raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll. I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Capo d'anno, visite, conferenze. Infermità dei Santo. 5
Per la Liguria in Francia e dalla Francia nuovamente nella Liguria. 14
Un mese a Roma. Chiesa del Sacro Cuore e udienza pontificia. Sogno sul passato e sul presente dell'Oratorio. Ritorno per Firenze e Bologna. 28
La comunicazione dei privilegi. 51
Don Bosco nell'Oratorio da Maria Ausiliatrice a San Giovanni. Per la grande lotteria di Roma. 59
Sull'andamento dell'Oratorio. 75
Soggiorno di Don Bosco a Pinerolo. 87
Durante il colera del 1884. 97
Don Bosco e l'Esposizione nazionale di Torino. 103
Testamento paterno e provvedimento papale. 108
Il primo Vescovo salesiano. 122
Proposte di fondazioni in Italia e alcune particolarità di case italiane durante il 1884. 137
Inviti e fondazioni fuori d'Italia nel 1884. 149
Alcune norme pratiche e due sogni. 156
Varia corrispondenza nel 1884. 165
Annuale viaggio del 1885 in Francia. 179
Nell'Oratorio, dall'Oratorio, per l'Oratorio. Soggiorno a Mathi. 195
Per la chiesa e per l'ospizio dei Sacro Cuore. Ancora della lotteria. 224
Di alcune case e di alcune proposte in Italia. 231
Nella Spagna e nella Francia. 250
Nell'Uruguay, nel Brasile, nell'Argentina. 260
Aneddoti, direttive, lettere. 275
DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI. 382
Anche questo biennio è ricco di avvenimenti per la vita di S. Giovanni Bosco. Due viaggi in Francia, un'andata a Roma, il conseguimento dei privilegi, la partecipazione all'Esposizione nazionale di Torino, il riordinamento dell'Oratorio la nomina del Vicario, la consacrazione del primo Vescovo salesiano, lo stabilirsi dei Salesiani a Parigi e a Barcellona, il loro ingresso nel Brasile e poi molte e svariate cose che chiameremo di ordinaria amministrazione, ma che, venendo da Don Bosco o avvenendo per suo impulso o secondo le sue direttive, rivestono sempre un carattere di peculiare importanza. Contemporaneamente si accentua purtroppo il declinare della sua salute, la quale, sebbene non sia stata mai scevra d'incomodi, ora tuttavia va deperendo a segno che anche esteriormente la persona gli si curva sotto il peso delle infermità.
Di qui innanzi il suo pensiero dominante è di dare alle proprie opere una salda stabilità. Per questo assicura il governo di tutta la Congregazione, creandosi d'accordo con la Santa Sede in Don Rua un Vicario generale che gli abbia poi a succedere dopo la sua morte; per questo organizza definitivamente le Missioni dell'America meridionale, ottenendo da Roma che siano affidate a un Vicario e a un Prefetto apostolico nelle persone di Don Cagliero e di Don Fagnano; per questo si preoccupa di riassettare la Casa Madre, affinchè si mantenga costantemente modello di tutte le altre; per questo infine rende normale [6] il noviziato quanto all'andamento interno e quanto alla procedura da seguire nelle ammissioni. Anche alla Pia Unione dei Cooperatori apporta non solo aumento di numero, ma anche maggior forza di coesione. Egli si adopera insomma a far sì che i Salesiani prendano in seno alla Chiesa e in mezzo alla civile società la consistenza d'un corpo omogeneo, vigoroso e capace di ulteriori sviluppi, anche quando egli non sarà più.
Intanto la sua fama di santità va riempiendo il mondo. Grazie impetrate mediante le sue preghiere, l'avverarsi di sue predizioni, guarigioni prodigiose avvenute in sua presenza o con invocare da lungi la sua benedizione confermano ognor più la generale opinione che egli sia un grande taumaturgo e un inviato del Cielo e si accorre quindi e si scrive a lui dai più remoti Paesi dell'Europa e dell'America per implorare il soccorso de' suoi lumi o il benefizio delle sue orazioni. Nè sono genti del popolo soltanto quelle che si sentono attratte così verso la sua persona; ma si veggono dignitari altissimi del clero e del laicato, italiani e stranieri, visitarlo nell'Oratorio o durante il corso delle sue peregrinazioni per conoscerlo, per chiedergli consiglio, per esserne benedetti. E tutto questo nonostante che giornali settari gli spargano contro velenose insinuazioni o nere calunnie. L’eroismo delle sue virtù e la realtà delle sue grandi opere, non potendo restare sotto il moggio, s’impongono talmente che qualsiasi mena avversaria finisce con cadere a vuoto come telum imbelle sine ictu.
Il sapientissimo Leone XIII, a mano a mano che veniva conoscendo l’uomo di Dio, dava sempre maggiori prove della sua stima verso di lui. Un giorno, circondato da una corona di prelati, mise il discorso su Don Bosco e li interrogò che cosa ne pensassero. I pareri erano divisi. Finalmente il Papa fece una domanda: - Può un uomo con le sole sue forze naturali fare quello che fa Don Bosco? -Ed enumerate le sue opere, proseguì: - No, non può. Dunque ci vuole qualche cosa di soprannaturale che lo animi, nè questo potrebbe essere altro che Dio o lo spirito delle tenebre. Ma quale sia il suo vero movente, è facile argomentarlo [7] dalla natura degli effetti. Ex fructibus eorum cognoscetis eos[1].
Continuano nel 1885 i sogni missionari. Il panorama delle future Missioni salesiane si delinea e si dilata a dismisura dinanzi allo sguardo antiveggente di Don Bosco. Nel 1883 nel fulmineo viaggio da Cartagena a Puntarenas ha scorto le località dell’America meridionale, dove saranno chiamati i suoi figli. Indi fra il gennaio e il febbraio del 1885, intravedendo confusamente i nuovi mezzi delle comunicazioni aeree, contempla i trionfi che si riporteranno specialmente a partire dal Brasile fino alla Terra del Fuoco, e in luglio percorre a volo il campo di azione che la provvidenza riserba ai Salesiani nell’Asia, nell’Africa e nell’Australia. Sono espansioni di cui allora, umanamente parlando, neppure sulle ali della più fervida fantasia egli avrebbe mai potuto raggiungere il sospetto. Altre manifestazioni dello stesso genere avrà ancora Don Bosco in seguito, cosicchè al termine della vita egli avrà divinato e prospettato a’ suoi figli un programma missionario, alla cui attuazione si porrà mano progressivamente da parecchie generazioni.
La menzione di questi sogni particolari invita a dire una parola sopra i sogni di Don Bosco in generale. Quelli che egli chiamava sogni accompagnarono il Santo dai primi albori della ragione fino al tramonto della vita. Bisogna però distinguere bene sogni da sogni, perchè la comune denominazione ha fatto un mescolamento di fenomeni assai disparati. Volendoli debitamente classificare, diremo che sotto il nome generico di sogni di Don Bosco vanno confusi sogni che non furon sogni, sogni nient’altro che sogni e sogni rivelatori. Certi sogni si debbono assolutamente chiamare visioni, perchè accaddero fuori dello stato di sonno; tali furono, per esempio, la rivelazione profetica presso il capezzale del giovinetto Cagliero morente e l'altra del 1870 sull'avvenire dell'Italia e della Francia, di Roma e di [8] Parigi. Sono dello stesso genere le apparizioni di Luigi Colle, che egli soleva denominare distrazioni. Talora al contrario Don Bosco narrò nell'intimità sogni veri e proprii, alcuni dei quali s'incontreranno pure in questo volume e nel seguente. A rigor di termini, non sarebbe il caso di tenerne conto nella sua biografia; nondimeno, poichè egli li raccontò e fra noi piace sapere tutto ciò che è possibile conoscere intorno alla sua persona, li abbiamo accolti in queste Memorie, senza però attribuirvi maggior importanza che non vi desse egli medesimo; almeno possono sempre avere qualche interesse dal lato psicologico. Ma la categoria più numerosa e caratteristica dei sogni di Don Bosco è costituita da quelli che contenevano elementi rivelatori, inafferrabili con le sole forze della sua mente. In essi egli rivedeva il passato, vedeva il presente, antivedeva il futuro. Per lo più le rivelazioni gli si presentavano sotto specie di simboli; ma non di rado gli si affacciava anche la nuda realtà, come quando gli si scoprivano i segreti delle coscienze o gli si spiegavano dinanzi le particolarità di luoghi a lui sconosciuti o comunque fuori di mano.
E qui nasce la questione sull’origine di siffatti sogni.
E teologicamente certo che gli Angeli buoni e gli angeli cattivi, permettendolo Iddio, esercitano un potere sulla materia. Niente, dunque impedisce loro di agire sul nostro cervello, per “eccitare una data cellula, la cui attività si collega al formarsi di un dato sentimento, di una data immagine o di un dato pensiero ”, producendo così in noi l’impressione che ci si voglia tentare o illuminare. Inoltre può sempre Iddio “creare senz’altro una realtà che ci venga incontro durante il sonno sotto forma di sogno o durante la veglia sotto forma di visione”[2]. Tale appunto sembra essere stata la maniera prescelta dalla provvidenza per guidare Don Bosco nella sua via.
É del pari biblicamente vero che Dio talora per mezzo di sogni parlò a’ suoi servi o procurò ad essi la rappresentazione di [9] vari oggetti. Ad Aronne e a Maria, sua sorella, Dio disse che sarebbe comparso agli altri profeti in visione e avrebbe parlato loro nei sogni[3]. Ad Abimelech, re di Gerara, Dio rivelò in sogno la sorte che lo aspettava per aver rapito Sara; in sogno Labano fu avvertito di non proferir parola torta contro Giacobbe[4]. Nel libro di Gioele, alludendosi alla copia di grazia che sarà diffusa sopra i Cristiani, si annunzia che vi saranno profezie, sogni e visioni[5]. In sogno parlò Dio a Salomone, colmandolo di celeste sapienza[6]. Più volte poi l'Angelo fece conoscere a S. Giuseppe in sogno i voleri di Dio, come in sogno furono messi sull'avviso i Magi, perchè non ripassassero da Erode. Tre motivi adduce il Cardinal Bona per mostrare come la quiete del riposo notturno si presti meglio a ricevere certe impressioni del cielo con quella forma di visioni che si dicono immaginarie. Nel sonno l’anima è meno distratta da molteplicità di pensieri; inoltre, essendo più passiva, è disposta più ad accettare e meno a discutere; infine in quel silenzio dei sensi le immagini si stampano meglio nella fantasia[7].
È poi storicamente provato che certe anime elette furono favorite così di visioni immaginarie durante il sonno. Dalla celebre Passio di Santa Perpetua del 203 alla storia di non pochi fondatori e fondatrici d’Ordini religiosi e alle vite d’illustri convertiti quante volle non vediamo entrare il sogno come elemento soprannaturale per premunire, confortare, ispirare, scuotere! Un Santo che molto s’assomigliò al Nostro fin da giovane nel ricevere dormendo superne illustrazioni sul carattere della missione a lui destinata dal Cielo, fu Anscario, il grande Apostolo del Nord nel secolo nono.
Bisogna ritenere per altro che le rivelazioni fatte veramente da Dio nei sogni sogliono essere piuttosto rare e che d’ordinario i sogni di tal natura riescono di non, facile interpretazione, [10] involti come si presentano in simboli e figure poco intelligibili.
Ecco perchè vi occorrono interpreti, che posseggano il dono della discrezione degli spiriti, se si voglia penetrarne con sicurezza il recondito significato. Nessuno interpretò i due sogni di Giuseppe ebreo, e la loro intelligenza si acquistò solo quando i fatti ne diedero molti anni dopo la spiegazione. Non così fu dei sogni delle sette e sette vacche, delle sette e sette spighe fatti dal Faraone d'Egitto, perchè Giuseppe ne chiarì il senso; e lo stesso accadde mercè l'interpretazione di Daniele per i sogni della statua gigantesca e del grandissimo albero, mandati a Nabucodonosor. Simbolici solevano essere i sogni di Don Bosco; ma la difficoltà dell’intenderli gli veniva appianata durante i sogni medesimi o per bocca di personaggi che gli facevano da guide o per mezzo di didascalie tanto scritte che orali.
La discrezione degli spiriti non è meno necessaria per ben discernere quando si tratti di sogni divini o di illusioni diaboliche o di scherzi della fantasia. Albergava senza dubbio questo carisma nell’anima del Beato Cafasso. Ora egli, consultato ripetute volte da Don Bosco in confessione, gli rispondeva sempre di stare tranquillo e di raccontare quei sogni, perchè facevano del bene. E del bene realmente ne producevano, giacchè nei giovani uditori ne veniva alimento alla pietà e orrore al peccato. Osservando inoltre come le notizie comunicategli per tal via rispondessero al vero e come si avverassero le previsioni di morti e di altri fatti contingenti e umanamente imprevedibili, noi abbiamo le più tangibili prove che non si navigava nel solito gran mare dei sogni. Anche la maniera tenuta da Don Bosco nell’esporli deponeva in favore della loro natura soprannaturale; poichè il Santo condiva di sincera umiltà le sue narrazioni, cercando con destrezza di allontanare dalle menti altrui ogni idea che egli possedesse meriti o godesse di privilegi eccezionali. Onde a buon diritto il Servo di Dio Don Rua nei processi li qualificava senz’altro per visioni; anzi dichiarava di sentirsi portato a credere che Don Bosco riguardasse come un dovere da parte sua il render note per vantaggio spirituale delle, anime tali cose [11] mostrategli in sogno e che a questo lo movesse un impulso soprannaturale.
A meglio comprendere la natura specifica di questi sogni giova considerare come nell’andamento di essi ci si presenti uno sviluppo logicamente ordinato ad uno scopo; il che non si verifica nei sogni consueti. Qui infatti è un inseguirsi più o men confuso di ricordi come di note musicali incalzantisi all’impazzata sulla tastiera della nostra intelligenza addormentata. Quanta assurdità in quella ridda d’immagini! Per questo fu detto che affannarsi a scoprire in tale accozzo un nesso e un senso è come voler scoprire un motivo musicale in una scorribanda notturna di topi lungo un pianoforte. Invece nei sogni di Don Bosco si ravvisa costantemente un fondo serio che costituisce la base di tutta l’azione onirica; siffatta azione poi, ora semplice ora molteplice, procede a gradi senza dar luogo alle incongruenze o alle banalità che in generale non si scompagnano mai dalle fantasmagorie risvegliantisi e rigirantisi nell'immaginazione di chi dorme. Che se a volle compaiono fenomeni che abbiano dello strano, Don Bosco li avverte come tali, ne chiede il perchè e ne riceve spiegazioni sotto ogni riguardo soddisfacenti. Eccoci dunque fuori del mondo dei sogni propriamente detti.
Vi sono certi sogni che, quand’egli li raccontò, parvero davvero sogni e nulla più; invece chi ha potuto aspettare, si è dovuto convincere che nascondevano l’annunzio di eventi futuri. Valga per tutti il seguente. Una volta, non sappiamo in che anno, Don Bosco sogna di trovarsi in S. Pietro, dentro la grande nicchia che si apre sotto il cornicione a destra della nave centrale, perpendicolarmente alla bronzea statua del principe degli Apostoli e al medaglione in mosaico di Pio IX. Egli non sa come sia capitato lassù e non si dà pace. Guarda attorno se vi sia modo di scendere; ma non vede nulla. Chiama, grida; ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall'angoscia, si sveglia. Orbene se taluno, udendo questo sogno, avesse creduto di scorgervi alcun che di profetico, si sarebbe detto che colui sognava a occhi [12] aperti. Al contrario; quando queste pagine cadranno sotto gli occhi dei lettori, sorriderà proprio dall’alto di quella nicchia il magnifico Don Bosco del Canonica.
Piacerà infine conoscere quale fosse il pensiero di Don Bosco intorno a’ suoi sogni. Per coglierlo giusto non bisogna badare a quello che diceva in pubblico, ma alla sua maniera di agire e di esprimersi in privato. Suo pubblico erano per questo unicamente i giovani e i Confratelli dell’Oratorio e talvolta i soli Superiori del Capitolo. In pubblico non usava altro termine che di sogni, nè si lasciava sfuggire espressione, dalla quale si potesse argomentare che li volesse far prendere per rivelazioni soprannaturali; anzi nel raccontarli usava frasi e motti arguti, che nella sua intenzione, dovevano servire a rimuovere dalla mente degli ascoltatori qualsiasi idea di tal genere. Personalmente invece egli faceva gran conto delle cose vedute. Così, per esempio, con i conti Colle, parlando o scrivendo delle apparizioni del defunto loro figlio, non adoperava mai la parola sogno, ma esponeva tutto senza qualificare[8]. Molto degna di nota è poi un’osservazione di Don Lemoyne. Discorrendo con Don Bosco il 5 gennaio 1886 del sogno sulla guarigione del chierico Olive, del qual sogno ci occuperemo nel volume diciottesimo, il segretario del Capitolo chiamò visioni i sogni di lui e il Santo gli diede ragione. Quindi nel suo notiziario Don Lemoyne avvertiva: “Fino all'anno 1880 circa, Don Bosco, raccontando i sogni, non aveva mai detta questa parola [visioni], ma con Don Lemoyne negli ultimi anni, benchè non la pronunciasse mai pel primo, pure assentiva alla frase usata da colui che conosceva molto bene il caro Padre, e solo in questi colloqui di confidenza ”.
Oggi ancora, dopo non breve lasso di tempo, dacchè la viva voce e la presenza del Santo cresceva efficacia alle sue esposizioni, i sogni di Don Bosco si rileggono da noi con vera utilità e ripetuti ai giovani destano in loro vivo interesse e producono buoni frutti. Fra estranei può darsi che tosto o tardi non vi si annetta [13] più una grande importanza, prevalendo il naturale pregiudizio che induce a mettere tutti i sogni in un sol fascio e a considerarli al più al più come bei vaneggiamenti d’una bella immaginazione; ma negli ambienti nostri, dove si fa l'orecchio a udirli spesso menzionare e quindi gli animi si abituano a ritenerli come arcane rivelazioni, continueranno ad aver corso, formando un rivolo perenne di quella tradizione salesiana che risale alle origini.
Ed ecco appunto una delle più forti ragioni che consigliano di radunare e ordinare in queste Memorie biografiche ogni atto, ogni detto, ogni scritto del nostro grande Fondatore. Che fuori della nostra famiglia certe cose appaiano minuzie non meritevoli dell'onore di figurare accanto a fatti degnissimi di poema e di storia, non ci deve sorprendere: il gran pubblico non tiene calcolo de minimis; ma per noi sono tanti elementi preziosi che contribuiscono a fissare saldamente la tradizione. E per conseguire tale intento è indispensabile che le generazioni lontane ritrovino poi nei nostri volumi la figura vivente del padre con i suoi lineamenti distintivi, con le sue abitudini domestiche e con le sue personali maniere di pensare, di parlare, di operare, sicchè attraverso a queste pagine egli continui ad esercitare quanto sarà possibile, sopra i suoi la primiera efficacia formativa, nè abbiano mai a fare capolino deviatrici incomprensioni. Quest’ultimo pericolo sarà più facilmente scansato, se esisterà un punto sicuro di riferimento, rimandando al quale sia lecito ripetere: Inspice et fac secundum exemplar[9].
PER le feste natalizie e per il capo d'anno i figli di Don Bosco or in persona or con lettere presentavano all'amato padre i loro lieti auguri, accompagnandoli con care espressioni di affetto. Egli dava molta importanza a queste filiali dimostrazioni, che contribuivano tanto a stringere i vincoli della stia famiglia spirituale, nè ometteva tosto o tardi, a voce o per iscritto, secondo l'occasione o la convenienza, di far vedere ai singoli, che serbava memoria delle cose da loro dettegli. Nel 1884 per significare il suo gradimento ricorse a una forma più solenne del consueto, indirizzando a tutti una bella circolare, in cui, ricordate le generali testimonianze di affettuosa devozione o lui rese, li eccitava a fare del loro meglio per raggiungere lo scopo prefissosi nell'abbracciare la vita salesiana e indicava nell'osservanza delle Regole l'unico mezzo per conseguire sicuramente l'intento.
Grande consolazione io provo ognivolta che mi è dato di ascoltare parole di ossequio e di affezione da voi, o miei cari figliuoli. Ma le affettuose espressioni, che con lettere o personalmente mi avete mani [16] festate nell'augurio di buone feste e di buon capo d'anno, richiedono ragionevolmente da me uno speciale ringraziamento che sia risposta ai figliali affetti che mi avete esternati.
Vi dico adunque che io sono assai contento di voi, della sollecitudine con cui affrontate qualsiasi genere di lavoro, assumendovi anche gravi fatiche a fine di promuovere la maggior gloria di Dio nelle nostre Case e tra quei giovanetti che la Divina Provvidenza ci va ogni giorno affidando, perchè noi li conduciamo pel cammino della virtù, dell'onore, per la via del Cielo. Ma in tanti modi e con varie espressioni mi avete ringraziato di quanto ho fatto per voi; vi siete offerti di lavorar meco coraggiosamente e meco dividere le fatiche, l'onore e la gloria in terra, per conseguire il gran premio che Dio a tutti noi tiene preparato in Cielo; mi avete detto eziandio che non altro desiderate fuorchè conoscere ciò che io giudico bene per voi e che voi l'avreste inalterabilmente ascoltato e praticato. Io gradisco adunque queste preziose parole, cui come padre rispondo semplicemente che vi ringrazio con tutto il cuore e che voi mi farete la cosa più cara del mondo se mi aiuterete a salvare l'anima vostra.
Voi ben sapete, amati figliuoli, che vi ho accettati nella Congregazione, ed ho costantemente usate tutte le possibili sollecitudini a vostro bene per assicurarvi l'eterna salvezza; perciò, se voi mi aiutate in questa grande impresa, voi fate quanto il mio paterno cuore possa attendere da voi. Le cose poi che voi dovete praticare a fine di riuscire in questo gran progetto, voi potete di leggieri indovinarle. Osservare le nostre regole, quelle regole che Santa Madre Chiesa si degnò approvare per nostra guida e per il bene dell'anima nostra e per vantaggio spirituale e temporale dei nostri amati allievi. Queste regole noi abbiamo lette, studiate ed ora formano l'oggetto delle nostre promesse, e dei voti con cui ci siamo consacrati al Signore. Pertanto io vi raccomando con tutto l'animo mio, che niuno lasci sfuggire parole di rincrescimento, peggio ancora, di pentimento di essersi in simile guisa consacrato al Signore. Sarebbe questo un atto di nera ingratitudine. Tutto quello che abbiamo o nell'ordine spirituale o nell'ordine temporale appartiene a Dio; perciò quando nella professione religiosa noi ci consacriamo a Lui non facciamo altro che offerire a Dio quello che Egli stesso ci ha, per così dire, imprestato, ma che è di sua assoluta proprietà.
Noi pertanto, recedendo dall'osservanza dei nostri voti, facciamo un furto al Signore, mentre davanti agli occhi suoi riprendiamo, calpestiamo, profaniamo quello che gli abbiamo offerto e che abbiamo riposto nelle sue sante mani.
Qualcuno di voi potrebbe dire: ma l'osservanza delle nostre regole costa fatiche. L'osservanza delle regole costa fatica in chi le osserva mal volentieri, in chi ne è trascurato. Ma nei diligenti, in chi ama il bene dell'anima, questa osservanza diviene, come dice il Divin Salvatore, [17] un giogo soave, un peso leggiero: Jugum meum, suave est et onus meum leve.
E poi, miei cari, vogliamo forse andare in Paradiso in carrozza? Noi appunto ci siam fatti religiosi non per godere, ma per patire e procurarci meriti per l'altra vita; ci siamo consecrati a Dio non per comandare, ma per obbedire; non per attaccarci alle creature, ma per praticare la carità verso il prossimo mossi dal solo amor di Dio; non per far una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo, patire con Gesù Cristo sovra la terra per farei degni della sua gloria in Cielo.
Animo adunque, o cari ed amati figli; abbiamo posto la mano all'aratro, stiamo fermi; niuno di noi si volti indietro a mirare il mondo fallace e traditore. Andiamo avanti. Ci costerà fatica, ci costerà stenti, fame, sete e forse anche la morte; noi risponderemo sempre: se diletta la grandezza dei premi, non ci devono per niente sgomentare le fatiche che dobbiamo sostenere per meritarceli: Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat certamen laborum.
Una cosa credo ancora bene di manifestare. Da ogni parte i nostri confratelli mi scrivono, ed io sarei ben lieto di dare a ciascuno la relativa risposta. Ma ciò non essendomi possibile, io procurerò di inviare delle lettere con maggior frequenza; lettere che mentre mi danno agio di aprirvi il mio cuore, potranno eziandio servire di risposta, anzi di guida a coloro che per santi motivi vivono in paesi lontani e perciò non possono di presenza ascoltare la voce di quel padre che tanto li ama in Gesù Cristo.
La grazia del Signore e la protezione della Santa Vergine Maria siano sempre con noi, e ci aiutino a perseverare nel divino servizio fino agli ultimi momenti della vita. Così sia.
Mutatis mutandis, la medesima circolare fu da lui inviata anche alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ai giovani dell'Oratorio egli non parlava più dopo le orazioni della sera, ma di lui parlavan loro incessantemente i Superiori; continuava però a prodigarsi nel tribunale di penitenza, che non abbandonò più dopo il suo ritorno da Parigi. In gennaio all'alunno Vivaldi da Roccaforte, prima di lasciargli principiare l'accusa, disse categoricamente: - Procura di fare una buona confessione, perchè questa è l'ultima volta che ti confessi da me. - Il ragazzo almanaccò a lungo su quelle [18] parole, temendo o di dover presto morire o di dover essere allontanato dalla casa. Ma nè l'una nè l'altra ipotesi rispondeva al vero. Da quel giorno o per assenze di Don Bosco dal confessionale o per trovarsi il giovane in altre case, il fatto è che questi non potè mai più nemmeno una volta confessarsi dal Santo.
Un amico dì assai vecchia data era monsignor De Gaudenzi, vescovo di Vigevano. Da canonico prevosto della Cattedrale di Vercelli, beneficandolo nelle molte sue necessità lo trattava abitualmente con la massima domestichezza, e fatto Vescovo, continuò a volergli un gran bene, aiutandolo volentieri col peso della sua autorità e tenendolo sempre in alta stima. Chi praticava con Don Bosco, quanto più da vicino lo conosceva, tanto più si sentiva crescere il buon concetto verso la sua persona. Ora nel rispondere a' suoi auguri per il capo d'anno Monsignore cordialmente gli scriveva[10]: “La ringrazio della buona memoria che conserva di questo tapino. Il Signore la conservi al bene di tante anime, allo splendore della Chiesa, a dimostrare quanto valga un sacerdote che abbia lo spirito del Signore. Io non oso più rinnovarle la preghiera che venga a trovarmi. Dico solo che il Sig. D. Bosco mi è sempre presente ”. Gli mandava intanto un'offerta per le Missioni.
Benefattori e benefattrici non lasciavano passare il capo d'anno senza ricordarsi di lui e mandargli la loro strenna. Alcune lettere di ringraziamento ci sono rimaste. Una è per la signora Magliano, già più volte incontrata[11].
Non so se la sua venuta a Torino sia presto o non tanto presto. Perciò voglio affrettarmi ad assicurarla che col cominciamento dell'anno abbiamo cominciato delle preghiere per Lei e le continueremo sino a gennaio di un altro anno, lo poi farò ogni mattino un memento speciale nella Santa Messa.
Dimandiamo costantemente per Lei sanità e santità; e ciò tutto [19] per darle un piccolo segno di gratitudine per la carità che ci ha fatto, ci fa tuttora in vari nostri bisogni.
Dio la benedica, Maria S.ma la protegga. Voglia anche pregare per tutta questa nostra famiglia e specialmente per questo poverello che le sarà sempre in nostro Sig. G. Cristo
Un'altra lettera è Indirizzata alla contessa Sclopis[12].
Alla Signora Contessa Sclopis.
Do incarico alla Santa Vergine Ausiliatrice che la ricompensi da parte mia. Io la ringrazio della sua carità, e co' miei orfanelli pregheremo tanto per Lei per la carità che si degna di farei.
Spero aver l'onore di poterla riverire e ringraziare personalmente tra non molto tempo.
Voglia pregare anche per questo poverello che con gratitudine le sarà sempre in G. C.
Una terza va alla cooperatrice lionese, signora Quisard, la quale, mentre sollecitava l'apertura di una casa salesiana nella sua città, si adoperava con zelo per aiutare il Santo[13].
Visite illustri onorarono l'Oratorio nei due primi mesi. L'arcivescovo di Lione, cardinale Caverot, che erasi mostrato piuttosto freddo con Don Bosco l'anno precedente, ora, recandosi a Roma, si fermò a Torino appositamente per vederlo. Arrivò nelle ore pomeridiane del I° gennaio, mentre i giovani, radunati nel santuario, dopo il canto dei vespri, ascoltavano la predica. Don Bosco, fattegli le più rispettose e cordiali accoglienze, lo invitò poi a entrare nella chiesa per assistere alla funzione dei capodanno. La cerimonia fu lunghetta a motivo [20] della musica; tuttavia l'Eminentissimo stette fin dopo la benedizione, ammirando il contegno dei giovani, sicchè ne complimentò il Servo di Dio. - Si dice, osservò, che Don Bosco fa miracoli; ma io potrò riferire al Santo Padre d'aver veduto con i miei occhi un gran miracolo: un sì gran numero di ragazzi assistere raccolti e silenziosi a una funzione ben lunga per la loro età. - Avrebbe desiderato vedere i laboratori; ma, essendo giorno di riposo nell'Oratorio, promise che sarebbe tornato qualche altra volta a completare la visita. Dopo si trattenne un po' di tempo in mezzo ai giovani e ai superiori, che subito l'avevano attorniato. Quando fe' cenno di voler partire, tutti s'inginocchiarono ed egli li benedisse[14].
Nel febbraio seguente tre Vescovi francesi vennero a trovare il Servo di Dio. La sera del 10 si presentarono insieme quelli di Grenoble e di Viviers, monsignor Fava e monsignor Bonnet. Era domenica e tutta la comunità stava in chiesa. Don Bosco ricevette con la sua amabilità i due Prelati, che s'intrattennero a lungo con lui e dopo manifestarono il desiderio di vedere i giovani. Mancando pochi minuti alla benedizione, la diede pontificalmente monsignor Fava, mentre il suo collega vi assisteva nel presbiterio. All'uscita furono accolti a suono di banda fra grandi applausi. Monsignor Fava parlò. Ringraziati e felicitati i sonatori, proseguì: - Alcuni anni fa aveva anch'io l'alta direzione di una banda musicale di giovanotti; ma il loro colore differiva dal vostro. Erano poveri abitanti del Zanzibar. Il mio cuor e di missionario gioisce qui al pensiero che tanti di voi, seguendo le orme di coloro che vi han preceduti, andranno un giorno fra selvaggi o fra cristiani degeneri per recar loro la dolce e benefica luce del Vangelo. Ma purtroppo anche i nostri paesi cattolici non sono forse diventati, per dir così, terre di missione? L'ignoranza religiosa e l'indifferentismo, financo l'odio contro la religione alimentato dall'ignoranza e fomentato da empi eccitamenti, fanno [21] progressi ogni dì maggiori. Sia mille volte ringraziato il Signore per quello che si degnò di suscitare qui, sotto il manto verginale della Madre sua, uno stuolo cioè di operai istruiti e zelanti, che, laici o sacerdoti, verranno a suo tempo in aiuto della Chiesa, mantenendo nelle anime il rispetto, la conoscenza, l'amore e la pratica della nostra santa religione. - Un caloroso battimani rispose alle sue parole; poi tutti accompagnarono fino all'uscita i due venerandi Pastori.
Al mattino del 24 fu la volta di monsignor Soubiranne, vescovo di Belley. Celebrata la Messa all'altare di Maria Ausiliatrice, salì da Don Bosco, per il quale era venuto e che si trovava alquanto incomodato di salute, sicchè da alcuni giorni celebrava più tardi del solito nella cappellina accanto alla sua camera. Monsignore ebbe con lui un lungo colloquio, dopo il quale avrebbe voluto visitare i laboratori; ma era domenica e questi presentavano l'aspetto di corpi senz'anima. Non rinunziò per altro a vedere la tipografia, in cui ammirò l'ampiezza dei locali, le misure di precauzione per evitare disgrazie[15], i provvedimenti igienici e tutto il macchinario. Nell'accomiatarsi egli pure si disse desideroso di tornare un'altra volta, quando potesse osservare i giovani al lavoro[16].
Abbiamo narrato nel, volume precedente la prima visita del novello Arcivescovo all'Oratorio il 15 gennaio di questo anno. Nello stesso mese con esimia bontà egli ne fece una seconda, passando un'intera giornata con Don Bosco e con i Salesiani. Alcuni giorni prima, il 24, era già stato a Valsalice, dove si anticipava la festa di S. Francesco di Sales. Nel mese di gennaio si soleva in quel collegio di nobili salutare principe e onorare con un'accademia l'alunno che, finito il liceo, si fosse sempre e più di tutti segnalato per studio e condotta; [22] di lui si faceva anche il ritratto da tenere esposto nell'aula principale dell'istituto. Allora si era meritato quell'onore il giovane Bonifacio Di Donato, figlio d'una ragguardevole famiglia fossanese. Fra i personaggi intervenuti vi fu con il cardinale Alimonda anche monsignor Manacorda, vescovo del premiando. Don Bosco dalla salute fu impedito di prendervi parte. Il giovane venne esaltato in verso, in prosa e in canti, non che dai discorsi dei due Presuli. Egli entrò poi nella Compagnia di Gesù.
L'anticipazione della festa a Valsalice era stata deliberata per non intralciare quella dell'Oratorio, dove pure si voleva il Cardinale, che si mostrò tanto compiacente da rimanere là fino a tarda sera. Scrive il Bollettino di febbraio: “Don Bosco e parecchi de' suoi primi allievi parvero ringiovanire. Loro sembrava essere ritornati a quei beati giorni, quando avevano la bella sorte di vedersi onorati dalla presenza dell'arcivescovo Luigi Fransoni, altrettanto amorevole verso i fanciulli dell'Oratorio e verso la gioventù in generale quanto coraggioso ed intrepido nei suoi doveri contro i nemici di Dio e della religione. Quell'illustre Prelato, quell'eroe della Chiesa, quella vittima gloriosa del suo ufficio pastorale, che tanto ci amava e che fin nel suo lungo esilio non lasciò mai di beneficarci e proteggerci, avrà in quel giorno certamente sorriso a noi dal cielo ed esultato nel vedere un suo degno Successore, e pur suo concittadino genovese, a ricercare le sue antiche pedate e a prendere viscere di padre verso un Istituto, che ebbe il suo cominciamento ed il suo primo sviluppo sotto le ali di sua benevolenza, al chiarore dei suoi consigli, all'ardore dei suoi affetti ”.
Era la prima volta che si festeggiava S. Francesco di Sales con l'intervento dell'Arcivescovo e per giunta Cardinale, nè si mancò di mettere la cosa in rilievo nella circolare d'invito scritta da Don Bonetti e sottoscritta da Don Bosco; onde, benchè fosse giorno feriale, il concorso fu molto grande. L'Eminentissimo pontificò mattino e sera. Nella chiesa faceva [23] la sua prima comparsa il quadro del Santo Patrono, dipinto dal Rollini ed esposto all'altare di S. Pietro.
Don Bosco, stimando quel giorno uno dei più belli per l'Oratorio, invitò a pranzo una quarantina di benefattori, che fecero degna corona all'Arcivescovo. Priore della festa era il signor Carlo Rocca, colonnello della riserva. Al levar delle mense un entusiastico inno composto da Don Lemoyne e musicato dal Dogliani, esprimeva a Sua Eminenza la gioia vivissima di Don Bosco e de' suoi figli[17]. Brindarono parecchi; ultimo sorse Don Bosco. Lodò all'Arcivescovo i sacerdoti e laici presenti, dicendoli tutti benemeriti delle istituzioni salesiane, tutti affezionati a Sua Eminenza, tutti attaccatissimi al Santo Padre Leone XIII e pronti per la religione cattolica a sacrificare anche la vita. Ringraziò l'Eminentissimo della sua bontà verso i Salesiani e verso i giovanetti loro affidati, e propose un evviva di tutti i commensali a lui e al Papa. Poi in tono faceto invitò tutti a pranzo seco per il mese di giugno del 1891, quando avrebbe celebrato la stia Messa d'oro. A tale invito così anticipato Sua Eminenza rispose a nome di tutti che si accettava senz'altro, e che si sarebbe fatto il possibile per esserci, ma esortò insieme Don Bosco a trovarcisi, dovendo egli fare la parte principale. La nota comica del Gastini pose termine all'allegro convito. Narrato come fanciullo di dieci anni, orfano e abbandonato, fosse stato raccolto da Don Bosco e messo all'onore del mondo, fece, secondo il suo stile e fra l'ilarità dei commensali, un Pot-pourri di versi latini, italiani e piemontesi in lode del Cardinale.
Alla benedizione, come già alla messa solenne, avrebbe dovuto fungere da arcidiacono il provicario monsignor Gazzelli di Rossana; ma poco prima di pararsi andò a pregare Don Bosco di volerlo sostituire, perchè Sua Eminenza desiderava vederselo a fianco. Don Bosco, benchè stentasse a fare [24] i gradini, accondiscese prontamente, Così tutti videro l'unione perfetta fra Don Bosco e il Capo della diocesi.
Sul tardi l’Arcivescovo assistette ancora al teatrino. Si dava una commediola in tre atti, intitolata Antonio e composta dal salesiano Don Bongiovanni; è il ravvedimento di un figlio scioperato: tema e svolgimento quali Don Bosco voleva che fossero simili rappresentazioni per i giovani de' suoi collegi, senza preoccuparsi della qualità degli spettatori estranei.
All'uscita il cortile era un mare di luce. Lungo il ballatoio del primo piano correva un'iscrizione a lumicini che diceva: Viva S. Francesco di Sales. Da quello del piano superiore brillava su tre linee quest'altra: Viva Sua Eminenza - il Cardinale Gaetano Alimonda - nostro amatissimo Arcivescovo. Il Cardinale, partendo, disse: - Ogni momento di questo giorno è stato per me una gioia ed un trionfo. - Per Don Bosco, aggiungeremo noi, fu un indicibile conforto[18].
La conferenza ai Cooperatori fu rimandata al 19 febbraio. La tenne Don Cagliero nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, Don Bosco non vi andò per il suo stato di salute. Vi presiedette il Cardinale, che volle anche prendere la parola, pronunziando un discorso molto importante, nel quale giustificò pubblicamente il suo affetto per l'Opera Salesiana con dimostrare essere in quella lo spirito del Vangelo, ossia lo spirito di Gesù Cristo[19].
Queste adunanze di Cooperatori si fecero in più luoghi d'Italia; ma noi menzioneremo solamente quella di Padova, dovutasi in gran parte alle premure della contessa Bonmartini[20]. La si tenne il 20 gennaio nella chiesa di S. Francesco; i giovani cantori del collegio di Este vi eseguirono bella musica. Parlò Don Pietro Pozzan, mandatovi appositamente da Don Bosco. Il Vescovo monsignor Callegari, che onorò della sua presenza la pia riunione, volle dire alcune cose assai [25] giuste e opportune, chiamando Don Bosco l'uomo di Dio, l'uomo della Provvidenza. Si diffuse soprattutto a trattare dei Cooperatori. - Non sono soltanto, disse, per le opere di Don Bosco, ma per il bene della Chiesa universale e più specialmente per le rispettive diocesi, non essendo essi che altrettante braccia in aiuto dei Vescovi e dei parroci. -Affrontò poi un'obbiezione che faceva capolino qua e là. - Ci si raccomandano tanto le opere di Don Bosco, dicevano taluni; ma non abbiamo anche noi opere da fondare e da sostenere? non dobbiamo noi attendere prima alle nostre? - Il Vescovo rispose che aiutare le opere di Don Bosco era far del bene a tutta la Chiesa; poichè Don Bosco non restringeva la sua azione alla sola Torino, ma mirava a tutta la gioventù e alla restaurazione cristiana della società. Quindi Monsignore invitava clero e popolo ad iscriversi fra i Cooperatori Salesiani, la cui diffusione nella sua diocesi egli riteneva come una benedizione del cielo.
Don Bosco, udita la relazione di questo discorso, ne rimase tanto contento, che il 16 febbraio discorrendo dei Cooperatori con Don Lemoyne gli manifestò tale sua soddisfazione. - Ho studiato molto, disse, sul modo dì fondare i cooperatori Salesiani. Il loro vero scopo diretto non è quello di coadiuvare i Salesiani, ma di prestare aiuto alla Chiesa, ai Vescovi, ai parroci sotto l'alta direzione dei Salesiani nelle opere di beneficenza, come catechismi, educazione di fanciulli poveri e simili. Soccorrere i Salesiani non è altro che aiutare una delle tante opere che sì trovano nella Chiesa Cattolica. È vero che ad essi si farà appello nelle urgenze nostre, ma essi sono strumento nelle mani del Vescovo. L'unico che finora intese la cosa nel giusto senso è il Vescovo di Padova, il quale disse chiaramente che non si deve aver gelosia dei Cooperatori Salesiani, poichè sono cosa della diocesi, e che tutti i parroci dovrebbero con i loro parrocchiani essere Cooperatori. Le Cooperatrici sono aggiunte, poichè così volle Pio IX.
Nel pomeriggio del 31 gennaio Don Bosco andò a S. Benigno [26] per festeggiare con gli ascritti S. Francesco di Sales. Le confessioni e -le udienze lo stancarono; la stanchezza poi, aggiunta ai disturbi che lo molestavano più del solito nelle ultime settimane, fece sì che, partendo, appariva spossato all'estremo. Don Barberis, dolorosamente impressionato, ne parlò nella " buona notte " e disse parergli venuto il momento di promettere alcunchè di grande e anche di stragrande al Signore per ottenere che fosse prolungata una vita sì preziosa. Si ripetè allora quello che era accaduto nel 1872 durante la malattia di Varazze: parecchi chierici subito dopo si dichiararono pronti a offrire per Don Bosco la propria vita. Ma fra tutti attrasse l'attenzione generale Luigi Gamerro, chierico di ventiquattro anni, alto di statura, gagliardo di complessione e così pieno di salute, che in due anni non aveva mai sofferto il menomo incomodo. Con un'energia, che colpì quanti lo udirono, disse che pregava Dio di poter morire lui invece di Don Bosco.
Sembrò a tutti che il suo generoso sacrificio fosse stato accetto al Signore, tanto immediati se ne videro gli effetti. Nella notte sognò che sarebbe morto. La mattina, senza parlar di sogni, diceva giulivo ai compagni: - Tocca a me! Assegnandosi di lì a poco i nuovi posti nel refettorio, disse in tono di certezza al superiore incaricato di quella funzione: - A me è inutile che dia il posto; tanto, non lo occuperò.
Infatti il giorno appresso si sentì male. Il male crebbe a vista d'occhio, a segno che il terzo giorno per tempo si confessò e ricevette il Viatico. Seguitone un po' di sollievo, Don Barberis cercava di lusingarlo con la speranza della guarigione per andar missionario, com'era sua brama. Gamerro però, ascoltatolo in silenzio, lasciò che si allontanasse e poi disse all'infermiere: - No, no! lo morrò stasera. - Un compagno, al quale aveva narrato il sogno, cominciava a crederci. Don Bianchi, andato a visitarlo, gli disse: - Giacchè affermi di dover morire, raccomandati alla Madonna, pregandola che ti aiuti a uscire presto dal purgatorio. - Rispose: - Stasera [27] sarò con Lei. Me l'ha detto Essa. - Si mostrò costantemente sereno e lieto fino all'ultimo istante, che fu verso le due pomeridiane. Nel sogno aveva anche appreso che sua madre sarebbe venuta a vederlo, ma che, giungendo tardi, l'avrebbe trovato già cadavere. La cosa si avverò a puntino. Impedita di partire subitochè aveva ricevuto la notizia dell'aggravamento, arrivò due ore dopo il decesso.
Del fatto corse la voce anche per Torino. Ivi un giornale stupidamente umoristico mise fuori una caricatura, nella quale si vedeva il chierico impiccato ad un albero e Don Bosco in ginocchio dinanzi a lui. Povera gente senza fede e senza amore!
E la salute di Don Bosco? La salute di Don Bosco andava di male in peggio. Da prima una straordinaria prostrazione di forze era stata causa che il vociferare gli straziasse lo stomaco; sopravvenne quindi un principio di bronchite con tosse e sputo sanguigno. Nella notte sul 10 febbraio riempì di vivo sangue la pezzuola. Il gonfiore delle gambe, che lo affliggeva da anni, saliva alle cosce. Il giorno 12 fu dal dottore Albertotti obbligato a tenere il letto. Quella sera in un consulto i dottori Albertotti e Fissore riscontrarono sintomi di estrema debolezza: il palpito del cuore era appena percettibile. Il cardinale Alimonda, ansioso, mandava due volte ogni giorno a prendere notizie.
In questo stato durante la notte sul 13 fece un sogno, che, quando prese a riaversi, raccontò. Gli parve di essere in una casa, dove incontrò S. Pietro e S. Paolo. Indossavano una sopravveste che scendeva loro fin sotto le ginocchia e portavano in testa un copricapo all'orientale. Sorridevano a Don Bosco. Interrogati se avessero qualche missione per lui ovvero alcun che da comunicargli, non risposero alla domanda, ma presero a parlare dell'Oratorio e dei giovani. In quella ecco arrivare un amico di Don Bosco, conosciutissimo tra i Salesiani, ma che Don Bosco dopo non rammentava più chi fosse. - Guardi un po' queste due persone, disse al nuovo [28] venuto. - L'amico guardò e: - Chi vedo mai? esclamò. Possibile? S. Pietro e S. Paolo qui?
Don Bosco rinnovò allora la domanda fatta poc'anzi ai due Apostoli, che, pur mostrandosi affabilissimi, continuarono evasivamente a parlar d'altro. Poi all'improvviso S. Pietro lo interroga: -E la vita di. S. Pietro? - Parimente S. Paolo: - E la vita di S. Paolo? - È vero - confessò Don Bosco in atto di umile scusa. Infatti egli aveva divisato di ristampare quelle due vite, ma poi la cosa gli era caduta interamente dalla memoria. - Se non fai presto, non avrai più tempo, l'avvertì S. Paolo.
Frattanto, essendosi S. Pietro scoperto il capo, la sua testa apparve calva con due ciocche di capelli sopra le tempia: aveva tutta l'aria d'un rubizzo e bel vecchietto. Tiratosi in disparte, si pose in atto di preghiera. Don Bosco voleva seguirlo; ma: - Lascialo che preghi gl'ingiunse S. Paolo. Don Bosco rispose: - Vorrei vedere dinanzi a quale oggetto s'è inginocchiato. - Gli andò dunque accanto e vide che stava dinanzi a una specie di altare, che altare non era, e interrogò S. Paolo: - Ma non ci sono candelieri?
- Non c'è bisogno di candelieri, dov'è l'eterno sole, gli rispose l'Apostolo.
- La vittima non si sacrifica, ma vive in eterno.
- Ma insomma l'altare non c'è?
- L'altare è per tutti il monte Calvario.
Allora S. Pietro con voce alta e armoniosa, ma senza canto, pregò così: - Gloria a Dio Padre Creatore, a Dio Figlio Redentore, gloria a Dio Spirito Santo Santificatore. A Dio solo sia onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. A te sia lode, o Malia. Il cielo e la terra ti proclamano loro Regina. Maria... Maria... Maria. - Pronunciava questo nome con una pausa tra una esclamazione e l'altra e con tale espressione di affetto e con un crescendo siffatto di commozione da non potersi descrivere, sicchè là si piangeva di tenerezza. [29]
Alzatosi S. Pietro, andò a inginocchiarsi nello stesso luogo S. Paolo, che con voce distinta si diede egli pure a pregare così: - Oh profondità degli arcani divini! Gran Dio, i tuoi segreti sono inaccessibili ai mortali. Soltanto in cielo essi ne potranno penetrare la profondità e la maestà, accessibile unicamente ai celesti comprensori. O Dio uno e trino, a te sia l'onore, la salute e rendimento di grazie da ogni punto dell'universo, Il tuo nome, o Maria, sia da tutti lodato e benedetto. Cantano in cielo la tua gloria, e sulla terra tu sii sempre l'aiuto, il conforto, la salvezza. Regina Sanctorum omnium, alleluia, alleluia.
Don Bosco, raccontando il sogno, conchiuse: - Questa preghiera per il modo di preferire le parole produsse in me tale commozione, che ruppi in pianto e mi svegliai. Dopo mi rimase nell'anima un'indicibile consolazione.
La febbre, chi sa?, e la consuetudine di celebrare all'altare di S. Pietro contribuirono forse allo svolgersi in lui di questa fantastica rappresentazione. È per altro un sogno di tal natura che rivela quali fossero abitualmente i pensieri e i sentimenti che gli riempivano l'anima.
Avvezzo a una vita d'incessante attività, le coltri gli pesavano in modo insopportabile; eppure la testa non gli reggeva a serie riflessioni o a letture d'ogni specie. Nel suo parlare si notavano sconnessioni d'idee e, alzandosi parecchie ore al giorno, scriveva lettere con frequenti omissioni di vocaboli. La sera del 13 all'annunzio della morte di Gamerro e delle circostanze che l'avevano preceduta, si commosse, stette un po' in silenzio e quindi sorridendo disse: - Ecco lì! Questa è un'ingiustizia! Dopo tanti anni di fatiche e di stenti toccherebbe a me l'andarmi a riposare; ci vanno invece coloro che a lavorare non han nemmeno cominciato. Toccava a me, non a lui!
Dalla sua corrispondenza traspare quanta fosse la sua tranquillità di spirito. Scrisse il 14 alla Louvet: “Ho il petto un po' stanco”. Aveva scritto al conte Colle: “Da alcuni giorni [30] la mia salute non va troppo bene ”. Riscrisse al medesimo il 20: “Ho la salute un po' scossa e sto ancora in prigione nella mia camera ”. Tuttavia il desiderio di riposarsi nel Signore gli tornava ogni tanto alle labbra. Talora, facendoglisi relazioni d'affari, esclamava: - Se si continua così, non arriverò certamente alla festa della mia Messa d'oro... Questi affari li sbrigherà chi succederà.
Pure la fase acuta del male sembrava sorpassata. Nel dopo mezzodì del 14 uscì a passeggio con Don Lemoyne. Andarono verso la ferrovia di Milano. Passando accanto alla chiesa di Maria Ausiliatrice, Don Bosco si fermò, alzò gli occhi e guardandola un istante, disse: - Una volta qui c'era un campo di fagioli e di patate; adesso c'è la chiesa e l'Oratorio. Proprio qui dov'è il santuario, vidi comparire in sogno la Madonna, che, arrestatasi e girando lo sguardo intorno, disse: Hic domus mea, hinc gloria mea.
Il 15 ebbe un forte attacco di febbre, che gli durò dalle undici antimeridiane fino alle sette di sera; per altro non si coricò. Passava insonni le notti intiere. Dal 1872 i profluvi di sudore notturno lo obbligavano al mattino dopo la levata a rimanere un'oretta in camera per non arrestare bruscamente la traspirazione e per cambiarsi flanella e camicia. Allora era peggio che mai.
Il 17 confidò a Don Lemoyne che l'enfiagione delle gambe gli era salita fin oltre alla bocca dello stomaco e che in luogo di questo incavo aveva una gonfiezza globulare grossa come un uovo. Il dottore Albertotti avvisò che si stesse attenti, perchè Don Bosco sarebbe potuto mancare, all'improvviso; lo sorvegliassero dunque anche di notte; poter accadere facilmente che un brutto mattino lo trovassero morto.
Il pensiero della prossima fine gli occupava la mente, tanto che il 18 preparò una circolare che il suo successore avrebbe dovuto spedire ai Cooperatori Salesiani, qualora egli cessasse di vivere. Poi disse a Don Lemoyne: - Io vedo dinanzi a me il progresso che farà la nostra Congregazione. [31]
Dall'America del Sud passerà a quella del Nord, poi all'Austria, all'Ungheria, alla Russia...[21]. Quindi alle Indie, al Ceylan, alla Cina... Da qui a cent'anni quale sviluppo meraviglioso non vedremmo dei Salesiani, se fossimo ancora a questo mondo! Gli Ordini antichi, Domenicani, Francescani e altri furono destinati dalla Provvidenza ad essere colonne della Chiesa; il nostro invece è istituito per i bisogni presenti e si propagherà con una rapidità incredibile in tutto il mondo. Basterebbero tuttavia due o tre Salesiani degeneri a trar fuori di strada tutti gli altri. Eppure, sol che siamo fedeli alle virtù comuni del cristiano, quale splendido avvenire ci prepara Iddio!
Nella seconda metà di febbraio succedette nella Roma ecclesiastica un mutamento, del quale non poteva Don Bosco disinteressarsi. Il cardinale Monaco La Valletta era stato nominato Penitenziere maggiore di Santa Chiesa e al suo posto nel Vicariato Leone XIII prescelse il cardinale Parocchi, già talmente inviso ai liberali, quand'era Vescovo di Pavia, che fatto Arcivescovo di Bologna, non aveva potuto per cinque anni ottenere dal Governo il regio exequatur[22]. Uomo di eletto ingegno, di larga cultura e di gran merito non doveva restare sotto il moggio per il malanimo dei settari: l'alto ufficio affidatogli dal Papa lo metteva in grado di prestare segnalati servigi alla Chiesa. Don Bosco gli scrisse subito alcune parole di rallegramento, a cui Sua Eminenza rispose con un semplice biglietto di visita e poche espressioni di formalità; ma il 14 marzo, quando ebbe preso possesso della sua carica, gl'inviò una lettera, nella quale gli diceva: “Dalla stima e dall'affezione che Le professo, argomenti V. S. il gradimento delle sue benevole congratulazioni. Ne la ringrazio, e mi raccomando alle sue fervorose preghiere e a quelle di [32] tutta la Congregazione Salesiana. Alla quale il bene che potrò secondo le attribuzioni e le forze mi recherò a vera consolazione di procurarlo ”.
Il 21, 22, 23 febbraio Don Bosco, sebbene a stento, fece un po' di passeggio con Don Lemoyne. La sua mente però non gli dava riposo, ma ruminava la ripresa di una pratica, già tentata e ritentata in circostanze meno propizie e presentantesi allora con maggiori probabilità di riuscita: la concessione dei privilegi. Inoltre veniva maturando l'idea d'intraprendere un nuovo viaggio in Francia per trovare i mezzi con cui far fronte a molteplici bisogni. Ma dell'una e dell'altra cosa diremo a parte in seguito.
Dobbiamo per altro dire subito che quest'ultima decisione allarmò i Superiori. Egli stesso non era senza qualche apprensione. Tuttavia da Roma Don Dalmazzo scriveva che i lavori della chiesa del Sacro Cuore stavano sospesi per mancanza di danaro; oltre a questo l'Oratorio e altre case versavano in gravi strettezze. A farla breve, sul Capitolo Superiore gravava allora l'enorme debito di 1.126.000 lire.
Insistenze per la sua visita annuale gli venivano da Marsiglia, perchè la casa aveva gran bisogno di danaro. In una lettera al parroco Guiol egli diceva bensì che i suoi occhi e la sua salute difficilmente gli avrebbero permesso di affrontare il viaggio e intanto con la sua solita giovialità dava a lui l'incarico di pagare i debiti; ma il parroco gli rispose che questa cosa sarebbe assai più facile se ci fosse Don Bosco, e gli prometteva di ripararlo dalla calca opprimente delle altre volte, tenendolo nascosto nel noviziato recentemente aperto fuori di città, dove pochi soltanto sarebbero andati a trovarlo[23]. Anche queste pressioni contribuirono a fargli prendere la risoluzione di partire.
Quando manifestò definitivamente il suo arrischiato proposito, Don Cagliero con rispettosa risolutezza si oppose, [33] dicendogli essere la sua vita a tutti più cara d'ogni bene del mondo e preferibile a ogni tesoro. Il cardinale Alimonda, che non la pensava diversamente, volle tentare d'impedirne la partenza. Avvisato che prima di mettersi in viaggio egli desiderava fargli visita, rispose: - Sarebbe un peccato mortale far venire Don Bosco fin qui. É troppo stanco ed ha troppi affari tra mano. Si dica al caro Don Giovanni che fra un'ora sarò io all'Oratorio. - Qui Don Bosco gli spiegò i motivi che lo obbligavano a quel passo; onde Sua Eminenza si contentò di farsi promettere che qualora, giunto ad Alassio, si sentisse peggio, sarebbe ritornato indietro.
Durante questa visita il Cardinale palesò a Don Bosco d'aver chiesto al Papa che gli desse un Vescovo ausiliare, secondo la promessa fattagli dal Santo Padre nel mandarlo a Torino.
- Su quale soggetto si sarebbe fermata la sua attenzione? gli chiese Don Bosco.
- Su diversi, e per primo sul canonico Pulciano.
- Ho anche pensato al canonico Richelmy.
- Bene! Sono eccellenti sacerdoti.
- Ma lei, Don Bosco, chi penserebbe poter riuscire un buon Vescovo ausiliare, capace di aiutarmi? Favorisca manifestarmi la sua opinione.
- Certo, a questo mondo non si può sempre avete L'ottimo e bisogna contentarsi del buono. Ma se si volesse l'ottimo, si potrebbe scegliere il canonico Bertagna, vicario generale di Asti.
Il Cardinale non aggiunse parola e mutò discorso; ma appena ritornato al suo palazzo, telegrafò a Roma, domandando al Pontefice per Vescovo ausiliare il canonico Bertagna. Fu una scelta felicissima, come tutti sanno, oltrechè una tarda, ma giusta riparazione[24]. [34]
Verso sera, tenendo capitolo, il Santo aperse la seduta con ringraziare la Provvidenza divina per la bontà e l'amore, con cui il Cardinale Arcivescovo trattava Don Bosco e la Congregazione. -L'Eminentissimo apre per noi, disse, un'êra novella in questa diocesi. -Trattati quindi varii affari, prima di sciogliere l'adunanza, annunziò ufficialmente che il I° marzo sarebbe partito per la Francia. - Durante la mia assenza, proseguì, il Capitolo si raduni almeno una volta al mese: dò a Don Rua i pieni poteri per presiedervi. I membri continuino a volersi bene fra loro; per far meglio le cose che si debbono fare, ci vuole carità. Si promuovano fervorose preghiere fra i giovani per me, finchè sarò lontano, e questo per due motivi: I° Perchè la mia salute possa resistere ai disagi del viaggio. 2° Perchè ho bisogno di molti quattrini. Si dica ciò ai grandi, si dica ai piccoli. Il povero Don Bosco affronta Un simile viaggio, non per sè, ma per provvedere all'Oratorio e pagare i debiti. Se ne parli ai Salesiani in conferenza, esortandoli a risparmiare spese quanto più sia possibile. E di nuovo sia benedetto il Signore per la benevolenza che ci dimostra il Cardinale. Don Rua vada qualche volta a visitarlo.
Tutto questo accadeva il 28 febbraio. Il 29 sul mattino fu visitato dal dottore Albertotti, che, non trovandolo bene, fece quanto seppe per rimuoverlo dalla presa risoluzione.
- Se arriverà fino a Nizza senza morire, gli disse, sarà un miracolo.
- Se io non tornerò più, pazienza! rispose Don Bosco. Vuol dire che prima di andare aggiusteremo le cose; ma andare bisogna.
- Stiano molto attenti, raccomandò il medico al segretario, appena fu fuori dalla camera. Non mi stupirei, se a Don Bosco venisse meno la vita, senza che nessuno di loro se n'accorga. Non c'è da illudersi. [35]
Il Santo, come aveva accennato al Dottore, così fece. Nel pomeriggio mandò a chiamare notaio e testimoni e dettò il proprio testamento, come se fosse sul punto dì partire per l'eternità. Poi, fatti venire Don Rua e Don Cagliero, e indicando sul tavolo l'atto notarile, disse loro: - Qui c'è il mio testamento. Ho lasciato voi due miei credi universali. Se non ritornerò più, come teme il medico, voi saprete già come stiano le cose.
Poichè Don Bosco non aveva altro da aggiungere, Don Rua uscì dalla camera, probabilmente col cuore ben gonfio, sebbene all'esterno si padroneggiasse, com'era suo costume. A Don Cagliero il Santo fe' segno di fermarsi. Il figlio affezionato, dopo qualche minuto di silenzio, gli domandò: - Ma dunque lei vuole proprio partire in questo stato?
- Come vuoi che faccia diversamente? gli rispose. Non vedi che ci mancano i mezzi per andare avanti? Se non partissi, non saprei dove dare del capo per procurare il pane ai nostri giovani. Solamente dalla Francia posso sperare soccorsi.
- Eh! replicò Don Cagliero, piangendo come un fanciullo. Siamo andati avanti finora a forza di miracoli. Vedremo... anche questo! Dunque lei vada e noi pregheremo!
- Dunque io parto per la Francia. Il testamento è fatto, e siamo a posto. Lo consegno a te in questa scatola. Conservala e ti sia il mio ultimo ricordo.
Don Cagliero, persuaso di sapere abbastanza quale ne fosse il contenuto, la prese e senza aprirla se la pose in tasca. Soltanto sei mesi dopo l'aperse, quando il Santo contro le previsioni del medico e contro l'aspettazione comune aveva fatto ritorno. Vide allora che c'era dentro l'anello d'oro, appartenuto già al padre del Santo. Un sì bel ricordo egli conservò ben caro per tutta la vita.
QUESTA volta la partenza di Don Bosco per la Francia lasciò nei cuori un senso di profonda mestizia, non attenuata punto dalla sua abituale giovialità. Era veramente una scena che moveva a compassione il vederlo così acciaccoso uscire dall'Oratorio e andare per il mondo in cerca di carità. Pregare e far pregare diventò dunque da quel momento la parola d'ordine in tutta la casa. Nell'ultimo decennio della sua vita una corona di giovanetti durante la ricreazione della merenda si radunava nell'anticamera della sua stanza, dove dinanzi ad un altarino con una statuina della Madonna facevano insieme alcune preghiere per il loro benefattore e padre. Partito che egli fu, questa pia pratica venne continuata con maggior fervore.
Lo accompagnarono fino ad Alassio Don Giulio Barberis e Don Angelo Savio. I superiori di quel collegio, che lo attendevano alla stazione, lo trovarono tutto lieto, sebbene l'avesse travagliato fin là mal di capo e di stomaco. Nell'atrio dell'istituto gli alunni lo salutarono con un inno espressamente musicato da Don Baratta. Per dare agio a tutti di baciargli la mano, impiegò un buon quarto d'ora ad attraversare la folla giovanile. Andò presto a riposo, facendosi mettere un campanello [37] accanto al letto e avvertendo Don Barberis che, se ne udisse lo squillo, fosse sollecito ad accorrere.
Dormì abbastanza tranquillamente; fece anzi uno dei soliti sogni, che narrò a Don Cerruti. Gli pareva di essere sul piazzale a capo del viale di S. Massimo, scendendo verso la fabbrica Defilippi. Vi stava radunata molta gente, come se aspettasse qualcuno. Appena Don Bosco fu vicino, quella gente lo circondò, dicendo: - Don Bosco, aspettavamo lei.
- Andiamo; è cosa facile per contentarvi.
Lo condussero nello spazio allora occupato dalla fonderia, al pian terreno sotto le sue camere, già parte del prato dove avevano avuto cominciamento le gesta dell'Oratorio. Don Bosco entrò con essi per una porta; ma invece che nella fonderia si trovò in una bellissima chiesa.
- Lei adesso, signor Don Bosco, ci deve fare una predica, gli dissero.
- Non importa. Ci dica quello che le verrà in mente.
Salì dunque sul pulpito, ove prese a ragionare contro il mal costume. Descrisse il diluvio universale e la distruzione di Sodoma, continuando così con tale ordine e divisione di punti, che svegliato se ne ricordava pienamente. Fatta la predica, la gente gli disse: - Adesso deve celebrare la santa Messa.
- Io non ho nessuna difficoltà, celebriamola pure.
Andò dunque in sacrestia. Se non che mancava tutto. Dovette penare a ritrovar il messale, poi non rinveniva il calice, poi dovette cercare la pianeta; in ultimo non vi erano nè ostie nè ampolle. Fruga di qua, fruga dì là, trova tutto, si veste e va all'altare. Giunta la Messa alla comunione, alcune persone si presentano per comunicarsi. Rimuove il canone, ma non c'è la chiave del tabernacolo. Angustiato osserva sull'altare e non la trova. Nessuno sì muove per andarla a prendere. [38]
Allora scende egli stesso dalla predella, depone la pianeta e così in camice va cercando chi lo aiuti a trovare quella benedetta chiave. Dalla chiesa passa nel locale, dove allora abitavano le Suore; ma non c'è anima viva. Finalmente sente ridere. Era la voce di Don Notario. Entra in quella stanza e trova Don Notario che parla e ride con un giovanetto. - Sa, esclama fra sè e sè Don Bosco, prima di entrare, sa che in chiesa c'è bisogno di lui e che manca la chiave del tabernacolo, e lui sta qui a ridere! - Entrato, domandò la chiave e avutala fede ritorno all'altare.
Don Bosco nel girare per la casa delle Suore non ne aveva incontrata neppur una. Come fu nuovamente all'altare, proseguì e terminò la Messa. Il sogno durò tutta la notte.
Il dì appresso, che era domenica, celebrò senza difficoltà; ma più tardi, data udienza a due o tre persone, dovette sospendere ogni affare, perchè si sentiva svenire. Bisognò ricondurlo in camera. Essendo stata indetta una conferenza ai Cooperatori nella chiesa del collegio, fu sconsigliato dal prendere la parola; parlò invece il direttore Don Cerruti, assistendovi egli dal presbiterio. V'intervennero pure Don Cibrario da Vallecrosia e Don Ronchail da Nizza Mare. Il Bollettino di aprile, dandone notizia, profittava dell'occasione per raccomandare alle preghiere di tutti Don Bosco, che da qualche tempo si sentiva affievolite le forze. “Non vi è nulla di allarmante pel momento, scriveva Don Bonetti; ma un valente dottore di Torino, visitandolo prima che egli si mettesse in viaggio, ebbe a dire che non dobbiamo lusingarci gran fatto sulla vita di lui; imperocchè, soggiunse, avuto riguardo alle fatiche sostenute, Don Bosco può oggimai reputarsi vecchio di cent'anni, sebbene non ne conti ancora che settanta ”.
Don Cerruti, anche per distrarlo alquanto, lo condusse a benedire un giovanotto più che ventenne, per nome Airoldi, che era divenuto pazzo. Nella sua pazzia costui trattò sgarbatamente il Servo di Dio. Il Direttore dopo, sebbene lo vedesse tranquillo, gli manifestò il proprio rincrescimento per le parole [39] e i modi sconvenienti usatigli da quell'infelice. - Oh! caro te, gli rispose il Santo, questo non è nulla. Vuoi sapere quello che mi avvenne a Torino alcuni anni or sono?
E Don Bosco raccontò. Un giorno era stata da lui una signora per pregarlo caldamente che andasse a trovare un cotale prossimo ormai alla sua fine. Copriva, un grado altissimo nella Massoneria e aveva respinto con risolutezza dal suo letto qualsiasi prete, solo a stento permettendo che s'invitasse Don Bosco. Il Santo vi andò subito, ma, appena entrato in camera e chiuso l'uscio, si sentì dire con tino sforzo disperato: - Viene come amico o come prete? Guai a lei se mi nomina la confessione! - Detto questo, impugnò due revolver, che teneva dalle due parti del letto, glieli puntò al petto, continuando: - Si ricordi bene, che al primo cenno di confessione, un colpo sarà per lei e l'altro contro di me. Tanto io non ho più che pochi giorni di vita.
- Ma lei non si è spaventato? gli chiese a questo punto del racconto Don Cerruti.
- Io gli risposi semplicemente che stesse tranquillo, perchè non gli avrei parlato di confessione senza il suo permesso. Lo interrogai quindi sulla malattia e sulle diagnosi dei medici. Poi condussi il discorso sii cose di storia, finchè bel bello presi a descrivergli la morte di Voltaire. Finalmente conchiusi che, sebbene alcuni ritenessero dannato Voltaire, io non lo diceva o almeno non mi sentivo dì dirlo, sapendo essere infinita la misericordia di Dio.
- Come?! interruppe il malato, che aveva seguito con interesse il discorso. C'è ancora speranza per Voltaire? Allora abbia la bontà di confessarmi.
- Mi posi attorno, lo preparai e lo confessai. Nel momento dell'assoluzione, ruppe in pianto esclamando, che non aveva mai goduto tanta pace in vita sua come in quell'istante. Fece tutte le ritrattazioni richieste. Al domani ricevette il Viatico, ma prima chiamò nella camera tutti quei di casa e domandò [40] pubblicamente perdono dello scandalo dato loro. Dopo il Viatico, si riebbe, visse ancora due o tre mesi, tutti impiegati nella preghiera, nel ridomandar perdono e nel ricevere più volte con grande edificazione Gesù Sacramentato. Hai da sapere, ripetè Don Bosco, che quel signore era proprio molto avanti nella Massoneria. Ringraziamo di tutto Iddio[25].
Alle nove del 3 con Don Barberis e Don Ronchail partì per Mentone. Un'ottima e ricca famiglia polacca ivi dimorante gli aveva promessa una vistosa elemosina, se avesse gradito la sua ospitalità. Fatti per lettera sicuri di averlo in casa, quei signori avvisarono quanti più poterono dei loro connazionali per i dintorni, sicchè ne accorsero una ventina da Nizza, altri da Monaco e da Cannes, in tutto circa quaranta persone. Informati però della sua malferma salute, furono tanto discreti che si misero d'accordo per non affaticarlo; quindi ciascuno preparava prima quello che gli voleva dire, in modo da non permettergli poi altra risposta fuorchè un sì o un no. Poterono così parlargli tutti senza aggravare la sua stanchezza.
Quando le udienze ebbero termine, si venne a pregarlo di voler visitare un prete vecchio e gravemente infermo, anzi disperato dai medici. Si mosse all'istante, ma lo trovò pressochè privo della conoscenza. Domandatogli come stesse, non diede alcun segno d'aver inteso. Allora il Santo gli gridò forte all'orecchio: - Non mi capisce? - Il malato balbettò alcune sillabe senza costrutto. E il Servo di Dio: -Conosce Don Bosco lei?
- Don Bosco! Sì, lo conosco. Ebbene?
- Don Bosco sono io. Non ha nulla da dirmi?
- Come, lei?... - E di scatto si pone a sedere sul letto e dice di volersi levare. La sorella pensa che abbia perduta la testa. Ma l'altro: -Ti dico che mi voglio levare. Fa avvertire il parroco che non si scomodi; io non sono più malato da Olio Santo [41]
Si levò infatti, parlava benissimo e il giorno seguente fu alla Messa di Don Bosco. Dobbiamo per altro aggiungere che ricadde alcuni mesi dopo; ma allora non tornò Don Bosco a farlo alzare. È tuttavia innegabile che la prima volta le dichiarazioni dei medici avevano tolto ogni speranza di rivederlo in piedi.
Don Bosco pernottò a Mentone con Don Ronchail, avendo Don Barberis proseguito il viaggio per Nizza con la lieta notizia che egli sarebbe colà il mattino appresso. L'essersi anche fuori saputa l'ora del suo arrivo, fu causa che lo si mettesse in un impiccio. Lo spagnuolo marchese d'Avila si fece trovare alla stazione con la sua carrozza per condurlo a casa; ma anche la contessa di S. Marzano aveva mandato la sua, e il barone Héraud la guidava. Entrambi volevano per sè l'onore di prendere su Don Bosco, nè da ambe le parti s'inclinava a cedere. Don Bosco troncò la questione entrando nella più vicina, che era quella della Contessa, e mandando nella seconda Don Barberis, venuto a incontrarlo, e Don Ronchail. - Sono due galantuomini, sa, - disse al Marchese nell'atto di consegnarglieli.
Oltre alla maggior vicinanza esisteva pure una ragione speciale per la preferenza usata da Don Bosco. La Contessa, avendolo visitato nell'Oratorio pochi giorni prima che partisse, aveva voluto da lui l'assicurazione che, recandosi a Nizza, si sarebbe servito della sua carrozza nell'andare dallo scalo ferroviario al Patronage di S. Pietro. Non fu del resto la prima volta che a Nizza succedessero di queste imbarazzanti gare, le quali mettevano alla prova la sua prontezza di spirito. Una volta non due, ma una fila di carrozze padronali incontrò e di mano in mano che si avanzava i valletti di ciascuna, indicandogli la propria, gli dicevano: - Ecco la carrozza del Conte tale; egli vorrebbe aver l'onore che Ella se ne servisse... Ecco la carrozza del Duca tal altro, il quale la prega che si compiaccia di salirvi... Ecco la carrozza della Marchesa X, alla quale Ella promise di gradirla per andare al Patronage... [42]
E così via per sette od otto volte di seguito. Don Bosco che aveva già a tutta prima indovinato di che si trattava, non volendo con l'accettare l'offerta di uno offendere in qualche modo gli altri, prese a dire: -Sentite: facciamo così. La carrozza della signora Marchesa, già da me accettata a Torino, mi trasporterà fino al Patronage. Il cocchio del signor Conte vada e stia pronto alla porta del collegio; io, appena giunto, vi salirò sopra e, mi farò riportare alla stazione. Il legno del signor Duca si fermi qui, che io non tarderò a ritornare e mi farò con quello ricondurre a casa. Continueremo così, finchè tutti non siano accontentati. - Quei signori, che non sapevano l'uno dell'altro, quando conobbero la cosa, compresero il suo impaccio e risero dell'arguzia, nè ebbero a male che egli fosse salito sulla vettura della Marchesa.
Nel collegio trovò con i giovani anche moltissimi signori convenuti per partecipare al ricevimento. Gran pena provarono i confratelli, quando, partiti i forestieri, lo videro espellere dalla bocca saliva mista a sangue; tutti perciò si accordarono per impedire che venisse disturbato. Don Ronchail specialmente, duro come un macigno delle sue Alpi, era inesorabile, rimandando senza voler sentire ragioni quanti chiedevano di essere ricevuti. Gli procurò quindi un'accurata visita dal dottore D'Espiney, l'autore della nota biografia. Questi, pregatolo di rimanere in letto ad attenderlo fino alle sette, esaminò diligentemente il suo stato e formulò la sua diagnosi ben diversamente da' suoi colleghi torinesi. La straordinaria gonfiezza del ventre proveniva da ingrossamento del fegato, che le medicine prescrittegli a Torino facevano aumentare. Con parecchie altre cosette gli fu ordinato di prendete ogni giorno due cucchiaini di chinino sciolto per combattere la febbre, che quotidianamente gli dava leggeri assalti.
Della nuova cura sperimentò subito il benefizio. Senza fatica potè celebrare la mattina del 6 dinanzi a cinquecento e più forestieri. Per il pranzo delle dodici accettò l'invito dei signori di Montigny, che dopo lo tennero a conversazione [43] almeno un paio d'ore. Uscito di là, andò a trovare un signore infermo. Era un americano di Bahia nel Brasile. Egli offriva a Don Bosco laggiù una casa ammobiliata, purchè vi mandasse i Salesiani. La padrona del palazzo dove stava l'ammalato, rimase così incantata dalla conversazione del Santo, che si recò più volte a visitarlo, dicendosi pronta a cedergli senz'altro tutto quell'edifizio, purchè lo destinasse a ritiro di preti vecchi, inabili al lavoro. Il Servo di Dio rientrò in collegio stanco, stanchissimo; eppure tenne ancora capitolo per trattare dell'ammissione di un confratello ai voti e di altri alle sacre ordinazioni.
Conosciutosi in città il suo miglioramento, si succedevano senza interruzione carrozze con visitatori. Don Bosco, al solito, graziosissimo dava udienze anche prolungate. Chi veniva per portare limosine, chi per chiedere consigli spirituali, chi per riferire di grazie ottenute da Maria Ausiliatrice. Non pochi, i quali l'anno innanzi avevano ricevuto da lui la benedizione e erano stati consigliati di fare certe preghiere per le loro necessità, allora dicevano di essere stati esauditi. Altri che avevano scritto a Torino, allora ringraziavano; altri infine si raccomandavano al Santo, partendo da lui con la fiducia in cuore. Una ragazza di quattordici anni portò l'incasso di una lotteria da lei organizzata. Nel 1883 i medici la davano per ispacciata. In quegli estremi Don Bosco l'aveva benedetta e la salute era tornata. Riconoscente non faceva che parlare di Don Bosco, questuando per le Opere salesiane.
Giunse a Nizza il coadiutore Rossi dell'Oratorio, proveniente da Parigi e da Marsiglia, dov'era stato per affari della Congregazione; giunsero pure Don Perrot dalla Navarra e Don Cibrario da Vallecrosia. Da Praga arrivò una lettera di fra Pietro Belgrano agostiniano, il quale in nome dell'imperatrice Maria Anna d'Austria ringraziava per una copia elegantemente legata dei Bollettini fattale spedire da Don Bosco e mandava un'offerta di cinquecento lire, raccomandandosi alle sue preghiere per ottenere una grazia speciale. [44]
Il 7 marzo Don Bosco ricevette pure i seminaristi. Erano una cinquantina. Si radunarono nella biblioteca, che serviva di anticamera. Egli, dette loro brevi parole, li benedisse; poi essi a uno a uno sfilarono a baciargli la, mano. Anche i diversi predicatori della quaresima lo visitarono, ma individualmente. Di Don Bosco si parlava per ogni dove.
Il 10 nella camera di Don Bosco accadde una scenetta curiosa. Gli fu condotto dalla madre un ragazzo sui dieci anni con gli occhi bendati. -Da parecchio tempo, diceva la donna, questo mio figlio soffre talmente degli occhi che si lamenta sempre e grida le notti intiere. - Don Bosco lo benedisse, gli diede a baciare la medaglia di Maria Ausiliatrice e poi gli domandò: - Che male ti senti?
- Nessuno, rispose il giovane.
- Come nessuno? gli garrì la madre. Ha tanto male agli occhi, Padre!
- Ti fanno ancor male gli occhi? tornò a domandargli il Santo.
- Ma sì che gli fanno male, ripigliò la madre. Non può resistere a vedere la luce e grida sempre.
- Puoi vedere? lo interrogò Don Bosco dopo avergli liberato gli occhi dagli impiastri.
- Sì, vedo benissimo, rispose.
- Sì, la posso fissare, disse il fanciullo guardando fuori della finestra.
La madre non si sapeva dare pace, quasi temesse di apparire menzognera. Alle risposte del figlio perdette essa talmente il lume degli occhi, che a un certo punto voleva schiaffeggiarlo. Don Bosco dovette dirle: - Ma insomma, volete che il vostro figlio sia ammalato? Ebbene, se lo volete... - Il figlio invece saltellava, rideva, guardava qua e là, non sapendo perchè dovesse credere più alla madre che a se stesso. In realtà era perfettamente guarito. [45]
Quella sera Don Bosco volle fare una conferenza a Cooperatori ed amici nella cappella interna del Patronage. Un centinaio di carrozze vennero a fermarsi nella strada che passa davanti alla casa. Essendo la stagione dei forestieri, molti non erano di Nizza. Il Santo parlò per tre quarti d'ora, descrivendo le Opere salesiane e mostrando quanto fosse necessario che i buoni cristiani lo aiutassero a fare del bene. Disceso dal pulpito, andò egli stesso a fare la colletta. Raccolse mille ottocento franchi, la metà dell'ultima volta; ma bisogna tener presente che quell'anno si attraversava un periodo di crisi finanziaria, per la quale gli affari erano arenati e notevolmente scemato era il numero dei forestieri. Il tentativo di un'esposizione nazionale, anzichè apportare guadagno, aveva prodotto dissesti, causando perdite agli speculatori, agli espositori e alla: commissione ordinatrice.
La salute di Don Bosco andava benissimo; ond'egli ripeteva più volte al giorno: Dieu soit béni en toutes les choses. Potè così il 12 recarsi a Cannes in compagnia di Don Ronchail. Forse appartengono a questa andata alcuni episodi, dei quali ci scrive una cooperatrice sulla fede di testimoni oculari. A Cannes il Santo celebrava volentieri presso le religiose di S. Tommaso da Villanova, che dirigevano un orfanotrofio femminile fondato dai Marchesi di Vallombrosa. Appena si spargeva la voce che Don Bosco andava là, comme si on avait touché un fil électrique, vi si accorreva da ogni parte della città fino a riempire cappella e cortile. Una mattina gli fu portata perchè la benedicesse una fanciulla affetta da un male agli intestini, che le causava enfiagione al ventre. La madre dopo la benedizione gli domandò se la bambina sarebbe guarita. - Sì, rispose Don Bosco; ma il Signor e vorrà da voi un grande sacrificio. - Infatti l'ammalata guarì; ma di lì a poco la donna perdette il padre.
Un'altra volta le orfane stavano radunate intorno al Santo che le aveva benedette, quand'egli, volgendosi alla superiora, le disse: -Ella, Madre, ha una di queste fanciulle [46] molto ammalata. - Era verissimo; il male però non si vedeva, essendo un'ulcera di natura maligna alla base della spina dorsale. Ogni giorno bisognava rinnovare la medicatura. Don Bosco si avvicinò alla giovane, che aveva circa diciotto anni e benedicendola le disse: -Guarirete, sì, guarirete, povera figliuola. - E guarì per davvero.
Un giorno, intrattenendosi familiarmente con le buone religiose, chiese loro: - Che cosa volete che io domandi al Signore per voi?
- Che le nostre ragazze siano molto pie, gli si rispose.
- Potrebbe dirci, lo interrogò una delle anziane, se noi torneremo nell'ospedale?
Prima della legge di soppressione, esse avevano da gran tempo la direzione dell'ospedale di Cannes, caduto poi in potere del Governo e laicizzato. A tale interrogazione il Santo, alzando gli occhi al cielo: - Sì, rispose, ma ci vorrà del tempo. Io sarò già morto, voi sarete già morta, voi sarete già morta... - E così continuò ripetendo la stessa frase individualmente a tutte, fuorchè a una sola, che saltò, per nome suor Valeria, morta nel 1932, due anni cioè dopo il ritorno delle consorelle nel loro vecchio ospedale.
Questa suora non era stata presente, allorchè Don Bosco aveva accennato alla giovane dalla piaga segreta. Entrata all'improvviso dopo il fatto, gli disse: - Oh! Padre, abbiamo una giovane molto ammalata... -Ma Don Bosco la interruppe dicendo: - Lo so, suora; è già tutto provveduto.
