutandum.

                Animadversio Secunda. - « Consultius erit expungere in constitutionibus verba quibus socie prohibentur, ne in rebus politicis partes assumant ». [711]

                Adnotatur. - Expuncta haec verba fuerunt; nam hic articulas eo tantum spectabat, ut devitarentur vexationes si forte Constitutiones in manus quorundam laicorum inciderent. Qua propter in animadveisionis obsequium integer articulas expunctus est.

                Animadversio Tertia. - «Vota quae in ejusmodi Instituto emittuntur suret Sanctae Sedi reservata, ideoque delendum in constitutionibus praedicta vota dispensari posse a Superiore Generali ».

                Adnotatur. - Quod de meliori bono est, quod magis magisque animos cum Supremo Ecclesiae Antistite strictius vincit, libentissime admittimus. Adnotatio'tantum modo fit circa vota triennalia. Pro utilitate et speciali Congregationis commoditate petitur, ut Superior Generalis a votis triennalibus dispensandi facultate polleat. Non gravis momenti hujusmodi favor videtur, cum a temporariis votis facultas dispensandi a S. Sede facillime semplici confessario concedatur.

                Animadversio quarta. - « Admittendum non est ut Superior Generalis relaxare possit sociis pii Instituti litteras dimissioriales ad ordines suscipiendos. Id pariter in Constitutionibus deleatur ».

                Adnotatur. - Haec conditio si admitteretur, maximae equidem difficultates pro praxi inde exurgerent, quae hujusmodi societatis modum existendi turbarent, atque fere impossibilem redderent. Enimvero:

                1° Regiminis et administrationis unitas conservare difficillime posset, cum Episcopus jus habeat socios a societate et ab officies revocandi et ad alia ecclesiastica munera obeunda constituendi. Quo in casa contingeret, ut administrator alicuius domus, ab Episcopo alio evocetur dam ipse per obedientiae votum Superiori suo obedire teneatur. Quae quidem vota sunt S. Sedi reservata. Nec Generali Superiori jus competeret suos subditos ad particulares domos regendas mittendi praesertim si domus in diversa dioecesi essent constitutae.

                Quid vero esset agendum si Ordinarius volens uti sua jurisdictione ut pluries contigit, mitteret unum aut plures socios aut eumdem Superiorem Generalem ad aliqua Sacri Ministerii munera obeunda, vel ad paroecias regendas deputaret?

                2° Neque spiritus unitas servari potest; nam ut quisque perdifficile ministerium sacrum pro adolescentulis pauperibus et derelictis exerceat, debet apposite rebus, libris, monitis studere. Haec autem obtineri nequeunt nisi longa experientia edoceatur, quid et quomodo agendam, evitandum, mutandum ; haec omnia difficillime lisci poterunt si incertum esset tempus quo Socius manere possit in congregatione, antequam a proprio Episcopo alio evocetur.

                3° Nec servare quidem potest doctrinae et disciplinai unitas. Nanque quisque Socius dam studiis vacat, debet scholas, caeremonias, collationes in Seminario statutas frequentare. Episcopus vero id exigere debet, ut de vita et moribus illius informetur quem suo tempore [712] ad sacros ordines admittere debet. At hora, tempus, locus Seminarii poterunt congruere cum muneribus et rebus quae in Societate quotidie exercentur ?

                Praeterea unusquisque praeceptor et antecessor tractatus ad libitum conficit, atque mutare et substituere potest, imo novo praèceptore succedente alii et novi tractatus introducuntur, quae mutationes unitatem doctrinae et disciplinae difficillime et pene decani impossibilem redderent. Idem dicatur de caeremoniis, collationibus et sermonibus, quae in seminariis fiunt ad erudiendos clericos in saeculo viventes, non eos qui vitam religiosam ducunt.

                4° Generatim quomodo conciliare potest obedientia proprio Episcopo cum obedientia Superiorii debita, cui vi votorum S. Sede reservatorum devincitur ?

                5° Alea difficultas ratione locorum exurgit, nani nostris regionibus, Sede vacante, etiamsi annus vacationis transegerit, non potest Vicarius Capitularis tradere litteras dimissoriales, et hoc ob civiles constitutiones, quo fit ut quisque ordinandus recurrere debeat ad S. Sedei pro singulis ordinationibus, quod magnum gignit incommodum et dispendium sicuti inpraesentiarum quotidiana experientia docet.

                6° Tandem apud nos lex usque dura viget, ut Episcopi juvenes in sortem Domini vocatos a saeculi militia revocare possint, ratione numeri in propria Dioecesi habitantium. At non raro contigit ut numerus revocandorum jam numerum a lege concessum excedat, dum alter Episcopus abundanter hujusmodi favorem praestare potest. Haec difficultas de medio tolleretur per litteras dimissoriales quibus socios transmittere potest ad alios Episcopos penes quos peculiares domus possidentur, vel administrantur.

                7° Specialis vero difficultas exurgit ex natura Salesianae Societatis quae ex omnibus terrae partibus socios excipit. Quo fit ut saepe saepius litterae dimissoriales requirendae essent per loca dissitissima cuius Ordinarius vel ignoratur vel non facile reperire possit.

                8° Hoc privilegio generatim gaudent, Ordines Religiosi et Regularium Congregationes. Huiusmodi sunt Oblati B. M. Virginis justa Brevem: Etsi Dei Filius, datum a S. Memoria Leonis Papae XII, mense Septembris 1828.

                Hoc idem dicatur de Instituto Charitatis adprobato a felice recordatione Gregorii XVI.

                Congregatio autem Praesbyterorum Missionis adprobata a S. P. Urbano VIII per Bullam: Salvatoris Nostri die duodecima januarii 1632.

                Tandem ipse S. P. Pius Papa IX (Quei diutissime Deus sospitem servet) per Brevem: Religiosas Familias, die decima tertia Maji 1859 praeter facultatem jam primitus concessam litteras dimissoriales generatim concedendi, addit ut sequitur [713] « Clerici Congregationis Missionis, dummodo necessariis praediti sint requisitis suorumque Superiorum litteris dimissorialibus, extra tempora a Canonibus instituta a quocumque catholico Episcopo gratiam et Communionem Apostolicae Sedis habente, suscipere libere et licite, servatis servandis, possunt et valent. »

                Itaque supra memoratis rationibus perpensis quae ad tempora, loca, constitutionem peculiarem hujusce societatis spectant, humillime exposcitur ut pro litteris dimissoriis ipso communi privilegio fruatur, quo domus, Congregationes atque Ordines regulares, habentes domorum communionem, gaudent.

                Animadversio Quinta. - « Reservandum erit beneplacitum Apostolicum pro alienationibus ac debitis contrahendis ad praescriptum S. S. Canonum ».

                Adnotatur. - Animadversio haec maxima cum difficultate nostris constitutionibus consiliari potest; nani cum socie in particolari, non ipsa Societas, possideant, nunquam adesset casus quo sanctae Sedi esset recurrendum. Insuper cum apud nos vigeat ita dictum Regium Placitum, pro rebus externis, sequitur rescripta Pontificia foro civili esse submittenda. Quo facto nostra Societas tanquam Institutum legale coram civili societate haberetur, proinde sub legum civilium tutelam, quod idem est sub alienai potestatem cederet. Quapropter humillime postulatur, ne haec conditio actu perficiatur. Veruntamen sicut contingere potest, ut Superiori vel alii socio bona proveniant quae vel in foro conscientiae, vel coram Ecclesia tanquam bona Ecclesiastica ad ipsam societatem spectantia considerare possint, ideo humillime exposcitur ut Superiori Generali una cum suo Capitolo simul collecto, ejusmodi negotia, si quae forte erunt, tractandi ac perficiendi facultas concedatur. Hoc modo adprobata fuit Congregatio Scholarum Charitatis a felici recordatione Gregorii XVI per Breve: Cum Christianae etc, die 21 Iunii 1836.

                Animadversio Sexta. - « Non expedit remittere arbitrio Sociorum depositionem Rectoris Majoris, seu Superioris Generalis, sed praescribendum erit ut depositio effectum habere nequeat inconsulta hac Sacra Congregatione ».

                Adnotatur. - Animadversio haec undequaque admissa atque in Constitutionibus accommodata.

                Animadversio Septima. - « Pro fundatione novarum domorum et pro suscipienda in posterum ab Ordinario Directione Seminariorum recurrendum erit in singulis casibus ad Sanctam Sedem. »

                Adnotatur. - Animadversio haec summopere negotia retardaret, imo Pontificia rescripta ad forum externum spectantia cum ad praxim traduci nequeant absque Regio Placito, non parvo discrimini administratio societatis ipsaque Societas exponeretur.

                Videtur satius esse, ut in fundatione aut in suscipienda administratione [714] novarum domorum recurratur ad Episcopum luci, quemadmodum in constitutionibus expositum est. Haec praxis quam hucusque secuti sumus videtur congruenter satisfacere opportunitatibus locorum, temporum atque personarum. Quod spectat ad rerum temporalium immobilium gestionem fere ad verbum excerptum est a constitutionibus Instituti Scholarum Charitatis de quibus supra dictum est.

                Animadversio Octava. - « Optandum est ut socii plusquam unius horae spatium orationi vocali et mentali quotidie vacent, et ut quolibet anno per decem dies spiritualia peragant exercitia ».

                Adnotatur. - Cum haec animadversio de meliore Societatis bono sit, libenti animo admittitur, atque hoc sensu in constitutionibus accomodatur.

                Animadversio Nona. - « Approbandum non est ut personae extraneae Pio Instituto adscribantur per ita dictam affiliationem. ». Adnotatur. - Cum fere omnes Congregationes et Ordines religiosi habeant tertiarios quos amicos vel benefactores vocamus, quique specialiter bonum Societatis promoventes sanctiorem vitam appetunt, atque constitutiones religiosas in saeculo, quoad fieri poterit, observare satagunt, ideo humiliter postulatur ut hoc caput si non in textu saltem in finem constitutionum tanquam appendix approbetur.

                Animadversio Decima. - « In formula professionis addendum exit nomen Rectoris coram quo emittitur professio, et verbis volermi comandare senza riserbo, substituantur sequentia alia verba: Volermi comandare a tenore delle nostre costituzioni ».

                Adnotatur. - Haec duo animadversiones absque observatione admittuntur atque hoc sensu in constitutionibus accomodantur. Animadversio Undecima. - « Quolibet triennio Rector Major seu Superior Generalis relationem status proprii instituti ad hanc sacram Congregationem transmittere teneatur, quae quidem relatio completi debet tam statum materialem et personalem, nempe numerum domorum et sociorum, quam disciplinam scilicet constitutionum observantiam, nec non quae respiciunt administrationem oeconomicam ».

                Adnotatur. - Cum haec animadversio eo tendat ut totum societatis corpus cum suprema Ecclesiae autoritate strictius vinciatur, ideo libentissime admittitur, atque in hoc sensu in constitutionibus fuit accomodata.

                Animadversio Duodecima. - « Prout moris est penes Pias praesbyterorum Congregationes, constitutionum traductio é vernacula in latinam linguam fiat ».

                Adnotatur. - Animadversio haec executioni jam mandata fuit sicuti in exemplari adnexo cerni potest.

                Animadversio Decimatertia. - « Ne scrupulis et anxietatibus detur locus, deleantur in constitutionibus verba quibus Superioris praecepta obligare sub culpa statuitur ». [715]

                Adnotatur. - Hoc in constitutionibus accommodatum fuit, et sicuti in supradicta animadversione non notantur verba expungenda, ideo si quid mutandum vel delendum est amplissima corrigendi facultas benevolo Relatori conceditur uemadmodum in Domino bonum meliusve judicaverit.

 

                Questo era il tenore del suo memoriale. Come si vede egli voleva presentare rispettosamente alla S. Sede, varie gravi difficoltà che sarebbero sorte dal mettere in pratica alcune di quelle osservazioni. Quindi domandava che fossero conservate nelle Regole, o meglio concesse alla Congregazione Salesiana, la facoltà di sciogliere dai voti triennali, la facoltà di concedere le lettere dimissoriali per la promozione agli ordini sacri, la dispensa condizionata dal chiedere licenza alla Santa Sede per le alienazioni ed i mutui, il conferimento al Vescovo locale del diritto di autorizzare la fondazione di nuove case.

                Colle altre nove osservazioni egli senz'altro modificava le Costituzioni, delle quali curò la traduzione in lingua latina quando fu necessario rimandarle a Roma.

                 Ciò che nel numero 9 il Consultore proponeva di cancellare, erano gli articoli riguardanti gli esterni che lasciano intravedere l'idea dei Cooperatori Salesiani.

                Il lettore veda l'appendice N. 6 titolo 16.

 

 

CAPO LXX. Varie lettere Per D. Bosco: persuasione che egli conosca lo stato delle coscienze: ricordo di una visita al Venerabile, sue attinenze con un - nobile Signore, e sue lettere che fan conoscere in liti un uomo prediletto da Dio; sue parole nel dare il velo ad una religiosa - Premure per le Suore dedicate al bene delle figlie - Lettere a D. Bosco di giovanetti in vacanza - D. Bosco vede il pericolo di un giovano lontano e lo scongiura - Sue parlate ai nuovi alunni: Resoconti morali che Pitagora esigevo dai discepoli: importanza dei non mettersi le mani addosso - Letture Cattoliche D. Bosco a Montemagno: Predica un triduo in preparazione, alla lesta di Maria Assunta in cielo - Al popolo afflitto dalla siccità promette la pioggia se tutti faran pace con Dio - Maria SS. concede la grazia - Morte di un chierico confratello - Riflessione sulle morti frequenti di buoni giovani.

 

                LA corrispondenza occupava tutto il tempo che rimaneva libero, tra i molteplici e importantissimi affari che D. Bosco doveva trattare. Riguardavano molte cose spettanti alla vita spirituale o alla coscienza. Persone innumerevoli, anche di molta cultura civile e religiosa, avevano la persuasione che D. Bosco avesse lumi speciali da Dio; e questa non sminuì per tutto il tempo della sua vita, tanto era evidente la saggezza de' suoi consigli e non di rado la rivelazione de' più occulti segreti. Di queste lettere [717] poche ne rimangono, perchè le scritte da lui le ritennero per sè coloro ai quali rispondeva. Le domande poi andarono distrutte fatte poche eccezioni. E da qualcuna delle rimaste noi, ricaveremo periodi onorifici per D. Bosco.

                La Contessa Isabella Gerini il 30 luglio 1864 scriveva da Firenze a D. Bosco.

                “Sono confusa della gran carità che V. S. ha avuto per me, nè ho parole per ringraziarla come vorrei.

                Sono rimasta veramente sorpresa e nella massima ammirazione dell'infinita misericordia di Dio, che si è degnato illuminarla così prodigiosamente, per darmi avvisi tanto necessarii per l'anima mia, senza che io Le avessi ancora espressi in alcun modo i miei pensieri, timori e dubbi.

                Ringrazio Iddio di sì gran bontà, e ringrazio pure infinitamente V. S. di avermi ottenuto tanto favore da Nostro Signore ..........

                Io tengo la sua preziosa lettera come un tesoro e sempre voglio tenerla per regola della mia vita……”

                Una nobile Dama la signora Carolina Ma. S., l'II agosto 1864, mandava a D. Bosco da Venezia le seguenti linee.

                “La bontà colla quale Ella si degnò di accogliermi, quando ebbi la fortuna di parlarle in Torino, mi dà coraggio di dirigerle queste poche righe, onde pregarla di interessarsi per la povera anima mia…..Io vorrei aprirle candidamente tutto il mio povero cuore, ma per lettera ciò è impossibile. Spero però che il Signore Le farà conoscere tutta la grande mia miseria e Le ispirerà di intraprenderne la cura……Io vorrei amare e servire Gesù, ma…… Non aggiungo di più perchè sono sicura che Ella mi legge in cuore e già mi ha inteso”.

                E da Roma si veniva a consultarlo.

                In questo mese infatti D. Bosco faceva conoscenza col Marchese Angelo Vitelleschi che si recava per la prima volta a Torino colla sua consorte e con un suo figlio. Vennero all'Oratorio e si confessarono da lui. Da quell'epoca si strinse fra [718] D. Bosco e que' signori una grande amicizia. Nel 1865 il Marchese scrivevagli raccomandando alle sue preghiere la propria famiglia e aggiungeva: “Aspettiamo la Marchesa di Villarios la quale ha intenzione di passare qualche mese in Roma. Io sempre mi vado lusingando che un giorno Ella possa venire in Roma. Quanto ne saremmo contenti; ma temo che per ora ciò non si verifichi”.

                E poi scriveva a D. Rua il 4 febbraio 1888: “Noi ricevemmo sempre da D. Bosco attestati di gentilezza e di carità. Ho presso di me alcune sue lettere come preziosi ricordi, e una tra le altre, la quale mi ha recato il convincimento che Don Bosco era uomo straordinario e veramente prediletto da Dio”.

                Da un monastero di Torino Suor Maddalena Veronica in una - lettera così diceva a D. Bosco: “Crederei di mancare al mio dovere se non Le facessi due righe per ringraziarla della gran bontà che Lei ebbe verso di me con ricevere la mia professione religiosa…… Dandomi il santo velo, mi disse di portarlo senza macchia al Tribunale di Dio: mi aiuti per carità a tenerlo mondo. Si degni a tale fine di visitare il pino che ha piantato, ed esaminare se nel fusto fosse sbocciato qualche ramoscello, che gli impedisca di innalzarsi molto in alto; io procurerò di disporre intorno un giardino, dal quale emani il soavissimo odore della rosa e della violetta: mi sforzerò di imitare il girasole”. Ripeteva certamente le parole proferite da D. Bosco nel tempo della sacra funzione.

                Qui faremo una digressione notando come D. Bosco avesse a cuore oltre le religiose del Refugio altre suore che si dedicavano alla redenzione ed educazione della gioventù femminile.

                D. Bosco aveva disposto che un suo sacerdote andasse e celebrare ogni giorno la S. Messa nell'Istituto di S, Pietro, ove allora venivano ricoverate le povere figlie uscite dalle carceri. Quest'opera fondata da D. Merla, che noi abbiamo visto assistere i giovani dell'Oratorio nel 1846, aveva per Direttore il [719] Teol. Vola. Prestavano l'assistenza alcune suore Vincenzine del Cottolengo.

                Così alle suore del Buon Pastore, rimaste senza cappellano, per odioso deliberato della Commissione dell'Opera Pia, provvedeva tutti i giorni una santa messa, due alla Domenica ed il confessore per le numerose ragazze ivi ricoverate o consegnate e custodite: e anche i chierici pel servizio delle funzioni religiose.

                E ora ritorniamo ai giovani.

                Oltre le lettere degli estranei D. Bosco riceveva quelle di molti suoi allievi, che in questo mese erano in vacanze, alle quali non tralasciava di rispondere. Erano domande di consigli, relazioni del modo col quale trascorrevano le loro giornate, commissioni a nome del parroco, dei parenti, dei benefattori, e di altre persone che volevano essere raccomandate, al servo di Dio. In una di queste si legge: “Una povera madre di famiglia mi lascia di dirle se vuol fare la carità di benedirla, perchè già da molto tempo è oppressa da dolori”. Un giovane scrive: “Una brava donna mi disse di pregarla per amore di Dio a volerla benedire con tutta la sua famiglia, ma chiede che le benedica specialmente gli occhi molto infermi, sicchè teme sempre di venir cieca e di non poter più vedere i suoi figli che sono lungi da casa”. Un altro allievo: “Mia madre la supplica di pregare per lei affinchè possa condurre tutta la sua famiglia in cielo”. È graziosa la domanda di uno studente di i' ginnasiale: “La prego a voler benedire me, i miei genitori, mio fratello, le mie sorelle, tutti i miei parenti, le bestie, le campagne”.

                D. Bosco pregava, benediceva e pareva che col suo sguardo seguisse anche da lontano taluni de' suoi figliuoli. Uno di questi avuta la licenza da D. Alasonatti, poichè D. Bosco era assente, andò per qualche giorno presso alcuni parenti in vacanza. Ma là eragli teso un laccio, del quale il poverino in sul principio non si era accorto. Un giorno, di gran calore [720], mentre ai piè di un albero sonnecchiava, lo svegliò un rumore forte e rimbombante a guisa di tuono. S'avvide in quel momento che si tendevano insidie alla sua virtù e senza altro tornò all'Oratorio.

                Intanto rientrato D. Bosco in casa, aveva subito chiesto ove fosse quel giovane, e si vedeva preso da tale agitazione ed impazienza da far meravigliare.

                Il giovanetto tosto che fu giunto si presentò a D. Bosco, il quale rasserenatosi lo fissò con quel suo sguardo singolare e penetrante; ed esclamò un eloquentissimo:

                 - Ah! Va bene!

                 - Oh! D. Bosco! Se sapesse ......

                 - So tutto, gli rispose D. Bosco ed ho pregato per te.

                E questo alunno fu sempre persuaso che D. Bosco avesse visto il suo pericolo per lume soprannaturale. Ed ora vecchio, laureato in belle lettere, sacerdote, religioso, più volte ci narrò il fatto con tutte le circostanze che noi abbiamo qui notate. Egli è uno di quelli dei quali D. Bosco contemplò il fortunato avvenire nel sogno della Ruota.

                Sul principio di agosto erano accolti nell'Oratorio i nuovi alunni per essere preparati alle scuole dei ginnasio. Tutti gli anni costoro passavano il centinaio. Bisognava istruirli sul regolamento della casa, avvezzarli all'obbedienza, ed a un contegno più decoroso, indirizzarli ad una vita di pietà cristiana. Ed era questo un ufficio che D. Bosco adempieva parlando loro sovente alla sera. Noi conserviamo due di queste sue parlate in agosto, che ci conservò D. Ruffino.

 

I.

 

                Io sono solito di consigliare ai giovani, che entrano nuovi nella Casa, quello che Pitagora (celebre filosofo italiano dell'antichità), esigeva dai suoi discepoli. Ogni qual volta si presentava a lui qualche nuovo alunno, per ammetterlo alla sua scuola, voleva che prima in confidenza gli facesse una minuta dichiarazione, ossia una specie di confessione, delle azioni di tutta la sua vita passata. Notate che egli [721] era un filosofo pagano, il quale però cercava colle molte cognizioni acquistate di rendersi utile al suo simile. Chiedeva adunque tale manifestazione, e ne dava la ragione, dicendo: “Perchè se io non so tutte le azioni, che hanno fatte pel passato, non posso consigliar i rimedii che richiede il loro stato, e la moralità dei loro costumi” Quando un giovane poi era accettato nella sua scuola come allievo, voleva che gli tenesse il cuore aperto in ogni cosa: “Perchè soggiungeva, se io non conosco il loro interno, mi riesce impossibile far loro il bene che desidero e di cui eglino hanno bisogno”.

                Lo stesso io consiglio a voi, miei cari giovani. Alcuni credono che basti aprire intieramente il cuore al Direttore spirituale per incominciare una vita nuova e che sia confessione generale quando dicono tutto…..È  una gran cosa, ma qui non è tutto….. Si tratta non solo di rimediare il passato, ma anche di provvedere all'avvenire con fermi proponimenti.... In quanto all'avvenire, per camminare con sicurezza dovete rivelare i vostri difetti abituali, le occasioni nelle quali eravate soliti a cadere, le passioni dominanti; stare ai consigli e agli avvisi che vi verranno dati mettendoli fedelmente in pratica; e poi continuare a tener aperto il vostro cuore con piena confidenza, esponendo di mano in mano i suoi bisogni, le tentazioni, i pericoli, dimodochè chi vi dirige possa guidarvi con sicurezza.

                Ma, s'intende che mettiate per fondamento una buona confessione... In quanto al passato voi, manifestando tutto ciò che avete commesso di male, lo fate non solo, perchè il confessore possa avere conoscenza dell'anima vostra, ma molto più per assicurare le confessioni della vita trascorsa e acciocchè possiate poi dire: - Per lo passato sono tranquillo; così potrò per l'avvenire essere più allegro. - Infatti avrete la sicurezza dell'aiuto del Signore in tutte le circostanze della vostra vita, essendo col vostro amore ed umiltà suoi figliuoli ed amici.

 

II.

 

                Debbo stassera raccomandarvi una cosa di particolare importanza La raccomandavano a tutti i giovani S. Filippo, S. Carlo Borromeo, S. Francesco, di Sales, S. Sebastiano Valfrè. La raccomandano i signori per civiltà ed educazione; la raccomandano tutti i buoni cristiani per evitare il male. Questa cosa si è di non mettervi mai le mani addosso. Sembra una cosa di poca entità e pure è di molta importanza, e il demonio, che è furbo, se ne serve per tendervi insidie.

                Dunque mai più metterci addosso le mani in nessuna circostanza? intendiamoci bene! Se uno dovesse servire un ammalato, sollevare da terra un caduto, non solo può ma deve. Due giovani ritornando dalle vacanze e si toccano la mano. Passi: non ci trovo inconveniente. Anche per essere largo, alla sera andando in camerata due, passando,  [722] si toccano la mano per darsi la buona notte: non farei loro un rimprovero. Ma quel mettersi le mani accavalciate sulle spalle, quel prendersi tre o quattro sotto braccetto e passeggiare così su e giù sguaiatamente, quel saltarsi sulle groppe, quel gettarsi per terra è cosa malfatta, è cosa contraria alla buona educazione ed alla buona morale.

                Il demonio è scolare e maestro; scolare per l'esperienza che ha di tanti secoli, maestro per la sua raffinata malizia, ed egli si serve di questo per tirarci al male. Come scolare sa i mali che ne vengono da queste maniere villane: ne ha visto migliardi di casi; come maestro mette la malizia dove non c'è. Quindi da un tratto che sembrava una semplice sconvenienza ne viene il pericolo, dal pericolo la tentazione, dalla tentazione la caduta. Uno cade ed è rovinato. Non vado tanto avanti in questo ragionamento; state sulla mia parola, anzi sulla parola dei santi e di tutti gli educatori.

                Ma forse qualcheduno pensa: E D. Bosco? Dissi già che vi sono alcuni casi in cui certi riserbi non sarebbero a proposito, per esempio quando vi è necessità o utilità. Ora veniamo al caso mio. Se io qualche volta non dessi uno schiaffetto ad uno, una stretta di mano all'altro, se non mettessi la mano sul capo a un terzo non avrei modo di dimostrare a quel tale la mia benevolenza. Vi sarebbe poi quel tal altro che si offenderebbe, rimarrebbe mortificato avvicinandosi a me. Direbbe: - Chi sa perchè Don Bosco non mi considera più? Ho forse commessa

                qualche mancanza? Vedete; ciò che negli altri è sconvenienza talora per me è necessità e vantaggio. Vi è ancora un altro motivo che mi spinge a regolarmi così. Alcuni tante volte mi fuggono come il diavolo dalla croce. Talora per disgrazia, o meglio per fortuna, li incontro n per le scale; li prendo per mano, loro la stringo, dico intanto una parola e molte volte basta ciò, perchè quel tale cambi il pensare e il tenore di vita. Se invece incontrandolo ci mi saluta stando ad una prudente distanza, se gli rendo semplicemente il saluto, l'amico che sta in guardia sospettoso e contrariato per quell'incontro, mi scappa via e non posso dirgli nulla. Se invece l'ho per mano, faccia la prova di scapparmi. Quello che io dico di me, lo dico di tutti i sacerdoti .....superiori della casa.

                Avete inteso? Chi sa se metterete in pratica il mio avviso? …..

                Vedremo….io lo………..spero Buona notte, miei cari figliuoli!

 

                Le cure che D. Bosco aveva per i giovani andavano a paro colla solerzia nel sostenere le Letture Cattoliche e promuoverne le associazioni. Ei raggiungeva il suo scopo preservando i cattolici dalla peste ereticale. Golzio D. Secondo gli scriveva da Pinerolo il 6 agosto, chiedendo che gli si mandassero, come [723] per lo addietro, mensilmente 66 copie di quelle Letture per i suoi associati. L'accoglienza che faceva quel popolo ai suoi libretti eragli di grande consolazione, essendo Pinerolo allo sbocco delle valli de' Barbetti Valdesi.

                E la tipografia preparavali con grande alacrità.

                Aveva pronta per settembre e ottobre: La Vita di S. Atanasio il grande, Vescovo d'Alessandria e Dottor della Chiesa, raccontata al popolo dal Sacerdote Re Giuseppe. Questo volumetto dimostra che gli eretici furono, non meno dei pagani, crudeli persecutori della Chiesa.

                Un importantissimo avviso era notato in fondo: “La Direzione delle Letture Cattoliche prega i Signori Associati a volerle far pervenire il più presto possibile l'ammontare degli arretrati scaduti, sia del corrente che dei precedenti anni”. Trattavasi di regolare i conti colla passata Amministrazione.

                Pel novembre si stampava il fascicolo che portava il titolo: Le avventure dei due orfani Urbano e Paola. Sono fratello e sorella, di nobile famiglia, che insidiati da ipocriti e brutali nemici, rimangono maravigliosamente salvati, e consacrano a Dio il fiore immacolato della loro giovinezza.

                Ordinate le stampe, D. Bosco si disponeva per recarsi a Montemagno, presso il Marchese Fassati, per celebrare la festa dell'Assunzione di Maria in Cielo, confessando e predicando in quella parrocchia: e rispondeva all'invito che gliene aveva fatto la Marchesa:

 

Torino, 8 agosto 1864.

 

                               Gentilissima sig. Azelia,

 

                Ho ricevuto a suo tempo la lettera che anche a nome di Maman ebbe la bontà di scrivermi. Sabato a sera a Dio piacendo credo che saremo a Montemagno io con D. Rua e con qualche altro confessore. Forse non avrà l'avvocato Arrò, perchè esso deve cantare e portar la croce qui all'Oratorio.

                Ho scritto a Monsignore accennando la mia gita costà ed invitandolo, ma soltanto a modo di cortesia senza parlare di speciale solennità [724]; pel che non ci andrà; ma se ciò fosse renderci tosto Papà e Maman avvisati.

                Preghi, signora Azelia, per me e per questi miei giovinetti; io non mancherò invocarle dal Signore sanità e timor di Dio colla perseveranza nel bene.

                Umili ossequi ai Signori genitori, Papà e Maman, e mi creda nel Signore,

                Di V. S. Gentilissima

 

Dev.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Con altra lettera dava alla figlia della Marchesa notizie più precise del giorno di suo arrivo.

 

                               Gentilissima sig. Azelia,

 

                Le nostre lettere sonosi incrocicchiate; ad ogni modo le dico che Don Rua va da Mirabello e si troverà per tempo a predicare la sera del 13. - lo con un compagno partirà da Torino e sarò a Montemagno e non prima, la stessa sera. Non si diano pena per la vettura; qualora non potessi servirmi dell'omnibus, mi aggiusterò.

                Mi rincresce molto che maman sia ammalata; le faccia coraggio; io l'ho già raccomandata al Signore, e bisogna che la Madonna la faccia guarire a qualunque costo pel giorno della sua Festa, Maria Assunta.

                Dio benedica Lei, tutta la famiglia i conservi tutti nel santo timor di Dio. Amen.

                Credami con tutta stima di V. S. Gent.ma,

 

                Torino, 10 agosto 1864.

 

Dev.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                D. Rua Michele partiva da Mirabello nel giorno stabilito e a Montemagno trovò che D. Bosco, accompagnato da Don Cagliero, era giunto in tempo per il triduo di predicazione.

                Ma quella popolazione era oppressa da grande sconforto.

                Da tre mesi un cielo di bronzo negava la pioggia alle arse campagne e invano si erano fatte molte pubbliche e private preghiere. Tutto il raccolto doveva andar perduto.

                D. Bosco salì sul pulpito e nella sua prima predica disse [725] al popolo: - Se voi verrete alle prediche in questi tre giorni, se vi riconcilierete con Dio per mezzo di una buona confessione, se vi preparerete tutti in modo che il giorno della festa vi sia proprio una comunione generale, io vi prometto, a nome della Madonna, che una pioggia abbondante verrà a rinfrescare le vostre campagne. - La sua calda esortazione vinse tutti i cuori. Egli nella foga del parlare non aveva intenzione di fare una promessa assoluta, ma sibbene un'esortazione efficace, appoggiato sulla bontà di Maria: la Madonna però aveva parlato per bocca sua.

                D. Bosco disceso in sagrestia osservò che la gente lo guardava meravigliata e commossa e il parroco D. Clivio, gli si avvicinò e gli disse: - Ma bravo, ma bene: ci vuole il suo coraggio!

                 - Quale coraggio?

                 - Il coraggio di annunziare al pubblico che la pioggia infallantemente cadrà il giorno della festa!

                 - Io ho detto questo?

                 - Certamente: Ha detto queste precise parole: In nome di Maria SS. vi prometto che se voi tutti farete una buona confessione, avrete la pioggia.

                 - Ma no; avrà frainteso;... io non mi ricordo d'averlo detto.

                 - Interroghi pure ad uno ad uno gli uditori e vedrà se tutti non hanno inteso quello che ho inteso io. - Infatti la cosa era andata così e il popolo ne era talmente persuaso che si accinse risolutamente ad aggiustare le partite della propria coscienza: Non bastavano i confessori ai penitenti. In quei giorni dal mattino prestissimo fino alla sera a notte avanzata e anche tardissima i confessionali erano assediati. D. Rua e specialmente D. Cagliero ricordano ancora la stanchezza di que' giorni.

                Nei paesi circonvicini facevansi i commenti e le risa su quella profezia, anzi nel paese di Grana per festeggiare la smentita che il tempo avrebbe dato al prete, si era preparata una gran festa da ballo. In quei tre giorni il cielo fu sempre infuocato. [726] D. Bosco continuava a predicare e nell'andare o venire dalla chiesa i popolani lo interrogavano: - E la pioggia?

                 - Togliete il peccato  rispondeva D. Bosco.

                Il giorno della festa di Maria Assunta in cielo, che in quest'anno cadeva in lunedì, vi fu una comunione generale così numerosa, che da tempo non erasi vista. In quel mattino il cielo non sembrò mai così sereno. D. Bosco sedette a pranzo col Marchese Fassati, ma prima ancora che i convitati avessero finito si levò e si ritirò in camera. Era in una certa angustia perchè la sua predizione avea fatto troppo rumore. L'aria gli portava all'orecchio il suono lontano delle trombe del ballo pubblico di Grana. Nello stesso Montemagno certi liberali avevano organizzato una dimostrazione ostile contro di lui.

                Le campane suonarono il segno dei vespri e in chiesa incominciarono i canti dei salmi. D. Bosco appoggiato alla finestra interrogava il cielo che sembrava inesorabile. Regnava un caldo soffocante. Egli studiava che cosa dire dal pulpito se la Madonna non avesse fatta la grazia.

                “Intanto, ci raccontò il sig. Luigi Porta, ora Sacerdote e Salesiano, io andava alla Chiesa col Marchese e si parlava appunto della pioggia promessa; il sudore gocciolava dalle nostre fronti benchè dal palazzo alla Chiesa non vi fossero che dieci minuti di strada. Come fummo giunti in sagrestia sul finire dei Vespro ecco giungere D. Bosco. Il Marchese gli disse: - Questa volta, sig. D. Bosco, fa un fiasco. Ha promesso la pioggia, ma tutt'altro che pioggia. - Allora D. Bosco chiamò il sagrestano: - Giovanni, gli disse; andate dietro al Castello del Barone Garofoli, ad osservare come si metta il tempo e se vi è qualche indizio di pioggia. - Il sagrestano, va, ritorna e riferisce a D. Bosco: - È limpido come uno specchio: appena una piccola nuvoletta, quasi come l'orma di una scarpa, verso Biella. - Era adunque come la nuvoletta del Carmelo ai tempi di Elia? - Bene: gli [727] rispose D. Bosco; datemi la stola. - Alcuni fra i molti uomini che erano in sagrestia, gli si fecero intorno e lo interrogarono:

                - E se la pioggia non cade?

                 - È  segno che non la meritiamo, rispondeva D. Bosco”. Finito il Magnificat saliva lentamente il pulpito, dicendo nel suo cuore a Maria: - Non è il mio onore che in questo momento si trova in pericolo, sibbene il vostro. Che cosa diranno gli schernitori del vostro nome, se vedranno deluse le speranze di questi cristiani che hanno fatto di ogni lor meglio per piacere a voi?

                D. Bosco si affaccia dal pulpito. Una moltitudine fitta, che occupa fino ogni angolo della chiesa ha gli occhi fissi in lui. Detta l'Ave Maria gli sembra che la luce del sole siasi leggiermente oscurata. Incomincia l'esordio, ma detti pochi periodi sì ode prolungato il rumore del tuono. Un mormorio di gioia scorre per tutta la chiesa. D. Bosco sospende un istante in preda alla più viva commozione. I tuoni si succedono ed una pioggia dirottissima e continuata batte nelle invetriate. Pensate voi all'eloquente parola che usciva dal cuore di Don Bosco, mentre imperversava la pioggia; fu un inno di ringraziamento a Maria e di conforto e lode ai suoi divoti. Piangeva esso, piangevano gli uditori.

                Dopo la benedizione la gente si fermò ancora in chiesa e sotto il grande atrio, innanzi a questa, perchè la pioggia continuava dirotta. Da tutti si riconosceva il miracolo. Ma nel paese di Grana cadde una grandine così terribile che portò via tutti i raccolti e, cosa degna di memoria, fuori dei confini di questo comune in tutti i paesi circostanti non cadde neppure un chicco di grandine.

                Il fatto ci venne anche esposto pochi mesi dopo l'avvenimento dal Viceparroco D. Marchisio, e da altri testimoni.

                D. Bosco ritornava nell'Oratorio per assistere agli ultimi istanti del Chierico Morielli Giuseppe di Prasco, giovane di grande Virtù e confratello nella Pia Società. Egli moriva il [728] 21 di agosto in età di 24 anni. Sempre allegro e sempre contento aveva edificato i compagni colle sue virtù, mirabile nel mortificare i sensi e nel praticare l'umiltà. Riusciva in modo splendido negli studi, e prediligeva l'assistenza agli artigiani. Primo sintomo della malattia era stata la perdita della memoria che prima aveva tenacissima. Essendo ricorso a D. Bosco perchè gli desse la sua benedizione, il servo di Dio gli disse: - Caro Morielli, procura solo di non dimenticarti del paradiso e poi pel resto pazienza. - Le ultime parole dei buon chierico a D. Bosco furono: - Dica ai miei compagni che io li aspetto in paradiso.

                Già sette giovani erano stati chiamati da Dio all'eternità in quest'anno e qualche altro vedremo seguirli in poco tempo.

                In certi anni il numero dei giovani che Dio chiamava dall'Oratorio all'eternità era abbastanza considerevole, quantunque non vi fosse sproporzione fra le pubbliche statistiche dei defunti, e quella dei ricoverati o abitanti in Valdocco. Ma D. Bosco, i suoi sacerdoti, noi stessi, fatte pochissime eccezioni, abbiamo constatato che la maggior parte di quei passaggi all'eternità erano causa di grande consolazione. Si poteva affermare colle parole della Sapienza al Capo IV:

                 - Il giusto quando avanti tempo egli muoia, trova sua requie…… Perchè ei piacque a Dio, fu amato da lui; e perchè tra i peccatori viveva altrove fu trasportato. Fu rapito affinchè la malizia non alterasse il suo spirito, o la seduzione non inducesse l'anima di lui in errore ... ... Stagionato egli in breve tempo, compiè una lunga carriera. Era cara a Dio l'anima di lui per questo - Egli si affrettò di trarlo di mezzo alle iniquità.

                Le genti poi veggono queste cose e non le comprendono, né in cuor loro riflettono, come Egli è questo beneficio di Dio, e misericordia verso i suoi santi, e come egli ha cura de' suoi eletti. Ma il giusto morto condanna gli empi che vivono, e la giovinezza loro, sì presto estinta, condanna la lunga vita del peccatore”.

 

 

CAPO LXXI. Attestati di stima verso D. Bosco di illustri sacerdoti D. Ambrogio innanzi all'Oratorio - Un opuscolo contro l'apostata fazioso - Bene che potranno operare i collegi salesiani - Esami all'Università e diplomi ottenuti - Incoraggiamento ad un insegnante - Il R. Provveditore autorizza l'apertura del Collegio di Lanzo - - Studi di D. Bosco per accrescere e sostenere le sue case in tempi così difficili La Convenzione tra Napoleone e il Governo italiano; trasporto della Capitale a Firenze - Dimostrazioni e tumulti in l'orino - D. Bosco raccomanda di pregare - Strage in Piazza di S. Carlo - Torino città di provincia - Come Pio IX accogliesse l'Ambasciatore di Francia che gli presentava la Convenzione.

 

                QUANTO D. Bosco fosse amato e stimato in Italia pel bene che operava in mezzo alla gioventù lo dimostrano lettere e testimonianze raccolte in gran numero nei nostri archivii. Fra queste ne scegliamo due sole. D. Apollonio Giuseppe prete veneziano, che fu successivamente Vescovo di Adria e di Treviso, scriveva a D. Bosco da Venezia il 3 settembre 1864.

 

                               D. Bosco mio dolcissimo!

 

                Oh quanta consolazione ho provato l'altro ieri quando ricevetti i suoi saluti per mezzo di persone così care al Signore! Se non che appunto in quell'occasione mi fu inflitta una spina nel cuore, avendo inteso [730] come vostra Reverenza creda di dover camparla solo per un paio d'anni in questo mondaccio tristo. Oh no, no, D. Bosco carissimo, non muoia, no, So, che se Ella non è necessario (il che non si potrebbe dire di nessuno), certo però è sommamente utile costi nelle circostanze in cui ci troviamo! Le mie preghiere valgono poco, ma voglio pregar tanto il Signore che non le badi, se desidera morire presto. Preghi anche Lei via, da bravo e dica con S. Martino al Signore, Domine, si adhuc populo tuo sum necessarius, non recuso laborem. Oh quanto bene Ella ha fatto in questi anni, e quanto ancora può farne! Si dia coraggio in mezzo a tante afflizioni, a tante miserie! Chi sa, poveretto, quanto te patisce nel suo animo! Anch'io, vede, cerco di darmi coraggio più che pomo, abbenchè vi abbiano dei giorni in cui non ne posso più. Oh Gesù caro, a quali tristissimi tempi ci avete riserbati! Davvero che la guerra di sangue che agitò per tre secoli l'immacolata sposa di Cristo, può dirai nulla a petto della guerra che le si muove al presente. Oh che pasto orribile ne' cuori e nelle mentì! Io porto fidanza, dirò anzi, mi pare d'essere certo che non andranno molti anni, né forse motti mesi, che, almeno in quanto all'esterno, le cose rientreranno nelle vie dell'ordine; ma ciò è assai poca cosa se non si raddrizzano le teste: e nelle teste ai è un tal veleno di principi morali, sociali, religiosi che nella massima parte le ha guaste fino al midollo, sicchè ci vorrebe proprio un miracolo e di quelli che l'Angelico chiamerebbe ratione sui, perchè si raddrizzino in pochi lustri. Non le posso dire, D. Giovanni mio quanto io ne patisca anche fisicamente; però mi tien desto e mi rinfranca il bisogno che sento di adempiere meglio che per me si possa ai molteplici e spinosi carichi addossatimi dai Superiori, E poi conviene dire il vero; non le sono tutte amarezze; perchè la buona nostra Mamma Maria e il suo caro Figlio, in mezzo alle fatiche i fanno godere anche di grandi consolazioni. Ma io la tengo troppo occupata in questa lunga diceria, Veniamo dunque a noi Sappia, D. Bosco mio, che Fila fu ed è amai spesso presente nella mia memoria, e che spesso in questo tempo, benchè indegnamente, io ho pregato per lei. Preghi anch'ella adunque per me... Io non oso neppure chiederle una riga, ma s'immagini di quanta consolazione sarebbe per me. Iddio benedica D. Bosco, le sue fatiche e le coroni sempre dell'esito più felice .....

 

Dev.mo e obbl.mo servo e fratello in G. M.

Sac. GIUSEPPE APOLLONIO.

 

                In concetto simile a quello di D, Appollonio, teneva Don Bosco il Canonico Gastaldi Lorenzo. In questo settembre erasi ritirato nella Casa dei Signori della Missione per attendervi agli esercizi spirituali, Allo stesso fine si trovava con lui [731] D. Giacomelli, il quale così ci narrò: - “Una sera il Canonico, che conosceva molto bene l'Oratorio, lo frequentava, vi predicava e confessava, discorrendo meco delle opere di D. Bosco, le approvava e lodava, dicendo di esse molte belle cose; e finalmente terminò col dire di Don Bosco ciò che la Sacra Scrittura afferma di Davidde: - Et Dominus erat cum illo.

                “Gli esercizii dovettero finire un giorno prima del tempo stabilito, perchè D. Ambrogio colle bestemmie e col trarsi dietro la plebaglia faceva il diavolo a quattro, e per lunga ora, innanzi alla porta della Casa de' Lazzaristi”.

                Questo emissario dell'eresia e delle sette aveva già fatte simili sconcie scenate contro altri istituti religiosi; e sulle piazze e presso alle Chiese continuava a vomitare empietà e sciocche invettive contro quanto vi ha di più sacro. Non gli mancavano gli applausi dei prezzolati frequentatori delle osterie.

                Un giorno scese in Valdocco seguito da quella gran folla di gente solita a radunarsi intorno ai ciarlatani. Ei predicò innanzi al portone dell'Oratorio ed inveì con modi villani contro D. Bosco, ritirandosi quando incominciava a mancargli il fiato. Il popolaccio aveva schiamazzato, riso sguaiatamente, proferiti insulti e schemi non solo all'indirizzo dei sacerdoti, ma anche dell'oratore, il quale non aveva certamente dato saggio di arte rettorica.

                Gli alunni dell'Oratorio non si erano fatti vivi: D. Bosco era fuori di casa.

                Rientrato D. Bosco e saputo il fatto, disse: - E perchè non avete fatto giuocare la musica? Un'altra volta si collochi la banda dietro il portone chiuso, e all'improvviso rimbombi una marcia delle più fragorose coi tamburi e la gran cassa.

                Una sua musica, però d'altro genere, egli faceva risuonare ed era un opuscolo col titolo: - Chi è D. Ambrogio? Dialogo tra un barbiere ed un teologo. - Vi si dipingeva la vita per [732] nulla sacerdotale e morale dell'apostata, e l'obbligo dei fedeli di non ascoltarlo e di fuggirlo. Questo opuscolo fu sparso a migliaia e migliaia di copie nelle provincie piemontesi, al costo di soli 5 centesimi. Negli anni seguenti ne furono stampate e distribuite altre edizioni.

                D. Bosco adunque in ogni occasione stava pronto a combattere l'eresia ed a smascherarne ì banditori, mentre con pari impegno si occupava a consolidare e sviluppare le sue scuole e i suoi collegi. Era sua ferma intenzione che questi a suo tempo dovessero diventare come fari per illuminare eziandio la gioventù dei paesi e delle città nelle quali sarebbero fondati, per mezzo degli Oratorii festivi.

                Lo secondavano con ardore ne' suoi disegni quelli che aveva destinati all'insegnamento. L'esame del primo anno di belle lettere era superato con lode da D. Francesia Giovanni e dal Ch. Cerruti Francesco. Essi chiesero subito di essere ammessi al terzo anno. Fu loro concesso, purchè si assoggettassero ad un nuovo esame sulle materie del secondo corso e questo riuscì pure splendidamente.

                Prendevano all'Università le patenti di terza ginnasiale i chierici Barberis Pietro, Tamagnone Giovanni, Fagnano Giuseppe.

                Dal Piccolo Seminario di Mirabello si presentarono all'esame magistrale in Alessandria il 10 ottobre: per le classi elementari superiori i Chierici Albera Paolo, Momo Gabriele, Dalmazzo Francesco; per le classi elementari inferiori, i Chierici: Nasi Angelo, Cuffia Francesco. Belmonte Domenico: tutti e soli furono approvati.

                E D. Bosco incoraggiava i suoi a rendersi abili per l'insegnamento e a non aver ripugnanza alla nobile e necessaria missione nelle scuole. A D. Bonetti, che aveva insegnato a Mirabello la terza ginnasio e che desiderava occuparsi di studii teologici, Don Bosco scriveva: [733]

 

                               AI Motto Rev.do Sig. D. Bonetti Gio. Professore,

 

Mirabello.

 

                               Carissimo Bonetti,

 

                Va' pure avanti come abbiamo stabilito e farai la volontà del Signore. Si aggiusterà ogni cosa in modo che tu possa fare i tuoi studii. Abbi fiducia nel Signore; io lo pregherò per te. Tu pregalo anche per me che di cuore ti sono,

                Torino, 29 Settembre 1864.

 

Aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Egli aveva presentato alle Autorità scolastiche i nomi e i diplomi degli insegnanti da lui destinati per Lanzo e in questi giorni riceveva l'autorizzazione di aprire quel Collegio.

 

IL REGIO PROVVEDITORE AGLI STUDII DELLA PROVINCIA DI TORINO.

 

                Veduta la domanda fatta dal sig. Sacerdote Giovanni Bosco di aprire in Lanzo, col concorso del Municipio, un collegio convitto per scuole elementari e ginnasiali;

                Veduta la convenzione fatta dal predetto sig. Sac. Bosco col comune di Lanzo in data 30 giugno p. p., colla quale il sig. D. Bosco ha convenuto di provvedere alle scuole elementari obbligatorie al Comune;

                Veduto il decreto del R. Ispettore delle scuole primarie di questa Provincia in data 27 agosto ultimo scorso, con cui dichiara nulla ostare per parte sua, alla instituzione delle tre classi elementari coll'opera dei signori maestri chierico Capra Pietro per la 3a e 4a Barberis Pietro per la 2a e Cibrario Nicolao per la Ia, a condizione che si sopprima l'obbligo di pagamento del minervale indistintamente a tutti gli alunni, nati o non nel Comune di Lanzo, che vorranno frequentare le dette scuole elementari, siccome contrario all'articolo 317 della legge 13 novembre 1859 n° 3725 che dichiara gratuito ed obbligatorio ai comuni l'insegnamento elementare;

                Veduti gli articoli 246 e 247 della legge anzidetta;

                Veduto l'elenco, i titoli del personale direttivo ed insegnante, la favorevole relazione igienica del locale e la pianta di esso,

 

                SI AUTORIZZA:

 

                Il Sig. Sacerdote Gio. Bosco ad aprire nel già locale del collegio di Lanzo un collegio convitto ove, oltre alle scuole elementari inferiori [734] e superiori, assolutamente gratuite, sarà dato in conformità dei programmi governativi l'insegnamento delle tre prime classi ginnasiali sotto la Direzione del signor teol. Cav. Albert Vicario Foraneo di Lanzo e coll'opera dei signori professori sacerdoti:

                Ruffino Domenico per la terza classe: Fusero Bartolomeo per la seconda classe; Bonetti Giovanni per la prima classe.

                Codesta autorizzazione è vincolata all'adempimento delle condizioni su espresse ed alle disposizioni relative agli stabilimenti privati d'istruzione; e all'obbligo di annunciare all'autorità scolastica i cambiamenti che succedessero nel personale.

 

                Torino, 14 settembre 1864.

 

Pel R. Provveditore

VIGNA.

 

                Il Collegio di Lanzo era adunque la sua terza casa; e dopo questa egli vedeva chiaramente che molte altre ne avrebbe fondate; collegi convitti, ospizii, scuole professionali di arti e mestieri, seminarii, colonie, agricole, ecc. Perciò ei si faceva mandare da varie parti programmi delle case di educazione destinate per una classe speciale di alunni. E noi abbiamo trovato nel suo scrittoio i programmi del piccolo ospizio dei poveri artigianelli d'Ivrea; del Ricovero dei giovani poveri e abbandonati nella città di Alba; del Ginnasio - Convitto Vescovile di Mondovì; del Collegio Convitto, tecnico commerciale dei Fratelli delle Scuole Cristiane in Torino; del Piccolo Seminario della Piccola casa della Divina Provvidenza; del Collegio elementare semiconvitto dei Fratelli della Scuole Cristiane in Torino; del Collegio Cattolico a Menzingen per l'educazione dei giovani che sono destinati al commercio, del Collegio Convitto di Pinerolo; e di altri de' quali ora più non ci ricordiamo.

                Ma sopra tutto egli s'informava delle leggi, dei decreti, dei programmi e delle circolari governative sull'istruzione classica ed elementare. Studiava l'interpretazione che davasi a certi articoli, o la loro applicazione non rigorosa che le Autorità [735] si permettevano in date circostanze. Costava a D. Bosco l'abilitazione legale de' suoi insegnanti e pensava che non sempre riuscirebbe a ritenerli per sè, conseguito il diploma. I titoli equipollenti, le facoltà acconsentite ai Regi Provveditori, le supplenze tollerate faceano parte dei suoi disegni per superate le difficoltà ognora crescenti che si opponevano allo sviluppo delle sue Scuole. Cercava insomma di conciliare l'obbedienza alle prescrizioni della legge coll'obbligo che egli aveva di proseguire nella sua missione.

                E oltre a ciò volendo provvedere al buon andamento delle sue case, per l'insegnamento consigliavasi sovente con alcuni Ira i più distinti professori delle scuole governative, per l'igiene consultava medici dotti e sperimentati, per l'amministrazione materiale, e per gli affari legali chiedeva il parere di valenti avvocati.

                Si legge ne' Proverbi: “Il saggio interrogando ed ascoltando accresce le sue cognizioni; e colui che intenderà starà al timone”.

                Ma i pacifici studii erano turbati in Torino da gravi e deplorevoli tumulti. Il 15 settembre Napoleone stipulava una convenzione col Governo Italiano rappresentato dal Ministero Minghetti e Peruzzi, ed eccone il testo: I° L'Italia si obbliga a non attaccare il territorio attuale del Santo Padre, e ad impedire anche colla forza ogni attacco proveniente dall'estero contro il detto territorio degli Stati Pontificii.

                2° La Francia ritirerà le sue truppe gradatamente a misura che l'esercito dei Papa sarà organizzato. Ad ogni modo la azione dovrà compiersi entro due anni.

                3° Il Governo Italiano non reclamerà contro l'organizzazione di un esercito Pontificio, anche se composto di volontarii cattolici stranieri, sufficiente per mantenere l'autorità dei Papa e la tranquillità tanto all'interno quanto sulla frontiera dello Stato, purchè questa forza non possa degenerare in un mezzo d’attacco contro il Governo Italiano. [736]

                4° L'Italia si dichiara pronta a entrare in trattative per prendere a suo carico una parte proporzionale del debito degli antichi stati della Chiesa,

                In un protocollo aggiunto dicevasi:

                “La convenzione... non avrà valore esecutorio, se non quando S. M. il Re d'Italia avrà decretato la traslazione della Capitale del Regno nel luogo che sarà ulteriormente determinato da detta S. Maestà”.

                Parve che tale convenzione fosse, come quasi tutti i giornali Francesi, Inglesi, Italiani la qualificarono, un atto solenne di consegna di Roma e del Papato all'Italia; e che preludesse ad una nuova guerra contro l'Austria. Ed era così!

                Ma quando in Torino si venne a sapere il decretato trasporto della capitale a Firenze, un immenso cruccio prese a lacerare la maggioranza dei cittadini, parte perchè presentivano la propria rovina, parte per indignazione nel vedere sì male ripagati i sacrifizii enormi fatti dal Piemonte e massime da Torino per la causa italica, parte per ispirito settario. Gli agenti di Mazzini, provocatori di ribellioni, spingevano il popolo a tumultuare. In Torino spargevasi un grandissimo numero di lettere minacciose con l'epigrafe: Viva Garibaldi, morte a Vittorio Emmanuele, viva la repubblica. Circa sei mila persone il 20 settembre si radunarono con bandiere in piazza Castello e urlando: Abbasso il Ministero, abbasso la convenzione francese, viva Garibaldi, si recarono nella Piazza S. Carlo facendo una dimostrazione ostile davanti alla tipografia della Gazzetta di Torino, diario ministeriale che aveva fatto plauso alla Convenzione. Ma tutto finì con grida e fischiate assordanti.

                Il 21 verso le 2 pomeridiane certa quantità di gente con bandiere si mosse da Porta Nuova e si recò sotto i portici di S. Carlo, fischiando e vociferando contro la Gazzetta di Torino. In piazza si accalcavano più migliaia di persone. A un tratto, senza essere provocate, da ogni parte sbucano le guardie di pubblica sicurezza colle sciabole sguainate, menando [737] colpi a dritta e a sinistra di punta e di taglio. Alcuni feriti morirono. La folla si disperse intimorita, ma dopo breve tempo ritornò più numerosa e più furibonda, assalì la Questura posta sulla stessa piazza, accanto alla Chiesa di Santa Cristina, e ne tempestò la porta con una terribile sassaiuola. Le guardie non osarono uscire. In piazza Castello intanto uno squadrone di carabinieri impediva una dimostrazione pacifica e legale che era stata indetta il giorno prima. Molto popolo si avanzava e non sapendo perchè fosse chiuso il passaggio acclamava, brontolava e forse qualcuno proferì minacce. All'improvviso i carabinieri fanno fuoco di fila e rimasero fra i cittadini dieci morti e varii feriti.

                Verso le 8 la folla irruppe nuovamente contro l'ufficio della Gazzetta con una spaventosa grandinata di ciottoli, dando un guasto considerevole alla tipografia. Furono saccheggiate varie botteghe di armaiuoli; tutti i negozii erano chiusi. La popolazione costernata, triste, e silenziosa riempiva le vie; dal campo di S. Maurizio, chiamati dal Ministero, giungevano più di 28.000 uomini con oltre 100 cannoni occupandola città; le miccie erano accese: sul monte dei Cappuccini che domina Torino furono appostate grosse artiglierie. I Ministri volevano vincere la prova, pronti a bombardare la città e affogare nel sangue ogni resistenza.

                D. Bosco, la sera del 21 settembre, raccolti tutti i giovani sotto i portici, prima di mandarli a riposo, volle che pregassero per la città di Torino, per i suoi abitante, e per tutti i benefattori, esortando che li raccomandassero con fede alla bontà della celeste patrona Maria SS.

                Il giorno 22 passava tranquillo e così pure le prime ore della sera, quando verso le 9 gruppi di schiamazzatori convenivano in piazza S. Carlo. Gran folla di popolo, spinta dalla curiosità, li aveva seguiti. Una compagnia di linea con carabinieri e questurini era schierata davanti alla Questura; un battaglione del 17° reggimento guerniva la piazza dal lato di [738] levante; gli stava di rimpetto sul lato opposto un battaglione del 66° fanteria. Verso le 9 e ½  i dimostranti incominciano a scagliar sassi nell'interno del portone della Questura: due militi ne sono gravemente colpiti. I carabinieri senza squilli di tromba incominciano il fuoco contro il gruppo degli aggressori, ma alcune palle vanno a ferire il colonnello e alcuni soldati del 171 fanteria. I soldati, vedendo cadere i loro compagni, credettero che dal popolo fossero partiti quei colpi, e spararono. Ma anche qui per colmo di sventura essi recarono morti e ferite alla truppa che avevano di fronte, la quale, indotta nello stesso errore, scaricò i fucili sulla gente stipata. Così la folla si trovò in un istante tra il fuoco incrociato da tre parti, e cercò salvezza nella fuga. I sacerdoti senza curare il pericolo, corsero ad assistere gli agonizzanti e a levare i feriti. I morti erano 26 e il totale dei colpiti registrati alla statistica del Municipio fu di 187: il numero di quelli trasportati al proprio domicilio e non registrati di gran lunga maggiore. Quasi tutti erano offesi alle spalle, nessuno dei caduti si trovò munito di armi; i più erano giovani operai, parecchi fanciulli e sei donne. Esponiamo questi fatti seguendo la relazione compilata dal Consigliere Ara Casimiro e pubblicata a spese del Municipio.

                La cittadinanza era esasperata, quando per buona ventura un personaggio potè penetrare presso il Re ed esporgli il vero stato delle cose. Il Re inorridito temendo qualche scempio più spaventoso, invitò per ben due volte i Ministri a dare le loro dimissioni: si rifiutarono dicendo che non dovevano cedere alle violenze plebee, e che si rimuoverebbero dal proposito solamente per un ordine preciso e formale del Re; e allora Vittorio Emmanuele loro mandò l'ordine di rassegnare la carica. Al che i Ministri obbedirono. Il cambiamento di Ministero, la prigionia degli agenti provocatori che si erano messi alla testa delle dimostrazioni, la presenza di nuove truppe, e la chiamata sotto le armi della guardia nazionale [739] calmò le moltitudini. Ma s'ingannavano a partito i Torinesi sperando che col nuovo Ministero La Marmora si verrebbe a capo di mutate le risoluzioni firmate da Napoleone III, il quale era il vero sovrano d'Italia. E infatti poco dopo si trasportava la Capitale a Firenze. “Torino, non solo crudelmente ma villanamente oltraggiata, tornava città di Provincia, come era al tempo di Re Arduino; e provava i dolori dello scoronamento come Parma, Modena e Napoli”[60].

                Ma chi più ne doveva soffrire era il Papa. La Convenzione era di sua natura evidentemente illusoria. Roma e il suo minuscolo territorio cessando di essere difeso dalle forze insuperabili della Francia, restava isolata in mezzo ad un vasto regno che del continuo la minacciava e che attendeva il momento nel quale sorgessero casi che le aprissero la strada per violare le sue promesse. Oltre a ciò la convenzione era in aperto contrasto colla dignità e coi diritti della Santa Sede; e pure Napoleone non ne aveva trattato nè col Sommo Pontefice, nè colle Potenze Cattoliche, in nome eziandio delle quali la Francia aveva occupato Roma.

                Il 3 dicembre preti e chierici chiesero a D. Bosco notizie del Papa: Egli è tranquillo, rispose, perchè le sorti della chiesa sono in mano di Dio. Che figura ridicola fece il De Sartiges ambasciatore in Roma, mentre presentava a Pio IX fa Convenzione, ed una nota del Ministro Dronyn de Lhuys colla quale si voleva dimostrate la ragionevolezza e la necessità delle decisioni imperiali. L'ambasciatore parlava della Convenzione, e assicurava essere Napoleone un devoto e leale difensore della Chiese, ma Pio IX per nulla badandogli, gli chiedeva ripetutamente notizie della sanità di sua famiglia.

 

 

CAPO LXXII. Divozione alla Madonna - Racconto di una grazia - Compra di un terreno dal Seminario per l'area della Chiesa -Due domando di D. Bosco al Sindaco di Torino: Poi rettilineo di via Cottolengo e per un nuovo condotto di acqua - Circolare ai benefattori per la Chiesa - Supplica ai principi Tommaso Duca di Genova ed Eugenio di Savoia  - Lettere mandato a Roma - Risposta e offerta per la Chiesa di un religioso - Lettera da Roma di un amico con vario notizie del suo operato a vantaggio della Pia Società e della nuova Chiesa - Affetto di D. Bosco pe' suoi Benefattori e sue lettere di conforto.