Dopo la partenza per Cannes erasi presentata a Nizza una Contessa per pregarlo di andar a benedire un suo nipotino, che pativa dolorosissime convulsioni, sembrando ogni volta che dovesse rimanere soffocato; ma, non avendolo trovato, gli telegrafò a Cannes. Tornato momentaneamente due giorni dopo Don Ronchail a Nizza, e sostituito da Don Barberis presso Don Bosco, ecco di nuovo la Contessa a domandargli: - Lei che era con Don Bosco, saprebbe dirmi con precisione l'ora, in cui egli ricevette il mio telegramma? [47]
Lo ricevette alle quattro e mezzo pomeridiane e subito inviò la benedizione di Maria Ausiliatrice, pregando per l'infermo.
- Oh meraviglia! esclamò la signora. Alle quattro e mezzo precise cessarono le convulsioni, ed ora il piccino non solo sta meglio, ma è quasi guarito del tutto.
Come la prima volta aveva fatto un'offerta, così la seconda ne fece un'altra ancor più generosa.
Con Don Ronchail e con Don Barberis il Santo proseguì per Fréjus, dove pranzò da quel Vescovo, sempre assai benevolo verso i Salesiani. Nulla si era detto ad alcuno, che Don Bosco fosse per recarsi a Fréjus; al Vescovo stesso erasi scritto soltanto la sera avanti sul tardi. Nondimeno subito dopo pranzo una moltitudine di persone lo aspettavano sotto il palazzo per parlargli, ed egli, sempre condiscendente, diede udienze fino all'ora di partire. Venne fra gli altri il visconte di Villeneuve, che abitava vicino alla casa della Navarre, per pregarlo di dare colà a suo figlio la prima comunione. Il fanciullo aveva appena undici anni non ancora compiti, mentre fino ai quattordici terminati non si ammettevano allora in Francia i giovanetti alla sacra mensa. Il parroco quindi si opponeva risolutamente a quella pericolosa eccezione; anche il Vescovo avrebbe negato il permesso, se non si fosse interposto il Santo della comunione sollecita e frequente.
Lo accompagnarono alla stazione i due Vicari Generali, il quaresimalista della cattedrale e cinque o sei altri. Separatosi da Don Ronchail che tornò a Nizza, andò con Don Barberis a Tolone, aspettatissimo dai conti Colle. Passò la notte presso di loro. In febbraio Don Bosco aveva chiesto al Conte centomila franchi per la compera della casa Bellezia[26]; ma la sua lettera, non intesa bene, aveva gettato un po' di turbamento nell'animo dei due signori. Udite allora le spiegazioni, entrambi, scambiatesi alcune parole: - Ebbene, conchiuse il Conte [48] sorridendo, le daremo cinquantamila franchi, quando potremo.
- E perchè non centomila? fece la Contessa.
- Eh sì, siano centomila, soggiunse il Conte. Benchè... pensando meglio... ho certi titoli da realizzare... Se sei contenta (volto alla moglie), potremmo dare a Don Bosco centocinquantamila franchi.
- Sì, sì, approvò la santa donna.
- Ecco dunque:, cinquantamila franchi per l'acquisto del terreno Bellezia all'Oratorio; cinquantamila per la chiesa del Sacro Cuore a Roma; cinquantamila per le Missioni della Patagonia.
La generosità superò l'aspettazione; anzi più tardi per la compera suddetta raddoppiò la cifra. Il Conte e la Contessa, quando avevano la fortuna di parlare con Don Bosco, non si sarebbero mai stancati d'interrogarlo e di starlo ad ascoltare. Quella sera la conversazione si protraeva già di molto dopo la cena senza che dessero indizio di volervi porre termine. Verso le dieci Don Bosco cascava dal sonno e fece intendere che sentiva bisogno di riposo. Si alzarono, ma il dialogo continuò in piedi. Il Conte finalmente prese il lume e con la Contessa lo accompagnò fino alla porta della camera preparata per lui; ma sulla soglia vennero fuori nuove interrogazioni, che richiedevano nuove risposte. Entrato una buona volta, il Conte gli tenne dietro per vedere se tutto era in ordine. Quando il Servo di Dio si coricò, mancava poco alla mezzanotte.
Partì alle otto e mezzo del 15 e in due ore giunse a Marsiglia. Al solito, la ressa dei visitatori gli si strinse ai panni, non dandogli più tregua. Tuttavia le cose procedevano con maggior tranquillità che nell'anno antecedente. Si verificarono però con più frequenza i casi di signore, che, volendosi confessare da lui, nè sapendo come riuscirvi in altra maniera, s'inginocchiavano nel bel mezzo della camera e cominciavano a dire le loro miserie. Don Bosco poteva ben ripetere che quello non era luogo per confessare donne e che le leggi [49] della Chiesa non lo permettevano: non c'era verso di farle tacere.
- Ala io non posso confessarvi qui! replicava Don Bosco.
- Dunque io continuo qui la mia confessione.
Bisognava aver pazienza. Come finivano, egli diceva loro: - E adesso che cosa facciamo? Darvi l'assoluzione qui non mi è lecito. -Ma quelle non si scomponevano, contente di aver aperto a lui il proprio cuore e di riceverne qualche buon consiglio.
A Marsiglia ricevette da Parigi una lettera ben commovente. Nel 1883 aveva benedetto colà una ragazzina sui dieci anni, lasciando in lei tale impressione di bontà, che ne rimase come santamente suggestionata udito delle sue necessità, la fanciulla d'allora in poi mise da parte tutto il danaro che riceveva in regalo, senza mai spendere un soldo, com'è uso dei ragazzi, in leccornie o in trastulli; quando poi ebbe raggranellato cento franchi, glieli spedì con una sua letterina, accompagnata da un foglio della mamma[27].
Poco lungi da Marsiglia sorgeva la casa della Provvidenza, aperta nell'autunno del 1883 per gli ascritti francesi. Noi abbiamo già parlato del sogno, in cui Don Bosco tre anni prima aveva visto distintamente il luogo del futuro noviziato[28]; ci rimane ora a completare la narrazione e a dire della visita fattavi dal Santo.
Nel 1883 la signora Pastré parigina, dopo aver ascoltato Don Bosco alla Maddalena, volle a ogni costo aprirsi il varco fra l'immensa calca per arrivare fino a lui e parlargli nella sagrestia, porgendogli la sua offerta, come vedeva fare tante altre signore; poi, piena di gioia, se n'andò. Non molto dopo le cadde ammalata la figlia, aggravandosi al punto da essere ridotta in fine di vita. In quei giorni di trepidazione occorreva [50] l'onomastico della madre ed ecco nella vigilia arrivarle una lettera di Don Bosco con gli auguri e con la promessa che la figlia sarebbe guarita; cominciasse pertanto una novena a Maria Ausiliatrice, mentr'egli da Torino avrebbe unito le sue alle preghiere di lei.
Come mai Don Bosco aveva saputo della sua ammalata? e come conosceva egli con tanta precisione la via e il numero del suo palazzo? Colpita da questo doppio enigma, comincia con fervore la novena. Al terzo giorno la figlia chiede da mangiare, mentre da più giorni non prendeva alimento. Ne ridomanda una seconda e una terza volta; poi si alza e cammina e, finita la novena, va in chiesa a ringraziare la Madonna.
Tutta la famiglia, fuori di sè dalla contentezza, studiava in che modo dar prova della comune riconoscenza, quando si seppe che a Don Bosco abbisognava una casa presso Marsiglia, ove collocare i suoi novizi, e la signora che, oltre a parecchie ville nei dintorni di Parigi, ne possedeva due anche nelle vicinanze di Marsiglia, ne offerse immediatamente una a Don Bologna è a Don Albera. Essi, andati a vedere, la trovarono ampia, ben situata e bene ammobiliata; poichè la signora intendeva noti toccare i mobili ivi esistenti. A tamburo battente si stipulò un legale contratto di affitto per quindici anni, a franchi milleduecento all'anno; ma con scrittura privata la proprietaria si obbligava a cederne l'uso completo e gratuito per tutto quel periodo, rimandando ad altro tempo altre decisioni: allora motivi domestici non le lasciavano mano libera per agire diversamente[29].
Don Bosco adunque il 17 marzo andò a vedere quel nuovo vivaio della Congregazione, Accolto con le consuete acclamazioni, appena ebbe messo piede in casa, domandò: - Vi sono dei pini?
- Oh! moltissimi. Tutta la montagnetta è coperta di pini.
- Vi è pure un canale d'acqua che passa dietro la casa? - Vi è un magnifico canale.
- Ma attraversa per intero tutta la proprietà?
- L'attraversa tutta per intero.
- Ebbene, è proprio quella. Non ho nemmeno più bisogno di vederla. Anzi capisco ora perchè nel sogno non mi si disse: Ecco una casa che ti è regalata o comperata; ma mi si disse: Questa casa: è a tua disposizione.
L'ultimo Capitolo Generale aveva riconosciuto la necessità di un noviziato a parte per la Francia, e questo prima che l'offerta venisse fatta; ecco pertanto che quella provvidenza veniva non solo a confermare la verità del sogno, ma anche a sanzionare la decisione presa.
Nel pomeriggio il buon Padre avrebbe voluto passare un po' di tempo con quei suoi cari figliuoli; ma dovette contentarsi di dar loro soltanto alcuni minuti, perchè veniva gente e le signore del Comitato marsigliese, avendo deliberato di tenere una riunione nella nuova casa sotto la presidenza di Don Bosco, si aggiravano già per i viali. Don Bosco le accolse con la più grande bontà, interessandosi non solo delle presenti, ma anche di alcune poche impedite d'intervenire. Dette quindi le preci d'uso e ascoltata la lettura del verbale dell'ultima seduta, ringraziò delle buone parole ivi inserite intorno alla sua persona e poichè vi si lamentava che certi sottoscrittori ricusavano di continuare la loro carità, disse: - In questi casi non c'è altro da fare che star tranquilli e cercare chi sottentri a chi si ritira. É vero che i tempi sono critici; ma per le anime, per la società e per noi stessi importa grandemente,preservare la gioventù in mezzo a tanta perversità. La scuola [52] del male non opera solo nella società; ma spesso purtroppo i giovani trovano maestri di perversione anche nelle loro case e fra i loro parenti. È consolante vedere i buoni risultati che si ottengono a S. Leone; consolantissimo poi osservare come gli allievi vadano bene in condotta e stiano bene di salute. Hanno tutti un ottimo appetito ed è un piacere vederli mangiare, sebbene dopo vi siano le note del panattiere da pagare.
Lodò in seguito lo zelo del Comitato, dicendo non poter egli dimenticare le sue benemerenze verso l'oratorio dì San Leone e assicurando che ogni mattina faceva per esso un memento specialissimo all'altare. Qui suppose di sentirsi domandare se facesse il medesimo per tutti i Comitati e rispose: - Vi dirò che di Comitati si è parlato e riparlato in altri luoghi; ma le buone intenzioni non dànno pane per il mantenimento dei nostri giovani, e così solo a Marsiglia c'è davvero un Comitato.
Alcune socie rilevarono che solo a Marsiglia c'era un Comitato, perchè solo a Marsiglia c'era un curato come il canonico Guiol. Don Bosco si dichiarò lietissimo di riconoscere questo e di poter manifestare tutto il suo contento. Poscia continuò: - Non potendo ringraziare una per una le signore del Comitato, le ringrazio tutte assieme nella persona del parroco, organizzatore del Comitato stesso e tanto benemerito dell'opera. Finchè Iddio non chiamerà Don Bosco all'eternità, egli si ricorderà di tutti in modo particolare davanti al Signore, affinchè li colmi delle sue benedizioni in questo mondo e a suo tempo, ma il più tardi possibile, dia loro il paradiso.
Parlò infine di S. Leone. - L'oratorio va bene, disse. In questo momento non vi sono costruzioni in corso e perciò le uscite quasi non superano le entrate. -Ma ci vorrebbe danaro per l'orfanotrofio di Saint-Cyr, dove si allevano all'agricoltura povere fanciulle. Ci sono riparazioni da fare e il tetto non è ancora pagato. Don Albera non vuol darmi niente e lo raccomando Saint-Cyr al Comitato. - Per secondare questa raccomandazione fu stabilito in altra seduta del 24 aprile che, [53] riserbando la zona di Marsiglia interamente a S. Leone, si sarebbe raccolto per Saint-Cyr l'obolo della carità nel territorio di Aubagne, nella cui periferia si trovava la casa di Saint-Cyr.
Sciolta l'adunanza, invitò le signore nella cappella per la benedizione e dopo le ricevette separatamente una a una, com'esse desideravano, standovi occupato fino a notte. Si sarebbe voluto che dormisse nella quiete di quel soggiorno; ma la promessa di celebrare l'indomani a Marsiglia lo forzò a partire[30].
Da relazioni scritte e orali di Don Barberis si apprende che a Marsiglia l'entusiasmo per il Servo di Dio superò ogni immaginazione. Impiegati d'ogni genere si tenevano onorati di servirlo; notai e avvocati gli offrivano gratuitamente i loro servigi, fortunati di esserne richiesti; medici visitavano lui e i giovani, contenti d'avergli fatto un piacere; versi e prose si componevano in sua lode; bravi pittori ne ritraevano le sembianze. Corrispondenze dalla Francia richiamavano sopra di lui l'attenzione dei buoni anche in altri paesi. Dalla vicina Spagna gli giungevano lettere infocate, perchè varcasse i Pirenei; nella lontana Ungheria il Magyar Atlant di Buda-Pest pubblicava in appendice la traduzione della biografia di Don Bosco scritta dal D'Espiney.
Dovunque poi arrivasse, riceveva sempre novelle prove della bontà di Maria Santissima invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani. In famiglie visitate o in lettere ricevute era un inno continuo di ringraziamento alla Madonna per favori da lei concessi nel corso dell'ultimo anno. Si veniva a narrargli di guarigioni straordinarie, di conversioni sospirate, di affari domestici aggiustati contro ogni umana speranza, di benefizi spirituali e temporali ottenuti dopo qualche novena o dopo semplici preghiere. Tutto questo commoveva talmente il Santo, che, parlandone, lacrimava; consolava [54] inoltre il vedere come si dileguasse l'erronea opinione che si dovesse ricorrere a lui per aver grazie, bastando invece soccorrere le Opere salesiane per esserne ricambiati dalla Salita Vergine, che le considerava come sue.
Il 22 marzo andò a pranzo dal signor Broquier. Era un avvocato conosciutissimo a Marsiglia; anche Pio IX l'aveva incaricato di cause che interessavano la Santa Sede. Un tempo, dominato dalla smania di comparire, non si dava in città festa importante, senza che egli vi facesse pompa di sè. Ma poi, meditando sulla vanitas vanitatum della gloria mondana, aveva cambiato del tutto sentimento e viveva appaltato anche dal foro. Avendo la cappella in casa, vi passava buona parte del giorno in preghiera. Ogni mattina poi, vestitosi da cappuccino, serviva la Messa. Sua moglie cantava magnificamente; ma se per l'addietro nelle pubbliche accademie e nelle serate delle grandi famiglie non mancava mai la signora Broquier a far udire la sua voce, anch'essa allora non usciva quasi più, lavorando assiduamente di ago o di ferri per l'oratorio di S. Leone. Essendo ricchissimi, i due coniugi spendevano molto in beneficenza e molto largheggiavano con Don Bosco.
Dopo quel pranzo il Santo era atteso in più luoghi, nè potè esimersi dall'andarvi; ma specialmente lo aspettavano le monache della Visitazione. Una di esse faceva proprio disperare le superiore, il cappellano e perfino il Vescovo. Don Bosco nè la conosceva nè sapeva alcun che delle sue bizzarrie. Orbene, appena entrato, essendosi le religiose inginocchiate in attesa della benedizione e raccomandandosi tutte alle sue preghiere, egli, presa quella per mano, le disse: - Pregherò specialmente per voi, affinchè il Signore vi conceda questo e questo, vi liberi da questo e questo, e voi possiate fare così e così. - Le consorelle, da prima sorprese e poi commosse, si guardavano fra loro piangendo e dicendo: - Questo è un miracolo! - Suggeritele quindi i mezzi per correggersi de' suoi difetti, assicurò le superiore che d'allora innanzi essa non [55] sarebbe stata più quella di prima. Nella festa dell'Annunciazione il cappellano venne a dirgli che la monaca stava ore e ore in chiesa a pregare, che aveva domandato perdono alle superiore e che da tre giorni dava in tutto e per tutto buon esempio alla comunità.
Il 24 l'affluenza dei visitatori crebbe a dismisura, tanto che Don Barberis si piantò sull'ingresso della camera, facendoli passare a sei o a otto per volta con la raccomandazione di salutare, ricevere la benedizione e ritirarsi. Le prime due cose si eseguivano, ma per la terza era un affar serio. I gruppi si gettavano subito in ginocchio; ma dopo la benedizione gli si serravano intorno, mettendogli nelle mani corone e scapolari e lì ognuno aveva una parola da dirgli, un'offerta da consegnargli, una benedizione da chiedergli per il figlio o la figlia, per il padre o la madre, per il parente infermo, per necessità familiari. In un dato momento cinque preti gli stavano inginocchiati davanti. Per quel lunedì aveva invitato a S. Leone gli ascritti, poichè alla Provvidenza non aveva potuto parlar loro, come avrebbe desiderato; ma non fu ad essi possibile dirgli verbo.
Benchè tanto assediato, trovò ancora il modo di compiere due cerimonie. Al mattino battezzò e comunicò un giovane negro, affidato all'oratorio; la cappella naturalmente era strapiena, Nel pomeriggio poi fece la conferenza ai Cooperatori, presente il Vescovo, che cresimò il negro. Fu breve e semplice: pregò i benefattori che lo aiutassero a pagare le note dei fornai e dei muratori, perchè i giovani non potevano vivere senza pane e senza tetto. Monsignore rincalzò eloquentemente le sue raccomandazioni e fuori disse di lui: - Parla come parlano i Santi, tanta è l'efficacia e l'unzione delle sue parole[31].
Tutti gli anni i giovani della casa facevano una scampagnata alla villa del signor Olive, il generoso Cooperatore che noi già conosciamo. In tale occasione il padre e la madre servivano [56] a tavola i superiori, e i figliuoli gli alunni. Tenevano inoltre preparata una lotteria, per la quale ognuno dei superiori e dei ragazzi aveva il suo numero, sicchè tutti guadagnavano qualche oggetto; in questo modo appunto fecero dono anche della loro vettura all'oratorio di S. Leone. Nel 1884, essendosi fatta la gita durante il soggiorno di Don Bosco a Marsiglia, accadde un lepido episodio. Mentre gli alunni si divertivano per i giardini, una fantesca corse tutta affannata dalla signora Olive, dicendo: - Signora, la pentola dove cuoce la minestra per i giovani, perde largamente e non riesco in nessun modo a rimediarvi. Dovranno stare senza minestra. - La padrona, che aveva gran fede in Don Bosco, ebbe un'idea. Mandò a chiamare tutti i giovani e: - Sentite, disse loro, se volete mangiare la minestra, inginocchiatevi qui e recitate un Pater Ave e Gloria a Don Bosco, perchè faccia ristagnare la pentola. - Queglino obbedirono. La pentola cessò all'istante di perdere. Il fatto è storico; ma Don Bosco, sentendolo contare, rise di gusto, dicendo: - D'ora in avanti chiameranno Don Bosco protettore degli stagnín [stagnai].
Le fatiche fin qui descritte non inducano a credere che Don Bosco si fosse come per incanto ristabilito in salute; si era così poco ristabilito, che l'ispettore' Don Albera, assai preoccupato delle sue condizioni, aderì al suggerimento di chi gli consigliava di chiamargli il dottore Combal, professore all'Università di Montpellier e vera celebrità medica. Si ricorreva a lui da ogni parte d'Europa, financo dalla Prussia. Ricevere l'invito e mettersi in viaggio fu un attimo solo. Dormì la notte in treno, giungendo a Marsiglia il 25 sul fare dell'alba.
Da fervente cattolico andò prima a fare le sue divozioni alla Madonna della Guardia, indi si presentò a S. Leone. Introdotto da Don Bosco, si mise in ginocchio a' suoi piedi e gli baciò umilmente la mano. Don Bosco, al vestito dimesso e all'atteggiamento modesto, lo credette un servo del medico e senz'altro gli domandò notizie del padrone. [57]
- Sono io Combal, disse il dottore. Mi stimo ben fortunato dì potere in qualche modo rendermi utile a lei e servirla.
- Lei il celebre dottore Combal! Ma perchè, perchè presentarsi a questo modo? Così non voglio, si alzi! Quale fortuna per me poter fare la sua conoscenza!
Il Dottore si alzò, esaminò con attenzione Don Bosco per più di un'ora, lo interrogò, stette alquanto a pensare e non diceva nulla.
- Ebbene? interrogò Don Bosco.
- Lei, rispose il medico, ha consumato la vita con troppo lavoro. É un abito logoro, perchè sempre indossato i giorni festivi e i giorni feriali. Per conservare tuttavia quest'abito ancora un po' di tempo, l'unico mezzo sarebbe di riporlo in guardaroba. Voglio dire che per lei la medicina principale sarebbe l'assoluto riposo.
- Ed è l'unico rimedio, al quale non posso assoggettarmi, rispose sorridendo il Servo di Dio. Com'è possibile riposare, quando si hanno per le mani tanti affari incominciati?
- Capisco, replicò il medico; eppure come si fa? Almeno almeno dia a' suoi dipendenti tutto il lavoro che può, e lei si riposi quanto le è possibile. Io non saprei quale altro consiglio darle. Guasti organici non ne trovo; vediamo dunque di rimediare alla sua estrema debolezza generale.
Pregato di stendere una diagnosi particolareggiata e di prescrivere i rimedi più efficaci, vi si prestò ben volentieri. Ecco la sua relazione.
Le informazioni che mi furono somministrate dal Rev.mo Padre Don Bosco sugli antecedenti ed il risultato delle investigazioni che feci io medesimo ci autorizzano a riconoscere in lui l'esistenza di uno stato morboso al fegato, generale e locale.
A. Elementi generali: 1° Una debolezza generale con anemia.
2° Una direzione flussionaria verso la mucosa dell'apparato respiratorio.
4° Forse anche un residuo d'infezione palustre. [58]
B. Elementi locali: 5° Un poco d'irritazione alla mucosa bronchiale, risultante dalla ripetizione dei movimenti flussionarii.
6° Infine un leggero aumento del volume del fegato.
Questi elementi diversi sono la base delle indicazioni terapeutiche principali. Questi dovranno essere rimediati con l'aiuto dei mezzi seguenti:
I. Prendere - mattino e sera immediatamente avanti ciascun pasto una cucchiaiata di vino di Vial (fosfato di calce, polpa di tamarindo e china).
2. Bere mezzo bicchiere di Vals, sorgente Dominique, mescolata con il vino durante il pasto.
3. Tenere il ventre libero prendendo, per intervalli (una volta per settimana) alla sera all'ora di andare a dormire un cucchiaio da caffè di polvere di Vichy del Dottore Soulegoce in un quarto di bicchiere d'acqua.
4. Regime alimentario misto. Carne con verdura cotta, uova al guscio, latticinii.
5. Alternare ciascun mese, durante dieci giorni, l'acqua di Vals con quella della Bourbade da bersi durante i pasti.
6. Sottrarsi per qualche tempo ai lavori abituali e soprattutto alle tensioni dì spirito prolungate.
Il Santo, avuto il foglio, disse al Dottore: - lo non so come esprimerle tutta la mia riconoscenza. So che lei è generoso, ma almeno io voglio che non debba sottostare alle spese del viaggio.
- Ecchè? rispose con vivacità il Dottore. Ho aspettato tanto il bel momento di vedere Don Bosco, ed ora questo momento è giunto. La mia ricompensa sta nel poter dire che ho visto Don Bosco. Non lei a me, ma io a lei debbo essere riconoscente. Io le debbo la mia figlia. Non ricorda che l'anno scorso le scrissi raccomandandola alle sue preghiere? Da molto tempo era ammalata di male incurabile. S'immagini quanto soffriva il mio povero cuore! Ma dopo che la Signoria Vostra ha pregato, essa cominciò subito a sentirsi meglio e in breve si ristabilì perfettamente. Dunque io debbo a lei la guarigione di mia figlia e sono venuto qui, non solamente come medico, ma anche come debitore che vuol pagare il suo [59] debito alla Madre Santissima Ausiliatrice. La prego perciò di gradire questo piccolo obolo.
Così dicendo, gli porse con tanta insistenza una busta, che Don Bosco dovette accettare. Erano quattrocento franchi. Anche nel congedarsi gli rinnovò con le più cordiali espressioni la preghiera, che lo tenesse sempre in conto di suo umile servitore, pronto a ogni cenno in qualunque tempo e in qualunque luogo.
Da Marsiglia Don Bosco tornò il 26 a Tolone, con immensa gioia dei conti Colle, che sbarrarono le porte di casa, affinchè nessuno andasse a troncare le loro conversazioni, e neanche gli permisero di tenere conferenza per la questua. Qui facciamo noi, dicevano, ma vogliamo anche godercelo noi. - Tuttavia la notizia del suo arrivo, saputasi da tino o due, si diffuse a poco a poco, sicchè da ultimo fu forza cedere e lasciar entrare; così il Servo di Dio, che sperava di riposarsi, si stancò non poco.
Il 27 partì per la Navarra in compagnia dei Conti. Trovò quella proprietà in via di trasformazione. Il luogo per sè è incantevole. Un ampio semicerchio di bellissime colline, vestite di pini e di sugheri verdeggianti tanto d'estate che d'inverno, cinge una pianura, da prima inclinata e messa a vigneti, poi uguale e tutta prati e campi. Nel bel mezzo biancheggia la casa; dietro la casa si stendono giardini per la floricultura, industria del paese, e la terra tenuta a orto; di là dalla prateria fruttificano a migliaia gli ulivi. Non vi è soggezione di sorta all'intorno nè si veggono caseggiati per buon tratto oltre ai confini. Tanta amenità di luogo, quando vi si andò, era uno squallore a vedersi; allora la bonificazione si .allargava: nella precedente annata eransi già ricavati dodicimila franchi solo di vino[32].
La casa dunque sorgeva isolata in mezzo a una vaga solitudine; ma all'arrivo di Don Bosco vi formicolava gente [60] dentro e fuori, venuta là fin dalle prime ore del mattino. Quattro omnibus da Tolone, tre da Hyères, uno dalla Crau e altri da altri paesi vi avevano riversato un buon centinaio di persone; da Marsiglia si era organizzato un vero pellegrinaggio; carrozze padronali giungevano con nobili signori delle vicinanze; vennero anche diversi parroci con il Vicario Generale di Fréjus; comparvero da Nizza il barone Héraud e l'architetto Levrot.
Alle dieci e mezzo le sentinelle avanzate diedero il grido che Don Bosco arrivava. La folla gli mosse incontro e lo accerchiò. Egli, sempre tranquillo e disposto a contentare tutti, non mostrava di avere alcuna fretta. Tanti forestieri erano accorsi per assistere alla benedizione della nuova chiesa, dedicata a Maria Ausiliatrice e costruita col danaro del conte Colle. Il Servo di Dio, riposatosi brevemente e preso un po' di ristoro, procedette alla cerimonia, assistito da numeroso clero, fra cui il detto Vicario, che ben volentieri cedette a Don Bosco l'onore di compiere il sacro rito, l'abate Guiol, l'ispettore Don Albera e una corona di parroci viciniori. A cose fatte, Don Bosco non volle che mancasse un po' di conferenza[33].
La mattina del 28 vi fu un'altra funzione, ma tutta intima: la prima comunione al figlio e alla figlia dei visconti di Villeneuve. Si festeggiava S. Giuseppe, Patrono della casa. Don Bosco disse la Messa della comunità e alla Messa solenne il Vicario Generale della diocesi fece il panegirico. Fu una giornata di canti e di suoni e di entusiastica allegria.
Il Santo non doveva più rivedere quella scuola di agricoltura, la prima da lui istituita; ma la sua benedizione non rimase infruttuosa. L'opera progredì materialmente e moralmente, sì da superare l'aspettazione dei superiori stessi e dei benefattori. Ed oggi, sopravvissuta post tot discrimina rerum, [61] porta visibilmente impresse le tracce di quell'ultima benedizione paterna.
Lasciata dopo i vespri domenicali del 30 la Navarra, uno spiacevole contrattempo diede occasione a Don Bosco di esercitare la sua pazienza. Doveva venirlo a prendere la carrozza di una signora, che aveva promesso con esultanza di rendergli quel servizio; ma per un malinteso non venne. Bisognò dunque attaccare il cavallo della casa a un break molto primitivo e incomodo. Inoltre la strada era sassosa, sicchè la vettura andava balzelloni, sconvolgendo a Don Bosco lo stomaco. Obbligato perciò a discendere, fece a piedi con sommo stento mezz'ora di cammino fra ciottoli e polvere, combattendo pure con un vento forte e freddo. Giunsero così a un castello denominato Castiglia, ai signori del quale aveva il dì innanzi promesso una visita. Essi, che lo aspettavano, vedendolo in tale stato, gli prepararono subito una provvidenziale tazza di tè. Venuta l'ora della partenza, gli offrirono la loro carrozza a due cavalli, sulla quale fece il rimanente della strada.
Durante la, fermata il figlio dei signori, che l'anno prima, gravemente infermo, era andato a domandargli la sua benedizione, allora venne a ringraziarlo, perchè da quel momento aveva preso a migliorare e ormai stava ottimamente. Nei loro discorsi tutti lamentavano l'ostinata siccità che bruciava le campagne. - Dica lei una parola al Signore, gli dicevano, e il Signore ci manderà la pioggia.
- Sì, sì, rispose egli, prego per la pioggia e domani celebrerò la Messa secondo questa intenzione.
- Sì, lo credo. Il Signore ha promesso che dove due o tre si riuniranno insieme per domandare qualche cosa all'Eterno Padre in nome suo, egli si troverebbe, in mezzo a loro. Noi siamo qui parecchi uniti a domandare una cosa al Signore; Gesù è dunque in mezzo a noi.
- Ma noi siamo troppo cattivi e per questo il Signore non ci esaudisce. [62]
- Noi siamo molto cattivi e non meritiamo che il Signore ci esaudisca; ma in mezzo a noi vi è Gesù che fa le nostre parti.
- Dunque lei ci dice proprio che pioverà? É poco meno di un anno che non piove più.
- Sì, sì, pioverà. Da alcuni giorni il Vescovo ha ordinato di dire in tutte le Messe l'oremus della pioggia. A tante preghiere il Signore non è sordo. Guardiamo solamente di non impedire a Gesù di stare in mezzo a noi.
Fra questi e altri discorsi, dopo una preghiera per la pioggia e la benedizione a tutti, si partì per un altro castello detto la Bastide, distante mezz'ora di carrozza. Là i viaggiatori dovevano passare la notte presso la famiglia Obert. Alla cena il discorso cadde nuovamente sulla pioggia tanto necessaria e di nuovo Don Bosco promise che sarebbe piovuto. La signora rispose: - Darei qualunque cosa, se piovesse.
Con questo s'andò a dormire. Erano nel primo sonno, quando un forte rumore svegliò Don Barberis e altri: la pioggia scrosciava, piovve tutta la notte e ancora tutta la mattinata. La signora consegnò a Don Bosco cinquecento franchi, promettendo altre offerte simili, se la campagna andasse bene. Un prete di Lione, che trovavasi colà di passaggio, esclamò: - Ecco che cosa vuol dire ospitare i Santi.
Distava poco Antibo, piccola città della riviera fra Cannes e Nizza. Una ricca famiglia di là metteva a disposizione di Don Bosco una sua proprietà, affinchè vi aprisse una casa. Visitò quei signori il 1° aprile nel suo ritorno a Nizza. Durante le poche ore di fermata tre distinte persone gli si presentarono per riverirlo e ringraziarlo dell'effetto salutare di una sua benedizione. Al qual proposito il suo compagno di viaggio attesta: “In questo mese io posso asserire con tutta certezza che almeno cento persone o per lettera o personalmente resero grazie a Don Bosco nello stesso modo, cioè per il frutto di benedizioni date da lui l'anno avanti ”.
Preso il treno per Nizza, a una stazione intermedia salì [63] nello stesso scompartimento un'intera famiglia, che, alla vista di due preti italiani, cominciò a lamentare che l'anno prima a Parigi non avesse fatto in tempo per visitare Don Bosco. Dovendo poi discendere, mentre si avviavano, una delle figlie disse al padre: - Quel sacerdote mi sembra che debba essere Don Bosco. - Il padre scattò come una molla e lo interrogò: - Scusi, lei sarebbe Don Bosco? - Alla risposta affermativa padre, madre, figli si gettano in ginocchio e vogliono la benedizione. Il Santo li benedisse. Quel signori non sapevano darsi pace per non averlo conosciuto se non al momento in cui dovevano separarsi.
A Nizza fece una conferenza il 2, e alle otto pomeridiane del 3 arrivò ad Alassio, incontrato da Don Cagliero e da Don Lemoyne, che avevano predicato gli esercizi spirituali ai giovani. Con loro il 4 proseguì per Sampierdarena, dove giungevano contemporaneamente gli altri membri del Capitolo Superiore, eccetto Don Durando. Li aveva convocati per tenere in quella sera stessa un'adunanza su diversi affari della Congregazione. Prima però ebbe tempo di recarsi a Pegli per visitare la contessa Solms, che vi dimorava da dieci anni. Era cugina dell'imperatore Guglielmo e cattolica; cattolica allevava la figlia, mentre i figli crescevano protestanti. Aveva gran desiderio e gran bisogno di vedere Don Bosco.
Spigoleremo alcune cosette dai verbali della seduta capitolare. Discutendosi dell'ammissione di un chierico francese agli ordini sacri, Don Bosco espresse questo parere:, - Se uno non è preparato a fare i voti al tempo degli altri, si licenzi definitivamente. Se uno non è ammesso alle ordinazioni, si conchiuda: Voi non appartenete più alla Congregazione. E si congedi formalmente. - Qui Don Cagliero ricordò un'idea del padre Franco, essere uno dei più grandi errori tenere in casa chi non è capace di ordinazioni o di voti.
Il Santo annunziò che il suo viaggio in Francia aveva recato buoni frutti. - Le case di Francia, disse, sono state dì nuovo liberate dai debiti. La Provvidenza ci venne in aiuto. [64]
In Francia ci furono promesse molte somme e molte ci vennero date. Il conte Colle ci offre 150.000 lire, che pagherà in questo mese. L'ingegnere Levrot a Nizza spese del suo nella nostra casa 80.000 lire. A Saint-Cyr le spese di costruzione passarono le 80.000 lire, ma c'è qualche benefattore. Tuttavia si sono fatti lavori che non raggiungono lo scopo e senza che ne sia stato prima prevenuto il Capitolo. A Nizza, a Marsiglia, alla Navarra vanno ottimamente e senza debiti. - Solo lamentò in un Direttore la smania di fabbricare. Per rallentarla in tutti, disse che bisognava imporre sempre due condizioni: I° la licenza del Capitolo; 2° che fossero preparati i mezzi. Altrimenti, no. Gli rincresceva pure che in Francia s'introducessero usanze non conformi alla povertà: per esempio i tappeti nelle sale di ricevimento, con la scusa che li esigevano i benefattori.
La generosità dell'ingegnere Levrot richiede qualche illustrazione. Per una grazia singolarissima ottenuta dopo la benedizione di Don Bosco era diventato tutto cosa sua. Un giorno il Santo gli aveva parlato della necessità di ampliare la casa di Nizza.
- È presto fatto, gli rispose l'ingegnere. Basta cominciare a lavorare.
- Si fa presto a dire; ma e i denari? lo non so dove trovarli.
- Per questo non c'è da prendersi fastidio. Cominciamo a fare.
- Poi qualche cosa sarà. Mi dà licenza di cominciare?
- Cominci pure; ma pensi che Don Bosco non ha denari.
Il giorno dopo il signor Levrot venne col suo capomastro, prese i disegni, mandò antenne e tavole per i ponti, e via via materiali e operai. Datosi principio ai lavori, in pochi mesi l'edifizio fu alzato di un piano per le camerate e venne eretta una grande cappella, Come tutto fu terminato, il Levrot [65] disse al Direttore: - Vede che le ampliazioni si sono fatte senza spesa? -Spesa c'era stata; ma il generoso signore aveva messo tutto di suo.
A Sampierdarena fece una sosta relativamente lunga con grande consolazione dei superiori e degli alunni. I giovani avevano fatto tre giorni interi di adorazione perpetua dinanzi al Santissimo Sacramento per la stia guarigione; quindi, poichè un miglioramento c'era, vi fu gran festa il 6 aprile, Domenica delle Palme. Al pranzo parteciparono alcune signore francesi. Avevano cercato Don Bosco a Marsiglia, a Cannes, a Nizza. Qui, mentr'esse scendevano da un treno, Don Bosco sopra un altro partiva per l'Italia. Senza perdersi d'animo, lo seguirono ad Alassio, ma non lo raggiunsero. Finalmente a Sampierdarena poterono comodamente vederlo e parlargli. Di là lo precedettero a Roma, dove dimorarono un mese, visitandolo quasi ogni giorno.
Discorrendo con i suoi figli di Sampierdarena e caduto il ragionamento sugli esercizi spirituali dei giovani, Don Bosco disse: -Nelle nostre case e chiese, per gli esercizi dei nostri figliuoli è sempre meglio chiamar a predicare nostri Salesiani anche solo mediocri nel ministero della parola, piuttostochè ottimi predicatori non appartenenti alla nostra Congregazione. Anzi gli ottimi, se sono estranei, guadagnano a sè la stima e, quando sono religiosi, la guadagnano ai loro Ordini, facendo perdere ai giovani la stima che hanno di noi. Costoro inoltre non hanno il nostro spirito, per quanto siano santi e dotti. S'invitino quindi il meno che si può. Per questo stesso fine i Gesuiti non permettono che alcun altro predichi nelle loro chiese fuori dei loro confratelli.
L'itinerario di Don Bosco portava un nuovo viaggio a Roma. Due volte dalla Francia aveva fatto scrivere a Don Rua, affinchè gli dicesse chi giudicava conveniente che ve lo accompagnasse, se il segretario Don Berto o qualche altro. Quale sia stato il parere di Don Rua, non lo sappiamo; ma il Santo trattenne a Sampierdarena Don Lemoyne per questo [66] scopo. Nella sua paterna delicatezza però rivolse un pensiero ai primo, scrivendogli:
Mi dicono che la tua sanità non è ancora quella che si desidera. Mi rincresce. In questo tempo di mia assenza abbiti tutta la cura necessaria. Io pregherò per te. D. Lemoyne mi accompagna a Roma. Non so ancora se mi occorreranno carte. Te ne scriverò al bisogno. Dal 12 al 15 di maggio spero di essere a Torino.
La mia sanità è un po' migliore, ma ho molto bisogno ai preghiere.
Dio ti benedica, o sempre caro D. Berto, e raccomandami a Dio nella santa messa e credimi in G. C.
La sera del 7 visitò a Sestri ponente la vedova Cataldi, zelante cooperatrice salesiana, e la sera dell'8 andò a trovare la baronessa Podestà, moglie del sindaco di Genova. Queste ed altre signore di Genova e dintorni facevano capo alla marchesa Ghiglini che tutte le animava ad aiutare Don Bosco e le sue opere.
Nei momenti liberi il Servo di Dio cercava sollievo allo spirito riandando antiche vicende. L'8 Don Lemoyne scriveva a Don Bonetti: “Il nostro amantissimo Padre non sa tenere discorso senza che rammenti i tempi eroici dell'Oratorio. Quindi mi incarica di farti sapete come Don Belmonte[34] abbia preso parte a molte famose passeggiate e come rammenti moltissimi aneddoti graziosi e ridicoli accaduti in quel tempo. Sarebbe perciò cosa opportuna che tu procurassi di avere un abboccamento con Don Belmonte, prima di dare l'ultima mano a questa parte della storia dell'Oratorio[35], [67] o tu venendo a Sampierdarena, o Don Belmonte a Torino. Il primo partito sarebbe più conveniente: sono parole di Don Bosco ”.
Finalmente il 9, dato l'addio a Sampierdarena, Don Bosco partì per Genova con Don Lemoyne, che prendeva il posto di Don Barberis. Pranzò dalla marchesa Ghiglino, presso la quale trovò radunato un numeroso stuolo di signore, che lo attendevano. Dopo si diresse a Rapallo per far visita al conte Riant, membro dell'Istituto di Francia, ricco signore parigino e scrittore di bella fama. Era colui che l'anno prima aveva sperimentato i benefici effetti di una sua benedizione[36]. Il Conte e la Contessa, felicissimi di averlo con loro, lo invitarono a pernottare nella splendida villa da essi abitata, ed egli accettò. Dopo i primi convenevoli si uscì a ' passeggio nel parco, che dalla cima di una collinetta si stendeva fino al mare. La passeggiata durò un'ora e mezza. Don Bosco andava con i Conti e Don Lemoyne con i figli. All'indomani, giovedì santo, questi si confessarono da Don Bosco e gli servirono la Messa nella cappellina domestica; tutti fecero la Pasqua. Scrive Don Lemoyne[37]: “In sul partire il Conte strinse la mano a Don Bosco in un certo modo che significava un complimento efficace, solido, affettivo ed effettivo ”. Saliti sul treno, giunsero alla Spezia verso le due pomeridiane. Quel riposo aveva visibilmente rinfrancato Don Bosco.
A La Spezia sarebbe dovuto giungere il 9 per una conferenza ai Cooperatori, se la fermata a Rapallo, più lunga del preveduto, non glie l'avesse impedito. Parlò in sua vece il canonico Davide Marinozzi, predicatore della quaresima. La sua dimora fece passare più allegra che mai la Pasqua ai Salesiani e ai loro giovani. Gli rincrebbe però lasciare l'istituto senza dir una parola in pubblico; il che fece nel pomeriggio della grande solennità: anzi poichè si sentiva meglio del solito, parlò con vivacità e a lungo. Don Lemoyne inviò a Torino [68] un largo riassunto del suo discorso, che crediamo bene di riprodurre dal Bollettino di maggio.
Mi presento a voi, o cari uditori, col cuore veramente commosso dalla riconoscenza pel bene che voi avete fatto e fate tuttora a questo Oratorio Salesiano. Quanti giovanetti lo dovranno a voi, se hanno conservata la fede, se vissero da buoni cristiani, se giunsero all'eterna felicità. Per questo fine io vengo per fare nuovo appello alla vostra carità, vengo per raccomandarvi una questua per sostenere opere che non sono mie, ma appartengono al Sommo Pontefice, e gli stanno sommamente a cuore. Esso l'immortale Pontefice Leone XIII vi dà pel primo uno splendido esempio. Se esiste alla Spezia questo Oratorio, dove tanti giovanetti trovano il pane della vita, dobbiamo a Lui esserne riconoscenti. Sì, il Santo Padre è povero, vive di elemosina, perchè fu privato di tutto, eppure per la Spezia il povero Pontefice trova modo di mandare mensilmente soccorsi, coi quali si rende più povero ancora a vantaggio dei giovanetti delle vostre famiglie, della vostra città. Imitate adunque questo splendido esempio di generosità.
Voi mi direte: E fino a quando dovremo continuare a prestarci in queste opere di beneficenza? - Fino a quando? Cari miei! Finchè vi saranno anime da salvare, finchè i poveri giovanetti non siano più circondati da insidie e da inganni, sino a che siano giunti alle porte dell'eternità, ed entrati in paradiso, ove solamente potranno trovarsi al sicuro dagli agguati, che loro tende il nemico.
Io potrei oggi ragionarvi delle missioni dei nostri Salesiani sparsi nelle varie parti del mondo e specialmente in America, parlarvi delle loro fatiche, dei loro bisogni, del bene che operano; ma mi limito invece a parlarvi della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma. 1 protestanti hanno aperto in Roma scuole e templi per sedurre i Cristiani e specialmente la povera gioventù. Il Papa Leone XIII addolorato per tanto disastro fece dire a Don Bosco essere necessario salvar l'onore della Religione Cattolica, e porre un argine alla propagazione dell'eresia, e al pervertimento della gioventù. E in qual modo? Coll'erigere la Chiesa già designata al Sacro Cuore di Gesù, ed un grande Ospizio per raccogliere i giovanetti pericolanti. - Santo Padre, io ho risposto, di buon grado io mi accingo a quest'opera, ma non ho danari. - E questo io pure non ho, disse il Sommo Pontefice. Rivolgetevi dunque ai fedeli e dite che il Santo Padre raccomanda a tutti la Chiesa del Sacro Cuore, e che il Signore benedirà temporalmente e spiritualmente chiunque presterà mano ad opera così bella. - Ecco, o cari Cristiani, ecco perchè io ho cercato e cerco sussidii altrove e qui, ecco perchè ora si farà una questua in questa Chiesa. Si tratta di onorare l'amoroso Cuore del nostro dolcissimo Salvatore. Il Sacro Cuore di Gesù è la sorgente di tutte le benedizioni, di tutte le grazie. Tutti abbiamo bisogno di queste grazie. Facendo quindi un'obblazione in [69] onore del Sacro Cuore chiediamo nello stesso tempo quella grazia, di .cui abbiamo speciale bisogno o per l'anima o pel corpo, o per i genitori, o per la figliuolanza, o per i nostri interessi materiali, o per il conseguimento di qualche bene intellettuale o morale, e state certi che otterrete quanto sarete per chiedere, perchè Dio non si lascia vincere in generosità, quando la vostra domanda non sia d'impedimento al vostro bene spirituale.
Altra ragione per contribuire si è Colui, che chiede la vostra elemosina in nome del Sacro Cuore. Chi chiede la vostra limosina è lo stesso Sommo Pontefice, il nostro Padre, il Vicario di Gesù Cristo. Il Santo Padre domanda che procuriate di favorire due cose in modo particolare: questa opera dell'Oratorio nella Spezia, e l'opera del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Il Santo Padre dal canto suo che cosa fa, che cosa promette? Sta colle mani levate al cielo, prega per voi, vi benedice, ed ogni giorno si ricorda di voi nella Santa Messa. La sua intercessione è potentissima per l'autorità della quale è rivestito, per l'amore col quale è prediletto dal Sacro Cuore di Gesù. Esso parla in nome del Sangue del Salvatore, e noi non ascolteremo? Esso ci invita in nome della salvezza di tante anime immortali, e noi saremo restii? Esso chiede soccorso ai figli per i fratelli e noi rifiuteremo? Ah no! Voi non farete certamente questo torto al Vicario di Gesù Cristo, e al vostro carattere di Cristiani cattolici.
Qualcuno forse dirà: - E dove dovrò io prendere danari? Le mie entrate non sono grandi, i tempi sono difficili, i negozi non prosperano. - Lasciate che io vi parli con libertà. Se vogliamo soddisfare un capriccio, prenderci un divertimento, fare in certe circostanze una bella figura in società, oh allora sappiamo trovar danaro; e poi non troveremo noi un obolo da donare a Gesù Cristo, mentre tutto quello che possediamo l'abbiamo da Lui, che può renderci centuplicato anche in questo mondo il nostro dono?
Altri diranno: - Sono tanti che domandano l'elemosina per opere buone così svariate e molteplici! Ce ne sono troppe! - Questa risposta, o cari miei, non è da Cristiano. Voi dite: Non posso sostenerle tutte queste opere buone; ed io vi domando in confidenza: ne sostenete almeno qualcuna? lo credo che quelli, i quali gridano che ce ne sono troppe, non ne sostengano nessuna. Ah! ricordatevi che il far carità è un obbligo. Se non si hanno danari si può dare oggetti di vestiario, si può dar commestibili, si può cercare e incoraggiare altri che lo facciano. Se assolutamente non possediamo nulla, vi è l'opera delle opere: la preghiera. Pregare perchè il Santo Padre sia consolato e confortato nel grande uffizio di reggere la Chiesa; pregare per gli operai evangelici, acciocchè il Signore dia loro sanità, forze, virtù, mezzi, corrispondenza, trionfo nelle loro missioni; pregare per le anime dei traviati, affinchè si convertano, dei giusti, affinchè perseverino; ecco una limosina, che non tutti fanno. [70]
Qualcun altro per esimersi dal far limosina dice: - Io potrei fare limosina, ma desidero riservarmi qualche cosa per i miei bisogni futuri; potrebbero succedere anni, nei quali le campagne renderanno poco, ristagno d'affari, fallimento, e simili disgrazie. Quindi bisogna che io pensi all'avvenire e mi metta in serbo una qualche fortuna. Pur troppo ciò, che vien chiamato previdenza, è cagionato da mancanza di fiducia nella divina Provvidenza; pur troppo si risparmia ogni, si risparmia domani, agli avanzi degli anni addietro si aggiungono gli avanzi dell'anno seguente, cresce nell'animo l'amor al danaro, e lo spirito dell'avarizia; pur troppo che coll'accrescersi della fortuna il cuore si fa sempre più duro verso i poverelli, e a poco a poco dal suo stesso danaro un Cristiano è tirato all'inferno. I Cristiani furbi non accumulano danaro per un tempo che passa come un lampo, danaro che in buona sostanza si può chiamare danaro di morte; i Cristiani furbi con opere buone portano all'eternità il danaro della vita. San Lorenzo era il depositario dei tesori della Chiesa Romana. Il Preside pagano avido di queste ricchezze, chiamato a sè il santo diacono, gl'intima di consegnargli quanto oro, argento, pietre preziose aveva in deposito. S. Lorenzo promise che avrebbe ciò fatto, chiedendo il tempo di pochi giorni per radunarle. Il Preside acconsentì, sicuro di aver tra poco la preda agognata; ma Lorenzo distribuita ai poveri la somma di danaro ritratto dal tesoro venduto, di costoro radunò una folla grandissima nell'atrio del Preside. Entrato quindi al suo cospetto, lo pregò a voler discendere nell'atrio, poichè avrebbe visto il mantenimento della sua promessa. Il Preside al primo vedere tanta folla di miserabili, meravigliato chiese a Lorenzo, perchè avesse condotta colà tutta quella gente. - Sono, disse il Santo, i tesori della Chiesa questi poveri, ed io te li ho presentati, come ti aveva promesso. - Il Preside credendosi schernito salì, sulle furie: - L'oro e l'argento io ti ho chiesto; ove l'hai tu nascosto? - Ed il Santo gli rispose: Facultates Ecclesiae, quas requiris, in caelestes thesauros manus pauperum deportaverunt. Le ricchezze della Chiesa che tu agogni furono portate nei tesori celesti dalle mani dei poveri. Sì, cari miei. Le mani dei poveri portano le nostre elemosine in paradiso. Dare ai poveri il nostro obolo è come darlo nelle mani di Gesù Cristo. Il Divin Salvatore protestò che nell'ultimo giudizio pronuncierà la sua sentenza principalmente secondo che avremo o non avremo avuto viscere di misericordia per i meschini, e dirà apertamente innanzi a tutto il mondo: - Ciò che avete fatto al più piccolo di costoro lo avete fatto a me. -Volete portare con voi il vostro danaro non nella tomba, non nella perdizione, non nell'eternità dell'inferno, ma nell'eternità del paradiso? Fate elemosina ai poveri, specialmente quando si tratta di coadiuvare la salute delle loro anime. Il Salvatore ha faticato, ha sudato, è vissuto povero, ha patito, è morto per le anime. E voi guardate quanti poveri giovanetti,vi sono mai nel mando, che traditi, che ingannati, che senza educazione [71] religiosa cadono nel vizio e si perdono! E potete voi resistere impassibili a così straziante spettacolo? Badate che ai cuori duri dice Gesù Cristo: - Tu non ti adoperi a salvare le anime coi mezzi che io stesso ti ho dato, perciò il tuo danaro sia teco in perdizione. - Procuriamo adunque di promuovere i nostri veri interessi. Diamo a Gesù Cristo, e quanto daremo ci sarà restituito con usura nel tempo e nell'eternità, perchè la banca del Signore non fa fallimento.
Ho parlato come a fratelli, quindi perdonatemi la libertà e la confidenza del mio dire. Vado a Roma e porterò l'offerta che voi farete, perchè sia impiegata nell'edificare la Chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore. Parlerò di voi al Sommo Pontefice che tanto tiene a cuore la popolazione della Spezia, come lo dimostra questo Oratorio medesimo, soccorso da lui più di quello che le sue forze gli permettano. Io gli chiederò la benedizione per voi, per le vostre famiglie, e pei vostri interessi.
Io poi dal canto mio non mancherò di fare ogni mattina una preghiera speciale per voi, e voi abbiate la bontà di pregare per me. Così coll'esercizio della carità operosa e colla preghiera avremo fondata speranza di trovarci tutti insieme in Paradiso.
L'uditorio si componeva per la massima parte di operai, essendo quella per i signori l'ora dei pranzo; eppure la colletta fu abbastanza cospicua. Vi si trovò financo un anello d'oro.
Fra i visitatori vi fu a La Spezia l'ispettore scolastico, nel quale Don Bosco riconobbe un antico catechista dell’Oratorio di Torino per nome Carlo Alvano Bonino. Non l'aveva più veduto da trent'anni. Quegli si congratulò con Don Bosco del bene fatto a La Spezia e narrò un grazioso aneddoto, del quale era stato testimonio nel 1850. Un padre di famiglia savoiardo, fattosi Protestante in Torino per amor del danaro, con cui si pagavano le apostasie, pretendeva che la moglie e il figlio facessero come lui; ma non ci riusciva, perchè la donna era ferma e teneva fermo il suo piccolo, Una notte il fanciullo ebbe un sogno. Gli sembrava di essere strascinato al tempio dei protestanti e che mentre si dibatteva per resistere a quella violenza comparisse un prete a liberarlo e a condurlo seco. L'indomani raccontò il sogno alla mamma, che cercava tutte le vie per collocarlo al sicuro in qualche istituto. Una persona [72] le consigliò di ricoverarlo da Don Bosco nell'Oratorio di Valdocco. Essa vi andò col ragazzo una domenica mattina e saputo essere tempo di funzione entrò in chiesa. Or ecco uscire Don Bosco per celebrare. L'ispettore, allora maestro di catechismo, stava inginocchiato accanto al fanciullo, il quale, appena vide il celebrante, gridò: C'est lui-même, c'est lui-même! E poichè il piccolo continuava a gridare e la madre piangeva, il catechista li condusse in sacrestia, dove apprese il sogno e tutto il resto. Appena Don Bosco, finita la Messa, ritornò in sacrestia e depose gli abiti sacri, il fanciullo corse a lui dicendogli a mani giunte: -Padre mio, salvatemi! - Don Bosco accettò senz'altro il piccolo savoiardo e lo tenne più anni nell'Oratorio.
Cosa singolare! Dopo cinquant'anni si ripete ancora oggi il medesimo fatto: dovunque si vada, si trovano assai di spesso persone che hanno qualche interessante novità da narrare sii Don Bosco.
I rallegramenti dell'ispettore scolastico per il bene operato dai Salesiani a La Spezia erano giustificati e meritati. La casa aveva realmente conseguito lo scopo inteso da Don Bosco nel fondarla, di arrestare cioè la corsa trionfale dei protestanti nella città. A farli cadere nella pubblica disistima aveva contribuito un poco la condotta del loro ministro, un suddiacono sfratato e maritato con una monaca. A detta dell'ispettore, negli anni precedenti circa ottocento giovanetti frequentavano le scuole degli eretici, mentre nell'84 ve n'erano appena diciassette; le scuole salesiane le avevano bellamente spopolate.
Il lunedì dopo Pasqua per tempissimo Don Bosco mosse alla volta di Roma.
LA prudenza umana avrebbe consigliato che dopo gli strapazzi del viaggio in Francia e per non precipitare il logoramento delle forze Don Bosco si concedesse un periodo di riposo; ma la divina carità, che non quaerit quae sua sunt, non sa imporre limiti al sacrifizio. Il bisogno di procacciarsi nuove risorse pecuniarie che gli consentissero di far proseguire i lavori della chiesa e dell'ospizio a Roma e l'urgenza di ottenere la concessione dei privilegi, che prima del suo dipartirsi da questo mondo venissero a completare l'organamento della pia Società, poterono su di lui, come abbiamo veduto, più di qualsiasi altro riguardo personale; ond'egli si rimise in via alla volta della città eterna. Nulla diremo nel presente capo del suo secondo scopo, essendo più opportuno trattarne a parte, ma ci occuperemo soltanto del primo, oltrechè delle varie circostanze che accompagnarono l'andata, la dimora e il ritorno.
Dal 1851 in poi una lunga esperienza gli aveva dimostrato che per stimolare la piccola e pubblica beneficenza le lotterie erano il mezzo “più compatibile ai tempi e più acconcio al bisogno ”[38]; [74] perciò egli fu un grande organizzatore di lotterie. Una fin dal 1882 aveva stabilito di allestirne a vantaggio della chiesa del Sacro Cuore; ma da Roma non si vedeva secondato quanto avrebbe voluto. Il 26 febbraio 1884 se ne lagnò vivamente nel Capitolo Superiore. - Per l'inerzia degli incaricati a Roma, disse, questa lotteria è il mio flagello e il mio continuo tormento. - Con la sua presenza, se colà si dessero d'attorno, si riprometteva di avviare le cose in modo da poter ricavare sicuramente il prezzo di centomila biglietti.
Ritornò sull'argomento nell'adunanza capitolare del 28 dicendo: - È mio pensiero scrivere al nostro Procuratore generale in questi termini: Càvati pure dalla testa ogni altro tuo progetto per aver danari, chè noi non ne potremo più provvedere. Se ne vuoi, promuovi la lotteria. Supera le difficoltà; serviti dell'appoggio del deputato Sanguineti; aggiustati, ma incomincia. La Provvidenza ci, ha tracciata la via, ci ha posto in mano il mezzo di una lotteria; e perchè noi cercheremo altre strade che non sono quelle della Provvidenza? - Nè vi era tempo da perdere; giacchè, dovendosi di là a qualche mese aprire una lotteria colossale per il valore di più milioni a benefizio dell'Esposizione torinese, il Governo ben difficilmente avrebbe approvata quella salesiana.
Perciò Don Bosco ordinò a Don Bonetti: - Scrivi una lettera a Don Dalmazzo secondo le idee che ora ho esposte; digli che non posso più stare in piedi per le mie infermità, eppure bisogna che io vada in Francia per ottenere soccorsi per le nostre opere. - E purchè vi fosse persona sicura e adatta per ordinare e numerare i doni, far stampare il catalogo col nome dei donatori, presentarlo alle autorità nel più breve termine possibile e formare i mazzi dei biglietti, egli prendeva sopra di sè lo spaccio di questi, fossero anche trecentomila, che sperava di esitare in pochi giorni. [75]
Il pensiero della lotteria l'aveva seguito anche in Francia; infatti da Marsiglia scriveva il 19 marzo a Don Dalmazzo:
Se non puoi tu, procura di farmi scrivere, ma in modo positivo. Nel prossimo aprile o nella prima quindicina di maggio posso condurre meco il Conte Colle per porre la pietra angolare al nostro Ospizio? Egli avrebbe seco un'offerta di 50 m. f.
Per la lotteria vi sono difficoltà, oppure cercare altra via di beneficenza? Sono due cose della massima importanza per noi in questo momento.
D. Sala mi scrisse una lettera che mi disse nè sì nè no. Questo non basta a far quattrini.
Dio ci benedica tutti e credimi in G. C.
È vero che in Francia aveva raccolto duecentocinquanta mila franchi; ma è anche vero che le spese a cui doveva far fronte erano enormi: la chiesa del Sacro Cuore, assorbendo gran parte della beneficenza, obbligava a lasciar insoluti altri debiti e altri contraine. Quella somma dunque non solo non si fermò, ma nemmeno si formò per intero nelle sue mani, giacchè ogni volta che aveva alcune migliaia, le spediva dove l'urgenza maggiormente stringeva. Ecco perchè il permesso della lotteria sarebbe stato una bella provvidenza.
Sull'affare della lotteria si era tenuta a Roma una conferenza di nobili dame in casa della contessa Della Somaglia, a fine di studiare soprattutto quali fossero le vie per ottenere l'approvazione prefettizia. Verso la fine di febbraio salivano già a circa un migliaio e mezzo gli oggetti, molti dei quali avevano gran pregio. Buoni signori, capi d'ufficio ai Ministeri, prestavano l'opera loro nei preparativi.
Intanto i lavori della chiesa progredivano e naturalmente con i lavori andavano avanti anche i debiti. Presbiterio e coro o abside erano già in condizione da potersi aprire al culto; furono difatti benedetti dal nuovo Cardinale Vicario Parocchi [76] il 23 marzo, quarta domenica di quaresima. Una corrispondenza da Roma all'Unità Cattolica del 26, dopo aver detto che i fedeli erano accorsi numerosi alla sacra funzione, soggiungeva: “Da ogni parte si porge un tributo di meritati encomii a quell'Apostolo di carità, che è il venerando Don Bosco, il quale, confidato nella Provvidenza, si è accinto coraggiosamente all'ardita impresa; essa riuscirà di gran lustro per Roma e di molta spirituale utilità a quella nuova popolazione finora lontana da ogni chiesa e senza alcuna comodità per le pratiche dei Cristiani, ed insidiata per sopraggiunta dai Protestanti, che colla protezione del Governo italianissimo, hanno piantato anche lassù le loro tende ”. Sua Eminenza nel suo discorso, manifestata la propria allegrezza perchè di pari passo con le costruzioni di case ove prima erano campi, fosse proceduta pure l'edificazione di una bella chiesa capace di raccogliere nella preghiera i nuovi abitanti, disse parole di elogio per Don Bosco, che proclamò uomo di Dio, e per i Salesiani, suoi imitatori e seguaci, esortando tutti a concorrere come meglio potevano al compimento del sacro edifizio[39].
A questo punto stavano le cose, quando il 14 aprile Don Bosco giunse a Roma. I giovani oratoriani gli fecero in casa un festoso ricevimento. Egli, ringraziando, promise loro una merenda nel giorno e nel modo che i superiori avrebbero indicato, li esortò a fare per lui una comunione in una domenica da designarsi e li assicurò che pregherebbe per essi e per le loro famiglie.
La vista di quei giovani gli risvegliò il pensiero dei giovani di Valdocco; onde fece scrivere che augurava loro la continuazione di una Pasqua felice che dovesse durare tutta la vita; l'alleluia fosse con i fatti e con le parole il cantico di questa vita mortale; dover tutti far sì da meritarsi di cantarlo eternamente in paradiso. Guai a chi mancasse! Continuassero [77] intanto a pregare per lui, ricordando sovente la gran fortuna di essere in maniera così speciale figli della Madonna[40]. Don Rua comunicò questi auguri e queste raccomandazioni in una "buona notte ".
Una settimana dopo pensò particolarmente agli alunni della quarta e quinta ginnasiale, scrivendo a Don Febbraro, consigliere scolastico dell'Oratorio[41]. Il Santo desiderava che ciascuno gli scrivesse un biglietto per dirgli in confidenza, a quale stato sembravagli di essere chiamato, se cioè allo stato ecclesiastico o al secolare; e chi aspirava allo stato ecclesiastico, gli dicesse se intendeva prepararsi per entrare in seminario oppure romperla definitivamente col mondo e consacrarsi a Dio nella vita ritirata, com'era appunto quella dei Salesiani; ma ognuno partisse dal principio di voler scegliere quello stato che a lui pareva meglio confacente alla salvezza dell'anima propria[42].
I giovani o individualmente o a gruppi scrivevano al loro caro padre. Il 26 aprile i membri dei piccolo clero gli annunziavano una loro corona di comunioni[43], e Don Bosco incaricò Don Lemoyne della risposta, raccomandando a tutti e singoli di essere gigli al Cuore di Gesù e spiegando che il giglio è bianco, e quindi purità; che il giglio olezza, e quindi buon esempio; che il giglio deve custodirsi bene, altrimenti avvizzisce subito, e quindi mortificazione.
Erano questi i suoi dolci svaghi fra le brighe per i privilegi e per la lotteria. A far bene i preparativi della lotteria chiamò a Roma il coadiutore Giuseppe Buzzetti. In quei giorni Don Rua era andato a Tolone per ricevere dal conte Colle i centocinquanta [78] mila franchi promessi, dei quali il Buzzetti recò a Don Bosco una parte, cioè sessantasette mila: somma che in un batter d'occhio sfumò. Le migliori speranze riposavano allora sulla lotteria. I ricchi e numerosi premi stavano esposti nella casa parrocchiale. Il Buzzetti, compilatone il catalogo, lo presentò alla regia Prefettura.
Una legge del 1883 sulle lotterie ne permetteva l'autorizzazione soltanto agli enti legalmente costituiti o approvati o a qualche opera non approvata, a cui un ente legale prestasse il suo nome. Nel caso nostro due soli corpi morali potevano utilmente accordare la loro firma, il Municipio e la Congregazione di carità, poichè l'erigendo ospizio era opera di beneficenza. Fu richiesta de' suoi buoni uffici la Giunta municipale. Il Re Umberto, pregatone da persona amica dei Salesiani e a loro insaputa, mandò alla Giunta una calda raccomandazione, perchè volesse fare buona accoglienza alla domanda. È vero che nel Municipio erano tutti più o meno cattolici; ma gli uni per timore di essere detti clericali, gli altri per sistematica opposizione al Re, i membri della Giunta diedero risposta negativa. Della cosa però fu trattato solo oralmente, nè si ebbe il coraggio di tenerne conto negli atti della seduta. Il pubblico naturalmente non ne seppe nulla, perchè nel Consiglio non se ne fece menzione[44]. Bisogna peraltro notare che nella petizione compariva il nome di Don Dalmazzo, non quello di Don Bosco.
L'altro corpo morale era presieduto dal principe Pallavicini, al quale Don Bosco indirizzò allora una sua istanza; ma n'ebbe un rifiuto. “E son tutti cattolici! ” esclamava Don Lemoyne, scrivendo a Don Rua. Indi proseguiva: “Da ciò si può conoscere che sarà opera di Dio questa casa di Roma [ .... ]. Forse questa volta come le altre i figli delle tenebre ci daranno l'aiuto negato dai figli della luce ”[45]. Nei vecchi [79] Romani di Roma prevaleva sempre l'avversione contro i buzurri invasori.
Nonostante queste disdette e benchè tutto facesse prevedere che le pratiche sarebbero andate in lungo, Don Bosco non si arrese, ma volle che il lavoro per la lotteria continuasse. Tuttavia le diverse opposizioni, contro le quali gli bisognava lottare, se non ne abbatterono il morale, influirono sul fisico, cagionandogli disturbi di salute. Don Lemoyne commentava[46]: “Sembra proprio che il demonio voglia attraversargli tutte le strade. Egli però è perfettamente rassegnato e non tiene il letto ”.
Fra l'aprile e il maggio tre Salesiani dì Valdocco, ritornando da confessare alla Generala, incontrarono nel viale di Stupinigi il cardinale Alimonda, che, appena li vide, domandò: - E il caro Don Giovanni dove si trova? - Saputo che era a Roma, chiese come stesse. Gli risposero che secondo le ultime notizie stava alquanto meglio. - Oh sì, alquanto meglio! riprese Sua Eminenza. Non mi piace quel alquanto meglio; vorrei che stesse benissimo. È vecchio, e perchè lasciarlo lavorare tanto? I figli, quando vedono il padre avanzato in età e debole, gli dicono: Padre, riposate, lasciate che lavoriamo noi.
- Ben volentieri lo faremmo, risposero quelli, ma Don Bosco non vuole ubbidire.
- Ebbene, allora glielo comandino a mio nome: mi ubbidirà?
- Crediamo che lo farà malvolentieri. La ubbidirebbe in tutto; ma forse in questo si arrischierebbe a disubbidire.
- Già, Don Giovanni non vuol riposare in terra, ma in cielo. Allora preghiamo il Signore che ce lo conservi per molti anni; preghiamo che lo aiuti e che fra tutti possiamo fare molto bene[47].
Per la lotteria un raggio di speranza brillò il I° del mese. [80]
La contessa Della Somaglia, dama dì corte della Regina Margherita, promise di pregare ella stessa il sindaco Torlonia che permettesse di fare in suo nome la lotteria e che ne domandasse al Prefetto di Roma l'autorizzazione. La gentildonna presiedeva il Comitato di dame costituito per la costruzione dell'ospizio.
Le altre volte Don Bosco a Roma visitava moltissime persone; ma nel 1884 sia per la difficoltà del camminare sia per i sopravvenienti incomodi dovette limitare assaissimo le sue visite, Il 17 aprile visitò il cardinale Consolini, che, molto benevolo verso la Congregazione Salesiano, si mostrò contentissimo di rivederlo e disposto ad aiutarlo; ebbe anzi la bontà di rendergli qualche giorno dopo la visita. Il 18 andò dal cardinale Lodovico Jacobini, Segretario di Stato, che gli promise di fare tutto il possibile per lui. Il 25 fu con Don Dalmazzo dal cardinale Parocchi, Vicario di Sua Santità.
Se pochissime visite faceva, ne riceveva però molte individuali o collettive. Vennero a trovarlo il padre Carrie, della Congregazione dello Spirito Santo, superiore della Missione del Congo col titolo di viceprefetto apostolico; monsignor Gandolfi, già vescovo di Civitavecchia; un rappresentante del Vescovo di Santiago nel Cile, che chiedeva Salesiani per quella repubblica; il vescovo Kirby, rettore del Collegio irlandese, e con lui l'arcivescovo Domenico Jacobini, segretario di Propaganda, che stettero con lui a mensa[48]; monsignor Rota, già [81] vescovo di Guastalla e poi di Mantova e allora arcivescovo titolare di Cartagine[49]. Tornò il cardinale Consolini e venne pure il cardinale Nina. Il cardinale Buonaparte, passando in carrozza davanti alla porta della casa e non potendo per un'infermità salire, mandò a Don Bosco il suo biglietto di visita.
Ogni tanto si presentavano anche intere camerate di giovani chierici; ma continua era l'affluenza di persone pie. Egli aveva sperato di poter godere a Roma un po' di tranquillità, sentendone gran bisogno; invece gli si lasciavano a volte ben pochi istanti di pace dalle otto del mattino alle sette di sera. Perchè potesse rimanere solo un'oretta dopo il pranzo, era necessario dare ordini draconiani al portiere, mettere qualcuno di guardia nell'anticamera e chiuderlo a chiave nella sua stanza. Eppure in certi casi tutte le precauzioni dovevano cedere, quando arrivavano personaggi eminenti e benefattori insigni che portavano elemosine. “I sacrifizi che fa Don Bosco per la Congregazione, scriveva Don Lemoyne, non si possono misurare ”.
Un giorno ricevette la visita del giovane sacerdote catanese Don Nicotra, compagno di studi al futuro Benedetto XV nel collegio Capranica. Egli veniva a nome del suo Arcivescovo per sollecitare l'invio di Salesiani in quella città. Don Bosco giustificava l'indugio allegando la mancanza di personale; ma poichè l'altro insisteva, alla fine con bella grazia lo invitò ad agevolargli la cosa, facendosi egli stesso salesiano. [82]
Il figlio della Sicilia che andava per una via ben diversa, finemente sorrise. - Ho capito, gli disse Don Bosco; lei ha più alte aspirazioni. Ebbene sappia che riceverà grandi onori, avrà molto da soffrire, ma non arriverà dove spera di giungere. - Quando poi il suo augusto condiscepolo si ricordò di lui e lo nominò Nunzio Apostolico nel Portogallo, coloro che erano a conoscenza del fatto, tra gli altri monsignor Cicognani, allora Nunzio nel Perù, si affrettarono a dire che quella volta Don Bosco non ci aveva azzeccato, perchè monsignor Nicotra andava ormai per la strada che conduceva alla Porpora[50]. Invece quella Nunziatura fu al povero Prelato cagione di gravi dispiaceri, finchè da ultimo richiamato chiuse i suoi giorni nell'oscurità.
Vi furono infermi che andavano a farsi da lui benedire o mandavano fazzoletti e corone, perchè egli li toccasse. Non pochi Romani chiedevano di essere ricevuti; ma erano sempre in maggioranza i Francesi, numerosi per solito a Roma durante il periodo pasquale. Cominciarono ad accorrere fino dai primi giorni. Tutte le mattine riempivano la parte della chiesa adibita al culto, per assistere alla sua Messa, riversandosi poi nella sacrestia, dove ognuno gli voleva parlare, e trattenendovelo le ore sane. Avviandosi poi alla sua stanza, trovava l'anticamera stipata. Generalmente gli facevano piccole limosine, perchè stavano in viaggio, ma promettevano di mandargli assai più, quando fossero rimpatriati.
La pietà dei Francesi si manifestava anche in maniere singolari. La mattina del 22 aprile alcuni di essi portarono tre amitti, affinchè Don Bosco li usasse celebrando e poi li restituisse, per inviarli a sacerdoti che dalla Francia chiedevano quel favore. Cinque signore un giorno protestarono che non avrebbero fatto Pasqua, se egli non le avesse ascoltate in confessione, sicchè le dovette contentare. [83]
Una signora Berk Meda, la vigilia della stia partenza per la Francia, andò a riverirlo, gli rimise un'offerta e gli chiese la benedizione. Don Bosco nell'accomiatarla le domandò:
- Verrà ancora domani per la Messa?
- Oh no. Non potrò venire, perchè, dovendo lasciar Roma la sera, mi bisognerà impiegare la mattina nei preparativi del viaggio.
La mattina dopo, rivedendo i suoi conti, trovò che le rimaneva ancora una somma superiore al bisogno e le increbbe di non avergli dato di più. Dominata da questo pensiero, benchè l'ora della Messa fosse già trascorsa., noleggiò macchinalmente una vettura e volò da Don Bosco, che per buona sorte rinvenne solo nella sua stanza. Egli, appena la vide entrare:
- Ah, disse, la signora Meda. Sapevo bene che qualcuno sarebbe comparso.
- Veramente io non sarei dovuta tornare, rispose la signora . Ma ho voluto portarle un altro po' di danaro prima di partire.
- Tenga bene a mente questa sua venuta, soggiunse il Santo, perchè qui si tocca da vicino il soprannaturale. Io dovrei essere in questo momento all'estremo opposto di Roma e non avrei riveduto la Signoria Vostra, nè ella mi avrebbe ritrovato, avendo io un appuntamento presso un Cardinale dopo la Messa. Nell'uscire un creditore mi fermò sulla soglia, esigendo che gli pagassi un debito abbastanza rilevante. Gli ho dato quanto aveva ed ecco là il mio portafoglio aperto e vuoto; non mi sono conservato nemmeno una lira per prendere la vettura. Allora ho pregato Maria Ausiliatrice che mi mandasse qualcuno in aiuto e frattanto mi son messo a lavorare. Vede dunque che io la aspettava e sapeva che sarebbe venuta[51].
Quasi non bastassero le udienze e gli affari, aveva sempre molte lettere che richiedevano risposta[52]. Alla fine delle [84] giornate la stia povera testa era così stanca, che spesso non gli reggeva più a formare e a connettere le idee; quindi ogni sera usciva a respirare una boccata d'aria, camminando per tre quarti d'ora appoggiato al braccio di Don Lemoyne. Allora da quella parte di Roma si poteva passeggiare con tranquillità, sorgendovi rari edifici e scarseggiando il traffico.
A mettere in moto tanta gente verso di lui concorsero più d'ogni altra cosa i giornali italiani e francesi. La Croix, per esempio, nel numero del 22 aprile, annunziando l'arrivo a Roma, di due illustri Vescovi, aggiungeva: Et de Don Bosco, le grand bienfaiteur des orphelins. Non si contentò di una così laconica notizia il Journal de Rome, ma nel numero del 25 aprile pubblicò addirittura un'intervista d'un suo collaboratore con Don Bosco. É un colloquio che merita di essere letto almeno in compendio.
- Da tempo, disse l'interlocutore, io desiderava di ossequiare il sacerdote insigne, che alla causa cattolica rende sì luminosi servigi; ma questa mia visita ha pure uno scopo di curiosità, che la prego di voler soddisfare. Io mi domando sempre per qual miracolo sia avvenuto che ella potè fondare tante case in paesi del mondo così diversi.
- Sì, rispose il Santo, ho potuto fare più di quello che speravo; ma il come non lo so neppur io. Ecco però in che modo io mi spiego la cosa. La Chiesa e soprattutto le presenti generazioni sono state consacrate, dal Papa in maniera particolare alla Santa Vergine. Ora la Santa Vergine, che conosce i bisogni dei nostri tempi, fa sentire a’ suoi divoti il dovere di concorrere con limosine e largizioni a creale e a sostenere l'opera oggidì più necessaria, l'educazione della gioventù. Veda: una volta per la nostra chiesa che si costruisce qui a Roma, i miei [85] confratelli mi scrissero a Torino chiedendomi ventimila lire, delle quali avevano estrema necessità entro otto giorni. In quel momento io era senza danari. Mi venne un'idea. Posi la lettera presso l'acquasantino, innalzai una calda preghiera alla Madonna e mi coricai, rimettendo l'affare nelle sue mani. La mattina dopo ricevo una lettera da uno sconosciuto, che mi diceva in, sostanza: Avevo fatto voto alla Madonna che, se mi concedeva una certa grazia, avrei dato ventimila lire per un'opera di carità; avendo ora ricevuto la grazia, metto a sua disposizione questa somma per qualche sua opera Un'altra volta, trovandomi in Francia ospite di un amico, ricevo verso sera la notizia che una mia casa corre un brutto rischio per non poter disporre subito di settantamila franchi. Preoccupato e non vedendo lì per lì come rimediare, ricorro nuovamente alla preghiera. Verso le dieci io stava per andare a letto, quando sento picchiare alla porta della mia camera. Vo ad aprire. Entra il mio amico con un grosso incartamento nelle mani e mi dice: - Caro Don Bosco, nel mio testamento avevo disposto di una somma per le sue opere; ma oggi mi è venuto in mente che per fare il bene è meglio non aspettare la morte. Le porto senz'altro quella somma. Eccola: sono settantamila franchi.
- Questi sono veli miracoli, interruppe il giornalista. Ma, se non è indiscrezione la mia, mi permetta di domandarle se miracoli ella ne ha fatti altri.
- Come vuole che io possa rispondere a simile domanda? Io non ho mai pensato ad altro che a fare il mio dovere, pregando e confidando nella Madonna.
- Vorrebbe ora dirmi qual è il suo sistema educativo?
- Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro maggiormente aggradano. Il punto sta di scoprire in essi i germi delle loro buone disposizioni e procurare di svilupparli. E poichè ognuno fa con piacere soltanto quello che sa di poter fare, io mi regolo con questo principio, e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. [86]
In quarantasei anni non ho mai inflitto neppure un castigo e oso affermare che i miei alunni mi vogliono molto bene.
- Il suo sistema educativo è veramente ottimo. Un'altra cosa ancora: come ha fatto a diramare le sue opere fin nella Patagonia e nella Terra del Fuoco?
- Un po' alla volta, e andando o meglio essendo chiamato da un luogo all'altro. I miei figli hanno scoperto, si può dire, la Patagonia e la Terra del Fuoco. Sono già stati battezzati quindicimila selvaggi. Dappertutto incontriamo simpatie e il Governo Argentino validamente ci protegge. Fra breve in quelle terre, vaste come l'Europa, avremo un Vicariato Apostolico.
- Sembra, osservò il visitatore, che Dio in paesi barbari faccia ricuperare alla Chiesa il terreno perduto nell'Europa. É un fatto consolante! Ma che cosa pensa lei intorno alle condizioni della Chiesa nell'Europa e nell'Italia e circa il suo avvenire?
- Io non sono profeta... Lo siete invece un po' tutti voi altri giornalisti; quindi piuttosto a voi bisognerebbe domandare che cosa accadrà. Nessuno, fuorchè Dio, conosce l'avvenire; tuttavia, umanamente parlando, è da credere che l'avvenire sarà grave. Un poeta latino dice che sono vani gli sforzi per risalire, quando si è per la china di un precipizio e che necessariamente si va piombando giù fino al fondo. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà bene far sorgere dei redentori.
- Uno di questi è appunto lei, Don Bosco! esclamò conchiudendo quel signore.
Un casetto analogo a quelli narrati qui sopra da lui accadde anche allora a Don Bosco in Roma. Un creditore, al quale scadeva una cambiale, tempestava Don Dalmazzo, perchè gli pagasse un debito di cinquecento lire. Don Dalmazzo aveva un bel ripetere che in cassa non c'era un centesimo: l'altro insisteva e alzava la voce, dicendogli che cercasse un prestito [87] e che non sarebbe uscito senza avere quella somma. Don Dalmazzo lo pregava di non gridare tanto, ma invano. Poi, benchè sapesse che Don Bosco non aveva denari, avendoglieli presi tutti lui al mattino, entrò nella sua camera per chiedergli consiglio. In quel momento si trovava con il Santo la famiglia Migone delle parti di Bordighera. Don Dalmazzo entrò mentre la signora porgeva a Don Bosco in elemosina un biglietto da cinquecento lire. Il Servo di Dio, udito il caso, non fece altro che passargli nelle mani sorridendo quella somma. La buona signora rimase tutta commossa al vedersi in tal modo strumento della Provvidenza.
Curioso è pure quest'altro incidente. Madame di Fontenay, una sua cugina e la figlia di costei erano fra le più assidue da Don Bosco: per tre settimane andavano a vederlo ogni giorno. Una volta la cugina perdette il portamonete, nel quale aveva un buon gruzzolo di marenghi. Parlandone dinanzi a Don Bosco, le venne in niente di dirgli che egli avrebbe potuto farglielo ritrovare e che in tal caso quel danaro sarebbe stato per i suoi giovanetti. Il Santo sorrise e non rispose. Uscite di là, volevano prendere nuovamente la vettura di prima e recarsi a S. Pietro; ma il vetturino rifiutava di condurle così lontano, perchè il cavallo era stanco. Mentre questionavano, ecco avvicinarsi di trotto un altro vetturino col suo legno, gridando: - Lascino stare quel brontolone; le condurrò io dove vogliono. - Chi l'avrebbe mai sognato? Appena vi si furono messe a sedere, la cugina della signora avvertì s otto il piede un corpo duro. Sollevato il tappeto, vide che era il suo portamonete, rimasto là ventiquattr'ore, senza che nessuno se ne fosse accorto. Fu un bel caso davvero; ma scriveva la nonagenaria signora nell'aprile del 1926: Nous savons ce qu'étaient les hasards de votre père.
Il 26 aprile alcuni preti francesi, venuti con la carrozza a prendere Don Bosco, lo condussero a celebrare nella cappella delle Suore della Retraite o del Cenacolo, come già egli aveva promesso di fare. Vi trovò radunate molte signore francesi [88] e romane. Al vangelo parlò e disse che quella volta non raccomandava alla loro carità i suoi giovanetti di Torino, ma un'opera di Roma, la chiesa del Sacro Cuore e l'ospizio annesso. - In Roma, continuò, vi sono molti giovani bisognosi e pericolanti, che vagano per le strade e per le piazze; è necessario ritirarli, se non si vuole che perdano l'anima e vadano ad accrescere la dolorosa schiera di coloro che popolano le carceri. Molti di fuori non trovano ricovero negli ospizi cittadini, perchè questi dànno ricetto soltanto a romani; vengono quindi inviati nelle case nostre di Toscana e di Piemonte. Ma ognuno può pensare quante spese ci vogliono per simili viaggi e poi per ritornarli in patria. E non c'è posto per tutti, Ora un ospizio qui in Roma soddisfa a un bisogno generalmente sentito. Qui i giovani saranno educati nel loro luogo di origine senza essere obbligati a cambiar clima, cambiamento talora dannoso alla salute in quella età. Non dovran nemmeno mutare costumanze e vitto, e l'educazione sarà loro impartita secondo le esigenze dell'eterna città, loro patria, e non a norma di usanze forestiere. - Esortò infine a voler largheggiare verso i prediletti di Gesù Cristo e per un'opera eminentemente romana. La colletta fruttò 725 lire. Appresso passò a benedire la comunità; infine partì, dice la cronaca del vecchio convento, ora risorto in piazza Santa Priscilla, laissant la, vraie impression que fait le passage d'un saint.
Gli stessi sacerdoti lo accompagnarono in vettura all'abitazione di monsignor Jacobini, con il quale trattò di un sussidio da accordare alle sue Missioni, consegnandogli copia di una recente lettera scritta da Don Milanesio nelle stie escursioni apostoliche per la valle del Rio Negro. In ultimo fu dai medesimi cortesi sacerdoti ricondotto a casa.
Verso sera un signore polacco, ricchissimo e fervente cattolico, che spendeva fior di quattrini per far studiare nella sua patria giovani aspiranti allo stato ecclesiastico, andò a pregarlo di visitare una sua sorella gravemente inferma. Don Bosco, sebbene stanco, non seppe dirgli di no. Tutta la famiglia [89] lo accolse in ginocchio con una venerazione quale si usa solamente con i Santi.
Tante fatiche, aggravate da acerbi dispiaceri, acuivano sempre più i suoi incomodi fisici. Soffriva al fegato e aveva un occhio infiammato. Il 27 aprile lo assalse una febbre, duratagli tre giorni. Una notte era tanto il malessere, che gli fu forza abbandonare il letto; in certe ore del giorno lo spossamento lo prostrava. Don Lemoyne nella prima settimana di maggio scriveva a Don Rua queste accorate parole: “Stamane mi ha detto che la sua testa è molto stanca; tuttavia continua ad occuparsi delle cose della nostra Congregazione. Si vede ad ogni istante quanto bene ci voglia e quanti sacrifizi ed umiliazioni sopporti per i suoi figliuoli. Quando certe volte mi narra le vicende del suo passato, sorride; ma chi lo ascolta, si sente stringere il cuore. In quarantotto anni quanto ha patito! Questo dovrebbe essere l'argomento da predicarsi a tutti, grandi e piccoli, poichè purtroppo non ci si pensa. Talora ci lamentiamo di ciò che a noi pare ci manchi, senza riflettere ciò che costò a Don Bosco quello che abbiamo ”.
Nonostante tutto, egli si accingeva a tenere una conferenza ai Cooperatori romani. Li convocò dunque nella chiesa delle nobili Oblate di Tor de' Specchi per l'8 maggio. L'imperversare della pioggia non impedì che vi si radunasse un scelto uditorio. Presiedeva il Cardinale Vicario. Cantato un mottetto e letto un capo della vita di S. Francesco di Sales, Don Bosco dal palco disse queste brevi parole, raccolte da Don Lemoyne.
Incomincio col porgere vivi e cordiali ringraziamenti all'E.mo Cardinale Vicario, il quale si è degnato di accettare la presidenza di questa pia riunione, e non ostante il brutto tempo ebbe la bontà di recarsi in mezzo a noi. Quindi a voi, signori Cooperatori e signore Cooperatrici, volgo un saluto, mentre vi professo profonda gratitudine per aver accolto con tanta carità il mio invito. Se mi permettete vi darò di volo una breve relazione delle opere compiute dai Salesiani, giacchè sono ben due anni, che non ebbi più l'onore di parlare a voi.
Due anni sono si trattava di cercare il modo eli aumentare le case [90] di giovani per dar loro cristiana educazione, crescendo sempre più i pericoli per le loro anime. Grazie al Cielo ed alla carità dei Cooperatori Salesiani, posso con grande mia consolazione annunziarvi che i nostri voti allora manifestati ottennero il loro risultato, poichè le case si sono quasi duplicate. Oltre a cento mila giovani vi attendono oggidì ad imparare una professione e vi hanno il pane della vita temporale ed eterna. Dopo Dio io debbo ringraziare i Cooperatori e le Cooperatrici, che mi aiutarono ad ottenere frutti così copiosi.
Due anni fa io vi parlava pure delle Missioni del Brasile dell'Uruguay e della Patagonia, non che delle belle speranze di salute per quelle contrade. Ed ora le Missioni sono fondate stabilmente e i battesimi degli infedeli nei deserti del Sud di America ascendono a circa 15.000. Il sapientissimo Pontefice Leone XIII ha divisa la Patagonia in Vicariato ed in Prefettura Apostolica, affidando queste Missioni ai Salesiani. Aumentando gli operai evangelici, cresceranno eziandio di numero le conversioni degli infedeli.
Quello pare che due anni fa si notava era il bisogno sentito qui in Roma di una chiesa e di un ospizio dedicato al Sacro Cuore di Gesù, come un monumento di omaggio a Pio IX; chiesa ed ospizio, che servendo di parrocchia al nuovo quartiere della città al Castro Pretorio fosse ad un tempo asilo per l'educazione religiosa e civile di tanti poveri fanciulli abbandonati, che vagano per le vie e per le piazze in pericolo dell'anima e del corpo. Ed ora sono lieto di dirvi che la chiesa non solo fu cominciata e la costruzione è giunta al punto da metter su le volte, ma una parte, cioè il coro ed il presbitero sono finiti e servono già perle funzioni parrocchiali. E deve consolare tutti, specialmente il Cardinale Vicario, il sapere come numeroso sia il concorso del popolo alle sacre funzioni e grande la frequenza ai Sacramenti degli adulti e dei fanciulli. Annesso alla parrocchia si tiene eziandio l'Oratorio festivo, e alla domenica sono circa 200 i fanciulli, che vi accorrono per assistere alla Messa, ed al catechismo che loro si fa appositamente nella cappella a ciò destinata. Essi poi si fermano nel cortile per la ricreazione, ed invece di andare girovagando per la città, esposti ai più gravi pericoli d'irreligione e d'immoralità, si stanno colà trastullandosi lietamente sotto gli occhi e l'assistenza dei Salesiani.
Le fanciulle che pure vengono a ricevere regolarmente l'istruzione religiosa superano le 300. Dobbiamo pur essere contenti della frequenza dei giovanetti alle nostre scuole. Sia ancora benedetto il Signore per il modo, col quale si è incominciato il pio esercizio del mese di maggio in onore di Maria SS. Circa un migliaio di fedeli vi accorrono tutte le sere alla predica e alle apposite pratiche di pietà, mentre un'altra folla interviene nel mattino ad un'altra consimile funzione, che si fa regolarmente per coloro, che non potrebbero prendere parte a quella della sera.
Non debbo peraltro tacere che il tempio consecrato al Sacro Cuore [91] di Gesù è ancora ben lungi dall'essere finito, ed è appena incominciato l'ospizio annesso che dovrà contenere cinquecento fanciulli almeno. Per una gran parte bisogna ancora procedere agli scavi per le fondamenta. I lavori ora continuano con una certa alacrità, ma si dovettero sospendere per un po' di tempo, perchè i mezzi non corrispondono al buon volere. Per sopperire a questa necessità ho pensato di aprire una lotteria qui in Roma. Già un gran numero di premi è stato raccolto; i biglietti sono stampati; manca solo l'approvazione dell'autorità, e questa si aspetta a giorni. Stante l'influenza delle persone che si sono interessate, spero che questa autorizzazione non mancherà.
Vengo perciò io nuovamente a fare appello alla carità dei Cooperatori e delle Cooperatrici di Roma, perchè vogliano compiere un'opera tanto bene incominciata e tanto necessaria in quella parte della città, quale è il Castro Pretorio. L'opera è romana, dei Romani e pei Romani. Io l'ho incominciata, altri la prosegua e la conduca a termine.
Io finisco col raccomandarmi alle vostre preghiere, mentre vi assicuro che pregherò e farò pregare sempre i miei giovanetti per voi.
Sceso il Santo, montò il Cardinale. L'eminentissimo Parocchi possedeva quella cultura e quella facondia che fanno il vero conferenziere e come tale fu apprezzato anche dai profani. Il suo discorso, pur nella forma succinta in cui ci è pervenuto, sembra di tanta importanza per la nostra storia, che sta bene riferirlo qui nel corso del racconto, anzichè relegarlo in fondo al volume.
Vorrei qui avere una piena libertà di parola, circa la Missione dei Salesiani e del loro fondatore, libertà di esprimere il mio pensiero, il mio sentimento riguardo a lui, alle sue opere ed alla sua Congregazione tanto benemerita, Ma questa libertà mi è tolta dalla presenza dell'uomo di Dio, dell'uomo della Provvidenza, della perla del Sacerdozio italiano cattolico, e da alcuni de' suoi alunni. Quindi mi conviene tacere, poichè un elogio offenderebbe la loro modestia. Ma se io taccio, parlano abbastanza le opere loro. Parlano di Don Bosco e de' suoi figli i tanti collegi sparsi in Italia, in Francia, in Spagna e fino nelle lontane Americhe; parlano di Don Bosco e de' suoi figli, celebrano le loro lodi le tante chiese erette nelle varie parti del mondo nello spazio di pochi anni; parlano i tanti libri stampati per l'istruzione religiosa del popolo; parlano le tante opere dì polso date alla luce, e i classici corretti per sottrarre alla gioventù ciò che vi ha di pericoloso nella italiana letteratura; parlano gli oratorii festivi, le scuole diurne, serali, festive, [92] ove i giovanetti imparano ad amare Dio e a servirlo, e nello stesso tempo ricevono un'istruzione conveniente al loro stato; parlano le Missioni, che in breve giro di tempo si stabilirono numerose nell'America e prosperano a gloria della Chiesa cattolica e della civiltà. Se io taccio, il nome di questo uomo della Provvidenza, di Don Giovanni Bosco, risuona sulle labbra di ben 100.000 giovanetti che lo riconoscono per padre. Se io taccio, predica il suo nome la sua Congregazione coi numerosi suoi alunni; parla di lui l'opera veramente Romana incominciata e proseguita da lui con un coraggio Romano, parla la chiesa del Sacro Cuore di Gesù e l'ospizio annesso, che vediamo innalzarsi fra di noi.
Certamente non vi può essere elogio pari alla grandezza, al benefizio, all'eroismo, del quale sono improntate le opere dell'impareggiabile Don Bosco. Dalla Congregazione da lui istituita, e largamente propagata, già si colgono in questo suolo frutti sì belli e provvidenziali che riempie di meraviglia il solo pensarvi.
Ma, signori Cooperatori e signore Cooperatrici, in queste opere benchè mirabili, nulla vi è che sappia di nuovo, nulla che nei secoli passati non abbia il suo riscontro. Si parlò sempre di Missioni ai popoli selvaggi e barbari; si parlò di predicazioni, di chiese, di ospizi, di diffusione di buoni libri, di educazione della gioventù. Tutte queste opere erano prima dei Salesiani, sono adesso, saranno poi, perchè sono nella stessa natura della Chiesa cattolica.
Dunque non è su questo punto che io voglio fermare la vostra attenzione, ma piuttosto mi indirizzo a voi, che vi onorate del nome di Salesiani, nome bello per il Santo che ricorda tutto dolcezza e tutto carità, nome bello ancora pel significato che dà alle vostre opere di sale e luce, e intendo di parlarvi di ciò che distingue dalle altre la vostra Congregazione, ciò che forma il vostro carattere, la vostra fisionomia. Come in ogni uomo, che Dio mette al mondo, impronta una nota che lo contraddistingue da tutti gli altri uomini, così pure, come ce lo attesta la storia e lo vediamo coi nostri occhi, ogni Congregazione Religiosa Dio impronta con una nota, con un carattere, con un suggello, che la distingue dalle altre Congregazioni. L'Ordine di S. Francesco d'Assisi ha il carattere proveniente dalla sua missione, ed è la povertà, colla quale doveano contrapporsi i Francescani ad un secolo tutto dato alla boria ed ai piaceri. L'Ordine di S. Domenico ebbe ed ha pure il suo carattere, la fede, poichè dovea combattere un secolo, nel quale ferocemente insorgevano le eresie: Haec est victoria quae vincit mundum fides nostra. Ignazio e la sua Compagnia di Gesù ebbero per carattere la scienza, e con questo doveano combattere l'ignoranza di coloro, che di ignorante accusavano la Chiesa, fermare i progressi del Protestantismo, contendendogli il terreno palmo a palmo, penetrare nelle regioni che esso avea già occupate, conquistare le anime non solo colla santità, ma col sapere. E così dicasi di tutti gli [93] altri religiosi Istituti, che troppo lungo sarebbe il passare qui a rassegna per considerarne la nota singolare.
Voi dunque, o Salesiani, avete una -missione speciale che forma il vostro carattere. Io Cardinale di S. Madre Chiesa, predicando in questo luogo di verità, non vengo per adulare o per dissimulare; quindi parlo con tutta schiettezza. Facendo un parallelo coi fondatori dei grandi Ordini religiosi, Domenicani, Francescani, Ignaziani, Don Bosco seppe a tutti e tre ispirarsi e da ciascuno togliere qualche parte, che servisse alla edificazione dell'opera sua, la quale tuttavia è distinta da questi.
La vostra Congregazione pare che risponda a quella di S. Francesco dal lato della povertà, ma la vostra povertà non è quella dei Francescani. Pare che risponda a quella di S. Domenico, ma voi non dovete sostenere la fede contro le preponderanti eresie, perchè queste eresie sono non solamente invecchiate ma ormai decrepite e cadenti ed anche perchè precipuo vostro scopo è l'educazione della gioventù. Pare che risponda a quella di S. Ignazio nella scienza per il numero grande di opere che date alla luce pel popolo, e Don Giovanni Bosco è uomo di grande ingegno, di profondo sapere, e dotto in svariate discipline; ma però non abbiatelo a male, se io dico che non siete voi che avete inventato la pietra filosofale.
Che cosa dunque di speciale vi sarà nella Congregazione Salesiana? Quale sarà il suo carattere, la sua fisionomia? Se ne ho ben compreso, se ne ho bene afferrato il concetto, se non mi fa velo all'intelligenza, il suo scopo, il suo carattere speciale, la sua fisionomia, la sua nota essenziale, è la Carità esercitata secondo le esigenze del nostro secolo: Nos credidimus caritati; Deus caritas est, e si rivela per mezzo della Carità. Il secolo presente soltanto colle opere di Carità può essere adescato, e tratto al bene.
Il mondo ora null'altro vuole conoscere e conosce, fuorchè le cose materiali; nulla sa, nulla vuol sapere delle cose spirituali. Ignora le bellezze della fede, disconosce le grandezze della religione, ripudia le speranze della vita avvertire, rinnega lo stesso Iddio. Potrà un cieco giudicar dei colori, un sordo intendere le sublimi armonie di un Bethoven o di un Rossini, un cretino giudicar delle bellezze di un'arte? Così è il secolo presente: cieco, sordo, senza intelligenza per le cose di Dio e per la Carità. Questo secolo comprende della Carità soltanto il mezzo e non il fine ed il principio. Sa fare l'analisi di questa virtù, ma non sa comporne la sintesi. Animalis homo non percipit quae sunt spiritus Dei; così S. Paolo. Dite agli uomini di questo secolo: Bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i principii della religione, è uopo far d'limosina per amor di quel Dio, che un giorno premierà largamente i generosi; e gli uomini di questo secolo non capiscono.
Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale vola terra terra. Ai pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge naturale; si fa conoscere [94] agli Ebrei col mezzo della Bibbia; ai Greci scismatici per mezzo delle grandi tradizioni dei Padri; ai Protestanti per mezzo del Vangelo: al secolo presente si fa conoscere colla Carità: Nos credidimus caritati.
Dite a questo secolo: Vi tolgo i giovani dalle vie perchè non siano colti sotto i tramvai, perchè non cadano in un pozzo; li ritiro in un ospizio perchè non logorino la loro fresca età nei vizii e nei bagordi; li raduno nelle scuole per educarli perchè non diventino il flagello della società, non cadano in una prigione; li chiamo a me e li vigilo perchè non si cavino gli occhi gli uni gli altri, e allora gli uomini di questo secolo capiscono ed incominciano a credere: Et nos cognovimus et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis.
Ed ora Don Bosco è venuto in Roma, ha piantato le sue tende nella nuova Roma, nella Roma non battezzata, è venuto per fondare la sua chiesa ed il suo ospizio; è venuto nella Roma delle trattorie, dei caffè, delle strade larghe, delle vie bene allineate, è venuto a dare spettacolo della Carità cristiana, e conforme alle esigenze di questo secolo. È venuto nella nuova Roma non battezzata, ove non si ode che il fischio delle locomotive e le campanelle dei Protestanti, che lasciando stare ogni altra considerazione anche dal lato fonico sono una stonatura. Quivi non vi era una chiesa, ed ecco sorgere la cupola di quella del Sacro Cuore, che dà la mano a quella di S. Lorenzo, sormontando la cupola della tettoia della stazione. Nella nuova Roma non battezzata l'unica croce che si vede torreggiante è quella del Sacro Cuore. In questa regione non ci sono Istituti religiosi, o sono nascosti, quasi che non osino farsi vedere in mezzo a quell'ambiente profano.
Don Bosco ha detto che esso ha incominciato la chiesa al Castro Pretorio, e che tocca a noi continuarla e finirla. No, mio caro Don Bosco lei l'ha incominciata; dunque mi permetta di dirle che lei deve finirla. Dico finirla e non ultimarla, cioè ornarla di tutto punto, indorarla, dipingerla. Noi pregheremo Iddio che ci conservi Don Bosco almeno almeno sino a vedere compiuta la chiesa, compiuto l'edificio dell'Istituto coi 500 giovani ricoverati, provvisti non solo della storica famosa pagnotta, che la Provvidenza saprà loro dare, ma di qualche altra cosa di più, poichè non in solo pane vivit homo.
É Don Bosco che deve finir quest'opera, esso, cui nulla si niega, che tanto ascendente esercita sopra quanti lo ascoltano, che gode una venerazione mondiale. É del suo nome che abbiamo bisogno. Il suo nome col suo prestigio giungerà a raccogliere tutto ciò, che non potremmo far noi tutti uniti insieme. Il suo nome ormai ha riempito il mondo, e solo può far concorrere a quest'opera il mondo intero. Ciò è conveniente, è necessario. Roma ha diritto che tutto il mondo concorra all'opera sua, essendo che il beneficio ridonda sempre in vantaggio di tutto l'Orbe cattolico.
Il popolo Romano è il popolo principe, il primo popolo della terra, [95] e in lui ridonda in certo modo la dignità del Sovrano Pontefice, che in mezzo a lui risiede e che è suo proprio Vescovo. La Chiesa Romana, primogenita e madre di tutte le Chiese, ha diritto che le sì paghi tributo di riverenza. Da lei parte ogni bene per tutto il mondo, e a lei si deve riconoscenza da tutto il mondo col coadiuvarla nelle sue imprese.
Il popolo Romano era fin qui avvezzo al governo di un padre, e assuefatto non a dare ma a ricevere. Oggi le cose sono cambiate; e tutti i giorni siamo alleggeriti di quel poco che possediamo dalle contribuzioni, che esige il nuovo governo. Ciò non ostante le opere di carità si sostengono in Roma come prima, e chi le sostiene? Il popolo Romano. Voi vedete con quale magnificenza si adornano le nostre chiese, e chi profonde quei tesori? Il popolo Romano. Gli altari della Madonna splendono di tante faci, rallegrano i devoti con tanti fiori, e chi porge il suo obolo per onorare la Madre di Dio? Il popolo Romano. E vi sono dei patrizi che elargiscono per limosina ben anco 100 mila lire in una sol volta.
Sembrerebbe adunque che a voi dovrebbero bastare le opere buone che già fate, o signori Cooperatori e signore Cooperatrici di Roma. Imporvi nuovi pesi potrà parer cosa inopportuna. Io però conosco la vostra generosità. I Romani certamente non abbandoneranno Don Bosco solo in questa sua impresa, ma vi concorreranno con quella fede e carità, di cui godono nel mondo sì bella fama. Sì, date mano anche a questa opera secondo i vostri mezzi e anche un po' di più stessi vedete la necessità estrema che vi è di una chiesa nel nuovo borgo così popoloso; la necessità di un ospizio per tanti poveri giovanetti. Concorrete anche voi nell'aiutare i Salesiani in questa impresa loro affidata dalla Provvidenza per mano del Sommo Pontefice. Non temete nè per voi nè per i vostri cari, poichè occorrendo Iddio darà mano anche ai portenti per premiare la carità vostra. Mediante il vostro concorso si potrà viemmeglio ripetere che il secolo tratto dal bagliore delle opere della carità ha confessata la verità della nostra santissima religione e ne fu preso d'amore: Et nos cognovimus et credidimus carigati.
Un bel mottetto eseguito dalle nobili Oblate e la Benedizione eucaristica impartita da monsignor Kirby posero termine alla cerimonia, Don Bosco, rientrato in casa, pensò immediatamente ai preparativi per l'udienza pontificia.
Questa udienza gli fu fatta sospirare alquanto, Ne aveva presentata domanda scritta a monsignor Macchi fin dal 23 aprile. Il latore della lettera ebbe l'incarico di chiedere al Maestro di Camera, quando potesse ritornare per la risposta; [96] ma Monsignore gli disse che non occorreva incomodarsi, perchè egli stesso fra un giorno o due avrebbe mandato il biglietto a Don Bosco, al quale intanto inviava i suoi saluti. 1 due giorni passarono, ma la risposta non venne. Eppure il quaresimalista siciliano Di Pietro, che aveva predicato a Torino e nel passaggio alloggiò al Sacro Cuore, ottenne subito l'udienza il 25 per mezzo del Macchi. Don Bosco tuttavia si confortò al sentire dal suo ospite che il Papa, intrattenendolo per circa un'ora e mezza, gli aveva chiesto notizie di lui, della sua salute e in particolare de' suoi occhi, parlandone con molta amorevolezza[53].
Nulla vedendo arrivare dal Vaticano, il 29 spedì un messo a monsignor Macchi per sapere se giorno e ora dell'udienza fossero almeno già fissati; ma la risposta fu negativa e Monsignore ripetè che a suo tempo egli avrebbe scritto al Sacro Cuore. Il 2 maggio Don Bosco, visitato dal commendatore Sterbini, scalco segreto di Sua Santità, si lamentò con lui del lungo indugio. Quegli sdegnato gli suggerì di presentarsi senz'altro in Vaticano la sera del dì seguente, perchè, prestando allora servizio in anticamera monsignor Marini, amico del Santo, certamente sarebbe stato introdotto; ma Don Bosco non reputò conveniente fare a quel modo.
Eguale lagnanza il Servo di Dio mosse con monsignor Negrotto, canonico di S. Pietro, osservando come ad alcune signore [97] francesi arrivate dopo di lui fosse stata prontamente concessa l'udienza. - Eppure, soggiunse, io debbo parlare al Papa per affari da lui medesimo affidatimi. - Il canonico, non poco stupito, promise d'interessarsene. Ma Don Lemoyne angustiato scriveva ancora il 5 maggio a Don Rua: “In quanto al Vaticano, Monsignor Macchi dopo una settimana e mezzo non ha ancora risposto. È amara, ma pazienza ”. Nel capo quarto i lettori potranno indovinare da sè, quali cause dovettero determinare attorno al Pontefice questa specie di ostruzione.
Giunse finalmente sul mezzodì del 6 maggio la partecipazione, che l'udienza era fissata per il venerdì 9 alle ore undici. Ve lo accompagnarono Don Lemoyne e Don Daghero[54]. All'una e tre quarti Don Bosco entrò dal Papa. La posta rimase qualche istante aperta. I Camerieri d'onore, il Cameriere segreto partecipante e l'Esente delle Guardie Nobili vi s'accostarono per osservare come il Santo Padre lo accogliesse. La voce del Pontefice risonò distintamente, sicchè Don Lemoyne la potè udire.
- Oh Don Bosco, disse subito il Papa, come state? come va la vostra salute? e gli occhi? Sento che non state troppo bene.
Don Bosco, che si era messo in ginocchio, gli baciò il piede, poi chiese licenza di restare in piedi, perchè in quella posizione non avrebbe potuto resistere. - Non in piedi, rispose' il Papa, ma seduto, - E gli accennò una sedia, che fece portate avanti da monsignor Macchi. Don Bosco, ringraziando Sua Santità, si sedette. Alla presenza di Leone XIII soltanto [98] l'allora defunto cardinale Caterini aveva avuto il privilegio di sedere, perchè toccava la novantina. Monsignor Macchi non si era ancor mosso di là. Il Papa, rivolto a lui: - Potete ritirarvi, - gli disse. Al suo uscire coloro che stavano in ascolto, si trassero indietro. Ora su appunti di Don Lemoyne e su alcuni dati raccolti nei verbali manoscritti del Capitolo Superiore verremo esponendo per minuto lo svolgimento dell'udienza.
Preludio del colloquio fu l'argomento della sanità. Leone XIII, chiestegli notizie al riguardo, disse: - Bisogna assolutamente che vi curiate e che non risparmiate i mezzi necessari per sostenervi e per ricuperare le vostre forze. Tenete conto di voi stesso senza troppo scrupoleggiare. Lasciate di più oltre logorarvi. Fate lavorare gli altri. Bisogna che viviate ancora, perchè la vostra vita non appartiene a voi, ma alla Chiesa e alla Congregazione da voi fondata, che ha necessità di voi per ottenere i frutti voluti dalla divina Provvidenza. Voi, o Don Bosco, siete necessario. L'opera vostra è cresciuta e dilatata. L'Italia, la Francia, la Spagna, l'America, gli stessi selvaggi reclamano la vostra esistenza. Voi avete dei figli che seguiranno il vostro spirito; ma essi saranno sempre in seconda linea dopo di voi. Che non possiate occuparvi molto a lavorare, in questo momento non è più gran cosa. La vostra vita, la vostra esistenza, il vostro consiglio son tutte cose necessarie e che io e tutti i vostri Amici desiderano vivamente, affinchè possiate compiere le opere incominciate. Se io fossi ammalato, voi fareste, ne son certo, tutto il possibile per la conservazione della mia vita. Orbene, io voglio che voi facciate per voi stesso quello che fareste per me. Quindi prendetevi tutte le cure, cercate tutti i mezzi necessari alla vostra conservazione. Io lo voglio, capite; ve lo comando. È il Santo Padre che lo vuole, è il Papa che ve lo comanda. Della vostra vita ha bisogno la Chiesa.
- Santo Padre, rispose Don Bosco, troppo grande bontà è la vostra nel mettermi a paragone con voi. É una degnazione [99] che mi confonde. Tuttavia procurerò di fare ogni mia parte per obbedire alla vostra volontà.
- Bene, bene! Ed ora che cosa avete da chiedermi? Domandate pure, perchè il Santo Padre è pronto a concedervi quanto domanderete.
Don Bosco presentò allora la somma dei privilegi che bramava ottenere per la Congregazione, e gli disse: - Santo Padre, supplico perchè si degni di rendere completa la Pia Società Salesiano, che ora è solamente a mezzo. Ciò sarebbe la concessione dei privilegi. Vi sono Congregazioni, i cui membri si contano sulle cinque dita di una mano, ed hanno ottenuto questi favori subito ed amplissimi; e per noi che siamo così numerosi e che ne sentiamo la necessità, sono tanti anni che domando e nulla posso ottenere.
Il Pontefice diede un'occhiata a quelle carte, che Don Bosco gli porgeva, e gli ripetè: - Concederemo tutto quello che volete. Per far le cose più speditamente monsignor Masotti, segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari, potrebbe senz'altro presentare i debiti documenti ed io li firmerei senza presentarli all'intera Congregazione. Dite a Monsignore che tale è la mia intenzione. Tanto più ora, continuò il Papa sorridendo, che non c'è più il povero arcivescovo Gastaldi. Allora era difficile poter fare le concessioni di buon accordo. Quello era un vero vostro avversario. Quanto ha fatto, quanto ha detto per impedire la concessione dei privilegi! Dunque non temete; io voglio che questa volta siate contentato. No, la Santa Sede non è contraria a darvi tutto ciò che vi è necessario. Voi credevate che si osteggiasse la vostra Congregazione. Oh no! Erano le circostanze non volute che così portavano. Anche il Papa, vedete, tante volte non può fare tutto quello che vuole. Io vi amo, vi amo, vi amo. Sono tutto per i Salesiani. Sono il primo fra i Cooperatori. Chi è vostro nemico, è nemico di Dio. Io avrei paura a fare contro di voi. Voi infatti con mezzi così esigui fate opere colossali. Voi, neppure voi conoscete l'estensione della vostra [100] missione e il bene che essa deve portare in tutta la Chiesa. Voi avete la missione di far vedere al mondo che si può essere, buon cattolico e, nello stesso tempo buono e onesto cittadino; che si può fare gran bene alla povera e abbandonata gioventù in tutti i tempi senza urtare con l'andazzo della politica, ma conservandosi ognora buoni cattolici. Il Papa, la Chiesa, il mondo intero pensa a voi, alla vostra Congregazione e vi ammira; e il mondo o vi ama o vi teme. Non siete voi, ma Dio che opera nella vostra Congregazione. I suoi mirabili incrementi, il bene che si fa, non ha ragione sufficiente nelle cause umane; Dio stesso guida, sostiene, porta la vostra Congregazione. Ditelo, scrivetelo, predicatelo. È questo il segreto che vi ha fatto vincere ogni ostacolo ed ogni nemico.
- Santo Padre, disse Don Bosco, io non trovo parole valevoli per ringraziarlo delle benevoli espressioni, con le quali si degna prendere in considerazione Don Bosco e i suoi figli. Lo assicuro che noi abbiamo fatto sempre quanto era in nostro potere per promuovere in mezzo ai nostri giovanetti e in mezzo ai popoli l'affezione, il rispetto, l'ubbidienza alla Santa Sede e al Vicario di Gesù Cristo. Quel poco di bene che abbiamo fatto, noi lo attribuiamo alla benedizione e alla protezione del Papa.
- E il Papa continuerà a proteggervi ed a benedirvi. E ora ditemi: del vostro Arcivescovo siete contento? Eh, soggiunse sorridendo, ho pensato anche a voi. Lo vedete, il cardinale Alimonda vi vuole bene, molto bene, e ciò mi consola; io già lo sapeva. Egli mi ha scritto facendomi un bel elogio della vostra Congregazione e pregandomi di concedervi i privilegi. Il Papa ha fatto un gran regalo a Torino. E io sono contento che il Cardinale Arcivescovo vi sostenga, vi appoggi, vi protegga, sia tutto per voi.
- Sì, Beatissimo Padre, Torino deve essere ed è riconoscente verso di Voi per averle donato un tanto pastore. E anche i Salesiani non potevano avere un pastore più benevolo. [101]
Intanto il Papa, che, dotato di temperamento assai nervoso, sentiva il bisogno di cambiar posizione e sedia, si alzò e chiamò monsignor Macchi. Don Bosco si voleva pure alzare per mutare anche lui sedia. -No, gli disse, voi non movetevi. State comodo! Monsignor Macchi farà. - E come, ritiratosi Monsignore, il Papa si fu di bel nuovo adagiato: - Santo Padre, ripigliò Don Bosco, le concessioni già fatte dal Pontefice Pio IX sono spirate ed io in questo momento mi trovo imbrogliato. Chiederei che mi concedesse nuovamente la facoltà di dare lettere dimissionali ai chierici ordinandi, finchè non siano regolarmente date le concessioni per Breve. - Il Papa annuì in via provvisoria.
Dopo entrò a parlare della chiesa del Sacro Cuore e domandò: -Quali lavori state ora compiendo? - Don Bosco spiegò a che punto fosse l'innalzato edifizio e quali fossero i lavori in corso; disse delle difficoltà incontrate, del bene che si faceva nel presbiterio già finito e che pel momento serviva di parrocchia, del mese di maggio cui interveniva un migliaio di persone ogni sera, dell'oratorio festivo, delle scuole frequentate da duecento giovani, del catechismo domenicale, al quale accorrevano circa trecento ragazze, dell'ospizio che si stava per costruire e dei locali già fatti o comprati che avrebbero potuto già contenere una cinquantina di giovanetti. Il Papa ascoltava con vivo interesse questa esposizione, quando Don Bosco uscì a dire: - Io vorrei chiedere a Vostra Santità che mi permettesse di esprimere una mia idea.
- Dite, dite, rispose il Santo Padre.
- Questa chiesa, proseguì Don Bosco, è cattolica, cioè tutto il mondo prende patte alla sua costruzione, e questo ospizio è per i giovanetti di ogni nazione della terra. Io vorrei che Vostra Santità comparisse in quest'opera.
- No, non devo rifiutarmi, disse il Papa. E che cosa proporreste?
- Che Vostra Santità si assumesse la spesa della facciata della chiesa del Sacro Cuore. Che bella cosa sarebbe se sopra [102] il frontone si leggesse scolpita questa epigrafe: Catholicorum pietas construxit, frontem autem huius ecclesiae Leo XIII Pont. Max. proprio aere aedificavit!
- Avete dunque già preparata l'iscrizione?
- Questa o un'altra migliore, ma purchè esprima questo sentimento.
Il Papa si mise a ridere. - E perchè no? Accetto la facciata: la farò io.
- Ma, Santo Padre, spiegò Don Bosco, non voglio tuttavia che resti solo nell'impresa di edificare questa facciata: voglio aiutarlo in quello che posso. L'altro giorno la contessa Fontenay non le portò diecimila lire?
- Ebbene, è Don Bosco che l'ha consigliata a fare questa offerta. Fra poco Vostra Santità riceverà altre diecimila lire; ed io so che un'altra persona di Marsiglia, affinchè si proseguano i lavori della chiesa, si dispone a fare una generosa offerta a Vostra Santità.
- Sì, sì; resta dunque concluso l'affare a questo modo.
- Santo Padre, lo ringrazio di tanta bontà; ma mi permetta di dire ancora una cosa. Vorrei che il mondo conoscesse questa sua generosità e, se mi fosse permesso, io la pubblicherei nel Bollettino Salesiano.
- Date pure a questo fatto la pubblicità che volete e secondo la vostra prudenza.
Nella sua proposta Don Bosco vedeva anche un mezzo per avvantaggiare il denaro di S. Pietro, allora scemato di molto.
Ricorderanno i lettori che il Papa largiva un assegno mensile alla casa della Spezia; era quindi naturale che Don Bosco rendesse conto di quella casa, e con ciò si apriva il passo a dar notizie degli altri collegi, dell'Oratorio, di due compagnie principali, cioè del piccolo clero e del Santissimo Sacramento.
Il Papa allora disse: - A quei giovanetti della compagnia [103] del Santissimo Sacramento dite da parte mia che io li amo, che essi sono il giglio del mio cuore; fate loro per me una carezza paterna; date loro da parte mia una benedizione manu ad manum. Questi cari giovanetti sono destinati a far conoscere al mondo, come la carità cristiana riesca a migliorare la società mediante la buona educazione impartita ai fanciulli poveri e abbandonati... E novizi quanti ne avere?
- Duecent'otto, Santo Padre, distribuiti nei vali noviziati di S. Benigno, di Francia, di America, e altri sparsi qua e là nelle case per non dare troppo nell'occhio.
- Duecent'otto! È una meraviglia! Duecent'otto novizi!
A domanda di Don Bosco, il Papa autorizzò allora la Congregazione Salesiana a tenere novizi anche nelle case professe tanto a Torino che a Marsiglia; indi continuò: - Aiutateli a sfidare tutte le insidie del demonio e manteneteli a posto. Dite loro da parte mia che faranno un gran belle, se saranno tante fiaccole ardenti in mezzo al mondo e se conserveranno inalterabilmente la moralità fra quelli cui sarà dato loro di parlare o di palesarsi.
Poscia il discorso si aggirò intorno, ai Cooperatori Salesiani, che il Papa, a preghiera di Don Bosco, benedisse largamente. - lo stesso, continuò, intendo di essere chiamato non solo cooperatore, ma operatore, perchè i Papi non debbono astenersi da queste opere di beneficenza, Se vogliamo una società buona, non vi è altro mezzo che quello di educare bene questa povera gioventù che presentemente scorrazza per le vie, essa formerà fra breve il genere umano: se verrà educata bene, avremo la società costumata, e se male, la società sarà in cattivo stato e i nostri figli dovranno nella virilità lamentare la cattiva educazione loro impartita dagli antenati, se pure non dovranno maledire eternamente la loro memoria. Ma la pietà nei cristiani non verrà mai meno.
A questo punto Don Bosco presentò la lista di alcuni, per i quali desiderava ottenere onorificenze dalla Salita Sede. La supplica era così concepita. [104]
Mi presento umilmente a V. Santità per segnalare all'Augusta Clemenza Vostra alcune persone molto benemerite della Chiesa e della civile società e assai notorie nel favorire il danaro di S. Pietro.
I. Fra i personaggi insigni benefattori della religione e della civile società devesi senza dubbio annoverare il Conte Fiorito Colle di Tolone. Esso per le sue beneficenze fu già da Vostra Santità fatto Conte di Santa Romana Chiesa. Testè ha fatto costrurre una chiesa ed una casa per orfanelli nella nostra colonia agricola della Navarra (Fréjus). In più rate egli ha dato oltre a 100.000 lire per estinguere varii debiti che ci avrebbero costretto a sospendere i lavori della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Sostiene pure energicamente le scuole libere e la stampa cattolica in sua patria. Per lui si chiede rispettosamente una decorazione di Commendatore.
2. Il Barone Amato Héraud, fervoroso cattolico, Cameriere di cappa e spada, promotore del denaro di S. Pietro in Nizza al mare e nelle città vicine supplica di essere fatto Commendatore.
3. Il Signor Alfredo di Montigny, ricco e generoso cattolico di Lille in Francia, potente promotore delle opere cattoliche, aprì pei Salesiani un ospizio pei poveri fanciulli. Gli starebbe sommamente a cuore il titolo di Conte Romano, per così legare sempre più l'unico suo figlio alla S. Sede. Il Vescovo di Cambrai ha inviato una speciale commendatizia direttamente a V. S.
4. Il Signor Dottore Carlo D'Espiney di Nizza Marittima, fervoroso cattolico e valente medico, si presta gratuitamente per tutti i poveri che lo richiedono e specialmente per gli orfanelli del nostro ospizio di S. Pietro in quella città. Supplica per una decorazione di cavaliere di S. Gregorio il Grande. A questo scopo è qui unita una commendatizia del Vescovo di Nizza.
5. Il Vescovo della Diocesi di Fréjus in Francia supplica umilmente la Santità Vostra a voler onorare e rimeritare lo zelo del Rev.mo Sacerdote Mons. Mario Guigou, Cameriere Soprannumero, promovendolo alla prelatura di grado Superiore. Le unisce l'onorevole commendatizia del suo Ordinario.
Il Papa vi diede un'occhiata e poi disse a Don Bosco che facesse scrivere in distinti fogli le singole suppliche per presentarle all'ufficio e dar loro corso più comodamente. Intanto, chiamato monsignor Macchi, fece consegnare la nota a lui, perchè se ne occupasse. Ciò detto, ripigliò: - Ed ora avete qualche altra cosa da domandare? Chiedete pure, chè io sono disposto a concedervi tutto. [105]
Santo Padre, ancora una speciale benedizione per tutti i Cooperatori, per le loro famiglie ed amici.
Il Papa benignamente l'accordò. - Ora se permette, riprese Don Bosco, chiamo il mio segretario e Don Daghero, Direttore del seminario di Magliano Sabino, perchè abbiano l'alto onore di baciare il piede a Vostra Santità. - E in così dire si alzava per andare alla porta. - No, non incomodatevi, gli fece il Papa, li farò entrare io. - A un colpo di campanello, entrò monsignor Macchi, a cui ordinò d'introdurli.
- Chi di voi è il Direttore di Magliano? domandò.
- Sono io, Santità, rispose Don Daghero.
- Sento che c'è qualche differenza tra il collegio e certe persone.
- Ma speriamo che tutto si appianerà, disse Don Daghero.
- E questi, disse Don Bosco, è Don Lemoyne mio segretario. È stato Direttore di vari collegi e ultimamente Direttore delle monache di Maria Santissima Ausiliatrice in Nizza Monferrato.
- Bene, bene! Voi dunque siete il suo segretario? A voi affido la persona del vostro Superiore. Voi dovete aver cura della sua sanità e che non si affatichi troppo. Non permettete che scriva lui: ha gli occhi troppo stanchi e ammalati. Voi dovete essere il suo sostegno e voi siete responsabile della vita del vostro Superiore, capite! Ed io lo voglio, lo vuole il Santo Padre, è il Papa che lo vuole. Circondatelo di tutte le cure, siate la sua consolazione. Quale onore è il vostro! É un grande onore per voi Salesiani la missione che Dio vi dà; è un grande obbligo, al quale dovete corrispondere. Ditelo i a tutti gli altri vostri confratelli e che siano la consolazione di questo povero vecchio.
- Santo Padre, rispose Don Lemoyne commosso, io lo dirò ai miei confratelli, i quali ne saranno sempre più confermati nella loro vocazione. [106]
- E le vostre Missioni? chiese il Papa, rivolgendosi a Don Bosco.
- Vanno bene, Padre Santo. Si sono già battezzati quindicimila selvaggi.
- Quindicimila selvaggi è un bel numero e io sono riconoscente per tante anime salvate. È una cosa magnifica il salvare le anime, e il Papa non può che goderne. Ma a proposito di anime, perchè non mi contentate il povero Vescovo di Mantova? È venuto da me, mi ha pregato di fare i miei buoni uffici, perchè voi gli mandaste quattro o cinque preti salesiani. Egli è pronto a cedere un alloggio nel suo palazzo a questi Salesiani. Fareste un gran piacere a me, se lo contentaste. Questo buon Vescovo ne ha tanto bisogno[55].
- Santo Padre, poichè le fa piacere, vedremo di contentarlo. È vero che il numero dei nostri Salesiani è assai ristretto per la gran quantità delle case che dobbiamo provvedere, ma cercheremo di contentare Vostra Santità.
- Aspettate però che scriva io al Vescovo prima che li mandiate colà. Intanto, Benedictio Dei omnipotentis, etc.
Don Bosco s'inginocchiò, mentre il Papa cercava d'impedirglielo. Infine disse a Don Lemoyne: - Segretario, aiutatelo ad alzarsi, sostenetelo.
Uscirono dalla presenza del Sommo Pontefice che erano le tre e mezzo. Don Bosco, pur nella sua solita tranquillità, appariva molto contento. Tuttavia in carrozza Don Lemoyne gli domandò: - É contento, Don Bosco?
- Sì! Come è buono il Santo Padre! Ci voleva proprio questo; altrimenti io non ne potevo più.
Quando giunse a casa, la sua contentezza fu accresciuta dalla notizia che il Sindaco di Roma aveva finalmente chiesta in nome del Comune al Prefetto la permissione di fare la lotteria. La concessione non poteva più essere dubbia. Infatti il [107] 27 maggio la Prefettura emise il decreto, con cui si autorizzava lo spaccio di duecentomila biglietti per una lira caduno.
Nello stesso giorno Don Lemoyne indirizzò da parte di Don Bosco un biglietto a Don Rua con ordine di comunicarlo a tutte le case, affinchè si sapesse dell'udienza, delle cose ottenute a Roma e del prossimo ritorno[56].
Quasi sulle mosse per lasciare l'eterna città Don Bosco fece scrivere all'Oratorio sotto forma di lettera la narrazione di un sogno della massima importanza. L'aveva avuto in una di quelle notti, nelle quali si sentiva più male. Lo raccontò in più volte a Don Lemoyne ingiungendogli di stenderlo; il che eseguito, se lo fece leggere, dettando correzioni. Il 6 maggio aveva fatto scrivere a Don Rua: “Don Bosco sta preparando una lettera che intende di mandare ai giovani, nella quale vuol dire tante belle cose ai suoi amatissimi figliuoli”. La lettera fu spedita il 10 maggio; ma Don Rua, non credendo conveniente leggerla in pubblico tutta intera, pregò d'inviargliene una copia che potesse andare per gli alunni. Don Lemoyne ne estrasse per loro le parti che non riguardavano i superiori. La lettura fattane da Don Rua alla sera dopo le orazioni venne ascoltata dai giovani con tremore, massime perchè il Santo diceva d'aver conosciuto lo stato di molte coscienze. Dopo il ritorno era una processione di ragazzi alla stia camera per sapere com'egli li avesse veduti. Due principali effetti ne derivarono: un principio di riforma nella vita dell'Oratorio e l'allontanamento di certuni, che sembravano buonissimi. Ecco del sogno il testo completo.
Miei carissimi figliuoli in G. C.,
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue [108] occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benchè pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
Ho affermato che voi siete l'unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per andare a riposo, aveva incominciato a recitare le preghiere, che mi insegnò la mia buona mamma.
In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente, mi disse:
- E si ricorda ancora di me? soggiunse quell'uomo.
- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè ed eri nell'Oratorio prima del 1870.
- Dica! continuò quell'uomo, vuol vedere i giovani, che erano nell'Oratorio ai miei tempi?
- Si, fammeli vedere, io risposi, ciò mi cagionerà molto piacere.
Allora Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e nell'età di quel tempo. Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a bararotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani, che pendeva dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all'asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. Io era incantato a questo spettacolo, e Valfrè mi disse: - Veda, la famigliarità porta affetto e l'affetto porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò, che vuol comandare colui, dal quale sono certi di essere amati.
In quell'istante si avvicinò a me l'altro mio antico allievo, che aveva la barba tutta bianca e mi disse: - Don Bosco, vuole adesso conoscere e vedere i giovani, che attualmente sono nell'Oratorio?
- Sì, risposi io; perchè è già un mese che più non li vedo! [109]
E me lì additò: vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione, Ma non udiva più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita, come nella prima scena.
Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza, che faceva pena al mio cuore. Vidi, è vero, molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli, appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro, dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare, ma credere che S. Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro; eziandio fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che facevano veder chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.
- Ha visto i suoi giovani? mi disse quell'antico allievo.
- Li vedo, risposi sospirando.
- Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quell'antico allievo.
- Pur troppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione!
- E di qui proviene la freddezza in tanti nell'accostarsi ai santi Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà in chiesa e altrove, lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l'anima, per l'intelletto. Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
- Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani acciocchè riprendano l'antica vivacità, allegrezza, espansione?
- Colla carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato Pel corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni, per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loto anime. Ho fatto quanto ho saputo e potuto per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita.
- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i loro anni giovanili per coloro, che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio. [110]
- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.
- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
- No; lo ripeto, ciò non basta.
- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco; quali sono, la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a far con slancio ed amore.
- Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: - E che cosa c'è di speciale da vedere?
- Sono tanti anni che va educando giovani, e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i nostri Salesiani?
Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi: altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani: altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato intromettersi in qualche gruppo dì giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai Superiori.
Allora quel mio amico ripigliò: - Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di Paradiso, un'epoca che ricordiam sempre con amore, perchè l'affetto era quello che ci serviva di regola; e noi per lei non avevamo segreti.
- Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per_ avvicinarsi a me, per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.
- Va bene: ma se lei non può perchè i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perchè non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?
- Io parlo, mi spolmono, ma pur troppo molti non si sentono più di far le fatiche di una volta.
- E quindi trascurando il meno, perdono il più e questo PIU' [111] sono le loro fatiche. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente, Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un'anima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il suo fanciullino; allora regnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.
- Come dunque fare per rompere questa barriera?
- Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l'affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità! Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa ne più ne meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva! Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie; le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzo la canna già fessa, nè spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l'amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null'altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per fare la corte a questa trascurare tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene. Perchè si vuoi sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perchè i Superiori si allontanano dall'osservanza di [112] quelle regole di educazione che Don Bosco ha loro dettate? Perchè al sistema di prevenire colla vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda, di bandir leggi che se si sostengono coi castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i Superiori e sono causa di disordini gravissimi?
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in vigore l'antico sistema: il Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltar sempre ogni dubbio o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati.
Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. É meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facci ano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo esser offesa di Dio.
Allora io interrogai: - E quale è il mezzo precipuo perchè trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
- L'osservanza esatta delle regole della casa.
- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione, a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni.
Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non poteva più star ritto. L'ora era tardissima, quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere a' miei cari figliuoli queste righe.
Io desidero di non far questi sogni perchè mi stancano troppo. Nel giorno seguente mi sentiva rotto nella persona e non vedeva l'ora di potermi riposare la sera seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sogno. Avevo dinanzi il cortile, i giovani che ora sono nell'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. Io presi ad interrogarlo: - Ciò che mi dicesti io lo farò sapere a' miei Salesiani; ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?
Mi rispose: - Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poichè se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifizi; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poichè al mondo non si trova la perfezione, ma [113] questa è solo in Paradiso; che cessino dalle mormorazioni, poichè queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sè, non ha pace cogli altri.
- E tu mi dici adunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?
- Questa è la prima causa del mal umore fra le altre che lei sa, alle quali deve porre rimedio, e che non fa d'uopo che ora le dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perchè sa che glie ne tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con Dio, rimane angosciato, irrequieto, insofferente d'obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada a male, e perchè esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino.
- Eppure, o caro mio, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?
- É vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino così continuano alla 5a Ginnasiale.
Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.
- E di costoro ve n'ha molti all'Oratorio?
- Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa. Osservi; - e me li additava.
Io guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole, ma coi fatti, e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi vivono ancora tra noi.
In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai nulla altro da dirmi?
- Predichi a tutti, grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perchè si amassero come fratelli e perchè dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta; che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi dì studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che coll'aiuto suo deve cadere quella barriera [114] di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.
- E ci riusciremo a togliere questa barriera?
- Sì certamente, purchè grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto.
Intanto io continuava a guardare i miei giovinetti e allo spettacolo di coloro che vedeva avviati verso l'eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumata tutta la vita? Niente altro fuorchè, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'antico Oratorio. I giorni dell'affetto e della confidenza cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello spinto di accondiscendenza e sopportazione per amore di Gesù Cristo, degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana, perchè la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales. O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità. [Nota del Segretario. A questo punto Don Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò. Quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera.
A questo fine il Santo Padre, che io ho visto venerdì 9 di maggio, vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effigie della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiano allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso.
Questo scritto è un tesoro, che con il trattatello sul Sistema Preventivo e con il Regolamento delle case forma la trilogia pedagogica lasciata da Don Bosco in eredità a' suoi figli. Pedagogia umile ed alta, che, dove sia bene intesa e bene attuata, può fare degl'istituti di educazione soggiorni di letizia, asili d'innocenza, focolai di virtù, palestre di studio, vivai insomma di ottimi cristiani, di bravi cittadini e di degni ecclesiastici. Ma è d'uopo di buona volontà e di sacrifizio.
Prima di procedere oltre, porremo qui alcune scarse lettere, cinque in tutto, delle tante scritte da Roma; sono le sole a noi pervenute. La prima è indirizzata a Don Lazzero, che continuava a dirigere l'Oratorio col titolo di vicedirettore. Si parla in essa di una “corazza ” che Don Rua dovrebbe levarsi dal petto, perchè lo potrebbe stancare soverchiamente. Nessuna meraviglia che si tratti di cilicio. Allora Don Rua era sofferente; ad altri incomodi si aggiungeva un attacco di lombaggine, che lo costrinse parecchi giorni al letto. Di qui le preoccupazioni del Santo per la sua salute, manifestate a colui che era suo confessore durante l'assenza di Don Bosco.
É forse la prima lettera che scrivo dopo la mia partenza da Torino e voglio scriverla a te, o mio sempre caro D. Lazzero.
Dirai ai nostri amati confratelli e cari figli della casa che la mia salute, in ispecie da due giorni, ha notevolmente migliorato, e perciò al mio arrivo desidero che facciamo una bella festa in chiesa per ringraziare la Madonna degli innumerabili benefizii che ci ha fatti ed anche in refettorio per cacciare la malinconia e stare allegri nel Signore.
Credo che D. Lemoyne vi dia notizie speciali: ce ne sono molte e da fare dei volumi.
Dirai a D. Rua che si tolga la corazza dal petto, perchè potrebbe stancarlo troppo.
E Suttil e D. Pozzan, stanno bene? Sono buoni?
Non so in quale stato si trovi la mia vigna, i miei fagiuoli, le mie zucche ecc.[57]. [116]
Bisogna poi ringraziare in modo particolare Mad. Nicolini dell'uva preziosa che mi regalò a Torino e che inviò a Roma; ma che non conviene più che ne mandi perchè si guasta per la strada.
Dà pure l'unita lettera a D. Febbraro.
Le grazie del Signore discendano copiose sopra di te, sopra tutto il Capitolo Superiore, sopra tutti i nostri cari confratelli e allievi e Maria ci tenga fermi per la via del cielo. Amen.
A Dio piacendo spero essere a Torino dal 12 al 15 maggio.
Priora della festa sarà la marescialla de St Arnaud che si troverà presente per l'intiera novena di Maria Ausiliatrice.
Scrive la seconda lettera alla contessa Callori, pigliando occasione del prossimo sposalizio della figlia. La scrisse Don Lemoyne sotto dettatura del Santo, che si limitò ad apporvi la sua firma.
E' inteso che pel giorno 28 io celebrerò la S. Messa per Lei e per la signora Maria. Prego Dio che il novello stato sia per lei felice sulla terra e una preparazione per la beatitudine del cielo. Ho piena fiducia che continuerà ad essere un'insigne benefattrice per le opere nostre.
Sono qui alla chiesa del Sacro Cuore. Tutto va bene, ma restiamo alquanto arenati a motivo dei danari che diminuiscono sensibilmente.
Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia, la signora Maria e voglia pregare anche per me che con gratitudine grande la raccomando ogni giorno nella santa Messa; e mi professo in G. C.
La terza lettera è per una religiosa, la già contessa Filomena Medolago-Albani, nata De Maistre ed entrata dopo la vedovanza tra le Figlie del Sacro Cuore[58]. [117]
La sua lettera vai ha consolato assai perchè questo mi fa conoscere come Ella si ricordi ancora di questo povero D. Bosco. Di tutto cuore io pregherò per la figlia della Signora Contessa Passi[59] ed ho piena fiducia che Dio ascolterà le nostre preghiere se la domanda non è contraria al bene dell'anima sua. Maria SS. porterà in vece mia una speciale benedizione.
Dal canto mio raccomando caldamente a questa Signora la costruzione della Chiesa e dell'Ospizio del Sacro Cuore in Roma. Questi lavori progredirono finora maravigliosamente, ma presentemente restano assai arenati a motivo dei denaro che ci va diminuendo. Ella sa che il Sacro Cuore di Gesù è potente sorgente di grazie e di benedizioni.
Il Signore benedica Lei, tutta la famiglia Passi, e la sua Comunità Religiosa, cui Dio la chiamò per fare un'altra S. Teresa.
Io la ricorderò ogni giorno nella S. Messa ed Ella voglia pregare anche per me che le sarò sempre in G. C.
La quarta va alla signora Magliano, che i lettori conoscono. Invece della circolare manoscritta che soleva far spedire ai più ragguardevoli Cooperatori per comunicare loro la benedizione del Papa, alla Magliano volle inviare una sua letterina autografa, ben sapendo quanto le sarebbe tornato di gradimento questo suo tratto.
Desidero che la S. V. B.[60] sia la prima a ricevere comunicazione come il S. Padre in data quest'oggi alle 12 meridiane le manda per mezzo mio una speciale benedizione. Egli mi assicurò di pregare eziandio per la sua sanità e santità come nella mia pochezza fo io pure quotidianamente.
Dio ci benedica tutti e mi creda in G. C.
Una delle lettere anzidette è scritta in francese e indirizzata al conte di Villeneuve. Vi fa menzione del suo petit prieur nella festa dì Maria Ausiliatrice del 1881[61]. Impensierito delle difficoltà economiche, in cui si dibatteva la casa di Saint-Cyr, lo prega d'intendersi con i curati di La Cioat e di Aubagne, ai quali pure scrive, affinchè studino tutti insieme la maniera di porgere qualche aiuto[62].
Poichè le pratiche per i privilegi non sembravano tanto vicine a giungere in porto, Don Bosco il 14 maggio partì da Roma. Usò per il primo del biglietto a mezza tariffa, accordato recentemente ai Salesiani dalla Società delle ferrovie romane, la cui direzione risiedeva a Firenze. Per Firenze egli prese il treno in compagnia di Don Lemoyne e di Don Dalmazzo. Al Borghetto, stazione di Magliano Sabino, lo attendevano i chierici e i giovani di quella casa. Essendovi una fermata lunghetta, discese nella sala, dove il capostazione aveva permesso agli alunni di radunarsi; del che Don Bosco si affrettò a ringraziarlo, visitandolo. Dopo diede udienza ai giovani, i quali andavano da lui uno a uno. Alle undici si pranzò ivi stesso, e fu una gioia per tutti il vedere com'egli mangiasse con ottimo appetito.
Ma qui accadde uno spiacevole contrattempo. Alle dodici e qualche minuto doveva arrivare il diretto, che l'avrebbe portato a Firenze quella sera; così aveva avvertito il Direttore di là Don Confortòla. Ora, mentre aspettavano sulla banchina, ecco sopraggiungere un treno merci lunghissimo, che si arresta sul binario più prossimo alla stazione. Passano pochi istanti; ed ecco il diretto sul secondo' binario. Doveva sostare appena un minuto. Gli altri viaggiatori, che erano informati, attraversarono dinanzi alla macchina del treno merci e fecero in tempo. Don Bosco, circondato dai giovani che ingombravano il marciapiede, non si avvide di quella manovra e immaginandosi che il treno prima arrivato fosse [119] anche il primo a partire, non si mosse. Ma il fischio acuto di quell'altro lo avvertì del suo errore. Ormai non c'era più rimedio: bisognava aspettare fino alle otto. Il Santo si mostrò assai contrariato; tosto per altro rassegnatosi e rientrato nella sala, continuò ad ascoltare seminaristi e collegiali fino alle due, quando si rimisero in via per Magliano. Era la vigilia della festa padronale, a cui assisteva per la prima volta il nuovo cardinale vescovo Martinelli, succeduto al testè defunto Bilio, ed essi dovevano trovarsi ai primi vespri.
Come impiegare le altre sei ore? Rimasti soli, i nostri viaggiatori si ritirarono in un'osteria poco lontana, ritrovo di cavallari e di carrettieri. Faceva un caldo da soffocare. Don Bosco, non reggendo più dalla stanchezza e dolendogli assai le gambe, entrò in una stanzuccia per distenderle e riposare. Le aveva talmente gonfie, che ci volle della pena per aiutarlo a togliersi le calze metalliche. Levatasi quindi la veste, si sedette sul letto, ma dormire non potè. Com'ebbe dolorato un'ora e mezzo, s'alzò, a fatica si rivesti e a grande stento si rimise le calze. Era in uno stato di agitazione e spossatezza che impressionava. Don Dalmazzo afferrò un'idea: andò a cercare presso quei buoni borghigiani una tazza di caffè, che riuscì a trovare assai squisito. La calda e aromatica bevanda fu un provvidenziale ristoro. Riavutosi a poco a poco, il buon Padre s'intrattenne piacevolmente fino alle sette parlando dell'Oratorio e degli antichi suoi tempi.
Ripartito per Roma Don Dalmazzo e salutato da Don Daghero, che aveva fatto ritorno da Magliano, salì con Don Lemoyne sul diretto di Orte. Ma le peripezie di quella giornata non erano ancora finite. A Orte si doveva aspettare il diretto di Firenze dalle otto e mezzo fino ai tre quarti dopo la mezzanotte. Ad alleviargli però il disagio provvide il Signore. Mentr'egli, adagiato sur un sofà nella sala della stazione, cercava indarno il benefizio d'un poco di sonno, ecco sparire gli oggetti materiali che lo circondavano, e farglisi da presso l'angelico giovane Luigi Colle e tenere con lui un colloquio protrattosi [120] fino all'ora della partenza. Si parlò specialmente delle cose che Luigi gli aveva fatte vedere nel sogno sulle Missioni. Don Bosco alla fine manifestò il timore che la cattiva salute gl'impedisse di condurre avanti le opere intraprese; ma Luigi gli disse: - La sua cattiva salute? Domani vedrà! - Furono queste le sue ultime parole. Don Bosco, sparita la visione, stava meglio, tanto meglio che Don Lemoyne vedeva con meraviglia com'egli, montando in treno, apparisse quasi arzillo. Era il primo giorno della novena di Maria Ausiliatrice[63].
Giunsero a Firenze verso le sei, aspettati alla stazione dal Direttore di là e da quello di Lucca, Don Bensi. I giovani gli diedero il benvenuto al suo ingresso nella casa. Entrò subito in cappella a celebrare; poi occupò il resto del mattino a scrivere lettere. Nel pomeriggio i ragazzi cantarono un inno e lessero composizioni in suo onore; quindi fino a notte diede udienza a benefattori e benefattrici.
Il suo soggiorno a Firenze fu di breve durata; poichè la mattina del 16 si rimetteva già in viaggio per Bologna, dove arrivò verso le undici. Ricevette onorata e festosa ospitalità dall'arcivescovo monsignor Battaglini, quello che nel 1882 aveva già conosciuto Vescovo di Rimini[64]. Presso del medesimo trovò Don Rinaldi, che l'Arcivescovo stesso aveva chiamato appositamente da Faenza. Fra le due pomeridiane del 16 e le undici del 17 si succedettero numerosi i visitatori; poichè i più cospicui cittadini gli vollero parlare, e alla sua Messa nella cappella arcivescovile assistettero molte nobili signore.
Vennero proferite da Don Bosco in quell'occasione certe parole, che Don Rinaldi amava ricordare[65]. In una conversazione intima si discorreva dei Bismark. Il Gran Cancelliere tedesco, dalla forza delle circostanze costretto già a mitigare [121] il Kultur kampf e poi ad aprire negoziati con la Santa Sede, calcava la mano, pretendendo sempre da Roma più ch'ei non fosse abitualmente disposto a concedere. Tuttavia il giornalismo cattolico non lasciava di mettere in valore quella che allora si diceva andata a Canossa; alla lor volta per interessi politici gli organi officiali dell'impero, ad ogni atto di condiscendenza verso i cattolici, inneggiavano al Governo. Orbene Don Bosco pronunciò questa sentenza: - Certa gente, quando pare che protegga la Chiesa, fa come chi, offrendovi da sedere, vi porge una sedia rotta, sicchè invece di farvi sedere vi fanno cadere.
Sette ore di viaggio riportarono finalmente Don Bosco a Torino la sera del 17. Appena varcata la soglia dell'Oratorio, andò difilato nella chiesa, dove impartì la Benedizione eucaristica; poscia, attraversando il cortile pavesato di bandiere fra gli applausi frenetici dei giovani e le note della banda musicale, si recò nelle sue stanze. La gioia era tanto maggiore, perchè il visibile miglioramento della sua salute fece dileguare in un subito i timori da prima concepiti. Il dì appresso vi fu festa in chiesa, in cortile e nel refettorio. Fra i componimenti letti gli piacque soprattutto la corona delle comunioni, che si erano fatte per lui dai giovani durante la sua assenza.
Don Lemoyne dovette presto adempiere ancora due incarichi riferentisi al viaggio, fare cioè le scuse al Vescovo di Ventimiglia, il quale si lamentava che Don Bosco fosse passato due volte per la sua diocesi senza lasciarsi vedere da lui[66], e al Direttore delle ferrovie romane, che, passando per Firenze, non aveva potuto visitare e ringraziare del recente favore[67].
Non potremmo chiudere meglio questo capo, che riportando alcune riflessioni di Don Lemoyne, suggeritegli da ricordi del viaggio, su la memoria, l'ingegno e la cultura del Santo. Ecco quanto lasciò scritto l'ottimo segretario. [122]
É mirabile cosa il vedere come D. Bosco nonostante la sua avanzata età di 69 anni entri in ogni questione e sappia dire la sua parola opportuna. La sua memoria ora è molto indebolita, eppure si può arguire quale fosse il suo sapere nell'età fiorente. Se un giovane antico si presenta a lui, fra le tante migliaia che furono all'Oratorio (pochi anni fa li riconosceva tutti) o ne ricorda ancora il nome o, fattoselo dire, la maggior parte delle volte ne sa ancora il paese, e quindi rammenta quanto accadde a quel giovane nell'Oratorio e mille piccoli aneddoti. In quest'anno ne incontrò uno che aveva vissuto con lui nel 1846 e gli chiese notizie di un suo fratello che era allor pure nel convitto, chiamandolo per nome, e di sua madre, che era vedova.
Se D. Bosco incontra medici, di qualunque malattia parlino, esso ne conosce le cause, il corso, le crisi e le principali medicine.
Se entra a ragionare di lingua greca, non gli mancano testi di autori da sciorinare agli uditori.
Se si parla d'autori italiani o latini, D. Bosco non manca di ripeterne dei brani a memoria. Specialmente di Dante sono interi i canti che recita correntemente.
A Roma a pranzo con l'avv. Menghini, professore dottissimo di ebraico, si viene a parlare di questa lingua e cade il discorso su quel tratto dell'Ecclesiastico: “Vi sono tre cose che io non so, ed una quarta che penitus ignoro: viam viri in adolescentia sua ”. - Nell'ebraico corrisponde, diceva Menghini, a frase che indica il miracolo della generazione. Quindi in ebraico invece di adolescentia si legge adolescentula, alma coll'a piccola e non coll'A maiuscola, che vorrebbe dire vergine, veramente titolo che si dà alla Madonna solamente: Alma circumdabit virum. E D. Bosco all'improvviso uscir fuori col testo integro ebraico, che vien ripetuto da Menghini colla stessa pronuncia.
Si trova D. Bosco a Sampierdarena ed ecco viene alle frutta Parodi, capitano di corvetta, ed entra il discorso sul modo di far sollevare una nave calata a fondo nel mare. E D. Bosco entra a specificare quando è possibile e quando non è possibile ovvero non utile questa operazione. E quando è possibile, i tre sistemi colle loro difficoltà e i modi, e quale di questi tre sia da preferirsi. Simile erudizione navale fece stupire tutti, poichè era inaspettata.
Così parlando di armi antiche e moderne, di astronomia, ecc.
Se poi si trattava di storia, allora era nel suo forte. In qualunque punto di questa si prendesse, specialmente se ecclesiastica, esso non solo entrava nei particolari, ma citava gli autori che ne avevano scritto, e non un sol nome, ma molti.
Insomma avea un po' più che una nozione di un grandissimo numero di scienze.
Questi fatti avvennero nel viaggio di andare o tornare da Roma. [123]
D. Bosco narrava poi con mirabile erudizione la storia dei telegrafi, della magia, dell'architettura, della stampa, delle lettere, dei numeri arabici e romani ed è cosa piacevolissima udirlo parlare.
Il tripudio suscitato dal suo felice ritorno raddoppiò nell'Oratorio l'ardore per i preparativi della festa di Maria Ausiliatrice, mentre le voci correnti circa il suo cattivo stato di salute valsero ad attirare più numerosi del consueto alla grande solennità gli amici e ammiratori del Santo.
NELL'UDIENZA cotanto memorabile del 9 maggio Don Bosco, poco prima di ricevere con Don Lemoyne e Don Daghero la benedizione, aveva detto con sentimento di umiltà e confidenza al Papa: - Padre Santo, non abbiamo ancora avuto la consolazione di avere la firma di Vostra Santità. Ci voglia consolare! - Una firma più d'ogni altra invocava il Salito con quelle insinuanti espressioni: la firma da apporre al decreto per la concessione dei privilegi, pensandosi di ottenerlo per Breve. Quanto più sentiva avvicinarsi la fine della sua mortale carriera, tanto più gli premeva di dare così l'ultima mano alla sua Congregazione, mettendola a paro con le altre approvate dalla Chiesa e somministrandole uguali mezzi per fare il bene nel mondo. Allorchè decise di recarsi a Roma, era questo l'intendimento che stava in cima a' suoi pensieri.
Non aveva però rimandata fino a quell'ora la ripresa della pratica: nonostante il travaglio delle infermità da circa tre mesi aveva ricominciato a occuparsi seriamente della cosa. Dopo tanti anni di studi e di trattative possedeva ormai più che sufficiente conoscenza della materia; eppure in quest'ultima fase dovette ripigliare da capo tutto il lavoro e persistere nell'opera anche di fronte a brutte sorprese, che avrebbero abbattuto il coraggio e la costanza di chi non fosse stato della [125] sua tempia. Ben a ragione Pio XI al Rettor Maggiore Don Ricaldone che gli offriva in questo mese di aprile 1934 il prezioso reliquiario contenente una vertebra del Santo, disse: - Eh, sì, Don Bosco aveva spina dorsale a differenza di tanti altri che non ne hanno.
Si accinse all'impresa fino dal gennaio. Stesi in carta i motivi per cui chiedeva quei favori e delineatane bene la portata, ne mandò copia al Cardinale Protettore e al Cardinale Arcivescovo, pregandoli di esaminare il tutto e di dare il loro parere. I due Porporati si pronunziarono favorevolmente. Allora inviò la sua supplica al Santo Padre, unendovi il promemoria mandato ai due Cardinali e premettendovi un breve chiarimento in lingua latina[68]. Nella supplica diceva:
Umilmente prostrato ai venerati piedi di V. S. imploro una segnalata grazia per la Pia Società di San Francesco di Sales. Il Sommo Pontefice Pio IX vostro glorioso antecessore prese a beneficare questa Congregazione fin dai suoi principii. Ne tracciò le Costituzioni nel 1858; la commendava nel 1864, la approvava nel 1869 e la graziava della specifica e definitiva approvazione delle Costituzioni il 3 aprile 1874.
Di poi la arricchì di vari favori spirituali, dei quali alcuni essendo ad tempus, altri vivae vocis oraculo, ne seguirono in pratica non leggere difficoltà. Tali difficoltà furono appianate dalle altre Congregazioni Ecclesiastiche mercè la comunicazione dei Privilegi.
Il sopra lodato Pontefice Pio IX stava per concedere questo segnalato favore, quando a Dio piacque di chiamarlo a sè.
Ora permettetemi, o Beatissimo Padre, di dare un cenno sulla comunicazione dei Privilegi e sulle cagioni speciali, che mi muovono a supplicare per ottenerli.
Nel “cenno sulla comunicazione dei privilegi ” dimostrava come da tre secoli i Sommi Pontefici solessero concedere privilegi per communicationem tanto agli Ordini religiosi di voti solenni che alle Congregazioni Ecclesiastiche di voti semplici. Infatti Leone X accordò la vicendevole comunicazione dei privilegi a tutti gli Ordini mendicanti; Clemente VII ai Teatini [126] comunicò tutti i privilegi e favori spirituali concessi o concedendi ai Canonici Regolari; e più tardi ai Religiosi della Regolare osservanza i privilegi e le grazie spirituali di qualunque Ordine religioso. Nello stesso secolo XVI le Congregazioni di voti semplici, sebbene avessero ottenuto per concessione diretta parecchi privilegi, pure, affinchè vigesse per tutte una medesima regola, si cominciò a concedere loro anche i privilegi degli Ordini religiosi, come fecero Paolo IV e S. Pio V con i Teatini. Nel secolo seguente Urbano VIII usò eguale benignità con i Preti della Missione; e così dicasi di altri Pontefici verso i Gesuiti, i Chierici Regolari della Madre di Dio, i Pii Operai, i Ministri degli Infermi, l'Oratorio, i Fratelli della Dottrina Cristiana, i Passionisti, i Redentoristi e da ultimo agli Oblati di Maria nel 1826 e all'Istituto della Carità nel 1838. Con questo mezzo i Papi mirarono a onorare e favorire istituzioni che, strettamente unite alla Santa Sede, esercitavano nella Chiesa un largo e fecondo apostolato[69].
“Sulle cagioni speciali che lo movevano a supplicare per ottenere ” i privilegi Don Bosco si esprimeva a questo modo:
I motivi speciali per cui si fa questa umile preghiera per la Congregazione Salesiana sono:
I° Essa è affatto destituita di mezzi materiali, perciò abbisogna di molta indulgenza e di molti aiuti spirituali, affinchè possa conseguire il suo fine.
2° Questa Congregazione ebbe principio e si andò consolidando in tempi burrascosi, in cui tuttora ci troviamo; non ostante potè crescere, aprire Ospizii, Collegi, piccoli seminarii in varie diocesi d'Italia, di Francia, di Spagna, nel Brasile, nell'Uruguay, nella Repubblica Argentina e fra gli stessi selvaggi delle ultime regioni dell'America Meridionale. In questa calamità di tempi, diversità di Paesi, in questa distanza grande degli uni dagli altri specialmente in mezzo ai selvaggi, se i soci Salesiani dovessero ricorrere alla S. Sede nei dubbi e nelle facoltà che loro tornano indispensabili, sarebbe cosa sempre difficile e non di rado impossibile.
3° La tristezza dei tempi fa che certe autorità civili vedano di mal occhio il frequente ricorso alla Santa Sede, anzi avvenne più volte che [127] vollero che fossero consegnati Decreti e Brevi di concessione, che non si poterono più riavere.
4° L'umile esponente poi desidera di impiegare quel po' di vita, che a Dio piacerà ancora concedergli, nel regolare le varie case, e uniformare tutti quelli che ne hanno la direzione a servirsi de' Privilegi con prudenza e parsimonia e solamente nei casi in cui chiara appaia la maggior gloria di Dio, e il vantaggio delle anime.
5° Il numero delle case già aperte e molte altre che ogni dì si aprono, rendono ognora più difficile l'uso dei Privilegi senza una regolare concessione dei medesimi.
Infine rispondeva con la massima semplicità a quattro “osservazioni ” che da taluni si sollevavano contro nuove concessioni di privilegi.
Intorno alla comunicazione dei Privilegi alcuni vollero osservare che tali concessioni:
1° Possono dare causa a questioni.
2° Turbare l'armonia e la pace cogli Ordinarii.
3° Accordare Comunione di Privilegi ad Istituti che ai medesimi non convengono.
4° La Congregazione Salesiana è da poco tempo approvata.
I° Al primo: Se queste concessioni fossero nuove, potrebbero essere cagione di questioni; ma i Privilegi che si vanno comunicando dagli uni agli altri da oltre a trecento anni; che furono costantemente studiati, interpretati, e praticati in modo uniforme e secondo lo spirito della S. Sede, sembrano doversi dire piuttosto un vincolo di unione, di uniformità, e quindi escludere ogni motivo di questioni.
2° Al secondo: Nemmeno pare turbare la pace cogli Ordinarii, perciocchè in pratica i Vescovi ed i Parrochi conoscono già i Privilegi degli Istituti approvati dalla Chiesa e nei nostri paesi cagionerebbe meraviglia il vedere che un Istituto goda maggiori o minori favori degli altri. Anzi i Privilegi essendo atti che altamente onorano la suprema autorità del Pontefice, e fanno palese il pieno suo gradimento verso di una istituzione, farebbe supporre una Congregazione non definitivamente approvata, se dalla S. Sede non è graziata dei medesimi Privilegi che godono le altre.
Un rispettabile Ordinario non si potè mai indurre a credere che la nostra Congregazione fosse definitivamente approvata perchè non gli constava che godesse dei Privilegi dei Ministri degli Infermi, dei Preti della Missione, degli Oblati di Maria. Per queste ragioni la Congregazione Salesiana ha dovuto sostenere molti disturbi ed avere non leggeri danni materiali e morali che incagliarono gravemente il progresso [128] della medesima che forse avrebbe già potuto duplicare il numero delle case, dei religiosi e degli allievi.
3° Al terzo: Nemmeno sembra potersi dire che con tale Comunicazione ai Novelli Istituti si concedano favori non opportuni. Imperciocchè in tali concessioni si intendono sempre le clausole: Dummodo Institutis eorum conveniant, ac Regulari Observantiae non sint contraria. Si aggiunga ancora che tali favori potendosi esclusivamente concedere dalla S. Sede, la medesima può modificarli ed anche rivocarli ogni volta scorgesse tornare di maggior bene a coloro cui furono concessi.
4° Al quarto. È vero che la definitiva approvazione delle Costituzioni della Pia Società di S. Francesco di Sales è soltanto del 3 aprile 1874, ma la sua esistenza e la pratica delle sue Costituzioni rimontano al 1841. D'altro canto è già cresciuta in buon numero come quella che conta già circa a mille quattrocento religiosi, cento sessantasei case in cui hanno cristiana educazione oltre a 150 mila tra giovanetti e adulti. Nei tempi passati all'approvazione per lo più seguiva quasi subito la Comunicazione dei Privilegi. Gli Oblati di Maria ottennero tale Comunicazione pochi giorni dopo la loro approvazione.
Dato così un cenno sulla Concessione dei Privilegi, rinnovo umile preghiera, supplicando V. S. a compiere questo atto di somma clemenza e concedere alla Congregazione Salesiana la Comunicazione dei Privilegi colla Congregazione degli Oblati di Maria di Torino, le cui Costituzioni e scopo sono quasi identici alle Salesiane.
Il Rescritto col quale S. S. Leone XII di felice memoria, accordava quel favore è del tenore seguente:
“Ex audentia SS.mus Congregationis introscriptae Superiorem Generalem, et Oblatos specialibus favoribus, et gratiis prosequens, omnia et singula indulta, privilegia, indulgentias, exemptiones et facultates Congregationi SS.mi Redemptoris concessa iisdem Oblatis eorumque Ecclesiis, Capellis et domibus benigne communicat, extendit, atque in perpetuurn elargitur cum omnibus, clausulis et decretis necessariis et opportunis.
Sacrae Congregationis Episcoporum
Tutti i Salesiani rappresentati dal loro Rettore si prostrano supplicanti ed invocano il più volte sopra nominato favore mentre a nome di tutti invoco l'Apostolica Benedizione.
Umil.mo ed Obbl.mo Supplicante
Sac. GIO. BOSCO Rettore. [129]
Il cardinale Alimonda “con vera soddisfazione dell'animo ” suo confermava per iscritto la verità dei motivi esposti dal Santo e lodava nella sua Congregazione l'esemplarità della disciplina e il gran bene operato, aggiungendo di proprio un nuovo argomento circa l'opportunità della domandata concessione: essendo cioè nella città e diocesi torinese dispersi i religiosi degli altri Ordini, importare grandemente che si desse prosperità e fermezza a una Congregazione la quale, mentre riparava a tante perdite, aveva il vantaggio di sfuggire ai colpi delle leggi civili[70]. Una raccomandazione a parte egli fece nel contempo al Cardinale Protettore, dal quale ricevette la seguente risposta.
Em.mo e Rev.mo Signor mio Oss.mo,
Ho ricevuto il ven.mo foglio dell'Eminenza Vostra del 4 corrente col quale si compiace Ella di raccomandarmi pel buon esito la domanda del Rev.mo D. Bosco relativa ai privilegi per la sua Cong.ne, e per la quale il prelodato Sacerdote mi avea già diretta una apposita testimoniale. Io ringrazio senza fine l'Eminenza Vostra per tanta bontà di avermi somministrato un valido appoggio a riuscire nell'intento; e giovedì prossimo se le mie condizioni sanitarie mel permetteranno, mi propongo tenerne seriamente proposito con Sua Santità, ed indurlo a superare le difficoltà estrinseche che fin qui disgraziatamente si sono opposte da chi meno si dovrebbe. Nè vorrò tacere a Sua Santità che ove si credesse di persistere nel rifiuto, io mi vedrei obbligato ad accettare la mia dimissioni da Protettore della benemerita Congregazione per non sembrare di essere in qualche modo connivente, od indifferente ad un ripudio che non ha altro movente che nell'arbitrio
Intanto La prego a non dimenticarsi di me nelle sue orazioni assicurandola della mia fedele corrispondenza e della mia inalterabile venerazione e stima, in quella che baciandole umilissimamente le mani passo a raffermarmi
Umilissimo Devotissimo Servitor vero
Spediti a Roma i documenti suddetti, Don Bosco rivolse i suoi pensieri al suo viaggio in Francia, confidando che, [130] quando fosse di ritorno, la pratica avrebbe già fatto del buon cammino; ma le cose andarono in senso inverso della sua aspettazione, sebbene due notizie liete venissero a rallegrarlo, la prima sul punto di lasciare la Francia e l'altra nell'avviarsi alla volta dì Roma.
Gli fu portata la prima notizia dalla contessa di S. Marzano, allorchè egli si trovava nuovamente a Nizza per rientrare in Italia. L'ottima cooperatrice salesiana, che nel frattempo era stata a Roma, aveva detto al Papa nell'udienza concessale: - Santo Padre, le chiedo una benedizione speciale anche per Don Bosco.
- Come? conosce Don Bosco di Torino? Dove si trova presentemente? dov'è?
- L'ho lasciato a Nizza Marittima.
- Come sta de' suoi occhi? come sta delle sue gambe? Gli dica che si abbia cura e che risparmi le sue forze... Don Bosco ci ha fatto chiedere molte cose: cose serie e difficili a ottenersi. Ma gli concederemo tutto!
La Contessa, riferendo questo dialogo, non sapeva a che alludessero le parole del Papa, perchè il Pontefice non si era spiegato maggiormente ed ella non aveva avuto l'ardire di fare interrogazioni. Ma Don Bosco capì benissimo, che il Papa intendeva parlare dei privilegi e che, così dicendo a quella signora, non ignorava che essa avrebbe veduto il Santo e gli avrebbe riferito tutto; non è quindi inverosimile che volesse fargli giungere per quella via l'assicurazione della sua volontà disposta a favorirlo.