 

                IN questi giorni di trepidazione anche nell'Oratorio, specialmente per gli alunni artigiani che avevano i parenti in Torino, D. Bosco insisteva perchè mettessero se stessi e le loro famiglie sotto la protezione di Maria Santissima, la quale non abbandona mai i suoi divoti nei pericoli. A questa confidenza eccitavali coi suoi discorsi. Qualunque notizia gli giungesse di grazie - singolari accordate dalla Madonna, facevasi un caro dovere di narrarle a' suoi figliuoli. Le glorie antiche e recenti della Madre dei cristiani erano sempre sulle sue labbra. In questo mese, narra D. Ruffino quasi al termine della sua cronaca, D. Bosco esponeva il seguente fatto.

                 La Signora Luisa de Marchesi Garofoli, matrona ottuagenaria, in seguito a lunga e seria malattia fu colpita da totale paralisi [741] alle gambe. Chiamati a curarla valentissimi medici, questi, dopo usati senza nessun pro' tutti i mezzi che la scienza suggeriva, dichiararono concordemente non potersi l'inferma, e per la gravezza del male e per l'avanzata età, liberare con umani rimedii dalla paralisi onde era afflitta.

                Disperata dal medici la pia Signora chiese aiuto e non invano alla SS. Vergine. Essa era ascritta ad una Arciconfraternita di S. Maria delle Grazie, nella cui chiesa si celebra ogni anno con grandissima pompa la festa dei dolori della Madre di Dio. È consuetudine antichissima che in tale ricorrenza le consorelle più anziane di quel pio sodalizio vestano colle loro mani di ricchi abiti la statua dell'Addolorata. Essendo l'inferma una delle più antiche consorelle volle essere portata alla Chiesa, dove collocata sopra una sedia presso la statua, compiè come meglio per lei si potesse il divoto uffizio. Riportandosi poi la statua così adornata al proprio sito, essa volle strascinarvisi dietro sorretta, o meglio portata di peso da due sue nipoti.. Fatti alcuni passi, incominciò a dir loro: - Scostatevi, scostatevi! - Ma non lasciando esse di sostenerla, insistette esclamando don forza: Lasciatemi, lasciatemi; mi sento sciogliere le gambe; la Madonna mi ha ottenuta la grazia.

                Piene di religioso spavento, le due nipoti si scostarono dall'ammalata, la quale senza appoggio seguì la statua al luogo in cui venne collocata. Genuflessa quindi a' piedi dell'altare, più colle lagrime che colle parole, rese grazie alla SS. Vergine dell'ottenuta guarigione. Di là piena di riconoscente affetto e festante, ritornossene a casa, salì da sola lo scalone del suo palazzo, ed entrò nelle sale in mezzo allo stupore ed alle acclamazioni di una, folla di nobili amici e parenti che glorificavano Dio e la Beatissima Vergine. Ciò avvenne a Toledo.

                E non solo colle parole, ma sibbene colle opere continuava a promuovere il culto e l'amore alla Regina del cielo e della terra, e specialmente coll'edificazione della nuova Chiesa in Valdocco. L'impresa procedeva magnificamente. [742] Il 26 gennaio 1864 aveva fatto pregare il Vicario Generale Capitolare Mons. Zappata a volergli cedere un appezzamento di terreno necessario per completare l'area della Chiesa, e la risposta gli era stata favorevole. Con atto 23 agosto 1864, rogato dal notaio Turvano, il Seminario Arcivescovile di Torino vendeva a D. Bosco una striscia di campo, di giornate 0,25.6.10 pari ad ettari 0,09.71 per il prezzo dichiarato di lire 1221, 17.

                Sottoscritto il contratto, D. Bosco si rivolgeva al sindaco per poter occupare colla facciata della Chiesa un tratto della via Cottolengo, che era irregolare e quasi solamente tracciata nei campi.

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Credo che sia ancora a memoria di V. S. Ill.ma il disegno approvato dal Municipio per un Chiesa da costruirsi specialmente a favore degli abitanti di Valdocco. Ora ho il piacere di poterle significare che questa chiesa è cominciata e la maggior parte delle fondamenta sono fuori di terra. Una difficoltà presentemente incaglia i lavori ed è la rettilineazione della via Cottolengo. Mi fu più volte detto che questo lavoro dovevasi fare quanto prima, ma ora se non è effettuato io mi trovo nella necessità di continuare la fronte della Chiesa in modo e in situazione incerta e forse senza quella regolarità che a pubblico edifizio si conviene.

                Io la supplico pertanto quanto so e posso, affinchè promuova questa operazione, la quale mentre abbellisce la via e dà comodità ai cittadini, mi assicura eziandio dell'ordine e della uniformità della Chiesa in costruzione alla futura rettilineazione della contrada.

                Stantechè il Municipio stima di non poter concorrere a quest'opera di pubblica beneficenza con sussidio pecuniario, ho molta fiducia che Ella si vorrà adoperare affinchè vengami almeno in aiuto coll'eseguimento dei lavori sopra mentovati.

                Con questa fiducia ho l'alto onore di potermi professare con pienezza di stima,

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino, Settembre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO [743]

 

                Esponeva eziandio al Sindaco il bisogno che aveva di maggior quantità di acqua per uso dell'Oratorio, poichè le costruzioni ne consumavano moltissima.

 

                               Ill.mo Signor Sindaco,

 

                Nello scorso autunno umiliava domanda a V. S. Ill.ma, supplicandola della diramazione dell'acqua potabile a favore di molti giovanetti che nei giorni feriali, e specialmente nei giorni festivi, soglionsi in gran numero radunare nel sito, detto Oratorio di S. Francesco di Sales. Degnavasi Ella di rispondermi che avrebbe conservata la domanda e l'avrebbe tenuta in speciale considerazione, quando la tubolazione occorrente si fosse prolungata fin vicino a noi.

                Ora il fatto è verificato. Di più il bisogno ne è così stringente, che se non si provvede dalla beneficenza Municipale dovrò in qualche altro modo provvedere al più presto possibile.

                L'Opera degli Oratorii essendo tutta diretta al pubblico bene dei giovani che andrebbero vagando per la città, giovami sperare che almeno in questo caso particolare mi vorrà venire in aiuto.

                Pieno di fiducia pel favore La prego di gradire che coi sentimenti della più viva gratitudine io abbia l'onore di potermi professare

                Di V. S. Ill.ma,

 

                Torino, Settembre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

                Il Municipio si dichiarò disposto a favorirlo, mentre egli studiava sempre nuovi modi per far accettare dalle persone benefiche e religiose le schede di sottoscrizione, per la Chiesa delle quali abbiamo presentato il modulo ai nostri lettori nel capitolo LXIV. Parecchi del Clero le avevano - raccomandate dal pulpito, ed egli ne aveva distribuito un buon numero, accluse nelle prime sue circolari, ed ora rinnovava l'appello ai fedeli[61]. [744]

                Nel settembre scriveva pure una lettera della quale faceva due copie: una pel Principe Tommaso Duca di Genova, l'altra pel principe Eugenio di Savoia.

 

                Questo appunto succede in Valdocco quartiere di questa città di Torino. Dalla chiesa parrocchiale di Borgo Dora fino a quella di San Donato avvi una serie noti interrotta di caseggiati ove dimorano molte migliaia di persone[62] in mezzo a cui noti esiste Chiesa nè poco nè molto spaziosa, ove pubblicamente si compiano sacre funzioni.

                Havvi bensì la Chiesa detta Oratorio di S. Francesco di Sales ma essa può appena contenere in piccola parte i giovanetti che numerosi nei giorni festivi sogliono quivi radunarsi.

                In vista di questi gravi ed ognor crescenti bisogni, mi sono deliberato di tentare la costruzione di una Chiesa abbastanza spaziosa per raccogliere quei giovanetti, che da più angoli della città sogliono intervenire  e in pari tempo fosse aperta agli adulti di qualunque età e condizione che zie volessero approfittare; anzi da potersi erigere in parrocchia quando in progresso di tempo l'autorità ecclesiastica lo stimasse opportuno.

                Un benemerito ingegnere ha già compiuto il disegno che ha forma di croce Latina; lo spazio interno è di mille metri quadrati; la spesa totale si calcola approssimativamente  a 200.000 franchi.

                A questo scopo alcune pie persone porsero già benefica la mano a segno che si potè già comperare un sito addattato tra l'attuale Oratorio di S. Francesco di Sales e la via Cottolengo; gli scavi sono ultimati e si sta così alacrità lavorando intorno alle mura delle fondamenta che di questo asino si spera giungeranno fino al pavimento.

                Ora, sebbene i lavori siano incominciati, non vi è nè rendita nè capitale stabilito per questo bisogno; tutto è affidato alla Divina Provvidenza ed alla carità dei devoti di Maria, tra cui credo di poter con ragione annoverare V. S. Benevola.

                A lei pertanto fo umile ricorsa.

                Qualunque somma di danaro; qualunque oggetto; od anche materiali di costruzione sarà ricevuto così la massima gratitudine. I lavori dovranno compiersi in tre anni, perciò chi noti potesse presentemente potrebbe concorrere più tardi.

                Qualora noti avesse altro mezzo per far pervenire a destinazione quello che la sua carità le ispira, potrebbe farlo per la sicura via gli vaglia postale.

                Io l'assicuro che ho viva fiducia che quanto ella sarà per fare in questo caso eccezionale le meriterà certamente copiose benedizioni dalla Beata Vergine Maria, nelle cose spirituali ed anche nelle cose temporali.

                Infine la prego di dare benigno compatimento al disturbo che le cagiono e gradire che le auguri ogni bene dal cielo, mentre colla più sentita gratitudine reputo a grande attore di potermi professare,

                Di V. S. Benevola,

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [745]

                               Altezza Serenissima,

 

                La bontà con cui V. A. S. suole prendere parte a tutte le opere di pubblica beneficenza, mi dà animo di fare anch'io ricorso, affinchè venga in aiuto per continuare i lavori di una chiesa posta in costruzione nel popolatissimo quartiere di Valdocco, destinata specialmente a favore dei poveri giovanetti di questa città.

                Le unisco qui un invito stampato affinchè, se così Le aggrada, possa viemeglio conoscere la necessità e lo scopo di questa Chiesa.

                Ho già più volte esperimentato la carità di V. A.. e spero che eziandio nel caso presente non mi vorrà lasciare inesaudito.

                Con questa speranza auguro copiose benedizioni dal cielo sopra l'amata persona di V. A. affinchè Dio La conservi lungo tempo all'amore di tutti i concittadini e specialmente dei suoi beneficati, mentre reputo il più alto onore di potermi colla più sentita gratitudine professare

                Di V. A. S.

 

                Torino, Settembre 1864

Umil.mo, Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANN I Bosco.

 

                Altre lettere aveva egli scritte consegnandole al Sac. Emiliano Manacorda che era sulle mosse per ritornare a Roma da Casale. Questo giovane sacerdote, che per consiglio di Don Bosco intraprendeva la carriera prelatizia  addottoratosi in Teologia e in Diritto Canonico, veniva poi nominato abbreviatore de' Brevi al Parco Maggiore . Egli adunque giunse in Roma latore di varie lettere di D. Bosco, fra le quali una al Papa e altra al Padre Giuseppe Oreglia. Si era preso anche l'incarico di offrire ai Signori Romani le schede di sottoscrizione per la Chiesa di Maria Ausiliatrice, di ottenere alcune licenze di leggere libri proibiti, e di esplorare l'animo degli addetti alla Congregazione dei VV. e RR. riguardo alla facoltà delle dimissorie agli ordinandi.

                D. Bosco aveva notizia dell'arrivo di D. Manacorda a Roma, dalla risposta del Padre Oreglia. [746]

 

                               Rev. Signore,

 

                Ho ricevuto a suo tempo la riverita sua dal Sig. Teologo Manacorda che non potei però allora vedere perchè mi trovava a letto con gastrica. - Lo vidi poi, essendo per sua bontà ritornato. Ora sto benissimo, grazie a Dio.

                Parleremo nella Cronaca secondo l'opportunità, o in questo o nel venturo fascicolo, della sua impresa a bene spirituale di tanta parte della popolazione di Torino.

                E volendo anche noi concorrere ho data (colle debite licenze) commissione a Pietro di Giacinto Marietti di passarle a questo fine 100 franchi con una sola e stretta condizione. Ed è che non ci metta in lista né dica la cosa, e la ragione è che abbiamo negata la nostra cooperazione ad altre chiese, e si potrebbe offendere chi ebbe la negativa: benchè si offenderebbe a torto perchè a nostro parere quella negativa era fondata sull'inutilità dell'opera, laddove qui è opera necessaria .....

 

                Roma, 20 settembre 1 864.

 

Um.mo servo

GIUSEPPE OREGLIA d. C. d. G.

 

                Lo stesso Manacorda poco dopo scriveva a D. Bosco:

 

Roma, 25 settembre 1864.

Borgo S. Agata N. 23. Vicino alla Madonna dei monti.

 

                               Rev.do Signor D. Bosco,

 

                Che mai avrà detto pel mio lungo silenzio dopo la partenza da Casale? Qualunque ipotesi a me contraria non sarebbe stata inopportuna, ma la S. V. tutta bontà avrà pensato bene; ed io la ringrazio.

                Siamo nelle vacanze e nulla posso ottenere. - Non ho ancora potuto visitare il Santo Padre perchè al suo ritorno dal Castello sta molto occupato e riceve pochissimi; più temo che Mons. Pacca abbia anche smarrita la mia supplica. Ad ogni modo se nell'entrante settimana non avrò la sorte di baciare il piede a Sua Santità, farò ricapitare per mezzo  di altri la lettera della S. V. alla stessa Santità Sua. Quanto alle licenze di leggere i libri proibiti per i suoi buoni figli, il Padre Tosi volle egli stesso l'incarico e mi prese l'elenco dei supplicanti e poi se ne andò in campagna e non ritornò fin'ora. Prendiamo ogni cosa dalla mano di Dio, e ciò che non serve per questa vita, servirà per l'altra.

                Il Cardinale Quaglia si mostrò molto portato per lei e così Mons. Pacifici e faranno di tutto per soddisfare la S. V., mentre mi lasciano di mandarle tanti saluti.

                Dispenso ad ogni occasione le cartellette d'invito alla cooperazione [747] della sua chiesa e parlo spesso in proposito, attenendomi alle norme che la S. V. paternamente si degnava darmi nella partenza. E riguardo alla sua chiesa, divisai di aprire in Roma un sottoscrizione; più giornalisti ne farebbero parola, ed io avrei già scritto un articolo in proposito Sarebbe però desiderabile, anzi lo non darò principio a questo impegno, senza che S. V. mi scriva incaricandomi di far le sue veci ed autorizzandomi a ricevere per suo conto quelle offerte che la carità dei Romani si degnerà largire a suo pro'. Scriva adunque a me, oppure al Direttore dell'Osservatore Romano (col quale già siamo intesi) esternando la sua fiducia in me, il desiderio che io faccia tutto quello che posso per suo favore……

                D'altro finora ho nulla di nuovo.

 

MANACORDA EMILIANO.

 

                Anche da Roma adunque incominciavano a giungere a Don Bosco oblazioni per la sua nuova chiesa; e D. Bosco le riceveva con umile riconoscenza e a tempo e luogo sapeva contraccambiare i suoi benefattori con grande usura di beni di ogni fatta, spirituali e temporali, a nome della Madonna. Quanto li amasse non si può escrivere appieno: e la bontà del suo cuore riconoscente era uno dei motivi pel quale moltissimi largheggiavano per lui. Ei considerava come suoi i loro interessi, come sue le loro gioie e le loro pene. Ad uno di nobilissima famiglia egli scriveva:

 

                Torino, 28 settembre 1864

                               Car.mo e Benemerito Sig. Conte,

 

                Dopo che ho ricevuto dal Sig. D. Tortone la notizia secondo cui V. S. Car.ma e Ben.ta desiderava un maestro pei suoi a me carissimi figliuoli, ho portato il pensiero sopra di un sacerdote che sembrami avere tutti i titoli e le doti necessarie. Ma presentemente egli è fuori di Torino e non posso parlargli fino alla metà di ottobre; perciò fino a quell'epoca io non posso farle risposta definitiva.

                Le scrivo questo per di Lei norma e per non lasciarla nelle incertezze.

                Io ho già; più volte, sig. Conte Car.mo, preso parte alle cose che disturbarono alquanto le cose di sua famiglia, ed ho sempre pregato il Signore che l'aiutasse e guidasse ogni cosa secondo la sua maggior gloria. Ella poi non si turbi, abbia pazienza. Il nostro paradiso non è qui, nè i beni fugaci della terra possono renderci felici. So che nel suo cuore Ella dice: Non potrò più fare le beneficenze di una volta. [748]

                - È vero, ma il Signore pagherà egualmente la sua buona volontà. Dio che è ricco in misericordia, spanda copiose benedizioni sopra di Lei, sopra la sig. Contessa di Lei consorte, sopra tutta la crescente figliuolanza e li faccia tutti ricchi di santo amor di Dio.

                Raccomando me e questi miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere e, contento quando la potrò in qualche cosa servire, mi professo con pienezza di stima,

                Di V. S. Car.ma

 

Obbl.mo ed Aff.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

                               Carissimo Sig. Conte,

 

                Ho parlato col sacerdote su cui si calcolava per la scuola de' suoi amati figliuoletti. Vi sarebbe speranza di accomodarci; solamente che egli non sa niente di greco. Se questa difficoltà non è esclusiva, lo metterò in relazione con V. S. carissima, affinchè si possano vedere e parlare.

                Dio La benedica, sig. Conte, le doni sanità, grazia e pazienza. Per ardua transimus, sed magna haereditas nos expectat.

                La Santa Vergine assista e protegga Lei, la sua famiglia, e mi creda tutto suo nel Signore

 

                Torino, 20 ottobre 1864

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

                               Carissimo Sig. Conte,

 

                Come Ella scriveva nella sua ultima lettera, prima di conchiudere definitivamente con un altro maestro, è mestieri attendere la deliberazione se l'attuale precettore, di cui Ella fa belli encomi, cessa dall'uffizio, e se Ella verrà, secondo il solito degli altri anni a passare l'inverno a Torino, o se rimane nella stagione invernale in campagna. Certamente calcolate le comodità, che Ella trova in Torino, la compagnia di parecchi amici con cui potrebbe parlare onferire e consigliarsi, avrebbe motivi di venire. Ed io lo desidererei di cuore, perciocchè così potrei trattenermi liberamente con un antico ed insigne benefattore degli Oratorii.

                Credo, che potendo vedere le sue cose più da vicino, le possa anche giovare per la sanità e pe' suoi interessi materiali. Si' faccia animo, sig. Conte, non habemus hic manentem civitatem sed futuram inquirimus. Dio non ci abbandonerà; le croci che ci manda sono presagio che ci vuole per la via del Paradiso.

                Dio benedica Lei, la sua famiglia, preghi anche per me che con pienezza di tima e di gratitudine me Le offro rispettosamente,

                Di V. S. Car.ma,

 

                Torino, 9 novembre 1864.

 

Obbl.mo ed Aff.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

 

CAPO LXXIII. Disposizioni per la passeggiata autunnale - Arrivo de' giovani ai Becchi - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti: esami di confessione per D. Ruffino; affari col Regio Economato: come regolarsi con D. Ambrogio: richiamo di un chierico all'Oratorio - La festa del S. Rosario: confidenza spirituale con D. Bosco - A Castelnuovo e a Villanuova Accoglienze a Genova: ospitalità in Seminario - Visita alla città - Rappresentazioni - drammatiche - Santa Maria di Castello e il Padre Cottolengo - La Villa Pallavicini a Pegli - Affettuoso ricevimento del Marchese Ignazio a D. Bosco - Generosità dell'Arcivescovo - Lettera di Don Montebruno, Direttore degli artigianelli, a D. Bosco.

 

                ERA già fissato l'itinerario della passeggiata autunnale: Castelnuovo, Genova, Mornese, Ovada, Acqui, Torino. D. Pestarino Domenico, che si era messo tutto nelle mani di D. Bosco, avevano invitato a recarsi in Mornese colla sua cara comitiva. D. Bosco aveva accettato e nello stesso tempo erasi fattala domanda: - Perchè non andare a Genova dove abbiamo tanti amici? - Don Cagliero Giovanni, ospitato da D. Montebruno Francesco fondatore del Collegio degli Artigianelli, vi era stato in quest'anno, per suo ordine, incaricato di alcuni affari. Quindi riferiva al servo di Dio che una sua visita tornerebbe molto gradita all'Arcivescovo Mons. Andrea Charvaz e che il Seminario accoglierebbe volentieri i suoi alunni. [750] D. Bosco potè allora annunziare in pubblico: - Quest'anno vedrete il mare!

                Il 25 settembre, primo giorno della novena di Maria SS. del Rosario, una piccola squadra partiva alla volta dei Becchi, ove D. Cagliero predicava tutte le sere e passava lunghe ore in confessionale.

                Il I° di ottobre, sabato, una seconda squadra di circa ottanta giovani, dopo una breve fermata nel Seminario di Chieri, ove il Rettore Can. Emanuele Cavalià aveva loro preparata una refezione, raggiunse D. Cagliero e i compagni che l'attendevano. D. Bosco, stanco pel continuo parlare co' suoi figliuoli, si ritirò nella stanza per leggere la corrispondenza. Quella sera scrisse una lettera al Can. Vogliotti e fra le altre cose informavalo che D. Ruffino, destinato per Direttore a Lanzo, si sarebbe presentato agli esami di morale per ottenere la patente di confessore; e indicavagli chi avrebbe potuto dargli schiarimenti sull'opuscolo stampato contro D. Ambrogio. Il tipografo aveva forse dimenticato di presentarlo al Revisore Ecclesiastico. Anche sulla materia contenuta nell'opuscolo non mancavano osservazioni. Era parso a qualcuno che sarebbe stato meglio non curarsi di D. Ambrogio, e abbandonarlo al disprezzo dell'infima plebe, alla quale colla sua condotta erasi accomunato; tanto più che gli errori da lui predicati non erano nuovi e già combattuti vittoriosamente le mille volte dagli scrittori cattolici. Quei signori critici temevano forse di aver qualche fastidio da tale pubblicazione.

 

                               Ill.mo e Motto Rev.do Signore,

 

                D. Ruffino si presenterà dal Signor Vicario Generale per l'esame preventivo prima dell'esame finale. Non sapeva che si desse un tale esame, ma D. Ruffino ci va volentieri, perchè avrà sempre norme di prudenza da imparare dal Sig. Vicario Generale.

                Riguardo al conto col Seminario siamo d'accordo di ultimarlo e a tale oggetto andai già due volte all'Economato, perchè mi si desse [751] nota dell'ultimo pagamento: mi fu sempre promessa, ma non mai data. Giunto appena in Torino mi occuperò definitivamente di questo.

                Riguardo a D. Ambrogio ho detto al Cav. Oreglia che Le desse i voluti schiarimenti, giacchè la stampa si effettuò mentre io ero a S. Ignazio. Ma ad ogni modo non mostri di temere D. Ambrogio, del resto mette egli tutto in disordine.

                Non manchi di muovere lagnanze alla questura, incoraggisca altri ove è il caso, a fare lo stesso. Sarebbe meglio ancora muovere lagnanze al Ministro dell'Interno. Ma non diamo mai ragione di ciò che fa o che vuole fare l'autorità ecclesiastica. Delle stampe ne è responsabile l'autore ed in mancanza di esso la tipografia. L'autorità ecclesiastica risponda qualora da autorità superiore fosse interrogata.

                Così togliesi di mezzo ogni pretesto di osteggiare.

                Ho pure dato ordine si rettifichi la formola di Revisione ecclesiastica con quella di con approvazione ecclesiastica.

                Dio Le doni sanità e grazia e La conservi ad multos annos pel bene della Chiesa e mi creda,

                Di V. S. Ill.ma e M. Reverenda,

 

                Castelnuovo d'Asti, - I Ottobre, 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                P. S. In quest'anno furono otto insegnanti all'Oratorio che o per convenienza loro, o dell'Oratorio uscirono dalla casa; avrei perciò bisogno di avere anche il chierico Cibrario Nicolao, il quale così lascierebbe a favore di altri la pensione che attualmente gode. - Credo che non incontrerò difficoltà pel permesso che rispettosamente Le dimando.

 

                Il 2 ottobre Domenica del S. Rosario, i preti di Castelnuovo, qualcuno dell'Oratorio, si erano messi a confessare e si ebbero moltissime comunioni. Anche D. Bosco confessava e trattò delle cose dell'anima con non pochi suoi antichi amici. È  sempre cosa da notarsi, la confidenza, che egli sapeva ispirare duratura, in quanti trattavano con lui. Disse R. Bosco stesso negli ultimi suoi anni: - Quando io andava a Chieri e a Castelnuovo coloro che tanti anni prima avevano preso parte al mio Oratorio festivo, o che erano già stati qui nella Casa di Valdocco, tutti correvano a trovarmi e a fare le loro [752] divozioni; venivano anche da luoghi quattro o cinque miglia lontani. Aggiungo che quando i giovani dell'Oratorio andavano in vacanza, venivano in quel tempo a confessarsi da me, si trovassero anche alla distanza di venti o trenta miglia. Ciò ora potrebbe sembrare mia esagerazione, ma pure una volta era questo il fatto di molti e non di pochi.

                In quella domenica cantava la S. Messa il Vicario D. Cinzano e l'orchestra era collocata nel cortile. Verso le 3 pomeridiane una gran folla di popolo radunavasi per udire la predica recitata nell'aia, ricevere la benedizione e godere della musica, dello spettacolo de' fuochi d'artifizio, e di altri ivertimenti.

                Il 3, lunedì, D. Bosco e i suoi giovani si recarono per tempo al solito pranzo in Castelnuovo, loro imbandito dal sig. Vi cario; e, con abbondanti provvisioni, tutta la lieta compagnia si trovò alla stazione di Villanuova. A Torino verso il mezzo giorno, gli ultimi destinati a prendere parte a uel viaggio di piacere, erano saliti in due vagoni di terza classe, che il Senatore Bona aveva messi a disposizione di D. Bosco per tutto il tempo della passeggiata. Giunti a Villanuova, salutarono con grandi evviva i compagni schierati sulla banchina colla musica, i quali con D. Bosco salirono sul treno. Ed erano della compagnia Luciano, Bersano, D. Lazzero, D. Francesia, Gastini, i quali con suoni, canti e poesie avrebbero reso più allegra la passeggiata e l'ospitalità dei benefattori.

                Alle otto e mezzo arrivarono a Genova, ove alla stazione alcuni sacerdoti, loro fecero le prime accoglienze. Nel seminario sito nella parte estrema della città, il Rettore D, De Bernardis G. B. Dottore in leggi, D. Fulle Anglo economo corrispondente delle Letture Cattoliche per cento associati e il celebre professore di rettorica D. Rebuffo, con gran festa ricevettero sulla porta D. Bosco e i suoi. Era preparata un buona cena e ciascuno dei giovani ebbe per dormire una cella de' seminaristi, che erano in vacanza. [753] Il domani, martedì 4 ottobre, dopo la messa celebrata nella graziosa cappella del Seminario, D. Bosco stesso condusse i giovani, a vedere il mare, il porto, e il faro. Fu accompagnato da D. Frassinetti, il priore di S. Sabina, al quale era passato a far atto di riverenza ed amicizia in canonica.

                Si vide il palazzo, o meglio la reggia del famoso principe Andrea Doria costrutta da Carlo V imperatore; lungo le basse muta a mare si osservò la selva delle antenne di centinaia di bastimenti e si passeggiò sul grande terrazzo d i marmo, ora demolito, sovrastante i moli di sbarco. Si visitarono anche varie Chiese.

                Dopo il pranzo in seminario, alcuni confratelli delle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli vennero a condurre la comitiva al porto. Quivi lì raggiunse D. Bosco,  andato ad ossequiare l'Arcivescovo, che gli fece un'accoglienza delle più cordiali. Dieci o dodici barche erano pronte e li portarono a visitare una grossa nave da guerra.

                Alla sera verso le 6 nel gran salone del Seminario, ove era stato preparato il palco scenico, vi fu teatro presenti moltissimi invitati, specialmente sacerdoti e coll'intervento dell'Arcivescovo.

                Si recitò una brillante commedia in dialetto piemontese con Gianduja protagonista, intitolata Antonio, o una lezione di morale, in tre atti scritta da D. Bongiovanni Giuseppe. È uno zio che cerca di richiamare il nipote della mala vita, fingendo di voler dissipare il suo patrimonio col darsi al buon tempo. Si cantò poi la nuova romanza di D. Cagliero Il figlio dell'esule.

                Il 5 ottobre mercoledì, si assistè alla messa nella Chiesa di S. Maria di Castello, che appartiene ai Domenicani, invitati dal Padre parroco, fratello  del Venerabile Cottolengo. Egli e il celebre letterato e scritto re Padre Marchese, non sapevano staccarsi da D, Bosco, che appena potè congedarsi da loro alle 10 e mezzo. Nel rimanente del giorno gli alunni si recarono [754] a visitare la cattedrale, il suo ricco tesoro, l'ospedale maggiore e la chiesa annessa ove si venera il corpo incorrotto di S. Caterina di Genova, e il Cimitero monumentale di Staglieno. E Don Bosco si recava a far alcune visite, intrattenendosi lungamente con D. Francesco Montebruno per compier l'unione delle due Opere. Questi, alcuni giorni dopo, gli scriveva la seguente lettera:

 

                OPERA DEGLI ARTIGIANELLI

                Mura di S. Chiara

                Genova, li 12 ottobre 1864.

                presso le RR. Monache Crocifisse.

 

                               Carissimo in C. G.

 

                Le rinnovo la preghiera di comunicarmi copia del suo Regolamento relativamente in ispecie al Portinaio, giacchè ho proprio bisogno di stabilire il nostro regolamento interno a riguardo di questo importante ufficio. - Le mando intanto, colla presente, copia della parte che riguarda gli uffici de' Vicerettori, di cui Le ho parlato di presenza. - Vedrà se vi sono Osservazioni da fare e me le faccia con libertà di padre. Poi confido che il Signore, per cui solo intendo e voglio fare ogni cosa, provvederà le persone adatte al bisogno.

                Dovendo io a tenore del regolamento organico nominare il mio successore, vorrei che Ella mi dicesse se crede conveniente che nel mio Testamento segreto l'abbia nominata Lei, oppure se debba sostituirvi un altro nome de' suoi. Vorrei che mi scrivesse presto qualche cosa in proposito e nella massima confidenza, giacchè vorrei disporre prontamente ogni cosa per tutte le eventualità.

                Preghi sopra di tutto per me e perchè ogni cosa vada secondo la volontà del S. N. G. C. in cui sono

 

Tutto suo dev.mo

FRANCESCO MONTEBRUNO.

 

                D. Bosco incaricava D. Alasonatti di leggere il regolamento de' Vice - direttori e di riferire.

                Alla sera del 5 ci fu in seminario una nuova rappresentazione con nuovi canti, con un concorso di cittadini invitati, eguale a quello del giorno precedente. Era pur intervenuto l'Arcivescovo entusiasmato dell'abilità degli attori.

                Il Rettore De Bernardis e l'economo Fulle che trattavano [755] D. Bosco con estrema benevolenza, s'intrattennero con lui, con un interesse come se si trattasse di cose proprie, fino ad ora tardissima, per udirlo a narrare la storia dell'origine e de' principii del suo Oratorio, e dell'ospizio in Valdocco.

                Il 6 ottobre, giovedì, era decisa una corsa a Pegli per visitare la famosa Villa Pallavicini, alla quale accorrono i viaggiatori che vengono a Genova da ogni nazione del mondo. È un monte ridotto a giardino. Il Marchese Ignazio Pallavicini, senatore del regno, l'aveva ideata in un anno di carestia e dato principio all'opera, che costò milioni, ammetteva per i lavori manuali chiunque si fosse presentato, pagando ogni sera a tutti la mercede. Il Marchese conosceva D. Bosco, ne aveva perorato la causa in senato, e tutte le volte che andava a Torino era solito a mandargli un'offerta. Avvertito del suo arrivo dispose perchè fosse ben ricevuto. Il treno giunse da Genova a mezzogiorno. Il sig. Giuseppe Canale, fratello di un illustre Canonico della Cattedrale, proprietario e caffettiere, aveva condotta la carovana essendo sua l'iniziativa di quella passeggiata. D. Bosco appena sceso dal treno ricevette il benvenuto dal Marchesino che, mandato dal nonno, lo aspettava. A mezza via gli venne incontro il padre, Marchese Durazzo, con una folla di domestici che dovevano servir di guida ai giovani. Dopo pochi istanti ecco arrivare il vecchio marchese Ignazio che impaziente di vedere D. Bosco, gli si avvicinò dicendo: - Ci voleva lei con i suoi figli per farmi uscire oggi dal palazzo….. Voglio condurlo io a visitare questi luoghi. - E così dicendo gli si mise al fianco e con lui rientrò nel palazzo seguito da tutti i giovani. Da un ampio terrazzo goduta la vista della marina, si discese nel piazzale e per una salita ombreggiata da alte piante si giunse ad un tempietto di stile classico. Recitata quivi una breve preghiera, i giovani divisi in squadre, visitarono le meraviglie di quella villa, ove l'arte gareggiava in bellezza colla natura.

                Nel percorso di circa due miglia s'incontravano boschetti [756] di piante di ogni genere, giardini con aiuole di fiori i più rari, viali con grosse piante, pergolati ombrosi, spianate con attrezzi i giuochi popolari, sentieri per i quali salivasi a godere sempre nuove prospettive, ponticelli sopra acque correnti nei burroni. E le acque cadevano dalle rupi, zampinavano nei praticelli, si raccoglievano in vasche ricche di pesci, si stendevano in piccoli laghi e in caverne dalla volta delle quali pendevano enormi stalattiti. Nei luoghi scelti con vero gusto artistico ammiravasi l'arco di trionfo, il castello medioevale, l'obelisco, la cappella gotica, una torre smantellata, la pagoda cinese, il chiosco moresco e altri monumenti.

                I giovani erano entusiasmati di tali spettacoli. In fine attraversarono in barchetta un lago in mezzo al quale sorgeva una rotonda tutta di marmo candidissimo, sotto la volta della quale sostenuta da colonne, posa una statua della Madonna. Scesero a terra innanzi al Tempio di Flora, vaga fabbrica ottagona, che si eleva sopra una piccola prominenza coperta di fiori fra statue e boschetti.

                In questo padiglione i visitatori solevano apporre la loro firma. Là entro i cento giovanetti erano riflessi e centuplicati negli specchi che coprivano tutt'intorno le mura, sicchè comparivano come se un grande esercito di essi circondasse quella sala. Era uno spettacolo veramente magnifico.

                 - Veda, disse il Marchese Ignazio a D. Bosco, dal quale non si era distaccato neppure un istante; veda quanti giovani ella ha.

                 - Oh! i miei giovani, esclamò D. Bosco, sono in numero infinitamente maggiore! - Quindi invitato, prese la penna e si sottoscrisse colla seguente sentenza: “Iddio, a suo tempo, dia il paradiso del cielo al caritatevole signore che ha saputo creare questo paradiso terrestre; e a noi con tanta bontà fece gustare così splendide meraviglie”.

                I giovani si sbandarono alquanto, ma furono richiamati ben presto da un servitore, che disse loro di recarsi verso una magnifica pianta d'alto fusto, ivi presso. I giovani accorsero [757] e con loro grata sorpresa videro sopra alcune tavole pane, varie specie di vivande, frutta e bottiglie di vini generosi. Il Marchese Ignazio, che ivi aspettavali con D. Bosco, li fece sedere intorno sull'erba, ed egli stesso li volle servire distribuendo i cibi, e compiacendosi della loro schietta allegria.

                Ciò fatto e dopo che la banda ebbe eseguiti varii pezzi di musica si andò nella cappella del palazzo, dove si cantò dai musici il Tantum ergo, e si diede la benedizione col SS. Sacramento.

                Ormai tramontava il sole e bisognava non perdere il treno. D. Bosco avrebbe voluto anche ringraziare le guide, ma erano tutte scomparse, perchè il Marchese aveva loro proibito di ricevere mancie in quell'occasione. D. Bosco si congedò da quel nobile Signore e la Marchesa Durazzo, sua figlia, avvicinatasi, gli disse: - Grazie, D. Bosco, della visita; essa ha portato un gran bene a papà, ha veduto come non sapeva distaccarsi da lei. Noi adunque la ringraziamo ed a un bel rivederla.

                D. Bosco si allontava con tutti i suoi, quando si vide il Marchese Ignazio a passi affrettati che si studiava di raggiungerlo. D. Bosco lo attese, e si accompagnarono alla stazione. Il Marchese gli parlò in confidenza, gli pose in mano una graziosa elemosina, e non ritornò al palazzo, finchè non furono chiusi gli sportelli del treno. A Genova, avendo già prima chiesta e ottenuta licenza dal Sindaco, si entrò in città al suono della banda. D. Bosco la seguiva co' suoi preti e chierici e il suo nome faceva riuscire simpatica a tutti i cittadini quella schiera di giovani.

                D. Bosco nella sera andò a prendere congedo e a ringraziare l'Arcivescovo, il quale lo assicurò con gran cuore di essere stato contento della sua venuta, e che sperava di rivederlo co' suoi figli altre volte. Ritornato in Seminario chiese all'economo se gli aveva preparato il conto, volendo soddisfare il Seminario di tutto ciò che aveva provvisto per i suoi giovani. Ma quegli sorridendo, gli presentò la nota con ricevuta già firmata. Fu un tratto di insigne bontà di Sua Eccellenza.

 

 

CAPO LXXIV. Si parte per Serravalle: D. Pestarino - A Gavi: invito generoso dei Canonico Alimonda - A Mornese - Le figlie dell'Immacolata - L'Arciprete Raimondo Olivieri - A parodi: un celebre predicatore - Francesco Bodrato - Don Bosco e D. Pestarino risolvono di fondare un collegio a Mornese - Festa solenne: zelo di D. Pestarino. - Doni della popolazione a D. Bosco: - D. Alasonatti - Vespri: predica di D. Bosco allegra e cristiana serata - Lettera ad un'insigne benefattrice notizia del giorno - Casaleggio - Lerma - Un nuovo discepolo di D. Bosco - Partenza da Mornese.

 

                IL 7 ottobre, venerdì, alle 4 e ½  dei mattino i giovani dell'Oratorio erano già tutti pronti avendo con sè gli attrezzi del teatro. Si andò alla stazione, e verso le 8 il treno arrivava a Serravalle Scrivia. Attendevali D. Pestarino, il quale là condusse ad un poggio poco lontano dov'era una chiesa e un convento di Francescani. Ascoltata la S. Messa e trovata pronta la colazione, alle ore 10 si misero in marcia verso la piccola città di Gavi. A metà via D. Bosco incontrò il Can. Gaetano Alimonda, già celebre per le sue conferenze nella Cattedrale di Genova, che villeggiava in Gavi.

                Al Canonico, il quale conosceva D. Bosco soltanto, di nome, fu presentato il servo di Dio da D. Pestarino, e insieme si avviarono alla città. Il pranzo era preparato a Mornese, ma il Canonico disse a D. Bosco: - Mornese è ancor lontano: bisogna pensare ad una refezione, altrimenti lei ne avrebbe a [759] soffrire. Eppoi i suoi giovanetti hanno ormai  digerita la colazione. Lasci fare a me: Lei non ha da disturbarsi; penso io a tutto. - E passo avanti passo, giunsero alle prime case di Gavi. Entrarono al suono della musica e furono all'abitazione del Canonico, il quale col concorso generoso di varie distinte famiglie e del parroco di S. Giacomo, Denegri Gerolamo, li faceva sedere ad un allegro banchetto. Dopo il pranzo andarono alla parrocchia preceduti dalla banda. Una gran folla di popolo essendo accorsa, D. Bosco, invitato dal Canonico, fece un sermoncino e si impartì solennemente la benedizione col SS. Sacramento.

                Declinando il sole, D. Bosco ringraziò il Canonico Alimonda dell'ospitalità e si congedò coi suoi, poichè si doveva ancor percorrere in collina due grosse ore di strada. D. Bosco salì in arcione su di un bel cavallo bianco di D. Pestarino. Qualche cantore deboluccio di gambe inforcò un asinello.

                Il Can. Alimonda però desiderando di rivedere ancora Don Bosco, raggiunse D. Cagliero, il quale andava cogli ultimi, salì fino al Santuario della Madonna della Guardia di Gavi cercando di rintracciarlo; ma più non lo vide. Risolse allora di ritornare sopra i suoi passi, dicendo a D. Cagliero: - Oh lo vedrò ancora quell'uomo provvidenziale! Solo le montagne in questo mondo non s'incontrano!

                Alla distanza di un mezzo miglio da Mornese molti giovanetti vestiti a festa aspettavano D. Bosco, il quale arrivò al paese che già era notte. Ei scese da cavallo. Tutto il popolo gli veniva incontro preceduto dal parroco D. Valle e da Don Pestarino Domenico, che aveva preceduto la comitiva. Le campane suonavano a festa, sparavano i mortaretti, generale era l'illuminazione. La gente usciva di casa con lumi, candele e canapa accesa. La banda faceva risuonare l'aria delle sue armonie. Tutti si inginocchiavano al passaggio di D. Bosco, gli chiedevano la benedizione e si segnavano. Con lui entrarono in parrocchia: si diede la benedizione col Santissimo [760], si recitarono le preghiere della sera, e quindi cena e riposo.

                I giovani ebbero per alloggio una casa colonica, ove in chiuso cortile alcune tettoie riparate dovevano servire loro di sale per dormitorio, refettorio e ricreazione.

                Il sabato 8 ottobre D. Bosco celebrò la Santa Messa subito dopo il suono dell'Ave Maria. Tutte le mattine la chiesa era sempre piena come fosse giorno di festa. I giovani non poterono accostarsi a lui, poichè egli rientrato in sagrestia ebbe tosto intorno una folta schiera di uomini, sicchè dovette sedere in confessionale fino oltre alle 10.

                Come ebbe finito, D. Pestarino gli presentò una schiera numerosa di buone fanciulle e giovanette del paese, guidate alla pietà e sorvegliate dalla Congregazione delle figlie di Maria Immacolata. Abbiamo già parlato altrove di questa Istituzione della quale era fondatrice la maestra Maccagno. Ella eravi presente con le sue compagne più anziane, fra le quali Maria Mazzarello, destinata dal Signore ad essere la prima Madre Generale delle figlie di Maria Ausiliatrice. D. Pestarino con calde istanze avea ottenuto che D. Bosco venisse nel suo paese nativo, specialmente per benedire quella Congregazione di zitelle; e ora caldamente lo pregava perchè le adottasse come sua spirituale, famiglia. D. Bosco accettò. Egli vedeva il buono spirito, la pietà e la vicendevole carità che regnava in quelle ed il gran bene che operavano tra le fanciulle di Mornese; e le benedisse.

                In quel mattino D. Bosco riceveva la cara visita di D. Raimondo Olivieri Arciprete di Lerma, paese poco distante, il quale appena finite le sue funzioni in parrocchia, era partito per venire ad ossequiarlo. Un'antica amicizia legava questi due santi uomini, e, ella preghiera dell'Arciprete, D. Bosco acconsentì di modificare alquanto il suo itinerario e di recarsi lunedì a Lerma con tutta la comitiva.

                D. Pestarino aveva apparecchiata la mensa a D. Bosco [761] invitando i suoi amici; e il maestro comunale Francesco Bodrato uomo sui quarant'anni, erasi preso l'incarico di ordinare quanto occorresse per tutta la comitiva dell'Oratorio. In tempo del pranzo stava ritto dietro alla scranna di D. Bosco per sorvegliare il servizio. Egli, pratico della gioventù, aveva ammirato il contegno famigliare ed affettuoso degli alunni verso il loro superiore, mentre nello stesso tempo conservavano per lui rispetto ed obbedienza ad ogni suo cenno, non solo gli studenti, ma anche gli artigiani. Osservava anche l'affabilità di D. Bosco con, essi e, non potè a meno di riconoscere quanto potente fosse l'attrattiva della carità, e il molto che vi era da imparare da quel sistema di educazione.

                A questo fine chiesta a D. Bosco un'udienza particolare, e l'ebbe subito, domandò qual, segreto egli avesse per dominare siffattamente tanta gioventù insofferente per natura di una disciplina. D. Bosco gli rispose:

                 - Religione e ragione sono le due molle di tutto il mio sistema di educazione. L'educatore deve pur persuadersi che tutti o quasi tutti questi cari giovanetti, hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto personalmente, ed insieme sono pur dotati di un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza. Quando si sia giunto con l'aiuto dei Signore a far penetrare nelle loro anime i principali misteri della nostra S. Religione, che tutta amore ci ricorda l'amore immenso che Iddio ha portato all'uomo; quando si arrivi a far vibrare nel loro cuore la corda della riconoscenza, che gli si dee in ricambio dei benefizi che ci ha si largamente compartiti; quando finalmente colla molla della ragione si abbiano fatti persuasi che la vera riconoscenza al Signore debba esplicarsi coll'eseguirne i voleri, col rispettare i suoi precetti, quelli specialmente che inculcano l'osservanza dei reciproci nostri doveri, creda pure che gran parte del lavoro educativo è già fatto. La religione in questo sistema fa ufficio del freno messo in bocca dell'ardente destriero che [762] lo domina e lo signoreggia; la ragione fa poi quello della briglia che premendo sul morso produce l'effetto che se ne vuole ottenere. Religione vera, religione sincera che domini le azioni della gioventù, ragione che rettamente applichi quei santi dettami alla regola di tutte le sue azioni, eccole in due parole compendiato il sistema da me applicato di cui ella desidera conoscere il gran segreto.

                Al fine di questo discorso Bodrato, dopo breve riflessione, riprendeva sorridendo alla sua volta: - Rev. Signore, colla similitudine del saggio domatore dei giovani polledri, ella mi parlava del freno della religione e del buon uso della ragione a dirigerne le azioni tutte. Questo va benissimo; parmi però che mi abbia taciuto di un terzo mezzo che sempre accompagna l'ufficio del domatore dei cavalli, voglio dire della inseparabile frusta, che è come il terzo elemento della sua riuscita.

                A questa osservazione del maestro Bodrato, D. Bosco soggiungeva: - Eh caro signore, mi permetto osservarle che nel mio sistema la frusta, che, ella dice indispensabile, ossia la minaccia salutare dei venturi castighi non è assolutamente esclusa; voglia riflettere che molti e terribili sono i castighi che la religione minaccia a coloro che, non tenendo conto dei precetti del Signore, oseranno disprezzarne i comandi; minaccie severe e terribili che ricordate sovente, non mancheranno di produrre il loro effetto, tanto più giusto inquantochè non si limita alle esterne azioni, ma colpisce eziandio le più segrete ed i pensieri più occulti. A fare penetrare più addentro la persuasione di questa verità si aggiungano le pratiche sincere della religione, la frequenza dei Sacramenti e l'insistenza dell'educatore; ed è certo che coll'aiuto del Signore si verrà più facilmente a capo di ridurre a buoni cristiani moltissimi anche fra i più pertinaci. Del resto quando i giovani vengono ad esser persuasi che chi li dirige ama sinceramente il vero loro bene, basterà ben sovente, ad efficace castigo dei recalcitranti, [763] un contegno più riserbato, che ne addimostri l'interno dispiacere di vedersi mal corrisposto nelle paterne sue cure. Creda pure, caro mio signore, che questo sistema è forse il più facile e certamente il più efficace, perchè colla pratica della religione sarà anche il più benedetto da Dio. A dargliene una prova palpabile, mi fo ardito ad invitarlo per qualche giorno a vedere l'applicazione pratica nelle nostre case. Lo faccio libero di venire a passare qualche giorno con noi e spero che alla fine dell'esperimento possa assicurarmi che quanto le ho detto è sperimentalmente il più pratico ed il più sicuro sistema.

                Questo invito parte faceto, parte anche sul serio, fece grata impressione al Francesco Bodrato, il quale, intimo amico di Pestarino, aveva già deliberato in cuor suo di aggregarsi alla Pia Società.

                I giovani dell'Oratorio in quel dopo pranzo andarono a Parodi, invitati dal parroco che loro aveva apprestato un rinfresco.

                Mentre erano per entrar nel paese venne incontro a loro il sagrestano avvisandoli di non suonare. In parrocchia si facevano le quarant'ore ed il popolo era tutto là radunato. La comitiva entrò adunque silenziosa in chiesa mentre la predica era sul terminare. I preti e i chierici salesiani andarono a servire alla benedizione, ed i cantori montarono sull'orchestra e cantarono in musica il Tantum ergo. Quando il popolo uscì dalla Chiesa i musici suonarono alcune marcie che sollevarono un mondo di applausi.

                A Parodi ebbero un bell'incontro. D. Verdona di Gavi, cieco interamente, valentissimo oratore sui migliori pulpiti d'Italia, quivi predicava il triduo delle Quarant'ore. La sua parola chiara anche per il popolo e la sua ardente pietà gli guadagnavano l'attenzione universale. Avvisato dell'arrivo dei figli di D. Bosco, se ne mostrò molto contento e volle salutarli. Egli era stato all'Oratorio allorchè [764] predicava il Quaresimale in Torino a S. Filippo. A Parodi, lo aveva accompagnato sua sorella la signora Geronima, la quale da quel giorno prese tanto affetto per le opere salesiane da esserne poi benefattrice insigne.

                I giovani ritornarono a Mornese a notte avanzata e non ebbero la consolazione di vedere D. Bosco perchè trattenuto in Chiesa dalle confessioni.

                Egli non si era mosso da Mornese. In que' giorni teneva lunghi colloqui con D. Pestarino. Lo aveva accettato tra i membri della Pia Società, come egli ardentemente desiderava, ma volle che rimanesse alla direzione delle figlie di Maria Immacolata, finchè il Signore lo conservasse in vita, promettendogli assistenza di consiglio e di mezzi.

                D. Pestarino manifestava anche a D. Bosco il suo, proposito di stabilire in Mornese qualche istituzione, la quale ricordasse a' suoi buoni patriotti, anche dopo la sua morte, quanto affetto loro portasse, pronto a consacrarvi tutto il suo vistoso patrimonio. Si era già messo d'accordo colle autorità locali ed ebbe il consenso di D. Bosco. Fu deciso adunque di porre le fondamenta di un maestoso edifizio a pubblico vantaggio, da destinarsi a collegio per fanciulli, come era comune desiderio; la popolazione avrebbe concorso nei giorni festivi a quella costruzione, portando sul luogo i materiali. D. Pestarino, era, pronto a compensarla generosamente, come fece, provvedendo vino e merende ai portatori, fieno ai giumenti ed ai buoi. E D. Bosco gli promise che finito l'edifizio sarebbe ritornato a Mornese per inaugurarlo.

                Domenica 9 ottobre, era la festa della Maternità di Maria SS., che si celebrò in parrocchia con grande solennità. Don Bosco disse la messa della Comunione generale, e gli fu servita da due giovanetti del paese vestiti da chierici. D. Pestarino, che era entrato in confessionale nella sera antecedente, aveva continuato a confessare tutta la notte e alle 9 del mattino non ne era ancor uscito. D. Bosco fu testimonio di tanto [765] zelo, che rinnovava tale fatica, più volte all'anno, mentre quasi tutti i giorni per più ore si dedicava, mattino e sera, a questo sacro ministero.

                D. Bosco era appena tornato dalla Chiesa e stava sorbendo un po' di caffè, quando D. Pestarino lo avvisò che qualcuno voleva vederlo e parlargli, pregandolo divenir fuori. Il servo di Dio uscì e appena fu sulla porta risuonò un grido formidabile di Evviva D. Bosco. Tutto il paese erasi radunato nel cortile della casa di D. Pestarino e occupava anche uno spazio - di una sua vigna attigua. I giovanetti erano schierati in due file e dietro ad essi i loro parenti. Ognuno aveva il suo dono da offrire; chi uova, chi burro, chi uva scelta, chi polli, chi frutta e chi formelle di cacio. Alcuni avevano in braccio un bottiglione, o un canestro di bottiglie di quel prelibato, e vi fu chi teneva innanzi una brenta di vino. D. Bosco passò in mezzo a quelle file ringraziando e indirizzando a ciascuno una parola amorevole. Ritornato indietro ascese sopra alcuni scalini che mettevano alla soglia della casa, e rivolto al popolo ringraziò tutti insieme di quanto avevan voluto fare per lui, benchè ancora non lo conoscessero. E soggiunse: - La vostra carità mi confonde. So che voi avete voluto onorare in me il Ministro del Signore, e ciò mi fa vedere la vostra fede. Che il Signore la conservi sempre ne' vostri cuori, perchè essa sola ci può rendere felici in questa vita e nell'altra.

                Qui D. Bosco fece atto di ritirarsi, ma levandosi da tutte parti una voce: - Ci benedica, ci benedica! - D. Bosco ripigliò: - Si! vi benedico di cuore e benedico le vostre famiglie, le vostre campagne, perchè Dio tenga lontano ogni disgrazia e che possiate essere proprio contenti. Anche voi pregate per me e per i miei figliuoli, affinchè un bel giorno possiamo formare una sola famiglia in paradiso.

                Molti allora si strinsero attorno a lui per baciargli la mano.

                Verso mezzo giorno terminata la Messa Solenne, si udirono i giovani dell'Oratorio acclamare a D. Alasonatti. Il buon Prefetto, [766] benchè infermiccio, era venuto da Torino per comunicare cose d'importanza a D. Bosco e con lui si chiuse in camera per breve ora. Quindi riparti in fretta.

                Ai primi tocchi delle campane per i vespri la chiesa fu piena zeppa fino negli anditi più nascosti. D. Bosco fece la predica. Parlò come ispirato sull'efficacia della protezione della Madonna e raccontò molti esempi che produssero un gran bene nell'uditorio. - Solo i santi, si diceva, possono predicare cosi.

                La banda istrumentale, uscita di Chiesa e seguita da tutto il popolo, andò a suonare in piazza, e si fecero partire varii palloni volanti, mentre le case venivano illuminate. Vi fu anche una breve ma bella rappresentazione drammatica; la gente però ritirossi presto, perchè in tutte le famiglie vi era la pia usanza di recitare ogni sera il santo Rosario.

                D. Bosco oggi aveva scritto, alla Marchesa Passati accennando al giorno nel quale si sarebbe trovato in Torino, ma le insistenze degli amici dovevano modificare il suo itinerario.

 

                               Benemerita Signora Marchesa,

 

                Io mi trovo in giro co' miei giovani e fino ai 14 di questo mese non sono in Torino. Sebbene l'apertura delle scuole tra noi sia più tardi, tuttavia io temo che a Mongrè si aprano più presto e che al mio arrivo non/trovi più l'amato nostro Emanuele. Se mai ciò fosse e bastasse giungere in Torino alcuni giorni prima, La prego a darmene avviso cm una sola parola e mi recherò tosto costà.

                Il recapito per me è nel Seminario di Acqui dove andrà dopo domani cm tutta la mia brigata. Aveva divisato di farle una visita a Montemagno, ma i subbugli avvenuti nella Capitale mi persuasero a non muovermi per allora.

                Io mi trovo in Mornese, diocesi d’Acqui, dove sono testimonio di un paese che per pietà, carità e zelo sembra un vero chiostro di persone consacrate a Dio. Questa mattina ho fatto la comunione e nella sola mia messa ho comunicato un mille fedeli.

                Voglia, Signora Marchesa, gradire i sentimenti di rispetto e di gratitudine, estensibili al Venerato sig. Marchese, ad Azelia, e ad Emanuele, cui dirà che io non lo dimentico mai nella mia messa, ma egli non dimentichi ciò che gli ho raccomandato a Montemagno. [767] Non so dove siano i Signori Papà e Maman, ma se mai fossero presso di Lei La prego di volerli rispettosamente riverire da parte mia.

                Dio doni a tutti sanità le grazia e ci conservi tutti per la via dei Paradiso.

                Di V. S. B.

 

                Mornese, 9 ottobre 1864.

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Lunedì 10 ottobre D. Bosco con tutta la comitiva faceva una passeggiata a Lerma ove era aspettato dall'Arciprete Raimondo Olivieri e da quattro suoi alunni di quel paese in vacanza. A metà della strada, a sinistra, oltre una piccola pianura, sopra un poggio coperto di boschi torreggia il castello di Casaleggio appartenente alla nobile famiglia Ristori, distinta per la carità e compassione verso i miserelli. Su quella vetta si allinea il paesello colla vecchia e piccola Chiesa parrocchiale, eretta al tempo de' feudatarii. A destra della strada, alquanto più alta di questa, si innalza isolata la nuova parrocchia colla canonica, e un portico innanzi alla porta maggiore, prospettante il castello. Qui attendevano D. Bosco per ossequiarlo la vecchia Marchesa Ristori, i Marchesi Orazio e Pietro suoi figli e due sue figlie. Il parroco, ormai  decrepito, D. Pastore Giovanni Maria, stava seduto in un seggiolone.

                D. Bosco salì a salutarli. La banda si fermò con tutta la comitiva e diede fiato alle trombe.

                Dopo una breve fermata i giovani proseguirono la marcia. Giunti in faccia a Lerma posta sopra una collina, appena furono Visti, spararono i mortaretti, si udì un lieto scampanio, e squillarono le note della banda musicale del paese. Quei dell'Oratorio si schierarono nella valle e risposero con una suonata. Allorchè questi finirono da quella cima fu ripresa un'altra armonia. Così alternandosi i suoni gli alunni di D. Bosco giunsero all'entrata di Lerma. Il servo di Dio salutò il parroco che lo attendeva con una gran folla e disse alcune [768] parole di ringraziamento al corpo musicale del paese. Tutto il popolo era fuori delle case.

                Trionfalmente si entrò nell'abitato.

                Splendido fu il pranzo imbandito dall'Arciprete, al quale sedettero pure i musici delle due bande. Gastini Carlo, sul levar delle mense, conte era solito a fare in tutti i paesi nel tempo delle passeggiate, saltò fuori vestito in modo grottesco a far le parti di menestrello; e cantando e declamando destò l'ilarità ne' convitati. Quindi i musicanti andavano a suonare sotto le finestre del Sindaco e di altre notabili persone per rendere loro ossequio. Data poi solennemente la benedizione nella parrocchia gli alunni uscirono in ordine colle due musiche alla testa. Giunti ove incominciava la discesa, que' di Lerma si fermarono; e D. Bosco dopo averli nuovamente ringraziati, esprimendo il pensiero della speranza di ritrovarsi un giorno di bel nuovo tutti insieme in paradiso a goderne le musiche, prese co' suoi a discendere nella valle. Allo svolto della via che girava dietro ad un colle nascondendo Lerma, si udirono l'ultima volta le trombe de' nuovi amici, che davano l'estremo saluto a quelli che si allontanavano. Costoro risposero con una sinfonia e dopo un entusiastico evviva gridato da luna parte e ripetuto dall'altra, si avviarono a Mornese.

                D. Bosco, come aveva fatto venendo, ritornava a piedi. Con lui in tutto quel lungo tragitto, camminava un giovane prete forestiero, rimasto per sua fortuna solo con lui. L'Arciprete Olivieri suo amico glielo aveva presentato a Mornese, D. Bosco fissandolo con sguardo amorevole lo richiese dei nome e della patria. Quindi gli disse: - Ebbene venga con me a Torino.

                 - E perchè no? - gli rispondeva quel prete come affascinato dalla bontà del servo di Dio. D. Bosco non gli disse di più

                A Lerma era pur egli fra gli invitati e l'Arciprete avevalo [769] posto a mensa al fianco di D. Bosco, il quale quasi sempre parlò con lui dell'Oratorio di Torino e de' mezzi da adoperarsi per salvare la gioventù da tanti pericoli che le sovrastavano. Il prete tutto assorto nell'ascoltarlo gli aveva detto:

                 - Io verrei tanto volentieri con lei a Torino, se mi accetta.

                 - E con quale intenzione verrebbe?

                 - Con quella di aiutarlo in quel poco che posso.

                 - No; riprese D. Bosco: le opere di Dio non han bisogno dell'aiuto degli uomini.

                 - Io verrà, e Lei mi dirà ciò che dovrò fare.

                 - Venga unicamente per fare del bene all'anima sua.

                 - Ed io farà così; rispose quel Sacerdote.

                Questi adunque ritornava con D. Bosco a Mornese e gli parlò per un'ora e mezzo della sua vita passata, di quanto aveva fatto e pensato sino a quel giorno e dei progetti formati per l'avvenire. Fu una passeggiata indimenticabile.

                Il domani martedì II ottobre giorno della partenza, dopo la refezione, tra gli applausi della folla, D. Bosco colla sua carovana si allontanava da Mornese per Capriata ove era atteso. Egli aveva accettati dieci giovanetti del paese per Torino o per Lanzo. A un certo punto ove la via si biforcava e da una parte scendeva per Gavi e dall'altra conduceva a Montaldeo, il giovane prete sunnominato dovendo andare a Serravalle Scrivia, prese congedo da D. Bosco. Il Servo di Dio gli disse con un sorriso incantevole: - Quando verrai a Torino? - E quindi soggiunse: - Mi permette non è vero che le dia del tu?

                 - Sì, sì! - Mi tratti come un suo figlio. Da qui ad otto giorni sarò con lei.

 

 

CAPO LXXV. Si va a Montaldeo e a Castelletto d'Orba - Capriata: chiesa e teatro - Arrivo ad Ovada: D. Tito Borgatta e il Sindaco - Entusiasmo dei paese per una rappresentazione teatrale - Comunioni edificanti - Ammonimento di D. Bosco a Don Borgatta - Cremolino: invito non previsto dal Marchese Serra: un gran dolore calmato - A Prasco: la morte dei Sindaco: stazione melanconica - Arrivo nel Seminario di Acqui - Lettera di D. Manacorda - Gli alunni di D. Bosco presentati al Vescovo - Rappresentazione drammatica in Seminario - D. Bosco vince colla bontà la riluttanza di un chierico - Ufficio funebre - D. Bosco e i Seminaristi - A Strevi coi Vescovo - Solenne funzione in Cattedrale - Ritorno a Torino - Il bene operato da D. Bosco nelle passeggiate - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Altre lettere da Roma: una lotteria consigliata: la dispensa dal Breviario: istanze per le dimissorie - D. Bosco offre doni a coloro che lo beneficarono nella passeggiata: ringraziamenti di un buon signore.

 

1) PASSANDO per belle e fertili colline i giovani dell'Oratorio marciarono a Montaldeo, ove trovarono sulla via un rinfresco offerto dalla cortesia del Conte Tornielli. Da Montaldeo si discese a Castelletto d'Orba, ove si pranzò. Di qui D. Bosco in calesse e gli altri a piedi furono a Capriata.

                Questo grosso borgo sorge su alcune amenissime colline alle falde delle quali passa la strada provinciale. [771] Un bel numero di giovani, alunni del Collegio di Mirabello, e ora in vacanza, i quali già lo conoscevano e avevano parlato molto di lui ai loro parenti e altri sei o sette che erano stati accettati da D. Rua pel nuovo anno scolastico, gli fecero molte feste. Per invito del Parroco si andò in parrocchia ove fu data con tutta solennità la benedizione e, a sera fatta, in un ampio cortile si eseguì una rappresentazione teatrale a tutto il paese accorso. Bongiovanni fece meraviglie recitando Osti e non osti in dialetto piemontese. I giovani cenarono e pernottarono nella casa di un sacerdote ammiratore di Don Bosco e amico di Bisio Giovanni coadiutore nell'Oratorio. Questo giovane narrò di sè: “Essendo io soldato, leggendo le operette di D. Bosco e specialmente il Giovane Provveduto, ne restai colpito; e terminato il servizio militare, m'informai da un sacerdote di Capriata mio paese chi mai fosse D. Bosco. Egli me lo descrisse come un santo, ed io mi invogliai di farne la conoscenza. Mi presentai pertanto a lui nel 1864, e colto dalle sue buone e sante parole mi fermai nell'Oratorio”.

                Il domani mercoledì 12 ottobre, si andava ad Ovada. D. Bosco era atteso da un sacerdote possessore di un cospicuo patrimonio e che da molti anni conosceva il servo di Dio e le sue opere. Era D. Tito Borgatta. Aveva preso a pigione un intero albergo e per due giorni si incaricò di provvedere quanto occorreva ai giovani dell'Oratorio. Questi che erano accompagnati da tanti preti e chierici, benchè si suonasse la banda, furono ricevuti dal popolo con freddezza e quasi diremmo a fischi. Alloggiati i giovani, D. Tito volle in sua casa D. Bosco e i sacerdoti.

                Si andò a cantare per la benedizione nella magnifica chiesa parrocchiale. Il Sindaco, Avv. Oddini Carlo, era venuto con molti Signori ad ossequiare D. Bosco; e nel discorrere avendo sentito che in varii luoghi i giovani dell'Oratorio avevano dato rappresentazioni teatrali, pregò D. Bosco a voler procurare alla cittadinanza il piacere di una recita nel teatro municipale. [772] D. Bosco accondiscese e si fissò la rappresentazione per quella sera. Ne fu tosto data notizia al paese. D. Tito aveva anche ceduto alle istanze del Sindaco, il quale desiderava l'onore di ospitare in sua casa D. Bosco.

                Il teatro fu invaso dal popolo: le loggie erano occupate da tutti i Signori della città, e caso unico, intervenne anche il clero. Quando il Gianduia della compagnia, Bongiovanni, venne sul proscenio a salutare il pubblico con alcuni versi in dialetto, le risa, gli applausi, gli evviva furono tali che pareva dovessero far crollare la sala. Si recitò la commedia, Antonio.

                Tra un atto e l'altro si cantarono canzoni e romanze napoletane.

                Quando si annunziò che tutto era finito, un signore si alzò, e gridò: - Viva D. Bosco! Viva la sua scuola!

                Gli spettatori fecero eco prolungato al suo grido.

                Gli attori ritiratisi nel loro alloggio trovarono pronta una bicchierata di vino generoso che l'albergatore loro presentò a nome dei Signori del paese: e l'entusiasmo della popolazione era tale, che essendo qualche giovane andato al Caffè, o allo spaccio del tabacco, fu servito gratuitamente. Quella sera il Servo di Dio verso le nove, si recò a trovare i suoi alunni e a recitare con essi le orazioni.

                Il giovedì mattina 13 ottobre, i giovani andarono in parrocchia per ascoltate la Santa Messa. Col permesso del parroco si recitarono le preghiere ad alta voce, si suonò l'organo e si cantò un mottetto. Molte persone erano in chiesa a quell'ora e fecero le meraviglie al vedere così numerosa comunione. Una signora avvicinatasi disse ad un giovane: - Che festa fate voi altri quest'oggi?

                 - Perchè, signora?

                 - Perchè ho veduto tanti di voi alla Santa Comunione. È cosa di tutti i giorni, sa.

                Quella signora apparve tutta commossa e si allontanò dicendo: [773]

                - Benedetta la gioventù che cresce a tale scuola.

                Fatta colazione si doveva andare in Acqui. Ma prima di partire D. Bosco volle dare con prudente carità un avviso a D. Tito, che era stato così generoso verso di lui e de' suoi alunni. Quel sacerdote impiegava le sue ricchezze in favore de' poverelli, ma poneva mano in troppe cose e quasi sempre per interessi materiali. Aveva istituita una banca che davagli grossi guadagni, fondata una grande panetteria, eretto il magnifico edifizio di un collegio signorile per ragazze, dirette dalle sue religiose, ognuna delle quali aveva recato con sè una ricca dote.

                D. Pestarino ed altri amici invano lo avvertivano di non correr troppo dietro ai guadagni di banca. D. Bosco adunque, intrattenendosi con lui famigliarmente e parlandogli di quelle imprese, gli diceva di non dimenticare che il mondo odia, i religiosi e che se non può far loro del male oggi lo farà domani; quindi esser meglio che il prete si occupi di cose sacre, lasciando, ai secolari le cose secolari; gli ricordò le parole di S. Paolo: Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus. Finì con pregarlo di mutar sistema, se non voleva finir male. D. Tito guardò D. Bosco e sorrise, poichè la sua fortuna sembravagli incrollabile. Ma le parole di D. Bosco parvero poi profetiche. Un socio, nel quale il povero prete aveva posta tutta la sua fiducia, lo tradì, venne il fallimento colle sue conseguenze e quindi il disonore e la rovina di tutto.

                Verso le 9 al suon della musica e fra gli applausi di tutta la popolazione, i giovani dell'Oratorio uscirono da Ovada e s'incamminarono verso Cremolino. La strada passa presso il colle sul quale a Cremolino s'innalza lo stupendo castello del, Marchese Serra. Sulla torre era issata la bandiera come ne' giorni solenni. Ai piedi della salita i due giovani figli del Marchese si presentarono a D.. Bosco invitandolo al Castello a nome del padre che desiderava ardentemente di parlargli. Quantunque non fosse qui la tappa fissata, D. Bosco accondiscese [774].

                Il buon Marchese gli venne incontro sul ponte levatoio, lo prese per mano come persona di antica conoscenza e lo introdusse nel castello. Avendo egli saputo che, D. Bosco doveva passare da quelle parti aveva preparato un abbondante refezione per tutta la compagnia. 1 giovani vennero condotti in un magnifico salone, ove deposti gli strumenti musicali, furono tutti ordinati in circolo e il Marchese stesso incominciò a servirli di pane, companatico e vino eccellente. Quindi lasciò la cura di tenerli allegri al suo figlio secondogenito, mentre il suo primogenito in altra sala aveva fatti sedere a mensa i preti ed i chierici. Egli poi si ritirò con D. Bosco in altra stanza, ove per essi dite, soli fu servito un déjeuner. Il Marchese voleva parlare con D. Bosco in piena confidenza, essendo molto afflitto per la morte della Marchesa, avvenuta poco tempo prima. Aveva bisogno di consolazione e l'ebbe dalle parole del servo di Dio. Instò ancora perchè rimanesse ospite fino al lunedì, ma si rassegnò quando seppe che il Vescovo di Acqui lo aspettava per quella sera.

                Quando ricomparve in mezzo ai giovani, tenendo D. Bosco per mano, sembrava ringiovanito, tanto mostravasi lieto. Come negli altri luoghi, così qui ci furono canti, suoni e le poesie del lepido menestrello. Una piccola insomma, ma graziosa accademia. Si partì al grido ripetuto: Evviva il Signor Marchese!

                Si andava a Prasco per invito del parroco D. Bobbio Giorgio uomo di gran prudenza e zelo illuminato, il quale da molto tempo era in relazione con D. Bosco e raccomandava all'Oratorio giovanetti suoi parrocchiani di una specchiata bontà.

                Alle 3 si era all'entrata dei paese quando un messo del parroco venne ad avvertire che in quel momento era morto il Sindaco. Due giorni solo era durata la malattia dei signor Deguidi Prospero, eccellente cristiano. Quindi silenziosamente i giovani si avviarono alla parrocchia e furono introdotti [775] nel giardino; nulla però trovarono di preparato per il pranzo. Il buon Prevosto sopraggiunto si scusò per aver dovuto assistere il suo amico morente.

                Si provvide il pane: Buzzetti ed Enria fecero tosto cuocere una grossa polenta, mentre D. Bosco si recava in Chiesa cogli altri. Ei disse al popolo due parole sulla morte e sul dovere di star preparati; e si diede la benedizione. Si mangiò quindi in fretta e si parti in silenzio sul far della notte, ma la luna piena rischiarava la strada. Alle 9 arrivarono in Acqui accolti da pochi amici senza pubbliche dimostrazioni di festa. L'entusiasmo fu in Seminario ove i Superiori e i chierici ritornati dalle vacanze aspettavano gli ospiti desiderati.

                Qui D. Bosco trovò la posta colla seguente lettera.

 

Roma, 8 ottobre 1864.

Borgo S. Agata N. 23 P. I°.

 

                               Molto Rev. Sig. D. Bosco,

 

                Ieri sera alle 7 il S. Padre si degnò di ammettermi all'udienza privata, mi trattenne circa tre quarti d'ora e mi parlò di molte cose con grande affabilità. Deo gratias.

                Chiesi la sua benedizione per la S. V. a me troppo cara, per i sacerdoti del suo Oratorio e per tutti i giovani che hanno la sorte fortunata di essere educati alla sua scuola cristiana. Domandai a suo nome che siano estesi al piccolo Seminario di Mirabello gli stessi privilegi già concessi all'Oratorio di S. Francesco in Torino, nel giorno del patrono, cioè S. Carlo. Il Santo Padre pieno di bontà e di amor paterno accondiscese ad ogni mia preghiera, estendendo, nel giorno di San Carlo al Seminario di Mirabello, i privilegi gi concessi all'Oratorio di Torino pel giorno di S. Francesco. Impartì la Papale benedizione alla S. V. ed a tutti i suoi giovani, incaricando me a comunicargliela, e lei a spargerla sulla diletta e santa famiglia, che con gioia e stupore sentì ascendere al numero di 700 e più. Lesse per intero la di lei lettera e ne andò molto consolato, affermando di conservare di lei sempre affettuosa memoria; anzi disse: conservare per dolce sua memoria quella piccola cassetta con entro le offerte mandate dai suoi giovani dell'Oratorio.

                Parlai della sua Chiesa in costruzione, e mostrò grande soddisfazione: mi disse potersi per tale bisogna aprire una sottoscrizione per fare poi [776] una lotteria: risposi che già io stesso ne aveva parlato e tosto combinato il modo coi Direttori dei principali giornali di Roma; aspettare Però una risposta della S. V. ad una mia che le scrissi in proposito. Allora il S. Padre disse: Bene, bravo; aiutatelo quel santo uomo ed io intanto vi darò due cosette. Si alzò e mi diede due piccoli oggetti ben graziosi, che sebbene di non grande valore potranno benissimo servire per eccitamento agli altri a seguirne l'esempio, e così poi faremo buona raccolta per la casa del Signore. Disse di più: Se mai non si facesse detta lotteria, uno di tali oggetti il sig. D. Bosco permetterà che voi l'abbiate per mia memoria; oppure se voi volete offrire qualche cosa al detto D. Bosco, egli, che si mostra a voi così affezionato, ve lo lascierà. L'oggetto che io terrei volentieri per memoria di Sua Santità sarebbe una piccola croce d'oro.

                Parlammo a lungo della sua casa e lo informai di ogni cosa, secondo le istruzioni datemi dalla S. V. prima della mia partenza.

                Che dice adunque, arcicarissimo, e Rev. sig. D. Bosco? Dobbiamo farla questa sottoscrizione o no? Mio parere sarebbe di sì. Se poi non riuscirà tanto abbondante, pazienza: qualche cosa otterremo; la benedizione del Santo Padre, con tanto fervore impartita non sarà sterile e frutterà, massime unita all'esempio.

                Dunque si degni scrivermi il suo parere su tale rapporto ed io mi prenderò tutta la cura e l'impegno possibile .....

 

                MANACORDA EMILIANO

 

                Il 14 ottobre, venerdì; D. Bosco andò ad ossequiare il Vescovo Mons. Modesto Contratto Cappuccino e per suo espresso desiderio gli presentò i suoi alunni, coi quali egli s'intrattenne con molta affabilità. Il pranzo era preparato in Seminario, ma il Vescovo volle alla sua mensa D. Bosco e i suoi preti. Alla sera ci fu rappresentazione nella gran sala del Seminario. Venne anche Monsignore. Si ripetè il programma di Ovada.

                In questo giorno si era svolto un piccolo atto, di cui nessuno si accorse, ma che dà un'idea caratteristica dei sistema di D. Bosco. Egli ad un chierico amante della musica, ornato di molte doti, ma di indole difficile a piegarsi, aveva proposto tempo prima di far parte del personale destinato pel Collegio di Lanzo. Il Chierico non apparteneva ancora alla Pia Società e si rifiutò, non potendo rassegnarsi a lasciar l'Oratorio. D. Bosco non si tenne offeso e lo iscrisse nella lista di [777] quelli, che dovevano accompagnarlo nella passeggiata. Nel partire dai Becchi per andare a Villanova Don Bosco lo invitò ad accompagnarlo, ma quegli si scusò con un pretesto. A Genova, a Mornese e ad Ovada cercava in tutti i modi di potergli parlare, ma il chierico riusciva sempre a fuggirlo, temendo di udirsi ripetere la proposta ripugnante. Finalmente quando tutti i giovani nel palazzo del Vescovo stavano ascoltando Monsignore, a un tratto egli si vede vicino D. Bosco, il quale presolo per mano gli disse: - Dunque, che cosa mi rispondi? - Confuso il chierico balbettò: - Stassera, o a Torino le darò la risposta.

                Finito il teatro saliva nel camerone destinato per il riposo dei giovani e vide D., Bosco occupato a preparargli colle sue stesse mani il letto, che al mattino non era stato rifatto. - Don Bosco gli diede la buona notte e si ritirò nella sua stanza, che era presso il camerone. Al vedere tale atto il chierico non potè prendere sonno, pianse tutta la notte e al mattino andò ad origliare alla porta di D. Bosco. Sentendo che passeggiava, chiese di poter entrare e singhiozzando esclamò: - Mi mandi dove vuole, che io non posso più resistere. - Così D. Bosco vinceva quella resistenza e si affezionava sempre più un giovane, destinato a fare un bene immenso nelle missioni.

                Il 15 ottobre sabato, vi fu nella cappella del Seminario un solenne funerale per i defunti di una associazione ecclesiastica. Il Vescovo era presente. Fu eseguita la messa funebre di Don Cagliero. D. Bosco prima delle esequie tenne una commovente allocuzione.

                Dopo pranzo Monsignore volle condurre D. Bosco e i giovani alla sua villeggiatura di Strevi e li fece maravigliare per la sua patema benevolenza. Stette sempre in mezzo a loro e h servì di una generosa refezione.

                Il 16 ottobre Domenica, festa della purità di Maria SS., si fece gran festa nella Cattedrale e i giovani cantarono messa in musica. [778] In que' tre giorni di allegrezza passati in Acqui i giovani visitarono la bella cattedrale a cinque navate, le varie chiese, le antichissime sorgenti solfuree d'acqua bollente e i dintorni della città; videro gli archi rovinati dell'acquedotto romano, le terme de' fanghi e l'antico castello dei Marche si del Monferrato. D. Bosco invece ebbe le sue occupazioni; aveva accettati nuovi alunni per l'Oratorio e per i due suoi collegi, e propagava l'associazione delle Letture Cattoliche. Tutte le mattine, quand'egli veniva in sagrestia per apparecchiarsi a celebrare la messa, non eran più i soli giovani suoi che lo attendevano per confessarsi, ma venivano anche i Seminaristi. Più d'uno di questi ebbe a provare come il Servo di Dio leggesse ne' cuori. Nella giornata poi egli dovette dare udienza a quelli che desideravano parlargli di vocazione.

                Finalmente alla sera della Domenica D. Bosco, che aveva preso congedo dal buon Vescovo, annunziò a' giovani come fosse pel domani fissato il ritorno a Torino. Dopo aver descritto il viaggio fatto, e la grande carità dei benefattori, concluse dicendo: - Tutto passa, ma non passerà la nostra gratitudine, perchè pregheremo sempre il Signore che ricolmi di benedizioni quelli che ci han fatto del bene.

                Il 17 lunedì, dopo la messa, la musica nel cortile del Seminario salutava i chierici di Acqui, e suonando si avviava alla stazione. Quivi in circolo eseguita una bella sinfonia fra gli applausi della moltitudine accorsa, prese posto coi compagni ne' carrozzoni, che gridavano agitando i berretti per aria: Evviva Acqui! - Ad Alessandria i loro vagoni vennero uniti al treno diretto proveniente da Genova, il Capo stazione si affacciò allo sportello per ossequiare D. Bosco, e fu dato il segnale della partenza. Ad Asti D. Bosco discese, perchè aspettato da varii benefattori, nella villa dei quali doveva trattenersi per qualche giorno. La comitiva poco dopo il meriggio era a Torino.

                Fu questa l'ultima passeggiata autunnale, la più solenne,  [779] la più lunga di tutte le altre, fatte in un decennio. Ma qual bene incalcolabile avevano esse prodotto, perchè era Dio che si manifestava in D. Bosco. Quanti giovanetti aveva egli accettati per l'Oratorio e che ora sono zelanti sacerdoti; quanti peccatoti furono da lui richiamati sul buon sentiero; in quante famiglie aveva ricondotta la pace o infusa una serena rassegnazione nelle traversie della vita; quanti che prima d'incontrarlo erano avversi al sacerdozio, e visto lui presero a rispettarlo. In mezzo a quante popolazioni per la sua parola apostolica Iddio aveva ripigliato il suo posto!

                Ma ora D. Bosco doveva cessare da questa straordinaria missione. Le sue nuove occupazioni non gli dovevano più permettere di assentarsi dall'Oratorio per sì lungo tempo e in quel modo. Perciò decideva di limitarsi mandare ai Becchi, e non più oltre, una squadra di cantori e i musici tutti gli anni, per la festa del Rosario, alla quale però egli sarebbe intervenuto.

                D. Bosco intanto da Asti ritornava all'Oratorio ove attendevalo una preziosa lettera.

 

PIO PP. IX[63].

 

Diletto figlio - Saluto ed Apostolica Benedizione,

 

                Dalla tua ossequentissima lettera dei 25 Agosto u. s., ed or ora pervenuta nelle nostre mani, sappiamo esserti tornato molto gradito il decreto per nostro ordine emanato dalla nostra Congregazione preposta agli affari ed alle consultazioni dei Vescovi e Regolari, riguardante cotesta Società di S. Francesco di Sales istituita per educare i [780] giovani nel timor di Dio e nella pietà. Dalla medesima apprendiamo, che tu ti dai premura di eseguire tutte quelle cose che furono nota te e stabilite nelle osservazioni dalla medesima Congregazione aggiunte.

                Con gioia abbiamo saputo che la stessa società, coll'aiuto di Dio, va crescendo ogni giorno, che ad essa accorrono molti giovani di ogni ordine e condizione, e che il nostro diletto Figlio Emiliano Manacorda pone ogni suo studio per esserle di vantaggio.

                Certamente, se in altri era necessario, tanto più in questi difficilissimi tempi, si debbono rivolgere le sollecitudini e gli studii a strappare dalle insidie di uomini perversi i giovani che noi vediamo circondati da tanti pericoli, e con impegno istruirli intorno ai precetti della nostra divina religione e formarli con tutta diligenza alla pietà, all'onestà e ad ogni genere di virtù. Perciò ti incoraggiamo a continuare, confidando nell'aiuto di Dio, un'opera così salutare, mettendo in essa ogni giorno tutta la cura, l'impegno e lo studio. Continua poi ad innalzare a Dio ferventissime preghiere pel trionfo della sua santa Chiesa e per la conversione di tutti gli erranti.

                Infine qual pegno del nostro paterno affetto verso di te, con tutta effusione del cuore impartiamo l'Apostolica benedizione a Te, diletto Figlio, ed a tutti i giovani appartenenti alla sullodata Congregazione di S. Francesco di Sales.

                Dato a Roma presso S. Pietro, il 13 Ottobre 1864, del nostro Pontificato l'anno decimonono.

 

PIO PP. IX.

Al Diletto Figlio Sacerdote Giovanni Bosco - Torino. [781]

 

                Erano pur giunte altre lettere a D. Bosco di D. Emiliano Manacorda da Roma da lui incaricato di varie commissioni. La prima era di cercare offerte per la costruzione della Chiesa in Valdocco, per ottener le quali il buon Manacorda aveva il progetto di una lotteria. La seconda riguardava le dimissorie per le ordinazioni sacre; la terza la dispensa dalla recita del breviario. Il sommo Pontefice avevalo verbalmente dispensato a condizione che, potendo, ne recitasse una parte qualsiasi ogni giorno; ma Don Bosco desiderava avere un documento manoscritto, ostensibile in qualche circostanza per sua giustificazione. Don Manacorda a più riprese gli diede le notizie aspettate.

                Il 18 ottobre manifestando il desiderio di conoscere la sua volontà riguardo alla lotteria, domandava: “Dovremo adunque raccogliere i soccorsi dei Romani? Dovremo aprire una lotteria quando avremo oggetti sufficienti? Dopo l'esempio del Santo Padre pare che dovrebbe essere così. La S. V. ci pensi e mi scriva. Oh, se potessi sapere il giorno che i suoi giovani faranno la Comunione per me, quanto sarei contento. Sarà per me un giorno di grande solennità.... Penso che Lei sarà contenta di quell'articoletto che feci inserire nell'Armonia .....

                Il 27 ottobre dopo aver raccomandato caldamente a Don Bosco alcuni giovani, aggiungeva: “Quanto alla dispensa dalla recita dell'Ufficio, Mons. Pacifici mi disse essere necessario addurre le cause speciali, e non solamente il onfessionale. Crederei poter esporre il male agli occhi; che ne dice? Riguardo ad altra dimanda per le dimissorie, mi disse ciò spettare assolutamente alla Congregazione de' Vescovi e Regolari, ora chiusa. Si farà dopo qualche tempo”.

                Un mese dopo lo stesso Don Manacorda scriveva a Don Bosco sugli appunti delle lettere precedenti. [782]

 

Ronza, 29 novembre 1864.

 

                               Carissimo D. Bosco,

 

                Le mando per mezzo del Rev. P. Crescentino la desiderata commutazione della recita dell'Ufficio. A concepita in questo senso: che la S. V. si elegga un Confessore, il quale apre la inviata facoltà di commutare alla S. V. la recita del breviario in qualunque anche brevissima preghiera vocale; così mi dissero essere stile curiale di dispensare in simili circostanze.

                Quanto alle dimissorie abbia pazienza per ora; fui assicurato essere cosa affatto inopportuna, tanto più che tra gli articoli della nostra Congregazione sta pur quello di assoggettare i membri della medesima all'Ordinario del luogo ove dimorano: dunque offriamo a Dio la privazione della cosa desiderata e ringraziamolo dell'ottenuto.

                Della lotteria ecco il mio parere. Non credo conveniente il determinare, annunziandola, il luogo dove si farà, se cioè in Torino oppure in Roma. Se raccoglieremo molto si potrà fare anche in Roma, ma quando la generosità dei Romani uguagliasse solo la carità di certi uni, allora crederei fuor di caso il mettere in mostra i due oggetti del Santo Padre senza imitatori.. Questo giusta la mia mente imbecille; la S. V. saprà giudicare di meglio.

                Le facoltà di leggere libri proibiti pei suoi sacerdoti le ho ottenute assolute come di tanti Dottori; quelle però pei chierici si combinò altrimenti; che cioè il Santo Padre conceda alla S. V. una facoltà amplissima di concedere detta licenza ai suoi giovani, ogni volta e a chi crede bene; e s'incaricò lo stesso padre Modena di portarsi dalla Santità sua e chiederla; ed appena ottenutala io mi farà premura di trasmetterla alla S. V .....

 

MANACORDA UMILIANO.

 

                D. Bosco ricevette con piacere, anche per maggior tranquillità di sua coscienza, l'indulto della commutazione del Breviario. Egli però procurava sempre di recitarlo o tutto o in parte a misura che gli rimaneva tempo fra le continue occupazioni. Perciò lo teneva sempre sullo scrittoio e lo portava seco ne' viaggi. Quando poi crebbero le indisposizioni fisiche e la debolezza della sua vista, anche allora tenne per massima di leggerne almeno qualche breve tratto ogni giorno. Infine negli ultimi anni non potendo più assolutamente, s'informava [783] dagli altri dell'ufficio del giorno e talora facevasi leggere le lezioni. Così affermano Mons. Cagliero, D. Rua e D. Berto.

                Ma D. Bosco appena giunto a casa volle soddisfare a un debito di riconoscenza verso tutti coloro che avevano nel tempo della passeggiata accolti e beneficati con tanta carità i suoi alunni. Scrisse a tutti lettere e regalò libri da lui composti. Naturalmente ebbe riscontri, ma un solo di questi ci fu conservato[64]. È un foglio del signor Canale di Genova, costante benefattore degli Artigianelli di D. Montebruno, membro della Società dei figli dell'Immacolata di D. Frassinetti, ascritto alle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e ad altre pie opere ed amico di D. Bosco. Egli in quei giorni nei quali gli alunni dell'Oratorio avevano dimorato in Genova, era stato la loro guida e mèntore in ogni luogo da visitare.

 

 

CAPO LXXVI. Numero di giovani nell'Oratorio - La Divina Provvidenza non manca mai - Criterio di D. Bosco nel trattare l'accettazione dei giovani - Vestizione clericale - Esami dei chierici - D. Bosco raccomanda un chierico al Rettore del Seminario per la pensione gratuita - Gli insegnanti nell'Oratorio - Letture Cattoliche - Apertura della Libreria Salesiana - Un fascicolo supplementare alle Letture - L'annua associazione comincerà nel mese di gennaio - Il Galantuomo.

 

                NELL’ANNO scolastico 1864 - 65 il numero dei giovani studenti fu di 350: così ricaviamo da una nota di D. Bosco mandata al Regio Provveditore, il numero totale però sorpassava i 700.

                Erano venuti da tutti i punti d'Italia, perfino dalla Sicilia, destinati alle scuole o desiderosi di applicarsi ad un'arte. Riempivano ogni angolo dell'Oratorio, con buona volontà ed ottimi propositi. I Superiori, preti e chierici, dicevano a D. Bosco essere troppe le spese che doveva fare per tanti fanciulli, ma egli rispondeva esservi nell'Oratorio una pompa, ossia una tromba idraulica, che metteva sempre fuori marenghi, quindi non aveva mai tralasciato per mancanza di danaro di accettare poveri giovani.

                E il detto provava coi fatti. Il 18 del mese di ottobre verso le nove di sera, dopo le orazioni essendo circondato D. Bosco da un numero di chierici, che lo pregavano a narrar loro qualche [785] cosa che li dilettasse, ei raccontò come nell'ultimo inverno fosse stato provvidenzialmente soccorso dal cielo. Era un giorno, ei disse, nel quale la mia borsa era poverissima, quand'ecco mi veggo innanzi il panattiere. Egli mi pregava a pagargli il pane che aveva già provveduto per l'Oratorio. Io rimasi per un istante come sbigottito e gli risposi: Venga domani e sarà compiutamente pagato. - Questa risposta mi era sfuggita, senza che quasi io sapessi quel che mi dicessi, ma subito sentii in me ravvivarsi una viva fiducia nella divina Provvidenza. Giunse il domani ed io non aveva un soldo. Scesi in chiesa pensando e ripensando al mio debito. Andai a celebrare la santa messa: in quel mentre si vide entrare in sacrestia un giovane di molta avvenenza, il quale domandava di me. Visto un sacerdote gli consegnò un piego da rimettermi, e si ritirò. Terminata la messa mi venne porta quella busta che era sigillata. L'apro e vi trovo tre biglietti da mille lire, somma alla quale appunto ascendeva il debito. Notate che io non aveva manifestato ad alcuno il mio bisogno e punto io conosco il giovane che fu latore di quella somma. Vedete quanto sia grande la Divina Provvidenza!

                Ma i tesori della Divina Provvidenza D. Bosco sapeva amministrarli da servo fedele, distribuendoli con un prudente riguardo, sicchè la vera necessità ne ricevesse sollievo, e nello stesso tempo non rimanessero offesi coloro che lo importunavano per una concessione da lui giudicata sconveniente. Le istanze che gli venivano fatte per iscritto, acciocchè accettasse giovani, erano per lo meno dieci volte più numerose dei posti che aveva disponibili nell'Oratorio. Eppure non ne lasciava una senza risposta, dimostrando la gran stima che professava allo scrivente, il gran conto i cui teneva la sua raccomandazione, e le sue disposizioni più favorevoli per contentarlo, appena avesse potuto.

                Colla stessa rispettosa cortesia rispondeva anche a quelli che non badavano alle condizioni poste dal regolamento per [786] l'accettazione di un giovane. Egli infatti non ignorava come a molti signori poco importasse che un giovane fosse accettato o no, e che talvolta appoggiavano una domanda per levarsi la noia di supplichevoli insistenze; e altri avessero in mira solamente di ostentare protezione e far vedere alla gente quanto riguardo si usasse al loro nome: e D. Bosco colle buone ragioni persuadeva i raccomandati ad aspettare e a confidare nella Provvidenza. Se però prevedeva che quegli, il quale a lui erasi rivolto, si sarebbe offeso per una negativa, pel bene dei suoi ricoverati non erano rari i casi nei quali facesse eccezioni notevoli.

                Talora poi in compenso richiedeva al patrocinatore un servizio che poteva prestargli con facilità. Fra tante raccomandazioni v'era quella del deputato Amilcare Marazio, che otteneva l'accettazione del giovane Gho, confermando però la promessa di adoperarsi, perchè il Ministero di Grazia e Giustizia desse un sussidio per la costruzione della Chiesa di Maria Ausiliatrice.

                Ma quando finalmente il bisogno di un poveretto era provato D. Bosco gli apriva le porte del suo Oratorio e ne dava notizia a chi aveva fatta la raccomandazione con espressioni così gentili da procurarsi un amico di più[65]. [787]

                Ma ciò che più di tutto premeva a D. Bosco erano i suoi chierici. Appena giunto a casa di quella stessa sera radunata in Chiesa tutta la comunità, dopo le orazioni, benediceva e dava ad alcuni giovani la veste chiericale, fra i quali a Bodrato Francesco. Questi, assestati gli interessi di casa sua ed, essendo vedovo, provvisto all'educazione de' suoi due figli consegnandoli a D. Bosco, abbracciava la vita salesiana.

                Che il servo di Dio conoscesse gli alunni chiamati allo stato ecclesiastico ne davano prova quelli che già erano il suo sostegno nell'Oratorio. In que' giorni si occupavano alacremente nel prepararsi agli esami che dovevano subire in seminario; e il loro studio ebbe la meritata ricompensa. Il 3 novembre, eccetto quattro che ottennero un bene, gli altri guadagnarono egregie, optime, o fere optime. Sedici di essi, appartenevano al corso Teologico e, sei al corso filosofico. Sembrerebbe che il loro numero fosse diminuito, in confronto di quello dell'anno scorso; ma bisogna considerare che sì erano forniti di personale i collegi di Mirabello e di Lanzo, e qualcuno giaceva infermo.

                Altri cinque erano entrati in Seminario, e D. Bosco non li dimenticava. Infatti egli scriveva al Can. Vogliotti, Rettore del Seminario:

 

                               Ill.mo e Motto Rev.do Signore,

 

                Il Chierico Sargiotto Francesco si raccomanda per mezzo mio alla provata carità di V. S. Ill.ma affinchè voglia concedergli la piazza gratuita in Seminario. Ho sempre conosciuto in lui un giovane di buona volontà e di ottimi costumi; e perciò lo raccomando; il padre non potè nè può pagare cosa alcuna.

                Io mi limito a raccomandare; Ella poi faccia come nella sua saviezza giudicherà a proposito a maggior gloria di Dio.

                Gradisca che Le auguri ogni bene dal cielo e mi professi con gratitudine sincera

                di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

                Torino, 22 Ottobre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI. [788]

                Contemporaneamente aveva pensato all'ordinamento delle scuole e a designare gli insegnanti, così distribuiti: D. Durando Celestino reggente della quinta ginnasiale, D. Francesia Giovanni reggente della quarta; Professori patentati, il Ch. Barberis Pietro per la terza, D. Alasonatti Vittorio per la seconda, il Ch. Tamagnone Giovanni per la prima. L'insegnamento dell'aritmetica era affidato a D. Savio Angelo maestro elementare del Corso Superiore. La lista di questi nomi D. Bosco la trasmise al Regio Provveditore, che gliene fece richiesta il 26 novembre con lettera segnata dal numero 3057. L'Autorità scolastica nulla ebbe a ridire.

                Altri lavori D. Bosco stava per finire in que' giorni, quelli cioè delle Letture Cattoliche che in gran parte egli stesso aveva scritte.

                Pel mese di dicembre, era stampato il fascicolo dal Priore di S. Sabina in Genova Giuseppe Frassinetti: Due gioie nascoste, ossia la Comunione frequente e quotidiana, e la castità perfetta. Nelle ultime pagine si leggeva la lettera pastorale del Vescovo di Mondovì, che premuniva i fedeli contro gli errori che spargeva in diocesi e gli scandali che andava cagionando il disgraziato D. Ambrogio.

                Da un foglietto aggiunto si viene a conoscere come D. Bosco in quest'anno avesse aperta una libreria Infatti si annunzia essere poste in vendita: le, opere latine del Professore Vallauri, proprietà della Tipografia editrice dell'Oratorio; opere teologiche di gran fama tenute in deposito; tutti i fascicoli delle Letture Cattoliche dal 1853; i libri scritti da D. Bosco e altri volumi di vario argomento; fotografie sacre e profane tratte dagli originali dei migliori artisti italiani e stranieri; le musiche sacre e profane del Sac. Giovanni Cagliero. Questa libreria, che doveva prendere così vaste proporzioni, apriva un nuovo campo di attività a un certo numero di giovani e stabiliva una scuola di commercio.

                Un'innovazione annunziava il fascicolo di dicembre coi titolo: [789]

 

NOTIZIE IMPORTANTI.

 

                Per aderire alle ripetute richieste di benemeriti corrispondenti e degli Associati alle Letture Cattoliche, la Direzione ha deliberato di cominciare l'annua pubblicazione delle medesime nel mese di gennaio.

                Si stabilisce pertanto che:

                I° Col presente fascicolo termini l'anno XII di queste pubblicazioni e col prossimo gennaio comincierà l'anno XIII.

                2° Gli Associati saranno compensati con un fascicolo supplementare, cui mercè ciascuno avrà in complesso dodici fascicoli di pag. 108 siccome fa loro promesso.

                3° Ogni altra cosa continuerà secondo il programma finora seguito.

 

                Il fascicolo supplementare aveva il titolo: La bestemmia; Cosa si porta a casa dall'Osteria, due opuscoletti dell'abate Isidoro Mullois, Missionario Apostolico e primo Cappellano di Napoleone III. Un appendice di otto ameni racconti, tratta dei pregi della cattolica religione e della sua morale.

                Ultimati questi due fascicoli gli stampatori avevano dato mano alla pubblicazione: Il Galantuomo e le sue avventure. Almanacco nazionale per l'anno 1865. Strenna offerta ai Cattolici Italiani. In questo libretto varii aneddoti edificanti ed ameni sono intercalati da belle poesie ed articoli importantissimi, di alcuni dei quali ecco il titolo: - Il Clero e l'educazione della gioventù. - La lampada del SS. Sacramento. - Pregate pei missionarii. - Maniera facile di essere contento di tutto e di tutti, e star sempre allegro. - Chi è D. Ambrogio? Dialogo tra un barbiere ed un teologo.

                Per ogni mese del calendario si trova una paginetta di riflessioni colle quali con molta carità si premuniscono i fedeli dagli errori e calunnie contro la Chiesa, de' protestanti, degli increduli e degli ignoranti.

In fine il Galantuomo dava ai suoi amici alcune norme per la coltura degli orti e de' giardini, mentre sul principio ci sembra che accenni di bel nuovo in quest'anno, scherzevolmente, alla questione già da noi altrove esposta, sulla proprietà delle Letture Cattoliche; ovvero a certi moniti ricevuti dalle Autorità civili. [790]

 

PREFAZIONE

in cui parlandosi di carote, di patate, di cavoli cabusi,

si contano la confidenza si lettori alcune traversie del Galantuomo.

 

                “Chiunque s'apparecchia a travagliarsi pei suoi simili sappia non rinverrà altra mercede che d'affanni” ha detto un barbassoro dei nostri giorni, ed ha detto molto bene, eccellentemente, stupendamente bene, Voi vi pensate, cari lettori, che il Galantuomo, come un essere che non fa male a nessuno, non dice male di nessuno, non parla male di nessuno, e vuole, anzi cerca il bene di tutti, si goda la più felice vita del mondo e che tutti vadano a gara a benedirne l'esistenza.

                Cari lettori, scusatemi, ma voi siete in gravissimo errore. Per convincervene, udite dolorosa istoria che mise in pericolo l'esistenza della Strenna del Galantuomo. Era sul finire del passato dicembre, e il Galantuomo se ne stava rannicchiato accanto al fuoco, con un paio d'occhiali madornali sul naso, leggendo un antico zibaldone del mille due e mezzo, quando sente al di fuori un picchiar ripetuto come d'uomo che ha molta fretta e che non vuole aspettare. Il Galantuomo getta il suo zibaldone sul tavolo e corre frettoloso ad aprire. Era un suo vecchio

                amico che veniva dalla città, ove aveva sentito molto a discorrere dell'almanacco del Galantuomo, un buon uomo sappiate, un uomo che ama la tranquillità e la pace oltre ogni dire. I discorsi uditi dall'amico erano di vario genere chi lodava, chi criticava, chi biasimava, chi augurava al povero Galantuomo la pace dei cimiteri. Crudeli! e sì che l'anno scorso si era raccomandato che nessuno venisse a fargli dei visacci chè ei era facile ad impaurirsi e avrebbe potuto morirsene di dolore.

                Dopo che il buon vecchio ebbe raccontato quanto gli era stato detto a proposito del Lunario: “Vedi, gli disse, lasciando i complimenti a parte, tu faresti meglio ad occuparti a piantare cavoli ed a seminar carote piuttosto che a fabbricar almanacchi. Ci guadagneresti di più e staresti più tranquillo. “Era, come vedete, un modo di parlare orrendamente, tremendamente chiaro. Queste parole, accompagnate da qualche altra osservazione, colpirono sino al fondo del cuore il nostro Galantuomo, e dopo un profondissimo respirone che rintronò, per tutta la casa, dai tetti fino alle cantine, ahi dolore! la morte dell'almanacco fu inesorabilmente decretata. In conseguenza di ciò e per eseguire a puntino il consiglio dell'amico, il Galantuomo tosto si diede attorno per far acquisto di un poderetto e consacrare d'or innanzi la sua vita alla coltivazione delle patate e dei cavoli cabusi. Addio dunque, almanacchi, addio strenne, addio lunari. Se un fortunato accidente non avesse mandato a monte questo progetto, l'universo intero avrebbe quest'anno aspettato invano l'apparizione del Galantuomo come almanacco [791]; tutto al più avrebbe potuto ricevere da lui qualche patata o qualche cardo benedetto, ma sapere dal Galantuomo i giorni del mese, le feste dell'anno, l'arrivar della luce, ecc., ecc. non più, non più. Pensate che sconcerto! Invece di riposare e di santificare la domenica, molti e molti si sarebbero per ignoranza del giorno riposati nel lunedì. Altri si sarebbero astenuti dal mangiar carne al giovedì, e ne avrebbero mangiato senza scrupolo il sabato, invece di digiunar nella Quaresima avrebbero digiunato nel Carnevale, (già dei digiuni ve ne sono di molte sorta!) e andiamo dicendo. È  vero che anche pel passato ciò succedeva qualche volta. Ma la causa era appunto perchè costoro non leggevano l'almanacco del Galantuomo e per conseguenza ignoravano e il modo di vivere, e il giorno ed il tempo in cui vivevano. Credetemi, è una cosa molto importante sapere il giorno in cui si vive e senza almanacchi ciò sarebbe impossibile.

                E il mondo sarebbe dunque stato in pericolo di andarsene in rovina se il Galantuomo avesse persistito a non voler più pubblicare il suo almanacco. E allora che patatrac!…… Misericordia! Ma ad allontanare il fatale avvenimento provvide quel buon vecchierello medesimo che aveva causata la determinazione del Galantuomo. Appena seppe della futura morte dell'almanacco tosto si fece premura di andarla ad annunziare lippis et tonsoribus e tornato in città ne parlò con quanti si avvenne. Ciò bastò perchè un diluvio di lettere venisse ad inondare la casa dei Galantuomo, lettere di ogni colore, color di rosa, color verde, color canarino, in cui, a nome di tutto il nominabile, lo si scongiurava a proseguire la pubblicazione del benemerito almanacco. Le lettere erano così piene di patetiche espressioni, così commoventi che il Galantuomo non potè resistere a tanta eloquenza, e rinunciando al suo poderetto, rinunciando alla consolazione di coltivar carote, rinunciando alla tranquillità della vita privata, si decise a continuare la sua vita pubblica, unicamente pel bene della Società. Ma egli pone delle condizioni ai suoi lettori, acciocchè possano convincersi sempre più dell'utilità di fabbricare un Lunario. Primo, che siccome il Lunario è fatto per distinguere i giorni festivi da quelli che non lo sono, così tutti pongano il massimo impegno a santificare quelli con opere di pietà ed impiegare questi in un lavoro conscienzioso ed utile a tutti. Secondo, che siccome il Lunario determina i giorni in cui vi è astinenza dalle carni, così tutti ne prendano conoscenza e se ne astengano. Terzo, che ove segna il tempo Pasquale ciò serva a ricordare a tutti il precetto di accostarsi in quell'epoca a ricevere i Santi Sacramenti, senza l'osservanza dei qual precetto è impossibile che uno riesca ad amare Dio ed il prossimo come lo deve amare un cattolico. Quarto, che facciano profitto di tutte quelle altre cose che crederà opportuno di raccontar loro. E tutto questo il Galantuomo lo dice sul serio, perchè quantunque egli sia l'uomo più faceto, del mondo, tuttavolta [792] che si parla di religione, egli non si permette alcuno scherzo, ben sapendo che con Dio non si burla e che lo scherzo, la beffa in materia di religione, è la cosa più schifosa e più sciocca che i possa essere.

                Ciò detto, io debbo raccontarvene ancora un'altra, avvenuta questo anno passato al Galantuomo, ma io la voglio raccontare solo a voi in confidenza, e vi raccomando di comunicarla a nessun altro. Voi non ignorate, cari lettori, che il Galantuomo usava per rispetto alla buona memoria ed al buon esempio del suo nonno, portare in fondo alla nuca un arnese che gli discendeva giù dalla schiena a cui davasi il nome di codino. Ebbene da un anno e più a questa parte egli lo ha irremissibilmente deposto. Che volete! gli vennero a dire che quel coso non era più a seconda dei tempi, che era un volerla rompere con le idee moderne, un voler comparire retrivo, retrogrado, oscurantista e che so io! Povero Galantuomo; gli fecero aprire un paio d'occhi che sembravano due lune piene, gli fecero tenere il naso arricciato per mezzora. Poverino, non ne capiva niente! Egli portava il codino, perchè con quest'arnese sul collo, andando per le vie della città, dei villaggi, si tirava dietro i ragazzi e quando ne aveva radunato mi bel numero si rivolgeva indietro, dava loro qualche regaluccio, accompagnato da un buon avvertimento; p es. di consolare i loro genitori con la loro buona condotta, di volersi bene fra di loro come tanti fratelli, di aiutarsi a vicenda, di amare Dio con tutto il cuore, raccontava loro qualche storiella, e li rimandava arcicontenti a casa; ed egli non suppose mai e poi mai, che alcuni capelli conservati più lunghi degli altri, equivalessero ad una professione di fede politica. “Politica! diceva fra sè, politica! che cosa la è questa politica? se mi avessero parlato di questo quando ero piccino, avrei creduto che fosse la scienza di far la polenta, ma adesso conosco troppo bene che la politica non ha da far niente con la polenta, cioè sì la politica potrebbe qualche volta far diminuir la polenta, ma insomma io non mi sono mai occupato di questo, e di politica me ne intendo un corno, ed è bella che il mio codino ne sappia più di me. A buon conto giacchè è così indiscreto che vuol andare a ficcar il naso in quel che non lo riguarda, domani lo mando a carte ventinove.” E tenne parola: all'indomani, malgrado le rimostranze della vecchia sorella il codino subì il taglio fatale e il telegrafo poteva annunziarlo alle quattro parti del mondo. Non è a dire l'impressione che questo fatto produsse in tutte le classi della società massime in quella dei parrucchieri, ed il Galantuomo ne ebbe da udir delle grige. Un giorno uscito a diporto ecco farglisi incontro mi antico amico, che vedutolo così senza il suo fido compagno:  “O che! si pose ad esclamare, sei diventato un framassone anche tu?” A questo titolo di framassone nuovo stupore nel Galantuomo. “Ma questa davvero che l'è marchiana, disse. Framassoni, formaggioni che ne so io; doveva o portar il codino sino alla morte? E, poi dicono che c'è libertà per [792] che si parla di religione, egli non si permette alcuno scherzo, ben sapendo che con Dio non si burla e che lo scherzo, la beffa in materia di religione, è la cosa più schifosa e più sciocca che i possa essere.

                Ciò detto, io debbo raccontarvene ancora un'altra, avvenuta questo anno passato al Galantuomo, ma io la voglio raccontare solo a voi in confidenza, e vi raccomando di comunicarla a nessun altro. Voi non ignorate, cari lettori, che il Galantuomo usava per rispetto alla buona memoria ed al buon esempio del suo nonno, portare in fondo alla nuca un arnese che gli discendeva giù dalla schiena a cui davasi il nome di codino. Ebbene da un anno e più a questa parte egli lo ha irremissibilmente deposto. Che volete! gli vennero a dire che quel coso non era più a seconda dei tempi, che era un volerla rompere con le idee moderne, un voler comparire retrivo, retrogrado, oscurantista e che so io! Povero Galantuomo; gli fecero aprire un paio d'occhi che sembravano due lune piene, gli fecero tenere il naso arricciato per mezzora. Poverino, non ne capiva niente! Egli portava il codino, perchè con quest'arnese sul collo, andando per le vie della città, dei villaggi, si tirava dietro i ragazzi e quando ne aveva radunato mi bel numero si rivolgeva indietro, dava loro qualche regaluccio, accompagnato da un buon avvertimento; p es. di consolare i loro genitori con la loro buona condotta, di volersi bene fra di loro come tanti fratelli, di aiutarsi a vicenda, di amare Dio con tutto il cuore, raccontava loro qualche storiella, e li rimandava arcicontenti a casa; ed egli non suppose mai e poi mai, che alcuni capelli conservati più lunghi degli altri, equivalessero ad una professione di fede politica. “Politica! diceva fra sè, politica! che cosa la è questa politica? se mi avessero parlato di questo quando ero piccino, avrei creduto che fosse la scienza di far la polenta, ma adesso conosco troppo bene che la politica non ha da far niente con la polenta, cioè sì la politica potrebbe qualche volta far diminuir la polenta, ma insomma io non mi sono mai occupato di questo, e di politica me ne intendo un corno, ed è bella che il mio codino ne sappia più di me. A buon conto giacchè è così indiscreto che vuol andare a ficcar il naso in quel che non lo riguarda, domani lo mando a carte ventinove.” E tenne parola: all'indomani, malgrado le rimostranze della vecchia sorella il codino subì il taglio fatale e il telegrafo poteva annunziarlo alle quattro parti del mondo. Non è a dire l'impressione che questo fatto produsse in tutte le classi della società massime in quella dei parrucchieri, ed il Galantuomo ne ebbe da udir delle grige. Un giorno uscito a diporto ecco farglisi incontro mi antico amico, che vedutolo così senza il suo fido compagno:  “O che! si pose ad esclamare, sei diventato un framassone anche tu?” A questo titolo di framassone nuovo stupore nel Galantuomo. “Ma questa davvero che l'è marchiana, disse. Framassoni, formaggioni che ne so io; doveva o portar il codino sino alla morte? E, poi dicono che c'è libertà per [793] tutti Libertà un cavolo. Se porto il codino fo male, se non lo porto fo peggio.. Ah! vadano un po' tutti a farsi benedire. “E siccome era appunto in quel frattempo che gli era stata fatta la proposta di andar a coltivar patate e ritirarsi dalla vita pubblica, così questo valse a maggiormente raffermando  nel suo divisamento.

                Buon per voi, miei cari lettori, che capitato io appunto in quel torno in casa sua, gli feci osservare che era ridicolo rendersi talmente schiavo delle dicerie di alcuni sfaccendati, e che dal momento che egli noti si occupava, nè voleva occuparsi di politica, doveva viversene tranquillo e lasciar gracchiar le rane e cantar le passere. “Che politica, che politica d'Egitto! brontolava egli. A che cosa servirebbe ch'io me ne occupassi? lo ho lede nella Provvidenza. Accada qualunque cosa, Iddio saprà bene trar partito di tutto per operare il bene e condurre l'umanità al suo destino. “Egli brontolò ancora per una buona mezz'ora ed intanto lanciava occhiate di fuoco al suo codino decapitato, che la sua vecchia sorella in segno di onoranza aveva riposo inviluppato in carta dorata sopra un armadio della camera. “Sei tu, codinaccio, la causa di tutto questo, diceva fra i denti, fortuna che sei lassù ben alto altrimenti ti concierei io per le feste. “Io continuai ad insistere, così che finalmente tra le mie parole, tra le molte lettere che lo incoraggiavano a ciò, egli si arrese a pubblicare anche questo anno il suo solito almanacco.

                E voi, carissimi e garbatissimi lettori fategli buon viso, e soprattutto leggendolo, e facendolo leggere, procurate che il Galantuomo si convinca sempre più che pubblicando la sua strenua fa un'opera buona.

 

 

CAPO LXXVII. Un nuovo cronista - Parlata di D. Bosco: Ogni chierico lavori come so fosso Direttore: siamo untili per avere l'aiuto di Dio: conte regolarci nelle tentazioni - Consiglio ai giovani di chiedere venia ai parenti per le mancanze commesse a casa - Dotti del Signore a chi gli è fedele - Il sogno delle dieci colline - Le revisioni di un giovanetto - Spiegazioni del sogno: longevità di Don Bosco: estensione della Pia Società dopo la sua morte - D. Bosco va a Mirabello per la festa di S. Carlo Borromeo: affetto degli alunni - D. Bosco prescrive a D. Bonetti alcune precauzioni per rimettersi in sanità - Altra sua lettera all'insigne benefattrice di Mirabello: D. Cagliero a Vignale: la stampa di un libro desiderato: la gradita visita fatta dalla benefattrice al piccolo seminario: la festa di S. Carlo: il 15 dicembre egli sarà a Casale.

 

                DON Ruffino, destinato Direttore a Lanzo, non poteva più redigere la sua cronaca. Ma il raccoglitore di queste memorie biografiche del Venerabile servo di Dio, benchè ignaro del lavoro incominciato da Ruffino e da Bonetti, ebbe l'ispirazione e la fortuna di continuarlo per quasi due anni. Quindi ciò che scriviamo lo vedemmo co' nostri occhi, l’udimmo colle nostre orecchie e lo mettemmo in carta.

                Incominciamo con un sermoncino di D. Bosco. [795] 18 ottobre 1864. - Ciascuno dei chierici della casa deve lavorare come se, fosse lo stesso Direttore in persona, riprendere quelli che vedesse in qualche maniera mancare, dar buoni consigli, nei loro discorsi famigliari innamorare i giovani della SS. Comunione, che è il cardine del buono andamento della casa.

                Facciamoci coraggio nell'adempiere i nostri doveri, ma stiamo nell'umiltà. Il Papa scrisse: Deo botto adiuvante dunque non bisogna temere di nulla; se è opera di Dio la nostra, andrà avanti: l'individuo nella casa non è alcun che; è puro strumento, che deve lavorare solo per Iddio senza alcuna speranza sulla terra. Ancorchè molti ci abbandonino poco importa; è Dio che ci deve aiutare.

                Procuriamo però di essergli fedeli. Nelle tentazioni ricorrete ad un mezzo che io nella mia lunga esperienza ho trovato potentissimo per vincere il demonio: baciare la medaglia della Madonna. Se vi trovaste in luoghi dove non fosse conveniente baciar la medaglia, dite la giaculatoria: - Gesù, Giuseppe, Maria vi dono il mio cuore e l'anima mia. - Se la tentazione poi non cessa si replichi il bacio, oppure la giaculatoria e la tentazione sarà vinta.

 

                Questi ammonimenti erano diretti in modo speciale ai Chierici. Per i giovani soleva dare pubblicamente al principio di ogni anno scolastico un avviso, che recava i primi consolanti frutti di loro educazione alle proprie famiglie.

                Il 19 ottobre, ricordò adunque agli alunni i genitori lontani, che tanto affetto portavano ai loro figli, le fatiche, le spese che aveano sostenute e sostenevano per allevarli e dar loro una buona educazione; il rispetto, l'obbedienza e l'amore col quale i figli per comando di Dio erano obbligati a contraccambiarli. Quindi gli esortò a scrivere tutti una letterina ai parenti, colla quale affermassero l'affezione che per loro nutrivano e chiedessero venia di que' dispiaceri che loro avessero in qualche modo recato.

                Dopo queste due semplici parlate narrava un magnifico sogno.

                Si legge nel libro di Daniele Profeta, al Capo I, versicolo 17, che quattro nobili fanciulli condotti da Gerusalemme schiavi in Babilonia da Nabucodonosor, essendo rimasti fedeli alle leggi del Signore, pueris his dedit Deus scientiam et disciplinam [796] in omni libro et sapientia; Danieli autem intelligentiam omnium visionum et somniorum. Daniele ebbe da Dio la grazia di saper distinguere i sogni mandati dal Signore da quelli che sono accidentali e fortuiti, e di vedere quello che lo stesso Dio volesse con essi significare. Tale, e per lo stesso motivo, in gran parte almeno, fu la grazia dal Signore concessa a D. Bosco, coi sogni che abbiamo narrati: come pure evidentemente, a nostro parere, con quello che siamo per esporre, raccontato la sera del 22 ottobre.

                D. Bosco aveva sognato nella notte precedente. Nello stesso tempo un giovane di nome C... E... di Casal Monferrato, fece egli pure lo stesso sogno, parendogli di trovarsi con D. Bosco e di parlargli. Levatosi ne era rimasto tanto colpito che andò a raccontare le cose sognate al suo professore, il quale lo esortò di recarsi a narrarle a D. Bosco. Il giovane andò subito e s'imbattè con lui stesso che scendeva le scale, per cercarlo e narrargli la stessa cosa.

                Parve adunque a D. Bosco di trovarsi in una grandissima valle tutta piena di migliaia e migliaia di giovanetti, ma così numerosi che esso non credea potersene trovare tanti in tutto il mondo. Fra questi giovani egli distingueva tutti quelli che furono, e quelli che sono nella casa. Tutti gli altri erano coloro che forse verranno poi. Frammisti ai giovani si vedevano i  preti ed i chierici della casa.

                Una ripa altissima chiudeva da un lato quella valle. Mentre. D. Bosco pensava che casa avrebbe dovuto fare di tanti giovani, una voce gli disse: - Vedi quella ripa? Ebbene; bisogna che tu e i tuoi giovani ne guadagniate la cima.

                Allora D. Bosco diede ordine a tutte quelle, turbe di giovani di muoversi verso il punto indicato. I giovani si mossero e a gran corsa si slanciarono arrampicandosi su per la ripa. I preti della casa correvano anche essi all'insù spingendo avanti i giovani, rialzavano quelli che cadevano e portavano sulle spalle coloro che stanchi non potevano camminare. D. Rua colle [797] maniche della veste rivoltate lavorava più di tutti e, prendendo i giovani a due per due, addirittura gli slanciava per aria sulla ripa, sulla quale cadendo essi restavano in piedi e poi scorrazzavano allegramente qua e là. D. Cagliero e D. Francesia correano su e giù per le file gridando: - Coraggio, avanti; avanti, coraggio.

                In poco d'ora quelle schiere giovanili raggiunsero la cima della ripa; D. Bosco pure era salito e disse: - Ed ora che cosa faremo? - E la voce soggiunse: - Tu devi valicare coi tuoi giovani queste dieci colline che vedi distendersi innanzi a te l'una dopo l'altra. - Ma come faranno a reggere ad un viaggio così lungo tanti giovanetti che sono così piccoli e delicati?

                 - Chi non potrà andare co' suoi piedi, sarà portato; - gli fu risposto.

                Ed ecco infatti spuntare ad una estremità del colle e salire un magnifico carro. Impossibile ne è la descrizione tanto era bello, ma pure qualche cosa si può dire. Era triangolare e avea tre ruote che si moveano per tutti i versi. Dai tre angoli partivano tre aste che venivano a congiungersi in un punto solo sopra il carro stesso, formando come un pinnacolo di pergolato. Su questo punto di congiunzione si innalzava un magnifico stendardo sul quale era scritto a caratteri cubitali: Innocentia. Una fascia poi che correva tutto intorno al carro, formava sponda e portava l'iscrizione: Adiittorio Dei Altissimi Patris et  Filiieti Spiritus Sancti.

                Il carro, che splendeva tutto per oro e pietre reziose, si avanzò e venne a collocarsi in mezzo ai giovani. Dato il comando, molti fanciulletti vi salirono sopra. Il numero era di 500 Cinquecento appena in mezzo a tante migliaia di giovani erano Ancora innocenti.

                Collocati questi sul carro D. Bosco pensava per quale via avrebbe dovuto incamminarsi, quando vide aprirsi innanzi a lui una strada larga e commoda, ma tutta sparsa di spine. Apparvero quindi all'improvviso sei giovani, già morti nell'Oratorio [798], vestiti di bianco, i quali inalberavano un'altra bellissima bandiera sulla quale era scritto: poenitentiae. Costoro si andarono a posare alla testa di tutte quelle falangi di giovani che doveano mettersi in viaggio pedestri. Allora fu dato il segnale della partenza. Molti preti si slanciano al timone dei carro, il quale tratto da essi incomincia a muoversi. I sei vestiti di bianco lo seguono. Dietro a loro tutto il resto della moltitudine. Con magnifica ed inesprimibile musica si intona dai giovanetti che erano sul carro il Laudate pueri Dominum.

                D. Bosco camminava inebbriato da quella musica celeste, quando si ricordò di voltarsi indietro, per vedere se tutti i giovani lo aveano seguito. Ma oh doloroso spettacolo! Molti erano rimasti nella valle, molti erano ritornati indietro. Don Bosco agitato da inesprimibile dolore decise di rifare il cammino già fatto per tentar di persuadere quei giovani sconsigliati, e di aiutarli a seguirlo. Ma gli venne assolutamente vietato. - Ma quei poverini si perdono: - esclamò egli. Egli venne, risposto: - Peggio per loro: essi furono chiamati come gli altri e non vollero seguirti. La strada da farsi l'hanno veduta e ciò basta. - D. Bosco voleva replicare; pregò, scongiurò: tutto fa inutile: - L'obbedienza è anche per te! - gli fa detto. E dovette continuare il cammino.

                Non erasi ancor lenito questo dolore, quando un altro tristo accidente sopravvenne. Molti giovanetti di quelli che si trovavano sul carro a poco a poco erano caduti per terra. Di 500 appena 150 rimanevano sotto il vessillo dell'innocenza.

           Il cuore di D. Bosco scoppiava per l'insopportabile affanno. Esso sperava fosse quello un sogno, facea tutti gli sforzi per svegliarsi, ma pur troppo si accorgeva che era una terribile realtà. Batteva le mani ed udiva il suono di esse: gemeva, ed udiva che il suo gemito risuonare per la stanza; volea dissipare quel terribile fantasma, ma non poteva.

                 - Ah miei cari giovani! egli esclamava a questo punto, narrando [799] il sogno. Io ho conosciuto e veduto coloro che rimasero nella alle, quelli che tornarono indietro o caddero dal carro! Vi ho conosciuti tutti. Ma non dubitate; io farò ogni sforzo possibile per salvarvi. Molti oli voi invitati da me a confessarsi non risposero alla chiamata! Per carità salvate le anime vostre.

                Molti dei giovanetti caduti dal carro si erano di mano in mano andati a porre tra le file di coloro che camminavano dietro la seconda bandiera. Intanto la musica del carro continuava così dolce che a poco a poco vinse il dolore di D. Bosco. Sette colline erano già valicate e giunte quelle schiere sulla ottava, entrarono in un meraviglioso paese, dove si fermarono a prendere un po' di riposo. Le case erano di una ricchezza e bellezza indiscrivibile.

                D. Bosco parlando ai giovani di questa regione soggiunse: - Vi dirò con Santa Teresa ciò che essa affermò delle cose del paradiso: sono cose che col parlarne si avviliscono, perchè sono così belle che è inutile sforzarsi a descriverle. Quindi osserverò solamente che gli stipiti di quelle case pareano di oro, di cristallo, di diamante tutt'insieme, sicchè sorprendevano, appagavano la vista infondevano allegrezza. I campi erano ripieni d'alberi sui quali si vedevano contemporaneamente fiori, bottoni, frutta matura e frutta verde. Era un incanto magnifico.

                I giovani si sparsero pel paese chi di qua e chi di là, chi per una cosa, chi per l'altra, poichè grande era la loro curiosità e il desiderio di avere di quella frutta.

                È in questo villaggio che quel giovane di Casale si imbattè in D. Bosco e tenne con lui un lungo dialogo. D. Bosco e il giovane si ricordavano perfettamente le domande fatte e le risposte avute. Singolare combinazione di due sogni.

                D. Bosco ebbe qui un'altra strana sorpresa. I suoi giovani gli apparvero ad un tratto come divenuti vecchi; senza denti, pieni di rughe in volto, coi capelli bianchi, curvi, zoppicanti, appoggiati al bastone. D. Bosco si maravigliava di questa [800] metamorfosi, ma la voce gli disse: - Tu ti meravigli; ma hai da sapere che non sono già poche ore dacchè sei partito dalla valle, ma sono anni ed anni. È  quella musica che ti ha fatto parer corto il cammino. In prova, guarda la tua fisionomia e ti persuaderai se io dico il vero. - E a D. Bosco venne presentato uno specchio. Egli si specchiò e vide che il suo aspetto era d'uomo attempato, coi volto rugoso, e coi denti guasti e pochi.