E così appunto l'intese Don Bosco, il quale: - Buon segno, disse quando fu solo con i suoi figli, buon segno! Speriamo che questa volta otterremo quello che da tanti anni forma l'oggetto di tutti i miei pensieri. Per riuscire e ottenere questi privilegi ho perseverato, tentato, ritentato ogni strada, ho subìto umiliazioni e ripulse; ma nulla al mondo ci deve sgomentare. Si poteva desistere, ma non volli Era per essi [cioè in servizio di coloro che a Roma hanno in mano le redini], [131] per la Chiesa e non per me; era per il bene delle anime; era per lasciare alla mia morte consolidata la nostra Congregazione, la quale in buona sostanza appartiene alla Chiesa. Allorchè sembrava perduta ogni speranza di riuscita, avrei potuto dire: Lasciamo un po' stare, ci pensino essi. Ma no. Bisogna che fino all'ultimo facciamo tutte le nostre parti, niente lasciando d'intentato. Per cogliere le rose, si sa, s'incontrano le spine; ma con le spine vi è sempre la rosa. Quando presentai la mia supplica a Pio IX e si trattò dei privilegi, il Sommo Pontefice era molto contento. Monsignor Vitelleschi sembrava favorevole. Prometteva, assicurava tutto il suo appoggio, cosicchè io confidava pienamente in lui ritenendo certo il risultato dell'affare. Ma quando poi si radunò la Sacra Congregazione, Vitelleschi si, mostrò così risolutamente contrario, che tutti i Cardinali, prima a noi favorevoli, votarono negative[71].
La seconda notizia, recatagli da Don Dalmazzo a Sampierdarena, sembrò dovergli togliere ogni timore dal lato più malagevole. È noto come il più energico oppositore alla concessione dei privilegi fosse il cardinale Ferrieri, al quale, perchè Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, spettava d'ufficio la trattazione di tutto il negozio[72]. Ora avvenne che questo Eminentissimo il 25 marzo ebbe un assalto di paralisi che lo prostrò e mentre versava in pericolo della vita, si mostrava propenso a cedere su quei benedetti privilegi, qualora fosse guarito. Nei primi giorni la singolare coincidenza di quel 25 marzo dovette tenerlo alquanto sopra pensiero. Il fatto è che mandò più volte ad avvisare il Procuratore che presentasse presto un elenco specificato dei privilegi che si desideravano. Don Bosco, più positivo di Don Dalmazzo: - Può darsi, osservava, che Ferrieri sia spinto a cedere più dalle lettere del cardinale Alimonda che dal suo male... [132]
Certo, specificare singolarmente i privilegi, è una fatica delle più improbe. - Dopo due sole ore di fermata Don Dalmazzo ripartì per Roma, dove di lì a non molto smorzò il suo ottimismo; poichè l'illustre infermo, per il quale Don Bosco aveva ordinato preghiere, appena scomparso il pericolo, tornò ad allegare i soliti motivi per il solito rifiuto. Egli portava radicato nell'animo il convincimento che la Congregazione di Don Bosco non sarebbe potuta sopravvivere al suo Fondatore.
Il cardinale Nina, come aveva promesso, perorò con zelo la causa di Don Bosco dinanzi al Santo Padre, secondochè egli medesimo riferì a Don Dalmazzo. - Padre Santo, gli aveva detto, perchè non concedere questi privilegi anche a Don Bosco? È forse il suo istituto differente dagli altri? Ora se tali privilegi agli altri sono concessi, perchè non concederli a questo? A che dunque costituirmi Protettore di questa Congregazione, se la mia protezione è così negletta? Se la Congregazione Salesiana non si merita questi privilegi come tutte le altre, mi si dica quali demeriti siano in essa, chè io interverrò a correggere; ma se è diversamente, e pur non si vogliono concedere, io sono stanco di chiedere sempre e non ottenere mai nulla. I Salesiani avrebbero ragione di accusarmi di noncuranza per i loro affari, ovvero di credere che io nulla possa presso Vostra Santità. Quindi io rinunzio al titolo di Protettore, poichè a nulla giova! E lo non intendo più occuparmi di tali cose.
- Ma no, rispose il Papa, non dite questo. Io desidero fare il bene dei Salesiani; io desidero favorirli. Abbiate, pazienza. Vedete quanto sono oppresso dagli affari.
- Dunque mi raccomando a Vostra Santità: si compiaccia di dar corso alle carte che le consegno.
Se non che, tornato un altro giorno per parlarne al Santo Padre e chieste quelle carte, non si trovarono più in alcun luogo. Il segretario o cameriere che fosse le aveva tolte via e gettate nel cestino della cartaccia, e all'arrivo del Santo erano [133] sparite. Bisognò quindi rifare il lavoro con perdita notevole di tempo. Tuttavia parve sulle prime esserci un nuovo filo di speranza; poichè il Cardinale Prefetto per il motivo della salute era allora dispensato dalle sue occupazioni e gli affari dipendevano solamente dal segretario monsignor Masotti, che andava all'udienza invece del suo superiore e si dichiarava benevolo; nulla per altro faceva senza interrogare Ferrieri, Trasmesse dunque le nuove carte, nelle quali si chiedevano i privilegi per communicationem, alla Sacra Congregazione con ordine del Papa che si esaminassero, Don Bosco per tutta risposta si vide capitare una partecipazione, in cui gli si diceva che un Breve di Pio IX aveva abolita questa maniera di dare i privilegi; essere perciò indispensabile una domanda particolareggiata dei singoli privilegi, dei quali si credeva aver bisogno.
Sofferente nel corpo per le sue indisposizioni e oppresso nella mente da tante brighe, Don Bosco fece di necessità virtù, sobbarcandosi da capo a questo sforzo di ricerca per umiliare poi l'elenco al Santo Padre e supplicarlo che si degnasse di darvi corso. Come Dio volle, si giunse alla fine; almeno così pensava il Santo. Ma la sera del I° maggio ecco una lettera ufficiale secca secca di Sua Eminenza Ferrieri, il quale chiedeva che ai singoli privilegi domandati si unissero le date dei Brevi, i nomi dei Pontefici che li avevano concessi e le indicazioni degli Ordini religiosi che ne fruivano. Un'altra faticaccia da non si dire! Venne, come soleva fare con frequenza, l'avvocato Eleonori a visitare Don Bosco per assicurarlo che, nonostante quel contrattempo, i privilegi gli sarebbero accordati.
- La mia testa non regge più, esclamò Don Bosco, e sarò costretto a rinunziare ai privilegi. Ne domanderò solo uno o due dei più essenziali e quindi me ne ritornerò a Torino. Se me li vogliono concedere, bene; se no, pazienza. Continueremo come abbiamo fatto finora.
- Stia tranquillo, gli ripeteva l'avvocato, vedrà che otterremo [134] tutto, glielo prometto io. E se lei non regge a questa fatica, cercheremo noi i Brevi e le citazioni.
Si deliberò pertanto di scrivere a Don Berto, che spedisse subito gli elenchi dei privilegi goduti dagli Oblati di Maria, dai Redentoristi e dai Signori della Missione. Giunti questi elenchi, Don Bosco e Don Lemoyne si misero a sfogliare nei volumi per trovare i privilegi chiesti, le relative date e tutto il rimanente. Don Bosco vi attese più giorni, anche Don Dalmazzo vi lavorò una notte intera; finalmente si tracopiarono privilegi e citazioni, e fu presentato il tutto a monsignor Masotti[73].
In mezzo a tante angustie Don Bosco scrisse al cardinale Alimonda una lettera, dalla quale traspaiono il suo accoramento e la sua rassegnazione[74].
I nostri timori divennero realtà. L'affare dei privilegi andarono tutti nelle mani del Card. Ferrieri, che ieri fece la risposta, scritta dicendo che non si possono quelli concedere senza che ciascuno sia corredato dei documenti autentici con cui sono stati accordati e a chi sono stati accordati. Dopo questo sì farà una scelta dei richiesti privilegi, e si esaminerà quali concedere e quali non. Ciò vuol dire che io debbo mettere per ora il cuore in pace e non parlare più di tale domanda. Intanto è scaduto il tempo della facoltà delle dimissorie ed io dimanderò al S. Padre che almeno questa mi sia confermata. A Pasqua non ho potuto presentare alcuno per le ordinazioni, forse nemmeno a Pentecoste.
Malgrado ogni mia insistenza non ho potuto avere l'udienza dal S. Padre da 20 giorni che sono a Roma.
Il Card. Nina è a giorno di ogni cosa. É cruciato. Le scriverà egli stesso.
Noi eravamo intesi, che era inutile fare nuove istanze a questo proposito fino a tanto che le cose cadevano nelle mani del C. Ferrieri ed ora ci siamo. [135]
La mia sanità va stentarellando; spero di poterla riverire personalmente quanto prima e potermi alquanto confortare.
Con somma venerazione dimando la santa benedizione Sua mentre con gratitudine grande mi professo
Il buon Cardinale gli rispose sollecito e cordiale:
Ho ricevuto la sua lettera in data 3 corrente mese, e non ritardo a manifestarle i sensi del mio vivo dispiacere. Immagino quanto per tal fatto debba soffrire il cuore di Lei... Coraggio, caro D. Giovanni. Dio ci sottopone a durissime prove per maggiormente consolarci: dopo il tempo del combattimento verrà il giorno della vittoria.
Quantunque io sappia che Ella fa molto bene in Roma, tuttavia Le raccomando di venir presto a Torino dove sarò lieto di vederla e di abbracciarla come faccio ora in ispirito professandomi di vero cuore
Affezionatissimo come fratello
Con i suoi amici Don Bosco il 2 maggio aveva espresso nuovi timori. - Io vedo, disse, qual è il disegno di Ferrieri. Egli ha protestato che Don Bosco non avrebbe mai ottenuto i privilegi; quindi ora negarli non vuole, perchè il Papa dice di volerli concedere, ma temporeggerà. -Gl'intoppi all'udienza pontificia sembravano giustificare queste previsioni; ma dopo l'udienza le cose cambiarono. Subito la sera del 9 il cardinale Nina, desideroso di conoscerne l'esito, visitò Don Bosco e gli narrò come il giorno innanzi Sua Santità si fosse fatte leggere da lui le commendatizie dell'Alimonda e poi la supplica di Don Bosco unita alla nota dei privilegi. - Mi piace il latino di Don Bosco, aveva detto il Papa. Non è ciceroniano, ma forbito e semplice. - Tutto questo manifestava già nel [136]
Papa le buone disposizioni, che luminosamente si appalesarono poi nell'udienza, fino a concedere che in attesa del decreto formale continuasse Don Bosco a rilasciare le dimissorie.
E il famoso Breve di Pio IX contrario alla concessione dei privilegi per communicationem? Questo Breve diede luogo a una scenetta abbastanza gustosa, di cui non vogliamo defraudare i lettori. In giugno Don Dalmazzo dovette presentarsi all'Uffizio della Congregazione dei Vescovi e Regolari. C'erano parecchi Monsignori, fra i quali Trombetta sottosegretario, Boccafogli coadiutore dell'uditore -De Luca e il segretario Masotti. Venutosi a parlare del Breve, con cui Pio IX si diceva che avesse proibito i privilegi per communicationem, quegli officiali non nutrivano il menomo dubbio su la realtà e il tenore del documento. Ma Don Dalmazzo: - Mi perdonino, disse; Loro sono in errore quel decreto non esiste.
- Come non esiste? Vuol negare un fatto conosciuto da tutti?
- Ebbene con lor buona venia io affermo che non esiste.
- No, lo dice Don Bosco, e Don Bosco in queste cose fa testo, perchè ha studiato bene la materia.
- Oh questo poi!... Che Don Bosco faccia testo, non ci sembra.
- Sì, o signori, e quando Don Bosco parla su questi argomenti, non erra, perchè conosce a fondo decreti e tutto.
- Sarà; ma in questo caso la sbaglia grossamente Don Bosco... È certissimo ... Non c'è questione... Mi sembra l'anno 1848... No, è il 1852 ... Veramente non mi ricordo più... Ma però il decreto c'è Oh, c'è sicuramente... Non ci può essere dubbio.
Queste affermazioni correvano dall'uno all'altro, ma Don Dalmazzo non disarmava.
- Mi scusino, ripigliò; trattandosi di cose sì importanti, bisogna essere positivi e indicare dove stia questo decreto e citarlo con la sua data precisa. Dove l'hanno letto? [137]
Gl'interlocutori si guardarono in faccia. Nessuno l'aveva mai letto; tutti ne avevano udito parlare, ma senza prendersi la briga di ricorrere alla fonte. Don Dalmazzo cominciava a cantare vittoria in nome di Don Bosco; ma uno saltò su e disse: - È presto fatto a verificare. Andiamo a prendere la Collectanea, dove il Breve indubbiamente c'è.
Collectanea in usum Secretariae S. C. Episcoporum et Regularium è il titolo d'una raccolta di decreti emanati da questa Congregazione; la compilò il già Segretario e poi Cardinale Prefetto della medesima Andrea Bizzarri, immediato predecessore del Ferrieri.
Si andò dunque a prendere il volume, e cerca e gira e sfoglia, ma del Breve non sì rinveniva traccia. Presero indici, esaminarono, e nulla di nulla. Si dovette concludere che Don Bosco aveva ragione. Egli sapeva pure donde fosse nata la leggenda. Verso il 185o la Sacra Congregazione, venuta a conoscere che i Redentoristi facevano uso di certi privilegi, avuti forse per communicationem, tentò con un decreto di toglierli; ma i Redentoristi si appellarono e il decreto fu annullato. Questa sentenza produsse gran rumore in Roma; onde la Congregazione per tagliar corto stabilì che d'allora in poi non avrebbe più permesso la concessione dei privilegi in quella forma. Da tale risoluzione privata non sanzionata mai da atto pubblico, ma rimasta sempre negli uffici, ebbe origine l'erronea opinione del Breve di Pio IX, Don Bosco, e si comprende il perchè, sebbene non ignorasse il vero, tuttavia non aveva giudicato prudente nel corso delle trattative contestarne l'esistenza.
Quanto abbiamo narrato, accadde dopo che Don Bosco aveva dovuto lasciare Roma senza poter venire alla conclusione.
Ritorniamo a Leone XIII. La promessa da lui fatta a Don Bosco fu senza indugio tradotta in atto. Venuto all'udienza monsignor Masotti, il Papa gli disse: - Desidero che siano concessi a Don Bosco i privilegi. [138]
- Sa bene Vostra Santità che chi si oppone è il Cardinale Prefetto.
- Guardate voi in che modo possiamo contentare Don Bosco.
- Farò di riuscirvi secondo il desiderio di Vostra Santità.
Succedette una minaccia di dimissioni da parte del Prefetto; ma il Papa gli raccomandò di riflettere. Il giorno io monsignor Masotti informò che il Santo Padre aveva deciso di concedere i privilegi ai Salesiani per communicationem con gli Oblati di Maria; si cercasse quindi copia del decreto di concessione, e il Procuratore degli Oblati prestasse giuramento che quei privilegi non erano nè scaduti nè annullati. Ciò udito, Don Bosco disse: - Se concedono questo, concedono molto più di quello che si domanda. Ma lì sotto potrebbe celarsi qualche sotterfugio per complicare la pratica. Monsignor Masotti, che ora ha il disbrigo degli affari e va regolarmente all'udienza, perchè non fa nulla senza chiedere consiglio al Ferrieri? Potrebbe presentare al Papa un Breve di poche righe, che sarebbe subito firmato. Il Papa stesso ha suggerito questo mezzo. E poi gli Oblati vorranno rendere ostensibili i loro privilegi? Tutti gli Ordini sono gelosi di non farli conoscere ad altri. E se inoltre qualche privilegio fosse realmente scaduto? - Nondimeno prese ad agire personalmente e con sollecitudine. I giorni II, I2 e I3 di maggio Don Bosco li passò in consultazioni con l'avvocato Eleonori e con vari Monsignori suoi amici, battendo sempre sul punto della volontà dichiarata del Papa. Fatte indagini negli archivi della Congregazione dei Vescovi e Regolari, si trovò solamente un Breve, che comunicava i privilegi dei Passionisti agli Oblati; ma egli riuscì ad avere nelle mani l'elenco dei privilegi di questi ultimi. Ormai non restavano più che le pratiche d'ufficio, ed egli credette di poter lasciare Roma; tanto più che in queste faccende a Roma non si suole aver fretta.
Da Torino però studiava il modo di sollecitare l'effetto delle promesse papali, tenendosi in corrispondenza con monsignor [139]
Masotti e spronando il Procuratore. Un mese dopo la partenza da Roma rinnovò la supplica ai Papa. In essa, ripetute le parti essenziali della precedente, aggiungeva la domanda esplicita che fossero comunicati ai Salesiani i privilegi concessi da Leone XII agli Oblati di Maria Vergine, i quali alla loro volta avevano avuti per comunicazione quelli dei Redentoristi[75].
Nell'adunanza capitolare del 27 giugno Don Bosco potè annunziare essere stato steso il decreto dei privilegi per comunicazione non più con gli Oblati, ma con i Redentoristi; il decreto, visto e letto da Don Dalmazzo, contenere magnifici elogi della Congregazione Salesiana; esservi compresa l'esenzione dalla giurisdizione vescovile; altro non mancare al decreto se non la firma del cardinale Ferrieri, il quale però aveva detto che, se il Papa così voleva, egli se ne lavava le mani.
Ma perchè non più la comunicazione con gli Oblati? Vi era stato un retroscena dilatorio, riuscito però a vantaggio di Don Bosco. In un primo tempo il segretario Masotti, non certo di suo capo, aveva negata, presente Don Bosco, l'esistenza stessa degli Oblati; ma gli archivi diedero la risposta. Allora viste le insistenze del Papa perchè la si finisse una buona volta con gl'indugi, monsignor Masotti osservò al Santo Padre che gli Oblati non avevano privilegi particolari, ed era vero, come abbiamo accennato or ora.
- E con questo? ribattè il Santo Padre. Fate un decreto simile a quello che essi hanno.
- Ma gli Oblati non hanno che la comunicazione con i Redentoristi.
- Ebbene, voi fate un decreto che comunichi ai Salesiani i privilegi dei Redentoristi.
La resistenza non poteva essere spinta più oltre. Si domandarono tutti i libri dei loro privilegi ai Redentoristi; ma ci volle tempo, perchè il Generale era assente. Ritornato che fu, essendo affezionatissimo a Don Bosco, ne diede subito copia. [140]
Monsignor Segretario si mise prontamente all'opera e perchè il Prefetto non potesse muovere obbiezioni, stese il decreto, che concedeva genericamente ai Salesiani tutti i privilegi dei Redentoristi, senza indicarne veruno in particolare. Il decreto così redatto conteneva quegli elogi della Congregazione, dei quali Don Bosco aveva parlato ai capitolari; ma il Ferrieri, quando lo lesse, diè di piglio alla penna e li cancellò di netto, facendo aggiungere il periodo, col quale si toglievano alla Congregazione tutte le concessioni e privilegi dati ad tempus o per iscritto o vivae vocis oraculo. Clausola superflua, perchè tali favori erano già scaduti. Così asciutto asciutto il decreto venne spedito a Torino[76].
Erano le sei pomeridiane del 9 luglio, quando in piena serenità di cielo scoppiarono a brevissimo intervallo sull'Oratorio quattro fulmini, accompagnati da tali rombi di tuono che l'Oratorio intero traballò come se dovesse crollare. Tutti in casa rimasero esterrefatti. Chi scappava di qua, chi di là; alcuni corsero a rifugiarsi presso l'altare di Maria Ausiliatrice. Un giovane che portava dei libri, per la scossa e il fragore precipitò giù da una scala che mette nelle stanze sopra la chiesa. L'ultimo schianto fu qualche cosa di terrifico. Don Bonetti, infermo a letto, chiamò più volte Don Lemoyne, che stava nella camera vicina. Questi accorse, ma dopo qualche minuto, perchè quel finimondo gli aveva impedito di udirne subito la voce.
- Senti, senti che fracasso! disse Don Bonetti a Don Lemoyne, appena lo vide. Non mi par cosa naturale. Il diavolo deve avere qualche grossa rabbia da sfogare. Scommetterei che in questo istante il cardinale Ferrieri sottoscrive il decreto della comunicazione dei privilegi con i Redentoristi.
- Fosse vero! rispose Don Lemoyne. È una quindicina [141] d'anni che Don Bosco fatica e soffre per ottenerli. Sembrava proprio che tutto congiurasse contro.
- Vedrai che non sbaglio, replicò Don Bonetti.
- Sarebbe bella che tu fossi profeta. Che consolazione per Don Bosco!
Risero e non aggiunsero altro. Poi Don Lemoyne volle andare da Don Berto, segretario di Don Bosco, per manifestargli l'idea di Don Bonetti. Fece tuttavia le viste di non andarvi solo per questo; onde prese una lettera con l'intenzione di chiedergli schiarimenti sulla risposta da farsi. Bussò due volte alla porta, ed eccolo venir fuori spazientito, come chi è tolto da un'occupazione molto interessante, e dirgli concitato: - Che cosa si vuole da me? Ho da fare. Questo tempo indiavolato non mi lascia nemmeno leggere il decreto. - Teneva infatti nella mano un foglio, volgendolo e rivolgendolo da una parte all'altra senza guardare in faccia l'importuno.
- Che decreto? chiese Don Lemoyne, tutto sorpreso.
- Il decreto della comunicazione dei privilegi.
- Si, sì, il decreto firmato Ferrieri.
- Ma io trasècolo. Quand'è arrivato?
- Pochi minuti fa. Darlo in mano a Don Bosco e scoppiare il primo fulmine fu un attimo solo. Don Bosco tentò di leggerlo, ma non potè. Le finestre erano aperte e i primi tre fulmini strisciarono quasi nel vano di esse. Io presi Don Bosco per un braccio e traendolo nell'altra stanza, gli dissi: Venga via; non vede che qui è in pericolo? Sembra che questi fulmini cerchino lei. E mentre Don Bosco si avviava, ecco scoppiare il quarto: la striscia di fuoco parve protendersi fino al tavolino, sul quale era stato posto il decreto. Don Bosco, troppo commosso, non potè rimettersi subito a leggerlo; io adesso cercava dì decifrare la scrittura e non ci riusciva.
- Vieni, vieni, gli disse Don Lemoyne fuori di sè; andiamo da Don Bonetti. [142]
Nell'andare gli narrò il dialogo tenuto pocanzi. Entrati nella sua camera, gli contarono l'accaduto con quelle esclamazioni di meraviglia che è facile immaginare. Don Bonetti allora, in preda a vivo entusiasmo, disse a Don Lemoyne: - Ricordi il sogno dei quattro tuoni e della pioggia di spine, di bottoni, di fiori e di rose? Quel sogno Don Bosco lo fece quattro anni or sono! Prendi il portafoglio che io tengo nella mia veste e dammelo.
Avutolo, si assise sul letto, cavò fuori un cartoncino, ed: - Ecco qui, esclamò leggendo. Don Bosco fece il sogno nel 1880, nella notte dall'8 al 9 luglio, che vuol dire la notte scorsa, e il giorno 9, quattro anni a oggi, alle sei pomeridiane lo narrò in Capitolo[77].
L'allegrezza e la commozione di quei tre erano al colmo, e si dicevano l'un l'altro: - Come negare la protezione di Maria Santissima? -Don Lemoyne la sera stessa, imbattutosi in Don Notario, gli narrò il fatto, e Don Notario: - Adesso capisco, esclamò, perchè al quarto colpo di fulmine tutta la sala della biblioteca, dov'io mi trovava, si riempi d'un odore di zolfo e d'un caldo così soffocante, che fui costretto a uscire! -La biblioteca dell'Oratorio comunicava per una porticina interna con la camera di Don Bosco.
Don Lemoyne scrive[78]: “Parrà strana questa coincidenza di fulmini con un decreto a noi favorevole, ma pure è in perfetta armonia. Quel decreto poteva dirsi una carta strappata quasi per forza. Senza l'intervento di Leone XIII, Don Bosco non avrebbe mai veduto pago il suo voto. - Lo voglio! aveva detto il Pontefice. Lo voglio! Voglio che Don Bosco sia appagato. - Ma quante umiliazioni e quante ripulse il Venerabile aveva dovuto tollerare per dieci anni! Noi lo vedemmo piangere, quando pareva che avessero a svanire ancor una volta le concepite speranze, e fu allora che l'udimmo esclamare: - Se avessi saputo prima che costava tanti dolori, fatiche, [143] opposizioni e contraddizioni il fondare una Società religiosa, forse non avrei avuto il coraggio di accingermi all'opera! ”.
Alla meschinità della forma Don Bosco non badò gran fatto, pago del contenuto. “Ho ricevuto il decreto sui nostri privilegi, scrisse subito il giorno dopo al Procuratore. Mancano le frange, ma la sostanza c'è tutta, e se vedi Monsignor Masotti fagli umili ringraziamenti da parte mia e di tutta la nostra Congregazione ”. Egli ormai poteva veramente intonare il suo Nunc dimittis. Infatti, a cose finite, le sue parole furono[79]: - Ora non ho più altro da desiderare, e prego il Signore che mi pigli con sè. - Purtroppo la sua vita volgeva al tramonto. Campò ancora tre anni e mezzo, che furono anni di sofferenze fisiche; ma brillò in esse più luminosa la sua santità.
COLORO che avvicinarono Don Bosco negli ultimi anni della sua vita, lo vedevano costantemente assistito o accompagnato da un giovane chierico, alto della persona, distinto nei modi, dall'aria aperta e gioviale. Era il chierico Carlo Maria Viglietti, torinese, che sembrava nato a fare con il suo buon tratto il servizio di anticamera, resosi estremamente delicato per la qualità e quantità dei visitatori e le condizioni fisiche del visitato, e a sorreggere con il vigore del braccio il cadente vegliardo. Il Santo lo chiamò a sè da S. Benigno il 20 maggio 1884; ma se l'era venuto preparando da lunga data al pietoso ufficio. Nel 1878, vedutolo nel collegio di Lanzo, gli aveva detto che lo voleva seco ripetendogli poi la stessa cosa due anni dopo. Un giovane intelligente e sensibile che tali parole udiva dalle labbra di Don Bosco, non se ne scordava più, ma guardava ansioso nell'avvenire, fantasticando sul loro avveramento.
Più chiaro gli spiegò il suo pensiero nel 1882, quando, compiuto il corso ginnasiale e conseguita la licenza, lo invitò agli esercizi spirituali che si facevano in preparazione all'ingresso nel noviziato. Durante quelle vacanze, mentre gli altri ascritti furono mandati a passai e un paio di mesi nel collegio di Borgo S. Martino, egli venne da Don Bosco ritenuto presso di sè [145] a Torino e incaricato di alcuni lavori, fra i quali una carta geografica della Patagonia. Il giovane trascorreva ogni giorno un po' di tempo con il caro Padre, che gli raccontava tante cose, compresi i suoi sogni. Erano confidenze che lo incantavano. Poi durante il noviziato di quando in quando gli faceva scrivere, inviandogli pure qualche regaluccio. Ammessolo nel 1883 alla professione perpetua, non volle che andasse con i compagni a Lanzo nell'estate, ma lo fermò nuovamente nell'Oratorio, trattandolo con grande affetto e confidenza. Il chierico lo aspettava di buon mattino davanti alla porta della camera, lo accompagnava in chiesa, gli serviva la Messa all'altare di S. Pietro e durante il giorno rimaneva in anticamera regolando le udienze. In tutto questo noi dobbiamo vedere una graduale e necessaria preparazione alle parti, che il Viglietti avrebbe dovuto compiere in seguito presso la persona di Don Bosco, quando si sarebbe resa indispensabile un'amorevole, assidua e gravosa assistenza.
Avvicinandosi questo momento, Don Bosco diede al Viglietti uno speciale incarico per la venuta del cardinale Alimonda. Gli affidò lo studio e la cura di allestire una carta topografica dell'archidiocesi, per offrirla al nuovo Pastore come omaggio della Congregazione. Egli vi lavorò con ardore a S. Benigno, tracciando minutamente vie, sentieri, torrenti e segnando il sito di case, cappelle, parrocchie, vicarie. In novembre potè venire a Torino e presentare il dono, del quale tanto il Cardinale che Don Bosco furono soddisfattissimi; questi in particolare si compiaceva assai di vedervi figurare il suo paese e notata la sua casetta nativa. Rinviandolo allo studentato, gli disse: - Vuoi venire a Torino per farmi da sacrestano? - Viglietti, fuori di sè dalla gioia, pur non stimandosi degno di tanta fortuna, gli rispose che sarebbe stato ben felice di servirlo. - Io andrò a Roma, soggiunse Don Bosco, e al mio ritorno trovati qui; sarai il baculus senectutis meae. - Ritornato da Roma il 17 maggio, lo chiamò tre giorni dopo in aiuto di Don Berto e di Don Lemoyne, con l'incombenza [146] individuale di accompagnare lui dovunque si recasse fuori della sua camera.
Ma il fido custode si assunse per proprio conto un'opera supererogatoria e grandemente meritoria: prese a scrivere una cronaca che va dal 20 maggio 1884 al 31 gennaio 1888. Per lo più sono appunti molto sommari e saltuari che tuttavia costituiscono un insieme di notizie quali egli solo poteva raccogliere e registrare. Di qui innanzi noi sapremo farne tesoro. Per conoscere i criteri che lo guidavano e le circostanze in cui scrisse, giova riportare la sua dichiarazione finale. “Questa cronaca, dic'egli, io l'ho scritta colla maggior verità ch'io ho saputo; mi son fatto uno studio di evitare descrizioni inutili, riflessioni, etc. Ho semplicemente esposti i fatti man mano che succedevano o come li aveva uditi dallo stesso Don Bosco o da altri all'uopo nominati. Se avessi errato in qualche cosa, non me se ne farà gran colpa, quando massimamente si consideri che, allorchè si era in viaggio, il molto lavoro impediva per lo più di scrivere di giorno e solo alla notte io poteva prendere qualche appunto Quanto è qui narrato fu scritto da chi non abbandonò mai Don Bosco nè di giorno nè di notte, mentre fu a parte di tutti i segreti di lui; perciò meglio di molti altri potè dire di ciò che succedeva intorno a questo santo uomo ”. Così finisce colla morte di Don Bosco la cronaca.
Il miglioramento della salute di Don Bosco si considerava nell'Oratorio come una grazia della Madonna. Nessuno sapeva dell'arcana apparizione di Luigi Colle; ma si sapeva da tutti quante preghiere si fossero fatte per lui a Maria Ausiliatrice e come avesse cominciato a star meglio proprio nel primo giorno della novena. Si vedeva con piacere che camminava abbastanza speditamente, e i più intimi non ignoravano che il volume del fegato gli era assai diminuito. Sempre tuttavia infaticabile, stimava che quel ritorno di `forze non fosse invito a riposo, ma richiamo a più intenso lavoro. Rivolse dunque subito il pensiero alla prossima conferenza.
Un dovere frattanto gli premette di compiere senza la [147] menoma dilazione, far visita all'Arcivescovo; ma non n'ebbe il tempo. Sua Eminenza, uditone appena l'arrivo, lo prevenne, comparendo all'improvviso nell'Oratorio, dove rimase circa due ore col Santo.
Com'era previdente sempre Don Bosco nelle cose sue! Fin dalla metà di aprile a Roma le modalità della conferenza gli avevano occupata la mente, già da tante cure assediata e oppressa. Il 19 di quel mese faceva scrivere a Don Rua: “Un ultimo avviso a nome del signor Don Bosco. Lascia a te che decida quando debba farsi la conferenza ai Cooperatori ed alle Cooperatrici Salesiane. Se debbano farsene due, una ai Cooperatori e l'altra alle Cooperatrici. Ed allora la prima farsi il giorno 20 di maggio, e la seconda il giorno 23. La chiesa di Maria Ausiliatrice sarà prescelta per questa adunanza. L'ora sarebbe le 4 pomeridiane. Decidi e fa stampare nel Bollettino ”.
La conferenza fu unica e nella chiesa di Maria Ausiliatrice. L'invito, mandato da Don Bosco alcuni giorni avanti, attirò al santuario non meno di duemila persone, fra cui signori e signore francesi. Il suo discorso, così semplice nella sostanza, scendeva sull'attento uditorio come pioggia calma e benefica sulle aiuole assetate di un giardino[80].
Io vi parlo con molto piacere in questo giorno, sia per le cose che debbo dirvi, sia perchè quest'anno vi parlo nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Ed è cosa veramente dolce parlare ai Cooperatori e alle Cooperatrici in questo luogo, che possiamo chiamare casa di Maria e casa che Ella medesima si è edificata: aedificavit sibi domum Maria. Io voglio appunto intrattenere la vostra pietà, e così aiutarci a vicenda a celebrare divotamente la festa di Maria Ausiliatrice, col mostrarvi le grazie fatte da lei in principio a, quelli che contribuirono a innalzare e ornare questa sua chiesa.
Quando si cominciò l'edificazione, mancavano i mezzi materiali. Si dovevano pagare gli operai, e Don Bosco non aveva danari. Ed ecco che una s ignora per consiglio di lui, si raccomanda a Maria, e Maria la risana prodigiosamente. La signora per riconoscenza offre ad onore [148] della Madonna il denaro necessario a pagare la prima quindicina agli operai. Altri vengono a cognizione di questo fatto, invocano anch'essi Maria con promessa d'offerta per la sua nuova chiesa, e ottengono grazie straordinarie. Allora comincia una serie non più interrotta di guarigioni da gravi malattie e giungono da ogni parte offerte per grazie ricevute o da riceversi, e si vide così questa chiesa elevarsi di giorno in giorno come per incanto.
Innalzata che fu, si trattava di ornarla, e Maria Ausiliatrice provvide anche a questo. Voi, per esempio, vedete qui l'altare di S. Pietro; e come mai se ne pagarono le spese? Vi rispondo. Una pia matrona romana malata si raccomanda a Maria, guarisce miracolosamente, e tosto scrive che a suo conto si eriga nella chiesa di Lei un altare, e l'altare fu eretto, ed è quello di S. Pietro. Un poco più in là ve n'è un altro dedicato ai santi Martiri torinesi Solutore, Avventore e Ottavio della legione Tebea, e a S. Arma, e chi lo fece innalzare? Un'altra signora di Roma favorita anch'essa di una grazia segnalata per intercessione dì Maria. Si trovava pure gravemente inferma, promette di fare costruire il detto altare e tosto ricupera la sanità. Dall'altra parte in fondo vi è l'altare del Sacro Cuore ed esso pure ci ricorda una grazia ottenuta da una persona di Milano, che in segno di riconoscenza ne sostenne la spesa. All'altare di S. Giuseppe troviamo la costruzione, la balaustrata, il quadro, frutti anch'essi di copiose grazie e benedizioni ottenute allo stesso modo. Il pavimento della chiesa, il pulpito medesimo dal quale io vi parlo sono effetto di una grazia ricevuta. Dono di benemeriti oblatori in ossequio a Maria Ausiliatrice è la statua di rame che sta sulla cupola; dono e lavoro d'un maestro falegname è l'orchestra. E se volessimo far passare tutte le parti e gli ornamenti di questa chiesa, come segni di favori ricevuti, non la finiremmo più; giacchè le colonne, le volte, il tetto, ogni pietra, ogni mattone ed ogni ornato si può dire che è una grazia di Maria.
Nella sacrestia poi vi è una quantità di quadretti, che sono prove di altrettante grazie. Voi vedete là una madre che ha il figlio scampato dalla morte; uno liberato da forte male dì denti; una pericolosa caduta impedita, e simili. E io stesso sono obbligato di dirvi i particolari che riguardano la mia persona. Avrete saputo che da qualche tempo era molto, cagionevole di salute e come impotente a lavorare. Ebbene il 15 del corrente, primo giorno della novena, incominciai a star meglio; il miglioramento crebbe di giorno in giorno, e adesso, in grazia di Maria, mi trovo bene come molti anni fa.
Se poi convenisse alzare un velo e manifestare le grazie spirituali ottenute ai suoi divoti, quale magnifico inno potremmo cantare in onore della potentissima Vergine Ausiliatrice! Vi sono mogli che hanno avuto i proprii mariti ricondotti a sani consigli; padri e madri che videro la loro figliuolanza da indocile ritornare ubbidiente, peccatori e [149] peccatrici che piansero i loro peccati, fecero una buona confessione e cominciarono a condurre una vita esemplare.
Ma voi, benemeriti signori, mi direte: perchè mai questa esposizione di fatti e di grazie nella vigilia della festa di Maria Ausiliatrice? Rispondo: per eccitarvi tutti a confidare nella sua bontà e potenza, e affinchè sappiate il mezzo da usare per ottenere grazie più facilmente. Questa Madre celeste tiene già le grazie preparate per noi, e vuole solamente che gliele domandiamo e che promettiamo di aiutare e promuovere quelle opere che tornano a gloria di Dio, a onore di Lei e a vantaggio delle anime, specialmente della povera gioventù, come fanno i Cooperatori e le Cooperatrici. Io sono certo che tutti quelli di voi, che domanderanno grazie a Maria, le otterranno, purchè, ben inteso, non si oppongano al bene dell'anima.
Domani qui si pregherà molto per voi, che siete i nostri benefattori e benefattrici, e non solo domani, ma in questa chiesa si prega per voi incessantemente. Ogni giorno sin dalle prime ore del mattino più centinaia di giovani si raccolgono qui, recitano la terza parte del Rosario, ascoltano la santa Messa, e molti giovani e adulti si confessano e si accostano alla santa comunione. Alle ore sette e mezzo più altre centinaia di giovani fanno lo stesso; poi ad ogni ora chi viene a fare la visita al Santissimo Sacramento e a Maria Ausiliatrice, chi a fare la meditazione e la lettura spirituale, chi a raccomandare le persone che ordinarono preghiere per grazie di ogni genere; quindi dal mattino per tempo fino alla sera tardi le pratiche di pietà vi continuano senza interruzione. Ora tutte queste preghiere sono dirette particolarmente a implorare le benedizioni del Cielo sui nostri benefattori e sulle nostre benefattrici d'Italia, di Francia, di Spagna e d'America e di qualunque altra parte del mondo. E io credo che in riguardo di tante preghiere che qui Le si innalzano, Maria prosegua a spandere le sue benedizioni, che di anno in anno si fan sempre più copiose.
Io debbo dirvi ancora che Maria Santissima concede grazie non solo qui e a coloro che la vengono a pregare in questo luogo, ma ne concede anche altrove. Già prossimo alla fine dei miei giorni, io godo immensamente nel vedere che invece di scemare i favori di Maria aumentano ogni giorno e per ogni parte. Aumentano in Italia, in Francia, nella Spagna, nel Portogallo, nel Belgio, in Russia, in Polonia, in Austria, nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay e nella Patagonia. Tutti i giorni ora da questa ora da quella contrada anche lontanissima si ricevono lunghe esposizioni di grazie straordinarie, ottenute ad intercessione di Maria Ausiliatrice. Ed i Cooperatori Salesiani e le Cooperatrici sono gli strumenti, di cui si serve Iddio per propagare sempre più la sua gloria e la gloria della sua Madre. Voi tutti ne dovete essere contenti e intanto riporre la più grande fiducia nel patrocinio di Maria.
Ho voluto esporre in breve queste cose per non dilungarmi troppo e per non abusare della vostra cortesia. Tuttavia vi aggiungo ancora [150] che sono stato a Roma e ai piedi del Santo Padre Leone XIII, il quale parlò dei Cooperatori Salesiani e disse che li benediceva di cuore e che ogni giorno prega per loro. Ripetè che intende essere non solo Cooperatore, ma primo Operatore, perchè, disse, i Papi devono sempre essere a capo di tutte le opere di beneficenza, allora specialmente quando queste hanno di mira il bene della povera gioventù. Avendo saputo i considerevoli lavori che si erano fatti e quelli che rimangono a farsi per la costruzione della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Roma, ha voluto assumersi l'incarico di fare costruire a suo conto la facciata della chiesa medesima, che importa una spesa notevolissima. Egli desidera pure che accanto alla chiesa si fondi un ospizio, e già vi abbiamo posto mano. Ma perchè, mi domanderete, un nuovo ospizio in Roma, dove ce ne sono già tanti? Vi risponderò che per lo più gli istituti già esistenti in Roma per il loro scopo e per l'atto di loro fondazione esigono che i giovani abbiano certe condizioni, per le quali molti non possono esservi ricevuti; gli uni esigono, per esempio, che i giovani siano romani, gli altri che appartengano a determinate città e nazioni, e poi la maggior parte per la condizione dei tempi e delle cose si sono fatti insufficienti al bisogno. Ora il Papa vuole un istituto veramente cattolico, tale cioè che raccolga i poveri giovani pericolanti non solo romani e italiani, ma francesi, tedeschi, spagnuoli e di qualunque nazione e condizione essi siano, purchè si trovino in pericolo o dell'anima o del corpo. Il Santo Padre desidera e desidera molto quest'opera, e perciò la raccomanda caldamente e benedice i Cooperatori e le Cooperatrici che vi concorrono colle loro limosine.
Egli udì pure con molta soddisfazione a parlare della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino. Accanto a questa chiesa dedicata all'Apostolo della carità occorreva anche un ospizio, perchè si potesse dire: Ecco la carità in pratica, ecco come si onora l'Apostolo della carità. L'ospizio fu da noi incominciato, vi si lavora e si sta compiendo, e spero che di quest'anno sarà terminato, e lo avremo presto ripieno di giovani. All'udire ciò il Sommo Pontefice conchiudendo disse: - Se vogliamo una società buona, dobbiamo far convergere tutti i nostri sforzi nell'educare cristianamente la gioventù, che fra breve formerà la umana generazione. Se essa sarà bene educata, avremo la società domestica e civile costumata; se male, la società andrà ogni dì peggiorando ed i figli dovranno nella virilità lamentare la cattiva educazione loro impartita dai parenti, se pure non avranno a maledirne la memoria. - Questi sono i sentimenti espressi dal Vicario di Gesù Cristo, che fini con l'impartire a tutti la sua apostolica benedizione.
Intanto per meritare una speciale protezione da Maria Ausiliatrice e corrispondere al vivo desiderio del Santo Padre, ognuno di voi veda di fare quello che è in suo potere a vantaggio dell'ospizio dei Sacro Cuore in Roma e di quello di S. Giovanni in questa città. La vostra carità giova alla civile società, alle famiglie cristiane e, diciamolo [151] pure, anche alle non cristiane; perchè se non altro mediante la carità vostra si avranno uomini bene educati e istruiti, si avrà la pace in famiglia, e il padre e la madre e i parenti si vedranno meglio corrisposti dai figliuoli, che invece di essere il loro flagello diverranno la consolazione e il sostegno della loro vecchiaia.
Dirò di più la vostra carità gioverà a tutti voi e ai vostri cari, perchè Dio, mantenendo la sua promessa, ve ne darà il centuplo in questa vita e un premio eterno nell'altra.
Domani io intendo di celebrare la santa Messa per invocare sopra di voi, sopra dei vostri parenti, sopra i vostri interessi spirituali e temporali le benedizioni più elette, e per ottenere la grazia più bella e importante di trovarci un giorno tutti insieme in Paradiso a lodare e a godere Iddio con la nostra dolcissima Madre Maria Ausiliatrice.
Don Bosco aveva parlato con vigoria non più solita; anzi, disceso dal pulpito, disse che si sarebbe sentito di predicare ancora a lungo. Mercè tale benessere potè sostenere le fatiche arrecategli dalla solennità.
Nel giorno della festa si videro addensarsi nel tempio e nelle sue adiacenze turbe di fedeli, venuti anche da luoghi remoti non solo d'Italia, ma dell'estero. Il Cardinale Arcivescovo e il suo ausiliare monsignor Bertagna compierono le sacre funzioni con gran giubilo del Santo, che poteva finalmente dare alle cerimonie il massimo splendore liturgico. L'Unità Cattolica del 27, poichè molto in quei giorni si parlava dell'Esposizione apertasi di recente a Torino, definì la festa un'esposizione cattolica per l'affluenza del popolo accorso, per la singolare pietà manifestata, per la magnificenza del culto e degli apparati, per la sceltissima musica eseguita. L'articolo terminava così: “Noi vorremmo chiudere questa qualunque relazione con una lode a colui, che è il principale promotore di feste sì splendide in Torino, e sì atte a tenere accesa tra noi la fede e a ravvivare la pietà cristiana; ma quale encomio sarebbe pari all'opera sua? Invece delle lodi di poveri giornalisti, Don Bosco si abbia la stima, la venerazione, l'affetto dei Torinesi; si abbia la protezione della Vergine Ausiliatrice; si abbia la lode, la benedizione, il premio da Dio, alla cui gloria ha consacrata la vita ”. [152]
Dio solo infatti poteva misurare la copia dei frutti spirituali che lo zelo del Santo produceva nelle anime per mezzo di celebrazioni così solenni. N'è prova una scena svoltasi la mattina del 24 sotto gli occhi di parecchi testimoni. Verso le otto, mentr'egli secondo il solito confessava i giovani dell'Oratorio nella sacrestia, entrò un signore sulla trentina, si piantò vicino alla parete di fronte e stava là ritto a guardare come i piccoli penitenti passassero uno dopo l'altro a confidare i propri segreti al padre delle loro anime. L'atteggiamento dell'uomo richiamò l'attenzione ed anche la vigilanza di sacerdoti addetti al servizio del pubblico. Lo sconosciuto dava segni d'inquietudine e di agitazione; poichè talora faceva qualche passo in su e in giù e quindi ripigliava il suo posto di osservazione. Venuto a restar libero da una parte l'inginocchiatoio accanto a Don Bosco, egli vi si appressò, ma tenendosi in piedi. Il Santo, visto che non si allontanava, gli domandò che cosa volesse.
- Se non ha da confessarsi, si ritiri e lasci che vengano altri.
Ma sembrava che colui non si potesse ritirare, quasi una forza interna lo tenesse là inchiodato. Don Bosco per non perdere tempo si voltò dall'altro lato, e confessò l'ultimo giovane. E l'altro non si moveva. Ce n'era abbastanza per capire che doveva essere un'anima perseguitata dalla grazia di Dio. Il Santo con gesto dolce e risoluto gli fe' cenno d'inginocchiarsi. Quegli come automaticamente obbedì. Che sia succeduto fra Don Bosco e quel signore, a Dio solo è noto. Gli astanti lo videro alzarsi molto commosso e con occhi lacrimosi, e qualcuno lo udì esclamare: - É la Madonna che mi ha condotto qui! -Entrato poi nella chiesa, vi stette un bel pezzo in preghiera, alzando spesso lo sguardo alla benedetta immagine della Vergine Santissima. [153]
Quanti venivano a implorare per sè o per altri favori temporali! Durante la novena a Montemagno il giovinetto tredicenne Giovanni Vaira ricuperò quel benessere fisico che tuttora lo accompagna, sacerdote salesiano, nella Patagonia, e di cui venne qui a impetrare la grazia da Maria Ausiliatrice per la mediazione di Don Bosco. La minaccia partiva dal piede sinistro che lo torturava acerbissimamente. I medici per quattro mesi lo sottoposero a varie cure, ma senza alcun pro. La magrezza generale l'aveva ridotto uno scheletro. Portato dalla madre a Torino, si sentì dire che urgeva amputare la gamba. Madre e figlio si ribellarono. Una buona signora, impietosita, disse alla donna: - Perchè non portate il vostro figlio da Don Bosco a farlo benedire? Tutti i giorni ci vanno tanti ammalati e guariscono. - Il consiglio fu ascoltato. Don Bosco domandò al giovanetto se voleva bene a Maria Ausiliatrice. - Sì, rispose egli. Allora il Santo gli diede la benedizione e gli prescrisse di fare la novena, promettendogli di pregare per lui. La novena non era ancora finita, che del male non esisteva più se non il ricordo. Nel benedirlo Don Bosco gli aveva detto che un giorno sarebbe stato de' suoi figli; la qual cosa si avverò qualche anno dopo.
Mentre a Torino tanto fervore di popolo cercava Don Bosco e la sua Madonna, in una città meridionale accadeva uno di quei fatti che ben possiamo ricordare come segno dei tempi. A Capua un'ispettrice scolastica, visitando un'educandato diretto da suore, scoperse che vi si era adottata la Storia d'Italia di Don Bosco. Indignata come per grave scandalo, denunziò il fatto, nè si dette pace finchè non ricevette l'assicurazione che il libro sarebbe presto bandito dalla scuola. “Don Bosco, scrisse allora un giornale del luogo[81], è un sacerdote di Torino che da tempo ha con larghe oblazioni di dame benefattrici in quella città fondato un orfanotrofio. E per questa parte lode a lui. Ma per la Storia d'Italia da lui [154] messa alle stampe non vi sarebbe pena che gli potrebbe convenire ”. La giustificazione di si draconiana severità si fondava sopra un triplice reato commesso con quel libro: apologia dei Borboni, difesa del potere temporale dei Papi e avversione a ogni sentimento di libertà. Spiaceva immensamente al giornalista vedere dal Tommaseo raccomandata alle scuole “l'infamia ” di un libro siffatto e per iscagionarne il fiero dalmata ricorreva alla doppia ipotesi che o egli avesse avuto le traveggole o la sua “commendatizia” fosse “un mero e fraudolento ritrovato del Don Bosco ”. Educare la gioventù con i principii ivi contenuti essere un preparare all'Italia “una generazione di vipere ”. Le vipere già c'erano purtroppo! Buon per l'Italia che Don Bosco spendeva la sua esistenza in apprestare contravveleni.
Passate le feste, egli si diede attivamente alla cura della lotteria romana, approvata, come si accennò, il 27 maggio. Diramò per prima cosa la seguente circolare.
La bontà grande, con cui avete più volte concorso per edificare una chiesa al S. Cuore di Gesù in Roma al Castro Pretorio, mi fa sperare che vi tornerà gradito un cenno intorno ai lavori fatti ed altri tuttora da farsi.
A voi è già noto che tanto la chiesa quanto l'ospizio in costruzione accanto alla medesima debbono ricordare le glorie di Pio IX e presentare ai cattolici un monumento di fede. Vi è noto parimenti che il compimento di quest'opera fu dal Papa Leone XIII affidato ai Cooperatori Salesiani. Essi accettarono il glorioso incarico; fu comperato un sito sufficientemente spazioso per costrurre la chiesa ed un orfanotrofio; con dispendio non ordinario si effettuarono gli scavi, e, affrettando i lavori, in pochi anni si portò ad un bel punto la fabbrica, e si compierono i lavori del coro e del presbitero.
L'Eminentissimo Cardinale Vicario, considerata la grande difficoltà, in cui si trova quella numerosa popolazione per compiere i religiosi doveri e far istruire la sua figliuolanza, si recò nel giorno 23 dello scorso marzo a benedire il già preparato edifizio, ed ora più migliaia di fedeli sono in grado di assistere ai divini uffizi e compiervi le loro pratiche di pietà.
Il giorno 9 del corrente maggio io aveva la bella sorte di prostrarmi ai piedi del Vicario di Gesù Cristo, e il Santo Padre si compiaceva di ascoltare i particolari della pia impresa, ne dimostrò grande soddisfazione, [155] lodò la carità degli oblatori; ma restò non poco sopra pensiero, quando intese che eransi dovuti rallentare i lavori per la mancanza di mezzi materiali. -Andate avanti, Egli mi disse, la pietà dei fedeli non vi mancherà; studiate il modo di far conoscere la necessità di questo sacro edifizio; notate il bisogno che vi ha in Roma di un ospizio pei giovani poveri, provenienti da qualunque parte del mondo, cui avvenga trovarsi abbandonati in questa città, ed avrete degli aiuti.
In quel momento io ho potuto segnalare il generoso concorso che ci pervenne da varie nazioni; ho promesso che a nome di Sua Santità avrei fatto nuovo appello alla pubblica beneficenza, e a tale effetto dimandava pei nostri benemeriti oblatori una speciale benedizione.
Sua Santità sensibilmente intenerita soggiunse. - Di tutto buon grado impartisco l'apostolica benedizione a tutti i Cooperatori, a tutti i benemeriti oblatori. Io non mancherò di pregare per loro ogni giorno nella santa Messa; pregherò per la pace tra le loro famiglie, per la prosperità nei loro interessi temporali, e per la buona riuscita nella cristiana educazione della loro figliuolanza.
Proseguendo il suo discorso, il Sommo Pontefice aggiunse: Siccome poi il Santo Padre deve non solamente cooperare, ma operare, così a questa impresa intendo di concorrere io pure materialmente. Perciò, a malgrado delle strettezze finanziarie in cui mi trovo, io mi assumerò tutte le spese che occorrono per la facciata di quel sacro edifizio. Le mura, gli ornamenti, le finestre, le tre porte saranno a carico mio. In questo modo conoscerà il mondo come il Capo della Chiesa propaga e sostiene la religione, e non mai si rifiuta di prendere parte alle opere, che tornano a vantaggio della civile società, specialmente della porzione più eletta del genere umano, della gioventù, verso cui i Sommi Pontefici hanno sempre prodigato e tuttora prodigano le più sollecite cure. Ho pertanto fiducia che altri e poi altri cattolici, seguendo il mio esempio, verranno generosi in nostro aiuto per compiere questa ed altre opere di beneficenza a maggior gloria di Dio ed a salute delle anime.
A queste amorevoli parole del S. Padre ho procurato di rispondere con sinceri ringraziamenti, assicurandolo che noi tutti innalzeremmo preghiere a Dio pel bene di Santa Chiesa, ed avremmo raddoppiato di ardore a fine di cooperare a compiere ed a sostenere le opere che l'inesauribile carità del Papa raccomanda e promuove.
Dal canto mio, o benemeriti Cooperatori, mentre vi professo la mia più profonda gratitudine, non cesserò di pregare per voi, e di far eziandio pregare i giovinetti da voi beneficati, a fine di ottenervi vita felice nel tempo e felicissima nella eternità.
Questa circolare, che fu riprodotta dai giornali cattolici[82], preludeva all'invito ch'egli avrebbe rivolto ai Cooperatori e alle Cooperatrici, perchè lo aiutassero nello spaccio dei biglietti; al quale scopo ne spedì a ciascuno un pacco da ritenere per sè o da distribuire, con preghiera di ritirare e inviare a lui il prezzo. Inoltre non dava tregua al Procuratore.
Prendi visione delle due unite lettere e poi o portale o mandale tosto a destinazione. Le cose sono di massima premura. Tutto è pronto per la spedizione dei biglietti, ma mandateceli.
Noi preghiamo tanto per tutte le nostre promotrici, e domandiamo incessantemente il centuplo della loro carità.
Omnibus confratribus nostris in Domino salutem dicito.
Le “cose di massima premura ” erano domande di onorificenze, delle quali gli scriverà[83]: “Per noi sono importanti cambiali pel Sacro Cuore ”. Ossia, come si esprimerà ancor più tardi[84]: “Capisco che abbiamo debiti e dobbiamo adoperarci con tutti i mezzi pel continuare i lavori; ma presentemente l'unica sorgente di danaro sono le decorazioni sopra notate ”.
Chiamò pure in soccorso i Direttori salesiani, e in che maniera li stimolasse a cooperare, si vede da questo biglietto al Direttore del collegio di Este.
Come Collettore devi farti aiutare dalle famiglie di conoscenza, specialmente dalle Signore che promuovano sottoscrizioni anche di piccole somme; gli istituti, gli allievi ed allieve; e fare in modo che ogni individuo dì collegio comparisca scritto con qualsiasi offerta.
Non bastando il foglio timbrato se ne prendano altri anche senza timbro. -Vale.
Un aiuto principale e costante alle opere di Don Bosco proveniva sempre dalla carità di persone non solo poco agiate, ma povere. Se tutto fosse possibile documentare, si toccherebbe con mano, quanto risponda alla realtà quel detto: Guai ai poveri, se non vi fossero poveri! Un'umile cameriera, nativa di Reggio Emilia e a servizio in Novara, avendo forse dai padroni sentito parlare della lotteria, scrisse a Don Bosco il 30 luglio: “Voglio anch'io concorrere con un mese del mio salario a sollevare altri miei pari, accusando di aver ricevuto N. 20 biglietti della serie A, facendo tenere alla S. V. Rev.ma l'importo di lire 20 qui inchiuse in lettera raccomandata”. Questa fantesca si chiamava Angela Duri e serviva in casa Duelli. Nella lettera ricordava di essere stata allevata in patria dalle Suore di Carità con le caritatevoli elargizioni dì benefattori; ecco in qua) senso mirava al sollievo di altri suoi pari.
I doni esposti raggiunsero la cifra di 5700, come risulta dall'elenco stampato. Papa e Re vi stavano l'uno presso l'altro. Leone XIII aveva donato un ricco medaglione in oro con undici perle orientali e cammeo rappresentante le sue sembianze; Umberto I un grandioso ed elegante vaso in ceramica. La Regina Margherita mandò un vaso eguale; il Cardinale Vicario due eleganti forzieri cinesi in mogano con ornamenti di metallo e due serrature di genere cinese; il cardinale Nina un ricco anello d'oro con cammeo rappresentante Nerone, contornato di diamanti ed un elegantissimo libro di preghiere con preziose miniature; il cardinale Consolini un gran vaso di porcellana con fiori e fregi dorati e statuetta in biscuit[85] rappresentante la primavera; il cardinale Bonaparte un elegante breviario, il Kedivé d'Egitto un ricchissimo braccialetto d'oro con grossa lettera I in brillanti e turchesi e una graziosa collana d'oro con ciondolo di smeraldi e brillanti con pietre preziose; la principessa Bianca d'Orléans una tavola a olio in [158] stile bizantino con bella cornice rappresentante S. Chiara, dipinta da lei stessa. Abbondavano anelli, orecchini, braccialetti, collane d'oro di esimio lavoro e con pietre preziose incastonate. Un comitato di dame promotrici, presieduto dalla contessa Della Somaglia, come' aveva cooperato nella preparazione, così si adoperava al buon esito della lotteria[86]. Queste sono le “promotrici ” accennate da Don Bosco nella lettera a Don Dalmazzo.
Seguendo passo passo il nostro Santo nel declinare degli anni, non potremo più narrare a lungo di lui senza soffermarci ogni tanto a dire della sua salute. Il cambiamento in meglio perdurava, ma fino a quando si sarebbe mantenuto? A prevenire una facile ricaduta, cedeva alle insistenze dei medici e de' suoi figli, rallentando un pochino, la sua operosità e concedendosi verso sera un'oretta di passeggio. Gli andavano ai fianchi Don Lemoyne e il chierico Viglietti. Lento lento era il suo camminare. Si prendeva per il viale di Rivoli, per quello Regina Margherita, per il corso Valdocco o per via Cottolengo, arrivandosi talora fino alla barriera di Lanzo. Don Bosco si dilettava a contemplare i fiori campestri e a classificare, toccandole col suo bastoncino, le varie specie di erbe. Allora non sorgevano tante case nei dintorni, ma s'attraversavano ancora campi e prati. Egli voleva andare sempre a piedi. Invitato a servirsi di carrozza almeno per uscire dalla città e poi, passeggiare [159] all'aperta campagna, rispondeva che i poveri non vanno in carrozza. Più tardi glie ne furono regalate tre, una dal commendatore Faja e due dal conte Sacchi di Nemours da Casale; ma egli ne vendette due per dar pane ai giovani e si piegò solamente a valersi della terza l'ultimo anno di sua vita, avendogli il medico ordinato il moto e stentandosi da lui a reggersi in piedi. Molti lungo il cammino, riconoscendolo, lo salutavano e lo fermavano, sicchè talvolta veniva circondato da buon numero di persone, specialmente da fanciulli. Spesso la gente s'inginocchiava nella via, costringendolo a benedirla.
Donna Serafina Archini Cauvin fu testimone di queste scene una sera sul viale Regina Margherita[87]. A gruppi gli si avvicinavano i ragazzi, che, da lui benedetti, lo acclamavano con gioia. La persona che le dava il braccio, la consigliava di appressarsi anche lei per vedere se mai la sua benedizione la liberasse dall'artritide che da parecchi anni la tormentava; ma lungo la strada non era facile giungergli a fianco per quei ragazzi che quasi continuamente lo attorniavano. Andò dunque ad aspettalo vicino all'entrata della porteria. Per trascinarsi fin là essa dovette sedersi più di venti volte, tanto stentava a camminare. Il Santo, raggiunta la soglia e pregato dalla signora in ginocchio a benedirla, si fermò, si volse a lei e la benedisse, pronunziando le parole con tanto affetto che le venne da piangere. Ringraziatolo cordialmente, si alzò e si mosse e andava così bene che tornò a casa in un tratto senza sentire alcun dolore.
L'8 giugno, festa della Santissima Trinità, portò una novità nell'Oratorio. Cadeva in quella domenica l'anniversario della prima Messa di Don Bosco, della qual fausta ricorrenza si fece per la prima volta speciale ricordo. Vi fu musica in chiesa, particolare trattamento a mensa, concerto della banda musicale in cortile. Nel refettorio si lessero dai giovani alcuni Complimenti in prosa e in versi. Anche Don Lemoyne rallegrò [160] la festicciuola di famiglia, facendo udire un suo arguto sonetto.
Frammezzo alla corrispondenza di quei giorni, arrivata in scarsa misura fino a noi, troviamo una lettera interessante del rosminiano Padre Flechia e la relativa risposta. Il Santo l'aveva conosciuto chierico nelle vacanze del 1840, allorchè egli suddiacono visitò in compagnia del chierico Giacomelli la Sagra di S. Michele[88]; erano poi rimasti sempre buoni amici. Il suo confratello padre Paoli, che scriveva la vita del Rosmini, cercava attestazioni delle sue virtù da quanti avevano personalmente conosciuto il grande Roveretano; quindi per mezzo del Flechia pregava dello stesso favore anche Don Bosco[89]. Questi diede incarico della risposta a Don Bonetti, tracciandogliene così il tenore in margine alla lettera del padre Flechia: “Don Bosco ha sempre avuto buone relazioni coll'abate Rosmini e co’ suoi figli, come ognuno può vedere dalla Storia d'Italia. Si veda biografia del Rosmini, ecc. ”. Nè si contentò di tali indicazioni; ma volle vedere la minuta di Don Bonetti, la corresse con ogni cura e la ridusse alla forma definitiva. Per questo motivo riferiamo per intero il documento. Senza dubbio egli sarebbe stato più esplicito, se non avesse preveduto che nel vivo delle polemiche il suo scritto sai ebbe stato oggetto di commenti più o meno appassionati da ambe le parti.
Il venerato mio Superiore D. Giovanni Bosco ha ricevuto la lettera della P. V. in data del 12 corrente, nella quale lo prega di una sua attestazione intorno alle virtù dell'illustre loro fondatore e padre, l'Abate Rosmini da lui conosciuto personalmente. Non essendo in grado per la malferma sua salute di risponderle di propria mano, egli lascia a me l'onorevole incarico di esprimerle a nome suo i seguenti pensieri:
D. Bosco ebbe sempre buone relazioni coll'abate Rosmini, ne ammirò le virtù e lo studio come si rileva dalla biografia che D. Bosco stesso scrisse ed inserì nella sua Storia d'Italia raccontata alla gioventù. [161]
La stima poi che egli nutrì pel Padre la professò e professa verso i suoi figli Rosminiani, specialmente verso la P. V., a cui mi dice di fare le più profonde condoglianze per l'incomodo che la incolse; e noi tutti preghiamo Dio che per l'intercessione della SS. Vergine Ausiliatrice la restituisca presto in perfetta salute.
Gradisca, ottimo Padre, i cordiali rispetti del sig. D. Bosco e di D. Rua e mi creda quale ho l'alto onore di professarmi con pienezza di stima.
Di sollievo riusciva a Don Bosco il fermarsi qualche po' di tempo a conversale familiarmente con alcuni de' suoi figli, ai quali raccontava cose occorsegli di recente, ma più spesso amava narrare episodi dei tempi lontani. Così il 16 giugno riferì un fatto importante accadutogli il giorno avanti nella sua camera. Era venuto a fargli visita un nobile signore francese, caldo ammiratore del Servo di Dio, che l'aveva visto ultimamente a Marsiglia sua patria. Bravo avvocato, ma per la tristizia dei tempi ritiratosi dal maneggio degli affari, non tralasciava di patrocinare privatamente la buona causa, massime trattandosi di sostenere le scuole libere; onde il Santo Padre l'aveva fregiato del titolo di Commendatore. Egli dunque parlava con ardore delle sue opere buone e Don Bosco ascoltava con interesse le sue parole, quando questi, fissando amorevolmente lo sguardo su di lui: - Signore, gli disse, questa religione che tanto onoratamente sostiene, la pratica poi? -L'inaspettata interrogazione sconcertò il nobile interlocutore, che si coperse di rossore e di confusione, ma tosto si riprese e a sua volta domandò: - Perchè mi parla così?
- Perchè, rispose Don Bosco, lei mi tratta con tanta familiarità e cortesia, che io crederei di venir meno a un mio dovere, se non la contraccambiassi con questi segni di amicizia e di confidenza.
Quegli allora cercò di deviare il discorso, ma Don Bosco [162] fermo incalzava tenendone intanto stretta la destra fra le sue mani.
- Perchè mi tiene così stretto? domandò.
- E perchè lei vuole svincolarsi? Risponda alla mia domanda: questa religione che tanto difende, la pratica anche?
- Ma lei, signor Don Bosco, ha già letto nel mio cuore, non è vero?
A questo punto Don Bosco sentiva calde calde sulle sue mani le lacrime dell'avvocato, che tra i singhiozzi gli disse:
Glielo confesso, signor Don Bosco, io non l'ho mai praticata; anzi non credevo neppure nella confessione.
- Ebbene, mi dica che d'ora in avanti la praticherà e mi prometta che la prima volta ch'io abbia a incontrarla o a Marsiglia o altrove, mi potrà ristringere la mano e dirmi: Ho mantenuto la promessa.
- Sì, rispose, glielo prometto, anzi aggiungo che, appena arrivato a casa, mi confesserò e subito parteciperò a lei la notizia, e questo sarà fra pochi giorni. Gliene dò la mia parola d'onore... Signor Don Bosco, se tutti i preti fossero corre lei, oh! tutti si arrenderebbero alla religione.
- Se tutti, corresse Don Bosco, si avvicinassero ai preti come fa ora lei, non vi sarebbe mai nessuno malcontento di noi.
- Quegli, conchiuse Don Bosco la sua narrazione, è l'avvocato Blanchard, nobile uomo e di bellissimo cuore. Son certo che manterrà la parola.
Continuando a conversare, il Santo ripetè una cosa detta e ridetta infinite volte. - Vengono persone da lontani paesi a vedermi, piene di stima e di entusiasmo per me, come se in Don Bosco ci fosse alcun che di straordinario, mentre io mi trovo forse inferiore a loro in virtù. Con una parola potrei disingannarle ed anche lo vorrei, ma ciò tornerebbe a disonore mio e del clero e a danno de' miei cari figliuoli e della Congregazione Salesiana. Mi rammento sempre di quello che sta scritto nella chiesa di Crea presso Casale, appartenente ai [163] religiosi di S. Tommaso: Fama fumus, homo humus, finis cinis[90].
Il dì avanti però era uscito un po' fuori da questo riserbo. Fra i tanti che quotidianamente si affollavano in sacrestia per parlargli, vi furono alcuni che, appena lo videro, si misero a ridere, nè si potevano più trattenere. S'immaginavano forse di dover trovare un uomo alto e imponente, e invece vedevano là un prete piuttosto mingherlino e basso. Don Bosco pure si mise a ridere, e queglino a continuare. -Signori miei, disse egli, stupiscono di vedermi come sono? Bisognerebbe che mi potessero contemplare nel colmo della mia gloria, massimamente in due circostanze: la prima, a pranzo, e come mangio bene! la seconda, in mezzo ai miei giovani, quando faccio con loro le ragazzate. - Non sappiamo quale effetto producessero tali parole; ma Don Bosco aveva questo dono, che, parlando, conquistava.
La conversazione che dicevamo poc'anzi si aggirò poscia intorno ai primi tempi dell'Oratorio. Che scene accadevano in quegli anni! Essendo allora cosa lecita e di nessuno scandalo, egli bazzicava per le osterie e i caffè in cerca di scapati da mettere sulla buona strada. Erano i così detti barabba, giovinastri scioperati e rotti al mal fare. In certi casi quelli che non conoscevano Don Bosco, gli facevano insulti; ma altri, sapendo chi era e pigliandone a modo loro le difese, si cavavano di tasca i coltelli e li brandivano gridando (parole testuali ripetute da lui e atte più d'ogni altro argomento a mostrarci oggi che razza di gioventù egli andasse a cercare): Salòp del boia, it sastu nen ch’a l’è Dun Bosc cul lì? Se ti ‘i ‘t die ancura quaich cosa, i ‘t scanu [Brutto boiaccio, non sai che è Don Bosco quello lì? Se gli dici ancora qualche cosa, ti scanno]. E Don Bosco, facendosi in mezzo a loro, riusciva a trovare le parole atte ad ammansare quegli energumeni, sicchè adagio adagio insinuava nelle loro anime pervertite sensi di umanità, [164] rendendoseli benevoli e disposti non solo ad ascoltarlo, ma anche a desiderare di rivederlo.
Il rivedere Don Bosco più volte al giorno e il potergli parlare in confessione, per il cortile, al refettorio o nella sua camera dava l'illusione ch'egli avesse ricuperata la primiera salute. Sotto questa impressione si facevano più allegramente i preparativi per l'onomastico. Quest'annuale dimostrazione di affetto filiale non perdette mai nulla del suo incanto. Fra gl'illustri intervenuti primeggiavano nel 1884 i conti Colle e il principe Augusto Czartoryski.
Nell'accademia della vigilia piacque assai un dialogo in versi composto da Don Lemoyne e intitolato: Auguri e speranze per l'anno 1891. Quello sarebbe stato l'anno del giubileo sacerdotale di Don Bosco; allora la domenica della Trinità, giorno della sua prima Messa, doveva cadere proprio al 24 di maggio; sarebbe stato anche il cinquantenario dell'Oratorio, che ebbe principio nel 1841, il di dell'Immacolata Concezione[91]. Don Bosco pose fine al trattenimento, ringraziando i giovani e le persone che gli facevano corona e augurando buona festa a tutti. Riferendosi quindi alle lodi tributategli, disse che del bene compiuto bisognava render lode a Dio, a Maria Ausiliatrice e a coloro che avevano aiutato Don Bosco con la loro carità; che in quanto a sè, non avendo le virtù dall'amore dei figli attribuitegli, avrebbe procurato di acquistarle per l'avvenire, affinchè un'altra volta non si avessero più a dire bugie poetiche; l'unica cosa che ammetteva per vera, essere il grande amore da lui portato sempre ai giovani, al bene dei quali voler spendere quel poco di vita che ancora gli resterebbe. Intanto, sapendo che molti altri bramavano manifestargli per lettura i propri sentimenti, il Servo di Dio con amorevole sorriso e in tono faceto promise che la sera seguente sarebbe ritornato al medesimo luogo per ascoltare le loro lodi.
Il domani fu una giornata veramente allegra. Monsignor [165] Bertagna, che aveva celebrato la Messa della comunità e amministrato numerose cresime si trovava ancora con Don Bosco, quando secondo l'usato giunsero verso le dieci i rappresentanti degli ex-allievi con i loro doni: un ricco paramentale di chiesa, Monsignore si compiacque di assistere al ricevimento. Quella volta la cerimonia rivestiva un carattere di maggior solennità, perchè si compieva il quindicesimo anniversario, dacchè i primi educati da Don Bosco avevano concertato di festeggiare così con donativi e onoranze il comune Padre. Fu letto dal professore Nicola Fabre un breve indirizzo, nel quale fra l'altro egli diceva: “L'intera vita di Don Bosco è una vita d'amore Sul suo volto nè il tempo nè i disagi, nè i dispiaceri sofferti han potuto lasciare l'impronta della tristezza. Sempre serena è quella sua faccia, solcata, è vero, da alcune rughe, coronata da capelli pressochè incanutiti: ma sempre quelle sue labbra s'atteggiano al sorriso benevolo e sincero del padre, che è beato nell'affezione de' suoi figli ”[92].
Monsignor Bertagna, pregato di parlare, disse che da parte del Cardinale invitava gli antichi allievi a lasciare per un poco di cercar i Santi in cielo, ma che si limitassero a contemplarli vivi in questa terra: contemplassero Don Bosco, nel quale si trovavano adunate tutte le virtù del grande Giovanni Battista. Rispondendogli Don Bosco disse che, se fosse stato lecito ad un inferiore oltraggiare il suo superiore, egli l'avrebbe fatto con l'asserire che monsignor Bertagna mentiva contentarsi tuttavia di pregarlo che volesse impartire ai presenti la sua paterna benedizione. Al che il buon Vescovo rispose: - Sua Eminenza mi ha detto di ricevere la benedizione, non [166] già di darla. -In così dire s'inginocchiò e con lui tutti gli altri, che Don Bosco dovette benedire.
A pranzo la festa fu tutta di famiglia. Don Bosco entrò nel refettorio grande che era addobbato, avendo alla destra la contessa Colle e a sinistra il conte. Verso la metà del banchetto una scena graziosa allietò i commensali. Don Dalmazzo, giunto poche ore prima da Roma, sì alzò e lesse ad alta voce il Breve, con cui Leone XIII insigniva il Conte del titolo di Commendatore dell'Ordine di S. Gregorio Magno. La cosa improvvisa commosse fino alle lacrime i due nobili coniugi. Don Dalmazzo baciò il Conte e porse le insegne a Don Bosco, che le consegnò alla Contessa. Questa le appese al collo del marito, fra le entusiastiche acclamazioni degli astanti.
La vita di Don Bosco s'infiorò di tanti graziosi episodi che è grandemente a deplorare non siasi provveduto in tempo a farne larga raccolta; vi sarebbe ora materia per una pubblicazione delle più originali nella letteratura agiografica. Durante l'allegria del pranzo un giovane studente dell'Oratorio si avanzò verso Don Bosco, recando in un piatto due bei pomodori, che gli pose con garbo dinanzi sulla mensa. Quella comparsa sollevò la curiosità degl'invitati. Don Bosco disse:. - È l'unico frutto del mio orticello. - E senz'altro prese ad affettarli, condirli e mangiarli. Donde provenivano i due rubicondi solanacei? In una delle cassette che, allineate lungo la parete esterna della sua loggetta, mandavano in alto piante di fagioli a ombreggiargli con il loro fogliame le finestre, era spuntato quasi timidamente come intruso un gambo di pomodoro. Nessuno l'aveva seminato; ma, asportandosi quella terra dall'orto, era naturale che racchiudesse in grembo germi di varia specie. Quando lo stelo metteva i fiorellini gialli, il Santo se n'avvide e domandò al giovane che aveva la cura principale del “giardinetto ”:
- No, signor Don Bosco, rispose egli, ma è venuto su da sè. Però, se crede, lo strappo subito. [167]
- No, lascialo. Se farà frutti, li mangerò.
Il ragazzo si stimò felice di aiutare il virgulto a crescere e a rafforzarsi e per S. Giovanni due bei frutti penzolavano maturi. Don Bosco diede ordine che gli fossero portati in tavola, mentre i numerosi commensali festeggerebbero con lui il suo onomastico. Tutto serviva a Don Bosco per affezionarsi santamente i suoi figliuoli[93].
Sembra che sia di quest'anno un altro grazioso episodietto che si riferisce alla loggetta di Don Bosco e che cogliamo il destro di narrare qui. Ricordino i lettori che alcune rigogliose viti dal cortile montavano su per il muro a ombreggiare le ampie finestre di detta loggia. Un sabato sera, quando il Santo confessava colà gli alunni delle classi superiori, un giovanetto della quarta ginnasiale per nome Paolo Falla, aspettando il suo turno Inginocchiato dinanzi a quei pampini frondosi, adocchiò tra le foglie un grappolo che cominciava ad annerire, lo spiccò dal tralcio e si pose tranquillamente a piluccarne i saracini. Distratto da tale occupazione, non pensava più ad altro, nè si accorse che il penitente, il quale lo separava dal confessore, si era già ritirato. Don Bosco, assolto quello che stava dal lato opposto, si volse a lui per confessarlo. Il ragazzo col grappolo in mano arrossì, balbettò una scusa; ma Don Bosco soavemente gli disse: - Sta' tranquillo, finisci pure la tua uva e poi ti confesserai. Così dicendo, si rivolse dall'altra parte continuando a confessare[94].
Dopo pranzo il maltempo minacciava di guastare la [168] serata, anzi, cominciati i vespri, cadde un acquazzone, che durava ancora dopo. Non si sperava più di poter fare la festa in cortile. Chi andava in chiesa a pregare la Madonna che volesse mandare il sereno, chi pretendeva addirittura da Don Bosco un miracolo.
Verso le sei e mezzo una carrozza entrò nel cortile, tirata da due briosi cavalli: era il cardinale Alimonda. L'entusiastica gioia dei Salesiani non ebbe più limiti. Sin dal mattino Sua Eminenza aveva mandato un sacerdote della sua famiglia ad augurare buona festa a Don Bosco; ma allora veniva a ripetergli l'augurio in persona. Si trattenne per un'ora a privato colloquio con lui, assistette alla sua cena e udendo che stava per cominciare la presentazione dei doni e la dimostrazione a Don Bosco come nella sera innanzi, volle fermarsi e partecipare alla festa. Pochi minuti dopo il suo ingresso nell'Oratorio eransi diradate le nubi. Allora tutti insieme avevano fatto prodigi per adornare il luogo destinato all'accademia, che cominciò alle otto.
Il Cardinale si assise nel posto di onore con Don Bosco alla sua destra. Il trattenimento si aperse con un indirizzo a Sua Eminenza, scritto in fretta poco prima e letto con bellissima voce e con sentimento da un giovane. A tale preludio seguì lo svolgersi del programma, protraendosi fin verso le dieci. Infine Don Bosco, alzatosi e ringraziato brevemente il Cardinale della stragrande sua bontà, annunziò che l'Eminentissimo avrebbe dette alcune parole, le quali tutti avrebbero ascoltate con amore e riconoscenza. - Per congiungere insieme, disse l'Alimonda, la festa di S. Giovanni Battista e quella di Don Bosco, osservo che il Battista predicava nel deserto e sulle rive del Giordano la penitenza, l'odio al peccato, la pratica della virtù; il Battista preparava la mente e il cuore delle turbe a conoscere ed amare Gesù Cristo; il Battista insegnava chi fosse Gesù e lo mostrava dicendo: Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. E a lui conduceva le anime. Orbene, se a quel deserto può paragonarsi [169] la società presente, ecco che in questo deserto e sulle rive del Po e della Dora, Don Giovanni Bosco imita l'esempio di S. Giovanni Battista e si fa precursore. Sì, anche Don Bosco fa conoscere ed amare Gesù Cristo; lo fa conoscere ed amare negli oratorii e negli ospizi; lo fa conoscere con la parola e con gli scritti; lo fa conoscere ed amare nelle città e nelle campagne, e per mezzo de' suoi Salesiani lo fa conoscere ed amare anche nelle più lontane parti del mondo. A S. Giovanni Battista accorrevano le turbe per udirlo; e qui altre turbe accorrono pure intorno a Don Bosco. Queste turbe bene avventurate siete specialmente voi, miei carissimi figliuoli. Deh! ascoltatelo sempre questo precursore, fate quello che vi dice, ed egli vi condurrà a quel Gesù, che solo può rendervi felici nel tempo e nell'eternità. - Ciò detto, impartì la sua benedizione e lasciò acclamatissimo l'Oratorio. “Fu bella, fu cara, fu commovente quell'accademia ”, scrive Don Viglietti nella sua cronaca.
Il Cardinale volle poi a pranzo con sè Don Bosco il 6 luglio; indi verso le sei pomeridiane lo accompagnò sul suo cocchio a casa. Al qual proposito Don Viglietti fa notare due cose. La prima è che, ogniqualvolta Don Bosco metteva piede nel palazzo arcivescovile, cominciava il portiere a tenergli dietro e di mano in mano che ascendeva, quanti incontrava, servitori, cocchieri, segretari, domestici, tutti lo seguivano, sicchè, giunto al Cardinale, aveva seco tutta la casa. D'altra parte appena i giovani dell'Oratorio vedevano per il portone spalancato avanzarsi i due cavalli neri che ben conoscevano, era un correre, un affollarsi, un gridare evviva con sì grande animazione, che appariva evidente quanto amore si portasse ivi all'Arcivescovo.
Fra gli auguri pervenuti a Don Bosco sono degni di menzione quelli della principessa Solms, da lui visitata a Pegli nell'andare a Roma[95]. “La prego, gli scriveva essa, di voler [170] accettare per il caro suo onomastico i nostri più sinceri auguri di felicità. Non dimenticheremo mai la sua buona visita, della quale serbiamo la più cara memoria e speriamo che si rinnoverà in un tempo non lontano. Noi tutti ci raccomandiamo caldamente alle sue sante orazioni. Le domandiamo soprattutto di voler pregare per la salute di tutti noi, che il mio caro fratello Alberto abbia ben tosto guarita la sua gamba ora tanto debole, come anche che Iddio voglia concedere il figlio tanto desiderato al mio buon fratello Giorgio. Prego la S. V. di voler accettare queste mie domande con tutta la bontà sua. Baciandole la mano mi professo con la più alta stima Devotissima ELISABETTA principessa SOLMS”. Il maggiore de' suoi due figli venne in seguito all'Oratorio per vedere Don Bosco; ma, non essendo egli a Torino, portò il suo biglietto di visita a Don Durando. Invitato ad attenderne un poco il ritorno, il giovane non potè, perchè doveva ripartire subito per la Prussia. Entrò prima e dopo nella chiesa di Maria Ausiliatrice a pregare e in tutto parlò e agì per modo, che Don Durando lo credette cattolico.
Feste succedevano a feste. Il vicino onomastico di Don Bosco non aveva recato pregiudizio alla festa di S. Luigi, celebratasi antecedentemente la domenica 22 giugno. Non vi mancarono la tradizionale luminaria, nè i non meno tradizionali fuochi d'artifizio, nè la solita processione. Pontificò monsignor Chiesa, vescovo H Pinerolo e grande amico di Don Bosco. Dopo l'onomastico, il giovedì 26, Don Bosco festeggiava il medesimo Santo con i suoi figli del collegio di Lanzo.