                La comitiva frattanto si rimise in cammino e i giovani a quando a quando chiedevano di fermarsi per vedere quelle nuove cose. Ma D. Bosco dicea loro: - Avanti, avanti: noi non abbisognamo di nulla; non abbiamo fame, noti abbiam sete, dunque avanti.

                (In fondo lontano, sulla decima collina spuntava una luce che andava sempre crescendo come se uscisse da una stupenda porta). Ricominciò allora il canto, ma così bello che solo in Paradiso si può udire l'eguale e gustarlo. Non era musica di istrumenti, nè parea di voci umane. Era una musica impossibile a descriversi; e tanta fu la piena del giubilo che inondò l'anima di D. Bosco che svegliatosi si trovò nel suo letto.

                D. Bosco così spiegò il suo sogno: - La valle è il mondo. La ripa gli ostacoli per istaccarsi da esso. - Il carro lo capite. - Le squadre dei giovani a piedi sono i giovani che perduta l'innocenza, si pentirono dei loro falli.

                D. Bosco aggiunse ancora che le 10 colline raffiguravano i 10 comandamenti della legge di Dio, l'osservanza dei quali conduce alla vita eterna.

                Quindi annunziò che, se facesse di bisogno era pronto a dire confidenzialmente a certi giovani che cosa facevano in quel sogno; se restarono nella valle o se caddero dal carro.

                Disceso dalla bigoncia, l'alunno Ferraris Antonio si avvicinò a lui, e gli raccontò, essendo noi presenti che intendemmo perfettamente le sue parole, come la sera precedente avesse egli sognato di trovarsi in compagnia di sua madre, la quale [801] aveagli domandato se a Pasqua sarebbe tornato a casa per passarvi i giorni di vacanza: esso averle risposto che prima di Pasqua sarebbe andato in paradiso. Quindi in confidenza sottovoce disse alcune altre parole nell'orecchio a D. Bosco. Ferraris Antonio morì il 16 marzo 1865.

                Noi abbiamo subito scritto il sogno, e la stessa sera 22 ottobre 1864 sul fine aggiungevamo la seguente postilla. “Io tengo per certo che D. Bosco colle sue spiegazioni cercò di coprire ciò che il sogno ha di più sorprendente, almeno per qualche circostanza. Quella dei dieci comandamenti non mi appaga. L'ottava collina sulla quale D. Bosco fa una sosta, ed egli si vede nello specchio così attempato, io credo che indichi il fine della sua vita dover succedere oltre i settanta anni. Vedremo l'avvenire”.

                Questo avvenire è dunque ora tempo passato, e noi ci siamo confermati nella nostra opinione. Il sogno indicava a Don Bosco la durata del suo vivere. Confrontiamo con questo, quello della Ruota, che noi non potemmo conoscere se non qualche anno dopo. I giri della Ruota procedono per decenni: e così pure sembra che' abbracci simile spazio di tempo il procedere di collina in collina. Ognuna della dieci colline rappresenta dieci anni, sicchè vengono a significare cento anni il massimo della vita di un uomo. Ora noi vediamo D. Bosco ancor fanciullo, nel primo decennio, incominciare la sua missione tra i compagni dei Becchi e così dar principio al suo viaggio; percorre interamente le sette colline cioè sette decenni quindi la sua età giunge a settant'anni: sale l'ottava collina e qui fa una sosta: vede case e campi meravigliosamente belli, ovvero la sua Pia Società resa grande e fruttifera dalla bontà infinita di Dio. È ancor lunga la via da percorrere sulla ottava collina e si rimette in viaggio; ma non giunge alla nona, perchè si risveglia. Così egli non campò l'ottavo decennio, morendo a 72 anni e 5 mesi.

                Che ne dice il lettore? Aggiungeremo che la sera dopo Don [802] Bosco avendo interrogato noi stessi qual fosse il nostro pensiero intorno al sogno, gli abbiamo risposto, che non riguardava solamente i giovani, ma sibbene indicava la dilatazione della Pia Società in tutto il mondo.

                 - Ma che? replicò uno dei nostri confratelli; abbiamo già i collegi di Mirabello e di Lanzo e se ne aprirà qualche altro in Piemonte. Che cosa vuoi di più?

                 - No; sono ben altri i destini che ci annunzia il sogno. E D. Bosco approvava, sorridendo, la nostra persuasione.

                D. Bosco dopo la solennità di Ognissanti si recava a Mirabello per celebrare la festa di S. Carlo Borromeo, titolare del piccolo Seminario. Intervenne il Vescovo di Casale Mons. di Calabiana, il quale on mancava mai in occasione di tali ricorrenze; e tutti gli anni vi si recava per dare gli esami ai chierici di Filosofia e di Teologia.

                Fu quella una festa delle più belle. D. Bosco entusiasmò gli alunni col sogno delle dieci colline, li preparò alla comunione generale; diede udienza singolarmente a tutto il personale della casa, informandosi de' bisogni di ciascuno e delle difficoltà che incontravano nei loro uffizi.

                Per necessità aveva dovuto tramutare qualcuno degli insegnanti e il Prefetto Francesco Provera era stato da lui trasferito collo stesso ufficio a Lanzo. A Mirabello doveva surrogarlo D. Bonetti Giovanni.

                Composta ogni cosa D. Bosco si dispose alla partenza. Ma era e fu ognora cosa seria staccare da lui gli alunni. Molti .piangevano, ciascuno aveva ancora da dirgli una parola in confidenza, sicchè egli si allontanava a stento, promettendo che presto sarebbe ritornato.

                Giunto a Torino scrisse tosto una lettera a D. Bonetti. Lo aveva trovato afflitto per qualche malinteso, come accade talvolta a chi vive in Comunità; ed anche deteriorato nella salute, poichè da qualche tempo era tormentato dalla tosse. Gli pesava anche l'ufficio di Prefetto. [803]

 

                Al Signor D. Bonetti Giovanni, Prefetto nel P. S. Mirabello.

 

                               Caro mio Bonetti,

 

                Appena avrai ricevuto questa lettera và tosto da D. Rua e digli schiettamente che ti faccia stare allegro. Tu poi non parlare di breviario fino a Pasqua, cioè sei proibito di recitarlo. Di la tua messa adagio per non istancarti. Ogni digiuno, ogni mortificazione di cibo è proibita. Insomma il Signore ti prepara lavoro, ma non vuole che tu lo cominci, se non quando sarai in perfetto stato di sanità e specialmente non darai più un getto di tosse. Fa questo e farai quello che piace al Signore.

                Tu puoi compensare ogni cosa con giaculatorie, con offerte al Signore de' tuoi incomodi, col tuo buon esempio.

                Dimenticava una cosa. Porta un materasso nel tuo letto, aggiustalo bene come si farebbe ad un poltrone matricolato; sta bene riparato nella persona in letto e fuori letto. Amen.

                Dio ti benedica.

 

                Torino, 1864

Tuo aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                Un'altra lettera da lui scritta alla Contessa Canori fa cenno della festa di S.Carlo a Mirabello. Alle largizioni di questa Dama si doveva il piccolo seminario. Ella perciò era stata a visitarlo e ne aveva per lettera data notizia, a D. Bosco, esprimendo le sue impressioni. Gli faceva però notare lo stato di D. Bonetti, osservando se forse non sarebbe meglio richiamarlo nell'Oratorio. Egli era incaricato di compilare un libro che la Contessa desiderava fosse pubblicato il più presto possibile. D. Bosco le rispondeva:

 

                               Benemerita Signora Contessa,

 

                Credo che avrà ricevuto i libretti che nella sua bontà compiacquesi di dimandare; se non Le saranno ancora pervenuti saranno certamente in Casale.

                D. Cagliero è prevenuto senza essere prevenuto: cioè sa quale importanza abbia la predicazione in Vignale  andrà convenientemente preparato e pieno di buona volontà.

                Ho pensato al prefetto di Mirabello; ma io credo che sia assai più [804] disturbato qui che altrove, tanto più che presentemente essendo le scuole avviate, le sue occupazioni sono assai diminuite. Egli mi assicura che prima del termine di questo mese mi manderà se non tutto almeno una buona parte del materiale pel libro che porterà il titolo:

                Quale?

                Ella desidera che sia presto pubblicato, io desidero altrettanto, ed è singolare che molte domande mi sieno fatte in questo senso da persone autorevoli, senza che sappiano, essersi già posto mano al lavoro. Spero che in febbraio prossimo si comincierà la stampa.

                Quando scrive al povero D. Bosco non dica mai: temo dire troppo.... a temerità parlare così etc.. Le sue ramanzine le sue ammonizioni, i suoi consigli saranno sempre accolti con figliale rispetto e con riconoscenza.

                D. Rua fa molto contento della sua visita, ma rimase alquanto mortificato Perchè fu colto impreveduto e in un momento in cui tutto il Seminario era sossopra. La festa riuscì molto divota e bella; il Vescovo ne fa soddisfatto assai e i suoi tartufi fecero eccellente figura.

                Giovedì a sera sarò a Casale e vi rimarrò fino a venerdì a sera; credo che Ella sia ancora a Vignale, tuttavia passerò a sua casa per avere notizie della famiglia.

                Dio benedica Lei, Signora Contessa, e tutta, la rispettabile di Lei famiglia, segnatamente il Sig. Conte; preghi anche per me che sono colla più sentita gratitudine

 

                Torino, 13 dicembre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                               Alla chiarissima Signora,

                La Signora Contessa Callori Sambuy.

                               Vignale.

 

                Quel libro che interessava la Contessa era il Cattolico Provveduto, del quale D. Bosco aveva da tempo preparato il manoscritto, aspettando l'occasione per darlo al tipografo. Un giorno la Contessa venuta a visitarlo gli aveva detto - Lei D. Bosco, per i giovani ha già stampato un libro ammirabile, ma per gli adulti ci vorrebbe qualche cosa di più. Mi parrebbe necessario che ne compilasse un altro a questo fine.

                D. Bosco, che non aspettava altro, prese la palla al balzo e rispose: - Io avrei pronto il libro che desidera, ma per me [805] sono troppo gravi le spese di stampa. Se alcuno mi aiutasse, allora la cosa è fatta.

                 - Faccia pure: io ci sono.

                 - Ma la spesa non è indifferente!

                 - Non sarà superiore alle mie forze, spero ......

                 - Oh! no .....

                 - Ebbene faccia conto su di me. Stampato il libro mi dirà l'ammontare della spesa.

                Questa fu di 3000 lire.

 

 

CAPO LXXVIII. D. Ruffino Direttore apre il Collegio di Lanzo - Suoi valorosi compagni - Locali sprovvisti di tutto e lavori preparatorii per assettarli - Ostilità della gioventù del paese principio delle scuole - Gli alunni interni - Difficoltà del mantenere la disciplina degli scolari esterni - D. Bosco a Lanzo - Spirito di sacrifizio ne' chierici - Studio continuo di D. Bosco per sovvenire alle necessità de' suoi giovani - Suppliche al Ministero delle Finanze per ottenere la consegna gratuita di coperte a lui donate e ritenute nella dogana - Domanda al Ministro della guerra per avere vestiarii militari, che gli sono concessi - Visita di D. Bosco al suddetto Ministro per ringraziarlo: gentile accoglienza ed altro dono di vestiarii - Cortesie di Conforti a D. Bosco. L'Oratorio fatto sorvegliare dal Ministero dell'Interno.

 

                DON Bosco non doveva tardare a far visita al Collegio di Lanzo. Poco dopo la metà di ottobre D. Ruffino Domenico, Direttore, e D. Provera Francesco, Prefetto, si erano recati a questa nuova loro destinazione. Compagni nelle loro fatiche dovevano essere con altri, alcuni che resero poi glorioso il loro nome nella Pia Società ed erano i chierici Guidazio Pietro, Bodrato Francesco, Fagnano Giuseppe, Cibrario Nicolao, Costamagna Giacomo, Sala Antonio. Ma il Municipio non si era data grande premura di eseguire i lavori necessarii per le riparazioni dei locali. Il Chierico Antonio Sala cosi ci descriveva quella presa di possesso. [807] Siamo andati ad aprire quel Collegio, mia volta liceo imperiale, con un solo prete, il Direttore D. Ruffino. Arrivati a Lanzo redevamo di trovare molte cose aggiustate e che a noi altra cura non incombesse che quella di ricevere i giovani. Ma invece non trovammo altro, fuorchè un locale nudo, e, ciò che è peggio, alcune muraglie più che per metà rovinate. Non sapevamo dove pranzare, poichè non vi erano ne sedie, nè tavola. Si presero perciò due cavalletti sopra questi si collocò una porta scassinata, e la tavola fu pronta. Non avevamo ancora un cuoco e il cameriere Givone fu destinato a preparare il rancio. Riso e carne cotta nella stessa caldaia fu il nostro pasto in que' giorni. Le finestre non avevano vetri, anzi alcune mancavano del telaio e nella prima notte ne furono chiusi i vani con qualche asciugamano e coperta fissata con dei chiodi agli stipiti. Così potemmo metterci al riparo dalle intemperie del mese di ottobre. Ma non vi erano letti: e come fare? Il Vicario Albert ospitò quanti potè; e gli altri, cercata della paglia, con quella si aggiustarono per qualche notte un giaciglio, finchè arrivarono da Torino le lettiere dimenticate da quegli che doveva farne la spedizione. Intanto D. Ruffino e noi chierici eravamo sossopra a preparare i locali, tutti col grembiale cinto ai fianchi. Chi scopava, chi toglieva la polvere, chi poneva in ordine i banchi delle scuole, chi aiutava in cucina. Il Ch. Guidazio, essendo stato prima di entrare in Congregazione un buon falegname, fece le intelaiature ad alcune finestre e aggiustò le porte. Varii di noi lavoravamo nell'orto, divenuto una boscaglia, tanto erano cresciuti gli sterpi, gli spinai, e le acacie; e lo dissodammo in parte. Accresceva lavoro il collocamento delle masserizie spedite dall'Oratorio. Stando già in collegio varii giovani, vi era difficoltà a destinare qualcuno per l'assistenza e per l'insegnamento. Si aggiunga che la gioventù del paese, incitata forse da qualcuno, ci era, contraria; ci prendeva a sassate; e disturbava alla domenica le nostre funzioni religiose, con urla e percuotendo la porta [808] esterna della Chiesa. Eziandio alcuni convittori ci tenevano soprappensiero essendo il rifiuto di altri collegi”.

                Questo fu il principio di un convitto, il quale in pochi anni, colle nuove costruzioni fatte da D. Bosco, doveva contare più di 200 alunni.

                Intanto il collegio messo sotto la protezione di S. Filippo Neri, stava apparecchiato per ricevere cinquanta giovani e i maestri avevano dato principio alle scuole. Pochi erano gli interni, moltissimi quelli delle scuole comunali e D. Ruffino scriveva a D. Bosco:

 

                               Amatissimo Padre,

 

                Non desideriamo altro che di presto vederla. Tutti i giovani l’aspettano a braccia aperte. Gli alunni già entrati sono 28, gli accettati 37, quasi tutti delle scuole elementari e della Ia ginnasiale. Due della terza, due della seconda, uno della prima rettorica. Ne abbiamo due che vengono da altri collegi....

                Per le confessioni viene ogni sabbato il Vice - parroco. Chi faceva la prima elementare non poteva tenere la disciplina essendo molto numerosi i giovani del paese in questa classe e insubordinati all'eccesso; dimodochè tentati tutti i mezzi non si riusciva a far nulla. Abbiamo perciò pensato di lasciarla, almeno per un pò di tempo, a Bodrato, come colui che, avendo già esercizio, sa meglio tener l'ordine .....

                Mi faccia grazia di raccomandarmi al Signore affinchè non sia inutile il mio ministero. Se aspetta ancora qualche giorno a venirci a vedere, saranno, spero, venuti tutti i giovani. Mi abbia sempre per

 

Suo obbl.mo figliuolo

Sac. RUFFINO DOMENICO.

 

                D. Bosco andava a Lanzo ove era accolto e donde partiva tra le commoventi dimostrazioni di affetto de' Salesiani e de' giovani. Come a Mirabello la sua carità aveva recato pace e consolazione alle anime. Mons. Costamagna e Mons. Fagnano ricordano i frutti preziosi di questa sua visita. Anche D. Bosco aveva sentita una grande consolazione nel constatare lo spirito di sacrifizio che animava i suoi chierici. [809] D. Ruffino fa cenno di questa sua andata a Lanzo, scrivendo al Prof. Pol D. Vincenzo, insegnante nel ginnasio del Piccolo Seminario di Giaveno, anche quando D. Bosco ne teneva la direzione[66].

                Ai suoi giovanetti D. Bosco - pensava continuamente in qual modo procurare le cose necessarie alla vita e non lasciavasi sfuggire la minima occasione che gli presentasse anche una tenue probabilità di avere soccorsi. Nulla trascurava; non visite, non viaggi, non replicate lettere, non cercate protezioni, non disagi, non sacrifizii d'amor proprio, non le critiche, non le ripulse. Un'eroica virtù anche in questo lo sosteneva. Non era per sè che voleva provvedere, ma sibbene per i poveretti che il Vangelo appella membra di Gesù Cristo.

                Fra i molti fatti da noi conosciuti esponiamo il seguente. Il signor Guenzati di Milano, negoziante di panni, colla sua consorte, per mezzo di Antonio Sala, in questo anno aveva la fortuna di far conoscenza col Venerabile Servo di Dio, sicchè ne diventava grande amico e benefattore. A lui adunque era stata respinta e rimandata da un commissionario estero una quantità di coperte che rimanevano depositate e [810] ritenute nella Dogana. Detto signore non essendo di suo interesse pagare i diritti di entrata di una merce che sapeva essersi avariata, l'aveva offerta in dono a D. Bosco per i suoi poveri giovani. D. Bosco l'accettò e fece un ricorso al Ministro delle Finanze, Sella, invocando l'esenzione daziaria a benefizio dell'Oratorio. Ma il 2 agosto 1864 dalla direzione delle Gabelle, il segretario Beccari, con lettera che porta il N 7954, Protocollo particolare, gli restituiva la sua istanza manifestandogli: la dispiacenza del superiore dicastero per non trovarsi in facoltà, in presenza delle leggi in vigore di favorevolmente accoglierla e di secondare così l'atto generoso e filantropico di cui si tratta”.

                A D. Bosco non giungeva impreveduta tale risposta, pur tuttavia volle fare un altro tentativo rivolgendosi al Direttore Generale delle Gabelle[67]. Non ci pervenne l'esito di questa seconda domanda, ma D. Bosco ancor prima di spedirla aveva indirizzato altra supplica al generale Petitti, Ministro della guerra, colla sicurezza di essere esaudito. [811]

                                Eccellenza,

 

                Prego rispettosamente V. E. di accogliere con bontà la supplica che le fo in favore di poveri giovanetti accolti nella casa, detta oratorio di S. Francesco di Sales.

                Novello bisogno sopravvenne quest'anno pei molti giovani inviatici dalle autorità civili, mentre per altra parte esse cessarono dai Sussidii che in altri tempi a quando a quando eranci da quelle somministrati.

                Per le speciali strettezze in cui versa questa casa e pel considerevole aumento del numero dei giovani che si dovettero ricoverare, mi trovo nella massima penuria di vestiario e di coperte per ripararli dal freddo nella prossima invernale stagione. Perciò le fo umile ma calda preghiera a volermi accordare oggetti di qualunque genere, come Sarebbero lenzuola, camicie, mutande, corpetti, calzoni, calzetti, Scarpe, giubbetti, cappotti e simili, che sono fuori d'uso e che codesto ministero suole largire alle opere di pubblica beneficenza, siccome ho esperimentato negli anni scorsi.

                Comunque tali oggetti siano logori e rotti io li ricevo egualmente con gratitudine, giacchè procuro di farli rappezzare e serviranno a coprire questi poveri giovinetti.

                Pieno di fiducia nella nota di lei bontà, l'assicuro della più sentita e durevole gratitudine da parte mia e da parte dei beneficati, mentre le prego ogni bene dal Cielo e mi professo con pienezza di stima,

                Di V. R.

 

                Torino, 20 ottobre 1864.

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI  BOSCO.

 

                Il Ministro non tardava a fargli risposta.

 

                Ministero della Guerra.

                               N. 9898.

 Torino, addì 31 Ottobre 1864.

 

                Essendosi questo Ministero anche in quest'anno interessato a favore dei ricoverati negli Istituti di Beneficenza in questa città, ha disposto che cotesto Oratorio di S. Francesco di Sales venga sovvenuto de' seguenti oggetti di vestiario, che gli verranno somministrati dal Magazzino principale dell'Amministrazione Militare di questo dipartimento,

 

                Coperte da campo             100

                Cappotti di panno              100

                Pantaloni di panno             80

                Di tanto, ne rendo informata la S. V. per norma ed affinchè si compiaccia del loro conseguente ritiro.

 

Per il Ministro

G. PARODI. [812]

                D. Bosco, fatti ritirare questi oggetti di vestiario, si presentò il 3 dicembre al Ministro per ringraziarlo non solo di quella beneficenza, ma anche per avergli salvato qualche chierico dalla leva militare. Si deve dire ad onore della verità, che D. Bosco trovò sempre o quasi sempre favorevole appoggio presso il Ministero della guerra.

                D. Bosco incominciò a ringraziare il Ministro per ciò che aveva fatto in favore de' suoi giovani, e soggiunse: - Eccellenza, vengo per ringraziarlo e a domandare! - E, porgendogli un altro memoriale, gli espose la necessità in cui si trovava di maggior copia di vestiario. Il Ministro sorrise e poi domandò quanti giovani si trovassero nell'Oratorio.

                 - Circa ottocento, rispose D. Bosco.

                 - Ma dunque vi saranno più di cinquanta assistenti.

                 - Ve ne sono invece pochissimi, ma bastano.

                 - Almeno la disciplina sarà molto rigorosa.

                 - Castighi stabiliti per le mancanze non ve ne sono, e se si trattasse, ma raramente, di castigare qualcheduno, gli si dà quella punizione, che pel momento può stimarsi conveniente.

                 - Ma dunque saranno cacciati subito dalla casa i colpevoli?

                 - Niente affatto. Se uno mancasse al buon costume, in generale se ne va da se stesso, perchè vede e si accorge come sia incompatibile la sua presenza nel Collegio. Del resto il sentimento del dovere e dell'onore ha una gran forza sull'animo dei nostri ricoverati”

                Intanto il Ministro presa la penna accingevasi a firmare una carta ma deponendola domandò: - De' suoi giovani ve ne è alcuno nell'armata?

            - Ve ne sono: moltissimi nelle musiche militari e fra i soldati: e molti tenenti e due capitani, che seppero meritarsi la stima de' superiori.

                Il Ministro chiese ancora quali arti e scienze fossero coltivate nell'Oratorio e fu contento di tutto ed anche molto soddisfatto [813] che vi fiorissero le belle lettere. Promise che avrebbe continuato ad aiutare l'Oratorio e che sarebbe egli stesso venuto a visitarlo appena avesse potuto.

                D. Bosco ritornato all'Oratorio in tempo di cena, raccontava a quei preti e chierici, che gli stavano attorno, come venisse accolto in udienza dal Ministro e la promessa che aveagli fatta sperare una nuova largizione.

                Di fatti alcuni giorni dopo D. Bosco riceveva il seguente foglio:

 

                MINISTERO DELLA GUERRA.

                               N. 10679.

 Torino, addì 10 Dicembre 1864.

 

                Questo Ministero, avendo prese in considerazione le circostanze esposte dalla S. V. col memoriale presentato in data 3 corrente e volendo per quanto è ad esso maggiormente possibile sollevare le gravi strettezze in cui versa cotesto Istituto di beneficenza ha disposto nuovamente presso il Magazzino principale dell'Amministrazione militare in questa città affinchè siano tenuti a disposizione della persona, che la S. V. incaricherà del ricevimento, i seguenti oggetti:

 

                Cappotti di panno              50

                Coperte da campo             50

                Pantaloni di panno             40

                Di tanto informo la S. V. per opportuna norma.

 

Per il Ministro

INCISA.

 

                Così lo scopo dell'Istituzione di D. Bosco, le sue maniere di trattare gli affari con calma e serenità, il suo discorrere dei bisogni, della bontà, della vivacità de' suoi giovani nelle rumorose ricreazioni, gli guadagnavano la benevolenza da parte di ogni classe di persone. La virtù è amata da tutti. Recatosi egli poco tempo prima per affari privati a visitare Conforti detto il rosso, era stato accolto non solo amorevolmente, ma invitato e pressato di fermarsi a tutti i costi per f are il dejeuner con lui. [814] Tuttavia non bisogna credere che D. Bosco potesse vivere tranquillo per tali atti di cortesia. Il Ministero dell'Interno lo teneva d'occhio. Negli anni 1864, 1865, 1866 un confidente segreto della polizia, uomo serio, di poche parole e maturo di anni, era stato incaricato di sorvegliarlo. Questi, fatta relazione con D. Bosco, frequentava d'oratorio come un amico, si aggirava nel cortile in mezzo ai giovani, talora saliva le scale interne, tutto osservava, tutto notava; nulla però potè vedere o udire, o sospettare che fosse di pericolo o di odio per le patrie istituzioni. Non dimostrava curiosità troppo viva, nè interrogava gli alunni. D. Bosco era stato messo sull'avviso da un alto impiegato del Governo e lasciava che quel signore spiasse a sua posta: incontrandolo s'intratteneva con lui come amico; e talora invitavalo a pranzo. Ma questo uomo era leale e non fece mai rapporti calunniosi.

 

 

CAPO LXXIX. Esercizio di Buona Morte - D. Bosco predice che un giovano sarà chiamato all'eternità prima che termini l'anno La festa di S. Cecilia e la rappresentazione di una commedia di D. Bosco - Letture Cattoliche: LA CASA DELLA FORTUNA - Parlate di D. Bosco - Mezzi per riuscir bene negli studii; e Il timor dei Signore; O Non perdere mai un bricciolo di tempo; 3° Mandare a memoria ogni giorno le lezioni; 4° Mangiare a tempo debito; 5° Frequentare la compagnia de' giovani studiosi - La novena dell'Immacolata - Avveramento e narrazione della morte predetta da D. Bosco - D. Bosco avvisa che la morte di uno annunzia quella di un secondo - Sentire e servire messa con speciale divozione - Altro mezzo per riuscir bene negli studii: 6° Ricreazione ordinata - I giovani buoni, tiepidi e cattivi nella novena dell'Immacolata: conti che dovrà rendere Don Bosco a Dio - La Madonna odia l'immodestia; 7° mezzo per riuscir negli studii: Vincere le difficoltà che s'incontrano nello studio degli autori e ricorrere all'aiuto del Signore e di Maria SS. - Il Vescovo d'Acqui e D. Daniele Comboni nell'Oratorio.

 

                LA visita di D. Bosco a Mirabello e a Lanzo aveva cagionato un ritardo - in - Valdocco alla pia pratica dell'esercizio della buona morte, che solevasi fare al principio del mese. Ritornato che egli fu, il 15 novembre annunciava alla sera che il detto esercizio si sarebbe fatto il [816] 17 giovedì, e che un giovane dell'Oratorio sarebbe andato all'eternità prima che terminasse l'anno: perciò esortava i suoi alunni a prepararsi in modo da non avere timore alcuno della morte, se questa li sopraggiungesse.

                I giovani si conformarono a' suoi ammonimenti, mentre la vita dell'Oratorio piena di onesti svaghi rallegrava i loro animi.

                Nel giorno in cui da essi celebravasi la festa di Santa Cecilia si rappresentava nell'Oratorio una bella commedia in due atti, lavoro semplice, ma pieno d'ingenuo affetto, del Servo di Dio. Tanto i comici quanto gli spettatori ne erano stati assai soddisfatti, e visto il buon esito di quella prima prova, si giudicò bene darla alle stampe, perchè potesse servite di lettura ed anche rappresentarsi altrove.

                D. Bosco vi premise un cenno storico. Eccolo in breve. Si tratta di una figlia la quale contro il volere del padre, contadino agiato, sposa un giovane povero, ma onesto. Questi lasciato il paesello natio, la conduce in Torino, ove egli si dà al commercio, guadagnando una più che mediocre fortuna. Ma varie disgrazie lo riducono all'indigenza. Egli muore e poco dopo anche la moglie, lasciando privi di sostegno i loro due figlioletti. Le avventure che conducono i nipoti alla casa del nonno formano l'intreccio della commedia.

                Con questo fascicolo si dava principio nel gennaio 1865 all'anno XIII della mensile pubblicazione delle Letture Cattoliche e aveva per titolo: La casa della fortuna, rappresentazione drammatica pel Sac. Bosco Giovanni, con appendice: Il buon figliuolo per l'Abb. Mullois.

                La brillante riuscita di questa e di tant'altre rappresentazioni, vuoi latine, vuoi italiane, era prova del progresso che i giovani facevano nello studio, seguendo le norme che loro dettava D. Bosco. Noi seguiremo cronologicamente l'ordine d'avvisi, che il buon Padre per varie sere diede a' suoi figliuoli. [817] 24 novembre. - Voglio suggerirvi, o miei cari figliuoli, alcuni mezzi per riuscir bene nello studio e ve ne dirò uno per sera.

                Primo mezzo per studiar bene è il timore di Dio. Initium sapientiae timor Domini. Volete venir dotti veramente, e fare grande profitto nelle scuole? Temete il Signore, guardatevi bene dall'offenderlo, perchè in malevolam animam non introibit sapientia nec habitabit in corpore subdito peccatis. La sapienza degli uomini deriva da quella di Dio. E poi che piacere volete che provi nello studio chi ha il cuore agitato dalle passioni? Come volete che uno superi le difficoltà che s'incontrano nelle scuole, senza l'aiuto di Dio? Omnis sapientia a Domino Deo est. Un solo peccato mortale fa un'ingiuria così grande a Dio che tutti gli angeli e gli uomini insieme non potrebbero ripararla. E Dio dovrà aiutare negli studi coloro che gli fanno un insulto così grave? Uomini veramente dotti non furono mai coloro che offendevano il Signore. Guardate S. Tommaso, S. Francesco di Sales. L'esperienza insegna continuamente che coloro i quali approfittano nello studio sono quelli che stanno lontani dal peccato. Vi sono è vero certi malvagi i quali splendono ora per ingegno e sapere. Ma forse in altri tempi si meritarono dal Signore colla buona condotta e con opere buone questo gran dono del quale poi abusarono. Del resto massima parte di costoro non hanno vera sapienza: hanno la mente piena di errori che insegnano agli altri. Che se a qualcheduno poi dei cattivi il Signore ha permesso profitto nella scienza benchè sia suo nemico, ciò tornerà a maggior castigo e maggior maledizione avendone abusato.

 

                25 novembre. - Secondo mezzo per ben studiare è non perdere mai un bricciolo di tempo. Il tempo, miei cari figliuoli, è prezioso. Fili, conserva tempus. Il tempo che si deve dare allo studio, darglielo tutto. Non cercare mai pretesti per sfuggire là scuola. A doloroso vedere giovani che vanno cercando pretesti di malattie, o di licenze carpite ai Superiori per non adempiere a questo loro dovere.

                Non leggere in tempo di studio o di scuola libri che non hanno a far nulla colle materie scolastiche.

                Frenare la fantasia. Vedete quel giovane che sembra così attento sul suo libro? Credete che studi! Oibò! Ha la mente distante mille miglia. Vedete! Ei sorride! gli sembra di essere in ricreazione, a giuocare alla trottola; e pensa alla vittoria che ha conseguito sul compagno. Quell'altro pensa alle castagne ed al salarne che ha nel cassone. L'altro ha quel progetto per es. di comprare quel libro, di riuscire in quella gherminella, di far quello scherzo, di andare a quella scampagnata. Non parlo di que' giovani che pensano ad offendere Dio, perchè spero che qui nell'Oratorio non ve ne sieno.

                Studiamo adunque e non perdiamo il tempo. [818] 26 novembre. - Terzo mezzo per riuscire nello studio. Abituarsi a non passare da uno all'altro capo di qualsivoglia scienza, da una all'altra regola della grammatica, da uno ad altro argomento, se prima non si ha bene inteso ciò che antecede. Quindi mandate a memoria quanto andate studiando. Disse bene Cicerone: Tantum scimus quantum memoriae mandamus. Ogni giorno studiate in modo che resti fissa nella mente la lezione o il tratto d'autore classico che il maestro vi assegna da recitare. Ogni giorno io dico; perchè se oggi trascurate d'imparare, domani per mettervi a posto dovrete raddoppiare la fatica. Chi trascurasse di usare questa diligenza per una settimana dovrà rimediare alla deficienza di sette lezioni, notando che il suo compito da fare giornaliero è tale da occuparlo tutto il giorno. È per non usare questa diligenza, che non pochi hanno molte lacune nella mente, molte cose che non hanno intese bene e negli ultimi mesi dell'anno scolastico si ammazzano per studiare, col timore di essere rimandati. Chi invece fu sempre diligente, possiede con sicurezza il tesoro delle sue cognizioni e il giorno dell'esame non reca a lui nessun fastidio.

 

                27 novembre. - Quarto mezzo per ben studiare. Mangiare a tempo debito. Più ne uccide la gola che la spada. Volete istruirvi? Non vivete per mangiare; mangiate per vivere. Al mattino ed alla merenda mantenetevi leggieri. Non mangiate a crepapancia. Se avete qualche buon boccone messo in serbo nel vostro baule non lasciatevi tirare dalla gola, non mangiatelo tutto in una volta, in modo da scoppiarne; conservatene un po' per i giorni seguenti e così non vi farà male. Non crediate già che io ve lo dica per mio interesse: no davvero: perchè l'esperienza mostra che se mangiate un gavasso di meno a colazione, ne mangerete poi più di tre a pranzo. Chi va in scuola o in istudio collo stomaco troppo pieno ben presto resta colla testa grave, indisposto, svogliato, combatte inutilmente il sonno e fa nulla, perchè nulla o quasi nulla capisce non Potendo applicarsi, . Se poi fa uno sforzo per applicarsi, peggio che peggio. Sovraggiunge il mal di capo, non si fa più nulla per qualche giorno ed alcune volte si guadagna una forte indigestione.

 

                28 novembre. - Quinto mezzo per ben studiare. La compagnia di giovani studiosi. È questo il mezzo più adatto per fare un gran profitto nello studio. Quando siete in ricreazione avvicinatevi ai chierici o ai compagni più istruiti e domandate loro qualche nozione di geografia, qualche spiegazione su certe frasi di autori classici, o su qualche regola della grammatica, o su qualche punto di storia. Parlando fra di voi sovente di cose riguardanti i lavori, le lezioni, i componimenti, le traduzioni, oh quanto profitto farete! A passeggio eziandio intrattenetevi in simili ragionamenti e lasciate la compagnia di certi [819] fannulloni e scempiati che addirittura farebbero perdere non acquistare la scienza I discorsi inutili o frivoli giovano a nulla e non servono che a dissipare le menti e a raffreddare i cuori. Dice il Savio:

                Se vuoi diventare sapiente, pratica i sapienti.

 

                Il giorno 29 incominciava la novena dell'Immacolata Concezione e D. Bosco aveva preparati i fioretti in onore di Maria SS. Ma in quella sera dava agli alunni la notizia della morte di un compagno che avverava la sua predizione. Il 26 novembre era morto al Lingotto, allora sobborgo di Torino, il giovane Saracco G. B. di Alba in età di 16 anni.

                D. Bosco narrava il fatto doloroso.

                L'anno scorso Saracco si diportava molto bene, frequentava i Sacramenti, era sempre vicino a D. Bosco. Vennero le vacanze, andò a casa sua, ritornò quindi all'Oratorio per continuare gli studii, ma molto cangiato da quel di prima. D. Bosco nol vide più accostarsi ai Sacramenti, sfuggiva la sua presenza; molte volte chiamato per mezzo di qualche compagno non volle mai accondiscendere ai paterni inviti. La sua sanità incominciò leggermente a declinare; si esentava talora dalla scuola per una insolita debolezza che sentiva; ma niente faceva presagire una seria malattia.

                D. Bosco intanto aveva annunziato l'esercizio di buona morte e che un giovane dell'Oratorio sarebbe andato all'eternità. Saracco udì la voce di D. Bosco e avvicinatosi ad un compagno, scioperato al pari di lui, gli chiese se pensasse di andarsi a confessare. Misericordia di Dio i Il compagno rispose che sì ed egli allora decise di accostarsi esso pure ai SS. Sacramenti, come fece. Se avesse rivolta questa domanda ad altro compagno che gli avesse risposto di no, forse avrebbe trascurato di aggiustare le partite della sua anima.

                Erano trascorsi otto giorni quando egli, vedendo come non potesse applicarsi allo studio, si presentò, la prima volta in quest'anno, a D. Bosco per domandare licenza di andare a casa. [820]

                “Me lo vidi entrare in camera, sono parole di D. Bosco, tutto peritante e confuso: gli domandai che cosa volesse da me. Mi rispose: - Il permesso di andare a casa.

                Gli soggiunsi: - Ritornerai all'Oratorio? - Mi rispose che sperava di sì; ma forse questo non era il suo desiderio. Presolo allora per mano gli dissi: - Mio caro Saracco: tu vai a casa e il Signore ti benedica; ma ascolta; prima di partire confessati che sarà meglio per te.

                Mi rispose: - Mi confesserò domenica alla mia parrocchia.

                - E perchè non confessarti qui e andare a casa coll'animo tranquillo? Vedi, là vi è un inginocchiatoio. Mettiti là e in un momento sarà fatto.

                - Non son preparato.

                - Ebbene preparati. Qui vi è un Giovane provveduto.

                - Non mi sento.

                Io replicai: - Guarda; fammi il piacere, confessati. Se non vuoi confessarti da me, va' da qualche prete della casa.

                Mi rispose di nuovo: - Domenica mi confesserò al paese”.

                Il sole però della domenica non doveva più sorgere per Saracco. Egli partì e andò a casa di un suo parente aspettando quivi che il padre lo venisse a prendere. Ma era appena arrivato che lo assalì un dolore alle coste, si sentì spossato di forze e si mise a letto per riposarsi. I suoi parenti gli prepararono una minestrina che mangiò, ma nessuno temeva che il male minacciasse di farsi grave. Tuttavia per precauzione fu chiamato il medico il quale, giudicato leggero quell'incomodo, ordinò qualche medicina. Ma il male crebbe all'improvviso; il dolore dalle coste passò alla gola con estrema violenza. Saracco allora si accorse del pericolo, chiamava di un confessore, baciava il crocifisso che gli era stato posto tra le mani, domandava perdono al Signore, si raccomandava con giaculatorie alla cara Madre Vergine Maria. Oh quanto allora desiderò di avere al fianco D. Bosco. Come si pentiva e lamentava di non averlo ascoltato! [821] Il prete giunse, ma troppo tardi perchè i parenti non lo avevano trovato in casa. Saracco aveva perduta la parola. Il Sacerdote lo assolse e gli amministrò il Sacramento dell'estrema unzione. Parve che in quel momento avesse un barlume di cognizione. Giovedì partiva dall'Oratorio e sabato era già morto senza potersi confessare. Suo padre giungeva il lunedì per condurlo al paese e Saracco era già al cimitero.

                D. Bosco, finito il racconto, pregò i giovani, perchè tutto quel bene che si sarebbe fatto al domani, si facesse in suffragio del povero Saracco; e che le decine del rosario si chiudessero col requiem. Quindi avvisò tutti perchè badassero che quei della casa vanno all'eternità a due a due, e, la morte di uno annunzia quella di un secondo: quindi si preparassero perchè presto, prima che l'anno finisse, un altro doveva morire. Disse che costui forse non farà più l'esercizio della buona morte del ese di dicembre. Finì con avvisare in modo, speciale quei poveri giovani che di raro si accostano ai Sacramenti e vivono alla bell'e meglio.

                Rimasto solo coi preti, esclamò: - Oh se avessi potuto preparar Saracco in quel modo che io desiderava! Ma egli volle andarsene! - D. Bosco lo sapeva che Saracco aveva da morire. Povero Saracco, che il Signore Iddio ti abbia usata misericordia!

                Salendo le scale per ritirarsi in camera ei si volse ad un Sacerdote che gli baciava la mano e gli disse sorridendo: Esio paratus.

                Il fioretto che D. Bosco aveva pensato di consigliare quest'oggi, avealo rimesso al domani 30 novembre: - Ieri, così egli, abbiamo pensato ai morti; oggi lasciamo i morti e pensiamo ai vivi. Il fioretto di domani sia: Sentire e servire messa con speciale divozione. - Quindi si volge ai Professori e li prega a voler dare il sabbato venturo per lezione scolastica, il modo di servire la S. Messa, perchè sia servita con quella dignità che si merita. Inculca perchè non si contentino che [822] i giovani lo sappiano mentre lo recitano, ma che lo ritengano bene a memoria senza alcun errore; insomma che lo sappiano egregiamente.

                Chiamatolo per nome, esorta il Direttore Spirituale D. Cagliero ad adoperarsi perchè si facciano con precisione le scuote delle rubriche pel servizio della S. Messa.

                Al Direttore delle scuole D. Francesia, dice che, d'accordo col direttore della sagrestia, disponga che ogni giorno due giovani per turno siano sempre in sagrestia, finchè vi sono messe da servire; incomincieranno il servizio i giovani della seconda Rettorica, poi quei di prima, e così fino alla prima ginnasiale. I chierici, un giorno per caduno, assisteranno in sagrestia succedendosi secondo il loro turno, per vestire e svestire i sacerdoti, per imparare il modo di piegare i rocchetti e i camici, segnare i messali ecc.

                Finisce con esortare i giovani ad imparare bene le preghiere e le cerimonie per servire santamente all'augusto sacrificio dell'altare.

                Il giorno seguente D. Bosco suggeriva un sesto mezzo perchè gli alunni riuscissero bene negli studii.

 

                I Dicembre. - Quando la sera in parlatorio suona il campanello per dar avviso che il superiore vuol parlare, fate silenzio. Immaginatevi che io chiuda la bocca a tutti con la mia mano, e zitti.

                Ora continuiamo a dire dei mezzi per ben studiate. Sesto mezzo è la ricreazione ordinata. La ricreazione fatela Intera, perchè ricreandovi prenderete nuove forze per studiar meglio, quando verrà l'ora della scuola. Non cambiate l'ora della ricreazione in ora di studio, perchè poi quando dovrete studiare nel tempo fissato dalla regola, avrete la mente stanca e farete poco profitto.

                Guardatevi poi dalla ricreazione smodata ed eccessiva. Vi sono alcuni che nell'ora della ricreazione corrono sù e giù con tale furia, che non sembra mica che facciano ricreazione, si direbbe piuttosto che si ammazzano. Urtano e cacciano a terra i compagni, si rompono il naso, si pestano le membra, fanno a pugni così per passatempo; e poi quando è finita la ricreazione tutti sudati, trafelati e stanchi

                vanno a studio: ma sì la testa è ancora in rivoluzione ed han [823] bisogno di riposo: e tanto sono nel giuoco che ci pensano anche nella scuola. Non parlo di quelli che urlano in modo da aver male al capo per tutto il giorno.

                Noto anche quei giovani che, passeggiando o facendo crocchio parlano di passeggiate, feste, merende, pranzi vacanze con tale entusiasmo che poi in scuola noti hanno altro per la testa.

                Di coloro poi che in ricreazione tengono discorsi cattivi, dirò solo che dove non si trova il timore di Dio è impossibile lui profitto vero.

                Dunque anche in ricreazione siate regolati. Non vi dico già che non giuochiate alla trottola a barrarotta, ecc. ecc.; saltate pure, divertitevi ma guardatevi dagli, eccessi. Ancor io quando non ho da intrattenermi colle persone che e mi vengono a cercare, faccio ricreazione, liti sollazzo con voi altri, facezio, rido, ma non liti rompo mica il collo per divertimento. Dunque sesto mezzo per studiare con profitto è una ricreazione bene ordinata. Il fioretto di domani in onore di Maria sarà: Una ricreazione ordinata come si richiede da' giovani studenti bene ordinati.

 

                Ma ad altro argomento importantissimo richiamavalo la novena dell'Immacolata nelle due sere seguenti, mentre insisteva ancora sovra un altro mezzo da non dimenticarsi per fare profitto negli studii.

 

                2 dicembre - Avete mai pasto mente miei cari figliuoli, quel che accade quando viene aperto il pollaio ai tacchini? Altri volano via con tutta rapidità, altri escono, fuori correndo a più non posso; altri escono sibbene, ma svogliati e guardano quà e là, si fermano, si voltano indietro quasi che loro rincrescesse essere usciti; altri poi invece di uscire vanno a vedere se nella mangiatoia vi sia rimasto più niente. Così, miei cari figliuoli accade in questa novella dedicata, alla Madonna cara nostra Madre. Alcuni, così studenti come artigiani, in questi giorni volarono per la via della salute. Altri se non volarono almeno corsero con gran lena e vi è tutto a sperare che la loro corsa non finisca che alle porte del paradiso. Altri poi uscirono da quello stato infelice in cui si trovavano, ma quasi per forza, svogliatamente e quasi con rincrescimento. A questi io dico: miei cari figliuoli, non siate conte il cane che dopo aver mangiato ritorna al vomito, conte dice la S. Scrittura. Il cane, dopo di aver mangiato, va in cerca di una certa erba la quale masticata gli produce il vomito. Quest'erba saranno per voi certi compagni, coi quali sapete che facilmente perderete la grazia di Dio. Dunque questi compagni guardate [824] di non avvicinarli mai più. Quest'erba saranno per voi certe letture, le quali sapete quali tristi effetti producano nelle anime vostre. Consegnate dunque certi libri ai vostri superiori.

                Gli ultimi poi sono que' miei infelici figliuoli, i quali non si sentono il coraggio di combattere le loro passioni e continuano ad avvoltolarsi nel fango dell'avvilimento. Ah! sappiano costoro che la loro strada mena diritta all'eterna perdizione. Voi mi domanderete: perchè nelle novene della Madonna tu ci tieni questi discorsi, suggerisci certi fioretti? Perchè, vi rispondo, le novene della Madre celeste sono i giorni di propiziazione e di salute e guai a coloro i quali non se ne approfittano. Io spero, anzi sono certo, che i diciannove ventesimi dei miei figliuoli si approfitteranno di tante grazie e che la buona Madre Immacolata li accoglierà in paradiso. Ma gli altri che non vorranno approfittarsene sappiano che le fiamme eterne dell'inferno li aspettano, se non si convertono.

                Quando il Signore mi chiamerà al suo tribunale e mi domanderà strettissimo conto del mio operare, mi dirà: - Hai tu annunziato ai tuoi figliuoli che i giorni delle novelle della mia celeste Madre sono i giorni propizii della grazia? Hai tu detto loro che chi non si approfitta di questi giorni commette un insulto imperdonabile a Maria, e che io lo vendicherò con tutto il possibile rigore? - Io spero che la mia risposta soddisferà il Giudice Supremo. Ma se strettissimo sarà il conto che io dovrò rendere se non avrò detto quello che il Signore voleva che vi dicessi, non men rigoroso sarà il conto che dovrete rendere voi, se non mi avrete ascoltato. Coloro che mettono in pratica quello che ho detto e portano amore alla celeste loro Madre, la risposta da darsi al Signore l'hanno già bell'e fatta. Ma coloro i quali rifiutarono la grazia e non eseguirono quello che loro suggerii, preparino la risposta fin d'ora se osano, la preparino……se pure sapranno che cosa rispondere.

                Ricordatevi il fatto di Faraone. Esso era un empio ostinato. Dio mandò a lui Mosè ed Aronne perchè gli annunziassero il suo volere; ma inutilmente. Le parole di Aronne e di Mosè non ottenevano altro effetto fuorchè indurare sempre più il sito cuore: di modo che neppure i più tremendi castighi bastarono a convertirlo. Sapete quale fu la fine di Faraone? Morì colpito dalla mano di Dio sommerso dalle acque del Mar Rosso. Buona notte.

 

                4 dicembre - Miei cari figliuoli! Ormai la novella dell'Immacolata volge al suo termine ed io voglio che questi tre ultimi giorni siano specialmente dedicati a Maria. Per onorare questa buona Madre voglio che voi fuggiate tutto ciò che è contrario al sesto precetto; e pratichiate tutto ciò che serve per ornare la vostra anima della virtù opposta a questo vizio, la modestia. Maria, è immacolata ed odia tutto ciò che è contrario alla purità. Un giovane impuro non può essere [825] amato da Maria e non farà alcun profitto. Ho stabilito che in questi tre giorni dopo la messa della Comunità, invece di far la meditazione, si dia la benedizione coi SS. Sacramento. Avrei anche voluto che in Chiesa si facesse mi piccolo sermoncino, ma ho pensato che è meglio fraudar nulla alle ore di studio. E a proposito di studio voglio stassera darvi il settimo mezzo per bene studiare e questo è: Vincere le difficoltà che s'incontrano nello studio degli autori.

                Quando incontrate difficoltà non dovete avvilirvi. Che cosa siete velluti a fare qui all'Oratorio? Per studiare! Dunque è naturale che bisogna imparare quello che non sapete. E imparare quello che non si sa, indica sforzo di niente più o meno, secondo il maggiore o minore ingegno. Quindi coraggio; non bisogna lasciar l'opra a metà. Non fanno belle coloro che incontrando una difficoltà la saltano, dicendo: questo non lo capisco; e passano ad altro: no; non bisogna passare oltre finchè la difficoltà non sia vinta e superata. E per ottener questo primieramente ricorrete a Gesù e a Maria con qualche divota giaculatoria e vedrete che le difficoltà spariranno. Non dimenticatelo mai, miei cari figliuoli; è questo il mezzo più efficace per vincere ogni difficoltà nello studio; perchè solo Dio è il donatore e padre della scienza e la dà a chi, vuole e come vuole. A Maria SS. voi lo dite ogni giorno nelle litanie: Sedes Sapientiae, ora pro nobis. Essa è la sede della sapienza. Rivolgetevi poi ai maestri, agli assistenti; essi si faranno premura di aiutarvi e vi daranno tutte quelle nozioni e spiegazioni delle quali avrete di bisogno.

                Vi dirò ancora di più; non solo sforzatevi e siate costanti nel vincere le difficoltà, ma godetene, quando ne incontrate, perchè queste accrescono l'ingegno e fanno provare una dolce soddisfazione quando riusciamo ad intendere.

                Che vanto vi è nell'imparare ciò che facilmente si capisce? Aggiungete ancora che ciò che s'impara con stento non si scancella mai più dalla mente. Dunque coraggio e buona notte.

 

                La cronaca continua: “Oggi (4 dicembre) venne nell'Oratorio a dar la, benedizione col SS. Sacramento Mons. Modesto, Vescovo di Acqui. È grande il numero dei Prelati e di altri illustri personaggi che in quest'anno arrivano per intrattenersi con Don Bosco.”

                D. Daniele Comboni, il grande Missionario della Nigrizia, dopo essere stato in Roma ai piedi di Pio IX a presentargli un suo piano per la rigenerazione dell'Africa, dovendo recarsi a Parigi, passò a Torino e prese alloggio nell'Oratorio di San [826] Francesco di Sales. Egli destò grande entusiasmo nei giovanetti che lo ascoltavano con meraviglia al parlare delle sue missioni e sentivano a nascersi in cuore gagliardissimo desiderio di accompagnarlo. Anch'egli ne portò via consolante impressione, cominciando fin d'allora ad ammirare l'opere di D. Bosco e ad amare teneramente i numerosi suoi figli. Ciò che fermò principalmente il suo pensiero verso i Salesiani, fu il fatto seguente che egli chiamava miracoloso. Incontrò un Sacerdote nell'Oratorio, che era tuttavia commosso di un suo racconto della sera prima, e trovatolo ben disposto, lo invitò a partire con lui per l'Africa. Quel religioso senza scomporsi gli disse: - Veda, Padre, se il mio Superiore me lo permette, io prendo il breviario e la sua benedizione e parto subito.

                 - Ma non avete altro a pensare?

                 - Avrei padre e madre e sorella: ma se andassi a dir loro che io vado in missione, troverebbero mille difficoltà. Partire subito sarebbe meglio.

                Tenne a memoria il buon missionario la pronta risoluzione di quel sacerdote, e la ricordava sovente a titolo di onore, augurando assai bene per l'opera dell'Oratorio, che aveva cotali figli: quando poi seppe che questo tale era partito per l'America disse più volte: - Oli se l'avessi potuto avere con me, quanto bene avrebbe fatto.

 

 

CAPO LXXX. Parlate di D. Bosco - Mezzi per riuscir bene negli studi: 8° Occuparsi esclusivamente di cose riguardanti il nostro studio primo mezzo per conoscere la propria vocazione è una condotta irreprensibile - Prepararsi all'eternità con, una buona confessione - Un sacerdote scopre quelli che si appressano alla sacra mensa col peccato nell'anima La festa dell'Immacolata e il Sillabo - Due altri mezzi per conoscere la vocazione: la testimonianza favorevole de' famigliari e il consiglio dei confessore - Il SS. Viatico portato al confratello Lagorio: far buon uso della sanità - Vergogna e dolore di que' giovani che per colpa loro debbono allontanarsi dall'Oratorio: guai a chi muore in peccato: gridare al lupo: pregare per Lagorio moribondo - La morte di Lagorio: importanza delle preghiere pe' defunti - La novena del Santo. Natale: avviso per chi spreca il pane; dare un, bacio a Gesù Bambino - Mezzo principale per riuscire negli studii  la divozione a Maria SS.; donare il cuore a Gesù.

 

                DON Bosco continuava ad esporre i mezzi che reputava profittevoli ai giovani per riuscire con facilità negli studii, ma la festa ormai  imminente dell'Immacolata lo indusse a dar principio ad altro argomento.

                Giorni prima aveva promesso d'insegnare in qual modo ciascuno potesse conoscere la propria vocazione: nello stesso [828] tempo esortava tutti ad onorar Maria SS., accostandosi ai sacramenti col pensiero dell'eternità, ricordando la morte quasi improvvisa accaduta poc'anzi di un loro compagno.

 

                5 Dicembre. - Ottavo mezzo per studiare con profitto si è: Occuparsi esclusivamente di cose riguardanti il nostro studio. Pluribus intentus minor est ad singula sensus. Non si acquista mai alcuna scienza sfiorando nello stesso tempo molti libri. Interrogato S. Tommaso d'Aquino conte avesse fatto per riuscir così dotto, rispose: - Col leggere un sol libro.

                Bisogna che ci fissiamo in mente che gli studii estranei alle nostre scuole devono essere messi da parte. Se uno che studia la lingua latina volesse nello stesso tempo studiare l'inglese e il francese, quale lingua saprebbe al fine dell'anno? Il programma della scuola di latinità è già tale da preoccupare un ingegno svegliato per tutto il tempo delle scuole. Vi sono dei giovani che leggono molto, ma tanto leggere non s'avvedono che non fa altro che imbrogliare la loro mente. Molti sono che leggono poeti, racconti, storie, prose classiche non prescritte; cose buone se volete, ma intanto lasciano troppo da parte il loro dovere, trascurando di acquistare le cognizioni necessarie.

                Ma conte passare il tempo, voi direte, quando è fatto il lavoro, è studiata la lezione? Quando avrete fatto il vostro dovere, se vi resta ancora qualche ora di tempo libero, ripassate le spiegazioni degli autori già fatte, ritornate su certe regole di grammatica che vi sono sfuggite, leggete una facciata del libro di testo prescritto, ma leggetela con attenzione. Insomma non perdete il tempo con leggere le gesta di Guerrin - Meschino, la vita di Gianduja, o quella di Bertoldo.

                Dandovi però questi consigli, noti disconosco l'importanza ed i vantaggi di moderate e giudiziose letture; ma è necessario che nel leggere teniate queste, due regole: I° Non si leggano altri libri finchè non si siano compiuti i doveri di scuola. 2° Che non si leggano prima di aver chiesto consiglio al proprio maestro e ad altri capaci di darlo, affinchè non vi avvenga di leggere libri inutili, oppure libri che oltre l'essere inutili siano scritti in lingua cattiva, ovvero libri che siano riprovevoli e che vi guastino la mente ed il cuore con insinuarvi cattive massime.

                Un'altra cosa avrei ancora da dirvi. Vi ho promesso di parlarvi dei mezzi necessarii per scoprire la vostra vocazione. Stassera vi dirò poche cose riserbandomi a parlarne poi distesamente altra volta. Molti di voi saran preti, moltissimi resteranno secolari. Ma non bisogna che voi, perchè dite: mi farò prete, vi crediate di riuscire preti; e voi perchè dite: io prete non mi voglio fare, che crediate dover essere secolari. No e poi no. Molte volte Iddio chiama ad essere preti certi giovani [829] che neppur se lo sognavano; e molte volte giovani che si credevano chiamati al Sacerdozio, anzi chierici che avevano già presa la veste, cambiarono strada. Dunque finchè abbiamo tempo preghiamo il Signore che ci insegni la strada per la quale dobbiamo camminare. E primo mezzo per fare certa la nostra voicazione è quello che ci suggerisce S. Pietro: Fratres, satagite ut per bona opera certam vestram vocationem et electionem faciatis. Condurre una vita piena di buone opere, una vita col santo timor di Dio. Tutto quello che facciamo, farlo alla maggior gloria del Signore, e allora il Signore ci dirà quello che vuole da noi, per che strada dobbiamo incamminarci, qual carriera abbiamo da scegliere.

 

                La sera seguente D. Bosco ritornò sull'argomento della morte di Saracco, insistendo nuovamente sulla gran necessità che si aveva di tenersi preparati al gran passo, non trascurando la frequenza dei Sacramenti. - “Egli sabato spirava, così D. Bosco, senza potersi confessare e chiamando il confessore replicatamente con voce lamentevole. Domenica il suo cadavere era condotto al cimitero. Io domandai con grande ansietà se quel poveretto avesse fatto l'esercizio della buona morte e mi fu risposto che sì: e ciò mi consolò molto e speriamo che dall'ultima confessione non abbia avuto nessuna colpa grave sull'anima; e poi il vero desiderio che morendo aveva di confessarsi speriamo l'abbia scancellata.

                Ah miei cari figliuoli! Chi ha tempo non aspetti tempo. Dum tumpus habemus operemur bonum. Tutti noi abbiamo da fare un gran viaggio. Ibit in domum aeternitatis suae. Prepariamoci adunque a questo gran viaggio. Saracco aspettava la domenica e non venne per lui. Nell'occasione adunque della olennità di Maria SS. Immacolata aggiustiamo le nostre partite dell'anima, accostiamoci bene ai SS. Sacramenti della Confessione e della Comunione! Miei cari figliuoli, siamo noi sicuri che procrastinando di confessarci, il Signore abbia la bontà di aspettare il nostro comodo? Adunque dopo domani onoriamo Maria ed assicuriamoci il paradiso”.

                Un fatto singolare intanto si rinnovava in questi mesi. [830] D. Bosco narrò come avvenisse più volte che presentandosi qualche alunno alla balaustra dell'altare per ricevere l'ostia santa, dal celebrante fosse lasciato da parte, passando oltre senza comunicarlo. Se il giovane medesimo incontrando detto sacerdote in cortile gli chiedeva il perchè non lo avesse comunicato, sentivasi rispondere! - E tu col peccato in cuore osi andare alla Comunione? Non vedi come l'anima sia brutta e nera? - Quel prete se ne accorgeva dal colore che prendeva la lingua in quel momento, e più volte avvertì D. Bosco perchè riparasse ai danni delle confessioni mal fatte.

                Ed eccoci all'8 dicembre, che in quest'anno segnava un nuovo trionfo per la Chiesa e cagionava una grande gioia a D. Bosco. Il Papa pubblicava un'Enciclica nella quale condannava i principali errori dell'epoca moderna, non solo riguardo alle verità soprannaturali ma eziandio alle naturali, per la loro pravità eretica, e il danno immenso che arrecano anche nell'ordine filosofico, sociale e politico. Coll'Enciclica concedeva il giubileo per tutto l'anno 1865, e le univa un Sillabo, ossia un elenco, di ottanta proposizioni condannate. Pio IX con indomita fermezza continuava coi suo insegnamento infallibile l'opera di Gesù Cristo. Ego in hoc natus ston et ad hoc veni in mundum ut testimonium perhibeam veritati[68]. Si era detto che le dottrine della' santa Sede non facevano più nè caldo nè freddo alla civiltà moderna, e alla parola del Papa trasmessa a tutte le Chiese del mondo, l'intera società si commosse fino dalle più profonde viscere. Migliaia di giornali, ed anche i liberali, pubblicarono l’Enciclica ed il Sillabo; le sette bestialmente diaboliche uscirono colle loro stampe e nelle loro assemblee in insulti furiosi e in bestemmie.

                I Governi di Francia e d'Italia con radunanze di Ministri, circolari minacciose ai Vescovi, decreti proibitivi di ristampe e di spiegazioni pastorali, dispacci diplomatici, istruzioni inquisitorie [831] alla polizia, cercarono invano di soffocare la parola del Pontefice, mentre milioni di veri cattolici e i loro Vescovi con un plauso immenso esclamavano: Non con Belial, ma con Gesù Cristo e col suo Vicario.

                La Madonna SS. aveva intanto ricevuto i debiti onori dai giovani di D. Bosco, il quale ne' giorni seguenti parlava ancora delle vocazioni.

 

                10 Dicembre. - Abbiamo detto che primo mezzo per scoprire a che stato Dio ci chiami sono le buone opere. Il secondo è quello del quale così parla S. Paolo: - Oportet autem illum et testimonium habere bonum ab iis qui foris sunt. Chi sono costoro che essendo fuori di noi debbono renderci testimonianza? Sono il padre, la madre, il parroco, i compaesani, il Direttore del Collegio o casa di educazione nella quale ci troviamo. Nè per Direttore per es. qui nel nostro Oratorio intendo di parlar di me solo, ma di tutti quelli eziandio che qui entro hanno cura di voi.

                I giovani ben presto colla loro condotta dimostrano dove Dio li chiami e secondo questa condotta coloro che foris sunt proferiscono la loro sentenza. Vedendo certi giovani che sono raccolti in chiesa, riserbati nel tratto, affabili con tutti, sentite che si va dicendo di loro: Che buon prete sarà costui! - Di quell'altro si dice: - Che buon soldato diventerà! - E di lui terzo: - Di questo ne faremo un eccellente panettiere? - Voi ridete? Ebbene dite voi: certi giovani poltroni che si trovano qui nell'Oratorio, i quali non ostante che abbiano palle a volontà a pranzo ed a cena; a colazione una porzione di questo che è maggiore di quella che si dà in tutti gli altri collegi, a merenda lui altro gavasso; pure non contenti ancora fanno raccolta a pranzo e a cena di cinque o sei pagliotte, quasi avessero paura di morire di fame, dite voi, questi non hanno tutti i segni più evidenti che la loro vocazione si è di fare il panattiere? E sapete perchè fanno questa raccolta di pane? Ve lo dirò io! Non hanno fatto il lavoro, o non sanno la lezione e per questa o per qualunque altra ragione non vogliono andar a scuola; quindi si dànno per ammalati e per far vedere che manca l'appetito non prendono la colazione; ma poi vanno in camerata ed ivi tranquillamente mangiano il palle raccolto il giorno innanzi. Simile condotta credete voi che faccia un buon nome?