I due convegni degli ex-allievi si tennero in luglio. I laici si radunarono il giorno 13 e gli ecclesiastici il 17. Come portava la consuetudine, le manifestazioni più significative si ebbero a mensa. Portavoce dei secolari fu nuovamente il professore Fabre, che con le sue rievocazioni intenerì e con i suoi pronostici incuorò. “Ricordo, disse, gli anni antichi, quando Don Bosco era sul fiore della sua gioventù; quando noi fanciulli ci stringevamo intorno a lui, a lui che era partecipe di tutte [171] le nostre gioie, di tutte le nostre pene, a lui che era il nostro conforto, il nostro amore, il nostro padre. Rammento quando ci narrava di S. Francesco d'Assisi e dei principii dell'Ordine Francescano, che in poco tempo crebbe così numeroso da estendersi sii tutta la faccia della terra. Noi allora non capivamo, ma ora intendiamo bene come il suo fisso pensiero fosse la fondazione e la propagazione della Società Salesiana. Ricordo, io dico, i tempi antichi, e penso al tempo presente; guardo Don Bosco, e il cuore mi si stringe per ineffabile tenerezza. Quanto è mutato da quello che noi abbiamo conosciuto da fanciulli! La sua persona s'incurva, i suoi capelli s'imbiancano e il suo passo è stentato e vacillante. Il Signore tenga ancor lontano quel giorno nel quale egli dovrà ricevere il premio di tante sue fatiche sopportate per noi. Possa egli rimanere in mezzo ai suoi figli finchè abbia celebrato la stia Messa d'oro. Ma gli anni passano inesorabilmente. Noi però speriamo che forse prima di te, caro Padre, saremo chiamati all'eternità, e allora noi ti verremo incontro per quella strada che ci hai additata. Ma se noi dovremo sopravviverti, ci confortiamo pensando che qui sarà rimasta la miglior parte dì te, il tuo spirito! Elia lascerà il suo mantello a Eliseo. Qui sarà sempre la madre nostra, la Congregazione Salesiana. Spesse volte nel mondo noi udiamo ripetere da persone di picciol cuore: Morto Don Bosco, che cosa sarà dell'Oratorio? Altri: Col mancar di Don Bosco ogni sua opera si spegnerà con lui! Ma non sanno costoro come le opere tue sono marcate dalla Provvidenza con un suggello indistruttibile. Non sanno che sono destinate per la durata dei secoli. Non vedono come fin d'ora a lui si possa dare il nome di Eroe dei due mondi[96]? Adunque noi ti ringraziamo, o Don Bosco, non solo d'averci educati e mantenuti, ma anche di aver fondata la Congregazione Salesiana. Quando tu sarai in Cielo a godere il trionfo per le innumerevoli tue opere buone, noi e i nostri figli, venendo [172] qui nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, ti ritroveremo sempre, perchè sempre qui ci sarà il tuo spirito, e potremo sempre ripetere, entrando in queste soglie: Siamo in casa nostra, perchè è sempre la case del nostro padre ”.
I ricordi diedero materia molta anche a Gastini, legatore di libri e fin da fanciullo menestrello in quelle feste di famiglia. Perpetrò egli un carme composto di prefazione e di sei parti, che lesse svolgendo un gran rotolo di carta lungo mezzo chilometro. Cantò i tempi passati, presenti e futuri; cantò i vivi e i morti, gli ammalati e i sani, i presenti e gli assenti, l'Europa e l'America, Don Bosco e la Congregazione Salesiana, e finì rendendo grazie al Cardinale Arcivescovo per l'amore che portava a Don Bosco e a' suoi figli. Si rise, si pianse, si applaudì[97].
Fatta quindi la colletta per la Messa solenne da requiem in suffragio degli ex-allievi defunti, parlò Don Bosco e disse così:
Più cose vorrei dirvi, ma il tempo stringe, e molti di voi hanno il desiderio di recarsi ai loro uffizi o alle loro famiglie. Quindi io v'indirizzerò poche parole. E in primo luogo vi dirò che io sono molto contento di vedervi radunati qui in questo luogo, tanto più che in questo anno io fui a un certo punto di malessere e di spossatezza, che mi credetti di non potermi più trovare con voi. Dio sia benedetto, perchè ha permesso che mi trovassi ancora in compagnia dei miei cari figliuoli.
Si parlò da alcuno di voi della Messa d'oro che dovrei celebrare nel 1891, ed io certo non mi rifiuto di trovarmi in quell'epoca alla grande solennità ma bisogna trattar quest'affare, bisogna far questo conto con uno che è il padrone dei padroni, il Signore della vita e della morte. Tuttavia fin d'adesso invito tutti voi a quella festa, tanto più [173] che in quell'anno cadrà il primo cinquantenario della fondazione dell'Oratorio. Se Dio ci lascerà in vita, vogliam cantare un Tedeum ben solenne.
Una cosa però della quale fin d'ora dobbiamo ringraziare grandemente il Signore, e che forma la mia più grande consolazione si è che dovunque io vado, ascolto sempre buone notizie di voi: da tutte le parti si parla bene dei miei antichi figliuoli: tutti lodano questa nostra adunanza, perchè è il vero mezzo per ricordare gli avvisi ed i consigli che io vi dava quando eravate fanciulli. Sì, lo ripeto, questo mi dà la più grande consolazione, è l'onore e la gloria dei miei ultimi anni.
Vedo che molti di voi hanno già la testa calva, i capelli incanutiti e la fronte solcata da rughe. Non siete più quei ragazzi che io amava tanto; ma sento che ora vi amo ancor più di una volta, perchè colla vostra presenza mi assicurate che stan saldi nel vostro cuore quei principii di nostra santa religione che io vi ho insegnati e che questi sono la guida della vostra vita. E poi vi amo ancora di più, perchè mi fate vedere che il vostro cuore è sempre per Don Bosco. Voi dite a me: - Ecco o Don Bosco, noi siamo qui per protestarle che noi siamo sempre tutti suoi nella via della salute, e i suoi pensieri sono tuttora i nostri. -E io dico a voi che sono tutto vostro nel fare e nel pensare in ogni mia azione.
Avete mandato un plauso all'amato nostro Arcivescovo cardinale Gaetano Alimonda, e il vostro plauso mi ha cagionato un'altra grandissima consolazione. É una fortuna grande per noi il cardinale Alimonda. É un vero nostro protettore, un amico, un padre! Ogni atto di riconoscenza che a noi sia concesso di manifestargli, sarà sempre inferiore ai benefizi ed all'amore con cui ci ha consolati.
Il vostro grido di evviva al sapientissimo Leone XIII risuonò pure nel mio cuore pieno di riconoscenza per quello che egli ha fatto in nostro vantaggio. Non posso esprimervi a parole la bontà sua verso di noi. Ciò che noi possiamo fare si è di pregar Dio benedetto, che voglia coi tesori delle sue grazie e delle sue consolazioni fare quello che a noi non è dato di fare.
Voi avete parlato anche delle Missioni. È impossibile che Don Bosco vada nella Patagonia. Eppure avrei gran desiderio di andare a conoscere quei tanti che debbo chiamare col nome di figli, che mi scrivono affettuose lettere e che io non ho mai visti; avrei gran desiderio di rivedere coloro che con tanta abnegazione sono partiti da questo Oratorio per andar a portare la civiltà cristiana in mezzo alle tribù selvagge. Ma se non posso andar io, andrà monsignor Cagliero. Egli porterà in quelle praterie la fama della vostra bontà e vi porterà come modelli ai suoi nuovi amici. Dirà a quei popoli: - Venite a Torino e vedrete come i miei vecchi compagni, essendo buoni cristiani, sono felici nelle loro famiglie, nella società, ne' loro affari. - Quando questi selvaggi saranno convertiti e migliaia di fanciulli saranno raccolti [174] nei nostri collegi, e in mi secolo così poco curante di religione, essi pure faranno vedere al mondo come si possa amar Dio ed essere nello stesso tempo onestamente allegri, essere cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini.
Io finisco. Continuate nella buona via che da tanti anni battete, cosicchè possiate dirvi contenti di essere venuti qui; Don Bosco sarà pure contento e potrà gloriarsi che quei giovani da lui un giorno tanto amati ora fatti uomini hanno saputo conservare e praticare quell'insegnamento che hanno ricevuto dal suo labbro. Voi eravate un piccolo gregge: questo è cresciuto, cresciuto molto, ma si moltiplicherà ancora. Voi sarete luce che risplende in mezzo al mondo, e col vostro esempio insegnerete agli altri come si debba fare il bene e detestare e fuggire il male. Sono certo che voi continuerete a essere la consolazione di Don Bosco. Cari figli miei, che il Signore ci aiuti colla sua grazia cosicchè possiamo un giorno trovarci tutti insieme in Paradiso.
Un particolare degno di nota è questo, che prendevano parte alla riunione tre di quei primi giovani, i quali nel 1841, sonnecchiando dinanzi all'altare della chiesa di S. Francesco d'Assisi, erano stati da Don Bosco veduti e invitati al catechismo. Essi rappresentavano davvero autenticamente i veterani delle prime schiere.
Com'è bello, piacevole, edificante raccogliere oggi l'eco lontana di quelle periodiche dimostrazioni filiali! Anche nel convito degli ecclesiastici risonò eloquente la voce del cuore. Don Reviglio, il parroco di S. Agostino, proferì poche, ma toccanti espressioni. - lo sono ben fortunato, disse, e vado orgoglioso di trovarmi a fianco di Don Bosco. Sono certo di essere per voi tutti oggetto d'invidia per il posto che occupo. Ognuno di voi vorrebbe certo essere al luogo mio. É ben giusto però che a me sia data questa preferenza, perchè appartengo ai primi giovani dell'Oratorio, e fui il primo a essere ordinato sacerdote. Mi ricordo sempre di quando eravamo piccolini intorno a lui e correva fra le sue braccia. Orbene in questo giorno io sono ancor più felice, non solo per essere al suo fianco, ma per la parola che mi fu dato ora di udire dalle sue labbra. Io l'ho interrogato: Dica, Don Bosco, come potremo noi ricompensarla di quanto ha fatto e patito in nostro vantaggio? [175]
Ed egli mi ha risposto: Chiamatemi sempre padre, e io sarò felice! - Sì, sempre nostro padre lo chiameremo! fu il grido unanime degli uditori.
I versi piemontesi di Don Francesia esilararono i convitati. Poi parlò un altro dei più anziani, il canonico Ballesio vicario foraneo di Moncalieri. “Ah! celebrino gli altri, esclamò, i grandi scrittori, che le belle imprese ai posteri tramandano; io celebro colui che la legge santa del Signore scrisse e scrive nel cuore di tanti suoi figli ed amici. Celebrino altri gli artisti, che diedero vita alle tele, ai marmi immortali; io celebro colui che fece e fa tuttora più bella e degna l'immagine vivente di Dio in tanti suoi figli e beneficati. Celebrino altri i valorosi guerrieri, i politici astuti; io celebro colui che nelle sue pacifiche, ma sterminate imprese la patria onora di utili, onesti e degni cittadini. Sì, io te celebro, o Don Bosco, - angelo della nostra vita, te cui io e molti miei amici dobbiamo l'essere della nobile ecclesiastica carriera. Te noi cantiamo, la cui memoria sempre benedetta ci sta impressa nella mente, scolpita dolcemente e fortemente nel cuore. Te noi festeggiamo, il cui nome soavissimo è come il nome di Dio, che illumina nelle dubbiezze, rinfranca nei pericoli, frena negli sdegni, fortifica nelle passioni, sprona al bene. Oh quante volte nei torbidi e profani istanti la tua immagine ci appare come iride conciliatrice di pietosi, casti e nobili pensieri! Quante volte la memoria di un tanto Padre trattenne il figlio sull'abisso della colpa e del disonore! Quante volte l'animo esacerbato, addolorato, profondamente addolorato, al ricordarsi di te, sentì nuova forza, e la mente ed il cuore si aprirono a più sereni pensieri, ai santi gaudi della cristiana speranza! Eri tu, sei tu, nuovo Filippo, che così sostenevi e sostieni i figli tuoi. Deh sii, sii benedetto, sii a noi lungamente serbato, sii da tutti i tuoi figli sempre obbedito, imitato! Che noi ti vediamo, ma cresciuti a migliaia, che ti vediamo nel sospiratissimo cinquantenario. E qui i figli tuoi dell'Antico e del Nuovo Mondo possano anche allora bearsi del tuo amabile [176] sembiante baciarti la sacra, benefica mano, e dirti che ti amano e per te amano il buon Dio, del quale ritrai sì bella immagine ”.
Al dire enfatico, ma sincero ed efficace dell'oratore, tenne dietro la parola calma e paterna di Don Bosco, che ascoltata in religioso silenzio interessò fino all'ultimo il vivace uditorio.
Io sono molto contento che siate venuti a passare questa giornata con me, e vi ringrazio di tutti i segni di affezione che mi avete dati. A coloro che non poterono venire a questo nostro convegno, dite che io li ringrazio egualmente che li invito di nuovo e che verranno un'altra volta. A tutti quelli che appartengono al clero, come ai secolari, ripeto che io li conservo nel cuore, e li considero come cari figliuoli e li ringrazio di tutto quello che hanno fatto e faranno per me.
A voi in particolare dirò che l'Oratorio, come ognuno può vedere, è benedetto dal Signore. Siamo cercati da tutte le parti e bisognerebbe poter centuplicare il personale per soddisfare a tutte le domande. Gli stessi giovani usciti dalla nostra casa sono i preferiti quando concorrono con altri per avere un impiego o un uffizio. Persino certi artigiani che qui fra noi non sembravano tanto buoni, nei paesi ove ora si trovano, si diportano egregiamente. Ce ne furono di indole restìa, indolente, focosa; eppure col pensiero di essere figli dell'Oratorio mutarono interamente condotta. Io so di uno che fu allontanato dall'Oratorio, il quale per ritornare in Italia ha fatto un viaggio lunghissimo a piedi.
- E perchè non provvedi a te stesso per avere vita più comoda? gli dicevano certuni.
- Cerca di fartene, non mancano i mezzi...
Ed egli poi narrava: - Molte volte ebbi occasione di poter impunemente ritenere la roba altrui, ma dissi sempre fra me: Non sia mai che disonori l'Oratorio. - E così percorse duecento chilometri a piedi. Questo è un fatto solo; ma molti altri di simil genere arrecarono a noi grande consolazione. L'amor proprio ci avrà avuta la parte sua, ma per questo il risultato non è meno felice.
Ed ora parlo per voi parroci, viceparroci, preti, chierici, impiegati, capi d'arte[98]. Sia benedetto il Signore per aver permesso che ci trovassimo insieme a questa piccola festa e perchè ci ha lasciati vivere, affinchè potessimo sempre lavorare per prepararci la salvezza eterna dell'anima nostra. Questo deve essere il fine di ogni Salesiano e il suo continuo sospiro. Col nome di Salesiano io intendo significare [177] tutti coloro che furono educati colle massime di questo gran santo. Quindi pur voi siete tutti Salesiani.
Un altr'anno vi attendo ad una simile riunione e spero che voi ci sarete tutti e che ci sarò anch'io. Tale è il mio desiderio e la mia intenzione. Bisogna però vedere se il Padrone della vita la penserà come la pensiamo noi. Dico questo perchè l'anno venturo ho parecchie cose da dirvi, che si compiranno in questo anno corrente: e sono sicuro che ne sarete contenti.
In primo luogo c'è la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Roma. Questa colossale impresa mi stancò molto per i gravi e continui pensieri e mi fece andar curvo sotto il peso delle enormi spese. Bisognava trovare venticinque mila lire ogni mese. Ora però le costruzioni della chiesa sono molto avanzate, si lavora con grande alacrità attorno al nuovo ospizio, e per l'anno venturo spero di poter condurre tutto a termine. E giacchè parlo della chiesa del Sacro Cuore, voi sapete come io abbia aperta una lotteria per far fronte alle ognora crescenti spese. Ho fatto assegnamento anche sulla vostra carità; quindi manderò a voi un piccolo numero di questi biglietti. Spargeteli tra il popolo: riteneteli per voi, se la vostra borsa ve lo permette: se non potete ritenerli, ritornatemeli che io vi sarò grato egualmente. Quel che io vi raccomando si è che mi aiutiate, in quei modi che potete e sapete, a compiere un'impresa che mi fu affidata dal Sommo Pontefice Leone XIII.
In secondo luogo vi dirò. Il colera fa strage in paesi da noi non lontani, e forse abbiamo da temere che invada anche le nostre province. Quindi io vi suggerisco un facile antidoto contro questo male. Esso consiste in una medaglia che da una parte ha scolpito il Sacro Cuore di Gesù e dall'altra l'effigie di Maria Santissima Ausiliatrice. Questa medaglia portatela al collo, in saccoccia ovvero nel taccuino: basta che l'abbiate in dosso. Nello stesso tempo ripetete ogni giorno la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Così facendo, state tranquilli e certi che la Madonna farà vedere visibilmente il suo potente patrocinio. Avrei piacere che voi osservaste attentamente, se anche un solo che abbia in dosso questa medaglia, cadesse colpito dal morbo. Voi andate pure con coraggio ad, assistere gli ammalati nelle case, negli ospedali e nei lazzaretti, e non temete.
É pur necessario che si faccia sovente la santa Comunione. Ma parlando a preti che dicono tutti i giorni la santa Messa, questa esortazione è superflua. Piuttosto esorterò voi a dirlo agli altri, perchè qui sta la radice della divozione. Pulita l'anima, ognuno può dirsi sicuro di non essere incolto da nessun malanno.
Questa pratica di portare la medaglia, pronunciare la giaculatoria, frequentare i Sacramenti non osservatela voi soli, ma propagatela in ogni luogo fra i vostri parenti, amici e conoscenti, affinchè serva a tutti di antidoto contro il colera. Il Signore vuole con questo svegliarino scuotere le coscienze. Quindi predicate questa divozione anche dal [178] pulpito. A qualcuno potrà sembrare strano, ardito e forse anche ridicolo; ricordatevi che al cospetto della morte cessano le risa. Vi dirò come pochi giorni fa un ricco signore, che si vanta scevro da pregiudizi, è venuto in mia camera. Aveva udito come io parlassi dell'efficacia della medaglia di Maria Santissima Ausiliatrice. Quindi m'interrogò:
- È vero che ella propaga superstizioni?
- Di quali superstizioni intende?
- Che quelli che portano indosso la medaglia di Maria Ausiliatrice saranno salvi dal colera.
- E a lei che cosa importa di ciò che io dico?
- M'importa, perchè la mia famiglia e specialmente mio figlio primogenito vogliono ad ogni costo avere la medaglia.
- Ed ella ci crede all'efficacia di questa medaglia?
- Ed è padrone di non crederci. Nessuno la obbliga. Se non ci crede, stia pur senza medaglia, nessuno vuol dargliela per forza. Ma se ci credesse, sarebbe facile procurarsela.
- E la superstizione? Come posso io credere che un pezzo di metallo abbia tanta efficacia?
- Ma lasci un po' andare! Intenda bene che una pratica approvata dalla Chiesa non è mai superstiziosa.
Dopo, per non piccola ora, si parlò delle notizie della Francia. Quel signore divenne pensieroso. Nel congedarsi disse con una certa esitanza: -Signor Don Bosco, se volesse farmi un favore! ...
- Dieci, se fa d'uopo: parli pure.
- Avrebbe ancora qualcuna di quelle medaglie?
- Quando si tratta di salvar la pelle... capisce bene ... insomma... ho detto per dire... mi dia la medaglia. Io ci credo e voglio che me ne dia anche una per mia moglie e per ciascuno dei miei figli.
Avete inteso! Il Signore che ci vuole tutti felici, con questi flagelli intende di farci conoscere la preziosità della vita anche temporale. E voi, miei cari figliuoli, abbiate di mira nelle vostre prediche di parlare sovente della morte. Oggigiorno non si fa alcuna stima della vita. Chi si suicida per non sopportare i dolori e le disgrazie; chi arrischia la vita in duello; chi la sciupa nei vizi; chi la giuoca in arrischiate e capricciose imprese; chi ne fa getto affrontando pericoli per eseguire vendette e sfogare passioni. Predicate adunque e ricordate a tutti, che noi non siamo i padroni della nostra vita. Dio solo ne è il padrone. Chi attenta ai propri giorni, fa un insulto al Signore, è la creatura che fa un atto di ribellione contro il suo Creatore.
Voi che avete ingegno, troverete idee e ragioni in abbondanza e modo di esporle per indurre i vostri uditori ad amare la vita e rispettarla, nel gran pensiero che la vita temporale bene impiegata è foriera della vita eterna. [179]
Le reminiscenze qui sopra riandate dei tempi antichi dell'Oratorio e la narrazione di alcune vicende accadutevi in in questi anni potrebbero far pensare che le cose fossero radicalmente cambiate nè vi si riscontrasse più nulla della primitiva pietà e innocenza fra i giovani. Niente di più errato. Mentre scriviamo, vive in Inghilterra una Miss Gerardina Penrose Fitz Gerald, dimorante a Ensbury Park, Bournemouth, la quale conta 84 anni di età e serba indelebile nella memoria il ricordo di un suo incontro con Don Bosco proprio cinquant'anni or sono. Nel 1884 si recava a Roma con un pellegrinaggio, viaggiando in compagnia di Lord Denbigh e la sua signora. Insieme con Mr. Giorgio Lane Fox questi nobili signori visitarono Don Bosco, il quale fece veder loro tutta la casa. Nell'attraversare i cortili prendevano diletto a rimirare i giovani che, avvicinandosi a Don Bosco, gli baciavano la mano, ed egli posava l'altra sua mano sulla loro testa, dandovi un colpettino. Mr. Lane Fox, avendo udito parlale di un ragazzo dell'Oratorio che aveva del santo, domandò se i visitatori lo potevano vedere. Don Bosco lo mandò subito a chiamare: - E, dice Miss Fitz Gerald, io non vidi mai volto più bello e più celestiale. - Andatosene il fanciullo, Don Bosco disse: - Oh, Iddio è buono! Egli mi conforta dandomi a quando a quando anime belle come quella. - Mr. Lane Fox allora gli chiese: - Ne ha parecchie dello stesso genere? - Il Santo fece un piccolo gesto scherzevole con un largo sorriso dicendo: - Oh sì, forse più che ella non immagini. - Gli stranieri nell'accomiatarsi s'inginocchiarono per ricevere la benedizione e Miss Fitz Gerald rammenta che parve con quella benedizione diffondersi in loro un insolito e caro sentimento di pace[99].
A coronare la festa onomastica giunsero opportuni a Don Bosco gli auguri del più lontano de' suoi figli. Don Fagnano con la data del 26 maggio gli scriveva da Patagónes: “Desidero [180] ardentemente di vederla ancora una volta, baciarle la mano dopo nove anni di esilio volontario sì, ma penoso per essere lontano da Lei. Accetti gli auguri di cinquecento selvaggi battezzati quest'anno, di centocinquanta ragazzi e ragazze che frequentano le nostre scuole, di otto confratelli salesiani e di sette suore di Maria Ausiliatrice che formano la casa di Patagónes.”.
Si è visto già più volte e si vedrà ancora in appresso come, parlando del suo giubileo sacerdotale, Don Bosco non dicesse mai che vi sarebbe arrivato. Tuttavia amava talora scherzare, fissando chi doveva servirgli la Messa, chi provvedere il vino, la carne, le candele, chi far questo o quello; perfino sarebbero venuti quattrocento cantori dalla Patagonia. Onde avvenne che in tanti si formasse una certa persuasione che la grande festa si sarebbe celebrata; ma era l'affetto che dava ali alla fantasia. Lo stesso Don Lemoyne attesta che il Santo in nessun modo fece mai conoscere nè a lui nè ad altri che gradisse per lo meno l'augurio, di cui opra abbiamo parlato.
IL sogno fatto da Don Bosco a Roma, pressochè dettato a Don Lemoyne e letto da Don Rua una sera dopo le orazioni, portò le sue conseguenze benefiche. Dei giovani chi ascoltò quella lettura con ansiosa curiosità, chi con timore e tremore. Il Santo dopo il suo ritorno, come si fu sbrigato degli affari più pressanti, cominciò quotidianamente a spendere sul tardi qualche ora in dar loro udienza. Avendo egli lasciato chiaramente intendere che aveva visto lo stato delle coscienze, i buoni erano vaghi di sapere che cosa vi fosse sul proprio conto; quindi furono i primi ad accorrere. Uno di questi, Don Paolo Ubaldi, testifica che in modo sorprendente Don Bosco gli disse come andassero le cose sue. Altri invece esitavano a presentarsi, ed erano quelli che avevano maggior bisogno di sentire una parola di richiamo e di eccitamento.
Taluni di questi ultimi da un anno o da due non avevano parlato con lui; ma alquanti di essi da cinque anni si trovavano all'Oratorio senza che neppure una volta gli si fossero avvicinati, sicchè le loro fisionomie gli riuscivano nuove. Magagne segrete per lo più trattenevano costoro. Interrogati allora nella sua camera, perchè non si fossero mai lasciati vedere, rispondevano che Don Bosco non era accessibile, che Don Bosco stava fuori, che essi avevano da studiate... Eppure Don Bosco, quand'era in casa, confessava quasi ogni mattina [182] nella sacrestia, dove, chiunque volesse, poteva con tutta facilità andare da lui. Ordinariamente a chi mendicava simili scuse, egli rispondeva: - Tu hai cercato di sfuggirmi; ma vuoi che ti dica io il perchè? - L'interrogato lo guardava sbalordito. Ed ei ripigliava: - Il perchè è uno solo: avevi paura di Don Bosco. Tu non osavi confidarmi certe cose, che hai fatte fin da quando stavi ancora a casa... e che hai continuato a fare. - Se il giovane balbettava scuse, allora Don Bosco, calmo e paterno, gli narrava per filo e per segno con tutte le circostanze quello che il poveretto teneva da anni gelosamente celato nel cuore. Di solito, chi si vedeva così scoperto, si lasciava cadere in ginocchio e con voce soffocata dai singhiozzi: - Ah, Don Bosco, basta, esclamava, basta! - E Don Bosco: - Se questo discorso ti rincresce, cambiamolo. Ma vedi se avevo ragione di dirti, che lo star lontano da me era la tua rovina... - Raccontarono alcuni giovani che Don Bosco aveva parlato loro di un mostro in forma d'elefante da lui visto nel cortile a fare strage, schiacciando o lanciando in aria e sfracellando chiunque gli si parasse dinanzi.
Durante quel periodo di tempo il Santo disse un giorno a Don Lemoyne: - Come è buono con noi il Signore! In tanti modi straordinari ci avverte per il nostro bene e per il bene dei nostri giovani. Pochi al mondo ebbero i mezzi che abbiamo noi.
L'effetto di queste scosse salutari non tardò a manifestarsi. Più frequenti divennero le comunioni e le visite quotidiane a Gesù Sacramentato; crebbe la docilità; la vita dell'Oratorio si rianimava. Il cielo delle feste compiè poi l'opera: Ma ci volevano provvedimenti duraturi; al che si pensò dal Capitolo Superiore, nelle cui adunanze a più riprese le condizioni dell'Oratorio furono oggetto di accurato esame. È istruttivo conoscere almeno in par te quello che vi si discusse sotto la presidenza di Don Bosco.
Importante per siffatto argomento ci sembra una seduta del 5 giugno. Con i Capitolari vi assistettero anche Don Scapini, [183] Direttore a Lanzo, e Don Bertello, Direttore a Borgo S. Martino. Studiatasi una proposta di Don Barberis, prese ex abrupto la parola Don Bosco. Piacerà leggere nella sua integrità questo punto del verbale.
DON BOSCO. - Si tratta di vedere e di studiare ciò che debba farsi e ciò che debba evitarsi per assicurare la moralità fra i giovani, e per coltivare le vocazioni. Già si stabilirono le varie norme nel Capitolo Generale che sono stampate. É cosa dolorosa il vedere come tanti giovani, dei quali le cose van bene sul principio, giunti alla quinta ginnasiale, son tutti mutati. Si è già osservato che molti della quarta e quinta classe invece di consecrarsi allo stato ecclesiastico si decidono per le università e per gli impieghi. Una parte abbracciò lo stato ecclesiastico, ma in Seminario per secondare i parenti, per le arti dei parroci, per i consigli dei Vescovi. Fra cento giovani di quarta e di quinta ginnasiale, forse due soli pagano pensione regolare. Gli altri sono o mantenuti gratuitamente, o almeno provvisti dalla casa di libri e di vestiario.
Noi dunque diamo la carità altrui a chi vuole riuscire avvocato, professore, medico, giornalista. Che questa sia la riuscita dei giovani educati negli altri nostri collegi non ho nulla a dire; ma ciò non è sopportabile nella nostra casa di Torino dove i giovani vivono della carità pubblica. Propongo adunque che si esamini quale sia l'obbligo nostro di coscienza, e che cosa si debba fare. Negli anni scorsi vi era un gran numero di giovani che volevano parlarmi di vocazione. Ma in questo anno nel quale si raccolsero gli aspiranti per far loro speciali conferenze (ciò che non si era mai fatto) la cosa corre diversamente. Pochi e a stento mi vennero a parlare e mi dissero francamente di voler andare chi al secolo, chi in seminario. Interrogati perchè andassero alle conferenze degli aspiranti, alcuni risposero: - Per udire quanto si dice nelle conferenze. -Gli altri più francamente: - Per essere meglio visti dai Superiori. - Saran buoni giovani, ma hanno il loro piano fatto. Non è cattiva cosa in sè aiutare costoro, ma insomma diamo il nostro pane a tanti che poi ci voltano le spalle e lo diamo per raccomandazione di chi talvolta, dopo averci tolti i giovani, ci critica ancora, dicendo che teniamo le vocazioni per noi. Ciò mi accadde di verificare oggi stesso.
Ma di questo basti. A mio parere noi dovremmo prendere una misura sull'organizzazione dei nostri studi. Dovremmo ridurli a ciò che sono le scuole apostoliche in Francia. Sarà cosa difficile, ma pure bisognerà riuscire. Fatto ciò vedremo come si possano ammaestrare e come si debbano custodire i giovani. É vero che non ne avremo più un numero così straordinario. Ne avessimo anche soli cento, cinquanta, quaranta, pazienza, ma non ci sarà cancrena morale. Credo che per [184] giungere al nostro fine non bastino le deliberazioni prese nei Capitoli generali.
DON LAZZERO propone che si ricominci coll'abolire la quinta ginnasiale.
DON BOSCO. - É mio progetto di deputare una commissione per lo studio della sovraesposta idea delle scuole apostoliche. Io non posso riflettere, perchè la mia testa ne soffre. Ho bisogno che si comprenda la necessità della cosa e si studino seriamente i mezzi per effettuarla. Credo anche opportuno togliere ai giovani la libertà di andarsi a confessare da chi vogliono, Si deputeranno confessori determinati in numero sufficiente, ma saranno fissati. Questa libertà in quanto agli artigiani si lasci pure e pazienza, ma gli studenti hanno bisogno d'una direzione particolare. Se non osano confessarsi da quel cinque o sei sacerdoti destinati per essi, aspettino l'occasione degli esercizi.
DON RUA nota come esso abbia sempre osservato che la riuscita della quinta ginnasiale buona o cattiva dipende sempre dal professore. Dopo che a Lanzo Don Borio fa scuola in rettorica, la Congregazione ebbe sempre ascritti provenienti da quel Collegio.
DON BOSCO. - Da qualche tempo è scemato il numero degli ascritti che provengono dall'Oratorio, sia perchè i parroci ci mandano dei roclò[100] accompagnati dalle più belle attestazioni di buona condotta, sia perchè quando costoro sono accettati non si ha abbastanza energia nel rimandarli alle case loro. Dunque studiare le accettazioni ed il modo di purgare la casa. Intanto vedere: io Sarà bene organizzare le nostre scuole a modo delle apostoliche? 20 Quali sono queste scuole apostoliche? Dalla risposta che risulterà da questi due quesiti, si vedrà se si deve o se non si deve mantenere la quinta ginnasiale.
DON SCAPINI propone di togliere dalle nostre scuole il greco e la matematica, o almeno, dare solo i primi principii di queste scienze, come si fa nei Seminari. Allora giunti alla terza ginnasiale quei giovani che non vogliono saperne dello stato ecclesiastico, penseranno a provvedere altrimenti a se stessi. Gli altri poi nostri, che dovranno prendere la licenza ginnasiale potranno studiare a S. Benigno il greco e la matematica.
DON BONETTI approva quanto si è detto, ma sostiene che ciò deve essere conseguenza e non principio di una riforma. É un curare le foglie di un albero, mentre si dovrebbero curare le radici.
DON BOSCO: - Ora la questione posta è sulle accettazioni e sul mettere le ossa rotte alla porta. Intanto un punto da meditarsi bene sono le scuole apostoliche come si usano nei seminari.
DON BURTELLO interpellato da Don Bosco, risponde non credere conveniente cosa stabilire scuole apostoliche nell'Oratorio. Avremmo contro di noi parroci, Vescovi, parenti, governo. Quindi non approva [185] l'abolizione della quinta ginnasiale. Esso è fermamente persuaso che per guarire i nostri mali ci voglia: I° Disciplina. 2° Severità nell'espellere i cattivi. 3° Vigilare scale, poggiuoli, cortili che non sono destinati alle ricreazioni.
DON CAGLIERO in quanto alle accettazioni nota, che queste dovrebbero dipendere da un solo; altrimenti accadrà che uno accetterà le pecorelle e l'altro accetterà i lupi che sono le persone adulte, accettate per carità e destinate ai vari uffici.
DON BOSCO spiega la sua idea di un catechismo da farsi la domenica, col quale si istruiscano i giovani secondo i nostri principii.
DON BONETTI ritorna sulla necessità di curare le radici e interpella Don Lazzero che come Direttore dell'Oratorio deve sapere le cose meglio che tutti gli altri membri del Capitolo. Esso dunque parli.
DON LAZZERO: - Bisognerebbe prima di tutto mettere in pratica il regolamento delle case come negli altri collegi. Quindi unità di comando, altrimenti l'ufficio di Direttore si riduce a quello di un umile servitore. Infatti i giovani espulsi, prima di partite, ottengono attestati di buona condotta da qualche membro del Capitolo stesso spinto da troppo buon cuore; questa cosa sapendosi dai giovani ne scapita l'ordine o l'autorità del Direttore. Il Direttore resta legato ecc.
DON BOSCO decide che si stabilisca una Commissione la quale studi i provvedimenti da seguirsi per promuovere la moralità nell'Oratorio. Sono eletti membri di questa Commissione Don Rua, Don Bonetti, Don Lazzero, Don Durando, Don Cagliero. Si raduneranno lunedì alle due e mezzo pomeridiane per comunicarsi le proprie maturate riflessioni. Don Bonetti è incaricato di chiedere privatamente i pareri dei singoli membri del Capitolo della casa e dei singoli maestri e farne relazione alla Commissione lunedì.
DON BERTELLO propone: - I° Distinzione e divisione assoluta fra i ricoverati nella casa col formare tre grandi categorie; studenti, artigiani, persone non appartenenti alla Congregazione. 2° Sorveglianza di scale, corridoi ecc.
DON LAZZERO fa notare che nelle passeggiate le squadre erano una volta composte di Soli 25 giovani. Ora invece sono composte dell'intera classe. Le passeggiate sono un gran pericolo, se non si vigila. Lamenta anche le vacanze ecc.
DON BOSCO conclude insistendo sull'urgenza di tutelare la moralità. Per riuscirvi non si risparmi nè personale, nè lavoro, nè fatica, nè spesa.
DON LAZZERO si lamenta ancora che manca l'unità di direzione e che non è sostenuto.
DON BOSCO finisce col replicare su quali punti devesi portare il risultato pratico della Conferenza: I° Regolando l'accettazione dei giovani. 2° Purgando la casa. 3° Dividendo, distribuendo, regolarizzando uffici, giovani, cortili ecc. [186]
Non era la prima volta, nè, come vedremo anche nell'anno seguente, sarà l'ultima, che Don Bosco parlava così di ridurre l'Oratorio a un vivaio di vocazioni ecclesiastiche e preferibilmente salesiane.
Già il 27 gennaio aveva esposto a Don Lemoyne un suo disegno, che mirava al medesimo scopo. - Vorrei trasportare, aveva detto, le classi di quarta e quinta ginnasiale a S. Benigno e per coloro soli che volessero fermarsi in Congregazione, facendo prima firmare dai parenti una dichiarazione di lasciare piena libertà ai loro figli. All'Oratorio rimarrebbero solo la prima, seconda e terza ginnasiale. Se un giovane, compiuta la terza, non si vuol fermare con noi, ci pensino i parenti o il suo parroco. In questo modo si toglierebbero tante bocche, che distruggono pane inutilmente, nè si manterrebbero giovani, i quali, quando ci potrebbero essere utili, vengono ritirati con blandizie o altro dai signori parroci. - Precisò ancor meglio il suo pensiero dinanzi ai Capitolari in una seduta del 18 luglio.
Si legga e si metta in pratica ciò che il Capitolo ha deliberato. Noi intorno alla condotta dei giovani siamo sempre ingannati, perchè sono sempre buoni i voti delle decurie mensili. Conosciuto un giovane per malvagio, non lasciamoci illudere da speranze di ravvedimento. In queste vacanze cercherò` di provvedere l'Oratorio del personale necessario e specialmente di un catechista.
Io prevedo che volere o non volere le nostre scuole dovranno mettersi sul piede di quelle dette apostoliche. Per quanto è possibile si accettino solo quei giovani che vogliono essere Salesiani o applicarsi alle Missioni. I giovani che si accettassero con questa condizione e non volessero più farsi Salesiani, paghino pensione intera, se desiderano rimanere. Ritornati i giovani dalle vacanze si potrebbero dettar loro subito gli esercizi spirituali. Dopo le vacanze non si accettino mai i giovani che ritornano dalle loro case senza l'attestato di buona condotta fatto dal parroco. Alcuni ritornano senza mai essersi presentati al proprio parroco, in due o tre mesi che stettero al paese. E ancorachè alcuni avessero questo attestato, se ne chiedano confidenzialmente: notizie al parroco promettendo il segreto.
Si vedrà pure se è il caso di riformare i Capitoli delle singole case e vedere specialmente se i catechisti sono all'altezza del loro ufficio. Il Consigliere scolastico sappia quel che si fa nelle singole classi e le [187]visiti con frequenza. Ognuno eseguisca i doveri del suo ufficio alla presenza di Dio.
Una cosa da studiarsi è questa, Quando vi è qualche giovane che dà speranza di riuscire buon Salesiano, possa o non possa pagare la pensione, non si guardi a spese. Provveda la casa. Io sono certo che il Signore ci verrà in aiuto con mezzi straordinari ed inattesi, quando si faccia ogni sforzo per avere vocazioni. Non guardiamo perciò a spese. Ciò serva eziandio di regola per gli altri nostri collegi. Se in un giovane c'è speranza di riuscita ed i parenti non possono pagare, se fanno difficoltà, se si lamentano coi Superiori di essere nelle strettezze e di non poter pagare le provviste necessarie, allora in vista della buona condotta del giovane, si accordi pure il condono dì un mese, di un trimestre; ma vi sia sempre la speranza di qualche probabile vocazione. Oggigiorno le vocazioni vanno sempre diminuendo.
Impedire collo stesso zelo, che percorrano la carriera ecclesiastica coloro che non sono chiamati e gli indegni. Ciò si faccia colla massima prudenza. Non si accettino mai in prova coloro, che prima non hanno fatto buona riuscita.
Per chiudere la porta a possibili e pericolosi sotterfugi, furono impartiti ordini di non mandare più i giovani fuori della casa. Alcuni da tempo andavano a fare il catechismo nella parrocchia di S. Donato e nell'oratorio dì S. Giovanni; altri a servire in funzioni religiose presso le suore di S. Pietro e del Buon Pastore. Profittando dell'occasione, chi scappava in famiglia a visitare i parenti, dicendo di avere il permesso, chi entrava nei caffè; per tutti inoltre vi era perdita di studio, di pratiche religiose e di prediche adatte a loro. Disse Don Bosco: - Si prevengano tali istituti che da qui a un mese non si potranno più mandare i giovani per, il servizio dell'altare e che in questo tempo si procurino altri inservienti. Se il seminario non si presta, per qual motivo dobbiamo prestarci noi? Si avvisi anche la chiesa di S. Donato, che si aggiusti per il catechismo con gli operai cattolici, avvertendo che non manderemo più i nostri piccoli catechisti, perchè si divagano troppo. - Giovani infermi dell'Oratorio si affidavano talvolta a ospedali cittadini; ma su proposta di Don Rua fu deciso di smettere tale consuetudine, dati gl'inconvenienti morali che avvenivano per causa di medici, di malati e d'infermieri. Che [188] cosa infine siasi in particolare conchiuso dalla commissione nominata da Don Bosco per avvisare ai mezzi, con cui rinvigorire la buona disciplina nell'Oratorio, non sappiamo letteralmente nulla.
In tema di disciplina vi fu un'interpellanza al termine di una seduta del 30 giugno. Vi diede occasione il Direttore Don Lazzaro, annunziando che la domenica seguente si sarebbe fatto un po' di festa al Sacro Cuore secondo l'intenzione di Don Bosco per ottenere alla casa quelle specialissime grazie, delle quali aveva bisogno. Don Bonetti allora entrò a parlare sull'assistenza dei giovani e sulle camerate aperte durante il giorno. A un dato punto Don Bosco troncò la questione con una serie di domande. - Chi è nel fatto ora responsabile della disciplina? A chi si debbono rivolgere maestri ed assistenti per avere appoggio? E il contenzioso secondo le regole? E quando un maestro non c'è, chi deve provvedere perchè un altro sia al suo posto?... Ho detto che non si guardi a spese, purchè vi sia tutto il necessario per garantire l'ordine... Il Direttore non deve fare, ma vegliare che altri faccia. - Propose quindi per il 4 luglio una seduta, nella quale ritornare sul medesimo argomento.
Ma preoccupato degl'inconvenienti che succedevano con frequenza e che cagionavano grande malcontento nei giovani, senz'aspettare quella data scrisse di suo pugno sette cose che credeva necessarie, affinchè l'anno scolastico finisse in pace. Le, intitolò: “Disposizioni temporarie ”. Erano le seguenti: “I° Una novena a Maria Santissima secondo l'intenzione di Don Bosco. - 2° Prendere i giovani alle buone, far vedere che si fa tutto per loro bene e che si prende cura dei loro studi. - 3° Di quando in quando qualche parlata alla sera di uno dei membri del Capitolo Superiore. - 4° Assistenza: i membri del Capitolo si sforzino a comparire in mezzo ai giovani in ricreazione. - 5° Il Direttore o altri per lui tenga una conferenza a quanti hanno cura dei giovani per esortarli a regolarsi in modo da far cessare le mormorazioni. - 6° Procurare di [189] promuovere la frequenza ai Sacramenti e dire francamente in pubblico che alcuni non si sono confessati nè agli esercizi nè a Maria Ausiliatrice. -7° Don Bosco parli qualche volta ai giovani ”. Venuto poscia il 4 luglio Don Bosco stesso intavolò nuovamente la questione sulla riforma dell'Oratorio, pigliando le mosse dal Regolamento.
DON BOSCO. - Ho esaminato il regolamento che si praticava negli antichi tempi e mi sono persuaso doversi questo praticare eziandio ai giorni nostri, perchè provvede ed antivede tutti i bisogni. Ma è necessario che il Direttore comandi: che sappia bene il suo regolamento e sappia bene il regolamento degli altri e tutto quello che debbono fare, che tutto parta da un solo principio. Adesso è cominciato un rilassamento in questa unità. Uno dice: La responsabilità non è mia. L'altro la rifiuta. Tutti comandano e quindi ne vengono sconcerti. Uno dà un ordine, l'altro non lo eseguisce. Gli assistenti pure vogliono avere la loro autorità, e guai se la si tocca. Si stabilisca adunque questo principio d'autorità come era prima: sia un solo il responsabile. Costui non prenda sopra di sè il minimo lavoro: stia pure colle mani alla cintola, ma vada e interroghi sempre: Hai fatto? non hai fatto? Lasci che uno incaricato legga le lettere, le postilli e le distribuisca ai vari uffizi. Non gli resteranno che tre o quattro lettere di cui vedere le postille e da dare al segretario che risponda.
DON LAZZERO, interrogato da Don Bosco, risponde che questo non è ancora tutto, benchè sia un inconveniente abbastanza grave.
DON BONETTI domanda a Don Lazzero, che, trovandosi esso all'atto pratico come direttore, specifichi francamente le difficoltà che incontra.
DON LAZZERO risponde che manca questa unità, perchè i soggetti per essere diretti vanno da vari del Capitolo Superiore, e si reggono secondo i loro consigli, che talora sono contrari a quelli del Direttore.
DON BOSCO. - Se il Direttore si gettasse in mezzo, vedrebbe il da farsi e in poco tempo diverrebbe padrone di tutto e di tutti. Ci sia un solo, il Direttore della casa che faccia contratti; da un solo dipenda l'accettazione di coloro che devono appartenere alla casa; da un solo le espulsioni; un solo che determini i lavori da farsi nell'Oratorio; e questi sia il Direttore. Esso solo faccia inviti a pranzo, o almeno sia avvertito prima degli inviti fatti, affinchè non si trovi a pranzo persone sconosciute o inaspettate. Il Capitolo Superiore non ha altra ingerenza nell'Oratorio che quella che deve avere verso ogni altra casa particolare. Il Direttore dell'Oratorio è colui che deve avere qui tutta quella libertà di azione che hanno gli altri Direttori nelle loro case. Tocca a lui deliberare sui lavori da farsi ed è solamente compito del Capitolo Superiore approvare o respingere il progetto, ma [190] tenendo sempre conto del parere del Direttore. Il Capitolo nell'Oratorio non è padrone; chi comanda è il Direttore locale. Ripeto che in questi giorni ho letto attentamente il regolamento delle Case e non trovo nulla da modificare. Vi sia dunque unità di comando. Il personale destinato per questa casa è in servizio del Direttore e non per altri. Quando arrivano forestieri non conosciuti, si facciano stare in porteria e si avvisi il Direttore; ma non s'introducano subito in refettorio, come fa ora il portinaio, senza conoscere questi ospiti. Da costoro viene gran disturbo nella casa.
Quindi Don Bosco passa a chiedere quali disposizioni si possano prendere per l'anno prossimo verso la quarta e la quinta ginnasiale per assicurare la moralità. -Io ho deciso, soggiungeva, di fare avvertire i giovani, come l'anno venturo non saranno ricevuti nelle classi superiori se non quelli che vogliono abbracciare lo stato ecclesiastico e che l'Oratorio non assicura agli allievi gli esami di licenza ginnasiale.
DON DURANDO asserisce che questa misura allontanerà da noi i giovani d'ingegno e che invece rimarranno i mediocri. Che solo lo studio e gli aiuti alla buona riuscita di questo allettano i giovani ad essere buoni.
DON BOSCO: - Non voglio essere contrariato, ma coadiuvato in questo mio disegno, che ritengo essere il migliore per raggiungere il mio fine.
DON DURANDO ritira le sue osservazioni.
DON BOSCO propone un'altra radunanza per lunedì e conclude: - Tutti aiutino chi ha il comando. Don Rua tenga una conferenza a tutti gli impiegati della casa in questo senso, ma attenda che prima siamo intesi fra di noi. Qui ci vuole una testa. Il sermoncino alla sera è la chiave maestra della casa. Moltissimo, se non tutto, dipende da questo.
Don Bosco non piantava le cose a mezzo: finchè le sue idee non fossero ben comprese e messe in opera, non si stancava di ribadirle in capo a chi lo doveva aiutare ad attuarle. Perciò nella seduta del 7 luglio il riassetto interno dell'Oratorio si prese la maggior parte del tempo. Egli riassunse prima le sue istruzioni e poi ascoltò gli altri.
DON BOSCO. - I° Unità di comando: il Direttore conosca bene le attribuzioni di ciascuno dei suoi soggetti.
2° Faccia fare da altri lo spoglio delle lettere; ne legga le postille; le confidenziali le faccia scrivere da persona di confidenza, ma ciò non si faccia mai in presenza di altri. [191]
3° Egli accetti o licenzi il personale della casa e gli stessi allievi con quelle condizioni che giudicherà del caso. Nascendo però difficoltà relative ai confratelli, ne riferisca a quel membro del Capitolo Superiore che è incaricato di trattare simili affari e qualora ne sia mestieri, domandi anche il parere del Rettor Maggiore.
4° Per quanto è possibile il Direttore si limiti ad osservare se le cose si fanno dagli altri subalterni: ma egli non si tenga sopra affari determinati: procuri predicatori, confessori, professori, assistenti in numero sufficiente e poi esamini se ciascheduno conosce le rispettive regole; se le pratica e le fa praticare dai suoi dipendenti.
In quanto all'accettazione: I° Si accettino fra gli studenti solamente coloro che hanno volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico e preferibilmente coloro che danno qualche indizio di farsi Salesiano.
2° Siano severamente allontanati quelli che dicessero, insinuassero o facessero cose biasimevoli contro la moralità. Non si tema di usare in ciò troppo rigore.
3° Chi non frequenta la santa Comunione ed è trascurato nelle pratiche di pietà si metta ad un mestiere; non mai allo studio.
4° Il Direttore si trattenga volentieri cogli studenti fuori di confessione e li chiami sovente in particolare interrogandoli dei loro bisogni, della sanità, degli studi, delle loro difficoltà, della vocazione, ecc. ecc.
DON CAGLIERO e DON LAZZERO osservano che troppe in questa casa sono le attribuzioni del Direttore e degli altri del Capitolo particolare dell'Oratorio.
DON BOSCO. - Ciascuno faccia solamente ciò che deve fare. Il Catechista faccia il catechismo, insegni a servire la Messa, osservi se le regole sono eseguite. Il Catechista è la chiave dell'Oratorio e di tutto il buon andamento di esso. Il Direttore faccia predicare altri, se occorre dia ad altri l'incarico di confessare. Per lui nell'Oratorio ogni cosa è per accidens. Suo unico e vero ufficio è di sorvegliare sempre e di sorvegliare tutto e tutti.
DON LAZZERO osserva che in questo caso il Direttore non può più trattare direttamente coi giovani.
DON Bosco gli risponde che se il Direttore non può chiamare i giovani li faccia chiamare dal Catechista.
DON BARBERIS osserva che pel Direttore cosa principale è il dirigere il personale; e il personale dell'Oratorio è di circa settanta confratelli.
DON BOSCO. - Ripeto. Ciascuno faccia la parte sua. Anche i membri del Capitolo Superiore facciano solo ciò che è proprio dei loro uffizi, emancipandosi dalle altre occupazioni. Per esempio, il consigliere scolastico non abbia direzione di suore. Don Rua è massacrato dal lavoro, dalle cure materiali, dai pagamenti, dalle liti. Il Catechista lasci ogni altra occupazione estranea e procuri di conoscere tutti gli [192] individui della Congregazione: quindi per togliersi molto di lavoro e per ottemperare alla regola li avvezzi a rivolgersi agli Ispettori della propria Ispettoria. E, quelli del Capitolo particolare dell'Oratorio vadano tutti d'accordo, se vogliono che le cose procedano bene.
DON LAZZERO dice che i membri del Capitolo della Casa sono di buono spirito, ma che bisogna formarli.
DON BOSCO. - Il Direttore li ascolti benignamente, li provochi a parlare, tolga i malintesi ed i cattivi umori, sopporti anche qualche vivacità o miseria umana, sia tollerante, non aspro, sia l'anello di unione colla carità. Io poi al punto che mi trovo di stanchezza fisica e mentale non posso più andare avanti. Ho bisogno che Don Rua mi stia al fianco, per rimpiazzarmi in tante cose, che mi aiuti in ciò che io da solo stento a sbrigare. Quindi Don Rua non abbia più occupazione diretta nella casa; e in quanto alla Società Salesiana si diano ad altri le tante occupazioni che esso sbriga e che sarebbero proprie di un economo. Si studi il modo di mettere un procuratore che attenda alle eredità, crediti, debiti, liti, contratti, testamenti. Si incarichi un prete, o un laico, o un avvocato, o un procuratore di mestiere che sbrighi questi affari. Che esso sia testa nel contenzioso e nell'amministrazione. Se Don Savio volesse prendere questa parte sarebbe abilissimo nel disimpegnarla.
Ancora due cose voglio notificarvi riguardo all'Oratorio. Il Direttore spirituale o catechista della Congregazione, se accetta un individuo che vuol fare parte di questa, e costui debba fermarsi nell'Oratorio, ne renda avvertito il Direttore della Casa. Nei giovani che si accettano vi sia propensione per lo stato ecclesiastico.
Si vegli attentamente perchè non s'introduca nei giovani il veleno dell'immoralità. Se per sventura entra questo veleno, s'infiltra inosservato, non si lascia scorgere e finisce con portare un danno generale irrimediabile. Se non si vuole avvertire i giovani, che per l'anno venturo saranno nell'Oratorio accettati, che debbono essere soli quelli che aspirano allo stato ecclesiastico, si cerchi un altro ripiego, un altro pretesto, ma si ottenga questo fine che io mi propongo.
DON CAGLIERO riguardo a quelli di quarta e quinta ginnasiale fa la proposta: -Appena i giovani saranno andati alle loro case in vacanza, si scriva a tutti coloro che non si vogliono più con noi, come non siano più accettati per l'anno venturo, se non rinnovano la domanda di accettazione, alla quale sarà risposto se sì, o se no.
DON BOSCO ordina che si formoli e si esamini una simile lettera che dovrà essere concepita a un dipresso in questi termini: Se non riceverete un biglietto di accettazione entro il tale tempo, procuratevi altro luogo per compiere i vostri studi. Bisogna escludere quelli che fossero di rovina agli altri e di flagello a se stessi. Certi esseri non si tengano più nella casa. Quando danno veri indizi di non essere chiamati al [193] santuario e hanno condotta equivoca, si tolgano dagli studi e si congedino. Si guardi bene dal mettere questi studenti fra gli artigiani. Se uno studente che non ha vocazione, si mette fra gli artigiani, ne fa strage a dritta ed a sinistra, perchè costoro sono individui della peggiore specie.
Dominato da tutti questi pensieri, il Santo nel mese di luglio fece un sogno. Gli parve di trovarsi dinanzi a uno sconfinato e dolce declivio splendidamente illuminato da una luce più pura e più viva di quella del sole, tutto vestito di erbe verdeggianti, smaltato di fiori svariatissimi e ombreggiato da gran numero di alberi, i cui rami avviticchiandosi fra loro sì stendevano a guisa di festoni. L'avrebbe detto un vero paradiso terrestre. Ma più di quel giardino incantato attirarono la sua attenzione due vaghe fanciulle sui dodici anni, sedute sul margine della riva presso la stradicciuola dov'egli stava. Una celestiale modestia spirava dai loro volti e da tutto il loro contegno. Dai loro occhi sempre fissi in alto traspariva un'ingenua semplicità di colombe e una gioia di sovrumana felicità. La grazia delle movenze dava ad entrambe un'aria di nobiltà, che faceva contrasto con la loro giovinezza. Una veste candidissima scendeva loro fino al piede. I fianchi avevano cinti da una fascia purpurea con bordi d'oro, sulla quale spiccava un fregio a mo' di nastro intessuto di gigli, di violette e di rose. Un ornamento simile a guisa di monile portavano al collo. Due fascette di margaritine bianche ne cerchiavano i polsi come braccialetti. Candide le calzature e bordate di nastro filettato d'oro. Lunga la capigliatura e stretta da un a corona che cingeva la fronte, lasciando ricadere ondeggianti sulle spalle e inanellate a ricci le chiome. Esse tenevano insieme un dialogo, parlando, interrogando, esclamando, ora sedute ambedue, ora seduta l'una e l'altra in piedi, ora movendosi in su e in giù a lenti passi. Don Bosco, spettatore silenzioso, ne ascoltava i discorsi, continuati a lungo, senza che mostrassero di addarsi della sua presenza. Alla fine si volsero e salivano la ripa camminando sui fiori senza curvarli [194] e cantando un inno angelico, a cui risposero schiere di spiriti celesti, scesi loro incontro. Ai primi se ne aggiungevano del continuo altri e poi altri, levando uniti un cantico immenso e armoniosissimo, finito il quale tutti insieme a poco a poco si sollevarono in alto e disparvero con l'intera visione. Don Bosco in quel punto si svegliò.
Nei giorni seguenti egli espose per sommi capi a Don Lemoyne quello che aveva veduto, ma riferendogli solamente il senso molto generico di quello che aveva udito, cioè lodi della purezza, mezzi per custodirla e premi riserbatile in questo mondo e nell'altro; quindi gli disse che se ne valesse come di traccia per un suo svolgimento libero. Il segretario eseguì l'ordine, ma gli mancò sempre la possibilità di leggergli la lunga composizione; per questi motivi noi ci contenteremo di riportarla in fondo al volume[101].
Fino a settembre il Capitolo Superiore non si occupò più delle cose riguardanti la disciplina dell'Oratorio; ne riparleremo nel capo diciassettesimo. Prima di riannodare il filo della nostra esposizione dietro la scorta degli atti capitolari, faremo luogo qui ad alcune particolarità, che concorrono a dare dell'Oratorio e delle sue condizioni d'allora un quadro meno incompleto.
Nel corso dell'anno vi morirono parecchi giovani, la cui fine ci dà indizio, che i lamentati rilassamenti non erano giunti a estinguere la pietà antica. Il 30 gennaio si spense Virgilio Paganini da Vezzano Ligure, alunno della seconda ginnasiale, ma già grandicello. Don Bosco andò ancora a visitarlo l'ultima sera. L'infermo vedendolo, si ravvivò tutto e gli disse: - Don Bosco, la ringrazio di avermi accettato nell'Oratorio. Se non mi avesse accettato con lei, chi sa come mi troverei in questo punto? La ringrazio di tutto il bene che ha fatto alla mia anima.
- Io, gli rispose Don Bosco, sono contento che tu sii tranquillo. Pregherai per me? [195]
- Sì, pregherò per lei e per la nostra Congregazione, che il Signore la faccia crescere per salvare tante anime.
Furono queste le sue ultime parole. Don Bosco, allontanatosi dal suo letto, non era ancora arrivato in fondo all'infermeria, che Paganini spirò.
Il 17 febbraio morì l'artigiano quattordicenne Onorato Chiappelli da Pistoia. Vaneggiando ripeteva: - 0 Maria, madre nostra, aiutateci tutti... ma specialmente me... me... me. - L'aveva preceduto di due giorni all'eternità il suo assistente Don Vincenzo Reggiori da Sangiano. Gli artigiani dicevano che, se fosse morto Don Bosco, forse non avrebbero sofferto maggior dolore. Tale confronto veniva loro spontaneo, essendo quelli i giorni della grave malattia di Don Bosco.
Il 18 giugno cessò di vivere Carlo Godi da Gozzano, egli pure alunno della seconda ginnasiale e piuttosto grande. Pochi giorni prima di morire disse ad alcuni amici: - Maria Ausiliatrice mi ha fatto la maggiore delle grazie. Sono contento. Ho potuto in questi esercizi confessarmi e comunicarmi come se fosse stata l'ultima volta. Sono contento, contento.
Grande impressione produssero negli artigiani due fatti che avrebbero dovuto avere conseguenze tragiche e invece si risolsero in nulla. Un compositore a tarda sera, assentatisi qualche minuto l'assistente e il capo, si mise a giocare con un compagno e per nasconderglisi corse verso il vano del montacarichi che dai sotterranei saliva fino al suo laboratorio. Credendo che il piano della macchina fosse a livello del pavimento, si slanciò sopra; ma trovandosi quella invece al piano della sottostante stamperia, piombò capovolto nel vuoto dall'altezza di circa sette metri e andò a battere la testa sul ferro della copertura. Gli accorsi al rumore lo rinvennero immobile come morto; ma, portato nell'infermeria e ricuperati i sensi, altro non gli rimase fuorchè il segno del colpo e un po' di capogiro, che tosto scomparve. Non meno pericoloso fu il caso occorso a un sarto. Mentre con tre compagni girava sul passo del gigante, l'albero che sosteneva le corde si schiantò [196] alla base e si piegò sopra di lui, stendendolo a terra con l'impeto del suo peso. Una trave simile, fatta più pesante dalle grosse staffe di ferro che la incoronavano, poteva bene ammazzarlo; invece gli offese appena leggermente una gamba. Gli artigiani considerarono queste come due grazie segnalate, che attribuirono a Maria Ausiliatrice.
Don Bosco, fermo nel proposito di dare all'Oratorio un riordinamento soddisfacente, in settembre, quando il Capitolo Superiore teneva le sue sedute per formare il personale delle case, ritornava sempre su quel punto. Così il 12 fece due osservazioni sul modo di conservare la moralità e l'ordine tanto nella Casa madre che nelle altre. - Si cerchi, disse, di allontanare dai nostri allievi ogni libro proibito, quand'anche fosse prescritto per la scuola. Molto meno tali libri si pongano in vendita. Quando Don Bosco scriveva la Storia d'Italia aveva fatto un po' di biografia dell'Alfieri e citato qualche tratto di autori proibiti. Ma il celebre professore Amedeo Peyron, che aveva esaminato il manoscritto, mi rimproverò dicendomi: Non nomini mai autori proibiti, perchè se li nomina mette ai giovani la voglia di leggerli; li lasci nell'oblio. Così noi dobbiamo fare: non introdurre, non citare, non nominare autori proibiti. Si farà un'eccezione, ma solamente per coloro che debbono presentarsi ai pubblici esami; ma anche in questi casi si faccia uso di edizioni purgate. Ma gli autori proibiti anche purgati non si mettano in mano ai giovani che sono in altre classi inferiori. È un destare in loro la fatale curiosità di verificare e confrontare le correzioni con l'originale. Così pure si vada adagio a parlarne; per esempio, volendo esporre qualche tratto di storia letteraria, si eviti di farlo senza che ve ne sia necessità. I direttori e i professori che dovessero per caso averne qualcuno, lo tengano sotto chiave. Io non pensava che ci potesse essere tanta smania di leggere libri proibiti come c'è adesso; come pure la smania di perdere il tempo e rovinarsi l'anima con i romanzi. Si leggano e si diano a leggere preferibilmente le vite dei nostri [197] allievi, come pure tutti i libri delle Letture Cattoliche e quelli della Biblioteca della gioventù. Ce ne sono dei magnifici. Noi stimiamo poco le cose nostre. Abbiamo fin paura di metterli nel Catalogo dei libri di premio da darsi nei nostri stessi collegi. Ad alcuni sembra un'umiliazione dare libri religiosi in mano ai giovani di quarta e quinta ginnasiale. Un'altra cosa raccomando. Ogni studio e ogni sforzo sia rivolto a introdurre e praticare nelle nostre case il sistema preventivo. I Direttori facciano conferenze su questo importantissimo punto. I vantaggi che ne verranno sono incalcolabili per la salute delle anime e la gloria di Dio.
Sull'affare delle letture Don Bosco ruminava già da un pezzo l'idea di far pervenire a tutti una sua autorevole parola. Infatti nel 1883 aveva detto a Don Lemoyne: - A suo tempo ti darò un lavoro. - Quindi, passato un anno e incontrandolo gli domandò: - Ti ricordi quel che ti dissi di un lavoro da fare? Ebbene, ora è il tempo. - E gli tracciò il tema di una circolare sopra le letture per ispedirla poi alle case nel cominciamento dell'anno scolastico. Don Lemoyne scrisse, Don Bosco rivide e questa lunga lettera fu diramata ai collegi sul principio di novembre.
Miei dilettissimi figliuoli in G. C.,
Una gravissima cagione mi determina a scrivervi questa lettera sul principiare dell'anno scolastico. Voti sapete quanta affezione io nutra per quelle anime che Gesù benedetto Signor nostro nella sua infinita bontà volle affidarmi, e d'altra parte non dovete misconoscere quale responsabilità pesi sugli educatori della gioventù e quale strettissimo conto costoro dovranno rendere della loro missione alla Divina Giustizia. Ma questa responsabilità io debbo sostenerla con voi indivisa, o miei carissimi figliuoli, e bramo che sia per voi e per me origine, fonte, causa di gloria e di vita eterna. Perciò ho pensato di richiamare la vostra attenzione sopra un punto importantissimo, dal quale può dipendere la salute dei nostri allievi. Parlo dei libri che si debbono togliere dalle mani dei nostri giovanetti e di quelli che si debbono usare per le letture individuali, o per quelle fatte in comune.
Le prime impressioni che ricevono le menti vergini e i teneri cuori dei giovanetti durano tutto il tempo della loro vita; e i libri oggigiorno sono una delle cause principali di queste. La lettura ha per essi una [198] vivissima attrattiva solleticando la loro smaniosa curiosità e da questa dipende moltissime volte la scelta definitiva che fanno del bene o del male. I nemici delle anime conoscono la potenza dì quest'arma e la esperienza vi insegna quanto sappiano scelleratamente adoperarla a danno dell'innocenza. Stranezza di titoli, bellezza di carta, nitidezza di caratteri, finezza di incisioni, modicità di prezzi, popolarità di stile, varietà d'intrecci, fuoco di descrizioni, tutto è adoperato con arte e prudenza diabolica. Quindi tocca a noi opporre armi ad armi; strappare dalle mani dei nostri giovani il veleno, che l'empietà e l'immoralità loro presenta: ai libri cattivi opporre libri buoni. Guai a noi se dormissimo, mentre l'uomo nemico veglia continuamente per seminare la zizzania.
Perciò fin dal principio dell'anno scolastico si metta in pratica ciò che le regole prescrivono, si osservi cioè attentamente quali libri rechino con sè i giovani nell'entrare in Collegio, destinando, se fa d'uopo, una persona ad ispezionare bauli ed involti. Oltre a ciò il Direttore di ogni casa imponga ai giovani di fare l'elenco coscienzioso di ogni loro libro e di presentarlo al Superiore stesso. Questa misura non sarà superflua, sia perchè si potrà esaminare meglio se qualche libro rimase inosservato, sia perchè conservandosi questi elenchi potranno in data circostanza servite per regola di azione contro chi maliziosamente avesse celato qualche libro cattivo.
Simile vigilanza continui tutto l'anno, sia comandando agli allievi di consegnare ogni libro nuovo che acquistassero lungo il corso scolastico o che fosse introdotto dai parenti, amici e condiscepoli esterni; sia osservando che, per ignoranza o per malizia, non siano fatti avere ai giovani pacchi involti in giornali pessimi; sia coi fare prudenti perquisizioni in istudio, in camerata, in iscuola.
Le diligenze usate a questo fine non sono mai troppe. Il Professore, il Capo Studio, l'Assistente osservino eziandio che cosa sì legga in chiesa o in ricreazione, in iscuola, nello studio. I vocabolarii non purgati sono pure da, eliminarsi. Per tanti giovani sono il principio della malizia, delle insidie dei compagni cattivi. Un libro cattivo è una peste che ammorba molti giovani. Il Direttore stimi di aver ottenuta una buona ventura quando riesce a togliere di mano a qualche allievo uno dì questi libri.
Purtroppo che i giovani possessori di questi si prestano ben difficilmente all'obbedienza e ricorrono ad ogni astuzia per nasconderli. Il Direttore deve lottare contro l'avarizia, la curiosità, la paura del castigo, il rispetto umano, le passioni sbrigliate. Perciò io credo necessario conquistare il cuore dei giovani persuadendoli colla dolcezza. Più volte all'anno dal pulpito, alla sera, nelle scuole trattar l'argomento dei libri cattivi, far vedere i danni che da questi derivano; persuadere i giovani che non sì vuole altro fuorchè la salute delle anime loro, che noi dopo Dio amiamo sovra ogni altra cosa. Non si usi rigore [199] se non nel caso che un giovane fosse di rovina agli altri. Se uno consegnasse un libro cattivo ad anno avanzato si dissimuli anche la passata disobbedienza e si accetti quel libro come un carissimo regalo. Tanto più che talora può essere il Confessore che gli ha prescritta simile consegna, e sarebbe imprudenza cercare più in là. La conosciuta benignità dei Superiori indurrebbe anche i compagni alla denunzia di chi nascondesse simili libri.
Scoperto però un libro proibito dalla Chiesa o immorale si consegni subito alle fiamme. Si sono visti libri tolti ai giovani e conservati riuscir di rovina a preti ed a chierici.
Così operando io spero che i libri cattivi non entreranno nei nostri collegi, ovvero entrati saranno presto distrutti.
Ma oltre i libri cattivi è necessario tener d'occhio certi altri libri, i quali, benchè buoni o indifferenti in sè, pure possono riuscir di pericolo, perchè non convenienti all'età, al luogo, agli studi, alle inclinazioni, alle passioni nascenti, alla vocazione. Questi pure si debbono eliminare. In quanto ai libri onesti ed ameni, se si potessero escludere, ne verrebbe un gran vantaggio per il profitto nello studio; i Professori regolando i còmpiti scolastici potranno misurare agli allievi il tempo. Essendo però oggigiorno quasi irrefrenabile la smania di leggere e anche molti libri buoni scaldando troppo le passioni e le immaginazioni, ho pensato, se il Signore lui dà vita, di ordinare e stampare una collana di libri ameni per la gioventù.
Ciò dico riguardo ai libri che si leggono in privato. Per ciò che spetta alle letture fatte in comune nei refettorii, nelle camerate e nella sala di studio, dirò in primo luogo che non si leggano mai libri se prima non sono approvati dal Direttore e siano esclusi i romanzi di qualunque genere essi siano, non usciti dalla nostra Tipografia.
In refettorio si legga il Bollettino, le Letture Cattoliche, di mano in mano che escono, e negli intervalli i libri storici stampati nell'Oratorio, la Storia d'Italia, la Storia Ecclesiastica e dei Papi, i Racconti sull'America e su altri soggetti; ma pubblicati nella collezione delle Letture Cattoliche, e i libri storici o di racconti della Biblioteca della gioventù. Questi ultimi si potrebbero leggere nello studio, ove vi fosse ancora l'usanza di una lettura nell'ultimo quarto d'ora prima della scuola di canto.
Riguardo poi alla lettura nelle camerate intendo di bandire assolutamente ogni lettura divagante o amena; ma desidero siano adottati libri, che colle loro impressioni coll'animo del giovanetto che sta per addormentarsi siano atti a renderlo più buono. Quindi sarà cosa utilissima che si usino in questa circostanza libri allettevoli, ma d'argomento piuttosto sacro od ascetico. Incomincierei dalle biografie dei nostri giovanetti Comollo, Savio, Besucco, ecc.; continuerei con quei libretti delle Letture Cattoliche che trattano di religione; finirei colle vite di santi, ma scegliendo le più attraenti ed opportune. Queste letture [200] che seguono il brevissimo discorso della sera, partito da un cuore che desidera la salute delle anime, son certo che talora faranno più bene di quello possa farlo un corso di esercizi spirituali.
Per ottenere pienamente questi desiderati effetti e fare che i nostri libri servano di antidoto contro i libri cattivi, vi prego e vi scongiuro di amare voi stessi le pubblicazioni dei nostri Confratelli, tenendovi liberi da ogni sentimento d'invidia o disistima. Dove trovaste qualche deficienza, col consiglio ed anche coll'opera, se avete tempo, prestatevi, perchè si possano fare le correzioni necessarie col notificare le vostre osservazioni all'autore stesso od a quelli fra' Superiori, cui spetta la revisione delle nostre pubblicazioni. Se i giovanetti udiranno il maestro e l'assistente lodare un libro, essi pure lo stimeranno, loderanno, leggeranno. Ricordatevi una gran parola che il Santo Padre Pio IX indirizzava un giorno ai Salesiani: “Imitate l'esempio dei Padri della Compagnia di Gesù. Perchè i loro scrittori sono così stimati? Perchè i confratelli si adoperano a rivedere e correggere, come se fossero proprie, le opere di un confratello; quindi in pubblico con tutti i giornali dei quali possono disporre celebrandone i meriti, gli procurano una fama esimia, e nel privato delle conversazioni sul loro labbro non risuonano che parole di lode. Non udrete mai uno di quei Padri, che pure si contano a migliaia uscire in una critica che diminuisca la fama di un Confratello ”.
Così fate Voi in mezzo ai nostri cari giovanetti e state certi che i nostri libri produrranno un bene immenso.
Miei cari figliuoli. Ascoltate, ritenete, praticate questi miei avvisi.
Sento che gli anni miei volgono al loro tramonto. Anche i vostri anni vanno velocemente passando. Lavoriamo adunque con zelo, perchè abbondante riesca la messe di anime salvate da poter presentare al buon Padre di famiglia, che è Dio. Il Signore à benedica, e con voi benedica i nostri giovani allievi, che saluterete da parte mia, raccomandando alle loro preghiere questo povero vecchio che li ama tanto in Gesù Cristo.
Nel giorno della festa di tutti i Santi.
Affezionatissimo in Gesù Cristo
Ma per l'Oratorio in particolare erano sul tappeto due rilevanti proposte, che poi si restrinsero a una sola. Si trattò o di cambiare il Direttore o di crearne due. Il Capitolo Generale del 1883 aveva deliberato che si nominasse un Consigliere professionale per tutta la Congregazione. Nessuno più di Don Lazzero sembrava adatto a quell'ufficio; prevalendo dunque il primo disegno, s'innalzasse Don Lazzero a tale carica e la [201] direzione dell'Oratorio fosse affidata a Don Francesia. Se non che, dubitandosi da taluno, che Don Francesia non possedesse tutti i numeri per mantenere l'ordine nell'Oratorio, Don Bosco, nell'adunanza del 4 settembre, lasciato libero ognuno di dire la sua, troncò il dibattito a questo modo: - É difficile trovare una persona che vada a genio di tutti e che piaccia a tutti. Uno la troverà troppo dolce, un altro poco accondiscendente, un terzo troppo trascurata, un quarto troppo rigorosa. Siamo uomini e bisogna fare le cose umanamente, Mettiamo le nostre risoluzioni su d'un piano che possa andare. A me pare che la sola cosa che si possa apporre a Don Francesia sia la troppa bontà. Ma ha scienza e pietà, quali non è tanto facile trovarle in altri. Laverò per tanto tempo nell'Oratorio, e lo conosce a fondo. Ciò che si deve fare, egli lo fa ed ha pure grande conoscenza del Regolamento. - Udite infine varie osservazioni, concluse che Don Francesia sarebbe venuto all'Oratorio e che Don Cesare Cagliero avrebbe presa la direzione del collegio di Valsalice.
Accanto però alla proposta di dare all'Oratorio un nuovo Direttore, si agitava l'altra di dargliene due, uno per gli studenti e l'altro per gli artigiani, ma indipendenti fra loro. La ragione era l'immensità dell'Oratorio, dove un solo non poteva sostenere la responsabilità di tutto; ogni laboratorio, ad esempio, costituiva per la direzione il peso di un intero collegio. Ma, una volta stabilito questo doppio regime entro il medesimo ambiente, sarebbe regnato un accordo tale da evitare attriti? Anche qui Don Bosco lasciò che si discutesse liberamente il pro e il contro, finchè nella seduta del 12 prese a dire così:
DON BOSCO. - Ho pensato al progetto dei due Direttori nell'Oratorio. Ho dunque bisogno che venga con noi Don Francesia e che con Don Lazzero mi dirigano questa casa. Un solo Direttore è impossibile che regoli tanto popolo nella casa di Valdocco. Don Lazzero più volte mi ha domandato di essere esonerato da tanto peso. Bisogna adunque dividere le attribuzioni tra Don Francesia e Don Lazzero. A Don Francesia affidare gli studenti e tutto ciò che li riguarda; a Don Lazzero tutta la parte degli artigiani e più ancora l'uffizio di Catechista per [202] tutto ciò che spetta agli artigiani della Congregazione in tutte le altre case. Ad esso apparterrà tutto ciò che riguarda la moralità e la disciplina degli artigiani sia dell'Oratorio come di tutta la Congregazione In quanto alle altre case il suo titolo sarà di Consigliere professionale, in quanto all'Oratorio sarà chiamato Direttore degli artigiani. Il nuovo ufficio di Direttore degli artigiani sarà stabile in avvenire. Fra Don Francesia e Don Lazzero bisognerà stabilire un modus vivendi che possa continuare ora che ci siamo noi, e poi anche senza di noi e dopo di noi. Se si vuole concentrare tutta l'autorità dell'intero Oratorio in una sola persona, ci vorrebbe da qui innanzi un regime nuovo, ed io non intendo di mutar sistema. Gli artigiani, per quanto si può, formino una sezione autonoma in quanto alla direzione. Gli studenti siano pure una sezione autonoma, indipendente da quella degli artigiani. Se non si procede con una organizzazione possibile di personale, si andrà a finire in una mostruosa mescolanza e confusione. Don Lazzero mi ha scritto più volte in questo senso.
DON LAZZERO osserva l'imbroglio di tante persone di servizio o meglio di certi ricoverati ovvero ospitati o di quelli detti comunemente barba, che vanno e vengono secondo il loro interesse o capriccio e domanda come classificarli.
DON BOSCO. - Coll'esperienza, colla buona volontà, coll'accordo dei due Direttori, modificando, cambiando, si verrà a capo di sciogliere ogni problema. Non si tratta di fissare subito principii invariabili, ma sì bene di studiare il modo di ridurre la mia idea in pratica, sicchè si possa continuare. Certe massime tradizionali che finora servirono di norma, bisogna stabilirle. Tuttavia sono cose che conviene trattarle con grande tranquillità.
DON RUA osserva come sia necessario determinare bene le attribuzioni dei due Direttori, perchè non nascano ombre, attriti, ecc.
DON DURANDO chiede: Da chi dipenderà la chiesa, da chi la cucina? ecc.
DON BOSCO: - Lasciamo a parte il nome delle persone. É indispensabile che vi sia un Direttore degli artigiani e responsabile della disciplina e moralità di questi nella casa di Valdocco. Questi sia, anche per le altre case ove sono artigiani e per la loro sol partita, ciò che è il Consigliere Scolastico per i Collegi della Congregazione ed anche per provvedere il personale e per tutelare la moralità. Non potrà andare a visitare le case? Si intenda coll'Ispettore dell'Ispettoria, ma noi qui nell'Oratorio abbiamo bisogno di un capo per gli artigiani. Vorrei che si studiassero le varie idee che ho esposte. Don Rua, Don Francesia, Don Cagliero facciano una conferenza preparatoria; poscia interverrò ancor io di presenza per studiare il da farsi. Si dimentichino le persone, acciocchè le cose procedano a maggior gloria di Dio. È questione di cose, non di persone.
DON CAGLIERO afferma che chi ha cura dell'Oratorio non è possibile [203] che possa trattare gli affari delle altre case. Il governo locale dà troppo da studiare.
DON BOSCO: - Sarà ciò che vedrete voi e delibererete.
DON CAGLIERO insiste esserci bisogno che in tutte le questioni si allarghi l'orizzonte delle idee: bisognerà avere due cucine, due dispense distinte?
DON BOSCO: - Appena si possa, si studierà che ciascuna sezione, cioè artigiani e studenti, abbiano ogni cosa così divisa, da concedere ai due Direttori perfetta indipendenza in tutto, anche di locali.
DON RUA chiede: E per ora come si fa?
DON CAGLIERO risponde che gli attriti fanno andare avanti il vapore.
DON RUA osserva come sia necessario esaminare bene gli affari del Consigliere Scolastico e dell'Economo del Capitolo Superiore in relazione coi nuovo ufficio nella persona dei due Direttori degli studenti e degli artigiani nell'Oratorio.
DON CAGLIERO insiste perchè si fermi l'attenzione sopra il punto principale. Agli attriti si penserà poi di mano in mano che sorgeranno.
DON BOSCO. - Don Cagliero ha ragione. Limitatevi con tutta tranquillità alla questione principale. La decisione deve essere indipendente da ogni considerazione secondaria. Si stabilisca il principio dei due Direttori.
DON BARBERIS interroga se il Capo dell'Oratorio non potrebbe essere l'Ispettore e se non sarebbe meglio che i due Capi degli artigiani e degli studenti fossero due vice direttori.
DON BOSCO: - Incominciamo a salvare la moralità e la disciplina collo stabilire due Direttori. Verranno poi poste le quistioni: Il Direttore degli artigiani dovrà avere ingerenze cogli Ispettori delle altre case? Dovrà immischiarsi dei capi, d'arte da chiedere o da inviare alle altre case? Queste sono cose secondarie da studiarsi. La seconda cosa che desidero si è depurare le case da quegli elementi eterogenei che non sono della Congregazione: che costoro non vengano a tavola con noi, nè ai trattenimenti, conferenze, ecc. ecc. Simil gente si ficcano dappertutto, odono, vedono, fanno sapere fuori le cose nostre e le sanno meglio essi che noi.
DON BARBERIS domanda chi sarà l'Ispettore della provincia pel Piemonte.
DON BOSCO: - Ora la questione non è questa.
Questa seduta capitolare fu tenuta a Valsalice, dove si facevano gli esercizi spirituali. Ivi Don Bosco alla presenza di parecchi sacerdoti, fra i quali Don Notario, raccontò un sogno da lui fatto in quei giorni. Gli era parso di trovarsi sulla [204] porta dell'Oratorio nell'atto di rientrare, circondato improvvisamente e a breve distanza da alcuni de' suoi, che lì per lì non riconobbe, perchè avvolti da nebbia. Avvicinatosi loro per osservarli meglio, vide che tentavano di schivarlo; ma egli, chiamatili, riuscì a farseli appressare. Avevano il petto scoperto e dal lato del cuore portavano una macchia in forma di bubbone pestilenziale, su cui si potevano scorgere tre colori: nero, rossastro infiammato e giallo. Svegliatosi il Santo faceva di tutto per iscacciare quelle fantasie; ma indarno, chè le brutte figure gli ricomparivano davanti anche mentre stava seduto sul letto. Notò che la nebbia era più fitta intorno al capo, sicchè a stento si decifravano sulle loro fronti certe parole, che si leggevano a rovescio. Allora egli si alzò e scrisse i nomi di tutti quelli che vide. Dal suo modo di esprimersi raccontando si arguì che vi dovevano essere state circostanze, le quali non aveva creduto opportuno di manifestare.
Il soggiorno di Valsalice non fu per lui di lunga durata. Una sera, ritornando con il chierico Viglietti da visitare una famiglia che villeggiava nelle vicinanze, accusò un malore alla gamba sinistra. Questa nella notte gli si gonfiò molto: era risipola. Il 14 si fece venire a Valsalice il dottor Fissore, che, visitatolo, gli suggerì quale unico rimedio di porsi a letto, affinchè la gamba stesse in riposo. Egli allora, sceso all'Ora torio, fece come il medico aveva detto. Il male si aggravava ogni dì più. Gli si manifestò una continua febbre con respiro affannoso e un'enfiagione straordinaria al cuore: per causa ignota gli si era sollevata una costa. Inoltre residui miliarici gli cagionavano forte prurito in tutta la persona. Ciò nonostante, dovendosi il 27 chiudere gli esercizi a S. Benigno diede speranza d'intervenirvi, se là si pregasse.
Non teneva continuamente il letto, ma d'ordinario nelle prime ore pomeridiane si alzava e se ne stava seduto fin verso sera o in camera o nella galleria. Qui una volta venne a visitarlo il cardinale Alimonda. Poi riprese la celebrazione della Messa, palesando a volte un fervore molto acceso. Una mattina [205] glie la servì Don Cerruti e fu testimonio che tre o quattro volte ruppe in lacrime e singhiozzi irrefrenabili.