                Stiamo attenti a far tutto, eziandio i doveri più piccoli, con diligenza, se vogliamo che il Signore ci faccia conoscere la strada per la quale egli intende che noi camminiamo.

                Vi sarà un giovane al paese del quale si sa da tutti che ha intenzione di farsi prete; ma in quanto a studiare studia poco, in chiesa va meno [832] che può e vi sta con poca divozione, giuoca volentieri, frequenta certi compagni si lascia sfuggire certe parolacce. La popolazione parla di lui e dà la sua testimonianza: - Che cattivo prete ha da riuscire costui! - Questo giovinetto viene dell'Oratorio mandato dai parenti e talora senza chiedere consiglio al parroco. Ma ohimè che freddezza! Prendete in mano la censura coi voti. In chiesa medie in scuola medie in refettorio medie in studio medie, in camerata medie, ecc. ecc.. Tanti medie, posson fare un optime? Mai no!

                Ah, miei cari! diportatevi belle acciocchè i superiori possano dirvi francamente il loro parere sulla vocazione.. State attenti a quello che vi dico adesso, perchè son cose che nei libri non si trovano, oppure si trovano in libri che voi nel vostro stato presente non potete procurarvi. Abbiate confidenza nei vostri superiori, venite a consultarli, perchè è nostro piacere giovarvi in tutto quello che possiamo. Vi sono giovani che in tutto l'anno non si accostano mai ai Superiori e non si curano menomamente di pensare alla loro vocazione. Vengono le vacanze, si presentano al parroco e domandano consiglio se debbano farsi prete o prendere altra professione. Il parroco domanda loro: - Che cosa ti ha detto D. Bosco? - Non mi ha detto nulla, rispondono essi. - Ed io sfido chiunque a dir loro qualche cosa se non si lasciano mai vedere. E poi cogli occhi bendati prendono uno stato, si fanno preti, per es. senza badare menomamente se Dio li abbia chiamati Che sarà mai di loro, privi delle grazie necessarie?

                In ultimo dirò chi sono quelli dai quali si deve prendere consiglio. Primi i genitori. Essi però non sempre sono consiglieri sinceri, perchè molte volte non prendono per guida del loro consiglio il benessere spirituale del figlio, la volontà del Signore, ma sibbene l'interesse del benessere temporale. Se hanno speranze di una buona prebenda lo spingono al Sacerdozio, se no, lo incamminano per altra carriera e alcune volte si oppongono risolutamente se manifestasse qualche desiderio di farsi prete.

                Ma se i parenti vivono da buoni Cristiani allora sono i migliori consiglieri che si possano desiderare. Essi hanno osservati accuratamente molti anni della vostra vita ed il loro consiglio non può essere non giusto e sensato. Comunque sia, domandate sempre questo consiglio ai vostri genitori che in generale se voi lo domanderete come va domandato, vi sarà dato come si conviene. Parlerò un'altra volta dei testimonio interno della vostra vocazione.

 

                12 Dicembre. - Abbiamo parlato del testimonio di coloro qui foris sunt, l'ultima volta. Ora parlerò di quello che solo può giudicare le cose interne della nostra anima e questo si è il confessore. A liti perciò dobbiamo aprire schiettamente la nostra coscienza ed egli saprà dirci dove il Signore ci vuole. Scelto che abbiano un confessore dobbiamo con assiduità andare dallo stesso, perchè altrimenti che giudizio [833] potrà fare della nostra vocazione se non ci conosce perfettamente? Quindi non bisogna che voi abbiate due confessori uno pei giorni feriali e l'altro pei giorni di festa; che quando avete sulla coscienza qualche cosa che sia più grave del solito o almeno che vi sembri più grave, andiate a confessarvi da un altro, lasciando il solito; a questo modo accadrà che il vostro confessore si crederà di avere un angioletto e invece avrà un diavoletto e darà un giudizio oh quanto diverso dal vero. Voi quindi vi incamminerete per uno stato per il quale il Signore non vi voleva. Peggio se faceste come certi giovanetti che tutte le volte che si confessano cambiano confessore e sembra che vadano ad assaggiarli tutti per sapere di che gusto sono Quindi, miei cari figliuoli, vi dico schiettamente; mio desiderio è che vi scegliate un confessore e che andiate sempre dallo stesso, se volete sapere ciò che il Signore vuole da voi. Confessori estranei alla casa ne vengono pochi, ma ne avete tanti nella casa che potete scegliere uno che faccia per voi.

                Per gli artigiani questa regola non fa di bisogno. La loro vocazione è già determinata; si tratta di martello, sega, torchi, ago e che so io. Ma per gli studenti er i quali la vocazione non è ancor bene determinata corre tutt'altra regola. Tuttavia con ciò non voglio dire che chi muta confessore faccia peccato. Questo no. Anzi faccio notare che se qualcuno di voi avesse per disgrazia qualche grave peccato nell'anima e non avesse coraggio di confessarlo al suo confessore ordinario, è molto meglio, piuttosto che fare una confessione sacrilega, che vada da un altro confessore: cambi anche tutte le volte. È meglio che sia incerto del proprio stato che commettere un sacrilegio, tacendo un peccato in confessione. Ma costui prima di decidere sulla vocazione al fine dell'anno faccia una buona confessione generale. Il confessore lo ascolterà con carità, lo aiuterà a dire ciò che ha vergogna di dire e gli mostrerà qual sia la sua vocazione. Ricordatevi adunque che il primo giudice della vostra vocazione si è il confessore. Se i  vostri parenti, se il parroco, se il Direttore della casa di educazione Vi dicessero di farvi preti; se aveste anche voi una certa inclinazione di farlo, ma il confessore vi dicesse: - Figlio mio, questo stato non è per te. - a nulla valgono tutte le altre testimonianze; è questa sola che voi dovete seguire.

                Nello stato secolare poi vi sono anche molte gradazioni di mestiere, professione, grado sociale. Anche in ciò è meglio che stiate a ciò che dirà colui il quale conosce bene il vostro interno. Vi potrà dire per es.: Il fare il maestro non è per te; il fare l'avvocato, o il medico o il militare non è per te. Prendi invece questa o quest'altra arte o professione. Il Confessore, uomo di esperienza, ne sa più di voi. Esso vi può anche suggerire i mezzi per fare la vostra carriera. Naturalmente se vorrete farvi per es. avvocato e non ne aveste i mezzi, egli non potrà somministrarveli, ma almeno tante volte potrà additarvi il modo col quale conseguire il vostro fine. [834]

                Le parlate che D. Bosco tenne nei giorni seguenti, mentre premunivano i giovani contro la nequizia degli scandalosi, annunziavano gli ultimi momenti e la morte di un confratello secolare della Pia Società. Sì avverava la predizione fatta dal servo di Dio alcuni settimane prima. Il suffragare le anime del purgatorio, la novena del Santo Natale, un ultimo avviso per riuscir bene negli studii, e il pensiero della morte, gli suggerivano eziandio argomenti pe' suoi discorsi.

                La cronaca, 13 dicembre, nota “Stassera il campanello avvisa che si porta il SS. Viatico a Giovanni Lagorio appartenente alla Congregazione e addetto alla biancheria. I giovani si radunano in chiesa onde pregare la Vergine SS. a concedere al povero ammalato le grazie delle quali abbisogna.

                D. Bosco appena data la benedizione sale sulla predella dell'altare e così parla:

                - Miei cari figliuoli; stassera fu portato Gesù Cristo in sacramento ad un nostro fratello gravemente ammalato. Benchè vi sia poca speranza di guarigione, siccome può ancor vivere qualche tempo e può anche morire presto, pregate il Signore acciocchè gli dia forza nel soffrire con rassegnazione la malattia e la grazia di morire santamente. Perciò incominceremo domani mattina a recitare un Pater ed Ave per l'infermo, il quale Pater ed Ave presto forse cangieremo in un Requiem aeternam.

                Figliuoli miei, pensiamo in questo momento ad un massimo nostro dovere: ed è che dobbiamo fare buon uso della sanità in servizio e gloria di Dio. La sanità è un gran dono del Signore e tutta per lui noi dobbiamo impiegarla. Gli occhi debbono vedere per Dio, i piedi camminare per Dio, le mani lavorare per Dio, il cuore battere per Dio, tutto insomma il nostro corpo servire per Dio finchè siamo in tempo; in modo che quando Dio ci toglierà la sanità e ci avvicineremo all'ultimo [835] nostro giorno, la coscienza non abbia a rimproverarci di averne usato a male.”

                La sera dopo D. Bosco salì la cattedra e parlò con voce estremamente commossa.

 

                14 dicembre. - Stassera miei cari figliuoli, ho da darvi alcune dolorose notizie. Voi dovete saperle; e se non sapete vi faccio notare che nelle principali novene che noi facciamo, alcuni giovani abbandonano l'Oratorio per andare alle loro case. Nessuno li mandò via, sono essi che se ne andarono, ossia è la Madonna stessa che li allontanò. Alcuni che si volevano ancora tenere per compassione, piuttosto che fermarsi saltarono il muro e fuggirono. E quel che è più doloroso si è che dovettero partire, perchè non potevano più stare insieme con noi, perchè offesero il buon costume. Essi non potranno dimenticare mai Più, finchè vivranno, perchè abbiano lasciato l'Oratorio; il loro cuore sanguinerà al solo pensarvi e dovranno dire: - Colpa di tutto questo sono io solo. - Al paese si domanderà loro: - Perchè avete lasciato l'Oratorio? - E che cosa potranno essi ispondere? Nulla. Se non che sentiranno piombare sull'anima l'unica risposta che dovrebbero dare: - Io lasciai l'Oratorio perchè commisi la più brutta delle colpe! - Si ricorderanno di aver troncati i loro studii, di non aver potuto conseguire ciò che desideravano, di avere d'un tratto veduto svanire ogni più bella speranza della lor vita e dovranno rispondere dolorosamente a se stessi: Io solo ne son la cagione. - Se fatti grandi si incontreranno in qualche antico compagno, il chiodo doloroso nuovamente tornerà a piantarsi nel loro cuore, perchè si vedranno dinanzi il testimonio della loro colpa e della loro vergogna. Che se tanto dolorosa è la ricordanza di questa colpa uando sono robusti e sani, che cosa sarà quando le forze incomincieranno a mancare loro, quando saranno confinati in un letto e vedranno allora la terribile bruttura della loro mancanza? Dovranno esclamare: - Cagione di tante mie pene sono io solo! Questo in faccia agli uomini. E in faccia a Dio che è purità infinita? Oh quanti casi vi potrei citare successi pochi giorni sono, se mi fosse lecito raccontarveli.

                Oh quanto sono tremendi i castighi del Signore contro gli immodesti i Ve ne dirà di un solo avvenuto stanotte in Torino. Un giovane morì stanotte di morte improvvisa, mentre peccava. Egli morì e la sua anima dove si troverà ora? Andarono sul far dell'alba a chiamarlo gli amici, lo scossero, lo trovarono morto; e furono tutti testimoni dei come fosse morto. Non vi dico di più perchè sono cose troppo orribili e schifose.

                Miei cari figliuoli, aiutatevi gli uni gli altri nel coltivare la bella virtù della purità. Fate patto fra di voi di non far mai il menomo atto,  [836] dì non dir mai la menoma parola, di non gettare la menoma occhiata he possa offendere questa bella virtù. Se vedete un compagno che è in pericolo di cadere, correte per carità, correte a soccorrerlo, allontanatelo da certi compagni, avvisatelo, pregate per lui, insomma salvatelo. Ne avrete un merito in faccia a Dio ed a Maria. Se poi vedete che qualche compagno cerca di guastare gli altri, muovetevi tosto contro di lui, strappategli dalle unghie la sua preda, gridate: - al lupo, al lupo. - Che fareste se nella vostra greggia si cacciasse il lupo e incominciasse a sbranare le pecore e non vi sentiste la forza di combatterlo e salvare le vostre pecorelle? Chiamereste aiuto, gridereste, al lupo, al lupo. Così fate ancora contro questi lupi infernali che rovinano le anime dei vostri compagni. Gridate al lupo, al lupo, gridatelo ai vostri compagni e se non basta gridatelo ai Superiori ed essi sapranno combatterli.

                Un'altra notizia dolorosa ho da darvi e si è che il nostro fratello Giovanni Lagorio si avvicina sempre più all'ultima sua ora. Egli è perfettamente rassegnato, anzi non ha altro desiderio che di volare al cielo e così liberarsi da tante pene e di corpo e di spirito. Noi abbiamo tutta la ragione di sperare che quando il Signore lo chiamerà, esso andrà a goderlo in paradiso.

                È  uomo di molta virtù. Un altro giorno vi racconterò qualche cosa di lui. A tutti i modi preghiamo perchè il suo passaggio sia felice. Stassera fate massimo silenzio nelle scale, nelle camerate; e andando a letto recitate una Salve alla Vergine perchè lo aiuti nel gran passo che è per fare. Domani forse dopo il Pater e l'Ave che diciamo per lui, invece del gloria reciteremo il requiem. Buona notte.

 

                15 dicembre. - Stamane verso le due ore il nostro fratello Giovanni Lagorio passava all'eternità. Dite anni fa egli venne nella casa già attaccato dal male del quale morì. Fino a ieri egli credette di poter guarire, ma verso sera si accorse come la morte fosse imminente. Mi ripetè con voce fioca quello che gia mi aveva detto altra volta. - Dica ai giovani che preghino per me, acciocchè lui sia dato di veder presto la faccia del Signore, dica che io lassù in Cielo pregherò continuamente Maria SS. acciocchè interceda per loro presso Dio tutte le grazie delle quali hanno di bisogno. - Io promisi che vi avrei dette queste sue parole e lo incaricai, appena giunto in paradiso, di salutare Maria SS. da parte di tutti noi e di pregarla che faccia sì che tutti noi ci possiamo trovare un giorno uniti a lodarla e ringraziarla in cielo. Egli mi assicurò che lo avrebbe fatto. Preghiamo adunque per lui, acciocchè se avesse ancora qualche piccola macchia da purgare, possa presto essere liberato delle pene del purgatorio. Ha detto il Signore che colla stessa misura colla quale avremo misurato agli altri saremo trattati noi, e che senni avremo avuto misericordia per gli altri, il Signore [837] l'avrà anche per noi. E santo Agostino lasciò scritto che pregando per le anime sante del purgatorio, mentre le togliamo da quei tormenti, prepariamo anche per noi un purgatorio più breve. Se noi preghiamo per i defunti, quando saremo morti anche noi, vi saranno coloro che per ispirazione del Signore pregheranno per noi. Che se noi siamo obbligati a pregare per tutti i defunti in generale, molto più lo siamo per chi passeggiava con noi nello stesso Oratorio, pregava con noi nella stessa chiesa, mangiava con noi lo stesso pane; insomma era nostro fratello. Domani mattina si farà il funerale, si canterà la Messa e si reciterà il rosario da requiem. Tutto il bene che domani si farà nella casa servirà per suffragio dell'anima di Lagorio, Tutte le comunioni sieno a questo scopo; chi non potrà fare la Comunione Sacramentale la faccia spirituale, chè il Signore accetterà anche quella in soddisfazione delle pene delle anime del purgatorio. Siccome piove e non è conveniente per la sanità che tutti andiate all'accompagnamento funebre, così alcuni giovani designati dal Prefetto accompagneranno il cadavere al luogo della sepoltura.

 

                16 Dicembre. - Oggi è cominciata la novena del Santo Natale. Voi sapete qual sia l'importanza che io do a queste novene.

                Un altro avviso ho da darvi. Qui nella casa si fa grande spreco di pane. Si trova pane sotto i letti, pane nelle scale, pane nei cortili, pane nelle scuole, pane dapertutto. Io apprezzo troppo questo genere necessario per la vita, so quanto costa procurarlo, so che è un dono della Provvidenza, e farei qualunque sforzo perchè non fosse così sprecato. Quindi quando avete qualche tozzo di pane, il quale perchè è duro, o per qualunque altra cagione volete gettarlo via, piuttosto portatemelo; io me lo porrò in saccoccia e ne farò l'uso che stimerò meglio.

                In ultimo se volete un fioretto ve lo do. Domani o comunicandovi sacramentalmente o spiritualmente, date un bacio al bambino Gesù che viene nel vostro cuore.

 

                18 Dicembre. - Continuando a parlare dei mezzi per studiare oggi vi dirò il principale. Ricorrere sempre alla protezione di Maria Santissima. Maria è sede della sapienza; quindi avanti di studiare la lezione, prima di incominciare la spiegazione degli autori, prima di fare la composizione non dimenticatevi mai di dire un'Ave alla santa Vergine e poi soggiungere: Sedes sapientiae, ora pro nobis.

                Stassera debbo darvi una triste notizia. Un falegname, che tempo fa praticava la casa per cose del mestiere, aveva messo su bottega; stamane andò a distribuire il lavoro ai suoi artigiani ed a mezzo giorno moriva colpito di apoplessia. Non sta bene darvi notizia di morte in tempo di una novena così bella; ma che volete? Se si parla di vita vien subito in mente la morte. Ed eziandio se non ci si pensa essa non manca [838] di venire. Innocenzo III era un gran Papa e di santa vita, ma aveva una paura estrema della morte e non voleva mai sentirne a parlare. Quindi se nella cappella del palazzo Vaticano si faceva predica, proibiva all'Oratore di trattar questo tema: se faceasi leggere alcun libro ordinava che si smettessero quei capitoli che ne parlavano, se leggeva egli stesso, saltava quei capitoli che menomamente l'accennassero. Quando morì, lo scultore che gli innalzò la tomba lo scolpì egregiamente sul sarcofago, prendendo l'idea di questo suo terrore. Il Papa è in atto di morire. La morte è sotto il letto e sporgendo la scarna testa, stende la mano spolpata per abbrancarlo. Il Papa balza seduto, spaventato da quella brutta figura, ma non può fuggire.

                Vi sono molti al mondo che non vogliono ricordare la morte. Figliuoli miei, alla morte non pensateci, ma volere o non volere ha da venire.

                Finisco col fioretto. Domani domandiamo al buon Gesù la grazia che venga a farei un piccolo furto: e sapete quale è questo furto? Che venga a rapire il cuore di tutti voi ed anche il mio; perchè sarebbe troppa sventura per me se il vostro cuore fosse pieno d'amore di Dio, ed il mio freddo come il marmo fosse in sua disgrazia.

 

 

CAPO LXXXI. Lettere a D. Bosco in ringraziamento de' suoi augurii per le feste Natalizie - D. Bosco a Vercelli: elogio che la di lui Mons. De Gaudenzi - Parlate di D. Bosco agli alunni: I giovani che rubano ai compagni: da Vercelli a Torino: sue risposto ad un ufficiale sul Sacramento della penitenza e su altre questioni - Santificare gli ultimi giorni dell'anno: morte disgraziata di chi voleva servire Dio e nello stesso tempo contentare il mondo - D. Bosco spiega ai giovani certe parole misteriose che talvolta loro indirizza - Lettere di D. Bosco ad un Monsignore Romano e a D. Bonetti Strenne ai Salesiani e agli alunni - Fortuna di chi s'incontra con un santo servo del Signore - Articolo del periodico Fiorentino, Archivio dell'Ecclesiastico, in lode dell'Opera di D. Bosco.

 

                MOLTE lettere riceveva D. Bosco in questi giorni in risposta a' suoi augurii per le Feste Natalizie, e pel Capo d'anno. Anche persone della prima nobiltà gli manifestavano i loro sensi di gradimento venerazione e confidenza. Fra queste notiamo il Marchese Ignazio Pallavicini[69] e la Contessa Alessandrina di Camburzano la quale [840] in data dei 26 Dicembre 1864 da Fossano avvisava D. Bosco che verrebbe a visitarlo uno de' suoi cugini desideroso viva - mente di conoscerlo[70].

                Egli intanto dopo il Santo Natale assentavasi per due giorni da Torino, recandosi a Vercelli. Pare che in questa occasione sostasse per qualche ora a Casale, non avendo potuto andarvi, per la morte di Lagorio, il giorno 15 del mese.

                A Vercelli, come faceva più volte all'anno, s'intratteneva lungamente coll'Arciprete del Duomo il Can. Degaudenzi [841] Teol. Pietro, il quale venne nel 1871 consecrato Vescovo di Vigevano. Dell'importanza di questi colloqui ne abbiamo testimonianza in una lettera dell'Arciprete Pietro Poltronieri Direttore Spirituale del Seminario di Vigevano, scritta a Don Rua nel 1888 per condolersi della morte di D. Bosco. Egli descrive il solenne funerale fatto nel Seminario per ordine e coll'assistenza di Mons. Degaudenzi in suffragio del Servo di Dio.

                “Dopo l'ufficio, la messa cantata in Pontificalibus e l'assoluzione del tumolo, come ognuno si aspettava, Sua Eccellenza non volle chiudere la mesta funzione senza richiamare in brevi ma commoventi parole, alla considerazione del suo seminario e del suo clero, la veneranda figura del Sacerdote Torinese con cui ebbe personali ed eziandio intime relazioni, addimostrandolo con detti e fatti caratteristici del medesimo, dei quali Monsignore istesso fu testimonio, siccome un modello di esattezza nell'adempimento dei doveri sacerdotali, di umiltà profondissima e di zelo apostolico per la salvezza delle anime.

                Da mihi animas, caetera tolle, ecco, disse terminando Monsignore, la tessera per conoscere D. Bosco, il motto che lo animò nelle sue imprese, un tolle che lo spinse a gloria immortale. - Da mihi animas, caetera tolle, mi diceva il santo uomo un giorno in cui avendolo meco a Vercelli, ci comunicavamo i nostri rispettivi dispiaceri; ecco, Arciprete, ciò che dobbiamo dire al buon Dio noi sacerdoti.

                Fate vostra, dilettissimi, questa grande sentenza, ricevetela quale un prezioso retaggio da D. Bosco, come egli la ricevette dal Vescovo di Ginevra, e il Vescovo di Ginevra dal grande S. Giovanni Crisostomo, e continuerete così in voi stessi la serie gloriosa di quei sacerdoti santi, che sanno far amare la virtù e far rispettare il carattere sacerdotale perfino dai nemici del nome cristiano”.

                D. Bosco ritornato da Vercelli ripigliava le sue parlate ai giovani. [842]  - 27 Dicembre. - Mi rincresce dover dire stassera una cosa che fa poco onore a certi giovani. È  già da qualche tempo che si va notando come manchino ora all'uno ora all'altro, libri danaro, frutta, cravatte, carta ecc. ecc.. Anche l'anno scorso vi erano dei ladroncelli nella casa, ma vennero scoperti. Alcuni furono mandati via sull'istante, altri dovettero andarsene perchè i compagni avevano preso a metterli alla berlina e facevano intorno a essi baccano, chiamandoli ladri. Coloro adunque che sono autori di questi furti, mutino costume, perchè altrimenti, scoperti che siano, ne pagheranno anch'essi la pena. Incarico perciò i chierici e tutti i giovani a vigilare per iscoprirli. Volete che io vi dia gli indizii per riuscire a scoprire chi siano costoro? Coloro che mangiano continuamente per golosità e principalmente coloro che avessero la sfacciataggine di mangiar salame il venerdì ed il sabato davanti ai loro compagni; coloro che invece di andare a scuola stanno girovagando per L'Oratorio: coloro che per minimi pretesti si fermano nelle camerate; di costoro sospettate pure; non è sospetto temerario, ma sospetto ben fondato. Qualcuno di questi violatori delle regole potrà per caso essere innocente, ma l'apparenza l'ha tutta di reo. Questi furti mi addolorano perchè sono offesa di Dio, ma da una parte mi piace che certi uni disobbedienti provino che cosa vuol dire non consegnare il danaro al prefetto, non ostante i miei replicati avvisi. Vogliono fare il testardo? Peggio per loro!

                Ma ai ladroncelli io dirò che molti di quelli che si dannano per furti hanno incominciato dall'impadronirsi sovente della roba altrui in poca quantità e presa quella triste abitudine più non l'hanno smessa. E poi un libro oggi, due soldi domani, alcuni quaderni una volta, qualche francobollo un'altra volta e andate discorrendo - a poco a poco, e unendosi le materie e quasi senza accorgersene, sì forma materia grave.

                E notate che qualora alcuno arrivasse a materia grave, ancorchè non avesse avvertito di commettere peccato mortale, è tenuto alla restituzione per l'ingiusto ritenimento.

                E a proposito di rubare aggiungerò che sono ladroncelli coloro che prendono pane in dispensa, non contenti di averne a sufficienza nell'ora del pranzo e della cena, coloro che rompono sedie, vetri, specialmente se con animo cattivo: e sono obbligati a risarcire il danno che recano all'Oratorio colla restituzione.

                Ma di questi ladroncelli che rubano ai compagni ne conosco già alcuni e dico ad essi che cessino dal rubare e restituiscano la roba rubata. Se vogliono che io li aiuti, vengano a dirmelo in confidenza e prometto di accomodate tutto senza che nessuno lo sappia e li assicuro che non avranno alcun gastigo: ma se non vogliono cambiar condotta e verranno scoperti da altri, sappiano che non mi periterò a qualificarli per ladri in faccia a tutti. [843] E ora lasciando queste miserie che fanno poco piacere ai buoni, io dirà qualche cosa che vi rallegri. Vi conterà un fatto avvenutomi oggi, mentre da Vercelli ritornava a Torino. Nello stesso vagone nel quale io son salito vi era un signore, il quale quando io entrai sparlava della confessione. Appena mi vide, rivolto a me esclamò! - Per Dio! Signor prete, dica lei qualche cosa su questo argomento.

                Io mi assisi e quindi lo interrogai: - A lei Signore! saprebbe dirmi da chi fu inventata la confessione?

                 - Si sa, rispose costui, dal Concilio di Trento.

                 - E saprebbe dirmi verso quale epoca fa celebrato questo concilio?

                 - Ai tempi di S. Bernardo, rispose.

                 - E S. Bernardo a che tempi viveva?

                 - Ai tempi di S. Agostino.

                A questo sfarzo di erudizione storica scoppiò una risata generale nel vagone. Io allora ripresi:

                 - Veda il Concilio di Trento fu celebrato circa 300 anni fa, S. Bernardo morì or sono 600 anni  dacchè visse S. Agostino sono scorsi 1400 anni: e circa 1850 anni fa Gesù Cristo istituì questo gran sacramento.

                Il mio avversario rimase ammutolito e poi soggiunse: - Dico schiettamente; a me non piace confessarmi.

                 - Va bene, ed io gliene suggerirò il mezzo.

                 - Lei sì che mi piace è il primo prete che insegni il modo di non confessarsi: quale è questo mezzo?

                 - Non far mai peccati.

                 - Io peccati non ne commetto.

                 - Me ne congratulo con lei, però le faccio notare come alle prime parole che ella disse, pronunciò il nome di Dio invano.

                 - È vero, non ci pensava.

                 - E poi se permettesse che io lo interrogassi, vedrebbe che qualche cosa l'avrebbe sulla coscienza.

                 - Parli, parli, glielo permetto.

                 - In pubblico no, perchè altrimenti farei dispiacere a lei e offenderei le orecchie di questi signori.

                 - Parli pure francamente; io non l'avrò a male.

                 - In pubblico non parlo: piuttosto ciò che voglio dire glielo dirò in un orecchio.

                 - Sì, sì!

                Gli dissi allora sottovoce quello che voleva dirgli ed esso mi rispose ad alta voce: - Ha ragione; ma sappia, signore, che io sono Palermitano.

                 - Me ne congratulo, ma Palermo è forse un città diversa dalle altre? A Palermo non vi è il Signore?

                Esso tacque e dopo un po' di pausa soggiunse: - Io sono chiamato [844] a Torino per insegnare la contabilità ai militari Piemontesi, che non la conoscono.

                Questa millanteria mi nauseò vivamente e: - Come, dissi fra me: tu stimi i Piemontesi così asini da aver bisogno della tua scuola? E soggiunsi forte;

                 - Signore, che intede per contabilità? L'algebra, l'aritmetica, il libro dei conti, il libro doppio?

                Esso rispose - - Per contabilità intendo la contabilità. - E aggiunte poche altre parole incominciò a confondersi: e tutti gli altri a ridere.

                 - Veda, gli dissi seriamente con aria magistrale: per contabilità s'intende il libro mastro, la scrittura doppia, semplice: - insomma diedi saggio della mia scienza intorno alle prime nozioni di contabilità.

                I viaggiatori si guardavano fra di loro e dicevano: - Questo prete è informato di tutto perfino della contabilità militare, - e rivolti a me soggiunsero: - Sembra che lei sia stato soldato.

                 - Non solo sono stato soldato, ma lo sono tuttavia.

                Essi mi guardarono ancora più meravigliati e soggiunsero: - Ella è vestito da prete: se non è forse un soldato travestito.

                 - Oh no; questo è il mio uniforme, e di più non sono semplice soldato, ma sono graduato, anzi generale d'armata. - Si capì la burla ed io, rivoltomi nuovamente al mio interlocutore, gli dissi: - Veda, signore: avanti di parlare guardi sempre bene con chi parla, perchè potrebbe incontrarsi in qualcheduno che gli faccia fare una brutta figura. - Tacqui e dopo qualche istante ripresi: - Confesso, o signore, che io ne so poco di contabilità militare, ma restai offeso che ella dicesse impunemente noi Piemontesi saper nulla di contabilità militare. Se io che non l'ho studiata ne so tanto più di lei, pensi quello che ne sapranno quei Piemontesi che hanno fatto i loro studii a bella posta.

                Quel mio povero contabile più nulla rispose e un altro signore disse a me: - È  da Milano che costui ci secca con discorsi cattivi: la sua venuta, Reverendo, è stata una vera benedizione; ci voleva proprio vossignoria per chiudergli la bocca.

                Il mio avversario era un ufficiale in abito borghese: poi mi domandò scusa e promise che sarebbe venuto a trovarmi qui all'Oratorio.

                Miei cari figliuoli, traete da questo fatto un ammaestramento per voi. Se vi troverete con qualcheduno che parli male della religione, in generale non combattetelo mai, se non siete bene istruiti in essa; ma se vi interpellano, non lasciatevi confondere e vincere, ma prendete ad interrogarli con calma e carità, come se voleste essere istrutti da essi. Generalmente questi calunniatori e nemici della religione sono ignoranti eh confonderete subito alle prime domande: così rivolgerete contro di loro quelle stesse armi colle quali essi volevano combattervi. [845] 28 Dicembre. - Ancora tre giorni e l'anno sarà finito. Passerà il 1864 per non ritornare mai più. Se non abbiamo incominciato bene questo anno almeno finiamolo bene: se bene l'abbiamo incominciato finiamolo eccellentemente. Santifichiamo questi giorni e ricompensiamo il Signore delle mancanze commesse in quest'anno. Non già che dobbiate trascurare perciò i vostri doveri di scuola con preghiere o funzioni di chiesa straordinarie, ma sibbene che procuriate di fare con più fervore e diligenza le solite opere di pietà.

                Stassera, per insegnarvi a temere il Signore, voglio narrarvi un fatto accaduto or sono poche settimane. Da questo imparerete che non si può essere del Signore e del demonio nello stesso tempo, e che il Signore odia grandemente coloro che pretendono contentare il mondo e nello stesso tempo servire Iddio. Vi era qui in Torino un illustre personaggio il quale seguiva questo malaugurato sistema. Sentiva la santa Messa tutte le Domeniche, veniva sovente ad ascoltar le mie prediche, quando era con me parlava benissimo della Religione, ma quando era con altre persone criticava e scherniva Papa, preti, Religione. Un giorno un suo conoscente sentendo uscir dalla sua bocca certi discorsi, gli disse: - Signore, voi parlate male del Clero e della Religione! Prendetevi guardia che un giorno non vi abbia a mancare l'uno e l'altra. - Il gentiluomo si rise di questa ammonizione, la quale disgraziatamente era una profezia.

                Una sera costui si trovava in una conversazione, dove faceva .sfoggio della sua eloquenza contro il Papa, contro il potere temporale, contro il clero ecc. ecc., quando ad un tratto un'improvvisa sete lo assale. Damanda da bere e gli vien subito portata una bottiglia di acqua. Ne beve un bicchiere e la sete aumenta; ne beve un secondo bicchiere, vuota la bottiglia, ma la sete non si estingue. Si congeda allora dalla conversazione, sale sulla sua carrozza e rientra nel suo palazzo. Manda subito a chiamare il medico, il quale gli ordina una bibita rinfrescante. Beve e si mette a letto. I servitori vedendolo così agitato gli domandano se vuole essere vegliato. Egli rispose: - No i andate a riposo poichè dovete essere stanchi dal lavoro della giornata. - I servi si ritirarono ma deliberano che uno di loro restasse di guardia nell'anticamera. Il servo che stava attento, verso le due dopo mezza notte sente un rumore nella camera del padrone, come di un corpo che cade. Accorre, ed oh spettacolo miserando! Trova il padrone in camicia, seduto per terra, colla lingua fuori della bocca tutta nera, e cogli occhi sbarrati che lo guardava fisso. Il servo si avvicina e gli domanda se vuole tornare a letto. Il padrone non risponde ma fa cenno colla mano di non poter parlare. Il servo allora lo rialza, lo conduce a letto e manda a chiamare un prete. Ma l'ammalato non può parlare, la gonfiezza della lingua e della bocca cresce, e finalmente restando [846] soffocato, muore. Si sarà egli pentito? Speriamo di sì! Ma come sono terribili i giudizi di Dio!

                Giovani miei, imparate da costui a parlar con rispetto del Papa, dei preti e delle cose di religione. Guaì a chi ne parla male! Lo ha detto il Signore: Nolite tangere Christos meos et in prophetis meis nolite malignari. Se non volete parlarne tacete, ma se ne parlate parlatene sempre bene; perchè il Signore punisce sempre coloro che ne parlano male, e la maggior parte di costoro ci mostra l'esperienza che finiscono sempre di mala morte.

 

                29 Dicembre. - Ancor due giorni e l'anno è finito. Santifichiamo questi due giorni che non rivedremo mai più.

                Molti giovani ed alcuni professori mi domandano sempre che cosa significa quel mio dire alcune volte ai giovani: - Coraggio, figlio mio! - Io oggi voglio soddisfarli. Quando io volgo a loro questa parola coraggio, ma senza ripeterla, vuol dire che il demonio gira intorno ad essi cercando di rovinarli. Quando dicendo loro coraggio, alzo questo dito, vuol dire che il demonio li ha già vinti e che bisogna che i riscuotano. Guardate, miei mi figliuoli, qualche volta la dico per ridere questa parola, ma in generale la dico perchè so di certo quel che dico, perchè se voi vedeste quello che io vedo, quello che ho veduto già di qualcheduno di voi, gridereste dalla paura. Da qui avanti io mi guarderò dal dirvi coraggio, per burla. Ma voi da questo punto state attenti. Tutte le volte che io vi dirò: coraggio, figlio mio, coraggio è segno che il demonio lo vedo attorno a voi o nelle vostre anime e allora state attenti a combatterlo.

                A coloro poi che fuggono la mia presenza, che sembra abbiano paura di me, soggiungo: Figli miei, perchè fuggite? A voi non dirò quattro volte corraggio, ma sibbene quindici volte, perchè tanto ci vuole per uscire dallo stato nel quale vi trovate.

                Un'altra frase son solito di quando in quando ripetere a qualche giovane. Quando io vi dico: Figlio mio, vuoi che parliamo dell'anima tua? Questa mia parola è segno che nell'anima vostra vi è qualche imbroglio, qualche confessione mal fatta, oppure qualche imbroglio è imminente. Ricordatevelo.

                Miei cari giovani, per carità date ascolto alle mie parole servitevi dei mezzi straordinarii che il Signore vi porge. Io ve lo dico perchè vi voglio bene e quel che dico è verità.

                Dei giorni 29 e 30 dicembre non abbiamo altro di D. Bosco fuorchè due lettere, l'una diretta a Roma ad un Monsignore della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari e l'altra a Mirabello per D. Bonetti. [847]

 

                               Rev.mo Monsignore,

 

                Un buon Ecclesiastico, mio amico, che sostenne già la carcere per la buona causa, va a Roma. Esso ha soltanto bisogno di qualche consiglio, perchè possa vedere le principali meraviglie di Roma cm sode con frutto.

                Credo che il Sig. D. Mentasti le avrà trasmesso li f. 25 che ella degnavan di esporre per dispense e rescritti di questi poveri chierici. P, questa la terza volta che li spedisco. Io desiderava di farmi onore presso di lei colla mia puntualità non ho potuto. Io credo che V. S. Rev.ma sia nemica del danaro e che perciò non voglia andare in di lei casa, che io credo tutta piena d'oro celeste e di virtù. Ad ogni modo io la ringrazio e le auguro ogni bene dal cielo. Qualora poi occorreva qualche cosa a questo proposito o di altro, il Sac. Piola, latore della presente, è incaricato di fare e pagare quanto fosse mestieri.

                Il Conte e la Contessa Bosco gradirono sommamente i cristiani di lei auguri e mi danno speciale incarico di ringraziarla ed augurarli centuplicati sopra la cara ed amata di Lei persona.

                Io raccomando me e questi giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, e pregandole dal cielo lunghi anni di vita felice, ho l'alto onore di potermi con pienezza di stima professare

                Di V. S. Ill.ma e Rev.ma

 

                Torino, 29 dicembre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIOVANNI BOSCO

 

                Al Sig. D. Bonetti Giovanni, Prefetto nel piccolo Seminario di Mirabello.

 

                               Mio caro Bonetti,

 

                Ti mando alcuni fogli del Canonico Ghemone. Ho ricevuto con piacere la tua lettera. Coraggio; i tuoi sforzi siano diretti a conservare l'unità di volere tra i Superiori, perchè vogliano tutti una cosa sola: Salvare molte anime e tra esse l'anima propria.

                Dio ti benedica ed abbimi tutto tuo

 

                Torino, penultimo del 1864.

Aff.mo in G. C

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                L'avviso dato a D. Bonetti fu la strenna che D. Bosco donava a tutti i suoi Salesiani: Salvare molte anime e tra esso l'anime propria. Agli alunni poi, dopo aver fatto commemorazione [848] de' compagni morti nell'anno e fra questi di Marenco Lorenzo ascritto alla Pia Società, compiuti appena i 16 anni, ripeteva e commentava il detto di Isaia al Capo XXXII versicolo 6, a Sionne: Et erit fides in temporibus suis: divitiae salutis, sapientia et scientia: timor Domini ipse est thesaurus eius: “E regnerà ne' suoi tempi la fede: la sapienza e la scienza sono sue ricchezze salutari e il timor del Signore il suo proprio tesoro”.

                Così finiva il 1864.

                Chiunque ebbe la fortuna d'incontrarsi con un santo servo del Signore, sentissi sempre compreso da un sentimento di gioia profonda e fu irresistibilmente strascinato a studiarne da resso la vita e le opere. Tale studio è una delle migliori consolazioni dell'anima, la quale può così stornare lo sguardo dal triste spettacolo degli errori, dei delitti e delle infamie del mondo, per deliziarsi nella soave ricerca e nella contemplazione di una virtù che su questa terra altro non è che un riflesso dei beni eterni. Siffatta consolazione noi l'abbiamo in quest'anno raggiunta, e provata per ben ventiquattro anni vivendo al fianco di D. Bosco, e ci siamo fin d'allora persuasi che il suo nome vivrà nella storia della Chiesa, dell'Italia, e dell'intero mondo. Noi lo abbiamo attentamente studiato, ma dobbiamo conchiudere che non giungeremo a conoscere la millesima parte delle sue meravigliose virtù: come Cristoforo Colombo che avanzandosi di isola in isola, procedendo di scoperta in scoperta, appena toccò un punto del continente Americano.

                Concludiamo con un quadro nel quale si specchia la sua vita di questi primi anni, e ove si vede, benchè con qualche inesattezza, splendere la verità.

                Il periodico, Archivio dell'Ecclesiastico, anno I, vol. II, del 1864, stampato a Firenze, nell'articolo I Monellini dopo aver parlato di ciò che si fece nelle varie città d'Italia per i poveri fanciulli abbandonati, così viene a parlare di D. Bosco a pag. 309. [849] Torino infine ha il suo Don Giovanni Bosco, l'opera del quale a favore dei monellini è ben degna di esser qui brevemente descritta.

                Don Bosco è un vero prete che non ha un soldo; ma che è ricco di quella fede che opera prodigi, di quella speranza che dispone dei tesori della Provvidenza, e di quella carità benigna e paziente che non opera in vano, ma giunge sempre al suo fine. Fin dalla prima gioventù si sentì mosso a pietà dei monellini, e risolvè di salvarli; sicchè appena fatto sacerdote si pose all'impresa. Conobbe per altro, sagacissimo qual è, che per far loro del bene non bastava l'amarli, ma bisognava farsi amare da essi, nè per altra via poter giungere a farsi amare che facendosi tutto di loro. Cominciò pertanto a bazzicare con essi mostrandosi in volto on già accigliato e severo, ma atteggiato al sorriso, e mescolandosi ai loro trastulli birichineschi facea parere di farsi loro discepolo per trovar agio di poter far loro da maestro. Fattisi amici un buon numero di costoro, si ridusse a far vita con essi dentro un magazzino preso a pigione che serviva loro e di camera e di scuola e di oratorio e di tutto. Non andò guari però che, contraendo ogni giorno Don Bosco fra i monellini sempre nuove amicizie, il magazzino più non astava ad accoglierli; sicchè fu costretto a tramutarsi con loro di casa in casa, passando sempre da una più piccola in altra maggiore. Alla fine, annoiato dello sgombero si frequente, e delle interminabili querimonie del vicinato, che non poteva sopportare quel po' di frastuono che i ragazzi nel divertirsi faceano, risolvè di comprare un campo all'estremità di Torino, in Valdocco, e fabbricarvi dai fondamenti un asilo proprio pei suoi ragazzi, che ha intitolato: l'Oratorio di S. Francesco di Sales. Quando la casa è ripiena, D. Bosco non si sgomenta; ma fa subito il disegno di un nuovo braccio di fabbrica, e lo fa sorgere come per incanto dal suolo. In questo momento, non essendo capace di contenere i suoi ragazzi nell'antico oratorio fabbricato da lui, sta ergendo una magnifica chiesa cui vuol dedicare a Maria Ausiliatrice dei cristiani. In questa casa pertanto egli accoglie quanti mai ragazzi poveri si presentano, e, senza ricevere un soldo da essi, li provvede di vitto e di vestito e di istruzione completa, secondo la capacità e il desiderio di ciascuno. Nè è da supporre mica che ei li costringa tutti a scegliersi un'arte manuale: ei lascia loro anzi tutta la libertà di appigliarsi alle arti belle, o alle lettere, o allo stato ecclesiastico, come se appartenessero alla più agiata famiglia. Attualmente questi suoi convittori sono circa ottocento, dei quali soli trecento imparano un'arte di mano, mentre gli altri cinquecento studiano le lette re per poi applicarsi chi alla musica, chi alle arti del disegno, chi alle scienze, e chi al servizio dell'altare. Questi ultimi, quando D. Bosco ne ha conosciuta ed approvata la vocazione, prendo - no l'abito clericale e continuano a viver frammisti agli altri compagni, finchè non sieno al punto di esser consegnati ai loro Seminari vescovili per gli studi maggiori. Di questi [850] chierici ve ne ha sempre una sessantina. Ma ciò non è tutto. Ogni sera D. Bosco riceve nello stesso locale altri ottocento ragazzi poveri che vivono nelle case dei loro parenti, e si recano colà per imparare tutto quello che viene insegnato ai convittori. Per i giorni festivi poi egli ha aperti altri due locali, detti parimente Oratorii in due altri punti della città, per congregarvi a passar la giornata fra il divertimento e la preghiera, .. anche tutti quei giovani che, istruiti da lui han di già conseguito un qualche collocamento: talchè fra tutti nei giorni di festa giunge a raccogliere un tremila ragazzi.

                Chi legge questo racconto sarà forse tentato a crederlo un sogno; o almeno, se crede alla verità del fatto, s'immaginerà che l'Oratorio di S. Francesco di Sales rigurgitante di un sì gran numero di giovani vivacissimi, non raffrenati da sergenti in sciabola e bastone, ma regolati dal pacifico D. Bosco, debba essere una vera Babilonia, ossia il tipo della confusione e del disordine. Tutt'altro! D. Bosco ha una gran potenza di amare e possiede la rara dote di sapere svolgere questa stessa potenza nei cuori altrui. Un giovane, appena ha conosciuto D. Bosco, si sente costretto a volergli bene“, e D. Bosco a vicenda sa valersi di cotesta benevolenza per condurre il giovane a fare spontaneamente tutto ciò che deve. Di che avviene che gli ordini prudentissimi e discreti dati da D. Bosco sono osservati da tutti con tanta esattezza e tanta buona volontà che non v'è caso che l'ordine venga turbato da alcuno. È  una cosa maravigliosa, ma ell'è pur verissima e che dimostra quanto è grande la potenza della carità, regolata dalla fede cattolica. Troviamo nelle istorie ecclesiastiche il grande S. Antonio aver fatte adunanze di monaci numerose di due e tremila nelle solitudini della Tebaide; ebbene, oggi, vediamo D. Bosco riuscire a fare altrettanto in mezzo a Torino. Quello stesso Spirito del Signore che legava fra loro quei monaci e li rendea docili  alla direzione di S. Antonio, lega insieme questi giovani e li fa docili alla direzione di D. Bosco. Entrando nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, uno resta sorpreso al vedere quella turba di giovani che si agitano e si mescolano per così dire, in tutte le direzioni senza urtarsi fra loro; ma, per poco che li studiamo individualmente, presto ci accorgiamo della presenza dello Spirito del Signore che muove ordinatamente tutta quella gran macchina La gioia e la contentezza che vedesi dipinta sui floridi volti di quei ragazzi rivela la pace dell'innocenza in cui nuotano i loro cuori; i loro modi tanto urbani e cortesi, quanto possono desiderarsi in giovani di nobile prosapia, dimostrano con quanto buon animo piegano il colto al freno della educazione; l'avidità e l'attenzione con cui pendono dal labbro di D. Bosco, cui non saziansi mai di ascoltare, fa conoscere con quale sviluppo si vada svolgendo la loro intelligenza, il rispetto confidenziale poi che è insieme amore e venerazione verso Don Bosco, che hanno in concetto di santo, dissipa la maraviglia e scuopre [851] il segreto del buon andamento di quella casa. Quei ragazzi amano tanto D. Bosco che diresti si guardino dall'offendere Dio anche per non addolorare il loro benefattore. In questa guisa, senza ergastolo, senza verga, e senza punizione di veruna specie, la famiglia procede con ordine e tranquillità inalterabile. D. Bosco è giunto al punto felice di non dover punire nessuno dei suoi ragazzi, perchè niuno lo merita. O, se qua che rara volta alcuno si fa degno di correzione, basta a D. Bosco il non volgergli, come a tutti sempre suole, uno sguardo benigno, e il non permettergli di baciargli la mano, per far che il reo si compunga del più vivo dolore. Se mai in rarissimi casi D. Bosco ha prolungato questo contegno fino a tre giorni, si è sempre visto il ragazzo cader malato di puro dolore.

                Dopo ciò se alcuno tornerà a decantare e a magnificarci il progresso della civiltà giunta al suo colmo in Inghilterra in virtù del principio protestante, non dobbiamo altro fare per rispondergli in modo concludente, che pregarlo di recarsi a visitare gli ospizii aperti per i monellini dal governo inglese; e quelli aperti in Italia non dal governo, ma dalla carità dei Lanzarini, dei Montebruno e dei D. Bosco, degni imitatori del nostro Filippo Franci.

                Oh! voglia il Signore suscitare anche nella nostra Firenze un novello Franci somigliante a costoro, che porga benigno la mano soccorritrice ai monellini e alle monelline tanto moltiplicati ai nostri giorni. Vi sono già parecchie anime pietose, e le Suore di carità, e quelle di S. Dorotea, e quelle delle Sacre Stimate, e quelle del Crocifisso, che attendono più che possono a salvar bambine e fanciulle; ma non bastano che a salvarne una parte. La maggior parte restano ancora per le vie, e attendono un'anima generosa che le raccolga. Anche i ragazzi cominciano ad avere in Firenze i loro benefattori. Vi è una società di sacerdoti in S. Lorenzo che ha aperto per essi le scuole serali; v'è l'associazione di S. Francesco di Sales che li soccorre ed ha in cuore novelle intraprese; v'è pure la Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli che porge una mano amorosa: ma tutto questo è ancor poco. Ci vuole un altro Franci, un altro D. Bosco. E speriamo che il Signore lo faccia sorgere, forse fra quei medesimi che già con tanto amore consacrano l'opera loro a vantaggio dei monellini.

 

 

APPENDICE

 

 

 

APPENDICE N. I

 

DELLE SCUOLE ELEMENTARI DIURNE E SERALI.

(Ved. pag. 55).

 

CAPO I.

 

Classi e condizioni di accettazione.

 

                1. Le scuole dell'Oratorio comprendono l'intero corso elementare annuale, le scuole serali dal principio dì novembre alla Pasqua e le autunnali.

                Le materie sono quelle prescritte dai programmi governativi.

                2. Tutti possono prendere parte a queste scuole, eccetto quelli che non hanno compiuta l'età di 6 anni o sono infetti da male contagioso a norma dei regolamento dell'Oratorio festivo (parte seconda cap. I. art. 4).

                3. Nell'atto di accettazione debbono indicare il nome, cognome, paternità, luogo di nascita, età e domicilio, se sono promossi alla comunione.e quante volte, se cresimati.

                Tutti gli scolari sono strettamente obbligati a frequentare le funzioni dell'Oratorio festivo.

                4. La scuola è gratuita, ma ciascuno è tenuto a provvedersi, libri, quaderni e quanto occorre per la scuola, e chi per estrema povertà non potesse provvedersi del necessario ne potrà far, domanda al Direttore, che non rifiuterà di aiutarlo quando, verificatosi il bisogno, vi sia buona condotta da parte dell'allievo.

                5. Sebbene queste scuole sieno aperte a tutti, tuttavia nei casi di ristrettezza di posto, si preferiscono i più poveri ed abbandonati, e quelli che già frequentano l'Oratorio nei giorni festivi. [854]

 

Avvisi generali.

 

                I. Ogni allievo deve portare rispetto ai superiori ed ai maestri; e chi non potesse più frequentare la scuola ne renda avvisate il Direttore o il proprio maestro.

                2. Al con inciar dell'anno si darà a ciascuno un libretto sopra cui sarà segnato l'intervento alle funzioni dell'Oratorio festivo. Si abbia cura di farlo bollare mattino e sera d'ogni Domenica, e ogni lunedì mattino lo porti con sè a fine di poterlo presentare al Superiore, nel caso che ne faccia richiesta.

                3. I genitori devono aver cura di mandarli puliti nella persona e negli abiti, e venire di tanto in tanto a prendere informazioni della condotta dell'allievo.

                4. È proibito rigorosamente a tutti gli allievi I° di far commissioni per gli interni; 2° d'introdurre libri, giornali, scritti o stampe di qualsiasi genere, senza che siano prima veduti dal Direttore dell'Oratorio.

                5. È rigorosamente proibito di gettare pietre, far risse o schiamazzi nel venire a scuola o nell'uscita.

 

 

CAPO II.

Del Portinaio.

 

                I. È strettissimo dovere del portinaio trovarsi per tempo in porteria, ricevere urbanamente i giovani e chiunque si presenta.

                2. Venendo qualche giovane nuovo lo accolga amorevolmente, lo informi dell'andamento dell'Oratorio, lo indirizzi al Direttore od a chi ne fa le veci, perchè sia iscritto sul registro degli allievi, e gli si assegni una classe.

                3. È rigorosamente proibito di lasciar passare persone forestiere collo scopo di penetrare nell'Istituto. In tali casi devonsi indirizzare al portinaio della casa, ovvero dell'ospizio.

                4. I genitori dei giovani venendo a domandare informazioni dei loro figli, se sono donne, si facciano fermare in fondo al cortile.

                5. Deve impedire le comunicazioni delle persone interne colle estere, le commissioni, le compere, le vendite di qualsiasi genere di cose.

                6. I giovani entrati nel cortile, non debbono più uscire, e quando occorresse qualche ragionevole motivo ne ottengano il permesso dal Superiore, o almeno dal rispettivo maestro.

                7. È proibito severamente lasciar uscire alcuno degli interni per, la porta degli esterni.

                8. Il portinaio deve vegliare che nessuno introduca nel cortile libri, giornali, fogli di qualsiasi genere, se prima non sieno veduti dal Direttore. Rinnovi costantemente la proibizione di fumare o masticar tabacco nei cortili o in altri siti dell'Oratorio, [855]

 

CAPO III.

Delle scuole serali di commercio e di musica.

 

                I. Le scuole commerciali e di musica sono gratuite; ma chi desidera frequentarle è obbligato d'intervenire alle pratiche di pietà dell'Oratorio festivo; gli allievi devono aver compiuti gli anni 9 di età. Per la scuola di canto bisogna almeno essere in grado di leggere il latino e l'italiano.

                2. Nell'atto di accettazione devesi indicare nome, cognome, paternità, luogo di nascita, professione, età e domicilio, se sono promossi alla comunione e quante volte, se cresimati.

                3. Da ogni allievo musico si esige formale promessa di non andare a cantare nè a suonare nei pubblici teatri, nè in altri trattenimenti in cui possa essere comprome ssa la Religione od il buon costume.

                4. In principio della scuola si reciterà l'Actiones nostras ecc., coll'A ve Maria. Finita la scuola si dirà l'Agimus coll'Ave Maria e la giaculatoria: Maria Auxilium ecc. quindi ciascuno si ritirerà a casa sua.

                5. Chi dovesse per qualunque motivo esentarsi dalla scuola ne darà avviso al maestro od al Direttore.

                6. In fin dell'anno sarà fatta pubblica distribuzione di premii a quelli che si sono segnalati nella condotta morale e nel profitto scolastico.

 

CAPO IV.

Dei Maestri.

 

                I. Il maestro procuri di trovarsi puntuale in classe per impedire che succedano disordini prima e dopo la scuola.

                2. Procuri di andar preparato sulla materia della lezione; ciò servirà molto per far comprendere le difficoltà dei temi e tornerà di minor fatica allo stesso maestro.

                3. Niuna parzialità, niuna animosità; avvisi e biasimi se ne è caso, ma perdoni facilmente.

                4. I più idioti della classe sieno oggetto delle sue sollecitudini; incoraggi, ma non avvilisca mai.

                5. Interroghi tutti senza distinzione e con frequenza, e dimostri grande stima ed affezione per tutti i suoi allievi.

                6. I castighi sieno inflitti nella scuola; nè per castigo allontanisi mai alcuno dalla classe. Ma si ritenga che è rigorosamente proibito di dare schiaffi, battiture, o percuotere come che sia gli allievi. Presentandosi casi gravi mandi a chiamare il Direttore, o faccia condurre il colpevole presso di lui. [856]

                7. Dovendo prendere deliberazione di grave importanza intorno a qualche allievo, ne parli prima col Direttore.

                8. Raccomandi nettezza nei quaderni, regolarità e perfezione nella calligrafia, pulitezza nei libri e sulle pagine, che si devono presentare al maestro.

                9. Almeno una volta al mese dia un lavoro di prova, e dopo d'averlo corretto, ne dia le pagine al Direttore.

                10. Tenga la decuria in modo da poterla presentare ogni giorno a chi ne facesse domanda, e nel caso che qualche persona autorevole visitasse le scuole.

                11. Vegli sopra le letture di cattivi libri, raccomandi e nomini gli autori che si possono leggere e ritenere senza che la religione e la moralità sieno compromesse.

                12. Dai classici sacri e profani avrà cura di trarre le conseguenze morali, quando l'opportunità della materia ne porga occasione, ma senza ricercatezza.

                13. Sono proibite ai maestri le visite ai parenti dei giovani.

                14. Venendo qualche parente a domandare informazioni di un allievo dia soddisfazione, ma ciò si faccia in cortile o nel parlatorio, e non nella scuola.

 

 

APPENDICE N. 2.

 

STATISTICA DEL GINNASIO DELL'ORATORIO.

(Ved. pag. 328).

 

                Il Provveditore agli studii di Torino eseguendo le disposizioni dei ministero dell'Istruzione pubblica mandava a D. Bosco, un modulo, diviso in quattro quadri, per la statistica dell'anno scolastico 1861-62 del ginnasio di Valdocco, nei quali erano formolati molteplice quesiti cui si doveva rispondere per iscritto e con precisione.

                D. Bosco stesso rispose di sua mano; e noi ne riportiamo le annotazioni perchè interessano la nostra storia. Omettiamo i quesiti, perchè sono rivelati dalle risposte.

 

                Quesiti preliminari. - Don Bosco incomincia a correggere il titolo del suo Istituto con questi termini: Ricovero ovveroginnasio detto Oratorio di S.

                Francesco di Sales in Valdocco.

                Al primo quesito: Quando fu istituito il ginnasio e da chi, risponde: - Il catechisino incominciò nel 1841. Le scuole serali e domenicali nel 1843. La casa di ricovero nel 1846. Quindi prosegue: - Il locale [857] destinato alle scuole ginnasiali, che qui hanno luogo, è di proprietà del sac. Bosco Giovanni. - Non è governativo, nè pareggiato ai governativi, ma fu provvisoriamente approvato dal R. Provveditore degli studi con decreto del dicembre 1862. - Nel ricovero si dà alloggio, vitto e vestito. - Non si ha alcun liceo. -Non ci sono libri speciali di testo, se non quelli indicati dai programmi governativi. - Dal 10 gennaio l'orario giornaliero delle scuole è dalle 8 e ½ alle 11 e ½ del mattino; e dalle 2 alle 4 e ½ di sera. Dal I° giugno mezz'ora di meno mattino e sera. - Suppellettile scientifica sono alcune carte geografiche ed alcune tavole sinottiche. - Non si può fissare nessun valore de' premi perchè sono largizioni eventuali de' benefattori. - Non c'è epoca fissa per gli esami d'ammissione Di mano in mano che ci sono giovani i quali per moralità e ingegno meritano di essere accolti nel ricovero, vengono assoggettati ad un esame, dopo il quale sono ammessi alla Iª classe ogni qualvolta l'esame riesce felicemente.- Gli scolari non pagano niente di minervale; sono tutti esenti dalla tassa scolastica. - Si dànno gli esami all'epoca fissata per le pubbliche scuole; ma la casa è tutto l'anno aperta, attesa la condizione dei giovani ivi raccolti.

                Stato del personale insegnante. - Picco Matteo sacerdote; 52 anni, Professore di Lettere, Professore di Rettorica. - Francesia Giovanni, Sacerdote, 25 anni, Reggente, insegnante di greco, latino, italiano, ammesso allo studio di Lettere. - Cerruti Francesco, chierico, 20 anni, Reggente, insegnante di greco, latino, italiano, ammesso allo studio di Lettere. - Durando Celestino, chierico, 22 anni, Reggente,insegnante greco, latino, italiano, ammesso allo studio di Lettere. - Anfossi Giovanni, chierico, 22anni, Reggente, insegnante latino,italiano, ammesso allo studio di Lettere. - Alasonatti Vittorio, sacerdote, 51 anni, maestro, di grammatica latina, insegnante latino eitaliano. - Savio Angelo, sacerdote, 27 anni, maestro, di 4ª elementare, insegnante di aritmetica. - I soli Picco, Alasonatti e Savio hanno titolo accademico. - Questi benemeriti insegnanti non solo insegnano gratuitamente, ma usano la massima sollecitudine pel bene morale e scientifico de' loro allievi, sia coi mezzi personali, sia coi mezzi materiali.

                Stato degli scolari del ginnasio.

                I Classe: 98 convittori, 3 esterni, 83 approvati agli esami, 10 rimandati, 93 si presentarono all'esame, 11 premiati, 2 cessarono volontariamente dal frequentare il corso, 2 espulsi, 1 per malattia. Ore di lezioni per settimana 27 in tutte le scuole.

                II Classe: 65 convittori, esterni 3; approvati agli esami 56; rimandati 2; 58 si presentarono agli esami, 7 premiati, 6 cessarono volontariamente, 4 per malattia.

                III Classe: convittori 83; esterni 4; approvati agli esami 71, rimandati 2; si presentarono agli esami 73, premiati 9; 6 cessarono volontariamente, 1 per espulsione, 6 per malattia. [858]

                IV Classe: Convittori 36, esterni 2,  approvati agli esami 29, rimandati 2, 31 si presentarono agli esami, premiati 5; 3 cessarono volontariamente, 4 per malattia.

                V Classe: Convittori 37, esterni 2, approvati agli esami 26, si presentarono agli esami 26, premiati 5, cessarono volontariamente 7, Per espulsione 2, per malattia 4.

                Totale: convittori 318, esterni 14, approvati agli esami 265, rimandati 16, presentati agli esami 281, premiati 37; 24 cessarono volontariamente, 5 per espulsione, 19 per malattia.

                Osservazioni.

                Fra gli alunni tutti poveri, vi sono due giovani di civil condizione accolti in questa casa e sono i figliuoli del cav. Turletti e del cav. Antonielli benefattori di questa casa.

                2° Il numero degli scolari varia assai spesso e per quelli che lungo l'anno intraprendono l'arte del compositore e per altri che sono altrimenti provveduti pel loro sostentamento.

                3° Cinque si presentarono a subire l'esame al Ginnasio del Carmine.

                In quanto allo stato Economico del ginnasio questi non ha rendite proprie provenienti da lasciti privati nè da altra simile fonte, e non gode verun concorso dello Stato, della Provincia, del Comune, di Associazioni private, di proventi delle tasse scolastiche.

                D. Bosco concludeva la sua relazione con queste parole: “La condizione dei giovani accolti in questa casa, i mezzi materiali eccezionali con cui la casa è sostenuta, fanno sì, che non sappiasi quale risposta dare ad alcuni quesiti, e di ciò se ne domanda benigno compatimento a chi di ragione”.

 

 

APPENDICE N. 3.

 

ADESIONI DI VESCOVI ALL'INVITO DI D. BOSCO PER LA DIFFUSIONE DELLE Letture Cattoliche.

(Ved. Pag. 370).