Sono pure di questo tempo due saggi di forza assai noti e narrati dai biografi. Il figlio del dottore Albertotti, medico anch'esso, volendone provare il vigore, lo pregò di stringergli la mano. Don Bosco gliela strinse. - Più forte... più forte, ancora, gli disse il medico.
- Badi che le farò uscir sangue! rispose l'infermo.
- Ahi, per dinci, com'è forte! gridò quegli allora.
Verso sera il medesimo tornò con l'anello metallico graduato, che serve a misurare la forza. Lo strinse egli per primo con tutta l'energia della sua mano destra, segnando quarantacinque gradi. Lo prese poi Don Berto e giunse a quaranta con la destra, a quarantacinque con la sinistra. Don Bosco segnò sessanta. Era il massimo. Eppure disse di aver usato moderazione per tema di spezzare lo strumento.
A S. Benigno volle andare, come aveva divisato. La mattina del 3 ottobre i Superiori vi stavano tenendo capitolo sotto la presidenza dì Don Rua, quando alle undici e mezzo giunse da Torino un telegramma annunziante che Don Bosco, alquanto migliorato, si avviava alla ferrovia per recarsi a San Benigno. Sospesero subito la seduta per andargli incontro. Don Lemoyne scrive nei Verbali: “Arrivò alle dodici con sua gioia, con nostra festa, con suo e nostro affetto indescrivibile ”. Camminava col bastoncello. Vi fece udire quella sua voce, che scoteva le anime e le consolava. Don Francesia espresse la comune letizia in dodici sestine dì endecasillabi, le quali cominciavano e terminavano così:
Oh buon Padre Don Bosco che piacere
Ci diede col lasciarsi qui vedere:
Vederlo qui col bastoncello in mano,
Mentre lo temevam lontan lontano...
Lontano ed ammalato, e fermo in letto...
Quale ci diede col venir diletto! [206]
Dopo la sua partenza da Valsalice il Capitolo Superiore presieduto da Don Rua, vi si era ancora adunato cinque volte dal 18 al 20 settembre, riattaccando a tre riprese il discorso stilla questione dei due Direttori, sia per rendersi conto di eventuali difficoltà e pericoli, sia per escogitare un modus vivendi che potesse dare qualche affidamento. Tutti i Superiori, ad eccezione di Don Cagliero, ideatore e sostenitore dell'innovazione, vi si acconciavano poco di buon grado. Anche Don Rua, che fin dalle prime mosse aveva accampate le sue obbiezioni, si piegava non per intimo convincimento che quella fosse la via migliore, ma unicamente per la sua innata docilità ai voleri di Don Bosco. Nella seduta del 18 parlò del provvedimento in questi termini: - lo sono pronto ad obbedire a Don Bosco, ma preveggo difficoltà e disordini. Credo che Don Bosco sia spinto da altri a prendere simili decisioni, poichè egli prima fu sempre per l'unità di coniando. - Si fece dunque com'era stato stabilito: Don Francesia Direttore degli studenti, Don Lazzero degli artigiani e, conte per l'innanzi, Don Bosco Rettore. Ma il nuovo sistema durò appena due anni scolastici; dopo si tornò all'antico.
L'adunanza del 19 affrontò un argomento doloroso e delicato, ma imposto dalle circostanze. La malattia di Don Bosco dava seriamente a pensare; bisognava pure prospettarsi il caso di una triste eventualità e prevederne gli effetti immediati. Che cosa si sarebbe dovuto fare per i funerali e conte provvedere alla sepoltura? Don Rua opinava che, verificandosi la temuta catastrofe, si chiedesse al Governo la licenza di procedere al seppellimento nella chiesa dell'Oratorio e allegò alcuni fatti comprovanti la possibilità di ottenere la concessione. Erasi ben voluto in anni antecedenti comprare un posto al cimitero e l'impresario Carlo Buzzetti aveva trattato col Municipio per il contratto; ma non si trovavano più aree vendibili. Don Lemoyne propose di collocare provvisoriamente la salma in un loculo del camposanto per estrarmela poi, quando fosse preparato un posto di nostra proprietà. Una grande mestizia [207] incombeva su tutti. Don Cerruti intervenne dicendo essere la questione discussa di poca e ultima importanza, e si passò ad altro.
Noi comprendiamo a pieno come Don Rua, che aveva agio di conferire confidenzialmente con il dottore Albertotti, medico di Don Bosco, e quindi conosceva meglio di chicchessia le condizioni reali del caro infermo, sentisse il dovere di far violenza a se stesso e guardare in faccia all'avvenire. L'Albertotti fu pur colui che lasciò scritto che “dopo l'anno 1880 circa, l'organismo di Don Bosco era quasi ridotto ad un gabinetto patologico ambulante”[102]. E dal 1884 si andarono accentuando in lui la diminuzione del visus, la nefrite e l'indebolimento spinale. Il figlio del medico, che per incarico del celebre specialista Reymond gli esaminò ripetute volte il fondo dell'occhio con l'oftalmoscopio di Liebreich, vi riscontrò emorragie retiniche. La forza visiva diminuì talmente che chiese e il 14 ottobre ottenne dalla Sacra Penitenzieria l'indulto di poter celebrare nei giorni festivi e di rito doppio la Messa votiva della Beata Vergine e negli altri giorni la Messa dei defunti. Da parte del medesimo Reymond gli si praticarono diagnosi anche sui disturbi renali che, già inquietanti, crebbero poi a segno da causargli negli ultimi mesi del 1887 enorme albuminuria. E l'indebolimento spinale, iniziatosi, pare, nel 1871, progrediva sensibilmente nel 1884, tanto da farlo andare curvo e portando le braccia al dorso per equilibrarsi. Nonostante però tutte queste affezioni organiche che gli logoravano la vita, noi lo vedremo ancora per quattro anni con alacrità di mente e con sforzi erculei occuparsi di tutto e di tutti, per promuovere senza posa la gloria di Dio e il bene delle anime.
DON Bosco, tutto cuore per gli altri, quando cadevano infermi, si sarebbe detto che non avesse viscere per se stesso, tanto la vinceva sui personali riguardi il suo amore alla fatica, ma nell'estate del 1884 i suoi più validi collaboratoti e i suoi medici, inquieti al vederlo oltremodo sofferente, accordatisi fra loro, per distrarlo dalle ininterrotte occupazioni, lo costrinsero a cercar riposo sulle alture di Pinerolo. A determinare la scelta del luogo era intervenuto il Vescovo della diocesi monsignor Filippo Chiesa, che, pieno di affettuosa venerazione per l'Uomo di Dio, gli offerse graziosa ospitalità nella villa episcopale. Vi si lasciò egli condurre il 19 luglio in compagnia di Don Lemoyne e di Don Giacomo Ruffino, sostituito pochi giorni dopo dal chierico Viglietti.
Di Pinerolo Don Bosco serbava caro il ricordo fin dalla giovinezza. Studente di ginnasio e poi chierico vi era stato due volte ospite nella famiglia di quel suo amico che fu Annibale Strambio, come narrò allora ai suoi compagni di viaggio[103]. Narrò pure come vi ripassasse appena ordinato, sacerdote, dovendosi recare a Fenestrelle per una predicazione. [209]
Partito da Torino alle 10 antimeridiane, trovò alla stazione di Pinerolo il Vescovo stesso, che lo aspettava e lo fece salire in una carrozza a due cavalli. Il giovane e ottimo Prelato lo circondò, dal principio alla fine, di ogni migliore attenzione, lietissimo di vederlo riprendere forza di giorno in giorno. Il fresco di quelle montagne gli procacciò subito grande sollievo, liberandolo dall'oppressione causatagli a Torino dal caldo, che in certe ore gli soffocava addirittura il respiro. Anche la tranquillità del luogo gli conferiva alla buona digestione, di mano in mano che riacquistava l'appetito. Il Vescovo poi faceva di tutto per isvagarlo. Onde il 7 agosto Viglietti scriveva a Don Rua: “Don Bosco, tolto quell'incomodo sul cuore, che mi mette in seria apprensione, starebbe bene. Fa delle passeggiate con me, canta, mi racconta tante belle cose e con me dice il rosario, Tutto da noi due, perchè Don Lemoyne sono tre giorni che è andato a predicare a Fenestrelle ”.
Viglietti lo assisteva ogni mattina nella celebrazione della Messa; poi o solo o con Don Lemoyne lo accompagnava a fare una prima passeggiata per i vicini colli: un'altra gitarella si faceva verso sera. Stavano fuori anche qualche ora. In agosto gli riusciva già di camminare senz'alcun sostegno; naturalmente procedeva a passo lento e talora amava andarsi a sedere in mezzo ai prati. Un magnifico pino secolare, che spiegava largamente i suoi rami presso la villa, offriva gradevole ombra nelle ore meridiane.
I suoi due accoliti, di temperamento gioviale, lo tenevano allegro; ma egli stesso talvolta insegnava loro belle canzoni e soprattutto li dilettava con piacevoli racconti. In uno di quegli intimi colloqui, il I° agosto, propose a Don Lemoyne di dare alle fiamme i documenti relativi alle controversie con l'Arcivescovo monsignor Gastaldi. Il segretario gli fece osservare: - Che cosa dovranno dire i posteri, vedendo nei documenti dei nostri archivi una sì grossa lacuna? E la storia della Congregazione? [210]
Dovendosi dire, rispose, che cosa fece Don Bosco in quei dieci anni, nei quali patì le vessazioni, basterà una formula come questa: Continuò a occuparsi nel disbrigo de' suoi affari.
Don Lemoyne, che non poteva non vedere la necessità di conservare quelle carte, fece bellamente mutare discorso e per tema che Don Bosco gli comandasse una cosa ch'ei non si sentiva in animo di eseguire andò un po' a zonzo attorno alle siepi in cerca di fiori.
Del suo rimettersi in salute è prova la corrispondenza che ci rimane datata da Pinerolo. Omettendo le lettere spedite in Francia e in massima parte già note ai lettori, daremo conto di quelle italiane.
Il pensiero della lotteria per la chiesa del Sacro Cuore lo seguiva anche lassù. Il coadiutore Rossi a sua richiesta gli mandava mazzi di biglietti, che egli distribuiva a cooperatori vicini e lontani. Da questa lettera si scorge che se n'era occupato subito nei primi giorni della villeggiatura.
Ho ricevuto i biglietti e va bene.
Ora mandamene un centinaio di colore rosso che mi sono richiesti.
Mandami la nota dei cooperatori di Pinerolo e dintorni.
Saluta D. Bonetti: ho tanto bisogno della sua sanità e del suo lavoro.
Dio ci benedica tutti ed abbimi in G. C.
Villeggiava a Pinerolo la signora Losana, cooperatrice torinese. Ecco in quali termini la interessa alla distribuzione dei biglietti.
Qui a Pinerolo non può lavorare molto pei nostri ragazzi, perciò la prego di occuparsi un poco pel nostro Santo Padre. Ella pertanto in [211] onore del Sacro Cuore di Gesù procuri di distribuire gli uniti biglietti di Lotteria e Dio penserà a rimunerarla degnamente.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia e mi creda con gratitudine.
P.S. Ben inteso che può ritornare quelli che non distribuisce.
Aggregò alla pia Unione dei Cooperatori l'intera comunità delle Visitandine pinerolesi, dandosi tosto premura d'invocarne l'aiuto per la lotteria.
Ogni giorno voleva compiere la visita promessa, ma ogni volta qualche imbarazzo me la impediva. Affinchè poi le sue figlie possano almeno cominciare a lucrare. Le S. Indulgenze le mando il diploma di aggregazione ed ho scritto a Torino che le venga eziandio tostamente spedito il Bollettino mensile.
Le trasmetto qui alcuni biglietti da spacciarsi in aiuto del nostro S. Padre. Ella può rimandare quelli che non potesse spacciare o non giudicasse di ritenere.
Dio benedica Lei tutta la sua religiosa famiglia ed educande e voglia anche pregare per me e per tutta la mia famiglia di orfanelli mentre me le professo in G. C.
Quanto una somma inviatagli da Padova giungesse provvidenziale, lo scrisse a Don Tullio De Agostini, che a nome di due oblatrici glie l'aveva spedita[104].
Con tutta regolarità ho ricevuto la somma di danaro inviatami, cioè:
F. 500 della Sig. Antico per cui il Signore assicura il centuplo anche nella vita presente. [212]
F. 6oo dalla S. Mainardi in onore del Sacro Cuore di Gesù.
Credo che la ricompensa sarà più copiosa per l'opportunità in cui la si fece. Ascolti. Don Rua venne qui a Pinerolo per chiedermi danaro da inviare a D. Dalmazzo che chiedeva con premura da Roma per continuare le costruzioni. Io non ne aveva, perchè fuori di casa. A tempo ho ricevuto la somma inviata che tosto mi son fatto premura di spedire a Roma. Così gettai un po' di acqua su l'arsiccio terreno.
Ogni giorno nella S. Messa prego per la Sig. Antico, per la C.ssa Mainardi, per Franceschino e per Lei, mio sempre caro D. Tullio.
Dio ci benedica e ci conservi tutti nella sua santa grazia. Amen.
Non perdeva di vista i bisogni spirituali di chi era per questo abitualmente in corrispondenza con lui. Una lettera diretta alla tanto benemerita signora Magliano si vede essergli stata ispirata appunto da un pensiero di carità per l'anima sua.
Eravamo ansiosi di sapere notizie della sua sanità; ma Ella nel ritornare da Susa partì tosto per Busca.
Se ora nella sua cortesia volesse dirmi come trovasi presentemente in salute e specialmente come ha praticato lo specifico di non darsi alcun pensiero sopra tutto il suo passato, mi farebbe un regalo.
A motivo della mia sanità mi sono recato in Villa col Vescovo di Pinerolo, dove mi trovo molto meglio. Dio la benedica, o Benemerita Sig. Magliano, e con Lei benedica le opere sue e la famiglia sua; Ella poi voglia pregare per questo poverello e per tutta la moltitudine de' nostri giovanetti. Maria ci aiuti a guidarli tutti a godere un giorno seco Lei la gloria del Paradiso.
Sono in ogni cosa suo in G. C.
Il 25 luglio era S. Giacomo, onomastico di Don Ruffino. Don Bosco si ricordò di lui e gli mandò un'immagine di Maria Ausiliatrice, a tergo della quale scrisse in latino alcune righe molto affettuose. Siccome lo scritto porta la data della festa. [213] è probabile che glie l'abbia fatto avere per mezzo di qualcuno recatosi in quel giorno a visitarlo; poichè dall'Oratorio si andava con certa frequenza a vederlo[105].
Don Cagliero passò tutta la prima metà di agosto a Nizza Monferrato per dirigere gli, esercizi spirituali prima delle Signore e poi delle Suore. Delle Signore egli scriveva a Don Rua: “I santi esercizi delle Signore furono benedetti da Dio e trovammo molte vocazioni ”. Le Suore tennero il loro Capitolo Generale, di cui Don Cagliero informava così il medesimo Don Rua: “Il Capitolo Generale delle Suore cammina a gonfie vele, perchè tracciato su quello dei Salesiani. Abbiamo riveduto la S. Regola ed ora stiamo adattando le nostre deliberazioni alla loro Congregazione. Il tutto si sottoporrà a Don Bosco e al suo Capitolo. Gli atti delle discussioni sono migliori di quelli di Montecitorio[106]. Assistono talvolta alle sedute Don Bonetti, Don Bertello e il Direttore ”. Nella stessa lettera aveva detto: “Don Bosco ci ha scritto per ben due volte; ciò vuol dire che deve star meglio. Deo gratias ”[107]. Ma delle due lettere noi possediamo soltanto quella inviata durante la prima muta.
Mi fa veramente piacere che le Signore esercitande siano in numero ragguardevole, siccome mi scrivi, malgrado le voci scoraggianti che si fanno correre sul cholera, che va minacciando i nostri paesi. La cosa che ancor più mi ha consolato si è il modo esemplare con cui queste anime elette fanno tali Spirituali Esercizi. [214]
Tu però sai come fare a togliere ogni paura di malanno. Il solito antidoto. Medaglia di M. A. colla giaculatoria: 0 Maria au. chri. ora pro nobis: Frequente Comunione: ecco tutto.
Siccome poi la fonte di ogni grazia è il Sacro Cuore di Gesù, così col consenso della Madre Superiora, io credo che tu faresti cosa buona promovendo una questua per la chiesa e per l'ospizio del Sacro Cuore di Gesù di Roma.
Sebbene la mia sanità sia di molto migliorata, tuttavia non posso recarmi in Nizza come era mio vivo desiderio. Procuro però di fare quel che posso di qui. Dal I° di agosto ho fatto ogni mattino una speciale preghiera nella Santa Messa per le nostre esercitande, inviando loro infine la Santa Benedizione di M. A. Ciò continuerò a fare fino al giorno dell'Assunzione di Maria al Cielo.
Abbiamo in questi giorni la grande fortuna di essere nella preziosa novena dell'Assunta, ed io vorrei parlare con ciascuna e darle un consiglio che le assicurasse la via del Paradiso. Mi pare proprio che in questi momenti sia propizia Maria e che parli: - Figlie mie, non tardate a romperla definitivamente col mondo. Esso è un nemico che non paga o paga male e tradisce. Consacrate con generosità al mio figlio Gesù tutte voi stesse; le vostre sostanze, la vostra sanità, il vostro cuore, siano ora e sempre di Gesù a costo di qualunque grave sacrifizio. O figlie dilettissime di Maria, vogliate anche pregare per me e fare una santa Comunione a mia intenzione, ed io continuerò a pregare per voi. A rivederci un giorno in Cielo con Gesù e con Maria. Così sia.
D. Lemoyne fu inviato a Fenestrelle dal Vescovo a fare le sue veci in un discorso ai preti; ma ritornerà o stasera o dimani mattina.
Monsig. Espinosa mandò una graziosa esposizione della escursione fatta coi Salesiani in Patagonia. Viglietti la traduce e prima che si stampi la vedrai.
Questo Vescovo, Mons. Chiesa, mi usa tutte le attenzioni. Oggi suo compleanno episcopale abbiamo parlato molto di te sotto al pino e fatto un brindisi a tua salute.
D. Savio come sta, che fa? Salutalo caramente da parte mia.
Perchè non mi dai notizie di Gaia e di Vigna?[108].
Dio ci benedica tutti, e Maria ci aiuti a camminare nella via del Cielo.
PS. Saluta nel Signore le nostre suore. [215]
Al chiudersi di quel corso d'esercizi per le Suore, fra le nuove vestiende si trovava Eulalia Bosco, nipote del Santo, che le fece dono di questo prezioso scritto.
Ho benedetto il Signore quando hai preso la risoluzione di farti religiosa, ora lo ringrazio di tutto cuore che ti conservò la buona volontà di romperla definitivamente col mondo e consacrarti totalmente al buon Gesù. Fa volentieri questa offerta, e rifletti alla ricompensa che è il centuplo nella vita presente ed il vero premio, il gran premio nella vita futura.
Ma, mia buona Eulalia, ciò non sia per burla, ma sul serio. E ricordati delle parole del padre della Chantal, quando trovavasi in simile caso. Ciò che si dà al Signore non si tolga più.
Ritieni che la vita religiosa è vita di continuo sacrifizio, e che ciascun sacrifizio è largamente da Dio ricompensato. La sola ubbidienza, la sola osservanza delle regole, la sola speranza del celeste premio sono il nostro conforto nel corso della vita mortale.
Ho sempre ricevute le tue lettere e con piacere. Non ho risposto perchè mi mancò il tempo.
Dio ti benedica, o Eulalia, Maria sia la tua guida, il tuo conforto, fino al cielo. Spero che ci vedremo ancora nella vita presente, altrimenti addio, ci vedremo a parlare di Dio nella vita beata. Così sia.
Auguro ogni benedizione alla Madre Generale e a tutte le Suore, novizie, postulanti di M. A. Sono debitore dì una risposta alla Madre e lo farò. Prega per me e per tutta la nostra famiglia ed abbimi sempre in G. C.
Uno spiacevole incidente accaduto a S. Benigno richiese l'intervento autorevole di Don Bosco presso l'autorità civile. Il sindaco, senza farne motto con il Direttore Don Barberis, come sarebbe stato suo elementare dovere, aveva destinato il cortile dell'antico chiostro, dove convenivano gli esterni, a provvisorio alloggio di soldati. Un giorno ecco arrivare uno squadrone dì cavalleria. Le porte erano chiuse e pioveva dirotto. Si prese a bussare con somma violenza, quando all'improvviso scoppiò un diverbio. Fu detto che un ragazzo avesse scagliato un sasso contro un militare. Aperte però le porte e [216] allogati cavalli e uomini tutto si accomodò in buona pace; anzi gli ufficiali si aggiravano volentieri nell'interno, intrattenendosi familiarmente con i nostri.
Ma, come si seppe di poi, c'era stato sotto un brutto tranello con lo scopo di tentare l'allontanamento dei Salesiani dal paese. I giornali, impossessatisi del fatto, lo dipinsero a neri colori, come atto di ribellione e di offesa all'esercito e frutto di educazione reazionaria. Si minacciava il finimondo. Il Santo, edotto della cosa, stese un'esposizione pura e semplice, che mandò al Prefetto di Torino, accompagnandola con una lettera, scritta a Pinerolo, ma datata come s'egli si trovasse all'Oratorio.
Ill.mo e Benemerito Signor Prefetto,
Una vertenza che pareva di lieve entità nel nostro Ospizio di Sali Benigno, dà abbastanza gravi disturbi a quei poveri giovani che sono colà ricoverati.
Dall'esposizione fatta nel foglio unito può avere regolare conoscenza della cosa.
Io noto solamente che in questo tempo in cui siamo minacciati dal colera, gettare là una stalla sotto i portici di un istituto dove l'esalazione ammorba la chiesa, ammorba i laboratorii, il refettorio e i medesimi dormitorii, paiono cose da prendersi nella più seria considerazione nel solo aspetto della igiene pubblica.
La S. V. conosce abbastanza come io mi sia adoperato con tutti i mezzi a me possibili per togliere al governo gli imbarazzi cagionati da quelli che si trovano poveri ed abbandonati. Di più ho già dovuto allontanare da quella casa diversi allievi e quelli i quali colà tuttora si trovano, non saprei ove ricapitarli.
Si noti ancora che le giostre e porticati esistenti in quell'edifizio sarebbe appunto quella parte che ha fatto giudicare quell'edifizio monumentale, come tale ceduto ad utilità pubblica cui realmente è destinato, e che sarebbe certamente deturpato qualora si prolungasse la riduzione del locale a scuderia. Offrendomi di continuare il mio servizio in favore del governo mi raccomando caldamente che vengami in aiuto nel caso presente e mi professo con gratitudine somma.
Chiarite bene le cose, l'affare non ebbe seguito. Dei subdoli tentativi per mandar via i Salesiani da S. Benigno, diremo a suo luogo.
Due giorni dopo inviò condoglianze e benedizioni al giovane studente Pietro Olivieri e alla sua famiglia, dimorante a Calizzano presso Finalmarina nella Liguria.
Ricevo con piacere la tua lettera ma mi duole la notizia della morte di tuo zio Francesco che io ignorava. Io pregherò tanto per l'anima sua. Ci parleremo poi anche di lui. Quanto prima cominceremo i nostri esercizii spirituali; prega che possiamo farli bene, che ognuno pratichi quel prezioso detto: Nostrae divitiae, nosterque thesaurus bona sint animarum, et in arca nostri pectoris recondantur talenta virtutis (S. Pier. Dam.). Buone vacanze. Dio benedica te, la pia tua genitrice e tutti i tuoi parenti e specialmente la nonna tua, che il Signore lungo tempo conservi. Amen.
Nei verbali del Capitolo (Radunanza 13a del 20 agosto), vi è cenno di una lettera, in cui Don Bosco raccomandava alle Suore tre cose: che nelle loro conferenze si badasse piuttosto alla pratica che alla riforma della Regola; che si ritenesse come via più sicura e più breve per arrivare alla perfezione la via dell'umiltà e dell'obbedienza; che nelle decisioni si avesse in mira di lasciare il corpo in terra e fissare lo spirito in cielo.
All'avvicinarsi di grandi onomastici preparò auguri, quali si convenivano ai personaggi che voleva onorale. Non abbiamo la lettera indirizzata al cardinale Alimonda per San Gaetano, che cadeva il 7 agosto; ma la risposta di Sua Eminenza non deve rimanere nell'oblio.
Ella ha voluto prendersi l'incomodo di mandarini una preziosa lettera di augurii e di affettuosa ricordanza per il mio S. Gaetano!... Non me ne dispiace, perchè tengo molto ad essere aiutato dalle sue [218] fervide orazioni e conservarmi la sua benevolenza e la sua amicizia. Perciò non tardo ad attestarle per tanta cortesia la più viva e sincera gratitudine.
Sono proprio contento di sapere che in codesto buon clima la S. V. Rev.ma e carissima si è avvantaggiata in salute. Nella mia meschinità io non cesso dal pregare il Signore che conservi lungamente alla Chiesa, alla Congregazione Salesiana il nostro caro D. Bosco. E sarò esaudito perchè oramai nei due emisferi si prega da innumerevoli anime sante allo stesso intento.
Vorrei averla vicino: con tutto ciò per il suo belle desidero che passi in villa ancora questo mese. Io penso che l'ottimo Mons. Chiesa le terrà spesso compagnia; perciò vorrà presentargli i miei rispettosi saluti.
Ed Ella accetti quelli della mia famiglia che ricorda riconoscente la di Lei bontà.
La abbraccio nel Signore con fraterno affetto; La benedico colla sua grande famiglia, con le sue grandi imprese e godo raffermarmi
Affezionatissimo come fratello
A S. Lorenzo era la volta del cardinale Nina, Protettore della Congregazione. Quest'anno Don Bosco aveva un argomento nuovo per professargli riconoscenza. Gli scrisse dunque:
In ogni tempo, ma specialmente nel giorno Onomastico dell'Eminenza vostra, debbono i Salesiani unirsi in un cuor solo ed in un'anima sola per presentare alla sua augusta persona i sentimenti della comune gratitudine loro, per tanti benefizi che in questo anno si degnò largirci.
Il maggior favore fu certamente la comunicazione dei privilegi dei Redentoristi. Questa concessione ha collocata l'umile nostra Congregazione in uno stato normale, e pose il mio cuore nella tranquillità da poter cantare il Nunc dimittis. La gratitudine, le preghiere, le azioni di grazie siano pertanto alla S. V., al S. Padre che pose il compimento alle lunghe incombenze della definitiva nostra Congregazione approvata e nella sua possibilità di sostenersi nelle varie diocesi e più specialmente ancora nelle missioni estere.
La prego di gradire un Album in cui sono descritte le case della Congregazione tanto in Europa quanto in America. Copia identica sarà presentata al S. Padre pel giorno suo Onomastico, [219]
In questo giorno felice tutti i Salesiani, i loro allievi pregano Iddio buono affinchè la ritorni in buona salute, la conservi ad multos annos pel bene di S. Chiesa, a conforto dei suoi poveri figli, che tanto pregano per l'E. V. che l'amano qual tenero Padre.
Io mi trovo qui a Pinerolo per curare la mia sanità. Dimoro col Vescovo che mi usa ogni possibile attenzione. Esso per mezzo mio la prega di voler gradire i suoi rispettosi ossequii.
Infine Ella si degni di compartire la sua santa benedizione sopra tutti noi, mentre colla più profonda gratitudine reputo al più grande onore di potermi a nome di tutti i Salesiani dichiarare
Finalmente veniva S. Gioachino, onomastico del Papa. L'Album qui sopra accennato doveva mettere sott'occhio al Vicario di Gesù Cristo, quale fosse lo stato di quella Congregazione, alla quale egli aveva il mese innanzi concessi i privilegi: una Congregazione che ben meritava tanta grazia, poichè, già si grande nel presente, prometteva di grandeggiare ognor più nell'avvenire. Per la preparazione dell'Album Don Bosco aveva dato incarico ad un buon calligrafo salesiano prima di partire da Valdocco. Lo spedì a Don Dalmazzo, affinchè lo umiliasse al Santo Padre con questa sua lettera datata da Torino.
In questo giorno faustissimo, Beatissimo Padre, consacrato alla gloria di quel santo che ricorda il venerabile vostro nome, i Salesiani affezionatissimi ed obbligatissimi vostri figliuoli sentono il grave dovere di esternare in quest'anno la profonda loro gratitudine e la inalterabile loro riconoscenza verso di V. S. loro insigne benefattore.
Voi ben lo saprete, o B. P., come l'umile nostra Congregazione, mancasse di un segnalato favore, mancasse cioè di un forte vincolo che inalterabilmente la stringesse colla santa Sede, e questo atto per noi tanto glorioso, Vi degnaste di compiere nel 9 maggio ultimo scorso accordando la comunicazione dei Privilegi coi Redentoristi.
Questa concessione fu per noi il coronamento dell'opera, l'appagamento delle nostre sollecitudini e dei nostri voti.
Ora non ci resta altro che noi Vostri Salesiani tutti ci uniamo in [220] un cuor solo, in un'anima sola a lavorare pel bene di Santa Chiesa. È vero che nei difficili tempi che traversiamo e nella grande messe che a noi si presenta, appena possiamo chiamarci pusillus grex, tuttavia di tutto buon grado noi metteremo le nostre sostanze, le nostre forze la nostra vita nelle mani di V. S. affinchè, come di cosa tutta sua, si degni servirsene in tutto quello che giudicherà tornare a maggior gloria di Dio nell'Europa, nell'America e sopra tutto nella Patagonia.
Credo non sia discaro a V. S. che io unisca qui un elenco dei religiosi, degli ospizi, delle case e residenze in cui procuriamo di lavorare in favore della pericolante gioventù ed anche per gli adulti, specialmente nelle estere Missioni tra i selvaggi del Brasile e dell'Uruguay, della Repubblica Argentina e in tutte le terre meridionali dove è interamente ignorato il santo nome di Gesù Cristo.
Ai deboli nostri lavori aggiungeremo quotidiane e particolari preghiere affinchè Dio conservi ancora molti anni l'augusta persona di V. S. a sostegno di S. Chiesa, a gloria di nostra santa religione, a maggior consolidamento della nascente pia Società di S. Francesco di Sales.
Tutti umilmente prostrati dimandiamo la salita ed apostolica benedizione, mentre a nome di tutti ho l'incomparabile onore di potermi professare
Il dì dell'Assunta, nel qual giorno era invalso l'uso di festeggiare il compleanno di Don Bosco, si portarono tutti in città, dove il Santo volle assistere alle funzioni nella cattedrale e udire il discorso del Vescovo. Prima di scendere da' suoi appartamenti nella chiesa Monsignore gli presentò una diecina di chierici, che ve lo dovevano accompagnare. Don Bosco, fissatili sorridendo, disse loro: - Si preparino a ricevere gli Ordini con l'acquisto` delle virtù proprie d'un sacerdote. Un prete in paradiso o all'inferno non ci va mai solo. - E spiegò in poche parole il significato di questa sentenza. Il Vescovo, tra serio e faceto, com'era suo fare caratteristico, soggiunse: - Si provino a non essere buoni! Io faccio presto a mandarli via dal seminario. Essi lo san bene che l'anno scorso due dei loro compagni dovettero deporre la veste.
Monsignore per far onore a Don Bosco imbandì nel suo palazzo un pranzo, al quale invitò i canonici. Alla fine, quando [221] tutti si levarono da mensa, Don Bosco si andò a sedere con Viglietti su d'un muricciuolo nel giardino. Mentre stavano tranquillamente discorrendo, gli si avvicinò un servo per consegnargli due lettere al suo indirizzo. Don Bosco ne dissuggellò una e la lesse: la lettura gli fece corrugare un po' la fronte. Aperta l'altra e fermatovi sopra lo sguardo un istante, si mise a piangere. Viglietti spaventato gli domandò quale fosse la cagione di quel pianto. - La Madonna, rispose Don Bosco, ci vuol bene. - E per tutta spiegazione gli porse a leggere i due fogli.
La Provvidenza gli pagava largamente la festa, Nella prima lettera si esigeva da lui la pronta restituzione di trentamila lire dategli in prestito dallo scrivente, il quale scrivente era il Gazzolo. Dove trovare una somma così rilevante, con cui soddisfare al suo debito? Lì per lì quel pensiero gli riuscì molesto. Nell'altra lettera una nobile signora gli chiedeva dal Belgio, in qual modo avrebbe potuto impiegare a gloria di Dio la somma di franchi trentamila. - Sia benedetto il Signore! - esclamò il Santo, mentre Viglietti gli restituiva le lettere, vinto anche lui dalla commozione.
Del resto, erano meraviglie, a cui la Madonna lo aveva avvezzato da un pezzo. L'anno innanzi, i lavori per riattare in Mathi Torinese il fabbricato, che serviva di abitazione ai Figli di Maria, avevano assorbito trentamila lire. Don Bosco, sedendo a mensa dal conte Colle a Tolone, ruminava seco stesso come soddisfare il capomastro. Terminato il pranzo, il Conte che non ne sapeva nulla, gli presentò un piego contenente trentamila franchi per le sue opere. Don Bosco si volse a lui sorridendo e gli disse che durante la refezione la sua mente era andata in cerca di espedienti per pagare trentamila lire e che perciò il signor Conte era stato scelto da Dio a strumento della stia provvidenza. A tali parole il Conte pianse di consolazione. Sempre nel 1883 Don Bosco assisteva in S. Benigno agli esercizi spirituali de' suoi figli. Gli stavano da presso Don Rua e Don Lazzero, con i quali studiava la maniera di pagare [222] urgentemente una somma di ventimila lire. Le strettezze finanziarie in quel momento critico angustiavano i Superiori. Mentre si facevano progetti e calcoli, Don Bosco cavò dalla busta una lettera giuntagli poc'anzi e lesse. Un signore gli scriveva di avere pronte lire ventimila per un'opera di beneficenza e chiedeva a lui quale impiego farne. - Sono cose d'ogni momento, conchiudeva il Santo dopo aver narrato i due episodi. Eppure i posteri non le vorranno credere e le porranno tra le favole.
Quella sera ci fu anche un'accademia in miniatura. I giovani dell'Oratorio avevano mandato due indirizzi, uno per Don Bosco e l'altro per Monsignore. Don Lemoyne li lesse loro durante la cena nel palazzo vescovile. Il primo recava questa intestazione: “Gli affezionatissimi figli artigiani e studenti dell'Oratorio al loro amatissimo Padre ”. Conteneva filiali espressioni di affetto, auguri di perfetta guarigione, promessa di preghiere e di buona condotta. Nell'altro i medesimi, che conoscevano il Vescovo per averlo veduto nell'Oratorio, gli manifestavano tutta la propria riconoscenza per le cure amorose da lui prodigate al loro buon Padre. Giungeva intanto l'Osservatore Cattolico di Milano con un articolo intitolato “Il compleanno di Don Bosco ” e che cominciava così: “Domani, giorno di Maria Assunta, Don Bosco entra nel settantesimo anno della sua vita; di una vita tutta dedicata alla gloria di Dio, al trionfo della Chiesa, a sollievo della umanità. Gli inizi della sua lunga carriera, umilissimi; le difficoltà che incontrò e dovette superare, immense: la tristezza dei tempi, in mezzo ai quali si trovò, valsero a far brillare più vivida la scintilla dei suo genio, la potenza del suo carattere, e soprattutto la mano di Dio che benedicendo le opere sue, le fecondò e le moltiplicò meravigliosamente in Piemonte, nel Genovesato, in Francia, in tutta Italia, in America ”. Quello poi che oggi da tutti udiamo proclamare sulla missione di Don Bosco, là era detto a chiare note. “Egli fu rispettato anche dai grandi e nei momenti in cui la rivoluzione furibonda passeggiava fra [223] le contrade del Piemonte atterrando tutto ciò che aveva l'impronta di sacro, le opere di Don Bosco furono risparmiate. Questo uomo fu dunque suscitato da Dio a difesa della Religione e della Chiesa ”. Ricordato quindi com'egli avesse goduto la fiducia di Pio IX e godesse quella di Leone XIII, lo scrittore ne traeva questa logica conseguenza: “Il suo istituto vivrà, perchè Don Bosco lo ha fondato sopra gli angoli della Pietra, che non si spezza mai ”. Si finiva annunziando un libro su Don Bosco e la sua Opera, uscito quell'anno in Francia e recentemente tradotto in italiano.
Di questo libro aveva già parlato l'Eclair di Lione nel suo numero del 17 maggio, pigliandone occasione per esaltare l'efficacia sociale dell'Opera di Don Bosco[109]. N'era autore Alberto Du Boys, già presidente alla Corte d'Appello del Puy nel dipartimento dell'Alta Loira. Egli aveva conosciuto dal Bollettino Don Bosco e le sue istituzioni ed erane rimasto ammirato. Desideroso di scriverne per i suoi connazionali, venne appositamente in Italia, visitò le principali case salesiane, interrogò amici, condiscepoli e allievi del Santo e, raccolto un buon materiale, mise mano alla penna. Il libro si divide in tre parti. Nella prima la biografia del Fondatore s'intreccia con la storia delle sue fondazioni in Europa; la seconda è dedicata alle Missioni d'America; la terza dà uno sguardo retrospettivo. Un'Appendice presenta la statistica delle fondazioni salesiane nei due mondi, comprendendo pure quelle delle Figlie di Maria Ausiliatrice; ha inoltre il testo francese delle nostre Regole, il Regolamento degli Oratorio festivi, una notizia su Buenos Aires, e fuori testo un'ampia carta geografica dell'America Meridionale, dov'è segnata l'estensione delle Missioni[110]. É un lavoro diligente e nella forma accurato; ha un capitolo originale, in cui Don Bosco viene presentato [224] come un sommo poeta e la sua Opera come un grandioso poema[111].
La prima copia fu dall'autore mandata a Don Bosco, il che diede luogo a un notevole episodio. Un giorno, mentre Don Berto gli radeva la barba, ricevette nella sua camera il figlio del dottore Albertotti e lo invitò a sedere, finchè non fosse finita l'operazione. Allora disse in piemontese all'operatore: - Senti, Berto, da' un po' qui al Dottorino quel libro. - Doti Berto porse un bel volume a Don Bosco, che lo presentò al giovane Dottore, domandandogli se lo gradisse. Quegli, data un’occhiata al frontispizio e visto di che si trattava, lo ringraziò, soggiungendo che più gradito gli sarebbe tornato il dono con un suo motto sulla copertina, dal quale risultasse provenirgli esso da lui medesimo. Tale richiesta, fattagli così a bruciapelo, parve sconcertare Don Bosco, che cambiò due volte colore in viso, si schermì con gesti e rispose confusamente, sempre in piemontese: - É il primo che ho, è il primo che do. - Ma la risposta buona venne dopo: - Dice troppo bene di me. - Don Berto dissuase il Dottorino dall'insistere; ond'egli desistette dal richiedere. Il libro è da lui tuttora religiosamente conservato; sulla guardia vi aveva scritto la data della visita con questa nota: “Per me il dono e la risposta sono di gran valore pel carattere di Don Bosco ”[112].
Crediamo che l'Albertotti figlio vedesse nel dono la nessuna paura di Don Bosco per la pubblicità che si dava alle sue opere e ai fatti della sua vita, e nella risposta la sua modestia personale. Queste due cose a osservatori superficiali sarebbero potute sembrare inconciliabili; ma tempi nuovi, propaganda nuova, e Don Bosco, pur essendo santo della più autentica santità antica, era insieme uomo del proprio secolo. Opportuno ci torna a questo proposito quello che disse in una conversazione con i suoi intimi il 16 ottobre 1884. Non potremmo desiderare un linguaggio più fianco e ragionevole. [225]
- Quanto di nostra fama disse, noi lasciamo su questa terra, altrettanto di gloria ci sarà scemato in cielo... se pure saremo trovati meritevoli dì andarci. Del resto io ho fatto tutto il possibile per occultarmi. Si parlava da ogni parte di questo povero prete: chi ne diceva una e chi ne diceva un'altra, e Don Bosco taceva sempre, Ma quando la Congregazione ebbe forma stabile, allora fui costretto, non dico a pubblicare le cose mie, ma a non oppormi così energicamente come nel passato aveva fatto a coloro che volevano ricorrere alla stampa per far conoscere le opere nostre. La persona di Don Bosco restava identificata con la nostra Pia Società, e questa bisognava che fosse conosciuta[113].
Nel medesimo autunno egli parlò allo stesso modo con il signor S. Sestini di Roma che nel periodico La Rassegna Italiana si occupava della Carità privata in Italia e voleva pubblicare un suo studio anche su. Don Bosco. Venuto a Torino per l'Esposizione fra il settembre e l'ottobre e recatosi a visitare A Santo, gli espose il disegno che aveva in niente, domandandogliene incoraggiamento - Se è per incensarmi, gli rispose Don Bosco, le dico di no. Ma se è per far conoscere ed aiutare sempre più l'istituto, benedico la stia idea. - La qual frase gli ripetè nel congedarlo[114].
Ancora una parola per il suo natalizio. Auguri ne dovette ricevere da più par ti e a voce e per iscritto; ma di risposte ce n'è giunta una sola, lepidetta, alla contessa Balbo. [226]
La mia mamma è buona e si ricordò di questo suo figlio sebbene cattivo. Per l'avvenire voglio essere buono e pregare tanto per Lei. Se il Sig. Cesare giudicasse dirmi una parola sul nostro argomento, mi farebbe piacere e mi servirebbe di norma in altre cose.
Maria dal cielo dica a tutta la sua famiglia: Voi siete miei figli e tutti vi proteggerò.
Preghino anche per questo poverello che loro sarà sempre in G. C.
Stando per cominciare a Valsalice gli esercizi dei Confratelli, Don Bosco, che voleva trovarcisi per assistervi e confessare, lasciò l'ospitale dimora il 22 agosto e da Valsalice il 25 incaricò Don Lemoyne di scrivere al Vescovo e porgergli i dovuti ringraziamenti.
Monsignore il 3 settembre nella sua risposta diceva: “Sono lietissimo di aver potuto ospitare nella mia villa il Ven.mo Don Bosco, poichè sono certo che vi avrà chiamato sopra molte celesti benedizioni, parte delle quali saranno pur state comunicate al miserabile Vescovo. E se Don Bosco si contentò di quel poco che si poteva fare, voglio sperare che lo dimostrerà ritornando altra volta a rallegrarci di sua presenza ed a respirare le aure purissime di S. Maurizio sotto il classico Pino. É vero che io non sono capace di fare cerimonie o complimenti, ma la bontà sua saprà passar sopra alle mie miserie e godersi un po' di riposo ed un po' d'aria buonissima. Restiamo adunque ben intesi, la villa sarà in qualunque stagione sempre aperta per Don Bosco ed il buon Vittore sempre ai suoi ordini, quand'anche il Vescovo non potesse lungamente restare in S. Maurizio ”.
Il “buon Vittore ” era il domestico del Vescovo. Egli serviva Don Bosco con la persuasione di servire un santo; Don Bosco a sua volta lo trattava con l'amore che S. Francesco di Sales aveva per i suoi dipendenti. Un giorno Monsignore [227]
era andato a Bricherasio per la festa dell'allora Beato Fedele da Sigmaringa. La fantesca, certa Luigia: Barberis, era fuori per il bucato, e il pranzo l'aveva preparato Vittore. Orbene Don Bosco volle ad ogni costo che Vittore e il giardiniere Francesco Badino si mettessero a tavola con lui. Vittore faceva umili scuse per declinare tanto onore; ma Don Bosco finì con dirgli: - Non volete venire con me? Non dovremo stare sempre insieme in Paradiso? - A quella uscita inaspettata Vittore non seppe che replicare.
Come sapeva Don Bosco scegliere il tempo opportuno per tutte le cose! Tanto per fare un rimprovero che per dare una dimostrazione d'affetto egli coglieva sempre il momento propizio e usava la forma conveniente. Il Vescovo di quando in quando sì assentava. Allora invitare a mensa Vittore, quando la cuoca stava al suo posto, non conveniva; invitare anche la donna, neppure. Perciò in simili casi non diceva nulla. Quando poi partì, diede a Vittore un'immagine di Maria Ausiliatrice con queste parole scrittevi da lui sotto: “Mio caro Vittore, Dio vi benedica, la SS. Vergine vi protegga per la via sicura che conduce al cielo. Così sia. Sac. BOSCO GIOVANNI ”. La fantesca volle che anche per lei scrivesse un motto dietro a un'immagine. Il Santo la contentò, ma chiamandola “Signora Luigia ”. Essa rimase maluccio, perchè a Vittore aveva dato l'epiteto di “caro ”; ma non osò lamentarsi. Quanta delicatezza in Don Bosco! Dobbiamo ancora aggiungere che il “buon Vittore” era tanto buono che, non pago di rifiutare qualsiasi mancia, lo costrinse ad accettare alcuni marenghi d'oro, frutto de' suoi risparmi, per le Opere salesiane.
Tanto più meritoria fu la generosità di monsignor Chiesa verso Don Bosco, in quanto che le sue condizioni economiche erano piuttosto ristrette. L'anno dopo il Santo preferì recarsi a Mathi, donde gli fece pervenire un segno tangibile della sua riconoscenza. Monsignore raccoglieva allora offerte per lavori che si eseguivano nella sua cattedrale. Don Bosco volle contribuire [228] anche lui, inviandogli per mezzo di Don Lemoyne cento lire; il qual atto riempì di commozione il degno Pastore e gli porse il destro di rinnovare l'espressione dei sentimenti di venerazione profonda che nutriva per il Servo di Dio[115].
ALLORCHÉ Don Bosco fece ritorno all'Oratorio, la città di Torino aveva il colera alle porte[116]. Manifestatosi il 4 giugno a Tolone, il fatal morbo si apprese verso la metà di luglio a Marsiglia, le quali due città ne divennero il doppio focolare. I Salesiani compresero allora il misterioso significato di certe parole scritte dal Santo nelle feste natalizie a Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza: “Dirai ai tuoi figli che questo anno prossimo per loro è molto importante e saranno testimoni di gravi avvenimenti; che perciò siano buoni sul serio ”[117]. Si era almanaccato molto per indovinare a che mirasse il funesto annunzio; ma, quando l'epidemia prese a serpeggiare par la Provenza, non ci fu più dubbio. A Torino Viglietti il 2 luglio nel refettorio, presenti Don Lemoyne e Don De Barruel, aveva domandato a Don Bosco, se il morbo pestilenziale sarebbe venuto anche in Italia. - Sì, rispose, e più terribile di quello che si possa pensare.
Così accadde. Lo spavento portò l'emigrazione dalle città colpite, sicchè le frontiere e i porti italiani furono ben tosto inondati di fuggitivi. Scoppiò qualche caso a Ventimiglia e a [230] Saluzzo. Il Governo italiano applicò rigidamente le leggi sanitarie dirette a impedire il contagio; ma fra il luglio e l'agosto si avverarono nuovi casi a Livorno, a Rio Maggiore presso la Spezia e a Pancalieri presso Pinerolo. I colpiti erano operai che, eludendo la vigilanza, avevano fatto ritorno in Italia. Queste località vennero completamente isolate e si rafforzarono i cordoni sanitari per arrestare l'invasione se non che l'invasione si estese dal Piemonte alla Sicilia nelle province in cui era maggiore il numero dei rimpatriati. Tuttavia, sulle prime, casi e decessi non raggiunsero cifre molto alte. Invece a settembre le province invase sommavano a ventiquattro, e in due grandi città, alla Spezia e a Napoli, le vittime cadevano sempre più numerose. In tutti gli ordini dei cittadini sorse un'ammirevole gara per arrecar soccorsi, anche quando il flagello infuriava; e infuriò talmente che nello spazio di due mesi dalla metropoli partenopea furono portate a seppellire più di seimila e cinquecento vittime.
E' incredibile quanto Don Bosco abbia influito a diffondere negli animi la calma, ottimo coefficiente a scongiurare il pericolo. In privato e in pubblico, per lettere e per via del Bollettino egli dava come preservativo infallibile l'uso dei seguenti mezzi: I° Frequentare la santa comunione con le disposizioni dovute; 2° Ripetere sovente la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis; 3° Portare al collo la medaglia benedetta di Maria Ausiliatrice e concorrere a qualche opera di carità e di religione in onore di lei. Alla marchesa Carmela Gargallo di Napoli in occasione del suo onomastico, il 14 luglio, scrisse categoricamente. “Con questo antidoto vada pure a servire nei lazzaretti, che non incontrerà alcun male ”.
Naturalmente le richieste di medaglie si fecero incessanti. Il coadiutore Giuseppe Rossi scriveva a Don Bosco il 5 settembre: o Credo farle cosa grata a darle un cenno delle medaglie che dal magazzeno si sono distribuite in meno di cinque giorni. Sono sessantatrè mila ”.
Da Pinerolo Don Bosco si teneva informato su gli andamenti [231] del morbo[118] mandando incoraggiamenti a benefattori italiani e francesi. Scrisse alla signora Magliano, che villeggiava a Busca:
Qualcuno, anzi gli stessi giornali hanno pubblicato che in Busca avvennero alcuni casi di cholera. Ma Lei, Signora Magliano, non abbia alcun timore. Il nostro antidoto è sicuro. Tuttavia se il morbo si sviluppasse di fatto in questa città, Ella potrebbe venire a Torino dove grazie a Dio finora siamo perfettamente tranquilli e tranquilla pure sarebbe la S. V.
Ella dunque non abbia alcun timore nè per le cose dell'anima nè per le cose dei corpo.
Il povero D. Bosco, tutti i suoi figli, giovani, chierici, preti, allievi pregano per Lei: Maria ci ascolterà. Sono qui col Vescovo di Pinerolo fino al 22 del corrente mese, poi a Torino.
Maria la protegga e la conservi in sanità e santità tutti i giorni della nostra vita e mi creda in G. C.
Villa del Vescovo, Pinerolo, 16 ag. 1884.
Busca fu proprio uno dei luoghi maggiormente provati. Il comune, poco distante da Cuneo, è sparso in tante frazioni sopra un territorio di circa ventotto chilometri. D'inverno una buona metà della popolazione emigra in Francia, sicchè nel mese di giugno gli operai rimasti a Tolone e a Marsiglia, sfuggiti alle compagnie armate e alle quarantene, ritornavano ai patrii lari, recando seco i germi del male. Quando fu scritta la lettera surriferita, l'epidemia imperversava. Il Re Umberto, che cacciava nei pressi di Valdieri, volò sul luogo della sventura, prodigando conforti e soccorsi. Soltanto l'arrivo di cinquecento medaglie segnò un arresto e poi la fine del malore.
Quanti poveri fanciulli la falce della morte orbava dei genitori! Sollecito della loro sorte infelice, il Santo fece spedire a tutte le case salesiane la seguente circolare. [232]
Già in varie città e paesi non solo della Francia ma anche dell'Italia si verificano casi di cholera, come viene a tutti annunziato per mezzo dei giornali. In tale pericolo giudico opportuno mandare alcuni avvisi a tutte le nostre case, raccomandando ai saggi Direttori che li facciano conoscere ai loro dipendenti. Primieramente raccomando che fino a tanto che dura il pericolo si dia in ogni nostra chiesa quotidianamente la benedizione col SS. Sacramento, dando anche la comodità agli esterni di prendervi parte, dove la chiesa è aperta al pubblico.
In secondo luogo raccomando che tanto pei Salesiani quanto per gli altri del nostro personale si usino i riguardi consigliati dalla cristiana prudenza, onde evitare il morbo fatale.
Desidero per altro in terzo luogo che, occorrendo il bisogno, ci prestiamo a servizio del nostro prossimo per quanto la nostra condizione lo permette, sia nell'assistere gl'infermi, sia nel soccorrere spiritualmente ed anche accogliere nei nostri ospizii quei giovanetti poveri che rimanessero orfani ed abbandonati per causa della malattia dominante. In questo caso però converrà anzitutto attendere il giudizio della commissione sanitaria Ideale che non vi sia pericolo di comunicare agli altri l'epidemia.
Mentre ti dò comunicazione di quanto sopra, imploro sovra di te e della tua casa ogni celeste benedizione, e ti invio i più cordiali saluti per te e per tutti codesti miei cari figli.
PS. L'esibizione di accogliere nei nostri ospizii i giovanetti poveri che rimanessero orfani per causa del cholera, si potrà fare alle autorità locali: al Sindaco, ed al Prefetto e Sotto-Prefetto.
I Salesiani assecondarono i desideri del loro Padre. Così a Marsiglia il Prefetto del Dipartimento accolse con riconoscenza la proposta fattagli dal Direttore dell'oratorio di San Leone, inviando e facendo inviare parecchi giovanetti, rimasti orfani. Alla Spezia avvenne il medesimo. Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice fecero la parte loro; poichè a Nizza Monferrato, con il pieno consenso di Don Bosco, cedettero a quel municipio la propria villeggiatura, affinchè servisse come luogo di quarantena per coloro che provenissero dalla Francia, e le Suore si offersero per l'assistenza. Il municipio accolse con [233] gratitudine la generosità, ricoverando ivi persone giunte da paesi infetti, provvedute di biancheria e di vitto dalle Suore stesse. Ci spiace di non poter moltiplicare gli esempi, Noi sappiamo che anche negli altri istituti si spiegò opera benefica; ma per difetto di cronache, o trascurate o smarrite, ce ne manca la documentazione.
Dei Salesiani della Spezia si leggevano magnifici elogi in una corrispondenza dell'Unità Cattolica del 30 settembre., Descritta la desolazione della città, che, cinta per terra e per mare da milizie armate, aveva l'aspetto di un'immensa prigione aperta solo alla morte, e lodata l'abnegazione del clero cittadino, il corrispondente continuava: “Mi è caro di segnalare alla pubblica ammirazione i sacerdoti della Casa Salesiana, i quali gareggiarono e gareggiano tuttora coi più caritatevoli e generosi della città. Essi non solo offersero alle civili autorità la propria casa per ricoverarvi i giovanetti, che rimanessero orfani ed abbandonati, come fecero i loro confratelli a Marsiglia ed altrove, ma esposero a pericolo la propria vita, gli uni nell'assistere giorno e notte i malati, gli altri a consigliare ed animare i sani impauriti e tremebondi; anzi, sebbene viventi ancor eglino di limosina e carità, seppero trovar modo di provvedere a varie famiglie bisognose soccorsi materiali, oggetti di vestiario, biancheria e danaro. La loro chiesa poi, nella quale si venera una miracolosa immagine della Madonna della Neve, fu ed è frequentatissima, ed assiepati di penitenti vi sono ad ogni ora i confessionali ”.
Nella stessa corrispondenza si lamentava pure l'ostinatezza provocatrice di alcuni miscredenti; anzi l'articolo giungeva opportuno per rintuzzare l'improntitudine di un organo settario intitolato Il muratore, Quel comune aveva consegnato al collegio salesiano un gruppo di orfani, pagando una sovvenzione. Parve al giornale massonico una sì grande enormità il far passare quei fanciulli “alla cura di Don Bosco ”, che, fingendo di non voler prestar fede alla voce còrsane in città, bollava d'infamia quel cadere nelle “unghie delle cattoliche [234] arpie, che decoro e carità di patria vorrebbe sbandite per sempre dall'umana mensa e dai civili costumi ”; la scuola dover essere “palestra di istruzione, non di favole scandalose, non di oltraggi alla scienza, non di aberrazioni ”; l'Italia chiedere, volere, imporre che le si preparino giovani magnanimi, “cittadini onesti, laboriosi, pronti ed atti ad impugnare un fucile per abbattere i privilegi e per guadagnar libertà, non conigli, non talpe, non creature inebetite nella superstizione cattolica, non buone se non a recitare le sciocchezze puerili della Dottrinella, il calepino del cretinismo ”; gl'istituti cattolici essere “letamai ove il sole della libertà e della verità non splende ” e donde “non possono uscire che coscienze frolle, piene d'ascetismo e d'ignoranza ”. Qui concetto e forma si accordano a rivelarci uno stato d'animo durato purtroppo a lungo in Italia; ma la finale è quella che scopre il movente della guerra accanita che l'anticlericalismo massonico moveva specialmente sul terreno scolastico contro le iniziative dei buoni e quindi contro l'opera di Don Bosco. In quel momento tragico il Governo, la Regina Margherita, il Re Umberto rendevano pubblicamente onore all'eroismo del clero, e di lì sotto si temeva di veder spuntare lo spauracchio di quella che oggi si saluta col nome di Conciliazione. Questo dava sempre il rimescolo alla fazione imperante, il cui portavoce spezzino con fare da epilettico sbraitava: “La brutale violenza onde in questi giorni sorgono per tutto a imporsi i nemici della patria, trova solo una sufficiente scusa nei civetteschi amorazzi onde s'imbrattano (auspice Depretis ed una bionda chioma graziosa)[119] Vaticano e Quirinale; e se il popolo non vigila, vedremo presto ristabilito il Santo Uffizio ”. Ecco un nuovo documento che aiuta a comprendere in che mare procelloso e pieno di scogli dovette Don Bosco timoneggiare la sua nave, e quale esperto nocchiero egli abbia saputo essere per guidarla sana e salva in porto.
Sembrava che una mano invisibile tenesse il morbo lontano [235] da Torino; tuttavia poteva irrompere da un giorno all'altro. Perciò Don Bosco offerse per la luttuosa evenienza i suoi servigi al conte di Sambuy, Sindaco della città.
Secondo varie notizie, sembra che il cholera morbus, penetrato già in alcuni paesi della Provincia, vada ogni giorno avvicinandosi e stringendo la città di Torino: quindi non ostante le lodevoli ed utili precauzioni prese dalle Autorità, vi ha da temere che venga ad affliggere altresì i nostri concittadini.
Nutriamo fiducia, che ciò non succeda, ma qualora le comuni speranze andassero fallite, io giudico di fare cosa gradita alla S. V. Ill.ma offerendomi disposto a ricoverare nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, tutti quei poveri giovanetti dai 12 ai 16 anni, i quali per cagione dell'epidemia rimanessero orfani dei genitori ed abbandonati, e fossero nelle fisiche condizioni volute dal Regolamento dell'Istituto.
Nell'invasione del cholera del 1854 e 55 una simile offerta veniva pur fatta al Sindaco di allora, e questa medesima io ripeto pur volentieri alla S. V. lieto di poter concorrere in qualche modo al sollievo delle umane miserie.
L'unica condizione che appongo si è che i giovani ricoverandi siano prima visitati dal medico, che attesti non presentare essi alcun sintomo del morbo, a fine di non mettere a rischio la salute dei compagni.
Confidiamo che Iddio nella sua misericordia terrà lontano da Torino ogni sventura. In ogni caso prego il Cielo che conservi a lungo la S. V. a Sindaco di questa grande ed illustre città, preservi la di lei persona e tutti i membri del Municipio dal temuto flagello, e ci conceda forza e coraggio a fare del bene a tutti.
Pieno di fiducia che la S. V. vorrà conservare la preziosa sua benevolenza ai giovanetti di questa casa, godo dell'onore di professarmi con alta stima
Il Sindaco, a giro di posta, nobilmente gli rispose:
Sono molti anni che la S. V. Rev.ma inspirandosi a sentimenti di evangelica pietà, raccoglie presso di sè i figli del popolo sprovvisti di mezzi di sussistenza e privi di consiglio e di conforti, e con costanti [236] ed amorevoli cure li mantiene nella via del dovere, ed educandoli nella scuola del lavoro che nobilita ed è fonte di moralità e di benessere materiale, ne fa dei buoni cittadini utili a se stessi ed al Paese.
Ai molti titoli di alta benemerenza acquistati e che sono cotanto apprezzati da quanti si interessano alla sorte della classe lavoratrice, altro degno di ammirazione vivissima, e di plauso la S. V. Rev.ma volle aggiungere, offrendo con tanta spontaneità di ammettere gratuitamente nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, di cui Ella ne è Fondatore e Direttore solerte ed intelligente, i giovani da 12 a 16 anni che in caso di un'invasione in questa nostra diletta Città dell'asiatico morbo, fossero per rimanere orfani di genitori ed abbandonati.
L'Amministrazione Municipale conscia de' suoi doveri, nulla ha ommesso e ommette, affine di guarentire in ogni miglior modo possibile l'immunità della Cittadinanza dal fatale morbo, che da assai tempo semina il lutto in tanti Comuni Italiani, ma quando fosse destino inesorabile che il cholera debba anche qui mietere vittime, niun dubbio che l'Autorità Comunale si varrà della generosa offerta fatta dalla S. V. Rev.ma.
Io porgo pertanto, anche a nome della Giunta, alla quale rassegnai il foglio a margine ricordato, parole di meritata lode, e di verace riconoscenza a Lei, Reverendissimo Signore, per il nuovo suo atto di filantropia, e La prego di permettere che io mi valga dell'occasione per esternarle i sentimenti della perfettissima mia stima e pari obbligazione.
Torino, addì 25 settembre 1884.
Il medesimo Sindaco, dovette rivolgersi a Don Bosco per un altro affare. Da Napoli la contessa Sanseverino Vimercati e la principessa Strongoli avevano pregato il Sindaco di Torino che volesse far ricoverare in qualche collegio della stia città un certo numero di orfanelli napolitani, i cui genitori erano morti di colera, e ricevutane risposta affermativa, s'erano affrettate a inviare i primi due, che vennero affidati all'Oratorio. Ma, quando si rientrò laggiù nella normalità, certi parenti dei due fanciulli ne reclamarono il ritorno in patria; onde le predette gentildonne deliberarono di non mandare più nessuno a Torino. Comunicata la cosa al Sindaco, questi, rammaricandosi che non si fossero scrutate prima le intenzioni [237] dei par enti, si scagionò molto cortesemente con Don Bosco[120].
La carità di Don Bosco avrebbe voluto abbracciare tutto il mondo. Nell'autunno avanzato giunsero notizie dall'India che il colei a menava strage in quei paesi e che in ogni parte si abbandonavano a se stessi i miseri orfanelli. Ciò udendo, il primo moto del suo animo fu di dire a Don Lemoyne: - Sei ivi subito a quei Vescovi, che Don Bosco è pronto a ricevere e a mantenere quei giovanetti che da loro gli saranno mandati. - La carità non consce diversità di razze nè distanza di luoghi.
Alla riapertura delle scuole vi fu nell'Oratorio una sola novità. Regolarmente gli alunni che facevano domanda per venir a cominciare le classi ginnasiali, entravano in agosto e intraprendevano un corso preparatorio; ma in quell'estate la prudenza voleva che non si ricevessero così presto. Ne fu dunque rimandato l'ingresso alla metà di ottobre, e dopo una prova di quindici giorni, diedero un esame corrispondente alla quarta elementare, non esclusi coloro che presentavano gli attestati di promozione da quella classe, ultima allora delle scuole inferiori. Gl'insufficienti vennero consegnati a chi li aveva affidati, affinchè continuassero altrove il corso elementare.
Il gran problema da risolvere era sempre quello di trovare i mezzi finanziari; allora poi la difficoltà della soluzione cresceva a più doppi. Noi comprendiamo appieno che cosa Don Bosco volesse dire quando scriveva al conte Colle[121]: “Il colera ha perturbato molti luoghi della Francia ed ora travaglia spaventosamente l'Italia. Le nostre case e i nostri giovani fino al presente sono stati preservati; ma la beneficenza ci vien meno seriamente e noi versiamo in serie difficoltà per sostenere le spese di costruzione e di manutenzione delle nostre opere ”. Eppure si era soltanto sul principio di settembre. Per [238] non lasciar nulla d'intentato, Don Bosco si rivolse a quanti più sacerdoti potè, pregandoli di aiutarlo con la gratuita celebrazione di Messe. Diede quindi la massima diffusione alla seguente circolare.
Molto Rev. e caritatevole Sacerdote,
Le dolorose vicende che in quest'anno colpirono i nostri paesi hanno cagionato molte miserie specialmente nelle nostre case di beneficenza. Molti giovanetti gettati nell'abbandono dal pubblico flagello andavano chiedendo ricovero. Ed ora a fine di provvedere a questi orfanelli e venire in loro soccorso io mi sono risoluto di ricorrere alla carità del clero che tante volte e in tanti modi mi venne in aiuto.
Per giovare alla beneficenza alcune pie persone mi hanno affidata la celebrazione di un discreto numero di messe, supplicando caritatevoli sacerdoti a venirmi in aiuto coi celebrarne o col procurare che altri ne celebri quel numero che suggerirà la possibilità del loro cuore.
Quei sacerdoti pertanto che possono concorrere a quest'opera caritatevole sono pregati di farlo noto al Sac. D. Luigi Deppert prefetto della sagrestia di Maria Ausiliatrice in Torino.
Prego pertanto la S. V. di voler indicare al medesimo sacerdote il numero delle messe che nello spazio di un anno intende di celebrare e cederne l'elemosina per l'opera proposta.
Questi giovanetti beneficati ascolteranno ogni mattina la santa messa, faranno ogni giorno speciali preghiere con frequenti comunioni pei loro benefattori.
Io mi unirò ai giovani beneficati per invocare le benedizioni del cielo sopra questi benemeriti oblatori e sopra le loro famiglie.
Con profonda gratitudine vi sono in G. C.
I lettori aspetteranno qualche notizia su gli effetti dell'antidoto di Don Bosco. Non sembra esagerazione il dire che operò veri prodigi. A Pinerolo il “A buon Vittore ”, assalito dal male mentre stava ascoltando la Messa, e costretto a uscire, si ricondusse poi con gran fatica alla villa per chiedere a Viglietti una medaglia benedetta. Il brav'uomo, appena se la mise al collo, si sentì perfettamente guarito. Le Suore di S. Giuseppe, [239] dovendo partire da Pinerolo per andare ad assistere i colerosi, vollero prima ricevere da Don Bosco la medaglia e la benedizione. Egli promise loro che sarebbero tornate tutte incolumi, e così fu. Il Vescovo attribuiva alla venuta di Don Bosco nella sua diocesi la preservazione di questa dal contagio.
Relazioni giunte a Don Bosco o all'Oratorio da mille luoghi attestavano di fatti individuali e collettivi, che dimostravano la portentosa efficacia della medaglia. A Torino Don Trione aveva amministrato l'Olio Santo a un coleroso, la cui famiglia per le solite paure non voleva sentire di medici. Il poveretto era agli estremi. Eppure, fattagli mettere al collo la medaglia, cessarono subito i vomiti scomparendo in breve ogni sintomo allarmante.
Una larga distribuzione di medaglie si fece dai Salesiani il 23 agosto ai giovanetti interni ed esterni della Spezia; orbene di tutti quelli che, docili ai suggerimenti, indossarono la benedetta immagine, neppur uno fu tocco. Morirono, è vero, alcuni alunni esterni; ma si scoperse che non avevano fatto nessun conto della medaglia. E che l'immunità non fosse dovuta ad altro che alla bontà di Maria, lo confermò un tragico fatto. Una povera donna, udite le meraviglie della medaglia, corse a procurarsela e la pose al collo della figlia di sei anni, che si dibatteva nelle spire del male. La piccina migliorava a vista d'occhio, quando, sopraggiunto il padre e scorto quell'oggetto sacro, glielo strappò e lo buttò via, vomitando bestemmie. E morbo allora, ripigliata la sua violenza, più non s'arrestò. Il forsennato genitore, allorchè la bimba, vicina a morire, giunse le manine in atto di preghiera, la costrinse a distenderle, non volendo vederla far ricorso a Dio. Più giudizioso si mostrò il presidente del circolo anticlericale, che sull'asta della bandiera ostentava la figura di Satana. Preso dai crampi e trasportato al lazzaretto, benchè non si volesse confessare e non si confessasse, mandò in cerca della medaglia, se la mise al collo e guarì. In città era così evidente l'incolumità di [240] quanti portavano la medaglia, che i radicali, per frastornare l'attenzione del pubblico, si diedero a spacciare tra il volgo essere i cattolici gli spargitori del colera.
E' interessante quello che accadde a Genova. La massoneria aveva organizzato in ogni quartiere squadre d'infermieri, che cercassero di allontanare il sacerdote dal letto dei colerosi. Un coraggioso cittadino, Franco De Amicis, con la benedizione dell'Arcivescovo organizzò squadre di cattolici e, presentatosi al sindaco per dargliene notizia, questi gli chiese quale segno adottassero i suoi per essere riconosciuti. - La medaglia di Maria Ausiliatrice, - fu la risposta. Scoppiò fra i presenti una risata; ma il fatto è che in una lettera del 22 Ottobre a Don Bosco il signor De Amicis scriveva: “La Madonna sua amabilissima ha preservato dal male tutti i membri delle mie squadre e la mia povera persona ”. Or si noti che per circa cinquanta giorni si alternarono nel servizio fra uomini e suore parecchie centinaia di persone[122].
Anche in Francia le medaglie di Maria Ausiliatrice benedette da Don Bosco furono apportatrici di salvezza. L'Ispettore Don Albera riferiva a Don Bosco da Marsiglia[123]: “La città è quasi spopolata. Oltre centomila abitanti fuggirono: molte strade sono affatto deserte. Malgrado questa diminuzione, i morti sono sempre in media da novanta a cento al giorno. Si dice bene che, di questi, due terzi solamente sono morti di colera, ma è sempre un gran flagello, una grande mortalità in Marsiglia ove la media dei morti, quando vi sono tutti gli abitanti, è appena di trentatrè o di trentacinque. I colerosi muoiono alcuni in poche ore, altri durano un po' più. Si riuscì a salvarne vari. Nella nostra casa pelò, in grazia della protezione di Maria Ausiliatrice, che V. S. ci ha promesso, in grazia delle precauzioni che si presero, non abbiamo ancora avuto neppure un caso. Dirò meglio: quattro volte [241] vedemmo in qualche povero giovane tutti i sintomi del colera; ma poi abbiamo avuto la consolazione dì vederli in poche ore interamente spariti. È un miracolo della Madonna! In casa abbiamo ancora oltre a centocinquanta giovani, che da quanto pare non saranno ritirati, nemmeno se il colera infierisse maggiormente, sia perchè sono della città stessa di Marsiglia, sia perchè i parenti non possono ritirarli. Anche di quelli che partirono per le case loro, lo stato di sanità è ottimo e nessuno fu ancora colpito dal terribile morbo. Ciascun giovane ha la medaglia di Maria Ausiliatrice al collo, e fa quanto può per metter in pratica il rimedio che Lei ha suggerito. Un'altra consolante notizia: nessuno dei nostri benefattori ed amici finora cadde ammalato ”.
Don Albera accenna alla promessa fatta da Don Bosco.
È davvero sorprendente il tono di sicurezza, con cui dal Santo si prometteva anche ai Francesi la preservazione. A Don Ronchail, Direttore della casa di Nizza aveva scritto il 1° luglio: “Pare che Dio voglia farci una visita, Fa' che i nostri giovani ed i nostri amici abbiamo seco l'antidoto sicuro del colera. Una medaglia di Maria Ausiliatrice, recitando: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis ”. Orbene il 18 agosto poteva scrivere alla signorina Louvet: “Ho una gran bella notizia da darle. Tutte le case di Francia, tutti i benefattori dei nostri giovanetti, grazie a Maria Ausiliatrice, sono stati preservati dal flagello che affligge la Francia”.
Invece, parole di color oscuro indirizzò per l'anno vegnente a Don Albera nel mese di novembre.
Ho scritto le lettere alle persone e nel senso indicato. Spero sortiranno buon effetto.
Mi farai piacere di salutare caramente i nostri confratelli ed in modo particolare i nostri giovanetti. Dirai a tutti che quest'anno l'abbiamo passata bene e dobbiamo ben di cuore ringraziare il Signore. Io temo che l'anno venturo siamo di nuovo visitati dallo stesso flagello; ma io non mi sento dì promettere che il colera non venga a molestarci ad eccezione che voi mi veniate in aiuto. Ma come? Mi veniate [242] in aiuto colla buona condotta, colla frequente comunione e particolarmente col fuggire rigorosamente le cose che sono contro alla modestia.
Dio ci benedica tutti e prega per la mia sempre cagionevole salute.
Difatti il contagio ricomparve a Marsiglia nell'estate del 1885. Però fino dal 31 gennaio Don Bosco, parlandosi di colera, aveva detto: -L'anno scorso poteva assicurare con certezza che le medaglie di Maria Ausiliatrice portate indosso con le condizioni prescritte avrebbero preservate le persone dal morbo asiatico. Ma quest'anno non so ancora se la Vergine vorrà dimostrarsi egualmente pietosa in tale circostanza.
Sono parole che dànno il diritto di pensare che la, passata sicurezza del Santo avesse il suo fondamento in una indubbia ispirazione o rivelazione celeste; tanto più che nella circolare del gennaio 1885 ai Cooperatori e alle Cooperatrici potè con tutta semplicità e asseveranza formulare la seguente affermazione: “Vi è noto che per alcuni mesi molte città e borgate d'Italia e di Francia furono infestate dal terribile morbo asiatico, il colera, e migliaia e migliaia di vite furono mietute dalla morte. Ma Iddio benedetto per sua bontà volle preservare dal temuto flagello tutte le case salesiane e le persone che le abitavano; anzi mi è dolce il credere che abbia usata la stessa misericordia a voi ed ai vostri cari ”. Non sarebbe davvero mancata, specialmente i; certi pubblicisti, la mala volontà d'infliggere una smentita alla sua asserzione; ma nessuno da nessuna parte si levò a contraddire.
IL 26 aprile 1884 Torino era in festa. I Sovrani d'Italia con intervento di tutta la famiglia reale, del corpo diplomatico e dei dignitari dello Stato v'inauguravano solennemente una Esposizione nazionale dell'industria, della scienza e dell'arte. Al Comitato d'onore presiedeva il principe Amedeo, fratello del Re, e al Comitato esecutivo il deputato Tommaso Villa. Gli edifizi delle mostre sorgevano sulla riva sinistra del Po nell'amenissimo parco che circonda il castello del Valentino.
Don Bosco aveva divisato di farvi comparire soltanto la tipografia salesiana, esponendone la già ricca produzione. Avanzatane domanda nel maggio 1883, il 16 luglio successivo ottenne lettera d'ammissione, che gli assegnava un posto conveniente nella galleria (così dicevasi allora più comunemente invece di padiglione) per la didattica e la libraria, dove figuravano i prodotti delle arti grafiche. Ivi dunque fece trasportare mille volumi d'ogni sesto e qualità: scientifici, letterari, storici, didattici, religiosi; edizioni illustrate; il Bollettino Salesiano in tre lingue: italiana, francese, spagnuola;[124] inoltre saggi di disegno e di quanto si riferisse a scuole, elementari, tecniche, ginnasiali. Il tutto venne disposto in scansie di elegante struttura, dove spiccavano assai bene svariate e preziose legature, [244]
Questo era già in ordine, quando si celebrò l'inaugurazione[125].
Ma in appresso il disegno primitivo aveva assunto più vaste proporzioni. L'onorevole Villa trovandosi in Svizzera l'autunno precedente per visitare l'Esposizione di Zurigo, erasi recato a vedere uno dei più riputati opifici della città e gli aveva fatto impressione una superba macchina che si stava costruendo per la fabbricazione della carta. Chiesto per chi la sì costruisse e udito che per il signor Bosco d'Italia: - Dite pure per Don Bosco, soggiunse egli, perchè questo uomo è noto a tutti. - E realmente Don Bosco aveva ordinato quella nuova macchina per la sua cartiera di Mathi torinese. Il Villa, tornato a Torino, fece istanza, affinchè la stupenda macchina adornasse le gallerie dell'Esposizione. Don Bosco senza esitare un nomento acconsentì, solo ponendo la condizione che gli si assegnasse una galleria intera, nella quale avrebbe collocato e messo in azione anche le macchine necessarie alla produzione del libro. Se parve sulle prime soverchia la sua esigenza, non fu più così, quand'ebbe spiegato bene tutto il suo grandioso disegno; anzi il Comitato deliberò di costruire una galleria apposita in un cortile fiancheggiato dall'immensa galleria dei lavoro. Detta nuova galleria misurava 55 metri di lunghezza per 20 di larghezza. Sulla porta d'ingresso si leggeva:
FABBRICA DI CARTA, TIPOGRAFIA, FONDERIA, LEGATORIA
Aveva detto bene il Villa, che Don Bosco era conosciuto; tuttavia per quei tempi un prete espositore in una Esposizione [245] nazionale e nella sezione del lavoro sembrava un vero anacronismo. Onde non pochi, passando di là e leggendo quella scritta, sorridevano, immaginandosi di dovervi trovare oggetti di sacrestia, che non li interessassero punto. Se invece, superate le prevenzioni, si decidevano a entrare, rimanevano subito colpiti da due novità: dal lavoro e dai lavoratori. Questi, tutti giovani di varia età, si attiravano le simpatie dei riguardanti a motivo dell'applicazione, compostezza e serenità con cui attendevano ognuno a far bene la parte sua. Il lavoro poi incatenava dal principio alla fine la generale attenzione. Cosicchè quel reparto costituì per il pubblico tino dei richiami più interessanti nella grande mostra.
Intendimento di Don Bosco era stato di dare una dimostrazione pratica del molteplice lavoro richiesto dalla produzione materiale del libro. Ora qui la curiosità del pubblico assisteva al graduale processo, per cui da un mucchio di sudici cenci si arriva a veder uscire, per esempio, un elegante volume di versi. Non vi mancavano, come abbiamo accennato, i preliminari più realistici: divisione e scelta dei cenci; loro spolveramento, liscivia e riduzione in pasta[126]. Seguiva quindi tutta una complessa azione meccanica: cilindri raffinatori della pasta, tino con gli accessori per l'introduzione di questa nell'ingranaggio, apparecchio da carta continua, tagliacarta per ridurre i fogli nel formato voluto; calandra, pressa e tutto l'occorrente per disporre la carta in pacchi e in risme. Vedere quella pasta lattea purificarsi a grado a grado da ogni sedimento, epurarsi delle ultime parti fibrose, liberarsi dall'acqua, comporsi a forma di tessuto, rassodarsi, e asciugata, lisciata, rasata, arrotolarsi e rigarsi, offriva uno spettacolo, che quasi nessuno aveva mai avuto occasione di contemplare. Un giornale chiamò questa la regina delle macchine che si trovavano [246] nell'Esposizione[127]. La chiamò così un mese prima che vi fosse esposta; ma altri giornali si appropriarono la denominazione, quando la si vide in opera, il che fu al 21 di giugno. Don Bosco assistette personalmente all'inaugurazione, accompagnato dal teologo Margotti e da, Don Durando e ricevette i rallegramenti più entusiastici da molti ragguardevoli signori, che gli furono là presentati.
Accanto alla calandra della cartiera stava esposta una pressa a quattro colonne con indicatore dinamico, doppia invenzione di Don Ghivarello. Venivano immediatamente dopo due macchinette per la fusione dei caratteri: belle e pulite se ne vedevano scaturire le lettere da consegnarsi alle vicine casse dei compositori. Seguivano quindi una grande macchina tipografica in attività (stampava la Fabiola e il piccolo catechismo), poi tutti gli utensili per legare e infine lo spaccio del libro[128].
Due sinistri incidenti minacciarono di funestare l'esposizione di Don Bosco subito nei primi giorni; bisognò render grazie a Maria Ausiliatrice, se due lutti furono risparmiati.
Il 30 giugno un giovane sedicenne per nome Harziano Bertotti da Tortona, mandato a far pulizia nel lungo e largo fosso sotto la macchina della carta, stanco di lavorare, si riposò un istante, guardando verso il centro della galleria. Distratto com'era, appoggiò la destra sur un grosso cilindro in moto Lo fece senz'avvedersi, nè, quando s'accorse del pericolo, ebbe tempo di ritrarre la mano, poichè il cilindro girando gliela portò sotto a un secondo cilindro. Tra l'uno e l'altro poteva passare appena un foglio di carta. La povera mano, stretta fra quei due solidi arnesi, fu in un attimo spellata e schiacciata, [247] e il braccio ne seguiva la sorte, mentre la manica della camicia del braccio sinistro, col quale il giovane aveva tentato di soccorrere il destro, veniva presa dalle stesse morse e tirata. Egli ebbe tanta presenza di spirito da non gridare per non ispaventar la gente, ma per l'eccesso del dolore diede in un profondo sospiro. Questo bastò per richiamare l'attenzione del macchinista uomo pratico, che provvidenzialmente si trovava allora presso il luogo del pericolo. Costui con molta destrezza tolse la correggia che metteva in movimento i due cilindri, facendoli subito fermare. Portato nel posto del pronto soccorso e giudicato in gravi condizioni, il giovane fu condotto con una vettura all'ospedale di S. Giovanni, dove ricevette prontamente le cure del caso. Grazie al cielo in pochi giorni scomparvero i sintomi allarmanti, sicchè, tornato all'Oratorio, dopo un mese era perfettamente guarito.
La seconda disgrazia toccò il 3 luglio ad Egidio Franzioni da Milano, giovane sui quindici anni. Badava alla macchina tagliatrice della carta. Quel giorno il feltro non andava bene e non gettava al loro posto i fogli tagliati. Il ragazzo volle, stendendo il braccio, prendere i fogli che non scendevano a dovere; ma non colse il momento giusto e il coltello gli portò via l'indice della destra. Il ricordo dell'infortunio occorso tre giorni prima al suo compagno, fece sì che neppure lui gridasse a sfogo del dolore, ma, dati alcuni colpi dei piedi in terra, volò all'assistenza medica, donde fasciato venne condotto all'Oratorio. Egli pure dopo alcune settimane non aveva più alcun male, tranne la perdita del dito. Era figlio di una commediante. Già prima che si aprisse l'Esposizione aveva ricevuto una bella grazia. Ridotto agli estremi da una febbre tifoidea, si era confessato e con molta divozione preparato a ricevere l'Olio santo, perchè, come disse poi, temeva seriamente di morire. Invece, dopo l'ultimo sacramento, aveva cominciato a migliorare, tanto che la dimane il medico, pieno di meraviglia, lo dichiarava prossimo alla convalescenza, e pochi giorni dopo lo trovò in perfetta salute. [248]
Concorrendo in una forma così grandiosa all'Esposizione, Don Bosco si riprometteva due vantaggi di ordine religioso e morale, far vedere cioè che il clero amava le arti e il loro progresso e dare un buon esempio con la santificazione dei giorni festivi. Per questa obbedienza al precetto della Chiesa i giornali di parte avversa masticarono amaro, sebbene, per una più o meno tacita intesa a fine di non danneggiare l'Esposizione, evitassero di menare scalpore. Il Fischietto, per esempio, che in altri tempi non avrebbe avuto peli sulla lingua, con certa malizietta immaginava una domanda e risposta fra un visitatore e uno del Comitato. Il primo diceva: - Come va questa faccenda? Le macchine di Don Bosco stanno ferme, mentre tutte le altre sono in moto. La sua esposizione non fa parte della Galleria del lavoro?