 

                               Ill.mo Sig. Padrone Col.mo,

 

                Mi fu graditissima la lettera favoritami dalla S. V. Ill.ma datata li 20 gennaio andante, raccomandando la maggior diffusione delle Letture Cattoliche per mezzo delle quali con tanto zelo ed amore religioso cotesta benemerita Direzione si sforza di contrapporre alla stampa sovversiva di ogni sano principio e delle massime religiose. [859] L'esimio giomale l'Armonia replicate volte ne ha fatto parola con i meritati elogi ed ha eccitato ad approfittarne.

                Nè ho mancato di procurarne le associazioni nella poverissima mia diocesi, sebbene senza averne ottenuto un grande effetto per la ragione in fatto di aver conosciuto maggiore inclinazione pei giornali dell'Armonia e dell'Osservatore Romano, che per la lettura degli opuscoli, i quali in fondo sarebbero più proficui, in specie per la gioventù e per le famiglie. A ciò si aggiunge che lungi già da due anni (per le vicende) dalla mia episcopale residenza et inter angustias non mi è dato influire come desidererei allo Scopo. Non ostante per quanto mi sarà possibile non desisterò di nuovamente e caldamente raccomandare le associazioni anzidette.

                Pieno intanto di riconoscenza a tante gentili e cordiali espressioni, di cui è piaciuto alla di lei bontà onorarmi nella sua lettera, non mancherò nella povertà del mio spirito di aver presente la S. V. e tutti quelli che cooperano alla diffusione di tanto bene.

 

                Con sensi infine di distinta stima.

 

                Roma, 29 gennaio 1863.

Il Vicario Ves.le di Poggio Mirteto.

 

 

                               Rev.mo Signore,

 

                È vero purtroppo che facciasi in questi tristissimi tempi sentire maggiormente il bisogno della diffusione di buoni libri, che stiano a far argine e a preservare dal pestifero contagio di tanti altri libri osceni ed ereticali, che inondano ovunque e coi quali si attenta al pervertimento e alla spirituale rovina dei popoli. Non posso perciò che far plauso al salutare divisamento e allo zelo dell'Onorevole Direzione di coteste Letture Cattoliche, a riguardo anco delle quali non ommetterò all'opportunità di favorire i voti che ella mi esprimeva per conto della medesima Direzione.

                Le compiego intanto un vaglia di lire 7.20 con preghiera rispettosa di procurarmi N. 4 copie delle prenunciate Letture Cattoliche...

                Nell'anticiparle intanto i miei ringraziamenti mi è lieto protestarmi...

 

+ FRANCESCO MARIA

Vescovo di S. Miniato.

                S. Miniato, 29 gennaio 1863. [860]

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                Ancorchè io dia volontieri la mano che posso ad altre buone ed utili opere che si pubblicano periodicamente in queste parti, mi è caro tuttavia il corrispondere in qualche modo al pio desiderio espressomi dalla S. V. M. R. nella gentilissima sua del 20 corrente, e le invio l'inchiuso vaglia di lire 22,50 pregandola a farmi iscrivere come associato per un anno e per dieci copie alle ottime Letture Cattoliche le quali si pubblicano in codesta sua città.

 

                Ringraziandola vivamente .....

 

Aff.mo di cuore

+ G. Card. BALUFFI

                Imola, 30 gennaio 1863.

 

                               Stim.mo Signore,

 

                Purtroppo il Signore Iddio ne' suoi imperscrutabili disegni di Provvidenza sembra in oggi abbia sguinzagliato la Bestia descritta già dal Rapito di Patmos e tra le arti di ogni guisa che essa adopera le più raffinate e più scaltre per azzannare quanto più può, di vittime, non è certamente meno insidiosa e potente quella di tante stampe irreligiose e immorali, che liberamente ed impunemente scorrono ovunque nelle mani indistintamente di tutti. Epperò santo pensiero fu quello di apprestare a tanta colluvie di libri pessimi ed empi un antidoto, mediante la maggiore diffusione possibile di buoni libri. E da Bologna specialmente e da Modena, per tacere d'altre parti più di contatto, qui grazie a Dio ne affluiscono. Ciò non ostante siccome apprezzo le premure di V. S. Rev.da meritevole di particolari riguardi pe' suoi buoni fatti, non lascierò da canto mio usar delle pratiche a favore anche delle Letture Cattoliche, che costì pure utilmente si pubblicano.

                Accetti sè non altro il mio buon volere .....

Aff.mo di cuore

+ A. B. Card. ANTONUCCI Arc. V.

                Ancona, 5 febbraio 1863.

 

                               Molto Rev. Signore,

 

                Non si può mai abbastanza commendare lo zelo ed il fervore di que' dotti che si adoperano a tutt'uomo alla sana pubblicazione e propagazione di buoni libri, onde con ciò contrapporre un argine alla sfrenata [861] diramazione di pestiferi scritti che si vendono e si donano ben anco. Onde è che ben volontieri mi adoprerò per la diffusione dei libretti che sono messi in luce da cotesta benemerita società delle Letture Cattoliche, dei quali libretti contenenti bellissime cose diversi di già ne posseggo.

                Ma coteste benemerite società si sono oramai tanto moltiplicate in Italia e fuori, che difficile cosa riesce il trovare amatori di scritti buoni, che d'altronde sarebbe desiderabile di trovarli nelle mani di ognuno.

                Tuttavia se Ella favorirà mandarmi alcuni manifesti dai quali si conosca l'indole degli scritti e gli oneri annessi, mi farò grata premura di adoperarmi perchè anche la mia diocesi sia a parte di un tanto bene...

 

+ Card. LUCCIARDI, Vesc.

                Sinigaglia, 5 febbraio 1863.

 

                               Molto Rev.do Signore,

 

                L'accluso vaglia postale di lire 6 è pel semestre di Associazione da gennaio in poi alle Letture Cattoliche per N. 5 copie. Una copia la dirigerà a questo deg.mo Mons. Vescovo, Pier Paolo Trucchi, cui ella diresse il pregiato foglio dei 20 p. p. gennaio e che mi ha incaricato di salutarla distintamente.....

                Godo siamisi presentato questo incontro onde congratularmi seco Lei per tanto zelo che addimostra per la diffusione de' buoni scritti e segnatamente per la bella Storia d'Italia, opportunissima ne' tempi presenti alla gioventù, di cui tempo fa provvidi parecchie copie per questi seminaristi.

                Se valgo a qualche cosa, non mi risparmi, mentre ecc.

 

                Seminario di Forlì, 11 febbraio 1863.

CHEREMONE CREMONESI, Rett.

 

 

                               Molto Rev. Signore,

 

                Corre il terzo anno da che al fine di mettere un antidoto alle stampe religiose e immorali mi consigliava ad animare alcuni Ecclesiastici di questa città, per istituire anche in questa diocesi una società per le buone letture. Essi fecero e fanno quel meglio che possono ad onta delle molte contraddizioni, che non mancano mai alle opere che tendono alla gloria di Dio ed al vantaggio del prossimo. Semprechè mi se ne presenta l'occasione non lascio di raccomandare a viva voce, ai parrochi specialmente, questa Società Pisana, ma fin qui non ho emesso [862] a favore della medesima alcun pubblico atto. Da ciò ella ben vede che non potrei farmi a raccomandare pubblicamente la Società di Torino. Tuttavia avrà cura di farla conoscere al clero, e la raccomanderò anche più vivamente ai Direttori di questa Società, i quali si procurano, per la diffusione, i buoni libri da ogni parte. Anzi so che già hanno incominciato a provvedersi di molte copie della Novella amena d'un vecchio soldato di Napoleone I. Come hanno fatto di questa così pregherò ed insisterò perchè facciano anche delle altre pubblicazioni che giudicheranno essere più acconce ad essere distribuite in questa diocesi. Credo che così si raggiungerà anche meglio lo scopo a cui ella tende raccomandandomi la società di Torino.

                Voglia raccomandarmi e farmi raccomandare a Dio e alla Vergine Immacolata.

 

                Pisa, 11 febbraio 1863.

+ Card. CORSI, Arciv. di Pisa.

 

 

                               Rev.mo Signore,

 

                Per corrispondere il meglio che per me si può al santo fine che V. S. Rev.ma si è proposto nell'Associazione alle Letture Cattoliche - delle quali mi tiene parola nella sua umanissima del 20 dello scorso mese, le acchiudo un vaglia corrispondente al prezzo di due copie e ad una sottoscrizione ristrettiva a mesi sei. Io mi darò tutto ìl pensiero per procacciare firme alle dette Letture e spero che il Signore si degnerà di benedire l'opera mia. Con tutta l'effusione del cuore pregherò per Lei, come la supplico di pregare per me e con stima specialissima, ecc., ecc.

 

                Osimo, 10 febbraio 1863.

FRANCESCO Canonico INNOCENZI, Vic. Cap.

 

 

                               Ill.mo Signore,

 

                Adempio la promessa fatta nell'ultima mia, con mandare alla S. V. Ill.ma un vaglia di lire 50 per prezzo annuale anticipato di copie 25 di coteste Letture Cattoliche, la quale somma è per conto e per ordine di questo Mons. Vescovo mio degnissimo Padrone.

                Profitto di tale incontro per ringraziare la S. V. Ill.ma dei 25 esemplari della vita della B. Catterina De Mattei e per professarmi ecc.

 

                Gubbio, 27 febbraio 1863.

ANNIBALE RIGUCCI Seg. Vescovile.[863]

 

 

APPENDICE N. 4.

 

REGOLAMENTO PEL COLLEGIO CONVITTO DI S. CARLO

IN MIRABELLO.

 

CAPO I.

 

Scopo del collegio.

 

                Scopo di questo collegio si è l'educazione morale, letteraria e civile della gioventù che aspira alla carriera degli studii. L'educazione morale verrà data coll'insegnamento dei principii e delle massime di nostra Santa Cattolica Religione. L'educazione letteraria o scientifica si estende alle classi elementari e ginnasiali. Tale insegnamento sarà impartito secondo i programmi governativi sulla pubblica istruzione.

 

                Condizioni d'accettazione.

 

                I° Ogni alunno nella sua entrata deve essere munito della fede di nascita, di battesimo, di vaccinazione o di sofferto vaiuolo, di scuola, e di moralità dal proprio parroco. .

                2° Abbia l'età di anni otto e non oltrepassi i quattordici, nè sia stato espulso da altra casa di educazione. Il Direttore colla massima prudenza esaminerà i casi particolari in cui si dovessero fare modificazioni a queste condizioni. Le altre intelligenze si possono leggere nel programma a parte.

 

CAPO II.

Direttore.

 

                Il Direttore è capo del Collegio; a lui spetta il ricevere, il licenziare gli alunni, ed è responsabile dei doveri, della moralità di ciascuno impiegato e degli alunni del Collegio.

                Il Direttore soltanto ha facoltà di fissare per ciascuno le proprie occupazioni: e niuno può introdurre variazioni nell'orario o nella disciplina senza l'espresso di lui consenso. [864]

 

CAPO III.

Prefetto.

 

                I° Il Prefetto, ossia economo, ha cura di tutta la gestione materiale del Collegio, e fa le veci del Direttore in sua assenza nell'amministrazione, e in tutte le cose di cui ne fosse espressamente incaricato.

                2° Egli assiste ai contratti, tiene conto delle entrate e delle uscite, provvede quanto è necessario pel vitto, vestito e combustibili, ma sempre nei limiti stabiliti col Direttore.

                3° Secondo le norme di amministrazione ammesse nella nostra casa, avrà cura del libro maestro, sopra cui registrerà, nome, cognome degli alunni e le condizioni di loro accettazione.

                4° Avrà parimenti cura che i novelli alunni siano tosto affidati al catechista perchè vengano istruiti intorno alle regole del Collegio.

                5° Cessando qualche alunno di appartenere al Collegio, noterà il giorno dell'uscita, ed i motivi per cui è uscito.

                6° Il Prefetto veglierà sulla esatta osservanza della disciplina di tutto il collegio, specialmente dei coadiutori, cioè di quelli cui sono affidati i lavori materiali dello stabilimento.

                7° Non trascuri mai nè tempo, nè luogo, nè persone per dare avvisi, consigli o correzioni, ogni volta ne occorra il bisogno e se ne presenti l'opportunità.

                8° Provveda quanto è necessario; ma studii di evitare le spese inutili e superflue. Le riparazioni, provviste di abiti, di suppellettili, viaggi non necessarii sono punti suscettibili di molte economie. Lo stesso dicasi del consumo dei lumi, commestibili, legnami e simili.

                9° Procuri di avere ogni mese il voto di ciascun allievo dal Direttore delle scuole e dal catechista, per essere in grado di dare avvisi o fare correzioni secondo il bisogno.

                10° Alla sera all'ora stabilita raduni tutti i coadiutori, li diriga e li assista nella recita delle preghiere, e dopo lasci sempre loro qualche ricordo cristiano.

                11° Il Prefetto seguirà le disposizioni del Direttore nella sua amministrazione e dovendosi modificare qualche cosa, prenderà col medesimo le opportune intelligenze.

 

CAPO IV.

Catechista.

 

                I° Il Catechista ha l'incarico di vegliare sopra gli allevi e provvedere ai loro bisogni spirituali; e per quanto è possibile deve essere un sacerdote [865] di una condotta esemplare ed irreprensibile in faccia a tutti gli alunni del Collegio.

                2° È sua cura di fissare al nuovo alunno un posto nella chiesa, nel refettorio, nel dormitorio; di poi lo accompagni al Direttore degli studi, affinchè gli assegni il posto opportuno per la scuola e per lo studio. Tanto il catechista quanto il direttore degli studi facciano in modo che nessuno degli allievi sia abbandonato a se stesso senza libri o fuor di classe.

                3° Istruirà gli allievi intorno alle regole del Collegio e con le maniere le più dolci e caritatevoli indagherà di quale istruzione religiosa abbiano particolare bisogno e si darà la massima premura per ammaestrarli.

                4° È sua cura di badare che gli alunni del Collegio imparino tutti almeno il catechismo piccolo della diocesi. A tal fine darà ogni settimana non meno di una lezione di catechismo. Terrà nota di quelli che sono già promossi alla Santa Comunione, se hanno ricevuto il Sacramento della Cresima, se devono essere presi in maggior considerazione per imparare il catechismo, le preghiere del mattino e della sera.

                5° Vegli attentamente sopra i loro difetti per essere poi in grado di correggerli opportunamente, e di notare in fine di ciascun mese il voto sulla condotta morale di ogni allievo.

                6° Sorveglierà che tutti si trovino per tempo alle preghiere ed a tutte le altre pratiche di pietà, vi stiano con atteggiamento divoto, preghino con voce regolare, chiara, distinta.

                7° Assegnerà ogni settimana una lezione del nuovo Testamento ai chierici, la spiegherà brevemente e la farà recitare; a meno che il Direttore giudichi di fare egli stesso questo ufficio.

                Insegnerà le cerimonie pel servizio ecclesiastico.

                8° Avrà cura dei paramentali, della cera, del vino, della nettezza della sacrestia e della Chiesa. Concerterà col Direttore quanto occorre pel canto, per la predicazione e pei catechismi; e nei giorni festivi esso farà o la spiegazione del Vangelo, oppure una breve istruzione a beneplacito del Direttore.

                9° Procurerà che tutti i giovani imparino a servir bene la Santa Messa sia colla chiara e distinta pronuncia delle parole, sia col prendere all'altare le varie posizioni che in questo atto religioso sono necessarie.

                10° Procurerà che i capi dei dormitorii siano diligenti nei loro doveri, tengano buona condotta; e faccia in modo che niuno manchi alle sacre funzioni tanto nei giorni festivi, quanto nei giorni feriali, nel che si farà aiutare dai decurioni.

                11° Al medesimo catechista è affidata l'infermeria e venendo qualcheduno ammalato avrà cura che nulla gli manchi nè per lo spirituale, nè pel temporale; ma andrà molto cauto a proporre rimedii senza ordine del medico.

                12° Con zelo grande loderà e promuoverà la compagnia di S. Luigi, del SS. Sacramento, dell'Immacolata e del piccolo clero. [866]

 

CAPO V.

Dispensiere.

 

                I° Il Dispensiere è incaricato di tutte lc piccole somministranze che occorrono agli studenti in libri, quaderni ed altri oggetti di cancelleria. Farà un catalogo dei giovani che prenderanno in tutto o in parte  le somministranze nel Collegio e noterà qualità, valore dell'oggetto, nome e cognome dell'allievo che lo riceve e farà ogni mese l'addizione della spesa di ciascuno.

                2° Fara in modo la sua gestione da poter dare conto almeno complessivo al Prefetto una volta al mese.

                3° Ogni settimana darà un'occhiata per assicurarsi della nettezza della testa dei giovani, badando che niuno abbia capigliatura troppo lunga, perchè tal cosa influisce molto a generare insetti.

                4° A coloro che ricevono la biancheria dalla casa farà dare dal guardaroba ogni sabbato una camicia ed un asciugamano, ogni mese due lenzuoli, moccichini e calzette secondo il bisogno.

                5° La domenica mattina farà raccogliere la biancheria sucida, con attenzione che nulla si smarrisca nei dormitorii e nelle stanze private.

                6° Userà la massima sollecitudine che tutti gli oggetti di biancheria o di vestiario, tanto del collegio quanto degli allievi, siano notati con segno distintivo, affìnchè non vadano confusi gli uni con quelli degli altri.

                7° Sarà pure di lui ufficio il ricevere dagli alunni abiti o scarpe logore; e conosciuto qualcheduno in bisogno di abiti nuovi e scarpe ne renderà consapevole il Prefetto per la provvista.

                8° Il dispensiere dipende intieramente dal Prefetto, il quale perciò può modificare le attribuzioni nel modo e nel tempo che egli giudicherà tornare a maggior gloria di Dio.

 

CAPO VI.

Direttore degli studii.

 

                I° Il Direttore degli studii o delle scuole è incaricato di quanto riguarda agli allievi, ai maestri ed alle cose che ai medesimi possono riferirsi.

                2° Ricevuto un allievo il Direttore degli studii avrà cura che sia collocato nella classe cui sarà giudicato idoneo e abbia un posto nello studio e nella scuola.

                3° Occorrendo oggetti di scuola, vertenza tra studenti, o lamenti da parte de' maestri, gli allievi si indirizzeranno al Direttore delle scuole. [867]

                4° Avrà somma cura che gli allievi siano puliti quando vanno alla parata, disponendo l'assistenza in modo che niuno si possa allontanare dalle file. Conti per grave mancanza per chi si allontana dalle file e va a comperare libri, commestibili, liquori od altro nelle pubbliche officine.

                5° Di concerto col Direttore del Collegio provvederà o farà riparare i banchi, le tavole, i sedili, gli scrittoi, i cancelli per lo studio e per le scuole; e di questi lavori, qualora occorrano, darà nota al Prefetto per la pronta esecuzione.

                6° D'accordo col Direttore del Collegio stabilirà gli insegnanti pei corsi principali, i supplenti, i maestri dei corsi accessorii, gli assistenti, i decurioni e vice-decurioni dello studio, i capi dei dormitorii e di passeggiata. Abbia poi frequenti relazioni coi suoi impiegati per udire i loro riflessi intorno alla disciplina e moralità dei giovani, ed anche per dar loro i consigli che egli ravvisasse di loro utilità. Ricordi sovente ai maestri che lavorano per motivi soprannaturali; perciò mentre insegnano la scienza letteraria, non manchino di ricordare la scienza che riguarda alla salvezza dell'anima.

                7° Il fissar l'epoca degli esami tanto semestrali quanto finali, le variazioni dei giorni di scuola, le vacanze, le dispense di qualche cosa che riguardi all'insegnamento, i ripetitori e le ripetizioni a chi ne fosse mestieri sono cose di competenza del Direttore degli studii, ma sempre previa intelligenza col Direttore del Collegio. (Parte Iª).

 

 

APPENDICE N. 5.

 

PROGRAMMA

 

DEL PICCOLO SEMINARIO VESCOVILE DI S. CARLO IN MIRABELLO

 

(Ved. pag. 522).

 

Condizioni d'accettazione.

 

                I° Ogni allievo nella sua entrata deve essere munito della fede di nascita e di Battesimo, di sofferto vaiuolo, di scuola e di moralità, in cui sia esplicitamente notata la frequenza alle funzioni parrocchiali.

                2° Età di otto anni compiuti ed abbia almeno terminata la prima elementare.

                3° L'insegnamento abbraccia la 2ª e 3ª elementare e le cinque classi Ginnasiali, fino alla filosofia esclusivamente. [868] In ciascuna classe si eseguiranno le discipline e la materia d'insegnamento in analogia de' programmi stabiliti dal Ministero della pubblica istruzione. Si useranno le più vive sollecitudini, affinchè agli allievi nulla manchi di tutto quello che può contribuire al loro profitto morale, sanitario e scientifico.

                4° Vi sono due gradi di pensione. Alla più piccola si corrispondono franchi 24 mensuali, e in essa avvi pane a colazione ed a merenda; pane vino, minestra, una pietanza a pranzo; pane e minestra a cena.

                Alla prima pensione franchi 32 ed avvi pane come sopra, vino minestra e due pietanze a pranzo; vino, minestra, una pietanza a cena.

                5° Per lettiera e pagliariccio, parrucchiere, inchiostro, lume e caldo d'inverno, si pagheranno franchi 20 annui a semestri anticipati.

                6° La pensione si paga eziandio a trimestri anticipati.

                Chi passa solamente alcuni giorni in seminario gli si computa la metà del mese; chi poi oltrepassa la metà del mese gli è calcolata l'intera mensuale pensione. Non si farà alcuna riduzione a chi rimane fuori del piccolo seminario meno di quindici giorni.

                Si farà eziandio un deposito per le minute spese.

                I giovani non possono tener danaro presso di sè, ma devono consegnarlo al Prefetto che lo ritornerà a semplice loro richiesta.

                7° Le spese di bucato, soppressatura, rappezzatura di abiti e di scarpe sono a carico de' parenti.

                Quelli poi che giudicassero meglio di esonerarsi da questi lavori, potrebbero affidarli al seminario che si offre di farli eseguire a loro conto.

                8° Col pagamento regolare della pensione, oltre all'istruzione relativa a ciascuna classe, è a tutti fatta facoltà di prendere parte alla scuola di canto gregoriano, di musica vocale; ai primi esercizi di declamazione ed anche alla ripetizione che suole farsi per coloro cui il rispettivo maestro ne ravvisasse il bisogno.

 

Corredo.

 

                I° Non v'è uniformità negli abiti; ma si raccomanda un abito nero per le passeggiate, pei giorni di festa e pei casi di uscita.

                2° Ognuno dovrà portare quanto occorre pel vestiario e pel letto, ad eccezione della lettiera e del pagliericcio.

                3° Il corredo ordinario sarà almeno di 4 lenzuola; 6 camicie; 2 paia mutande; 2 paia di scarpe; 4 paia di calzette; 6 salviette; 8 asciugamani; brocca e catinella; pettini; spazzola per gli abiti; altra per le scarpe; due mute di abiti in buono stato, una da portarsi nelle occupazioni quotidiane, l'altra pei casi d'uscita dal seminario. [869]

 

                Indicazioni necessarie.

 

                I° L'epoca dell'incominciamento degli studi e degli esami nelle rispettive classi sarà conforme a quanto è stabilito per le pubbliche scuole governative.

                2° Ognuno procurerà di portare gli oggetti di vestiario notati coi numero fissato nell'atto di accettazione.

                3° Le domande si faranno a S. E. Mons. Luigi di Calabiana, Vescovo di Casale, Senatore del R. oppure al Direttore del Piccolo Seminario di S. Carlo in Mirabello.

                A questo paese si va per la ferrovia di Alessandria e Casale con fermata alla stazione di Giarole, donde un omnibus in venti minuti di corsa trasporta regolarmente bagagli e passeggeri a Mirabello.

Aggiunta pel 1864-1865.

 

                In quanto alle vacanze autunnali, saranno date nei primi 15 giorni di agosto dopo gli esami finali e nei 15 giorni prima dell'incominciamento del nuovo anno scolastico.

 

 

APPENDICE N. 6.

 

RACCOMANDAZIONI DEL MINISTRO DEI L. P.

E DELLA DIREZIONE DELLE FERROVIE.

(Ved. pag. 613).

 

                MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI

                SEGRETARIATO GENERALE

Divisione II - N. 132] Torino, 20 febbraio 1864.

 

                Una improvvisa caduta da un ponte di servizio successa all'Assistente nel Genio Civile, Antonio Grattarola, avvenuta nel mese di Dicembre scorso, mentre attendeva alla direzione dei lavori di adattamento di nuovi locali nel palazzo de' Regi Musei in Torino, privava di padre una famiglia composta della di lui consorte e di otto figli, la più parte in tenera età costituiti, uno di essi tuttora lattante.

                Priva di ogni risorsa la Vedova Grattarola muove istanza per ottenere il ricovero di uno de' suoi figli, Giacomo Grattarola, d'anni dodici, nell'Istituto fondato e diretto da V. S. Rev.da, onde ivi sottrarlo alla [870] comune miseria de' suoi germani, educarlo alla virtù e al lavoro e renderlo un giorno utile a sè ed alla madre.

                Il sottoscritto in vista della specialità delle condizioni veramente critiche in cui versa la famiglia Grattarola, amerebbe vedere accolto quel voto, dalla qual cosa non lieve suffragio tornerebbe alla medesima.

                In questo proponimento egli si permette di raccomandare quel giovane alla pietà della S. V., non senza pregarla che voglia esaminare se non le torni possibile di far luogo all'ammissione in cotesto Istituto del ricordato giovane Giacomo Grattarola, ed ove un contributo di questo Ministero possa renderla più agevole, egli si reca a premura di annunziarle essere disposto ad assegnare a codesto Istituto una somma di lire dugento a titolo di oblazione per una volta tanto che si farà premura di far corrispondere per mandato regolare alla S. V., ove, siccome spera, voglia favorirla di affermativo riscontro.

 

                A D. Bosco

Per il Ministro

BOLLA.

 

 

                MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI

                SEGRETARIATO GENERALE

                Divisione II - N. 338

Torino, 30 Marzo 1864.

 

                Nell'atto che il sottoscritto si protesta molto tenuto alla S. V. per la bontà colla quale ebbe a secondare le fatte istanze per l'ammissione in codesto Istituto del giovane Giacomo Grattarola, del quale è cenno nella riverita sua lettera del 29 di febbraio u. s., egli si compiace di annunziarle, che,  conformemente alla disposizione esternatale con precedente sua del 20 detto mese, ha provvisto, perchè sia corrisposta a mani della S. V. una somma di lire dugento a titolo di oblazione di questo Ministero.

                Ella potrà quindi curare la esazione di detta somma fra otto o dieci giorni sovra questa Tesoreria centrale, secondo che stassi fin d'ora emettendo il relativo mandato di pagamento.

                A D. Bosco

Pel Ministro

BOLLA.

 

                Grattarola Giacomo fu Antonio nato nel 1852 in Carignano, entra nell'Oratorio il 27 marzo 1864.

                Il Direttore generale delle ferrovie senatore Bartolomeo Bona, il 18 marzo 1864, avvisa D. Bosco che gli manderà i due fratelli orfani Ernesto e Camillo Canfari di Torino.

                Il giovane Bettancini Francesco nato in Genova, ammesso nell'Istituto, si presenta con biglietto timbrato, avente la data del 25 [871] luglio 1864, firmato, pel direttore generale Bona, da un direttore capo di divisione.

                Nel biglietto si annunzia che, essendo il giovane sprovvisto di corredo, la Direzione generale delle strade ferrate dello Stato pagherà all'Oratorio lire cento, secondo l'intelligenza avuta con Don Bosco; e che il decreto è già firmato.

                Il senatore Bona raccomanda a D. Bosco, ed è accettato, il giovane Pozzo che presentasi con biglietto della direzione, firmato il 30 agosto 1864.

                Dal Ministero dei Lavori Pubblici, Direzione generale delle Strade Ferrate, venivano pur raccomandati i giovani: Pola Vittorio di Giovanni, nato nel 1853 in Torino, artigiano, che entra nell'Oratorio il 4 agosto 1864; Chiesa Tobia di Giovanni da Sale, nato nel 1849, accolto il 24 ottobre 1864; Ciencia Antonino di Antonio da Caprile Biella, nato nel 1853, ricoverato il 4 novembre 1864.

                Con data del 19 novembre 1864 fu, scritto il seguente foglio:

                In contemplazione del ricovero che il sig. D. Bosco si è disposto a dare nel proprio stabilimento agli orfani Enrico e Francesco Gramegna, venne per decreto, sancito dal sig. Ministro in data 14 corrente, autorizzato il pagamento a favore dello stesso Istituto della somma di lire 250 per una volta tanto, a titolo di concorso dell'Amministrazione della ferrovia nella relativa spesa.

 

Pel Direttore Generale

SOLDI.

 

 

APPENDICE N. 7.

 

REGOLE DELLA PIA SOCIETA SALESIANA

 (Ved. pag. 613).

 

Società di S. Francesco di Sales.

 

                In ogni tempo fa speciale sollecitudine dei ministri della nostra santa cattolica religione di adoperarsi con zelo a fine di promuovere il bene spirituale della gioventù; perciocchè dalla buona o cattiva educazione di essa dipende un buono o tristo avvenire ai costumi della società. Il medesimo Divin Salvatore ci diede col fatto evidente prova di questa verità quando compieva in terra la sua divina missione, invitando con parziale affetto i fanciulli ad appressarsi a Lui: Sinite parvulos venire ad me. I Vescovi e specialmente i Sommi Pontefici seguendo le vestigia del Pontefice eterno il Divin Salvatore, di cui fanno le veci sopra la terra, promossero in ogni tempo colla voce e cogli scritti la buona educazione [872] della gioventù. Il regnante Pio IX, che Dio lo conservi lungo tempo a gloria della Chiesa, oltre le indefesse fatiche sostenute a favore della pericolante gioventù, favorì con particolari mezzi materiali e morali quelle istituzioni, che a questa parte di sacro ministero dedicano le loro cure. Ai nostri giorni per altro il bisogno è di gran lunga più sentito. La trascuratezza di molti genitori, l'abuso della stampa, gli sforzi degli eretici o dei settari per accrescere il numero dei loro seguaci, mostrano la necessità di unirci insieme a combattere per la Causa del Signore sotto lo stendardo del Vicario di Gesù Cristo, per conservar la fede ed il buon costume soprattutto in quella classe di giovani che per essere poveri sono esposti a maggior pericolo della loro eterna salute. Egli è questo lo scopo della Società o Congregazione di S. Francesco di Sales.

 

II.

 

Origine di questa Società.

 

                Fino dall'anno 1841 il Sac. Bosco Giovanni si univa ad altri ecclesiastici per accogliere in appositi locali i giovani più abbandonati della città di Torino a fine di trattenerli con trastulli, e nel tempo stesso dar loro il pane della divina parola. Ogni cosa facevasi d'accordo coll'autorità ecclesiastica.

                Benedicendo il Signore questi tenui principii il concorso dei giovani divenne assai grande, e nell'anno 1844 Mons. Fransoni, nostro venerato Arcivescovo di f. m., concedeva di ridurre un edifizio a forma di chiesa[71], con facoltà di fare ivi quelle sacre funzioni che sono necessarie per la santificazione dei giorni festivi, e per l'istruzione dei giovani che ogni giorno più numerosi intervenivano. Ivi l'Arcivescovo venne più volte ad amministrare il Sacramento della Cresima. L'anno 1846 concedeva che tutti quelli che intervenivano a tale istruzione potessero ivi essere ammessi alla Santa Comunione e adempiere il precetto pasquale, permettendo di cantare la Santa Messa, fare tridui e novene qualora ciò si ravvisasse opportuno. Queste cose ebbero luogo fino all'anno 1847 nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. In quell'anno crescendo il numero dei giovani e così divenuta ristretta la chiesa attuale, col consenso sempre dell'autorità ecclesiastica, si aprì in altro angolo della città, viale dei Platani a Porta Nuova, un secondo Oratorio sotto al titolo di S. Luigi Gonzaga, col medesimo scopo dell'antecedente. Divenuti insufficienti anche questi due locali, l'anno 1849 se ne apriva [873] un terzo in Vanchiglia, altro quartiere di questa città, sotto al titolo del S. Angelo Custode.

                I tempi rendendosi ognor più calamitosi per la religione, il Superiore ecclesiastico con tratto di grande bontà di motu proprio approvava il Regolamento di questi oratorii, e ne costituiva Direttore capo il Sac. Bosco, concedendogli tutte quelle facoltà che potessero tornare necessarie ed opportune a questo scopo.

                Molti Vescovi adottarono il medesimo piano di regolamento, e si adoperano per introdurre nelle loro diocesi questi Oratorii festivi. Ma un bisogno grande apparve nella cura di tali Oratorii. Non pochi giovani già alquanto di età avanzata non potevano essere abbastanza istruiti col solo catechismo festivo, e fu mestieri aprire scuole e catchismi diurni e serali, da tenersi aperti nel decorso della settimana. Anzi molti di essi trovavansi talmente poveri ed abbandonati che per torli dai pericoli, istruirli nella religione ed avviarli al lavoro, non si trovò più altro mezzo che raccoglierli in appositi locali e colà somministrar loro quanto ènecessario per la vita. Il che da diciasette anni si pratica in Torino nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales, ove i ricoverati sono in numero di 700 circa.

                Altra casa fu aperta nell'anno 1863 in Mirabello di Monferrato sotto al titolo di piccolo Seminario di S. Carlo, ove circa cento giovani sono educati secondo il Regolamento di questa Società.

                Per le adunanze dei giovani solite a farsi negli Oratorii festivi, per le scuole diurne e gerali e pel numero ognora crescente dei ricoverati la messe del Signore divenne ognor più copiosa. Onde per conservare l'unità di spirito e di disciplina, da cui dipende il buon esito degli oratorii, fin dall'anno 1844 alcuni ecclesiastici si raccolsero in una specie di Società o Congregazione, aiutandosi a vicenda e coll'esempio e coll'istruzione.

                Essi non facevano alcun voto e si limitavano ad una semplice promessa di occuparsi nell'istruzione dei giovani ed in altre parti del Sacro ministero che loro sembrasse di maggior gloria di Dio e vantaggio dell'anima propria. Riconoscevano il loro Superiore nel Sac. Bosco Giovanni. Sebbene non facessero voti, tuttavia in pratica si osservavano presso a poco le regole che sono qui esposte.

 

 

Scopo di questa Società.

 

                I° Lo scopo di questa società si è la perfezione cristiana de' suoi membri, ogni opera di carità spirituale e corporale verso de' giovani specialmente se sono poveri, ed anche la educazione del giovane clero. Essa poi si compone di ecclesiastici, di chierici e di laici. [874]

                2° Gesù Cristo cominciò fare ed insegnare, così i congregati comincieranno a perfezionare se stessi, colla pratica delle interne ed esterne virtù, coll'acquisto della scienza, di poi si adopreranno a benefizio del prossimo.

                3° Il Primo esercizio di carità sarà di raccogliere i giovani più abbandonati per istruirli nella S. Cattolica Religione particolarmente ne' giorni festivi, come si pratica in questa città di Torino nei tre oratorii di S. Francesco di Sales, di S. Luigi Gonzaga ed in quello del Santo Angelo Custode.

                4° S'incontrano poi alcuni giovani talmente abbandonati che per loro riesce inutile ogni cura se non sono ricoverati. A tale uopo, per quanto sarà possibile si apriranno case di ricovero, ove coi mezzi che la Divina Provvidenza porrà fra le mani, verrà loro somministrato alloggio, vitto e vestito. Mentre poi verranno istruiti nelle verità della fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere, come attualmente si fa nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in questa città[72].

                5° In vista poi dei gravi pericoli che corre la gioventù desiderosa di abbracciare lo stato ecclesiastico, questa società si darà cura di coltivare nella pietà e nella vocazione coloro, che mostrassero speciale attitudine allo studio ed eminenti disposizioni alla pietà. Trattandosi di ricoverare giovani per lo studio saranno di preferenza accolti i più poveri, perchè mancanti di mezzi di far altrove i loro studii e purchè porgano fondata speranza di riuscita nello stato ecclesiastico. Nella casa di Valdocco sono circa 355 ed in Mirabello oltre a cento i giovani che percorrono i corsi classici con questo scopo.

                6° Il bisogno di sostenere la Religione Cattolica si fa gravemente sentire anche fra gli adulti del basso popolo e particolarmente nei paesi di campagna; perciò i congregati si adopreranno di dettare esercizii spirituali, diffondere buoni libri, usando tutti quei mezzi che suggerisce la carità affinchè e colla voce e cogli scritti si ponga un argine all'empietà e all'eresia, che in tante guise tenta d'insinuarsi fra i rozzi e gli ignoranti. Ciò al presente si fa col dettare di quando in quando qualche muta di esercizi spirituali, con tridui e novene, colla pubblicazione delle Letture Cattoliche e colla tipografia da due anni appositamente iniziata nella casa di Valdocco per la stampa di libri buoni.

                7° Ma è principio adottato e che sarà inalterabilmente praticato, che tutti i membri di questa Società si terranno rigorosamente estranei ad ogni cosa che riguarda la politica. Onde nè colla voce, nè cogli scritti, o con libri, o colla stampa non prenderanno mai parte a questioni che anche solo indirettamente possano compromettere in fatto di politica. [875]

 

IV.

 

Forma di questa Società.

 

                I° Tutti i congregati tengono vita comune stretti solamente dal vincolo della fraterna carità e dei voti semplici che li unisce a formare un cuor solo e un'anima sola per amare e servire Iddio colla virtù dell'obbedienza, della povertà, della castità e coll'esatto adempimento dei doveri di buon cristiano.

                2° Ognuno nell'entrare in Congregazione non perde i diritti civili, anche dopo fatti i voti, quindi conserva la proprietà delle cose sue, la facoltà di succedere e di ricevere eredità, legatio donazioni. Ma per tutto il tempo che vivrà in Congregazione non potrà amministrare i suoi beni se non nel modo e nei limiti voluti dal Superiore Maggiore.

                3° I frutti degli stabili e mobili portati in Congregazione, per tutto il tempo che egli vi rimane, devono cedersi a favore della stessa. Può per altro liberamente disporre in essa di quanto possiede fuori di Congregazione, ma sempre col consenso del Superiore.

                4° I chierici e sacerdoti, anche dopo fatti i voti, ritengono i loro patrimonii ecclesiastici e benefizii semplici, ma non li amministreranno, nè potranno goderli in particolare.

                5° L'amministrazione dei patrimonii, dei benefizii e di quanto è portato in Congregazione appartiene al Superiore Generale, il quale o per sè o per altri li amministrerà e ne riceverà i frutti annui finchè l'individuo sarà in Congregazione.

                6° Al medesimo Superiore ogni sacerdote consegnerà eziandio la limosina delle messe. Gli altri poi, o chierici o laici, gli consegneranno ogni sorta di danaro, che in qualsiasi modo loro possa pervenire, affinchè serva a benefizio comune.

                7° La Società provvederà a ciascuno tutto quello che è necessario al vitto, agli abiti, ed a quanto può occorrere nelle varie vicende della vita, sia nello stato di sanità sia, in caso di malattia; anzi occorrendo ragionevole motivo il Superiore può mettere a disposizione di qualche socio quel danaro, o quegli oggetti che egli giudicherà bene impiegati a maggior gloria di Dio.

                8° Se alcuno morisse senza testamento, gli succederà chi di diritto.

                9° I voti obbligano l'individuo finchè dimora in Congregazione. Se alcuno o per ragionevole motivo o dietro a prudente giudizio dei Superiori dovesse partire dalla Congregazione, egli può essere sciolto dai voti dal Superiore Generale della Casa Maestra.

                10° Ognuno faccia di perseverare nella sua vocazione fino alla morte. Ciascuno si ricordi di quelle gravi parole del Divin Salvatore: Nemo mittens manum ad aratrum et respiciens retro, aptus est regno Dei. [876]

                11° Ciò non ostante, se taluno uscisse di Congregazione, non potrà pretendere corrispettivo di sorta pel tempo che vi è rimasto, qualunque carica abbia egli coperto, qualunque lucro egli abbia procacciato alla Società. Egli può per altro portar seco quegli stabili ed anche quegli oggetti mobili di cui avesse conservato la proprietà entrando in Congregazione. Ma non ha alcun diritto di dimandare al Superiore conto alcuno dei frutti e dell'amministrazione dei medesimi pel tempo che egli visse nella società, a meno che vi siano stati patti particolari col Rettor Maggiore.

 

 

V.

 

Del voto di obbedienza.

 

                I° Il profeta Davide pregava Iddio che lo illuminasse a fare la sua santa volontà. Il Divin Salvatore ci assicurò che egli non è venuto per fare la sua volontà, ma

                quella del suo Celeste Padre. Egli è per assicurarci di compiere in ogni azione questa santa volontà di Dio che facciamo il voto di obbedienza.

                2° Questo voto obbliga a non occuparci se non in quelle cose, che il rispettivo Superiore giudicherà di maggior gloria di Dio e vantaggio dell'anima propria e del prossimo, secondo il regolamento di questa società.

                3° L'osservanza di questo voto non obbliga sotto pena di colpa, se non in quelle cose che sono contrarie ai comandamenti di Dio e di Santa Madre Chiesa od alle disposizioni dei Superiori, che esponessero il loro precetto con questa formola: Vi comando in virtù di S. Obbedienza.

                4° L'obbedienza ci assicura di fare la volontà di Dio. Sia ciascuno sottomesso al Superiore e io consideri in ogni cosa qual padre amoroso, e a lui obbedisca interamente, prontamente, con animo ilare e con umiltà, come a colui che in quell'azione rappresenta il volere di Dio medesimo.

                5° Niuno diasi sollecitudine di domandare cosa alcuna, nè di ricusarla. Chi per altro conoscesse essergli qualche cosa manchevole o necessaria, la esponga rispettosamente al Superiore che si darà sollecitudine di provvedere al bisogno.

                6° Ognuno abbia grande confidenza col Superiore, niun segreto del cuore si conservi verso di lui. Gli tenga eziandio la coscienza aperta ogniqualvolta giudicherà tornar a maggior gloria di Dio e a bene dell'anima propria.

                7° Ognuno obbedisca senza alcuna resistenza nè col fatto nè colle parole, nè col cuore. Quanto più una cosa sarà ripugnante a chi la fa, tanto più sarà meritoria dinanzi a Dio facendola. [877]

 

VI.

 

Del voto di povertà.

 

                I° L'osservanza del voto di povertà nella nostra Congregazione consta essenzialmente nel distacco da ogni bene terreno, il che noi praticheremo colla vita comune riguardo al vitto e vestito, non riserbando nulla a proprio uso senza speciale permesso del Superiore.

 

                2° È parte di questo voto il tener le camere nella massima semplicità, studiando di ornare il cuore di virtù, e non la persona o le pareti della camera.

 

                3° Niuno in Congregazione o fuori serbi danaro in proprietà, nemmeno in deposito per qualsiasi causa, senza il permesso dei Superiore.

 

                4° In caso di viaggio o in caso che il Superiore mandi ad aprire od amministrare qualche casa di beneficenza o a compiere qualche parte del sacro ministero, ove occorrano spese, il Superiore darà le disposizioni secondo le esigenze dei tempi, dei luoghi e delle persone.

 

                5° Il dare a, mutuo, ricevere o dispensare quelle cose che sono nella propria camera o nella casa, il fare contratti di qualsiasi genere non solamente è proibito cogli esterni, ma eziandio con quelli della Società, senza licenza del Superiore.

 

VII.

 

Del voto di castità.

 

                I° Chi tratta colla gioventù abbandonata deve certamente studiare di arricchirsi di ogni virtù. Ma la virtù angelica, la virtù più d'ogni altra cara al figliuolo di Dio, la virtù della castità deve essere coltivata in grado eminente.

 

                2° Chi. non ha fondata speranza, che col divino aiuto possa conservare la virtù della purità nelle opere, nelle parole, nei pensieri, non si faccia ascrivere a questa Congregazione, perchè ad ogni passo egli sarebbe esposto ai pericoli.

 

                3° Le parole, gli sguardi anche indifferenti sono talvolta malamente interpretati dai giovani già stati vittima delle umane passioni. Perciò massima cautela nel discorrere o trattare anche di cose indifferenti coi giovani di qualsiasi età o condizione.

 

                4° Fuggire le conversazioni delle persone di sesso diverso e dei medesimi secolari ove si prevede pericolo per questa virtù.

 

                5° Niuno si rechi a casa di conoscenti od amici senza espressa licenza del Superiore, il quale se può gli destinerà sempre un compagno. [878]

 

                6° Mezzi efficaci per custodire questa virtù sono la frequente confessione e comunione, la pratica esatta dei consigli del confessore, fuga dell'ozio, mortificazione di tutti i sensi del corpo; frequenti visite a Gesù Sacramentato, frequenti giaculatorie a Maria SS., a S. Giuseppe, a S. Francesco di Sales, a S. Luigi Gonzaga, che sono i principali protettori di questa Congregazione.

 

VIII.

 

Governo Religioso della Società.

 

                I° Dopo il Romano Pontefice, i socii riconosceranno per loro Superiore il Vescovo della Diocesi, ove ciascuna casa esiste.

 

                2° Ogni socio si offra in aiuto di lui con tutti i mezzi possibili a fine di promuovere il bene della Religione, specialmente nell'educazione dei giovanetti poveri.

 

                3° In quanto all'amministrazione dei Santi Sacramenti, alla predicazione ed a tutto quello che riguarda al pubblico esercizio del sacro ministero, i soci riconosceranno eziandio per loro superiore il Vescovo della Diocesi ove esiste la casa a cui essi appartengono, per quanto è compatibile colle regole della Società.

 

                4° In quanto alle ordinazioni i soggetti saranno ordinati dall'Ordinario della Diocesi dove si trovano gli ordinandi, secondo l'uso delle altre Congregazioni, che hanno unione di case, cioè secondo l'uso ed i privilegi delle Congregazioni considerate come ordini regolari.

 

IX.

 

Governo interno della Società.

 

                I° Per l'interno la Società dipende dalla Casa Madre, che è governata da un Capitolo composto di un Rettore, Prefetto, Economo, Direttore spirituale o Catechista e tre Consiglieri.

                2° Al Rettore appartiene il proporre l'accettazione dei postulanti o non proporla, assegna a ciascuno le incombenze riguardanti allo spirituale ed al temporale. Noti potrà per altro conchiudere contratti intono a sostanze immobili senza il consenso del Capitolo.

                3° Niuno, ad eccezione del Rettore e dei membri del Capitolo, può scrivere o ricevere lettere senza permesso del Superiore.

                4° Il Rettore durerà a vita nella sua carica. Ma qualora quod Deus avertat, egli trascurasse gravemente i suoi doveri, il Prefetto ed il Direttore possono di comune accordo radunare il Capitolo ed i Direttori delle case particolari per avvisare efficacemente il Rettore. Qualora questa [879] ammonizione non bastasse, il Capitolo presenterà il caso al Superiore ecclesiastico della Casa Madre dietro al cui parere si può venire alla deposizione.

                5° Il medesimo Capitolo così radunato ha l'autorità di eleggere un

                altro Rettore, ma in ogni caso l'elezione deve sempre farsi di un socio che abbia già fatta professione assoluta, cioè che abbia emessi i voti perpetui.

                6° Il Rettore poi convochi una volta l’anno il Capitolo ed i Direttori delle case particolari per conoscere e provvedere ai bisogni della Società; dare quelle provvidenze che secondo i tempi, i luoghi e le persone si giudicheranno opportune.

                7° Il Capitolo così radunato potrà anche aggiungere al presente regolamento quegli articoli che giudicherà opportuni pel bene della società; ma sempre in senso conforme alle regole già approvate e non mai in senso contrario.

                Nascendo qualche dubbio intorno all'intelligenza di qualche articolo del presente regolamento, il Rettore maggiore è autorizzato di dare al medesimo quella interpretazione che gli sembrerà essere di maggior gloria, di Dio e più conforme allo spirito della Società.

                8° Il Rettore si nominerà un Vicario fra gli individui della Congregazione e lo designerà con nome e cognome in foglio di carta. sigillata, tenendo tutto in secreto e sotto chiave. Sul piego sia scritto: Rettore provvisorio

                9° Il Vicario farà le veci del Rettore dalla morte di esso finchè non sia definitivamente eletto il successore; ma non potrà introdurre mutazione di sorta nella disciplina e nell'amministrazione durante il suo provvisorio governo.

                10° Il Vicario dia tosto avviso ai soci di i tutte le case della morte del Rettore, affinchè ognuno diasi la massima sollecitudine di prestargli i prescritti suffragi. Di poi inviti tutti i Direttori delle medesime case ad intervenire alla elezione del successore.

 

X.

 

Elezione del Rettore maggiore.

 

                I° Affinchè uno possa essere eletto Rettore si richiede che sia vissuto almeno otto anni in Congregazione, abbia compiuto trent'anni di età, abbia tenuta esemplare condotta in faccia a tutti i congregati. Qualora, concorressero tutte le altre doti in grado eminente, l'età può dal Capitolo diminuirsi fino a ventisei anni.

                2° Il Rettore non sarà definitivamente eletto finchè non siasi presentato al Superiore Ecclesiastico del luogo ove trovasi la Casa Maestra, [880] ed abbia al medesimo promessa ubbidienza e dipendenza in tutte le cose che riguardano all'esercizio esterno del sacro Ministero.

                3° La elezione del successore al Rettore defunto si farà così: Non prima di dieci e non più tardi di trenta giorni dopo la morte del Rettore, si raduneranno il Prefetto, Economo, Direttore spirituale, tre consiglieri, il Vicario, i Direttori delle case particolari che possono intervenire. Recitato il De Profundis in suffragio del Rettore defunto, invocata l'assistenza dello Spirito Santo coll'inno Veni Creator Spiritus, si daranno i voti segreti. Colui il quale riporterà i due terzi dei voti sarà il novello Rettore.

                4° Compiuta la elezione il Vicario ne darà avviso a tutte le case particolari, facendo in modo che la notizia del novello Rettore giunga a cognizione di tutti i membri della società. Con questo atto termina ogni autorità del Rettore provvisorio.

                5° Qualora il Rettore Maggiore morisse senza aver prima nominato un Vicario provvisorio, il Capitolo della Casa Madre è autorizzato di eleggerne uno che avrà cura della Società fino alla effettuata elezione del novello Rettore Maggiore.

 

XI.

 

Degli altri Superiori.

 

                I° Gli uffici proprii degli altri superiori della casa saranno dal Rettore ripartiti secondo il bisogno.

                2° Il Direttore spirituale per altro avrà cura dei novizii e si darà la massima sollecitudine per far loro conoscere e praticare lo spirito di carità e di zelo che deve animare colui che desidera dedicare interamente la sua vita al bene delle anime,

                3° E parimenti ufficio del Direttore avvisare rispettosamente il Rettore qualora scorgesse qualche notabile trascuranza nel praticare o far osservare le regole della Congregazione.

                4° Ma è poi cura speciale del Direttore d'invigilare sopra la condotta morale di tutti i congregati.

                5° Il Prefetto, il Direttore spirituale saranno eletti dal Rettore; l'Economo e i tre Consiglieri saranno eletti a pluralità di voti dai congregati professi.

                6° Il Prefetto fa le veci del Rettore in assenza di esso nell'amministrazione della casa, e in tutte le cose di cui avrà ricevuto carico speciale.

                7° Egli terrà conto delle entrate e delle uscite pecuniarie; noterà ogni sorta di lascito, donazione fatta alla casa e la destinazione delle medesime. Ogni rendita, ogni frutto di sostanze mobili ed immobili saranno sotto alla tutela e responsabilità del Prefetto. [881]

                8° Il Prefetto è il centro da cui devono partire tutte le spese, e dove devono concentrarsi tutte le entrate pecuniarie. Egli dipende dal Rettore e a lui darà conto della sua gestione ogni volta che gliela dimanderà.

                9° L'Economo avrà cura di tutto l'andamento materiale della casa.

                10° I Consiglieri prendono parte a tutte quelle deliberazioni che riguardano all'accettazione o allontanamento di qualche membro della casa; ai contratti di compra o vendita di stabili. In genere poi sono chiamati a dare il loro parere nelle cose di maggior importanza della Congregazione. Se non avvi almeno la maggioranza dei voti, il Rettore deve sospendere le deliberazioni sopra l'oggetto proposto.

                11° Ciascuno dei superiori, ad eccezione del Rettore, durerá tre anni nella suacarica. e potrà essere rieletto.

 

XII.

 

Delle case particolari.

 

                I° Qualora per tratto della Divina Provvidenza si aprisse una casa particolare fuori della Casa Madre, il Superiore generale prima di tutto andrà a concertare quanto riguarda allo spirituale e al temporale col Vescovo della Diocesi, in cui trattasi di aprire la novella casa, e da quel Vescovo dipenderà in tutte le cose del sacro ministero, che sono compatibili coll'osservanza delle regole della Società.

                2° Se poi la novella casa fosse un piccolo seminario od un seminario pei chierici adulti, allora, oltre alla dipendenza nelle cose del sacro ministero, vi sarà eziandio piena dipendenza dal Superiore ecclesiastico nella scelta della materia dell'insegnamento, dei libri da usarsi, nella disciplina e anche nell'amministrazione temporale nei modi stabiliti col Rettor Maggiore.

                3° I soci destinati per una casa novella non devono essere meno di due, di cui almeno uno deve essere sacerdote. Il Superiore prenderà il nome di Direttore. Ma la sua autorità è limitata alla casa al medesimo affidata.

                4° Ogni casa possederà ed amministrerà i beni donati e portati in congregazione per quella casa determinata; ma sempre nei limiti fissati dal Superiore Generale.

                5° Il Rettore Maggiore visiterà almeno una volta l'anno le e case particolari per esaminare se si compiano i doveri imposti dalla Società; ed osservare se l'amministrazione della medesima tende realmente al suo scopo, quale si è di promuovere la gloria di Dio ed il bene delle anime.

                6° Il Direttore dal suo canto deve tenere ogni sua gestione in modo da poterne ogni momento rendere conto a Dio ed al Rettor Superiore, nella cui sommessione deve ravvisare i divini voleri. [882]

                7° Spetterà al Rettore Maggiore di eleggere il Direttore della casa che si desidera di aprire; di poi sarà stabilito un Capitolo compatibile col numero dei socii che vi abitano.

                8° Questo Capitolo sarà formato dal Rettor Maggiore, dal Direttore della nuova casa, e dal Capitolo della Casa Madre.

                9° Il primo da eleggersi è il catechista, di poi l'economo ossia il prefetto, quindi i consiglieri di mano in mano vi sarà un numero competente di Socii che dimorino regolarmente in quella casa.

                10° Il catechista avrà cura delle cose spirituali di tutta la casa, e sarà eziandio obbligato a dare gli opportuni avvisi al Direttore qualora ne sia il caso.

                11° Se le distanze, i tempi, i luoghi persuadessero eccezioni nella formazione di questo capitolo, o nelle attribuzioni dei membri, il Rettore Maggiore ne ha piena autorità di farlo, previo per altro il consenso del Capitolo della Casa Madre.

                12° Il Direttore non può comperare nè vendere stabili senza il consenso dei Rettore Maggiore; soltanto nell'amministrazione ha piena autorità; ma nelle cose di maggiore rilievo gli si dà consiglio di radunare il suo capitolo e non deliberare senza che ne abbia il consenso.

 

XIII.

 

Accettazione.

 

                I° Fatta dimanda che taluno voglia entrare in Congregazione, il Direttore spirituale ne prenderà le debite informazioni, le quali farà tenere al Rettore.

                2° Il Rettore poi lo presenterà o no per l'accettazione secondo che gli sembrerà meglio, nel Signore. Ma quando è proposto al Capitolo, rimane definitivamente accettato purchè ottenga la maggioranza dei voti.

                3° La prova per essere ammesso ai voti sarà di un anno; ma niuno li potrà fare se non ha compiuti i sedici anni di età.

                4° I voti saranno per due volte rinnovati di tre in tre anni. Dopo i sei anni ognuno C, libero di continuarli di tre in tre anni oppure farli perpetui. cioè di obbligarsi all'adempimento dei voti per tutta la vita; ma niuno è ammesso a fare voti perpetui fino all'età di ventiquattro anni compiuti.

                5° Affinchè un socio possa essere ricevuto nella Società, oltre le qualità morali nel grado richiesto dalle regole, deve anche confermare la sua condotta anteriore: 1° con un certificato di nascita e di battesimo; 2° di stato libero e di buona condotta fatto dal Vescovo della diocesi cui egli appartiene; 3° sciolto da debiti; 4° non essere mai stato processato; 5° non aver alcun impedimento nè fisico nè morale che lo renda [883] irregolare per lo stato ecclesiastico; 6° consenso dei parenti prima che faccia i voti.

                6° Lo stato di sanità sia tale che almeno nell'anno di prova possa osservare tutte le regole della Società senza fare eccezione di sorta.

                7° Ogni socio se è destinato allo studio, entrando dovrà portare con sè: il corredo di vestiario conforme alla nota che darà il Direttore; 2° 500 franchi nell'entrata per le spese che occorreranno nel vitto e vestimento nell'anno di prova; 3° franchi 300 in fine dell'anno prima di fare i voti.

                8° I fratelli coadiutori porteranno soltanto il corredo e franchi 300 nella loro entrata, senza ulteriore obbligazione.

                9° Il Rettore potrà dispensare dalle condizioni poste nell'articolo 7° e 8° qualora intervengano motivi ragionevoli di fare eccezioni più o meno ristrette.

                10° A tutti si raccomandano caldamente due cose: 1° guardarci attentamente dal contrarre abitudini di qualsiasi genere anche di cose indifferenti; 2° farei un grande studio per evitare la ricercatezza e l'ambizione. L'abito più pregevole di un religioso è la santità della vita congiunta con un edificante. contegno in tutte le sue azioni.

                11° Ognuno sia disposto a soffrire, se occorre, caldo, freddo, sete, fame stenti e disprezzo ogni volta che tali cose contribuiscano a procurare la gloria di Dio, il bene dell'anima altrui e la salvezza dell'anima propria.

 

XIV.

 

Pratiche di pietà.

 

                I° La vita attiva cui tende specialmente la nostra società fa che suoi membri non possano aver comodità di fare molte pratiche in comune. Procureranno di supplire col vicendevole buon esempio, e col perfetto adempimento dei doveri generali del cristiano.

                2° Ciascun socio si accosterà ogni settimana al Sacramento della Penitenza, dal confessore stabilito dal Rettore. I sacerdoti celebreranno ogni giorno la S. Messa e qualora non possano procureranno di ascoltarla. I chierici ed i fratelli coadiutori ascolteranno ogni giorno la Santa Messa e procureranno di fare la santa

                Comunione almeno una volta per ciascuna settimana.

                3° La compostezza della persona, la pronunzia chiara, divota, distinta delle parole dei Divini uffizi, la modestia nel parlare, vedere, camminare, in casa e fuori di casa, devono essere cose caratteristiche nei nostri congregati.

                4° Ogni giorno non vi sarà meno di un'ora di preghiera tra mentale e  [884] vocale, ad eccezione che uno sia impedito dall'esercizio del sacro ministero. Nel qual caso supplirà colla maggior frequenza di giaculatorie e indirizzando a Dio con maggior intensità di affetto quei lavori che lo impediscono dagli ordinarii esercizi di pietà.

                5° Ogni giorno i coadiutori reciteranno la terza parte del rosario di Maria SS. e faranno un po' di lettura spirituale.

                6° In ciascuna settimana al venerdì si farà digiuno in onore della passione di N. S. Gesù Cristo.

                7° In ogni mese vi sarà un giorno di ritiro spirituale: cioè ciascuno farà in esso l'esercizio della buona morte aggiustando le cose spirituali e temporali come se dovesse abbandonare il mondo ed avviarsi all'eternità.

                8° Ogni anno ognuno farà gli esercizi spirituali che termineranno colla confessione annuale. Ognuno prima d'essere ricevuto nella Società farà qualche giorno di esercizii spirituali e la confessione generale.

                9° Il Rettore potrà dispensare da queste pratiche per quel tempo o per quegli individui che meglio giudicherà nel Signore.

                10° Quando la Divina Provvidenza chiamasse alla vita eterna qualche socio, sia laico, sia sacerdote, i confratelli di tutta la società celebreranno una messa in suffragio dell'anima del defunto. Quelli che non sono sacerdoti procureranno di fare almeno una volta la santa Comunione a questo fine.

                11° La stessa opera di pietà si farà alla morte del padre o della madre, di ciascun congregato, ma solamente nella casa dove dimora il socio che ha subìto quella perdita.

                12° Morendo il Rettore avrà suffragio duplicato e ciò per due motivi: 1° come tributo di gratitudine per le cure e fatiche sostenute nel governo della Società; 2° per sollevarlo dalle pene del purgatorio che forse dovrà patire per altrui cagione.

 

XV.

 

Abito.

 

                I° L'abito della nostra Società sarà secondo l'uso di quei paesi, in cui i socii dovranno stabilire la loro dimora.

                2° I sacerdoti porteranno regolarmente la sottana lunga, eccetto che la ragione di viaggio od altro motivo persuadano diversamente.

                3° I coadiutori, per quanto è possibile, andranno vestiti di nero Il fracco dovrà almeno giungere fin sotto le ginocchia. [885]

 

XVI.

 

Esterni

 

                I° Qualunque persona anche vivendo nel secolo, nella propria casa, in seno alla propria famiglia può appartenere alla nostra Società.

                2° Egli non fa alcun voto; ma procurerà di mettere in pratica quella parte del regolamento, che è compatibile colla sua età, stato e condizione, come sarebbe fare o promuovere catechismi a favore de' poveri fanciulli, promuovere la diffusione di buoni libri; dare opera perchè abbiano luogo tridui, novene, esercizii spirituali ed altre opere di carità che siano specialmente dirette al bene spirituale della gioventù o del basso popolo.

                3° Per partecipare dei beni spirituali della Società bisogna che il socio faccia almeno una promessa al Rettore d'impiegarsi in quelle cose che egli giudicherà tornar a maggior gloria di Dio.

                4° Tale promessa per altro non obbliga sotto pena di colpa nemmeno veniale.

                5° Ogni membro della Società che per qualche ragionevole motivo uscisse dalla medesima è considerato come membro esterno e può tuttora partecipare dei beni della intera Società, purchè pratichi quella parte del regolamento prescritta per gli esterni.

 

XVII.

 

Professione e formola de' voti.

 

                Prima di fare i voti ogni confratello farà gli esercizi spirituali diretti specialmente a riflettere alla vocazione, ed istruirsi intorno alla materia dei voti che egli intende emettere, qualora conosca chiaramente essere ciò secondo la volontà del Signore. Terminati gli esercizi spirituali si radunerà il Capitolo, e se si può si raduneranno tutti i confratelli della casa.