- Certamente, rispondeva l'altro. Ma, veda, oggi è domenica; nella Galleria del lavoro Don Bosco rappresenta il riposo festivo.
- Felice chi ha le rendite per poterlo fare! conchiudeva con un vecchio epifonema il visitatore.
Non si creda però che a Don Bosco sia stato agevole far accettare tale condizione. Se non che da un lato egli tenne fermo a ripetere che non voleva profanare i giorni del Signore, e dall'altro il Comitato esecutivo ci teneva a non lasciarsi sfuggire la splendida macchina, e così questo cedette ed egli ne usci con la sua.
Anche nell'Esposizione Don Bosco si trovò fra' piedi i protestanti. Costoro alla porta d'entrata distribuivano in regalo foglietti, che fornivano gl'indirizzi dei loro correligionari di Torino, Caserta, Civitavecchia, Firenze, Genova, Livorno, Napoli, Roma, Tivoli e insieme spacciavano opuscoli e volumi di propaganda. Un opuscolo e un volume particolarmente c'interessano.
L'opuscolo s'intitolava: Lettera rispettosa di C. P. Meille, pastore della chiesa evangelica valdese a Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Alimonda, Arcivescovo di Torino. L'evangelico [249] pastore sfruttava un caso avvenuto di fresco nella città.
Un finto dottore Augusto dei Baroni di Meyer, oriundo di Ginevra, aveva con la moglie abiurato i propri errori davanti a Sua Eminenza, presenti cento e più sacerdoti, nella chiesa dell'Episcopio. Ora il Meille svelava non essere colui altri che un tal Cesare Augusto Bufacchi romano, il quale aveva già apostatato tre volte e tre volte aveva fatto abiura per uccellare alla generosità dei cattolici turlupinandoli. La truffa indegna serviva al valdese per dimostrare come i cattolici fossero corrivi a pigliar per vero il falso anche nelle loro apologie contro i protestatiti. C'era di più: il poco scrupoloso ministro mirava a screditare dinanzi al pubblico l'Arcivescovo, che nella venuta dei Reali a Torino per l'Esposizione era stato fatto segno a onori insoliti da parte delle loro Maestà e del Duca di Genova. Per più versi spiacque a Don Bosco la brutta manovra; onde commise a Don Bonetti di elaborare e lanciare una risposta. Don Bonetti che in questo genere di letteratura si sentiva nel suo elemento, rispose per le rime con un opuscolo intitolato: Verità e truffe. Leggendolo però, vi si avverte una tal quale temperatezza di idee e di espressioni, che non dovette essere spontanea, ma ispirata e voluta da Don Bosco.
Senza risposta al contrario fu lasciato un volume di 34-J pagine fitte fitte, scritto da un altro valdese, questa volta anonimo e venduto fuori dell'Esposizione per una liretta. È dal principio alla fine una diatriba contro il Giovane provveduto di Don Bosco[129]. La stranezza del titolo viene spiegata così dall'autore nell'Avvertenza che fa da prefazione: “Presi dal nostro dialetto la parola boccia e suoi derivati, perchè nel vocabolario italiano trovavasene difficilmente un'altra che racchiudesse -una più popolare e viva sintesi del libro di Don Bosco: difatti siccome qui in Piemonte boccia non altro significa che una delle nove grosse palle di legno componenti il giuoco delle bocce; così i continui cambiamenti dogmatici [250] della Chiesa Romana rappresentata oggidì dall'edificatore Don Bosco rassomigliano a boccie sempre rotolanti sul suolo che si urtano e respingono a vicenda, nei popolari, chiassosi divertimenti: epperciò formano un doloroso ed audacissimo contrapposto alle immutabili, serie, consolanti, e non mai contraddittorie dottrine evangeliche. Giammai si edificò una casa con boccie od altri materiali rotondi ”. Cominciando dal ritratto dì S. Luigi, con cui il caro manuale di pietà si apre, il discepolo di Valdo rivede pagina per pagina il libro di Don Bosco, segnalando errori, contraddizioni, pazze teorie, cavilli, menzogne, dottrine ereticali. La tesi e insieme lo scopo di questo vero “polpettone ” (usiamo il termine con cui è squalificato il Giovane Provveduto) si può arguire dalla seguente apostrofe di pagina 66: “0 giovinotti, lasciate le silique di questo dottore tenebroso e contraddicente, e ricevete ciò che la viva fonte, la fonte saliente, il vero Maestro vi dice ”. Ossia abbandonate l'insegnamento cattolico e abbracciate il Vangelo secondo Pietro Valdo. Un frutto del Vangelo valdese com'è questo libro, basta da solo a far conoscere la natura della pianta che l'ha prodotto; lo stesso linguaggio impertinente contro Don Bosco sarà molto valdese, ma non è niente evangelico.
Un buon opuscoletto su Don Bosco e le sue opere fu pubblicato e divulgato da un sacerdote del Trentino, che imparò a conoscere il Santo nell'Esposizione torinese. Gliene venne l'idea da quello che lesse in una Guida dell'Esposizione, dove, descrivendosi la Galleria del lavoro, si diceva: “Il famoso Don Bosco, un clericale la cui attività auguriamo a tutti i liberali, ha occupato all'Esposizione un cortile intero a destra ”[130]. L'autore presentava così il Servo di Dio: “Chi è mai questo prete che è giunto ad imporsi ai liberali stessi? Se aveste a vederlo, nulla scorgereste che vi riveli un genio sublime; è un prete alla buona, il quale, sebbene abbia solo da poco oltrepassato il [251] sessantesimo nono anno di età, all'aspetto vi appare più che settuagenario. Fissate un istante sii di lui i vostri sguardi e voi leggerete a chiare note sulla sua fronte il soffio dello spirito divino che lo anima e che lo ha prescelto ministro di opere sì stupende; miratelo un istante e vi sarà impossibile non sentirvi compresi di venerazione e d'amore per questo canuto vegliardo. Franca è la stia accoglienza, acuto il suo sguardo, incantevole il suo sorriso, lepida la sua conversazione, dalla stia fisionomia e da tutta la stia persona traspira un non so che di bontà tale che vi ammalia e v'innamora ”. Dalla visita fattagli a Valdocco l'autore riportò dì lui queste parole: “Nella mia casa c'è pane, gli disse, e questo ce lo manda giorno per giorno la Provvidenza, c'è lavoro, ognuno deve faticare per tre; e c'è Paradiso, perchè chi mangia e lavora per Iddio, ha diritto ad un cantuccio di Paradiso ”. Stampate a vistosi caratteri, quelle tredici facciate sì divorano d'un fiato e dovettero servire in molti casi per chiudere la bocca a mal informati detrattori.
Le esposizioni, si sa, danno occasione a trattenimenti e a festini di vario genere. Nella Galleria del lavoro, esponeva i suoi prodotti un Giuseppe Torretta, fabbricante di torroni e conterraneo di Don Bosco, ch'ei si vantava di conoscere fin dall'Infanzia. Dandosi dalla Commissione espositrice di quella sezione un gran pranzo ai suoi espositori, previo il versamento della quota di venticinque lire, il Torretta ricevette l'incarico d'invitare Don Bosco a sottoscriversi; gli scrisse dunque una lettera piena di preghiere e di esortazioni. Ma Don Bosco, consideratis, considerandis, conchiuse che Don Rua rimettesse le venticinque lire e che a causa della lontananza scusasse la sua assenza. Egli soggiornava allora a Pinerolo[131].
L'incontrate Don Bosco fra gli espositori era per chi poco o punto lo conoscesse, una sorpresa e una rivelazione mentre per chi già ne aveva notizia, era un motivo di più all'ammirazione. [252]
Così un reduce da Torino manifestò il suo stupore in un periodico popolare di Reggio Emilia e da lui sappiamo che la Galleria di Don Bosco era una delle poche, dove si affollavano i visitatori, e che in quel continuo andirivieni si notavano si i volti i segni evidenti della soddisfazione e della meraviglia[132].
Approssimandosi il termine del l'Esposizione, bisognava assegnare agli espositori le ricompense. Le varie sezioni avevano nominato le loro giurie, che nella seconda metà dì settembre procedettero ai relativi esami, finiti i quali, fu costituita la giuria di revisione che doveva esaminare i reclami contro i verdetti formulati, ma non ancora definitivi. Don Bosco, presa conoscenza del verdetto che lo riguardava, trovò esserglisi aggiudicato un premio troppo inferiore al merito. Della cartiera non si teneva conto particolare, perchè la macchina non era di fabbrica italiana, e per i prodotti dell'arte tipografica in genere gli si concedeva la semplice medaglia d'argento. Veramente il lavorio per deprezzare l'attività editoriale di Don Bosco era cominciato in antecedenza; infatti il Giornale ufficiale dell'Esposizione aveva pubblicato che nella Galleria di Don Bosco non si stampavano che “opere comuni, anzi comunissime ”. Si fece ben osservare subito la falsità di quel giudizio, contraddetto anche dal fatto che si stava là stesso precisamente stampando un'opera elegante, illustrata con cento incisioni, la Fabiola; ma non si volle smentire l'errore. Il giurì dunque premiò semplicemente la Tipografia Salesiana con medaglia d'argento “per la sua grande diffusione di stampe in tutto il globo, per la mitezza dei prezzi, nonchè pel grandioso impianto della special Galleria con cui dallo straccio alla carta, da questa alla stampa e alla legatura ottiensi il libro ”.
Don Bosco a tutela de' suoi diritti inoltrò prima al Comitato esecutivo le sue rimostranze; appresso ripresentò le sue [253] proteste per la Giuria di revisione, aggiungendo che, ove il verdetto non fosse ne' suoi riguardi riformato, egli avrebbe rinunziato a qualsiasi riconoscimento ufficiale, pago del plauso, di cui eragli stato largo il pubblico. Ecco la sua lettera.
Onorevol.mo Comitato Esecutivo,
(Ufficio Giuria di revisione).
Addì 23 del corrente mese, a nome mio veniva scritta a cotesto Onorevole Comitato lettera, nella quale gli si facevano alcune osservazioni intorno al Verdetto della Giuria ed al premio della Medaglia d'argento che sarebbe stata aggiudicata alle molteplici opere delle mie Tipografie ed esposte nella Galleria della Didattica alla Mostra Italiana.
Ritornando sull'argomento mi fo' lecito di aggiungere, per norma della Giuria medesima, alcune osservazioni, quali sono: la mensuale pubblicazione dei Classici Italiani purgati ad uso della gioventù e scientificamente annotati, che nel corso di 16 anni si va facendo dalla mia Tipografia di Torino, i cui esemplari sorpassano già la cifra di 3oo.ooo; la mensuale pubblicazione delle nostre Letture popolari in edizione economica, che dalla sua origine raggiunse l'anno 330 ed i cui esemplari sorpassano già la cifra dì due milioni; la 100° ristampa del Giovane Provveduto, i cui esemplari raggiunsero i sei milioni, e con altre operette di minor mole della stessa natura, la cui diffusione è incalcolabile; i Classici Latini e Greci annotati ad uso delle scuole secondarie, la cui pubblicazione diffusissima corre pure da 20 anni a questa parte; i Dizionarii Latini, Italiani e Greci colle relative Grammatiche, composti da Professori dei miei Istituti, apprezzati e lodati da uomini competenti ed universalmente accolti, come ne sono prova le copiose e frequenti edizioni fatte. Più altre opere di Storia, Pedagogia, Geografia, Aritmetica, apprezzate e diffusissime, i prezzi delle quali modicissimi, che sono alla portata di tutte le condizioni e si prestano alla grande diffusione; un discreto numero d'edizioni dì varii formati e mole, illustrate da incisioni o senza, ma sempre eleganti nella carta e nella stampa; molte altre produzioni che per brevità tralascio di accennate, mi paiono motivi sufficienti per interessare la Giuria incaricata dell'esame, e indurla ad aggiudicare un premio non inferiore a quelli conferiti ad Espositori, le cui produzioni, e per qualità e per quantità sono inferiori alle mie.
Fo' anche notare alla Giuria che i lavori sovr'accennati sono fatti in tutte le mie Tipografie da poveri giovani raccolti ne' miei Istituti, ed avviati per tal modo a guadagnarsi in seguito ed onoratamente il pane della vita; e ciò nondimeno l'esecuzione dei lavori non è inferiore (a giudizio degli intelligenti nell'arte) ad altre opere esposte da varii [254]
Editori, i quali ottennero un premio, non che eguale, ma, secondo che mi venne riferito, superiore al mio.
Non debbo ommettere eziandio, come le Opere mie non furono dalla Giuria appositamente visitate e confrontate, epperciò mi pare che il suo giudizio non abbia potuto emettersi con piena conoscenza di causa circa il loro merito, come alcuni esperti editori si espressero nella disamina dei nostri cogli altrui libri, non che degli stampati eleganti eseguiti nella Galleria della mia Cartiera e sotto l'occhio del pubblico.
In quanto alla mia Cartiera, se fu, ben colta la espressione, mi verrebbe semplicemente offerto un Attestato di benemerenza, escludendomi così dal novero dei concorrenti e dei premiati. Posto anche che non abbiasi a tener conto della macchina da carta perchè estera mi pare nondimeno che si debba aver riguardo al lavoro perfezionato della medesima ed alla industria dell'acquisitore sottoscritto, che per tal modo, con ingente suo scapito di lavoro, nell'odierna Mostra Italiana, promuove in Italia l'arte ed il lavoro con più vasta produzione.
Mi fa poi anche sorpresa che non si abbia avuto alcun pensiero dalla Giuria intorno alla mia Fonderia tipografica, alla composizione e stampa dei libri ed alla relativa legatura, le cui arti sono appieno rappresentate in azione di lavoro costante nella Galleria stessa, e mediante le quali si pose sott'occhio del pubblico la ingegnosa operazione con cui dallo straccio, alla carta, al carattere, alla stampa ed alla legatura ottiensi il libro.
Per tutte queste ragioni fu unanime il giudizio favorevole del pubblico, il quale dovrebbe pur pesare sulla bilancia, usata dalla Giuria nello assegnare i premi.
Prego pertanto l'Onorevole Comitato che per mezzo della Giuria di Revisione voglia venire ad un Verdetto il quale sia più conforme al merito delle Opere sopra accennate e non lasci alcun motivo al pubblico di emettere giudizii sfavorevoli a questo proposito.
Spero che si prenderanno in considerazione questi miei appunti. Che se ciò non fosse io fin d'ora rinunzio a qualsiasi premio od attestato, ingiungendo che da cotesto Comitato si impartiscano gli ordini opportuni, affinchè non venga fatto alcun cenno per le stampe, nè del verdetto, nè del premio ed attestato medesimo.
In questo caso a me basta di aver potuto concorrere coll'Opera mia alla Grandiosa Mostra dell'ingegno e industria italiana, e dì aver dimostrato col fatto la premura che nel corso di oltre 40 anni mi sono sempre dato, a fine di promuovere in un col benessere morale e materiale della gioventù povera ed abbandonata, il vero progresso eziandio delle scienze e delle arti.
Mi sono premio sufficiente gli apprezzamenti del pubblico, che ebbe occasione di accertarsi coi proprii occhi dell'indole dell'Opera mia e de' miei collaboratori. [255]
Colgo questa propizia occasione per augurare all'Onorevole Comitato ed alla spettabile Giuria ogni bene da Dio e professarmi con pienezza di stima.
Ma la Giuria di revisione non degnò dì un'occhiata le ragioni qui addotte; soltanto alla medaglia d'argento per la produzione tipografica aggiunse per la cartiera un irrisorio attestato di benemerenza, equivalente a un puro e magro segno dì ringraziamento, quale si rilasciava a tutti gli espositori della Galleria del lavoro. Contro la mostruosa ingiustizia si levò la stampa cattolica[133]; ma con tanti massoni che facevano parte dei Comitati, delle Commissioni e delle Giurie, necessariamente l'insulso spirito anticlericale dell'ottocento doveva imprimere carattere partigiano a un'opera intrapresa nella capitale del Piemonte sotto i migliori auspici di comune gioia e concordia. “Uomini dì senno e di intelligenza, scrisse il Corriere di Torino, affermavano Don Bosco degno del Diploma d'onore ”; ma “ecco la grande colpa del venerando sacerdote, spiegava l'Eco d'Italia: egli contrasta e impedisce potentemente la propaganda radicale e repubblicana nella gioventù, e lavora indefessamente e con splendidi successi alla soluzione cristiana (cioè la sola possibile) della tremenda questione sociale ”[134].
L'AFFIEVOLIRSI delle forze e l'aggravarsi degli incomodi facevano sì che Don Bosco riguardasse come non più tanto lontana la sua fine. Il 17 ottobre in una lettera a Don Berto metteva questo poscritto: “Non dimentichiamo mai che non è molto distante il tempo in cui io e tu dovremo rendere conto al Signore delle nostre azioni ”. Correva allora col pensiero a quello che sarebbe potuto accadere dopo la sua morte e di tratto in tratto affidava alla carta le cose che gli parevano doversi tenere presenti da' suoi, quand'egli fosse partito per l'eternità. Non aveva in questo un piano prestabilito o comunque un ordine d'idee da esporre sistematicamente; ma durante il mese di settembre venne scrivendo in un umilissimo taccuino quegli appunti che volta per volta la mente gli dettava. E che andasse avanti così alla ventura, si vede anche dal fatto che qua e là intercalò una o più lettere che il suo successore avrebbe poi dovuto raccogliere, trascrivere e spedire a determinate persone, delle quali gli si affacciava casualmente il ricordo. Omesse per ora tali lettere, noi pubblicheremo nella loro più scrupolosa integrità i paterni ammonimenti che a guisa di testamento spirituale il buon Padre indirizzava agli amati figli nell'eventualità di doverli presto lasciare orfani. [257]
Al mio decesso il Successore per qualche tempo farà in modo che:
I° Siano sospesi i lavori di costruzione.
2° Non si aprano nuove case, non si decantino debiti; ma si usino comuni sollecitudini per pagare la successione, estinguere le passività, completare il personale delle case esistenti.
3° Con lettera particolare diasi notizia della mia morte, si ringrazino i principali benefattori nostri, e si preghino a continuare. Siano assicurati che se per la misericordia del Signore potrò andare al cielo invocherò sopra dì tutti e ad ogni istante le divine benedizioni...sopra di tutti.
4° Un invito a tutti i socii a mostrarsi [calmi] in quella occasione. Non lagrime, ma coraggio e sacrifizio di qualunque genere a fine di perseverare nella società e sostenere le opere che la Divina Provvidenza ci ha affidate.
5° I giovani poi siano invitati a pregare, affinchè Dio mi abbrevi le pene del Purgatorio, se come spero Dio mi concederà dì morire nella sua santa grazia.
6° A tutti i socii Salesiani che spero di vederli tutti nella beata eternità[135].
CAPITOLO SUPERIORE[136].
All'epoca del mio decesso si raduni il Capitolo, e stia regolarmente pronto ad ogni evenienza, e niuno si allontani se non per motivi assolutamente necessarii.
Il mio Vicario d'accordo col[137] Prefetto prepari e legga in Capitolo una lettera da dirigersi a tutti i confratelli in cui si dia notizia della mia morte, loro raccomandi preghiere per tue, e per la buona scelta del mio successore.
Stabilisca il giorno per la elezione del novello Rett. Maggiore e dia tempo che quei di America e di altri paesi distanti possano intervenire qualora non siano da gravi motivi impediti assolutamente[138].
Io noto qui due cose della massima importanza.
I° Si tengano segrete le deliberazioni capitolati, e se avvi qualche cosa da comunicare ad altri, sia uno appositamente incaricato. Ma esso sia ben attento a non nominare qualche membro del Capitolo che abbia dato il voto affermativo o negativo, oppure abbia proferita tale frase o tale parola.
2° Si ritenga come principio da non mai variarsi di non conservare alcuna proprietà di cose stabili ad eccezione delle case e delle [258] adiacenze che sono necessarie per la sanità dei Confratelli o della salubrità degli allievi. La conservazione di stabili fruttiferi è una ingiuria che si fa alla Divina Provvidenza che in modo maraviglioso e dirò prodigioso ci venne costantemente in aiuto.
Nel permettere costruzioni o riparazioni di case si usi gran rigore nello impedire il lusso, la magnificenza, la eleganza. Dal momento che comincierà apparire agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra Congregazione.
A TUTTI I MIEI CARI FIGLIUOLI IN G. C.
Fatta la mia sepoltura il mio Vicario inteso col Prefetto dirami a tutti i confratelli questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale.
Miei cari ed amati figliuoli in G. C.
Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore. Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per la ubbidienza che mi avete prestata e di quanto avete lavorato per sostenere e propagare la nostra Congregazione.
Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la infinita misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità. Colà io vi attendo.
Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito che tutti dobbiamo pagare, ma dopo ci sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amor del nostro Maestro il nostro buon Gesù.
Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimanere saldi nella vocazione fino alla morte. Vegliate e fate che nè l'amor del mondo, nè l'affetto ai parenti, nè il desiderio di una vita più agiata vi movano al grande sproposito di profanare i sacri voti e così tradire la professione religiosa con cui ci siamo consacrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiamo dato a Dio.
Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni.
Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra guida, nostro modello; ma ritenete che a suo tempo egli stesso sarà nostro Giudice e rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio.
Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.
Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al cielo. Là parleremo di Dio, di Maria Madre e sostegno della nostra Congregazione; là benediremo in eterno questa nostra Congregazione, la cui osservanza delle [259] regole contribuì potentemente ed efficacemente a salvarci. Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te Domine, speravi non confundar in aeternum.
Fatta la mia sepoltura, radunati e convenuti gli elettori al luogo stabilito sì compieranno le cose prescritte sia pei suffragi del Rettore defunto sia per effettuare la imminente elezione e riconoscimento del nuovo Superiore della Congregazione.
É bene che ogni cosa sia tostamente comunicata al S. Padre e si domandi speciale benedizione sopra quest'atto importantissimo.
Ciascuno poi senza badare ad affezione umana, a speranze di sorta dia il suo voto a colui, che egli giudica maggiormente idoneo a procacciare la maggior gloria di Dio e il vantaggio della nostra pia Società. Perciò:
I° Che sia conosciuto per la sua puntualità nella osservanza delle nostre regole.
2° Non siasi mai mischiato in affari che lo abbiano compromesso in faccia alle autorità civili od ecclesiastiche oppure lo abbiano reso odioso o spregevole in faccia ai soci della nostra medesima società.
3° Conosciuto pel suo attaccamento alla Santa Sede e per tutte le cose che in qualche maniera a quella si riferiscono.
Compiuta la elezione e conosciuto, anzi proclamato il nuovo Rettore Maggiore tutti gli elettori gli baceranno la mano, di poi si metteranno ginocchioni e canteranno il Te Deum. Di poi daranno un segno sensibile di sottomissione rinnovando i voti come sì fa all'epoca degli esercizi spirituali.
1° Indirizzerà alcune parole agli elettori, li ringrazierà della fiducia riposta in lui e li assicurerà che egli vuole essere di tutti il padre, l'amico, il fratello, dimanda la loro cooperazione, e, ove sia d'uopo, il loro consiglio.
2° Darà tosto al S. Padre la notizia di sua elezione ed offre sè e la Salesiana Società agli ordini, ai consigli del Supremo Gerarca della Chiesa.
3° Diramerà poscia una lettera circolare a tutti i confratelli ed un'altra alle Figlie di Maria Ausiliatrice.
4° Altra lettera scriverà ai nostri benefattori ed ai nostri cooperatori ringraziandoli da parte mia di quanto hanno fatto per noi mentre io viveva in terra; pregandoli a continuare il loro aiuto in sostegno delle opere Salesiane. Sempre nella ferma speranza di essere accolto nella misericordia del Signore, di là pregherò incessantemente per loro. Ma si noti, si dica, e si predichi sempre che Maria Ausiliatrice [260] ha ottenuto ed otterrà sempre grazie particolari, anche straordinarie e miracolose per coloro che concorrono a dare cristiana educazione alla pericolante gioventù colle opere, col consiglio, e col buon esempio o semplicemente colla preghiera.
Compiuti questi primi ed importanti doveri il novello Rettore si volga e con tutta sollecitudine a conoscere bene lo stato finanziario della Congregazione. Esamini se vi sono debiti e quando si debbano pagare.
É bene che almeno per un po' di tempo non [si] aprano nuove case, nè si comincino nuove costruzioni, nemmeno nuovi lavori che non siano strettamente necessari.
Nel mio particolare poi mi raccomando che non si decantino i debiti lasciati dal Rettore defunto. Ciò farebbe conoscere una cattiva amministrazione negli amministratori e nello stesso Superiore: e cagionerebbe qualche difidenza nella pubblica opinione.
RICORDO IMPORTANTE PEL CAPITOLO SUPERIORE.
Se nella elezione del nuovo Rettore venisse a mancare qualche membro del Capitolo, il Rettore usi del suo diritto e completi il numero con dei consiglieri supplenti pel tempo che deve correre prima del sessennio fissato per la elezione generale dei singoli consiglieri o membri dei Capitolo.
Ma il ricordo importante e che io giudico fondamentale si è di fare in modo che nissun membro abbia delle occupazioni estranee e non dirette all'amministrazione della nostra pia Società. Anzi io credo non dir troppo che la nostra Congregazione avrà sempre un vuoto fino a che i singoli membri del Capitolo non siano esclusivamente occupati nelle cose fissate dal regolamento approvato nelle deliberazioni capitolari.
Si dovranno a tale uopo superare non poche difficoltà, ma si facciano sacrifizi e si conceda questo grande benefizio alla intera Congregazione.
Il Rettore M. legga e metta in pratica gli avvisi soliti a darsi da me a tutti i Direttori di nuove case, specialmente al tempo dovuto al riposo ed al nutrimento.
AL DIRETTORE DI CIASCUNA CASA,
Il Direttore di ciascuna casa abbia pazienza e studi bene le persone o meglio esamini bene quanto valgano i confratelli che lavorano sotto di Lui. Esiga quello di cui sono capaci e non di più. È indispensabile che egli conosca il regolamento che ogni confratello deve praticare [261] nell'uffizio affidatogli; perciò ciascuno abbia a sua disposizione almeno quella parte di regole che lo riguardano.
La sua sollecitudine sia in modo speciale rivolta alle relazioni morali dei maestri, assistenti tra di loro e cogli allievi loro affidati.
1° Io raccomando caldamente a tutti i miei figli di vegliare sia nel parlare sia nello scrivere di non mai nè raccontare nè asserire che D. Bosco abbia ottenuto grazie da Dio od abbia in qualsiasi maniera operato miracoli. Egli commetterebbe un dannoso errore. Sebbene la bontà di Dio sia stata in misura generosa verso di me, tuttavia io noti ho mai preteso di conoscere od operare cose soprannaturali. Io non ho fatto altro che pregare e far dimandare delle grazie al Signore da anime buone. Ho poi sempre esperimentato efficaci le preghiere e le comunioni dei nostri giovani. Dio pietoso e la stia Madre SS. ci vennero in aiuto nei nostri bisogni. Ciò si verificò specialmente ogni volta che eravamo in bisogno di provvedere ai nostri giovanetti poveri ed abbandonati, e più ancora quando essi trovavansi in pericolo delle anime loro.
2° La Santa Vergine Maria continuerà certamente a proteggere la nostra Congregazione e le opere Salesiane, se noi continueremo la nostra fiducia in Lei e continueremo a promuovere il suo culto. Le sue feste, e più ancora le sue solennità, le sue novelle, i suoi tridui, il mese a Lei consacrato, siano sempre caldamente inculcati in pubblico ed in privato; coi foglietti, coi libri, colle medaglie, colle immagini, col pubblicare o semplicemente raccontare le grazie e le benedizioni che questa nostra celeste benefattrice ad ogni momento concede alla soffrente umanità.
3° Due fonti di grazie per noi sono: Raccomandare preventivamente in tutte le occasioni di cui possiamo servirci per inculcare ai nostri giovani allievi che in onore di Maria si accostino ai santi Sacramenti od esercitino almeno qualche opera di pietà.
L'ascoltare con divozione la Santa Messa, la visita a Gesù Sac.to, la frequente comunione sacramentale o almeno spirituale, sono di sommo gradimento a Maria, e un mezzo potente per ottenere grazie speciali.
Dio chiamò la povera Congregazione Salesiana a promuovere le vocazioni ecclesiastiche fra la gioventù povera o di bassa condizione.
Le famiglie agiate in generale sono mischiate troppo nello spirito del mondo, da cui disgraziatamente restano assai spesso imbevuti i loro figliuoli, cui fanno perdere così il principio di vocazione che Dio [262] ha posto nel loro cuore. Se questo spirito si coltiva, e sarà sviluppato viene a maturazione e fa copiosi frutti. Al contrario non solo il germe di vocazione, ma spesso la medesima vocazione già nata e cominciata sotto buoni auspizi, si soffoca o si indebolisce e si perde.
I giornali, i libri cattivi, i compagni ed i discorsi non riservati in famiglia sono spesso cagione funesta della perdita delle vocazioni e non di rado sono sventuratamente il guasto ed il traviamento di coloro stessi che hanno già fatto la scelta dello stato.
Ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una buona vocazione; che questa vocazione o questo prete vada in Diocesi, nelle Missioni o in una casa religiosa non importa sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di G. C.
Ma non si dia consiglio ad un giovanetto qualunque, se non è sicuro di conservare l'angelica virtù nel grado che è stabilito dalla sana Teologia. Si transiga sopra la mediocrità dell'ingegno, ma non mai sulla mancanza della virtù di cui parliamo.
Coltivate l'opera di M. SS. A. secondo il programma che già conoscete. Per mancanza di mezzi non cessate mai di ricevere un giovane che dia buona speranza di vocazione. Spendete tutto quello che avete, se fa mestieri andate anche a questuare, e se dopo ciò voi vi trovate nel bisogno non affannatevi, chè la S. Vergine in qualche modo, anche prodigiosamente, verrà in aiuto.
VOCAZIONE ALLA CONG. SALESIANA.
Il lavoro, la buona e severa condotta dei nostri confratelli guadagnano e per così dire trascinano i loro allievi a seguirne gli esempi. Si facciano sacrifizi pecuniari e personali, ma si pratichi il sistema preventivo ed avremo delle vocazioni in abbondanza.
Se non si possono annientare almeno si procuri diminuire i giorni delle vacanze quanto sarà possibile.
La pazienza e la dolcezza, le cristiane relazioni dei Maestri cogli allievi, guadagneranno molte vocazioni tra loro. Però anche qui si usi grande attenzione di non mai accettare tra Soci, tanto meno per lo stato ecclesiastico, sè non vi è la morale certezza che sia conservata l'angelica virtù.
Quando poi il Direttore di qualche nostra casa ravvisa un allievo di costumi semplici, di carattere buono, procuri di renderselo amico. Gli indirizzi sovente qualche parola, l'ascolti volentieri in confessione, si raccomandi alle preghiere di lui; l'assicuri che prega per lui nella santa Messa; lo inviti, per esempio, a fare la S. Comunione in onore della B. V. o in suffragio delle anime del Purgatorio, pei suoi parenti, pe' suoi studi e simili. [263]
In fine del ginnasio lo persuada di scegliere quella vocazione, quel luogo che egli giudica più vantaggioso per l'anima sua e che lo consolerà di più in punto di morte.
Confronti le cose di coscienza ed osservi se andavano meglio a casa, in tempo di vacanza, oppure in collegio, etc.
Ma studi di impedire la vocazione ecel.ca in coloro che volessero abbracciarla per aiutare la propria famiglia per motivo che fosse povera. In questi casi diasi consiglio di abbracciare altro stato, altra professione, un'arte, un mestiere, ma non mai lo stato eccl.co.
Per aspiranti noi qui intendiamo quei giovanetti che desiderano formarsi un tenore di vita cristiana che li renda degni a suo tempo di abbracciare la Congr. Salesiana o come cherici o come confratelli coadiutori.
A costoro sia usata diligenza particolare. Ma siano soltanto tenuti in questo numero quelli che hanno intenzione di farsi Salesiani o almeno non ne siano contrarii, quando tale sia la volontà di Dio.
Sia loro fatta una conferenza particolare almeno due volte al mese.
In tali conferenze si tratti di quanto un giovanetto debba praticare o fuggire per divenire buon cristiano. Il Giovane Provveduto somministra i principali argomenti su tale materia. Non si parli però loro delle nostre regole in particolare nè dei voti, nè dell'abbandonare casa o parenti; sono cose che entreranno in cuore senza che se ne faccia tema di ragionamento. Si tenga fermo il gran principio: Bisogna darsi a Dio o più presto o più tardi; e Dio chiama beato colui che comincia consacrarsi al Signore in gioventù. Beatus homo cum portaverit jugum ab adolescentia sua. Il mondo poi, con tutte le sue lusinghe, parenti, amici, casa, o più presto o più tardi o per amore o per forza bisogna abbandonar tutto e lasciarlo per sempre.
ACCETTAZIONE FRA GLI ASCRITTI.
Gli aspiranti provati e conosciuti come sopra, si possono con facilità ricevere fra gli ascritti. Non così di coloro che vivendo o facendo gli studi fuori delle nostre case. Per costoro siano fedelmente seguite le norme stabilite dalle nostre costituzioni per gli aspiranti.
Il tempo di vera prova o ascrizione o noviziato per noi è come un crivello per conoscere il buon frumento e ritenerlo se conviene. Al contrario si sarchii l'erba non buona e quindi colla volva e colla gramigna si getti fuori del nostro giardino. [264]
Si noti bene che la nostra Congregazione non è stata fondata per coloro che avessero condotta una vita mondana e che poi per convertirsi volessero venire fra noi. La nostra Congregazione non è fatta per essi. Noi abbiamo bisogno di soci sicuri e provati nella virtù secolare. Vengano essi non a perfezionare loro medesimi ma ad esercitare la cristiana perfezione e liberare dagli immensi e gravi pericoli in cui si trovano in generale i fanciulli poveri ed abbandonati; per quei fanciulli che furono già vittima infelice delle miserie umane o che hanno già fatto naufragio in fatto di religione e negli stessi costumi, costoro o non si facciano preti o siano inviati ad ordini claustrali o penitenti. Nell'anno di prova si osservi bene in pratica la sanità, la moralità, la scienza, e se ne dia conto esatto al Capitolo Superiore, Ma il Direttore dei Noviziato badi a non mai presentare per l'accettazione quei novizi di cui conscienziosamente[139] egli non fosse sicuro della moralità.
Per l'accettazione si seguano le norme prescritte dalla santa Chiesa, dalle nostre Costituzioni, dalle delib. Capitolari, sia per l'accettazione in noviziato sia per la definitiva accettazione alla professione religiosa. Si dica pro e contro di ciascun candidato, ma la votazione sia sempre segreta[140] così che un membro del Capitolo non conosca il voto dell'altro.
Nelle dimissioni noi dobbiamo imitare il giardiniere che sarchia e getta fuori del suo giardino le erbe e le piante nocive o semplicemente inutili. Ma si badi bene che spesso la coscienza meticolosa fa temere della vocazione anche quando non v'è alcun motivo di temere. Perciò si esamini bene il motivo o i motivi per cui si dimanda la dimessione. Nè si conceda se non quando questa fosse reclamata da motivo grave[141]; cioè quando la dimora del socio in Congregazione tornasse di grave danno spirituale od anche temporale a lui stesso od alla Congreg. medesima.
In tali casi si osservi se basta una dimissione ad tempus o debba essere assoluta. Ma in ogni caso si usino tutti i riguardi al dimettendo e si facciano anche sacrifizi affinchè il socio parta con buona armonia e amico della Congreg. Ma in via ordinaria non si tengano più con lui se non le relazioni che riguardano al buon cristiano. Nè a lui si offra ospitalità se non in casi di vero e conosciuto bisogno e momentaneamente. [265]
Uscendo da noi un socio si aiuti a trovare un impiego o almeno qualche posto dove egli possa guadagnare onesto sostentamento.
Si faccia ogni sforzo a fine di conservare la vita comune. 1 Superiori comandino ed esigano quanto ciascuno può fare e non di più. Quando però un ascritto manca della sanità per adempiere i doveri che le nostre regole prescrivono non si può accettare alla professione religiosa, e se il suo male pare cronico, si restituisca alla famiglia paterna. Quando poi si tratta di un professo si ritenga tra noi e gli siano usati i dovuti riguardi. Ma non si dimentichi mai che siamo poveri e niuno pretenda riguardi superiori alla condizione di una persona che sia consacrata a Dio col voto di povertà. Siano per altro usati specialissimi riguardi a quelli che colle loro fatiche o in altro modo abbiano recato notevole vantaggio alla Congregazione. Anzi qualora possa loro giovare il cangiamento di clima, di vitto, o recarsi all'aria nativa, ciò si faccia, sempre però col consiglio del medico.
Ma questi riguardi siano limitati al tempo di malattia e di convalescenza, e si guardi bene che tali riguardi non diventino una seconda tavola. Ciò sarebbe la peste della vita comune. Quindi qualora un convalescente possa essere rimesso alla tavola dei confratelli, questo si faccia, ma ognora si usi riguardo speciale nelle occupazioni, nè a lui si affidino lavori superiori alle sue forze.
In questo importante affare si pratichi somma carità, prudenza ed energia, ma in ogni cosa sempre la dovuta discrezione, carità e dolcezza.
Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto poteva per sostenere, difendere e propagare principii cattolici. Tuttavia se in essi fosse trovata qualche frase, qualche parola, che contenesse anche solo un dubbio o non fosse abbastanza spiegata la verità io intendo di rivocare, rettificare ogni pensiero, o sentimento non esatto. In generale poi io sottometto ogni detto, scritto, o stampa a qualsiasi decisione, correzione, o semplice consiglio della Santa Madre Chiesa Cattolica.
In quanto alle stampe e ristampe io mi raccomando di più cose.
Alcune mie operette furono pubblicate senza la mia assistenza ed altre contro la mia volontà, perciò:
I° Raccomando al mio successore che faccia o faccia fare un catalogo di tutte le mie operette, ma dell'ultima edizione di ciascuna.
2° E qualora sia mestieri di farne una ristampa, ove si scorgesse errore di ortografia, di cronologia, di lingua, o di senso si corregga pel bene della scienza e della religione. [266]
3° Se mai accadesse di stampare qualche mia lettera italiana si usi grande attenzione nel senso e nella dottrina, perchè la maggior parte furono scritte precipitosamente e quindi con pericolo di molte inesattezze. Le lettere francesi poi ove si possa, vengano bruciate; ma se mai taluno volesse stamparne, mi raccomando che siano lette e corrette da qualche conoscitore di quella lingua, francese, affinchè le parole non esprimano un senso non voluto e facciano cadere la burla od il disprezzo sulla religione in favore di cui furono scritte.
Chi poi possedesse notizie o fatti ritenuti a memoria o raccolti colla stenografia, siano attentamente esaminati e corretti in modo che nulla sia pubblicato che non sia esattamente conforme ai principi di nostra santa religione cattolica.
IL DIRETTORE DI UNA CASA CO' SUOI CONFRATELLI.
Il Direttore deve essere modello di pazienza, di carità co' suoi confratelli che da lui dipendono e perciò:
I° Assisterli, aiutarli, instruirli sul modo di adempire i proprii doveri, ma non mai con parole aspre od offensive[142].
2° Faccia vedere che ha con loro grande confidenza; tratti con benevolenza degli affari che li riguardano. Non faccia mai rimproveri, nè dia mai severi avvisi in presenza altrui. Ma procuri di ciò far sempre in camera caritatis, ossia dolcemente, strettamente in privato.
3° Qualora poi i motivi di tali avvisi o rimproveri fossero pubblici, sarà pure necessario di avvisare pubblicamente, ma tanto in Chiesa, quanto nelle conferenze speciali non si facciano mai allusioni personali. Gli avvisi, i rimproveri, le allusioni fatte palesemente offendono e non ottengono l'emendazione.
4° Non dimentichi mai il rendiconto mensile per quanto è possibile; ed in quella occasione ogni Direttore diventi l'amico, il fratello, il padre de' suoi dipendenti. Dia a tutti tempo e libertà di fare i loro riflessi, esprimere i loro bisogni e le loro intenzioni. Egli poi dal canto suo apra a tutti il suo cuore senza mai far conoscere rancore alcuno; neppure ricordare le mancanze passate se non per darne paterni avvisi, o richiamare caritatevolmente al dovere chi ne fosse negligente.
5° Faccia in modo di non mai trattare di cose relative alla confessione a meno che il confratello ne faccia dimanda. In tali casi non prenda mai risoluzioni da tradursi in foro esterno senza essere ben inteso col socio di cui si tratta.
6° Per lo più il Direttore è il confessore ordinario dei confratelli. Ma con prudenza procuri di dare ampia libertà a chi avesse bisogno di confessarsi da un altro. Resta però inteso che tali confessori particolari [267] devono sempre essere conosciuti ed approvati dal Superiore secondo le nostre regole.
7° Siccome poi chi va in cerca di confessori eccezionali dimostra poca confidenza col Direttore, così esso, il Direttore deve aprire gli occhi e portare l'attenzione particolare sopra l'osservanza delle altre regole e non affidare a quel confratello certe incombenze che sembrassero superiori alle forze morali o fisiche di lui.
N. B. Quanto dico qui è affatto estraneo ai confessori straordinari che il Superiore, Direttore, Ispettore avranno cura di fissare a tempo opportuno.
8° In generale poi il Direttore di una casa tratti sovente e con molta famigliarità coi confratelli, insistendo sulla necessità della uniforme osservanza delle Costituzioni, e per quanto è possibile ricordi anche le parole testuali delle medesime.
9° Nei casi di malattia osservi quanto le regole prescrivono e quanto stabiliscono le deliberazioni capitolari.
10° Sia facile a dimenticare i dispiaceri e le offese personali e colla benevolenza e coi riguardi studii di vincere o meglio di correggere i negligenti, i difidenti, ed i sospettosi. Vincere in bono malum.
AI CONFRATELLI DIMORANTI IN UNA MEDESIMA CASA.
I° Tutti i Confratelli Salesiani che dimorano in una medesima casa devono formare un cuor solo ed un'anima sola col Direttore loro.
2° Ritengano però ben a memoria che la peste peggiore da fuggirsi è la mormorazione. Si facciano tutti i sacrifizi possibili, ma non siano mai tollerate le critiche intorno ai Superiori.
3° Non biasimare gli ordini dati in famiglia, nè disapprovare le cose udite nelle prediche, nelle conferenze o scritte o stampate ne' libri di qualche confratello.
4° Ogniuno sofra per la maggior gloria di Dio ed in penitenza de' suoi peccati, ma pel bene dell'anima sua fugga le critiche nelle cose di amministrazione, nel vestito, nel vitto ed abitazione, etc.
5° Ricordatevi, o figliuoli miei, che l'unione tra Direttore e sudditi, e l'accordo tra i medesimi, forma nelle nostre case un vero paradiso terrestre.
6° Non vi raccomando penitenze o mortificazioni particolari, voi vi farete gran merito e formerete la gloria della Congregazione, se saprete sopportare vicendevolmente le pene ed i dispiaceri della vita con cristiana rassegnazione.
7° Date buoni consigli tutte le volte che vi si presenta qualche occasione, specialmente quando si tratta d i consolare un afflitto o venirgli in aiuto a superare qualche difficoltà, o fare qualche servizio sia in tempo che no gode salute o che uno sì trovi in casi dì malattia. [268]
8° Venendo a notizia che nella casa sia imputata cosa o f atto biasimevole, specialmente fossero cose che potessero anche solo interpretarsi contro la santa legge di Dio, se ne dia rispettosamente comunicazione al Superiore. Esso saprà usare la dovuta prudenza a fine di promuovere il bene e di impedire il male.
9° Riguardo agli allievi ciascuno si tenga ai regolamenti della casa ed alle deliberazioni prese per conservare la disciplina e la moralità tra gli studenti e gli artigiani.
10° Ciascuno poi in luogo di fare osservazioni su quello che fanno gli altri, si adoperi con ogni possibile sollecitudine per adempire gli uffizi che a lui furono affidati.
RICORDO FONDAMENTALE OSSIA OBBLIGAZIONE
PER TUTTI QUELLI CHE LAVORANO IN CONGREGAZIONE.
A tutti è strettamente comandato e raccomandato in faccia [a] Dio ed in faccia agli uomini di aver cura della moralità tra Salesiani e tra coloro che in qualunque modo e sotto a qualunque titolo ci fossero dalla Divina Provvidenza affidati.
NOTO QUI CIO' CHE AVREI DOVUTO DIRE ALTROVE.
In tempo di esercizi spirituali il Direttore della casa e tutti gli altri ordinari Superiori sono consigliati a cessare dallo ascoltare le confessioni dei loro dipendenti, e per quanto possono si servano di confessori o predicatori straordinari. Se essi non bastano si chiamino in aiuto altri confessori conosciuti. Se poi in certi casi fosse in ciò necessaria qualche eccezione il Superiore saprà giudicarlo.
Quando un confratello va in urto colle autorità ecclesiastiche di una città, luogo o Diocesi il Superiore usi la dovuta prudenza e gli destini un altro impiego.
Similmente qualora qualche confratello incontrasse rivalità od opposizione coi confratelli suoi, è bene che sia cangiato di famiglia o di occupazione.
Ma sia sempre amichevolmente avvisato dei difetti suoi e si diano le norme con cui regolarsi meglio in avvenire per evitare gli screzi.
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a quistioni.
Colle autorità civili od ecclesiastiche si sofra quanto si può onestamente, ma non si venga a questioni davanti ai tribunali laici.
Siccome poi malgrado i sacrifizi ed ogni buon volere talvolta devonsi sostenere quistioni e liti così io consiglio e raccomando che si [269] rimetta la vertenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere.
In questo modo è salva la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace del cuore e la carità cristiana.
Pel bene di ogni socio e della intera nostra Congregazione niuno si mischi per danaro, per impieghi o per raccomandazioni[143] che abbiano relazione coi parenti o cogli amici.
Presentandosi gravi motivi per cui taluno debbasi in simili affari occupare, ne parli col suo Superiore e si tenga strettamente al parere di lui.
Si osservi inalterabilmente la massima di non mai firmare cambiali, nè mai rendersi mallevadore pei pagamenti altrui. L'esperienza fece conoscere che ne abbiamo sempre danno e dispiaceri.
Se si può si faccia qualche servizio, si dia anche qualche sussidio, ma nei limiti consigliati e permessi dal Superiore rispettivo.
Per le figlie o Suore di Maria Ausiliatrice i Salesiani devono fedelmente osservare quello che è stato stabilito nelle deliberazioni capitolari.
Non ci si deve badare nè a lavori, nè a spese, nè a disturbi di sorta a fine di regolare le nostre relazioni come la Chiesa e le medesime nostre costituzioni hanno stabilito.
Nel trattare affari materiali i religiosi e le religiose non siano mai soli, ma procurino di essere sempre assistiti, o che almeno siano da altri veduti, Nunquam solus cum sola loquatur.
Nel ricevere nell'Istituto di Maria si stia attenti a non ricevere chi non ha buona sanità e fondata speranza di vera ubbidienza.
Si ritenga che le virtù non acquistate nel tempo del noviziato per lo più non si acquistano più.
Niuna Suora dopo la professione religiosa conservi fondi stabili o per sè o per la comunità religiosa, cui appartiene. Si farà eccezione nei possedimenti necessari per fondate case dì educazione o giardini per conservare la sanità.
Nè per burla nè per ischerzo, nè per altre ragioni o pretesti si dicano parole che servano a movere il riso o procacciare stima o benevolenza nelle persone di altro sesso. Si leggano e si facciano ben capire queste parole e se ne facciano spiegazioni ripetutamente.
La Superiora Generale, le Direttrici delle Case non permettano alcuna famigliarità con persone secolari di qualunque genere. Essendovene [270] vera necessità, intervenga un'assistente e si osservino le prescrizioni delle rispettive regole.
La stessa Superiora noti ritenga presso di sè alcuna somma di danaro se non per affari determinati e solamente pel tempo necessario per le cose a trattarsi.
Quanto dicesi della Superiora Generale si deve dire di tutte le Direttrici delle altre case.
In questa ed in simili cose ciascuna si rimetta senza opposizioni ai consigli ed agli ordini del Superiore Maggiore.
Non mai si facciano costruzioni o riparazioni senza essere ben intese col medesimo.
I° Nel trattare affari di qualche rilievo nel Capitolo Superiore o nel Capitolo Generale, tanto i Salesiani quanto le Suore, si procuri di proporre preventivamente o con uno scritto o verbalmente le cose che si vogliono trattare.
2° Si conceda a tutti ampia libertà di parlare sugli argomenti pro o contro come a ciascuno pare meglio davanti a Dio, ma nelle deliberazioni si faccia uso dei voti segreti.
3° Si mettano segretamente in un taschetto o recipiente qualunque, noci o nocioli o fave etc. di colore diverso e ciascuno cavi un frutto. Il nero è negativo, il bianco è affermativo.
4° Ma stabilita la maggioranza in qualche deliberazione, non si cangi più se non con altra deliberazione, in cui prenda parte tutto il Capitolo.
5° Si abbia gran cura di dare puntualmente esecuzione alle cose deliberate; e si vegli da tutti attentamente che le deliberazioni non siano mai in contraddittorio, le une alle altre.
E' un errore grande e fatica sprecata quando non si dà esecuzione alle cose proposte in Capitolo ed approvate, e poi messe in oblio.
Si procuri da tutti di evitare la novità delle proposte nelle conferenze o nei capitoli; e si faccia in modo che [si] ammettano regolarmente le cose già anteriormente approvate o dalla tradizione, dalle regole, o capitoli generali o particolari.
Qualora in un paese od in qualche città vi si presenti una difficoltà da parte di qualche autorità spirituale o temporale, procurate di fare in modo [da] potervi presentare per dare ragione di quanto avete operato.
La spiegazione personale delle vostre intenzioni buone diminuisce assai e spesso fa scomparire le sinistre idee che nella mente di taluni possono formarsi.
Se sono cose colpevoli anche in faccia alle leggi, se ne dimandi scusa, o almeno se ne dia rispettosa spiegazione, ma se è possibile sempre in udienza personale. [271]
Questo modo di fare è assai conciliante e ben sovente rende benevoli gli stessi avversarii.
Ciò non è altro che quanto raccomanda Iddio; responsio mollis frangit iram. Oppur la massima di S. Paolo: Charitas Dei benigna est, patiens est. etc.
La medesima regola seguano i Direttori di Case coi loro inferiori. Parlatevi, spiegatevi, e facilmente vi intenderete senza venire a rompere la carità cristiana contro gli interessi della stessa nostra Congregazione.
Se poi volete ottenere molto dai vostri allievi, non mostratevi mai offesi contro ad alcuno. Tollerate i loro difetti, correggeteli, ma dimenticateli.
Mostratevi sempre loro affezionati, e fate loro conoscere che tutti i vostri sforzi sono diretti a fare del bene alle anime loro.
RACCOMANDAZIONE FONDAMENTALE A TUTTI I SALESIANI.
Amate la povertà se volete conservare in buono stato le finanze della Congregazione.
Procurate che niuno abbia a dire: Questo suppellettile non dà segno di povertà, questa mensa, questo abito, questa camera non è da povero. Chi porge motivi ragionevoli di fare tali discorsi, egli cagiona un disastro alla nostra Congregazione, che deve sempre gloriarsi del voto di povertà.
Guai a noi se coloro da cui attendiamo carità potranno dire che teniamo vita più agiata della vita loro.
Ciò s'intende sempre da praticarsi rigorosamente quando ci troviamo nello stato normale di sanità, perciocchè nei casi di malattia devono usarsi tutti i riguardi che le nostre regole permettono.
Ricordatevi che sarà per voi sempre una bella giornata quando vi riesce vincere coi benefizi un nemico o farvi un amico.
Non mai tramonti il sole sopra la vostra iracondia, nè mai richiamate alla memoria le offese perdonate, non mai ricordare il danno, il torto dimenticato. Diciamo sempre di cuore: Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Ma con una dimenticanza assoluta e definitiva di tutto ciò che in passato ci abbia cagionato qualche oltraggio. Amiamo tutti con amore fraterno.
Queste cose siano esemplarmente osservate da quelli che esercitano sopra gli altri qualche autorità.
RACCOMANDAZIONE PER ME STESSO.
O giovani cari, voi che siete sempre stati la delizia del mio cuore; io vi raccomando la frequente comunione in suffragio dell'anima mia.
Colla frequente comunione voi vi renderete cari a Dio ed agli [272] uomini, e Maria vi concederà la grazia di ricevere i Santi Sacramenti in fine di vita.
Voi preti, cherici Salesiani, voi parenti ed amici dell'anima mia, pregate, ricevete Gesù Sacramentato in suffragio dell'anima mia, affinchè mi abbrevi il tempo del purgatorio.
Espressi così i pensieri di un Padre verso a' suoi amati figli ora mi volgo a me stesso per invocare la misericordia del Signore sopra di me nelle ultime ore della mia vita.
Io intendo di vivere e di morire nella santa cattolica religione che ha per capo il Romano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo sopra la terra.
Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha rivelato alla Santa Chiesa.
Dimando a Dio umilmente perdono di tutti i miei peccati specialmente di ogni scandalo dato al mio prossimo in tutte le mie azioni, in tutte le parole proferite a tempo non opportuno; dimando poi in modo particolare scusa degli eccessivi riguardi usati intorno a me stesso collo specioso pretesto di conservare la sanità.
Debbo però scusarmi se taluno osservò che più volte feci troppo breve preparamento o troppo breve ringraziamento alla S.ta Messa. Io era in certo modo a ciò costretto per la folla di persone che intorniavanmi in sacristia e mi toglievano la possibilità di pregare sia prima sia dopo la Santa Messa.
So che voi, o amati figli, mi amate, e questo amore, questa affezione non si limiti a piangere dopo la mia morte; ma pregate pel riposo eterno dell'anima mia.
Raccomando di fare preghiere, opere di carità, delle mortificazioni, delle sante comunioni e queste per riparare alle negligenze commesse nel fare il bene o nell'impedire il male.
Le vostre preghiere siano con fine speciale al Cielo rivolte affinchè io trovi misericordia e perdono al primo momento che io mi presenterò alla tremenda Maestà del mio Creatore.
La nostra Congregazione ha davanti un lieto avvenire preparato dalla Divina Provvidenza, e la sua gloria sarà duratura fino a tanto che si osserveranno fedelmente le nostre regole.
Quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia Società ha compiuto il suo corso.
Il mondo ci riceverà sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai selvaggi, ai fanciulli più poveri, più pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che niuno verrà a rapirci.
Non si vadano a fondare case se non avvi il necessario personale per la direzione delle medesime. [273]
Non molte case vicine. Se una è distante dall'altra i pericoli sono assai minori.
Cominciata una missione all'estero si continui con energia e sacrifizio. Lo sforzo sia sempre a fare e stabilire delle scuole e tirare su qualche vocazione per lo stato ecclesiastico, o qualche Suora tra le fanciulle.
A suo tempo si porteranno le nostre missioni nella China e precisamente a Pechino. Ma non si dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri ed abbandonati. Là fra popoli sconosciuti ed ignoranti del vero Dio si vedranno le meraviglie finora non credute, ma che Iddio potente farà palesi al mondo.
Non si conservino proprietà stabili fuori delle abitazioni di cui abbiamo bisogno.
Quando in qualche impresa religiosa vengano a mancarci i mezzi pecuniari, si sospendano, ma siano continuate le opere cominciate appena le nostre economie, i sacrifizi lo permetteranno.
Quando avverrà che un Salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo.
Sul principio dì questo lungo scritto in una nota posteriore autografa Don Bosco dice: “Si ritenga che queste pagine furono scritte nel settembre 1884 prima che il S. Padre nominasse un Vicario con successione; perciò venga modificato quanto farà d'uopo”[144]. Leone XIII preoccupato delle sorti che sarebbero toccate alla Congregazione Salesiana, se fosse venuto a mancare il fondatore, fece una proposta che veniva a modificare con il regime di essa anche le normali formalità della successione.
Intanto è curioso vedere come proprio quando il Papa s'interessava positivamente di lui, Don Bosco nella notte dal 9 al 10 ottobre facesse un sogno durato dalla sera alla mattina e consistente in una sua visita al Santo Padre. Appena addormentato, gli parve di partire dall'Oratorio, traversare il cortile, percorrere le vie di Torino incontrando molti conoscenti [274] e giungere infine alla stazione centrale della ferrovia. Salito sul treno, viaggiò fino a Roma, dove si diresse subito al Vaticano. Pensava fra sè che sarebbe stato difficilissimo avvicinare il Santo Padre, perchè monsignor Macchi avrebbe sollevato un mondo di ostacoli per impedirgli l'udienza. Tuttavia si presentò. Monsignor Macchi fu con lui la gentilezza in persona; alla sua domanda di essere ammesso all'udienza rispose che, trattandosi d'affari di tanta importanza, si poteva, anzi si doveva passar sopra alle formalità consuete. E senz'altro lo fece entrare dal Papa. L'udienza si protrasse per due ore. Il Pontefice intrattenne Don Bosco in lunghi e svariati discorsi; fra le altre cose gli disse: State attento che coloro i quali domandano di far parte della vostra Congregazione siano specialmente: I° di carattere pieghevole; 2° di spirito di sacrifizio, non attaccati alla patria, ai parenti, agli amici e che rinuncino perfino a più ritornare in patria; 3° siano sicuri sulla moralità. -Questo fu l'argomento principale, che occupò la maggior parte del colloquio. Finita l'udienza, Don Bosco ritornò alla stazione, prese il biglietto per Torino e quand'era sul pulito di arrivare, si svegliò.
Orbene proprio sul treno di quella notte viaggiava da Roma a Torino una lettera scritta per volontà del Papa e scritta per Don Bosco. Era indirizzata al cardinale Alimonda. In essa monsignor Jacobini, segretario di Propaganda, fra le altre cose diceva: “Sua Santità in questa occasione mi ha ordinato di scriverle sopra un altro oggetto interessantissimo. Egli vede che la salute di Don Bosco deperisce ogni giorno e tenie per l'avvenire del suo Istituto. Vorrebbe dunque che V. Eminenza con quei modi che sa sì bene adoperare parlasse a Don Bosco e lo facesse entrare nell'idea di designare la persona che egli crederebbe idonea a succedergli, ovvero a prendere il titolo di suo vicario con successione. Il S. Padre si riserverebbe a provvedere nell'uno o nell'altro modo secondo crederebbe più prudente. Brama però che V. E. faccia subito questo, che riguarda così da vicino il bene dell'Istituto ”. Nel [275] poscritto Monsignore pregava il Cardinale di una sollecita risposta.
Ricevuta questa lettera, l'Alimonda la sera stessa del 10 ottobre venne in persona a parlarne con Don Bosco, fermandosi a discorrere con lui per circa un'ora. Il Santo accolse con vivo gradimento l'invito fattogli a nome del Papa, e promise che al più presto possibile ne avrebbe informato i Capitolari e formulata la risposta da inviale a Roma. Quindi la prima volta che vi fu seduta del Capitolo Superiore, il 24 ottobre, sul finire dell'adunanza diede comunicazione della cosa e richiese il parere dei presenti sulla scelta della persona, dicendo:
- Ho ancora da esporre una cosa di gravissima importanza. Il Santo Padre mi ha scritto essere suo desiderio che Don Bosco si eleggo, un Vicario con diritto di amministrazione e di successione. Egli con ciò dimostra il grande amore e l'interesse che professa alla nostra Congregazione ed anche un segno di benevolenza allo stesso Don Bosco, volendo che dipenda da lui la scelta dei successore. Io avrei desiderato che dopo la mia morte i Confratelli secondo le regole esercitassero il loro diritto nel crearsi un Superiore; ma dopo la lettera del Papa non saprei come decidere altrimenti. Fin da quando sono andato a Roma in quest'anno, il Papa mi ha fatto intendere questa sua idea. Mi disse: "Voi siete di sanità male andata; avete bisogno dì aiuto, di essere assistito; bisogna che vi mettiate al fianco persona che raccolga le vostre tradizioni, che possa far rivivere tante cose che non si scrivono, o, se si scrivono, non s'intenderanno come debbono essere intese ". Ho meditato molto su questo punto; perciò chiedo al Capitolo che cosa io debba rispondere al Santo Padre. Il Capitolo rispose che Don Bosco scegliesse pure chi gli piaceva e tutto sarebbe fatto.
Egli chiese ancora se prima di presentare al Papa il nome di chi sarebbe il prescelto, convenisse consultare il voto dei Confratelli. La risposta fu non essere ciò necessario, Don Bosco scegliesse il suo Vicario amministratore con diritto di successione [276] e mandasse il nome dell'eletto al Papa, il quale certamente lo avrebbe approvato. Don Lemoyne che fu testimonio, scrive: “Ci fu un momento di silenzio solenne, perchè tutti capivano l'importanza di questa decisione del Papa. Un senso di tenerezza profonda invadeva tutti i cuori, perchè sembrava che ogni giorno più tutto ci annunziasse che Don Bosco si apparecchiava ad abbandonarci ”.
Don Bosco, preso tempo a deliberare, spiegò meglio il suo pensiero nella seduta capitolare del 28, parlando così: - Ora si tratta di stabilire un Vicario a Don Bosco e che questo lo rappresenti in ogni cosa: in faccia alla Chiesa per l'istituzione canonica, in faccia alle leggi civili per procura. Il Papa forse sarebbe contento che Don Bosco si ritirasse pienamente e riposasse; ma se io sto ancora al mio posto in faccia al mondo, se non m'inganno potrò fare ancora al quanto di bene alla Congregazione. Se resto Rettore Maggiore anche solo di nome, ciò basta al cospetto della Francia, della Spagna, della Polonia, ecc. Solamente la mia povera esistenza serve ad attirare la beneficenza. Ma ho bisogno che vi sia tino al quale possa affidare la Congregazione e porla tutta sopra le sue spalle, lasciandone a lui tutta la responsabilità. In questo senso ho fatto scrivere al Sommo Pontefice, rimettendomi però pienamente alle sue decisioni. Avrei scritto io stesso, ma non riuscii a finire se non dopo varie peripezie e, in ultimo mi avvidi che aveva terminato di scrivere sopra un'altra carta che sporgeva sotto il foglio. La mia povera testa non reggeva più. Ora la lettera fu spedita. Giunto che sia il rescritto pontificio, bisogna che cerchiamo di mettere alla testa della Congregazione uno il quale assuma la reggenza sotto la sua piena responsabilità.
Don Cagliero osservò che, se l'eletto fosse Don Rua, sarebbe necessario che lasciasse l'ufficio di Prefetto e che si cercasse un altro per quell'ufficio.
Don Bosco riprese a dire: - Ora da tutti si fa quel che si può, e io non ho nulla da lamentarmi per nessuno, tutti sono di buona volontà, ma responsabilità individuale finora non [277] c'era. L'unico studio era di mettere tutte le forze insieme, perchè uno non paralizzasse l'altro. Appena avrò la risposta del Santo Padre, ve la comunicherò.
A questo punto fece leggere da Don Rua la lettera che il Santo Padre gli aveva fatto scrivere in proposito da monsignor Jacobini. In essa, conte abbiamo veduto, gli si proponeva tino di questi due partiti: designare colui che Don Bosco giudicava idoneo a succedergli ovvero indicare chi potesse prendere subito il titolo di Vicario con diritto di successione. Don Bosco dunque proseguì: - lo ho proposto al Santo Padre un Vicario generale con diritto di successione, rimettendo però ogni cosa in mano di Sua Santità. A questo Vicario io darò tutti i poteri, ma intendo che sia responsabile; poichè ripeto che questa responsabilità finora non esisteva. Questo Vicario si faccia un altro Prefetto. Io allora mi ritirerò. Vedrò, parlerò col mio Vicario ed egli parlerà e comanderà agli altri Confratelli ex officio.
Non sappiamo da chi abbia fatto scrivere la lettera per il Santo Padre; non certamente da Don Betto, che ne avrebbe conservato la minuta originale. Forse distrusse questa minuta e, non volendo ancora che la notizia della cosa uscisse dal Capitolo Superiore, incaricò Don Cagliero, del quale pure si occupava la lettera di monsignor Jacobini. La lettera di Don Bosco fu consegnata al cardinale Alimonda, che per mano del Cardinale Nina la umiliò al Papa il 27 novembre. In essa egli faceva il nome di don Rua; ma nell'adunanza capitolare non ne aveva detto nulla, senza dubbio perchè voleva prima aspettare il beneplacito del Santo Padre. “Giovedì scorso, scriveva all'Alimonda il cardinale Nina in data 30 novembre, giorno di mia ordinaria udienza, mi recai a dovere di presentare al Santo Padre la lettera di Don Bosco insieme a quella dell'Eminenza Vostra. Sua Santità rimase oltremodo soddisfatta e tranquilla nell'apprendere come all'avvenire dell'Istituto Salesiano rimarrebbe abbastanza bene provveduto coll'affidarne il regime a Don Rua, qualora venisse a mancare l'egregio Don [278] Bosco, che Dio però conservi molti anni, al quale intento il S. Padre m'incaricò d'inviargli una particolare apostolica benedizione ”. Di tutto l'Arcivescovo rese informato Don Bosco; quindi al Cardinale Nina riscrisse il 19 dicembre, dicendogli intorno all'affare del Vicario: “E dapprima debbo ringraziarla dell'ultima venerata sua lettera, nella quale aveva la bontà di riferirmi come il Salito Padre avesse gradito la nomina, dell'ottimo Don Rua a Vicario generale del Rev.mo Don Bosco, con diritto a succedergli nel governo della Congregazione Salesiana. Della bella notizia e molto più della benedizione apostolica dall'Em. V. comunicata, Don Bosco e i suoi religiosi si rallegrarono grandemente e ne professano riconoscenza al loro amato Protettore”.
Don Bosco non si affrettò a rendere di pubblica ragione la cosa. Il Santo Padre non aveva imposto nè consigliato alcun limite di tempo; d'altra parte entrava nelle abitudini del Santo far precedere a importanti decisioni un periodo di prova. Qui poi, allargando a Don Rua la sfera dell'attività, senza dichiararne il vero motivo, egli preparava gli animi dei Confratelli a gradire il provvedimento. Intanto Don Bosco veniva insinuando l'idea della necessità che Don Rua dovesse prendere in tante cose il suo posto, e lo ripeteva con crescente frequenza, dandone per motivo la propria salute e il bisogno di ordinare tutto a poco a poco.
Trascorso così un anno, Don Bosco procedette alla proclamazione ufficiale prima nel Capitolo Superiore, poi oralmente dinanzi ai confratelli dell'Oratorio e da ultimo con sua lettera circolare a tutte le case.
Al suo Capitolo parlò così il 24 settembre 1885: - Ciò che debbo dirvi si riduce a due cose. La prima riguardo a Don Bosco, che ormai è mezzo andato e ha bisogno di uno che faccia le sue veci. L'altra riguarda il Vicario generale che subentri nelle cose che faceva Don Bosco e s'incarichi di tutto ciò che è necessario per il buon andamento della Congregazione: benchè nel trattare gli affari son sicuro che egli prenderà [279] sempre volentieri gli avvisi di Don Bosco e dei Confratelli e nell'addossarsi questa carica altro non intenderà che di venire in aiuto della Pia Società Salesiana, cosicchè quando io venga a morire, la mia morte non alteri punto l'ordine della Congregazione. Quindi il Vicario deve provvedere che le tradizioni che ora noi teniamo si mantengano intatte. Così fu raccomandato caldamente dal Santo Padre. Le tradizioni sì distinguono dalle regole in quanto che insegnano il modo di spiegare e praticare le regole stesse. Bisogna procurare che queste tradizioni, dopo di me, si mantengano, si conservino da quelli che ci seguiranno. Mio Vicario generale nella Congregazione sarà Don Michele Rua. Questo è il pensiero del Santo Padre che mi ha scritto per mezzo di monsignor Jacobini. Desiderando di dare a Don Bosco ogni possibile aiuto, mi domandò chi sembravami che potesse fare le mie veci. Io ho risposto che preferiva Don Rua, perchè è uno dei primi anche in ordine di tempo nella Congregazione, perchè già da molti anni esercita questo ufficio, perchè questa nomina avrebbe incontrato il gradimento di tutti i Confratelli. Sua Santità rispose, non ha molto per mezzo dell'eminentissimo cardinale Alimonda: Va bene: approvando così la mia scelta. Da qui innanzi pertanto Don Rua farà le mie veci in tutto; e ciò che posso far io può farlo lui, ha i pieni poteri del Rettor Maggiore: accettazioni, vestizioni, scelta di segretario, delegazioni ecc. ecc. Ma nominando Don Rua a Vicario, bisogna che egli rimanga totalmente in mio aiuto ed è necessario che rinunzi alla carica di Prefetto della Congregazione. Quindi valendomi delle facoltà che le regole mi concedono, nomino a Prefetto della Congregazione Don Durando Celestino, finora Consigliere scolastico.
Ciò udito, Don Rua, Don Durando e altri membri del Capitolo, dopo essersi letto ivi il § 2°, cap. III della Dist. I delle Deliberazioni del secondo Capitolo generale, osservarono che era necessaria una modificazione temporanea al primo periodo del detto paragrafo secondo, così concepito: [280] “Il Prefetto della Società, secondo le nostre Costituzioni, è colui che fa le veci del Rettor Maggiore. Egli lo supplisce sia nel governo ordinario della Società in caso di assenza, sia in tutte le cose di cui avrà ricevuto particolare incarico ”. Al citato periodo si propose la seguente modificazione: “Il Prefetto della Società è colui che fa le veci del Rettor Maggiore e del suo Vicario nel governo ordinario ecc.”. Il Capitolo approvò tale aggiunta.
Don Bosco ripigliò la parola: - Consigliere scolastico al posto di Don Durando resta nominato Don Cerruti Francesco, Direttore della casa di Alassio e Ispettore dell'Ispettoria Ligure. Don Rocca avrà la direzione intiera di quel collegio. A Don Cerruti resterà l'ufficio di ispettore della Liguria, avendo molto da fare colle autorità scolastiche e civili di Alassio e della provincia, e avendo molti affari nelle sue mani da condurre a termine. Appena egli possa fisserà il suo domicilio nell'Oratorio. É da notarsi che queste variazioni dureranno solamente fino all'epoca del Capitolo generale, il quale secondo le regole nominerà i membri del Capitolo Superiore. - Infine incaricò il segretario Don Lemoyne di stendere la circolare per la comunicazione ufficiale della nomina del nuovo Vicario Generale.
Ai confratelli dell'Oratorio la comunicazione fu fatta nella festa dell'Immacolata. Quella sera Don Bosco tenne loro la conferenza nel coro della chiesa di Maria Ausiliatrice; ma prima Don Francesia lesse la lettera circolare preparata per tutte le case, e poi il Servo di Dio parlò d'altro nè sappiamo che aggiungesse nulla a commento della circolare.
In questa circolare compariva per la prima volta lo stemma ufficiale della Congregazione[145]. La lettera era stata stampata con la data di “Tutti i Santi 1885 ”; ma dopo venne trattenuta, perchè Don Bosco la volle rileggere e ritoccare minutamente, e quindi, appostavi la data definitiva [281] “Festa dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima 1885 ”, la fece ristampare così:
Figliuoli in Gesù Cristo carissimi,
Travagliato da varii incomodi, sentendo ogni giorno diminuirmi le forze, già da qualche tempo provava il bisogno di aver un sollievo ed un sostegno nell'adempimento di quella missione, che la Divina Provvidenza mi ha affidato. Io vedeva la necessità di uno che mi aiutasse efficacemente nel compiere le varie mie occupazioni e fosse eziandio incaricato di tutto ciò che è indispensabile al buon andamento della Pia Società di S. Francesco di Sales. A questo fine pertanto pensai di eleggermi un Vicario, che mi rappresenti e sia come un altro me stesso, un Vicario che abbia questo per uffizio speciale, che le tradizioni finora da noi osservate si mantengano intatte e tali siano conservate dopo di me da quelli che ci seguiranno. Parlo di quelle tradizioni che sono le norme pratiche per intendere, spiegare e praticare fedelmente le regole, quali furono definitivamente approvate da S. Chiesa e che formano lo spirito e la vita della nostra Pia Società. Poichè è mio desiderio vivissimo che, venuta l'ora del mio paesaggio alla vita eterna, per nulla vengano a turbarsi o a mutarsi le cose nostre.
Qualche tempo fa, mentre andava meditando questo disegno, il sommo Pontefice di suo moto proprio lui scriveva per mezzo di S. E. Monsignor Jacobini Domenico Arcivescovo chiedendomi chi sembravami tra i nostri Confratelli atto a far le mie veci nella direzione suprema della Pia Società Salesiana. Io ringraziando il Santo Padre della sua benevolenza risposi proponendo a mio Vicario D. Michele Rua, perchè anche in ordine di tempo è uno dei primi della Società, perchè da molti anni esercita in gran parte questo uffizio e perchè in fine questa nomina avrebbe incontrato il pieno gradimento di tutti i Confratelli. E il S. Padre, or sono poche settimane, per mezzo dell'amatissimo nostro Arcivescovo, si degnava significarmi che questa proposta era di tutto suo gradimento. Perciò, o carissimi Figliuoli, dopo aver pregato per molto tempo il Dator d'ogni bene, dopo d'aver invocato i lumi dello Spirito Santo e la speciale protezione di Maria Vergine Ausiliatrice e del Nostro Patrono S. Francesco di Sales, valendomi della facoltà concessa dal Supremo Pastore della Chiesa, nomino mio Vicario Generale D. Michele Rua, attualmente Prefetto della nostra Pia Società. Da qui innanzi pertanto egli farà le mie veci nel pieno ed intero governo della nostra Pia Società, e tutto ciò, che posso far io, potrà farlo anch'egli con pieni poteri in tutti gli affari pubblici e privati, che ad essa Società si riferiscono e su tutto il personale, di cui la medesima si compone. Il novello Vicario, ne son certo, nel trattar affari di rilievo accetterà sempre con gratitudine que' benevoli avvisi e consigli che gli fossero largiti. [282]
A voi poi, miei carissimi Figliuoli, raccomando che gli prestiate quell'intera obbedienza, che avete sempre professata a colui che chiamate Padre e vi ama di amore paterno, quell'obbedienza che ha formato finora e formerà sempre, lo spero, la mia consolazione.
In conseguenza poi di questa elezione vi rendo noto eziandio che, valendomi della facoltà che mi attribuiscono le nostre Regole nomino a Prefetto della Pia Società Salesiana D. Celestino Durando, esonerandolo dall'ufficio di Consigliere Scolastico, che occupava finora, mentre in suo luogo e nell'ufficio di Consigliere Scolastico della nostra Pia Società eleggo e nomino Don Francesco Cerruti, attualmente Ispettore dell'Ispettoria Ligure e Direttore del Collegio d'Alassio. Esso per altro riterrà ancora l'uffizio d'Ispettore sino a nuove nostre disposizioni.
Riguardo alle nostre Missioni dell'America del Sud stabilisco Mons. Giov. Cagliero mio Provicario con piena autorità su tutto il personale e su tutte le Case ed Ispettorie di quelle contrade.
In questa medesima occasione credo farvi cosa gradita col parteciparvi che la mia sanità è alquanto migliorata, e ciò attribuisco alle caritatevoli preghiere che so aver voi innalzato a Dio per me. Ve ne ringrazio di vero cuore, e vi assicuro che quel poco di forze e di giorni, che Dio pietoso si degnerà ancora concedermi, intendo che sia totalmente a vantaggio dell'umile nostra Congregazione e a profitto delle anime nostre.
Il Signore benedica il novello Vicario, gli altri Superiori e tutti i nostri Confratelli, e faccia sì che tutti siamo sempre un cuor solo e un'anima sola nel promuovere la gloria del nostro celeste Padre e la santificazione delle anime nostre.
Festa dell'Immacolata Concezione di Maria SS.
Affezionatissimo in Gesù Cristo
Sac. GIO. BOSCO[146].
Don Rua però non aveva indugiato tanto ad assumere l'ufficio di Vicario. Verso la metà di ottobre aveva preso stanza vicino a Don Bosco, là dove prima lavorava Don Berto. [283] Don Bosco si mostrava visibilmente assai contento e sollevato[147].
Don Rua aveva quarant'otto anni compititi, dei quali ben quaranta passati con Don Bosco. Ammesso da trent'anni alla sua intimità, pieno di devozione verso la sua persona, capace quant'altri mai di comprenderlo, risoluto di spendere tutta la vita ad aiutarlo nella sua missione, egli parve a tutti il più adatto che si potesse trovare nella Congregazione per sostenere il delicato ufficio. Fu visto quindi spogliarsi dell'esteriore severità richiesta fino allora in lui dai doveri della stia carica di Prefetto e rivestirsi dell'amabilità di chi aveva l'obbligo di rappresentare degnamente la persona del Padre. A questo lo veniva disponendo con i suoi consigli Don Bosco stesso. Un giorno il Santo, discorrendo con parecchi dei primari Superiori, disse: -Stanotte ho sognato che mi trovava in sacrestia e desiderava di fare la mia confessione. -Vidi Don Rua inginocchiato, ma non osava quasi di avvicinarmi a lui, perchè lo temevo troppo rigoroso. - Tutti si volsero sorridendo a Don Rua e: - Bravo, bravo! dicevano. Far paura perfino a Don Bosco! - Egli pure rideva, ma nelle parole di Don Bosco, egli, più che un sogno o tino scherzo, ravvisò un invito a liberarsi da ogni resto di severità[148].
Lettere di plauso giunsero tosto da parte di tutti i confratelli più rappresentativi della Congregazione. Espresse molto bene il generale sentimento Don Bellamy, scrivendo da Parigi a Don Rua il 15 dicembre: “Fu sempre felice per la nostra Pia Società il giorno dell'Immacolata Concezione, e quest'anno la nostra buona Madre ci ha regalata una notizia che fu da tutti i Salesiani accettata come il più prezioso, il più caro, il più desiderato dei regali, voglio dire la nomina ufficiale di Lei alla faticosa, ma dolce carica d'essere Padre della nostra Pia Società [...]. Questa fu per noi una prova nuova che il Signore ci ama; questa fu una nuova spinta a lavorare ognor [284] più, perchè non si può più adesso temere per l'avvenire, sentendoci nelle mani paterne, forti, sante di colui che tutti riguardavano come un altro Don Bosco, come la regola salesiana in persona, come la forma d'ogni buono e vero Salesiano ”.
Il favore dei primi mesi durò pieno e caldo anche dopo la morte del Santo, come si vide quando l'unanime suffragio degli elettori chiamò Don Rua a raccoglierne intera l'eredità. Veramente di questa elezione non vi era alcun bisogno; ma come e perchè siasi fatta, diremo nell'ultimo volume.
Nel volume precedente abbiamo narrato dell'erezione di un Vicariato Apostolico nella Patagonia settentrionale e di una Prefettura Apostolica nella Patagonia meridionale e Terra del Fuoco, e della nomina dei rispettivi titolari; continueremo ora con la narrazione delle vicende che seguirono quel fatto così glorioso per la nostra Congregazione sul chiudersi di appena un decennio dall'approvazione canonica.
Il primo atto importante compiuto dal nuovo Provicario Apostolico Don Cagliero e dal nuovo Prefetto Apostolico Don Fagnano fu una dignitosa protesta contro una disposizione attuata in Italia a danno delle Missioni cattoliche. Nel gennaio del 1884 una sentenza definitiva pronunziata dalla Corte di Cassazione a Roma aveva dichiarato soggetta alla legge di conversione dei beni immobili la Sacra Congregazione di Propaganda. Era questo un attentato alla dignità e alla libertà della Santa Sede; poichè, essendo la Propaganda un nobile Strumento per la diffusione del Vangelo nel mondo, la sentenza colpiva direttamente il Papato nella sua azione apostolica e nell'uso dei mezzi che vi si riferivano. I documenti della fondazione considerano appunto la Propaganda come una emanazione del supremo ministero apostolico e perciò nella sua sfera di attività va riguardata come istituzione eminentemente cosmopolita e il suo patrimonio è proprietà della grande [286] famiglia cattolica. Non era dunque tollerabile la pretesa di assoggettarla alle leggi particolari di un Governo isolato e al giudizio di un tribunale locale, dichiarandola incapace di possedere giuridicamente e spogliandola de' suoi beni. E poichè gli aspetti della questione erano due, uno diplomatico e l'altro religioso, per il primo la Segreteria di Stato indirizzò una Nota ai Nunzi presso i Governi europei, mentre per il secondo mandò la Propaganda stessa una relazione ai Vescovi della Cattolicità; infine il 2 marzo, anniversario della nascita e della coronazione di Leone XIII, il Papa fece udire la sua voce di condanna dinanzi al Sacro Collegio dei Cardinali venuti a porgergli l'omaggio dei loro auguri.
I Vescovi inviarono da ogni parte alla Santa Sede proteste di adesione, ma soprattutto protestarono i Superiori ecclesiastici delle Missioni; con i quali avevano il diritto e il dovere di mostrarsi solidali i due novelli Prelati missionari salesiani. Don Cagliero, preparato il documento e procuratasi la firma anche di Don Fagnano, lo spedì il 1° giugno al cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda, deplorando nell'attentato non solo il danno della religione e della civiltà, ma anche l'umiliazione della patria italiana, che così veniva gravemente a scapitare nel suo prestigio e nel suo influsso all'estero[149].
Don Cagliero doveva andare nella stia Missione con il titolo di Provicario, ma non Vescovo; solo più tardi sarebbe stato elevato alla dignità vescovile. Don Bosco invece vagheggiava di rimandarlo in America già insignito del carattere episcopale; e i fatti immediati, come vedremo, e altri fatti posteriori dimostrarono che quello fu savio consiglio. Tale disegno formò argomento di conversazione con il Cardinale Arcivescovo, che già a Roma era stato membro della Commissione cardinalizia incaricata di esaminare il progetto del Vicariato e della Prefettura; onde, convinto egli pure della convenienza che Don Cagliero fosse consacrato subito Vescovo, [287] aveva naturalmente la strada aperta a occuparsi dell'affare, richiedendone la grazia al Santo Padre; il che fece con stia lettera del 26 settembre. Per tre motivi supplicava il Papa di quel favore: per consolazione di Don Bosco, per onore della Congregazione e per maggior facilità ed efficacia nell'esercizio del sacro ministero da parte dell'eletto[150]. Come poi volevano le buone consuetudini, l'Alimonda rimise la pratica nelle mani del Cardinale Protettore, facendolo arbitro dell'opportunità d'inoltrare o meno la sua domanda[151].
Il cardinale Nina giudicò la cosa opportuna e di sicuro effetto; onde passò prontamente la supplica al Prefetto di Propaganda per la debita presentazione. Un momentaneo scoglio s'incontrò per via; il cardinale Ferrieri, prefetto dei Vescovi e Regolari, vi si oppose a tutt'uomo, persuaso com'era sempre che la Pia Società Salesiana avesse un'esistenza precaria e che alla morte di Don Bosco sì sarebbe disciolta. Ma l'Eminentissimo Nina ricantava volentibus et nolentibus che due ragioni dovevano far conchiudere il contrario, cioè l'estendersi meraviglioso dei Salesiani e il bene incontestabilmente da loro operato; un pochino più, tardi potè aggiungere ancora un terzo argomento, vale a dire il caso unico nella storia degli Ordini religiosi che, vivente il fondatore, vi fosse un accordo così pieno nella scelta di chi gli sarebbe succeduto.
Vinti di leggieri gli ostacoli, la risposta di Roma non poteva essere nè più pronta nè più soddisfacente, come si diedero premura di comunicare all'Alimonda tanto il cardinale Nina [152] che monsignor Jacobini, segretario di Propaganda. Quest'ultimo gli scrisse il 9 ottobre: “Il S. Padre nell'udienza di domenica scorsa esaudì la preghiera di Don Bosco e consentì di dare il carattere Vescovile a Don Cagliero, nuovo Provicario Apostolico, in Patagonia. Credo che dopo ciò bisognerà togliere al medesimo il Pro, ma per questo aspetto di parlarne [288] al Card. Prefetto. Intanto La prego di avvisare il caro Don Bosco che ne sarà contentissimo. La prego, se non è ardire, di fare a Don Bosco i rallegramenti da mia parte pel nuovo onore che ottiene l'Oratorio ”.
Dopo questa comunicazione ufficiosa venne quella ufficiale da parte del cardinale Simeoni all'Alimonda e a Don Cagliero. Al primo diceva essersi degnato il Santo Padre acconsentire in considerazione della dimanda fatta da Sua Eminenza e in vista dei meriti di Don Bosco; al secondo significava essere scopo dell'elevazione, che la maggior potestà e dignità rendesse l'opera sua più efficace e vantaggiosa alla Missione. Don Cagliero adempiè all'obbligo suo di render grazie a monsignor Jacobini, ai due cardinali Simeoni e Nina e al Santo Padre[153].
Il Papa con Breve del 30 ottobre comunicato dal Cardinale Prefetto di Propaganda nominò Don Cagliero Vescovo titolare di Mágida[154], pubblicandone poi la nomina nel Concistoro del 13 novembre, nel qual giorno Don Bosco annunziò ufficialmente al Capitolo Superiore l'avvenuta elezione e i mutamenti che quella portava seco. La partenza di monsignor Cagliero per l'America lasciava scoperto il posto di Catechista della Congregazione; Don Bosco però non volle esonerarlo dall'ufficio fino al prossimo Capitolo Generale del 1886. Per il disbrigo degli affari fu sulle prime suo desiderio di chiamare Don Francesia; ma poi stimò meglio farlo supplire da Don Barberis, maestro dei novizi. C'erano motivi di temere, come diremo, che Monsignore per cause politiche dopo non lunga dimora nell'Argentina dovesse far ritorno in Italia.
La sede vescovile di Mágida come si disse e scrisse comunemente, o di Mágido, com'è nei documenti ufficiali, fu in antico suffraganea di Perge nella Pamfilia, provincia dell'Asia Minore. Eretta nel secolo V, ebbe Vescovi insigni fin [289] verso il secolo IX; indi travolta nello scisma d'Oriente, rimase puro titolo vescovile, come tante altre. L'ultimo titolare era stato monsignor Bernardino Caldaioli, che vi aveva rinunziato nel 1883 per assumere il governo della chiesa di Grosseto.
Un primo Vescovo Salesiano, figlio dell'Oratorio in tutta l'estensione del termine, costituiva quasi la solenne consacrazione dell'efficacia educativa di Don Bosco. Soltanto un educatore come Don Bosco poteva trarre da una natura così esuberante e insofferente di giogo e in un ambiente così povero di comodi materiali un così zelante pastore della Chiesa. Nato a Castelnuovo d'Asti nel gennaio del 1838 e perduto il padre fin dall'infanzia, venne dalla madre affidato a Don Bosco nel 1851. Quell'anno il nostro Santo, recatosi a Castelnuovo per il discorso dei Morti, incontrò la prima volta il giovanetto che, vestito da chierichino, l'aveva accompagnato sul pulpito. Dopo la predica il suo occhio sagace notò in sacrestia che il ragazzo lo guardava silenzioso, come se avesse voglia di parlargli e non ne avesse l'ardire. Egli stesso gl'indirizzò la parola e: - Sembra, gli disse, che abbi qualche cosa da dirmi, non è vero?
- Sissignore, rispose prontamente il ragazzo. Voglio dirle che desidero venire con lei a Torino per continuare gli studi e farmi prete.
- Bene, verrai con me. Il signor Prevosto mi ha già parlato di te. Dirai a tua madre che stasera ti accompagni nella casa parrocchiale e là c'intenderemo.
La madre ve lo menò. Don Bosco che la conosceva: - Mia buona Teresa, le disse scherzando, è vero che volete vendermi il vostro figlio?
- Oh no! esclamò la buona donna. A Castelnuovo si vendono i vitellini, ma i figli si regalano.
- Meglio ancora, se me lo regalate, ripigliò Don Bosco. Preparategli un po' di abiti e di biancheria, e
domani verrà con, me. [290] Condottolo a Valdocco, gli fece fare il ginnasio, gli diede la veste chiericale e lo mandò alle scuole del seminario arcivescovile per gli studi filosofici e teologici. Pieno di attività, il giovane chierico dirigeva la sacrestia, la musica, la ginnastica e i catechismi. Ancor chierico fu dai soci della nascente Congregazione eletto a far parte del Capitolo Superiore. Ordinato prete nel 1862, non cedette a lusinghe d'impieghi lucrosi, ma stabilì di star sempre con Don Bosco. Compiè il corso di morale casistica sotto la disciplina del suo conterraneo Don Bertagna, si addottorò in teologia presso la Regia Università di Torino e insegnò morale ed ermeneutica, nell'Oratorio, mentre attendeva con ardore al ministero della parola di Dio e delle confessioni e si occupava indefessamente di musica, quale esecutore e compositore. Nel 1875 l'abbiamo veduto capitanare la prima spedizione di Salesiani nell'Argentina, dove in due anni di permanenza fondò cinque case e preparò il terreno alla Missione patagonica. Richiamato a Torino, diresse l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e come visitatore della Congregazione percorse tutta l'Italia, trattando a nome di Don Bosco la fondazione di case; per i quali scopi andò anche due volte in Francia, tre nella Spagna e una in Portogallo. Era pertanto quello che oggi si dice, nel miglior senso della parola, un uomo navigato.
Eletto Vescovo, una curiosità lo pungeva. Circa trent'anni prima, nel 1855, sei chierici attorniavano Don Bosco seduto a tavola e scherzando discorrevano con lui del loro avvenire. Don Bosco disse: - Uno di voi sarà Vescovo. - I chierici erano Anfossi, Cagliero, Francesia, Reviglio, Rua e Turchi, che tutti presero la cosa in ridere, tanto la loro umile condizione sociale e l'ancora modesta posizione di Don Bosco e dell'Oratorio sembravano escludere ogni verosimiglianza che fosse per toccare ad essi un sì alto onore. E poi a quel tempo nessuno pensava a Missioni estere. Tuttavia una parola di Don Bosco non si dimenticava facilmente; perciò Don Cagliero si struggeva della voglia di sapere che cosa si nascondesse sotto [291] quel lontano vaticinio, avveratosi nella stia persona. Ne interrogò dunque il Santo, il quale gli rispose che glie l'avrebbe detto alla vigilia della sua consacrazione; e quella sera nella sua camera gli svelò il mistero.
Il fatto risaliva al 1854, allorchè il giovane Cagliero, assistendo i colerosi, aveva contratto un'infezione tifoidea. Il suo stato non dava più un filo di speranza. Don Bosco, entrando da lui per disporlo a ben morire, si arrestò sulla soglia; un'apparizione improvvisa avvinse i suoi sguardi. Una colomba sfolgorante con un ramo d'olivo nel becco volteggiava per la stanza, finchè, direttasi al lettino dell'infermo e raccolto il volo sul suo capo, gli sfiorò con le sempreverdi foglioline le labbra, gli lasciò cadere sulla testa la piccola fronda e mandando un guizzo di luce abbagliante disparve. Seguì tosto una seconda visione. Dileguatesi le pareti, una turba di facce strane e selvatiche si assiepavano intorno alle coltri e puntavano gli occhi sul moribondo, quasi trepidanti sulla stia sorte. Due figure specialmente dominavano sii tutte, una dall'aspetto orrido e nerastro, l'altra dal colore di rame, dalle membra atletiche e dal portamento marziale: anch'esse stavano curve in ansietà sul fanciullo. Furono cose di una rapidità fulminea, nè alcuno dei, presenti ebbe sentore di nulla. Il Santo comprese non esser sonata per Giovannino l'ora estrema. Nella colomba gli parve di poter ravvisare la pienezza della grazia sacerdotale, nel ramo d'olivo la predicazione dell'evangelo di pace, in quelle barbare sembianze tribù selvagge da convertire. Ed ecco il tutto riuscito allora conforme a' suoi presagi.
Monsignor Cagliero ascoltò intenerito il racconto; quindi pregò Don Bosco che lo volesse durante la cena ripetere ai Superiori del Capitolo. Don Bosco, che, dove scorgesse qualche po' di bene, non sapeva dire di no, accondiscese[155]. [292]
La consacrazione episcopale venne fissata al 7 dicembre, sicchè il novello Vescovo avrebbe potuto fare il suo primo pontificale il giorno appresso, festa dell'Immacolata. Per provvedere abiti, oggetti e ornamenti Don Rua con una circolare stampata invocò il caritatevole concorso di signore, che conoscevano il nuovo Prelato[156]; anche la Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fatta sua la circolare medesima, contribuì a procurarle maggiore diffusione. Ai principali benefattori Don Bosco mandò il seguente invito a stampa.
Mi è nota la benevolenza che la S. V. mostrò sempre verso l'Oratorio di S. Francesco di Sales, e il vivo interesse che ognora si prese per tutto ciò che gli appartiene.
Per la qual cosa ho la grande consolazione di farle sapere che Domenica, 7 corrente, verso le ore 7 ½ del mattino, avrà luogo nella Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice la Consacrazione Episcopale di Mons. Giovanni Cagliero, allievo dell'Oratorio medesimo, preconizzato da Sua Santità Leone XIII nel concistoro del 13 passato novembre, Vescovo titolare di Magida in Pamfilia, e Provicario Apostolico della Patagonia Settentrionale.
La consacrazione sarà fatta da Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Cardinale Gaetano Alimonda, nostro Arcivescovo veneratissimo, coll'assistenza di loro Eccellenze Reverendissime Mons. Giovanni Battista Bertagna, Vescovo titolare di Cafarnao e Mons. Emiliano Manacorda, Vescovo di Fossano.
Qualora la S. V. potesse assistere alla detta funzione mi farebbe cosa molto gradita; ma se mai le sue occupazioni ciò non le permettessero, io la prego di volere almeno gradire e tenere il cordiale invito che le fo di venire ad onorare il nostro pranzo circa la mezz'ora dopo mezzogiorno.
Alla sera verso le ore 6 si terrà pure una breve accademia in onore del nuovo Vescovo.
Nella speranza che la S. V. vorrà soddisfare al vivo desiderio che [293] nutro di averla tra noi in quel giorno memorando, ne la ringrazio anticipatamente, ed augurandole da Dio e dalla Vergine Immacolata ogni bene mi professo con grande riconoscenza ed alta stima
N. B. Se mai la S. V. potesse portarsi tra noi per l'ora del pranzo sarei a pregarla della bontà di rendermene avvertito.
Un quarto Vescovo era presente alla cerimonia: monsignor De Macedo Costa, di Belem del Parà nel Brasile, che, viaggiando da Parigi a Roma, aveva fatto una sosta a Torino per visitare Don Bosco e domandargli aiuto di Salesiani. Curva sotto il peso de' suoi ottantott'anni si vedeva assistere lacrimante al sacro rito la madre dell'eletto, e nella penombra del presbiterio il suo gran padre spirituale attirava su di sè gli sguardi commossi dei numerosi amici e ammiratori Egli avrebbe desiderato anche l'assistenza di un padrino e di una madrina, il qual onore aveva offerto ai conti Colle[157]; ma la salute non permise loro d'intraprendere il lungo viaggio.
Al termine dell'Imponente funzione, mentre il Cardinale e i quattro Vescovi, preceduti dal clero e tra due fitte ale di popolo si avviavano per la chiesa alla prima sacrestia, il Consacrato, staccatosi dal corteo, si volse verso quella parte dove sapeva esserci la madre. La cara vecchina, sorretta da un figlio e da un nipote, gli moveva incontro, facendo atto d'inginocchiarsi; ma il figlio la prevenne, strinse al petto il venerando capo e fra la commozione degli astanti la ricondusse delicatamente a sedere. Poco doveva la fortunata donna sopravvivere a tanta gioia; poichè nel dì del santo Natale il suo stanco cuore cessò di battere.
Proseguito a stento tra la folla verso la seconda sacrestia, ecco Don Bosco, che a capo scoperto s'avvicinava e s'inginocchiava per baciargli l'anello. Monsignore, che nascondeva [294] la mano sotto le pieghe dell'abito, si precipitò fra le sue braccia. Scena dolcissima, abbellita dalle lacrime! Il Santo potè quindi imprimere il suo bacio su quell'anello, che a nessuno il Vescovo aveva permesso prima di baciare. D'allora in poi Don Bosco usò sempre a monsignor Cagliero gli stessi riguardi che agli altri. Vescovi, baciandogli l'anello e dandogli le preferenze dovute al carattere episcopale.
Molti invitati parteciparono al banchetto dato quel giorno in suo onore. Fra i brindisi ci sembra degno di essere ricordato quello del barnabita padre Denza, insigne fisico e astronomo, che cavò dalla sua scienza un'immagine geniale. - Mi pareva, disse, di trovarmi durante il pranzo all'osservazione del cielo sulla mia terrazza e di contemplare una delle più belle costellazioni, quella del Toro[158], e vicino a questa le Pleiadi e al disotto Argo. Ebbene la stella principale del Toro la vedeva dinanzi nella persona dell'Eminentissimo Arcivescovo di Torino; le quattro stelle che le fanno corona nei quattro Eccellentissimi Vescovi presenti, la stella che ad occhio nudo per la distanza appena si vede, ma che pure è grandissima, raffigura Don Bosco. Le Pleiadi mi rappresentano i collegi di Don Bosco, il numero infinito degli alunni e cooperatori salesiani; e poichè spiccano qua e là tra le nebulose alcune fulgide stelle, ravviso in esse gli egregi Direttori dei collegi convenuti alla festa. Infine la costellazione di Argo, così chiamata dalla mitica spedizione degli argonauti, è rappresentata da monsignor Cagliero che, conquistatore a un tempo come Giasone e musico come Orfeo, muove intrepido con i suoi a una conquista, della quale un vello d'oro non poteva essere che un pallido simbolo.
Nella sua risposta ai brindanti il festeggiato rievocò un episodio che va da noi raccolto per la nostra storia. - Venti anni fa, disse, Don Bosco, accompagnato da una novantina di giovani, dopo faticosa marcia attraverso la Liguria giungeva al paese di Gavi. Qui egli e i suoi trovarono pronto un sontuoso [295] banchetto offerto loro da un pio canonico di Genova, che soleva passare a Gavi alcun tempo dell'anno. Sull'imbrunire Don Bosco, congedatosi, s'allontanò con la sua comitiva dal paese. Il pio canonico desiderava di vederlo ancora una volta e accompagnarsi tiri tratto di via con lui; ma Don Bosco si era già di tanto inoltrato nelle vallate che menano all'Orba, che inutilmente quegli, accompagnato da Don Giovanni Cagliero, tentò di rintracciarlo Allora il pio canonico esclamò che ben lo avrebbe visto ancora il provvidenziale Don Bosco, perchè solo le montagne in questo mondo noti s'incontrano. Ebbene quel pio canonico è ora il cardinale Alimonda, che dopo vent'anni si trova nuovamente a fianco il sacerdote Don Bosco[159].
Dal 1841 Don Bosco soleva nel dì dell'Immacolata tenere una conferenza a' suoi figli, radunando in un primo tempo i giovani, poi i catechisti, poi i chierici, infine i Salesiani, di mano in mano che lo svolgersi della sua istituzione dava agli tini la preponderanza su gli altri. Nel 1884 le feste del Vescovo avevano assorbito i pensieri dell'Oratorio prima, durante e dopo l'8 dicembre; ma egli, non volendo rinunziare alla buona consuetudine, indisse la riunione per il giorno 13. Quella sera verso le sei, raccolti tutti i confratelli nel parlatorio presso la porteria, il Servo di Dio, salutato il grande avvenimento del]'ultima settimana, si lasciò trasportare dall'onda dei ricordi verso le remote origini dell'Oratorio, riconducendosi poi giù giù ai tempi recenti. Sul principio egli con sua mamma Margherita era tutto: cuoco, maestro, capo, assistente. Una stessa sala serviva di scuola, laboratorio, refettorio, dormitorio. Poi vennero i primi aiutanti: Don Rua, Don Cagliero, Don Francesia, Don Durando, Don Lazzero. Sacrifizi e lavoro continuo in ogni parte della casa e in oratorii festivi, e [296] studiare teologia per sè e frequentare il corso di lettere all'Università per insegnare agli altri. Infine lo stato presente delle cose, le comodità introdotte, la maggiore agevolezza a mantenere l'ordine mercè la saggia divisione dei superiori, gli uni per dirigere gli artigiani, gli altri per dirigere gli studenti. Vincolo indissolubile a promuovere e mantenere quest'ordine proclamò essere la santa obbedienza.
- Molti, diceva Don Bosco, vengono da me e: " Padre, mi dicono, io ora tolto dalla tale e tale altra occupazione, gettato in quel collegio lontano dalla sua paterna cura, ho bisogno di un ricordo ". Ed io do loro quello che credo più opportuno; ma credetemi, figliuoli miei, osservate le nostre sante Regole! Ecco il più grande e caro ricordo che questo vostro povero e vecchio padre vi può lasciare. Le Regole sono approvate dalla Santa Madre Chiesa, la quale non erra mai; quindi, obbedendo ad essa, noi obbediamo immediatamente a Dio. Quanti sono nel mondo che abbiano tale fortuna di poter dire: "Sono certo che, operando in questa maniera, procurerò la salvezza dell'anima mia? -. Non istò a svolgervi questi punti così belli, e così importanti, che richiederebbe o per se stessi interi voltimi. Le mie deboli forze non comporterebbero un lungo ragionamento; d'altra parte queste verità vi furono già spiegate. Concluderò quindi con un pensiero che mi sta sommamente a cuore. L'Apostolo S. Giovanni, vecchio di ben cent'anni, non potendo parlare a lungo delle, cose di Dio, si faceva portare in chiesa e ripeteva queste poche parole ai discepoli radunati: Diligite alterutrum, e null'altro. Talora i discepoli gli chiedevano: "E fatto questo, che cosa dovremo fare d'altro? -. Diligite alterutrum! rispondeva. Ma stanchi i cristiani di udire sempre da lui lo stesso consiglio, lo pregarono umilmente a dar loro spiegazione di tanta insistenza. "Perchè, rispose il Santo Apostolo, chi adempie al precetto della carità, ha fatto tutto! ". Così io dico a voi, o miei cari figli. Amatevi gli uni gli altri, aiutatevi gli uni gli altri caritatevolmente, e non succeda mai che alcuno tenga astio contro il suo fratello, o lo [297] screditi con parole sconvenienti. Guai a chi opera in tal modo! Dobbiamo perdonare al nostro fratello, come desideriamo che Dio perdoni a noi i nostri peccati. E come potremo ripetere, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris, se poi nutriamo in cuore sentimenti di odio? Ah! non dimentichiamo le parole di Gesù Cristo ai suoi Apostoli: Vi riconosceranno per miei discepoli, se vi amerete a vicenda.
Monsignore durante la novena del santo Natale partì per Roma. Erasi già inteso con monsignor Jacobini per avere l'udienza del Santo Padre fra il 20 e il 22 dicembre. Fu ricevuto dal Papa il 22, ritornandone molto confortato. Leone XIII, oltre alla gran benevolenza dimostrata a lui, gli ripetè una raccomandazione per Don Bosco: - Dite a Don Bosco che si abbia cura, perchè la sua salute è preziosa non solo per la vostra Congregazione, ma per tutta la Chiesa[160].
Fatto ritorno a Torino, monsignor Cagliero non perdeva il suo tempo, ma andava a compiere funzioni e a tenere conferenze. Così il 31 dicembre consacrò la chiesa di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato[161]; parlò ai Cooperatori nella chiesa di S. Giovanni Evangelista, sostituendovi Don Bosco: parlò pure a Lu, a Casale e altrove.
Quando il giorno della partenza si approssimava e fervevano i preparativi, fu testimonio della calma inalterabile di Don Bosco nei casi avversi e improvvisi. Il 24 gennaio 1885 egli stava con lui a pranzo, quando si udì dal cortile un grido: - Il fuoco! il fuoco! - Tutti balzarono da tavola e corsero sul ballatoio, meno Don Bosco, il quale non si mosse. Il fuoco si era appiccato nel laboratorio della legatoria dei libri. Nella casa pareva il finimondo: un correre, un vociare, un fuggi fuggi, un cercar acqua: la confusione dominava sovrana. Si avvisarono i pompieri. Intanto l'incendio si sviluppava, minacciando d'invadere i dormitori. Don Bosco, tutto i accolto in preghiera, senz'ombra di sgomento, domandava di quando in [298] quando se vi era pericolo per i giovani, se vi erano danni alle persone, e rispostogli sempre che no: - Quando è così, disse alla fine, sia fatta la volontà di Dio. - In tal modo rimase costantemente padrone di sè nè per nulla si mostrò turbato.
I più dei Superiori, compreso il Vescovo, erano discesi, avvicinandosi al centro dell'incendio. Arrivarono i pompieri che in poco d'ora ebbero ragione delle fiamme. Sopraggiunse anche il conte di Sambuy, Sindaco di Torino. Monsignore lo accompagnò nella stanza vicina al refettorio, dove trovarono Don Bosco sempre nella sua calma di prima. Rivolto al Sindaco gli disse: - La ringrazio di questa stia attenzione, signor Conte. Ella ha sempre voluto bene al nostro Oratorio ed ora ce ne dà una prova di più. Mi dicono che hanno già circoscritto il fuoco e che non vi è più pericolo per il resto della casa. Ne sia ringraziato il Signore. - Nello spavento che aveva invaso gli animi di tutti solo Don Bosco sì mantenne così impassibile e rassegnatissimo alla santa volontà di Dio. Il 26 scriveva al principe Czartoryski: “Apprenderà dai giornali che sabato il fuoco ha incendiato una parte notevole della nostra casa. Il danno è assai grave; ma le persone sono state salve. Dio sia benedetto tanto nelle cose prospere che nelle avverse ”. Un tratto amoroso della Provvidenza venne tosto a premiare la sua fiducia in Dio e a confortare i pusillanimi. Occorrevano subito diecimila lire per riattare al più presto la legatoria, ed ecco una lettera dalla Francia con un vaglia cambiario per quell'ammontare preciso.
Gli alunni del collegio Manfredini, commossi al racconto della disgrazia fatto loro da Don Tamietti, improvvisarono una colletta, che fruttò la somma di 195 lire. Mandatele per mezzo del Direttore a Don Lemoyne, affinchè le presentasse a Don Bosco, il Santo tic fu vivamente tocco e incaricò il medesimo Don Lemoyne di ringraziarli, dandogli la traccia della lettera[162]. Anche il Papa, informato di quella sciagura, [299] inviò a Don Bosco per confortarlo una sua speciale benedizione[163].
S'arrivò frattanto alla vigilia della partenza. Per tutta la giornata il pensiero che Monsignore e gli altri sarebbero andati così lontano, e l'impotenza assoluta di accompagnarli, come le volte precedenti, fino all'imbarco, anzi l'impossibilità forse di dar loro almeno l'addio nella chiesa di Maria Ausiliatrice, gli causarono sussulti di commozione, che in certi momenti lo opprimevano e lo lasciavano abbattuto. Or ecco che nella notte dal 31 gennaio al I° febbraio fece un sogno simile a quello del 1883 sulle Missioni. Lo raccontò quindi a Don Lemoyne che subito lo scrisse. É il seguente.
Mi parve di accompagnare i Missionari nel loro viaggio. Ci siamo parlati per un breve momento prima di partire dall'Oratorio. Essi mi stavano attorno e mi chiedevano consigli; e mi pareva di dire loro: - Non colla scienza, non colla sanità, non colle ricchezze, ma collo zelo e colla pietà, farete del gran bene, promovendo la gloria di Dio e la salute delle anime.
Eravamo poco prima all'Oratorio, e poi senza sapere per quale via fossimo andati e con quale mezzo, ci siamo trovati quasi subito in America. Giunto al termine del viaggio mi trovai solo in mezzo ad una vastissima pianura, posta tra il Chili e la Repubblica Argentina. I miei cari Missionari si erano tutti dispersi qua e là per quello spazio senza limiti. Io guardandoli mi meravigliava, poichè mi sembravano pochi. Dopo tanti Salesiani che in varie volte aveva mandati in America, mi pensava di dover vedere un numero maggiore di Missionari. Ma poscia riflettendo conobbi che se piccolo sembrava il loro numero, ciò avveniva perchè si erano sparsi in molti luoghi, come seminagione che doveva trasportarsi altrove ad essere coltivata e moltiplicata.
In quella pianura apparivano molte e lunghissime vie per le quali si vedevano sparse numerose case. Queste vie non erano come le vie di questa terra, e le case non erano come le case di questo mondo. Erano oggetti misteriosi e direi quasi, spirituali. Quelle strade erano percorse da veicoli, o da mezzi di trasporto che correndo prendevano successivamente mille aspetti fantastici e mille forme tutte diverse, benchè magnifiche e stupende, sicchè io non posso definirne o descriverne una sola, Osservai con stupore che i veicoli giunti vicini ai gruppi di case, ai villaggi, alle città, passavano in alto, cosicchè chi [300] viaggiava vedeva sotto di sè i tetti delle case, le quali benchè fossero molto elevate, pure di molto sottostavano a quelle vie le quali mentre nel deserto aderivano al suolo, giunte vicine ai luoghi abitati diventavano aeree quasi formando un magico ponte. Di lassù si vedevano gli abitanti nelle case, nei cortili, nelle vie, e nelle campagne occupati a lavorare i loro poderi.
Ciascheduna di quelle strade faceva capo ad una delle nostre missioni. In fondo ad una lunghissima via che si protendeva dalla parte del Chili io vedeva una casa [164] con molti confratelli Salesiani, i quali si esercitavano nella scienza, nella pietà, in varie arti e mestieri e nell'agricoltura. A mezzodì era la Patagonia. Dalla parte opposta in un colpo d'occhio scorgeva tutte le case nostre nella Repubblica Argentina. Quindi nell'Uruguay, Paysandú, Las Piedras, Villa Colón; nel Brasile il Collegio di Nicteroy e molti altri ospizi sparsi nelle provincie di quell'impero. Ultima ad occidente si apriva un'altra lunghissima strada che traversando fiumi, mari e laghi faceva capo in paesi sconosciuti. In questa regione vidi pochi Salesiani. Osservai con attenzione e potei solamente vederne due.
In quell'istante apparve vicino a me un personaggio di nobile e vago aspetto, pallidetto di carnagione, grasso, con barba rasa in modo da parere imberbe e per età uomo fatto. Era vestito in bianco, con una specie di cappa color di rosa intrecciata con fili d'oro. Risplendeva tutto. Io conobbi in quello il mio interprete.
- Dove siamo qui? chiesi io additandogli quest'ultimo paese.
- Siamo in Mesopotamia, mi rispose l'interprete.
- In Mesopotamia? io replicai: ma questa è la Patagonia.
- Ti dico, rispose l'altro, che questa è la Mesopotamia.
- Ma pure... ma pure... non posso persuadermene.
- La cosa è così! Questa è la Me.. so.. po.. ta.. mia, concluse l'interprete sillabando la parola, perchè mi restasse bene impressa.
- Ma perchè i Salesiani che vedo qui sono così pochi?
- Ciò che noti è, sarà, concluse il mio interprete.
Io intanto sempre fermo in quella pianura percorreva collo sguardo tutte quelle interminabili vie e contemplava, in modo chiarissimo ma inesplicabile, i luoghi che sono e saranno occupati dai Salesiani. Quante cose magnifiche io vidi! Vidi tutti i singoli collegi. Vidi come in un punto solo il Passato, il presente e l'avvenire delle nostre missioni. Siccome vidi tutto complessivamente in uno sguardo solo, è ben difficile, anzi impossibile rappresentare anche languidamente qualche ristretta idea di questo spettacolo. Solamente ciò che io vidi in quella [301] pianura del Chilì, del Paraguay, del Brasile, della Repubblica Argentina domanderebbe un grosso volume, volendo indicare qualche sommaria notizia. Vidi pure in quella vasta pianura, la gran quantità di selvaggi che sono sparsi nel Pacifico fino al golfo di Ancud, nello stretto di Magellano, al Capo Horn, nelle isole Diego, nelle isole Malvine. Tutta messe destinata per i Salesiani. Vidi che ora i Salesiani seminano soltanto, ma i nostri posteri raccoglieranno. Uomini e donne ci rinforzeranno e diverranno predicatori. I loro figli stessi che sembra quasi impossibile guadagnare alla fede, eglino stessi diverranno gli evangelizzatori dei loro parenti e dei loro amici. I Salesiani riusciranno a tutto colla umiltà, col lavoro, colla temperanza. Tutte quelle cose che io vedeva in quel momento e che vidi in appresso, riguardavano tutte i Salesiani, il loro regolare stabilimento in quei paesi, il loro aumento meraviglioso, la conversione di tanti indigeni e di tanti Europei colà stabiliti. L'Europa si verserà nell'America del Sud. Dal momento che in Europa si incominciò a spogliare le chiese, incominciò a diminuire la floridezza del commercio, il quale andò e andrà sempre più deperendo. Quindi gli operai e le loro famiglie spinti dalla miseria correranno a cercare ricovero in quelle nuove terre ospitali.
Visto il campo che ci assegna il Signore ed il glorioso avvenire della Congregazione Salesiana, mi parve di mettermi in viaggio pel ritorno in Italia. Io era trasportato con rapidissimo corso per una via strana, altissima e così giunsi in un attimo sopra l'Oratorio. Tutta Torino era sotto i miei piedi e le case, i palagi, le torri mi sembravano basse casupole, tanto io mi trovava in alto. Piazze, strade, giardini, viali, le ferrovie le mura di cinta, le campagne, e le colline circostanti, le città, i villaggi della provincia, la gigantesca catena delle Alpi coperta di neve stavano sotto i miei occhi presentandomi un stupendo panorama. Vedeva i giovani là in fondo nell'Oratorio che sembravano tanti topolini. Ma il loro numero era straordinariamente grande; preti, chierici, studenti, capi d'arte ingombravano tutto. Molti putivano in processione ed altri sottentravano alle file di coloro che partivano. Era una continuata processione.
Tutti si andavano a raccogliere in quella vastissima pianura tra il Chilì e la Repubblica Argentina, nella quale io tosto era ritornato in un batter d'occhio. Io li stava, osservando. Un giovane prete il quale sembrava il nostro D. Pavia, ma che non era, con aria affabile, parola cortese, di un aspetto candido, e di carnagione fanciullesca venne verso di me e mi disse: - Ecco le anime ed i paesi destinati ai figliuoli di S. Francesco di Sales.
Io era meravigliato come tanta moltitudine che sì era raccolta colà in un momento disparisse e appena appena in lontananza si scorgesse la direzione che aveva presa.
Qui io noto che nel narrare il mio sogno vado per sommi capi e non mi è possibile precisare la successione esatta dei magnifici spettacoli [302] che mi si presentavano e i vari accidenti accessori. Lo spirito non regge, la memoria dimentica, la parola non basta. Oltre il mistero che involgeva quelle scene, queste si avvicendavano, talora s'intrecciavano, soventi volte si ripetevano secondo il vario unirsi o dividersi o partire dei missionari, e lo stringersi, o allontanarsi da essi di quei popoli che erano chiamati alla fede o alla conversione. Lo ripeto: vedeva in un punto solo il presente, il passato, l'avvenire di queste missioni, con tutte le fasi, i pericoli, le riuscite, le disdette o disinganni momentanei che accompagneranno questo Apostolato. Allora intendeva chiaramente tutto, ma ora è impossibile sciogliere questo intrigo di fatti, di idee, di personaggi. Sarebbe come chi volesse comprendere in una sola storia e ridurre ad un solo fatto e ad unità tutto lo spettacolo del firmamento, narrando il moto, lo splendore, le proprietà di tutti gli astri colle loro relazioni e leggi particolari e reciproche; mentre un solo astro darebbe materia all'attenzione e allo studio della mente più robusta. E noto ancora che qui si tratta di cose le quali non hanno relazione con gli oggetti materiali.
Ripigliando adunque il racconto, dico che restai meravigliato nel vedere scomparire tanta moltitudine. Monsignor Cagliero era in quell'istante al mio fianco. Alcuni missionari erano ad una certa distanza. Molti altri erano intorno a me con un bel numero di cooperatori Salesiani, fra i quali distinsi Mons. Espinosa, il Dottor Torrero, il Dottor Caranza e il Vicario generale del Chilì[165]. Allora il solito interprete venne verso di me che parlava con Mons. Cagliero e molti altri, mentre andavamo studiando se quel fatto racchiudesse qualche significazione. Nel modo più cortese l'interprete mi disse: - Ascoltate e vedrete.
Ed ecco in quel momento la vasta pianura divenire una gran sala. Io non posso descrivere esattamente quale apparisse nella sua magnificenza e nella sua ricchezza. Dico solo che se uno si mettesse a descriverla, nessun uomo potrebbe sostenerne lo splendore neppure coll'immaginazione. L'ampiezza era tale che si perdeva a vista d'occhio e non si riusciva a vederne le mura laterali. La sua altezza non si poteva raggiungere. La volta terminava tutta con archi altissimi, larghissimi e risplendentissimi e non si vedeva sopra qual sostegno si appoggiassero. Non vi erano nè pilastri, nè colonne. In generale sembrava che la cupola di quella gran sala fosse di un candidissimo lino a guisa di tappezziera. Lo stesso dicasi del pavimento. Non vi erano lumi, nè sole, nè luna, nè stelle, ma sibbene uno splendore generale, diffuso egualmente in ogni parte. La stessa bianchezza dei lini luccicava e rendeva visibile ed amena ogni parte, ogni ornamento, ogni finestra, ogni entrata, ogni uscita. Tutto intorno era diffusa una soavissima fragranza, la quale era mescolanza di tutti gli odori più grati. [303]
Un fenomeno si scorse in quel momento. Una gran quantità di tavole in forma di mensa si trovavano là di una lunghezza straordinaria. Ve ne erano per tutte le direzioni, ma concorrevano ad un centro solo. Erano coperte da eleganti tovaglie e sopra stavano disposti in ordine bellissimi vasi cristallini in cui erano fiori molti e vari.
La prima cosa che notò Mons. Cagliero fu: - Le tavole ci sono, ma i commestibili dove sono? - Infatti non era apparecchiato nessun cibo e nessuna bevanda, anzi neppure vi erano piatti, coppe o altri recipienti nei quali porre le vivande.
L'amico interprete rispose allora: - Quelli che vengono qui, neque sitient, neque esurient amplius. - Detto questo incominciò ad entrare gente, tutta vestita in bianco con una semplice striscia come collana, di color di rosa ricamata a fili d'oro che cingeva il collo e le spalle. I primi che entrarono erano in numero limitato. Solo alcuni in piccola schiera. Appena entrati in quella gran sala andavano a sedersi intorno ad una mensa loro preparata, cantando: Evviva! Ma dopo queste, altre schiere più numerose si avanzavano, cantando: Trionfo! Ed allora incominciò a comparire una varietà di persone, grandi e piccoli, uomini e donne, di ogni generazione, diversi di colore, di forme, di atteggiamenti e da tutte parti risuonavano cantici. Si cantava: Evviva! da quelli che erano già al loro posto. Si cantava trionfo! da quelli che entravano. Ogni turba che entrava erano altrettante nazioni o parti di nazioni che saranno tutte convertite dai missionari.
Ho dato un colpo d'occhio a quelle mense interminabili e conobbi che là sedute e cantando vi erano molte nostre suore e gran numero dei nostri confratelli. Costoro però non avevano nessun distintivo di essere preti, chierici, o suore, ma egualmente come gli altri avevano la veste bianca e il pallio color di rosa.
Ma la mia meraviglia crebbe quando ho veduto uomini dall'aspetto ruvido, col medesimo vestito degli altri e cantare: Evviva trionfo! In quel momento il nostro interprete disse: - Gli stranieri, i selvaggi che bevettero il latte della parola divina dai loro educatori, divennero banditori della parola di Dio.
Osservai pure in mezzo alla folla schiere di fanciulli con aspetto rozzo e strano e domandai: - E questi fanciulli che hanno una pelle così ruvida, che sembra quella di un rospo, ma pure così bella e di un colore così risplendente? Chi sono costoro?
L'interprete rispose: - Questi sono i figliuoli di Cani che non hanno rinunziato alla eredità di Levi. Essi rinforzeranno le armate per tutelare il regno di Dio che finalmente è giunto anche fra noi. Era piccolo il loro numero, ma i figli dei figli loro lo accrebbero. Ora ascoltate e vedete, ma non potete intendere i misteri che vedrete.
Quei giovanetti appartenevano alla Patagonia ed all'Africa Meridionale. [304]
In quel mentre si ingrossarono tanto le file di coloro che entrarono in quella sala straordinaria, che ogni sedia pareva occupata. Le sedie e i sedili non avevano forma determinata, ma prendevano quella forma che ciascheduno desiderava. Ognuno era contento del seggio che occupava e del seggio che occupavano gli altri.
Ed ecco mentre si gridava da tutte Evviva! trionfo! ecco sovraggiungere in ultimo una gran turba che festevolmente veniva incontro agli altri già entrati e cantando: Alleluia, gloria, trionfo!
Quando la sala apparve interamente piena, e le migliaia dei radunati non si potevano numerare, si fece un profondo silenzio e quindi quella moltitudine incominciò a cantare divisa in diversi cori.
Il primo coro: Appropinquavit in nos regnum Dei; laetentur Coeli et exultet terra; Dominus regnavit super nos; alleluia.
Altro coro: Vicerunt; et ipse Dominus dabit edere de ligno vitae et non esurient in aeternum: alleluia.
Un terzo coro: Laudate Dominum omnes gentes, laudate eum omnes populi.
Mentre queste ed altre cose cantavano e si alternavano, a un tratto si fece per la seconda volta un profondo silenzio. Quindi incominciarono a risuonare voci che venivano dall'alto e lontane. Il senso del cantico era questo con una armonia che non si può in nessun modo esprimere: Soli Deo honor et gloria in saecula saeculorum. Altri cori sempre in alto e lontani rispondevano a queste voci: Semper gratiarum actio illi qui erat, est, et venturus est. Illi eucharistia, illi soli honor sempiternus.
Ma in quel momento quei cori si abbassarono e si avvicinarono. Fra quei musici celesti vi era anche Luigi Colle. Gli altri che stavano nella sala si misero allora tutti a cantare e si unirono, collegandosi le voci insieme in somiglianza di straordinari istrumenti musicali, con suoni la cui estensione non aveva limiti. Quella musica sembrava avesse contemporaneamente mille note e mille gradi di elevazione che si associavano a fare un solo accordo di voci. Le voci in alto salivano così acute che non si può immaginare. Le voci di coloro che erano nella sala scendevano sonore, rotonde così basso che non si può esprimere. Tutti formavano un coro solo, una sola armonia, ma così i bassi come gli alti con tale gusto e bellezza e con tale penetrazione in tutti i sensi dell'uomo e assorbimento di questi, che l'uomo dimenticava la propria esistenza, ed io caddi in ginocchio ai piedi di Mons. Cagliero esclamando: - Oh Cagliero! Noi siamo in paradiso!
Mons. Cagliero mi prese per mano e mi rispose: - Non è il paradiso, è una semplice, una debolissima figura di ciò che in realtà sarà in paradiso.
Intanto unanimi le voci dei due grandiosi cori proseguivano, e cantavano con inesprimibile armonia: Soli Deo honor et gloria, et triumphus alleluia, in aeternum in aeternum! Qui ho dimenticato me [305] stesso e non so più che cosa sia stato di me. Al mattino stentava a levarmi di letto; appena appena potei richiamarmi a me stesso, quando sono andato a celebrare la santa Messa.
Il pensiero principale che mi restò impresso dopo questo sogno, fu di dare a Mons. Cagliero ed ai miei cari missionari un avviso di somma importanza riguardante le sorti future delle nostre missioni: - Tutte le sollecitudini dei Salesiani e delle suore di Maria Ausiliatrice siano rivolte a promuovere le vocazioni ecclesiastiche e religiose.
Ogni volta che raccontando ripeteva quelle parole evviva! trionfo! la voce di Don Bosco, come ci assicura Don Lemoyne prendeva un accento così vibrato, che faceva trasalire. Quando poi sull'ultimo nominò il suo diletto monsignor Cagliero, sospese per un istante la narrazione, un singulto gli troncò la parola e i suoi occhi si empirono di lacrime.
A Don Lemoyne che gli aveva mandato copia di questo e dell'altro sogno, Don Costamagna ringraziando scriveva[166]: “Dica pure a Don Bosco che non ubbidiremo a quelle sue parole scritte nell'ultima lettera a Monsignore: "Non credere a tutto ciò che dicono i miei sogni”. Chè noi contenti di far la professione di fede di Urbano VIII, ce ne stiamo alle visioni del nostro Padre, il quale, non dimenticherò giammai, ebbe a dirmi un giorno: - Fra tutte le Congregazioni ed Ordini religiosi, forse la nostra fu quella che ebbe più parola di Dio - ”.
La mattina del I° febbraio Monsignore ordinò nella chiesa di Maria Ausiliatrice otto preti, due diaconi, quattro suddiaconi e a dieci chierici conferì gli ordini minori, dei quali ordinati parecchi sarebbero partiti con lui. Nella cerimonia serale dell'addio egli fece il discorso; poi venne il Cardinale a benedire i par tenti. Don Bosco dovette obbedire all'ingiunzione dei medici, non scendendo affatto dalla sua camera. Si comprese soltanto il giorno dopo qual fosse la causa del malessere che lo incomodava.
Monsignore, spediti i suoi compagni di viaggio la sera medesima [306] del I° febbraio, si trattenne ancora nell'Oratorio, perchè si sentiva troppo stanco e si proponeva di raggiungere gli altri a Sampierdarena il dì appresso. Questo breve indugio gli procurò la consolazione di un ultimo affettuoso colloquio con Don Bosco.
Quella sera dunque, verso le sette, andò da lui e silenzioso gli si sedette a fianco. Don Bosco pure taceva. Quanti e quali ricordi dovettero passare per la mente a entrambi in quei solenni momenti! Finalmente Don Bosco domandò: - Sono partiti i tuoi compagni?
- Mi sembravano molto preoccupati per la mia sanità. Appena li vedrai, di loro che non si affannino. Io non sto male. É solo la commozione che mi faceva comparire così. Poveretti! Si vedeva che faceva loro pena il mio stato.
- Si rassicuri, dirò quello che sarà necessario per liberali da ogni sinistro presentimento.
- Domani bisogna che mi trovi a Sampierdarena.
- Non parliamo adesso dell'ora. Ci penseremo.
- Se potessi partire un po' tardi e riposarti con tranquillità...
- Don Bosco, non pensi a questo. Mi sento bene: lasci fare a me. Stasera ci vedremo ancora una volta e combineremo tutto.
Quindi si misero a parlare delle Missioni, finchè sonò la cena. Monsignore si ritirò, ma Don Bosco, non reggendosi più, si dovette coricare. Alle nove e mezzo Monsignore tornò da lui e facendosi violenza per atteggiarsi alla sua solita disinvoltura, si avvicinò al letto.
- Ebbene, mio caro Monsignore? disse Don Bosco un po' esitante.
- Vengo, rispose Monsignore, a prendere la sua benedizione. [307]
- Come?! stasera? Vieni domani mattina; potremo parlarci ancora e con più comodità.
- Domani mattina forse non ci sarà più tempo.
- A che or a dunque hai deciso di partire?
- Fermati ancora fino alle due pomeridiane--- Sei stanco... Dopo conveniente riposo il viaggio ti sarà meno affaticante.
- Se Don Bosco non ha nulla in contrario, lo pregherei di lasciare a me la scelta dell'ora.
- Fa' dunque come credi meglio.
- Allora benedica me e benedica ancora una volta i miei compagni.
Monsignore s'inginocchiò, Don Bosco lo prese per mano e: - Fa' buon viaggio, gli disse. Se non ci vedremo più su questa terra, ci rivedremo in Paradiso.
- Non parliamo di questo. Prima di rivederci in Paradiso, ci vedremo ancor a su questa terra. Si ricordi che ho promesso di ritornare per la sua Messa d'oro...
- Sarà come vuole il Signore. Egli è il padrone. Nell'Argentina e nella Patagonia avrete molto da fare, lavorerete molto e la Madonna vi aiuterà a ricavare grande frutto dalla tua missione. Poi ti chiameranno e ti daranno una diocesi[167].
Ciò detto, cominciò la formola della benedizione. La voce gli veniva lenta e interrotta. Monsignore gli suggeriva le parole, aggiungendo frasi per la circostanza, che Don Bosco ripeteva come un fanciullo, a cui la mamma insegna le preghiere.
Ricevuta la benedizione, il Vescovo si alzò e: - Dunque buona notte, mio caro Don Bosco, gli disse.
- Mi saluterai i tuoi compagni di viaggio, i confratelli d'America, i cooperatori che incontrerai dappertutto... [308]
- Sì, sì, ed ora riposi, signor Don Bosco.
- Ho ancora tante cose da dirti! Ma a Marsiglia troverai... Là, fa' buon viaggio; Dio benedica te e i tuoi compagni.
Queste ultime parole furono dette mentre Monsignore usciva col cuore rigonfio. Egli lasciò l'Oratorio alle sei del mattino. Don Bosco non potè più per otto giorni levarsi da letto: un attacco di bronchite, i cui primi sintomi sembrarono minacciare di peggio, ve lo tenne inchiodato.
La spedizione sarebbe dovuta partire dall'Europa più di un mese prima, se il colera non avesse fatto chiudere alle provenienze del Mediterraneo i porti del Brasile, di Montevideo e di Buenos Aires. É vero che sullo scorcio del 1884 vi si ammettevano vapori postali italiani e francesi; ma venivano sottoposti a quarantena, il che importava disagi, spese ed anche qualche pericolo. Onde Monsignore preferì aspettare il ritorno alla libera pratica[168].
Fatto un giro per le case della riviera ligure e francese, egli giunse l'II febbraio a Marsiglia, dove trovò radunati i Salesiani e le Suore che con lui si dovevano imbarcare[169]. In questa città Don Bosco volle rendersi presente mandando a raggiungerli Don Bonetti per recar loro il suo ultimo saluto e consegnare al Vescovo un suo foglio autografo. É una lettera della massima importanza.
Confido nel Signore che la tua sanità andrà bene, ed io ti raccomando di usarti ogni riguardo che tu stesso giudichi possibile alla tua condizione attuale.
Ricevo una lettera dall'Arcivescovo di Buenos Ayres. Contiene cose di cui noi abbiamo già trattato. Ne ritengo copia, e ti servirà di [309] regola nel presentarti all'Arcivescovo, e trattare con pieni poteri come ti sembrerà meglio, nel Signore. Ritieni che il Chili guarda i Salesiani, ed i Salesiani guardano amichevolmente quella nazione. Ma non aprire molte case le une vicine alle altre.
D. Bonetti ti porta i cuori ed i saluti di tutti i Salesiani d'Europa, che tu estenderai ai confratelli nostri di America. Conta molto sulla prudenza di D. Lasagna, dei nostri confratelli anziani e dei Vescovi che ci amano in Gesù. Ma va molto cauto nel prendere deliberazioni relative alle autorità civili.
Tutti i Cooperatori d'Europa fanno e continueranno preghiere pel vostro buon viaggio e per la continuazione dei vostri affari a maggior gloria di Dio e salvezza delle anime. Dio è con noi. Non temete.
Raccomanda a tutti i nostri di dirigere i loro sforzi a due punti cardinali: Farsi amare e non farsi temere: Fare ogni sacrifizio personale e pecuniario a fine di promuovere le vocazioni ecclesiastiche e monacali[170].
Mi raccomando ancora che non si dia gran retta ai sogni etc. Se questi aiutano all'intelligenza di cose morali, oppure delle nostre regole, va bene; si ritengano. Altrimenti non sè ne faccia alcun pregio[171].
Dio ti benedica, o caro Monsig. Cagliero, e con te benedica tutta la carovana Salesiana, e Maria guida vi sia a guadagnar molte anime al cielo.
La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.
Pregate ogni giorno per colui che sarà sempre in G. vostro
Un altro prezioso scritto il Santo inviava allora a monsignor Cagliero. Era così concepito: “Parole da porsi in musica da Mons. Cagliero, quando sarà sulle sponde del Rio Negro nella Patagonia, e che a Dio piacendo noi canteremo a suo tempo nella chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino. O Maria, Virgo potens, tu magnum et praeclarum in Ecclesia praesidium; tu singulare Auxilium Christianorum, tu terribilis ut castrorum acies ordinata; tu cunctas haereses sola interemisti in universo mundo; tu in angustiis, tu in bello, tu in necessitatibus nos ab [310] hoste protege, atque in aeterna gaudia in mortis hora suscipe ”[172]. Con paterno pensiero il Santo mirava così a dissipare nell'animo dei partenti i timori sulla sua salute. Poco prima di salire a bordo del Bourgogne essi gli chiesero ancora telegraficamente una benedizione. Il piroscafo salpò nel pomeriggio del sabato 14 febbraio.
Fino allora tutto era proceduto senza inconvenienti e nella navigazione si sperava bene; ma che sarebbe stato all'arrivo in terra americana? I compagni di Monsignore ignoravano cose che egli conosceva e che gli causavano preoccupazioni.
Dal 3 settembre 1884 incidenti gravi avevano turbato la Missione della Patagonia. Governatore del territorio era il generale di brigata Winter, che comandava anche le truppe della frontiera lungo le sponde dei Rio Negro, del Neuquén e del Limay. Finchè egli fu amico dei Salesiani, tutto andava benissimo; ma avendo il Governo nazionale per mene settarie ingaggiata la guerra religiosa e rotte le relazioni con la Santa Sede, espellendo il Delegato Apostolico monsignor Matera sotto pretesto che non era persona gradita, il Governatore, imbevuto di falsi principii e fors'anche indotto dal Presidente, colse a volo un'imprudenza commessa per puro zelo da Don Milanesio e prese a perseguitare senza tregua i poveri Missionari. Durante la lotta denunziò al Ministro del Culto i Salesiani come persone ineducate e scandalose e come trafficanti, consigliando al Governo centrale di non accettarne più nessuno in parrocchie del territorio argentino. Li calunniò pure a mezzo de' suoi dipendenti presso l'Arcivescovo di Buenos Aires, tentando ogni via per iscacciarli interamente da Viedma e da Patagones, come già aveva cominciato a fare financo manu militari. [311]
Due cose salvarono i Salesiani dalla rovina: l'energia di Don Fagnano e una sua buona previdenza. Facendo quanto poteva per calmare il Governatore, mandò alle autorità ecclesiastiche e civili una sua vigorosa difesa personale, poichè contro di lui principalmente puntava le armi la stampa massonica. Disgrazia volle che i giornali cattolici, scesi in lizza a difesa dei Salesiani, usassero modi violenti, assalendo il Governo e irritando vie più gli animi. Le famiglie dì Patagones e di Viedma e tutta la popolazione delle sponde del Rio Negro sapevano quanto fosse infame il procedere degli avversari, ma non osavano alzare la fronte in faccia al nemico, temendo per i loro interessi, che stavano in balla delle autorità nazionali. Don Fagnano non si perdette di coraggio, anzi aveva disposto le cose in modo da poter opporre anche una strenua difesa materiale, se la violenza venisse spinta agli estremi. E questo egli poteva fare in punti dove dimorava sul suo, poichè con danaro proprio aveva acquistato del terreno e costrùttovi sopra, affinchè di là nessuno legalmente avesse mai diritto di farlo sloggiare. Questo contegno risoluto salvò i Salesiani da un colpo di mano, già divisato presso i loro nemici nel bollore della passione, e diede tempo a Buenos Aires di vagliare accuse e difese. Il Ministro anche per l'intromissione della Curia non fece caso della nota governatoriale, cosicchè il Governatore giudicò prudente venire a più miti consigli[173].
Tornò bonaccia, ma non sicurezza. La questione religiosa s’inaspriva nella capitale; inoltre il generale Roca, Presidente della repubblica, scadeva dalla carica nell'ottobre del 1886 e già si avvertivano i prodromi di grosse battaglie politiche per la successione. Or ecco il brutto momento, in cui capitava a Buenos Aires il nuovo Vicario Apostolico. Già nel dicembre del 1884 egli aveva scritto al Segretario di Propaganda: “L'attitudine del presente Governo Argentino, ostile e tirannico [312] contro la Chiesa ed il suo Rappresentante, non sarà un altro intoppo per noi? Speriamo di no: d'altronde la divina Provvidenza, come in passato, così in avvenire veglierà sopra le nostre Missioni ”. Più tardi, il 31 gennaio, anche per l'Uruguay Don Lasagna manifestava da Villa Colón a Don Bosco i suoi timori, “Il Governo, scriveva egli, da qualche settimana è corrucciato colla Curia e minaccia leggi vessatorie per i religiosi. Uscì già un decreto che proibisce l'impianto di nuove case religiose senza un previo permesso governativo”. Il conflitto dunque si allargava oltre le frontiere argentine.
L'eventualità di un impedimento per monsignor Cagliero a stabilirsi nell'Argentina pendeva sull'orizzonte, tanto che erasene trattato a Torino in occasione del passaggio del Vicario Generale di Concepción nel Cile. Questo Prelato, il cui Vescovo era in esilio per prepotenze governative, fermatosi in gennaio a Torino, concertò con i Superiori di tener preparata Della sua città una casa per il Vicario Apostolico, se gli fosse impedito l'accesso o la dimora dove la volontà del Santo Padre l'aveva destinato.
Poichè ad aggravare la prima questione ce n'era per aria un'altra. Ne aveva fatto cenno l'Arcivescovo di Buenos Aires il 2 gennaio, rispondendo a relative comunicazioni fattegli da Don Bosco; era la lettera acclusa dal Santo nella sua del 10 febbraio a monsignor Cagliero[174]. “Avrò, diceva, sommo piacere di vedere un Vescovo Salesiano, e spero che potrà fare molto bene, essendo già così numerosa la sua famiglia in queste parti. Ma mi è forza aggiungere che in ogni tempo, ma adesso più che mai, il nostro Governo non approverà mai che senza il suo beneplacito siasi eretto un Vicariato entro i suoi dominii. Si tengono più padroni degli stessi re di Spagna. É questa una difficoltà che non posso sciogliere io, appartenendo al Sommo Pontefice; ma oggi è molto difficile. Non perdoneranno giammai che in questo affare si sia voluto prescindere da loro. Io desidero che V. R. procuri che l'Ill.mo Cagliero si presenti [313] senza questo titolo di Vicario della Patagonia. Per parte mia do ogni facoltà perchè possa esercitare ogni potestà episcopale tanto qui quanto in Patagonia, e procurerò che sia onorato e rispettato come Vescovo; ma siamo arrivati a tempi, in cui cacciano il Nunzio del Papa, in cui si perseguitano e si espellono in parte i Salesiani da Patagones, e quindi non posso persuadermi che si vegga di buon occhio o sia tollerato un Vescovo con un titolo che urti l'arrogante liberaleria nazionale. La S. V. che ha superate tante difficoltà, aggiusti anche questo affare, procurando che in nulla si dia pretesto a muover guerra contro la famiglia Salesiana. Ella ci onora troppo mandando tra noi un Vescovo, e io non vorrei che questo tosse causa di disgusti ”.
Don Bosco ricevette questa lettera tra il gennaio e il febbraio, e rispose appena potè lasciare il letto; non toccò per altro il tasto delicato, ma ebbe in mira soltanto a rafforzare nell'Arcivescovo le sue benevole disposizioni.
Non posso scrivere a lungo come vorrei, la mia sanità non me lo permette. Ora debbo limitarmi a farle umili e cordialissimi ringraziamenti per la protezione prestata in varie occasioni ai Salesiani.
Il nostro veneratissimo Arcivescovo, che mi parla spesso di Lei, mi dà nominale incarico di farle i suoi rispetti dicendo che egli, il Cardinale Alimonda, nutre in cuore che tra non molto tempo qualche lieta ventura porterà la E. V. qui tra noi a consolare colla sua presenza i nostri giovani, che in gran numero si ricordano della E. V. Mons. Cagliero e compagni le daranno minuto ragguaglio delle cose nostre; ma intendono di mettersi tutti nelle paterne di Lei mani e di seguirne i consigli ed i comandi.
Io sono venuto molto vecchio, ma ho piena fiducia di poterla ancora vedere su questa terra prima che la misericordia divina mi chiami alla vita eterna.
Tutti i Salesiani, io in capo, chiediamo la sua santa benedizione mentre colla massima gratitudine ho la grande consolazione di potermi professare della E. V.
Contemporaneamente la campagna giornalistica, non limitandosi più ai Missionari della Patagonia, attaccava in pieno tutti i Salesiani e cercava di renderli tutti odiosi agli Argentini. Eran chiamati razza di vagabondi, gente raccogliticcia, uomini inetti al progresso della civiltà, ingannatori, turbolenti, cupidi, fanatici; individui senza vincoli di famiglia o di nazionalità, buoni solo a scroccare danaro e a denigrare l'Argentina all'estero; il loro Bollettino essere un mezzo per fomentare lo spirito di setta fra i lettori e propalare notizie strampalate sulla repubblica; doversi sbandire i Salesiani che già vi erano e chiudere la porta agli altri che stavano per arrivare.
Preoccupato della piega che prendevano le cose, l'Arcivescovo, quando monsignor Cagliero aveva già preso terra a Montevideo, richiamò l'attenzione del Cardinale Prefetto di Propaganda sul pericolo a cui si andava incontro di peggiori rappresaglie governative. Onde Sua Eminenza il 6 maggio 1885 scrisse a Don Bosco: “In quanto al Vicario Apostolico Mons. Cagliero, mi scrive il Vescovo di Buenos Aires che teme molto ch'egli non venga ricevuto dal Governo, essendo stato inviato colà senza il previo suo consenso. Non posso negare alla S. V. che siffatta partecipazione mi pone in qualche apprensione, mentre altri fatti del Governo stesso me la rendono assai probabile. Vegga dunque Ella di disporre le cose in modo da allontanare questo pericolo, e raccomandi ai suoi Missionari la più grande prudenza ”.
Allorchè Don Bosco ricevette questa lettera, monsignor Cagliero si trovava già a Buenos Aires. Giunto a Montevideo il 12 marzo e visitate le case dell'Uruguay, si spinse avanti in nomine Domini. Don Costamagna il 31 informava Doli Bosco: “Finora il viaggio, l'arrivo ed i ricevimenti di Monsignore furono un vero trionfo. I diarii cattolici non parlano perchè così vuol prudenza; alcune gazzettacce sputano veleno, ma è cosa da non farne caso. Il Delegato Apostolico non solo ricevette con amabilità il nostro Vescovo, ma gli fece dei [315] regali assai preziosi praeter expectationem[175]. Mons. Aneyros poi si mostrò e continua a mostrarsi sempre eguale a se stesso, cioè un vero tenerissimo padre di Mons. Cagliero e dei Salesiani ”. In attesa degli avvenimenti, Monsignore si stabilì a S. Carlo di Almagro e andava facendo del bene nelle case dei Salesiani e delle Suore. Spesso veniva richiesto nella città per funzioni e per presiedere adunanze di associazioni, quando mancava l'Arcivescovo. Ma conoscendo la stia eccezionale posizione e il suo stato provvisorio a Buenos Aires e assalito per giunta dai giornali, furiosi contro le Missioni Salesiane e contro la sua venuta nella Repubblica, procedeva con la massima prudenza e circospezione. Taceva e lavorava. Nel 1875 alcuni giornali soltanto si scagliavano contro la Chiesa; allora invece gli stessi Governi si erano messi in aperta campagna contro dì essa. Scriveva a Don Lazzero il 5 maggio: “Il loro odio satanico conti o la Chiesa è indescrivibile, perchè calpestano tutto ciò che si chiama ragione, diritto, giustizia, buon senso e la stessa onestà, purchè la spuntino nel loro orgoglio matto e furioso contro la Religione [ .... ]. Avvi un giornale che già va incitando il popolo ad assaltare le case religiose e ad incendiare tutto e a massacrare tutti ”.
Il suo sospiro era però sempre la Patagonia; pur di potervi piantare le sue tende, si protestava disposto ad andarvi vestito non da Vescovo, ma da sagrestano. Gli pareva di fare un gran passa se gli riuscisse di abboccarsi con il Presidente Roca. A ottenergli tale incontro sì adoperava in maggio Don Fagnano, rappattumatosi, almeno apparentemente, con il suo [316] Governatore e venuto a Buenos Aires per affari della Missione[176]. Le difficoltà a riceverlo diminuivano ogni giorno più dalla parte del primo Magistrato della, repubblica, perchè la stampa si quietava. La disarmò il vederlo andare attorno senza forme speciali, ma “come il resto di tutti i mortali ”[177]. Finalmente Monsignore fu avvertito che poteva presentarsi. Si presentò con Don Costamagna e vennero introdotti assieme. Il generale Roca, seduto, interrogò fieramente Monsignore: -Lei è Vescovo?
- Sì, rispose, sono Vescovo titolare di Màgida.
- Non sa che il Papa non può mandare Vescovi nella repubblica senza intendersi con il Governo?
- Signor Presidente, io sono Vescovo in partibus infidelium e non ho nè diocesi nè giurisdizione. Io fui già alcuni anni qui in questa repubblica come Missionario Salesiano di Don Bosco e adesso ritorno per dedicarmi alla Missione della Patagonia.
Don Costamagna colse l'occasione per ricordare al Presidente la spedizione al deserto nel 1879, quand'egli tante volte si era trovato a fianco del Generale. Questi non potè nascondere una certa compiacenza a quel richiamo. Allora Monsignore, preso animo, continuò: - La repubblica Argentina sta aperta a tutti coloro che desiderano, di lavorare; quindi noi veniamo insieme con tanti altri immigrati non solo per lavorare, ma anche per insegnar a lavorare: Ho condotto con me una trentina di Missionari, fra i quali parecchi salesiani laici, che esercitano ogni specie di arti e mestieri; andremo così gli uni a insegnare l'agricoltura e l'allevamento del bestiame e gli altri a prenderci cura delle anime in quelle terre conquistate da Vostra Eccellenza alla civiltà.
- Però voi altri formate una Congregazione religiosa...
- Sì, ma a guisa di Società o Associazione privata, i cui [317] membri conservano tutti i loro diritti civili, senza pretendere nessun privilegio o riconoscimento dallo Stato. Siamo cittadini come gli altri, uniti in Società per educare la gioventù povera in asili, ospizi e scuole professionali. Don Bosco, nostro fondatore, è stato consigliato dai ministri Rattazzi e Cavour a istituire la stia Società in modo da adattarla ai tempi moderni.
Il Presidente osservò ridendo: - Don Bosco davvero è stato abile! -E alzatosi da sedere, strinse la mano a monsignor Cagliero, dicendogli: -Saremo amici. - Monsignore incoraggiato gli chiese un biglietto di presentazione o di raccomandazione per il generale Winter. Il Presidente glielo fece e con termini di lode e di benevolenza. Don Vespignani, che sapeva bene com'erano andate le cose, raccontando il fatto, soleva conchiudere: - Ecco una bella campagna vinta con il metodo di Don Bosco: prudenza, semplicità, lealtà.
L'amicizia fra i due personaggi durò sincera fino all'ultimo. Il gran credito del generale Roca giovò non poco a monsignor Cagliero durante gli anni del suo apostolato nella Patagonia; ma intanto gli arrecò subito due grandi vantaggi.
Tra le difficoltà che si opponevano al viaggio di Monsignore in Patagonia eravi pur quella non piccola dei passaggi. Tutte le case salesiane, onerate di debiti, non potevano fornirgliene il danaro sufficiente; ora Don Fagnano, che trovavasi a Buenos Aires per trattare col Vicario Apostolico, ottenne dal Governo ben dieci passaggi gratuiti. Poi, che gli sarebbe giovato andare in Patagonia ed esservi ridotto all'impotenza dall'autorità locale? Ma i suoi buoni rapporti con il Generale gli valsero di salvacondotto al quartiere del Governatore militare col quale doveva pur fare i conti, se voleva esplicare in pace la sua missione. Fatto il suo ingresso a Patagones il 9 di luglio, si diè premura di andarlo a visitare, e vi si recò in abito prelatizio. Quegli, già informato de' suoi buoni rapporti con il generale Roca, lo accolse onorevolmente e, invitatolo a sedere, gli disse con franchezza da soldato: - Ella avrà una [318] ben trista opinione di me, signor Dottore. Io sono molto cattivo.
- Tutt'altro, ribattè con prontezza il Vescovo. Abbiamo letto sui Bollettini Geografici molte cose belle di Vostra Eccellenza, quando fu in esplorazione. In Italia questi Bollettini si leggono con piacere e interesse. Ci vedemmo un uomo intelligente e di cuore. Sappiamo poi anche del bene che V. E. ha fatto ai Missionari Salesiani.
Quest'esordio ammansò il violento uomo. Quindi Monsignore gli presentò lettere del presidente Roca e del Ministro della guerra e marina, che gli raccomandavano benevolmente il Vescovo per tutto quanto concernesse gli uffizi del suo sacro ministero. Il Governatore promise aiuti per qualsiasi cosa dipendesse da lui. Effetto immediato della visita fu che egli si persuase badare i Salesiani unicamente al bene delle anime e alla predicazione del Vangelo senza punto mischiarsi di politica; il che non era poco in un paese, dove la politica occupava un posto preponderante nella vita dei cittadini[178].
A rallegrare il cuore di Don Bosco si succedevano in quei primi mesi a brevi intervalli lettere or dell'uno or dell'altro, con notizie prevalentemente buone; ma una notizia più di tutte dovette inondarlo di consolazione. Monsignore che dalla metà di marzo al principio di luglio aveva visitato tutte le case dei Salesiani e delle Suore, meno, quella di Nicteroy nel Brasile gli potè scrivere[179]: “Don Bosco può gloriarsi d'avere in America un gran numero di figli che lo rappresentano fin adesso, eccellentissimamente, che lo amano e lo fanno amare ”.
OSTEGGIATA per ogni verso in Italia la cristiana educazione della gioventù, Don Bosco appariva ai buoni come l'uomo provvidenziale mandato da Dio per opporre un argine al dilagare del laicismo nelle scuole; a lui quindi volgevano lo sguardo ecclesiastici e secolari desiderosi di cooperare in cosa sì importante e sì urgente, qual era la preservazione giovanile. Le continue richieste, indice dei disagio morale che affliggeva l'intera penisola, facevano sì che i Salesiani misurassero sempre meglio tutto la grandiosità della loro missione di fronte alla Chiesa e alla civile società; ma in pari tempo ne addoloravano l'animo, dinanzi all'impossibilità di rispondere adeguatamente all'universale fiducia, per l'insufficienza del personale e di personale titolato, quale lo esigevano le leggi dello Stato. Non rechi pertanto meraviglia se nonostante molteplici sollecitazioni, nessuna nuova fondazione si potè fare o principiare in Italia durante il 1884; si mantennero però in fiore le già esistenti, anzi a talune sì diedero notevoli sviluppi. Come nei volumi che precedono, così anche in questo diremo di alcune proposte che rimasero arenate nel loro corso, e ne diremo per la parte che Don Bosco vi ebbe; narreremo appresso [320] alcuni particolari intorno a case che noi già bene conosciamo.
Cominceremo dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, perchè delle loro opere continuava a occuparsi direttamente col suo Capitolo il santo Fondatore.
Un giorno Don Durando manifestò l'idea di aprire convitti per ragazzetti di quattro o cinque anni fino ai sette, sotto la direzione delle Suore; si sarebbero così potute aiutare quelle famiglie, nelle quali, morendo o padre o madre o ambidue i genitori, restavano fanciulletti troppo numerosi per essere assistiti dal genitore superstite o dai tutori. Ma Don Bosco rispose: - Questo non fa per il nostro scopo[180].
Di tre sole proposte per le Suore faremo qui menzione provenienti due dall'alta Italia e una dalla Sicilia.
Scrisse a Don Bosco dalla Sicilia il vicepretore di Francavilla, pregandolo di mandare in quel comune due Suore per la scuola e la cura delle fanciulle; ma tutto si limitò a una cortese risposta. Discrete proposizioni vennero da Castel S.Giovanni nel circondario di Piacenza; ma Don Bosco temette di dover andare incontro a forti spese, mentre il Capitolo allora ne aveva già troppe. In ogni modo una visita di Don Cagliero avrebbe a suo tempo forniti schiarimenti per una risposta definitiva[181].
Il parroco di Moncrivello nel vercellese propose a nome di una vedova Persico all'istituzione femminile da affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice. La vecchia signora intendeva di lasciare per testamento a Don Bosco una sua bella casa, più una rendita annua di settecento lire e quella di una vigna valutata a lire dodici mila. La casa si sarebbe presa com'era restando a carico della Congregazione i restauri e le tasse, il che avrebbe portato via gran parte della rendita. Ora l'esperienza di Lu, Chieti e Vallecrosia aveva tatto vedere che in simili condizioni le case delle Suore erano sempre passive; [321] donde la conclusione essere miglior partito per le Suore aver da fare con amministrazioni che corrispondessero un tanto pattuito, come negli asili infantili. Un'altra cosa l'esperienza aveva insegnato: capitare talvolta casi imprevisti, in cui senza stipendio fisso non si poteva più andare avanti. Così quell'anno stesso a Lu, data la scarsezza dei raccolti, una metà delle famiglie avevano ritirato i bambini e le bambine, quindi, mancate le relative rette mensili, la povera comunità campava a stento. La salvò poi una sottoscrizione promossa dal parroco e dal sindaco. - Se la cosa è così, notò Don Bosco, mi sembra che la proposta di Moncrivello non convenga. Bisogna chiedere un corrispettivo sufficiente. - Don Cagliero ebbe incarico di recarsi sul posto in novembre e di concertare per un reddito annuo di tremila lire[182].
Per i Salesiani due sole proposte di qualche rilievo furono fatte in Piemonte. Il signor Marengo, fratello dei defunto canonico, avrebbe voluto che si accettasse un convitto e una chiesa allora chiusa a Carmagnola, storica cittadina nel circondario di Torino. Dopo lunga discussione in proposito Don Bosco disse: - Si aprano le trattative a patto che si aspetti a convenire sul tempo e che noi siamo liberi di mettere le condizioni giudicate più opportune. - Si trattò ma non si conchiuse Un'offerta materialmente lusinghiera partì dal municipio di Carignano, altro importante centro in quel di Torino. Resosi vacante il locale convento dei Francescani, perchè i religiosi superstiti se n'erano ritirati, il Provinciale manifestò legalmente la soddisfazione del Generale, che vi sottentrassero i Salesiani. Il Consiglio comunale all'unanimità invitò Don Bosco ad aprirvi subito le scuole elementari e poi gradatamente quelle ginnasiali avrebbe ceduto l'edifizio e dato lire seimila annue. Per i lavori dì adattamento una persona prometteva diecimila lire. Inoltre due case vicine, possedute da buoni preti amicissimi di Don Bosco sarebbero poi passate a [322] lui per testamento, Don Bosco avrebbe accordato il suo consenso, se gli si fosse concesso di cominciare dal poco; ma colà non si ebbe pazienza di aspettare[183].
Nella capitale delle Marche il vescovo monsignor Achille Manara offerse prima una casa, che fu rifiutata per mancanza di personale, e poi una parrocchia dì seimila anime in Borgo Pio. La popolazione, scriveva il Prelato, era “in gran parte gente materiale, forestieri, impiegati della ferrovia, che davano poco da fare al parroco, ma che avevano molto bisogno di essere spiritualmente coltivati ”. Don Bosco scrisse in capo al foglio: “Don Durando legga in Capitolo ”. E Don Durando lesse ivi il 24 ottobre; purtroppo però si dovette declinare l'invito per non esserci allora persona adatta. Tuttavia ad Ancona non si lasciò cadere l'idea; onde, come avveniva allorchè dopo un primo rifiuto non si perdeva subito ogni speranza, ma si ritornava di tempo in tempo alla carica con altri progetti, il cardinale Manara, già vecchio decrepito, potè veder sorgere nel 1901 l'attuale istituto con la nuova chiesa eretta da lui a parrocchia e fu testimone della trasformazione radicale di un disgraziato quartiere, operatasi per mezzo dell'oratorio festivo.
Nella seduta capitolare del 28 febbraio Don Bosco fece dar lettura di quattro domande, di cui tre per l'estero e una per la Campania a Teano. Delle prime diremo nel capo seguente; all'ultima, scritta dal cardinale D'Avanzo, vescovo della diocesi, egli ordinò di rispondere pulitamente che non si poteva. Durante la discussione, Don Bosco ebbe l'opportunità di richiamare una norma di prudenza datagli dal Papa. - Ricordatevi, disse ai Superiori, un avviso datoci dal Pontefice Pio IX. Mai troppe case nello stesso luogo. Ciò cagiona invidia negli altri ceti e gelosia nelle autorità civili.
Non così per le corte s'andò per Penne nell'estremo Abruzzo. Il sacerdote De Nardis fin dal 1882 insisteva per la creazione [323] di un'opera scolastica nella sua patria. Le lettere da lui scritte a Don Bosco e a Don Durando rivelano l'ardore sincero del suo zelo a pro della gioventù. Un filo di speranza datogli da prima, benchè senza determinazione di tempo, lo riempì d'allegrezza, tanto che in ottobre venne a Torino, dove trovò “superiore alla fama la realtà delle cose ” e vide che Don Bosco aveva “trasfuso in tutti il suo cuore paterno ”. Questo egli attestava in un memoriale presentato al municipio, a cui seguendo le istruzioni di Don Bosco stesso, chiedeva la cessione legale di un ex-convento del Carmine, l'esecuzione dei lavori necessari per trasformarlo secondo le esigenze del nuovo uso e l'assicurazione del sostentamento per sei Salesiani. Il municipio, accogliendo con plauso la domanda, sostituì al detto edifizio l'ex-convento dei Minori Riformati, come più adatto allo scopo. Ottenuta a tal fine l'autorizzazione dalla Santa Sede, che però ingiunse di mettersi d'accordo con il Provinciale residente in Aquila, se ne sollevò una ferrea opposizione[184]; ma finalmente la resistenza fu vinta, grazie all'intervento del cardinale Bilio, protettore dell'Ordine.
Allora il municipio formulò le sue condizioni, che Don De Nardis trasmise a Torino. Impaziente di avere risposta, egli ne sollecitò Don Bosco, quand'era a Roma. Don Lemoyne scrisse per lui a Don Rua: “Unisco la lettera del De Nardis di Penne. O per lettera o di persona occupatevi della pratica. Don Bosco non può assolutamente attendervi, perchè la testa non gli regge. Voi avete i pieni poteri e la prudenza non vi manca. Fa' il piacere di osservare se Don Durando se ne interessa ”. Di qui si vede che Don Bosco inclinava ad accettare; anzi aveva promesso di fare da Roma una visita a Penne, se le circostanze non gliene avessero tolto il tempo. La pratica si trascinò ancora per alcuni anni, intralciata da una minoranza massonica del Consiglio, che da prima non erasi smascherata. [324]
Lo zelo industrioso e disinteressato del buon sacerdote pennese non potè raggiungere l'intento.
Nessuna proposta si era avuta da Napoli fino al 1884, quando ne giunse una di singolare importanza. Don Lorenzo Apicella, sacerdote assai stimato fra i suoi concittadini, aveva fondato quattro case per sordomuti, ragazzi e ragazze, governandole per mezzo di sei preti e di venticinque laici in abito talare. Sarebbe stata sua intenzione di aggregare questa sua opera all'opera Salesiana[185]. Se ne discusse in Capitolo nella seduta pomeridiana del 27 dicembre. É interessante leggere nei verbali l'andamento della discussione.
DON BOSCO dice: - Si ponga la questione in massima. Qui non sembra che ci sia bisogno di mandare tanto personale. Si potrebbe scrivere a D. Apicella che venga esso stesso a trattare in Torino e di qui manderemo poi qualcheduno con lui a Napoli perchè veda e s'impratichisca. Potremo a poco a poco combinare l'affare.
DON DURANDO osserva che per quattro case ci vuol molto personale.
DON BOSCO: - Io non propongo di accettare, sibbene di esaminare se ci convenga assumerci l'istruzione dei sordomuti. L'Apicella venga a trattare di presenza; ma ora essendo troppo fredda la stagione, differisca la sua venuta dopo Pasqua.
DON DURANDO: - Prima che venga l'Apicella a Torino è meglio cerziorarci se i suoi compagni sono d'accordo di fare questa fusione.
DON CAGLIERO: - Prima della discussione si osservi se le regole ci permettono di dedicarci all'educazione dei sordomuti.
DON DURANDO: - Le regole dicono essere nostro scopo i giovani poveri ed abbandonati. Chi più povero dei sordomuti?
DON RUA: - Il Calasanzio, il quale nel fondare i suoi orfanotrofii aveva lo stesso scopo che noi, accettò pure i sordomuti.
DON BARBERIS: - Faccio osservare che i Salesiani destinati ai sordomuti dovrebbero unicamente occuparsi di questi e non potrebbero più destinarsi ad altro ufficio, perchè troppo è necessario ben istruirsi al fine di impartire una simile educazione.
DON DURANDO: - Faccio notare che bisognerebbe istituire un'ispettoria unicamente per i sordomuti.
DON BOSCO racconta: - Tempo fa mi si fecero molte insistenze perchè accettassi istituti di ciechi, ma io non volli mai accettare. La giudicai proposta molto utile pel suo scopo, ma non mi sento abbastanza [325] portato per occuparmene. Per i sordomuti invece la faccenda va bene altrimenti. Avrei desiderio di fare tutto quello che so e posso in loro vantaggio. Quindi mi rivolgo al Capitolo perchè veda se vi è possibilità di prendere cura di questa nuova classe di fanciulli e fanciulle.
DON BONETTI. - Non vedo la possibilità di riuscita in questa impresa. Vi è piuttosto bisogno urgente che ci dedichiamo sempre più a quei fanciulli destinati a vivere nella società per riformare la società stessa.
DON SALA: - Una gran parte del personale sarebbe già in quelle case e quei coadiutori vestiti da chierici potremmo unirli a noi come terziarii.
DON DURANDO: - Io son certo che una parte di questi coadiutori non vorranno aggregarsi a noi e prima o dopo se ne andranno. E se, mandati a Napoli alcuni dei nostri, quei vecchi coadiutori li lasciassero in asso, come faremo noi a mandate avanti quattro case? Ritirarci con disonore? Di quattro ridurle ad una? Sarebbe un tirarci sopra una odiosità vergognosa.
DON BOSCO: - Si rimandino le trattative dopo Pasqua. Intanto si cerchi se i coadiutori dell'Apicella acconsentano alla fusione ed a fare parte con noi, e quali e quanti siano di sentimento contrario.
DON CAGLIERO: - Si ponderi bene la cosa. Le case sono quattro: alcuni di quei coadiutori andranno certamente via non volendo assoggettarsi ed altri saranno certamente mandati via da noi perchè così insegna l'esperienza.
DON BONETTI: - Se si vuole abbracciare la nuova classe dei sordomuti si fondi prima una piccola casa di due o tre fanciulli, e così potremo coll'andare degli anni formare un personale insegnante, capace, esperto, esercitato. Ma non si abbracci subito su due piedi un'impresa così vasta. Si domandi eziandio perchè l'Apicella insiste tanto per questa fusione. Che forse abbia dei debiti, che non possa andare avanti, e cerchi che i Salesiani gli medichino le sue piaghe.
DON DURANDO gli risponde: - L'Apicella non ha debiti, ma contando ormai 65 anni di vita teme che morto lui cada la sua istituzione.
DON BONETTI soggiunge: - In questo caso non bisogna dargli lusinga d'appoggio, perchè altrimenti esso illuso non cercherà altri mezzi per sostenere l'opera sua e questa cadrà per colpa nostra. Se vogliamo dedicarci eziandio ai sordomuti, fissiamo la nuova istituzione su radice nostra.
DON BOSCO propone: - Si risponda all'Apicella in questi termini: Presentemente non si potrebbe accettare l'offerta per mancanza di personale: in quest'anno intanto si rifletterebbe sul da farsi: l'Apicella nel frattempo pensi pure in quale altro modo possa assicurare l'esistenza del suo istituto: se credesse di affidare i suoi ospizii alla Congregazione [326] Salesiana, essa non avrebbe difficoltà di accettare ciò che dopo la sua morte le lascierebbe.
DON RUA fa osservare: - Mi pare che convenga andare adagio nel fare queste insinuazioni. A Belluno il sacerdote che ha fondato quell'Oratorio ha già fatto il testamento in nostro favore. Potrebbe mancare ai vivi da un momento all'altro ed allora quale figura faremmo noi se non potessimo accettare l'eredità?
DON SALA aggiunge: - D. Rossi a Schio ha già fatto il suo testamento lasciando il suo magnifico Oratorio a D. Bosco. In quanto all'Apicella io credo che voglia unirsi a noi per avere il nostro appoggio morale, cosicchè i suoi benefattori vedendo assicurata l'esistenza dell'Opera si animino a maggiori largizioni.
DON Bosco: - Dunque, che cosa pensate voi che si debba rispondere all'Apicella?
DON RUA: - Si risponda semplicemente: che in genere il progetto ci piace, ma che non possiamo accettare.
DON BOSCO: - Si aggiunga almeno alla risposta la parola: per ora non possiamo accettare.
IL CAPITOLO approva questa risposta.
DON DURANDO: propone di aggiungere alla lettera eziandio questa promessa: Qualcuno passerà per Napoli andando a Randazzo e si fermerà a visitare quell'istituto.