                Il Rettore con cotta e stola inviterà ognuno ad inginocchiarsi, quindi tutti invocheranno i lumi dello Spirito Santo recitando alternativamente l'inno Veni, Creator Spiritus, ecc.

                Emitte Spiritum tuum ecc.

                Oremus - Deus qui corda fidelium. ecc.

                Litanie della B. Vergine in versicoli. Ora pro nobis ecc. e coll'Oremus: Concede nos, ecc.

                A S. Francesco di Sales: Pater, Ave, Gloria.

                Ora pro nobis, Sancte Francisce. [886]

                Ut digni efficiamur, ecc.

                Oremus: Deus, qui ad animarum salutem ecc.

 

                Quindi il confratello, e, se sono più, uno per volta, si porrà in mezzo a due professi genuflesso avanti al Rettore, di poi a chiara ed intelligibile voce pronunzierà la seguente formula de' voti:

 

                Nella piena conoscenza della fragilità ed instabilità della volontà mia, desideroso di fare per l'avvenire costantemente quelle cose, che possono tornare a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime io N. N. mi metto alla vostra presenza, onnipotente e sempiterno Iddio; e sebbene indegno del vostro cospetto tuttavia confidato della vostra bontà e misericordia infinita, mosso unicamente dal desiderio di amarvi e servirvi, in presenza della Beatissima Vergine Maria Immacolata, di S. Francesco di Sales, e di tutti i Santi del Paradiso, secondo il regolamento della Società di S. Francesco di Sales, fo voto di castità, povertà e obbedienza a Dio ed a Voi, mio Superiore, per lo spazio di tre anni, oppure per lo spazio di tutta la mia vita.

                Vi prego pertanto umilmente a volermi senza riserbo comandare quelle cose che a voi sembrano di maggior gloria di Dio e di maggior vantaggio delle anime. Voi intanto, o Dio di bontà, per l'immensa vostra clemenza, pel sangue di G. C., degnatevi di accettare questo sacrifizio in rendimento, di grazie pei molti benefizi che mi avete fatto, ed in espiazione de' miei peccati. Voi mi avete inspirato il desiderio di far questo voto, voi concedetemi la grazia di adempirlo.

                Sancta Maria, Virgo Immaculata, S. Francisce Salesi, omnes Sancti et Sanctae Dei, intercedite pro me, ut Deum meum diligens, eique soli in hoc mundo serviens ad aeterna praemia merear pervenire.

 

                Tutti rispondono: Amen.

                Indi il novello socio andrà a porre il suo nome in un libro ove sottoscriverà la scheda seguente:

 

                Io sottoscritto ho letto e, intese le regole della Società di S. Francesco di Sales, prometto di osservarle secondo la formola dei voti da me ora emessi.

 

                Torino il        del mese di               l'anno              N. N.

 

                Dopo si reciterà altemativamente il Te Deum; infine di cui, se il Rettore giudicherà bene, farà una breve morale esortazione e si terminerà col salmo: Laudate Dominum, omnes gentes, etc. [887]

 

 

APPENDICE N. 8.

 

COMMENDATIZIE PER OTTENERE DALLA S. SEDE L'APPROVAZIONE

DELLA PIA SOCIETÁ SALESIANA

 

(Ved. pag. 619)

 

DEL VESCOVO D'ACQUI.

 

                Il sottoscritto avendo letto attentamente la Regola per l'istituzione di una Pia Società sotto il titolo di S. Francesco di Sales, non può a meno con la sua piena soddisfazione di commendare lo spirito e lo scopo cui tende essa Società e di riconoscere la grande utilità che ne avverrebbe alla Chiesa ed alla Società Civile, se venisse debitamente approvata.

                Si unisce quindi all'egregio Mons. Vescovo di Cuneo a supplicare la Santa Sede a voler benignamente accogliere le umili preghiere del zelante e pio fondatore della medesima Società per l'approvazione delle anzidette Regole; con quelle modificazioni, aggiunte e variazioni, che l'alta sapienza di S. S. ravviserà del caso.

 

                Acqui, il 18 del mese di dicembre 1863.

 

Fr. Modesto Vescovo di Acqui.

 

DEL VESCOVO DI SUSA.

 

                A conforto dei Pastori e ministri sacri e di tutti i buoni grandemente afflitti pel danno gravissimo che in questi tempi calamitosi soffre la Chiesa dalla diffusione dei libri cattivi e dei giornali antireligiosi, dalle calunnie dei tristi e dai pubblici scandali, il Signore ha suscitato il venerando Sacerdote Giovanni Basco, il quale da molti anni si rende segnalato, massime col prendere la più amorosa e indefessa cura della povera incauta gioventù, presa di mira in modo specialissimo, dai settarii e da quei moltissimi che ne sono i ciechi istrumenti.

                Difatti egli ha istituito una Società o Congregazione di pii Ecclesiastici collo Scopo d'istruire i fanciulli ignoranti nella Cattolica Religione, di allontanarli dalle vie del vizio, di allettarli alla pietà, di ritenerli sul sentiero della virtù cristiana, di educarli infine ed istradarli a qualche [888] professione ed arte onesta; ed anco, se ne abbiano la divina vocazione, alla milizia ecclesiastica, con dare ricovero altresì a quelli che sono miserabili, od altrimenti nella circostanza di poter godere di questa particolare beneficenza. Tale società fu benedetta da Dio, pel cui favore essa ha fatto già tanto progresso che oltre l'Oratorio (la prima stabilito di S. Francesco di Sales esistente presso la casa principale di Torino, due altri Oratorii, chiamati l'uno di S. Luigi Gonzaga, l'altro del S. Angelo Custode, furono eretti nella medesima città di Torino in un colla casa di Genova e con quella di Mirabello diocesi di Casale per lo stesso altissimo fine. Questi stabilimenti hanno già sessanta socii ecclesiastici tra sacerdoti e chierici semplici, occupati tutti sulle traccie del prefato D. Bosco alla pia educazione dei fanciulli, i quali, quanto al ricoverati nella suddetta casa principale, sono in numero di settecento sessanta circa, di cento in quella di Genova, e pure di cento nell'altra di Mirabello; e quanto a quelli che ricevono cristiana istruzione nei giorni festivi e con santa industria sono trattenuti per lungo tempo nella casa principale e nei predetti tre Oratorii di Torino, oltrepassano di gran lunga il numero di due mila.

 

                Abbiamo veduto ed esaminato il Regolamento proposto a questa Società dal prefato sig. Sacerdote e parve a noi dettato (la vero spirito di zelo e conducente con modo facile al sublime scopo a cui mira la medesima, essendo generale in queste contrade la meraviglia e la soddisfazione che produce sì fatto stabilimento a pro' della nostra gioventù, presso le persone che sono di cuore belle affetto verso la S. Chiesa: queste desiderano e noi pure desideriamo con grande ardore che si renda stabile e perpetuo, tanto più che parecchi giovanetti della nostra Diocesi, studenti ed artigiani, hanno già goduto ed altri godono attualmente delle benefiche sollecitudini di questa eccellente Società. Il perchè ci crediamo in dovere per la necessità della Chiesa specialmente, ed anco pel vero bene della Civile Società, di raccomandare, quanto ossequiosamente altrettanto vivamente, alla S. Sede l'Istituzione di cui trattasi ed i sentimenti espressi in detto regolamento dall'egregio Sacerdote anzidetto, onde venga approvato il suo disegno in proposito, conie e quanto Sua, Santità, diretta dai lumi superiori del Celeste Spirito, stimerà decretare,

 

                Susa, 18 gennaio 1864.

 

G. ANTONIO, Vescovo di Susa.

 

Sac. CHIAPEROTTI Segretario [889]

 

DEL VESCOVO DI MONDOVÌ

 

Fra Giovanni Tommaso Ghilardi

dell'Ordine dei Predicatori,

Per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Mondovì

e Conte, Prelato Domestico di S. S. ed assistente al Soglio Pontificio,

Abbate Commendatario perpetuo di S. Dalmazzo.

 

                Il nome del venerando Sacerdote D. Giovanni Bosco suona ammirato e benedetto non solo in Piemonte, ma in tante altre parti d'Italia, in ispecie per le cure di ogni maniera che egli adopera nell'educare ed istruire santamente la gioventù di tutte le condizioni. A questo scopo egli fondava da molti anni in Torino gli Oratorii di S. Francesco di Sales, di S. Luigi Gonzaga, e del S. Angelo Custode; il primo de' quali, che è come la Casa Madre, dà oggidì ricovero a circa ottocento giovani di varie diocesi, che sotto la sua direzione sono avviati parte ad onesti mestieri e professioni a cui sentonsi inclinati e parte alla carriera ecclesiastica, allorchè ne dimostrano, non equivoci segni di vocazione. Due altre case per lo stesso fine furono da lui aperte a Genova ed a Mirabello Diocesi di Casale.

                Ma per accudire a sì gran numero di allievi, come pure ai ragazzi che nei giorni festivi raccoglie a migliaia nei suddetti Oratorii, onde tenerli lontani dai pericoli e insinuare nei loro cuori buoni e religiosi principii, saggiamente instituiva una Congregazione di pii e zelanti ecclesiastici, che dividono seco liti le sollecitudini e le fatiche indispensabili per l'andamento regolare di un'opera di tanta mole ed importanza.

                Non v'ha dubbio che questa Congregazione, la quale conta già fin d'ora una sessantina di membri, tutti animati dalle stesso spirito del fondatore, sarà per essere di moltissimo giovamento alla Chiesa ed alla Società, specialmente in questi tristissimi tempi in cui l'una e l'altra sono così fieramente combattute nelle loro più care speranze, quali sono i giovani che in tanti modi si cerca di corrompere e sedurre.

                In conseguenza e per questa persuasione in cui noi siamo, e per la conoscenza che abbiamo sia del prefato stabilimento che più volte visitammo nelle sue scuole e officine, sia del Regolamento proposto alla sua Congregazione dal benemerito Istitutore da noi pure particolarmente conosciuto ed ammirato, non possiamo a meno di raccomandare caldamente alla S. Sede la Congregazione medesimi, onde sia approvata con quelle modificazioni e variazioni che fossero al S. Padre benevise.

 

                Mondovì, 10 febbraio 1864.

 

                (Loco sigilli).

 

Fr. Gio. TOMMASO Vescovo.

C. GIUSEPPE MERTINI, Segr. Vesc. [890]

DI MONSIGNOR VESCOVO DI CASALE.

 

                Il Vescovo di Casale Monferrato, mentre va lieto di dichiarare che anche nella sua diocesi si apriva testè per opera dell'illustre e pio sacerdote D. Giovanni Bosco un convitto per la istruzione ed educazione dei giovani aspiranti principalmente alla carriera ecclesiastica, unisce i suoi voti a quello di parecchi altri Vescovi del Piemonte, perchè possa il prefato signor Sacerdote aumentare e conservare in vita i diversi sudi istituti colla fondazione di una Pia Congregazione, di cui lo scopo, come si rileva dal proposto Regolamento, è unicamente rivolto a promuovere la maggior gloria di Dio e la salute delle anime.

                In questi tempi così funesti per le religiose Istituzioni è opera provvidenziale che si aprano case in cui si preparino dotti e buoni ecclesiastici, i quali poi siano capaci di prestarsi per la educazione della gioventù e pel ministero della predicazione.

                Oh quanto ne sarà consolato il paterno animo dell'immortale Pio IX dal cui venerato oracolo si attende il fiat.

 

                Casale, 11 febbraio 1864.

                (Loco sigilli).

 

Umile servo

Luigi Vescovo di Casale.

 

 

APPENDICE N. 9.

 

BREVE NOTIZIA

DELLA SOCIETÀ DI S. FRANCESCO DI SALEIS.

(Ved. pag. 623).

 

Il. SUPERIORE ECCLESIASTICO DELLA DIOCESI DI TORINO.

 

                Fin dall'anno 1841 quando l'opera degli Oratorii cominciava con un semplice catechismo o festivo nella Chiesa di S. Francesco di Assisi, ogni cosa fu sempre fatta col consenso e sotto la direzione di Mons. Luigi Fransoni arcivescovo di Torino. Dopo tre anni nel 1844, essendo io andato a prendere parte alla direzione dell'Opera Pia del Rifugio, i giovanetti incominciarono a fare colà le loro radunanze festive. [891] Per dare stabilità al luogo ed alle cose da farsi, il Superiore Ecclesiastico con decreto del 6 dicembre 1844 concedeva di benedire e destinare ad uso di chiesa un edifizio, con facoltà di celebrare ivi la S. Messa, dare la benedizione col Venerabile, fare tridui, novene, ecc.

                Ma questa chiesa non potendo più soddisfare al bisogno, con altro decreto del io aprile 1846 si trasferiva l'Oratorio in sito più adattato e più spazioso in Valdocco, dove sorse la chiesa e la casa attualmente abitata.

                Vista l'insufficienza dell'Oratorio esistente, il Superiore Ecclesiastico con decreto del 18 dicembre 1847 concedeva la facoltà di aprire, in altro quartiere della Capitale, un novello Oratorio dedicato a S. Luigi, coi medesimi favori già sopra concessi. Qui eziandio ne' giorni festivi hanno luogo tutte le sacre funzioni come soglionsi praticare nelle parrocchie. Lungo la settimana poi avvi un numero vistoso di poveri giovanetti che ivi intervengono alle scuole elementari.

                Due anni dopo si concedevano le stesse facoltà per un terzo Oratorio eretto in Vanchiglia sotto il titolo del S. Angelo Custode.

                Ommetto i decreti particolari con cui erano concessi i favori dimandati; unisco solamente copia di quello con cui il Superiore Ecclesiastico dava generale approvazione a quanto facevasi dai preti e chierici degli Oratorii e degnavasi di costituirmi Capo dei medesimi colle opportune facoltà. Decreto 31 marzo 1852.

                Il Superiore Ecclesiastico vedeva e promuoveva quest'opera coll'autorità ed anche con mezzi materiali, ma raccomandava caldamente e ripetutamente di provvedere, pel caso di morte di chi era costituito Capo. Espresse più volte il vivo desiderio di vedere costituita una società atta a promuovere sempre più lo sviluppo dell'educazione de' poveri giovanetti e a conservare lo spirito e quelle cose tradizionali che per lo più dalla sola esperienza soglionsi imparare. Ma i tempi felici cessarono: l'Arcivescovo dovette abbandonare la diocesi e andare in esiglio. Tuttavia non cessava di raccomandarmi la necessità di provvedere al bisogno degli Oratorii pel caso di mia morte. Secondo il suo consiglio l'anno 1858 mi recava a Roma per avere sopra questa materia il parere del Supremo Gerarca della Chiesa. Quando poi conobbe che dietro agli incoraggiamenti del sempre glorioso e regnante Pio IX io aveva esteso il desiderato regolamento, ne provò grande piacere; lo lesse egli stesso, di poi lo rinviò con lettere di soddisfazione al suo Vicario Generale in Torino affinchè ne facesse attento esame per venirne dì poì ad una canonica approvazione. Mentre queste cose avvenivano la Divina Provvidenza chiamava il venerando prelato dal terrestre esiglio alla patria dei beati.

                L'attuale Superiore Ecclesiastico, qual Vicario Generale Capitolare, giudica sia cosa eccedente la sua autorità, approvar definitivamente il progettato regolamento e giudicò bene di limitarsi ad una commendatizia in favore della Società presso la Santa Sede, che qui si unisce. [892]

 

IL REGNANTE PIO IX A FAVORE DI QUESTA SOCIETÁ

 

                Possiamo dire che ogni anno del pontificato di questo grande e sempre glorioso Pontefice fu marcato da favori e da segni di benevolenza verso l'Opera degli Oratorii. Facoltà delle tre messe nella notte del S. Natale colla Comunione, indulgenze parziali e plenarie concedute in varie solennità e a molti esercizii di cristiana pietà, largizioni di oggetti materiali, furono in più occasioni sempre benignamente concessi. Sarebbe troppo lungo riferire i Rescritti con cui ha questi favori concessi.

                Noto solamente che l'anno 1858 essendo andato a Roma per avere norma e consiglio intorno alla Società di S. Francesco di Sales, Sua Santità, dopo aver udito con paterna bontà i risultati ottenuti dai mentovati oratorii, esprimeva il desiderio di studiare un mezzo onde conservarli: - Caro Abate Bosco, disse S. S. con affetto paterno; voi siete un uomo e dovete fare il passaggio che fanno tutti gli altri uomini. Avete già voi provveduto per questi Oratorii? - Quando poi intese la mia gita a Roma avere appunto quello scopo, mi disse di pregare e di ritornare di poi da lui, passati alcuni giorni. Così feci ed in particolare udienza mi diede la trama di una novella Società. Fra le altre cose diceva: - Questa Società o Congregazione deve essere tale da soddisfare ai bisogni religiosi degli Oratorii; quindi deve avere i voti affinchè vi esista un vincolo atto a conservare l'unità di spirito e di opere; ma questi voti devono essere semplici e da potersi facilmente sciogliere, affinchè il malvolere di alcuno non turbi la pace e l'unione degli altri. Questa società poi deve essere tale che in faccia alla Chiesa sia vera Congregazione religiosa e nel tempo stesso lasciare i suoi membri liberi da quei legami che potessero impacciarli in faccia alle leggi civili: cioè che in faccia all'autorità civile ogni membro sia libero di godere del favore delle leggi come qualunque altro cittadino. - Mi accennava quindi alcune Congregazioni le cui costituzioni avevano speciale analogia colla Società in discorso.

                Sopra le basi che S. S. degnavasi tracciarmi ho in Roma stessa formolato un piano di regolamento, che S. E. Rev.ma il Cardinale Gaude (di cara e felice memoria) leggeva con appositi riflessi.

                Il Santo Padre propendeva che quel regolamento fosse tosto dato ad una Commissione appositamente incaricata di riferire; ma io ho chiesto che permettesse di metterlo per qualche tempo letteralmente in esecuzione, di poi umiliarlo di nuovo a Sua Santità. Così fu fatto. Ora sono sei anni da che questo è praticato dai membri della Società di San Francesco di Sales. Questo regolamento racchiude la disciplina e lo spirito che da venti anni guida quelli che impiegano le fatiche negli Oratorii, che io mi sono adoperato di ridurre qui in forma regolare, secondo le basi suggerite da Sua Santità. [893] Ma siccome nello stendere i singoli capitoli di questo lavoro avrò certamente in più cose sbagliato la traccia proposta, così io rimetto ogni Usa nelle mani di S. S. e di chi Egli si degnerà di stabilire per leggere, correggere, aggiungere, togliere, quanto sarà giudicato a maggior gloria Li Dio ed a bene delle anime.

                Il medesimo S. Padre con degnazione, che io non so con quali parole esprimere, mi incoraggiava nell'Opera degli Oratorii con varie lettere, o unisco soltanto copia di tre come quelle che hanno speciale relazione coll'oggetto di cui trattiamo.

                Se oltre ai favori già concessimi dalla bontà del S. Padre mi fosse Permesso di aggiungere novella domanda, sarebbe la seguente. Io lascierei queste opere in non piccoli fastidii, se la morte venisse a sorprendermi prima che questa società sia regolarmente costituita, sia per amministrazione temporale e spirituale, sia per la successione legale delle diverse case. Così mentre dò ampia facoltà anzi mi raccomando che si aggiunga, si tolga, si cangi quanto si giudicherà tornare a maggior gloria di Dio, fo umile preghiera affinchè a questa pratica si dia quella sollecitudine, che colla moltitudine e gravità degli affari della Sede, sarà compatibile e benevisa.

 

 

APPENDICE N. 10.

 

ALCUNE LETTERE DI RACCOMANDAZIONE

DEL MINISTERO DEGLI INTERNI

 

NEGLI ANNI 1862, 1863, 1864 A D. GIOVANNI BOSCO IN FAVORE DI GIOVANI DA RICOVERARSI E POI ACCETTATI NELL'ORATORIO.

 

 

Giovani raccomandati da S. E. il Ministro RICASOLI.

 

 

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 2. Sez. I.

                N. 2295-585.

Torino, addì 28 Gennaio 1862.

 

                In risposta alla gradita lettera 22 c. Gennaio, il sottoscritto si pregia di partecipare al Rdo. Sac. Bosco che a titolo di compenso per l'effettuato ricovero nello stabilimento di San Francesco di Sales da esso diretto, del giovinetto Giuseppe Mantino, questo Ministero, con Decreto [894] d'oggi ha disposto pel pagamento di Lire 150 a favore dello stesso Direttore Sac. Bosco, mediante l'emissione di un mandato sulla Tesoreria di questa città.

 

Il Direttore Generale

SALINO.

 

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 2. Sez. I.

                N. 2963-777.

Torino, addì 31 Gennaio 1862.

 

                Il giovinetto Giovanni Fissore figlio minore dei fu Giacomo Fissore, già capo usciere presso questo Ministero, fu di recente colpito dalla disgrazia di perdere anche la madre che era l'unico sostegno della sua famiglia.

                Per la gracile costituzione fisica non potendo essere accolto nel Collegio Militare di Racconigi, la di lui sorella Orsola Fissore Vedova Mina (abitante in via Dora Grossa N. 23 piano 2), ha presentato a questo Ministero una supplica tendente ad ottenere di ricoverarlo, anche mediante un'annua retribuzione, nello stabilimento di S. Francesco di Sales in questa Città.

                Il Ministero penetrato della misera condizione di questo orfanello, non sa dispensarsi, anche in riguardo ai meriti fattisi dal defunto di lui genitore verso il pubblico servizio, di raccomandarlo caldamente all'esperimentata bontà del molto Reverendo Direttore Sacerdote Bosco, pregandolo di veder modo di accogliere il detto orfanello nel Pio Istituto da Esso diretto, e di porgergli un riscontro al riguardo per norma degli interessati.

 

Il Direttore Generale

SALINO.

 

Giovani raccomandati da S.E. il Ministro RATTAZZI.

 

 

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 2. Sez. I

                N. 6914-1943.

Torino, addì 8 Marzo 1862.

 

                Boeris Giovanni, di Torino, ricorse a questo Ministero per ottenere che un suo figlio d'anni 12, di nome Giuseppe, fosse ricoverato nell'Istituto di S. Francesco di Sales in questa città, adducendo di non poter sopperire da solo all'educazione de' suoi 4 figli, tutti in tenera età; e per la mancanza di mezzi pecuniarii ritraendo solo L. 60 mensili [895] come applicato all'Ufficio della Gazzetta Militare e per la morte testè avvenuta della moglie sua che colla professione di sarta gli veniva in soccorso. Penetrato lo scrivente dalla triste condizione di.questo infelice, ed animato dalle favorevoli informazioni avute sul suo conto a venire per quanto gli è possibile in suo Soccorso, interessa la nota carità del Rev. Sac. D. Bosco a pro' del fanciullo di cui è parola, pregandolo a veder modo di accoglierlo nell'Istituto da esso diretto, essendo disposto il Ministero ad elargire la solita somma di L. 150 all'epoca della sua accettazione e che verrà a suo tempo dal Sig. Direttore significata.

 

Pel Ministro

SALINO.

 

 

 

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Amministrazione Div. 5. Sez. 3.

                N. 543.

Torino, addì 12 Maggio 1862.

 

                Il sottoscritto raccomanda vivamente alla filantropica carità del Reverendo Don Bosco Direttore dello Stabilimento in Valdocco sotto il nome di S. Francesco di Sales, l'unita prece di Luigia Gola per l'ammissione del figlio suo Adriano d'anni 12.

                Essendo la ricorrente degna di speciali riguardi, il Ministero, appena il giovinetto sia accolto nel Convitto, gli corrisponderà per una volta tanto la somma di Lire 150.

 

Pel Ministro

CAPRIOLO.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Segretariato Generale

                Div. 2. Sez. 2.

                N. 1604.

Torino. addì 15 Giugno 1862.

 

                Fano Domenico, garzone al caffè Fiorio in questa Città, implora un provvedimento pel suo fratello Teodoro di anni 16 circa, il quale privo della madre e abbandonato dal padre trovasi in balia di sè stesso, privo affatto di mezzi per sussistenza e per educazione.

                L'interessamento quasi paterno, e ben raro, che il ricorrente si prende alla sorte del proprio fratello, cui non può colle proprie risorse in guisa alcuna sovvenire; e le altre circostanze riferite, degne al certo di compassione, inducono il sottoscritto a raccomandare caldamente [896] alla nota filantropia della S. V. l'accoglimento del Teodoro Fano in codesto Istituto di Valdocco.

                Quando la proposta accettazione abbia luogo il Ministero disporrà il versamento della consueta somma di L. 150 a benefizio dell'Opera Pia.

 

Pel Ministro

CAPRIOLO.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Segretariato Generale

                Div. 5. Sez. 2.

                N. 2112.

Torino; addì 30 giugno 1862.

 

                Il Sindaco di S. Michele d'Asti raccomanda caldamente a questo Ministero che sia provvisto pel ricovero dell'Orfanello Michele Garassino di anni 9 di quel Comune, che, privo del fratello ora in servizio nel R. Esercito, ritrae la propria sussistenza solo dalla elemosina.

                La puerile età del giovanetto che lo rende incapace di guadagnarsi il pane; e la mancanza assoluta di stabilimenti adatti in quella Provincia dove potrebbe essere ricoverato, induce il sottoscritto a rivolgersi nuovamente alla conosciuta cortesia di V. S. pregandola a volerlo. ammettere in codesto stabilimento, pronto dal canto suo a fare in modo che venga sborsata da quel Comune, all'epoca del suo ingresso, la solita somma di lire 150 a favore dell'Istituto.

                Trasmetto la fede di nascita del Garassino.

 

Pel Ministro

CAPRIOLO.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Divisione 5. Sez. 2.

                N. 2489.

Torino, addì 8 Luglio 1862.

 

                Concetta Galante, di Napoli, domiciliata in Torino, ricorre coll'acchiuso documentato memoriale a questo Ministero per ottenere il ricovero di suo figlio d'anni otto per nome Risoli Gesualdo.

                Deve per ciò il sottoscritto, onde facilitare quel ricovero, far di nuovo appello alla filantropia di V. S. R. in favore di questo infelice, non senza accennare che il Ministero dal suo canto è disposto ad offrire a favore dello Stabilimento, quando il Risoli venisse accettato, la solita somma di lire 150.

 

Pel Ministro

CAPRIOLO. [897]

 

Giovani raccomandati da S. E. il Ministro PERUZZI.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTFRNO

                Segretariato generale

                Div. 5. Sez. 2.

                N 9617.

Torino, addì 5 gennaio 1863.

 

                Lo scrivente rende informata, a mente della lettera 30 p.p. dicembre di codesta Direzione col mezzo della Prefettura di Torino, la Concetta Galante madre di Gesualdo Risoli della determinazione presa in suo favore e la invita a presentarsi col giovanetto per gli ulteriori concerti da prendersi....

                Per le partite di Bagiolla e delli Bartolini Vincenzo e Carlo non fu dato averne traccia negli atti, non essendo precisamente indicato, nè il numero di protocollo, nè quello della Direzione scrivente e si attendono queste indicazioni necessarie per dare le ulteriori disposizioni di pagamento.

                L'istanza che si unisce del giovinetto Prina Giovanni di Cavoretto, è caldamente raccomandata; e lo scrivente non dubita che la buona condotta e la infelice condizione del giovinetto non siano per accattivarsi i possibili riguardi da parte anche di codesta Direzione, dal suo canto disposto a fare la solita offerta allo stabilimento quando venisse accettato.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

 

                REGNO D'ITALIA

                31INISTERO DELL'INTERNO

                Div. 5. Sez. 2.

                N. 10899.

                Torino, addì 8 Febbraio 1863] Coll'unito ricorso il povero orfano Giovanni Battista Martina di Campiglione si è diretto a questo Ministero ond'essere collocato in cotesto Istituto.

                Il sottoscritto, cui è nota la misera condizione del ricorrente, lo raccomanda vivamente alla carità della S. V. Rev.da perchè voglia accettarlo nel suo stabilimento, non senza soggiungere che il Ministero è disposto a corrispondere pel ricovero del Martina una sovvenzione di L. 150 per una volta tanto.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA. [898]

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 5783-291.

Torino, addì 20 Marzo 1863.

 

                Il Sindaco di questa città ha fatto raccomandazione al Ministero perchè venisse ricoverato in qualche Pia Casa certo Durazzo Giuseppe d'anni II che testè ha perduto la madre e che non può essere convenientemente assistito dal padre, il quale è d'età avanzata e sta al servizio per mantenere sè ed il rimanente della famiglia.

                Il sottoscritto, facendo assegnamento sulla filantropia del Sig. Direttore di codesto Istituto, lo prega di veder modo di collocare nel suo stabilimento il predetto giovane ed attende sollecitamente un cenno di riscontro alla presente.

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

Torino, addì 16 Aprile 1863.

 

                Musso D. Giovanni Maestro della Città di Torino ha ricorso a questo Ministero per ottenere il gratuito ricovero in costesto Istituto di un suo allievo a nome Copperi Giuseppe di Balangero d'anni 14 circa, orfano di padre e di madre, il quale venne sinora mantenuto ed educato dal Sacrestano delle Orfanelle.

                Il sottoscritto, cui è nota la misera condizione in cui si trova il povero Copperi, confida che la S. V. vorrà esercitare un novello atto di beneficenza col ritirare il medesimo nel suo Istituto e dichiara che è disposto a corrispondere per detto ricovero la somma di lire 100 per una volta tanto.

                Gradisca intanto un cenno di riscontro alla presente.

 

Pel Ministro

S.SPAVENTA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 23673-1416.

                Torino, addì 27 Aprile 1863

                Certo Siccardi Stefano d'anni 13 orfano di padre ed or dimorante in questa città, si è rivolto ai Ministero chiedendo di essere. ricoverato [899] in qualche Istituto di pubblica beneficenza come sarebbe in cotesto Oratorio di, San Francesco di Sales. Dall'esito delle informazioni appositamente assunte constandomi che il ricorrente pel suo infelice stato è degno di qualche riguardo, trasmetto alla S. V. l'unita istanza col relativo documento, per darle occasione di esercitare un novello, atto di filantropia verso il povero Siccardi ritirandolo nel suo Istituto.

Pel Ministro

SPAVENTA.

 

                PREFETTURA

                DELLA PROVINCIA DI TORINO

                Div. 5. N. Prot. 7929. Reg. 519

                Risposta a nota del 24 aprile 1863.

Torino, addì 26 Maggio 1863.

 

                Nel partecipare il contenuto nel contro distinto foglio del sig. Sacerdote Giovanni Bosco Direttore dell'Istituto di S. Francesco di Sales di questa città, il sottoscritto fece interpellare il Sebastiano De-Luigi di Alessandria, padre del giovane Carlo Francesco se sarebbe stato disposto a pagare la pensione mensile di L. 24 per l'ammissione di questi in detto Istituto, o se in caso di comprovata povertà egli, o qualche parente o benefattore, avrebbero fatta un'oblazione per un tale oggetto.

                Dal riscontro avutone per mezzo di nota dal sig. Prefetto d'Alessandria il 15 corrente risulterebbe che il suddetto Sebastiano De-Luigi padre, si troverebbe nell'assoluta impossibilità di pagare la benchè menoma pensione, o di fare qualche oblazione in proposito e non conoscerebbe persona caritatevole che voglia supplirvi in sua vece.

                Avendo pure colla citata nota ricevuto in restituzione le carte coll'aggiunta di un certificato di nulla tenenza, rilasciato dalla Giunta Municipale d'Alessandria, il sottoscritto lo rivolge di nuovo al prefato sig. Sac. Bosco per quei riguardi che credesse di poter usare verso il povero ricorrente De-Luigi.

 

Pel Prefetto

RADICATI.

 

                Nota. - Il giovane fu accettato dietro raccomandazione del Ministro. [900]

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N- 49.599-3139.

Torino, addì A Giugno 1863.

 

                Certo Gennero Matteo, campagnuolo di Carignano, avendo tolto a baliatico nell'anno 1851 in Torino un giovane a nome Ballio Ercole che venne dopo due anni abbandonato da' proprii genitori, trovandosi per l'aumento della propria famiglia e per mancanza dei necessarii mezzi di sussistenza nell'impossibilità di tenere più oltre presso di sè il derelitto Ballio, si rivolse al Sindaco di Carignano chiedendo che si provedesse al ritiro del detto giovane in qualche stabilimento di pubblica beneficenza.

                La giunta Municipale di Carignano nell'intento di evitare che lo sventurato Ballio, coll'uscire dalla famiglia che divise con lui gratuitamente il suo pane per ben dieci anni, possa riuscire funesto alla Società, deliberò di offrire la somma di L. 100 al R.do Teol. Bosco, quando si disponesse con novello atto di carità a ritirare il giovane più volte menzionato nel suo Istituto.

                Facendo assegnamento sull'animo caritatevole della S. V. la prego ancor io di voler accogliere favorevolmente i voti della Giunta Municipale affine di allontanare dai pericoli a cui andrebbe facilmente esposto il Ballio nella ancor sua tenera età.

                Gradisca un cenno di riscontro alla presente.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 48922-3069.

Torino, addì 21 Giugno 1863.

 

                Domenico Negro di professione stabiliere, di questa città, rappresentando come per la morte d'una sua figlia maritata a certo Domenico Chiappero d'anni 61, egli è stato costretto a ritirare presso di sè

                figli della suddetta perchè il lavoro del padre non si trova in grado di mantenerli, si è fatto a chiedere, in vista de' suoi scarsi mezzi, il ricovero del primogenito di detta sua figlia, a nome di Giovanni, d'anni 12, nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

                Lo stato miserevole del ricorrente essendo degno di una particolare considerazione, io la raccomando alla S. V. perchè voglia procurare in qualche modo di assecondare i suoi desiderii.

 

Pel Ministro'

S. SPAVENTA. [901]

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 78496-5035.

Torino, addì 4 Settembre 1863.

 

                La Signora Anna Miaredora vedova del fu Giuseppe Malabaila di Torino confettiere, trovandosi priva di beni di fortuna si è fatta a chiedere coll'unita istanza documentata la gratuita ammissione di suo figlio Carlo Enrico in qualche Collegio ove possa essere anche convenientemente istruito.

                La misera condizione della ricorrente essendo senza dubbio meritevole di qualche riguardo, raccomando alla S. V. l'ammissione del suo figlio in codesto istituto, dichiarandole che per sifatto ricovero io sono disposto a corrispondere a beneficio della Pia Opera un sussidio di L. 150 per una volta tanto.

                Gradirò a suo tempo un cenno di riscontro alla presente.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 4. Sez. 2.

                N. 5395.

Torino, addì 16 settembre 1863.

 

                Con foglio 23 agosto p. p. la S. V. accennando di avere accolto nello stabilimento da Lei diretto quattro giovani miserabili dietro ufficii fatti da questo Ministero, domanda le sia accordato qualche sussidio.

                Mi pregio dichiararle in questo particolare che il Ministero non trascurerà la propizia occasione, onde darle qualche sussidio pel ricovero dato al giovane Chiapparo Angelo, ma riguardo agli altri tre non crede di essere tenuto a farlo...

                Circa l'Onorato Giovanni, non consta che siasi fatta alcuna disposizione dal Ministero per l'accoglimento in codesto Istituto.

                Ad ogni modo la S. V. potrà in ordine a quest'ultimo fornire più particolari notizie, indicando chi lo presentasse e quali cose siano state a tal uopo esposte per ottenere il di lui accoglimento.

                Con questa opportunità la S. V. prendendo norma anche dalle suesposte cose, vorrà ricordare a questo Ministero tutti gli impegni da esso assunti nel corrente anno, pei quali nulla le fosse stato accordato.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA. [902]

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 32246-5788.

Torino, addì 18 Settembre 1863.

 

                Dall'Avvocato Bernardo Romero residente in questa Città mi è pervenuta un'istanza con annessi documenti diretta ad ottenere per un certo Bossolasco Luigi da Bossolasco, circondario di Alba, figlio della vedova Maria Giuliano, un posto gratuito nell'Istituto dalla S. V. diretto.

                Dai documenti suddetti apparendo degna di riguardo la situazione della Maria Giuliano e per miserabilità e per la sua numerosa famiglia, io aggiungo pure i miei officii appo la S. V. affinchè, secondando la propria carità, voglia raccogliere nel di Lei Istituto il sunnominato Luigi Bossolasco.

                Le trasmetto pertanto la suddetta istanza cogli atti che la corredano.

 

Pel Ministro

S.SPAVENTA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'ENTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 94411-5912.

Torino, addì 22 settembre 1863.

 

                La madre di certo Alessandro Pivetta, oriundo Dalmata, dimorante in Milano, ha fatto conoscere al Ministero come per le sue gravi angustie economiche non sia in grado di compensare la S. V. non che del mantenimento ed educazione del figlio, ma altresì delle spese diverse anticipate per lui dallo stabilimento, negli anni in cui il figlio si trova ricoverato.

                Informato della condizione veramente eccezionale di quella povera vedova col peso di altro figlio, sebbene non possa soddisfare per intero il suo desiderio, mi limiterò a contribuire in qualche parte a titolo di sussidio verso cotesta casa in una delle occasioni in cui io possa disporre qualche cosa a suo favore, nel qual incontro E Ila non mancherà di rammentarmi la presente colla istruzione della data e del numero.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA. [903]

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2

                N. 80795-5172.

Torino, addì 8 ottobre 1863.

 

                Fin dallo scorso Agosto certo Benna Gio. Batta di Biella rivolgeva a questo Ministero un'istanza accompagnata dalle raccomandazioni del Sig. Sindaco per ottenere il ricovero gratuito del suo figlio d'anni 13 nell'Istituto di S. Francesco di Sales di questa città.

                Col mezzo del Signor Prefetto della Provincia di Novara il Ministero partecipò al Sindaco di Biella e al petente che, non esercitando veruna diretta ingerenza nell'Istituto predetto, avrebbe solo potuto appoggiare la domanda presso la S. V. quando le Opere Pie nel circondario di Biella o il Comune si assumessero l'onere del pagamento d'un annua pensione a favore del Pio luogo, o almeno d'un sussidio di qualche rilievo per una volta tanto.

                Il ricorrente Benna, essendo ora stato reso edotto delle sovradette disposizioni Ministeriali, presentò altra istanza nella quale rappresentando che il Municipio e le Opere di Beneficenza di Biella non hanno potuto sottostare al pagamento della pensione verso la Pia Casa, ma che alcune private persone sarebbersi disposte alla corresponsione d'un sussidio di L. 150, oltre ad un piccolo corredo pel suo figlio, supplica in vista di questa circostanza per l'ammissione del medesimo in codesto Istituto.

                Tanto lui pregio di portare a notizia della S. V. pregandola di farmi conoscere le determinazioni che Ella stimerà di prendere in ordine al chiesto ricovero onde ne possa rendere informato l'interessato.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2.

                N. 6522.

Torino, addì 13 Ottobre 1863.

 

                Certa Basso Maddalena Vedova di Grassero Bartololmeo trovandosi nell'impossibiltà, atteso il suo stato d'indigenza, di sopperire alle spese necessarie pel mantenimento della sua falmiglia, si è rivolta a questo Ministero implorando il ricovero gratuito del suo figlio Giuseppe nell'Istituto dalla S. V. diretto.

                Le trasmetto uniti alla presente la lettera commendatizia del Sindaco di Saluzzo e l'attestato di miserabilità della ricorrente, pregandola [904] di farmi conoscere se, mediante la corresponsione del sussidio di Lire 150 per parte del Comune o delle Opere Pie di Saluzzo Ella sarebbe disposta ad accettare il giovane Grassero nel suo Istituto.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTEIRNO

                Div. 6 Sez. 2.

                N. 7149.

Torino, addì 5 Novembre 1863.

 

                Non potendo rifiutare le raccomandazioni fattemi da un'energia persona, lui fo premura di trasmetterle l'unito ricorso di Lorenzo Ferrero, il quale implora d'essere ricoverato in codesto Istituto di Beneficenza.

                Prego la S. Vostra di volermi poi far conoscere le determinazioni che avrà creduto di prendere in merito al suddetto ricorso.

 

Pel Ministro

SALINO.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINISTERO DELL'INTERNO

                Div. 6. Sez. 2

                N. 6191.

Torino, addì 30 luglio 1864.

 

                Certa Marianna Ferrari ha fatto conoscere che il di lei figlio maggiore venne caritatevolmente accolto nello Stabilimento da V. S. fondato e diretto e che le mancano fino i mezzi per allestire il piccolo corredo del ragazzo.

                Informato delle condizioni speciali di quella donna, lui sono determinato di accordare alla S. V. un sussidio di lire 100 per una volta tanto a titolo di concorso nella spesa occorrente per tale corredo.

                Il mandato sarà emesso quando la S. V. si compiacerà di avvertire dell'ingresso del giovane Ferrari nello stabilimento.

 

Pel Ministro

S. SPAVENTA. [905]

 

                Giovane raccomandato da S. E. il Ministro LANZA.

 

                REGNO D'ITALIA

                MINIISTERO DELL'INTERNO

                Div, 6. Sez. 2.

                N. 8206.

Torino, addì 21 ottobre. 1864.

 

                Le sono grato dell'adesione prestata cortesemente alla domanda da me indirizzatale per l'ammissione nell'Istituto di S. Francesco di Sales dell'Orfano Giacomo Cencia di Rovetto di Cherasco.

                Ho già fatto prevenire l'interessato della buona accoglienza fatta alla sua domanda.

                Non appena il Cencia sarà stato effettivamente accolto nello stabilimento, Ella avrà la bontà di prevenirmene onde possa disporre il pagamento del sussidio promessole con dispaccio 15 corr. N. 8013.

 

Pel Ministro

C. AVETA.



[1] Discorso letto nella Commemorazione di Don Bosco il 24 giugno

[2] II, 25

[3]                              PIUS PP. IX.

 

DILECTE FILI, SALUTEM ET APOSTOLICAM BENEDICTIONEM.

 

Tuas libentissime accepimus litteras VII Kalendas huius mensis datas, et multorum quoque istorum Sacerdotum, Clericorum et Laicorum fidelium nomine scriptas, ac singularis Tui et eorumdem ecclesiasticorum hominum et fidelium erga Nos et hanc Petri Cathedram obsequii et amoris plenas. Ac per Te ipse vel facile intelligere potes, Dilecte Fili, quanto animi Nostri dolore vel moerore potius, noscamus teterrimum sane bellum sanctissimae nostrae religioni in infelicis Italiae praesertim regionibus, a tenebrarum filiis nunc illatum qui pestiferis liberis, ephemeridibus, scholis ac pecuniae vi, aliisque nefariis omnis generis insidiis, et artibus, Italiae populos a catholico cultu avellere, illosque perniciosissimis quibusque erroribus inficere ac miserandum in modum corrumpere, et in summum aeternae salutis discrimen adducere, diabolica prorsus malitia, connituntur. In tanta vero acerbitate, tantaque contra Catholicam Ecclesiam impiorum hominum conspiratione , non mediocri certe utimur consolatione videntes quanta fortitudine et constantia Venerabiles Fratres Sacrorum Antistites, pro Episcopali munere, Dei Ejusque Sanctae Ecclesiae causam, jura, doctrinam strenue defendunt , et quanta alacritate tot fidelissimi Sacerdotes Nobis et suis Episcopis firmiter adhaerentes, impavide praeliantur praelia Domini, et qua filiali et egregia pietate tot fideles populi Nos et hanc Apostolicam Sedem prosequi et impiorum hominum conatibus obsistere gloriantur. Hine inter maximas quibus premimur acerbitates non levi certe animi Nostri solatio ex eisdem Tuis Litteris intelleximus quo studio Tu, Dilecte Fili, una cum memoratis ecclesiasticis et laicis viris istic omnem operam in fidelium salute tuenda, et in inimicorum hominum insidiis, et erroribus detegendis ac profligandis impendere non desinas. Dum vero Tibi, et eisdem

ecclesiasticis laicisque viris summopere gratulamur , animos Tibi et illis addimus, ut majore usque alacritate in divinae nostrae religionis causa propugnanda omne a Te et ipsis ponatur studium. Optamus autem vehementer , ut a Te et ab illis ferventissimae diviti in misericordia Deo , sine intermissione, adhibeantur preces , ut exurgat et judicet causam suam, ac praesentissimo suo auxilio adsit Nobis, adsit Ecclesiae suae. Jamvero ex Rescripto heic adiecto nosces quam alacri libentique animo Tuis votis annuerimus. Denique caelestium omnium munerum auspicem, et praecipuae Nostrae benevolentiae pignus, Apostolicam Benedictionem effuso cordis affectu Tibi ipsi, Dilecte Fili, et commemoratis ecclesiasticis laicisque viris peramanter impertimus.

Datum Romae apud S. Petrum die 13 Januarii, Anno 1862. Pontificatus Nostri Anno Decimo sexto.

Pius PP. IX

[4]                              Pratiche particolari di cristiana pietà.

 

I. Un'importante pratica di pietà è la Comunione, che il Sommo Pontefice ha concesso di fare nella mezzanotte del SS. Natale. Avvi facoltà di celebrare le tre Messe consecutive, di fare la s. Comunione colla Indulgenza Plenaria, applicabile alle anime del Purgatorio, a chi si accosta alla confessione e comunione. Vi precede la Novena solenne colla Benedizione del SS. Sacramento. In quella sera poi tutti possono liberamente cenare o fare la colazione, poscia prepararsi per la santa Comunione. La ragione si è, che bisogna essere digiuni dalla mezzanotte in giù, e tal Comunione si fa dopo mezzanotte.

2. Nei quattro ultimi giorni della Settimana Santa vi sono i Divini Uffizi, e si fa il Santo Sepolcro. Al Giovedì poi alle cinque di sera, se il tempo non impedisce, andranno tutti processionalmente a visitare i santi Sepolcri. Dopo di che avrà luogo la solita funzione della lavanda dei piedi.

3. Si fanno pure esercizi particolari di pietà nel mese di maggio in onore di Maria SS., e nell'ultima settimana di questo mese avrà luogo l'esposizione delle quarant'ore coll'indulgenza plenaria applicabile alle anime del purgatorio ed un Ottavario che servirà come di chiusa al mese.

[5] Vedi Appendice N. I

[6]              Io Abramo Attilio Arnaldi, di mia spontanea volontà, unitamente a mia moglie Antonietta Sironi, benchè assente da Torino, ma consapevole delle sue intenzioni, consegno a V. S. M. R. Don Giovanni Bosco nostra figlia Chiara, nata a New -York in America l’anno 1847, il giorno 24 agosto, la quale non ha ricevuto il santo Battesimo ed è stata educata nella religione protestante così in America, come qui a Torino presso i Valdesi.

                Preghiamo V. S. a volerci fare la carità di ritirarmi la medesima in uno stabilimento religioso della Chiesa Cattolica Romana, onde sia nella medesima Chiesa istruita e battezzata, essendo questa la religione dei padri suoi.

                Di questa carità e grazia sarò sempre memore per tutto il tempo di mia vita: le sia padre a questa fanciulla nel tempo della mia assenza, chè Iddio la rimunererà.

                Mi sottofirmo anche a nome di mia moglie:

                Torino 18 gennaio 1862.

 

ABRAMO ATTILIO ARNALDI

nativo di Conio

 

                Io sottoscritta Chiara Arnaldi acconsento, ed è la mia assoluta volontà, di essere allevata e battezzata nella Chiesa Cattolica cristiana romana.

                Torino, 18 gennaio 1862.

 

                CHIARA ARNALDI.

                Io sottoscritto Daniele Giovanni portinaio della Chiesa Evangelica valdese ricorro alla S. V. M. R. Giovanni Bosco, se volesse usarmi la carità di collocarmi mia nipote Daniele Antonietta del vivente mio fratello Angelo Daniele, e della fu Carolina Lupi ricoverata nel Manicomio, essendo demente.

                Prego la S. V. a collocare questa mia nipote orfana in qualche stabilimento cattolico romano, onde sia educata nella religione de' suoi genitori; dichiaro' che questo lo faccio di mia volontà e non indotto da nessuno, ed essendo suo zio, lo faccio per il di lei bene sì spirituale che temporale, e spero che secondo la sua promessa sarò esaudito.

                Io non posso che ringraziarla di tanta carità e pregare Iddio per la di lei prosperità ed anche per tutti coloro che si adoperano nel beneficare i poverelli.

                Torino, 5 febbraio 1862.

 

DANIELE G.

[7]                                                                                             INVITO

ad una Lotteria d'oggetti in Torino.

 

a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di San Luigi a Porta Nuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia.

 

                Prima di fare pubblico invito ad un'opera di beneficenza ci sembra cosa ragionevole dare un cenno dello scopo cui tende l'opera proposta.

                In Torino da parecchi anni furono aperti tre Oratorii maschili nei tre principali lati della città, ove si raccoglie quel maggior numero che si può di giovanetti pericolanti. Ivi sono trattenuti con onesta e piacevole ricreazione dopo di aver soddisfatto al precetto festivo, sono allettati con premii, con un po' di ginnastica e con le scuole. Un ragguardevole numero di pii signori vengono solleciti a prestare l'opera loro col fare il catechismo, con invigilare che compiano i loro doveri nelle rispettive officine e collocando presso ad onesto padrone coloro che fossero disoccupati.

                Nell'Oratorio di S. Luigi e di S. Francesco di Sales vi sono le scuole quotidiane per quei giovani che o per umiltà delle laceri vesti o per indisciplina non sarebbero accolti nelle scuole pubbliche. Oltre l'istruzione religiosa sono ammaestrati intorno alla lettura, scrittura, principii d'aritmetica, di sistema metrico, di grammatica italiana e simili.

                Ma tra questi giovani se ne incontrano parecchi, i quali sono talmente poveri ed abbandonati, che non potrebbero avviarsi ad alcun mestiere senza dar loro alloggio, vitto e vestito. A questo bisogno provvede la casa annessa all'Oratorio di San Francesco di Sales.

                Ivi hanno eziandio luogo le scuole serali ove, oltre i laboratorii e le scienze elementari per gli artigiani, è parimenti insegnato il canto fermo, la musica vocale ed istrumentale. Queste scuole sono tanto per gli esterni quanto per gli interni.

                Inoltre siccome la divina Provvidenza fornì molti giovani di non ordinario ingegno, i quali per altro sono scarsi di mezzi materiali per progredire negli studii, così fu loro aperto un adito in questa casa, sia che possano pagare tutta, ossia parte, ed anche nessuna pensione, purchè v'intervenga il merito dell'ingegno e della moralità. Costoro per lo più riescono maestri di scuola, altri si danno al commercio, e quelli che ne hanno la vocazione sono avviati allo stato ecclesiastico. Dato questo breve cenno, è facile il comprendere dove sia diretto il provento della Lotteria. Le spese dei fitti de' rispettivi locali, la manutenzione delle scuole, somministrare quanto occorre pel divin culto delle tre chiese, provvedere ai bisogni più urgenti di alcuni, il dar pane ai ricoverati sono oggetti di grave dispendio. Una spesa non leggiera dovettesi sostenere a fine di preparare nella casa i laboratorii e le scuole, non essendo più possibile che pel numero ognora crescente gli artigiani e gli studenti frequentassero le officine e le scuole della città.

                Per fare fronte alla moltiplicità di queste spese non seppesi ideare altro mezzo più opportuno che una lotteria, come quella che tende la mano alla piccola beneficenza in qualunque misura, sì in oggetti come in danaro.

                Qui taluno potrebbe domandare: per tutte queste spese non vi sono redditi fissi? I giovani che intervengono sono in numero considerevole? Questi giovani sono soltanto della Capitale o anche delle provincie? Poche parole in risposta: Per fare fronte alle spese che occorrono a questi tre Oratorii e scuole annesse non havvi alcun reddito fisso, ed ogni cosa si sostiene colle sole largizioni, che la Divina Provvidenza inspira nel cuore delle persone caritatevoli.

                I giovani che intervengono sono assai numerosi talvolta essi ascendono a più migliaia in un solo di questi Oratorii così i locali per le scuole e funzioni religiose, sebbene siano assai spaziosi, sono divenuti ristrettissimi in paragone dei giovani che affluiscono.

                Questi giovani poi in parte sono della Capitale, ma in maggior numero - provengono dalle città e dai paesi dei circondarii, recandosi alla Capitale in cerca di lavoro o per attendere allo studio per esempio coloro che sono raccolti e dimorano attualmente nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco ascendono a circa 570, e di costoro solamente 50 sono torinesi: gli altri provengono dalle città e dai paesi di questa e delle altre provincie.

                Egli è per questo che mentre noi raccomandiamo questa lotteria ai benemeriti nostri concittadini, invitiamo eziandio le persone caritatevoli dimoranti fuori di Torino a venire in auto di un'opera, che oltre ad essere diretta a promuovere in genere Il bene della classe più bisognosa della società, si estende ancora a favore di chiunque ne voglia approfittare, a qualunque città, paese o provincia egli appartenga.

                Dal piano di regolamento ivi annesso, ognuno può conoscere con quali mezzi ed in quale misura potrà tornare a grado di concorrere a quest'opera di beneficenza.

                I membri della Commissione infra descritti confidano che sia per essere ben accolto questo loro progetto, e con tale fiducia pregano Iddio a voler dare largo guiderdone a tutti coloro, che, anche in piccola quantità, vi vorranno prendere parte.

 

Piano di Regolamento per la Lotteria.

 

                I° Sarà colla massima riconoscenza ricevuto qualunque oggetto d'arte, d'industria, cioè lavori di ricamo, di maglia, quadri, libri, drappi, tele, o di vestiario; si riceverà egualmente con gratitudine ogni lavoro in oro, in argento, in bronzo, in cristallo, in porcellana e simili.

                2° Nell'atto che si consegneranno gli oggetti sarà descritta sopra ad un catalogo la qualità dei dono, ed il nome dei donatore, a meno che questi ami di conservare l'anonimo.

                3° I membri della Commissione, i Promotori e le Promotrici sono tutti incaricati di ricevere i doni offerti per la lotteria; si fa poi loro preghiera di farli pervenire al luogo della pubblica Esposizione, , nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, in quel modo che loro tornerà di minore incomodo.

                4° I biglietti saranno emessi in numero proporzionato al valore degli oggetti, dopo la perizia approvata dalla Prefettura della Provincia di Torino. Onde questo mezzo di beneficenza si può in certo modo appellare una liquidazione d'oggetti in forma di lotteria.

                5° Il prezzo dei biglietti è fissato a cent. 50 cad. Chi ne prenderà una decina avrà l'undecimo gratuito; chi ne prende 25 in un biglietto rosso, oltre all'eventualità di ciascun numero, avrà un premio assicurato. I biglietti rossi hanno la venticinquina, cioè ciascuno ha la serie di 25 numeri; è l'ultimo di essi che porta il premio assicurato, gli altri sono di color canarino. Chi vince l'oggetto primo estratto, che è segnato coi numero 1, può scegliere o l'oggetto medesimo o 500 franchi che una persona offre invece di quello.

                6° I biglietti saranno spiccati da un foglio a matrice e muniti della firma d'un membro della Commissione e marcati col timbro della medesima.

                7° La pubblica esposizione degli oggetti durerà due mesi. Si notificherà sui giornali il giorno in cui avrà luogo l'estrazione. I signori promotori e le signore promotrici saranno con lettera per tempo avvisati di quanto riguarda l'andamento della lotteria alla loro carità raccomandata.

                8° Si estrarranno tanti numeri quanti sono i premi a vincersi; il primo numero estratto vincerà l'oggetto corrispondente segnato col N. 1°, cosi il secondo e successivamente.

                 9° I numeri vincitori saranno pubblicati dai giornali dodici giorni dopo l'estrazione; quindi si comincerà la distribuzione dei premii. I premii non ritirati, due mesi dopo l'estrazione, si, intenderanno donati a beneficio della lotteria medesima.

                N.B. - La pubblica esposizione degli oggetti si farà nella casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, ma per maggior comodità de' donatori gli oggetti si ricevono anche in provincia dai benemeriti signori promotori e promotrici, cui si fa umile preghiera di farli pervenire al luogo della pubblica esposizione, avvertendo che ove occorressero spese ne saranno rimborsati, sempre che diano avviso al Segretario della Commissione.

 

[8] A richiesta dell'esimio sacerdote D. Giovanni Bosco, dichiaro aver proceduto oggi all'esame e valutazione degli oggetti d'arte qui sopra descritti, formanti insieme la somma di lire 24, 771.

                In fede

                Torino, 14 marzo 1862.

GIOVANNI VOLPATO.

                Io sottoscritto a richiesta del Rev. Sig. D. Bosco ho proceduto all'estimazione degli oggetti di vario commercio descritti nell'elenco qui retro esposto per la somma di lire 10,168,60.

                In fede

                Torino, 14, Marzo 1862.

BUZZETTI GIUSEPPE.

[9]                              Ill.mo Sig. Prefetto,

 

                Nel vivo desiderio di accrescere il bene morale dei giovani poveri e abbandonati, che sono esposti a tanti e gravi pericoli girovagando per le vie delle città e paesi, ho intrapresi vari lavori di costruzione, indispensabili per tale scopo; ma per effettuarli ho dovuto addossarmi tali spese, che ora mi riesce impossibile potervi fare fronte senza ricorrere alla pubblica beneficenza, il cui favore ho già più volte in simili congiunture provato. A questo oggetto ho invitato i sottonominati benemeriti Signori, richiedendoli del loro consiglio e dell'opera loro.

                Esaminarono essi i motivi delle spese che sono i seguenti:

                I° Pagare un residuo di fr. 30000 adoperati a far riattare un locale ove sono in quest'anno ricoverati, oltre 200 giovani più degli anni precedenti.

                2° Pagare il fitto annuo arretrato della scuola ed Oratorio festivo in Vanchiglia, che monta a fr. 650, più fr. 900 per fitto scaduto di due anni della scuola quotidiana ed Oratorio festivo a Porta Nuova.

                3° Ultimare alcuni lavori posti in costruzione nell'Oratorio di San Francesco di Sales in Valdocco ad uso di scuole diurne e serali, cui corre grave bisogno essendo quel circondario popolatissimo e vasto.

                4° Dare pane ad un numero di circa 570 giovani poveri ed abbandonati, i quali nella casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales sono ricoverati, provveduti di vitto e vestito ed avviati ad una professione.

                Questi Signori esaminata la necessità di tali spese e il bisogno di provvedere alle medesime proposero unanimi di fare una lotteria di oggetti e si offrono a prestare l'opera loro.

                Egli è per questo bisogno che io ricorro rispettosamente a V. S. Ill.ma supplicandola di voler approvare la Commissione di questa Lotteria ne' membri sottonominati, con facoltà di pubblicare l'unito piano di regolamento:

                I° Di potere smerciare biglietti 69880 a centesimi 50 caduno che formano L. 34939, 60, corrispondenti al valore degli infrascritti oggetti

                2° Che ciascun biglietto sia segnato da un membro della Commissione e col bollo della medesima, come fu già concesso coi decreti 7 marzo 1854 e precedenti nelle anteriori Lotterie approvate da questa benemerita Prefettura.

                Persuaso che nella sua bontà e carità vorrà prendere in benigna considerazione l'umile mia domanda, l'assicuro che ne serberò viva gratitudine, mentre anche a nome dei giovani beneficati Le auguro copiose benedizioni dal cielo, dicendomi con pienezza di stima e di riconoscenza

Torino, 14 marzo 1862.

Sac. GIOVANNI BOSCO.

[10] MINISTERO DELL'INTERNO

                Amministrazione

Torino, addi 18 marzo 1862.

 

Spiace al sottoscritto di doverle partecipare che tornarono vuoti d'effetto gli uffizi fatti da questo Ministero a quello dei Lavori Pubblici, onde ottenere il percorso gratuito sulle ferrovie esercitate dallo Stato, avendo lo stesso Ministero dei Lavori Pubblici osservato che tale favore dal R. Decreto 26 dicembre 1861 è riservato esclusivamente ai membri del Parlamento ed agli Ufficiali che trovansi nei casi ivi previsti.

Pel Ministro CAPRIOLIO

[11]                              Regolamento dei Laboratorii.

 

                I. I giovani allievi di ogni officina debbono essere sottomessi ed ubbidire all'Assistente ed al maestro d'arte, che sono i loro superiori immediati.

                2. Nessun allievo può intraprendere o cambiare arte senza licenza dell'Economo o del Rettore.

                3. Nelle officine è assolutamente proibito fumar tabacco, bere vino, giuocare ed ogni sorta di divertimento. In esse si osserverà quel rigoroso silenzio che sarà compatibile coll'arte o mestiere.

                4. Nessun allievo può uscire dal laboratorio senza licenza dell'Assistente: qualora fosse necessario mandarli per qualche lavoro o commissione fuori di casa, l'Assistente ne procurerà l'opportuna licenza dall'Economo o dal Prefetto.

                5. Nessun lavoro estraneo alla casa o di qualche importanza può essere eseguito, senza previa intelligenza coll'Economo.

                6. Ogni lavoro sarà dall'Assistente notato a registro colla data, prezzo convenuto, nome e dimora di colui pel quale si eseguisce e colle altre maggiori indicazioni che fossero necessarie.

                7. L'Assistente invigilerà attentamente sulla condotta morale degli allievi, sulla puntualità nell'intervenire al lavoro.

                8. Tanto l'Assistente come il maestro d'arte sono tenuti d'impedire ogni sorta di cattivi discorsi, e conoscendo qualcuno che ne fosse colpevole subito ne daranno avviso.

                9. L'Assistente ed il maestro d'arte procureranno di trovarsi per tempo all'entrare dei giovani nelle officine, per impedire quelli inconvenienti che in tal tempo potrebbero succedere, e per distribuire a ciascun allievo il lavoro senza che abbiano a perdere tempo.

                10. Dovendo il maestro d'arte uscire dall'officina per misure o altro suo dovere, ne darà avviso all'Assistente.

                11. È speciale dovere del maestro d'arte l'ammaestrare il giovane nell'arte propria e procurare che ogni lavoro sia bene eseguito, e con economia.

                12. Dovendosi provvedere oggetti e materiali occorrenti, l'Assistente avviserà l'Economo da cui riceverà gli ordini opportuni. Quando dovesse uscire per fare provviste di cui non si stimasse abbastanza pratico, condurrà seco il maestro d'arte o qualchedun altro, provvedendo per l'assistenza dei giovani.

                13. Al sabbato di ogni settimana l'Assistente, sentito il parere del maestro d'arte, darà all'Economo nota della condotta di tutti gl'individui nel laboratorio, avendo speciale riguardo alla diligenza del lavoro ed al contegno della moralità.

                14. Il medesimo darà pure all'Economo nota di tutti i lavori fatti durante la settimana.

                15. Ogni mese procederà di concerto col maestro d'arte ad un inventario di tutti i materiali esistenti nel magazzino, di tutti i ferri e utensili inservienti all'officina.

                16. Se qualche cosa si trovasse guasta o mancante per colpa di alcuno, si provvederà a spese del colpevole, e se non si conoscesse il colpevole si provvederà a spese di tutti gli allievi dell'Officina.

                17. Il lavoro comincierà coll'Actiones e coll'Ave Maria. A mezzodì si dirà sempre l'Angelus Domini prima di uscire dal laboratorio.

                18. Si ricordino gli Assistenti ed i maestri d'arte che collo zelo e colla carità possono fare Un gran bene, per cui saranno dal Signore ricompensati.

                19. Pensino gli allievi che l'uomo è nato pel lavoro, e solamente chi lavora con amore ed assiduità trova lieve la fatica e potrà imparare l’arte intrapresa per procacciarsi onestamente il vitto.

                20. Questi articoli saranno letti ai giovani dall'Assistente o da chi per esso ogni quindici giorni a chiara voce e se ne terrà sempre copia esposta nel laboratorio.

[12] Filipp. I, 18

[13] D. Bosco stampava poi questo fatto meraviglioso nel suo libro intitolato: Le meraviglie della Madre di Dio.

[14]              JOANNES Bosco SACERDOS

 

LECTORI SALUTEM.

 

                               Pueri mei musis mansuetioribus

                               Operam qui navant, latinam fabulam

                               Propediem prima et vigesima Junii, dabunt

                               Aloysio sacra, juvenum potenti.

                               Et jam res nova, sane nobis praesagit

                               Multos doctiores spectatores fore,

                               Quos inter gaudeo te adnumerarier.

                               Verum si adsies, meus ni obficiet amor,

                               Tu nostrum cum aliis optime adprobaveris

                               Morem quem sumpsi, abhinc aliquot jam annos,

                               In hac studiorum pueros ratione

                               Meos exercendi. Fac venias. Vale

                               Et haec valet tessera tuis et tibi.

[15]                              Caro fratello in Gesù,

 

                Ricevuta il Rev.do Signor D. Bosco la tua cara e prediletta lettera, fugli di gran consolazione il leggere le parole, che, tutte partite dall'intimo del tuo cuore, venivano indirizzate a lui che tanto ti ama. Il dar di piglio alla penna e risponderti parole paterne, parole di consolazione, sarebbe stato il più grati piacere per lui, che ama di un sì tenero amore i suoi figli; un grazie di suo pugno sarebbe stato il più bel dono, son certo, che ti avrebbe potuto fare; ma che vuoi ? Mille occupazioni che il circondano, gli affari da disimpegnare, gli incomodi che di continuo lo opprimono, gli resero impossibile il soddisfare alle sue ed alle tue brame. Egli è per ciò che incaricò me a voler risponderti e dirti che il suo cuore è pieno di amore per te, che ci prega per te, che ei mai nelle sue preci ti dimentica, che egli scongiura Maria che ti conservi suo. Un altro priego lascia pure che io ti faccia, da parte di questo padre sì tenero, cioè che tu sii sempre quel suo figlio, tale quale eri un dì qui tra noi, allorchè ancora partecipe di ogni cosa menavi tua vita nell'Oratorio; e che tu voglia pregare in particolar modo per lui e ricordarti nelle tue comunioni di Liti e dire a Maria che lo aiuti.

                Una cosa ancora da parte di D. Bosco, che cioè, postochè non puoi più darti a vivere tra noi, poichè tra queste mura non puoi più abitare l'anno intero, almeno tu venga ora a passarvi qualche giorno libero sempre di stare e di partire secondo il tuo vantaggio ecc.

[16]              Iglesias, 15 maggio 1862.

 

                               Ill.mo Molto Rev.do Signore,

 

                Segno recapito alla S. V. Ill.ma di biglietti n° 125 per la lotteria, a favore dei giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, e mi darò premura di procurarne lo smercio. Mi rincresce di non essere in grado di concorrere in altro modo alla pia opera, con tanto zelo promossa dalla di Lei carità. Trovomi ancor io in non dissimili circostanze per erezione di parrocchie in questa mia diocesi, e ne tengo una quasi a metà, senza poter proseguire i lavori per mancanza di mezzi. Dico ciò perchè si persuada del mio buon volere.

                Resto inteso di quanto mi accenna nei preg.mo di Lei foglio, a nome dei giovani da lei beneficati, tanto della tipografia iniziata, come dell'indulgenza plenaria elargita dal regnante S. Pontefice in articolo di morte colla sua apostolica benedizione a tutti i benefattori; e me ne, compiaccio.

                Gradisca le proteste di rispettosa stima con cui passo a proferirmi

                Della S. V. Ill.ma Molto Rev.da

 

Dev.mo aff.mo Servitore

+ Gio. BATTISTA, Vescovo.

[17]                              Illmo e Motto Rev. Signore,

 

                È  da qualche tempo che mi giunsero le due lettere a stampa di V. S. Ill.ma e Molto Rev. delle quali l'una è senza data, l'altra è dei 24 Aprile pp. e che mi faccio a riscontrare.

                Rilevo dalla prima con vera consolazione che codesto Oratorio di S. Francesco di Sales va sempre più progredendo a beneficio della gioventù, e mi gode l'animo di sentire quanto il S. Padre sia largo di favori, non solo verso l'Oratorio suddetto, ma altresì verso tutti quelli che lo beneficano.

                Dalla seconda lettera poi apprendo che la lotteria a vantaggio di codesto pio istituto è differita, ma che non ostante le è piaciuto di inviarmi 125 biglietti.

                Questi biglietti mi giunsero nelle memorate sue lettere acclusi, e di buon grado li avrei ritenuti se tanti altri bisogni imperiosi della mia Diocesi, specialmente in questi tempi, non mel vietassero. Ad ogni modo, bramando pure darle una tenue testimonianza del mio attaccamento verso codesto Oratorio, Le accludo un vaglia Postale di L. 20, ma nel tempo stesso ritorno gli enunciati 125 biglietti dei quali tutti può liberamente disporre; nè qui, per l'affluenza di associazioni, si è trovato di esitarli.

                Ora non mi rimane che congratularmi seco Lei per quella indefessa carità con cui tanto si adopera a vantaggio della porzione così eletta dei gregge di Gesù Cristo, qual è la gioventù, ed augurare i più copiosi frutti alle apostoliche sue fatiche, mentre con vera e distinta stima godo di protestarmi.

                Di V. S. Ill.ma e M. Rev.

                Ferrara, 7 Giugno 1862.

Aff.mo per servirla

L. Card. VANNICELLI, Arciv.

 

                               Reverendissimo mio Signore,

 

                Sempre più lodo ed ammiro quello spirito di vera carità cristiana, da cui Ella è tanto animata, per rendere gloria a Dio e giovare al prossimo. E La ringrazio che nella sua opera speciale di carità, tendente a soccorrere i giovanetti pericolanti, abbia avuto il pensiero di ricorrere anche a me, invitandomi a dare qualche dono per la lotteria, che Ella ha organizzato a favore del suo caritatevole Istituto. Le mando due medaglie di argento portanti l'effigie del venerato nostro Pontefice Pio IX, chiuse in un astuccio. È povero il dono e sono dolente di non poter corrispondere come vorrei: ma lo accolga come arra dei mio buon volere e contrassegno della mia grande simpatia per l'opera da Lei diretta e di quella profonda stima, con che mi è grato protestarmi sempre

                Di V. S. Reverendissima

                Roma, - 3 Giugno 1862.

 

Serv. suo aff.mo ed ammirant.mo

P. Card. MARINI.

[18]              “Visto si riscontra per lire 5625 - 17 giugno 1862 - Professore Giovanni Volpato ”.

                “ Io sottoscritto a richiesta dei Sig. D. Giovanni Bosco ho proceduto all'estimazione degli oggetti di vario commercio descritti nell'elenco, qui sopra esposti, per la somma di L. 23, 569. - In fede Torino, 17 giugno 1862 Buzzetti Giuseppe ”.

 

1              N. 55 - Div. 5°

 

IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI TORINO.

 

                Visti i ricorsi presentati dal Sig. Sac. Giovanni Bosco con cui chiede l'autorizzazione di aprire una Lotteria di oggetti stati donati dalla generosità cittadina, destinandone il prodotto a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales in Valdocco, di S. Luigi a Portanuova e dell'Angelo Custode in Vanchiglia;

                Visto l'annesso programma e piano della Lotteria;

                Visti gli elenchi degli oggetti donati in numero di mille ottocento venti, il cui valore ascenderebbe a lire sessanta quattro mila cento trentatre e sessanta centesimi, giusta la perizia dei Signori Professori Giovanni Volpato e Buzzetti Giuseppe in data 14 marzo e 17 giugno ultimi scorsi;

                Vista la nota del Ministero delle Finanze (Direzione generale del Demanio e delle Tasse) in data 28 giugno p. p. N. 20971, 2277, 1595 Divisione 2a (Lotto);

                Visto il Regolamento annesso al R. Decreto 4 marzo 1855, N° 606;

                Visto il primitivo Decreto di questo Ufficio in data 21 marzo corrente anno;

 

DECRETA.

 

                Articolo I. - È autorizzata l'apertura della Lotteria suddetta in conformità del proposto piano e coll'emissione di Cento quaranta mila novantadue biglietti al prezzo di centesimi cinquanta caduno, i quali dovranno, prima di essere distaccati e distribuiti, essere numerati e debitamente sottoposti al marchio esistente presso l'Ufficio del Regio Lotto nel Ministero di Finanze e firmati da un membro della Commissione della Lotteria.

                Articolo 2. - Il prodotto dei biglietti sarà di mano in mano versato nella Cassa della Commissione, per essere poi destinato all'uso indicato nel memoriale programma e piano relativo.

                Articolo 3. - Nell'annunziarsi al pubblico della presente Lotteria, si dovrà far conoscere il tenore del presente decreto.

                Articolo 4. - Il giorno per l'estrazione della Lotteria è fissato pel 3 di settembre, corrente anno, nella casa annessa all'Oratorio di San Francesco di Sales in Valdocco, alla presenza dei membri della Commissione e del Sindaco della città di Torino, il quale è incaricato, di vegliare all'esatta osservanza delle avanti tenorizzate condizioni, e di quelle che in avvenire credesse questo ufficio opportune di prescrivere la cui inosservanza renderà nulla e di niun effetto la Lotteria.

                Articolo 5. - Non si potrà aumentare il numero dei biglietti ne differire l'estrazione della Lotteria senza la previa Superiore approvazione.

                Torino, 2 luglio 18062

Il Prefetto

F. PASOLINI.

 

                Il Ministro delle Finanze, Visto il presente decreto coi relativi titoli di corredo, Lo approva in senso del disposto dell'art. 8, del regolamento 4 marzo 1855. Dal Ministero delle Finanze.

                Torino, addì 5 luglio 1862.

Pel Ministro

SCIALOJA.

[19]                              Reverendissimo Padre (Don Rua),

 

                Tornato a Roma dal Congresso Eucaristico di Napoli, apprendo con molto piacere che l'esortazione diretta ai Parroci nel Bollettino Salesiano incomincia a portare frutti. Rendo perciò le migliori grazie alla S. V. R.ma, e Le accerto che Ella ha fatto opera ben gradita al Santo Padre, il quale tanto desidera che si tengano vive le sue Encicliche sul Rosario, mediante l'erezione della Confraternita sotto lo stesso titolo.

                Ai sentimenti di riconoscenza aggiungo per altro una preghiera; ed è che a quando a quando rinnovi con poche linee la memoria ai parroci e Rettori di Chiese, acciocchè la dimenticanza non faccia loro perdere di vista la fondazione della Confraternita dei S. Rosario.

                E Dio prosperi sempre la S. V. R.ma della quale rimango

                Dev.mo Oss.mo Servo in G. Maria

 

                Roma, Palazzo S. Uffizio, 27 novembre 1891.

+ Fr. VINCENZO LEONE SALLUA, Comm. Gle.

Arcivescovo di Calcedonia.

[20] La Civiltà Cattolica. Terza Serie, Vol. V, pag. 482

[21] Oggetti di belle arti, lire 2100. Professore Giuseppe Volpato. Per gli oggetti di chincaglieria e fantasia esposti nel presente elenco, lire 25, 914. Buzzetti Giuseppe.

[22]              IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI TORINO.

 

                Visto il ricorso che precede;

                Visto l'annesso elenco 30 d'oggetti stati nuovamente donati per la Lotteria a favore degli Oratori di S. Francesco di Sales ed altri eretti in Torino in N. di 1014, rilevanti coll'aggiunta del decimo pel biglietto gratuito ogni decina, come da decreto di questo ufficio delli 2 luglio alla complessiva somma di lire 30, 815 equivalente al numero di 61,630 biglietti da emettersi;

                Vista la dichiarazione degli Estimatori giurati i Signori Professore Giovanni Volpato e Buzzetti Giuseppe;

                Visto il suddetto Decreto di questo ufficio cogli altri atti antecedenti della pratica;

                Visto il Regolamento annesso al R. decreto 4 marzo 1855 N. 6o6.

 

DICHIARA

 

                La Commissione incaricata per la Lotteria dell'Oratorio di S. Francesco di Sales ed altri eretti in Torino è autorizzata ad effettuare l'estrazione il giorno 30 settembre andante e ad emettere numero 61,630 biglietti in aggiunta di quelli già in distribuzione, al già stabilito prezzo di centesimi 50 caduno, serbate nel resto le precedenti prescrizioni ed avvertenze di cui nel primitivo accennato decreto di quest'ufficio.

                Torino, li 21 settembre 1862.

 

Per il Prefetto

RADICATI.

[23]              Protocollo generale N. 5971.

                               Ill.ma Signore,

 

                Con lettera a stampa del decorso agosto segnata nella sopraccarta col Bollo della Regia Segreteria di Stato per gli affari interni, Ella nella sua qualità di Presidente della Commissione per la lotteria a favore dei tre Oratorii di Torino, diretti dal Sac. Giovanili Bosco, m'inviò raccomandandomeli io decine di biglietti del valore di centesimi 50 per ciascuno. Ne avevo già ricevuti altri direttamente dal prelodato Sacerdote fino dal decorso maggio, ma fra i bisogni che non soli pochi anche in questa città, e per le scemate risorse in questo paese, non era facile che potessi soddisfare ai loro desiderii. Pur tuttavia trattandosi di opera sì pia e si caritatevole, quale è quella de' sopraenunciati Oratorii, ho fatto ogni sforzo; e mi è grato ora l'inviarle con l'accluso vaglia postale italiane lire 50, che sono il prezzo dei 100 biglietti inviatimi.

                Colgo intanto questa occasione per segnarmi ossequiosamente.

                Di V. S. Ill.ma

 

                Firenze, dall'Arciv. il 21 settembre 1862.

Dev.mo Servitore

+ GIOACCHINO, Arcivescovo di Firenze

[24] Lotteria di D. Bosco. - Riceviamo la seguente lettera, che pubblichiamo di buon grado. “ Interesso la cortesia di V. S. Pregiatissima, acciò si compiaccia, in quel modo che crederà migliore, di dare un cenno nel suo pregiato giornale delle deliberazioni prese dalla Commissione per la Lotteria a favore degli Oratorii di S. Francesco di Sales, di Vanchiglia e di Portanuova, esistenti in questa Capitale, in una seduta del 16 corrente mese.

I° L'esposizione degli oggetti rimane aperta al pubblico sino a tutto il 23 corrente settembre. Dopo vi saranno quattro giorni per ritirare il provento dei biglietti, e raccogliere quelli che non fossero stati smerciati.

2° Il tempo utile alla restituzione dei biglietti scade definitivamente con tutto il 27 corrente settembre. Quelli non consegnati in tale spazio di tempo s'intendono ritenuti a benefizio della Lotteria.

3° La pubblica estrazione avrà luogo il giorno 30 settembre dalle ore 9 alle 10 antimeridiane nella sala del Palazzo Municipale, alla presenza della Commissione.

4° Otto giorni dopo l'estrazione saranno pubblicati sui giornali i numeri vincitori. Quindi comincierà la distribuzione dei premi ”

[25] L'Armonia 27 Novembre 1862

[26] Vita ed Istituto di S. Angela Merici per Giuseppe Frassinetti, Priore a S. Sabina in Genova. Tipografia Salesiana. Torino. Vedi pure le operette dello stesso autore: Rosa Cordone, Rosina Pedemonte, La monaca  

[27] L'Armonia 27 Novembre 1862

[28] A più chiara intelligenza del fatto crediamo opportuno di riprodurre qui quanto ne scrisse D. Bosco: - “ La sera del 26 marzo 1854, questo principe dal passeggio ritornava al real palazzo. Giunto ad un angolo della strada, uno sconosciuto di mediocre statura e capelluto, che stava colà in agguato, l'urtò, gli ficcò un pugnale nel seno, e lasciando il ferro nella ferita si diede alla fuga. Cadde il principe come morto; il suo aiutante lo sollevò e gli estrasse il pugnale dalla ferita, ed in mezzo ad una folla di popolo ivi accorsa fu condotto al palazzo. Il colpo fu giudicato mortale, e in fatto tra poche ore il principe trovavasi in imminente pericolo di vita. Prima di ogni altro rimedio, richiamando a memoria i principii di buon cristiano pensò di provvedere alla salvezza dell'anima sua. Chiese egli stesso di confessarsi, e ricevette gli altri sacramenti a grande edificazione dei sudditi. Interrogato se non aveva potuto conoscere l'assassino, rispose: - Quella figura non è parmigiana; sono tre giorni che mi perseguita, lo vidi starmi di fronte, di dietro e da lato; ma io gli perdono di cuore; e, qualora egli venisse scoperto, non voglio che abbia altro castigo che l’esilio. Sia fatta la volontà di Dio; io ricevo la morte in penitenza dei miei peccati. - Udito poscia che non vi era più speranza di vita, convocò intorno al suo letto tutti i signori e servi della corte, loro chiese perdono dei dispiaceri e dello scandalo che aveva loro arrecato. Ai figliuoli poi raccomandò l'obbedienza alla duchessa loro madre e l'adempimento d'ogni altro dovere. Più volte recitò ad alta voce il Pater noster, pronunziando con profondo sentimento quelle parole:

                Perdona a noi i nostri debiti, siccome anche noi li perdoniamo ai nostri debitori. Tenendo il crocefisso tra le mani, lo baciava spesso con tali segni di cristiana pietà, che tutti gli astanti erano profondamente commossi. Così moriva un principe ferito a tradimento nel fiore della sua giovinezza, e moriva perdonando al proprio uccisore. Egli spirò ventitrè ore dopo l'assassinio, in età di anni 31, lasciando crede il suo primogenito di sei anni, sotto la reggenza della duchessa sua moglie”. (V. Storia d'Italia di Don Bosco).

[29] Vedi appendice N. 2 in fondo al Volume

[30]              “ Dire che questa operetta è scritta in modo da doversene chiamar contente del pari e la pietà e la scienza, non è che dire la verità. Ma ciò non basta. Noi dobbiamo ancora soggiungere, che questi cenni storici sono stati raccolti ed ordinati dal sacerdote Giovanni Bosco e con ciò siamo sicuri eli aver fatto a questo libro il migliore elogio, perchè quello che esce dalla penna di quell'egregio uomo di Dio, non solo è scritto bene, ma è scritto così bene da saper farsi leggere persino dai più schizzinosi. Non dubitiamo dunque che questa vita della nostra concittadina, la Beata Caterina de Mattei, sarà letta con sommo piacere e vantaggio dai nostri associati. Tuttava noi vogliamo raccomandarla particolarmente alle giovani cristiane, persuasi di metter loro in mano un modello, che tanto più facilmente si farà da loro imitare, quanto più è unito ad esse coi vincoli della nazionalità, e diremo quasi, della cittadinanza”.

[31]              Nel Necrologio dell'Oratorio si legge: 1862. Nuovo sistema di consegna all'ufficio dello stato civile per decessi. Ore di ufficio dalle 8 e mezzo alle 4 P.

                Due testimoni maggiorenni domandino, nell'atto di dare la consegna, il feretro, pagando lire 10. Se per carità, basta che il Superiore mandi la consegna colle dovute indicazioni da sè firmata e per mano di un maggiorenne che servirà di secondo testimonio, colla domanda gratuita del feretro.

                Indicazione dei padre, madre e loro condizione e domicilio; nascita, patria e condizione del defunto.

[32]                              Eccellenza,

 

                Il Sac. Bosco Giovanni espone rispettosamente a V. E. come esso trovisi nella grave necessità di provvedere alle spese di fitto, di riparazione e di culto, che occorrono per l'Oratorio di San Luigia Porta Nuova, del S. Angelo Custode in Vanchiglia, di S. Francesco di Sales in Valdocco, dove si compiono nei giorni festivi mattino e sera le sacre funzioni.

                Non sapendo a chi ricorrere in questo premuroso bisogno, e per sopra più le tre rispettive chiese avendo necessità di essere eziandio provvedute di paramenti e di altri oggetti che occorrono per l'altare, ricorre umilmente alla nota e provata carità di V. E., supplicandola a volergli accordare sopra la cassa dell'Economato quel maggior sussidio che nella sua bontà giudicherà beneviso per queste chiese prive di ogni mezzo e che sussistono di sola beneficenza.

                Pieno di fiducia di essere favorito, augura ogni bene dal cielo sopra di Lei e sopra tutti quelli che in snodo speciale prestano la benefica mano al bene morale della gioventù.

                Di V. E.

                Torino, 1863.

 

Umile ricorrente

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                               Altezza Serenissima,

 

                Espongo rispettosamente a V. A. Serenissima il grave bisogno in cui si trova un numeroso stuolo di poveri giovanetti, già più volte dalla grande sua carità beneficati.

                Oltre all'urgenza di dover loro provvedere gli ordinarii alimenti, sono essi gravemente mancanti di abiti con cui vestirsi e degli opportuni indumenti da letto a fine di ripararsi dal freddo della cruda attuale stagione.

                Non sapendo a chi ricorrere per ottener loro qualche sussidio in queste strettezze, ricorro umilmente alla provata bontà di V. A., pieno di speranza che si degni di continuare i suoi favori con quel caritatevole sussidio, che alla paterna di Lei bontà sarà beneviso. Intanto mi [355] Intanto D. Bosco aveva un debito da saldare co' suoi giovani e nello stesso tempo sentiva la necessità di svelare unisco ai giovani beneficati per invocare sopra di Lei copiose le benedizioni del cielo onde viva lunghi giorni e felici, colla gloriosa ricompensa che dopo lunga vita il Signore suole dare a chi impiega le sue ricchezze in favore dei poverelli di Gesù Cristo.

                A nome mio e a nome dei giovani beneficati ho l'alto onore di potermi professare di V. A. S.

 

                Torino, I gennaio 1863.

 

Umile ricorrente

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                               Sacra Real Maestà,

 

                L'Augusto Genitore di V. M., Carlo Alberto, di gloriosa memoria, e la stessa Maestà Vostra vennero già più volte in aiuto di poveri giovanetti accolti in questa Casa, quando si trovarono in bisogni eccezionali, siccome sono presentemente.

                Oltre al bisogno del pane della vita trovansi costoro sprovvisti di camicie, calzoni, lenzuola, coperte ed altri simili indumenti indispensabili nell'attuale cruda stagione d'inverno.

                Non sapendo a chi rivolgersi il ricorrente, per provvedere alle strettezze di questi poverelli, supplica umilmente V. S. R. M. onde si degni di prenderli in benigna considerazione e concedere loro un soccorso straordinario con cui possano essere sollevati dalle attuali loro strettezze.

                Non mancheranno di professare la più alta gratitudine e riconoscenza verso di V. S. R. M. pel favore che sperano e si uniranno tutti insieme per invocare ogni giorno copiose benedizioni dal cielo sovra l'Augusta di Lei persona e sopra tutta la Real famiglia.

                Pieno di fiducia di ottenere la grazia si professa

                Torino 1863.

 

Umile Supplicante

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

                               Benemerito Signore, (Abate Peletta)

 

                L'anno scorso mi sono adoperato in modo da non dover ricorrere alla Limosineria di S. S. R. M. ma quest'anno ne sono costretto da molti bisogni urgenti.

                Raccomando ogni cosa alla provata di Lei carità e prego Iddio che La conservi lungo tempo pel bene della religione, mentre fio l'onore di professarmi con pienezza di stima e di gratitudine

                Di V. S. Benemerita

 

                Torino, 29 gennaio 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI

[33]                              Dalla Pastorale di Mons. Losana Vescovo di Biella.

 

                Come già negli anni trascorsi così anche nel presente, mentre ci rallegriamo della buona opera di quei solleciti che si fanno promotori e distributori delle Letture Cattoliche a ritegno e compenso dei gravi danni che accagionano i libri ed i fogli perversi che si vanno purtroppo diffondendo ogni dì, ne inculchiamo di bel nuovo la continuazione o l'iniziamento ove non si trovassero pur anco diffuse, certi del loro buon successo sia in rapporto al benessere delle famiglie che alla pubblica moralità.

 

Dalla Pastorale di Mons. Moreno Vescovo d'Ivrea.

 

                Rinnoviamo con viva instanza ai RR. Parroci e Sacerdoti tutte le nostre esortazioni, affinchè promuovano le buone letture coll'associazione delle Letture Cattoliche.

 

Estratto di circolare

del Can. Luigi Viani Vicario Generale Capitolare di Sarzana.

 

                Molte sono in vero le opere di religione che in questi tempi furono date in luce; ma le Letture Cattoliche, che io raccomando e che in tutte le diocesi sono abbondantemente diffuse, servono a riempiere un vuoto che rimaneva a scapito delle classi inferiori del popolo.

 

Parole di Mons. Vicario Gen. Cap. d'Alba.

 

                Volentieri ci serviamo di questa occasione per raccomandare caldamente ai nostri fratelli ed al gregge dei fedeli loro commesso, la lettura dei libri che un ottimo sacerdote torinese mensilmente dà alla luce sotto il titolo di Letture Cattoliche e dei quali è, lo stesso Sommo Pontefice padre e signor nostro Pio IX, commendatore e fautore.

[34] V. Appendice N. 3

[35] D. Bosco in questa controversia si attiene alla sentenza allora più comune e prevalente

[36]              Traccia di osservazioni intorno all'uso da farsi nelle scuole delle Storie Sacre tradotte da lingue straniere.

                Niun può negare che la comunicazione scientifica di una nazione coll'altra porti grande utilità all'incivilimento, alle scienze ed alla morale; ma è vero altresì che nella scelta dei libri stranieri ci vuole linceo discernimento, per non incappare in certi difetti e talvolta in errori dominanti in cotali paesi e quindi da scritto in scritto propagatisi. La storia della Sacra Bibbia è quella che più di tutte va soggetta a tali peripezie, perchè molti autori poggiarono i loro scritti sopra libri non originali ed hanno bevuto ciò che bevvero gli altri senza più.

                Io non intendo qui di far passare a scrutinio tutte le Bibbie che a noi provengono tradotte da lingue straniere; io solamente intendo quelle stampate senza l'originale, le quali sono ridotte in compendio per uso della gioventù; e poichè queste sono molte, io mi ristringo a dare un cenno delle più accreditate, quali si vogliono: La Storia Sacra dello Schmid, che porta il titolo: Racconti cavati dalla Santa Scrittura e la Storia Sacra ad uso delle case di educazione, stampata da Marietti nel 1847.

                Una Storia Sacra destinata per le scuole parmi che debba rigorosamente avere queste tre qualità: I° Verace; 2° Morale; 3° Riserbata.

                Verace. Si tratta della parola di Dio: perciò quello che non è nei libri santi si deve tacere, o indicarlo al lettore, affinchè non giudichi parola di Dio ciò che è parola dell'uomo.

                Morale; cioè che il racconto serva di norma sicura dei credere e dell'operare virtuoso, onde non farebbe per la gioventù una Storia Sacra la quale contenesse espressioni erronee o che potessero parer tali in apparenza.

                Riserbata. Egli è manifesto, dice il Sig. Bonavino, che nella Storia Sacra ci sono parecchi fatti i quali rivelati intempestivamente potrebbero contaminare l'innocenza e suscitare le passioni dei fanciulli. Un libro adunque fatto per loro deve provvedere a tanto pericolo e tacere affatto o velare con sagacità quanto può essere occasione di scandalo alla tenera età.

                Questi tre caratteri fondamentali mancano nelle storie di cui parliamo. 1° Non sono veraci. Schmid, pag. 36, ediz. Milanese, dice: Noè predisse a quel figliuolo (Caminfelice.) che per tutta la vita sarebbe stato infelice. Il testo non dice niente della maledizione di Cam e della sua vita infelice, ma solo maledetto Canaam (figlio di Cam); Ei sarà servo dei servi ai suoi fratelli. Martini. - Pag. 85. Mosè condusse le pecore fino alle falde del monte Oreb, dove non scorgevansi qua e là che dei rovi di spine; colà Mosè fu preso più che mai dal pensiero della oppressione [391] cui eran ridotti i suoi fratelli in Egitto e pregò caldamente il Signore di venire in loro soccorso. Mentre stava assorto in questo pensiero ecc. Io non so dove Schmid abbia preso tutto questo tratto di storia; io non lo trovo nel testo.

                Nell'altra Storia Sacra ad uso delle case di educazione si dice che Iddio non lasciò i nostri primi genitori senza un qualche raggio di speranza di salute nel futuro Messia. Io dico che lasciò certezza; del resto, povero Adamo I Come avrebbe potuto salvarsi? (pag. 94). Li fatto di Alessandro in Gerusalemme non c'è ne' libri santi, ma è solo riferito da Giuseppe Flavio (pag. 96). Gli ebrei liberati dagli elefanti ecc. Questo racconto è cavato dal terzo libro de' Maccabei, il quale non è sacro, nè autentico (pag. 103). Nella pagina 105 dice che colla nascita di Cristo ha fine la storia del, popolo di Dio, quasi che il nuovo testamento non sia più storia del popolo di Dio. Io potrei accennare parecchi fatti e moltissime maniere di parlare, le quali presentano aspetto di storia sacra e non lo è. Dal che ne segue che il fanciullo prende per sacro ciò che realmente non lo è.

                Morale. Tutto il Vecchio Testamento deve essere una preparazione continua al nuovo. Schmid però si perde in moltissime buone riflessioni, ma senza far parola delle tante cose che al Salvatore concernono. Riferisce bensì alcune profezie ma oscurissimamente: per es. (pag. 15). Il Signore disse al serpente: uno dei discendenti della donna ti schiaccerà la testa e tu gli ferirai il calcagno. (pag. 351 Iddio disse ad Abramo: Tutte le nazioni della terra saranno benedette in uno de' tuoi discendenti. Queste ed altre profezie, poste senza il menomo cenno dove si riferiscono; superano la capacità di qualsiasi dotto Filosofo che non sia guidato dal lume della rivelazione. Quindi niente affatto conducente al punto essenziale, alla cognizione del Messia centro di ogni moralità.

                Questi difetti sono assai più notevoli nell'altra Storia ad uso delle case di educazione. A pag. 7 definisce la storia sacra Storia della religione. A me pare che sia lo stesso dire storia sacra e storia della religione. Sicchè definisce niente. Pagina medes.: La storia sacra ha due segnalati vantaggi sopra la storia profana: la certezza e l'antichità; e lascia il vantaggio segnalatissimo che contiene la Divina Volontà manifestata agli uomini.

                Pag. 8. L'antico testamento consiste nell'alleanza fatta da Dio cogli Israeliti dando la legge  a Mosè. Dunque solo il Pentateuco è Antico Testamento e gli altri libri non più. Questo è un errore condannato in quelli eretici i quali solo tengono per sacro e canonico il Pentateuco.

                Pag. medesima. Il Nuovo Testamento è l'alleanza fatta da G. C. con tutti gli uomini dando la legge evangelica. Questa definizione favorisce maravigliosamente quella setta di protestanti i quali ammettono il Vangelo, ma rifiutano gli atti e gli scritti di tutti gli altri apostoli. Da questi principii ognuno può argomentare quale moralità ne possa ridondare alla gioventù. O nessun vantaggio, o cognizioni erronee.

                Riserbata. Fui più volte da ragazzi interrogato intorno a più fatti e sopra più parole a cui non ho potuto rispondere per non offendere la loro innocenza. Si leggono nelle suddette istorie i fatti di Noè quando eccedè nel bere: di Giuseppe colla moglie di Putifarre; di Davidde e di Uria; di Susanna e dei due vecchioni ecc. e si dovrà convenire essere tristi lezioni pel candore de' fanciulli. Taluno potrà dire che io sono troppo delicato, ma l'esperienza di più anni mi fa parlare così: e queste materie avrebbonsi dovuto tralasciare o esporre [392] altrimenti; tali altresì sono i sentimenti di più maestri che giustamente si lagnarono della poca riserbatezza di tali scrittori.

                Ho solamente notato alcuni difetti di dette storie; lasciando al lettore di osservare moltissimi altri che spesso occorrono. Mi si potrà opporre che le mie osservazioni potranno interpetrarsi in miglior senso: ma io rispondo che ne sono veramente persuaso di quanto ho detto; tale è il parere di distinti personaggi: e quando le cose osservate potessero essere impugnate, è però verità di fatto che più ragazzi ai quali feci leggere e spiegare quanto sopra, intesero le cose nel senso indicato. Detti autori saranno stati in buona o in mala fede? Li credo di buona e che il male sia avvenuto da che essi fidaronsi di altri autori, senza consultare i testi originali e i buoni accreditati autori per la pratica.

                Valgano queste mie comunque siansi osservazioni a fare accorti i maestri di scuola e i Direttori delle case di educazione nell'introdurre nelle loro classi libri stranieri; e fra i nazionali medesimi scegliere quelli che a giudizio dei buoni e zelanti maestri sono veraci, morali, riserbati.

Sac. GIOVANNI BOSCO

[37] Dalla camera, che trovasi ancora a destra dell'altar maggiore, si scendeva al pulpito per mezzo di una scaletta

[38]                              Orario degli esercizi.

 

                MATTINO. 5 ½  levata.

                6, Orazioni. - Prima. - Veni Creator. - Meditazione. - Miserere. - Messa. - Terza. - Colazione.

                9 ½, Sesta. - istruzione. - Lode sacra: Lodate Maria. - Riflesso in ritiro.

                11 ½, Visita al SS. Sacramento colla corona del Sacro Cuore di Gesù.

                - Nona. - Esame di coscienza. - Regina Coeli.

                12, Pranzo e ricreazione.

                SERA. 2, Litanie dei Santi. - Ritiro con lettura spirituale privata.

                3 ¼, Vespro e compieta. - Istruzione. - Lode Sacra: Su figli cantate. - Merenda e ricreazione.

                5 ½, Mattutino e lodi. - Meditazione. - Miserere. - Rosario. Riflessioni. - Regina Coeli.

                Dio, anima, eternità.

[39]              Schema di ricorso scritto dallo stesso Don Bosco.

 

                               Ill.mo Sig. Rettore,

 

                I sottoscritti addetti tutti alla casa annessa all'Oratorio di San Francesco di Sales in Valdocco, e tutti approvati reggenti nelle classi ginnasiali che si fanno a favore di questi poveri giovani (A), nel vivo desiderio e nel bisogno di pervenire col tempo a subire regolarmente gli esami di lettere, supplicano V. S. Ill.ma a volerli prendere in benigna considerazione e loro accordare i favori notati nella legge 3 ottobre 1851, art. 4, secondo cui Ella potrebbe ridurre di qualche anno i corsi de' loro studi; sottomettendosi dal canto loro all'esame di ciascun corso già frequentato come uditori (B).

                 Qualora a Lei sembrasse troppo questo favore volesse almeno tener conto degli studi fatti, della qualità di reggenti e dispensarli dall'esame di licenza e di ammissione, affinchè possano prendere regolari iscrizioni ne' corsi che desiderano di percorrere.

                Ad ogni modo essi hanno grande fiducia nella nota di Lei bontà e si rimettono intieramente a quanto Ella sarà per disporre a loro riguardo, a quelle più benevole disposizioni che stimerà di usare a pro di un'opera di pubblica beneficenza pel cui bene da sette anni con grande soddisfazione essi consacrano le tenui loro fatiche.

                Non ignorano i ricorrenti che il Regolamento 14 settembre 1862 non concede più i mentovati favori nè ai reggenti, nè agli uditori; ma in esso non si ravvisano espressioni che ne indichino la soppressione, nè sembra che un Regolamento possa derogare una legge. D'altronde i loro studi essendo stati compiuti anteriormente a questo Regolamento, sembra che non debbano esservi assoggettati se non in quei corsi che dovessero sostenersi da che quel Regolamento cominciò ad essere in vigore.

                Nella speranza del favore hanno l'alto onore di potersi sottoscrivere, ecc.

[40]                              Egregio ed amabilissimo Signor mio,

 

                La ringrazio di tutto cuore di avermi offerto la bella occasione di far conoscenza coi sig. Conte di Ciriè. Personaggio più compito per ogni maniera e più degno di tutti i riguardi non poteva essermi raccomandato dalla S. V. Car.ma. Mi rincresce però assaissimo, che il dovermi assentare per una quarantina di giorni da Nizza, mi tolga il piacere e l'onore di essere utile in quel frattempo al Conte prelodato. Procurerò tuttavia di compensarmene al mio ritorno, giacchè sento si tratterrà presso noi alcuni mesi. Fra democratici, come noi, non ci debbono essere misteri. Ai 2 del corrente, sotto gli auspizi della mistica stella del mare, salperò da questo porto per alla volta della eterna città. Sono appena dieci mesi che ho lasciato Roma, e il cuore mi dice di ritornarvi ancora. Mi par un secolo di non aver veduto il Santo Padre e non mi tarda l'ora di ribearmi della dolcissima presenza di tinto Pontefice. Giunto a' suoi piedi santissimi, implorerò una benedizione speciale per Lei e per la sua casa che tanto io stimo ed amo.

                Mille grazie dell'immagine di S. Giuseppe che io conservo quale preziosissima memoria della S . V. Car.ma.

                La prego di gradire in ricambio l'effigie dell'Addolorata, chè Le presento unitamente ai sensi i più sinceri della perfetta mia osservanza ed affezione, protestandomi nel Signore

 

                Nizza, addi 4 del mese mariano 1863.

 

                Tutto suo intimo amico

C° BARRAJA Prot. Apost.

 

                PS. E perchè non potrebbe nel prossimo luglio prendersi alcuni giorni di vacanza e venire a passarli in Nizza nella Casa Barraja?

[41]              PIUS P. P. IX

Dilecte Fili, Salutem et Apostolicam Benedictionem. Perspecta jam Nobis fuerat pietas ac religio Tua multis ac praeclaris argumentis, quocirca testimonium devotionis Tuae litteris obsequentissimis expres- sum perlibenter accepimus. Gratulati sumus etiam audientes piorum hominum cura et industria fieri, ut libri optimi ad provehendam pietatem idonei in luceln edantur, Deumque adprecamur ut bonis faveat ïncaeptis, optatoque exitu conatus eorum coronet. Quae de bello infensissimo adversus Ecclesiam Dei instaurando conscribis, ea quidem neque nova neque inopinata ad aures Nostras pervenerunt. Verum, ceu probe animadvertis, omnis sollicitudo Nostra projicienda est in Deum, cui cura est de Nobis. Ipse enim non fallit in se sperantes, adeoque firmiter in Eo spes collocanda est, interposita praesertim deprecatrice Deipara Virgine, cuius praepotenti praesidio summopere confidimus. Dum itaque hortamur pietatem Tuam, ut enixis Nos precibus adiuvet, Apostolicam Benedictionem signum Pontificiae charitatis Nostrae, Tibi, aliisque quos memoras sanis doctrines effundendis addictos, peramanter impertimur.

Datum Romae apud S. Petrum, die 15 JuIii 1863,

Pontificatus Nostri Anno XVIII.

PIUS PP. IX.

                Dileclo Fïlio Preshytéro

                Joanni Bosco

                Augustam Taurinorum.

[42] Il Pastorello delle alpi del Sac. Giovanni Bosco, Capo XX

[43] Gen. XII, 3.

[44] Per la servitù però aggiungeva questo articolo:

7. - Niuno si rifiuti a qualsiasi basso lavoro e ritenga che Dio dimanda conto dell'adempimento dei doveri del proprio stato, e non se si abbiano coperti impieghi e cariche luminose. Nelle quotidiane occupazioni ognuno si ricordi che tanto colui che è occupato nei bassi uffizii, quanto colui che consuma la sua vita nel predicare, confessare ed in altre più sublimi cariche del ministero sacerdotale, avranno in cielo la medesima mercede purchè lavorino per la maggior gloria di Dio.

[45] V. Appendice, Volume IV

[46] V. Appendice, N. 4.

[47] Appendice, N. S.

[48]              Ci furono consegnate le due seguenti lettere di D. Bosco a questo buon sacerdote, quando era già stampato il nostro sesto volume.

 

                               Molto Reverendo Signore,

 

                Niente ti turbi; teneva (D. Cafasso) sempre scritto in un listino di carta nel suo breviario. Gli esercizi spirituali che con tanto mio gusto contava di andare a dettare in Saluggia, mi presentano alcune difficoltà che forse non potrò superare.

                Il T. Borrel, predicatore ordinario di questa casa, è venuto ammalato; io ho voluto fare la mia solita parte, più quella che egli faceva. Tal cosa mi stancò e mi disordinò lo stomaco. Dal giorno dei Santi si manifestò di nuovo il solito sputo di sangue seguito da piccole febbri; la mia famiglia ignota questo mio incomodo; ma certamente non mi permette di assumermi ed assicurare una muta di esercizi, tanto più che il numero dei giovani della casa si avvicina ai cinquecento.

                Se mai Ella stima che mi faccia supplire con un altro, credo di poterlo avere sicuro, che cangeremo di bene in meglio; ma in persona non potrei assicurarla.

                Compatisca intanto la cattiva posta di D. Bosco, ma in tutto quel che posso mi creda ora, sempre nel Signore tutto suo

                Torino, 9 Novembre 1860.

 

Aff.mo servitore

SAC. Bosco GIOVANNI.

                               Carissimo Signor Prevosto,

 

                Riguardo al giovane Bracco credo che non ci siano difficoltà per essere accolto in questa casa nel senso che Ella scrive. Tuttavia ravvisando dalla sua lettera che Ella, sia per fare presto una gita a Torino, amerei meglio conchiudere la cosa con un colloquio verbale con Lei, tanto più che avrei alcune cose a trattare con Lei riguardo al bene de' suoi Saluggesi accolti in questa casa.

                Qualora poi Ella non potesse per qualche tempo venire, dica al pref. Bracco se è disposto a venire per fare quanto occorre nella casa senza interesse ad eccezione del vitto, vestito, e il paradiso in fine della vita purchè sia buono. Ciò posto possiamo andare avanti. Godo molto che la confessione dei ragazzi continui bene; si faccia coraggio; insorgendo difficoltà non si sgomenti; studii il modo di superarle.

                Il Signore ci conservi tutti nella sua santa grazia e mi creda con pienezza di stima.

                Di V. S. Carissima,

 

                Torino, 4 Aprile 1861.

 

Aff.mo amico

SAC. Bosco GIOVANNI.

[49]                              Pregiatissimo Sig. Burdizzo,

 

                La Signora Marchesa m'incarica di scriverle che si compiaccia di fare la seguente commissione al Sig. Teologo Borel. - È stata informata della debolezza di salute in cui il Sig. D. Bosco attualmente si trova, e dei bisogno che forse avrebbe di passare qualche tempo in riposo per aversi cura. Essa è disposta a continuare al detto Don Bosco l'onorario che gli è assegnato, lasciando ch'ei vada a stare un po' di tempo co' suoi parenti per fare ogni possibile onde ristabilirsi. Il Sig. Teologo Borel avrà la compiacenza di partecipargli questa disposizione della Signora Marchesa, inducendolo a profittarne; essa spera che il riposo rimetterà quel degno Sacerdote in grado di poi riprendere tutta la sua attività nel servizio di Dio. Ed in questa aspettazione il Sig. Teologo Borel è intanto pregato di trovare un altro bravo Ecclesiastico per rimpiazzare adesso D. Bosco: a questo supplente la Sig. Marchesa darà lo stesso assegnamento che ha D. Bosco. La Signora Marchesa fa voti pel ristabilimento di quest'ultimo e lo riverisce, come pure il Sig. Teol. Borel e D. Pacchiotti. Io parimenti presento a tutti tre i miei ossequi. - Darò loro le notizie della Signora Marchesa, le quali sono ancora le stesse riguardo alla flussione che le occupa fortemente gli occhi, le orecchie, i denti, tutto il capo; il che le cagiona anche un po' di febbre. Lo stomaco è migliorato. Si combatte questo reuma generale con mezzi blandi, vescicanti, ecc. sperando che si potranno risparmiare le cavate di sangue.

                Il Sig. Teol. Borel è pregato di dare queste notizie alle suore e figlie, onde la raccomandino con fervide orazioni al Signore.

                La riverisco unitamente al Sig. Velasco e mi pregio d'essere con tutta stima,

                Roma, 23 Dicembre 1845.

 

Suo Dev.mo Servo

SILVIO PELLICO.

[50] Appendice N. 6

[51] Appendice n. 7

[52] Appendice n. 8

[53] Appendice n. 9

[54] I, Paral. XXV

[55]              Orti 30 di marzo 1864.

                               Ill.mo e Rev.mo D. Bosco,

 

                La morte mi dirige la mano tremolante nel vergare queste righe.

                Paolo Antonio Aiachini, già sì vispo alunno dei suo Oratorio, spirava ieri sera alle ore 10 ½  nel bacio dei Signore a Castelferro, ove da sei giorni era stato trasportato per vedere di migliorare la sua convalescenza nell'aria patria. Qui la febbre tifoidea consumava con tisi rapidissima la povera vittima. Qui il Signore che lo creò si affrettava di sottrarlo alla malizia umana ed all'amore ed alle speranza de' genitori e de’ parenti.

                Oh quante volte diceva il caro nipote: - Se mi fossi creduto di morire non mi sarei mosso dall'oratorio per avere la consolazione di spirare sotto gli occhi di D. Bosco. Egli è veramente un santo Parole sono queste, o venerando nome di Dio, che temperano l'acerbità dei dolore onde trambascia il mio cuore.

                Deh! aiuti, o buon sacerdote, l'anima del fiducioso fanciullo e celebri per lui il Santo sacrifizio... Qui fo punto perchè le lagrime mi velano gli occhi.

L'addolorato suo servo

P. Giulio ALACHINI.

[56]                              ORARIO PER GLI ESERCIZI SPIRITUALI.

 

                MATTINA - ore 5, 30     Levata-

                                               6          Orazioni - Prima - Veni Creator ecc. - Medita-

                                                           zione - Miserere - Messa - Terza - Colazione.

                               ”    9, 30    Sesta - Istruzione - Lode sacra: Lodate Maria

                                                 ecc. Riflessi in ritiro (Gli studenti nella

                                                 propria scuola gli artigiani nel loro

                                                 parlatorio).

                               ”   11, 30   Visita al SS. Sacramento colla Corona al Sacro

                                                 Cuore di Gesù - Nona - Esame di coscienza-

                                                 Regina Coeli ecc.

                               ”    12        Pranzo e ricreazione.

 

                SERA              ore  2         Litanie dei Santi - Ritiro colla lettura

                                                            spirituale privata.

                               ”    3, 15    Vespro e Compietà - Istruzione - Lode sacra:

                                                 Su figli ecc. - Merenda e Ricreazione.               

                               ”    5, 30    Mattutino e Lodi - Meditazione - Miserere -

                                                 Rosario - Riflessione - Regina Coeli ecc.

 

Si raccomandano 3 cose:

 

I°) Rigoroso silenzio eccetto il tempo di ricreazione

2°) Diligenza nei prendere parte alle pratiche religiose.

3°) Pensare che è una grazia grande del Signore il poter fare gli esercizi spirituali.

 

DIO - ANIMA - ETERNITÀ.

 

Et haec omnia ad maiorem Dei gloriam.

 

                Addì II Aprile 1864.

Rettore D. BOSCO GIOVANNI.

[57]              OBLAZIONI.

 

                Per la Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, posta in costruzione in Valdocco.

 

                Io sottoscritto abitante in        via           numero……            piano……per lo scopo sopraindicato offro per una volta sola, oppure in più rate, la limosina seguente.

 

                Nel          1864        fr.

                 ”             1865        ”

                 ”             1866        ”

 

                Il…..del mese di……186……       

                Mi sottoscrivo ......

[58] All'anima - di - Maria Maddalena Bellia Tirosso - specchio di carità - modello di vita cristiana  - nata in Altessano, Venaria - li XXVII marzo MDCCCV con morte preziosa mancata ai vivi - il X giugno MDCCCLXIV il marito Luigi Antonio ed i figli Giacomo, Giuseppe e Teresa - addolorati pregano riposo eterno - nella speranza di rivederla un giorno - nella patria dei beati. - Amen.

[59]              DECRETUM.

Pauperum adolescentulorum miserans conditionem sacerdos Ioannes Bosco e Dioecesi Taurinensi, iam ab anno 1841 aliorum Presbyterorum etiam auxilio fretus, illos in unum colligere, Catholicae fidei rudimenta edocere, et temporalibus subsidiis levare instituit. Hinc

Animadversiones tin Constitutiones Sociorum sub titulo S. Francisci Salesii in Dioecesi Taurinensi.

Iº Munus Rectoris Majoris seu superioris Generalis ad duodecim annos erit duraturum, nec in eo poterit confirmari sine venia S. Sedis. ortum habuit Pia Societas, quae a Sancto Francisco Salesio, nomen habens, ex Presbyteris, Clericis et Laicis constat. Socii tria consueta simplicia vota obedientiae, paupertatis et castitatis profitentur; Superioris Generalis, qui Rector Maior nuncupatur, directioni subsunt, et praeter propriam sanctificationem, praecipimm hune habent finem, ut quum temporalibus, tura spiritualibus adolescentium praesertim miserabilium commodis inserviant.

Iam Inde a Piae Congregationis principio, quae ad. huiusmodi consilii rationem pertinere arbitrati sunt, adeo studiose deligenterque cu, rarunt, ut maximum ex eorum laboribus Christianae Reipublicae fructum accessisse exploratum omnibus sit; et quamplures Antistites in proprias cos Dioeceses advocaverint, quos tamquam solertes strenuosque operarios in vinca Domini excolenda sibi adiutores adsciscerent. Verum, praenominato sacerdoti Ioanni Bosco, qui Fundator simulque Superior Generalis Piae Societatis est, multum sibi suisque sociis deesse visum est, nisi eidem Societati Apostolica accederet confirmatio.

Commendatus idcirco a pluribus Antistitibus praefatam confirmationera a SS. Domino Nostro Pio Papa IX humillimis precibus nuper-rime postulavit, et Constitutiones approbandas exhibuit. Sanctitas Sua in audientia habita ab infranscripto Domino pro Secretario Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium sub die prima Iulii 1864, memoratam Societatem, attentis Litteris Commendatitiis praedictorum Antistitum, uti Congregationem votorum simplicium, sub regimine Moderatoris Generalis, salva Ordinariorum iurisdictione, ad praescripturo sacrorum Canonum et Apostolicarum Constitutionum, amplissimis verbis laudavit atque commendavit, prout praesentis Decreti tenore laudat atque commendat ; dilata ad opportunius tempus Constitutionum approbatione. I'nsuper Sanctitas Sua, attentis peculiaribus circumstantiis, indulsit, veluti huius Decreti tenore indulget, ut hodiernus Moderator Generalis, seu Rector Maior, in suo munere, quoad vixerit, permaneat ; quamvis constitutum sit, ut eiusdem Piae Societatis Superior Generalis duodecim tantum annis suum officium exerceat.

 

Datura Romae ex Secretaria Sacrae Congregationis Episcoporum et Regularium hac die 23 Iulii 1864.

A. Card. QUAGLIA, Praef.

Stanislaus SVEGLIATI Pro-Secrelarius.

Loco sigilli.

[60] Cantú. Gli ultimi trent'anni pag. 61

[61]                              Benevolo Signore,

                Reca certamente grande consolazione il vedere numerosa schiera di fedeli intervenire nel luogo santo per compirvi i loro religiosi doveri; tua cagiona non lieve rincrescimento qualora essi noi potessero fare per mancanza di luogo in cui possano radunarsi.

[62] Dalla Chiesa parrocchiale di Borgo Dora tirando una linea sano alla Chiesa della consolata ed a quella di S. Donato, di poi volgendo alla Regia Fucina delle canne fino al fiume Dora havvi uno spazio coperto di case ove hanno stanza circa trentacinquemila abitanti tra cui non esiste alcuna pubblica Chiesa.

 

[63]                                                             Pius PP. IX

                Dilecle Fili, Salulem el Aposlolicam Benedictionem.

            Ex Tuis observantissimis litteris die 25, proximi mensis Augusti scriptis, ac nuper ad Nos perlatis intelligimus, Tibi gratum admodum fuisse decretum a Nostra Congregatione negotiis et consultationibus Episcoporum et Regul,arium praeposita, Nostro jussu editum de ista S. Francisci Salesii Societate, instituta ad juvenes in timore Domini ac pietate educandos atque etiam novimus, operam a Te impendi in exequendis, quae expressa ac statuta fuerunt in animadversionibus ab ipsa Congregatione eidem Decreto adiectis. Libentissime autem ex eisdem Tuis litteris agnovimus, eamdem Societatem, Deo bene adiuvante, in dies augeri, eamque a pluribus cujusque ordinis et conditionis juvenibus frequentari, et Dilectum Filium Aemilianum Manacorda in ejusdem Societatis bonum curandum suum omne studium conferre. Equidem si unquam alias, hisce praesertim asperrimis temporibus omnia sunt adhibenda consilia, et studia, ut adolescentes tot undique periculis ac nefariis inimicorum hominum insidiis misere circumventi a pravis illorum conatibus eripiantur, ac sanctissimis divinae nostrae religionis praeceptionibus sedulo imbuantur, et ad pietatem, honestatem omnemque virtutem diligentissime formentur. Quocirca animos Tibi addimus, ut divino auxilio fidens in tam salutarem rem procurandam, omni cura, opera et studio quotidie magis incumbas. Perge vero ferventissimas Deo adhibere praeces pro Ecclesiae suae sanctae triumpho, et omnium errantium conversione. Denique paternae Nostrae in Te charitatis pignus Apostolicam Benedictionem toto cordis affectu, Tibi ipsi, Dilecte Fili, cunctisque commemoratae S. Francisci Salesii Societatis juvenibus peramanter impertimur.

                Datum Romae, apud S. Petrum, die 13 Octobris Anno 1864, POntificatus Nostri anno Decimono.

 

 

PIUS PP. IX.

                Dilecto Filio Presbitero

                               Ioanni Bosco

                Augustam Taurinorum.

[64]                              Mio Signore Rev.mo D. Bosco,

 

                Permetta che con tutto il cuore la ringrazi dei bel presente che mi ha fatto e che certo terrò prezioso e mi sarà di cara ricordanza della sua cara persona, desiderando nella mia meschinità e condizione di poter mai sempre augurarmi l'occasione d'esserle utile in qualche cosa. Si valga di me con tutta libertà e confidenza in tutto quello che crede possa servirla; ecco ciò che desidero dalla sua bontà. Con piacere ho abbracciato due suoi figli carissimi, ed ho sentito da loro riconfermare la passeggiata sua fatta in Monferrato e meco stesso mi sono rallegrato dell'accoglienza cordiale avuta; e solamente ebbi invidia di non averne potuto partecipare.

                Desidero con tutta l’anima di venire a Torino e rivedere tanti buoni giovani e riaccendermi sempre più, dietro la loro scuola ed esempio, ad amare la virtù e lavorare non per il tempo che fugge, ma per l'eternità che sta aspettandoci, e che non avrà mai fine. Non si dimentichi di essermi prodigo mai sempre dei suffragio delle sue preghiere che tanto ne sento bisogno, e salutandola rispettosamente voglia estendere tanti cari saluti a tutti i suoi; e baciandole la mano ho il bene di raffermarmi,

                Di V. S. Rev.ma,

 

                Genova, 21 ottobre 1864.

 

Umil.mo suo figlio in G. C.

GIUSEPPE CANALE FU BARTOLOMEO.

[65]                              Ill.mo Signore,

 

                Ho ricevuto lettera con cui V. S. Ill.ma compiacquesi raccomandarmi il povero giovanetto Cenua Giacomo di Roretto.

                Con piacere le partecipo che attese le circostanze che accompagnano il bisogno del giovanetto e più ancora la persona che lo raccomanda, lo ricevo quando che sia purchè sia sano e disposto della persona. Si compiaccia solamente di prevenire chi di ragione e conducendolo sarà senz'altro accolto e destinato a studio o ad arte secondo l'indole e l'attitudine del medesimo

                Godo di questa prima occasione di scrivere a V. S. Ill.ma e mentre raccomando alla sua benevolenza e favore i poveri giovanetti di questa casa (che sono circa ottocento) mi offro di servirla in quanto mi sarà possibile; ed ho l'alto onore di potermi professare con pienezza di stima,

                Di V. S. Ill.ma

 

                Torino 19 ottobre 1864.

Dev.mo Servitore

Sac. GIOVANNI Bosco

[66]                              Carissimo D. Pol,

 

                Ricevuta la sua ultima lettera noti ebbi troppo ad aspettare per soddisfare a quello di cui Ella mi pregava. D. Bosco venne a trovarmi in Lanzo ed io gli parlai dell'orfanello da Lei raccomandato. Egli non potè fino ad ora accettarlo nel suo Oratorio di Torino, perchè il numero degli accettati era ed è tuttora di gran lunga superiore a quello di cui è capace la casa, a segno che dovette mandarne parecchi nel piccolo seminario di Mirabello, e parecchi altri in questo collegio dove propriamente non si accettano che coloro i quali pagano pensione. Aggiunga le innumerevoli dimande che continuamente lo assediano, alle quali la sua carità noti permette mai di dire un no reciso.

                Può quindi persuadersi che se D. Bosco la condusse con Lei per le lunghe non fu per difetto di volontà. Ma adesso qual conclusione? Il giovane è accettato, ed il tempo dell'ingresso è differito di poco. Nella novena di Natale vada pure col fardello e col resto, se qualcosa altra si convenne; si presenti a D. Bosco o a D. Alasonatti con questa mia lettera e sarà accolto.

                Lanzo, 16 9.bre 1864.

                Suo affo.mo Sac. RUFFINO

[67]                              Ill.mo Signore,

 

                Il sac. Bosco, direttore della casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, espone rispettosamente a V. S. come nel marzo 1862 al signor Guenzati, sotto la ditta Canonica, erano rifiutate 720 coperte di lana perchè difettose, e già fin d'allora tarlate. Queste coperte, in numero di 550 sono nella dogana di Torino e 170 a Genova in porto franco. Ora questo benefico signore sarebbe disposto di donarle a favore de' poveri giovani ricoverati in questa casa, ma non intenderebbe di pagare le spese di dazio.

                Per questo bisogno il ricorrente prega umilmente V. S. Ill.ma a voler condonare le mentovate spese doganali e permettere che esse vengano ritirate a favore di questi poveri giovanetti che nella imminente invernale stagione versano in gravi strettezze per difetto di vestiario e di coperte.

                Oltre alla più sentita gratitudine, essi noti mancheranno d'invocare ogni giorno le benedizioni del Cielo sopra tutti i loro benefattori ed in modo particolare sopra V. S. Ill.ma

                Pieno di fiducia di ottenere il favore, si dichiara Di V. S. Ill.ma

                Torino, 10 novembre 1864.

Umile ricorrente

Sac. Bosco GIOVANNI.

[68] Joann. XVIII, 37

[69]                              M. R. Sig. P.ne Col.mo.

 

                Mi trovo favorito dal pregiatissimo foglio di V. S. M. R. di ieri l'altro cori cui si compiace di mettermi a parte dell'obbligantissimo pensiero di far Fila, e tutti i 1000 giovanetti affidati alle di lei paterne cure, la Santa Comunione nella notte che precederà il di del Santo Natale secondo la mia intenzione. È  questo senza dubbio mi sommo Regalo che apprezzo assaissimo, e che ripeto intieramente dall’esimia di Lei bontà a mio riguardo, non conoscendo di aver fatto cosa alcuna che valga un tanto favore. E del pari le sono tenutissimo delle speciali preghiere che innalzarono al cielo per tutti di mia famiglia, ed in specie per l’interessante mio nipotino Durazzo, che Dio conservi sempre tutto per sé, come di cuore desidero. Lasci adunque che per tutto questo io glie ne attesti la più sincera riconoscenza, pregandola a gradire l’assicurazione della gratitudine che Le professo pel pio atto in cui mi compiaccio di dover io avere interessante parte, augurando a V. S. M. R. e a tutti i suoi fanciulli le maggiori felicità che vorranno impetrare per me dal sommo Dator d’ogni bene, nel mentre passo a rassegnarmi col massimo ossequio,

                Di V. S. M. R.

                Genova, il 22 dicembre 1864.

Dev.mo ed Obbl.mo Servitore

I. PALLAVICINI

[70]Questo giovane conte, Ella scriveva, e la contessa per la loro pietà e per la loro perfetta condotta sono l’edificazione di tutti. Possedono tutto ciò che secondo il mondo rende felici; unione, fortuna, sanità, gioventù; ma non hanno erede del loro nome. Il giovane conte, sia per questo motivo, o per altro sconosciuto, è di una melanconia che nulla può dissipare e che inquieta la sua famiglia ed i suoi amici. Io oso reclamare le vostre preghiere per lui e di più quelle accoglienze benevoli, affettuose che ponno fare a lui tanto del bene. Li amici di Dio hanno soprattutto le parole che consolano le anime afflitte. La loro voce trova con facilità la via del cuore. Ed è per questo che io ho grande confidenza nel bene che voi farete al nostro giovane parente.

Invitatelo a venirvi a vedere qualche volta durante il suo soggiorno nella Capitale. Troverà a Torino molti amici mondani. Costoro credono che i balli, i teatri distraggano e facciano del bene. Io credo che per questa anima pura, qualche istante passato presso di voi e in mezzo ai vostri zelanti cooperatori, sarà per lui più consolante.

La sanità del sig. Conte di Cambuzzano è sempre ben messa alla prova. Egli non può uscire di casa, e malgrado questa vita ritirata, soffre abitualmente dei dolori di capo e altri malanni. Io lo raccomando con istanza alle vostre preghiere e alle vostre messe. Io sono persuasa che egli sarebbe ben presto guarito se voi domandaste ciò al Signore Iddio…

[71] Due camere destinate all'alloggio dei preti direttori della pia opera di Maria SS. del Rifugio. Nel 1846 l'Oratorio trasferivasi nel centro della regione Valdocco, ove tuttora esiste

[72] Il Sacerdote D. Francesco Montebruno, membro di questa società, ha aperto l'anno 1855 in Genova la casa detta Opera degli Artigianelli. I giovani ricoverati sono circa cento, più centinaia intervengono nei giorni festivi




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